Sulle tracce di Carlo Scarpa: l'armonia nella circolarità.

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Bottazzi Francesca Del Gobbo Giulia Fontana Silvia Pellegatti Enrico

Cattiodoro Silvia Vicentini Cecilia

Bottazzi Francesca Del Gobbo Giulia Fontana Silvia Pellegatti Enrico

Famiglia Businaro Museo delle Rarità di Carlo Scarpa

Francesco, Federico e Ferdinando Businaro Museo delle Rarità di Carlo Scarpa Museo San Paolo Castello Cini


SULLE TRACCE DI CARLO SCARPA: l'armonia nella circolarità


Indice 01 02 03

Sulle tracce di Carlo Scarpa

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La mostra Il logo della mostra

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Scarpa, maestro dell’architettura italiana

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Il Professore Aldo Businaro

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La sala dell’unione

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Inquadrare I lavori in mostra nella sala centrale

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La sala dei dettagli

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La cura estrema del dettaglio Scarpa, architetto del vetro Le tipologie di vetri I metalli, mini architetture in scala

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La sala delle architetture

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L’importanza del disegno Il dettaglio circolare nelle architetture Architetture mai realizzate Scripta manent - l'importanza del carattere

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SULLE TRACCE DI CARLO SCARPA

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La mostra

Nel piccolo sta il divino, nel dettaglio sta il divino, e il professore veramente sul dettaglio era capace di trovare forme nuove e di una poetica straordinaria.

Aldo Businaro

È così che Aldo Businaro, fedele committente di Carlo Scarpa, dipinge la figura del grande maestro. Carlo Scarpa si distingue per aver lasciato le tracce architettoniche più significative della modernità: una vita passata tra arte e creatività, commissioni e amicizie, lavoro e viaggi. E se si parla di viaggi, impossibile non citare quello in Giappone, meta rivelatrice e punto di partenza di un legame vero, sincero e indissolubile con Aldo Businaro. La solida e illuminante amicizia tra i due continua “da padre a figlio, da figlio a padre” nelle future generazioni, come cerchi concatenati senza inizio né fine. Ecco che si arriva a parlare di circolarità, del cerchio, di inizio senza fine, di eterno ritorno e forma perfetta. Così il cerchio, o l’amicizia, filo rosso della nostra mostra. Firma riconoscibile nelle architetture scarpiane, il cerchio unisce, accoglie, si interseca, si incastra ad altro. Diventa sottrazione quando si elimina della materia e si inizia il gioco dei pieni e dei vuoti.

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Diventa tangibile quando lo si può attraversare, camminarci sopra, calpestare e lasciare le proprie impronte. Diventa un mirino quando è intagliato nelle pareti, indirizza lo sguardo e insegna a inquadrare e a osservare. Scarpa fa sua questa traccia e la declina in tante varianti quante le opere della sua intera vita. Il messaggio che la mostra vuole lasciare nello sguardo e nella memoria del visitatore, è l’attenzione scarpiana ai dettagli, e non solo quello del cerchio. Piccoli dettagli che risultano impercettibili decidono il tutto finale. Non è mai facile muoversi dalle scale più piccole alle più grandi, e viceversa, sempre ottenendo ottimi risultati, ma Scarpa è riuscito puntualmente ad affermarsi “artigiano dell’architettura”. La particolarità delle tracce scarpiane, come in un cerchio, sta nel poterle analizzare anche in modo disordinato e acronico, senza un vero e proprio punto di partenza. Il dialogo tra antico e moderno nelle opere è perfettamente realizzato, tutte segnano un nuovo inizio, sembrano appartenere a ieri come ad oggi e contribuiscono a definire Scarpa come sempre attuale, contemporaneo e moderno, stile percettibile anche nell’allestimento museale. Il cerchio continua e si chiude con un omaggio che si tramanda da città ad artista, da Monselice a Scarpa e Businaro. Ricorrenti nella mostra, come nelle architetture del Professore, sono i piccoli dettagli che fanno la differenza, generando un percorso tra le tracce scarpiane. In questo contesto si inserisce il luogo della loro solida amicizia: è grazie a Businaro che oggi Monselice conserva le impronte di questo artista.

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Non si potrebbe parlare di tutto ciò senza considerare, nell’ottica più generale della mostra, la città stessa. L’idea, infatti, che si nasconde dietro l’arredo urbano, è quella di spargere in città le tracce di Scarpa, in linea con il tema centrale della nostra mostra, impreziosendo così Monselice e trasformandola temporaneamente nella co-protagonista dell'esposizione, come un vero e proprio museo a cielo aperto. Vastissima è l’eredità tramandata dal Professore e questa mostra sarà un’ottima opportunità per conoscere da vicino Scarpa nelle sue vesti di designer e architetto. Un ritratto completo del grande architetto veneziano, che con grande maestria, riesce a sviluppare i dettagli dalle scale più grandi alle più piccole, dai più piccoli oggetti della quotidianità fino alle più imponenti architetture, che tendono sempre, usando le sue parole, “al sublime poiché disinteressate al mediocre e strutturate sul bello”.

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Il logo della mostra Il motivo dei due anelli che si intersecano diventa la firma architettonica distintiva del Professore. Nel progetto della Tomba Brion, Scarpa rivela inequivocabilmente il significato di questo simbolo tanto amato e rimasto indecifrabile fino ad allora. Nella Cappella, infatti, il riferimento all’amore coniugale è reso evidente dai colori usati: rosa e azzurro di ciascun anello, ad indicare la sfera femminile legata a quella maschile. Ma forse c’è di più, perché il simbolo deriva da uno studio approfondito delle proporzioni della costruzione geometrica classica, risalente ad Euclide, che spesso appare nelle rappresentazioni alto-medievali in relazione alla figura di Cristo. La “mandorla mistica” è un simbolo arcaico a vulva, successivamente adottato dal Cristianesimo come rappresentazione della sacra famiglia e più in generale dell’unione tra femminile e maschile. Comunemente detta “Vesica Piscis” (vescica del pesce) per la sua forma ogivale, questa si identifica come un forte simbolo cristologico: la misura del pesce, la cui forma contiene l’essenziale nascosto, la spiritualità velata, l’assoluta verità e rimanda all’unione fra cielo e terra. Questa mandorla, infatti, è un chiarissimo richiamo anche al Femminino Sacro e alle proporzioni della Geometria Sacra di unione degli opposti, analogamente al concetto di Yin e Yang, eco della cultura orientale tanto cara a Scarpa. La particolare costruzione fa sì che il rapporto tra la sua altezza e la sua larghezza sia pari alla radice quadrata di 3, e fa sì che nella Vescica Piscis si ritrovino anche le proporzioni della radice quadrata di 5, la quale genera il rapporto noto come proporzione ovvero Sezione Aurea. La Vesica Piscis è quindi una fondamentale costruzione geometrica che si ottiene intersecando due cerchi aventi stesso raggio, i cui centri giacciono uno sulla circonferenza dell’altro.

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I cerchi si incrociano e creano dei punti di unione, e nel logo è stata ricreata una rivisitazione in chiave di armonia circolare che richiama il tema di arte e amicizia. Da un lato Scarpa, dall’altro Businaro, e la mandorla centrale che allude al loro unico sodalizio e alla genuina e fraterna amicizia. Progettare un simbolo da un simbolo ben chiaro sembra semplice, ma semplice non sottintende mai facile. Cosa rappresenta davvero l’unione tra i due protagonisti? Senza dubbio la città, Il Palazzetto e i suoi infiniti dettagli sono le giuste chiavi di lettura del progetto visivo. Alla base del disegno del logo c’è la struttura lignea del portone di ingresso del Palazzetto di Monselice, riproposta anche nel tempio della meditazione del complesso monumentale Brion, sapientemente strutturata e meticolosamente studiata nei minimi dettagli. A destra tanti piccoli punti, i tanti input che Scarpa riceve e che in modo essenziale, pulito e minimale, ripropone nelle sue strutture senza tempo. Un gioco incentrato su dettagli decisivi, forme, tracce, pieni e vuoti, tra presenze e assenze.

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Dall’alto: schema costruttivo dell’intersezione dei due cerchi scarpiani. @ Comune di Altivole Logo della mostra “sulle tracce di Carlo Scarpa: l’armonia nella circolarità”

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Portone d’ingresso Villa Il Palazzetto. @ Francesca Bottazzi



SCARPA, MAESTRO DELL’ARCHITETTURA ITALIANA

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Il Professore

Che cos’è il mestiere dell’architetto? E’ un mestiere come un altro, ha la sua tecnica, ha i suoi modi di fare. CARLO SCARPA

Questa è la frase con cui Carlo Scarpa esordisce in un’intervista rilasciata alla RAI nel 1972. Diplomatosi in architettura all’Accademia di belle arti (1926), fu professore presso l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia dal 1962 al 1975. La sua prestigiosa attività di insegnante e professionista si concentrò prevalentemente nell’allestimento di esposizioni e mostre, nel restauro di complessi monumentali, nella realizzazione di abitazioni private e negozi, tutte occasioni in cui rivelò doti di raffinato progettista, capace di fondere mirabilmente il sapere artigianale con scelte formali razionaliste. Il Professore, come amava farsi chiamare, ha impiegato la sua intera vita alla ricerca del sublime, della perfezione, ricerca alimentata dal pensiero sostenuto che “nelle sue opere finite vedeva solo i difetti”. Nel 1932, inizia la sua collaborazione con Paolo Venini e due anni dopo assume la direzione artistica dell’omonima azienda, rinnovando il catalogo della vetreria veneziana attraverso una produzione chiara ed elegante. Figura strettamente legata alla città di Venezia e al suo territorio lagunare, Carlo Scarpa (Venezia, 1906 - Sendai, Giappone, 1978) era ammirato e conosciuto in ambito internazionale. 10


Scarpa non era laureato, nonostante praticasse abitualmente la professione di architetto. Il suo riconoscimento arrivò honoris causa nel 1978 mentre si trovava in Giappone, circostanza in cui morì accidentalmente a causa di una caduta dalle scale. Poco più di vent’anni prima di quel fatidico 1978, l’Ordine professionale lo aveva portato in giudizio accusandolo di esercitare illegalmente la professione dell’architetto e minacciandolo di chiudergli lo studio e sequestrargli “l’attrezzatura”, senza pensare che l’attrezzatura di Scarpa era Scarpa medesimo, la sua testa, i suoi progetti, non l’attrezzatura materiale. In tutta la sua vita il maestro è stato un personaggio isolato, controverso e osteggiato nonostante abbia lasciato alcune delle tracce più significative della modernità. La sua cultura è stata alimentata negli anni dalle frequentazioni con artisti, architetti, studiosi, dovuta alla frequentazione degli ambienti intellettuali veneziani, dove ebbe la fortuna di incontrare artisti come Carrà e Venturi. Armonia, dettagli, raffinatezza, eleganza, semplicità, parole che descrivono al meglio le opere di uno degli architetti più importanti del XX secolo, Carlo Scarpa.

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Carlo Scarpa a Sendai, Giappone. @ Maxxi.art



Aldo Businaro

Sono stato - come lui diceva - il migliore dei suoi non allievi, in quanto io apprendevo da lui e lui mi insegnava. ALDO BUSINARO

Fin da sempre, l’amore per il bello, per la cultura, per l’architettura ha portato Aldo Businaro alla ricerca dell’amicizia di grandi architetti e di illustri letterati. Così, nel 1969 in occasione di un viaggio in Giappone di una delegazione di architetti e designer italiani, cui parteciparono entrambi, è iniziata la profonda amicizia con Carlo Scarpa, di cui divenne amico, confidente e ispiratore. Assieme a Scarpa, Businaro girava il mondo per promuovere l’architettura e il design italiano. E Businaro era con lui anche nella triste giornata del 1978, quando nella città di Sendai il professore cadde da una scala battendo la testa su un gradino. Aldo lo aveva raccolto, sorretto e accompagnato all’ospedale, dove in preda a totale costernazione dovette assistere impotente allo spegnersi del Professore. Scarpa era ospite spesso della casa monselicense di Aldo Businaro, il celebre Palazzetto, dove ha lasciato i segni della sua genialità ridisegnando in chiave moderna parti della dimora, come la celebre aia inclinata, la barchessa, il berceau, i camini veneziani sul tetto. Interventi che sono diventati subito simboli del moderno in architettura, tanto da finire come esempi citati spesso in mostre ed esposizioni e pubblicazioni dedicate a Carlo Scarpa.

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Businaro nasce a Monselice nel 1930 e lì trascorrerà gran parte della sua vita, crescendo a stretto contatto con la natura e con il lavoro nei campi, respirando l’aria tipica della civiltà contadina che influenzerà poi le scelte da adulto legate al restauro, alla sistemazione e alla riallocazione della Villa il Palazzetto. Businaro si è sempre presentato come un uomo elegante, cordiale con tutti, questo assieme alle opere compiute in paese e per il paese l’ha portato a ricevere il titolo di “cittadino meritevole”. Divenne nell’arco della sua vita consigliere provinciale, assessore comunale e possiamo considerarlo una vera e propria barriera per l’incuria del patrimonio pubblico, fu infatti proprio lui a convincere la Regione ad acquistare il Castello Cini quando venne messo in vendita. Senza dubbio Businaro è stato uno dei personaggi più influenti per la città di Monselice e ha fatto sì che proprio lì venissero lasciate le tracce del suo fedele architetto Carlo Scarpa: l’unione di due anelli.

La sua capacità di osservazione penetrava l’essenza degli oggetti materiali di fronte a noi. ALDO BUSINARO

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Carlo Scarpa e l’amico Aldo Businaro in un viaggio ad El Jem, Tunisia. Inizio anni ‘70. @ Museo delle Rarità di Carlo Scarpa, Monselice

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LA SALA DELL’UNIONE

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Inquadrare Si aprono le porte d’ingresso della mostra e subito ci si ritrova a calpestare le tracce scarpiane. La sala centrale, quella dell’unione, è la sala che più delle altre parla di Scarpa e Businaro, della loro amicizia e del legame del Professore con la città che accoglie l'esposizione. Fin dagli esordi, Scarpa indaga le qualità plastiche dello spazio architettonico servendosi del principale mezzo di traduzione sul piano della terza dimensione: la prospettiva, utilizzata per verificare visivamente la resa degli spazi nel progetto. Si entra nella mostra camminando su una riproduzione in scala della grande aia inclinata progettata dallo stesso Scarpa per Il Palazzetto: al centro, rialzato, un piedistallo da cui poter guardare attraverso le porte delle altre sale e intagliare gli oggetti all’interno. Si pensi alle forme delle strutture interne di Tomba Brion, di Palazzo Abatellis o di Castelvecchio che indicano istintivamente il passaggio da attraversare, la posizione da cui inquadrare le opere o il percorso da fare.

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Dettaglio dei cerchi intrecciati di Tomba Brion. @ Diarioinviaggio.it

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Lavori in mostra nella sala centrale

E il disegno di Scarpa per la sistemazione della Villa seicentesca di Monselice, in particolare per lo spazio esterno dell’edificio, è il risultato di una serie di interventi avvenuti nel tempo che dimostrano la capacità dell’architetto di usare materiali tradizionali, mattoni e pietra, creando mai ovvie combinazioni.

La sua capacità di osservazione penetrava l’essenza degli oggetti materiali di fronte a noi. ALDO BUSINARO

La facciata della Villa rivolta ad ovest si trova sullo spazio aperto, un tempo ampia aia con la funzione di raccolta dei prodotti agricoli: ora il carattere che le è proprio è tutt’altro che funzionale quanto piuttosto scultoreo. L’area più ampia dell’aia è suddivisa dal taglio di tre diagonali in sei settori: infatti l’impossibile congiunzione armonica tra le due stereometrie avviene grazie a un terzo solido composto di piani inclinati a forma di losanga allungata, che pùo essere letta come una nuova declinazione della mandorla originata dall’ intersezione dei due cerchi - il maschile azzurro e il femminile rosa - presenti nel complesso monumentale Brion di San Vito di Altivole. Il profilo, la pendenza, il dislivello, lo sviluppo delle singole superfici piane denotano la cura proprio dell’architetto che si fa scultore. La complessa geometria dell’aia è rialzata rispetto alla quota del terreno di circa 75 cm, sfruttando un accumulo di materiale di recupero.

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Sopra questa base Scarpa disegna piani inclinati e li realizza con i “brusadei”, mattoni in cotto sabbiati, conducendo le superfici a confluire in due punti di colmo: “il sole” e “la luna”, due pietre circolari i cui diametri dei dischi misurano 88 e 110 cm, multipli di 11. L’artista Alighiero Boetti (1940-1994) assegnava al numero 11 un posto particolare: «è il numero che ha già superato il 10 e non è ancora arrivato al 12. Il 10 rappresenta una certa completezza superficiale della cosa, uno splendore superficiale, molto limpido, secco; poi c’è l’11 che è molto instabile, è fatto di una coppia di numeri, come due gemelli; il 12 invece è un numero che ha un peso storico pazzesco» (cfr. K.W. Forster, Mappe d’invenzione: edifici e allestimenti di Carlo Scarpa, in Carlo Scarpa. Mostre e musei 1944/1976. Case e paesaggi 1972/1978, 2000). Nel suo modo di procedere, l’architetto veneziano fissava infatti alcuni punti fermi con cui lavorare. Come qui spicca infatti l’uso dell’unità dimensionale modulare basata sul numero 11, così Scarpa partiva da una sorta di costellazione attorno alla quale egli sviluppava, con una continua trasformazione del progetto, una serie di elementi compositivi in continua mutazione. Allo stesso modo, conservati all’interno della dimora di Businaro, si ritrovano il Logo per il Padiglione Italia alla Biennale Internazionale d’Arte di Venezia del 1968 e il noto Cavalletto di Carlo Scarpa, 1965. Il primo si presenta in intonaco grezzo dipinto su supporto ligneo e sfere ovoidali, che riprendono il tema della circolarità, in bronzo dorato, con l’esecuzione delle officine Zanon di Venezia. L’abilità di Scarpa nei dettagli si manifesta nella seconda opera, il Cavalletto, dove i giunti e i tagli dorati non sono mai lasciati al caso.

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Semplice ma efficace nell’allestimento di mostre ed esposizioni, l’architetto posiziona dipinti sui cavalletti: come per il Cavalletto disegnato per il Museo Correr e riutilizzato nell’allestimento di Castelvecchio, Scarpa ha saputo donare la stessa importanza alle opere e ai suoi elementi di appoggio, facendo notare la loro struttura razionale e la spinta verticale e pulita. Scarpa amava frequentare costantemente i suoi cantieri e condividere con le maestranze e gli artigiani la genesi, lo sviluppo e la produzione dei vari elementi del progetto. Storica è l’officina dei fratelli Zanon che affiancavano Scarpa nella progettazione, gli stessi con cui Il Professore ha realizzato il Cavalletto e il Logo per la Biennale di Venezia 1968 in mostra nella stanza centrale.

Non vi era mai un segno inutile nei disegni, né mancava nulla, perché prima di affidarci l’esecuzione di un lavoro, lui aveva maturato profondamente anche il più piccolo e apparentemente insignificante particolare.

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FRANCESCO ZANON

Dettaglio logo XXXIV Biennale di Venezia, officine Zanon, 1968. @ Enrico Pellegatti



LA SALA DEI DETTAGLI

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La cura estrema del dettaglio

Nel dettaglio sta il divino. CARLO SCARPA

Non si può guardare un’opera di Carlo Scarpa senza soffermarsi sul dettaglio. Fondamentale, infatti, nelle sue opere è la cura estrema per i dettagli, la perfezione dei tagli e degli incastri, elementi che irrompono in tutti i suoi progetti e che lo contraddistinguono rendendolo unico nel suo stile. Il Professore operava interessandosi ad ogni minimo dettaglio e non lasciando niente al caso: la cura dei dettagli nei minimi particolari è dovuta a un dialogo talmente preciso con i maestri artigiani da portare Scarpa ad autodefinirsi un architetto bizantino. La raffinatezza dei dettagli costruttivi e decorativi è distintiva di Scarpa, che possedeva le competenze e il metodo degli artigiani e che sapeva “fare”: l’esperienza come consulente artistico a Murano, parallela a quella di docente e di pittore, è fondamentale per il suo lavoro successivo.

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Scarpa, architetto del vetro Carlo Scarpa è un giovane studente dell’Accademia di Belle Arti quando inizia la sua ascesa come designer di arte vetraria. Infatti a soli 21 anni inizia a lavorare come designer per la Ditta Maestri Vetrai Muranesi Cappellin & C. di cui in pochi anni ne rivoluzionò completamente l’approccio. La vetreria M.V.M. Cappellin era nata nel 1925 come esito della separazione tra l’antiquario Giacomo Cappellin e l’avvocato Paolo Venini, che quattro anni prima avevano fondato la Cappellin Venini & C, con l’idea comune di abbandonare il tradizionalismo del passato e abbracciare i nuovi fermenti culturali con le loro creazioni, sotto la guida artistica di Vittorio Zecchin. Negli anni seguenti però, alcuni contrasti tra i due proprietari portarono alla scissione aziendale, da cui nacquero le due aziende: la M.V.M. Cappellin & C. e Venini. È qui che entra in scena Carlo Scarpa, che in breve tempo rese l’azienda moderna e di fama internazionale. Carlo Scarpa si fece interprete di Cappellin ma al tempo stesso creò uno stile personale, una nuova visione che cambiò in maniera irreversibile la produzione vetraria italiana. Il giovane Scarpa sperimenta nuovi modelli e nuovi colori: i suoi abbinamenti cromatici, l’esecuzione impeccabile e le forme geometriche divennero il suo modus operandi. Grazie alle continue ricerche sulla materia vitrea, la Cappellin & C. sotto la guida di Carlo Scarpa produsse una serie di vetri di notevole qualità, rivisitando anche antiche tecniche di lavorazione. Raccogliendo la sfida del vetro opaco, propose tessiture di notevole impatto cromatico a partire dai lattimi aurati fino alle paste vitree e ai vetri incamiciati dai colori brillanti. Ma la collaborazione con Cappellin terminò nel 1931,

Carlo Scarpa alla Vetreria Cappellin. @ Touring Club Italiano

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in seguito al fallimento dell’azienda che non fu in grado di reggere la crisi economia legata alla Grande Depressione. Ma Scarpa non passò però inosservato a Paolo Venini: nel 1933, il nuovo direttore artistico della più grande azienda vetraria di Murano è proprio il giovane designer. “Non si può fare!” ripetevano i maestri vetrai alla vista dei progetti e degli schizzi di Scarpa, ma lui, appassionato, curioso e animato da grande professionalità, riusciva sempre ad ottenere esattamente ciò che voleva. Fino al 1947 rimase alla guida di Venini, creando alcuni dei più grandi capolavori dell’arte vetraria. Il suo lavoro con Venini fu caratterizzato soprattutto dalla continua ricerca sulla materia, sull’uso del colore e delle tecniche, rivisitate in modo personale ideando nuove procedure di lavorazione insieme ai maestri vetrai. Ai primi anni Trenta risalgono i vetri “a bollicine”, a “mezza filigrana” e i vetri “sommersi”, presentati per la prima volta in occasione della Biennale di Venezia del 1934. Pochi anni dopo vengono esposti, sempre alla Biennale e alla VI Triennale di Milano i “lattimi” e le “murrine” romane, nate da un’idea congiunta con Paolo Venini. La numerosa serie di tipologie e tecniche vetrarie ideate da Carlo Scarpa negli anni di collaborazione con l’azienda muranense Venini dimostra in modo chiaro e descrittivo la creatività, l’impegno e il livello tecnico e artistico che l’esperienza scarpiana nel disegno di oggetti in vetro di Murano. Da un lato troviamo un’espressione artistica sempre rinnovata e moderna, dall’altro una tradizione solida di sapienza artigiana in cui si inserisce l’attività

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muranense del grande Professore. Attività che dimostra l’attenzione al dettaglio e alla tecnica anche per quanto riguarda la piccola scala. Nel 1938 Scarpa aumenta la produzione, diversificando i vasi dagli “oggetti d’uso”. Nello stesso anno getta le basi per la famosa collezione dei vetri “tessuto” esposta poi l’anno successivo. Negli anni seguenti Scarpa e Venini continuano ad esporre alle Biennali e in diverse mostre: nascono ii “laccati neri e rossi”, i “granulari” e gli “incisi”, prodotti in serie limitata, e i “cinesi”, ispirati alle porcellane orientali. Le creazioni di Scarpa per Venini ottengono un riscontro internazionale e un grande successo, lasciando per sempre un marchio indelebile nella storia dell’arte vetraria. L’ultima Biennale a cui partecipa Carlo Scarpa come direttore artistico di Venini è quella del 1942, stesso anno a cui risale la famosa coppa con murene gialle e nere, che destò addirittura l’ammirazione di Frank Lloyd Wright. Scarpa abbandonerà l’azienda cinque anni dopo. Il suo percorso nella più importante vetreria di Murano lascerà comunque un grande bagaglio artistico all’azienda: le sue tecniche, le murrine, le lavorazioni a freddo verranno riprese nel dopoguerra, sotto la guida di Tobia Venini, figlio di Paolo. Ad oggi, le opere di Carlo Scarpa designer, i suoi vetri, le sue creazioni, hanno ancora quell’apporto innovativo e quella carica che lo resero una delle più importanti personalità nel mondo artistico.

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Le tipologie dei vetri Dopo il 1926 la vetreria Cappellin e C. propose vetri soffiati trasparenti che in alcuni casi si rifacevano a quelli disegnati da Vittorio Zecchin, direttore artistico dal 1925 a ottobre 1926. Accanto a questi si distinsero altri manufatti connotati da un disegno più essenziale e forme geometriche ricorrenti, caratteristiche della presenza di Carlo Scarpa presso la fornace. Esemplare di questa collezione è il vaso sferico con piede troncoconico, presentato per la prima volta nel 1926 al Salon d’automne di Parigi e che divenne successivamente simbolo della Cappellin. In particolare i trasparenti furono eseguiti in monocromia o al massimo in bicromia, accostando colori contrastanti o utilizzando colori della stessa cromia in sfumature differenti. Con il termine della carriera lavorativa presso la Cappellin e il conseguente passaggio alla Venini, vedremo Carlo Scarpa coinvolto nella sperimentazione di nuove tipologie di lavorazione del vetro. I vasi a mezza filigrana furono tra le prime realizzazioni di Carlo Scarpa per l’azienda Venini, vengono presentati per la prima volta alla XIX Biennale di Venezia assieme ai vetri Sommersi nel 1934. Si tratta di una variante semplificata dell’antica tecnica a filigrana in cui vengono usate semplici canne dritte monocrome disposte diagonalmente. Vengono abbinate generalmente a vasi con forme elementari, sobrie, distanti dal tempo e dalle mode.

Vaso sommerso a bollicine, 1934. Museo delle Rarità di Monselice. @ Fiorenza.v

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I vetri sommersi furono presentati per la prima volta alla XIX Biennale di Venezia, nel 1934 e successivamente esposti due anni dopo alla medesima manifestazione dall’azienda Venini. Si tratta di vetri di grosso spessore composti da miriadi di minuscole bolle d’aria, ottenuti dalla sovrapposizione di più strati di vetro trasparente e colorato che permettono di raggiungere effetti cromatici anche molto particolari. Numerose furono le creazioni di Carlo Scarpa con questa tecnica. Si passa poi ai vetri corrosi che vennero presentati per la prima volta alla XX Biennale di Venezia nel 1936. La superficie del vetro presenta forme irregolari dovute all’applicazione di acido fluoridico impastato con segatura per evitare quel caratteristico effetto di casualità. Si sposa perfettamente con vasi dalle forme semplici, massicce e con colori tenui appena ravvivati da leggere irridescenze. Nel 1940 si assiste a una svolta nella produzione dell’azienda, vengono infatti presentati da parte di Carlo Scarpa e Paolo Venini, alla Biennale di Venezia e alla Triennale di Milano i vasi Tessuti. Si tratta di vasi soffiati, privi di iridiazione e caratterizzati da colori vivi. Per la produzione di questi ultimi vengono impiegate delle “fascette” di canne a colori alterni che permettono di ridurre i tempi di lavorazione. Si andava poi a raccogliere a cilindro il tessuto ottenuto dall’unione a caldo delle fascette e si andava a dare la forma desiderata al manufatto.

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Vasi a mezza filigrana Carlo Scarpa. @ Olnick Spanu Collection



Studio di vetri sommersi, Carlo Scarpa. Dal libro Carlo Scarpa, Venini 1932 - 1947

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Mostra di vetri, ceramiche e merletti d’arte moderna italiana, Amsterdam 1931. Dal libro La vetreria M.V.M. Cappellin e il giovane Carlo Scarpa (1925-1931)

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I metalli, mini-architetture in scala L’angolo opposto alla scalinata riempita di vasi accoglie una serie di espositori che sorreggono gli Elementi metallici progettati da Scarpa. Anche nelle scale più piccole, è evidente l’attenzione al dettaglio e alle forme pulite e geometriche. Ci sono elementi metallici di forme e dimensioni diverse come una targa epigrafica, prove di laboratorio per i dettagli del cimitero Brion e prove di officina per elementi metallici per la Sala Baratto Ca’ Foscari e per Banca Popolare di Verona. Ecco che tornano ricorrenti forme geometriche pulite e il motivo circolare di queste architetture in scala, come dettagli visti alla lente d’ingrandimento.

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Selezione di metalli realizzati da Carlo Scarpa per il complesso monumentale Brion, custoditi attualmente al Museo delle Rarità di Monselice. Dimensioni variabili, colore oro. @ Nicolò Cucato



LA SALA DELLE ARCHITETTURE

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Primo piano delle mani di Carlo Scarpa che spiegano un dettaglio del cimitero Brion, San Vito d’Altivole, 1976 Dal libro Carlo Scarpa, Venini 1932-1947


L’importanza del disegno «Le cose mi rivelano la loro essenza solo quando le disegno». L’importanza del disegno come mezzo di indagine e d’espressione formale viene sottolineata in varie occasioni da Scarpa:

Voglio vedere le cose, non mi fido che di questo. Voglio vedere, e per questo disegno. Posso vedere un’immagine solo se la disegno.

CARLO SCARPA

Attraverso il disegno egli vede lo spazio, fine ultimo di qualsiasi sua azione progettuale. Uno spazio che, disegnato o costruito, mantiene le medesime caratteristiche plastiche e compositive. Studiare l’opera di Scarpa prescindendo dai disegni è impossibile. Nel processo ideativo scarpiano ciascun disegno è autonomo e, allo stesso tempo, legato agli altri studi redatti per un determinato progetto. In un documentario RAI del 1972, Scarpa dirà a proposito della sua formazione: «Io lavoro un po’ in modo tradizionale, come ho imparato alla scuola. Ho trovato che tutto quello che ho imparato a scuola non è stato da buttare niente. Non so: esattezza, lavorare con chiarezza, non pasticciare».

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Dal 1930 all’inizio degli anni Quaranta egli si occupa soprattutto dell’allestimento di interni di abitazioni e per presentare il lavoro ai committenti, Scarpa elabora accurate vedute prospettiche colorate a pastello, in modo tale da rendere la qualità dei materiali usati. Le planimetrie, che occupano solitamente la porzione centrale del foglio, sono circondate di una miriade di studi, nei quali Scarpa verifica ogni nodo problematico, da un punto di vista compositivo, strutturale o spaziale. Questa lettura trova conferma nelle parole di Andrea Vianello Vos, uno dei collaboratori dell’architetto: «Se Scarpa era in vena, non si accontentava mai della prima stesura grafica di un determinato tema, vi sovrapponeva una carta velina, e tracciava un’altra soluzione, poi una terza e così via. Era come un vulcano e infine, quando si trattava di redigere il disegno esecutivo, ci si trovava in grande imbarazzo perché tutte le stesure erano ottimali». Il disegno con Scarpa non viene sempre redatto in studio, ma talvolta tracciato su supporti di fortuna. Ricorda Guido Pietropoli, collaboratore di Scarpa, come egli fosse riuscito a risolvere un punto problematico dell’arcosolio della tomba Brion tracciandone la soluzione su un pacchetto di sigarette. Il confronto tra edificio e disegno, riproposto nella sala di sinistra tra foto finale e schizzo iniziale, rivela l’assoluta coerenza tra progetto e costruzione: lo spazio architettonico è sempre pensato per essere costruito, anche quando rimane sulla carta. Questo modo di pre-vedere l’architettura appare coerente con quanto segnala lo stesso Scarpa: «Ero interessato ad esplorare la relazione con il mondo esterno attraverso le aperture e l’organizzazione interna dello spazio». Per progettare, l’architetto ha necessità di trovare uno spunto di partenza, un tema che dia avvio al processo creativo.

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E di questa dinamica danno testimonianza numerosi episodi, come quando ad esempio, convocato in extremis con Corrado Ricci e Bruno Munari per l’allestimento del padiglione italiano all’Expo di Montreal del 1967 e sollecitato a dare una risposta in tempi brevissimi, egli dichiara: «Non lo so, fors domani mi viene un’idea, forse tra un anno, forse mai»; ma come segnala Bruno Zevi «in effetti, poi, [Scarpa] fu efficientissimo». L’occhio scarpiano vede l’architettura non sulla carta, ma nello spazio e nel contesto che la accoglie. In uno dei disegni per la fronte principale della Banca Popolare di Verona, ad esempio, egli scrive dentro al riquadro di una finestra: CASPITA!, espressione usata varie volte per sottolineare una situazione particolare, come se nella sua mente quella scelta compositiva, rispetto a un nodo cruciale tra interno ed esterno, debba provocare automaticamente una reazione emotiva. In più occasioni Scarpa promuove l’educazione al disegno, specialmente quello a mano libera che aveva segnato la sua permanenza all’Accademia. Nel 1978, dopo più di quarant’anni di docenza all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, egli osservava a proposito: «Se si insegna a disegnare gli studenti più bravi possono capire prima che cosa possono fare in futuro», ed ancora «La cosa migliore che [un giovane] può fare è imparare la tecnica di espressione visiva e grafica. Questo è quanto mi è successo».

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Il dettaglio circolare nelle architetture In ognuna delle sue opere Carlo Scarpa ha saputo tramandare il senso del conoscere-facendo e quella capacità unica di leggere il contesto, il paesaggio, l’architettura, lo spazio, la singola opera d’arte e metterli sotto una nuova luce, usando l’architettura come linguaggio critico. Tutti ci raccontano come l’“architetto non architetto” concepiva le sue opere. Come approcciava i volumi architettonici, curava gli allestimenti fin nei minimi dettagli, esplorava il potenziale della materia conferendole volume grazie alla luce e, soprattutto, riusciva a donare poesia a forme e linee iper-essenziali. Ogni progetto pare immerso in una atemporalità sospesa, in cui la potenza dell’architettura si riverbera su linee, superfici e volumi, conferendo all’insieme la classicità monumentale propria dei templi greci. Circolarità, forme razionali, linee semplici e ricercato minimalismo. Difficilmente si ricorre a queste espressioni per descrivere un’architettura originaria di Venezia eppure, nascosto dietro alla linea gotica che caratterizza la città, troviamo le architetture di colui che può essere considerato un genio. Anche in questo caso, il dettaglio si sposta dalla scala più piccola della sala di destra fino alla scala più grande della sala di sinistra, quella delle architetture. Ricorre come un filo invisibile, il motivo della circolarità come dettaglio e come prova di una continuità spaziale che si realizza nelle possibilità di percorsi fisici e visuali. È confermato dal particolare interesse che egli dedica agli elementi di comunicazione: esterni degli edifici, soglie di entrata, passaggi, percorsi in genere. Entrando nella stanza delle architetture, si nota facilmente come tutto ruoti intorno alla maestosa

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“Gradini”, simbolo della declinazione dell’elemento “scala” nelle creazioni di Scarpa e dei dettagli e delle forme geometriche sempre ricorrenti. Dal negozio Gavina di Bologna, 1961, situato al piano terreno di un antico edificio nel cuore del centro storico bolognese, scandito da tre aperture in cui ricorre il motivo del cerchio: una vetrina a doppio anello, un grande oculo e l’ingresso centrale, chiuso da un cancello di piccole dimensioni. «Affermo che sono le aperture, i varchi e i trapassi che realizzano i rapporti spaziali», diceva Il Professore, che ha dimostrato una giovinezza da avanguardista, persino nei colori. Forme geometriche che ritornano anche negli interni di Casa Zentner a Zurigo (focus sulla scala tra pianoterra e primo piano), unico edificio realizzato da Carlo Scarpa fuori dall’Italia, ideata e costruita nel 1964 per Savina e René Zentner. Con questo progetto Carlo Scarpa sembra ricreare un atlante della memoria allestito da maestranze veneziane: un mondo lontano caratterizzato da stucchi traslucidi e mosaici metallici, scandito da spazi ed elementi progettati fino alla scala più minuta. Intrecci e rimandi tra architettura, design e arte, connotano questa villa come un’opera d’arte totale. Si viene coinvolti nelle scelte artistiche dettagliate di Scarpa e si diventa partecipi del dialogo tra gli intenti di Scarpa e le opere stesse. Un viaggio che ha il suo apice, secondo Scarpa, nella Tomba Brion a San Vito di Altivole. In una conferenza tenuta a Madrid nell’estate del 1978, parlando della tomba Brion a San Vito di Altivole (Treviso), Scarpa spiegava: «Avevo bisogno di una certa luce e ho pensato tutto secondo un modulo di 5,5 centimetri. Questo motivo che pare una sciocchezza è invece molto ricco di possibilità espressive e di movimento.

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Ho misurato tutto con i numeri 11 e 5,5. Siccome tutto nasce da una moltiplicazione, tutto torna e ogni misura risulta esatta. Qualcuno potrebbe obiettare che le misure tornano esatte anche usando un modulo di 1 centimetro – non è vero, perché 50 per 2 fa 100, mentre 55 per 2 fa 110, e con un altro 55 fa 165, non più 150, e raddoppiando si fa 220 e poi 330, 440. In tal modo posso frazionare le parti, e non avrò mai 150 ma 154. Molti usano i tracciati regolatori o la sezione aurea; il mio è un modulo molto semplice che può permettere dei movimenti – il centimetro è arido, mentre nel mio caso si ottengono dei rapporti» (Carlo Scarpa. Opera completa, a cura di F. Dal Co e G. Mazzariol, 1984). Il cerchio si applica a tante altre architetture scarpiane, ma più che in altre, trova una soluzione nella Banca Popolare di Verona (1973) che rappresenta la summa delle sue abilità anche per quelle scale definite dall’architetto «una passeggiata nello spazio». Il tema compositivo della facciata è costituito dalle finestre che sono circolari, ma costruite mediante l’accostamento di due ellissi distanziate da 11 centimetri, alternate ad aperture rettangolari che risaltano sull’intonaco. «L’architettura di Carlo Scarpa è significativa piuttosto che funzionale», dice Sergio Los in una videointervista del 2009, il suo impegno non si limita a fare un’opera che funzioni ma che sia eloquente, che manifesti tale funzione a quanti la fruiscono. Questo è fondamentale per la comprensione dell’opera di Carlo Scarpa, dove la radice dell’architettura è sempre figurativa. Carlo Scarpa, dice anche Los, articola la sua architettura in un sistema di spazi che diventano eloquenti proprio nei punti di contatto. Tra essi esiste, al posto del tradizionale legame spaziale, una relazione temporale. Questi spazi sono ordinati in modo da richiamarsi uno con l’altro, e mettere in atto una sequenza.

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LE ARCHITETTURE UNA LINEA DEL TEMPO


1969 - 1978 TOMBA BRION San Vito d’Altivole

1961 - 1963 NEGOZIO GAVINA Bologna

1964 - 1968 CASA ZENTNER Zurigo

1973 - 1978 BANCA POPOLARE DI VERONA Verona


Negozio Gavina Bologna 1961 - 1963

1: Il particolare del doppio cerchio su uno dei pilastri. @ Lorenzo Pennati 2: vetrina a due cerchi e scritta Gavina @ Fabio Bascetta 3: vetrina circolare @ Roberto Conte

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Per il negozio Gavina di Bologna l’architetto veneziano mise in opera una serie di scelte di carattere conservativo che testimoniano una precisa attenzione alle qualità e alle caratteristiche del contesto di partenza. All’esterno la proprietà del negozio venne isolata e definita nella sua ampiezza per mezzo di una piastra in calcestruzzo, materiale simbolo del professore, applicata alla struttura muraria della vecchia costruzione. La posizione delle vetrine preesistenti venne mantenuta ma vennero ridisegnate ottendendo due grandi vetrine circolari, poste ai lati dell’ingresso. La vetrina sul lato destro presenta una forma circolare mentre quella sul lato sinistro è data dall’intersezione di due cerchi intersecati, simbolo ricorrente nell’architettura di Carlo Scarpa. Ancora una volta possiamo notare come la circolarità prenda parte nell’operato del Professore, diventando addirittura l’elemento di riconoscimento di un determinato luogo, in questo caso il negozio di via Altabella. Circolarità che trova spazio, oltre che nelle vetrine, anche all’interno del negozio, non solo nei piccoli dettagli ma anche in uno dei cinque pilastri portanti, dove il Professore crea un foro a cannocchiale costituito, anche in questo caso come per la vetrina, da due fori intersecanti di forma rotondeggiante. All’interno, nella parte posteriore del negozio, l’architetto studia una soluzione che ricorda il Padiglione creato per l’Italia nel ‘61 a Torino: una vasca d’acqua su due livelli che riflette la luce dall’alto ed illumina le tessere policrome realizzate sul muro.

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L’amicizia con il proprietario del negozio li vedrà coinvolti nella realizzazione del mobilio di Casa Zentner a Zurigo.

A Dino Gavina con la stima e l’amicizia che dura da lunga data e si spera immutata. CARLO SCARPA


1: disegno vetrina sinistra negozio Gavina @ lablog architecture voyeurism 2: fotografia vetrina sinistra negozio @ Fabio Bascetta

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Carlo Scarpa e Dino Gavina nello studio dell’architetto. Vicenza, 1975 @ Luciana Miotto, Verona, Archivio Museo di Castelvecchio.

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Casa Zentner Zurigo 1964 - 1968

1: Salone Casa Zentner Dal libro Carlo Scarpa. Casa Zentner a Zurigo: una villa italiana in Svizzera. 2: Dettaglio finestra posta tra sala da pranzo e salone. Dal libro Atlante delle architetture 3: Anta in legno posta a fine scala. Dal libro Carlo Scarpa. Casa Zentner a Zurigo: una villa italiana in Svizzera.

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L’opera di rinnovo di Casa Zentner di Zurigo, unico intervento fuori Italia, venne affidata al Professore nel 1964 da Savina Rizzi, collezionista d’arte tra le più assidue committenti di Carlo Scarpa fin dagli anni ‘50. Come per le altre architetture, residenziali e non, l’opera finale rispecchia l’intesa tra il progettista e i committenti, stimolati anche dal contesto culturale della Zurigo del tempo. Grazie a questa particolare intesa sorge un edificio che si presenta come “un atlante della memoria allestito da maestranze veneziane” (Davide Fornari, Giacinta Jean e Roberta Martinis, Carlo Scarpa. Casa Zentner a Zurigo: una villa italiana in Svizzera, Electa, Milano 2020). Progettata fino all’ultimo dettaglio, compreso l’arredamento, la casa non ha più subito alcuna variazione dall’epoca. L’abitazione è caratterizzata da spazi monumentali: stanze ampie interconnesse, con doppie altezze o con lunghissime prospettive in cui cambiano continuamente le vedute, monumentalità determinata anche da materiali e arredi. Anche in questo caso emerge l’attenzione al dettaglio circolare che troviamo nell’oculo che fora la parete tra sala da pranzo e soggiorno, nel bagno a forma ellittica, nello sportello delle scale e in tanti altri punti della villa. Attenzione che richiama nei minimi dettagli lo stile veneziano: stucchi translucidi, mosaici metallici, spazi progettati fino al più piccolo dettaglio, tutto ciò rende questa casa un’opera d’arte totale. Il Professore seguì con costanza la progettazione fino al termine dei lavori, affiancato dall’architetto Theo Senn che prese in carico la realizzazione del progetto.

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1: disegno Casa Zentner Dal libro Carlo Scarpa. Casa Zentner a Zurigo: una villa italiana in Svizzera 2: fotografia Casa Zentner Dal libro atlante delle architetture

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René Zentner, Carlo Scarpa e Savina Rizzi a Zurigo. 1960/63 ca. Dal libro “Carlo Scarpa. Casa Zentner a Zurigo: una villa italiana in Svizzera”

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Tomba Brion San Vito d’Altivole - Treviso 1969 - 1978

1: Ingresso della cappella del complesso monumentale Brion. @ House&Garden 2: Interno di Tomba Brion @ Patrizia Piccinini 3: Riflesso dei due cerchi @ Passione Design

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Opera di rara e assoluta bellezza tutt’ora collocata e associata a un panorama architettonico moderno, nonostante risalga ad ormai a mezzo secolo fa. Questa struttura rappresenta il culmine dell’attività di Carlo Scarpa, in cui “riversa qui tutta la sua vasta cultura architettonica, artistica, letteraria, oltre alla sua profonda sapienza artigianale” come scrissero gli storici Mazzariol e Barbieri. Questo complesso funebre venne commissionato da Onorina Brion Tomasin in memoria del marito Giuseppe Brion, fondatore del famoso marchio Brionvega. L’eccezionalità e l’esito dell’incarico rendono difficile definire l’intervento del Professore: non possiamo stabilire infatti un termine esatto per descriverla, “tomba” o “monumento” risultano riduttivi, allo stesso tempo “cimitero” e “giardino” risultano inadatti. Inizialmente l’idea nasce come piccola tomba, venne poi mutata in seguito all’acquisto di un appezzamento di terreno tanto vasto che condusse l’architetto a progettare un luogo volto non più a commemorare solo un lutto individuale e un evento luttuoso. Un’opera che sorprende per la ricerca accurata di forme grafiche e decorative ottenute mediante l’utilizzo del cemento armato nudo, addolcito da inserti di tasselli e mosaici, finiture in bronzo e da un insieme di elementi simbolici sapientemente distribuiti, che immergono il visitatore in un’atmosfera meditativa e contemplativa dovuta anche al richiamo all’architettura tipica giapponese, tanto apprezzata ed amata dal Professore.

Questo è l’unico lavoro che vado a vedere volentieri perché mi sembra di aver conquistato il senso della campagna, come chiedevano i Brion.

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CARLO SCARPA


1: Simbolo e decorazione muraria distintivi di Carlo Scarpa @ Discovering Tomba Brion. 2: Dettaglio circolare di una giuntura di funi metalliche. @ Discovering Tomba Brion

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Carlo Scarpa nel cantiere della Tomba Brion, San Vito d’Altivole. Anno 1970/71 @ Edarchibo

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Banca Popolare di Verona Verona 1973 - 1978

1: dettaglio della facciata della Banca. @ Martin Kruger 2: Lampada realizzata da Carlo Scarpa all’interno della Banca. @ Patrizia Piccinini 3: Dettaglio di una finestra della facciata principale. @ Agostino Calandrino

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Il progetto per la costuzione della nuova sede della Banca Popolare di Verona venne affidata a Carlo Scarpa nel 1973, dopo l’approvazione di un progetto già elaborato di cui l’architetto era stato incaricato di studiarne una variante. Le esigenze funzionali e organizzative della Banca furono oggetto di uno studio preciso finalizzato a collegare tra loro due spazi confinanti ma ben distinti: la banca e la piazza retrostante, separate da un edificio che non poteva essere demolito. La posizione e la grandezza dell’area, nelle vicinanze dell’Arena di Verona, divenne un motivo essenziale di progetto accostato alla necessità di osservare e capire l’edificio già esistente in relazione con la sua nuova estensione. Osservando la facciata che copre buona parte della vecchia sede della banca si può notare subito la presenza dell’impronta scarpiana comune nella maggior parte delle sue architetture. Essa si presenta infatti come un grande riquadro accompagnato da finestre moderne con geometrie alternate circolari a due centri, leggermente sfalsati, o come bow-windows prismatici vetrati. Una complessità simile viene ripresentata anche all’interno dove Scarpa prestò altrettanta attenzione al dettaglio, sia dal punto di vista architettonico, sia dal punto di vista decorativo. Ancora una volta notiamo come l’elemento circolare venga ripreso dall’architetto veneziano fino a diventare elemento caratterizzante del progetto.

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1: disegno Banca Popolare di Verona Dal libro Carlo Scarpa Opera Completa 2: fotografia della Banca Popolare di Verona. @ Martin Kruger

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Architetture mai realizzate Quando si entra in uno dei suoi spazi si avverte subito la magia dei volumi, della materia e della luce. Lo si nota quando si attraversa per la prima volta la porta del Negozio Olivetti di Venezia, con quella scala così potente ma allo stesso tempo. Lo si nota anche nella Fondazione Querini Stampalia, o nella Gipsoteca Canoviana di Possagno, che Scarpa spiegò con un poetico “Volevo ritagliare l’azzurro del cielo”, o il Museo di Castelvecchio. Per non parlare poi delle architetture non finite o mai realizzate da Scarpa. Si ricordi, ad esempio, il progetto della Banca Antoniana di Monselice. Per l’area dove oggi sorge la Fontana di Mario Botta, Scarpa pensò ad un edificio collocato su pilastri alti 3.20m lasciando così libero il suolo per creare una vera e propria piazza coperta; una serie di scalinate isolava il volume della banca, ma allo stesso tempo, lo connetteva alla ex-chiesa con una soluzione che metteva in scena la tessitura muraria come un reperto. La proposta scatenò l’inferno, critiche si levarono da tutte le parti politiche locali che giudicarono negativamente l’inserimento di un edificio moderno nel centro storico monselicense. Alla fine, il progetto fu accantonato, rinunciando all’intervento del massimo esperto nel coniugare nelle sue progettazioni il “classico con il moderno”. Si parla anche di progetti di edifici teatrali non realizzati: il Progetto per un Teatro Sociale del 1927, la Sistemazione del Teatro Rossini a Venezia del 1937, i Progetti del Teatro Carlo Felice a Genova del 1963 e del Teatro Comunale a Vicenza del 1970. Da ognuno di questi lavori, in cui il teatro è concepito come sintesi vitale di altre arti - musica, prosa, recitazione, spazio architettonico - emerge ancora una volta l’attualità dell’opera dell’architetto veneziano.

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Disegno del progetto di Carlo Scarpa per la Banca Antoniana di Monselice. 670x850mm Dal libro “Carlo Scarpa selected drawings”




Alcuni caratteri di Carlo Scarpa Dalla copertina del libro ”La Forma delle Parole”.


Scripta manent - l’importanza del carattere Parlando di disegno, Carlo Scarpa lascia tracce grafiche, prestando attenzione alla creazione di nuovi caratteri, all’impaginazione delle parole nell’architettura e nelle opere a stampa del grande maestro. Osservando le sue architetture infatti si può notare la presenza di quest’ultimi a partire dagli anni ‘20, indipendentemente da quale sia la tipologia architettonica: può trattarsi di ville, edifici pubblici, attività commerciali e monumenti funebri, quest’ultimi sono i privilegiati. Ogni architettura presenta per il Professore un’occasione per progettare epigrafi, targhe e insegne. Nel suo modus operandi, Carlo Scarpa utilizza due atteggiamenti differenti: da una parte il suo voler “essere dentro la tradizione”, utilizzando una scrittura più legata al passato, dall’altra la consapevolezza di essere nel presente, rifacendosi ad autori come Le Corbusier che prediligono forme più aperte e scritte materiche. In entrambi i casi il disegno è sempre originale e sempre limitato a un particolare progetto grafico. Non ha particolari alfabeti dedicati a precise grafiche o architetture, tutti possono condividere la stessa tipologia di scrittura, a prescindere dal progetto. Nonostante ciò, la sua ricerca non è mai finalizzata a un unico alfabeto universale quanto ad una specifica soluzione per ogni progetto. Nel suo percorso progettuale il Professore predilige sempre la tridimensionalità delle opere utilizzando superfici incise, scavate o scolpite fino a creare precise sporgenze. Gli unici due casi a noi pervenuti di scritte bidimensionali risalgono a opere temporanee, parliamo infatti dell’insegna del padiglione dell’Expo di Montreal nel 1967 e il pannello della mostra di libri d’arte allestita alla Galleria del Cavallino nel 1950.

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Targa della Fondazione Querini Stampalia Dal libro ”La Forma delle Parole”.




Firma dell’architetto Carlo Scarpa per Bernini.


Bibliografia G. Beltramini, I. Zannier, Carlo Scarpa: atlante delle architetture , Collana studi su Carlo Scarpa, Marsilio, 2006. Francesco Dal Co, Giuseppe Mazzariol, Carlo Scarpa: opera completa, collana Architetti Moderni, Mondadori Electa, 1984 Lorenzo Pennati, Patrizia Piccinini, Carlo Scarpa oltre la materia, collana Rizzoli Illustrati, Mondadori Electa, 2020 Ilaria Abbondandolo, Carlo Scarpa la forma delle parole, collana Libri Illustrati, Marsilio, 2010 Davide Fornari, Giacinta Jean, Roberta Martinis, Carlo Scarpa. Casa Zentner a Zurigo: una villa italiana in Svizzera. Ediz. illustrata, collana Ad Esempio, Electa, 2020 Carlo Scarpa, Sandro Bagnoli, Il design per Dino Gavina, Sandro Bagnoli, Alba Di Lieto, Silvana Editoriale, 2014 Franco Deboni, I vetri Venini, collana Archivi di Arti Decorative, Allemandi, 2007 Marino Barovier, Carlo Scarpa. Venini 1932-1947, collana Design e arti applicate, Skira, 2012 Marino Barovier, Carla Sonego, La vetreria M.V.M. Cappellin e il giovane Carlo Scarpa, 1925-1931. collana Design e arti applicate, Skira, 2018 AA.VV. Carlo Scarpa Selected Drawings, GA Document, A.Da. Edita, 1988


Sitografia https://edarchibo.wordpress.com/2015/04/10/ architetture-del-silenzio-carlo-scarpa-e-la-tomba-brion/

https://www.marieclaire.com/it/casa/case-arredamento/a35030642/bologna-restauro-negozio-gavina/

https://www.archilovers.com/projects/214943/gallery?1988362

https://divisare.com/projects/333273-carlo-scarpa-fabio-bascetta-showroom-gavina#lg=1&slide=8

https://www.duriibanchi.com/2019/10/1-febbraio-2016-lofficina-dei-fratelli-paolo-francesco-zanon-venezia/

https://www.tastebologna.net/blog/gavina-showroom-bologna https://www.touringclub.it

https://ilgiornaledellarchitettura.com/author/alberto_vignolo/ https://www.diarioinviaggio.it/2016/08/08/tomba-brion-carlo-scarpa/ http://www.comune.altivole.tv.it/italiapasw/index. php/175-arte-e-territorio/siti-di-interesse/148-tomba-brion

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Carlo Scarpa: lo scultore dell'Architettura - Il monumentale complesso funebre della Tomba Brion

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https://www.magicoveneto.it/treviso/Altivole/Carlo-Scarpa-Tomba-Brion-a-San-Vito-di-Altivole.htm

https://ltwid.com/carlo-scarpa-il-maestro-dei-grandi/

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https://magazine.designbest.com/en/http://www. carloscarpa.es/Conferencias.html

h t t p s : / /s t a m p a e d e s i g n . w o r d p r e s s . com/2017/01/03/la-poesia-di-carlo-scarpa/

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h t t p s : / /w w w . y u m p u . c o m / i t /d o c u m e n t / read/4520510/villa-palazzetto-a-monselice-padova-costruire




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