Francesca ferrara progettazione di gadget per il museo

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ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI PALERMO DIPARTIMENTO DI PROGETTAZIONE E ARTI APPLICATE SCUOLA DI PROGETTAZIONE ARTISTICA PER L’IMPRESA

CORSO DI DIPLOMA ACCADEMICO DI PRIMO LIVELLO IN PROGETTAZIONE DELLA MODA

PROGETTAZIONE DI GADGET PER IL MUSEO

TESI DI FRANCESCA FERRARA MATRICOLA 5926

RELATORE PROF. SERGIO PAUSIG

A.A. 2016-2017



INDICE Introduzione

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1. Il progetto

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1.1 Sketch

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1.2 Modellazione 3D

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1.3 Elaborazioni digitali

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1.4 Il rendering

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1.5 Prototipi

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2. L’ariete di bronzo del museo archeologico Antonino Salinas di Palermo

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2.1 Rilievo fotografico della testa dell’ariete

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2.2 Gadget Museale

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2.3 Elaborazioni di gadget per il museo

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3. Collezione di anelli

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4. Fenici, romani e arabi in Sicilia

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41 La presenza dei fenici in Sicilia

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4.2 Dominazione romana

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4.3 Oreficeria romana

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4.4 La Sicilia araba

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INTRODUZIONE Il museum shop, è il luogo dove finisce ogni visitatore al termine del tour museale. Il turista acquista per poter possedere una parte in condensato di ciò che si è vissuto durante l’esperienza vacanziera, per rinnovare le sensazioni e i ricordi anche dopo il rientro. Il gadget è anche un dono, un presente che giustifica l’assente. È un canale di transito, che permette il passaggio dall’esperienza vissuta alla realtà del ritorno, resa meno traumatica dalla presenza di un oggetto che ha la straordinaria capacità di risvegliare il ricordo di emozioni già lontane, il gadget rappresenta la prova dell’esperienza vissuta! Questo progetto di tesi ha come obiettivo lo studio di alcune suppellettili del “museo archeologico Antonino Salinas” di Palermo, in particolare dell’ariete bronzeo, allo scopo di riproduzione di alcuni gadget di istituzione museale, mediante l’adozione di tecniche di modellazione digitale 3D acquisite in questo percorso di studi. Prima di completare il lavoro di riproduzione della testa dell’ariete bronzeo, ho elaborato alcuni progetti di ispirazione antica, in particolare di alcune popolazioni che sono passate per la Sicilia. Nell’elaborato saranno presenti le modelità di progettazione dal disegno alla conversione in progetto digitale, dalla modellazione digitale alla produzione di un prototipo mediante stampa 3D.

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IL PROGETTO

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Dopo un lungo travaglio con il Professor Sergio Pausig, si è partiti da un’idea, cioè la produzione di un gadget per un’istituzione museale, ed è nato un repertorio di disegni e schizzi che successivamente ho tradotto in immagini tridimensionali utilizzando un software di modellazione 3D. Tra i vari programmi di modellazione, ne ho scelto uno che utilizza dei modelli NURBS (Non Uniform Rational B-Spine, modelli matematici basati sulle curve che si differenziano dai modelli poligonali, usati anche da programmi come 3D Studio Max) perchè maggiormente adatti per la progettazione. Inoltre gli strumenti di rendering, sistema di elaborazione elettronica di un disegno che consente di trasformarlo in un’immagine realistica tridimensionale, permette di vedere come sarà il prodotto finale. In fase di progettazione, dal modello in 3D si possono ottenere con precisione le caratteristiche tecniche del gioiello, come la misura di chi deve indossarlo, la grandezza. Dopo la realizzazione del disegno 3D, il prototipo del gioiello è stato stampato. I tempi di stampa sono diversi, per ogni prototipo si è impiegato da una alle due ore, salvo complicazioni come l’inceppamento dell’estrusore. Diversamente per le stampe di prototipi in resina per i quali, oltre ai tempi di stampa seguono di “essiccazione” mediante esposizione al sole. I prototipi PLA, alla fine sono stati sottoposti ad un procedimento che serve a lenire ulteriormente le superfici e rendere il prototipo ancora più verosimile. Per fare ciò è stato messo in un apposito contenitore con acetone, posto su un piatto riscaldato a 100°. L’acetone scioglie le molecole superficiali dell’ABS, e dopo 10-15 min, vediamo che le righine di strato non ci sono più, le superfici appaiono più lisce e lucide e il prototipo è pronto.

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SKETCH

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MODELLAZIONE 3D

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Il CAD è il disegno digitale del progetto, ovvero il disegno tridimensionale che rappresenta perfettamente il gioiello in scala reale, viene inviato alla stampante in un formato STL specifico per la stampa. Un file STL rappresenta un solido la cui superficie è stata “semplificata”, in quanto risulta molto semplice da generare e da processare, lo si carica in un software apposito che viene comunemente detto Slicer (ad es. CURA, Repetier host, etc..). In questi software si possono impostare tutti i dati della stampante 3D e molti parametri per la stampa, come lo spessore del layer, l’infill (riempimento), e la velocità di stampa. Inseriti tutti i parametri si può mandare in stampa l’oggetto salvando il file in un formato apposito che possa essere letto dalla stampante 3D, il G-Code. A questo punto un sistema di motori sposta una testa, l’estrusore, che è il centro della stampante, che a sua volta preleva un filo di materiale plastico, lo fonde e lo fa fuoriuscire da un piccolo forellino per realizzare gli oggetti. La plastica viene quindi stratificata fino alla realizzazione dell’oggetto. In commercio esistono vari tipi di materiale per la produzione additiva, che si presentano in filamenti sottili che si inseriscono nel braccio dell’estrusore. Le plastiche maggiormente utilizzate sono: - l’ABS (Acrilonitrite – Butadiene - Stirene) è un materiale non biodegradabile e richiede temperature di estrusione di circa 240°C. È un materiale molto deformabile, può essere, infatti, flesso più volte su se stesso senza che si spezzi, caratteristica che lo rende adatto per parti mobili o flessibili. Non è un materiale semplice da stampare perché durante la fase di raffreddamento subisce notevoli deformazioni. Le sue caratteristiche la rendono adeguata per la realizzazione di parti piccole o per creare prodotti resistenti agli urti e all’usura; - PLA (acido polilattico), è un polimero completamente biodegradabile composto da amido di mais o da altri prodotti di origine vegetale come scarti, alghe o materiali poco nobili. Si estrude a temperature di circa 200°C. Avendo origini vegetali va evitata l’esposizione prolungata 24


in ambienti con forte umidità. Gli oggetti in PLA sono più rigidi, quasi cristallini, e per questo si possono spezzare più facilmente. Il metodo più diffuso di stampa è la SLA (Stereo Lithography Apparatus) un sistema tra i migliori in termini di precisione e finiture, utilizzata anche per la produzione di micro parti estremamente complesse e dettagliate. Rispetto al sistema di stampa sopracitato, la stampa stereolitografica, o stampa in resina, è basata sulla fotopolimerizzazione di una resina liquida contenuta in una vasca, che viene istantaneamente catalizzato non appena viene colpito da un fascio laser o una fonte concentrata di luce ultravioletta. Una volta ottenuto il prototipo, prima di poterlo maneggiare, si deve dare il tempo alla resina di essiccarsi completamente. Per la fusione a cera persa, il modello in resina di cera viene immerso in gesso liquido. Quando il calco in gesso si sarà solidificato, viene messo in un forno per far sì che la cera al suo interno si sciolga lasciando libera la cavità per far posto al metallo che verrà fuso al suo interno. Il metallo fuso al suo interno, una volta solidificato, viene rotto il gesso esterno per estrarre il gioiello. Dopo la stampa i prototipi possono avere delle piccole strutture che si vanno a generare automaticamente, nelle zone con elevato sottosquadro, vari software di slicing offrono diverse opzioni per definire l’architettura delle strutture di supporto, che vengono poi generate in automatico. Generalmente la loro successiva rimozione è molto semplice, ma può succedere che durante la rimozione il prototipo si danneggi, è un’operazione che va fatta con cautela.

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Elaborato digitale 3D anello “Aequor” Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Cameo” Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Leo” Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Sigillum” con rullo mobile Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Flores” Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Doppio Nodo” Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Vestigium” Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Nodo” Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Cor meum” Ø 17 mm

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Decorazione in piano dell’anello “Cor meum”

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Elaborato digitale 3D anello “Fluctus” Ø 17 mm

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Elaborato digitale 3D anello “Cuba” con corallo/perla Ø 17 mm

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IL RENDERING

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AECQUOR

FLUCTUS

FLORES

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LEON

CAMEO

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NODO

DOPPIO NODO

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SIGILLUM

VESTIGIUM

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Rendering in oro del decoro in piano dell’anello “cor meum”

COR MEUM

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CUBA

Particolare dell’elemento decorativo in rilievo

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STAMPANTE A DEPOSIZIONE FUSA FDM (FUSED DEPOSITION MODELING), MENTRE STA TERMINANDO IL SECONDO PROTOTIPO “LEON”

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PROTOTIPI

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Prototipo anello in PLA “Flores” con strutture di supporto

Prototipo anello in PLA “Flores” privo di strutture di supporto

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1.

2.

3.

Prototipi di stampa in PLA anello Aequor: 1. con supporti di stampa in PLA verde; 2. dopo la pulizia dai supporti; 3. anello in PLA “De aquis motus�

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Prototipo anello in PLA “CAMEO” stampa di prova

Prototipo anello in PLA “CAMEO” con il trattamento dell’acetone e lucidatura

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Prototipo anello in PLA “SIGILLUM” con ornamento rullo mobile

Prototipo anello in PLA “LEON” con il trattamento dell’acetone e lucidatura

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a.

b.

c.

Prototipi resina grigia: a. Aequor; b. Fluctus; c. Nodo

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Particolare dell’anello in resina danneggiato

Prototipo stampa in resina grigia danneggiato dopo la rimozione dei supporti

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Prototipo anello in resina “COR MEUM” con decorazione a traforo

Prototipo anello in resina “DOPPIO NODO”

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Prototipo anello in resina “VESTIGIUM” con ornamento rullo fisso

Prototipo anello in resina “CUBA”

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ARIETE BRONZEO DA SIRACUSA, CASTELLO MANIACE ETÀ ELLENISTICO ROMANA

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L’ARIETE BRONZEO DEL MUSEO ARCHEOLOGICO ANTONINO SALINAS DI PALERMO

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« L’ariete di bronzo di Siracusa, il migliore pezzo del museo di Palermo, (...) sembra contenere tutta l’animalità del mondo. La bestia, possente, è coricata, il corpo ripiegato sulle zampe e la testa voltata a sinistra. Questa testa di animale pare la testa di un dio, un dio bestiale, impuro, superbo. La fronte è larga e ricciuta, gli occhi distanti,il naso arcuato, lungo, forte e schiacciato, di una prodigiosa espressione brutale. Le corna, piegate all’indietro, ricadono, si avvolgono e si incurvano, portando le loro punte aguzze sotto le orecchie sottili somiglianti esse stesse a due corna. E lo sguardo dell’animale vi penetra, attonito, inquietante e duro. Si avverte la natura selvatica quando ci si avvicina a questo bronzo. » Guy de Maupassant, Viaggio in Sicilia (1885)

Il grande Ariete bronzeo proveniente da Siracusa, ha una storia lunga. Infatti, è l’unico superstite di una coppia che, ancora nel cinquecento era posta ai lati del portaled’ingresso al Castello Maniace di Siracusa, edificato a Ortigia da Federico II di Svevia. Non è noto, tuttavia, se la coppia di bronzi, variamente datata tra il III sec.a.C. e il II sec.d.C., provenisse dalla stessa Siracusa o se l’imperatore svevo l’avesse recuperata in altro luogo e destinata successivamente ad adornare la nuova possente fortezza. Da Tommaso Fazello sappiamo che nel 1448 la coppia di bronzi fu donata da Alfonso d’Aragona, come premio per avere sedato una sommossa a Siracusa, a Giovanni Ventimiglia marchese di Geraci che li trasportò a Castelbuono. Alla sua morte, il figlio Antonio li pose a decorare la tomba paterna, ma pochi anni dopo, per ordine del Viceré Gaspare de Spes, le due statue, insieme a tutti i beni, vennero confiscate a Enrico, nipote di Giovanni, accusato di tradimento e trasportate a Palermo nella sede dei Viceré, il Palazzo Chiaramonte (Steri), dove furono collocate intorno al 1510-1511. Nel 1517, tuttavia, le sculture furono trasferite al Castello a Mare, divenuto nel frattempo sede regia. Alcuni decenni più tardi, quando la sede regia si trasferì al Palazzo Reale, le due sculture furono lì trasferite e poste ad adornare una delle sale più belle del Palazzo che, 58


proprio in virtù della presenza dei due arieti, venne chiamata “Camera de los Carneros” o “Stanza delli Crasti”. Nel 1735, al tempo di Carlo III, le statue furono portate a Napoli, ma, nello stesso anno, a causa delle proteste dei Palermitani, vennero trasferite nuovamente a Palermo, nella Galleria del Palazzo Reale dove furono viste da Wolfgang Goethe e ammirate da Jean Houel che le rappresentò in una splendida incisione del suo Voyage Pittoresque. Da Michele Amari sappiamo, infine, che durante i moti insurrezionali del 1848 una delle due statue fu colpita da una cannonata mentre la seconda venne solo leggermente danneggiata e donata poco dopo al Regio Museo di Palermo dove, ancora oggi, si trova. Sotto il profilo stilistico, si tratta di un’opera di straordinaria raffinatezza ed eleganza e caratterizzata da un efficace naturalismo. L’animale è raffigurato accovacciato con la zampa anteriore destra ripiegata su se stessa, mentre la sinistra è portata in avanti, quasi pronta per effettuare un alzo in avanti. La testa è ruotata a sinistra, con i grandi occhi spalancati, le narici sono dilatate e la bocca è semiaperta. Il vello, finemente modellato con ciocche lunghe e ondulate, ricopre per intero il corpo dell’animale, mentre la fronte e la porzione sottostante alle corna sono ricoperte da fitti riccioli. La qualità artistica dell’opera è notevolissima, in particolare per quello che riguarda la minuziosa resa dei dettagli anatomici, del vello, dei riccioli e per la sapiente capacità di rappresentare l’animale in una posa piena di tensione. Si tratta di un prodotto di alto livello, stilisticamente collegabile, secondo alcuni studiosi, ad un contesto culturale di pieno ellenismo influenzato dalla scuola di Lisippo, il grande scultore greco del IV secolo a.C. L’analisi stilistica ha indotto a ipotizzarne una realizzazione all’interno di una bottega siracusana di grande livello artistico e una probabile destinazione al palazzo dei tiranni della città. Recentemente, tuttavia, a seguito di un approfondito intervento di restauro, si è proposta per la scultura una datazione ad età romano-imperiale, compresa tra la fine del I e la fine del II sec. d.C., giustificata da alcuni dettagli tecnici nella realizzazione dell’opera. 59


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RILIEVO FOTOGRAFICO DELLA TESTA DELL’ARIETE DI BRONZO Per ottenere un modello in 3d identico all’originale ariete di bronzo, ho effettuato un rilievo fotografico presso il Museo Archeologico Antonino Salinas di Palermo. In questa fase è fondamentale fare uso di una buona macchina fotografica digitale, io ho utilizzato la mia Reflex Nikon 3100 con obiettivo standard 18’-55’ mm impostandola ad alte risoluzioni di acquisizione. Il rilievo è stato fatto a metà mattina quando la luce non è toppo forte o toppo fioca, e consiste nello scattare senza zoom tutto intorno all’oggetto compreso tutti i lati, sopra e sotto, e in questo caso anche dentro la bocca dell’animale. Ogni porzione dell’oggetto deve coprire almeno 3 fotografie e ogni foto deve avere un margine di sovrapposizione del 60% circa con quelle adiacenti (una foto almeno ogni 15° di spostamento). Il fattore luce è fondamentale perchè gli algoritmi alla base dell’image-based Modelling si basano sulla texture delle fotografie, troppe zone d’ombra, oppure molte zone di luce eccessiva appiattiscono la tridimensionalità dell’oggetto rendendola difficilmente ricostruibile. Il programma utilizzato per realizzare il modello in 3D per questo set di fotografie è il software PhotoScan, di casa Agisoft. Una volta importate le foto desiderate, si andrà a lanciare l’allineamento delle foto. Eseguita questa elaborazione sulle foto il software restituisce un prima nuvola di punti (Sparse Cloud). Per ottenere un modello 3D di buona qualità questa operazione di far generare anche la nuvola densa di punti (Dense Cloud) è stata fatta più volte e ad una risoluzione massima. Infine, con la funzione Smooth è stato possibile lisciare il modello ed eliminare quelle microdepressioni nell’elaborazione dovute a porzioni delle immagini risultate troppo scure. Alla fine, il modello tridimensionale è stato salvato in formato STL e rielaborato per opportune modifiche con software di modellazione 3D. 61


3d generato dal set fotografico con software Photoscan vista frontale, lato dx, lato sx della testa dell’ariete generato dalla nuvola di punti

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Testa dell’ariete modificato con software 3D

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Disegno digitale medaglia in bassorilievo testa di ariete vista frontale e di 3/4

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Rendering medaglia in bassorilievo testa di ariete vista frontale e di profilo

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a.

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Stampa stereolitografica medaglie in bassorilievo testa di ariete: a. 20 mm; b. 15 mm; c. 10 mm

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GADGET MUSEALE L’etimologia del termine è molto disputata. Alcune fonti dicono che il primo gadget, così come lo conosciamo oggi, nasce nel 1789 quando furono create e vendute delle medagliette raffiguranti George Washington, candidato alla Casa Bianca. Altre che sia stato inventato nel 1886 quando il signor Gadget Gautier, proprietario della società che fuse la Statua della Libertà, fece una versione più piccola del monumento per donarla come ricordo alle numerose personalità intervenute all’inaugurazione e la chiamò con il nome della ditta (Gaget), e da quel momento tutti volevano uno di questi Gagetti e una nuova parola fu inventata. Altre fonti citano una derivazione dalla terminologia marinara; dal francese gâchette (grilletto di fucile) o dal francese gagée (piccolo accessorio) o ancora dal francese engager (impegnare, imbarcare) o anche dal termine navale scozzese gadge (un oggetto per misurazioni). Storielle a parte il gadget museale, oggi ampiamente noto e ricercato, può essere un’opportunità per una diffusione più ampia della conoscenza dell’arte, offrendo ai visitatori del museo un ricordo della loro visita e potenzialmente raggiungere una porzione della popolazione che può non essere consapevole del museo e della bellezza che in esso costudisce.

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ELABORAZIONI DI GADGET PER IL MUSEO

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COLLEZIONE DI ANELLI

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FENICI, ROMANI E ARABI IN SICILIA

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Nel corso della storia la Sicilia, situata tra le rotte che da millenni intersecano il Mediterraneo, secondo il linguaggio del mito usato da Omero, ha visto nel suo territorio numerosi e tra loro diversi dominatori, ognuno dei quali, ammaliato dalle risorse del luogo, ha lascito all’isola qualcosa di se e ha contribuito a creare una regione varia e complessa. Anticamente Palermo fu abitata dai Sicani i quali popolavano tutta la Sicilia in età preistorica, successivamente subentrarono gli Elimi. A partire dall’ VIII secolo a.C, “anche i Fenici abitavano in Sicilia, tutto intorno, dopo aver occupato i promontori sul mare e le piccole isole vicino alla costa per promuovere il loro commercio con i Siculi; ma quando i Greci cominciarono a giungere in gran numero per mare, lasciarono la maggior parte delle loro sedi, si riunirono in comunità e occuparono Mozia, Solunto e Palermo, vicino agli Elimi e per il fatto che, da queste città, la distanza tra Cartagine e la Sicilia richiede un tragitto brevissimo.” (Trucide VI 2,6) Nel VI secolo a.C. i Fenici costruirono, nella zona attuale del palazzo Reale e del Duomo, la prima grande cinta murata su preesistenti insediamenti commerciali dei Sicani ed Elimi. Le prime notizie su Panormos riguardano il conflitto tra Greci e Cartaginesi del 480 a.C. e si devono allo storico Diodoro Siculo che ci descrive il porto di Panormo, dove trovarono riparo Amilcare e la sua flotta. Sempre Diodoro racconta che nel 409 a.C il territorio dei Panormiti venne saccheggiato da Ermocrate di Siracusa. Negli anni a seguire la città fu sempre fedele a Cartagine, anche durante l’offensiva di Pirro contro le città puniche di Sicilia; la prima guerra punica si concluse, tuttavia, con la conquista romana di tutta la Sicilia punica, Panormo compresa. Diodoro e Polibio ci descrivono quegli avvenimenti a partire dal 254 a.C e fino alla resa totale e completa che segnò per Palermo la fine del periodo punico. Scrive Diodoro: “(i Romani) penetrati nel porto, ormeggiarono le navi presso le mura e, sbarcato l’esercito, chiusero la città con una palizzata e un fossato... Quindi 90


i Romani... buttarono giù le mura e, impadronitisi della città esterna, uccisero parecchi nemici; gli altri fuggirono nella città vecchia e, mandati ambasciatori ai consoli, chiesero di essere risparmiati”. Nel 20 a.C Diodoro ricevette una colonia e coloni militari sotto Vespasiano ed Adriano, ma di fatto il centro dell’Impero Romano era Siracusa. Il declino dell’Impero Romano si compì con l’avvicinarsi delle genti Barbare come i Vandali ed Ostrogoti, fino all’arrivo dei Bizantini. Nel 535 a.C fu conquistata da Belisario, generale di Bisanzio, e rimase città Bizantina fino all’831 a.C quando, dopo una resistenza di un anno che ridusse la popolazione da 70.000 a 3000 persone, cadde sotto i Saraceni. Gli Arabi ridonarono alla città di Palermo l’antico splendore elevandola a capitale della Sicilia, di fatto era un emiro indipendente. Si aprirono intensi rapporti commerciali con la costa Africana e con la penisola Iberica islamizzata già dall’VIII secolo. Durante la dominazione Araba a Palermo si sviluppò l’aspetto urbanistico: al Cassaro (al- Kasr ovvero il castello) nacquero nuovi quartieri dove si insediarono i nuovi immigrati. L’emiro e la sua Corte si stabilirono nella zona ricca del porto, chiamata Kalsa; la via Marmorea rimase di fatto il fulcro della città costeggiata da moschee e dai palazzi delle famiglie nobiliari.

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IL PERIODO FENICIO La maggior parte delle categorie e dei tipi di gioielli di Palermo è ampiamente attestata in tutto in mondo punico. Il sito della Palermo fenicia è quello dell’odierno centro storico. Le vestigia fenicie si riscontrano soprattutto nell’antica necropoli punico-romana, che si trova nella zona della odierna piazza Indipendenza. I gioielli fenici di Palermo sono per la maggior parte realizzati in argento, come in tutti i centri punici della Sicilia, e in molti dei reperti si riscontrano tracce di doratura. Il tipo di monile maggiormente attestato è quello dell’orecchino con corpo a filo ellittico ingrossato alla base e pendente a cestello, utilizzato sia nella sua funzione primaria sia come elemento di collana. La diffusione degli orecchini a croce ansata, realizzati prevalentemente in oro, oltre agli esemplari palermitani, se ne conoscono altri esemplari in bronzo dorato provenienti dalla necropoli arcaica di Mozia e di Solunto. L’accostamento di due materiali diversi è un fenomeno abbastanza comune nell’ambito della gioielleria punica, sottolineato anche da alcuni esemplari sardi e cartaginesi. Un esempio sono degli orecchini a goccia in metallo prezioso, decorato con motivi a granulazione con corpo in argento mentre il pendente è d’oro. Passando agli anelli, una categoria ben rappresentata nella raccolta palermitana, in particolare due esemplari d’argento caratterizzati da corpo in verga e castone mobile ovale in cui è inserito uno scarabeo, oppure completo di castone con motivo a spina di pesce, entro cui è raffigurata Iside discofora che allatta Horus, dietro un personaggio maschile in atteggiamento di preghiera, mentre alle spalle di Horus un thymaterion (incensiere). Alla fine del VI secolo è databile un anello con castone fisso rettangolare che doveva essere decorato sui lati brevi con fili granulati o cilindretti dello stesso metallo. Sul castone, la scena figurata, a lettura orizzontale, con una figura pterofora fronteggiata da un’altra, sviluppa un 92


tema di origine vicino-orientale noto anche attraverso gli anelli con castone “a cartouche” (Il termine indica anche il segno grafico usato nelle iscrizioni in antico egizio che racchiude due dei nomi del sovrano) dal quale il tipo in esame sembra derivare. Unico esemplare rinvenuto nella necropoli, reca nel cassone piatto una raffigurazione di un personaggio seduto di profilo con un uccello in mano le incisioni formano i panneggi della veste, davanti alla donna un’iscrizione punica Yp (questo schema iconografico sarà tipico dell’oreficeria della monetazione). Non mancano nel repertorio anche gli anelli sigillari destinati ad essere sospesi al collo, come si evince da alcune sculture cipriote e terrecotte cartaginesi. Oltre al diffuso schema riproposto dallo scarabeo palermitano, sono raffigurati capridi rampanti con al centro un albero sacro, questo manufatto rientra probabilmente tra quelli importati, forse utilizzato durante le attività di commercio. Non manca la categoria degli anelli crinali con corpo avvolto a spirale , con terminazione a testa di serpente.

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DOMINAZIONE ROMANA Quando i romani conquistarono la Sicilia poliglotta, frammentata socialmente e politicamente, catalizzando le differenze in un’unica cultura, anche se per un periodo definito. Sotto il regime monarchico imperiale, la Sicilia è la prima a divenire “provincia” romana, anche se sulla scorta di un passo di Cicerone dalle Varrine, in cui mise in risalto quello che era stato il carattere dei siciliani: spirito di sopportazione, bontà e parsimonia, virtù tipiche romane nell’antichità durante un lungo periodo di sottomissione. Per i romani soltanto l’architettura ha diritto di cittadinanza ma soprattutto come tecnica utile ai fini di governo della cosa pubblica e, come ingegneria militare delle operazioni belliche. Nella sua fase di ascesa, che culmina con la conquista della penisola e con l’espansione del Mediterraneo, non soltanto non dà all’esperienza estetica un posto nel sistema di valori della propria cultura, ma deliberatamente la esclude. In Sicilia le vestigia dell’architettura romana non sono numerose, troviamo tracce nell’anfiteatro di Siracusa, lo splendido teatro di Taormina e la Villa a Pizza Armerina; il teatro di Catania e la Naumachia (spettacolo rappresentante una battaglia navale) di Taormina, anche se oggi li troviamo un pò provati dalle insidie del tempo.

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OREFICERIA ROMANA L’apogèo dell’arte romana rispetto all’oreficeria, risale al tempo degli antonini. I romani per l’oreficeria presero a modello tanto quella etrusca che quella greca, e perfino un tocco di oriente persiano. Indubbiamente però i primi orefici che servirono Roma furono etruschi. Le produzioni orafe caratterizzate non solo da un elevato grado di specializzazione, ma anche da stili e tecniche decorative elaborate per sfruttare e valorizzare la lucentezza e la duttilità dell’oro, furono abilissimi nel mescolare l’oro con pietre preziose, con cui crearono gioielli di eccezionale fattura. Molto utilizzate erano le tecniche della filigrana e la granulazione, che consisteva nel creare un disegno grazie a piccole sferette poste su un fondo liscio. In una fase avanzata dell’Impero, si fece largo uso della lavorazione a traforo. La filigrana, per la realizzazione di collane e di catene fino alla loro saldatura su una superficie in modo da comporre motivi ornamentali, gli orefici etruschi utilizzano generalmente una procedura che prevede la torcitura di strette lamine d’oro, compresse per rotolatura tra due superfici lisce e pesanti (ad esempio due lastre di pietra): sui fili prodotti con questa tecnica sono spesso leggibili dei solchi ad andamento elicoidale. La filigrana e la granulazione sono utilizzate dagli orefici etruschi in combinazione con tecniche di origine toreutica, tra cui lo stampaggio (che consiste nell’impressione su una lamina d’oro di una matrice con elementi decorativi a rilievo, o più raramente incisi), lo sbalzo (che produce motivi a rilievo sulla superficie di un manufatto in lamina per battitura dal retro con un martello a testa smussata), la cesellatura (che dà luogo a raffinati disegni incisi) o l’intarsio, che prevede l’inserimento in cavità predisposte sulla superficie di frammenti di pietre dure, coralli o altro, con esiti spettacolari in età orientalizzante attraverso l’impiego dell’ambra. Nei primi tempi della Repubblica, per rigidezza dei costumi 95


o per povertà, erano soltanto gli ambasciatori presso i popoli stranieri che ricevevano un anello di oro, sopra cui erano forse incisi emblemi allusivi alla dignità loro ed alla Repubblica; in privato l’ambasciatore usava solamente l’anello di ferro. Più tardi, lo jus annuli aurei (ossia, il privilegio di portare l’anello d’oro) verrà esteso anche dai Senatori ai Magistrati, ma l’anello di ferro fu conservato pur fino all’ultimo tempo della Repubblica da quegli uomini nobili che si dicevano amanti della semplicità antica. L’anello simbolo di potere presso il capo dell’impero romano era una sorta di anello o sigillo di Stato che alcune volte esso concedeva di usare a quelli che erano assunti a far le veci loro; un senatore a ciò destinato lo teneva in custodia. L’anello nuziale, cingulum (detto anche vinculum), era generalmente di oro purissimo e fatto a circo (linea infinita) per simboleggiare la fedeltà coniugale e per rammentare che infinito dev’essere l’amore negli sposi. Era costume consegnare in mano alla sposa anelli di bronzo o di ferro a forma di chiave quale investitura di supremazia nelle cose familiari e simbolo di status sociale che

Piccole anitre ricoperte da minuscoli granuli d’oro. Particolare di una fibula etrusca datata al VII sec che faceva parte del tesoro ritrovato nel 1836, nella ricchissima Tomba Regolini-Galassi

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rappresentava la ricchezza posseduta. Da questa chiave si è evoluto il concetto legato al sigillo reale e nobiliare portato al dito. Di anelli ve ne sono di diverse fogge in oro formati a foggia di nodi o di serpenti, oppure gemmati in diversi modi. Spesso se ne vedono con scarabei o con pietre o con vetri incisi, con targhe in oro con soggetti rilevati a cesello sull’oro, con onici della medesima forma, ma lisci e contornati di oro; ve ne sono certi particolari che paiono più atti ad essere usati per sigillo che per anello, e hanno su le targhe ovali incisioni o rilievi della forma più arcaica e quasi egiziana. I Romani usarono anelli di oro massiccio, d’argento, anelli con targa di oro su cerchio di altro metallo, anelli di argento con punte interziate di oro, alcuni di pietra di un sol pezzo, ed il maggior numero con pietra incisa e posta sopra ogni sorta di metalli; ve ne erano con ritratti degli antenati o degli amici; ve ne erano con monete incastonate o con iscrizioni incise; in alcuni casi esprimevano allusioni simboliche alla storia reale o mitologica della propria famiglia. L’uso di moneta a scopo ornamentale, trasformandoli in gioielli anche come alternativa a pietre o a decorazioni di vario genere, quest’uso anche se più attestato nella prima età imperiale, come espressione di prestigio, e in una società così gerarchizzata, potrebbe essere un modo di esteriorizzare il proprio status, oppure ancora poteva assumere un significato religioso se nella moneta vi era coniata la figura di una divinità, per citarne uno, Augusto prese per emblema prima una sfinge, poi il ritratto di Alessandro il Grande, e finalmente il proprio ritratto, cosa che quindi fu usata da molti imperatori. Le donne ne sfoggiarono nella varietà e quantità di essi: si ebbero anelli gemmati di ogni sorta, e ve ne furono anche certi dove era inserito un cristallo naturale adamantino che serviva nei festini per scrivere sopra i bicchieri di cristallo il nome di coloro a cui si facevano brindisi; si portarono anelli di grandezza smodata, anelli vi furono per ciascun giorno della settimana col nome del giorno 97


inciso sì che potessero servire da calendario, anella leggeri per l’estate, anelli gravi per l’inverno, come se alcune gramme di più o di meno valessero ad alleviare il caldo ed il freddo. Simili alle monete sono i camei, basso rilievi intagliati su pietre dure il cui utilizzo si diffuse a partire dall’età ellenistica. Anticamente venne utilizzata la pietra sardonica, ben presto affiancata dall’agata e dall’onice, hanno la forma ovale o tonda, i soggetti scolpitivi sono mitologici o ritratti dii antenati o di amici, e si direbbero bei medaglioni. Il gusto dei romani in fatto di gioielleria, era propenso a creare scenografici contrasti ed appariscenti giochi cromatici attraverso la mescolanza di oro puro e pietre preziose, ma anche le più raffinate perle avevano le loro estimatrici, come dimostra un famoso ritratto a mosaico di una donna del I secolo d.C a Pompei.

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SICILIA ARABA Le prime spedizioni islamiche in Italia risalgono alla metà del VII secolo ed ebbero come obiettivo la Sicilia. Esse dimostrano un ampliamento a livello navale dell’espansione musulmana, fino ad allora ancorata a conquiste condotte via terra. Si trattò essenzialmente di razzie fruttuose, non intese a creare una presenza stabile nell’isola che rimase, fino a tutto l’VIII secolo, sotto il controllo bizantino. Il successivo affermarsi della politica aghlabita in Sicilia (metà VIII secolo AD) e, quindi, un insediamento araboislamico continuo per circa due secoli e mezzo, resero l’Islam la principale religione dell’isola e fecero dell’arabo la sua lingua franca. Agli Aghlabiti, insediati nella capitale al-Qayrawan – nell’attuale Tunisia – si deve la scelta di includere la Sicilia nella loro sfera di controllo, includendo anche la circolazione della moneta aghlabita. Anche se la dominazione araba durò per due secoli, rimangono poche tracce in Sicilia, sia di registri che di opere a causa delle successive guerre e distruzioni. L’isola non conserva più la divisione architettonica tra edifici di natura religiosa, civile e militare. Non vi si trovano tracce ne moschee e spesso nemmeno progetti costruiti da architetti e artisti musulmani. E’ il caso del castello della Favara a Palermo, il termine arabo Fawwara (e cioè acque che dal monte scendono al mare) fondato d Jafar non resta nulla; forse il nome del castello “Di mare dolce” dove Ruggero II aveva fatto costruire un palazzo nella parte alta di Palermo chiamato Cassaro (dall’arabo Qasr). La cappella palatina, antica fortezza musulmana, tre grandi culture medievali si fondono nel capolavoro di Santa Maria dell’Ammiragliato nota come la Martorana. Fondata dall’emiro Al-Bhar è una delle più belle chiese greche dell’isola. Il padiglione della Cuba, eretto da Guglielmo II su pianta rettangolare, ricorda il palazzo di Dar Al-Bhar. Il padiglione della Zisa è una meravigliosa sintesi dell’Islam il cui significato è raccolta per la iscrizione araba in stucco bianco in rilievo intorno all’arco d’ingresso: “qui, ogni 99


volta che lo vorrai, potrai ammirare il tesoro più bello di questo regno, il più splendido della terra e dei mari. La montagna dalle vette color del narciso fanno da sfondo. Vedrai il grande re di questo secolo nella sua bellissima dimora, una casa di delizia e di splendore che ben vi si addice, questo è il paradiso terrestre che si offre alla vista; questo è il re glorioso che i suoi sudditi chiamano l’Aziz (il diletto)”. Riguardo alla fruizione delle monete arabe, di cui ho scritto prima, in realtà In Sicilia dopo la conquista araba, furono battuti solo robai. La tesi più plausibile è che la Sicilia, quale terra di frontiera per gli arabi, avesse un limite di emissione di monete. Il robaì ,era anche l’unica moneta coniata in oro, ed anche l’unica utile per gli scambi internazionali con il mondo orientale che accettava solo oro. Il peso oscillava sul grammo ed il titolo era nella maggioranza dei casi elevato, solo in periodi di crisi, venivano battuti pezzi ad un titolo inferiore. I pezzi erano rigorosamente privi di raffigurazioni e sulle due facce iscrizioni tratte da corano. Compariva anche l’autorità emittente, la Zecca ufficiale era Palermo variamente indicata con: Madinah Balarm, o solo Balarm oppure Siqilliyah o Madinah di Siqilliyah. Il robai subì delle modifiche a seguito della conquista normanna. I normanni si rendevano conto infine che la Sicilia era stata fino a quel momento un Emirato arabo con vivaci scambi commerciali con l’Oriente. Inoltre, erano a conoscenza che i mercati orientali accettavano come moneta per transazioni internazionali solo l’oro e che gli arabi dal momento che erano riluttanti ad accettare monete che recassero figure zoomorfe o di altre effigi di esseri viventi, coniarono una moneta in oro uguale nel peso e nel titolo al robai: il tarì (tanto simile da essere confuso per moneta araba) con legende in arabo inneggianti ad Allah e Maometto e con di nuovo solo l’indicazione dell’autorita’ emittente (Roberto, Ruggero, Guglielmo) ma pur sempre in caratteri arabi. Successivamente con il consolidarsi del potere normanno il tari’ fu a poco a poco “cristianizzato” con l’introduzione di una croce e di scritta greca. 100


Moneta Roba’i (1/4 di dinar) d’oro battuto nella zecca di Palermo durante il regno del califfo fatimita al Mu’izz li din Allah nell’anno 956

Moneta tarì Federico II (1220-1250). Legenda pseudo-cufica intorno ad aquila coronata

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Bibliografia • L’attività di ricerca di informazioni per la scelta del prodotto turistico di Tonino Pencarelli, Daniela Betti e Fabio Forlani • Palermo la splendida, pubblicazione a cura delle Relazioni Esterne Italtel, Ed. fuori commercio, Roma Novembre 1998 • Tusa 1978, pp. 91-98, Pisano 1988, pp. 57-66; Spanò Giammellaro, 1989, pp.72-74 • Aspetti inediti di cultura materiale dalla necropoli punica di Palermodi A. Spanò Giammellaro Cfr.Quillard 1979, p. 119 • I Fenici, Ed. Bompiani marzo 1997 (seconda edizione) • Boardman 1967, p. 18, group E. Pisano 1987, pp. 83-84, pl. Ic. • Augusto Catellani, Dell’oreficeria antica, Roma 1872 • Enrico Bella, La rivoluzione della stampa 3d dalla prototipazione al consumatore finale: analisi delle prospettive di adozione, 2013/14 • AA.VV., La Sicilia Romana tra Repubblica e Alto impero: atti del convegno di studi di Caltanissetta 20-21 maggio 2006 • Oro nel tempo: meraviglie e tesori dal mondo antico al rinascimento, Ed. Electa, Milano 2001, Edmond Editori Associati Sitografia • http://www.worldwidewords.org/qa/qa-gad1.htm •https://it.wikisource.org/wiki/Dell%27oreficeria_antica • Dell’oreficeria antica, Discorso di Augusto Castellani, Firenze, 1862 •http://www.grandidizionari.it/Dizionario_Italiano/parola/r/ rendering.aspx?query=rendering • https://www.academia.edu/28391646/La_collezione_di_Vittorio_Emanuele_ III_-_Monete_arabe_Bollettino_di_Numismatica_35_2015_

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RINGRAZIAMENTI Dopo questi intensissimi sette mesi, finalmente il giorno è arrivato: e non potevo non scivere questi ringraziamenti finali. Prima di tutto vorrei ringraziare il mio relatore, il professore Sergio Pausig, per i suoi preziosi consigli, la sua sapiente guida artistica, e per avermi fornito gli strumenti per portare a compimenti questo lavoro di tesi. Questo per me è stato un periodo di profondo apprendimento. Scrivere questa tesi ha avuto un forte impatto sulla mia personalità, un ringraziamento particolare va ai miei genitori che mi hanno permesso di arrivare fin qui, contribuendo alla mia formazione personale; a mio fratello Davide; al mio fidanzato Francesco, per il sostegno morale, e per i suoi consigli; ad Alina che mi ha fatto da “modella”. Grazie per essere sempre stati al mio fianco. Vorrei spendere due parole di ringraziamento ai ragazzi del FabLab di Palermo, e a tutte le persone che mi hanno sostenuto e aiutato durante questo periodo.




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