Le Grotte del Lazio (Agenzia Regionale Parchi, 2003)

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Grotta dell’Inferniglio: il primo lago in condizioni sifonanti (foto L. Ferri Ricchi; tratta dal libro “OLTRE L’AVVENTURA” di Lamberto Ferri Ricchi, edizioni IRECO - http://www.istitutoireco.org)


PARTE I - Note introduttive

Il libro tratta molteplici aspetti del mondo sotterraneo ed è indirizzato ad un pubblico vario. Lo speleologo “sportivo” vi troverà tutte le informazioni necessarie per la discesa in grotta; lo speleologo “esploratore” avrà numerosi spunti e materiale per nuove scoperte; lo studioso di Scienze della Terra disporrà di una gran quantità di dati inediti reperiti in località di difficile accesso; coloro che si occupano di pianificazione territoriale e gli amministratori locali scopriranno un mondo sconosciuto da considerare e da salvaguardare. Ma tutti coloro che hanno curiosità nei confronti del mondo circostante potranno cogliere il fascino di un ambiente in cui fattori insoliti quali il buio, la mancanza di riferimenti temporali, l’eccentricità delle forme e la continua melodia delle acque si fondono in un insieme straordinario. La capacità di una grotta di amplificare le sensazioni e le emozioni non ha riferimenti negli ambienti di superficie. Il libro raccoglie il frutto dell’attività di diverse generazioni di speleologi che, nel XX secolo, hanno percorso in migliaia il territorio regionale, esplorando con tenacia un patrimonio sotterraneo che, nella Regione, ammonta ormai ad oltre 1400 grotte, per uno sviluppo complessivo di circa 100 chilometri di condotte, gallerie, meandri, pozzi e sifoni sotterranei. Tale patrimonio si concentra in prevalenza nei calcari delle zone montuose dell’Appennino, ma esempi notevoli di cavità naturali si trovano anche in altri tipi di rocce, come i travertini e i conglomerati. Poiché lo studio dell’ambiente sotterraneo non può compiutamente essere svolto all’interno dei confini amministrativi della regione, si è scelto di includere anche porzioni di territorio che, pur essendo situate al di fuori dell’ambito regionale (in Abruzzo, Umbria e Molise), sono indispensabili, dal punto di vista geologico, per un corretto inquadramento delle aree carsiche. Alle circa 1450 grotte del Lazio, se ne aggiungono un centinaio in Umbria, un centinaio in Abruzzo e una in Molise (dati riferiti all’estate 2002). Nel presente lavoro sono descritti in dettaglio i fenomeni carsici ipogei più rilevanti, includendo le grotte profonde almeno 50 m o con uno sviluppo planimetrico di oltre 100 m, con alcune eccezioni per grotte di dimensioni inferiori ma di notevole interesse scientifico o turistico. Sono così state

selezionate 206 grotte che, con varia distribuzione, interessano la maggior parte dei gruppi montuosi del Lazio. L’attività speleologica degli autori negli ultimi nove anni è stata spesa per la visita della maggior parte delle grotte descritte nel libro (138 su 206), con il rilevamento ex-novo di numerose cavità (75), la misura di parametri geologici e idrologici, la descrizione dell’itinerario di avvicinamento (173) e il controllo delle coordinate dell’imbocco (155). Tra gli innumerevoli altri temi afferenti all’argomento “grotte”, si è scelto di prestare particolare attenzione allo stato dell’ambiente, descritto per ogni grotta con una nota che sintetizza le osservazioni dirette con informazioni e dati storici. Naturalmente, data l’enorme quantità di informazioni occorrenti per la produzione di un insieme coerente e completo, la realizzazione di questo libro non sarebbe stata possibile senza la totale collaborazione del mondo speleologico regionale (e non solo regionale) che ha fornito notizie riguardanti le esplorazioni, gli studi eseguiti nelle singole grotte o nelle aree carsiche e altre informazioni, materiali e rilievi. Numerose sezioni di questo libro sono state scritte con l’aiuto di speleologi esperti di aree specifiche o che hanno dedicato notevole impegno all’esplorazione e alla documentazione di singole grotte. Anche a loro va il merito della realizzazione del libro e il nostro ringraziamento. Relativamente al materiale bibliografico utilizzato per la descrizione dei fenomeni carsici e per la ricostruzione della storia delle esplorazioni, ci si è avvalsi anche di un nutritissimo insieme di testi, di particolare interesse perché costituito soprattutto da volumi che circolano quasi esclusivamente nell’ambiente speleologico, e sono quindi sconosciuti al mondo esterno. Con questo contributo si spera di correggere la sconcertante abitudine riscontrabile nella quasi totalità di articoli e pubblicazioni, anche da parte di fonti autorevoli del mondo scientifico, di basare i riferimenti al carsismo sotterraneo su dati arretrati di mezzo secolo, rappresentativi, in realtà, del 20-30% delle conoscenze attualmente disponibili. La struttura del libro è articolata in tre parti. Nella prima parte è descritta l’organizzazione speleologica regionale,

rappresentata dai Gruppi Speleologici riuniti nella Federazione Speleologica del Lazio (FSL), dall’Ufficio del Catasto e dal Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico del CAI. Queste strutture costituiscono l’indispensabile riferimento per chiunque, con svariati fini, voglia interessarsi al mondo ipogeo. Una sezione illustra le interrelazioni fra le aree naturali protette della Regione Lazio e i fenomeni carsici. Infine, due ulteriori sezioni sono dedicate alla storia delle esplorazioni speleologiche nella regione e ad una sintetica esposizione delle tecniche di progressione in grotta. Nella seconda parte si esaminano gli aspetti geologici del carsismo sotterraneo, avvalendosi delle conoscenze che incessantemente emergono dal mondo scientifico e della mole di dati in continua crescita prodotta dall’attività speleologica. Il fenomeno carsico sotterraneo esistente nelle rocce carbonatiche dei diversi domini paleogeografici che hanno caratterizzato l’evoluzione della nostra regione a partire dall’era Mesozoica è stato studiato per individuare i processi speleogenetici, che sono all’origine dei diversi tipi di grotte, ed evidenziare le differenti caratteristiche dello sviluppo del carsismo sotterraneo nelle diverse formazioni geologiche che costituiscono le successioni stratigrafiche. Nella terza parte, la più ampia, sono analizzate in dettaglio le 206 grotte. Una nota iniziale illustra le scelte metodologiche operate. Il territorio è stato suddiviso in 12 grandi aree, sinteticamente descritte dal punto di vista geografico, e in ulteriori 44 sub-aree. Per ognuna delle grotte sono riportati i dati catastali, l’itinerario di avvicinamento, la descrizione morfologica, le attrezzature necessarie alla visita, lo stato dell’ambiente, la storia delle esplorazioni, la bibliografia disponibile, un profilo geologico passante per la cavità e il rilievo topografico della grotta, strumento di base sia per la visita sia per qualsiasi tipo di studio. Nelle pagine conclusive del libro è riportata la Bibliografia, ricca di articoli sia pubblicati in riviste di ampia diffusione nel mondo scientifico, sia editi nei notiziari delle associazioni speleologiche introvabili nelle comuni biblioteche, ma consultabili presso i gruppi della Federazione Speleologica del Lazio.

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L’ORGANIZZAZIONE DELLA SPELEOLOGIA Che cosa spinge una persona ad avvicinarsi alla speleologia? Essenzialmente la curiosità verso un mondo per sua natura sconosciuto, ostile ma affascinante. L’interesse coinvolge e unisce una molteplicità di persone della più diversa estrazione culturale e sociale e della più svariata preparazione atletica; la passione è alimentata non solo dalle emozioni conseguenti la discesa nelle grotte, ma anche dal piacere dell’insieme delle attività sociali fatte di serate preparatorie, lunghe domeniche trascorse tra macchine, grotte e cene conclusive. La passione non colpisce tutti in modo uguale: si può praticare la speleologia per pochi mesi, in molti casi per qualche anno e, per qualcuno, è un’attività che può durare una vita. Ma per tutti resta un’esperienza talmente particolare da non poter essere dimenticata, capace di suscitare, in chi l’ha praticata anche 40 anni fa, vivo interesse e forti emozioni. Fino alla fine del XIX secolo il mondo ipogeo interessava esclusivamente pochi studiosi che, con l’aiuto occasionale di guide locali, visitavano le grotte spingendosi fin dove lo consentivano la rudimentale attrezzatura dell’epoca e la paura dell’ignoto. Nei primi anni del XX secolo, dal mondo scientifico degli studiosi del fenomeno carsico, emerse la proposta di fondare associazioni specifiche per la pratica della speleologia al fine di condurre esplorazioni e studi sistematici sull’ambiente sotterraneo. In quegli anni nacquero così in alcune città d’Italia le prime associazioni speleologiche, alcune delle quali tuttora attive. La successiva evoluzione della società verso un generale aumento del grado di benessere e, conseguentemente, del tempo libero, ha coinvolto un numero crescente di appassionati, spinti, più che dalla scienza, dalla curiosità e dall’emozione. Le difficoltà della progressione in grotta hanno sempre richiesto la presenza di un gruppo attrezzato ed affiatato, escludendo di fatto la possibilità di una pratica “solitaria”, frequente, ad esempio, nell’attività alpinistica. Anche oggi la funzione delle associazioni è fondamentale per lo sviluppo della speleologia, che si caratterizza essenzialmente come attività di gruppo organizzato. I vantaggi di organizzarsi in gruppo sono evidenti: oltre al naturale piacere di condividere con altri un’attività essenzialmente ludica, si aggiunge la possibilità di disporre di un gran numero di attrezzature specifiche (il cui acquisto e manutenzione richiedono un notevole impegno, anche economico) e la garanzia di ottenere le migliori condizioni di sicurezza durante l’avanzamento in grotta. Infine la speleologia, in alcuni suoi aspetti specifici legati alla ricerca e all’esplorazione, quasi mai può essere svolta efficacemente in modo individuale, senza il supporto logistico di un’associazione. È preferibile, per questi motivi, fare riferimento ad un’organizzazione, anche se ancora oggi esistono speleologi che conducono le loro esplorazioni e ricerche senza essere affiliati ad alcun gruppo. La presenza delle associazioni fin dai primi anni del secolo, e il costante contatto e scambio di informazioni, hanno consentito di conseguire alcuni risultati importanti. In primo luogo è stata raggiunta e mantenuta nel tempo un’omogeneità delle tecniche di progressione in grotta, che ha consentito la definizione di uno standard di sicurezza sempre più elevato. L’insegnamento di queste tecniche ai neofiti viene svolto nei corsi di introduzione alla speleologia, durante i quali si trattano anche alcuni aspetti della speleologia scientifica, fornendo un quadro generale dell’attività e delle sue specializzazioni, per favorire un corretto approccio verso l’ambiente sotterraneo. Saltuariamente vengono organizzati anche corsi specialistici per approfondire temi specifici, rivolti a speleologi già esperti. In secondo luogo, il ruolo delle associazioni consiste nell’organizzazione delle visite, delle esplorazioni e degli studi delle grotte. Normalmente nella sede di un gruppo speleologico sono presenti un magazzino, contenente i materiali e le attrezzature di uso collettivo, una biblioteca e un archivio delle grotte. Alcune associazioni speleologiche pubblicano un proprio notiziario; ma è soprattutto il materiale inedito, consistente in rilievi e relazioni di attività, che consente di mantenere una memoria storica, sia orale che cartacea, formata dalle informazioni raccolte negli anni da tutti coloro che hanno frequentato il gruppo. L’attività di un gruppo viene preparata e organizzata in base alle disponibilità dei singoli e alle loro esigenze, e può spaziare dal semplice turismo speleologico, con la visita di cavità già note, ripercorse a scopo sportivo o didattico, fino alla ricerca di nuove cavità o allo studio di aree carsiche nei loro diversi aspetti. Normalmente l’attività di ricerca è preceduta da un notevole lavoro di preparazione, consistente nella consultazione di testi o documenti inediti e cartografie, e nella raccolta di informazioni e notizie bibliografiche. Lo studio sul campo di una zona carsica prevede una serie di ricognizioni finalizzate alla conoscenza dell’area e alla scoperta di nuove cavità, che possono essere “fortunosamente” individuate dallo speleologo, oppure trovate grazie a segnalazioni fornite dai frequentatori locali della zona. Una volta individuato l’imbocco della cavità, inizia la fondamentale ed entusiasmante fase dell’esplorazione. Il mondo sotterraneo, per sua natura sconosciuto ai più, determina, in chi lo frequenta, una

naturale esigenza di documentare l’attività svolta, anche se la maggioranza degli speleologi non è rappresentata da “studiosi”. Il lavoro di documentazione svolto dallo speleologo consiste in una raccolta di dati e misurazioni che consentono di rappresentare graficamente la cavità e determinare la sua ubicazione cartografica. Per ogni nuova grotta vengono calcolate le coordinate dell’imbocco riportandone la posizione sulla cartografia disponibile. Nelle fasi di esplorazione viene eseguito il rilevamento della grotta, che costituisce un documento essenziale, base di partenza per tutte le esplorazioni e gli studi futuri. Inoltre lo speleologo annota, di solito, informazioni riguardanti materiali e attrezzature necessari per la percorrenza, correnti d’aria, quantità d’acqua, presenza di fauna e quant’altro è possibile osservare; molte di queste osservazioni vengono riportate nelle relazioni di attività dei vari gruppi, che costituiscono perciò una preziosa fonte di informazioni inedite. Ciò ha determinato la produzione di una notevole mole di conoscenze anche se spesso caotiche, frammentarie e quasi sconosciute al di fuori del mondo speleologico. Attualmente, in Italia esistono circa 500 associazioni che si occupano di speleologia. A livello nazionale sono attivi due organismi: la Società Speleologica Italiana ONLUS e il Club Alpino Italiano. La Società Speleologica Italiana ONLUS (SSI), associazione privata a cui aderiscono sia gruppi (più del 50% dei gruppi italiani) che singoli speleologi, organizza congressi, seminari e corsi, pubblica le riviste “Speleologia” e “Opera ipogea” (quest’ultima si occupa di cavità artificiali, cioè scavate dall’uomo nel corso dei diversi periodi storici) ed ha come fiore all’occhiello il Centro Italiano di Documentazione Speleologica “Franco Anelli”, biblioteca fra le più importanti al mondo sull’argomento. Il Club Alpino Italiano (CAI) si occupa di alpinismo e di altre attività di montagna, compresa la speleologia. All’interno delle sue sezioni sono nati moltissimi gruppi speleologici, alcuni dei quali aderiscono anche alla SSI. Il CAI ha anche organizzato il Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), costituito da volontari, che si occupa di prevenzione degli incidenti e di interventi di soccorso, sia in montagna che in grotta. CLUB ALPINO ITALIANO SEDE CENTRALE VIA PETRELLA ERRICO 19, 20124 - MILANO (MI) www.cai.it SOCIETA’ SPELEOLOGICA ITALIANA O.N.L.U.S. CENTRO ITALIANO DI DOCUMENTAZIONE SPELEOLOGICA “FRANCO ANELLI” Via Zamboni, 67 – 40127 BOLOGNA http://www.cds.speleo.it ssibib@geomin.unibo.it tel./fax: 051 250049 Le federazioni regionali, ormai diffuse quasi in tutta Italia, raggruppano le associazioni esistenti sul territorio, presentandosi come interlocutore unico nei confronti delle organizzazioni nazionali e degli enti locali, dialogando in particolare con le Amministrazioni regionali. Il contatto tra le Regioni e le federazioni speleologiche ha portato, in alcuni casi, alla definizione ed approvazione di Leggi Regionali per la protezione delle grotte e degli ambienti carsici e per lo sviluppo dell’attività speleologica. La Federazione Speleologica del Lazio ONLUS (FSL) è stata fondata nel 1994 e raggruppa attualmente 13 associazioni, rappresentative della quasi totalità del mondo speleologico laziale. La FSL gestisce il “Catasto delle grotte del Lazio” e il “Catasto delle cavità artificiali del Lazio”, nomina due membri della Commissione Tecnico-Scientifica per l’Ambiente della Regione Lazio, pubblica a partire dal 2000 la rivista “Speleologia nel Lazio” e organizza corsi, convegni e mostre. Inoltre, la FSL svolge una funzione di coordinamento fra le varie associazioni, che organizzano corsi di introduzione alla speleologia, tenuti di norma una volta l’anno, in autunno o in primavera. FEDERAZIONE SPELEOLOGICA DEL LAZIO O.N.L.U.S. c/o Speleo Club Roma – via Andrea Doria, 79 f – 00192 Roma http://fsl.artov.rm.cnr.it Associazione “Speleologi Romani” Via Fausto Vettor, 32 m – 00154 Roma

Associazione Speleologica Romana ‘86 c/o Antonella Santini – via Monte Porcino, 12 a – 00060 Riano (RM) http://www.asr86.it Pubblicazioni: “Il pipistrello ubriaco” Circolo Speleologico Romano Via Ulisse Aldrovandi, 18 – 00197 Roma – tel. 06.321.6223 http://space.tin.it/clubnet/vsbordon ciesserre@tin.it Pubblicazioni: “ Notiziario del Circolo Speleologico Romano”. Gruppo Grotte Roma “Niphargus” c/o Lorenzo Grassi – via Saronno, 65 – 00188 Roma http://www.niphargus.speleo.it lorenzo.grassi@tiscalinet.it Pubblicazioni: Gruppo Grotte Roma “Niphargus” Gruppo Speleologico Angioino “le Talpe” c/o Palazzo Vescovile - Piazza del Popolo - 02015 Cittaducale (RI) Gruppo Speleologico CAI Latina c/o CAI Latina - via dei Volsci, 34 - 04100 Latina Pubblicazioni: “Antrum - Speleologia pontina” Gruppo Speleologico CAI Roma c/o CAI Roma - via Galvani, 10 - 00153 Roma Gruppo Speleologico Ciociaro CAI Frosinone c/o CAI Frosinone - via Ferrarelli - 03100 Frosinone http://utenti.lycos.it/l5one/Ciociaria_speleo.htm Gruppo Speleologico Grottaferrata ONLUS Via dei Castani, 1 - 00046 Grottaferrata (RM) Pubblicazioni: “Notiziario del Gruppo Speleologico Grottaferrata” Gruppo Speleologico Guidonia Montecelio Via Mario Visentini, 6 - 00012 Guidonia (RM) http://web.tiscali.it/gsgm/ gsgm@speleo.it Shaka Zulu Club Subiaco Via Trento, 2 - 00028 Subiaco (RM) http://www.shakazulusubiaco.net shakazulusubiaco@tiscalinet.it Pubblicazioni: “Notiziario” Speleo Club Roma ONLUS Via Andrea Doria, 79 f - 00192 Roma http://web.tiscali.it/speleoclubroma/index.html speleoclubroma@tiscalinet.it Pubblicazioni: “Notiziario dello Speleo Club Roma” URRI Gruppo Speleologico Via Trapani, 20 - 00161 Roma - tel. 06.4423.1318 L’attività speleologica, per quanto di norma svolta in sicurezza, comporta ovviamente la possibilità del verificarsi di incidenti. Il soccorso in grotta può essere portato esclusivamente da tecnici molto preparati, cioè speleologi di grande esperienza e specificamente addestrati. A questo scopo, dopo un lungo lavoro preparatorio effettuato nel ‘65-’66 tra gli speleologi

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del Lazio e dell’Abruzzo, il 4 luglio 1966 nasceva il 5° Gruppo Speleologico dell’allora C.S.A. (Corpo Soccorso Alpino), cui competeva l’organizzazione del soccorso nel Lazio, in Abruzzo ed in tutto il territorio dell’Italia meridionale. Poco più tardi, il soccorso speleologico è entrato a far parte del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (C.N.S.A.S.). La successiva nascita di altre Delegazioni Speleologiche regionali ha fortunatamente ristretto l’area operativa della 5a Delegazione (ex Gruppo), fino ad arrivare alla copertura attuale, limitata alla sola regione Lazio. Dal 1994 la 5a Delegazione Speleologica forma, assieme alla 24a Delegazione Alpina, il Servizio Regionale Lazio del C.N.S.A.S. Dal 1995 questo Servizio Regionale è iscritto all’Albo delle Associazioni di Volontariato della Protezione Civile della Regione Lazio. Infine, dal 1996 il Servizio Regionale del C.N.S.A.S, e quindi anche la 5a Delegazione, è entrata a far parte del sistema “Lazio Soccorso 118”. Analogamente a quanto avviene per gli incidenti in montagna, nel caso di infortunio in grotta è sempre operativa una apposita squadra di soccorso. Per maggiori dettagli sull’organizzazione e le modalità operative del Soccorso si rimanda al successivo paragrafo sulle tecniche di grotta. Con la Legge n. 20 “Tutela del patrimonio carsico e valorizzazione della speleologia” approvata dalla Regione Lazio il 1 settembre 1999, si riconosce l’importanza degli ambienti carsici, sia dal punto di vista ambientale ed ecologico, sia per quanto riguarda la tutela delle risorse idriche. Pertanto, la Regione intende tutelare e valorizzare le aree carsiche, favorendo lo sviluppo dell’attività speleologica. I punti salienti della legge possono essere così sintetizzati: • tutela delle grotte e delle aree carsiche, attraverso l’imposizione di vincoli, divieti e relative sanzioni, con attività di vigilanza esercitata dalle province; • istituzione del Catasto regionale delle Grotte e delle Aree Carsiche, la cui formazione, aggiornamento e tenuta saranno attribuiti dalla Regione alla FSL con apposita convenzione; • integrazione con quattro esperti speleologi, due dei quali di nomina FSL, del Comitato Tecnico-Scientifico per l’Ambiente; • istituzione dell’Albo regionale dei Gruppi Speleologici del Lazio; • erogazione di contributi per l’attività speleologica, per l’attuazione di ricerche, studi, pubblicazioni, convegni, seminari ed altre iniziative a carattere didattico o divulgativo. Si riporta di seguito il testo integrale della legge.

Legge Regionale 1 Settembre 1999, n. 20 Tutela del patrimonio carsico e valorizzazione della speleologia Pubblicata sul BURL 20 settembre 1999, n. 26 (Serie Ordinaria n. 2). 1. FINALITÀ. La Regione, in attuazione dell’articolo 45 dello Statuto ed in considerazione del pubblico interesse legato ai valori idrogeologici, naturalistici, culturali e turistici delle grotte e delle aree carsiche esistenti nel territorio, riconosce l’importanza ambientale e l’interesse scientifico del patrimonio carsico e ne promuove la tutela e la valorizzazione, favorendo, altresì, lo sviluppo dell’attività speleologica. 2. DEFINIZIONI DI AREA CARSICA, DI FENOMENO CARSICO E DI ATTIVITÀ SPELEOLOGICA. Ai sensi della presente legge sono definiti: a) aree carsiche, quelle costituite da rocce composte prevalentemente da elementi solubili agli agenti atmosferici, quali le rocce carbonatiche e quelle evaporitiche; b) fenomeni carsici o grotte, le forme superficiali ed ipogee generate dai processi di dissoluzione e di deposizione chimico-fisica di rocce da parte delle acque, nonché, per estensione, i fenomeni sotterranei in litotipi non carsici noti come grotte laviche e quelli dovuti ad un carsismo attenuato; c) attività speleologica, l’esplorazione, lo studio scientifico e la documentazione delle grotte sotto il profilo fisico, biologico, storico paletnologico, paleontologico e geografico. 3. TUTELA DELLE GROTTE. 1. All’interno delle grotte di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), è vietato: a) scaricare rifiuti solidi e liquidi, sia in superficie che in profondità; b) svolgere attività che determinino alterazioni ambientali e modificazioni morfologiche delle cavità, ed in particolare: 1) alterare il regime idrico carsico, effettuare scavi o sbancamenti o riempimenti, fatti salvi gli interventi necessari ai fini dell’esplorazione, previamente autorizzati dal sindaco, sentito il comitato tecnico-scientifico per l’ambiente, integrato ai sensi dell’articolo 7;

2) asportare o danneggiare concrezioni, animali o resti di essi, vegetali, fossili, reperti paleontologici e paletnologici, salve le autorizzazioni rilasciate dalle autorità competenti. 2. Il sindaco del comune in cui è sita la grotta può, sentito il Comitato tecnico scientifico per l’ambiente integrato ai sensi dell’articolo 7, regolamentare l’accesso in presenza di reperti paletnologici o paleontologici o di situazioni fisiche o biologiche di particolare fragilità ed interesse. 3. L’utilizzazione ai fini economici, turistici e sanitari delle grotte iscritte nel catasto di cui all’articolo 5, è autorizzata dal competente organo regionale, sentito il Comitato tecnico-scientifico per l’ambiente integrato ai sensi dell’articolo 7, sulla base di un progetto corredato da una relazione esplicativa della situazione in atto, delle variazioni che si intendono apportare e dell’impatto ambientale delle forme di utilizzazione previste.

4. INDIVIDUAZIONE DELLE PRINCIPALI AREE CARSICHE E LORO TUTELA. 1.La Regione individua in un apposito elenco le principali aree carsiche di rilevante importanza idrogeologica, comprese quelle soggette a sfruttamento per scopi idropotabili, ambientale e paesaggistico. 2. L’elenco di cui al comma 1, che deve contenere ogni notizia utile ai fini della conoscenza delle aree ivi inserite, è approvato, previo parere del comitato tecnico-scientifico per l’ambiente integrato ai sensi dell’articolo 7, con deliberazione della Giunta regionale, sentita la competente commissione consiliare. 3. Nelle aree carsiche comprese nell’elenco di cui al comma 1 non è consentito effettuare discariche di rifiuti o interventi che alterino l’assetto idromorfogeologico dei luoghi. 5. ISTITUZIONE DEL CATASTO REGIONALE DELLE GROTTE E DELLE AREE CARSICHE. 1. Al fine di assicurare la conoscenza e conservazione delle aree e dei fenomeni carsici, è istituito il catasto regionale delle grotte e delle aree carsiche. 2. Il catasto di cui al comma 1 è costituito da: a) l’elenco delle grotte esistenti nel territorio regionale; b) l’elenco delle principali aree carsiche di cui all’articolo 4, comma 2. 3. Nel catasto di cui al comma 1 sono indicati per ciascuna grotta o area carsica tutti i dati topografici e metrici, la descrizione ed i rilievi speleologici e geologici. 4. La Regione attribuisce, con apposita convenzione, la formazione, l’aggiornamento e la tenuta del catasto di cui al comma 1 alla federazione speleologica del Lazio. 5. La convenzione di cui al comma 4, da stipularsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore dalla presente legge, deve prevedere le modalità di acquisizione e di aggiornamento dei dati catastali, la loro consultazione gratuita da parte di chiunque ne abbia interesse e le connesse attività scientifiche e divulgative. 6. VIGILANZA E SANZIONI. 1. La vigilanza sul rispetto delle disposizioni previste dalla presente legge è esercitata dalle Province. 2. L’inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 3, e art. 4, comma 3, comporta la riduzione in pristino dello stato dei luoghi e l’applicazione delle seguenti sanzioni amministrative pecuniarie: a) da lire 500 mila a lire 5 milioni per l’alterazione del regime idrico-carsico; b) da lire 500 mila a lire 5 milioni per la distruzione, il danneggiamento o l’occlusione delle grotte; c) da lire 100 mila a lire 1 milione per l’abbandono dei rifiuti; d) da lire 500 mila a lire 5 milioni per l’asportazione o il danneggiamento di concrezioni, animali, vegetali, fossili e reperti; e) da lire 100 mila a lire 1 milione per l’effettuazione di scavi o sbancamenti in violazione del divieto di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), numero 1); f) da lire 100 mila a lire 1 milione per la violazione del divieto di accesso di cui all’articolo 3, comma 2; g) da lire 500 mila a lire 1 milione per ogni metro cubo di discarica di rifiuti in aree carsiche. 3. Per l’irrogazione delle sanzioni di cui al comma 2 si applica la normativa regionale vigente in materia di cui alla legge regionale 5 luglio 1994, n. 30. 7. INTEGRAZIONE DEL COMITATO TECNICO-SCIENTIFICO PER L’AMBIENTE. 1. Il comitato tecnico-scientifico per l’ambiente, istituito dall’articolo 13 della legge regionale 18 novembre 1991, n. 74, è integrato, per il rilascio di pareri relativi alle materie di cui alla presente legge, da: a) due esperti designati dalla Giunta regionale, scelti sulla base di documentate esperienze e titoli scientifici in speleologia e carsismo relativi al territorio laziale. Tale

designazione è comunicata alla competente commissione consiliare; b) due esperti designati dalla federazione speleologica del Lazio. 2. I componenti di cui al comma 1 sono nominati con decreto del Presidente della Giunta regionale.

8. ALBO REGIONALE DEI GRUPPI SPELEOLOGICI DEL LAZIO. E’ istituito presso l’assessorato regionale competente in materia di ambiente l’albo regionale dei gruppi speleologici del Lazio. 2. Per l’iscrizione all’albo di cui al comma 1, i gruppi speleologici devono presentare all’assessorato regionale competente in materia d’ambiente: a) l’atto costitutivo unitamente al proprio statuto, da cui risulti che il gruppo speleologico non ha fini di lucro e svolge attività finalizzate all’esplorazione, allo studio ed alla tutela del patrimonio carsico e sotterraneo; b) l’elenco nominativo dei soci, con l’indicazione del presidente e del responsabile del gruppo; c) il proprio curriculum attestante le ricerche e le attività svolte in ambito speleologico, nonché le eventuali pubblicazioni. 3. L’iscrizione all’albo di cui al comma 1 è subordinata al parere favorevole del comitato tecnicoscientifico per l’ambiente integrato ai sensi dell’articolo 7. 4. I gruppi speleologici aderenti alla federazione speleologica del Lazio sono iscritti di diritto, previa presentazione della documentazione richiesta ai sensi del comma 2. 9. ATTIVITÀ PROMOZIONALE. CONTRIBUTI. 1. Al fine di promuovere la ricerca e l’attività speleologica, la Giunta regionale, sentito il comitato tecnico di cui all’articolo 7, predispone entro il 31 gennaio di ogni anno un programma annuale per l’attuazione di ricerche e studi, pubblicazioni, convegni, seminari ed altre iniziative a carattere didattico o divulgativo finalizzati alla conoscenza ed alla valorizzazione delle aree e dei fenomeni carsici o alla ottimizzazione delle tecniche esplorative. 2. Il programma annuale può prevedere la concessione di contributi a favore della federazione speleologica del Lazio e dei gruppi speleologici iscritti all’albo di cui all’articolo 8 per la realizzazione delle attività di cui al comma 1, secondo i criteri e le modalità stabiliti nel medesimo programma. 3. Per accedere ai contributi di cui al comma 2 i soggetti interessati presentano all’assessorato regionale competente in materia ambientale, entro il 31 maggio di ogni anno, domanda corredata da un dettagliato programma di intervento e dalla relativa previsione di spesa. 4. I soggetti beneficiari dei contributi presentano all’assessorato regionale competente in materia ambientale, entro il 31 maggio dell’anno successivo a quello in cui sono stati erogati i contributi, la documentazione, corredata da una relazione illustrativa, comprovante l’impiego dei fondi percepiti per gli scopi indicati al comma 1. 10. NORMA FINANZIARIA. L’onere per l’attuazione di quanto previsto nella presente legge è quantificato in L. 50 milioni ed è iscritto al cap. 11473 che si istituisce con la seguente denominazione: “Spesa per la tutela del patrimonio carsico e valorizzazione della speleologia”. 2. La relativa copertura finanziaria è assicurata mediante utilizzazione di pari importo dello stanziamento iscritto al cap. 16310 del bilancio regionale 1999.


Il catasto delle grotte Il Catasto delle grotte è una raccolta di dati, organizzati in modo da consentire di identificare univocamente ogni cavità tramite alcune informazioni chiave, come il nome e la posizione geografica. In esso confluiscono tutti i dati e le informazioni forniti dagli speleologi. Il Catasto è rappresentato fisicamente da una serie di schede nelle quali sono riportati i seguenti elementi: un numero di identificazione seguito dalla sigla della regione (in particolare, per le aree prese in esame in questo studio, “La” per il Lazio, “U” per l’Umbria, “A” per l’Abruzzo e “Mo” per il Molise), il nome della grotta, la posizione geografica del suo ingresso (espressa in coordinate e quota s.l.m. riferite alla cartografia I.G.M. e/o alle Carte Tecniche Regionali), i riferimenti amministrativi (comune e provincia di appartenenza) e le dimensioni della cavità (si riportano lo sviluppo in lunghezza e il dislivello, misurato fra il punto più alto e il più basso in quota della cavità). La scheda può essere completata dal rilievo della cavità e da ulteriori informazioni quali: descrizione della grotta, itinerario d’accesso, attrezzature necessarie per la visita, note geologiche, idrologiche, morfologiche, biologiche, ambientali o archeologiche, fotografie, bibliografia ed altro. Il rilievo e le ulteriori informazioni, anche se disponibili all’interno della scheda, restano comunque proprietà di chi le ha fornite, ai sensi delle leggi sui diritti di autore. Pertanto il Catasto delle Grotte si presenta come uno strumento di base, necessario sia per il reperimento delle grotte stesse, sia per la realizzazione di studi scientifici riguardanti il fenomeno carsico.

Il “Catasto delle Grotte del Lazio” Il Catasto delle Grotte del Lazio viene istituito dal Circolo Speleologico Romano nel 1927, per rispondere all’esigenza di riorganizzare i dati allora disponibili sulle cavità della regione. Infatti, a partire dalla fondazione del CSR, nel 1904, iniziano le esplorazioni speleologiche sistematiche nel Lazio e nei territori circostanti, interrotte soltanto nel periodo della guerra; nei primi 20 anni di attività speleologica vengono esplorate molte cavità che sono tuttora tra le più importanti del Lazio. Il Catasto regionale viene inserito nel sistema del Catasto delle Grotte d’Italia (inizialmente “Regio Catasto delle Cavità Sotterranee d’Italia” con sede a Postumia, istituito nel 1927), formato dalla somma di tutti i catasti regionali, e gestito dall’Istituto Italiano di Speleologia. Negli anni ’50 si rende necessaria una riorganizzazione dell’attività; la Società Speleologica Italiana, appena fondata, prende in gestione il Catasto delle Grotte d’Italia. Il Catasto Regionale continua ad essere gestito dal CSR fino al 1994, quando viene fondata la Federazione Speleologica del Lazio (FSL), che lo prende in gestione e tuttora lo detiene. Il 1 settembre 1999 la Regione Lazio approva la legge n. 20 “Tutela del patrimonio carsico e valorizzazione della speleologia”. La legge prevede l’istituzione del “Catasto regionale delle grotte e delle aree carsiche”, e attribuisce alla FSL la formazione, l’aggiornamento e la tenuta del catasto, tramite un’apposita Convenzione, che però, fino ad oggi, non è stata attivata. Allo stato attuale, le informazioni contenute nel catasto sono disponibili in formato cartaceo, sotto forma di schede contenenti i dati essenziali, oltre alle informazioni e agli allegati già specificati. I dati contenuti nelle schede catastali sono soggetti, negli anni, a continui aggiornamenti. Le nuove esplorazioni in grotte già conosciute si traducono in variazioni delle dimensioni delle cavità. L’aggiornamento dei dati relativi alla posizione geografica delle grotte è dovuto principalmente al miglioramento dei supporti cartografici disponibili: dalle carte 1:50.000 si è passati, negli anni, all’utilizzo di tavolette 1:25.000 e di sezioni CTR 1:10.000, perfezionando quindi la precisione dei dati. Come risultato di questo costante incremento di informazioni, i dati contenuti nel Catasto hanno gradi di accuratezza molto diversi, dipendenti dalla precisione del rilevatore e dagli strumenti di rilevamento disponibili. E’ quindi fondamentale un lavoro di aggiornamento e riorganizzazione dei dati, anche nell’ottica di una futura attivazione di archivi informatizzati, consultabili con maggiore facilità. Attualmente, però, la scarsità di risorse strumentali (attrezzature informatiche, strumenti topografici di precisione, basi cartografiche cartacee e digitali recenti) rende lento e difficile il lavoro di aggiornamento catastale e di revisione dei dati.

Distribuzione delle grotte dal punto di vista amministrativo Attualmente (giugno 2002) sono segnalate nel catasto del Lazio 1452 grotte, con una densità media di 8,4 grotte ogni 100 km2. A causa soprattutto dell’eterogeneità dei terreni geologici affioranti nella regione, la distribuzione delle cavità nelle varie province non è omogenea. Nella provincia di Viterbo, nella quale prevalgono nettamente i terreni vulcanici, sono conosciute solo 26 grotte. Si trovano poche grotte anche nella provincia di Rieti, nonostante gli estesi affioramenti di rocce carsificabili. Le altre tre province si dividono quasi il 90% del totale. Nella provincia di Roma si trova il maggior numero di grotte (ben 548, il 38%) anche se distribuite in un territorio piuttosto esteso (10 grotte ogni 100 km2), mentre la densità è molto più alta nella provincia di Frosinone (13 grotte ogni

100 km2) e soprattutto di Latina (15 grotte ogni 100 km2). Ben 174 comuni (dei 375 totali) hanno nel loro territorio almeno una cavità. Sono però pochi i comuni in cui la densità è elevata, infatti solo in 13 comuni sono presenti più di 20 grotte. In particolare è da evidenziare come nel solo territorio comunale di Carpineto Romano siano conosciute ben 233 grotte (con una densità di 2,8 grotte per km2), pari al 16% del totale delle cavità di tutta la regione. Seguono il comune di Supino con 87 grotte e quello di Guarcino con 44 (tabella 1). Nella figura si può apprezzare visivamente la distribuzione delle cavità nella regione.

Distribuzione delle grotte dal punto di vista geografico E’ di maggiore interesse, dal punto di vista speleologico, la suddivisione del territorio della regione Lazio in aree geografiche. Prendendo spunto dalla proposta di creazione di un “Catasto delle aree carsiche d’Italia” presentata al mondo speleologico da MIETTO & SAURO (1989), il territorio regionale è stato suddiviso in 37 “unità orografiche” (FELICI ET ALII, 1989), cioè aree con caratteristiche geografiche omogenee al loro interno, ad esempio una catena montuosa o una pianura, e delimitate esternamente da elementi morfologici ben identificabili, quali valli o corsi d’acqua. Nella tabella 2 vengono quantificati il numero di grotte per ogni unità orografica e il totale dello sviluppo percorribile degli ambienti sotterranei. Lo spazio a disposizione non consente un esame dettagliato dei dati; basti ricordare che nel Lazio si raggiunge un’estensione di circa 100 km di ambienti sotterranei, di cui il 34% è situato nell’area dei Monti Lepini. Delle 1452 grotte conosciute, meno di 200 si possono percorrere per almeno un centinaio di metri. L’andamento è quasi sempre “semplice”, o verticale (abissi, voragini, pozzi) o pianeggiante (antri, caverne); raramente si trovano cavità complesse. Si evidenzia una leggera predominanza delle grotte ad andamento verticale rispetto a quelle a sviluppo prevalentemente orizzontale. Importante anche la presenza di molte cavità “doliniformi” (nei primi anni di attività del catasto vennero inserite anche numerose doline, mentre successivamente si scelse di escludere questo tipo di cavità), alcune delle quali sono vere doline di dissoluzione carsica, mentre altre sono voragini formatesi per crollo della volta di cavità sottostanti la superficie topografica. Queste ultime rivestono una certa importanza, anche per lo studio di alcuni problemi di rischio che possono derivare dalla improvvisa formazione di queste voragini. Per quanto riguarda le grotte al cui interno scorrono corsi d’acqua permanenti o temporanei, nella regione risultano essere 148 (circa il 10% del totale). La salvaguardia delle cavità idricamente attive riveste una particolare importanza, dati i problemi legati all’inquinamento di questa risorsa primaria.

Le grotte più profonde e più lunghe del Lazio Si conclude presentando una “classifica” delle grotte con maggiore dislivello e di quelle con maggiore sviluppo (tabelle 3 e 4; in questi elenchi il simbolo *** indica che al dato riportato, che rappresenta le misure derivanti da rilievo topografico, si devono aggiungere altri tratti non rilevati). Questi dati forniscono un quadro delle dimensioni nelle quali gli speleologi si muovono.

17


Tabella 1

N° GROTTE COMUNI

18

233

Carpineto Romano

87

Supino

44

Guarcino

38

Esperia

36

Terracina

37

Prossedi

35

Amaseno e San Felice Circeo

26

Bassiano e Sant’Oreste

23

Tivoli

21

Gaeta e Jenne

20

Subiaco

19

Formia

18

Maenza, Pastena e Ponza

17

Filettino, Giuliano di Roma, Gorga e Sonnino

16

Arcinazzo Romano, Camerata Nuova e Collepardo

15

San Polo dei Cavalieri

14

Trevi nel Lazio

13

Sant’Angelo Romano, Sermoneta, Sezze, Vallepietra e Vicovaro

12

Spigno Saturnia

11

Canino e Roccasecca dei Volsci

10

Artena, Cori e Veroli

9

Monte San Biagio, Poggio Nativo e Vallecorsa

8

Coreno Ausonio, Morolo e Pescorocchiano

7

Capranica Prenestina, Castro dei Volsci, Cervara di Roma, Contigliano, Norma, Patrica, San Donato Val di Comino, Scandriglia e Vico nel Lazio

6

Ferentino, Guidonia Montecelio, Lenola, Morro Reatino, Orvinio, Petrella Salto, Settefrati, Trivigliano e Vallinfreda

5

Alatri, Arpino, Campodimele, Collalto Sabino, Falvaterra, Licenza, Roccantica, Roccasecca, San Gregorio da Sassola, Sperlonga e Varco Sabino

4

Borgorose, Castel di Tora, Ischia di Castro, Montelanico, Poggio Catino, Poggio Moiano, Roccagorga e Roviano

3

Affile, Ascrea, Bellegra, Casape, Cerreto Laziale, Cerveteri, Cisterna di Latina, Cittaducale, Colle San Magno, Configni, Cottanello, Gallicano, Itri, Leonessa, Mentana, Montalto di Castro, Monte San Giovanni in Sabina, Monteflavio, Montopoli in Sabina, Nespolo, Percile, Picinisco, Priverno e Rieti

2

Arsoli, Belmonte Castello, Cassino, Castenuovo di Farfa, Cittareale, Colleferro, Fiuggi, Fondi, Fontana Liri, Gavignano, Mandela, Marcellina, Minturno, Monterotondo, Paganico, Piglio, Pisoniano, Posta, Riofreddo, Rocca Canterano, Rocca di Cave, Roccagiovine, Roiate, Santopadre, Saracinesco, Segni, Sgurgola, Soriano nel Cimino, Tolfa e Vacone

1

Agosta, Antrodoco, Aprilia, Atina, Bomarzo, Campoli Appennino, Capena, Caprarola, Casalattico, Castel Madama, Castel Sant’Angelo, Ceccano, Ciciliano, Cineto Romano, Civita Castellana, Civitella d’Agliano, Colonna, Fumone, Labro, Montebuono, Monteleone Sabino, Montorio Romano, Moricone, Palestrina, Paliano, Palo Laziale, Poggio Bustone, Pozzaglia Sabino, Proceno, Rocca d’Arce, Rocca Sinibalda, Sambuci, Santi Cosma e Damiano, Torricella in Sabina, Tuscania e Villa Santa Lucia

Distribuzione delle grotte nei Comuni del Lazio


Tabella 3

LE GROTTE PIU’ PROFONDE DEL LAZIO

Tabella 2.

UNITÀ OROGRAFICHE RF VO RN CI SO TO SB LG BP RE CG VE SA LU CN CA TI AS RU SI PR AF ER CT AL PP LE AU AR CC MS MC MM CR MA IP

Monte Rufeno Monti Volsini Monti Romani Monti Cimini Monte Soratte Monti della Tolfa Monti Sabatini Monti della Laga Monte Boragine - Monte Pozzoni Monti Reatini Monte Cabbia - Monte Giano - Monte Calvo Monte Nuria - Montagne della Duchessa - Monte Velino Monti Sabini Monti Lucretili Monti Cornicolani Monti Carseolani Monti Tiburtini Ara Salere Monti Ruffi Monti Simbruini Monti Prenestini Monti Affilani Monti Ernici Monti Cantari Colli Albani Pianura Pontina Monti Lepini Monti Ausoni Monti Aurunci Monte Circeo Monte Marcolano - Monte Serralunga Montecoccioli Monti della Meta - Mainarde Monte Cairo Monte Monna Casale Isole Ponziane TOTALI

N° GROTTE METRI DI GROTTA 1 60 20 2337 0 0 5 215 26 1437 6 349 1 0 0 0 5 3609 10 318 2 30 14 251 75 2829 50 1599 24 1366 31 3792 23 533 2 130 7 265 81 6352 24 1144 32 2372 107 11582 11 341 4 0 10 400 488 33702 182 10734 116 8629 35 461 1 17 12 1828 15 499 14 458 0 0 18 427 1452

98066

GROTTE VERTICALI 1 4 0 1 13 1 0 0 4 3 0 0 21 22 5 12 6 1 4 48 10 4 46 7 0 0 325 110 64 1 1 4 11 5 0 0 734

GROTTE GROTTE ORIZZONTALI DOLINIFORMI 0 0 16 0 0 0 4 0 13 0 5 0 0 1 0 0 1 0 6 1 0 2 14 0 46 8 25 3 10 9 19 0 16 1 1 0 2 1 28 5 11 3 27 1 55 6 4 0 0 4 2 8 149 14 69 3 52 0 34 0 0 0 8 0 4 0 8 1 0 0 18 0 647

71

GROTTE CON ACQUA 0 6 0 0 0 0 1 0 1 1 0 0 2 2 5 10 0 0 1 13 5 3 13 0 0 9 46 16 10 0 0 4 0 0 0 0 148

1

Ouso della Rava Bianca

Carpineto Romano (RM)

2

Inghiottitoio di Campo di Caccia

Gorga (RM)

-676 m

2

Grotta degli Urli

Guarcino (FR)

-610

4

Abisso Consolini

Carpineto Romano (RM)

-555

5

Grotta di Cittareale

Cittareale (RI)

6

Pozzo del Merro

Sant’Angelo Romano (RM)

7

Abisso di Monte Vermicano

Guarcino (FR)

-439

8

Inghiottitoio di Camposecco

Camerata Nuova (RM)

-415

-610

+25/-450 -450

9

Abisso Vallaroce

Formia (LT)

-401

10

Abisso la Vettica

Castro dei Volsci (FR)

-360

11

Grotta di Monte Fato

Supino (FR)

-336

12

Abisso Shish Mahal

Formia (LT)

-315

13

Pozzo del Faggeto

Supino (FR)

-309

14

Inghiottitoio dell’Erdigheta***

Carpineto Romano (RM)

-300

15

Ouso di Passo Pratiglio

Supino (FR)

-299

16

Abisso della Ciauchella

Formia (LT)

-296

17

Grava dei Serini

Esperia (FR)

-292

18

Abisso Miguel Enriquez

Carpineto Romano (RM)

-228

19

Abisso Nessuno

Camerata Nuova (RM)

-222

20

Ouso a Due di Monte Pisciarello

Morolo (FR)

-221

19 Tabella 4

LE GROTTE PIU’ LUNGHE DEL LAZIO 1

Grotta degli Urli

Guarcino (FR)

2

Grotta di Pastena***

Pastena (FR)

3620 m 3427

3

Grotta del Formale***

Carpineto Romano (RM)

2920

4

Grotta di Cittareale***

Cittareale (RI)

2650

5

Abisso di Monte Vermicano***

Guarcino (FR)

2600

5

Inghiottitoio di Campo di Caccia***

Gorga (RM)

2600

7

Grava dei Serini

Esperia (FR)

2240

8

Inghiottitoio di Val di Varri

Pescorocchiano (RI)

2235 1615

9

Grotta di Monte Fato

Supino (FR)

10

Grotta degli Ausi

Prossedi (LT)

1505

11

Abisso Consolini

Carpineto Romano (RM)

1405

12

Grotta dell’Inferniglio***

Jenne (RM)

1370

13

Grotta dell’Arco

Bellegra (RM)

1216

14

Grotta di Fontana Le Mole

Maenza (LT)

1160

15

Ouso di Pozzo Comune

Carpineto Romano (RM)

1105

16

Il Bucone

Ischia di Castro (VT)

1065

17

Inghiottitoio dell’Erdigheta***

Carpineto Romano (RM)

1010

18

Grotta Ciaschi

Carpineto Romano (RM)

980

19

Grotta del Rapiglio

Carpineto Romano (RM)

940

20

Risorgenza di Civitella

Pescorocchiano (RI)

895


STORIA DELLA SPELEOLOGIA NEL LAZIO

20

L’uomo ha conosciuto e frequentato le grotte, per vari motivi, fin dalla preistoria: di questa frequentazione restano testimonianze orali e scritte, ritrovamenti di reperti archeologici o resti fossili. Le grotte sono state utilizzate, nei diversi periodi storici, come rifugio stagionale o occasionale, come stalle o ripari per le greggi, per approvvigionamento d’acqua, oppure come sepolcro o luogo di culto. Le frequentazioni avvenute in età preistorica e protostorica sono ben documentate in tutto il territorio regionale. Vengono descritti sinteticamente di seguito alcuni dei ritrovamenti più importanti avvenuti in grotte del Lazio, sia per opera di archeologi che di speleologi. Valle del Fiume Fiora: durante l’esplorazione di diverse grotte sono stati rinvenuti materiali ascrivibili al paleolitico, al neolitico e all’età dei metalli; in particolare si ricordano la Grotta Nuova, il Bucone o Infernetto, la Grotta Misa, la Grotta delle Sette Cannelle e la Grotta di Don Simone. Lago di Vico: nel Pozzo del Diavolo (o Grotta di M. Venere) sono stati rinvenuti materiali ceramici pertinenti al neolitico medio. Monti Ceriti: la Grotta Patrizi è stata utilizzata come luogo di sepoltura di diversi individui, uno dei quali presentava il cranio trapanato. Tivoli: nelle Grotte di Ponte Lucano (la più conosciuta è la Grotta Polesini) sono stati rinvenuti strumenti litici e graffiti su ciottoli risalenti al paleolitico superiore, oltre a reperti dell’età dei metalli. Poggio Moiano: nella Grotta Pila sono state ritrovate sepolture e materiale risalente all’età del rame. Monte Soratte: all’interno della Grotta della Madonnina è stato rinvenuto un orcio del neolitico medio. Monti Cornicolani: nello Sventatoio di Poggio Cesi sono stati recuperati numerosi vasi risalenti all’età del bronzo, gettati nel pozzo probabilmente a scopo cultuale. Monti del Cicolano: nell’Inghiottitoio di Val di Varri sono stati rinvenuti focolari e materiali fittili ascrivibili all’età del bronzo. Monti Lepini: nella Grotta Vittorio Vecchi sono venuti alla luce reperti sia archeologici che scheletrici umani, datati all’età del bronzo. In alcune grotte del comune di Sezze sono stati trovati disegni di difficile datazione, come l’Uomo a “phi” nell’Arnalo dei Bufali, e vari disegni a carboncino nel Riparo Roberto. M. Circeo: sono state esplorate una trentina di grotte (tra cui ricordiamo Grotta del Fossellone, Grotta delle Capre, Grotta Breuil, Riparo Blanc e Grotta Guattari) che hanno restituito industrie del paleolitico e del mesolitico; in particolare nella Grotta Guattari è stato rinvenuto il famoso cranio riferibile all’uomo di Neandertal. In epoca classica diversi studiosi si interessavano della natura e dei fenomeni naturali. Fra coloro che hanno trattato di grotte ricordiamo Plinio il Vecchio, Varrone, Frontino e Lucrezio. Di quest’epoca abbiamo però scarse testimonianze: si possono citare la Grotta di Tiberio, che

faceva parte del complesso della villa dell’Imperatore a Sperlonga, utilizzata come ninfeo e adornata di statue sul tema dell’Odissea; e la Voragine di Monte Spaccato, nella quale restano tracce di un utilizzo come cava di alabastro. Nel Medioevo diverse grotte furono scelte come abitazioni dagli eremiti, o trasformate in chiese rupestri. Nel Lazio esistono ancora moltissime grotte santuario, che vengono frequentate ancora ai nostri giorni, fra le quali si possono citare, a titolo di esempio: la Chiesa rupestre di Santa Lucia a Bomarzo, la Grotta di San Cataldo a Cottanello, la Grotta di San Leonardo a Roccantica, la Grotta di San Michele a Monte San Giovanni in Sabina, la Grotta di Santa Romana a Sant’Oreste, il Sacro Speco a Subiaco, la Grotta della SS Trinità a Vallepietra, la Grotta del Convento di Santa Oliva a Cori, la Grotta del Crocifisso a Bassiano, la Grotta di San Michele sul Monte Redentore a Formia, e molte altre. Studi esaustivi sull’argomento sono stati pubblicati in numerosi lavori da Felici e Cappa a partire dal 1987. La frequentazione e l’utilizzo delle grotte continuano quindi nei secoli successivi all’epoca classica, fino ai nostri giorni. Si può datare al XVI secolo l’inizio delle prime vere esplorazioni speleologiche. Alcuni studiosi cominciano, in questo periodo, a frequentare le grotte per l’osservazione e lo studio del fenomeno naturale, percorrendo ambienti sconosciuti come scopritori di un nuovo mondo. Si riporta di seguito un sintetico quadro cronologico della storia dell’attività speleologica nella regione, inquadrandola nel contesto nazionale.

Periodo antecedente il 1880 - I pionieri I MATERIALI E LE TECNICHE Le tecniche dell’epoca non permettono di esplorare grandi verticali. Si percorrono quindi grotte prevalentemente orizzontali, e si evita di infilarsi nelle strettoie. L’illuminazione è costituita da torce a vento e candele, e gli indumenti consistono in normali abiti pesanti. Nel caso sia necessario discendere pozzi, le persone vengono calate e recuperate con corde di canapa. Per le esplorazioni dei laghi vengono utilizzate barche.

LO SCENARIO NAZIONALE La speleologia viene praticata soltanto da alcuni singoli studiosi che, esclusivamente con mezzi propri e spesso da soli, studiano le cavità e le aree carsiche nei loro diversi aspetti. LO SCENARIO REGIONALE A partire dal 1500 nel Lazio alcuni studiosi ed umanisti percorrono il territorio studiando tutti i fenomeni naturali, quindi anche le grotte. Padre Attanasio Kircher pubblica due opere “Mundus subterraneus” nel 1669 e “Latium”, nel 1671; nel primo propone teorie sulla formazione del mondo sotterraneo e sull’idrologia della terra, mentre nel secondo, descrivendo la regione, si sofferma su alcune cavità. Pochi studiosi hanno lasciato un resoconto scritto delle loro esplorazioni; fra loro ricordiamo Paolo Spadoni, Giovanni Battista Brocchi e Fabio Gori.

LE ESPLORAZIONI Flavio Biondo all’inizio del ‘500 ricorda alcune grotte in territorio di Riofreddo, probabilmente quelle di S. Cosimato (SEGRE, 1951a). Fra Leandro Alberti rammenta le grotte del Circeo e tratta intorno all’origine dei “confetti di Tivoli”, le note pisoliti, deposte nei bacini delle Acque Albule (SEGRE, 1951a). Kircher narra di una sua escursione sul Monte Pescosolido (di cui non si conosce il nome attuale, ma che si trova nella zona del Monte Cornacchia) nel corso della quale esplora una grotta con un deposito di ghiaccio perenne. Descrive anche un tentativo di scandaglio nella Voragine di Monte Spaccato con circa 37 m di corda; non avendo toccato la base del pozzo, la ritiene essere un abisso senza fondo (KIRCHER, 1671). La prima discesa di un pozzo documentata nel Lazio risulta essere quella dell’Ouso di Sezze (verticale di 40 m) nel quale nel 1672 vengono calate due persone per controllare se vi sia il corpo di un uomo precipitato dall’alto. Essi esplorano la cavità vincendo i pregiudizi dell’epoca sulla profondità imperscrutabili dei pozzi naturali. La discesa era documentata da un atto notarile, oggi non più reperibile, nel quale veniva stabilito un compenso per coloro che si sarebbero calati nel pozzo (CORRADINUS ET ALII, 1704; TUFO, 1908). Nel 1778 Stefano Cabral e Fausto Dal Re, archeologi e geometri tiburtini, sondano la Voragine di Monte Spaccato che risulta essere profonda 105 m (SEGRE, 1951a). La prima discesa “volontaria” di un pozzo è quella realizzata nel 1800 da Paolo Spadoni, che aveva già esplorato alcune grotte liguri, nel Pozzo Santullo (SPADONI, 1802). Lo stesso visita anche la grotta di Collepardo, già famosa all’epoca, nonostante non si abbiano documenti in cui venga citata. Tra il 1817 e il 1822 Giovanni Battista Brocchi studia i Meri del Soratte, la Grotta di Collepardo e le grotte del Circeo (BROCCHI, 1817; 1824; 1825). Girolamo Senni discende la Fossa Ampilla, descrivendo il fenomeno del “Latte di monte” o Mondmilch (SENNI, 1838). Nel 1841 un minatore in cerca di massi da scogliera scopre, sulle pareti sotto il tempio di Giove Anxur a Terracina, la Grotta della Sabina, che viene poi esplorata e studiata dal punto di vista paleontologico da L. Mollari nel 1850, e descritta da REMIDDI (1876). Nel 1844 Padre Domenico Santucci visita la Grotta di Collepardo, e su di essa scrive un libretto edito a Parigi, dove egli vive (SANTUCCI, 1845). Contemporaneamente visitano la grotta alcuni famosi incisori (Bossi, Cottafavi, Parboni) che ne traggono ispirazione per realizzare meravigliose stampe che hanno come soggetto Collepardo, la Certosa di Trisulti, la Grotta e il Pozzo Santullo; in una di esse è riportato il rilievo della Grotta di Collepardo, che è quindi il primo rilievo giunto fino a noi. Il geologo Giuseppe Ponzi esegue scavi paleontologici nella Grotta di Collepardo (PONZI, 1853). Fabio Gori narra di diverse esplorazioni in grotte del Lazio (Pertuso di Roiate, Grotta della Foce, Grotta della Serena, Grotta dell’Arnaro, Gratto dell’Inferniglio, Grotta del Pertuso ed altre) compiute da giovane nel corso di un viaggio d’istruzione. Per l’approccio esplorativo con cui visita i luoghi e percorre le grotte, il Gori può essere considerato il primo speleologo del Lazio (GORI, 1855; 1864). Nel 1868 viene citata nelle cronache la Grotta di Pastena: i briganti della famigerata banda Andreozzi, inseguiti dai gendarmi si rifugiano nella grotta. Costretti ad arrendersi per fame, vengono fucilati sul posto mentre un seminarista da essi tenuto in ostaggio muore di spavento (CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1928).

1880-1918 - Nascono i gruppi grotte I MATERIALI E LE TECNICHE Con la nascita dei primi gruppi speleologici, si costituiscono anche magazzini di materiali studiati ad hoc per le necessità degli esploratori. Si fabbricano le prime scale di corda con pioli di legno; gli esploratori, durante la discesa e la salita dei pozzi, vengono assicurati dai compagni con corde dall’alto. L’illuminazione è ancora realizzata con torce o con lanterne.

Ingresso della Grotta Vittorio Vecchi (Sezze Romano). Il cranio di un bambino ritrovato nella grotta, attualmente esposto nel Museo Comunale (foto archivio G. Pintus).

Rappresentazione della circolazione delle acque carsiche secondo Kircher (tratto da “Mundus Subterraneus”, 1669).

LO SCENARIO NAZIONALE Alla fine del XIX secolo Emile Riviére, francese, propone il termine “speleologia”. In Italia, come nel resto d’Europa, nascono le prime associazioni speleologiche. Per iniziativa di gruppi di studiosi viene stabilita ed uniformata la terminologia relativa ai fenomeni carsici, riprendendo anche molti termini dalle lingue slave. Il 23 ottobre 1863 nel Castello del Valentino, a Torino, nasce il Club Alpino Italiano (CAI), promosso da Quintino Sella, che prevede nel proprio statuto anche l’esplorazione e lo studio delle grotte. Il 23 marzo 1883 viene fondata a Trieste, allora facente parte dell’Impero austro-ungarico, la Società degli Alpinisti Triestini, al cui interno viene istituita una sezione dedicata alla speleologia, la Commissione Grotte. Nel 1897 nasce a Milano il primo gruppo speleologico d’Italia, la Sezione Speleologica del CAI, fondata dal prof. Mariani.


la speleologia. In uno di essi il conte Luigi Pusterla, accademico di S. Luca e pittore di Tivoli, descrive le visite da lui compiute nella Grotta di Muro Pizzo e nella Grotta Pila, in Sabina, e le discese nei pozzi di Colle Ripoli, presso Tivoli, narrando anche di un tentativo di discesa nella Voragine di Monte Spaccato (PUSTERLA, 1892). In un altro articolo I.C. Gavini e G. Voltan raccontano di un’escursione nei dintorni di Tagliacozzo, dove visitano la Grotta Beatrice Cenci e gli ingressi di alcune importanti cavità (GAVINI & VOLTAN, 1892). Ad Arpino opera Giovanni Battista Cacciamali, insegnante bresciano che dopo alcuni anni fonderà un gruppo speleologico nella sua città; durante la sua permanenza fonda la sezione del Liri del CAI, che però ha breve durata, studia e descrive il fenomeno carsico della zona (CACCIAMALI, 1889a; 1889b; 1892). Filippo Keller scende nella Chiavica di Arsoli alla ricerca di prove che confermino la sua teoria sul magnetismo terrestre (KELLER, 1896). Nel 1898 il geologo De Angelis d’Ossat, nel suo studio sull’alta valle dell’Aniene, inserisce un intero capitolo sui fenomeni carsici dell’area, visitati e descritti in dettaglio (in particolare il Pertuso di Roiate). Edouard Alfred Martel, francese, il più famoso speleologo dell’epoca, visita nel 1903 la Grotta di Collepardo e il Pozzo Santullo (MAR TEL, 1928) ipotizzando un collegamento tra le due grotte. Nel 1913, in seguito allo svuotamento per cause naturali del Lago di Canterno presso Fiuggi, Camillo Crema esplora, con l’aiuto di un operaio, l’inghiottitoio che si trova sul fondo del lago, fermandosi sopra un pozzo. Si tratta dell’unica esplorazione conosciuta dell’inghiottitoio, in quanto la grotta è quasi sempre sommersa dalle acque del lago. Il Crema esplora inoltre alcune grotte dei Monti Ernici.

1920-1945 - Le prime grandi esplorazioni I MATERIALI E LE TECNICHE L’attrezzatura individuale viene migliorata con l’uso del casco, che spesso è un elmetto militare recuperato dai campi di battaglia, al quale viene applicata una candela. Cominciano ad apparire le prime lampade ad acetilene, che vengono portate agganciate alla cintura. Le prime imbracature sono costituite da una robusta cintura di cuoio. Per esplorare corsi d’acqua sotterranei vengono costruite piccole imbarcazioni di legno ad un solo posto.

Pozzo di Monte Spaccato (6 La): E. Tedeschi viene calato nella cavità (tratto da PUSTERLA, 1892)

Esplorazione dell’inghiottitoio di Pietrasecca (tratto da Notiziario CSR n. 1, 1948)

Nel 1903 Michele Gortani, Giorgio Trebbi e Carlo Alzona, tentano di dare vita ad una associazione nazionale, la Società Speleologica Italiana (SSI), e ad una pubblicazione specializzata, la “Rivista Italiana di Speleologia”; la società però avrà breve durata. Durante il Congresso della Società Geografica Italiana svoltosi a Napoli nel 1904, lo studioso F. Musoni chiede alla comunità scientifica di promuovere la fondazione di associazioni speleologiche, in quanto ritiene che siano gli unici soggetti in grado di condurre esplorazioni e studi sistematici sull’ambiente sotterraneo. La proposta di Musoni dà impulso alla fondazione di gruppi dedicati alla speleologia presso alcune sezioni del CAI; tra di essi il Circolo Speleologico Romano. L’Abisso Trebiciano, nel Carso triestino, esplorato nel 1841 da A.F. Lindner, resta la grotta più profonda del mondo (-329 m), fino all’esplorazione della Niedenloch (-376) in Svizzera, nel 1909.

LO SCENARIO NAZIONALE Alla fine della prima guerra mondiale Trieste, ormai annessa all’Italia, diventa il principale centro nazionale per gli studi sul fenomeno carsico. Eugenio Boegan, figura di spicco nella Commissione Grotte triestina, diviene promotore dell’Istituto Italiano di Speleologia, un nuovo ente di ricerca. L’Istituto, ancora oggi in vita, inizia nel 1927 la pubblicazione di una rivista trimestrale a carattere nazionale, e nello stesso anno istituisce il “Regio Catasto delle Cavità Sotterranee d’Italia” con sede a Postumia, all’epoca unico esempio al mondo. Si svolge il primo congresso nazionale di speleologia (Trieste, 1933). La speleologia italiana raggiunge in questo periodo grandi risultati esplorativi. L’Antro del Corchia (Alpi Apuane, Toscana) nel 1934 diventa la grotta più profonda del mondo (-480 m, i rilievi dell’epoca la stimavano -541 m).

LE ESPLORAZIONI Il CSR, guidato da Franchetti, ha a disposizione un grandissimo potenziale esplorativo: la maggior parte del Lazio è, infatti, totalmente sconosciuta sotto l’aspetto speleologico. Inizia la sua attività nel 1920 compiendo una serie di ricerche sul Monte Soratte. L’impresa più rilevante è la discesa delle voragini dei Meri; è importante in questa esplorazione il contributo di Enrico Jannetta, alpinista che si diletta con l’attività speleologica. Vengono poi esplorate tutte le grotte evidenti e di facile raggiungimento. Nel 1925 viene scoperta la Grotta dell’Arco, lunga oltre 1 km, che diviene una delle più estese d’Italia. Nel 1926 viene esplorata la Grotta di Pastena. Con un’arrampicata di una quindicina di metri da parte di Cossilla viene raggiunto il ramo fossile che prenderà il nome di “Galleria Cossilla”. La bellezza degli ambienti fa pensare all’opportunità di renderne comoda la visita mediante opportuni lavori di adattamento. E’ così che, su proposta del CSR e con l’aiuto delle autorità locali, la Grotta di Pastena viene immediatamente resa turistica (inaugurazione del 30 maggio 1927). Nel 1927 viene trovato l’Abisso la Vettica. Alessandro Datti, l’uomo di punta del CSR, compie due tentativi di discesa (maggio 1927 e giugno 1930) scendendo per 130 m, costantemente esposto sotto il getto dell’acqua, ed illumina il pozzo per altri 50 m senza scorgerne il fondo (SEGRE, 1948a). Si tratta della massima profondità raggiunta in quell’epoca nel Lazio. In questi anni il CSR avvia le esplorazioni di diverse importanti grotte. Sono quasi tutti inghiottitoi attivi; le notevoli difficoltà esplorative che comporta la presenza dei torrenti sotterranei talvolta impetuosi impediscono l’esplorazione dei tratti profondi. Vengono percorsi parzialmente l’Ovito di Petrella (1924), l’Inghiottitoio dell’Imele, l’Ovito di Pietrasecca, (1925) il Catauso di Sonnino (1928) e l’Inghiottitoio di Luppa, che si presenta con tutte le sue difficoltà e i suoi pericoli: Datti, Franchetti, Leva e Pietromarchi si salvano a stento da una piena. Durante l’esplorazione dell’Inghiottitoio di Val di Varri (1929) e della Grotta Patrizi (1933) vengono trovati importanti reperti preistorici. Dal 1937, cessata l’attività del CSR, le ricerche sono svolte prevalentemente da singoli. Nel 1939 Alberto Carlo Blanc, archeologo, mentre studia le grotte del Circeo viene avvertito del ritrovamento di un teschio nella Grotta Guattari e lo studia approfonditamente. Nel 1942 i prof. Guareschi e Morandini con un gruppo di giovani (tra cui Segre) esplorano, compiono osservazioni scientifiche e studi, misurano parametri ambientali nell’Ovito di Pietrasecca, nell’Inghiottitoio di Luppa e nella Grotta di Pastena. Durante la seconda guerra mondiale molte grotte diventano ricovero contro i bombardamenti e per sfuggire ai soldati alleati.

1946-1954 - Il dopoguerra I MATERIALI E LE TECNICHE In questo periodo si verifica un notevole miglioramento delle tecniche e dei materiali. Si trovano sul mercato scalette militari in cavetto d’acciaio e pioli in legno (Azario), molto più leggere e affidabili di quelle di corda; per le lunghe verticali vengono utilizzati verricelli che consentono di calare e recuperare gli esploratori. Negli altri casi l’assicurazione è sempre effettuata dall’alto, da uno dei compagni, con sicura a spalla di tipo alpinistico. Una vera rivoluzione nei sistemi di illuminazione è rappresentata dall’introduzione delle batterie a secco per gli impianti elettrici; spesso viene utilizzato il doppio impianto di illuminazione, elettrico e ad acetilene, montato sul casco. Si trovano in commercio i primi canotti in gomma e le prime mute stagne; inizia così l’epoca delle prime esplorazioni speleosubacquee.

LO SCENARIO REGIONALE Viene fondata il 20 giugno 1873, a Palazzo Wedekind, la Sezione di Roma del CAI. Nel 1904 i soci Cora, Hoz, Abbate, Mastio e Liotard scrivono alla presidenza della Sezione CAI di Roma che “i sottoscritti sono convinti dell’importanza che avrebbe l’esplorazione e lo studio delle grotte e caverne dell’Italia centrale, propongono la costituzione fra soci del Club Alpino Italiano di un circolo speleologico” (GRASSI, 1996). Il 5 luglio 1904 viene fondato all’interno della Sezione CAI di Roma il Circolo Speleologico Romano (CSR): viene nominato presidente Guido Cora (CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1904b). La prima escursione sociale si svolge l’11 maggio 1905 alla Grotta Beatrice Cenci (CORA, 1905). Nel decennio 1905-15 vengono effettuate ricognizioni ed esplorazioni delle grotte dell’Inferniglio, del Soratte, di Collepardo e della Maiella. Se si esclude la breve relazione di Cora, non si è conservata traccia dell’attività e delle esplorazioni del CSR fino al 1920. LE ESPLORAZIONI Nell’ “Annuario della Sezione di Roma del CAI del 1888-91” compaiono alcuni articoli riguardanti

LO SCENARIO REGIONALE Da Venezia arriva a Roma il barone Carlo Franchetti che, a partire dal 1919, si dedica alla riorganizzazione del CSR e all’esplorazione delle cavità carsiche del Lazio e dell’Abruzzo occidentale, allora poco conosciute. Il 1 aprile 1924 a Palazzo Datti, in Corso Vittorio Emanuele II, viene stipulato l’atto notarile di Costituzione del CSR. Per una quindicina d’anni il CSR compie molte importanti esplorazioni; con il passare del tempo, però, l’attività diviene meno intensa, fino ad estinguersi del tutto nel 1937; alcuni soci isolati proseguono l’attività al di fuori del gruppo. Oltre a Franchetti, sono da ricordare alcuni nomi: Alberto Carlo Blanc, Alessandro Datti, Enrico Jannetta, Saverio Patrizi, Paolo Pietromarchi, Claudio Ranieri, Luigi Tosti di Valminuta, Camillo Zileri dal Verme.

Il parco materiali del CSR negli anni ‘20 (foto archivio CSR)

LO SCENARIO NAZIONALE La ripresa dopo la fine della guerra non è facile. Il Catasto nazionale, che era conservato a Postumia, è stato trafugato dai tedeschi in ritirata e verrà parzialmente recuperato solo dopo molti anni. Con la perdita del Catasto scompare anche l’Istituto Italiano di Speleologia. L’attività speleologica riparte, ma ci vorrà quasi un decennio per tornare ai livelli di prima. Nel 1946 nasce il Centro Speleologico Italiano del Touring Club Italiano. Nel 1949 viene pubblicato il primo fascicolo della Rassegna Speleologica Italiana, fondata, diretta e organizzata da Salvatore Dell’Oca, speleologo

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tecnica della sicura dall’alto, che costringeva a lasciare un uomo sopra ogni pozzo, o a salire senza assicurazione. Vengono poi sperimentati attrezzi come il dressler (dal suo inventore Bruno Dressler, speleologo francese), un bloccante che consente di salire assicurandosi su una corda fissa affiancata alla scala, senza aiuto da parte di altri. Per la discesa viene introdotto il sistema della corda doppia, con tecnica alpinistica, e successivamente attrezzi che consentono di scendere sulla corda senza usare le scale, come il discensore. Grande attenzione, a questo punto, viene posta sui chiodi: si sostituiscono i chiodi a fessura, di uso alpinistico, prima con i chiodi a pressione, poi con gli spit, chiodi a espansione autoperforanti utilizzati anche in edilizia, che vengono infissi nella roccia tramite un punzone e un martello. Fra gli indumenti viene preferita la tuta in tela, e si comincia ad utilizzare imbracature da paracadutismo o da alpinismo.

16 ottobre 1948, il CSR al Congresso Nazionale di Speleologia di Asiago: da sinistra C. Imperi, S. Patrizi, uno speleologo, A.G. Segre, C. Franchetti, G. Pighetti, M. e R. Rossi Marcelli, in basso al centro uno speleologo (foto archivio CSR)

e imprenditore comasco. Il 25 giugno 1950 a Verona un gruppo di speleologi fonda la Società Speleologica Italiana (SSI). Il CSR aderisce a quest’ultima iniziativa; Carlo Franchetti prima e Aldo G. Segre poi, vengono eletti nel consiglio direttivo della SSI. Ghidini (1954) elenca i gruppi speleologici presenti in Italia in questo periodo, riportando per ognuno di essi il numero di soci; il CSR, con i suoi 105 iscritti, risulta di gran lunga il gruppo italiano più numeroso. In Italia la grotta più profonda resta l’Antro del Corchia; nel mondo il dislivello maggiore viene esplorato nel 1953 nei Pirenei, in un abisso al confine fra Francia e Spagna, la Sima de la Piedra de San Martin (-689 m), superato l’anno successivo dalle esplorazioni al Gouffre Berger (Francia; -903 m).

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LO SCENARIO REGIONALE Nel marzo 1946, alcuni giovani rifondano il CSR. A presiedere viene chiamato Carlo Franchetti. Il CSR si riprende lentamente dalla perdita del materiale sociale, e oltre a continuare le esplorazioni nel Lazio si occupa di grotte in Abruzzo, Campania e Sardegna. Il gruppo si distingue anche nelle ricerche biospeleologiche; viene avviata, infatti, da parte di alcuni soci, una consistente attività di ricerca e studio della fauna ipogea, che è rimasta anche nei decenni successivi una peculiarità del CSR. Nel 1948 Aldo G. Segre pubblica “I fenomeni carsici e la speleologia del Lazio”, che oltre ad essere il riassunto delle conoscenze speleologiche dell’epoca, è anche un trattato scientifico sul fenomeno carsico. Se Franchetti è l’anima del CSR, Segre ne è l’organizzatore e Enzo Spicaglia l’uomo di punta in quasi tutte le esplorazioni più importanti. Fra gli speleologi più attivi del periodo sono da ricordare Marcello Astorri, Marcello Cerruti, Saverio Patrizi, Antonio Mario Radmilli, Claudio Ranieri, Mario, Renato e Vittorio Rossi Marcelli.

LO SCENARIO NAZIONALE Dopo gli anni della ripresa inizia un periodo di prosperità per l’attività speleologica. Nasce un gran numero di gruppi, e gli speleologi, benchè sempre pochi, crescono notevolmente di numero. Sulla scia di quanto organizzato dal CAI in ambito alpinistico (il Corpo Nazionale di Soccorso Alpino) e dopo una serie di tragici incidenti in grotta, nasce nel 1966 il Corpo Nazionale di Soccorso Speleologico, che poi si fonderà con quello alpino. Il CAI inizia ad interessarsi maggiormente dell’ambiente speleologico, e crea la Commissione Centrale di Speleologia, che presto arriverà ai ferri corti con la SSI, soprattutto in tema di soccorso e di catasto. L’Antro del Corchia è ancora la grotta più profonda d’Italia, con le esplorazioni del 1960 il dislivello raggiunto diventa di -668 m. Nel 1963 lo scettro passa alla Spluga della Preta (Monti Lessini, Veneto) profonda 878 m, poi nel 1969 all’Abisso Gortani (Monte Canin, Friuli-Venezia Giulia; -892 m) che l’anno successivo viene approfondito fino a -920 m. Infine le esplorazioni alla Grotta di Monte Cucco (Umbria) portano il nuovo record di profondità a -922 m. Nel mondo la massima profondità passa dal Gouffre Berger (Francia; -985 m nel 1955; -1122 nel 1956; -1135 nel 1963) al Réseau de la Pierre Saint-Martin (o Sima de la Piedra de San Martin, nei Pirenei; la grotta ha infatti numerosi ingressi sia in territorio francese che spagnolo) che raggiunge -1171 m nel 1966 e -1321 nel 1975. LO SCENARIO REGIONALE Nel 1955 nasce l’URRI, una associazione che si occupa anche di speleologia. La morte per incidente stradale di Carlo Franchetti, leader che riusciva a far coesistere le forti personalità presenti nel CSR, porta all’uscita dal gruppo di alcuni soci. Fausto Schirò e Arnaldo Botto passano all’URRI, Giorgio Silvestri fonda il Gruppo Speleologico Anxur di Terracina (Anxur), Giovanni Meo Colombo costituisce un effimero sodalizio che si chiama Sezione Speleologica della Società Tirrenica di Scienze Naturali, Franco Consolini fonda il Gruppo Grotte Roma (GGR) con alcuni amici paracadutisti . Fin qui si tratta di fuoriuscite di singoli soci. Alla fine del 1958, invece, 12 soci escono dal CSR e 10 di loro insieme ad altri appassionati fondano lo Speleo Club Roma (SCR) (Pasquini, 1999). La scissione è carica di polemiche e inutilmente l’anziano conte Datti, presidente del CSR, cerca di evitarla. Le conseguenze presenteranno aspetti contrastanti: per molti anni gli speleologi dei due gruppi cercheranno di sottrarsi vicendevolmente le esplorazioni, o diffonderanno dati esagerati sui

LE ESPLORAZIONI Dopo la pausa dovuta alla guerra, le esplorazioni riprendono lentamente. Nel 1946 il CSR in collaborazione con la Società Speleologica Svizzera, invitata da Segre che aveva trascorso in Svizzera parte della guerra, raggiunge il lago terminale dell’Ovito di Pietrasecca. Nel 1953, con una imponente organizzazione, viene completata l’esplorazione dell’Abisso la Vettica: Enzo Spicaglia raggiunge per primo il fondo a -223 m (-172 nei rilievi successivi). Nello stesso anno vengono esplorate una serie di grotte tra cui l’Ouso di Pozzo Comune, che con il dislivello di 260 m (-190 nei rilievi successivi) diventa la più profonda del Lazio e la Grotta degli Ausi (1300 m di sviluppo) che diventa la più lunga.

1955-1975 - Nuovi gruppi I MATERIALI E LE TECNICHE Si verifica un nuovo salto tecnologico. Dalle scale Azario si passa alle scale in cavetto d’acciaio e piolo in alluminio, autocostruite e ancora più leggere; invece delle corde di canapa si utilizzano quelle “dinamiche” realizzate in materiali sintetici, e già utilizzate dagli alpinisti. Successivamente le scalette divengono ancora più leggere, e soprattutto cambia la tecnica di assicurazione degli esploratori; l’introduzione dell’autosicura mediante una carrucola posta in cima al pozzo sostituisce la vecchia

Agosto 1958, i partecipanti del CSR alla spedizione internazionale Ojo Guarena: da sinistra A. Angelucci, A. Todeschini, G. Pasquini e M. Franchetti (foto archivio A. Angelucci)

Immersione nella Risorgenza dell’Obbuco nel 1966 (foto L. Ferri Ricchi; tratta dal libro “OLTRE L’AVVENTURA” di Lamberto Ferri Ricchi, edizioni IRECO - http://istitutoireco.org)

risultati ottenuti, tanto che a tutt’oggi per alcune grotte, non più rilevate da allora, non si conoscono le esatte misure, mentre in quelle che sono state nuovamente rilevate sono stati riscontrati quasi sempre errori consistenti. Ma la scissione avrà anche conseguenze positive: l’agonismo che si scatena fra i gruppi porta ad incrementare l’attività, e i risultati, soprattutto nei primi anni, sono notevoli. La lite continua anche sul tema ‘catasto delle grotte del Lazio’, creato negli anni ’20 dal CSR. Gli altri gruppi (URRI, Anxur e SCR) minacciano la costituzione di un nuovo catasto. Tramite la mediazione del presidente della SSI si stabilisce che il catasto è di tutti, ma che continua ad essere aggiornato e gestito dal CSR. Nel 1961 il GGR confluisce nello SCR, che in questo periodo, oltre a dedicarsi alla ricerca, punta fortemente sull’aspetto esplorativo, sperimentando metodi per velocizzare l’esplorazione tramite la discesa dei pozzi a corda doppia e l’alleggerimento delle scale con cavetti più sottili. Nel 1962, infine, viene fondato il Gruppo Speleologico CAI Latina (GS CAI Latina). Il leader dello SCR è Giorgio Pasquini, che come socio del CSR aveva partecipato alle spedizioni al Gouffre Berger in Francia e all’Ojo Guarena in Spagna, che gli avevano dato notorietà. Per una quindicina d’anni sarà esploratore, consigliere SSI, promotore di spedizioni, convegni, soccorso e scuole di speleologia, e scriverà numerosi lavori su temi attinenti il fenomeno carsico e il miglioramento delle tecniche di progressione. Nel 1966 nasce in Italia il Soccorso Speleologico, Sezione dell’allora C.S.A. (Corpo Soccorso Alpino) del CAI. Le Delegazioni in origine sono cinque, e alla V compete l’organizzazione del soccorso nel Lazio, in Abruzzo ed in tutto il territorio dell’Italia Meridionale. La V Delegazione Speleologica del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (C.N.S.A.S.) nasce il 4 luglio di quell’anno, dopo un lavoro preparatorio effettuato tra gli speleologi del Lazio e dell’Abruzzo da Giorgio Pasquini, primo delegato. La successiva nascita di altre Delegazioni Speleologiche ha fortunatamente ristretto l’area operativa della V Delegazione fino ad arrivare all’attuale copertura limitata alla sola regione Lazio. All’interno dello SCR, dopo un periodo di grandi successi culminati nella fantastica discesa sportiva del Gouffre Berger in Francia (all’epoca, la grotta più profonda del mondo), nascono alcuni dissapori soprattutto tra il leader Pasquini ed altri soci. Questi ultimi escono dal gruppo e fondano l’Associazione Speleologica Romana (ASR). Si ripropone lo stesso scenario della guerra tra CSR e SCR. Lo SCR, decimato, organizza il X Congresso Nazionale di Speleologia. L’organizzazione riuscirà a far ricevere i rappresentanti degli speleologi da Papa Paolo VI. Anche la gestione del congresso porta


Spedizione “Consolini ‘61” dello SCR, un momento di relax al campo. Da sinistra, in piedi: gli inviati del giornale Paese Sera e B. Camponeschi; seduti: G. Pasquini, G. Stampacchia, R. Trigila, A. Turco, G. Befani, B. Toro, T. Cocozza; in seconda fila: F. Negrini e il giornalista Mannoni (foto Pais e Saltarelli di Paese Sera; archivio Alberta Felici.)

altre polemiche, che si concluderanno con l’espulsione di Pasquini dallo SCR nel 1970. Esce dallo SCR anche Nicola Ferri, che fonda un gruppo denominato “Documentazioni e Ricerche Geonaturali”, che però avrà vita breve. Nel 1968 viene fondato il Gruppo Speleologico Autonomo Romano - Speleo Raid, che il 22 giugno 1971 entra nella Sezione di Roma del CAI con il nome di Gruppo Speleologico CAI Roma (GS CAI Roma). A seguito delle esplorazioni del CSR nella zona di Esperia, nasce nel 1969 il Circolo Speleologico Esperiano (CSE). Nello stesso anno viene fondato lo Speleo Club Formia (SCF), che sarà attivo per alcuni anni. Nel 1970 inizia la sua attività il Gruppo Speleologico Grottaferrata (GSG). Fra i più importanti esploratori di questo periodo, oltre ai nomi già citati, sono da ricordare: Mario Franchetti (figlio di Carlo), Giorgio Marzolla, Francesco Pedone, Valerio Sbordoni e Gianfranco Trovato (CSR), Franco Consolini (GGR), Antonello Antonelli, Italo Bertolani, Claudio Giudici, Alberta Felici, Antonio Mariani, Massimo Monaci, Maurizio Sagnotti, Gianni Stampacchia e Renato Testa (SCR) Gianni Befani, Alberto Moretti e Guido Saiza (prima SCR poi ASR), Vittorio Castellani, Sandro De Angelis e Mario Ranieri (URRI), il grande speleosubacqueo Lamberto Ferri Ricchi e Giulio Cappa, proveniente da Milano.

LE ESPLORAZIONI Terminata l’esplorazione dell’Abisso la Vettica, gli interessi degli esploratori si rivolgono verso i problemi rimasti aperti, soprattutto i grandi inghiottitoi attivi. In questo periodo le tecniche consentono di colmare questa lacuna. Dal 1955 al 1959 il CSR inizia le nuove esplorazioni all’Inghiottitoio di Luppa. Al margine di questa esplorazione nascono e covano i rancori che daranno vita alla scissione di un gruppo che poi formerà lo SCR. L’esplorazione finale degenera in una competizione tra i due gruppi, nella quale intervengono anche i carabinieri. Nel 1956 il CSR conclude le esplorazioni del Catauso di Sonnino. L’Anxur scopre la Chiavica di Zì Checca, una delle maggiori profondità dell’epoca (-110). L’URRI compie nel 1959 due importanti esplorazioni: l’Abisso di Pizzo Deta e l’Inghiottitoio dell’Imele, quest’ultimo con tecniche più vicine all’alpinismo che alla speleologia dell’epoca. Sempre nel 1959 lo SCR completa l’esplorazione dell’Ovito di Petrella e torna a percorrere l’Ovito di Pietrasecca. Ancora nel 1959 Guy Van den Steen (CSR) scopre nell’Inghiottitoio di Val di Varri un ramo che oggi porta il suo nome; la grotta diventa così la più lunga della regione; il CSR la esplora insieme alla Risorgenza di Civitella. In entrambe le grotte si ritrova in competizione con lo SCR. Nel 1960 lo SCR, guidato da Biagio Camponeschi e Massimo Monaci, esplora il Pozzo della Creta Rossa, già visitato parzialmente pochi anni prima dal CSR. Nel 1960 il GGR inizia l’esplorazione di un nuovo grande abisso, che dedica al suo fondatore Franco Consolini, morto in un lancio con il paracadute. Il piccolo gruppo si trova in difficoltà a

continuare da solo, e chiede quindi l’aiuto dello SCR. I due gruppi insieme concludono l’esplorazione raggiungendo il fondo nel 1961. La spedizione fu organizzata da Giorgio Pasquini e, fra coloro che hanno partecipato, spiccano Alberta Felici, Massimo Monaci, Gianni Stampacchia e Raffaello Trigila. L’amicizia che si è instaurata fra i soci dei due gruppi fa sì che il GGR si fonda con lo SCR. L’Abisso Consolini (-258 poi corretto in -238 m), dopo l’aggiornamento da parte dello SCR del rilievo dell’Ouso di Pozzo Comune, che arriva ora a -195 m, diventa la grotta più profonda della regione. Una delle più rilevanti imprese di speleologia subacquea degli anni ‘60 è certamente quella organizzata dallo speleosub e geologo Lamberto Ferri Ricchi che con l ’appoggio dell ’URRI, accompagnato da Vittorio Castellani, Carlo De Gregorio, Cesare La Padula e Mario Ranieri, congiunge la Grotta di Pastena con la Risorgenza dell ’Obbuco, percorrendo un fiume sotterraneo lungo oltre due chilometri e superando in immersione ben sette sifoni. La serie di immersioni che conduce a questo risultato inizia nel 1963 per terminare nel 1968. La Grotta di Pastena diventa la più lunga del Lazio (3227 m) e una delle più lunghe d ’Italia. Nel 1967, con poche e decise puntate esplorative, lo SCR e l’Anxur (in particolare Alberto Moretti e Renato Testa) arrivano al fondo dell’Abisso della Ciauchella (-296 m) che diventa la grotta più profonda della regione. Contemporaneamente il CSR sta esplorando il Pozzo del Faggeto. Ci vorranno due anni di esplorazioni per superare la strettoia a -142 m, ma finalmente nel 1968 Francesco Pedone e Valerio Sbordoni raggiungono il fondo a -301 m di profondità; è il nuovo record regionale. Anche in questa esplorazione, come in tante altre, saranno utili gli accorgimenti tecnici preparati da Marcello Astorri. Sempre nel 1968 il Gruppo Speleologico Aquilano (GSA) esplora la Grotta di Vaccamorta. Nel 1969 il CSR si sposta sugli Aurunci, dove promuove la formazione del CSE ed esplora la Grava dei Serini. Lo SCR si concentra invece sugli Ernici, che fino a quel momento avevano dato scarsi risultati e, grazie alla tenacia di Antonello Antonelli, scopre l’Abisso di Monte Vermicano, la cui esplorazione dura un paio d’anni; con il fondo raggiunto nell’agosto 1973 da Pierluigi Bianchetti, Maurizio Sagnotti e Cristina Semorile, diventa a sua volta la grotta più profonda del Lazio (-383 m).

1976-1993 - La tecnica della sola corda I MATERIALI E LE TECNICHE L’evoluzione dei materiali e delle tecniche continua, permettendo un’altra grande innovazione: l’eliminazione delle scalette e l’introduzione delle tecniche per la progressione su sola corda. Gli attrezzi per la salita e la discesa sono di vari modelli, ai quali corrispondono tecniche diverse, anche se il Soccorso Speleologico punta a standardizzare il tipo di attrezzatura e i metodi di progressione. Le necessità imposte dalle nuove tecniche favoriscono la nascita una piccola industria che costruisce materiali, indumenti e attrezzi progettati ad hoc per la speleologia. L’abbigliamento migliora sfruttando i nuovi materiali sintetici; il sottotuta viene realizzato in pile, la tuta esterna in PVC o cordura. Anche i materiali e le tecniche di esplorazione subacquea subiscono profonde modifiche, incrementando i livelli di sicurezza.

1969, M. Sagnotti alla manovra di soccorso nell’Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta (foto archivio V. Castellani)

1972, esplorazioni dello SCR all’Abisso Vermicano. Da sinistra: C. Semorile, D. Lunghini., A. Antonelli, A. De Martino, P.L: Bianchetti e (in basso) M. Zampighi (foto M. Zampighi)

LO SCENARIO NAZIONALE Il GS CAI Perugia organizza per alcuni anni una manifestazione nazionale, la prima del suo genere, dove gli speleologi si incontrano e presentano i loro lavori in una forma più libera e meno burocratica di un congresso. Per diversi anni la manifestazione si tiene a Costacciaro (PG), poi viene organizzata di anno in anno in luoghi diversi. Nel 1981 vengono raggiunti -985 m di profondità alla Spluga della Preta (Monti Lessini, Veneto). Sembra che non si riesca a superare la fatidica quota -1000, quando nel 1983 si congiungono gli abissi dell’Antro del Corchia e Abisso Fighiera (Alpi Apuane, Toscana); il dislivello è di -1190 m. Nel mondo il maggior dislivello è ancora una volta in Francia: il Réseau Jean-Bernard (-1358 m nel 1979; -1402 nel 1980; -1455 nel 1981; -1494 nel 1982; -1535 nel 1983; -1602 nel 1989). LO SCENARIO REGIONALE Il cambio di tecnica di progressione da scale a sola corda determina la progressiva uscita di scena di molti speleologi. La nuova generazione inizia a percorrere le grotte in modo diverso, anche perché la sola corda consente di muoversi con maggiore libertà e facilità, consentendo di spingere le esplorazioni a profondità prima impensabili. La vita dei gruppi speleologici in questi anni è molto movimentata; si succedono una serie di scissioni e riunificazioni. Nel 1977 viene fondato il Gruppo Speleocimici CAI Viterbo, che avrà una breve durata a causa di un incidente alpinistico accaduto al suo principale animatore. Sempre nel 1977 viene fondato il Gruppo Speleologico Ciociaro “E. Comici” di Frosinone. Dopo pochi anni, diatribe interne provocano una spaccatura nel gruppo e successivamente una riunificazione all’interno della sezione CAI di Frosinone, con il nome di Gruppo Speleologico Ciociaro CAI Frosinone (GSC). Nel 1978 a Maranola, una frazione di Formia, viene fondato lo Gruppo Speleologico Aurunco Tri.Ma., ad opera di alcuni soci del disciolto Speleo Club Formia. Nel 1979 l’ASR rimane priva di sede, e chiede ospitalità allo SCR. La convivenza porta, infine, alla fusione dei due gruppi, e nasce così, nel 1981, il Centro Romano di Speleologia (CRdS) nome che avrà però vita breve, infatti cinque anni più tardi il gruppo riprende la vecchia denominazione SCR. Nel 1985 nasce il Niphargus Speleo Group Indipendente Capitolino, che, nel 1988, confluisce nel GS CAI Roma. Nel 1986 viene fondata l’Associazione Speleologica Romana ’86 (ASR’86). Nel 1988 viene fondato, a Subiaco, lo Shaka Zulu Club (SZC). Nel 1989 alcuni soci del CSR si separano dal gruppo, fondando l’Associazione Speleologi Romani (SR). Nello stesso anno viene fondato il Gruppo Speleologico Guidonia Montecelio (GSGM). Molti sono i nomi da ricordare di questo periodo, alcuni come esploratori, altri come organizzatori o studiosi, e molti di questi speleologi sono ancora attivi: Fabrizio Ardito, Oliviero Armeni, Tullio Bernabei, Andrea Bonucci, Federico Donati, Piero Festa, Stefano Gambari, Carlo Germani, Simone Gozzano, Marco e Giovanni Mecchia, Maurizio Monteleone, Giorgio Pintus, Massimiliano Re, Marco Topani e gli speleosub Luigi Ciocca, Matteo Diana, Claudio Giudici e Livio Russo. A questi seguono negli anni ’80: Giulio De Meo, Andrea Felici, Claudio Fortunato, Sonia Galassi, Andrea Giura Longo, Lorenzo Grassi, Fabio Mingolla, Marina Nuzzi, Anna Pedicone Cioffi, Giovanni Polletti, Simone Re, Giancarlo Spaziani, Gianluca Sterbini, Leonello Zannotti.

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LE ESPLORAZIONI Le nuove tecniche portano, oltre a nuovi protagonisti, anche un nuovo modo di cercare prosecuzioni in grotta. Il GS CAI Roma insieme all’ASR ed ad altri (Fabrizio Ardito, Tullio Bernabei, Andrea Bonucci, Matteo Diana, Piero Festa, Carlo Germani, Simone Gozzano, Marco Ricci e Marco Topani) rivisita sistematicamente, a partire dal 1977, l’Ouso di Pozzo Comune, scoprendo nuovi rami ed inaugurando un nuovo stile di collaborazione fra i gruppi. Il CSR inizia nel 1979 le esplorazioni nell’Abisso Gemma Gresele, che in breve tempo sarà collegato all’Abisso di Monte Vermicano (-439 m). Da quel momento la grotta diventa per il CSR la meta consueta. Con la regia di Stefano Gambari e Maurizio Monteleone, negli anni verranno esplorati innumerevoli rami, trovato un terzo ingresso (la Tana degli Eretici, 1997) e oggi il CSR è alla ricerca del quarto. Il Tri.Ma. inizia le esplorazioni all’Abisso Vallaroce (-401 m), che impegnerà Giulio De Meo e compagni dal 1977 al 1981. Il lavoro compiuto da questo piccolo gruppo ha aperto la strada alle esplorazioni di una zona dei Monti Aurunci allora poco conosciuta. Nel 1983 il GGP CAI Terni con un lungo lavoro di disostruzione entra nel grande reticolo sotterraneo della Grotta di Cittareale, il cui fondo (-450 m) viene raggiunto nel 1989. Anche qui le esplorazioni vengono condotte quasi ininterrottamente per alcuni anni, da poche persone (in particolare Elisabetta Preziosi e Paris Scipioni) con il ritrovamento di molti nuovi rami. Contemporaneamente il Gruppo Speleologico UTEC Narni (GS UTEC Narni) apre l’imbocco del Buco del Pretaro, dando vita ad una campagna esplorativa che occasionalmente offre nuovi rami. Nel 1983 gli speleosub Luigi Ciocca e Matteo Diana compiono una serie di immersioni nel 2° sifone della Grotta dell’Inferniglio, percorrendolo per ben 350 m. Rinunciano quando mancano solo 20 m alla fine del sifone. Le esplorazioni vengono riprese nel 1991: lo svizzero J.J. Bolanz e i francesi della Société des Naturalistes d’Oyonnax raggiungono il 5° sifone. La Grotta dell’Inferniglio diventa quindi il campo estivo abituale per i francesi, in collaborazione con lo SZC: nel 1993 si fermano davanti al 6° sifone; nel 1997 davanti al 7°; ed infine nel 1998 davanti al 10°. Nel 1984 il CRdS, trovando una prosecuzione in una grotta già conosciuta, scopre la Grotta di Monte Fato (-184) ed inizia le ricerche nei comuni di Supino e Gorga, che daranno grandi risultati. Il 1984 è per il GS CAI Roma l’anno delle grandi esplorazioni: alla base del pozzo d’ingresso dell’Ouso della Rava Bianca il GS CAI Roma individua la prosecuzione che approfondisce la grotta fino a -144. Nella sala del lago sifone dell’Ovito di Pietrasecca viene effettuata una risalita che porta alla scoperta di un bellissimo nuovo ramo. Ma la più importante scoperta dell’anno è, certamente, la Grotta Grande dei Cervi, aperta, su un’intuizione di Paolo Giaffei, dopo un lungo lavoro di scavo, ancora dal GS CAI Roma. Nel 1985 i belgi del Groupe De Recherches Speléologiques De Comblain-Au-Pont scoprono ed esplorano Buco Marcello, la più estesa cavità nei conglomerati del Lazio. Importante scoperta archeologica di ASR’86 e GS CAI Latina: nella Grotta Vittorio Vecchi vengono alla luce ossa umane e tanti reperti (1987). Inizia una nuova grande avventura dello SCR; la scoperta di un piccolo foro presso Campo Catino permette l’accesso ad un nuovo esteso sistema sotterraneo, la Grotta degli Urli, percorsa fino ad un primo fondo (1987). Dopo un periodo di stasi, le esplorazioni riprendono a cura soprattutto di Marco Mecchia, Andrea Felici, Marina Nuzzi, Anna Pedicone Cioffi, Giovanni Polletti, Simone Re, Gianluca Sterbini, e si raggiunge un nuovo fondo a -567 m (1989); la Grotta degli Urli diventa così la più profonda e la più lunga del Lazio. Approfittando di un prolungato periodo di siccità lo SCR riesce a percorrere la Grotta della Foce per 400 m (1989). I subacquei del GS CAI Foligno, in particolare Massimo Bollati, si immergono nella Risorgenza di Fontana le Mole superando cinque sifoni (1989) e scoprendo un chilometro di nuove gallerie. Il GS CAI Roma, dopo anni di infruttuosi tentativi ad opera di svariati speleologi romani, riesce nel 1989 a forzare il fondo dell’Abisso Consolini, dando l’avvio ad una campagna di esplorazioni (in particolare Sonia Galassi, Andrea Giura Longo, Lorenzo Grassi, Fabio Mingolla, S. Re e Leo Zannotti) che durerà anni, raggiungendo un nuovo fondo a -555 m. Pedicone Cioffi supera una strettoia su cui terminava l’Inghiottitoio di Camposecco (1990): il CSR raggiunge uno stretto sifone a -237 m. Riprendendo le esplorazioni subacquee iniziate dall’ASR nel 1968, il GS CAI Foligno supera i sifoni iniziali alla Grotta del Formale (1990), uscendo in un labirinto di gallerie. Nel 1991 lo SCR completa le esplorazioni dello stretto e scomodo Abisso Enriquez. Il Tri.Ma. e il GS CAI Latina iniziano nel 1991 le esplorazioni all’Abisso Shish Mahal (-315), che li terranno impegnati per un paio d’anni. Nell’ottobre 1991 coadiuvata da un gruppo misto SCR e CSR, Letizia Argenti (CSR) supera con le bombole il primo sifone della Grotta degli Urli a -567. Il 1992 è un buon anno per lo SCR: Giudici si immerge nel sifone della Risorgenza la Rologa, emergendo dopo 180 m in una galleria, tuttora non percorsa. Con il permesso dell’ENEL viene

Luglio 1987: i partecipanti al campo interno all’Abisso Vermicano. Da sinistra: G. Sterbini, S. Sgarbi, A. Pedicone Cioffi, M. Mecchia, R. Mazza e A. Felici (foto Andrea Felici)

rivisitata la Grotta del Pertuso, trovando un passaggio che permette di risalire il ramo attivo. Sul primo pozzo dell’Abisso la Vettica S. Re, con una spettacolare pendolata, scopre il passaggio per un nuovo ramo verticale, e in breve viene raggiunto il nuovo fondo (-360 m).

1994-2002 - La Federazione Speleologica del Lazio I MATERIALI E LE TECNICHE Viene introdotto l’uso del trapano a batteria per un più rapido posizionamento degli attacchi e dei frazionamenti, sostituendo il vecchio punzone per piantare gli spit; nuovi tipi di chiodi filettati (fix), più lunghi e di diametro minore, vengono utilizzati sempre più frequentemente. La ricerca di migliorie nei materiali si rivolge anche al campo dell’illuminazione, vengono sperimentate lampade elettriche che sfruttano i led al posto delle lampadine tradizionali.

LO SCENARIO NAZIONALE Aumentano le grotte che superano o avvicinano la profondità di -1000 m, ma la grotta con il maggiore dislivello resta sempre nelle Alpi Apuane (Toscana): nel 1989 è l’Abisso Ulivifer (-1215 m), poi l’Abisso Paolo Roversi (-1249 m nel 1993; -1300 nel 2002). La grotta più lunga è il Complesso Corchia-Fighiera con 50 km di gallerie esplorate. Nel mondo le cavità con maggiore sviluppo sono la Lamprechstofen (Austria) che raggiunge i -1632 m, la Gouffre Voronja (Georgia) i -1710 m e, infine, la Gouffre Mirolda che nel 2003 raggiunge i -1733 m di dislivello, mentre la cavità più estesa è Mammoth Cave System (USA) con oltre 560 km di sotterranei esplorati. LO SCENARIO REGIONALE Sull’onda della protesta contro la turisticizzazione dell’Inghiottitoio di Val di Varri, con l’esigenza di una rappresentanza unica verso le amministrazioni locali, nasce la Federazione Speleologica del Lazio che raggruppa la quasi totalità dei gruppi attivi nella regione. Sempre in fermento la vita dei gruppi. Dal GS CAI Roma escono alcuni soci che costituiscono nuovi gruppi: la Stalattite Eccentrica, l’Associazione Speleologica Egeria e, di nuovo, il Gruppo Grotte Roma Niphargus. L’1 settembre 1999 viene approvata dalla Regione Lazio la legge regionale sulla “Tutela del patrimonio carsico e valorizzazione della speleologia”, che rappresenta l’avvia di rapporti istituzionali tra le associazioni speleologiche della regione e gli enti locali. LE ESPLORAZIONI Il 1994 è un anno ricco di novità: il GS CAI Roma esplora la Grotta Ciaschi, portando nuovi elementi alla conoscenza di un settore dei Monti Lepini; lo SZC, sotto la guida di Angelo Procaccianti, esplora l’Abisso Nessuno (-222 m), importante grotta nei Monti Simbruini; lo SCR supera la frana terminale della Grotta di Monte Fato (Andrea Felici, Anna Pedicone Cioffi e Paolo Turrini), e dopo aver percorso un lungo meandro Maurizio Barbati, Marco Mecchia, Simone Re e Turrini raggiungono il nuovo fondo (-336 m); il Gruppo Grotte CAI Teramo scopre un nuovo ramo nella Grotta di Luppa. Dopo molti anni di abbandono, riprendono le esplorazioni alla Grotta di Pastena: quattro

speleologi del GS Ciociaro CAI Frosinone scoprono ed esplorano il Ramo della Luna (1995). Un lungo scavo, in cui si è prodigato Umberto Randoli, consente al GS CAI Roma di penetrare nella splendida Grotta del Secchio (1995). Lo SCR continua a lavorare nelle grotte dell’Altopiano di Gorga, tra le quali vengono rivisitati l’Ouso a due Bocche di Monte Pisciarello (1995) che con i nuovi rami raggiunge la profondità di -221 m, e l’Ouso di Passo Pratiglio (1996) che in seguito a un’opera di scavo viene percorso fino a -299 m; alle due esplorazioni partecipano Barbati, Andrea Benassi, Guido Ceccarelli, Stefano Feri, M. Mecchia, Valerio Olivetti, Giuseppe Paris, Stefano Pianella, Stefano Soro, Aldo Zambardino ed altri. Dopo i risultati ottenuti dal GS CAI Roma alla Grotta Ciaschi, Alberta Felici e Giulio Cappa organizzano lo svuotamento con pompe dei sifoni iniziali della Grotta del Formale (1996), superati in immersione dal GS CAI Foligno qualche anno prima. E’ così possibile percorrere questa importante cavità senza attrezzature subacquee, realizzando un notevole risultato esplorativo e scientifico. Giancarlo Spaziani supera un quinto sifone, oltre il quale si aprono vasti ambienti ancora inesplorati. Il 1996 è anche l’anno in cui il GSG riesce a superare la strettoia al fondo della Grotta dell’Arco, vincendo l’opinione comune secondo la quale questa frequentatissima grotta non poteva regalare nuove diramazioni. Ma soprattutto inizia le esplorazioni nella Grava dei Serini, che terranno impegnato il gruppo per alcuni anni. Nella Grotta degli Urli, nel 1997 un’impegnativa serie di immersioni nei sifoni finali ad opera degli speleologi toscani Guidotti e Baroni, si conclude davanti al 3° sifone (-610, nuova massima profondità del Lazio). L’ASR’86 (1998) supera le strettoie terminali della Grotta del Rapiglio (Antonella Santini) esplorandone un nuovo lungo tratto, e dell’Inghiottitoio di Camposecco (S. Re); quest’ultima grotta termina con un sifone a -415 m. I subacquei Giorgio Caramanna e Riccardo Malatesta iniziano le immersioni nel Pozzo del Merro, raggiungendo i 100 m di profondità (1999). Il pozzo continua a scendere verticalmente; si decide così di chiedere aiuto ai vigili del fuoco. Con tre successive spedizioni viene inviato un robot (ROV) che scende fino alla profondità di 392 m dal pelo dell’acqua (2002). Nel 1999 l’ASR’86 (in particolare Francesco Nozzoli, Olivetti, S. Re e Marco Taverniti) inizia le esplorazioni di nuovi rami nell’Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta, dove viene raggiunta la profondità di 300 m. Attualmente la grotta continua su due lunghi e distinti rami. Lo speleosub Spaziani supera il sifone iniziale, lungo 100 m, della Risorgenza di Zompa lo Zoppo (1999); quindi il GSGM (Franco Bufalieri, Franco Ciocci, Isabella Triolo ed altri) insieme allo Shaka Zulu ed ad altri gruppi svuota il sifone con l’uso di pompe, iniziando una serie di esplorazioni in questa importante cavità nei conglomerati. Benassi, Turrini ed altri (ARSDEA) nel 2000 raggiungono, con una serie di impegnative esplorazioni, il sifone terminale dell’Inghiottitoio di Campo di Caccia (-610, anch’esso il più profondo della regione). Negli anni a seguire l’ARSDEA continuerà ad esplorare nuovi rami della grotta. Ancora gli speleosub in azione: Marco Giordani e Edoardo Malatesta (ASR’86) esplorano la Risorgenza di Capo d’Acqua (2000). Le esplorazioni alla Grotta di Cittareale, mai interrotte, proseguono ad opera di speleologi marchigiani e umbri che trovano nuove vie per il fondo, (2001). Negli ultimi anni i lavori sono coordinati da Elisabetta Preziosi e Paris Scipioni dell’Associazione Speleologi Italia Centrale di Capitone (Terni). Il GS CAI Roma, e Andrea Giura Longo in particolare, continua le esplorazioni dell’Ouso della Rava Bianca. Aprendo un piccolo buco soffiante (2000), si accede ad una serie quasi ininterrotta di pozzi, rilevata fino a -676, ma già percorsa fino a profondità maggiori (ottobre 2002). E’ questa oggi la cavità più profonda del Lazio.


Note sulla tecnica di progressione in grotta La tecnica di grotta è un insieme di tecnica di progressione, criteri di movimento e conoscenze che permette di muoversi negli ambienti sotterranei naturali, con il minimo impegno fisico e la massima sicurezza. Questa tecnica, tradizionalmente ed in particolar modo negli ultimi anni, tende ad essere uguale su tutto il territorio italiano. Questo è possibile perché elementi tecnici e materiali così specifici sono più facilmente assimilabili e gestibili tramite i gruppi speleologici organizzati che hanno, tra loro, sempre più contatti e scambi d’informazioni. Anche per questo motivo è opportuno avvicinarsi alla speleologia frequentando uno dei corsi di primo livello che ogni anno sono organizzati dai gruppi speleologici italiani. A questo processo d’uniformazione ha contribuito la struttura speleologica del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico e la pubblicazione di manuali tecnici a diffusione nazionale. La tecnica di esplorazione - La ricerca nelle aree carsiche e l’esplorazione di nuove grotte sono il fondamento della speleologia, disciplina che come nessun’altra, oggi, unisce l’aspetto scientifico e sportivo con l’esplorazione geografica. Tra gli speleologi il termine “esplorazione”, significa scoprire e scendere in una grotta “nuova”, cioè dove nessun uomo è mai entrato prima, oppure in diramazioni inesplorate di grotte già conosciute. L’osservazione dell’ambiente, il rilevamento, la scoperta di nuove grotte, quindi l’applicazione di tecniche basate sulle conoscenze scientifiche, possono essere complessivamente definiti come “tecniche di esplorazione”. La descrizione della tecnica di grotta e della tecnica di esplorazione esula dalle intenzioni di quest’opera. Consigliamo a chi vuole approfondire l’argomento, la lettura di testi specifici. Riteniamo comunque opportuno dare, a chi sta avvicinandosi adesso alla speleologia, quelle che attualmente sono le linee generali di comportamento e le basi della tecnica di grotta adottate dalla comunità speleologica per la progressione e la sicurezza nell’attività.

L’ambiente e la tecnica L’ambiente ipogeo naturale è costituito da elementi minerali quali roccia, acqua e dall’aria. Tuttavia le caratteristiche ambientali e morfologiche delle grotte possono variare molto tra le diverse aree geografiche ed anche tra grotte dello stesso massiccio montuoso. Gli aspetti morfologici e ambientali che influiscono sulla difficoltà, sulla pericolosità e quindi sull’impegno complessivo per la progressione, sono la dimensione e la forma degli ambienti, l’acqua, la temperatura, la qualità della roccia, la profondità e la lunghezza della cavità ma anche l’ambiente esterno, generalmente di montagna, che richiede conoscenza specifica e attenta valutazione. A questa varietà di caratteristiche si adeguano opportunamente le tecniche ed i materiali utilizzati. Tra le oltre 1400 grotte naturali conosciute nella regione Lazio, esistono esempi dei diversi ambienti e morfologie. La maggior parte delle cavità si sviluppa verticalmente, quindi per visitarle è necessario usare le tecniche di progressione su corda, specifiche per la speleologia; altre sono caratterizzate dalla presenza di tratti allagati che obbligano gli speleologi ad usare mute per proteggersi e materiali stagni e galleggianti per avanzare. In alcune grotte, è possibile esplorare tratti completamente sommersi, i “sifoni”, con la tecnica della speleologia subacquea, praticata nella nostra regione da pochi “speleosub” che hanno esplorato diversi condotti sotterranei lunghi molte centinaia di metri. Questa pericolosa attività, assolutamente specialistica, impone all’esploratore una rigorosa osservanza delle norme di sicurezza. I meandri e le strettoie sono strutture peculiari delle grotte. I primi sono ambienti costituiti da due pareti opposte più o meno vicine, a volte tortuosi, stretti, bagnati, fangosi o parzialmente ostruiti da massi di frana. La progressione in meandri con queste caratteristiche è molto faticosa. Generalmente, le grotte più impegnative sono quelle che hanno lunghi tratti di meandro stretto. La strettoia è un breve tratto di grotta le cui dimensioni rendono difficile e selettivo il passaggio del corpo.

Vestiario e illuminazione La temperatura in grotta non scende sotto lo zero, ma l’umidità dell’aria e l’acqua, che spesso insieme al fango bagna gli indumenti, rendono il freddo delle grotte fastidioso e capace di far perdere allo speleologo molta energia. Una tuta in nylon robusta, comoda, traspirante e un “sottotuta” termico sono gli indumenti base, ma per limitare la dispersione di calore può essere importante soprattutto quando si è fermi, coprire bene testa, mani e piedi, che sono le parti del corpo che cedono più calore. Valido, come sempre, per conservare il calore, il metodo di copertura del corpo con più strati d’indumenti sottili. Le calzature più usate sono gli stivali di gomma con la suola scolpita; in alternativa sono usati scarponi da montagna. Il casco da roccia, indispensabile, oltre a proteggere la testa, serve a

sostenere gli impianti d’illuminazione. L’illuminazione dello speleologo è composta da due sistemi indipendenti: uno principale a gas acetilene ed uno elettrico. Un’apposita bombola con carburo di calcio e acqua produce per reazione chimica il gas che è trasferito con un sottile tubo di gomma al casco dove, da un beccuccio in ceramica, brilla la fiamma accesa da un accenditore piezoelettrico. Il secondo impianto, elettrico, è alimentato da batterie ed utilizza lampadine normali o alogene e dall’anno 2001 si stanno diffondendo rapidamente anche fotofori a diodi luminosi (LED). Per evitare il cattivo funzionamento di questi impianti, è necessaria un’attenta e costante manutenzione. Lo speleologo deve essere autonomo. Per questo é fondamentale non avere mai bisogno della luce degli altri e portare ognuno con sè acqua e carburo.

Forza e movimento

corda è efficace, sicura e poco faticosa. Prima di affrontare un tratto armato con corda, è opportuno controllare tutta la propria attrezzatura, l’impianto d’illuminazione, assicurare bene il sacco all’imbracatura, e quindi muoversi con cautela per evitare di far cadere sassi nei pozzi. È una buona regola controllare sempre, personalmente, lo stato delle corde e degli ancoraggi ad ogni passaggio e anche di averli lasciati posti correttamente dietro di sé. Nelle grotte con molti tratti attrezzati con corda, è necessario organizzare il movimento di squadra: distribuire opportunamente i materiali e procedere distanziati l’uno dall’altro per evitare di dover sopportare lunghe soste al freddo nell’attesa che la corda si liberi. Per salire pareti in esplorazione, è usata la tecnica di arrampicata artificiale, derivata dall’alpinismo.

Le grotte più impegnative, che non sempre sono le più profonde, richiedono esperienza, allenamento e una buona organizzazione di squadra. Per utilizzare al meglio le energie e privilegiare la sicurezza, conviene muoversi con calma e concentrazione, evitando di spostarsi velocemente, soprattutto nei passaggi faticosi o tecnici. Durante le lunghe percorrenze in grotta, lo speleologo esperto procede con passo regolare e limita le soste al minimo indispensabile; quando si ferma per aspettare altri, usa il tempo delle inevitabili soste per fare la manutenzione dell’impianto d’illuminazione, mangiare, bere, ecc. L’intensità del respiro e della sudorazione sono indicatori inequivocabili del modo con cui lo speleologo si sta muovendo. Sudare più del necessario è un errore che nelle lunghe permanenze in grotta si paga con la disidratazione e la perdita di calore; inoltre, muoversi bene, con calma e concentrazione, riduce molto il rischio d’incidenti come le scivolate e la caduta di pietre. Nei meandri stretti è fondamentale controllare bene il proprio movimento, specialmente se si trasporta il sacco carico di materiali. È conveniente pensare ai movimenti prima di farli, limitare l’attrito con la roccia, adattare la tecnica di trasporto del sacco ai diversi passaggi e togliersi di dosso tutto ciò che può impigliarsi come cordini, moschettoni, attrezzi, ecc. Per evitare improvvisi indebolimenti dovuti ad un bilancio energetico sfavorevole, è necessario bere e consumare piccoli pasti frequentemente. Nell’attività speleologica, l’aspetto mentale è strettamente legato a quello fisico, e assume una grande importanza nelle lunghe e faticose permanenze in grotta, dove è necessario adattarsi all’ambiente e gestire le proprie risorse con equilibrio e autocontrollo. Lo speleologo che ha queste capacità riesce a conservare tale comportamento anche dopo molte ore d’attività, quando la stanchezza e i pericoli ad essa legati chiedono un elevato livello d’attenzione. Data questa premessa, è evidente che gli aspetti tecnici e comportamentali tesi ad una conveniente gestione delle energie, quindi all’alimentazione, al bilancio termico, al movimento individuale e di squadra, assumono un’importanza determinante solo nelle esplorazioni più dure, quando è necessario gestire un elevato impegno psicofisico per molte ore consecutive. Le norme di sicurezza, diversamente, devono essere sempre considerate fondamentali, anche nelle brevi e facili esplorazioni.

Pericoli e prevenzione

Arrampicare

Il C.N.S.A.S., sezione speciale del Club Alpino Italiano, è un’efficiente struttura presente su tutto il territorio nazionale. La sezione speleologica, con circa settecento speleologi volontari, è formata da 13 delegazioni regionali. Nella regione Lazio esiste da quaranta anni, con sede a Roma, una squadra di speleologi. Riportiamo, qui in seguito, lo schema sulle procedure per la richiesta d’intervento di soccorso, elaborato e diffuso dallo stesso C.N.S.A.S. Valutare la gravità delle ferite dell’infortunato basandosi su osservazioni evidenti: risponde alle domande? Può muoversi? Respira con fatica? Ha un battito cardiaco apprezzabile? Ha lesioni esterne? Non lasciare mai solo l’infortunato, a meno che non sia assolutamente necessario. Avvisare il C.N.S.A.S. tramite i numeri di telefono diffusi dalla stessa organizzazione. Allertare, preferibilmente, prima il delegato di zona o il vice-delegato o il caposquadra. Comunicare in modo chiaro le proprie generalità e quelle della persona infortunata, la natura dell’incidente e le sue conseguenze, la località in cui è accaduto, e tutte le informazioni sulla grotta che possono essere utili. Specificare il numero del telefono da cui si sta parlando. Attendere una chiamata di conferma con eventuali istruzioni da parte dei responsabili delle operazioni. Non allontanarsi dal telefono da cui si dà l’allarme.

Una caratteristica tipica dell’arrampicare in grotta, è la frequente possibilità di sfruttare pareti opposte e di usare quindi le efficaci tecniche di “opposizione” o “contrasto” con tutto il corpo, comprese schiena, cosce, spalle ecc. Valgono le regole del movimento sopra descritte e quelle della normale arrampicata in roccia: sfruttare il più possibile la forza delle gambe risparmiando quella delle braccia, tenere il corpo staccato dalla parete, studiare prima i movimenti e farli poi in sequenza ordinata, recuperare l’energia prima di affrontare i passaggi duri o insidiosi respirando correttamente e rilassando i muscoli, evitare, se possibile, di usare appoggi o appigli distanti.

Tecnica di progressione su corda Specifica per la speleologia, è basata sul metodo delle “corde fisse”, sulle quali lo speleologo si muove in modo autonomo, per superare tratti verticali e proteggersi nei passaggi esposti. Nel gergo speleologico, l’azione di disporre i chiodi e le corde nelle grotte, si dice “armare”; i tratti verticali sono detti pozzi, i tratti molto ripidi sono detti scivoli e i passaggi orizzontali che necessitano di essere armati con corda sono detti traversi. Le corde sono ancorate alla roccia con tasselli ad espansione d’acciaio (spit – fix) o ad ancoraggi naturali come spuntoni, colonne, “clessidre” e massi. Per il collegamento della corda ai chiodi si usano anelli, piastrine, moschettoni d’acciaio o d’alluminio e cordini. Quando sulla corda transita uno speleologo, questa non deve fare attrito contro la roccia, per evitare lesioni e anche distacchi di pietre dalle pareti. Per questo, lungo le pareti nei punti dove é necessario, sono usati ancoraggi per fissare o deviare la corda, detti frazionamenti e deviatori. Usando una buona tecnica di movimento e prestando la dovuta attenzione, la progressione su

Gli speleologi attivi in Italia, quasi tutti organizzati in gruppi, sono circa duemila a cui si aggiungono alcune migliaia che hanno brevi e occasionali esperienze con le grotte (Dati riferiti agli anni novanta). Le statistiche sugli incidenti nell’attività speleologica nello stesso periodo, dimostrano che questi, in Italia, sono circa venticinque ogni anno di cui cinque gravi e meno di due mortali. Alla luce di questi dati possono essere fatte alcune considerazioni: il numero di incidenti è relativamente esiguo perché l’esplorazione delle grotte necessita di tecniche molto specifiche e la maggior parte degli speleologi forma la sua esperienza nelle “scuole di speleologia” dei gruppi, dove sono fornite le nozioni di base e i materiali tecnici per la progressione e la sicurezza, uniformi sul territorio nazionale. Le condizioni ambientali ipogee, inoltre, sono naturalmente stabili nel tempo; le variabili si riducono a poche e prevedibili eventualità: (es. piene causate da forti piogge). Contrariamente, l’ambiente montano esterno, morfologicamente più vario e complesso, è soggetto alle variazioni climatiche stagionali e meteorologiche. Infine, l’attività speleologica non comprende la ricerca della difficoltà e quindi del pericolo come aspetto sportivo, come, al contrario, avviene in altre attività legate alla montagna. Le principali cause di lesioni in speleologia sono, nell’ordine, le scivolate e la caduta di pietre, dirette conseguenze dell’imperizia e della disattenzione. Altre cause, meno frequenti, sono gli errori di manovra sulle corde e il cedimento degli ancoraggi su roccia. Il sonno, la stanchezza e la perdita dell’autocontrollo sono condizioni che aumentano molto il rischio d’incidenti. Esistono alcune importanti regole di comportamento da adottare in caso d’incidente: dominare l’ansia ed evitare azioni impulsive al fine di non aggravare la situazione con errori di valutazione o altri incidenti. Il più esperto deve assumere il controllo delle azioni del gruppo e quindi coordinare i primi soccorsi al ferito. È opportuno che tutti gli speleologi conoscano le tecniche di primo soccorso ad un infortunato perché le condizioni ambientali delle grotte, specialmente il freddo e l’acqua, possono compromettere la sua sopravvivenza.

Il Corpo Nazionale di Soccorso Alpino e Speleologico

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PARTE II - IL CARSISMO SOTTERRANEO DEL LAZIO EVOLUZIONE GEOLOGICA DELL’APPENNINO LAZIALE-ABRUZZESE ...............................................................0 RIQUADRO 1 – “LE LITOFACIES CARBONATICHE” ........................................................................................................0 Le piattaforme carbonatiche ............................................................................................................0 LA PIATTAFORMA CARBONATICA LAZIALE-ABRUZZESE ...............................................................................................0 LA PIATTAFORMA CARBONATICA MORRONE-PIZZALTO-ROTELLA ....................................................................................0 I bacini di mare aperto e le zone di raccordo con la piattaforma .............................................................0 LA SUCCESSIONE UMBRO-MARCHIGIANO-SABINA ....................................................................................................0 LA SUCCESSIONE TOSCANA.........................................................................................................................0 La sedimentazione calcarea nel Langhiano-Serravalliano ......................................................................0 La costruzione dell’Appennino centrale e il carsismo ...........................................................................0 LA STRUTTURAZIONE DELLA CATENA APPENNINICA ..................................................................................................0 L’INIZIO DELLA CARSIFICAZIONE DOPO LA STRUTTURAZIONE .........................................................................................0 LA CATENA DERIVANTE DALLA DEFORMAZIONE DEL DOMINIO DI PIATTAFORMA CARBONATICA ..........................................................0 LA DORSALE DEI VOLSCI .............................................................................................................................................................................. 0 I MONTI SIMBRUINI-ERNICI .......................................................................................................................................................................... 0 I MONTI CARSEOLANI ................................................................................................................................................................................. 0 RIQUADRO 2 – “IL GRADO DI CARSIFICAZIONE DELLA CATENA APPENNINICA LAZIALE-ABRUZZESE”...................................................0 IL MASSICCIO DI MONTE VELINO-MONTE NURIA E LA MARSICA OCCIDENTALE............................................................................................................... 0 L’ETEROGENEITÀ DELLA CATENA E IL CARSISMO ................................................................................................................................................... 0 LA CATENA DERIVANTE DALLA DEFORMAZIONE DEI DOMINI DI BACINO ................................................................................0 IL LAZIO NORD-OCCIDENTALE E LA SABINA ....................................................................................................................................................... 0 L’AREA DI MONTE PRATO-MONTE LAGHETTO NEI MONTI SIBILLINI MERIDIONALI .......................................................................................................... 0 LE DIFFERENZE DI CARSIFICAZIONE FRA LE LITOFACIES CARBONATICHE ...............................................................................0 IL CARSISMO SOTTERRANEO NELLA FALDA TOSCANA E NELLA FALDA UMBRO-MARCHIGIANO-SABINA ..................0 Il Lazio Nord-occidentale ................................................................................................................0 IL MONTE CANINO E I TRAVERTINI DEL FIUME FIORA ..............................................................................................0 LA “SPINA” CALCAREA DI MONTE CANINO ........................................................................................................................................................ 0 LE PIASTRE DI TRAVER TINO DEL FIUME FIORA ................................................................................................................................................... 0 RIQUADRO 3 – “I TRAVERTINI” .................................................................................................................0 I MONTI DELLA TOLFA............................................................................................................................0 IL MONTE DELLE FATE................................................................................................................................................................................ 0 RIQUADRO 4 – “GROTTE EPIGENICHE E GROTTE IPOGENICHE DEL LAZIO” ..........................................................................0 I TRAVER TINI DI SANTA SEVERA..................................................................................................................................................................... 0 RIQUADRO 5 – “LE GROTTE NEI TERRENI VULCANICI”.............................................................................................0 LE LAVE DI MONTE VENERE SUL VULCANO DI VICO ................................................................................................0 ALTRI AFFIORAMENTI DI TRAVERTINO, CONGLOMERATI E TUFI .......................................................................................0 IL MONTE SORATTE ..............................................................................................................................0 L’UNITÀ TETTONICA “DI MONTE SORATTE”........................................................................................................................................................ 0 RIQUADRO 6 – “I GRANDI AMBIENTI CARSICI SOTTERRANEI” ......................................................................................0 L’UNITÀ TETTONICA “DI SANT’ORESTE” ........................................................................................................................................................... 0 I TRAVER TINI DI FIANO ROMANO .................................................................................................................................................................... 0 I TRAVER TINI DI CIVITA CASTELLANA................................................................................................................................................................ 0 La dorsale Monte Cosce–Monti di Narni e il settore sabino dell’Unità dei Monti Martani ..............................0 LA DORSALE MONTE COSCE-MONTI DI NARNI .....................................................................................................0 I TRAVER TINI DI CALVI NELL’UMBRIA ............................................................................................................................................................... 0 IL SETTORE DEI MONTI SABINI SETTENTRIONALI A OVEST DELLA FAGLIA SABINA ...................................................................0 La falda Sabina, i Monti Reatini, i Monti Sibillini, il Circeo .....................................................................0 I MONTI SIBILLINI MERIDIONALI ...................................................................................................................0 I MONTI REATINI.................................................................................................................................0 GLI AFFIORAMENTI DI TRAVER TINO NELLA VALLE DEL FIUME VELINO ......................................................................................................................... 0 LA SABINA .......................................................................................................................................0 UNITÀ 1 DELLA SABINA: IL MONTE MORRA ...................................................................................................................................................... 0 UNITÀ 2 DELLA SABINA: IL MASSICCIO DI MONTE GENNARO E I MONTI CORNICOLANI ....................................................................................................0 RIQUADRO 7 – “CLASSIFICAZIONE DELLE GROTTE FREATICHE: IL ‘FOUR STATE MODEL’ DI FORD & EWERS (1978)” ............................0 I TRAVER TINI DELLE ACQUE ALBULE................................................................................................................................................................ 0 UNITÀ 3 DELLA SABINA: MONTI SABINI SETTENTRIONALI, MASSICCIO DI MONTE FOLLETTOSO-MONTE MARCONE E MONTI TIBUR TINI ..........................................0 I DEPOSITI DI TRAVER TINO DEI FIUMI NERA, FARFA E ANIENE ................................................................................................................................ 0 UNITÀ 4 DELLA SABINA: MONTI SABINI ORIENTALI, MONTI RUFFI E MONTI PRENESTINI ................................................................................................0

IL MONTE CIRCEO ................................................................................................................................0 IL CARSISMO SOTTERRANEO NELLA FALDA LAZIALE-ABRUZZESE................................................................0 La dorsale dei Volsci ......................................................................................................................0 GROTTE E SPROFONDI NELLA PIANURA PONTINA ...................................................................................................0 LA PIASTRA DI TRAVER TINO DI CISTERNA DI LATINA ............................................................................................................................................. 0 GLI ALTRI SPROFONDI ................................................................................................................................................................................. 0 I MONTI LEPINI ..................................................................................................................................0 L’UNITÀ TETTONICA OCCIDENTALE DEI MONTI LEPINI ............................................................................................................................................. 0 L’UNITÀ TETTONICA ORIENTALE DEI MONTI LEPINI................................................................................................................................................ 0 RIQUADRO 8 – “IL CONTROLLO STRUTTURALE NELLO SVILUPPO DELLE GROTTE” ....................................................................0 IL MONTE SISERNO ................................................................................................................................................................................... 0 I MONTI AUSONI .................................................................................................................................0 IL SETTORE OCCIDENTALE DEI MONTI AUSONI..................................................................................................................................................... 0 RIQUADRO 9 – “MORFOLOGIE CARSICHE IPOGEE: I CONDOTTI VADOSI E I CONDOTTI FREATICI” ......................................................0 IL SETTORE ORIENTALE DEI MONTI AUSONI ....................................................................................................................................................... 0 I MONTI AURUNCI ................................................................................................................................0 UNITÀ DI MONTE CEFALO–MONTE LAUZO........................................................................................................................................................ 0 UNITÀ DI MONTE PETRELLA ......................................................................................................................................................................... 0 LE GROTTE NEL CONGLOMERATO DEL PROMONTORIO DI GIANOLA.............................................................................................................................. 0 Le dorsali Monti Simbruini–Monti Ernici–Monte Cairo–Monti di Venafro-Monte Maio...................................0 I MONTI SIMBRUINI ..............................................................................................................................0 IL SETTORE NORD-ORIENTALE DEI MONTI SIMBRUINI ........................................................................................................................................... 0 LA CONCA DI VALLEPIETRA E LA DORSALE MONTE TARINO–MONTE TINTEROSSE.......................................................................................................... 0 IL MONTE AUTORE .................................................................................................................................................................................... 0 IL SETTORE CENTRALE DEI MONTI SIMBRUINI ..................................................................................................................................................... 0 L’AREA DI CERVARA DI ROMA ....................................................................................................................................................................... 0 LE PROPAGGINI NORD-OCCIDENTALI DEI MONTI SIMBRUINI..................................................................................................................................... 0 LA VALLE DELL’ANIENE............................................................................................................................................................................... 0 RIQUADRO 10 – “I POZZI D’INGRESSO E L’ACQUIFERO EPICARSICO” ..............................................................................0 I MONTI ERNICI ..................................................................................................................................0 I MONTI ERNICI NORD-ORIENTALI .................................................................................................................................................................. 0 I MONTI ERNICI SUD-OCCIDENTALI.................................................................................................................................................................. 0 LA VALLE LATINA ...................................................................................................................................................................................... 0 IL MONTE CAIRO .................................................................................................................................0 IL MASSICCIO CALCAREO DI MONTE CAIRO ......................................................................................................................................................... 0 I DEPOSITI DI TRAVER TINO............................................................................................................................................................................ 0 LE GROTTE NELLE PUDDINGHE DI SANTOPADRE................................................................................................................................................... 0 IL MONTE MAIO .................................................................................................................................0 I MONTI DI VENAFRO.............................................................................................................................0 La catena Velino-Nuria-Giano, i Monti Carseolani, il Monte Val di Varri, la Marsica occidentale e il massiccio della Meta–Mainarde ...................................................................................................0 LE CATENA MONTE GIANO–MONTE NURIA–MONTE VELINO .......................................................................................0 MONTE GIANO–MONTE GABBIA .................................................................................................................................................................... 0 MONTE NURIA .......................................................................................................................................................................................... 0 MONTE VELINO–MONTE SAN ROCCO.............................................................................................................................................................. 0 I MONTI CARSEOLANI.............................................................................................................................0 MONTE PIANO.......................................................................................................................................................................................... 0 L’UNITÀ PIETRASECCA-TUFO BASSO ................................................................................................................................................................ 0 L’UNITÀ ROCCACERRO-MONTE GUARDIA D’ORLANDO ........................................................................................................................................... 0 RIQUADRO 11 – “GLI INGHIOTTITOI ALLOGENICI”................................................................................................. 0 LE UNITÀ MONTE VALMINIERA-TAGLIACOZZO E MONTE GIRIFALCO-MONTE ARUNZO ...................................................................................................... 0 LA DORSALE MONTE VAL DI VARRI–MONTE FAITO................................................................................................0 LA MARSICA OCCIDENTALE ........................................................................................................................0 LA DORSALE DI MONTE MARCOLANO............................................................................................................................................................... 0 LA DORSALE DI MONTE CORNACCHIA............................................................................................................................................................... 0 LE BRECCE DI CAMPOLI APPENNINO................................................................................................................................................................ 0 I MONTI DELLA META-MAINARDE.................................................................................................................0 LE DORSALI DI MONTI CASTELNUOVO, ROCCHETTA AL VOLTURNO E PIZZONE .......................................................................0

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EVOLUZIONE GEOLOGICA DELL’APPENNINO LAZIALE-ABRUZZESE Le montagne dell’Appennino laziale-abruzzese sono il risultato di una storia geologica lunga e articolata, che prese l’avvio all’inizio dell’era Mesozoica, nel Triassico medio (circa 230 milioni di anni fa). Nel Lazio, infatti, le testimonianze più antiche della storia geologica del proto-Appennino si trovano nei Monti Romani, presso il confine con la Toscana, dove la trasgressione marina e l’inizio di un nuovo ciclo sedimentario sono segnalati dalla presenza di sedimenti clastici grossolani di ambiente da continentale a litorale (il “Verrucano”). Nel Triassico sup., il cambiamento di ambiente in un bacino di acque poco profonde o di circolazione ristretta, determinò la sedimentazione dei depositi evaporitici delle “Anidriti di Burano” nell’area tosco-umbro-marchigiana, che già in questo periodo era separata dall’area laziale-abruzzese da importanti faglie (linea Ancona-Anzio) (CENTAMORE ET ALII, 2002). Gradualmente iniziarono poi a deporsi sedimenti carbonatici di acqua sottile, dapprima dolomitici poi calcarei (“Calcare Massiccio”), che andarono a costituire una piattaforma estesa a gran parte dell’Appennino centrale (“paleopiattaforma”) (Fig. 1). Nel Lias medio la paleo-piattaforma si disarticolò per cause tettoniche. In un vasto settore dell’area laziale-abruzzese si conservarono le condizioni ambientali di piattaforma carbonatica, mentre all’esterno l’annegamento dell’originaria piattaforma diede luogo a bacini di mare aperto (Fig. 2).

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RIQUADRO 1 – “LE LITOFACIES CARBONATICHE” Le “litofacies” riuniscono le rocce in gruppi che riflettono condizioni ecologiche e deposizionali analoghe, legate ad un determinato ambiente sedimentario; identificando la componente faunistica e floristica si distinguono le facies di età diversa. Applicando questi criteri alle successioni carbonatiche affioranti nell’Appennino centrale, ACCORDI & CARBONE (1988) hanno identificato 27 litofacies carbonatiche fondamentali, ognuna costituita da un certo numero di litotipi. Le litofacies evidenziano l’evoluzione della sedimentazione succedutasi nel tempo a causa dei cambiamenti nei rapporti tra i parametri fondamentali (subsidenza tettonica, sedimentazione, variazioni del livello marino). Fra le caratteristiche di cui si tiene conto nello studio di un litotipo, oltre ai caratteri litologici generali, è compresa l’osservazione sul campo delle sequenze cicliche, dei cambiamenti di facies e delle strutture sedimentarie, mentre al microscopio e in laboratorio si definiscono la tessitura, la porosità e permeabilità, la mineralogia e la geochimica della roccia. E’ evidente che tutte queste caratteristiche concorrono a differenziare la risposta della roccia ai processi carsici. Per descrivere i fenomeni carsici, nella realizzazione di questo volume si è scelto di utilizzare la suddivisione dei terreni geologici riportata nelle “Note illustrative alla Carta delle litofacies del LazioAbruzzo ed aree limitrofe” di ACCORDI & CARBONE (1988); quindi, in tutta la documentazione di seguito riportata (carte, profili geologici, colonne stratigrafiche) si farà riferimento alla numerazione delle litofacies della suddetta pubblicazione; solo alcune piccole modifiche sono state apportate, allo scopo di mettere in maggiore risalto alcuni aspetti importanti per il carsismo. Nell’introduzione alla parte successiva di questo libro è riportata la legenda utilizzata per tutti i profili geologici. Uno schema, tratto da ACCORDI & CARBONE (1988), del contesto ambientale in cui, nel tempo, si sono sedimentate le litofacies carbonatiche è riportato in questo capitolo in figura 1. Per quanto riguarda la cartografia geologica, uno sguardo d’insieme è fornito dalla già citata carta delle litofacies di ACCORDI & CARBONE (1988), alla scala 1:250.000, che comprende tutta l’area di studio ad eccezione della valle del Fiora a NW e dei M. Sibillini meridionali a NE, e dal “Modello litostratigrafico-strutturale della Regione Lazio” di BIGI, COSENTINO, PAROTTO (1988), alla stessa scala, che comprende tutto il territorio regionale. Relativamente alla geologia delle singole aree carsiche, sono state utilizzati i Fogli della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 e 1:50.000, e numerose altre fonti a scala anche molto più di dettaglio, indicate nel testo.

Le piattaforme carbonatiche LA PIATTAFORMA CARBONATICA LAZIALE-ABRUZZESE La “piattaforma carbonatica” doveva avere un aspetto simile a quello delle odierne Bahamas (Fig. 2). Questa grande struttura rocciosa di forma tabulare, fu prodotta in condizioni di acque marine basse dalla deposizione di fanghi e gusci calcarei. La sedimentazione avvenne di pari passo con la subsidenza della piattaforma, consentendo quindi la conservazione dell’ambiente di deposizione (Fig. 1); così, nell’arco di quasi 200 milioni di anni i depositi calcarei raggiunsero uno spessore complessivo di oltre 4000 metri. Durante il Cretacico inf. la piattaforma rimase in relativa quiete tettonica. Piccoli disequilibri tra velocità di sedimentazione e variazioni del livello della lama d’acqua determinavano l’alternanza di fasi cicliche di sommersione (con deposizione di calcari) e di esposizione all’atmosfera (con

Figura 2 - In alto: il margine Nord-orientale del Great Bahama Bank, occupato da un’ampia fascia di sabbie oolitiche solcate da canali tidali (da Bosellini, 1985). In basso: distribuzione delle facies nell’Appennino centrale. Il M. Soratte e l’Isola di Zannone sono state interpretate, pur con incertezze, come correlate alle unità toscane (da Parotto & Praturlon, 1975).

Figura 1 - Rappresentazione schematica delle principali fasi evolutive della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese

e del bacino umbro-sabino dal Trias sup. al Miocene medio (da ACCORDI & CARBONE, 1988).


sviluppo di cavità carsiche singenetiche). E’ infatti opportuno sottolineare che una parte consistente dei depositi calcarei si sedimenta a profondità inferiori ai 10 m sotto il livello del mare. Importante, per l’impostazione del carsismo in tempi molto successivi, è la deposizione durante l’Aptiano sup. del “livello argilloso-marnoso-calcareo a Orbitolina” (tipico macroforaminifero dal guscio lenticolare del diametro di qualche millimetro), con resti di organismi che indicano apporti di acqua dolce, di probabile ambiente lagunare in condizioni prossime alla continentalità. Nel Cretacico sup. le vicende geodinamiche in cui la piattaforma era coinvolta comportarono importanti modificazioni paleogeografiche, con attivazione di faglie, sollevamento ed emersione delle parti interne dei “blocchi” e annegamento dei settori periferici. Nelle zone più interne e sollevate si sviluppò un’intensa attività carsica, con formazione di terre rosse e bauxiti, depositi ricchi di allumosilicati residui insolubili della dissoluzione dei calcari, forse connessi anche a eruzioni vulcaniche che contemporaneamente interessavano zone circostanti. Situazioni simili a quelle della piattaforma carbonatica mesozoica si rinvengono anche sulle coste carbonatiche attuali, con differenze di comportamento fra aree tropicali e aree subtropicali a causa delle influenze climatiche sulla deposizione dei carbonati. Fenomeni carsici ipogei, analoghi a quelli che si sviluppano lungo le coste delle piattaforme carbonatiche attualmente in formazione (Bahamas, Bermuda, Porto Rico, Yucatàn, Tonga, costa Australiana, ecc.) dovevano essere diffusi anche durante il Mesozoico. In un’isola carbonatica attuale si rinvengono condotti carsici originati sia in corrispondenza della superficie topografica (per infiltrazione delle acque piovane e sviluppo dei condotti attraverso la zona vadosa), sia sulla superficie piezometrica (cioè alla sommità della lente di acqua dolce che riceve le acque di infiltrazione), sia sul fondo della lente di acqua dolce, dove le acque salate marine si miscelano con l’acqua di falda (MYLROIE & CAREW, 2000, Fig. 3). Comunque, le cicliche glaciazioni avvenute nel Quaternario hanno determinato significative differenze nell’evoluzione del carsismo delle piattaforme carbonatiche rispetto a quanto avvenuto nelle piattaforme attive nel Mesozoico; infatti, le variazioni eustatiche del livello del mare provocate dalle glaciazioni hanno comportato la traslazione verticale della lente di acqua dolce in un intervallo di un centinaio di metri, favorendo così lo sviluppo del carsismo. Nonostante la notevole estensione che i fenomeni carsici devono aver raggiunto nel lungo lasso di tempo rappresentato dall’era Mesozoica, non sono giunte a noi cavità ipogee percorribili (o almeno non sono state ancora scoperte). Come generalmente avviene, anche nell’Appennino alla fase speleogenetica è seguito il seppellimento dell’area sotto altri depositi. In queste condizioni la porosità della roccia progressivamente diminuisce anche se probabilmente non si annulla mai del tutto; comunque, le cavità che sopravvivono al seppellimento (“paleocarsismo”) possono avere dimensioni anche considerevoli e, in ogni caso, i vuoti che permangono aumentano la porosità totale dell’ammasso roccioso e possono facilitare la carsificazione successiva (KLIMCHOUK & FORD, 2000a). Dal punto di vista idrogeologico ne consegue che un acquifero carsico ha la proprietà di “ricordare” tutti i suoi stati precedenti anche se molto lontani nel tempo (KIRALY, 1975).

LA PIATTAFORMA CARBONATICA MORRONE-PIZZALTO-ROTELLA Durante il Mesozoico, a Est della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese, e da questa separata da un bacino marino del quale oggi quasi non rimangono tracce, s’incontrava una seconda piattaforma carbonatica (Fig. 2), denominata di “Morrone-Pizzalto-Rotella” (D’ANDREA ET ALII, 1992). Verso NE la piattaforma arrivava a comprendere la Maiella, mentre verso Sud si spingeva almeno fino al M. Alpi, in Basilicata. L’area di studio considerata in questo volume comprende anche la piccola dorsale di M. Castelnuovo, costituita da rocce calcaree depositate in questa piattaforma e oggi situata appena all’esterno del fronte di sovrascorrimento della Meta-Mainarde.

I bacini di mare aperto e le zone di raccordo con la piattaforma LA SUCCESSIONE UMBRO-MARCHIGIANO-SABINA Il margine della grande piattaforma laziale-abruzzese è attualmente riconoscibile con continuità a Ovest (margine sabino: Monti Prenestini, Ruffi, Tiburtini, Lucretili, Sabini), a Nord (Gran Sasso, M. d’Ocre) e a Est (Marsica orientale, Meta); a Sud la zona di margine non affiora, ma deve presumibilmente passare al di sotto della Pianura Pontina, fra il Circeo e i M. Lepini. Nell’area circostante le acque basse della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese si estendevano i bacini di mare aperto umbro-marchigiano (a Ovest, Nord e NE) e molisano (a SE), nei quali, al di sopra del Calcare Massiccio depositato nel Lias inf. in ambiente di piattaforma carbonatica, si depositavano argille, fanghi più o meno calcarei e sabbie fini. L’area di transizione fra il margine occidentale della piattaforma carbonatica e il bacino marino corrisponde all’attuale Sabina (vedi anche quanto riportato sul “plateau sabino” nel paragrafo

carbonatici. La distribuzione areale dei depositi e le differenze di litofacies sono strettamente connesse con le morfologie preesistenti e con la continua evoluzione del dominio stesso. I depositi trasgressivi (“Calcari a Briozoi e Litotamni”) poggiano sulle rocce più antiche generalmente con analoga giacitura, a volte con marcata discordanza angolare. In questo periodo, nelle aree più occidentali, in emersione, si sviluppò un reticolo idrografico che alimentò con materiale clastico i depositi calcarenitici (CENTAMORE ET ALII, 2002). L’avvio dell’orogenesi dell’Appennino determinò la fine della sedimentazione calcarea e la formazione di profonde depressioni nelle quali si andarono a deporre migliaia di metri di torbiditi silico-clastiche.

Figura 3 - Rappresentazione schematica della carsificazione in un’isola carbonatica (da Mylroie & Carew, 2000).

dedicato al Monte Cosce). In questa zona di raccordo si depositò una successione stratigrafica simile a quella di bacino ma interessata da notevoli apporti carbonatici detritici, che si riducevano progressivamente allontanandosi dall’orlo della piattaforma, con intercalazioni marnoso-argillose. La successione calcareo-silico-marnosa della Sabina e le correlazioni con la successione lazialeabruzzese sono rappresentate in figura 4. Sui calcari della paleo-piattaforma si sedimentò il calcare micritico sottilmente stratificato con liste di selce della formazione della “Corniola”, che segnala un approfondimento dell’ambiente di deposizione. Dalla fine del Lias medio nella fascia di transizione iniziarono a depositarsi sedimenti con un certo contenuto di argilla, molto variabile, costituiti prevalentemente da alternanze di calcari e marne (formazioni del “Rosso Ammonitico”, dei “Calcari diasprigni”, delle “Marne a Posidonia” e delle “Marne ad Aptici”). Al di sopra, fra la fine del Giurassico e l’inizio del Cretacico, si depositarono i calcari a grana finissima e con liste di selce della “Maiolica”, molto puri e di colore bianco. La deposizione calcarea fu interrotta da un livello argilloso-marnoso (formazione delle “Marne a fucoidi”). Successivamente, dal Cretacico sup. all’Eocene, si depositò l’ultimo termine della successione carbonatica in cui oggi si osserva una carsificazione significativa, la “Scaglia”, costituita da calcari e calcari marnosi. I termini successivi della successione, fino al Miocene, sono rappresentati da marne, calcari detritici e brecciole, la cui carsificazione è generalmente trascurabile. A differenza di quanto contemporaneamente accadeva nella piattaforma, le aree di bacino rimasero sommerse per tutto il Mesozoico e oltre. In queste condizioni, non fu possibile l’instaurarsi dei processi carsici.

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LA SUCCESSIONE TOSCANA A Ovest delle unità umbro-marchigiano-sabine, nei piccoli affioramenti delle finestre tettoniche di M. Canino e del M. delle Fate, emergono rocce del substrato calcareo che trovano corrispondenza nella successione toscana. Il dominio toscano, che cominciò a separarsi da quello umbro-marchigiano nel Cretacico inf., risulta comunque molto simile a questo, anche se nell’area laziale è assente il calcare tipo Maiolica; la successione toscana si rinviene in continuità di sedimentazione fino agli “scisti policromi” del Cretacico sup.–Eocene inf. (COCOZZA, 1963). Anche il M. Soratte sembra caratterizzato da una successione ad affinità toscana (OGNIBEN ET ALII, 1975). In considerazione anche della sua posizione geografica, in questo volume questa piccola dorsale è stata inserita insieme alla falda toscana nel “Lazio Nord-occidentale”, che comprende tutta l’area situata sulla destra del Fiume Tevere.

La sedimentazione calcarea nel Langhiano-Serravalliano Nell’esteso intervallo che va dall’Eocene al Miocene inf., durante il quale si realizzava un’attività tettonica relativamente intensa, l’area della piattaforma laziale-abruzzese è caratterizzata dalla mancanza di depositi (“lacuna paleogenica”). La trasgressione marina del Miocene (Langhiano-Serravalliano) non avvenne contemporaneamente su tutta l’area, ma progredì dai margini verso le parti interne dei “blocchi”

Figura 4 - In alto: modello paleogeografico dell’area di transizione tra piattaforma carbonatica e bacino (modificato da Scrocca & Tozzi, 1999). In basso: correlazione tra la successione sabina e la successione laziale-abruzzese (da Cosentino & Parotto, 1991).


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La costruzione dell’Appennino centrale e il carsismo LA STRUTTURAZIONE DELLA CATENA APPENNINICA La costruzione dell’Appennino si avvia alla fine dell’Oligocene–inizio Miocene a causa della collisione fra i margini continentali dell’Europa e della placca africana (MALINVERNO & RYAN, 1986). L’orogenesi della catena appenninica “a pieghe e sovrascorrimenti” si propaga verso Est nel corso di più fasi tettoniche, con il trasporto e la sovrapposizione di “blocchi” dell’antica piattaforma carbonatica e delle aree bacinali, determinando un accorciamento della superficie iniziale stimato intorno al 50% (COSENTINO & PAROTTO, 1986). In questo volume è stato adottato il modello cinematico-strutturale elaborato da CIPOLLARI ET ALII (1995), che propone una strutturazione della catena appenninica in 6 “momenti di migrazione” a partire dall’inizio del Miocene. Nel corso di ogni “momento di migrazione” il fronte compressivo si sposta e va a coinvolgere settori sempre più orientali. Alcuni settori già coinvolti nella catena, comunque, si riattivano successivamente con sovrascorrimenti “fuori sequenza”. Le aree dell’Appennino coinvolte nei diversi “momenti” sono riportate in figura 5. Successivamente alla strutturazione compressiva, il sistema a pieghe e sovrascorrimenti viene dislocato dalla tettonica estensionale, come avviene in molte catene montuose di questo tipo. Le dislocazioni estensionali, che sbloccano le strutture formate in precedenza, avanzano anch’esse verso l’Adriatico, con un “ritardo” di circa 2 milioni di anni rispetto alla fase di strutturazione e a distanze di 75-100 km dal fronte compressivo contemporaneamente attivo; la tettonica estensionale determina l’innalzamento dell’Appennino, che procede con velocità di sollevamento comprese fra 1,2 e 4,5 mm/anno (CAVINATO & DE CELLES, 1999).

L’INIZIO DELLA CARSIFICAZIONE DOPO LA STRUTTURAZIONE L’età dell’inizio della carsificazione dell’Appennino laziale-abruzzese è stata comunemente assegnata all’epoca pliocenica, a meno di un modesto sviluppo di morfologie carsiche, più che altro limitato alla superficie (SEGRE, 1948a). E’ probabile, infatti, che fino quasi alla fine del Miocene, nelle aree già inglobate nella catena ed emerse, la copertura silico-clastica fosse ancora ampiamente affiorante e che la scarsità di fessure aperte (la tettonica “distensiva” non era ancora iniziata), impedisse una significativa infiltrazione delle acque piovane in profondità. Il passaggio da una struttura a quella contigua dei fluidi rimasti intrappolati all’interno delle singole strutture inglobate nella catena era impedito dalle cataclasiti ricche di argilla (che marcano le superfici di sovrascorrimento alla base dei “blocchi” sovrascorsi) e dai depositi silico-clastici sui quali le strutture erano sovrascorse (GHISETTI ET ALII, 2000). Negli ultimi anni, però, alcune morfologie sotterranee sono state attribuite a processi carsici avvenuti nel Miocene sup. (7-6 milioni di anni fa?) sulle aree da poco coinvolte nella strutturazione della catena appenninica. In particolare, si ipotizza che lo sviluppo dell’esteso reticolo di piccoli tubi freatici della Grotta del Formale (Carpineto Romano, nei M. Lepini), quasi tutti compresi in uno spesso e rigido strato a rudiste, si sia sviluppato già all’inizio del sollevamento, quando le faglie erano ancora tutte compressive ma la leggera piegatura connessa alle superfici di sovrascorrimento quasi orizzontali causava la rottura degli strati più spessi mentre quelli più sottili scivolavano lungo gli interstrati argillosi. La fagliazione distensiva che ha generato i pozzi verticali di questa grotta sarebbe iniziata molto tempo dopo, probabilmente dalla fine del Pliocene al Pleistocene inf. (2-1 milioni di anni fa) (CAPPA ET ALII, 1997b). Le ricerche più recenti evidenziano che la carsificazione poteva essere già attiva nelle ambientazioni profonde (“endokarst”), cioè a profondità superiori a quelle in cui circolano le acque meteoriche e ben al di sotto di quelle prese in considerazione dall’idrogeologia “classica”; questi processi di dissoluzione sono opera di fluidi ad elevata temperatura, ricchi di CO2 e H2S (DUBLYANSKY, 2000b). Una carsificazione di questo tipo può facilmente svilupparsi in modo intermittente e su archi di tempo lunghissimi, con numerose disattivazioni e riattivazioni, normalmente in condizioni confinate al di sotto di terreni di copertura non carsificabili, generalmente con dissoluzione intrastrato. Numerose perforazioni hanno raggiunto vuoti carsici a notevole profondità, creatisi certamente in ambientazioni profonde (KLIMCHOUK & FORD, 2000a). Un esempio straordinario della possibile entità di questi processi è rappresentato dalla caverna gigante rinvenuta, nel corso di un programma di perforazioni, nei marmi dell’Archeano e Proterozoico del massiccio del Ròdope, in Bulgaria: il soffitto è situato a circa 700 m di profondità dal piano campagna (dove affiorano gneiss con spessore di oltre 300 m), le dimensioni del vacuo sono stimate in circa 237 milioni di m3; in uno dei sondaggi la sonda è scesa per 1341 m

attraversando solo “acqua” a elevata temperatura e pressione, senza raggiungere una superficie rocciosa (DUBLYANSKY, 2000a). Quando il sollevamento porta i vacui carsici di ambientazione profonda in zone più superficiali, l’erosione mette la roccia carsificabile in contatto con l’atmosfera, l’infiltrazione delle acque meteoriche va a sostituire i fluidi profondi e le differenze di carico diventano le responsabili dei movimenti di circolazione sotterranea. E’ evidente che le modalità con cui si realizza questo processo sono decisive; per esempio, la progressiva rimozione della copertura insolubile determinerà la localizzazione dei primi punti di inghiottimento dell’acqua all’interno della roccia carsificabile e la successiva evoluzione. Pertanto, quando il carsismo si sviluppa interamente dallo stadio profondo allo stadio denudato, il ruolo dell’eredità può essere molto importante (KLIMCHOUK & FORD, 2000a). Il riconoscimento dei resti del carsismo di ambientazioni profonde, comunque, non è facile, e nella nostra regione nessuna morfologia carsica è stata fino ad oggi attribuita a processi “ipogenici” profondi (vedi riquadro “grotte epigeniche e grotte ipogeniche del Lazio”).

In accordo con la Carta Neotettonica d’Italia (AMBROSETTI ET ALII, 1987), che descrive le dislocazioni tettoniche verificatesi nel corso del Pliocene e del Quaternario, risulta che negli ultimi 5 milioni di anni le dorsali dei Volsci si sollevano con progressione relativamente continua rispetto alle aree circostanti. FELICI (1978a) ha effettuato un’analisi statistica delle superfici di spianamento e delle anomalie dei profili verticali del terreno nei M. Lepini (terrazzi, spianate, conche, tratti vallivi a fondo piatto, rotture di pendenza dei pendii e delle creste), in base alla quale ritiene che “dopo un

prolungato periodo di carsificazione delle parti sommitali dei M. Lepini (q. 1400 m circa - per es. sommità di M. Capreo e M. Malaina, particolarmente carsificate) si sono verificati vari abbassamenti del livello di base, con una carsificazione ancora intensa per gli orizzonti superiori ai 900 m circa e poi man mano decrescente. L’abbassamento del livello di base è stato chiaramente discontinuo con gradini abbastanza regolari di 50-100 m; i due abbassamenti più marcati corrispondono ai gradini alle quote 800-725 e 575-500 m slm”. Le “grandi depressioni carsificate” di Pian della Faggeta, Campo di Segni e Campo di Montelanico sarebbero situate su paleo-livelli di base pliocenici. Nel Pliocene medio il carsismo modella profondamente i rilievi alle quote attuali superiori a 700-800 m producendo forme di

LA CATENA DERIVANTE DALLA DEFORMAZIONE DEL DOMINIO DI PIATTAFORMA CARBONATICA LA DORSALE DEI VOLSCI Nel corso della migrazione della catena verso Est il settore esterno al fronte di sovrascorrimento viene spinto in basso (“flessurazione tettonica dell’avampaese”), sprofondando e formando un ampio bacino marino di “avanfossa” (Fig. 5). Come conseguenza, sul fondale si depositano inizialmente poche decine di metri di “Marne a Orbulina” poi, con il forte approfondimento del bacino, migliaia di metri di flysch (sedimenti terrigeni silico-clastici erosi dalle montagne in sollevamento) vanno a colmare la depressione (CIPOLLARI & COSENTINO, 1995). Questo meccanismo deve essere stato attivo anche nel Serravalliano (11-12 milioni di anni fa), precedentemente al coinvolgimento in catena dei Monti Lepini-Ausoni-Aurunci. Tuttavia, gli unici resti attuali di questa copertura silico-clastica consisterebbero nei modesti affioramenti di marne e di materiali terrigeni del “Complesso alloctono delle Liguridi esterne” che si rinvengono alla periferia settentrionale dei M. Lepini e nell’area di Carpineto Romano (COSENTINO ET ALII, 2002). Nel Tortoniano sup. (7,8-8,2 milioni di anni fa) i Volsci vengono coinvolti nella catena ed emergono; successivamente si attiva il retroscorrimento Carpineto-Montelanico, che divide l’unità lepina in due strutture. Verso la fine del Miocene (forse intorno a 6 milioni di anni fa), in seguito alla fratturazione della crosta terrestre che determina l’apertura del bacino marino del Tirreno, la tettonica distensiva investe i M. Lepini-Ausoni-Aurunci. Faglie dirette sbloccano la struttura fino allora sigillata, anche se l’erosione aveva probabilmente già messo a nudo parte della superficie di carbonati mesozoici. Lungo le faglie penetrano le acque meteoriche, che possono così raggiungere profondità rilevanti, miscelandosi con le acque termali di origine magmatico-metamorfica. Quindi, mentre nell’area situata più a Est (M. Simbruini-Ernici), ormai raggiunta dal fronte della catena, permangono condizioni di “sistema chiuso”, nella dorsale dei Volsci si instaurano condizioni di “sistema aperto” (GHISETTI ET ALII, 2000). L’emersione dell’Arco di Gibilterra, circa 5,5 milioni di anni fa, determina la crisi di salinità del Mar Mediterraneo (HSÜ ET ALII, 1973), che viene suddiviso in bacini sedimentari isolati con corpi d’acqua salmastra poco profondi. Ai piedi della catena in sollevamento, il livello del mare si abbassa bruscamente (CIPOLLARI & COSENTINO, 1995). All’inizio del Pliocene si ripristina la connessione con l’Oceano attraverso lo Stretto di Gibilterra, con un conseguente grande afflusso di acque marine nel Mediterraneo e innalzamento del livello del mare.

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Figura 5- A sinistra: modello cinematico-strutturale per l’evoluzione neogenica dell’Italia centrale (non sono stati,

volutamente, inseriti gli eventi tettonici distensivi e trascorrenti) (da Cipollari et alii, 1995). A destra: ricostruzione semplificata dell’accrescimento della catena appenninica secondo un sistema di sovrascorrimenti attivi sincroni, in migrazione verso l’avampaese, in una generale propagazione piggy-back della deformazione compressiva (ridisegnato da Cipollari & Cosentino, 1995; Cipollari et alii, 1995; Cosentino et alii, 2002).

Figura 6 - Nel Pliocene la linea di riva giunse a lambire i rilievi carbonatici in sollevamento dei Monti Lepini-Ausoni, mentre il Circeo costituiva un’isola separata dalla terraferma da un ampio tratto di mare (da Mariotti, in Ciccacci, 1993).

Figura 7 - Evoluzione del carsismo nell’area di Luppa nei M. Carseolani, dallo sviluppo di una superficie di spianamento nel Pliocene, all’escavazione della Valle Ruscitto, trasversale alla dorsale in sollevamento, alla scomparsa nell’inghiottitoio di Luppa del torrente di superficie.


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Figura 8 - Distribuzione del carsismo ipogeo nel Lazio. Il grafico a “torta” riportato per ogni unità è suddiviso in spicchi proporzionali all’estensione di affioramento di ogni litofacies. Sotto la denominazione dell’unità è riportata la superficie complessiva di affioramento delle litofacies carbonatiche; intorno alla “torta” sono indicati, per ogni

litofacies: la percentuale di superficie in affioramento rispetto alla superficie carbonatica totale; il numero delle grotte catastate; lo sviluppo medio dei condotti sotterranei (m/km2 di affioramento).


carsismo tropicale (hum), riconoscibili sull’altopiano di Gorga. L’evoluzione dei solchi vallivi sotto quota 700 m, forse risalente al Pliocene sup., avviene con nettissima prevalenza dell’erosione superficiale rispetto ai processi carsici. In un’area ristretta situata a valle di Carpineto Romano l’approfondimento del solco vallivo raggiunge alcuni condotti di un sistema di drenaggio carsico profondo e ben canalizzato (Ouso dell’Omo Morto), che certamente risale ad epoca più antica e che ha come bacino collettore la grande conca carsica della Faggeta (FELICI, 1978a). Con la scomparsa della paleo-valle di Pian della Faggeta, evolutasi nel vasto polje attuale a causa di un profondissimo abbassamento del livello di base, si disattiva l’antica e profonda risorgiva valchiusana dell’Abisso Capodafrica, situata originariamente alla testata della valle e molto più antica della cavità assorbenti della Faggeta, come l’Ouso di Pozzo Comune (CAPPA ET ALII, 1997d). A Ovest della dorsale dei Volsci, la Pianura Pontina e la Piana di Fondi sono soggette ad abbassamento più o meno continuo per tutto il Pliocene ed il Quaternario (AMBROSETTI ET ALII, 1987). Il Mar Tirreno progressivamente si amplia (Fig. 6) e all’inizio del Pleistocene (1,7 milioni di anni fa) raggiunge la sua massima estensione; la linea di costa corre lungo le pendici della dorsale, e solo il contemporaneo sollevamento della catena impedisce l’ulteriore allargamento del bacino marino. Nel Pleistocene, intorno a 630 mila anni fa (CAVINATO ET ALII, 1994) la tettonica distensiva favorisce la risalita di ingenti quantità di magma, che vanno a costituire una serie di distretti vulcanici situati in una fascia depressa parallela alla linea di costa del Tirreno (vulcani Vulsino e Sabatino, Vulcano Laziale) e caratterizzati da un’attività prevalentemente esplosiva subaerea. Il Vulcano Laziale inizia la sua attività probabilmente nello stesso periodo dei vulcani più settentrionali, anche se la prima data radiometrica disponibile indica un’età di 530 mila anni; circa 20 mila anni fa (o forse in tempi anche più recenti) il cratere di Albano erutta per l’ultima volta (DE RITA, 1993). All’incirca nello stesso intervallo di tempo, sui margini di una depressione tettonica situata nella Valle Latina a Est dei Volsci, si costituisce un altro settore vulcanico. I prodotti delle eruzioni ricoprono la regione di ceneri, spesso interrompendo gli scorrimenti idrici di grotta (CAPPA ET ALII, 1997b); parte di questi prodotti si rinvengono ancora oggi nelle grotte dei M. Lepini. Nella Grotta di M. Fato, per esempio, si osservano sezioni trasversali a “buco di serratura” caratterizzate da un condotto quasi tubolare sul soffitto (probabilmente sviluppatosi prima delle eruzioni) con alla base resti dell’originario pavimento coperti da materiali cineritici; il condotto a sezione quasi circolare è inciso alla base da una forra, tuttora attiva, che dovrebbe essere stata generata successivamente alle eruzioni. Lungo il perimetro occidentale del massiccio carbonatico, fra l’area in sprofondamento e la dorsale in sollevamento, la fagliazione estensionale causa la risalita dei fluidi mineralizzati profondi e la loro miscelazione con le acque meteoriche ricche di ossigeno. La maggior parte della dissoluzione avviene in prossimità della superficie della falda idrica, dove la miscelazione produce acido solforico fortemente aggressivo (HILL, 1990). Nei punti di iniezione delle acque profonde si sviluppano grandi vacui sotterranei “ipogenici”, alcuni dei quali sono oggi accessibili grazie al successivo sollevamento del “blocco” in cui sono compresi e all’erosione dei versanti (per es., l’Ouso di Sermoneta).

I MONTI SIMBRUINI-ERNICI Nel corso dell’evento del Tortoniano (7,8-8,2 milioni di anni fa), i depositi carbonatici mesocenozoici degli attuali M. Simbruini-Ernici vanno a costituire il fondale del bacino marino che si forma per la flessurazione della litosfera originata dalla strutturazione dei Volsci. Le forme carsiche sviluppate nel corso del Mesozoico e del Langhiano-Serravalliano vengono seppellite forse completamente da depositi terrigeni marini, che li sigillano con una copertura di spessore variabile. Con il coinvolgimento in catena, nel Messiniano inf. (6,4-6,8 milioni di anni fa, Fig. 5), il massiccio emerge e per tutto il Pliocene e il Quaternario, cioè negli ultimi 5 milioni di anni, è soggetto a sollevamento, con sporadiche interruzioni (AMBROSETTI ET ALII, 1987). Nel Pliocene inf. sui carbonati riesumati si avviano, necessariamente, i processi fluviali e carsici che modellano il rilievo, probabilmente limitati alla superficie. Alla fine del Pliocene inf.–inizio Pliocene sup. (circa 3,5 milioni di anni fa) inizia la fase di più intenso sollevamento dell’edificio carbonatico, come dimostra anche la posizione delle puddinghe poligeniche di tipo liguride, scaricate in ambiente marino durante il Pliocene inf., di cui attualmente si rinvengono lembi a quote di 1400 m nei M. Simbruini e di 1900 m presso Campo Catino nei M. Ernici (DAMIANI, 1990c). Le valli chiuse dei M. Simbruini Nord-orientali (Piano della Dogana, Campo Lungo, ecc.), i campi carsici dei M. Simbruini centrali (Camposecco, Campo Buffone, Campaegli) e le depressioni di alta quota dei M. Ernici (Campo Catino, Campovano), rappresentano presumibilmente paleomorfologie di antiche valli fluviali, disattivate dallo sviluppo del carsismo ipogeo che catturò le acque della rete idrografica di superficie in seguito all’approfondimento dei livelli di base (SEGRE, 1948a). Sul bordo della depressione di Campovano (q. 1870 m), lungo la linea di cresta M. PozzotelloM. Ortara, è stata scoperta una piccola cavità del diametro di circa 1 m e di forma grossolanamente sferica, con le superfici completamente ricoperte da cristalli scalenoedrici di calcite; questo tipo di mineralizzazione sembra imputabile a fluidi idrotermali (BINI & PELLEGRINI, 1998). La gran parte delle grotte “epigeniche” conosciute sui M. Simbruini-Ernici deve essersi

originata contemporaneamente o successivamente alla fase di forte sollevamento, cioè negli ultimi 3 milioni di anni. In questo periodo, la progressiva migrazione verso NE del sistema di fagliazione estensionale attraverso l’edificio contrazionale ha già raggiunto la Valle Latina e i M. SimbruiniErnici. La progressiva asportazione della copertura silico-clastica e la dislocazione delle superfici di sovrascorrimento permettono ai fluidi meteorici di penetrare in profondità nelle unità carbonatiche e di miscelarsi con i fluidi profondi, rimasti intrappolati a grande profondità nel cuneo sedimentario in subduzione a causa dei sigilli impermeabili costituiti dalle superfici di sovrascorrimento. Nella Valle Latina la risalita di questi fluidi determina lo sviluppo di grotte “ipogeniche”, e in particolare di grandi vacui disposti lungo la periferia SW della struttura. Nel Quaternario, a scala planetaria, il clima è soggetto a cicliche fasi fredde. Nell’Appennino centrale sono state riconosciute tracce di almeno 3 fasi glaciali wurmiane, durante le quali la copertura di neve e ghiaccio si stende sulle montagne di quota più elevata e il limite delle nevi persistenti si abbassa fino a quote inferiori a 1700 m. L’ultimo massimo glaciale dovrebbe risalire a circa 21-18 mila anni fa (FEDERICI, 1979); il ritiro glaciale avviene nel corso di più fasi che si protraggono fino a circa 12 mila anni fa (GIRAUDI, 1998). Tracce di questi eventi sono segnalate in varie località dei M. Simbruini (alta valle dell’Aniene) ed Ernici (M. Viglio, Campo Catino, Pizzo Deta). In particolare, nei M. Ernici è stata riconosciuta l’esistenza di un vasto ghiacciaio composito nell’alta valle del Fosso S. Onofrio-Vallone dell’Obaco, evolutosi durante un lasso di tempo sufficientemente lungo da permettere lo sviluppo di più fasi; nella fase più antica (tardo Wurm) il limite delle nevi persistenti sui versanti settentrionali era situato intorno a quota 1650 m e un ghiacciaio di plateau occupava la depressione di Campo Catino (DAMIANI & PANNUZI, 1976). La Grotta degli Urli, che si apre sul versante a NE di Campo Catino a q. 1773 m, durante le glaciazioni è senz’altro già sviluppata e deve necessariamente subire gli effetti, ancora da indagare, dei cambiamenti climatici.

I MONTI CARSEOLANI Nel Messiniano inf. (intorno a 6,5 milioni di anni fa) i depositi di piattaforma carbonatica dei M. Carseolani sono interamente seppelliti da una copertura silico-clastica di avanfossa. L’evento Messiniano “lago/mare”/Pliocene inf. (5-5,5 milioni di anni fa) coinvolge in catena anche i M. Carseolani, determinandone l’emersione. Una superficie di spianamento, originariamente con scarsi e deboli dislivelli, si sviluppa presumibilmente nel Pliocene, a quote attuali comprese fra 900 e 980 m (nella regione di Pietrasecca e di Luppa), troncando una struttura con caratteri di anticlinale; lo spianamento interessa formazioni in rocce diverse, i cui resti attualmente si osservano nei crinali di flysch e nelle spianate sommitali con doline sul nucleo della dorsale calcarea (ANGELUCCI ET ALII, 1959). Durante il Pliocene-Pleistocene (Fig. 7), il sollevamento della dorsale (e in particolare i sollevamenti differenziali fra settori diversi del bacino idrografico; SAURO, 1994) sbarra il percorso di alcuni corsi d’acqua, che vengono così deviati e costretti ad attraversare la catena calcarea trasversalmente all’asse. Con i nuovi fondovalle tracciati nella roccia solubile, iniziano l’incisione di profonde forre nei calcari e le perdite in alveo lungo i sistemi di fessure sottostanti (fratture, faglie, strati). Lo scorrimento sotterraneo, sotto forti carichi idraulici, determina l’ampliamento della rete di fessure e la progressiva perdita di portata dei corsi d’acqua di superficie. Per un certo tempo, le locali possibilità di assorbimento sono insufficienti e i fiumi continuano a mantenere flussi di superficie e ad attraversare le aree carsiche da parte a parte. Successivamente, l’ampliamento dei condotti sotterranei porta alla completa cattura dei torrenti in inghiottitoi, e alla fossilizzazione dei tratti fluviali a valle. Gli inghiottitoi si aprono in punti particolari, prossimi al contatto fra terreno impermeabile e roccia solubile, e sfruttano i sistemi di fessure aperte più efficienti. Nel corso dell’evoluzione idrologica e geomorfologica dell’area, si determinano nuovi punti di cattura e le acque, abbandonando le grotte precedentemente formate, defluiscono in nuovi e più favorevoli passaggi sotterranei. Una probabile causa è il movimento “trascorrente destro” lungo un piano tettonico che avrebbe “disallineato” i principali segmenti idrografici ed i relativi inghiottitoi, con conseguente parziale o totale disattivazione dei sistemi assorbenti (Grotta dei Cervi) ed aumento del deflusso in altri sistemi (Ovito di Pietrasecca) (SAURO, 1994). 2 – “IL GRADO DI CARSIFICAZIONE DELLA CATENA APPENNINICA LAZIALE-ABRUZZESE” Con l’obiettivo di valutare il grado di carsificazione dei diversi tratti della catena appenninica e, all’interno di ogni struttura, delle singole litofacies carbonatiche, è stato considerato l’intero patrimonio di conoscenze sui fenomeni carsici ipogei presenti nell’area di studio, che attualmente (primi mesi dell’anno 2002) consiste in 1650 grotte, comprese nei territori delle regioni Lazio (1445 grotte), Abruzzo (104), Umbria (100) e Molise (1). Dal numero complessivo di cavità catastate è stato necessario sottrarre 44 fenomeni di superficie (doline, iscritte nel catasto del Lazio nei primi anni di funzionamento dell’archivio) e 114 grotte (molte delle quali localizzate nell’area abruzzese) le cui coordinate catastali sono risultate mancanti o palesemente sbagliate. Complessivamente, quindi, sono state considerate 1492 grotte. RIQUADRO

Utilizzando le coordinate geografiche riportate nelle schede catastali, ogni singola grotta è stata posizionata sulla cartografia geologica più adeguata, al fine di stabilire la litofacies in cui si apre l’imbocco. Per tutte le 206 cavità più importanti, descritte in dettaglio in questo libro, si è anche verificata l’eventualità che lo sviluppo interno delle grotte interessi anche litofacies diverse da quella presente all’imbocco. Per ogni grotta, è stato estratto dalla scheda catastale il dato sullo sviluppo “spaziale” (operando le opportune modifiche di aggiornamento), assimilato poi all’effettiva lunghezza dei condotti carsici sotterranei, anche se in alcuni casi questa scelta risulta impropria, per esempio per le grandi caverne. Un ulteriore passo è consistito nel calcolo delle superfici di affioramento di ciascuna litofacies in ogni singola grande struttura tettonica presente nell’area studiata, utilizzando un’ampia cartografia geologica e un software specifico. Questi dati sono stati impiegati per descrivere quantitativamente il fenomeno carsico ipogeo attualmente conosciuto nelle diverse unità tettoniche. E’ utile ricordare che per grotta si intende una cavità sotterranea naturale percorribile dall’uomo e che le grotte esplorate rappresentano sicuramente una frazione minima di quelle esistenti. Come risulta evidente dalla lettura di questo libro, la conoscenza del mondo sotterraneo avanza abbastanza rapidamente e ogni anno le esplorazioni speleologiche rivelano nuove grotte e nuove gallerie. Per questo motivo, i valori di sviluppo medio dei condotti sulle aree di affioramento sono naturalmente destinati a crescere nel tempo e il loro utilizzo ha senso solo per il confronto fra le diverse strutture. Si ritiene, infatti, che la lunghezza totale dei condotti esplorati rifletta, complessivamente, quella dei condotti esistenti, anche se, inevitabilmente, alcune aree carsiche sono più “battute” e conosciute di altre. Per esprimere il “grado” di sviluppo del carsismo sotterraneo nelle diverse litofacies, si è scelto di considerare le seguenti classi: • sviluppo “elevato” > 25 m/km2; • sviluppo “medio”: 7-25 m/km2; • sviluppo “basso” < 7 m/km2. Il risultato dell’elaborazione a livello delle grandi strutture della regione è riportato nella carta di figura 8.

IL MASSICCIO DI MONTE VELINO-MONTE NURIA E LA MARSICA OCCIDENTALE Analogamente ai M. Carseolani, i depositi di piattaforma carbonatica dei massicci del Velino e della Marsica occidentale sprofondano nell’avanfossa nel Messiniano inf. e vengono inglobati nella catena nel Messiniano sup.-Pliocene inf. (5-5,5 milioni di anni fa, Fig. 5). Notevolmente diverso, rispetto ai M. Carseolani, è però il sollevamento della catena lungo le faglie che delimitano i versanti SW. La faglia di Fiamignano, che borda il massiccio di M. Nuria, ha un rigetto massimo di almeno 2200 m (prodotto forse in un paio di milioni di anni), che si riduce di 100-500 m verso NW e SE; in base all’altezza delle scarpate di faglia che dislocano i sedimenti associati all’ultimo massimo glaciale (datato 18 mila anni fa), è stata calcolata una velocità di sollevamento recente di 0,32-0,84 mm/anno per il tratto più sollevato della dislocazione. La faglia Velino-Magnola, che delimita i monti omonimi, ha un rigetto massimo di 1700 m su una lunghezza di almeno 21 km e una velocità di sollevamento recente pari a circa 1/3 rispetto a quella del segmento di Fiamignano. I movimenti di estensione orizzontale si sono realizzati con velocità leggermente inferiori rispetto alle loro componenti verticali (MOREWOOD & ROBER TS, 2000). Una possibile modalità di evoluzione del carsismo durante un sollevamento di questa entità è dimostrata dalla Grotta di Cittareale nei M. Sibillini meridionali, dove le esplorazioni speleologiche hanno rivelato una serie di “livelli” sub-orizzontali, a quote diverse, che probabilmente marcano la posizione di paleo-superfici piezometriche, in discontinuo abbassamento nel tempo. Nel caso della Grotta di Cittareale lo sviluppo dei “livelli” è connesso con l’afflusso di fluidi sulfurei altamente aggressivi, situazione non riscontrata nel massiccio del Velino. A parte questa differenza, probabilmente importante, non vi sono motivi per ritenere che l’evoluzione del carsismo sotterraneo nel massiccio del Velino si sia realizzata in modo dissimile e, d’altra parte, lo stato attuale della conoscenza degli effettivi reticoli carsici ipogei dell’Appennino è ancora molto limitata. Nell’area circostante questo settore di catena dalla fine del Pliocene ad oggi si individuano i bacini lacustri intramontani di Rieti e del Fucino. Lungo faglie bordiere i rilievi circostanti si sollevano, mentre i bacini si riempiono di sedimenti grossolani, conglomeratici, per spessori di centinaia di metri. L’origine delle depressioni intramontane è probabilmente da attribuire alla combinazione di movimenti estensionali e di movimenti trascorrenti (CAVINATO ET ALII, 1994). Con la fine del Pleistocene inf. (700 mila anni fa) il bacino di Rieti viene colmato e inizia una deposizione di ambiente lacustre. Anche la valle del Fiume Velino, che separa le montagne derivanti dalla deformazione della successione umbromarchigiana da quelle della piattaforma carbonatica, costituisce una depressione che nel corso del Quaternario viene colmata da decine di metri di depositi (Fig. 9); di conseguenza, il livello di base

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di bivalvi litofagi, a quote di circa 350 m nel bacino del Torrente Aia fra i paesi di Vacone e Montagnola (M. Cosce). In questo stesso lasso di tempo sul M. Cosce, presso Montebuono, poco al di sotto della superficie piezometrica dovevano essere attivi e in ampliamento i condotti freatici del Buco del Pretaro, attraversati da acque con anomali tenori di solfuri di origine ipogenica. In base alla posizione attuale dei condotti carsici, si deduce che la paleo-superficie piezometrica doveva essere situata intorno a q. 350 m, cioè la stessa della paleo-linea di costa dell’inizio del Pleistocene. La successiva emersione definitiva dell’area potrebbe essere la causa della disattivazione dei condotti. La linea di costa del Pleistocene inf. viene successivamente sbloccata da una importante dislocazione orientata N10°E, la faglia Sabina, che fra 1,5 e 0,5 milioni di anni fa avrebbe progressivamente rialzato il settore orientale (dorsale Sabina) portando la paleo-linea di costa fino alle quote attuali di 480-490 m, come testimoniano, nei pressi di Montasola, le brecce di pendio, i sedimenti salmastri e l’affioramento di lignite (ALFONSI ET ALII, 1991). Sulla dorsale Sabina è nota la grande “dolina” del Revòtano, con imbocco intorno a q. 500 m. E’ possibile che, all’incirca nello stesso periodo in cui erano attivi i condotti freatici del Buco del Pretaro, si andasse formando anche la grande cavità sotterranea del Revòtano, all’intersezione fra un punto di iniezione di fluidi profondi e la superficie piezometrica (Fig. 11). Il sollevamento della Sabina avrebbe poi approfondito il livello di base (mare) e disattivato la cavità portandola alla quota attuale.

Figura 9 - Sezione geologica schematica attraverso la Media Valle del Fiume Velino, desunta dalla interpretazione di prospezioni geoelettriche (da Boni et alii, 1995).

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dell’acquifero si deve essere innalzato, e i condotti carsici “di livello piezometrico” che potevano essersi sviluppati precedentemente, risulterebbero attualmente annegati nella zona freatica dell’acquifero. Il colmamento della valle potrebbe essere avvenuto troppo rapidamente per consentire in questo lasso di tempo l’ampliamento di nuove condotte di dimensioni penetrabili all’uomo.

fra Pianura Pontina e dorsale dei Volsci, e nella Valle Latina a SW dei M. Simbruini-Ernici, mentre i fenomeni di questo tipo sono del tutto assenti nelle zone interne dei massicci. A oriente della catena del Messiniano inf. l’avanzamento verso Est dei processi di estensione non ha ancora permesso lo sviluppo di cavità osservabili associate a risalita di fluidi profondi.

L’ETEROGENEITÀ DELLA CATENA E IL CARSISMO

LA CATENA DERIVANTE DALLA DEFORMAZIONE DEI DOMINI DI BACINO

Nella catena appenninica esistono forti diversità fra le diverse dorsali che si succedono dal Tirreno all’Adriatico, cioè nel verso della migrazione dell’onda orogenica. Ai grandi sovrascorrimenti che delimitano le diverse strutture sono sovrapposti sistemi di imponenti faglie normali progressivamente più recenti verso Est; solo nell’area adriatica più esterna la compressione è ancora attiva. Una differenza immediatamente evidente è l’aumento della quota media dei rilievi procedendo dal Mar Tirreno verso l’Adriatico (ONORATI & POSCOLIERI, 1990): • M. Ausoni-Aurunci circa 450 m – M. Lepini 720 m; • M. Cairo 710 m – M. Simbruini-Ernici 1070 m; • M. Sirente 1030 m – M. Velino 1370 m; • Maiella 1440 m. Ma esistono forti eterogeneità anche in termini di spessore crostale, flusso di calore, campo di stress, velocità di sollevamento e sismicità; queste grandi differenze influenzano fortemente le modalità di circolazione dei fluidi (GHISETTI ET ALII, 2000). Rilevanti disparità sembrano riguardare anche il carsismo sotterraneo. Di seguito sono riportati il numero di grotte e lo sviluppo medio dei condotti sotterranei (riferiti all’insieme delle litofacies carbonatiche dal Dogger al Miocene), nei segmenti di catena sviluppati dal Tirreno verso Est (Fig. 8): • Catena Tortoniana (M. Lepini-Ausoni-Aurunci): 740 grotte, 55 m/km2; • Catena del Messiniano inf. (M. Simbruini-Ernici-Cairo-Maio): 260 grotte, 19 m/km2; • Catena del Messiniano sup.–Pliocene inf. (M. Nuria-Velino-Cicolano-Carseolani-Marsica occidentale): 69 grotte, 12 m/km2. Il tratto inglobato in catena alla fine del Pliocene inf. (Maiella) è al di fuori dell’area di studio e non è stato analizzato; tuttavia, in base ad una conoscenza approssimativa del carsismo ipogeo di quell’area, si ritiene probabile che lo sviluppo medio dei condotti sia ancora più ridotto. In conclusione, si constata che la tettonica e la carsificazione seguono cammini paralleli, con una forte influenza degli eventi tettonici sui processi carsici. Nell’Appennino centrale l’età dello sviluppo del carsismo diventa sempre più recente spostandosi dalle catene tirreniche a quelle adriatiche, con tutte le implicazioni che ciò comporta, legate anche alle variazioni climatiche (dalle condizioni subtropicali del Miocene alle cicliche glaciazioni del Quaternario). Per quanto riguarda le grotte “ipogeniche”, numericamente molto inferiori alle grotte “epigeniche”, tutte le cavità carsiche conosciute sono situate in prossimità delle faglie bordiere

IL LAZIO NORD-OCCIDENTALE E LA SABINA Nel Burdigaliano sup. (intorno a 18 milioni di anni fa) la propagazione dell’orogenesi arriva a coinvolgere il M. Soratte. Nel Serravalliano (11,5-12 milioni di anni fa) vengono incorporati nella catena il M. Cosce, la zona NW della Sabina e altri settori a Nord dell’area di studio. Nel Messiniano inf. (6,4-6,8 milioni di anni fa) la migrazione del fronte della catena raggiunge i Monti Prenestini, Ruffi, Tiburtini, Lucretili, Cornicolani, la Sabina e i Monti Sibillini. In tutti questi settori i calcari della paleopiattaforma (Calcare Massiccio), i sedimenti carbonatici di bacino (Corniola, Maiolica, Scaglia, …) e di rampa carbonatica (calcareniti mioceniche) sono sepolti sotto una potente copertura silico-clastica. Nel Messiniano (5-6 milioni di anni fa) l’area dell’alto Lazio e della Sabina è già tutta emersa e incisa da una rete idrografica (Fig. 10); sugli affioramenti carbonatici che vanno comparendo per erosione della copertura silico-clastica si sviluppa il fenomeno carsico. Alla fine del Messiniano–inizio Pliocene (5-5,5 milioni di anni fa) si riattiva “fuori sequenza” l’importante sistema di sovrascorrimento della linea Olèvano-Antrodoco-M. Sibillini che, tagliando obliquamente gli elementi strutturali originati nel corso di eventi deformativi precedenti, determina l’accavallamento verso Est della dorsale Sabina– M. Sibillini sul dominio di piattaforma carbonatica. All’inizio del Pliocene inf. (intorno a 5 milioni di anni fa) si verifica una estesa trasgressione marina e nell’alto Lazio il mare penetra profondamente, occupando gran parte dell’area tolfetana. La dorsale calcarea del M. Soratte costituisce un’isola all’interno della fossa marina che poi costituirà il bacino del Tevere, mentre più ad Est il mare lambisce i rilievi della dorsale Amerino-Narnese e della Sabina. Intorno alla fine del Pliocene inf. (3,5 milioni di anni fa) l’area a Ovest del futuro bacino del Tevere (dorsale di Castell’Azzara–M. Razzano) si solleva, mentre il settore a Est (dorsale di Monte Cosce e Monti della Sabina) è probabilmente soggetto ad un limitato sprofondamento e il M. Soratte continua a costituire un’isola (Fig. 10) (AMBROSETTI ET ALII, 1978). Intorno a 2 milioni di anni fa inizia la risalita di magmi lungo faglie distensive regionali nelle aree della Tolfa, dei Ceriti e di Manziana, dove vengono messi in posto domi ed ignimbriti. All’inizio del Pleistocene (1,7 milioni di anni fa) il Tirreno raggiunge la sua massima estensione, fino a lambire le pendici delle catene ancora in sollevamento dei M. Lucretili, di Monte degli Elci e dei M. Sabini settentrionali. In questo periodo una successione marina si deposita ai piedi del M. Cosce e della Sabina, mentre nella valle del Torrente Aia i depositi fluviali si interdigitano con quelli marini. La paleo-linea di costa attualmente è riconoscibile, anche per la presenza di tipici fossili

Figura 10 - Ricostruzioni paleogeografiche dell’Alto Lazio dal Miocene sup. al Pliocene sup. Nelle mappe a sinistra è indicata in grigio l’area occupata dal mare, ricostruita sulla base degli affioramenti e dei dati dei pozzetti geotermici (da Baldi et alii, 1974).


Nel Pleistocene inf. si determina poi un sollevamento generalizzato con graduale regressione del mare verso Sud, e tutta l’area progressivamente emerge. Il sollevamento causa la chiusura del bacino umbro con la formazione del grande “Lago Tiberino”, nel quale si getta il Tevere, e del bacino lacustre di Civita Castellana, che doveva estendersi fin quasi alle pendici del M. Soratte (Fig. 10). L’origine della Grotta di Santa Lucia si colloca temporalmente nel lungo periodo in cui il mare circonda le pendici del M. Soratte intorno all’attuale q. 440 m; è, infatti, questa la quota della volta di questa grande cavità sotterranea a forma di duomo, accidentalmente venuta alla luce pochi anni fa. All’interno, sotto q. 400 m, si trova un pozzo di grande diametro che forse convogliava le acque di miscelazione del circuito idrotermale verso la sommità della falda acquifera, in modo simile a quanto avviene nel Pozzo del Merro sui M. Cornicolani; analoga funzione avrebbero potuto avere i pozzi paralleli dei Meri, incanalando il flusso verso una grande cavità oggi scomparsa per erosione. L’erosione marina e fluviale nei periodi di più prolungata stasi della posizione del livello del mare ha prodotto superfici pianeggianti, come quelle riconosciute sui M. Cornicolani alle attuali quote di circa 400 m (M. S. Angelo, Poggio Cesi, Montecelio), 250 m (versante NNW di M. S. Angelo, ingressione marina contrassegnata da fori di Litodomi probabilmente del Pliocene e Calabriano), 180 m (settore centrale dei M. Cornicolani) e 125-150 m (fori di Litodomi in località Immagine Lunga) (CASALE ET ALII, 1963). L’oscillazione del livello del mare nel corso dei cicli glaciali quaternari ha comportato la sovrapposizione di fenomenologie carsiche originate in tempi diversi. Quindi, nello sviluppo del carsismo sotterraneo nelle rocce della successione umbro-sabina hanno avuto fondamentale importanza i fluidi profondi circolanti nel circuito idrotermale, spesso in assenza di relazioni dirette con i punti di ricarica esterna. Le cavità “epigeniche” sono relativamente poche e di dimensioni limitate; a tal proposito, è necessario ricordare che i calcari di bacino non sono stati soggetti a carsismo epigenico prima della loro esumazione, che la denudazione in molte aree è avvenuta solo in tempi recenti e che, infine, la frequente intercalazione di livelli argillosi e marnosi non ha favorito la percolazione profonda.

L’AREA DI MONTE PRATO-MONTE LAGHETTO NEI MONTI SIBILLINI MERIDIONALI Una situazione particolarmente interessante è stata studiata nei M. Sibillini meridionali, dove la scoperta della Grotta di Cittareale ha permesso di avanzare nuove ipotesi sull’evoluzione del carsismo appenninico in un contesto di forte sollevamento tettonico. Le zone sommitali pianeggianti che si osservano spesso sui rilievi dell’Appennino sono interpretate come i resti di una antica unica superficie di spianamento dalla morfologia poco accidentata, dislocata a varie altezze da fenomeni tettonici successivi (DRAMIS, 1992). Anche il piano carsificato situato intorno a quota 1800 m fra M. Prato e M. Laghetto sembra possa appartenere a

Figura 11 - Nel Pleistocene sup. il mare costeggiava le dorsali di M. Cosce e dei M. Sabini settentrionali; fluidi altamente mineralizzati risalivano da zone profonde e miscelandosi con le acque della falda superficiale allargavano rapidamente le fessure preesistenti nei calcari. Successivamente, l’arretramento del mare e la riattivazione della Faglia Sabina portavano a quote elevate i “blocchi” con le grotte pleistoceniche, disattivandole.

questa superficie, generatasi nel Pliocene inf. probabilmente in corrispondenza, o in vicinanza, del livello del mare. In quest’area, nel Pleistocene inf. si attivano faglie normali ad alto angolo che, nell’ambito di un generale sollevamento, dislocano la superficie pliocenica (COLTOR TI & PIERUCCINI, 2000). Il rigetto verticale delle faglie che, a partire da 1,1-1,2 milioni di anni fa, sollevano il “blocco” di M. Prato–M. Laghetto (inclusa la Grotta di Cittareale) rispetto al settore occidentale è stato stimato in 450 m (CALAMITA ET ALII, 1995b), con una velocità media su lungo termine di 0,37-0,41 mm/anno (PIZZI & SCISCIANI, 2000). Con il sollevamento del “blocco” di M. Prato-M. Laghetto, il nucleo calcareo (Scaglia Rosata) dell’anticlinale di Valle San Rufo viene portato in affioramento (Fig. 12), dando impulso al flusso della falda freatica e avviando la formazione di condotti carsici. Nel tempo, come risposta al sollevamento tettonico e alla progressiva asportazione della copertura impermeabile per erosione, la posizione del livello di base fluviale cambia, abbassandosi di quota. Nella Grotta di Cittareale il sollevamento appenninico è testimoniato dagli estesi “livelli” suborizzontali che si sviluppano a varie quote in un intervallo verticale di oltre 400 m, marcando paleosuperfici della falda acquifera, situate a quote decrescenti nel tempo in funzione soprattutto dell’entità dei sollevamenti. Considerando l’entità delle dislocazioni e l’abbassamento per erosione, e ipotizzando la costanza nel tempo della velocità di sollevamento, l’età di formazione dei condotti più antichi (cioè di quota più elevata) potrebbe risalire a 700-800 mila anni fa. Come in quasi tutti i più estesi sistemi carsici scavati nella successione umbro-marchigianosabina dell’Appennino centrale, anche nella Grotta di Cittareale l’ampliamento dei condotti è legato alle reazioni di ossidazione dell’H2S presente nella falda freatica.

LE DIFFERENZE DI CARSIFICAZIONE FRA LE LITOFACIES CARBONATICHE Come si è visto precedentemente per le litofacies carbonatiche della piattaforma lazialeabruzzese, la carsificazione dipende non solo dalle caratteristiche litologiche ma anche, e in modo importante, dall’evoluzione tettonica della regione, dal paleocarsismo e dall’eventuale azione di fluidi ipogenici fortemente aggressivi; anche altri fattori possono svolgere un ruolo importante, come si evidenzierà nella seconda parte di questo capitolo. Tuttavia, sembra ugualmente interessante considerare i valori medi ottenuti per la carsificazione delle varie litofacies carbonatiche tipiche dell’area laziale (Fig. 8), assumendo che i dati disponibili, a scala regionale, siano effettivamente rappresentativi della reale carsificazione ipogea. • Calcare Massiccio della paleo-piattaforma liassica – Affiora su una superficie di 233 km2 al di sotto della successione di bacino umbro-marchigiano-sabina; si aprono in questa formazione 141 grotte con uno sviluppo complessivo di oltre 7 km di condotti, cioè 31 m per km2 di affioramento. • Successione umbro-marchigiano-sabina di bacino e transizione – Le rocce più carsificabili (Corniola, Maiolica, Scaglia) affiorano su una superficie di 661 km2; si aprono in queste formazioni 88 grotte con uno sviluppo complessivo di 7 km di condotti, cioè 10 m per km2 di affioramento. Fra queste formazioni, la più carsificata è la Scaglia, con uno sviluppo dei condotti di grado “medio” (16 m/km2). Le altre formazioni della successione, calcareo-marnose o argilloso-marnose, hanno una carsificazione da bassa a completamente assente. • Successione di piattaforma carbonatica interna laziale-abruzzese – Le litofacies di acque basse (n. 66, 63 e 55) affiorano su una superficie di 3072 km2; si aprono in queste formazioni 976 grotte con uno sviluppo complessivo di quasi 90 km di condotti, cioè 29 m per km2 di affioramento. Complessivamente, risultano più carsificati i calcari del Cretacico sup. (35 m/km2). • Calcari a Briozoi e Litotamni e calcareniti del Langhiano-Serravalliano – Affiorano su una superficie di 469 km2; si aprono in questa formazione 110 grotte con uno sviluppo complessivo di 11 km di condotti, cioè 23 m per km2 di affioramento. Tuttavia, si riscontrano significative differenze di carsificazione fra le calcareniti depositate sulle formazioni terrigene della Sabina (13 m/km2) e i calcari sovrapposti ai carbonati mesozoici di piattaforma (27 m/km2). In conclusione, il Calcare Massiccio della paleo-piattaforma liassica, i calcari della piattaforma interna laziale-abruzzese e i sovrastanti calcari a Briozoi e Litotamni del Miocene mostrano un analogo grado di carsificazione, che si è scelto di definire “elevato”. Nei calcari del Miocene sovrapposti ai sedimenti di bacino i fenomeni carsici ipogei raggiungono un grado di carsificazione “medio”, significativamente inferiore a quello dei depositi della piattaforma del Cretacico. Nei termini calcarei della Scaglia, Corniola e Maiolica, compresi nelle successioni di transizione e di bacino pelagico, il grado di carsificazione varia da “medio” a “basso”, mentre nelle intercalazioni costituite dalle altre formazioni, prevalentemente marnose, la presenza di fenomeni carsici ipogei si riduce ulteriormente o si annulla del tutto. Figura 12 - In alto: evoluzione del “blocco” di M. Prato-M. Laghetto nei Monti Sibillini meridionali dal Pliocene ad oggi, con l’attivazione di una faglia normale ad alto angolo che sblocca la superficie di spianamento pliocenica, e origine e sviluppo della Grotta di Cittareale. In basso a sinistra: sezione schematica della grotta. In basso a destra: sviluppo planimetrico dei condotti in relazione alla quota, con evidenziati i paleo-livelli piezometrici ipotizzati.

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IL CARSISMO SOTTERRANEO NELLA FALDA TOSCANA E NELLA FALDA UMBRO-MARCHIGIANO-SABINA

Il Lazio Nord-occidentale La strutturazione della falda toscana (Fig. 13) è successiva alla deposizione dei sedimenti torbiditici della formazione del “Macigno” (Oligocene medio-Miocene inf.), e nell’area laziale è forse riferibile al Burdigaliano sup. (intorno a 18 milioni di anni fa) (CIPOLLARI ET ALII, 1995), rappresentando l’evento più antico riconosciuto nella regione. Nelle rocce calcaree mesozoiche affioranti nel Lazio sulla destra del Fiume Tevere, su una superficie complessiva di soli 8 km2, sono note 26 grotte, 5 delle quali abbastanza estese. Tutte le formazioni calcaree presenti in affioramento sono ben carsificate, con sviluppo medio ampiamente superiore a 100 m di condotti per km2 di affioramento (Fig. 14). Grandi placche di travertino si stendono a lato di questi piccoli rilievi calcarei: la piastra di Canino (a Ovest del monte omonimo, mentre poco più a Nord si trova la piastra della Chiusa del Vescovo), le bancate di Santa Severa (intorno ai dossi calcarei del M. delle Fate), e numerosi affioramenti travertinosi a Nord e a Sud del M. Soratte. Altre bancate di travertino sono presenti in numerose località del Lazio Nord-occidentale. Nei travertini si aprono complessivamente una ventina di cavità (per un totale di oltre 2 km di condotti) incluse le più estese del Lazio relativamente a questo tipo litologico. Da menzionare, infine, una piccola cavità nelle lave del vulcano di Vico, l’unica grotta lavica catastata nel Lazio.

IL MONTE CANINO E I TRAVERTINI DEL FIUME FIORA LA “SPINA” CALCAREA DI MONTE CANINO Il piccolo rilievo di M. Canino (432 m) presenta rocce calcaree in affioramento per un’estensione inferiore a 3 km2. L’unica grotta esistente è il Pozzo di Monte Canino, profondo 25 m, che si apre nel Calcare Massiccio in prossimità della vetta (Fig. 14).

36 LE PIASTRE DI TRAVER TINO DEL FIUME FIORA L’area interessata dai depositi travertinosi di Canino e della Chiusa del Vescovo è compresa fra il F. Fiora a Ovest e i centri vulcanici di Latera e Bolsena a Est. Quest’ampia zona è ribassata tettonicamente dalla faglia lungo la quale è impostato un tratto del F. Fiora. Sulla riva destra (Ovest) del fiume affiora il basamento metamorfico triassico, costituito da filladi con livelli grafitici, stratificate e piegate.

Figura 14 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nel Lazio Nord-occidentale.

Figura 15 - Sezione geologica attraverso la piastra travertinosa della Chiusa del Vescovo e passante per il sistema carsico Bucone-Grotta Nuova.

La zona ribassata da faglie situata a Est del F. Fiora, costituita da un basamento di rocce carbonatiche della falda toscana che affiora solo nella piccola dorsale di M. Canino, è stata colmata da sedimenti neogenici e quaternari, e quindi coperta da materiali eruttati dal vulcano di Latera. I terreni vulcanici (ignimbriti, piroclastiti, lave) hanno ricoperto il substrato adattandosi e “congelando” la morfologia sottostante; lo spessore delle vulcaniti è quindi variabile da pochi metri fino a diverse centinaia di metri. Successivamente alla messa in posto delle vulcaniti, la miscelazione di acque risalenti lungo faglie dall’acquifero carbonatico profondo con le acque circolanti nell’acquifero vulcanico superficiale ha originato la deposizione idrotermale di piastre di travertino arealmente molto estese, con spessori compresi fra pochi centimetri e 20-30 m (COCOZZA, 1963). Attualmente, alcune piccole sorgenti termominerali sono poste sui bordi degli affioramenti travertinosi, come quella in località Bagno di Musignano sulle pendici Sud di M. Canino. La formazione delle gallerie sotterranee in quest’area avviene per infiltrazione delle acque meteoriche in fessure del travertino, e successiva percolazione fino al contatto con i terreni vulcanici sottostanti (meno permeabili), dove le acque iniziano a scorrere nello spazio compreso fra le due superfici di contatto formando condotti che si ampliano rapidamente soprattutto per dissoluzione del carbonato di calcio. Quindi, le grotte sono tipicamente gallerie in lieve pendenza attraversate da corsi d’acqua, perenni o temporanei, che scorrono sul substrato di materiali piroclastici. L’ingresso, sia degli inghiottitoi che delle risorgenze, normalmente è un grande antro.

Figura 13 - La Falda Toscana si estende fino alla Toscana meridionale-Lazio settentrionale. Si individuano i fronti di accavallamento verso Est della “Falda Toscana” e della “Cervarola”, sovrascorsa sulla serie umbra.


La piastra travertinosa della Chiusa del Vescovo Il tavolato travertinoso della Chiusa del Vescovo, esteso 6 km2, poggia nella parte orientale sopra le ultime propaggini della colata lavica della Selva del Lamone (messa in posto circa 160 mila anni fa), mentre a Sud termina sulla forra del Torrente Olpeta e a Ovest, presso Ponte S. Pietro, raggiunge il F. Fiora, inciso nelle filladi triassiche, sulle quali si appoggia l’ultimo lembo di travertini. In base ai risultati delle datazioni radiometriche, la placca di travertino della Chiusa del Vescovo si è depositata a partire da 63 mila anni fa (TADDEUCCI & VOLTAGGIO, 1987). Nel deposito travertinoso sono note 5 cavità carsiche ipogee, e fra queste l’importante sistema sotterraneo Bucone-Grotta Nuova, che drena una parte delle acque del pianoro. La Grotta del Bucone (+2/-15, sviluppo 1065 m) è percorsa da un rio sotterraneo temporaneo, al quale si accede tramite due sfondamenti (“doline”); il tetto e le pareti della galleria sono costituiti da travertini in strati sub-orizzontali, mentre in alcuni punti del piano di calpestio è riconoscibile il materiale piroclastico (Fig. 15). La Grotta Nuova (+25/-11, sviluppo 603 m), nella quale scorrono perennemente le acque di infiltrazione del pianoro, è una lunga galleria sub-orizzontale a sezione squadrata, con alla base materiale piroclastico che affiora dal pavimento nel tratto terminale della grotta. E’ probabile che le acque del Bucone confluiscano in quelle della Grotta Nuova; un tratto lungo meno di 500 m separa i punti estremi delle due grotte. Le acque della Grotta Nuova, tuttavia, non emergono direttamente all’esterno ma scompaiono fra i massi del salone d’ingresso, per ricomparire dopo circa 100 m nella piccola Grotta del Roveto, ed emergere da una modesta sorgente situata a poche decine di metri dal F. Fiora, nella quale le acque sorgive scorrono sulle filladi impermeabili. La piastra travertinosa di Canino Il tavolato travertinoso di Canino affiora con continuità a Ovest di M. Canino su un’estensione di 60 km2. I travertini sono spesso stratificati con leggera pendenza verso SW (COCOZZA, 1963). In base alle datazioni radiometriche, la placca di travertino di Canino è più recente di quella della Chiusa del Vescovo, poiché l’inizio della precipitazione di CaCO3 risale a circa 27 mila anni fa (TADDEUCCI & VOLTAGGIO, 1987). Sono riportate in catasto 11 grotte, di cui 9, di modeste dimensioni, nel comune di Canino e 2, le più interessanti (Grotta Misa e Grotta di Ponte Sodo), nel comune di Montalto di Castro. La Grotta Misa (-24, sviluppo 119 m) è un inghiottitoio raramente attivo (drena un piccolissimo bacino), localizzato al contatto fra i travertini e i terreni vulcanici in una digitazione al bordo NW della grande piastra travertinosa, dove il banco di travertino ha uno spessore di una ventina di metri e una larghezza di soli 200 m. Più a Sud il F. Fiora incide la colata lavica di Vulci (tefrite fonolitica), messa in posto 320 mila anni fa (METZELTIN & VEZZOLI, 1983); la colata, emessa da fessure, ha colmato un antico alveo del F. Fiora fino alla confluenza con Fosso Timone, per uno spessore massimo di alcune decine di metri. Sopra la colata lavica appoggia il bordo SW del vasto deposito di travertini di Canino. Questi depositi sono stratificati, con livelli di spessore decimetrico o metrico in giacitura per lo più orizzontale costituiti da lamine di deposizione chimica con apporti terrigeni (sabbia di origine vulcanica, clasti delle rocce della falda toscana) (SPOSATO ET ALII, 1993). Il Fosso Timone, affluente del Fiora, fiancheggia il bordo meridionale del pianoro travertinoso fino a raggiungere una digitazione del banco di travertino; qui il corso d’acqua si è aperto una via sotterranea nei travertini porosi e carsificabili, scavando la Grotta di Ponte Sodo (-15, sviluppo 80 m). L’acqua si inabissa nella grotta con una cascata di una dozzina di metri, raggiungendo la base del deposito di travertino fino ad incidere la lava. Il banco di travertino ha uno spessore di 20 m e una larghezza inferiore a 200 m. Sul lato opposto della piastra travertinosa il torrente riemerge da una condotta percorribile per una ventina di metri (SEGRE, 1948a). RIQUADRO 3 – “I TRAVERTINI” I travertini sono tipici depositi continentali che nel Pleistocene-Olocene hanno estesamente interessato l’Appennino centrale; in figura 16 è riportata una mappa dei principali affioramenti di travertini nell’area laziale. Queste rocce si depositano come incrostazioni di carbonato di calcio su strutture vegetali, nella maggior parte dei casi con successive fasi di cementazione che forniscono un carattere litoide più o meno poroso alla roccia. Il risultato finale può essere molto vario; i tipi litologici sono classificabili in due grandi raggruppamenti: i travertini “detritici”, costituiti da frammenti di materiali incrostati, e i travertini che conservano le strutture vegetali nella loro posizione originaria (D’ARGENIO & FERRERI, 1988). I travertini possono essere depositati da acque calde in condizioni di termalismo basso o da acque a temperatura prossima a quella dell’ambiente. Nel Lazio, la deposizione dei travertini da acque termali è una conseguenza indiretta dell’intensa attività vulcanica che ha accompagnato e seguito l’estensione crostale dovuta alla formazione del bacino tirrenico, raggiungendo un massimo nel Pleistocene medio-sup. (LOCARDI ET ALII, 1977). I depositi di travertino, infatti, sono distribuiti soprattutto ai bordi dei principali distretti vulcanici, dove le acque dolci del circuito carsico relativamente superficiale (di composizione bicarbonatica) si miscelano con quelle che risalgono da un circuito più profondo (Fig. 17), di tipo termale e arricchite

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Figura 16 - Principali placche di travertino dell’area laziale.

in solfati e carbonato di calcio, probabilmente a causa della circolazione profonda nelle evaporiti triassiche e nei calcari mesozoici (BARBIERI ET ALII, 1979; MAR TINIS & PIERI, 1964; CIPRIANI ET ALII, 1977, PENTECOST & TOR TORA, 1989). MANFRA ET ALII (1976) hanno dimostrato, determinando i valori del rapporto isotopico 13C/12C dei travertini (che possono fornire informazioni sulla natura della CO2 presente nelle soluzioni da cui hanno tratto origine detti depositi), che molte piastre di travertino (per es. quelle delle Acque Albule, Canino, Cisterna di Latina e Fiano Romano) sono correlate con il processo di decarbonatazione in profondità delle unità mesozoiche, legato alla circolazione in profondità di fluidi chimicamente aggressivi. La risalita dei fluidi avviene spesso attraverso faglie nelle zone di taglio o di trascorrenza. La forma di questi depositi di travertino è tipicamente tabulare, l’estensione può anche essere notevole (nel Lazio la piastra più estesa è quella di Canino che raggiunge i 60 km2) mentre gli spessori sono molto ridotti, nella maggioranza dei casi pochi metri e raramente più di qualche decina di metri. La deposizione di travertino da acque a temperatura prossima a quella dell’ambiente può essere originata in corrispondenza di cascate, come conseguenza dei processi di nebulizzazione e successiva evaporazione delle minute goccioline d’acqua che nella caduta depositano sottili veli di carbonato di calcio sulle pareti dove vanno a cadere. Questi depositi “spugnosi” ricoprono altri corpi travertinosi con forte discordanza e creano e mantengono forti dislivelli, con raccordi anche verticali (per es., travertini della cascata delle Marmore, travertini di Tivoli-Ponte Lucano). Se l’ambiente di deposizione è caratterizzato da piccoli dislivelli verticali si sviluppano forme a gradoni con sistemi di vasche. Al diminuire della pendenza i depositi travertinosi assumono forma tabulare con stratificazione a basso angolo, che segue quella del pendio (D’ARGENIO & FERRERI, 1988).

Figura 17 - Modello della circolazione idrogeologica in corrispondenza delle piastre travertinose del Fiume Fiora. I fluidi dell’acquifero carbonatico profondo risalgono lungo la faglia e si miscelano con le acque dell’acquifero superficiale costituito dai prodotti vulcanici (da Taddeucci & Voltaggio, 1987).


Nei depositi di travertino dell’area considerata nel presente studio sono conosciute ben 110 grotte, per quasi 5 km complessivi di condotti ipogei.

I MONTI DELLA TOLFA IL MONTE DELLE FATE

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Nella Tuscia affiorano tre piccoli dossi calcarei che nell’insieme coprono una superficie inferiore a 1 km2. In quest’area sono conosciute 3 grotte, con uno sviluppo complessivo dei condotti inferiore a 400 m. Il carsismo ipogeo interessa sia il Calcare Massiccio, con una piccola grotta in uno dei dossi minori, che i Calcari Selciferi. Nel più grande dei tre dossi, il M. delle Fate (396 m), si trova la Grotta Patrizi (-47, sviluppo 260 m), scavata nel calcare selcifero ben stratificato (litofacies 60s). Questa formazione affiora in continuità stratigrafica sopra il Calcare Massiccio e ha una potenza compresa fra un massimo di 150 m nel versante occidentale di M. delle Fate e circa 50 m nel versante orientale (FAZZINI ET ALII, 1972). La Grotta Patrizi si sviluppa con condotti in parte freatici e in parte vadosi, seguendo apparentemente la pendenza della stratificazione, inclinata di 30-35°; tuttavia, sono pochi i tratti in interstrato mentre più spesso i condotti risultano impostati su faglie e fratture sub-verticali. La temperatura media interna è di 18-20°C in estate e di 20-22°C in inverno, valori più elevati della media annuale esterna. All’interno sono state osservate risalite ritmiche di aria calda, con temperature generalmente di 26-27°C e punte massime fino a 31°C (AGOSTINI ET ALII, 1981). Nella grotta sono presenti alcune fratture beanti con riempimenti filoniani di fluorite e di calcite spatica in grossi cristalli, concrezioni mammellonari di calcite con bande di ossidazione ed elevato contenuto di barite. Lungo una frattura si trovano fiori di gesso ormai molto degradati; è stata rinvenuta anche una concrezione a nucleo calcitico concentrico parzialmente avvolta da grossi cristalli di gesso (AGOSTINI ET ALII, 1981). Nelle vicinanze di questa cavità si apre la Grotta dei Serpenti (-10 m), una stretta fenditura con temperatura interna di circa 30°C dalla quale escono vapori caldi (SEGRE, 1948a). Le acque del M. delle Fate e del vicino dosso calcareo di località il Casone riemergono dalla sorgente Acqua Calda, situata sul bordo del dosso a 1,4 km di distanza dalla Grotta Patrizi (il cui fondo è prossimo al livello di falda). Si tratta di una sorgente termominerale che lascia incrostazioni travertinose, con temperatura dell’acqua di 45°C ed elevato tenore in H2S e CO2 (CAMPONESCHI & NOLASCO, 1978-86). L’elevata temperatura interna della grotta, la presenza contemporanea di minerali tipici dell’ambiente carsico idrotermale, le sorgenti sulfuree e termali e i depositi travertinosi, sono elementi caratteristici che fanno ritenere probabile un’origine della grotta dovuta a fenomeni ipogenici (DUBLYANSKY, 1997; vedi riquadro “grotte epigeniche e grotte ipogeniche”). RIQUADRO 4 – “GROTTE EPIGENICHE E GROTTE IPOGENICHE DEL LAZIO” Nei settori interni degli acquiferi dei massicci carbonatici del Lazio le acque di falda hanno la mineralizzazione bicarbonato-calcica tipica delle acque carsiche. In questi settori si sviluppano le grotte “epigeniche”, cioè le grotte formate in conseguenza dell’infiltrazione delle acque piovane nell’area sovrastante o comunque “vicina” alle grotte stesse, e della circolazione di queste acque nei vuoti presenti nel sottosuolo, con meccanismi di dissoluzione del calcare “normali”, cioè in cui l’agente carsificante è l’acqua arricchita della CO2 che deriva dall’atmosfera e dal suolo (KLIMCHOUK, 2000b). In alcune zone perimetrali dei massicci carbonatici del Lazio, prevalentemente sui bordi sbloccati da zone di taglio recenti (FACCENNA, 1994) o all’intersezione fra zone di frattura, le acque di falda presentano caratteristiche chimico-fisiche diverse da quelle tipiche delle aree carsiche, con valori più elevati di salinità, di contenuto gassoso e talvolta anche di temperatura. Queste differenze sono imputate all’esistenza di un circuito idrotermale che determina la risalita di fluidi da zone profonde lungo le lacerazioni crostali. Il chimismo delle acque delle sorgenti di queste zone è, quindi, il risultato della miscelazione delle acque del circuito carsico (a bassa mineralizzazione, di tipo bicarbonatocalcica) con quelle del circuito idrotermale (ad elevata mineralizzazione, ricche, oltre che di CO2, sodio e cloruri, anche di H2S) (BONI ET ALII, 1980). L’acido carbonico, agente principale della dissoluzione del calcare negli ambienti epigenici, è quindi fondamentale anche per la formazione delle cavità ipogeniche, anche se l’origine dell’acidità è diversa. La CO2 dei fluidi profondi può essere generata da processi ignei (nel Lazio, un’intensa attività vulcanica ha accompagnato e seguito l’estensione crostale dovuta alla formazione del bacino tirrenico, raggiungendo un massimo nel Pleistocene medio-sup.), dal termo-metamorfismo dei carbonati, e dalla degradazione termica e ossidazione di composti organici presenti in profondità operata da ossidanti minerali (processo possibile, per esempio, nei campi petroliferi: al riguardo sono da ricordare le manifestazioni petrolifere e asfaltifere situate nella provincia di Frosinone). Rispetto alle ambientazioni superficiali, nelle ambientazioni profonde la pressione parziale iniziale di CO2 può raggiungere valori molto elevati; inoltre, essa è distribuita molto meno uniformemente, poiché si concentra lungo le vie di fuga preferenziali (KLIMCHOUK, 2000b). La presenza di H2S nel Lazio è di origine sia sedimentaria che magmatica. Lo zolfo di

origine sedimentaria sembra imputabile all’attraversamento, durante la risalita dei fluidi idrotermali lungo le fratture, degli orizzonti evaporitici di età triassica sottostanti alla pila di sedimenti carbonatici, non in affioramento nel Lazio ma rinvenuti in sondaggi profondi (MAR TINIS & PIERI, 1964). Nel corso della risalita i fluidi acidi e caldi provenienti da zone profonde mobiliterebbero i solfati degli orizzonti evaporitici, producendo H2S (ZUPPI ET ALII, 1974; BONI ET ALII, 1980). Indagini svolte nell’area di Frasassi, nell’Appennino umbro-marchigiano, indicano però come possibilità più probabile, rispetto alle fenomenologie termali, il dilavamento delle formazioni evaporitiche da parte di acque meteoriche infiltratesi in profondità per l’alta permeabilità delle rocce, mancando nell’area indicatori di idrotermalismo (TAZIOLI ET ALII, 1990; SIGHINOLFI, 1990). Per quanto riguarda lo zolfo di origine magmatica, il ruolo dei magmi è duplice: 1) forniscono calore e specie chimiche che, interagendo con le formazioni confinanti, possono rimobilizzare lo zolfo sedimentario; 2) rilasciano specie contenenti zolfo primario (CAVARRETTA & LOMBARDI, 1992). Le grotte “ipogeniche” si formano sia nelle ambientazioni profonde in cui circolano solo fluidi idrotermali, sia nelle zone più alte delle falde acquifere dove si miscelano le acque del circuito carsico “superficiale” e quelle del circuito idrotermale profondo. Nel secondo caso, le grotte sono formate da acque la cui aggressività si è prodotta in profondità in modo indipendente rispetto alla CO2 della superficie o del suolo o da altre sorgenti di acido prossime alla superficie, e possono quindi essere definite ipogeniche (PALMER, 2000). Il carsismo idrotermale produce una varietà di morfologie di grotta, generalmente prive di dirette relazioni genetiche con la superficie esterna; quindi, il rinvenimento di una grotta ipogenica normalmente è possibile solo dopo il sollevamento tettonico del “blocco” che la contiene e l’asportazione per erosione della roccia incassante (DUBLYANSKY, 2000b). Grotte ipogeniche sono state già riconosciute in diverse aree carsiche italiane (per es., CUCCHI & FOR TI, 1990; GALDENZI & MENICHETTI, 1995). Tuttavia, i riferimenti alle grotte ipogeniche del Lazio sono molto limitati; in questo volume si avanzano delle ipotesi sullo sviluppo delle grotte correlate con la risalita di fluidi profondi nella nostra regione, proponendo l’attribuzione di alcune morfologie a questa origine, e in particolare: a) grandi cavità isolate, costituite da un singolo salone (vedi riquadro “i grandi ambienti carsici sotterranei”); b) grotte freatiche labirintiche, con piccole sale a cupola e frequente anastomosi dei passaggi (per es., il Buco del Pretaro sul M. Cosce); c) grotte di fessura, impostate su fratture tettoniche in corrispondenza

della falda sulfurea (per es., la Grotta di Fiume Coperto sui M. Lepini).

I TRAVER TINI DI SANTA SEVERA Pochi chilometri a ENE di Santa Severa si trovano due piastre di travertino piuttosto estese, con superficie complessiva di quasi 5 km2: la placca di Pian Sultano e quella di Bagni, quest’ultima depositata intorno ai dossi calcarei del Casone e di Bagni. I depositi, che localmente raggiungono spessori anche di qualche decina di metri, poggiano su terreni fliscioidi o, in prossimità dei dossi, sui calcari mesozoici (MANFRA ET ALII, 1976). L’area sembra essere localizzata all’intersezione di importanti faglie, presumibili vie di risalita delle acque mineralizzate di origine endogena, legate al locale vulcanesimo plio-quaternario (NEGRETTI & MORBIDELLI, 1963). Le manifestazioni idrotermali all’interno della placca sono rappresentate dalla piccola sorgente termominerale Acqua Calda, di cui si è parlato precedentemente. Le conoscenze attuali del fenomeno carsico ipogeo sono limitate a due piccole cavità a scivolo (6-7 m di profondità), situate nella piastra di Pian Sultano. 5 – “LE GROTTE NEI TERRENI VULCANICI” (DA G. CAPPA, 2000) I terreni vulcanici costituiscono quasi il 40% della superficie della regione e comprendono sia formazioni laviche che sedimenti piroclastici o idromagmatici. In queste rocce non si sviluppano fenomeni carsici veri ma si osserva la presenza di “pseudo-carsismo”. Le formazioni laviche possono contenere cavità naturali (chiamate gallerie di scorrimento lavico), in cui la fuoriuscita della lava ancora fluida ha lasciato lunghi condotti vuoti, ma queste cavità, che si formano dove le lave sono particolarmente fluide, nel Lazio non sono presenti; cavità si generano anche nei camini lavici, per effetto del ritiro verso il basso (per raffreddamento della colonna eruttiva e/o subsidenza della camera magmatica) che determina lo svuotamento dell’ultimo tratto in alto: nel Lazio esiste soltanto una cavità di questo tipo (il Pozzo del Diavolo al Lago di Vico). I sedimenti vulcanici non danno luogo a cavità, se si eccettuano alcuni modesti anfratti dovuti ad erosione fluviale e/o meteorica alla base di pareti verticali ed alla creazione di vacui “tettonici” dovuti alla fratturazione e cedimento gravitativo in prossimità delle stesse pareti verticali. A dire il vero è stata osservata in varie parti del Lazio la presenza di condotti a sezione paracircolare, analoghi a quelli definiti “freatici” nelle grotte carsiche, di diametro tuttavia assai ridotto (2-3 decimetri); essi sono la traccia di antichi scorrimenti idrici in pressione nelle formazioni cineritiche o idromagmatiche. Alcuni presentano anche successive sottoescavazioni di tipo “vadoso”, ma tutti sono risultati comunque impenetrabili per l’uomo. Un altro fenomeno che, per così dire, avvicina le forme sotterranee del vulcanico a quelle delle grotte carsiche è osservabile nei condotti di bonifica, scavati in epoca etrusca o romana e rimasti da allora in funzione per buoni 2000 anni; essi sono molto numerosi nella Tuscia e nei Castelli Romani. Il continuo scorrere dell’acqua ha prodotto sottoescavazioni che arrivano persino ad una profondità di 6 m: il condotto scavatosi in modo naturale è in certi casi addirittura ben più grande di quello artificiale iniziale e presenta meandri, marmitte e altre morfologie di dettaglio tipiche delle grotte naturali, là dove anche esse non sono scavate tanto da un’azione chimica “carsogena” sensu-strictu, quanto dall’erosione meccanica fluviale. RIQUADRO

LE LAVE DI MONTE VENERE SUL VULCANO DI VICO Le eruzioni del vulcano vicano hanno avuto inizio circa 800 mila anni fa per concludersi 90 mila anni fa con l’edificazione di M. Venere. L’apparato centrale, il vulcano di Vico, è un tipico stratovulcano con la parte terminale troncata verso Sud da una caldera eccentrica (DE RITA, 1993). Dal fondo della caldera si innalza un apparato secondario, il vulcano di M. Venere, nel quale si trova l’unica grotta lavica di un certo interesse del Lazio. Il Pozzo del Diavolo (-13 m, volume circa 2 mila m3) è una camera di crollo nella lava tefritica situata sulla sommità dell’apparato di M. Venere. I crolli, attraverso la fitta fessurazione della lava, si spiegano forse con la presenza di un sottostante camino lavico parzialmente svuotato dal ritiro della colonna lavica terminale del cavo vulcanico. La cavità si sarebbe ampliata per crolli successivi, riducendo l’altezza del vacuo residuale, spostatosi progressivamente verso l’alto (CAPPA, 1996).

ALTRI AFFIORAMENTI DI TRAVERTINO, CONGLOMERATI E TUFI

Figura 18 - La Grotta Innocenzi è impostata su tre fratture. Il tratto intermedio, che sviluppa un dislivello di 50 m con una serie di salti, segue una frattura inclinata di 60°, la cui superficie costituisce la parete di tetto del condotto; la stratificazione, nel Calcare Massiccio, non è distinguibile.

Nel Lazio Nord-occidentale sono numerosi gli affioramenti di travertino di origine idrotermale, oltre a quelli citati precedentemente e prossimi agli affioramenti calcarei di M. Canino, M. delle Fate e M. Soratte. Una descrizione di questi affioramenti è riportata in MANFRA ET ALII (1976). In particolare, segnaliamo le placche travertinose presso Viterbo (potenti pochi metri), le bancate di Bomarzo, i depositi di Orte (affioranti in numerose piccole placche) e quelli presenti nei dintorni di Civitavecchia (in particolare i piccoli affioramenti potenti pochi metri di Ficoncella, Bagni di


Traiano e i Montirozzi, depositati nell’Olocene e ancora attivi). Presso Palidoro si trova una piccola placca separata in due settori dall’incisione dell’attuale Fosso delle Cadute; a differenza degli altri depositi citati, questi travertini sarebbero originati dalla deposizione fluvio-lacustre, per colmamento di una depressione con profondità anche superiore a 10 m. Le uniche cavità catastate sono 3 grotte, lunghe 30-40 m ciascuna, presenti nell’area di Bomarzo, in prossimità della confluenza del Torrente Vezza nel Tevere, dove i travertini, depositati nell’Olocene all’interno di una depressione strutturale, poggiano prevalentemente su tufi “travertinizzati” negli strati superiori. Dalle informazioni disponibili risulta che queste grotte si aprono fra i travertini, i tufi e i materiali detritici travertinosi. Infine, alcune piccole grotte naturali si aprono nei terreni argilloso-conglomeratici e tufaceoconglomeratici del Lazio Nord-occidentale, nei pressi di Acquapendente, Tarquinia e Civita Castellana.

IL MONTE SORATTE La dorsale calcarea di M. Soratte (693 m) emerge bruscamente dall’area circostante a morfologia dolce, costituita da una coltre di sedimenti argilloso-sabbiosi e vulcaniti. Il rilievo si estende per una lunghezza di circa 6 km lungo l’asse principale diretto NW-SE, con una larghezza massima di 1,5 km; l’estensione areale è di quasi 5 km2. La struttura della dorsale (Fig. 14) è data da almeno due scaglie tettoniche sovrapposte, costituite prevalentemente da Calcare Massiccio, a loro volta poggianti su una terza scaglia, della quale emerge solo la sommità in alcuni piccoli e discontinui affioramenti a SE della dorsale principale (BENEO, 1947; BOR TOLANI & CARUGNO, 1979). La scaglia superiore (“di M. Soratte”), che comprende la cresta della dorsale, è accavallata verso NE sulla seconda scaglia (“di Sant’Oreste”). Il piano di scivolamento verso NE è impostato nella formazione marnosa della Scaglia eocenica (che ha svolto funzioni di lubrificante) situata a tetto della seconda unità. Analogamente, fra la scaglia tettonica intermedia di Sant’Oreste e l’unità basale (scaglia “di M. Piccolo”), si interpone la formazione della Scaglia del Turoniano. I piani di sovrascorrimento impostati su formazioni a permeabilità inferiore (come la Scaglia rispetto al Calcare Massiccio), limitano le possibilità di collegamento idraulico fra le singole scaglie, che possono però essere connesse attraverso le eventuali faglie distensive successive ai sovrascorrimenti. Sul M. Soratte sono note 22 grotte, con uno sviluppo spaziale complessivo dei condotti di 1,5 km.

quindicina di chilometri, interessando anche i depositi vulcanici e sedimentari del Pleistocene medio (FACCENNA, 1994). Attualmente il fondo della Grotta di S. Lucia si trova a q. 335 m, molto più in alto della falda idrica, le cui emergenze (sulfuree) sono probabilmente localizzate verso Sud seguendo la zona di taglio (sorgenti lineari a quote di circa 30 m, poco superiori al livello del F. Tevere). RIQUADRO

6 – “I GRANDI AMBIENTI CARSICI SOTTERRANEI”

Modalità di formazione delle grandi sale sotterranee La formazione di vacui sotterranei di grandi dimensioni può essere dovuta a meccanismi diversi. Nelle grotte scavate nei calcari, grandi sale sotterranee sono spesso localizzate in corrispondenza della congiunzione fra due gallerie percorse da torrenti, dove l’erosione alla base delle pareti produce ripetuti crolli della roccia sovrastante, e quindi l’ampliamento laterale e verso l’alto della sala. Il torrente che percorre la galleria deve contemporaneamente essere in grado di asportare gran parte dei detriti crollati, rimuovendoli come particelle in sospensione e in soluzione, permettendo così ai vuoti di mantenersi aperti (FORD & WILLIAMS, 1989). Un esempio di ambiente “fossile” di questo tipo nel Lazio può essere rappresentato dal salone “Kilauea” nella Grotta degli Urli (10x50 m, altezza 6 m). In grotte percorse da torrenti periodicamente impetuosi la presenza di grandi sale immediatamente precedenti passaggi di ridotte dimensioni, può essere spiegata dell’allagamento del condotto a monte del restringimento per la forte risalita del livello dell’acqua durante le piene (PALMER, 1972). Come esempio, si veda quanto riportato per gli inghiottitoi dei M. Carseolani, dove i saloni che precedono i sifoni “terminali” hanno lunghezze di 80-100 m, larghezze di 12-20 m e altezze di 15-20 m. L’evoluzione multifase di un sistema carsico sotterraneo può portare alla sovrapposizione di

L’UNITÀ TETTONICA “DI MONTE SORATTE” E’ costituita quasi interamente da Calcare Massiccio, nel quale si aprono tutte le 13 grotte note al catasto, per complessivi circa 850 m di condotti esplorati. Questo notevole sviluppo del carsismo sotterraneo, considerata la ristrettezza dell’affioramento, mal si spiega con l’attuale idrografia di superficie, caratterizzata dalla notevole acclività dei versanti e dall’assenza di qualsiasi bacino di raccolta (PASQUINI, 1963a). In prossimità della cresta sommitale si aprono l’Abisso Erebus (-115 m) e la Grotta Innocenzi (-53 m), entrambe interamente impostate su fratture inclinate (Fig. 18). Fra le cavità minori sono da ricordare alcune bocche che emettono aria calda in tutto l’arco dell’anno, analogamente a quanto descritto per la Fossavota nei M. Cornicolani. Sul fianco orientale della montagna gli strati si inclinano fino a 40° in prossimità della evidente superficie di sovrascorrimento che taglia a mezza costa il versante orientale della dorsale. In prossimità del fronte di sovrascorrimento si trova la cavità più interessante del M. Soratte, la Grotta di Santa Lucia (+15/-105 m), venuta alla luce nel 1967 durante i lavori di estrazione all’interno di una cava, per il crollo del diaframma roccioso che separava la superficie topografica dalla volta di un grande vacuo ipogeo. Dato il breve periodo trascorso dall’apertura, l’ambiente sotterraneo presenta ancora ben conservate le caratteristiche precedenti al crollo. Si tratta di una grande caverna, scavata nel Calcare Massiccio, con una volta a cupola alta una cinquantina di metri (si entra solo dal foro nella volta) e pianta ovoidale di 55x90 m, per un volume dell’ambiente di circa 90 mila m3 e rapporto volume/lunghezza di circa 1600 m3/m. Verso il basso la cavità prosegue con un grande pozzo cilindrico di sezione circolare del diametro di 25 m, profondo 60 m fino ad un pavimento di blocchi e detrito. Da un lato del grande salone si immette un “camino” le cui pareti sono a tratti coperte da crostoni di gesso (P. DALMIGLIO, com. pers.). Esternamente non si osservano indizi che giustifichino la presenza del grande ambiente sotterraneo (per esempio, accenni di doline). Come si vedrà anche più avanti, le grandi cavità carsiche a cielo aperto sono morfologie tipiche del Lazio, e la Grotta di S. Lucia ne rappresenta un notevole esempio, relativamente allo stadio evolutivo immediatamente precedente al crollo naturale della volta. Nel riquadro dedicato ai “grandi ambienti” sotterranei sono riportate le motivazioni che spingono a ritenere che l’origine di queste cavità abbia luogo in corrispondenza o poco al di sotto della superficie piezometrica e sia legata alla risalita da zone profonde di fluidi ricchi di CO2 e H2S. Per quanto riguarda in particolare il M. Soratte, la risalita dei fluidi ipogenici dovrebbe essere avvenuta attraverso le faglie della zona di taglio che si sviluppa dalla dorsale verso Sud per una

vacui, che per crolli successivi si ampliano creando un grande ambiente unico. Potrebbe essere questa l’origine del salone “La Nuova Atlantide” (30x10 m, altezza 50 m) nell’inghiottitoio di Campo di Caccia, attraversato da un torrente e con grandi gallerie fossili occhieggianti in alto sulle pareti. Molte delle più vaste sale sotterranee nel mondo, comunque, sono scavate in rocce impermeabili (marne, argilliti) al di sotto di un soffitto calcareo. Il meccanismo di formazione sembra essere spiegabile con l’afflusso di notevoli quantità d’acqua in corrispondenza del livello erodibile, che viene progressivamente asportato lasciando uno spazio vuoto. Successivamente si verificano crolli ripetuti di blocchi calcarei dalla volta, che vanno a ricoprire le rocce impermeabili costituenti la base della sala, talvolta nascondendole completamente. La stabilità di questi grandi ambienti è spesso legata alla presenza di importanti discontinuità (faglie) (GILLI, 1984). Nel Lazio è di questo tipo la vasta sala che costituisce la Grotta di Colle Cantocchio (circa 50x100 m, altezza media 2-3 m). Un’altra modalità di escavazione di grandi sale sotterranee si realizza grazie all’azione di acque idrotermali e/o sulfuree (“ipogeniche”), come si ritiene sia avvenuto per la celebre Carlsbad Big Room negli USA, che ha un volume di oltre 1 milione di metri cubi (FORD & WILLIAMS, 1989; HILL, 1990). Questa tipologia di cavità è di particolare interesse nell’area laziale; ai meccanismi di formazione di questi ambienti è dedicato il paragrafo successivo di questo riquadro. Modalità di formazione delle grandi sale sotterranee per azione di acque sulfuree L’acido solfidrico disciolto (H2S), originato principalmente per riduzione dei solfati, è un acido debole in grado di sciogliere i carbonati. La dissoluzione operata da questo acido è probabilmente il processo speleogenetico più importante negli ambienti anossici profondi, dove la possibilità di creare grandi cavità è legata alla “rigenerazione” della capacità di dissoluzione; ciò può avvenire

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Figura 19 - Rilievi topografici di alcune delle “grandi cavità carsiche a cielo aperto” dell’area laziale.


principalmente per la miscelazione di acque con contenuto di H2S molto diverso, che determina una forte sottosaturazione (PALMER, 1991). La dissoluzione, però, è molto più pronunciata se le acque con H2S entrano in contatto con quelle della falda superficiale. Infatti, durante la risalita del fluido nella frattura, l’acido solfidrico rimane allo stato ridotto finché, approssimandosi alla superficie piezometrica, il fluido si miscela con le acque di provenienza meteorica esterna, ricche di ossigeno. Nel corso della miscelazione l’acido solfidrico si trasforma in acido solforico (HILL, 1990): H2S+2O2=HSO4-+H+ L’acido solforico è fortemente aggressivo e reagisce con le pareti calcaree: HSO4-+H++CaCO3+2H2O=Ca2++SO42-+3H2O+CO2 Quindi, la maggior parte della dissoluzione è operata dall’acido solforico e ha luogo in prossimità della superficie freatica, a meno che la miscelazione fra le acque del circuito profondo e del circuito carsico non avvenga a profondità maggiori. Inoltre, l’ossidazione dell’H2S rilascia energia chimica in grado di produrre in situ materia organica, utilizzata da batteri chemioautotrofici; l’attività metabolica dei batteri, che determina una ulteriore ossidazione dell’H2S, contribuisce significativamente alla corrosione carsica presso la superficie della falda freatica (GALDENZI & SARBU, 2000). Fra i prodotti più caratteristici di questo meccanismo genetico sono da ricordare i depositi gessosi, che possono formare accumuli anche molto potenti, soprattutto negli ambienti aerati in diretto contatto con la falda sulfurea per l’interazione delle esalazioni sulfuree con l’ossigeno atmosferico e le pareti calcaree (per es., vedi Grotta di Fiume Coperto, nei M. Lepini). L’eventuale residuo argilloso, non solubile, presente nel calcare si dovrebbe depositare sul pavimento dell’ambiente che si va ampliando, proteggendolo dall’azione aggressiva dell’acqua sulfurea. Infatti, nei casi osservati da HILL (1990) le pareti delle grandi sale terminano bruscamente su un piano orizzontale. Sul pavimento della sala potrebbe essere riconoscibile il condotto lungo il quale è risalito il fluido, cioè la frattura ampliata nella zona di ossidazione. Questi grandi vuoti carsici avrebbero, in origine, una forma a duomo poco influenzata da crolli, che si produrrebbe intorno al punto di iniezione del fluido ipogenico; allontanandosi da questo

punto l’acido verrebbe rapidamente neutralizzato (HILL, 1990). Esempi di sale il cui ampliamento è attribuito a queste modalità sono stati descritti in molte località del mondo. Talvolta le grotte idrotermali e/o sulfuree sono composte esclusivamente da una o più grandi sale dalla tipica forma a duomo, con nicchie e cupole sulla volta. Queste sale hanno lunghezze spesso superiori a 100 m e altezze di 80 m o più e il loro volume specifico (volume/lunghezza del vacuo) è tipicamente maggiore di 100 m3/m (DUBLYANSKY, 2000b). La localizzazione delle sale ipogeniche, spesso isolate rispetto al reticolo carsico, rifletterebbe quella dei particolari punti di iniezione di acido solfidrico in prossimità della superficie della falda. In questo articolo vengono definite come “grandi cavità carsiche a cielo aperto” le cavità che presentano le seguenti caratteristiche: a) si aprono all’esterno o a profondità molto ridotta (fino a qualche decina di metri); b) le pareti sono sub-verticali o strapiombanti; 3) la pianta della base dell’ambiente è di forma grossolanamente ellittica e il rapporto asse minore / asse maggiore è superiore a 0,5; 4) l’asse maggiore ha dimensioni di almeno 50 m; 5) il volume specifico è maggiore di 100 m3/m. Le grandi cavità carsiche a cielo aperto sono frequenti nel Lazio e presenti in tutte le formazioni geologiche calcaree e anche nei travertini; in figura 19 sono riportati i rilievi di alcune di queste cavità. L’esempio migliore è la Grotta di Santa Lucia sul M. Soratte, venuta alla luce durante lavori di scavo meno di 40 anni fa. Con il crollo della volta, l’entrata della luce e l’azione degli altri agenti atmosferici, si avvia la rapida degradazione del concrezionamento presente. I blocchi di crollo vanno a ricoprire interamente, o quasi, la base dell’ambiente, ostruendo le eventuali condotte di risalita dell’acqua. Ad esclusione della Grotta di S. Lucia, in nessuna delle grandi cavità del Lazio sono stati rinvenuti depositi di gesso, forse perché le acque meteoriche che si infiltrano dalla volta li hanno

rapidamente asportati in una fase precedente. In figura 20 si può osservare come i grandi vuoti carsici siano normalmente localizzati lungo tratti perimetrali in estensione dei massicci carbonatici, in prossimità di sorgenti termali e/o sulfuree e di placche di travertino, anch’esse correlate alla risalita dei fluidi idrotermali. Queste forme ipogeniche non si rinvengono, invece, nelle aree interne dei massicci carbonatici, dove le sale sotterranee molto difficilmente hanno dimensioni confrontabili e dove comunque le morfologie degli ambienti sono molto diverse. Pur in mancanza di prove conclusive, si avanza l’ipotesi che questa particolare tipologia di forme carsiche sia imputabile ai processi sopra descritti, e che quindi il loro sviluppo sia avvenuto in condizioni freatiche, in corrisondenza o in prossimità della superficie piezometrica, per la miscelazione delle acque della falda carsica con fluidi sulfurei di origine profonda, localizzata in punti particolari di iniezione (faglie, intersezione di fratture).

Figura 20 - Carta delle manifestazioni sulfuree e idrotermali dell’area laziale e ubicazione delle presunte cavità

Figura 21 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nella dorsale di Monte Cosce e nel settore sabino a Ovest della Faglia Sabina, strutturati nel corso dell’evento del Serravalliano inf.–Serravalliano sup.

L’UNITÀ TETTONICA “DI SANT’ORESTE” Nell’unità di Sant’Oreste, cioè a Est e al di sotto della linea di sovrascorrimento precedentemente menzionata, affiorano quasi esclusivamente i calcari del “Marmarone” (o Corniola, litofacies 65), immergenti verso Ovest. In questa formazione geologica si aprono tutte le 9 grotte note in questa unità, per uno sviluppo complessivo di oltre 600 m di condotti. Di particolare importanza sono i tre grandi pozzi paralleli e intercomunicanti dei Meri (-109 m), impostati su due fratture principali a diversa orientazione, una verticale e l’altra inclinata di 65°. Pur mancando ancora riscontri, si può ipotizzare che questi insoliti pozzi abbiano la stessa origine del grande P60 della Grotta di S. Lucia e del condotto ancora attivo del Pozzo del Merro nei M. Cornicolani, e che rappresentino cioè

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ipogeniche.


antichi condotti di risalita delle acque di un circuito profondo. Molto tempo prima che le teorie sui flussi ipogenici acquisissero popolarità, PASQUINI (1963a) ha segnalato l’analogia fra la morfologia dei Meri e quella del Pozzo Sventatore nei M. Cornicolani (anch’esso attualmente ritenuto di presumibile origine ipogenica), e ha ipotizzato che queste voragini si siano formate per “concamerazioni sub-

orizzontali in serie, scavate presumibilmente dalle acque circolanti a quote superiori all’attuale livello della falda acquifera, concamerazioni successivamente riunitesi per crollo dei diaframmi rocciosi che le separavano”.

I TRAVER TINI DI FIANO ROMANO Questo deposito di travertino in strati sub-orizzontali è situato presso la riva destra del Tevere, all’estremità della faglia N-S facente parte della zona di taglio transestensiva del M. Soratte. L’estensione areale del deposito copre una decina di km2, mentre la sua potenza raggiunge alcuni metri. Secondo le indagini radiometriche, l’età assoluta è compresa all’incirca tra 430 mila e 220 mila anni fa; probabilmente il deposito è stato originato dalla risalita di acque calcarifere appartenenti al circuito idrotermale, risalenti dal substrato mesozoico lungo linee di frattura (MANFRA ET ALII, 1976). Attualmente nell’area in esame non sono presenti manifestazioni sorgentizie minerali, ma solo emanazioni di CO2 e H2S nei pressi del Lagopuzzo, unico fenomeno carsico (peraltro di superficie) riportato nel catasto delle grotte del Lazio relativamente a quest’area. Questo lago, situato in prossimità del paese di Leprignano (Capena), è il risultato di sprofondamenti del suolo avvenuti ciclicamente nello stesso luogo con formazione di laghi circolari del diametro di 100-200 m. I depositi di travertino, che hanno uno spessore limitato ad alcuni metri, poggiano su sabbie marnose poco cementate alternate ad argille del Pleistocene, per uno spessore di 20-30 m. Al di sotto si rinvengono, per uno spessore di circa 35 m, brecce calcaree e calcari organogeni vacuolari del Pliocene. Alla base di questi depositi si troverebbe il substrato carbonatico del Lias (SEGRE, 1948a). Secondo SEGRE (1948a) il fenomeno ha le seguente spiegazione: “… E’ verosimile quindi che

le acque subalvee dei fossi circostanti raggiungano le brecce ed i calcari vacuolari pliocenici filtrando nei luoghi dove la superiore formazione sia più sabbiosa e quindi permeabile. L’opera di soluzione viene notevolmente attivata per la presenza di CO2 prodotta da letti lignitiferi certamente contenuti in questa zona a poca profondità. Difatti i precitati Autori videro affiorare nell’area sprofondata tronchi e rami lignitizzati notando altresì la temporanea emergenza di acque carbo-solfidriche e ferruginose. Scorrendo poi al contatto con i calcari liassici talora dolomitici, erodono preferibilmente i sovrastanti calcari organogeni pliocenici, vi scavano in tempo relativamente breve grotte e gallerie (il grande volume di cavità, precedentemente riferito, non potrebbe spiegarsi se non ammettendo la presenza di sotterranei allungati). Quando in un luogo determinato la volta della grotta raggiunga le soprastanti sabbie, venuto meno a queste il sostegno, precipitano più o meno repentinamente; con esse si spezzano i crostoni rigidi dei travertini di copertura, provocando il rumore secco che accompagna le manifestazioni di sprofondamento. Quindi la causa che li ha prodotti non va ricercata tanto nei calcari liassici, quanto ad un livello più alto, e precisamente nei calcari pliocenici: si spiega così la ripetizione periodica del fenomeno che deve porsi anche in relazione con le ligniti”.

I TRAVER TINI DI CIVITA CASTELLANA Anche a Nord del M. Soratte sono presenti sorgenti minerali fredde e una piccola sorgente sulfurea ricca di gas. Si trovano in quest’area diverse piccole placche travertinose di presumibile origine idrotermale, intercalate a formazioni vulcaniche, d’età presumibilmente compresa fra 0,82 e 0,22 milioni di anni. MANFRA ET ALII (1976) hanno segnalato la presenza di numerose doline nei travertini del pianoro che limita a NW il M. Soratte, ma nel catasto regionale non sono riportate cavità ipogee.

La dorsale Monte Cosce–Monti di Narni e il settore sabino dell’Unità dei Monti Martani La dorsale M. Cosce-M. di Narni costituisce un’unità tettonica con asse NW-SE, accavallata verso Est sopra l’Unità dei M. Martani, a sua volta sovrascorsa verso oriente sulla falda sabina (Fig. 21). La strutturazione di questo settore di catena è attribuita all’evento Serravalliano inf.–Serravalliano sup. (11,5-12 milioni di anni fa) (CIPOLLARI ET ALII, 1995). Questo tratto di catena comprende, quindi, due unità tettoniche principali: a Ovest quella di M. Cosce e a Est il settore compreso fra la valle del Torrente Aia e il lineamento complesso della Faglia Sabina. L’evoluzione paleo-geografica di queste due unità, relativamente al periodo Giurassico, è stata recentemente reinterpretata. Nel Lias sup. la paleo-piattaforma carbonatica fu sbloccata da una faglia orientata N-S (paleo-Faglia Sabina). Il blocco rialzato (denominato “plateau sabino”), situato a Ovest della faglia, si estendeva su un’area allungata che verso Nord include il settore compreso fra il T. Aia e la Faglia Sabina, e verso Sud si spinge almeno fino ai Monti Cornicolani. Il “plateau” si

interponeva nel bacino umbro-marchigiano (i cui depositi si riconoscono oggi sul M. Cosce, a Ovest del plateau), delimitando così un settore di mare profondo (“bacino sabino”) compreso fra il plateau a Ovest e la piattaforma carbonatica laziale-abruzzese a Est (Fig. 22). Il plateau rimase in condizioni di acque basse per il lungo periodo di tempo che va dal Lias sup. alla fine del Giurassico-inizio Cretacico; di conseguenza, al di sopra del Calcare Massiccio della paleo-piattaforma, sul plateau si depositò una successione pelagica “condensata” giurassica che raggiunse spessori massimi di 40 m, mentre circa 1500 m di sedimenti si versavano nel contiguo bacino sabino (Fig. 22) e approssimativamente 500 m nel bacino umbro-marchigiano. All’inizio del Cretacico il riempimento del bacino, avvenuto con la deposizione della formazione calcarea della Maiolica, livellò il fondale marino ponendo fine all’esistenza del plateau sabino (SANTANTONIO & MURARO, 2002). Per quanto riguarda il carsismo ipogeo, allo stato attuale delle conoscenze esso risulta ben sviluppato nell’unità di M. Cosce e quasi assente nell’area fra il T. Aia e la Faglia Sabina. Le rocce carsificabili meso-cenozoiche si estendono in affioramento per circa 140 km2; su questa superficie sono note 93 grotte, con uno sviluppo spaziale complessivo dei condotti di oltre 4,6 km. La successione stratigrafica osservabile in affioramento inizia con i depositi della paleopiattaforma carbonatica del Trias sup.-Lias inf., rappresentati dalle dolomie triassiche della formazione di M. Cetona (litofacies 71) affioranti in piccoli lembi sul bordo Ovest della struttura di M. Cosce, e dalla formazione liassica del Calcare Massiccio, che rappresenta il 45% dell’area carbonatica in affioramento ed è interessata da un carsismo sotterraneo di grado “elevato”, con 59 m di condotti attualmente noti per km2 di affioramento. Sui carbonati della paleo-piattaforma dell’unità di M. Cosce poggia la tipica successione del bacino umbro-marchigiano, che comprende alcune formazioni carbonatiche caratterizzate da carsificazione ipogea “mediamente” sviluppata, intervallate a depositi a carsificabilità e permeabilità “bassa” o nulla. La Corniola del Lias medio, la Maiolica del Giurassico sup.-Cretacico inf. e la Scaglia Bianca-Scaglia Rossa del Cretacico sup.-Eocene presentano, infatti, uno sviluppo di condotti compreso fra 12 e 15 m per km2 di affioramento. Alcuni depositi di travertino si rinvengono al piede delle montagne, e in particolare in prossimità di Calvi nell’Umbria, dove i processi carsici hanno prodotto una piccola cavità ipogea.

LA DORSALE MONTE COSCE-MONTI DI NARNI La dorsale M.Cosce-M. di Narni è caratterizzata dal sovrascorrimento “di Narni”, costituito da due piani di accavallamento. In particolare il sovrascorrimento superiore ha a tetto il Calcare Massiccio e termina verso Est al nucleo di un’anticlinale rovesciata; questa struttura è dislocata da faglie normali plio-quaternarie (CALAMITA ET ALII, 1995a). Nel settore centro-meridionale della dorsale, che culmina nel M. Cosce (1114 m), si aprono una cinquantina di grotte; fra quelle di dimensioni più significative, sono da ricordare il Pozzo delle Canine (-78, sviluppo 120 m) e la Grotta Cherubini (-40 m), entrambe situate nel Calcare Massiccio e in posizione strutturale particolare, prossima a grandi faglie. L’ingresso del Pozzo delle Canine, localizzato sul versante orientale di M. Cosce a breve distanza dal fronte di sovrascorrimento, è su una frattura che ne interseca subito una più importante e ortogonale alla prima, lungo la quale si sviluppa tutto il resto della grotta. Questa frattura, inclinata di 80°, è parallela alle pareti esterne e ha la stessa direzione del vicino fronte di sovrascorrimento. La Grotta Cherubini, invece, si apre sul versante occidentale di M. Cosce, a pochi metri di distanza da un’importante faglia diretta; è costituita da un sistema di gallerie di origine tettonica che si intersecano ad angolo retto (SEGRE, 1948a). Sul versante orientale di M. Cosce, non lontano dal fronte di sovrascorrimento, è nota un’altra interessante cavità, il Pozzo di Miesole (-51 m). Scendendo il pozzo d’imbocco si entra in una grande sala (40x60 m) con volta a cupola alta oltre 15 m (Fig. 19); il pavimento, pianeggiante e rivestito di fango, è parzialmente coperto dal cono detritico accumulatosi al di sotto del pozzo. Sulla parete Est del salone è riconoscibile uno specchio di faglia inclinato di 80°, perpendicolare al fosso esterno all’interno del quale si apre il pozzo d’imbocco. La cavità è ubicata nel Calcare Massiccio, ma la volta della cupola è prossima al contatto con la sovrastante formazione della Corniola. Le caratteristiche morfologiche dell’ambiente sotterraneo spingono ad ipotizzare un’origine ipogenica (vedi riquadro “i grandi ambienti carsici sotterranei”). Tuttavia, la cavità più interessante del M. Cosce è il Buco del Pretaro (+6/-41, sviluppo 530 m), scavato nel Calcare Massiccio sul bordo Sud-occidentale della dorsale calcarea, presso Montebuono. Le condotte freatiche non più attive che compongono la grotta si intersecano formando un reticolo labirintico tridimensionale, che utilizza un sistema integrato di piani di discontinuità, costituito dagli strati (inclinati di 30-65° verso SW) e da due sistemi di fratture (con superfici inclinate rispettivamente di 40-65° verso ENE e di 60-70° verso NNW) (Figg. 23 e 24), con frequente anastomosi di più condotte. Le fessure originarie risultano spesso ampliate lungo la massima pendenza del piano di discontinuità, come nel caso dei pozzi a scivolo “Toboga”; si tratta di una serie di condotte

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Figura 22 - In basso: correlazione stratigrafica tra il “plateau” sabino e il bacino sabino (nella successione di bacino non sono state rappresentate torbiditi e olistoliti). Si evidenzia come prima della deposizione della Maiolica le unità di bacino fossero fisicamente scollegate da quelle di plateau; solo la Maiolica si depositò su entrambi gli ambienti, fino a livellare la superficie del fondo marino. In alto: carta semplificata della paleogeografia dell’area umbro-laziale nel Giurassico medio (da Santantonio & Muraro, 2002)


Figura 24 - Il Buco del Pretaro è costituito da un reticolo tridimensionale di condotti freatici impostati parte sugli strati e parte lungo sistemi di fratturazione (foto C. Germani e A. Cerquetti).

Figura 23 - Sezione schematica del Buco del Pretaro; sono evidenziati i tratti impostati sui sistemi di fratture e sugli interstrati nel Calcare Massiccio.

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allineate su una frattura inclinata di 50° e ampliate da acque di falda in pressione fino ad assumere sezioni ellittiche; i due “Toboga” superiori, infatti, hanno assi maggiore/minore di rispettivamente 1,2/0,7 m e 0,6/0,4 m, e sono profondi 8 m. Altre forme tipiche sono le sale; fra queste, la sala “Utec” è l’ambiente più grande della grotta: la pianta è ampia 5x10 m, l’altezza è di 4-5 m, la volta è costituita da numerose cupole, le pareti sono “porose” (interamente alterate, come ovunque nella grotta) e su una di esse sono state trovate piccole croste di gesso bianco; il pavimento è in leggera discesa e fangoso. Mancano le morfologie vadose. L’abbassamento della superficie piezometrica deve essere stato abbastanza repentino da escludere la grotta dalla rete di drenaggio, disattivandola prima che si potessero produrre significativi solchi di approfondimento nei condotti originari. Come si è detto nella prima parte di questo capitolo, la superficie piezometrica attiva all’epoca dello sviluppo della grotta doveva essere situata intorno alla quota attuale di circa 350 m, mentre oggi la sommità della falda acquifera si trova presumibilmente fra le quote 150 e 200 m, (le acque sotterranee di quest’area sono probabilmente drenate dalle sorgenti sulfuree di Montoro-Stifone e dal Fiume Nera nella gola di Narni). Non sono stati individuati indizi che correlino la genesi del sistema sotterraneo con punti di infiltrazione situati sulla superficie topografica; anche l’ingresso della grotta è una condotta solo casualmente intersecata dallo scavo della parete rocciosa per la realizzazione della strada. L’insieme delle caratteristiche descritte permette di ipotizzare che l’origine e lo sviluppo della grotta siano avvenuti in falda, probabilmente in prossimità della superficie piezometrica, e che siano correlati con l’afflusso di fluidi idrotermali profondi contenenti H2S. Spostandosi più a Nord, nei rilievi che circondano Narni, in un piccolo klippe di Calcare Massiccio sovrascorso sulla formazione della Corniola, si trova la Grotta di Pizzo Corvo (-46 m). Si tratta di un grande ambiente, venuto alla luce per il crollo della volta, forse impostato sul set di fratture inclinate di 50-70° osservabile sulle pareti. Anche per questa cavità, del tipo “grande cavità carsica a cielo aperto” (Fig. 19), sembra ipotizzabile una genesi correlata con l’afflusso di fluidi mineralizzati profondi (vedi riquadro “i grandi ambienti carsici sotterranei”). La valle del F. Nera interrompe la dorsale di M. Cosce con una profonda forra. L’incisione permette di osservare sulle pareti della forra un piano di sovrascorrimento, con il Calcare Massiccio sovrapposto sulle rocce più recenti (Figura 25). A Nord della gola, la dorsale si chiude con l’area montuosa dominata dal M. Santa Croce (432 m), di ridotta estensione (circa 9 km2). In questo settore

Figura 25 - In alto a sinistra: pianta della Grotta dello Svizzero. Al centro: sezione schematica della grotta nella direzione parallela all’immersione della faglia. In basso a destra: un tratto della faglia all’interno della grotta. In basso a sinistra: il

sovrascorrimento “di Narni” nella Gola del Nera presso Stifone; la Grotta dello Svizzero sembra essere situata sulla faglia che taglia il versante di Monte S. Croce (foto G. Mecchia).


il carsismo risulta particolarmente sviluppato, con la presenza di una trentina di grotte, alcune delle quali di dimensioni importanti, come la Grotta Celeste e la Grotta dei Veli che si sviluppano per circa 150 m ciascuna, con profondità rispettivamente di 20 e 33 m. Tuttavia, la cavità più interessante è la Grotta dello Svizzero (-80, sviluppo 750 m), costituita da un intricato reticolo di fessure nel Calcare Massiccio larghe quasi ovunque 1-1,5 m, interamente impostata su una faglia inclinata di 60° (Fig. 25). In alcuni punti della grotta, lungo il piano di scorrimento si osserva la breccia cataclastica rossastra che contiene limonite pisolitica. La faglia dovrebbe corrispondere a quella visibile all’esterno, che ha sollevato notevolmente il settore orientale. In base alla documentazione storica raccolta da A. SCATOLINI, la presenza di minerali ferrosi sul M. Santa Croce è nota da lungo tempo, e infatti la cavità veniva sfruttata come miniera di ferro già nel 1700 quando, per lavorare il minerale, estratto scavando con martello e punteruolo o con il piccone da alcune cave situate sul monte, fu costruita la ferriera di Stifone, posta poco al di sotto della grotta lungo il F. Nera. La Grotta dello Svizzero sembra corrispondere ad uno di questi siti, la “Cava di Zara” della relazione del PENNINI (1760), nella quale

“fattovi calare quattro uomini, questi trovarono in fondo dei rami di vena di ferro, dell’altezza di un palmo (25 cm), ma di qualità un poco inferiore delle altre cave”. Questa mineralizzazione poteva tipicamente fornire il 33-40% del metallo. Sotto la Grotta dello Svizzero, nella gola del Nera fra Narni e Nera Montoro, sgorgano numerose sorgenti caratterizzate da elevata salinità e presenza di gas, che incrementano la portata del fiume di circa 15 m3/s. Le acque emergono da condotti carsici non percorribili; tuttavia, in uno di essi, la Risorgenza di Recentino, gli speleologi sono riusciti ad avanzare per quasi 60 m fino ad un sifone, percorrendo una piccola galleria quasi interamente sommersa, in un fragore assordante d’acqua, con pungente odore di zolfo e aria quasi irrespirabile (CO2=3,76%)(GRUPPO SPELEOLOGICO UTEC, 1983).

I TRAVER TINI DI CALVI NELL’UMBRIA Nei pressi di Calvi nell’Umbria, addossate al Calcare Massiccio che costituisce il bordo della dorsale di M. Cosce, si trovano due placche travertinose; l’estensione areale complessiva è di quasi 3 km2. L’unica cavità riportata nel catasto speleologico umbro è la Grotta di San Girolamo, lunga una trentina di metri.

IL SETTORE DEI MONTI SABINI SETTENTRIONALI A OVEST DELLA FAGLIA SABINA Dal punto di vista geografico, questo settore è uno spicchio della Sabina settentrionale; tuttavia, dal punto di vista geologico, ne è separato tramite una complessa zona di faglia ad alto angolo immergente a Est, che può essere seguita con continuità da Montasola a Sud fino alle Marmore a Nord (ALFONSI ET ALII, 1991). La prosecuzione strutturale di quest’area è nei M. Martani a Nord di Terni (CALAMITA & PIERANTONI, 1995). Le formazioni carbonatiche coprono un’estensione di una quarantina di km2. Come si è detto precedentemente, in quest’area manca la potente successione marina del Giurassico medio-sup., al posto della quale si rinvengono i depositi della successione “condensata” del plateau sabino (Fig. 22). Il carsismo ipogeo è rappresentato da una quindicina di grotte, tutte di piccole dimensioni, distribuite nelle varie formazioni calcaree presenti in affioramento per uno sviluppo complessivo di soli 200 m di condotti.

La falda Sabina, i Monti Reatini, i Monti Sibillini, il Circeo I Monti della Sabina, i Monti Reatini e i Monti Sibillini rappresentano un tratto della catena appenninica limitato ad Est dalla linea Olèvano-Antrodoco-M. Sibillini e coinvolto nella strutturazione della catena durante l’evento tettonico del Messiniano inf. (6,4-6,8 milioni di anni fa), contemporaneamente alla deformazione orogenica della dorsale simbruino-ernica. Tuttavia il settore sabino-reatino-sibillino sarebbe stato poi riattivato “fuori sequenza” durante l’evento del Messiniano “lago-mare”–Pliocene inf. (5-5,4 milioni di anni fa)(CIPOLLARI ET ALII, 1995). Complessivamente, nell’area considerata (dalla quale sono esclusi i settori dei Monti Reatini e Sibillini esterni ai confini regionali; Fig. 8) la superficie di affioramento dei carbonati meso-cenozoici carsificabili è di circa 1350 km2. Negli elenchi catastali delle regioni Lazio e Umbria sono comprese 144 grotte, per uno sviluppo complessivo di circa 10 km di condotti carsici. Come si è detto descrivendo l’evoluzione del plateau sabino nel Giurassico, il settore umbrosabino dell’Appennino (“la Sabina”) è costituito da una successione di termini calcareo-silico-marnosi, interessata a più livelli da notevoli apporti detritici, anche grossolani. Le differenze più marcate della successione stratigrafica dei Monti Reatini (sequenza pelagica umbro-marchigiana) rispetto a quella dei Monti Sabini (dove il materiale proveniente della piattaforma si mescola con il materiale del bacino) consistono in un quantitativo minore degli elementi detritici presenti nella Corniola, nei Calcari Granulari, nei Calcari Diasprini e nella Scaglia Rosata, con conseguenti minori spessori di queste formazioni. La successione stratigrafica dei Monti Reatini differisce a sua volta dalle sequenze più settentrionali per la

presenza di megabrecce nella parte inferiore della Corniola e per l’assenza del “livello Bonarelli”. In tutto questo tratto di catena le formazioni più carsificate risultano essere il Calcare Massiccio, la Scaglia e i calcari del Miocene, con sviluppo dei condotti ipogei di grado “medio” (da 13 a 18 m per km2 di affioramento). In tutte le altre formazioni carbonatiche il carsismo sotterraneo risulta poco sviluppato. Nei Monti Reatini le cavità carsiche ipogee attualmente note sono pochissime e di scarsa importanza; nella dorsale di M. Utero (settore laziale dei M. Sibillini) è ubicato il grande sistema carsico della Grotta di Cittareale, scavato nella Scaglia Rossa e Scaglia Bianca. Nei rilievi della falda Sabina sono note grotte in tutte le formazioni carbonatiche, con carsificazione “mediamente” sviluppata nel Calcare Massiccio (21 m/km2) e negli affioramenti di calcareniti mioceniche delle dorsali meridionali dell’unità più bassa (Sabina orientale, M. Prenestini e M. Ruffi; 13 m/km2). Nei travertini compresi in questo settore geografico le forme carsiche sotterranee sono ben sviluppate, sia nei numerosi affioramenti di origine idrotermale sia in quelli “di cascata”. Nel primo tipo rientrano i depositi tabulari delle Acque Albule, della valle del Fiume Farfa e della media valle del Fiume Velino. Fanno parte del secondo tipo i depositi della cascata delle Marmore (ricchi di grotte) e del Fiume Aniene a Tivoli e Vicovaro. Complessivamente, sono segnalate in catasto una novantina di grotte scavate nei travertini della Sabina, per oltre 2 km di sviluppo sotterraneo. Da ricordare anche gli affioramenti di conglomerati calcarei presenti nel bacino di Rieti e lungo la valle del Farfa, nei quali sono note una decina di grotte, tutte di piccole dimensioni, per uno sviluppo totale di condotti di circa 200 m.

I MONTI SIBILLINI MERIDIONALI La catena umbro-marchigiana è caratterizzata da pieghe parallele e da sovrascorrimenti neogenici che nel settore meridionale dei M. Sibillini hanno vergenza verso Est. Il fronte della catena è descritto dal sovrascorrimento dei M. Sibillini, prosecuzione verso Nord del sovrascorrimento OlèvanoAntrodoco, che ha portato le omonime unità ad accavallarsi, nella parte meridionale, sopra le strutture laziali-abruzzesi e, nella parte settentrionale, sulle unità della Laga. Successivamente, le strutture compressive sono state dislocate da faglie normali, la cui attività è ancora evidente nei periodici terremoti che colpiscono questa regione. La propaggine più meridionale dei M. Sibillini si addentra nel territorio della regione Lazio con i rilievi delle dorsali principali di M. Boragine (1829 m), M. Utero (1808 m) e M. Tolentino (1572 m), nelle quali la superficie carbonatica affiora complessivamente su circa 120 km2 (Fig. 26). Con la notevole eccezione della Grotta di Cittareale, il carsismo sotterraneo attualmente noto nei M. Sibillini del Lazio è decisamente modesto; all’interno dei confini regionali, infatti, sono note solo altre 2 grotte, compresa la Buca di Terzone (-55 m) nella dorsale di M. Boragine. Si tratta di un pozzo venuto alla luce in un taglio stradale, aperto nella formazione della Corniola; tuttavia già pochi metri sotto l’imbocco il pozzo dovrebbe addentrarsi nel Calcare Massiccio. Non sono note grotte nel piccolo lembo della dorsale del M. Tolentino che si inoltra nel territorio laziale.

LA GROTTA DI CITTAREALE Nell’angolo Nord-orientale della regione Lazio (dorsale di M. Utero), si trova il reticolo carsico ipogeo di grande interesse rappresentato dalla Grotta di Cittareale (+25/-450, sviluppo 2650 m). Si tratta di un sistema sotterraneo “a piani” che attraversa la formazione della Scaglia Rossa, taglia il “livello Bonarelli” e si approfondisce nella Scaglia Bianca fin quasi al contatto con le Marne a fucoidi. Lo sviluppo su particolari “livelli” (o “piani”), approssimativamente orizzontali e collegati fra loro da pozzi, balza in evidenza osservando la sezione del rilievo della grotta (Fig. 12). Riportando in un grafico lo sviluppo planimetrico dei condotti in relazione alla quota a cui si trovano, si possono evidenziare i “livelli” più sviluppati, anche se è sempre opportuno tenere presente le imprecisioni tipiche dei rilievi speleologici. I singoli “piani” sono compresi in ristretti intervalli di quota; la congiungente dei punti a quota più elevata all’interno di un “piano” dovrebbe indicare la posizione della paleosuperficie piezometrica della falda, relativa al periodo di sviluppo di quei condotti (PALMER, 1987). Infatti, negli acquiferi carbonatici la falda è generalmente piatta, cioè con gradiente idraulico molto ridotto (tipicamente dell’ordine di 0,1-0,6%), e la formazione dei condotti freatici si concentra in corrispondenza della superficie piezometrica e da questa verso il basso per profondità normalmente limitate. Se i “livelli” sub-orizzontali individuabili nella grotta sono indicativi ognuno di una specifica posizione della paleo-superficie piezometrica, la loro presenza è interpretabile come il risultato del suo cambiamento (abbassamento) nel tempo, e testimonia lo sviluppo multifase della grotta. L’abbassamento “a scatti” sarebbe dipeso sia delle caratteristiche e dall’entità del sollevamento tettonico, sia dei fenomeni erosivi che provocavano la progressiva asportazione della copertura impermeabile (Fig. 12, vedi la prima parte del capitolo). I principali “livelli” individuati sono descritti nel seguito.

“Livello” di quota 1430 m E’ il “livello” di quota più elevata (ramo “del Nocciolo”), cioè il più antico della grotta. E’ costituito prevalentemente da una condotta freatica a sezione ellittica con asse maggiore mediamente di 1-2 m, impostata su una faglia orientata N30°E e inclinata di 60°-70° verso Est (Fig. 27); il ramo ha andamento complessivo a sali-scendi (a “loops”). L’attuale pozzo di ingresso della grotta è probabilmente un’antica condotta freatica troncata dalla successiva erosione del versante. Nel corso del progressivo abbassamento del livello di base, l’ampliamento dei “livelli” più importanti avviene normalmente durante le stasi di approfondimento. Infatti, le dimensioni dei condotti dipendono principalmente dal tempo che l’acqua ha a disposizione per operare la dissoluzione della roccia delle pareti del condotto, e quindi sono determinate dalla durata della stasi di approfondimento del livello di base. Per avere un’idea del tempo necessario affinché un condotto si allarghi sino a dimensioni percorribili, si può dire, in base a calcoli teorici, che lo scorrimento di acqua bicarbonatica tipica delle falde carsiche, in fessure in roccia calcarea di ampiezza iniziale di 0,1-1 mm provoca un allargamento delle fessure stesse tale da determinare il raggiungimento della velocità massima di dissoluzione dopo alcune migliaia o decine di migliaia di anni dal momento in cui le acque aggressive hanno iniziato a scorrere (“breakthrough”, a questo punto il flusso nella fessura originaria da laminare diventa turbolento; SIEMERS & DREYBRODT, 1998). Dall’evento di “breakthrough” possono poi occorrere da 1000 a oltre 10 mila anni per ottenere un condotto freatico a sezione circolare di 1 m di diametro (PALMER, 2003). “Livelli ipogenici” intermedi (di quote circa 1360, 1320 e 1290 m) Questi “livelli” si sviluppano in parte lungo la faglia orientata N70-80°W e inclinata di 50-70° verso Nord (per esempio, la Galleria Bianca e la Galleria Nera), presumibilmente successiva alla faglia circa ortogonale del ramo “del Nocciolo” (Fig. 27), che viene troncata nettamente (PREZIOSI & SCIPIONI, 1993). In tutti questi “livelli” sono presenti abbondanti depositi di gesso, in particolare lungo gli “Scivoli” fra le quote 1380 e 1310 m, nelle gallerie “di Comune Accordo”, nella galleria “degli Asteroidi” e nella galleria “Nera” (livello 1320 m), nella galleria “Bianca” e nel ramo “Ste.Mi.” (“livello” 1290 m), nelle diramazioni non rilevate intorno a q. 1220 m (base del pozzo “Buiometro”) e alla base del P50 a q. 1070 m (E. PREZIOSI, com. pers.). Quindi, ad esclusione del livello di q. 1430 m (ingresso–ramo “del Nocciolo”), in quasi tutti i condotti della grotta sono stati rinvenuti depositi di gesso, la cui tipologia va dagli accumuli massivi, alle croste, ai cristalli (Figura 28). Percorrendo questi condotti, balza in evidenza l’aspetto marcatamente diverso da quello che si osserva nelle grotte calcaree a dissoluzione “normale”. Sono tipici l’aspetto “corroso” delle pareti, la presenza di piccole cupole sulla volta dei condotti e l’andamento labirintico individuabile in alcuni settori della grotta. In base all’insieme di queste caratteristiche, sembra probabile che lo sviluppo dei “livelli” intermedi e i depositi gessosi in essi contenuti siano da attribuire alla risalita di fluidi sulfurei da zone profonde attraverso la faglia della Galleria Bianca, meccanismo del resto già dettagliatamente presentato per situazioni analoghe nell’Appennino (Grotta Grande del Vento, Grotta di M. Cucco, ecc.; GALDENZI & MENICHETTI, 1995). Per quanto riguarda la durata delle stasi di approfondimento del livello piezometrico, che influenza la dimensione dei condotti, vanno tenute presenti le proprietà chimiche delle acque che sono fluite nel sistema sotterraneo, e cioè l’aggressività molto maggiore delle acque sulfuree rispetto alle “normali” acque carbonatiche. Inoltre, si deve tenere presente che la risalita dei fluidi altamente mineralizzati può essere stata episodica. Non è detto, quindi, che il “livello” ipogenico rappresenti una lunga stasi nell’approfondimento della valle. Condotti profondi Fra q. 1290 m e il fondo della grotta (q. 970 m) non sono ad oggi noti altri “livelli”. In questo tratto i condotti sono costituiti da pozzi su faglia o frattura, ma anche da scivoli impostati sullo strato (per esempio quello a forte inclinazione che porta al fondo). L’attuale superficie piezometrica è presumibilmente situata intorno a quota 900 m.

I MONTI REATINI L’assetto tettonico dei Monti Reatini è rappresentato da una struttura a sovrascorrimenti verso l’Adriatico di grande estensione e importanza regionale (Fig. 26). L’unità geometricamente più alta (occidentale) è la struttura ad anticlinale di M. La Pelosa (1635 m), che si sviluppa prevalentemente sul territorio umbro. La superficie di sovrascorrimento taglia la superficie topografica a Est della vetta più alta, marcando una linea con orientamento complessivo NNE-SSW. La seconda unità è delimitata dal fronte di sovrascorrimento che passa immediatamente a Est di M. Catabio, M. Pallaroso e Pian di Rosce, comprendendo il massiccio di M. Tilia (1775 m) ed

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Figura 27 - Molti condotti della Grotta di Cittareale sono impostati lungo due faglie fra loro quasi ortogonali, entrambe

inclinate di 50°-70°. In alto a sinistra: la faglia orientata N30°E della galleria “del Nocciolo”. In alto a destra: la faglia orientata N70°W alla sommità degli “Scivoli”. In basso a destra: la faglia orientata N70°W lungo gli “Scivoli” (foto M. Mecchia).

Figura 26 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti Reatini e nei Monti Sibillini meridionali.

Figura 28 - “Fiori” di gesso nella Grotta di Cittareale (foto M. Mecchia).


estendendosi interamente nel territorio laziale. Questa linea tettonica porta all’accavallamento delle unità tettoniche dei Monti Reatini occidentali (M. La Pelosa e M. Tilia) su quelle dei Monti Reatini orientali (M. Terminillo). A Nord la continuità della catena è interrotta dalla faglia di Leonessa, orientata N30°W, che la ribassa di un migliaio di metri nella conca intramontana di Leonessa, colmata da depositi argilloso-sabbiosi e da un importante complesso alluvionale. La terza unità, che comprende M. Terminillo (2213 m), è largamente costituita da rocce mesozoiche che si accavallano sugli affioramenti di Scaglia del settore più esterno, costituendo una fascia deformata di notevole spessore. La linea di sovrascorrimento frontale dei Monti Reatini (“Olèvano-Antrodoco-M. Sibillini”) racchiude la struttura di M. Terminillo e segna la sovrapposizione dei terreni meso-cenozoici umbro-marchigiano-sabini su quelli laziali-abruzzesi. Il carsismo sotterraneo dei Monti Reatini è assai poco sviluppato. Nell’unità di M. La Pelosa le rocce carbonatiche affiorano su una superficie di circa 28 km2 e le uniche cavità conosciute sono 5 grotte, tutte di piccole dimensioni, scavate nella Maiolica all’interno del territorio comunale di Morro Reatino. Sui circa 80 km2 di rocce potenzialmente carsificabili dell’unità di M. Tilia , è nota una sola piccola grotta, scavata nel Calcare Massiccio, nel comune di Poggio Bustone. Nell’unità di M. Terminillo, che presenta una superficie di rocce carbonatiche estesa circa 120 km2, sono riportate in catasto 3 piccole grotte, tutte aperte nel Calcare Massiccio.

GLI AFFIORAMENTI DI TRAVER TINO NELLA VALLE DEL FIUME VELINO Nella media valle del F. Velino, tra Posta e Rieti, emerge una delle falde idriche più cospicue dell’Appennino, con oltre 30 m3/s erogati da varie sorgenti, fra cui quelle del Peschiera. Lungo questa valle la struttura di scarpata della successione umbro-sabina del Terminillo si accavalla sulla struttura della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese di M. Nuria; la depressione che ne è derivata è stata colmata dai depositi trasportati dal F. Velino. La valle è interessata da faglie distensive attive nel Quaternario alle quali sono associate numerose piccole bancate di travertino di origine prevalentemente idrotermale. Diverse sorgenti sulfuree sono ancora attive (Terme di Cotilia) e anche le acque che fluiscono nei travertini sono generalmente caratterizzate da elevato contenuto in solfati (BONI ET ALII, 1995). La valle, e in particolare la Piana di S. Vittorino (dal nome dell’antica chiesa sprofondata di un paio di metri sotto il piano campagna), è caratterizzata da numerosi avvallamenti (“sprofondamenti”) che periodicamente si attivano. Queste depressioni formano una serie di laghetti tondeggianti, alcuni costituiti da materiali alluvionali, altri da travertini. La causa degli sprofondamenti è ancora incerta, ma appare comunque connessa con la presenza dei depositi travertinosi, il cui spessore è però in genere limitato a pochi metri (Fig. 9) (BONI ET ALII, 1995; BERSANI ET ALII, 2002); sembra da escludere un’origine da crolli di caverne situate nel substrato carbonatico, che risulta troppo profondo (50-100 m dal piano campagna) (FACCENNA ET ALII, 1993). Particolarmente interessante è il deposito di travertini, di spessore probabilmente un po’ più elevato, situato nella zona più orientale della piana, in cui si trovano tre laghetti: il Lago di Paterno, il Pozzo di Mezzo e il Pozzo del Burino. Nel corso della recente esplorazione speleosubacquea del Lago di Paterno si è potuto accertare che la sua profondità attuale è di 52 m fino ad un fondo molto melmoso da cui emerge acqua sulfurea alimentata da vie sotterranee, il cui odore in superficie non è però quasi percettibile. Le pareti del lago sono molto ripide e in qualche punto verticali; a 7-8 m di profondità è sempre presente una “nuvola” nera che si dirada verso i –40 m (M. BOLLATI, comm. pers.). L’insieme delle caratteristiche del Lago di Paterno è molto simile a quello dei Laghi della Regina e delle Colonnelle alle Acque Albule. La rapida evoluzione del Lago di Paterno è dimostrata dall’aspetto significativamente diverso che questa cavità ha assunto nel tempo. Famoso fin dall’antichità, il lago è stato scandagliato nel 1911 ottenendo un preciso rilievo, dal quale risulta una forma ellittica con assi maggiore/minore di 190/140 m e profondità massima di 37,7 m; l’emissario del lago era un piccolo ruscello con portata di 1,5-3 L/s. Nel 1915 si verificarono alcune improvvise oscillazioni di livello, accompagnate da “grandi rumori e fremiti del suolo”; nei sondaggi eseguiti nei giorni successivi il punto di massima profondità risultò essere sceso a 45,2 m sotto l’antico livello (CREMA, 1924).

LA SABINA I Monti della Sabina sono formati da più unità strutturali, ognuna delle quali derivata da una diversa fase di deformazione. Sono state riconosciute quattro unità strutturali principali, delimitate alla base da superfici di sovrascorrimento, lungo le quali le unità sono parzialmente sovrapposte l’una sull’altra verso Est (Fig. 29). Le fasi tettoniche hanno coinvolto settori via via più orientali del dominio paleogeografico sabino, interessando parti della successione progressivamente più giovani andando dall’unità geometricamente superiore (Unità 1) a quella “più bassa” (Unità 4) nel verso del trasporto tettonico (COSENTINO & PAROTTO, 1991). L’Unità 1, la più alta, è di dimensioni estremamente ridotte ed è rappresentata dal solo klippe del M. Morra.

L’Unità 2 è limitata dalla linea M. Sterparo-M. Castelvecchio e comprende i rilievi di M. ZappiM. Alucci-M. Andrea e il M. Guardia, nonché i M. Cornicolani. L’Unità 3 è limitata dalla linea Torrente Licenza-M. Elci-M. Tancia; a Sud della valle del Farfa comprende il M. Follettoso-M. Marcone e i Monti Tiburtini, mentre a Nord include il versante Ovest dei Monti Sabini settentrionali (dorsale di M. Tancia) fino alla conca di Terni. L’Unità 4, la più estesa, è limitata dalla linea Olèvano-Antrodoco e si sovrappone verso Est sulle unità derivate dalla deformazione della piattaforma laziale-abruzzese; è rappresentata dal versante orientale dei Monti Sabini settentrionali, dalla Sabina orientale (M. Cervia, M. Navegna), dai M. Ruffi e dai M. Prenestini.

UNITÀ 1 DELLA SABINA: IL MONTE MORRA Subito a Nord del Fosso del Peschio Grosso (di fronte alla cava della Grotta Hale Bopp), ben visibile nella cava abbandonata “Le Fornaci”, si osserva la sovrapposizione tettonica delle dolomie triassiche (litofacies 70) di M. Morra (1036 m, Unità 1), rossastre e stratificate, completamente sradicate dal substrato e accavallate sopra il Calcare Massiccio, bianco e non stratificato, dell’Unità 2 (Fig. 29) (PAROTTO & MICCADEI, 1993). L’estensione areale di questa unità è estremamente ridotta, circa 4 km2. Sono note 3 piccole grotte, per uno sviluppo complessivo inferiore a 40 m, probabilmente situate al contatto fra le dolomie triassiche e il piccolo affioramento di Calcare Massiccio che poggia su di esse.

UNITÀ 2 DELLA SABINA: IL MASSICCIO DI MONTE GENNARO E I MONTI CORNICOLANI L’unità affiora in due settori distinti: i Monti Cornicolani e il massiccio di M. Gennaro (M. Zappi, 1271 m) (parte occidentale dei Monti Lucretili). Complessivamente, gli affioramenti carbonatici mesozoici si estendono per una settantina di km2 e sono costituiti per quasi il 90% da Calcare Massiccio. Sono catastate in questa unità 24 grotte, tutte nel Calcare Massiccio (in media 35 m di condotti per km2 di superficie in affioramento), ad esclusione di 2 cavità nella Maiolica ed una nella Corniola. Il settore occidentale dei Monti Lucretili I M. Lucretili sono attraversati dalla linea di sovrascorrimento M. Sterparo-M. Castelvecchio, con direzione prevalente N-S. Nell’area a Ovest di questa linea (Unità 2) sono presenti esempi notevoli di modellamento carsico della superficie, il più evidente dei quali è il “Pratone” di M. Gennaro, depressione chiusa lunga oltre 1 km, con diverse piccole doline ma priva di evidenti inghiottitoi. Per quanto riguarda il carsismo ipogeo, sono note 12 cavità, tutte nel Calcare Massiccio, con uno sviluppo medio di 16 m di condotti per km2 di affioramento. Le grotte sono rappresentate da verticali impostate su fratture, come il Pozzo Peter Pan (-50 m) che si apre sulla vetta di M. Andrea (980 m). Nell’area di M. Guardia (600 m) sono note la Grotta Hale Bopp (-72, sviluppo 200 m) e il Pozzo di San Polo (-62 m); la prima si apre all’interno di una cava dismessa in prossimità di una faglia (alla sommità del fronte di scavo si osserva il passaggio netto alla sovrastante Corniola), la seconda nelle vicinanze del fronte di accavallamento di questa scaglia tettonica verso Sud (Fig. 29, profilo CD). Nei dintorni di Moricone si trova la piccola ma interessante Grotta di Pozzo Fornello, profonda solo 6 m. Nel periodo invernale, dal pavimento detritico alla base della cavità escono occasionalmente vapori; l’emissione di quest’aria calda e umida è probabilmente connessa con i corpi magmatici presenti nel sottosuolo, analogamente a quanto si ipotizza per alcune grotte dei Monti Cornicolani. Presso Monteflavio è nota la Grotta di Casa Nuvola (-28, sviluppo 70 m), costituita da tre brevi gallerie sovrapposte sviluppate su una frattura orientata N-S. I Monti Cornicolani Sono costituiti da tre bassi rilievi, culminanti nel Poggio Cesi (413 m), che emergono isolati dai vicini Monti della Sabina; l’estensione areale complessiva è di quasi 20 km2. Nei M. Cornicolani si osservano due tipi di successioni stratigrafiche. Nelle aree marine più depresse dell’antico “bacino sabino” si è depositata la tipica successione pelagica, mentre nelle zone di alto strutturale (“plateau sabino”) proseguiva, nel Giurassico, la sedimentazione di Calcare Massiccio, seguita poi da una successione condensata, analoga a quella già descritta per l’area compresa fra il T. Aia e la Faglia Sabina, situata più a Nord (SANTANTONIO & MURARO, 2002). All’estrema propaggine meridionale (periferia della cittadina di Guidonia) i calcari dei M. Cornicolani, si immergono sotto le piroclastiti quaternarie, che sfumano nel vasto pianoro di travertino delle Acque Albule. Caratteristiche dei M. Cornicolani sono le grandiose “doline” di crollo, come il Pozzo del Merro, il Merro Secco, (assi 165 e 180 m), la dolina delle Carceri, le “Fosse” di S. Angelo Romano e la dolina di S. Lucia (CASALE ET ALII, 1963). Quest’ultima si è originata il 16 marzo 1915 con il crollo della volta di una cavità sotterranea precedentemente non connessa con l’esterno. Subito dopo il crollo, la cavità aveva un imbocco tondeggiante, con diametro di 55 m e profondità di una trentina di metri, e pareti a picco o strapiombanti; rapidamente, però, per ripetuti franamenti, la cavità si ampliò fino a

divenire facilmente accessibile (SEGRE, 1948a). Il 60% degli affioramenti carbonatici dei M. Cornicolani è costituito da Calcare Massiccio, nel quale lo sviluppo medio dei condotti sotterranei è di grado “elevato” (84 m per km2 di affioramento). La più importante delle 12 grotte catastate (escluse le doline) è il Pozzo del Merro (-450 m), che si apre nel Calcare Massiccio con un grande sprofondamento di un centinaio di metri di diametro a piano campagna e profondità di una sessantina di metri, fino ad un lago di forma quasi circolare del diametro di circa 30 m. Lo specchio d’acqua rappresenta un punto di affioramento della superficie della falda acquifera principale della catena calcarea dei Lucretili-Tiburtini-Cornicolani (CAPELLI ET ALII, 1987); la sua quota è di 13 m più elevata rispetto a quella del Lago della Regina nel pianoro delle Acque Albule (gradiente idraulico: 1,5 m/km; la misura delle quote non è, però, di grande precisione). Lo sprofondamento è il risultato di crolli che hanno portato alla luce un grande tubo freatico appartenente al circuito carsico; tale condotto ha permesso l’allontanamento in profondità dei materiali di crollo. Dalla superficie del lago, il condotto freatico si sviluppa sott’acqua quasi verticalmente per 392 m, spingendosi con un grande pozzo sommerso fino a q. 310 m sotto il livello del mare. L’esplorazione è stata condotta da subacquei fino alla profondità di 100 m e dal R.O.V. (Remote Operated Vehicles), una sorta di piccolo sommergibile dotato di videocamera e campionatore, nel tratto più profondo. Nei 50 m superiori, il condotto sommerso ha un diametro massimo di 9 m, le pareti sono perforate da dozzine di fori con sezione circolare di varie dimensioni e andamento quasi sempre verticale parallelo al condotto principale (MALATESTA, 1999). Scendendo, il pozzo si stringe gradualmente fino a un diametro di 5 m a 40 m di profondità. Più in basso, a varie profondità sono presenti dei restringimenti, oltre i quali il condotto assume nuovamente dimensioni ampie; si notano numerosi arrivi di condotti carsici, in particolare un meandro di dimensioni notevoli a –160 m. Le pareti sono bianche e levigate, a tratti ricoperte da sottili patine di ossidi ferrosi rossastri. Il condotto continua a scendere con le stesse caratteristiche e con larghezza variabile, fino al fondo, a –392 m dallo specchio d’acqua; qui l’ambiente, con il pavimento pianeggiante e coperto di sedimenti fini, è largo tra i 10 e i 20 m; sul fondo, la videocamera ha inquadrato una prosecuzione laterale orizzontale, non percorsa. I campionamenti di acqua hanno rivelato una mineralizzazione elevata (conducibilità elettrica >1 mS/cm) e concentrazioni anomale di solfuri, che producono condizioni di aggressività chimica dell’acqua. La temperatura aumenta con la profondità (15°C in superficie e 17°C a 310 m di profondità nel condotto allagato) e appare essere costante tutto l’anno. Questi dati sembrano indicare l’influenza di fluidi termali che risalgono da zone profonde lungo una faglia di importanza regionale (CARAMANNA, 2000). Sorgenti termali e sulfuree, con depositi idrotermali, si trovano tutto intorno ai M. Cornicolani. Il Pozzo del Merro, probabilmente impostato sullo stesso motivo strutturale N-S delle Acque Albule, sembra far parte del circuito carsico che mette in comunicazione la catena calcarea dei Monti Lucretili-Tiburtini (principale area di ricarica delle sorgenti delle Acque Albule) con i modesti rilievi Cornicolani, passando al di sotto dei depositi terrigeni che si stendono ai piedi dell’area di MarcellinaPalombara. Il condotto, quindi, sarebbe un segmento di un reticolo carsico freatico costituito da profondi loops, determinati forse dalla bassa frequenza di discontinuità penetrabili (Stato 1, vedi riquadro “classificazione delle grotte freatiche: il 4 State Model”). Si può ipotizzare che durante il percorso forzato profondo le acque del circuito carsico si miscelino con fluidi residuali della recente attività del Vulcano Albano, la stessa attività termale che, pochi km più a Sud, ha originato le sorgenti delle Acque Albule (CARAMANNA, 2001). La miscelazione fra acque chimicamente diverse rigenera l’aggressività delle acque carsiche (che dopo un percorso lungo e profondo è ormai minima), e rende possibile il rapido ampliamento di condotti per dissoluzione. Le informazioni sul chimismo delle acque del Pozzo del Merro e delle sorgenti delle Acque Albule sembrano, comunque, evidenziare per queste ultime un contributo più diretto e più importante di fluidi termali profondi. Un altro condotto senz’altro appartenente allo stesso circuito profondo si trova a poche decine di metri di distanza dal Merro, al fondo del Pozzo Sventatore (-118 m). Questa grotta, impostata su una frattura orientata N60°E e inclinata di 70° verso NW, è costituita da una grande sala e da alcuni pozzi paralleli che confluiscono in un lago. La quota dello specchio d’acqua è la stessa di quella del lago del Merro. Il condotto prosegue sommerso nella zona satura della falda (disceso in immersione per 33 m), idraulicamente collegato al Pozzo del Merro. Spostandosi al bordo meridionale dei M. Cornicolani, su cui è fondata la periferia Nord di Guidonia (Colle Largo), si trova un tunnel abbandonato che un tempo fungeva da rifugio antiaereo. Il tunnel attraversa i calcari Maiolica, con stratificazione fitta e quasi verticale che passa, in un ramo laterale ad Ovest del tunnel principale, ad un’argilla molto plastica. Il tunnel intercetta una frattura aperta, verticale, nella Maiolica (Cavità dell’Elefante, -20, sviluppo 125 m), nella quale si può scendere fino ad alcuni specchi d’acqua che rappresentano punti della superficie della falda acquifera, in posizione intermedia fra il Pozzo del Merro (e dello Sventatore) e le sorgenti delle Acque Albule, ad una quota 7 m più alta rispetto alle sorgenti (gradiente idraulico: 1,7 m/km, ma la misura delle quote è di scarsa precisione). Presso la sommità di Poggio Cesi si aprono due fenditure tettoniche nel Calcare Massiccio: la Grotta di Fossavota (-31 m) e lo Sventatoio di Poggio Cesi (-88 m), impostate su faglie fra loro quasi

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Figura 29 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei monti della Falda Sabina.


perpendicolari. Da queste due cavità escono permanentemente correnti di aria calda provenienti, nella Grotta di Fossavota, da tre punti ben localizzati nel pavimento (Fig. 30), e, nello Sventatoio di Poggio Cesi, dagli interstizi fra i massi a terra. In entrambe le grotte la temperatura si mantiene costantemente a 18,9°C in ogni punto della cavità, indipendentemente dalle condizioni esterne. L’origine della termalità sembra imputabile al riscaldamento dei calcari per conduzione ad opera di masse magmatiche presenti in profondità; l’aria calda troverebbe una rapida via di sfogo verso l’alto nelle fratture tettoniche che attraversano l’ammasso calcareo (TROVATO, 1975).

Le grotte nelle quali si realizza una situazione mista, con loops brevi e poco profondi e con condotti quasi orizzontali (vale a dire sul livello piezometrico), indicano una condizione di fessurazione ancora più frequente o di resistenza al flusso più bassa. In presenza di strati piuttosto inclinati, come nella Grotta dell’Inferniglio (20-30°), i segmenti orizzontali tendono a propagarsi lungo la direzione degli strati (primi 600 m della galleria) o a seguire faglie aperte (secondo tratto, lungo 300 m). Nella Grotta dell’Inferniglio l’esplorazione, partendo dalla risorgenza, è avanzata attraverso 4 sifoni costituiti da loops freatici poco profondi (al massimo 5 m) separati da gallerie subaeree.

7 – “CLASSIFICAZIONE DELLE GROTTE FREATICHE: IL ‘FOUR STATE MODEL’ DI FORD & EWERS (1978)” FORD & EWERS (1978) hanno proposto un modello che spiega i tipi-base di grotte che possono prodursi nell’ambiente freatico. Il modello è stato ampliato successivamente da FORD (2000) in sei “stati”. • Stato 0 – Assenza di condotti percorribili, per resistenza al flusso troppo elevata. • Stato 1 – Freatico profondo (batifreatico). • Stato 2 – Freatico con loops multipli. • Stato 3 – Segmenti freatici alternati a segmenti di livello piezometrico. • Stato 4 – Di livello piezometrico. • Stato 5 – Assenza di condotti percorribili, per flusso sotterraneo troppo diffuso. Le grotte con sviluppo freatico chiaramente riconosciuto non sono molte nel Lazio, in ogni modo sembra utile riferirsi a questo modello (Fig. 31), da lungo tempo accolto con favore da molti studiosi di carsismo.

Stato 4 – Grotte di livello piezometrico. Nell’area di sviluppo di queste grotte la frequenza di fessure penetrabili è così elevata, o la resistenza al flusso così modesta, da produrre un percorso a gradiente idraulico quasi nullo, molto diretto fino alla risorgenza, situato subito sotto all’originaria superficie piezometrica. Incerto è il riconoscimento di questo tipo di condotti nel Lazio, dove le diverse grotte di attraversamento note presentano dislivelli che sembrano troppo elevati per essere rappresentativi della superficie piezometrica.

RIQUADRO

Stato 0 – Assenza di condotti percorribili, per resistenza al flusso troppo elevata La frequenza e l’apertura delle fessure possono essere troppo ridotte per permettere, nei tempi geologici a disposizione, lo sviluppo di grotte di dimensioni percorribili. Potrebbe essere questa la causa della scarsità di grotte note sulla Maiella, solcata invece da profonde forre di superficie. Stato 1 – Grotte freatiche profonde (batifreatiche) Condotti freatici profondi sembrano originarsi quando le fessure che possono essere penetrate da acqua in grado di scorrere sono molto distanziate. I condotti sotterranei possono essere costretti a seguire dei profondi “loops” sotto il livello delle sorgenti, semplicemente perché non sono disponibili dei percorsi aperti meno profondi. Il Pozzo del Merro, con un loop profondo almeno 392 m, in base alle attuali conoscenze, è il condotto di questo tipo più profondo del mondo. Stato 2 – Grotte freatiche con loops multipli Queste grotte si creano quando la frequenza di fessurazione penetrabile è maggiore. La quota delle sommità dei loops più alti fissa la posizione stabile della superficie piezometrica. Nell’esempio del Buco del Pretaro l’ampiezza verticale del looping è maggiore di 45 m; i condotti seguono in parte i piani di strato, e per lunghi tratti due sistemi di fratture. In questa grotta non è stato possibile individuare il verso di scorrimento dell’acqua nei condotti; in ogni caso, la casistica nota su base mondiale indica come verso preferenziale di scorrimento quello sull’immersione degli strati per i tratti discendenti e quello su fratture o faglie per i tratti in salita (FORD, 2000), ma sono noti anche esempi più rari in cui avviene la situazione opposta (ROSSI ET ALII, 1997). Stato 3 – Grotte con segmenti freatici e tratti sul livello piezometrico.

Figura 30 - Circolazione dell’aria calda nella Grotta di Fossavota (da Trovato, 1975).

Stato 5 – Assenza di condotti percorribili, per flusso sotterraneo troppo diffuso Se la porosità è molto elevata, il flusso può essere troppo disperso per generare, lungo uno dei tanti percorsi che in ogni caso si sviluppano, una grotta di dimensioni percorribili dall’uomo. Il comportamento della falda è simile a quello di mezzi porosi, come la sabbia. E’ utile evidenziare che i loops possono essere impostati su combinazioni di più sistemi di discontinuità strutturali (piani di strato, fratture, faglie), ma possono realizzarsi anche su un solo elemento, per esempio la galleria principale della Grotta del Formale sembra svilupparsi con loops impostati interamente lungo lo strato. Per “frequenza delle fessure penetrabili”, gli autori del modello non hanno inteso riferirsi a valori precisi, in quanto la dimensione dell’apertura della fessura può essere anche più importante della densità di fratturazione. Infatti, anche quando la frequenza di fessurazione è molto bassa, poche fessure con aperture particolarmente ampie e ben interconnesse, orientate in modo da collegare i punti di assorbimento alle sorgenti, possono consentire lo sviluppo di grotte del tipo “livello piezometrico ideale”, o anche di uno stato intermedio (FORD, 2000). Diversi autori, comunque, ritengono che questo modello non rappresenti adeguatamente tutte le possibili situazioni geologiche. Per esempio, molti sistemi carsici sotterranei delle Alpi sono sviluppati in ammassi rocciosi intensamente fratturati con fessure ben aperte, e nonostante ciò presentano loops profondi anche centinaia di metri (JEANNIN, 1998).

I TRAVER TINI DELLE ACQUE ALBULE Il bacino delle Acque Albule è costituito da una vasta piastra travertinosa (circa 20 km2) con spessore medio di 60 m e massimo di oltre 85 m. I banchi di travertino sono quasi orizzontali o leggermente inclinati verso il F. Aniene; al di sotto, le stratigrafie dei pozzi perforati mostrano conglomerati e sabbie, e, ancora più in basso, argille. La profondità del basamento carbonatico non è nota. Il bacino delle Acque Albule si è generato dopo la messa in posto delle principali colate piroclastiche dei Colli Albani, sfruttando una zona di taglio lunga 30 km e larga 6 km (sistema di faglie trascorrenti destre orientate N-S) che coinvolge le sequenze sedimentarie e vulcaniche del Pleistocene medio-sup. e interseca il distretto vulcanico dei Colli Albani (FACCENNA, 1994). Le datazioni radiometriche indicano la contemporaneità fra l’evento di fagliazione e l’inizio della deposizione di travertino (circa 170 mila anni fa) (FACCENNA ET ALII, 1994). Il travertino si sarebbe originato per risalita di fluidi lungo faglie che interessano le formazioni carbonatiche presenti nel sottosuolo, con miscelazione delle acque del circuito carsico con quelle profonde; l’emergenza di queste acque avveniva probabilmente in laghi profondi meno di 1 m (CHAFTEZ & FOLK, 1984). La deposizione di travertino doveva avvenire in un’area in lenta subsidenza (come minimo 200 m in meno di 400 mila anni); i depositi infatti si rinvengono fino ad almeno 20 m sotto il livello attuale del mare e hanno colmato, nel corso di circa 170 mila anni, un’ampia depressione della superficie, con velocità media di deposizione di 0,43 mm/anno (FACCENNA ET ALII, 1994). Attualmente, comunque, l’entità della deposizione di travertino nel bacino delle Acque Albule appare trascurabile (PENTECOST & TOR TORA, 1989). Le acque carsiche del circuito carbonatico superficiale, che provengono dai Monti LucretiliTiburtini-Cornicolani, miscelate a quelle profonde caratterizzate da gas e fluidi idrotermali (CO2, H2S), risalgono lungo la faglia principale orientata N-S ed emergono da due sorgenti principali (Lago delle Colonnelle e Lago della Regina), che erogano una portata media di 3250 L/s, e da altre sorgenti minori (CAPELLI ET ALII, 1987). Nel bacino delle Acque Albule non sono note cavità carsiche ipogee accessibili all’uomo, se non i due laghi suddetti e il Lago di San Giovanni, una cavità più piccola ma con le stesse caratteristiche dei due laghi principali.

47 Figura 31 - Il “four state model” per le grotte freatiche o “di superficie piezometrica” in acquiferi non confinati (da Ford & Ewers, 1978).

Il Lago delle Colonnelle è largo 65 m e ha profondità massima di 57 m; ai suoi bordi si stende un tappeto galleggiante di vegetazione di palude, rivestito, nella superficie inferiore, da schiuma di zolfo, carbonato di calcio e cianobatteri. Il Lago della Regina è largo mediamente 150 m e profondo fino a 36 m, ed è collegato al Lago delle Colonnelle tramite uno stretto canale artificiale (CAMPONESCHI & NOLASCO, 1978-86). Sulla superficie dei due laghi si sviluppa gas da bollicine e da vistosi ribollimenti. Il gas è un miscuglio di acido solfidrico, anidride carbonica e azoto, e forma una coltre gassosa di una cinquantina di centimetri di spessore (FERRI RICCHI, 2001). Le acque contengono concentrazioni elevate di CO2 e H2S, presumibilmente risultato della dissoluzione di calcari ed evaporiti localizzati in profondità; il carico sospeso di particelle di zolfo è di oltre 4 ppm, l’acqua non contiene ossigeno disciolto. Il fondo è quasi pianeggiante e interamente ricoperto da sedimento fine, probabilmente di notevole spessore. L’acqua proviene da alcune sorgenti (sia puntiformi sia su frattura) di tipo termale (temperatura di 22,5°C pressoché costante in tutto l’arco dell’anno) presenti sul fondo di entrambi i laghi, dove attualmente non si ha precipitazione di carbonato di calcio (PENTECOST & TOR TORA, 1989). Le pareti sommerse, quasi verticali, sono di travertino, e su una di esse, a 5 m di profondità, si trovano alcune stalattiti. La morfologia delle cavità che ospitano i laghi e la presenza di stalattiti relitte indicano l’esistenza di un vacuo carsico sotterraneo creato precedentemente alla deposizione delle stalattiti stesse (MAXIA, 1950; SEGRE & ASCENZI, 1956; PENTECOST & TOR TORA, 1989). Si può ipotizzare che, successivamente alla deposizione della piastra di travertino, un movimento della faglia trascorrente abbia modificato il percorso di risalita dei fluidi profondi, aprendo una nuova via in corrispondenza dei due laghi attuali. L’acqua in risalita attraversava i depositi argilloso-detritici e all’ingresso nei travertini doveva essere chimicamente aggressiva, forse a causa della miscelazione del fluido profondo con acque meteoriche ricche di ossigeno che saturavano la piastra di travertino. La dissoluzione prodotta dalle acque aggressive avrebbe prodotto i due grandi vacui carsici sotterranei (vedi i meccanismi descritti nel riquadro “i grandi ambienti carsici sotterranei”). I valori degli indici di saturazione e l’assenza di ossigeno disciolto nelle acque dei laghi sembrano però dimostrare che


parte di questo capitolo. Per quanto riguarda le grotte vere e proprie presenti nella Sabina settentrionale, quella più profonda è situata presso Contigliano, sul bordo orientale della struttura carbonatica. Si tratta della Voragine le Puzzole (-53 m), una spaccatura tettonica quasi verticale, che taglia i sottili strati calcarei di Scaglia Rossa, ricchi di lenti selcifere. La grotta è situata nel “blocco” calcareo di M. Romano, sovrascorso sulle formazioni terrigene dell’Unità 4 della Sabina (MANGANELLI & FARAMONDI, 1990). La posizione della grotta, situata sul ripido versante che marca il fronte di sovrascorrimento del M. Tancia, sembra spiegare la morfologia tipica “a spaccatura”, osservabile anche in altre grotte del Lazio caratterizzate da analoghe situazioni geologiche.

Figura 33 - Una immagine di Tivoli alla fine del XIX secolo, con le grandi cascate dell’Aniene lungo le quali si depositava carbonato di calcio che costituisce il travertino spugnoso in facies incrostante.

Figura 32 - La “spaccatura” con inclinazione media di circa 60° al fondo

della Voragine di Monte Spaccato (foto M. Romiti).

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Il settore orientale dei Monti Lucretili In questo settore (100 km2) sono catastate una decina di cavità, distribuite in tutte le formazioni calcaree, per uno sviluppo complessivo di condotti carsici inferiore a 400 m. La grotta più interessante è la Risorgenza di Collentone (+2, sviluppo 90 m), di piccola portata, probabilmente scavata nei Calcari Granulari al contatto con il sottostante “Rosso Ammonitico”, impermeabile. La morfologia è prevalentemente quella di una condotta in pressione ma per un tratto assume forme vadose. Il condotto è intersecato da numerose fratture quasi ortogonali all’asse; sul pavimento si trovano depositi di sabbie vulcaniche (MANCINI, 2002). E’ opportuno osservare che nell’area fra M. Marcone e M. Follettoso, il F.144 Palombara Sabina della Carta Geologica d’Italia riporta estesi affioramenti di Calcare Massiccio, mentre, in effetti, si tratta di Calcari Granulari, peraltro di aspetto molto simile (COSENTINO, 1986). I Monti Tiburtini I Monti Tiburtini sono il risultato di un basculamento del substrato rigido liassico, che ha determinato lo scivolamento verso SE della serie stratificata sovrastante il Calcare Massiccio. La principale superficie di scollamento è costituita dalla formazione argilloso-marnosa del Rosso Ammonitico, sulla quale i terreni sovrastanti hanno costituito una serie di pieghe rovesciate verso SE e parzialmente accavallate (BONI, 1967). Nei carbonati meso-cenozoici, presenti in affioramento su un’estensione di una decina di km2, sono state esplorate 6 grotte. Quella di maggior spicco è la Voragine di Monte Spaccato (-90 m), che si apre presso la sommità di M. Ripoli, sopra Tivoli. Si tratta di una spaccatura ampliata dall’uomo per cavare alabastro dalle pareti. L’andamento della fessura coincide con la giacitura degli strati di Maiolica, rovesciati a forte pendenza (58°, Fig. 32).

esse non siano attualmente aggressive. Se la creazione del vuoto carsico originario è avvenuta in ambiente freatico, la formazione di stalattiti (depositi di ambiente subaereo) può essere avvenuta in una successiva fase di abbassamento della superficie piezometrica; la diminuzione della pressione sulle pareti, a sua volta, potrebbe essere la causa principale del crollo della sottile volta della cavità e della creazione dei due laghi.

UNITÀ 3 DELLA SABINA: MONTI SABINI SETTENTRIONALI, MASSICCIO DI MONTE FOLLETTOSO-MONTE MARCONE E MONTI TIBUR TINI L’Unità 3 della Sabina è frammentata in diversi settori: i Monti Sabini settentrionali compresi fra la linea di M. Tancia (1292 m) e la Faglia Sabina; la parte occidentale dei Monti di Fara Sabina (M. degli Elci, 711 m); la catena di M. Marcone (1017 m)–M. Follettoso (1004 m); i Monti Tiburtini (M. S. Angelo in Arcese, 598 m). L’area di affioramento delle rocce carsificabili, comprendendo anche le “Marne e Brecciole” (litofacies 48), è di circa 290 km2. Le formazioni che affiorano più estesamente sono la Maiolica (circa il 30% dell’area totale), nella quale si aprono 10 grotte per circa 500 m complessivi di condotti, e la Corniola (con estensione areale analoga), al cui interno sono state esplorate 3 cavità per poche decine di metri di sviluppo totale. Nel Calcare Massiccio sono conosciute 7 grotte (escluse le doline catastate) per uno sviluppo dei condotti di soli 4 m per km2 di superficie affiorante. La Sabina settentrionale (fra la linea di Monte Tancia a Est, e la Faglia Sabina a Ovest) In quest’esteso tratto di catena (circa 180 km2) sono note solo 18 brevi cavità, distribuite in tutte le formazioni affioranti, con uno sviluppo complessivo dei condotti di circa 600 m (Fig. 29). Nell’area di Roccantica-Poggio Catino, in prossimità del bordo occidentale della struttura, sono celebri le imponenti doline del Revòtano (-85, assi: 320-250 m), del Catino (diametro 175 m) e del Catinello, scavate nel Calcare Massiccio al contatto con la Corniola, affiorante nella parte alta delle doline. Il Revòtano è una cavità a imbuto, risultato dello scoperchiamento di una caverna sotterranea probabilmente simile alla Grotta di S. Lucia sul M. Soratte; crolli successivi avrebbero smantellato la volta e accumulato alla base un grande cono di massi e detrito, con vertice rovesciato quasi nel mezzo dell’ambiente, mentre nella parte alta delle pareti rimane un anello roccioso. Sulla possibile origine (ipogenica) di queste grandi cavità si è già ampiamente trattato; per quanto riguarda il contesto paleogeografico specifico in cui si inserisce l’evoluzione del Revòtano, un’ipotesi è riportata nella prima

Figura 35 - La sala nei conglomerati al fondo del Pozzo Panfilo (foto M. Chiariotti).

Figura 34 - Depositi quaternari del bacino di Rieti: schema tettonico, sezione geologica e colonna stratigrafica (da Cavinato, 1993).


I DEPOSITI DI TRAVER TINO DEI FIUMI NERA, FARFA E ANIENE I travertini delle Marmore e di Papigno La formazione travertinosa delle Marmore, costituita da fossili vegetali frammisti a piccole lenti di sabbie calcaree, è stata depositata alla confluenza dei Fiumi Nera e Velino fino ad occupare un’estensione areale di circa 1 km2 per uno spessore massimo che raggiunge i 130 m. Il F. Nera ha successivamente inciso il deposito, isolando sulla sinistra idrografica un gradino travertinoso, embrione dell’attuale pianoro. Il banco di travertino si è esteso e sviluppato per la continua precipitazione di carbonato di calcio al tracimare lungo il bordo e nella zona palustre che si ampliava alle spalle dello sbarramento naturale, determinandone il progressivo innalzamento. Nel 271 a.C. Curio Dentato fece convogliare le acque del F. Velino in un canale, a formare le cascate delle Marmore, riducendo così la velocità di deposizione del travertino. Nel pianoro delle Marmore si trovano una quarantina di imbocchi di cavità sotterranee, per quasi 900 m complessivi di condotti, oltre a numerose forme di superficie. Le cavità superficiali (“fosse”) assomigliano alle doline carsiche (scavate per dissoluzione di CaCO3), ma sono in realtà forme “singenetiche”, cioè create contemporaneamente alla deposizione del travertino in corrispondenza degli sbocchi a valle dei torrenti, dove si determinavano condizioni sfavorevoli alla deposizione carbonatica e un rapido concrezionamento nella zona circostante, fino a formare queste piccole depressioni. Altre forme singenetiche sono alcune cavità naturali che si aprono nelle zone di pendio, alla base delle pareti rocciose e sul bordo delle fosse; data l’elevata pendenza, si formavano strutture concrezionali a cascata (in “strati” inclinati), che lasciavano delle cavità all’interno del deposito (MATTIOLI, 1972). Diverse cavità sono originate da fratture. Le Grotte dei Campacci di Marmore (-32, sviluppo 480 m), per esempio, sono costituite da una lunga frattura beante, parallela alla parete della cascata e distante da questa non più di 50 m. La fessura non è di origine tettonica, ma è invece stata aperta dalla forza di gravità per mancanza di sostegno dalla parte della Valnerina. In alcuni punti la frattura intercetta alcune cavità singenetiche, formatesi precedentemente lungo la cascata (MATTIOLI, 1965). Un altro deposito di travertino, con un’estensione areale inferiore a 1 km2, è presente nei pressi di Papigno. Una sola piccola grotta ad andamento orizzontale è nota in questi depositi. I depositi travertinosi del Piano di Cornazzano e di Poggio Nativo-Cerdomare All’estremità meridionale della struttura carbonatica di M. Tancia si trovano alcune placche di travertino, la più estesa delle quali (circa 2 km2) è il Piano di Cornazzano, nei pressi di Castelnuovo di Farfa. Il piano è costituito da una piastra potente una trentina di metri di depositi concrezionari travertinosi con resti vegetali, ghiaie e conglomerati, in parte coperti da tufi pedogenizzati. All’interno della placca si trova un bacino chiuso esteso 0,7 km2, le cui acque sono inghiottite nell’unica cavità carsica nota nella bancata, la Grotta Scura (+10/-20, sviluppo 355 m), percorsa da un torrente stagionale. Si tratta di un traforo naturale costituito da una galleria a forra con andamento meandriforme, impostata su due sistemi di fratture fra loro ortogonali. L’acqua riemerge al contatto con i sottostanti depositi sabbiosi e calcarenitici plio-pleistocenici, e va ad alimentare il Fiume Farfa, che scorre una sessantina di metri più in basso sul calcare Maiolica. Le bancate di travertino di Poggio Nativo e di Cerdomare affiorano su un’area estesa complessivamente circa 9 km2 ubicata sul margine meridionale della valle del Farfa. Il deposito raggiunge spessori di alcune decine di metri, in strati paralleli al pendio che scende verso Nord. Il deposito si è formato nel Pleistocene, quando da sistemi di faglie che interessavano i carbonati della Sabina risalivano acque concrezionanti (MANFRA ET ALII, 1976). Nel catasto speleologico sono riportate, nella bancata di Poggio Nativo, le 9 grotte di Battifratta, tutte ad andamento pianeggiante e con lunghezza massima di 60 m. Nella placca di Cerdomare sono noti un pozzo profondo 15 m e due grotticelle sub-orizzontali, una delle quali è una sorgente captata (Risorgenza di Cerdomare). I travertini di Tivoli-Ponte Lucano e di San Cosimato Nel tratto compreso fra la stazione ferroviaria di Tivoli e Ponte Lucano il F. Aniene supera un dislivello di oltre 200 m; nel passato ciò avveniva attraverso un sistema straordinariamente suggestivo di grotte e cascatelle e con un salto verticale di oltre 100 m (Fig. 33). Successivamente, la maggior parte delle acque è stata incanalata nelle opere di sistemazione idraulica e il salto d’acqua è stato derivato a fini idroelettrici. In quest’area i travertini spugnosi in facies incrostante, originati lungo le cascate dell’Aniene nella sottostante piana Tiburtina e quindi non correlati geneticamente con i fenomeni sorgentizi del bacino delle Acque Albule, occupano una superficie di circa 2,5 km2, inclusa la rupe di Tivoli. Sono riportate in catasto 15 cavità, rappresentate da grotte ad antro o da “stanze” e gallerie pianeggianti, sempre di dimensioni modeste, con uno sviluppo complessivo di circa 250 m di condotti. Fra queste ricordiamo la Grotta di Nettuno e il pozzo verticale della Grotta delle Sirene, visitabili entro il perimetro di Villa Gregoriana, e la Grotta Scavizzi (-2, sviluppo 40 m), con 3 imbocchi, costituita da una galleria alta mediamente 3,5 m e larga 3 m.

Percorrendo l’autostrada Roma-L’Aquila verso l’Abruzzo, all’uscita della galleria che precede il casello di Vicovaro si passa su un viadotto che scavalca una profonda forra scavata dal F. Aniene subito a valle della confluenza con il Torrente Licenza. Di fronte allo sbocco della galleria si innalza la rupe di S. Cosimato, costituita da depositi di travertino che formano una parete a picco alta una sessantina di metri sull’alveo dell’Aniene. Il travertino, tipico dell’ambiente di cascata, e quindi spugnoso e inglobante resti vegetali e organici, si sarebbe depositato intorno a 30 mila anni fa. In una galleria localizzata alla base della diga, e scavata all’epoca della costruzione della diga stessa, si osserva il contatto fra la base del deposito travertinoso e un giacimento di ciottoli fluviali calcarei di dimensioni da decimetriche a multidecimetriche. La parete ospita una serie di romitori, acquedotti e cavità naturali (CAPPA & FELICI, 1998), una dozzina delle quali, costituita da caverne e brevi condotti, riportata nel catasto speleologico.

UNITÀ 4 DELLA SABINA: MONTI SABINI ORIENTALI, MONTI RUFFI E MONTI PRENESTINI I rilievi della Sabina orientale costituiscono l’unità tettonica più esterna del dominio sabino (Unità 4), che lungo la linea tettonica Olèvano-Antrodoco si sovrappone verso Est sulle strutture derivate dalla deformazione della piattaforma laziale-abruzzese (COSENTINO & PAROTTO, 1991). L’Unità 4 della Sabina comprende a Nord i rilievi collinari del versante orientale di M. Tancia (quote fino a circa 900 m), il settore orientale della dorsale di Fara Sabina, i Monti della Sabina orientale, e a Sud i M. Ruffi e i M. Prenestini. Tipiche di questa unità tettonica sono le strutture a pieghe, con asse NW-SE o N-S, vergenti verso l’Adriatico. L’area di affioramento delle rocce carsificabili, comprendendo la formazione delle “Marne e Brecciole” e la formazione argilloso-marnoso-calcarea di Guadagnolo, è di circa 630 km2. La Formazione di Guadagnolo, che costituisce circa il 40% dell’area totale, è stata inserita fra le formazioni carsificabili (esclusivamente per questa unità), date le numerose cavità ipogee conosciute. Complessivamente in questa formazione sono catastate 20 grotte, per uno sviluppo complessivo di circa 800 m di condotti carsici. Per quanto riguarda le formazioni carbonatiche, il 25% dell’area è rappresentato dalla Scaglia, nella quale si trovano 13 grotte con uno sviluppo totale di condotti di circa 600 m. I calcari miocenici affiorano sul 18% dell’area, e con 32 grotte e 13 m di condotti per km2 di affioramento sono la più importante formazione carsificata di questa unità. Sono molto limitati, invece, gli affioramenti di Calcare Massiccio e di Maiolica. La Sabina settentrionale a Est della linea di Monte Tancia e il settore orientale dei Monti di Fara Sabina Affiorano esclusivamente la Scaglia e le Marne e Brecciole, per complessivi 110 km2. Non sono conosciute cavità carsiche ipogee. I conglomerati del bacino di Rieti Il bacino di Rieti è una depressione intramontana originatasi durante la fase tettonica estensionale del Pliocene-Pleistocene. Il settore di bacino a Sud di Rieti è stato colmato nel Villafranchiano inf. da depositi clastici di conoide alluvionale, provenienti dallo smantellamento dei monti del dominio umbro-sabino (“unità deposizionale inferiore”). Successivamente, sopra questi depositi si sono accumulati clasti derivati dallo smantellamento dei monti originati dalla deformazione della piattaforma laziale–abruzzese (“unità deposizionale superiore”) (Fig. 34; CAVINATO, 1993). L’unità deposizionale inferiore, potente 250-300 m, poggia in discordanza angolare sul substrato carbonatico e rappresenta il primo deposito di origine continentale del bacino. E’ costituita da una successione di banchi di conglomerati massivi intercalati a sottili e discontinui livelli calcarenitici o marnosi; a differenza dell’unità superiore ha caratteristiche di elevata permeabilità e presenta forme carsiche ipogee più ampie. Nei conglomerati dell’area reatina sono conosciute 5 modeste cavità, 4 delle quali pianeggianti e di sviluppo inferiore a 30 m ciascuna. La cavità più interessante è, invece, il Pozzo Panfilo, che si apre nella valle del Turano, nell’estremo lembo meridionale di affioramento dei conglomerati dell’unità inferiore, più lontano dall’area-sorgente. I conglomerati sono costituiti da clasti di dimensioni comunque superiori a 5-10 cm con matrice ghiaiosa e cemento calcareo, disposti in banchi massivi di 5-10 m di spessore; le intercalazioni di livelli calcarenitici e marnosi, di origine lacustre, hanno spessori di 5-10 cm (CAVINATO, 1993). Il Pozzo Panfilo (-60 m) perfora il conglomerato calcareo lungo una frattura inclinata di 70° (Fig. 35). Presso Castelnuovo di Farfa, Montopoli, Poggio Mirteto e Paganico, si rinvengono, in altri affioramenti conglomeratici, alcune piccole cavità ad andamento orizzontale, con lunghezze inferiori a 30 m. Presso Montopoli si trova un bel traforo nel travertino (Grotta Pinta), con sviluppo planimetrico attuale di 60 m, probabilmente molto più lungo in origine.

I Monti Sabini orientali Il settore orientale della Sabina si spinge a Nord fino alle valli del Fiume Farfa e dei Fiumi Turano-Salto-Velino, colmate da depositi sabbiosi e conglomeratici, mentre verso Est si estende con bassi rilievi che, oltrepassata la valle del F. Turano, si innalzano nella dorsale di M. Navegna (1506 m)M. Cervia (1439 m), allungata sul fronte N-S della linea Olèvano-Antrodoco. A Sud il F. Aniene separa la Sabina orientale dai Monti Prenestini e Ruffi. Nell’area dei Monti Sabini orientali, estesa circa 360 km2, sono note 40 cavità ipogee (escluse le doline catastate), con uno sviluppo spaziale complessivo di circa 1,6 km. Si tratta sempre di grotte modeste, scavate prevalentemente nei calcari miocenici (una ventina di cavità, compreso il Pozzo di Cineto, profondo 58 m) e nella Scaglia. La cavità più importante è la Grotta di Muro Pizzo (+3/-12, sviluppo 380 m), costituita da alcuni gruppi di sale collegati fra loro da brevi cunicoli (Fig. 36). Ogni gruppo di sale è formato da ambienti a pianta quasi circolare, di 2-8 m di diametro, a forma di cupola con altezza al centro fino a 3 m e pavimento orizzontale. In alcune aree della grotta le salette si fondono con collegamenti ampi che isolano dei tozzi pilastri di roccia, larghi un paio di metri. Le cupole sono talvolta influenzate dalla stratificazione e presentano nicchie semisferiche più piccole in roccia compatta, senza evidenti fessure sulla volta. Attualmente l’attività idrica nella grotta è limitata ad uno scarso stillicidio e il concrezionamento presente è di calcite. Per quanto le dimensioni siano modeste (e quindi l’interpretazione basata su scarsi elementi), la grotta sembra rappresentare un esempio, unico nella regione, di pattern labirintico bidimensionale. L’origine delle grotte labirintiche è ancora controversa; tuttavia, per la creazione di numerosi condotti vicini e di dimensioni simili, sembra fondamentale che l’ampliamento iniziale delle fratture si realizzi con uguale velocità in tutte le fessure (cioè in assenza di “competizione” fra le fratture), indipendentemente dalle loro larghezze originarie (PALMER, 1991). La Grotta di Muro Pizzo è interamente scavata in pochi strati calcarei di Scaglia Rossa, per uno spessore complessivo di 3-4 m, inclinati di 5-15°. Seguendo il modello di speleogenesi “trasversale” proposto da KLIMCHOUK (2000b), questa grotta labirintica si sarebbe potuta sviluppare in un’intercalazione di strati calcarei più puri quando l’ammasso roccioso si trovava sommerso nella falda acquifera in condizioni confinate, determinate da strati calcareo-marnosi sovrastanti e sottostanti. In base alla morfologia degli ambienti, sopra descritta, si può anche avanzare l’ipotesi che le acque che hanno creato la grotta fossero calde. Una cavità che presenta analogie con quella appena descritta è la Grotta Pila (+7, sviluppo 74 m), anch’essa scavata nella formazione della Scaglia Rossa, nei pressi di Poggio Moiano. Sulle pendici occidentali di M. Navegna si aprono alcune piccole grotte. Merita di essere ricordata la Risorgenza di Capo d’Acqua (sub-orizzontale, sviluppo 62 m), che sgorga probabilmente presso la base della Formazione di Guadagnolo, lungo il fosso che scende verso Castel di Tora. Dalla parte opposta del Lago del Turano, il versante che dal M. Faito scende verso Est fino al lago è attraversato da una linea di sovrascorrimento orientata all’incirca N-S, lungo la quale si è impostata

Figura 36 - La Grotta di Muro Pizzo è un labirinto bidimensionale costituito da gruppi di sale a pianta tondeggiante e con volta a cupola.

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un’area pianeggiante intorno alla q. 1000 m; a qualche centinaio di metri dal sovrascorrimento, nell’unità orientale, si osserva il contatto fra i depositi terrigeni impermeabili e le sottostanti calcareniti del Miocene. Un centinaio di metri sotto questa linea, da un grande antro situato nelle calcareniti mioceniche sgorgano periodicamente le acque della Risorgenza di Puffi Street; dalla volta della sala d’ingresso sale un camino alto 30 m che sbocca all’esterno, mentre dalla base parte una galleria in piano che termina dopo una sessantina di metri con un sifone, esplorato in immersione per 20 m. I Monti Ruffi I Monti Ruffi, estesi una quarantina di km2, sono caratterizzati da una serie di scaglie tettoniche embricate, orientate NW-SE e accavallate verso NE (Fig. 37), che costituiscono le dorsali di M. Sacrestia (settore occidentale, che comprende il Pozzo di Cerreto), di Costa Sole (al centro, massima elevazione, 1251 m) e di M. Cerasolo (settore orientale). L’ossatura delle scaglie è formata da calcari bioclastici miocenici, che affiorano quasi ovunque (per complessivi 25 km2) con spessori di 70-80 m, e dalle sottostanti marne e calcareniti della Formazione di Guadagnolo (CORRADO, 1995). Sui M. Ruffi, nonostante evidenze di un carsismo superficiale intenso, lo sviluppo ipogeo appare modesto; fra le scaglie più orientali rimane un bacino chiuso lungo un paio di chilometri, con un inghiottitoio impraticabile nel punto più basso. Sono catastate 6 grotte, 4 delle quali nei calcari miocenici, per complessivi circa 200 m di sviluppo (8 m/km2), mentre 2 piccole cavità si aprono nella Formazione di Guadagnolo. La cavità più ampia è il Pozzo di Cerreto (-48 m), un grande ambiente scavato nelle calcareniti mioceniche e condizionato da faglie, venuto alla luce per il crollo della volta. Il fondo del pozzo dovrebbe trovarsi in prossimità del passaggio alla sottostante Formazione di Guadagnolo.

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I Monti Prenestini La dorsale dei Monti Prenestini (massima elevazione M. Guadagnolo, 1218 m) è costituita da depositi originati sulla scarpata di raccordo tra il margine della piattaforma carbonatica lazialeabruzzese e il contiguo bacino di mare aperto umbro-sabino (Fig. 29). Le rocce carsificabili, comprendendo anche i Monti dell’Ara Salère situati tra il F. Aniene, il Fosso Empiglione e il Fosso Fiumicino, affiorano su una superficie di 120 km2. Complessivamente sono catastate 22 grotte, con uno sviluppo spaziale complessivo dei condotti di poco più di 1 km. Il termine più antico in affioramento è la Scaglia, messa in luce dall’erosione solo nelle incisioni fluviali più profonde (superficie di circa 0,5 km2), come a monte dell’abitato di S. Gregorio da Sàssola; in questa formazione dovrebbero trovarsi 2 piccole cavità carsiche. Seguono verso l’alto le Marne e Brecciole dell’Oligocene, che affiorano in alcune incisioni fluviali su un’area di 10 km2, senza evidenze di carsismo ipogeo. La Formazione di Guadagnolo dell’Aquitaniano-Langhiano, costituita da ripetute alternanze di marne e calcareniti con la tipica struttura a losanga, affiora estesamente (80 km2) a Ovest della dorsale di Guadagnolo. Gli orizzonti calcarei sono carsificati, come testimonia la presenza di numerose doline e di 11 cavità sotterranee per uno sviluppo di 7 m di condotti per km2 di affioramento; tuttavia la presenza dei termini arenacei nei calcari limita notevolmente le possibilità di approfondimento delle grotte. Le cavità più importanti sono il Pozzo 2° della Mentorella (-53 m), situato presso l’omonimo santuario sul versante orientale della dorsale e impostato su due fratture fra loro ortogonali, e il

Figura 38 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nel promontorio del Circeo.

Pozzo della Ventrosa (-59 m). Ma le morfologie carsiche più importanti di questa formazione sono rappresentate dalle macrodoline, a forma di ciotola delimitata da perimetri ellittici, con assi maggiori lunghi oltre 100 m orientati in direzione NNW-SSE, parallelamente all’asse dell’anticlinale prenestina. Le macrodoline sono concentrate prevalentemente in due aree (a SW di Guadagnolo e a NE di Rocca di Cave), addensandosi in una fascia altimetrica di circa 80 m di dislivello intorno all’isoipsa di 1000 m e secondariamente nella fascia 800-1000 m (SCOTONI, 1971). Le calcareniti del Miocene (Langhiano-Serravalliano), di rampa carbonatica, costituiscono la sommità dei rilievi più elevati (Guadagnolo, Punta Carpigno) e il versante orientale della dorsale, con una superficie di affioramento di circa 23 km2. La carsificazione è elevata, come dimostrano le 9 cavità catastate per uno sviluppo medio di 26 m di condotti per km2 di superficie. Fra queste è importante segnalare due risorgenze temporanee situate a Est dei Monti Caprini quasi al piede della dorsale: l’Ainate (+8/-11, sviluppo 210 m) impostata in parte su una faglia inclinata di 60-70°, e la Risorgenza della Mola (+18, sviluppo 92 m), il cui condotto scende verso l’uscita seguendo la direzione di massima pendenza degli strati (ENE). Il settore meridionale dei M. Prenestini si differenzia da quello settentrionale per la presenza dei resti di un tratto della soglia occidentale della piattaforma laziale-abruzzese, che raccorda la piattaforma interna simbruino-ernica e la scarpata di transizione al mare aperto dei M. Prenestini settentrionali e della Sabina. La soglia è testimoniata dall’affioramento presso Rocca di Cave di calcari organogeni (litofacies 54) ricchi di rudiste e gasteropodi del Cretacico sup. L’alto strutturale costituito dalla scogliera è rimasto emerso fino al Miocene; successivamente, al di sopra dei calcari del Cretacico si è depositato direttamente uno spessore molto ridotto di marne della Formazione di Guadagnolo e quindi le calcareniti mioceniche. L’unica “grotta” catastata in questo settore è la Fossa Ampilla (-61 m), una grande cavità a cielo aperto che si apre nelle calcareniti mioceniche e si approfondisce fin quasi nei calcari organogeni del Cretacico. I calcari di scogliera sono senz’altro carsificabili e l’assenza di grotte è probabilmente imputabile solo alla ridotta estensione dell’affioramento (4 km2).

IL MONTE CIRCEO

Figura 37 - Sezione geologica dei Monti Ruffi, caratterizzati da scaglie tettoniche embricate accavallate verso NE. I depositi carsificabili di calcareniti mioceniche hanno spessori limitati a poche decine di metri e poggiano sulle alternanze di marne e calcareniti della Formazione di Guadagnolo.

Il Circeo (541 m) è un promontorio lungo 5 km in direzione ESE-WNW e largo fino a 2 km, situato all’estremità meridionale della Pianura Pontina e costituito da rocce prevalentemente calcaree del Giurassico della successione umbro-sabina (Fig. 38). Questo tratto di catena è stato presumibilmente inglobato nell’Appennino prima dei M. Lepini e quindi prima anche della Sabina. La struttura del monte risulta costituita da 4 scaglie tettoniche principali parzialmente sovrapposte fra loro e vergenti a NNE, dove sovrascorrono su terreni torbiditici; faglie trasversali sbloccano la struttura compressiva (PANTOSTI ET ALII, 1986). Sul versante marino è presente una fascia detritica originatasi nel Quaternario, in buona parte demolita dall’azione del mare (SEGRE, 1948a). Il carsismo ipogeo conosciuto, quasi interamente descritto da SEGRE (1948a), è rappresentato esclusivamente da grotte localizzate nel Calcare Massiccio lungo la linea di costa, entro 20 m sul livello del mare, con l’unica eccezione rappresentata dal Pozzo dei Pipistrelli, che si apre a q. 200 m. Le cavità catastate sono 34, tutte di modeste dimensioni, per circa 500 m di sviluppo totale; le grotte, quasi tutte idricamente inattive, sono generalmente costituite da un unico ambiente scolpito

Figura 39 - Fori di litodomi, tipici fossili di bivalvi litofagi che marcano la linea di costa, nella Grotta delle Capre al Circeo (foto G. Mecchia).

dall’azione del mare (Fig. 39). Considerando la limitata estensione del promontorio, nel Calcare Massiccio il carsismo appare ben sviluppato (138 m di condotti per km2 di affioramento), mentre non si ha notizia di cavità nei calcari con selce riferibili alla Corniola, il cui affioramento, comunque, è limitato ad una superficie di soli 2 km2. La cavità più estesa è la Grotta delle Corvine. Si tratta di una risorgenza sottomarina, che si sviluppa per un centinaio di metri nel Calcare Massiccio, anche se la volta interessa un deposito di breccia quaternaria; la sua origine risale forse ad un’epoca in cui il livello del mare era più basso dell’attuale, ma non è da trascurare l’intensa dissoluzione carsica che si è potuta sviluppare per la miscelazione delle acque dolci con quelle marine (ANTONIOLI & FERRANTI, 1994). Di notevole interesse paletnologico, ma di piccole dimensioni, è la Grotta Guattari (pianeggiante, sviluppo 28 m), situata alla base di una piccola scaglia tettonica di Calcare Massiccio sovrascorsa su terreni fliscioidi di età oligocenica, che sono stati rinvenuti durante le operazioni di scavo archeologico del riempimento della grotta.


IL CARSISMO SOTTERRANEO NELLA FALDA LAZIALE-ABRUZZESE

travertini e sulle pareti si individua ancora l’andamento arcuato dell’antica volta sotterranea. Un’altra interessante forma carsica di superficie è il Lago di Cotronia, che occupa una depressione circolare del diametro di circa 270 m.

La dorsale dei Volsci

GLI ALTRI SPROFONDI

Dal punto di vista stratigrafico e strutturale i Monti Lepini, i Monti Ausoni e i Monti Aurunci costituiscono un’unica catena (la cosiddetta struttura dei Volsci), inglobata nell’Appennino nel corso dell’evento del Tortoniano sup. (7,8-8,2 milioni di anni fa) (CIPOLLARI ET ALII, 1995). La catena ha le caratteristiche tipiche delle unità appennniniche, con assi tettonici NW-SE e sovrascorrimenti vergenti a NE; il fronte di accavallamento ha estensione regionale e può essere seguito lungo tutta la Valle Latina. Sul bordo SW della catena alcune faglie dirette del PlioceneQuaternario ribassano la prosecuzione della struttura carbonatica al di sotto dei depositi delle pianure costiere, con rigetto complessivo fino a 3000 m (Fig. 40). La catena viene abitualmente suddivisa nei tre settori dei Monti Lepini, Ausoni e Aurunci seguendo alcuni dei principali lineamenti tettonici (PAROTTO & PRATURLON, 1975). Nella dorsale dei Volsci affiora estesamente la serie laziale-abruzzese, rappresentata da uno spessore di circa 3300 m di depositi calcarei e dolomitici di piattaforma carbonatica di acque basse, con età che vanno dal Triassico sup. al Senoniano-Paleocene (DAMIANI ET ALII, 1991). I depositi più antichi presenti in affioramento, dolomitici (litofacies 67d), si rinvengono solo nei M. Aurunci in aree di estensione molto limitata. I depositi calcarei e calcareo-dolomitici sedimentati dal Dogger al Paleocene rappresentano il 98% delle rocce carsificabili che affiorano su tutta la struttura; questi depositi sono stati suddivisi in due litofacies entrambe di mare poco profondo di piattaforma carbonatica, depositatesi rispettivamente nel Dogger-Cretacico inf. (litofacies 63) e nel Cretacico sup.–Paleocene (litofacies 55) (ACCORDI & CARBONE, 1988). Verso la sommità dei depositi del Cretacico inf. si rinviene una sottile intercalazione argilloso-marnosa, il “livello a Orbitolina”, di particolare interesse anche per il carsismo. Al di sopra dei calcari del Cretacico-Paleocene si sono depositati, in trasgressione, i “Calcari a Briozoi e Litotamni” del Miocene (litofacies 45), che però affiorano solo, e molto limitatamente, al bordo NE della struttura lepina e presso Carpineto Romano. Sono incluse nel catasto regionale circa 740 grotte, per uno sviluppo complessivo di circa 63 km di condotti carsici. Nei calcari di piattaforma interna delle litofacies 55 e 63, la carsificazione è elevata, infatti, i condotti carsici conosciuti rappresentano una media di 49 m per km2 di superficie. In base alle esplorazioni speleologiche fino ad oggi completate, la densità dei condotti è di 56 m per km2 di affioramento per la litofacies 55, e di 41 m/km2 per la litofacies 63. Il massiccio dei M. Lepini è il più carsificato dei tre, con uno sviluppo medio di 87 m di condotti sotterranei per km2 di affioramento delle litofacies 55+63, valore che scende a 27 m/km2 nei M. Ausoni e a 26 m/km2 nei M. Aurunci. Nella Pianura Pontina, ai piedi della dorsale lepina, si trova la piastra di travertino di Cisterna di Latina, nella quale sono note una grotta e alcuni “sprofondi”; altri sprofondi sono disseminati lungo il bordo orientale delle “Paludi Pontine”. Due piccole grotte in depositi conglomeratici sono presenti nel promontorio di Gianola.

Nella fascia della Pianura Pontina situata al piede dei M. Lepini-Ausoni sono conosciute diverse depressioni originate dallo sprofondamento del suolo, oggi occupate da laghetti. Questi “sprofondi” sono stati quasi tutti inseriti nel catasto speleologico, pur non essendo cavità sotterranee. Alcuni di essi si aprono nelle piroclastiti, anche se spesso interessano anche croste di travertino. Nell’area sottostante la rupe di Sermoneta si stende l’ampio conoide detritico che, sboccando dalla Val Carella, si fonde con la Pianura Pontina. Il ventaglio detritico è costituito da ciottoli calcarei più o meno cementati, croste di travertino, limi e torbe. Sul margine dell’unghia detritica negli ultimi secoli sono stati osservati numerosi improvvisi sprofondamenti del suolo, con formazione di depressioni quasi circolari evolute poi rapidamente per colmamento (SEGRE, 1948a). A circa 1 km di distanza dalle sorgenti di Ninfa si trova lo Sprofondo della Doganella, apertosi improvvisamente nel 1989. La cavità ha subito notevoli modificazioni nel tempo a causa di crolli e nuovi sprofondamenti. Attualmente (13 ottobre 2001, Fig. 42), la pianta è ellittica e le pareti, quasi verticali, si immergono in uno specchio d’acqua (superficie piezometrica) a 6 m dal piano campagna; il punto più profondo della voragine è situato 34 m sotto la superficie d’acqua. Le pareti dello sprofondo sono costituite da depositi vulcanici e sedimentari prevalentemente sciolti del Quaternario; sotto uno spessore di 30-40 m di tali depositi si trovano travertini. Secondo BONO (1995), durante gli abbassamenti eustatici del livello marino del Pleistocene il livello di base dell’acquifero carsico si localizzò una sessantina di metri al di sotto dell’attuale livello del mare; in queste condizioni, all’interno dei travertini i processi carsici formarono gallerie orizzontali e sale anche di grande volume. Più tardi, con le fasi eruttive del Vulcano Albano, i travertini vennero ricoperti da nuovi cicli deposizionali di colate piroclastiche. Lo Sprofondo della Doganella si sarebbe generato per progressivo cedimento dei depositi della copertura in seguito a crolli delle volte delle cavità carsiche sotterranee situate nei travertini. I crolli sarebbero imputabili alla notevole diminuzione della pressione dell’acqua all’interno delle cavità (completamente allagate) dovuta a prolungato pompaggio da pozzi; il collasso delle cavità sotterranee potrebbe essere stato innescato dalle scosse sismiche registrate nell’area nei giorni prossimi all’evento di formazione dello sprofondo (BONO, 1995). Altre cavità di questo tipo, che formano laghetti tondeggianti con acque sulfuree, sono il Lago San Carlo e i Laghi del Vescovo, situati nell’area fra Sezze e Priverno.

GROTTE E SPROFONDI NELLA PIANURA PONTINA La Pianura Pontina si stende fra la costa tirrenica e i M. Lepini, ed è interrotta a NW dal Vulcano Albano; è costituita da depositi recenti che mascherano una successione terrigena del Pliocene leggermente deformata, di diverse centinaia di metri di spessore, che a sua volta ricopre una catena a scaglie tettoniche costituita da sedimenti carbonatici depositati dal Mesozoico al Miocene (PAROTTO & PRATURLON, 1975) (Fig. 40).

LA PIASTRA DI TRAVER TINO DI CISTERNA DI LATINA In prossimità del piede dei M. Lepini si trova la grande placca di travertini di Cisterna di Latina (circa 14 km2), con spessore massimo di una quindicina di metri; la placca si sarebbe depositata circa 200 mila anni fa (AMBROSETTI ET ALII, 1972) in parte al di sopra di depositi detritici e in parte sulle pozzolane del Vulcano Albano. In posizione centrale, all’interno della placca, si trova la Grotta di San Biagio (pianeggiante, sviluppo 350 m), interamente scavata nel travertino e costituita da un labirintico reticolo di condotte impostate all’intersezione fra un piano orizzontale (strato) e fratture verticali orientate in numerose direzioni (Fig. 41). Attualmente la grotta non è percorsa da un torrente, ma nella stagione estiva l’irrigazione dei campi di cocomeri e kiwi sovrastanti rende umida la grotta per percolazione diffusa. Sembra che il riempimento fangoso che colma la parte bassa della grotta sia piuttosto recente, determinato proprio dall’attività irrigua che avrebbe trasportato in grotta il suolo esterno. Nel lembo orientale della piastra di Cisterna si trova lo sprofondo di Casa Affonnata, un’ampia voragine con pareti strapiombanti, del diametro di 30-35 m, profonda una ventina di metri fino alla superficie di un lago, che occupa un angolo al fondo della cavità. E’ interamente scavato nei

I MONTI LEPINI Il massiccio montuoso dei Lepini è costituito da due unità tettoniche, con assi principali orientati NW-SE, accavallate lungo la linea Montelanico-Carpineto Romano (Fig. 40). Lungo questa linea, che si sviluppa per una lunghezza di una ventina di chilometri, affiorano discontinuamente pochi metri di calcare del Miocene e un sottile banco di argille e arenarie mioceniche. Nell’area di fondovalle di Carpineto Romano una coltre di piroclastiti quaternarie copre parzialmente i carbonati mesozoici e i depositi miocenici. Situata fra i M. Lepini e i M. Ausoni, lungo il fronte di accavallamento della struttura dei Volsci verso NE sulla Valle Latina, si trova la dorsale calcarea di M. Siserno. Nei M. Lepini prevalgono gli affioramenti di età cretacica. I depositi del Giurassico medio-sup. sono bene esposti sulla monoclinale del M. Semprevisa, mentre non si rinvengono in affioramento i calcari del Giurassico inf. e del Triassico. Le calcareniti del Miocene, come si è detto, sono conservate solo in alcune località, e hanno spessori di pochi metri.

L’UNITÀ TETTONICA OCCIDENTALE DEI MONTI LEPINI La placca occidentale (270 km2) è caratterizzata dalla monoclinale immergente a NE della dorsale M. Semprevisa-M. Lupone. Da questa cresta spostandosi verso SE si sviluppa una serie faglie dirette che hanno sbloccato il rilievo, che si abbassa di quota fino alla Pianura Pontina. Il limite fra la pianura e il rilievo carbonatico è costituito da un reticolo di faglie dirette sub-verticali orientate prevalentemente NW-SE, che ribassano i calcari al di sotto dei depositi della piana. Sui M. Lepini occidentali sono note oltre 230 grotte, con uno sviluppo spaziale complessivo di circa 22 km di condotti. Nei calcari mesozoici (litofacies 55+63) la carsificazione è molto elevata (81 m di condotti per km2 di affioramento), in particolare nei calcari del Cretacico sup. (110 m/km2), che rappresentano anche il termine più esteso in affioramento (60% della superficie carbonatica totale). Il bordo occidentale dei Monti Lepini

L’area di Artena Sul margine Nord-occidentale della struttura, in corrispondenza del paese di Artena, si trova

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Figura 44 - Bolle di gas e una matrice di solfobatteri galleggiante sulla superficie di un laghetto della Grotta di Fiume Coperto, affioramento della falda solfurea (foto M. Mecchia).

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Figura 45 - Cristalli di gesso nella Grotta della Cava (foto M.

Mecchia).

Figura 40 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti Lepini.

Figura 41 - Una condotta con sezione semi-ellittica nei travertini della Grotta di San Biagio. Si osserva la frattura verticale sulla volta, mentre il riempimento di fango costituisce il pavimento pianeggiante della condotta (foto G. Mecchia).

Figura 42 - Lo Sprofondo di Doganella nella Pianura Pontina durante la misurazione dei parametri chimico-fisici delle acque (foto M. Piro).

Figura 46 - “Pelli di leopardoâ€? su un soffitto della Grotta di Fiume Coperto; il tratto ripreso è largo circa 1,5 m (foto M. Mecchia).


m, cioè una trentina di metri al di sopra dell’attuale superficie piezometrica. La genesi di questa grande cavità carsica a cielo aperto potrebbe essere correlata con l’afflusso di fluidi profondi, secondo i meccanismi descritti precedentemente (vedi il riquadro “i grandi ambienti carsici sotterranei”), con processi che potevano avvenire in corrispondenza della superficie piezometrica prima che gli ultimi sollevamenti portassero il “blocco” che contiene la grotta nella posizione attuale. A processi ipogenici ancora in attività è invece imputabile la formazione delle voragini di collasso note come “gli sprofondi” che, come si è detto precedentemente, si aprono nel conoide detritico alla base della rupe

un piccolo affioramento di calcari di scogliera del Cenomaniano (litofacies 54), nei quali si aprono due piccole cavità carsiche. Da segnalare, inoltre, la presenza di alcune “doline” di crollo come la dolina di Valle S. Carlo, in merito alla quale SEGRE (1948a) riferisce che “… nel suo interno, il 2 luglio 1850 si

verificò un repentino sprofondamento accompagnato da un forte boato e tremito del suolo circostante, con conseguente formazione di una cavità a perimetro ellittico, lunga 80 m, larga 45 con la massima profondità di 20 m sotto alle rocce che sostengono il paese… Di questa recente dolina di crollo non rimane quasi più traccia, a stento se ne riconosce la posizione per un più marcato avvallamento del suolo”.

L’area fra Sermoneta e Sezze Ai bordi del massiccio montuoso nell’area compresa fra Sermoneta e Sezze i carbonati si immergono sotto i sedimenti alluvionali-palustri della Pianura Pontina. Qui si trovano le interessanti grotte che costituiscono il sistema sotterraneo di Acquapuzza (Fig. 43), scavato nei calcari del Cretacico inf. Le cavità più estese del sistema sono la Grotta di Fiume Coperto (+7/–6, sviluppo 170 m) e la Grotta della Cava (-15, sviluppo 230 m), che si aprono a pochi metri di distanza dalla sorgente di Fiume Coperto e da altre polle minori; l’acqua sulfurea emerge dal detrito alla temperatura di 1415°C con una portata complessiva dell’ordine di 1 m3/s (CAMPONESCHI & NOLASCO, 1978-86). La Grotta di Fiume Coperto inizia con un breve cunicolo che scende fino a raggiungere una galleria impostata su fratture, sul fondo della quale affiora la superficie della falda idrica rappresentata da numerose pozze e laghetti di acqua sulfurea che emanano esalazioni di acido solfidrico, riconoscibile per il caratteristico odore di uova marce. L’elevata concentrazione di H2S ha permesso l’insediamento sugli specchi d’acqua di una consistente matrice batterica, costituita soprattutto da solfobatteri, presenti anche in ammassi filamentosi, e da metanobatteri, rilevabili dalle bolle di gas presenti nello strato superficiale (Fig. 44). I risultati di analisi chimico-fisiche, faunistiche ed ecologiche hanno permesso di ipotizzare che l’ecosistema del reticolo carsico di Acquapuzza dipenda solo in parte dall’apporto trofico esterno, collocandosi in posizione intermedia fra un sistema “chiuso” (in cui la materia organica che rappresenta la base per la catena alimentare ipogea è prodotta in situ da batteri chemioautotrofi, ed è totalmente indipendente dalle risorse trofiche esterne, come si riscontra, per esempio, nella celebre Grotta Movile in Romania) e un sistema “aperto”, situazione molto più frequentemente osservata nelle cavità carsiche (DI RUSSO ET ALII, 1999). Le grotte del sistema di Acquapuzza presentano diffusi concrezionamenti ancora in formazione e chiaramente imputabili all’azione delle acque sulfuree; l’evoluzione stessa di queste grotte appare connessa all’azione speleogenetica di tali acque. Il riconoscimento delle forme di deposito e di corrosione dovute alla risalita di questi fluidi, infatti, non è difficile se il processo è ancora in corso almeno in alcune zone della grotta. Depositi gessosi, dovuti all’esposizione delle pareti calcaree ai vapori di acido solfidrico, si osservano negli ambienti aerati immediatamente al di sopra della falda sulfurea e si presentano in diverse forme, analoghe a quelle riscontrate nella Grotta Grande del Vento (GALDENZI, 1990): a) depositi massivi di gessi microcristallini; b) poltiglie di gesso, talvolta rivestite da una crosta gessosa più dura e con infiorescenze gessose; c) crostoni di gesso direttamente poggianti sulla roccia calcarea; d) fragili macrocristalli di gesso di vari colori (bianco, ocra, violaceo) (Fig. 45). Le poltiglie e i crostoni di gesso sono spesso in associazione con vermicolazioni argillose (“pelli di leopardo”, Fig. 46). Argille grigiastre e rossastre sono comuni presso il fondo degli ambienti. Al di sopra di un livello orizzontale che segna nettamente il limite delle cristallizzazioni di gesso si trovano anche concrezioni calcitiche. Fra le forme di corrosione si riconoscono: a) piccole nicchie dovute al colamento o alla caduta dei crostoni gessosi; b) piccoli solchi verticali (“docce inverse”) imputabili a vapori corrosivi in risalita, localizzati subito sopra il pelo dell’acqua e sotto i depositi gessosi; c) spuntoni di roccia corrosa isolati nel soffitto e forme di corrosione esasperata sulle pareti. Una grotta “a fessura” che ricorda quella di Fiume Coperto è la Cavità dell’Elefante nei M. Cornicolani, anch’essa posizionata sulla superficie di una falda sulfurea; esempi di fessure non più attive potrebbero essere rappresentati dalle grotte di Fossavota e Poggio Cesi, sempre nei M. Cornicolani. Completamente diversa è la morfologia dell’Ouso di Sermoneta (-65 m), anch’esso situato presso il bordo della struttura calcarea, 4 km a Nord di Fiume Coperto, poco sotto il paese da cui prende il nome; anche per questa cavità si propone un’origine legata ai fluidi solfurei. Si tratta di una grande voragine costituita da un unico ambiente a forma di duomo del diametro di 60 m, venuto a giorno per il crollo della volta (Fig. 19). La cavità appare impostata su numerosi fasci di fratture con varia orientazione e inclinazione che attraversano i calcari del Cretacico inf. Non sono evidenti legami con la topografia esterna né con l’infiltrazione di acque meteoriche. Il fondo della cavità è a quota 47

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Figura 47 - In alto: sezione geologica del Colle Cantocchio passante per la grotta omonima (da Cocozza & Praturlon,

1966). In basso: una sezione della Grotta di Colle Cantocchio, perpendicolare alla direzione della superficie di sovrascorrimento. Al centro: un tratto della superficie tettonica (foto M. Mecchia). Figura 43 - Zona di Acquapuzza. In alto: carta topografica con l’ubicazione delle grotte e delle sorgenti. In basso: Ipotesi sull’origine della “dolina” di Torre Acquapuzza: A) Un grande vuoto sotterraneo si crea nella zona di ossigenazione della falda, dove alle acque meteoriche di infiltrazione si miscela un fluido mineralizzato che risale da zone profonde lungo una frattura. B) Il sollevamento del “blocco” che contiene il vuoto sotterraneo e l’abbassamento relativo della superficie piezometrica disattivano il processo. C) Grandi crolli dalla volta del salone sotterraneo danno origine in superficie alla “dolina” di Torre Acquapuzza.


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di Sermoneta. Tornando alla zona di Acquapuzza, proprio a monte del sistema di grotte di Fiume Coperto, si è notata una grande dolina (diametro di 200-300 m, Fig. 43), sul cui bordo nel Medio Evo è stata innalzata la Torre Acquapuzza. Sembra ipotizzabile che questa dolina trovi origine nello stesso processo che ha formato l’Ouso di Sermoneta e gli altri grandi vuoti carsici a cielo aperto. In questo caso, però, i blocchi di crollo avrebbero colmato il vacuo originario, producendo una grande depressione in superficie. I rilievi occidentali (Monte della Bufala–Monte Sant’Angelo) Alcune faglie dirette e una valle ammantata di piroclastiti separano la dorsale del M. della Bufala, fra Sermoneta e Bassiano, dal M. Semprevisa. In questo settore, procedendo dal bordo SW verso l’interno del massiccio lepino, si trovano numerose grotte, le più significative delle quali sono l’Ouso del Cavone (-62 m) sul M. della Bufala (861 m), impostato su una frattura nei calcari del Cretacico sup. e, nell’area a Ovest di Roccagorga, il Pozzo Nuovo (-81 m), che si apre al fondo di una dolina ed è originato lungo un’unica frattura inclinata di 80°, la Grotta Marina (-27, sviluppo 110 m), impostata su più fratture così come la Grotta Vittorio Vecchi (+8/-6, sviluppo 180 m), tutte scavate nei calcari del Cretacico inf. Particolarmente interessante dal punto di vista geologico è la Grotta di Colle Cantocchio (+5/-26, sviluppo 150 m), che si apre sul versante SW dell’omonimo rilievo (Fig. 47). La cavità è costituita essenzialmente da un unico grande ambiente inclinato di circa 30°, che misura intorno a 50 m lungo la direzione di massima pendenza per una larghezza di un centinaio di metri; l’altezza è in genere di soli 2-3 m fino a un massimo di 10 m nella fascia più profonda del salone. La grotta è scavata prevalentemente nelle argille mioceniche che affiorano in alcuni punti dalla sala, il cui pavimento è quasi ovunque ingombro di blocchi calcarei di crollo. Il soffitto è un’evidente superficie di scorrimento tettonico costituita da calcari del Cretacico sup. Questa superficie è irregolare e ondulata, presenta liscioni ancora ben conservati, solcati da evidenti strie orientate secondo l’immersione, e conserva “pizzicati” lembi di argilla fortemente laminata. Da misure ricavate durante il recente rilevamento topografico della cavità la superficie tettonica risulta inclinata in media di 30° verso NW. Una faglia sub-verticale orientata circa E-W attraversa il lato a monte del ripido scivolo della sala. La superficie di scorrimento che si osserva in grotta ha permesso di chiarire la struttura geologica del colle (Fig. 47, COCOZZA & PRATURLON, 1966). Il versante SW di Colle Cantocchio è formato da una monoclinale di calcari e dolomie del Giurassico-Cretacico inf., immergente a NE e sbloccata da faglie trasversali; nella parte superiore è conservato un lembo alloctono sovrascorso, composto da due elementi tettonici sovrapposti, il più alto dei quali costituisce la parte sommitale di Colle Cantocchio ed ha alla base la superficie di scorrimento posta a soffitto della grotta. COCOZZA & PRATURLON (1966) hanno evidenziato come l’origine della particolare sala sotterranea sembri imputabile non alla dissoluzione di strati calcarei ma all’asporto dell’argilla

Figura 49 - A destra: l’Ouso di Valle Me Ne Pento si approfondisce tramite pozzi impostati su fratture (frattura sub-

verticale nel pozzo ripreso nell’immagine). A sinistra: alla base di un pozzo nella stessa grotta si osserva la galleria continuare lungo la frattura, scendendo nel verso dell’inclinazione dello strato, inclinato di 45° verso NE e ben visibile sul soffitto (foto M. Chiariotti).

Figura 48 - A sinistra: schema tettonico del settore Segni-Montelanico-Carpineto-Roccagorga (da Parotto & Tallini, 2000). A destra e in basso: profili geologici passanti per le più importanti grotte dell’area.

sottostante il piano di sovrascorrimento, erosione operata da acque provenienti per percolazione dal reticolo di fratture che interessa i calcari sovrastanti. In effetti, questo tipo di genesi di grandi ambienti sotterranei risulta frequente; una ricerca sulle grandi sale sotterranee in Francia ha evidenziato l’esistenza di numerosi saloni impostati su terreni impermeabili (marne, argille) immediatamente al di sotto di soffitti calcarei. L’esistenza di queste grandi cavità sembra giustificata dall’afflusso di notevoli scorrimenti d’acqua sui materiali impermeabili, che vengono progressivamente asportati ampliando i vacui originari; normalmente, almeno parte della roccia a soffitto è soggetta a crolli che mascherano la presenza dei materiali che costituiscono la base dell’ambiente (GILLI, 1984). Le grandi sale che si formano in questo modo sono molto stabili quando il soffitto è dato da un’importante discontinuità (come il piano di scorrimento della Grotta di Colle Cantocchio); sono però noti anche grandi ambienti con soffitto costituito da una superficie di strato (per esempio, la grande caverna nella Grotta di Valle delle Vacche nei Monti del Parco). Un esempio eccezionale di grande sala di questo tipo è la Sarawak Chamber a Mulu (Borneo), il più grande ambiente sotterraneo naturale esplorato al mondo (volume 12 milioni m3) (GILLI, 1986). La dorsale Monte Semprevisa–Monte Lupone La dorsale M. Semprevisa (1536 m)–M. Lupone (1378 m) è costituita da una monoclinale immergente a NE ed è caratterizzata da alcune grandi depressioni carsiche (Pian della Faggeta, Campo di Montelanico, Campo di Segni) situate sul versante orientale intorno a q. 800 m. Su questa dorsale, situata nel cuore dei M. Lepini, è presente la zona con la maggiore densità di grotte del Lazio. Nell’area compresa fra il crinale del M. Semprevisa, Pian della Faggeta, Valle Casale e fino ad oltre il crinale di M. Gemma affiorano esclusivamente i calcari del Cretacico sup., ed è quindi in essi che si aprono tutte le grotte di quest’area, anche se nel loro percorso sotterraneo gli abissi più profondi raggiungono i depositi di età riferibile al Cretacico inf.

Il versante Nord-Est di Monte Semprevisa Il versante Nord-orientale del M. Semprevisa è costituito da “blocchi” allungati in direzione NW-SE, separati da faglie, con stratificazione inclinata verso NE o NNE. Qui si trovano moltissime grotte, diverse delle quali di grande sviluppo e profondità (Fig. 48). L’andamento tipico delle grotte di questo versante prevede un tratto iniziale verticale, con pozzi impostati su fratture o faglie ai quali si alternano brevi tratti di meandro che generalmente spostano il deflusso nel verso dell’inclinazione degli strati (Fig. 49). Fra le grotte di questo tipo sono compresi l’Ouso di Valle Me Ne Pento (-141, sviluppo 125 m), il Pozzo della Croce (-92 m), l’Ouso 2° dei Cavoni (-72 m), il Pozzo della Faina, (-52 m) e l’Ouso delle Donne (-61 m), che si apre appena a Ovest della cresta. Nei pozzi in cui le esplorazioni si sono spinte sufficientemente in profondità, la discesa verticale lungo fratture subisce un arresto al raggiungimento di particolari interstrati favorevoli alla carsificazione. Da questo punto le grotte assumono un percorso dominato dalla pendenza apparente degli strati, caratterizzato da gallerie attive a debole pendenza (Abisso Consolini, Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta, Abisso Enriquez). L’Abisso Consolini (-555, sviluppo 1405 m; Fig. 48 profilo C) si apre nei calcari del Cenomaniano (con un grande pozzo impostato su faglia) e prosegue ancora quasi verticalmente, addentrandosi nei calcari dell’Albiano-Aptiano, fino a –350 m, dove inizia una galleria a meandro lunga quasi 900 m. La galleria è interrotta a metà percorso da una successione di pozzi presumibilmente impostati su faglia, che approfondiscono la grotta di 60 m. Poco più in basso dell’imbocco dell’abisso si apre l’Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta (-300, sviluppo 1010 m), in cui le esplorazioni sono ancora in pieno svolgimento in due distinti rami. In base alla carta geologica di PAROTTO & TALLINI (2000), questa grotta si apre nei calcari del Senoniano di un “blocco” contiguo a quello che comprende l’Abisso Consolini, dal quale è separato a mezzo di una faglia a notevole rigetto. Entrambi i “blocchi” sono caratterizzati da una stratificazione immergente verso NNE con pendenze comprese fra 20° e 40°. Nella sezione di figura 50C orientata parallelamente all’immersione degli strati si osserva come i segmenti “a debole pendenza” delle due grotte (che raccordano i segmenti verticali), proiettati sulla sezione, risultano costantemente inclinati di circa 25°, valore corrispondente all’inclinazione media della stratificazione. Quindi, mentre i segmenti verticali sono stati prodotti per scorrimento delle acque lungo faglie o fratture con inclinazioni prossime alla verticale, le gallerie seguono alcuni interstrati, gli unici dell’intero intervallo di sedimenti carbonatici compreso fra il Cenomaniano inf. e l’Aptiano in grado di guidare la carsificazione verso il livello di base. Nella proiezione sul piano verticale parallelo alla direzione degli strati (Fig. 50B) si osserva come, soprattutto nell’Abisso Consolini, la grotta scenda complessivamente lungo la direzione di massima pendenza degli strati. Nella figura sono evidenziati i tratti orizzontali delle due grotte, cioè i segmenti scavati esattamente lungo la direzione degli strati; questi tratti sono caratterizzati da sezioni trasversali freatiche tondeggianti con un modesto e stretto approfondimento vadoso alla base (vedi anche il riquadro “morfologie carsiche ipogee: i condotti vadosi e i condotti freatici”). Negli altri condotti, con andamento o secondo la massima pendenza o su una pendenza intermedia (impostati generalmente alle intersezioni fra strato e fratture), non

sono state rilevate prove di una fase freatica iniziale (assenza di morfologie tondeggianti sulla volta dei condotti) e la sezione trasversale è nettamente di tipo vadoso (Fig. 50D). Nell’Abisso Consolini, lo strato carsificabile di quota più bassa dovrebbe essere prossimo al livello argilloso a Orbitolina (non osservato in grotta), livello che affiora sul versante SW di M. Semprevisa con spessori anche di qualche metro. Lungo il fosso che inizia da Pian dell’Erdigheta si trova l’Inghiottitoio di Valle Santa Maria (-45, sviluppo 60 m), nel quale si raccolgono le acque della conca omonima, situata sul versante dell’unità orientale. Si tratta di una cavità verticale che si sviluppa interamente lungo una frattura orientata NE-SW. Spostandosi sul M. Semprevisa, poco al di sotto della vetta si apre l’Abisso Enriquez (-228, sviluppo 435 m, Fig. 48 profilo E), che presenta un andamento simile a quello delle due grandi grotte precedenti, con un tratto verticale iniziale nei calcari del Cenomaniano, seguito da una galleria attiva, lunga 350 m, impostata su strati più recenti rispetto al livello a Orbitolina (la situazione geologica locale non appare però ben definita). Nello stesso settore di montagna si trovano l’Ouso della Rava Bianca (-676, sviluppo 550 m, Fig. 48 profilo F) e l’Ouso Gemello della Rava Bianca (-60 m), verosimilmente collegato al precedente. Il profondo abisso si apre nei calcari del Turoniano e attraversa circa 500 m di sedimenti della pila calcarea fino ai depositi dell’Aptiano, con una successione di pozzi interrotta solo da brevi tratti di meandro. In base alla cartografia geologica disponibile e alla giacitura degli strati rilevata nella parte superiore della grotta, le verticali della parte attualmente “terminale” (in realtà le esplorazioni sono ferme sopra un pozzo) dovrebbero attraversare il livello a Orbitolina; tuttavia, nel corso delle discese gli speleologi non hanno segnalato il livello argilloso, che dovrebbe risultare piuttosto evidente.

Il versante Sud-Ovest di Monte Semprevisa Il versante che dalla cresta di M. Semprevisa-M. Belvedere-M. Perentile guarda il Mar Tirreno è costituito da un pendio abbastanza acclive dove la disposizione a reggipoggio degli strati porta in affioramento anche la parte bassa della successione stratigrafica, fino ai depositi di età giurassica. Di particolare importanza per la circolazione sotterranea delle acque è l’affioramento continuo del livello a Orbitolina, che taglia tutto il versante. Il livello è facilmente osservabile, per esempio, sulla strada sterrata che da Bassiano sale verso il M. Semprevisa, presso la sorgente S. Angelo (Fig. 51). La presenza di numerose sorgenti connessa con la presenza del livello a Orbitolina (ma anche di altri interstrati argillosi o “resistenti”, che si rinvengono al di sopra del livello a Orbitolina) indica anche, necessariamente, quella di condotti carsici, che infatti sono stati scoperti e che caratterizzano questo settore differenziandolo dal versante NE. Alcune centinaia di metri più in alto della sorgente S. Angelo, nei calcari del Cretacico sup., è di recentissima scoperta e attualmente in esplorazione la Risorgenza dell’Istrice (+20/-6, sviluppo 240 m), con regime temporaneo; l’origine della grotta è probabilmente imputabile alla presenza del livello “resistente” discontinuo che forma una scarpata alta un paio di metri immediatamente sotto l’imbocco. La grotta inizia con un breve cunicolo freatico situato sulla massima pendenza dello strato (inclinato di una decina di gradi verso NNE), e prosegue seguendo lo stesso strato in discesa obliqua rispetto alla suddetta pendenza. Dopo una cinquantina di metri il condotto raggiunge il punto più profondo, prosegue con alcuni sali-scendi, quindi inizia a risalire in direzione NW, probabilmente controllato da un sistema di fratture. Alcuni km a NW della sorgente S. Angelo lungo lo stesso versante, nuovamente all’intersezione con il livello a Orbitolina, si trova la sorgente La Fota, che esce da un condotto carsico impercorribile. Un paio di centinaia di metri più in alto, lungo il fosso, sgorga la sorgente del Rapiglio, nelle cui vicinanze, qualche metro più su, si apre la Grotta del Rapiglio (+89/-7, sviluppo 940 m), una risorgenza temporanea costituita da un lungo condotto che, complessivamente, si sviluppa parallelamente al fosso esterno orientato NW-SE (la presenza di zone cataclasate ne denuncia l’origine tettonica) e alla direzione degli strati (debolmente inclinati verso NE). Analogamente alla Risorgenza dell’Istrice, la condotta iniziale del Rapiglio scende lentamente fino a raggiungere, a 135 m di distanza dall’imbocco, una profondità di 7 m, in corrispondenza anche di un livello marnoso di colore scuro. Poi, per circa 800 m di percorso, la galleria sale lentamente, interrotta solo da due piccoli pozzi di 6 e 10 m.

Il “blocco” di fondovalle, dislocato dalla linea tettonica Carpineto-Montelanico La linea tettonica Carpineto-Montelanico, limite importante anche per la speleogenesi e l’idrogeologia di quest’area, è stata recentemente interpretata come un retroscorrimento orientato in direzione appenninica, immergente di 45-50° verso NE con rigetto di circa 700 m (PAROTTO & TALLINI, 2000). Come si è detto, il M. Semprevisa è caratterizzato da una struttura a blocchi allungati in direzione NW-SE. L’ultimo blocco a ridosso della linea Carpineto-Montelanico, costituito da calcari del Senoniano, è particolarmente ricco di grotte. Le più importanti di queste si aprono in prossimità del fondovalle su un allineamento parallelo alla linea tettonica (a una distanza di 200-300 m, Fig. 48 profilo A).

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Figura 51 - Il livello ad Orbitolina in affioramento sulla strada sterrata che da Bassiano sale verso il M. Semprevisa, presso la sorgente S. Angelo. Qui il livello è costituito da uno strato argilloso dello spessore di mezzo metro su cui poggia uno strato calcareo-marnoso; entrambi gli strati sono ricchi di Orbitoline (foto M. Mecchia).

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Figura 52 - Schema dell’Abisso Capodafrica, che appare impostato essenzialmente su due fratture principali.

Figura 50 - A destra: carta geologica del versante compreso fra M. Erdigheta e Pian della Faggeta (da Parotto & Tallini, 2000). A sinistra, in alto: proiezione dei condotti carsici dell’Abisso Consolini, dell’Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta e dell’Abisso Capodafrica su un piano

verticale parallelo alla direzione media degli strati. A sinistra, a metà altezza: proiezione degli stessi condotti carsici su un piano verticale parallelo all’immersione media degli strati. A sinistra, in basso: un tratto della sezione dell’Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta, con due sezioni trasversali, una relativa ad un condotto parallelo alla direzione degli strati (sez. A) e l’altra ad un tratto parallelo alla loro immersione (sez. B).

Figura 53 - La galleria dell’Ouso di Pozzo Comune subito a monte del sifone “vecchio fondo” (foto C.

Germani). E’ evidente il soffitto costituito da uno strato inclinato, mentre mancano fratture tettoniche.


Il tratto della linea tettonica che interseca la superficie topografica a quota più elevata taglia il versante orientale della valle chiusa di Pian della Faggeta, ricoperta da tufi terrosi e da detriti calcarei con terre rosse, e perforata da numerose doline che saltuariamente si attivano con sprofondamenti del suolo. Alcune di queste sono sfondate in pozzi, come l’Ouso del Sordo (-56 m) e l’Ouso di Gaetano (-52 m). Alla testata del piano carsico, in una delle doline, si apre l’Abisso Capodafrica (-152, sviluppo 165 m). La breve condotta iniziale sfrutta l’interstrato inclinato di 35-40° verso NNE (Fig. 52). I successivi pozzi (12 e 39 m) sono impostati su una frattura circa verticale orientata E-W. Alla base del P39 viene intersecata una frattura orientata N55°E, inclinata di 70° verso SE. Percorsa la stretta fessura rettilinea lunga 70 m, in leggera discesa, si raggiunge una serie di pozzi (3, 13 e 42 m) probabilmente impostati ancora lungo la stessa frattura; le pareti di discesa (battute dall’acqua) sono spezzate da terrazzini, mentre la parete opposta corrisponde alla superficie della frattura; gli imbocchi dei salti sono tipicamente stretti, poi gli ambienti si allargano fino a piccole sale alla base (con le stesse modalità descritte per il P100 dell’Abisso della Vettica nei M. Ausoni). Come si è detto nella prima parte di questo capitolo, la speleogenesi dell’Abisso Capodafrica sembra essere profondamente diversa da quella della maggioranza delle altre cavità note sia nella conca della Faggeta sia nelle sovrastanti pendici del M. Semprevisa, essendo infatti probabile che la grotta originariamente abbia svolto la funzione di risorgenza (CAPPA ET ALII, 1997d). Il condotto si sarebbe sviluppato in condizioni freatiche come braccio di risalita delle acque da un profondo loop, con emergenza alla testata della paleo-valle della Faggeta, secondo lo schema classico Valchiusano (loop profondo di Stato 1 o 2 della classificazione di FORD & EWERS, 1978), e in tali condizioni avrebbe raggiunto praticamente le dimensioni attuali. La grotta avrebbe dunque costituito lo sbocco a risorgiva di un sistema carsico avente il suo bacino collettore nei rilievi circostanti; comunque, nel tratto profondo dell’Abisso Consolini, situato al di sotto della quota di imbocco dell’Abisso Capodafrica (Fig. 50), non sono state individuate prove di una fase freatica iniziale; ciò potrebbe essere spiegato con una genesi dell’Abisso Consolini successiva alla disattivazione della risorgenza di Capodafrica. Attualmente l’Abisso Capodafrica è alimentato da fratture assorbenti. Questa inversione del deflusso idrico deve essere abbastanza recente, perché non è ancora riuscita a produrre considerevoli alterazioni alla struttura e alle morfologie parietali determinate dal ciclo precedente (per lungo tempo, e praticamente fino ai giorni nostri, la copertura cineritica pleistocenica ha impedito o limitato il passaggio dell’acqua nelle grotte preesistenti) (CAPPA ET ALII, 1997d). All’altra estremità di Pian della Faggeta, nel punto più basso della valle chiusa, un piccolo fosso termina nell’antro di ingresso dell’Ouso di Pozzo Comune (-190, sviluppo 1105 m), alla base di uno sperone roccioso (Fig. 48 profilo A). All’interno scorre un torrente sotterraneo attivo anche nelle estati più asciutte; la grotta, infatti, raccoglie una parte delle acque meteoriche che affluiscono nel piano carsico. Comunque, l’alimentazione del condotto collettore (“il Meandro”) avviene anche tramite numerosi punti di infiltrazione non chiaramente riconoscibili all’esterno (fratture), ognuno dei quali fornisce un apporto idrico limitato e, soprattutto, intermittente; una decina di questi “arrivi” sono stati risaliti a partire dal “Meandro”, peraltro senza mai riuscire a raggiungere la superficie esterna, a causa dell’eccessiva riduzione di dimensioni. Il “Meandro” è un condotto tipico delle morfologie vadose, alto e stretto, con pareti levigate e a tratti scolpite da scallops, con tracce di antichi letti abbandonati dal progressivo abbassamento dell’alveo del fiume sotterraneo e con andamento in pianta tortuoso. Alla

Figura 55 - Rappresentazione schematica della morfologia dei condotti sifonanti all’inizio della galleria principale della Grotta del Formale.

base dei pozzi le cascate hanno scavato profonde marmitte circolari (BEFANI, 1965). Complessivamente, la grotta si dirige verso NW parallelamente alla linea Carpineto-Montelanico, sfruttando fratture e faglie; localmente è evidente anche l’influenza della stratificazione (Fig. 53) che, per esempio, determina la posizione dei sifoni della zona del fondo. Tornando all’esterno e proseguendo il cammino costeggiando la linea tettonica, nel tratto compreso fra Pian della Faggeta e il paese di Carpineto Romano, si trovano diversi pozzi, fra cui quelli dell’Ouso di Salvatore (-161 m) e dell’Ouso nella Villa (-58 m). Continuando ancora verso NW si scende nella zona a valle di Carpineto Romano, caratterizzata dall’estesa copertura di cineriti, depositi vulcanici a granulometria sottile di colorazione bruno-rossastra depositati sui M. Lepini durante tutto il periodo di attività esplosiva dei vari centri eruttivi del Vulcano Laziale e fortemente alterati dai processi di pedogenizzazione (ALBER TI ET ALII, 1975). Il rinvenimento di depositi di questo tipo all’interno delle grotte dei M. Lepini è frequente; la coltre cineritica ha senz’altro avuto un ruolo importante, in grado di modificare lo sviluppo carsico sotterraneo. Due grandi grotte sono presenti in quest’area: la Grotta Ciaschi (-162, sviluppo 980 m) e la Grotta del Formale (+25/-123, sviluppo 2920 m). La Grotta Ciaschi inizia al fondo di una dolina (che si è “aperta” per la prima volta negli anni ’70) e si approfondisce con una successione di pozzi verticali fino al raggiungimento di uno strato favorevole, situato a 113 m di profondità dal piano campagna e caratterizzato dalla presenza di rudiste del Senoniano (Fig. 54), lungo il quale è impostata una galleria a meandro che può essere percorsa sia a monte che a valle per complessivi 600 m.

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LA GROTTA DEL FORMALE La Grotta del Formale è una risorgenza temporanea che si attiva solo 2-3 volte all’anno, probabilmente come “troppo pieno” della falda profonda, alimentata anche da acque che provengono da grotte che scorrono sotto il versante di M. Semprevisa e, soprattutto, dalle grotte situate lungo l’allineamento parallelo alla linea Carpineto-Montelanico (FELICI, 1978a). La grotta è costituita dal lungo condotto freatico-vadoso della galleria principale, dall’intricato reticolo di condotti (che partono dalla parete di sinistra, nel verso di avanzamento, della galleria principale), e dagli approfondimenti costituiti da pozzi verticali.

Figura 54 - Fossili di rudiste, bivalvi fissi e di scogliera vissuti nei mari caldi del Giurasssico e del Cretacico (foto

M. Piro).

La galleria principale La galleria principale si sviluppa per circa 1 km lungo la direzione della stratificazione, utilizzando prevalentemente uno spesso strato molto ricco di fossili di rudiste. La galleria inizia con una sequenza di tre sifoni a sezione freatica; i tratti compresi fra i sifoni e quello dopo l’ultimo sifone hanno la tipica morfologia a forra vadosa, mostrando, però, piccoli tubi freatici sulla volta (CAPPA ET ALII, 1997b).

Figura 56 - In alto: carta geologica dell’area intorno al Ponte dell’Uomo Morto, a NW di Carpineto Romano (da Parotto & Tallini, 2000). In basso: proiezione dei condotti carsici della Grotta del Formale, della Grotta Ciaschi, dell’Ouso dell’Omo Morto, della Bocca Canalone e dell’Ouso dell’Isola su un piano verticale parallelo all’immersione media degli strati. E’ evidenziato lo sviluppo preferenziale dei condotti su uno strato ricco di rudiste del Senoniano.


Figura 57 - Il Pozzo Stregatto, profondo 25 m, nella Grotta di Monte Fato, impostato lungo una frattura verticale (foto A. Lo Tenero).

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In figura 55 è riportata una rappresentazione schematica di due sifoni e del tratto fra essi compreso; lo schema vuole mettere in evidenza che: a) la fase iniziale si è realizzata in un condotto freatico a sali-scendi, impostato in un unico strato favorevole (lo strato a rudiste precedentemente menzionato); b) la fase iniziale è quindi avvenuta in condizioni di completa sommersione, seguendo un percorso situato grossolanamente all’intersezione fra la superficie dello strato a rudiste e la superficie piezometrica, cioè circa orizzontale e coincidente con la direzione dello strato; c) alla scala di dettaglio, il percorso effettivo può essere stato determinato dalle locali piccole differenze di apertura dell’interstrato e dalla presenza di microfratture; come risultato si è prodotto un percorso freatico a lievi sali-scendi, che in pianta corrisponde ad un andamento ondulato intorno ad un asse all’incirca corrispondente con la direzione dello strato; d) quando il condotto ha raggiunto dimensioni sufficienti a drenare tutto il flusso d’acqua che lo alimentava, la superficie della falda si è abbassata tendendo a raggiungere una posizione di equilibrio: nelle ondulazioni concave rispetto all’immersione degli strati (cioè nei passaggi a quota più bassa) la sezione continuava ad ampliarsi lungo un perimetro quasi circolare ad opera di acque in leggera pressione; nelle ondulazioni convesse (cioè nei passaggi a quota più elevata), mentre la volta emergeva in ambiente subaereo, sul pavimento si andava incidendo un solco che tendeva ad approfondirsi fino alla quota della nuova superficie piezometrica; i punti di transizione dalla sezione freatica alla sezione vadosa, quindi, indicano l’effettiva posizione della superficie piezometrica all’epoca di ultimo sviluppo dei condotti. Il reticolo di condotti I condotti discendenti che si aprono sulla sinistra della galleria principale, che almeno in alcune parti seguono con evidenza lo strato con rudiste, formano un reticolo complesso guidato prevalentemente da piccoli tubi freatici e con forre vadose meandriformi raramente più larghe di 50 cm. La sezione della grotta, proiettata sul piano verticale parallelo alla massima pendenza degli strati (Fig. 56), inclinati di 21°, mostra che i condotti discendenti seguono effettivamente gli strati, così come avviene anche per i pochi condotti ascendenti che si aprono sulla parete di destra della galleria principale, esplorati nella zona più interna della grotta. Una distanza di poche centinaia di metri separa il fondo della Grotta del Formale dall’inizio del torrente della Grotta Ciaschi, ed è interessante notare che anche il torrente “di base” della Grotta Ciaschi risulta essere interamente impostato sullo stesso strato a rudiste. Sembra quindi evidente che le due grotte appartengano anche allo stesso sistema idrologico. I pozzi verticali Nella Grotta del Formale i rami discendenti sono tagliati da alcuni pozzi verticali (Fig. 56), che approfondiscono la grotta al di sotto dello strato a rudiste (pozzo “dei Conetti”, “Via dei Pozzi”); situazioni analoghe si riscontrano nella Grotta Ciaschi (ramo “del Pozzo”). La fagliazione che ha generato questi pozzi dovrebbe logicamente essere stata successiva alla costituzione dell’originario reticolo di interstrato (CAPPA ET ALII, 1997b). A valle della risorgenza del Formale, a quote più basse di pochi metri o di qualche decina di metri, si trovano tre interessanti grotte ad andamento verticale: l’Ouso dell’Omo Morto (-75 m) e

Figura 58 - In alto: carta geologica dell’area del Monte Malaina (Foglio 389 Anagni). Al centro: proiezione dei condotti carsici dell’Inghiottitoio di Campo di Caccia, dell’Ouso di Passo Pratiglio, della Grotta di Monte Fato e del Pozzo Pazzo su un piano verticale parallelo all’immersione media degli strati; è evidenziato lo sviluppo preferenziale dei condotti su superfici (strati) inclinati di 6°. In basso: le gallerie conclusive delle grotte di Monte Fato e del Pratiglio si snodano lungo lo stesso piano di strato.


Bocca Canalone (-87 m), dalle quali saltuariamente la falda risale fino ad uscire all’esterno, e, un po’ più lontano, l’Ouso dell’Isola (-65 m), un grande pozzo nel quale l’acqua può risalire alcune decine di metri; le relazioni idrologiche attuali, comunque, non sono ancora del tutto chiarite (FELICI, 1978a; CAPPA ET ALII, 1997b). Le grotte dell’Omo Morto e di Bocca Canalone sono costituite da condotti quasi verticali impostati su fratture; la morfologia sembra freatica, cioè creata da un flusso in risalita, con modeste forme vadose sovrapposte. La forma dei condotti dovrebbe riflettere il ruolo più importante svolto dal condotto almeno nella fase di attività più recente; sarebbe prevalente, quindi, l’ampliamento per dissoluzione dovuto alla saltuaria sommersione ad opera di acque in risalita rispetto a quello prodotto dal ridotto scorrimento di acque in discesa per gravità.

di corsi d’acqua di superficie (per esempio, gli inghiottitoi dei M. Carseolani), o da quello risultante dalla risalita di fluidi da zone profonde (per esempio, il pattern labirintico del Buco del Pretaro o la grande cupola della Grotta di S. Lucia). Tuttavia, il pattern “branchwork” può risultare evidente solo se le esplorazioni speleologiche sono già sufficientemente avanzate da permettere la conoscenza di una parte piuttosto estesa del reticolo. Non è questo il caso della maggioranza delle grotte dell’Appennino laziale. Nei M. Lepini, le future esplorazioni speleologiche dovrebbero portare al collegamento dei sistemi sotterranei già individuati, rendendo più evidente l’effettivo pattern del sistema. Numerose altre grotte si aprono in questo settore dei M. Lepini, alcune delle quali di notevole interesse, come l’Ouso a Due Bocche di Monte Pisciarello (-221, sviluppo 280 m), che ha un andamento simile a quello delle grotte sopra descritte, con imbocco nei calcari del Senoniano e discesa quasi verticale con pozzi impostati su fratture e brevi tratti di meandro sub-orizzontale, fino al limite attuale delle esplorazioni, a livello dei calcari del Turoniano. Nei pressi si apre anche l’unica grotta ad andamento interamente sub-orizzontale di lunghezza significativa finora nota nel massiccio del Malaina, la Risorgenza San Marino (+2, sviluppo 222 m). Pur iniziando su una evidente faglia inclinata di 60°, la galleria sembra però svilupparsi interamente su uno strato inclinato di 5° nei calcari del Senoniano. Diversi altri pozzi impostati su fratture si aprono nei calcari del Cretacico sup., come il Pozzo di Monte Alto (-50 m) e la Fossa il Ferro (-58 m). Altre grotte di dimensioni significative sono l’Ouso di Valle dei Ladri (-30, sviluppo 150 m), costituito in gran parte da un condotto impostato sugli strati inclinati di 15°, e il Pozzo della Macchia (-45, sviluppo 100 m).

L’UNITÀ TETTONICA ORIENTALE DEI MONTI LEPINI La placca orientale dei M. Lepini (184 km2 di affioramenti calcarei) è caratterizzata da una serie di monoclinali prevalentemente immergenti verso Ovest (cioè verso la linea CarpinetoMontelanico) sbloccate da faglie, con alcune blande anticlinali (M. Malaina) che evolvono in piega frontale sul lato NE, sovrascorrendo sui sedimenti terrigeni della Valle Latina. Il campo carsico di Pian della Croce, allungato in direzione perpendicolare all’asse della catena, separa un settore settentrionale (M. Malaina) da un settore meridionale (M. Gemma, M. Caccume). Complessivamente, sui M. Lepini orientali sono note circa 230 grotte, con uno sviluppo spaziale totale di circa 19 km di condotti. L’area più ricca di grotte è quella di Pian della Croce e dei rilievi limitrofi. Nei calcari mesozoici (litofacies 55+63) la carsificazione è “elevata” (110 m di condotti per km2 di affioramento), in particolare nei calcari del Cretacico inf. (222 m/km2), che però affiorano solo sull’11% dell’area carbonatica di questa unità. Occorre comunque osservare che nel calcolo si tiene conto anche dei condotti che penetrano nei calcari di questa litofacies dopo aver attraversato la successione del Cretacico sup. Sul margine della struttura che si affaccia sulla Valle Latina fra Morolo e Colleferro sono note 2 piccole cavità nell’affioramento di calcari bioclastici risedimentati lungo la scarpata della piattaforma nel Cretacico sup. (litofacies 54), esteso solo 7 km2, e 4 grotte con imbocco nei Calcari a Briozoi e Litotamni del Miocene, che coprono un’area di poco più di 1 km2 con spessori di pochi metri poggiando direttamente sui calcari di scarpata. Il massiccio del Monte Malaina Nel massiccio del M. Malaina (1490 m), e soprattutto nelle zone del Pratiglio e di Pian della Croce, sono state esplorate numerose grotte, alcune delle quali molto estese e caratterizzate da situazioni analoghe a quelle illustrate per le grotte del versante NE del M. Semprevisa. Di grande interesse è il sistema di grotte che attraversa per vie sotterranee la zona dei campi chiusi di alta quota del Pratiglio e di Campo di Caccia, costituito in particolare dalla Grotta di Monte Fato (-336, sviluppo 1615 m), dall’Ouso di Passo Pratiglio (-299, sviluppo 605 m) e dall’Inghiottitoio di Campo di Caccia (-610, sviluppo 2600 m). Le grotte di Monte Fato e del Pratiglio si aprono nei calcari del Turoniano-Cenomaniano e si approfondiscono con un tratto iniziale quasi verticale, costituito da pozzi impostati su faglie e fratture (Fig. 57) alternati a brevi tratti di meandro. A poche decine di metri dall’imbocco della Grotta di Monte Fato si apre Pozzo Pazzo, profondo una settantina di metri fino ad un meandro originato in interstrato, che confluisce nella grotta principale (anche se resta ancora da esplorare il tratto di collegamento, lungo pochi metri). In profondità, le grotte di Monte Fato e di Passo Pratiglio si inoltrano nei calcari del Cretacico inf. fino a raggiungere uno stesso piano di strato, inclinato di circa 6° (Fig. 58), la cui età di deposizione è compresa nell’intervallo Barremiano-Cenomaniano (foglio Anagni della Carta Geologica d’Italia in scala 1:50.000) e probabilmente riferibile all’Aptiano. Un livello argilloso con spessore di 5-40 cm si incontra a più riprese nel meandro a valle della “Sala delle Pisoliti”, nella Grotta di M. Fato. Questo livello potrebbe corrispondere al livello a Orbitolina o, forse, ad altri interstrati argillosi situati poco sopra il livello principale. Raggiunto questo strato, le due grotte proseguono per alcune centinaia di metri con gallerie meandriformi che scendono seguendo la debole pendenza della stratificazione fino ai sifoni sospesi che attualmente bloccano le esplorazioni. Il percorso complessivo dei due sistemi carsici, oltre che parallelo all’immersione degli strati, risulta parallelo anche alle faglie che delimitano i “blocchi” tettonici che comprendono le grotte. A 1 km di distanza dal fondo della Grotta di Monte Fato, in direzione WNW e circa 270 m più in basso, si trova una lunga galleria percorsa da un torrente (“Rio Urubamba”) appartenente al sistema sotterraneo di Campo di Caccia, galleria che scende con la stessa pendenza dei meandri terminali delle grotte del Fato e del Pratiglio (6°, misurati in proiezione nella direzione 300°). In base alla cartografia geologica del Foglio Anagni, una faglia separa il “blocco” della Grotta di Monte Fato dal “blocco” di Campo di Caccia, però con rigetto modesto, perciò la galleria del “rio Urubamba” sembrerebbe essere situata in un livello stratigrafico più profondo (più antico) rispetto alla galleria

Il “blocco” a Nord-Est della linea tettonica Carpineto-Montelanico Rispetto al “blocco” situato a SW della linea Montelanico-Carpineto (Unità Occidentale), nel “blocco” a NE della linea tettonica (Unità Orientale) le cavità conosciute sono meno numerose e meno Figura 59 - A sinistra: tratto di “meandro” nella parte superiore della Grotta di Monte Fato, interrotto da un salto

verticale (pozzo-cascata); le due sezioni trasversali rappresentate hanno la tipica forma “a buco di serratura”. A destra: rappresentazione schematica di un segmento tipico di “meandro” impostato sugli strati e interrotto da una frattura che genera un pozzo-cascata.

della Grotta di Monte Fato. Dopo un percorso di mezzo chilometro la galleria del “Rio Urubamba” raggiunge un grande ambiente (“La Nuova Atlantide”) forse impostato su una piccola faglia, oltre il quale il torrente aumenta di pendenza seguendo elementi strutturali diversi, mentre l’originaria galleria prosegue fossile, in alto sulla parete opposta, con la stessa pendenza del primo tratto (“La Lemuria”). Proseguendo sul torrente, invece, le esplorazioni si sono arrestate davanti ad un passaggio sifonante (-610 m) situato al termine di una nuova galleria (“L’ultima Thule”) a pendenza ancora minore, presumibilmente anch’essa sviluppata lungo uno strato un centinaio di metri più profondo rispetto a quello della galleria del “Rio Urubamba”. Per quanto riguarda la morfologia dei condotti di queste grotte, la maggior parte delle gallerie ha l’aspetto tipico delle forre vadose, con il condotto originario (ora osservabile sulla volta) impostato all’intersezione fra il piano di strato favorevole e i sistemi di fratturazione. La sezione è spesso “a buco di serratura”, alta e stretta, con allargamenti e restringimenti a varie altezze (Fig. 59). In corrispondenza di fratture aperte, l’acqua può essere catturata verso uno strato favorevole situato più in basso; per retrocessione della cascata che si crea lungo la frattura in corrispondenza del brusco dislivello, si avvia la formazione dei pozzi-cascata, caratterizzati da un imbocco quasi sempre stretto dal quale ci si affaccia in un ambiente più grande, con alla base una marmitta colma d’acqua (DEMATTEIS, 1963); queste morfologie sono comuni nei meandri delle grotte dei M. Lepini e più in generale dell’Appennino (vedi il riquadro “morfologie carsiche ipogee: i condotti vadosi e i condotti freatici”). Sui pavimenti sospesi alla sommità di alcuni meandri della Grotta di Monte Fato si è osservata nel fango la presenza di minerali di mica, attribuibili a depositi cineritici del Vulcano Laziale trasportati in grotta dalle acque, presumibilmente prima che avesse inizio l’incisione della forra sul pavimento del condotto originario. L’alimentazione di grotte come quelle appena esaminate, percorse da piccoli torrenti perenni, avviene normalmente attraverso numerosi punti di infiltrazione (doline, fratture), ognuno dei quali fornisce un apporto idrico generalmente modesto. Questo tipo di ricarica è il più comune nelle grotte carsiche: PALMER (2000) valuta che almeno il 60% di tutte le grotte di dimensioni percorribili siano state originate in queste condizioni. Se la grotta si è sviluppata nella zona vadosa, come nel caso dei sistemi carsici del Fato-Pratiglio-Campo di Caccia e anche delle grotte del Consolini e di Pian dell’Erdigheta, i vari affluenti (ognuno prodotto da un singolo punto di ricarica) convergono nei punti di intersezione delle fessure, e quindi i condotti diminuiscono di numero con la profondità mentre le dimensioni delle gallerie possono aumentare nel verso del deflusso. Il pattern della pianta delle grotte che si formano con questo tipo di ricarica (dendritico, “branchwork” di PALMER, 1991) è nettamente diverso da quello delle grotte prodotte dall’inghiottimento

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Figura 60 - Le grotte vadose sono classificabili in due tipi principali: “drawdown vadose cave” e “invasion vadose

cave”. A) Nella condizione iniziale manca una zona vadosa significativa; il drenaggio dell’acqua sotterranea si realizza in un reticolo di tubi freatici. B) In conseguenza dell’espansione del reticolo si crea una zona vadosa nella quale alcuni condotti del reticolo freatico vengono grandemente allargati da corsi d’acqua sotterranei (“drawdown vadose cave”). C) Nuovi assorbimenti d’acqua si realizzano all’interno della zona vadosa già costituita, scavando altri percorsi che utilizzano solo a tratti i condotti del vecchio reticolo freatico (“invasion vadose cave”) (da Ford & Ewers, 1978).


sviluppate. Le maggiori si trovano nell’area di Cona di Selva Piana, e sono il Pozzo delle Bombe (-70 m), impostato su fratture, e il Pozzo Alien 3 (-175, sviluppo 280 m). RIQUADRO 8 – “IL CONTROLLO STRUTTURALE NELLO SVILUPPO DELLE GROTTE” Lo sviluppo delle grotte che si formano per dissoluzione chimica dipende dalle caratteristiche litologiche e strutturali della roccia, che si realizzano a partire dalla deposizione dei sedimenti e attraverso tutta la loro storia geologica. Le grotte si formano dove la velocità del flusso è sufficiente a portare via gli ioni disciolti tenendo in sottosaturazione l’acqua in contatto con le pareti solubili. Questo è possibile solo dove un reticolo di aperture interconnesse preesistente collega le aree di ricarica a quelle di emergenza. Quando il massiccio carbonatico viene per la prima volta esposto agli agenti atmosferici, nessuna carsificazione ha ancora avuto luogo (a meno di processi ipogenici profondi e di forme singenetiche), la conduttività idraulica è bassa e solo una piccola frazione delle acque piovane penetra nel sottosuolo, mentre il deflusso superficiale è abbondante. La falda acquifera è poco profonda e quindi la zona vadosa è quasi inesistente (Fig. 60A). Con l’allargamento per carsismo delle discontinuità presenti nell’ammasso roccioso la superficie piezometrica si abbassa bruscamente, ampliando la zona vadosa (Fig. 60B). L’ampliamento dei condotti carsici avviene simultaneamente nella zona vadosa, in quella freatica e in corrispondenza della superficie piezometrica, cioè lungo tutto il percorso sotterraneo dalla superficie di infiltrazione alle sorgenti, quando le acque sono sottosature in carbonato di calcio e quindi aggressive. Un sistema carsico sotterraneo può essere schematicamente rappresentato da un insieme di segmenti, ognuno dei quali è guidato da un piano di discontinuità (piano di strato, joint, faglia) o dall’intersezione di due di questi elementi strutturali (FORD & EWERS, 1978). PALMER (1991), studiando un campione significativo di condotti carsici sotterranei, ha osservato che il 57% delle lunghezze totali risultava guidato da strati favorevoli o da interstrati, il 42% da fratture importanti, e solo l’1% dai pori intergranulari. In molti sistemi carsici è evidente lo sviluppo sia lungo gli strati sia lungo le fratture, ed è anzi probabile che senza l’esistenza contemporanea di entrambi i tipi di elemento strutturale lo sviluppo delle grotte non sarebbe stato possibile (FORD & EWERS, 1978).

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La fratturazione Per azione delle forze orogenetiche, l’ammasso roccioso subisce una fratturazione che è di vitale importanza per lo sviluppo del carsismo sotterraneo, costituendo un sistema di superfici di discontinuità della roccia con giacitura diversa rispetto a quella della stratificazione. Le fratture vengono distinte in joints, se non c’è uno spostamento osservabile fra i due lati della frattura, e in faglie, se si realizza una dislocazione (comunque, molto difficilmente gli speleologi che esplorano le grotte riescono a distinguere i joints dalle faglie, per cui spesso è necessario limitarsi a parlare di fratture). Normalmente le fratture si presentano in gruppi fra loro paralleli, e un’area può essere attraversata da più sistemi di fratture. Anche se generalmente le fratture vengono rappresentate da due superfici piane separate da una apertura costante, gli esperimenti su ammassi rocciosi reali sembrano dimostrare che il flusso è distribuito in modo non uniforme lungo il piano di frattura, con parti estese del piano che non consentono il passaggio dell’acqua. Per permettere lo sviluppo di un condotto carsico, l’apertura della frattura deve superare i 10 μm, ma in molti casi la sua dimensione iniziale è già superiore a 100 μm. Esistono dati controversi sulle dimensioni delle aperture delle fratture; in una serie di esperimenti è risultato che solo il 5-20% dell’area di frattura era interessato dal flusso, che veniva, quindi, canalizzato in pochi percorsi preferenziali (MORENO ET ALII, 1988). D’altra parte, le fratture tettoniche possono determinare un comportamento idrogeologico variabile: se la disposizione degli interspazi è favorevole, il sistema di fratture può entrare a far parte del reticolo di circolazione delle acque nel sottosuolo, mentre se le fratture sono riempite da materiali argillosi o da mineralizzazioni, l’effetto è quello opposto, cioè di barriere impermeabili che contribuiscono a spostare il flusso idrico in altre direzioni. Anche se sono noti numerosi esempi di grotte impostate su faglie, sembra che per la formazione di condotti carsici sia più comune l’utilizzo di joints, numericamente anche più frequenti. In prossimità e parallelamente ad una zona di faglia si crea un sistema di fratturazione favorevole allo scorrimento idrico, che spesso viene favorito rispetto alla faglia stessa (WALTHAM, 1971). Nell’evoluzione del sistema carsico un set di fratture può essere coinvolto nella costituzione del sistema carsico sia nella zona freatica che nella zona vadosa. Per quanto riguarda le fratture nella zona vadosa, a meno di aperture particolarmente ampie, la primissima fase di ampliamento della frattura avverrà a pieno carico, ma già molto presto l’allargamento sarà sufficiente a smaltire rapidamente l’apporto d’acqua e si instaurerà un regime vadoso. La stratificazione La stratificazione suddivide il corpo roccioso in letti (strati) di forma generalmente tabulare.

Figura 61 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti Ausoni.

Le superfici di stratificazione sono il risultato di fasi di non deposizione o di cambiamenti anche piccoli nella sedimentazione, spesso marcati da fenomeni di erosione. Su questa superficie si accumula lo strato successivo (BOSELLINI ET ALII, 1989). Nelle rocce calcaree, il cambiamento talvolta consiste in un breve episodio che determina sedimentazione di materiale argilloso che va ad interporsi come un sottile velo fra gli strati. L’interruzione della sedimentazione può essere dovuta, per esempio, ad una breve emersione al di sopra del livello del mare. L’esistenza delle superfici di stratificazione implica necessariamente la presenza di interstizi vuoti. Solo alcuni degli interstizi fra gli strati, però, hanno dimensioni abbastanza costanti nello spazio da consentire il movimento dell’acqua (sotto pressione). E’ stato infatti riscontrato (FORD & EWERS, 1978) che in una sequenza stratigrafica solo pochi piani di strato vengono utilizzati per l’escavazione dei condotti carsici. La continuità nello spazio degli strati con apertura sufficiente al passaggio dell’acqua è quindi molto variabile. Solo i piani di strato maggiori, cioè più spessi (>30-100 cm), sono continui su estensioni molto vaste, e assumono un’importanza superiore a quella delle singole fratture che normalmente si estendono per lunghezze limitate (KLIMCHOUK & FORD, 2000b). La presenza di livelli di argilla o di selce può favorire la dissoluzione, sia perché può fornire il potenziale chimico per rendere l’acqua aggressiva, sia perché può favorire lo slittamento differenziale fra gli strati. Anche uno slittamento limitato a pochi centimetri può essere sufficiente ad aumentare l’apertura dell’interstizio facilitando il passaggio dell’acqua (la gran parte degli strati dislocati o piegati mostra evidenze di slittamento differenziale). La porosità intergranulare La porosità primaria, cioè l’insieme dei vuoti che si crea al momento della sedimentazione, negli spazi fra i granuli calcarei o anche i vuoti che rimangono fra le strutture organogene (coralli, associazioni algali, ecc.) e che sopravvive al successivo riempimento di cemento calcitico, è ritenuta generalmente di importanza trascurabile per la speleogenesi.

Tuttavia, alcuni autori sostengono che la canalizzazione del flusso può essere indipendente dalla rete di fratture e può essere impostata su pori sia primari sia secondari. Secondo PASSERI (1972) questo è il caso del Calcare Massiccio dell’Appennino umbro-marchigiano, dove i giunti di strato sono rari ma ben delineati e la porosità primaria, sia strutturale sia intergranulare, è quasi sempre elevata, a differenza di quanto si riscontra nelle altre formazioni calcaree delle serie (Scaglia Bianca, Scaglia Rossa, Maiolica, Corniola), dove la porosità primaria è assente o comunque molto ridotta, e la carsificazione risulta inferiore. Il massiccio di Monte Gemma Sul massiccio che dai paesi di Supino e Patrica sale fino alle cime di M. Gemma (1457 m) e M. Salerio (1439 m) sono state esplorate oltre 50 grotte (escludendo quelle di Pian della Croce). Diversi pozzi si aprono in prossimità delle creste (M. Gemma-Punta la Torricella-Fosso Casale, Colle di Trevi-Castagna di Vilo); alcuni di questi sono raggruppati in un’area ristretta a quota elevata, comprendendo il Pozzo Dodarè (-68 m), originato all’incrocio fra due fratture, e, a pochi metri di distanza, il Pozzo della Poiana (-166 m), costituito da una successione di pozzi impostati su più fratture sub-verticali, collegati da brevi tratti interstrato a forte inclinazione (50°) che spostano il deflusso nel verso della pendenza. Il versante Sud di M. Salerio-M. Gemma-Punta la Torricella confluisce in una valle alla cui testata è situata la sorgente di Fontana Le Mole, con portata media 4-8 L/s; la sorgente sgorga da un importante sistema sotterraneo (+150, sviluppo 1160 m), che si addentra nella montagna con grandi gallerie sub-orizzontali a più tratti sifonanti; le condizioni strutturali e la posizione stratigrafica di questa grotta non sono ancora state oggetto di studio. Sul versante che si stende sopra la Grotta di Fontana Le Mole, fino alla cresta dei pozzi Dodarè e della Poiana sono state scoperte 24 cavità, la più importante delle quali è la Grotta dei Folignati (+20/-3, sviluppo 220 m), piccola risorgenza suborizzontale che si attiva solo eccezionalmente. Nel settore orientale della dorsale, nelle valli che si dirigono verso i paesi di Supino e di Patrica scendono a ventaglio alcune colate piroclastiche originate nel Pleistocene-Olocene da centri


vulcanici situati intorno al colle di Castagna di Vilo, che sovrasta i due centri abitati. Le esplosioni hanno avuto luogo a diverse profondità del condotto aperto nei calcari mesozoici; i materiali lanciati in aria sono caduti a distanze proporzionali alle dimensioni dei singoli frammenti (ALBER TI ET ALII, 1975), coprendo tutta l’area con una coltre di piroclastiti che è stata successivamente in gran parte asportata dai processi erosivi. Naturalmente, questi depositi interessano anche le 7 grotte presenti nell’area, tutte sul versante settentrionale nell’anfiteatro roccioso chiuso dalle cime di Punta la Torricella, Colle di Trevi e Castagna di Vilo. La Grotta del Pisciarello (-97, sviluppo 190 m), che si sviluppa nei calcari del Cretacico inf. prevalentemente su fratture, inizia con una grande dolina che perfora le cineriti. A quote più alte, fra blocchi di brecce di esplosione che si rinvengono anche all’interno delle grotte, si aprono il Pozzo del Faggeto (-309 m), con due imbocchi, e il Pozzo Frigorillo (-87 m); è da notare la mancanza di qualsiasi indizio di dolina. Il Pozzo del Faggeto è costituito da una successione nettamente verticale di pozzi impostati su fratture nei calcari del Cretacico inf.; probabilmente l’imbocco è situato poco al di sotto dell’affioramento del livello a Orbitolina. A partire da –140 m e fino al fondo si scende lungo un’unica faglia inclinata di 70°. Il Pozzo Frigorillo si apre a poche decine di metri di distanza ed è interamente impostato all’intersezione di due fratture. Dalla parte opposta della valle, sempre nei calcari del Cretacico inf., è noto il Pozzo della Donnicciola (-51 m), impostato sull’incrocio di due fratture. Il Monte Caccume Il M. Caccume (1095 m) è formato da due unità strutturali tettonicamente sovrapposte, con una piramide calcarea sommitale che costituisce un “klippe” sovrascorso su un cuneo di materiali argillosi. Sul monte sono conosciute 12 grotte, tutte di modesto sviluppo ad eccezione della Risorgenza della Rologa (+12, sviluppo 600 m), situata sul versante Sud nei calcari del Cretacico sup. dell’unità sottostante il klippe. Dall’antro d’ingresso emerge un torrentello perenne con portata media di 5-6 L/s; la grotta inizia con una galleria sub-orizzontale che termina su un lago-sifone; un lungo tratto sifonante è stato superato in immersione, raggiungendo una galleria subaerea, ancora inesplorata. Il condotto potrebbe essere impostato lungo la faglia riportata nella cartografia geologica o forse sugli strati, quasi orizzontali. A Sud del M. Caccume, emerge dai depositi alluvionali e lacustri, inoltrandosi nella valle del Fiume Amaseno, una stretta (250 m) “spina” costituita da calcari del Cretacico sup. La piccola dorsale è attraversata dalla Grotta degli Ausi (-32, sviluppo 1505 m), percorribile da parte a parte, costituita da due gallerie attive che confluiscono poco prima dell’emergenza, probabilmente impostate all’intersezione fra fratture e piani di strato. Le acque della risorgenza affluiscono dopo un breve percorso nel F. Amaseno.

IL MONTE SISERNO Fra le catene dei M. Lepini e Ausoni è situata la dorsale di M. Siserno (789 m), allungata per una dozzina di chilometri in direzione NW-SE, con massima elevazione nel M. Campo Lupino (791 m). Il versante orientale della dorsale è tagliato dal fronte di accavallamento della struttura dei Volsci al di sopra dei depositi terrigeni che costituiscono la Valle Latina. L’estensione superficiale è di 34 km2, rappresentati quasi esclusivamente da calcari del Cretacico sup., nei quali si aprono tutte le 5 cavità carsiche conosciute con sviluppo complessivo di quasi 500 m (15 m/km2). La grotta più importante è il Pozzo l’Arcaro (-53, sviluppo 340 m), posto a ridosso della superficie di sovrascorrimento della catena verso NE. La grotta è impostata su una faglia e su fratture inclinate di 75° verso NE, con direzione N40°W parallela alle pareti esterne e alla suddetta superficie tettonica.

I MONTI AUSONI I Monti Ausoni costituiscono un settore ribassato della catena dei Volsci, limitato a Nord (M. Lepini) dalla valle dell’Amaseno mentre a SE il limite convenzionale con i M. Aurunci segue alcune depressioni attraversate da una serie di piani di faglia orientati N-S, a movimento trascorrente, che si osservano tra Pastena-Campodimele e Itri (Fig. 61). A grandi linee, la struttura consiste in un’ampia sinclinale con asse NW-SE situato nel basso strutturale della Piana di Amaseno, con stile tettonico analogo a quello dei M. Lepini. Origine e sviluppo simili a quelli della linea Carpineto-Montelanico sembrano riconoscibili nel retroscorrimento di M. Alto, che attraversa il settore occidentale dei M. Ausoni in direzione N-S (PAROTTO & TALLINI, 2000). Una serie di grandi faglie trascorrenti orientate N-S taglia la catena fra Falvaterra, Campodimele e Itri (linea che per un tratto rappresenta il limite convenzionale M. Ausoni-M. Aurunci) e fra Castro dei Volsci e Fondi (linea adottata in questo lavoro per suddividere il massiccio ausono nei settori occidentale e orientale). Il margine orientale dei M. Ausoni è accavallato sulle “Argille caotiche” della Valle Latina, lungo un fronte marcato da una brusca rottura di pendio; l’accavallamento si è realizzato con una sequenza di traslazioni e ha prodotto anche una serie di scaglie minori scollate dal substrato (CERISOLA & MONTONE,

1992).

fratture.

L’estensione superficiale dei depositi carbonatici in affioramento, interamente rappresentati da sedimenti di acque basse del Dogger-Paleocene (litofacies 63 e 55), è di 438 km2. Sui M. Ausoni si conoscono 175 grotte, per complessivi 12 km di condotti. La carsificazione è “elevata” nella litofacies 63, con 73 m di condotti per km2 di affioramento, mentre appare meno spinta nella litofacies 55 (15 m/km2).

A Sud di quest’area, presso Sonnino, si trova un bacino chiuso esteso 19 km2, che durante le piogge raccoglie le sue acque nell’imbuto idrovoro del Catauso di Sonnino (-136, sviluppo 310 m). Alla base del grande pozzo d’ingresso parte una galleria impostata su faglia inclinata di 55°, che poi prosegue utilizzando anche altre fratture e attraversando gli strati in contropendenza, con salti alternati a tratti di galleria in leggera discesa.

IL SETTORE OCCIDENTALE DEI MONTI AUSONI

RIQUADRO 9 – “MORFOLOGIE CARSICHE IPOGEE: I CONDOTTI VADOSI E I CONDOTTI FREATICI” Date le dimensioni iniziali degli interstizi accessibili all’acqua (con aperture tipiche di decinecentinaia di μm), la formazione dei primi condotti avviene quasi sempre in condizioni di sezione completamente allagata. Tuttavia, nel caso in cui la fessura sia situata nella zona aerata dell’acquifero, la trasmissione dell’acqua può divenire sufficientemente efficace già dopo un modestissimo ampliamento, eliminando così le condizioni freatiche e avviando l’approfondimento vadoso del condotto (“invasion cave” di FORD & EWERS, 1978). Se, invece, la fase di sviluppo iniziale della fessura ha luogo nella zona satura dell’acquifero per un tempo sufficientemente lungo, il flusso potrà scegliere il percorso più efficiente lungo la fessura e allargare un condotto in modo relativamente omogeneo. Solo quando il livello della falda si sarà abbassato si potranno instaurare le condizioni vadose (“drawdown cave” di FORD & EWERS, 1978).

Nel settore a Ovest della linea Castro dei Volsci-Fondi, sono state esplorate fino ad oggi 134 grotte. Si individuano due aree di particolare importanza: la zona di Terracina e il bacino dell’Amaseno (versante sinistro). La zona di Terracina Sui rilievi che si affacciano sul mare a ridosso di Terracina si trovano diverse grotte, scavate nei calcari del Cretacico inf. Fra queste la più importante è la Grotta della Sabina (-75, sviluppo 186 m), situata quasi alla sommità della falesia del tempio di Giove Anxur; è costituita da una galleria con andamento meandreggiante che si allarga in vari ambienti laterali di interstrato, scendendo con una serie di gradoni che seguono l’andamento delle bancate calcaree, inclinate di 15-20°, mentre il soffitto è quasi sempre una superficie di strato. Un po’ più all’interno, sulle pendici di M. Giusto (675 m) si trova la Chiavica della Nebbia (-63 m), il cui ingresso dovrebbe essere situato subito al di sotto dell’affioramento del livello a Orbitolina, interamente impostata su una frattura con inclinazione di 80°; a quota un po’ inferiore è conosciuto il Pozzo del Cimitero (-59 m), chiuso e non più accessibile. Sulla stessa dorsale, alla base del versante del Monte delle Fate, a pochi metri sul livello del mare, si apre la Grotta di Val Marino, una grande caverna di una cinquantina di metri di sviluppo scavata nel banco di conglomerato addossato al versante calcareo. Nei calcari del Cretacico inf. affioranti sulle pendici di M. Leano (676 m), al bordo della struttura carbonatica, si apre la Grotta di San Silviano (-63 m); tramite un’apertura che perfora una bancata di brecce recenti si entra in un grande ambiente unico ma suddiviso da un caos di massi, secco e polveroso; Il vacuo è almeno in parte scavato in brecce calcaree cementate con elementi di 10-30 cm di diametro; si osservano numerose fratture e un piano di faglia inclinato di 50°. Il fondo della grotta è localizzato pochi metri sopra la falda, che affiora nelle vicinanze dalle sorgenti di Feronia e Mola. Qualche chilometro all’interno del massiccio si trovano i notevoli bacini chiusi di Campo Soriano e Campo Cafolla, costellati di doline e pozzi. Fra le numerose cavità esplorate, le più interessanti sono le Chiaviche 1a di Zi Checca (-110 m) e 2a di Zi Checca (-120 m), che scendono verticalmente utilizzando esclusivamente sistemi di fratture. Il bacino del Fiume Amaseno Le sorgenti del F. Amaseno sgorgano quasi tutte sul versante ausono del bacino idrografico, e in particolare da numerose scaturigini situate intorno a q. 90 m ai bordi della piana alluvionale di Amaseno. Fra queste, rivestono particolare interesse la Fonte degli Schiavoni, che nei mesi estivi presenta un fenomeno di intermittenza che si verifica più volte nel corso della giornata (ACCORDI ET ALII, 1967), e soprattutto la Risorgenza Capo d’Acqua d’Amaseno (sviluppo 197 m), accessibile solo in immersione. Le acque, con caratteristiche chimiche tipiche dei circuiti carsici superficiali, emergono da un condotto di grandi dimensioni scavato nei calcari del Cretacico sup. che si spinge fino a 27 m di profondità, probabilmente impostato su una faglia normale con direzione E-W, nel quale confluiscono diverse diramazioni laterali (CARAMANNA, 2003). Una colorazione effettuata nel 1971, immettendo fluoresceina nell’inghiottitoio del piano carsico La Lucerna (percorribile per pochi metri), ha permesso di accertare la fuoriuscita di queste acque dalla sorgente di Capo d’Acqua (TROVATO, 1973). Nell’alto bacino dell’Amaseno sono presenti anche numerose sorgenti, alimentate da condotti carsici, situate all’interno del massiccio, alcune centinaia di metri più in alto della piana. Tre di queste, localizzate a quote comprese fra 505 e 620 m, sono state percorse per tratti abbastanza lunghi: la Grotta di San Benedetto (+20/-3, sviluppo 450 m), la Risorgenza di Fontana di Burano (-6, sviluppo 187 m) e la Grotta di Fontana Longana (+0,5, sviluppo 35 m). La Risorgenza di Fontana di Burano ha uno sviluppo pianeggiante su strato sub-orizzontale. La Grotta di San Benedetto è invece molto più interessante perché presenta in modo didattico un primo tratto freatico seguito da una forra vadosa, con una zona di transizione ben riconoscibile (vedi il riquadro “morfologie carsiche ipogee: i condotti vadosi e i condotti freatici”). Nei periodi secchi le acque di entrambe le risorgenze scaturiscono solo dai fontanili situati alcune decine di metri più in basso degli imbocchi. La Grotta di Fontana Longana è costituita da una galleria sub-orizzontale terminante con sifone perenne. Oltre alle risorgenze carsiche che caratterizzano questo settore dei M. Ausoni, nell’area fra M. Alto (821 m) e il M. delle Fate (1090 m) sono noti anche numerosi pozzi, i più profondi dei quali sono il Pozzo Colvento (-70 m) e la Chiavica 1a Senza Fondo (-82 m), entrambe impostate su

I condotti vadosi I condotti di questo tipo si formano quando l’infiltrazione si concentra in un singolo punto sulla superficie topografica (o poco al di sotto di questa), perché l’acqua presente in modo diffuso nelle fessure minori si avvicina alla saturazione molto rapidamente e non è più in grado di portare in soluzione la roccia calcarea. Le morfologie vadose si originano per l’azione di flussi gravitativi nella zona aerata dell’acquifero, quindi in condizioni di pressione dell’acqua pari a quella atmosferica che favoriscono il percorso più ripido nella fessura. Condotti vadosi tipici dell’ambiente sotterraneo sono le forre (i “meandri”) con andamento spesso tortuoso ma anche con altre caratteristiche che ricordano quelle dei fiumi di superficie, come le anse morte. La sezione trasversale del canyon è spesso sinuosa con allargamenti e restringimenti a varie altezze (a “buco di serratura”); l’altezza può raggiungere diverse decine di metri mentre la larghezza è sempre molto più ridotta, spesso dell’ordine di grandezza del metro o meno. Sul soffitto, in genere, è situata la struttura che ha controllato lo sviluppo iniziale del condotto, quindi, l’osservazione della morfologia della volta può fornire utili indicazioni sulle condizioni del primo sviluppo. Eventuali sezioni tondeggianti vengono in genere interpretare come freatiche, mentre un soffitto piatto o debolmente arcuato (nel caso in cui siano stati gli strati a controllare lo sviluppo) può indicare uno sviluppo vadoso già nella fase iniziale. Tuttavia l’interpretazione è molto spesso difficoltosa. I condotti vadosi nella Grotta di S. Benedetto (dal punto E al punto N del rilievo di Fig. 62) Nel tratto E-N del rilievo, la Grotta di S. Benedetto è attraversata da un piccolo corso d’acqua che scorre tutto l’anno raggiungendo il laghetto posto all’inizio del tratto freatico. Il torrente scende per gravità seguendo grosso modo la pendenza massima di alcuni interstrati favorevoli alla carsificazione; localmente, il condotto ha deviato dalla massima pendenza, scegliendo un percorso a inclinazione minore ma originariamente con maggiore larghezza della fessura, oppure seguendo intersezioni fra interstrato e fratture. Lungo il percorso vadoso si sono verificate delle perdite attraverso alcune fessure situate sul pavimento del condotto, la cui apertura si è allargata nel tempo fino a catturare tutto il flusso d’acqua e farlo transitare in un altro interstrato favorevole situato a quota più bassa, abbandonando il condotto originario (punti G e L del rilievo); la cattura delle acque nelle fratture ha formato dei brevi salti verticali (di 3 e 4 m nei punti F e K del rilievo). Alla base dei salti la pianta è più ampia e quasi circolare; infatti, nella cascata l’acqua si spande andando a coprire le pareti con un sottile velo, ampliando il diametro del pozzo molto più di quanto la stessa portata d’acqua riesca ad allargare la forra. In conclusione, nel tratto compreso fra i punti E e K del rilievo l’attribuzione del condotto al tipo vadoso è basata sulla verifica delle seguenti condizioni: a) L’andamento del condotto è continuativamente in discesa verso la zona freatica, con una inclinazione media del fondo del torrente di 3°, interrotta dal salto di 3 m; b) la direzione complessiva corrisponde a quella della massima pendenza delle principali fessure originarie, e cioè degli strati inclinati di 8° verso ESE; c) le sezioni trasversali sono quelle a forra tipiche dell’approfondimento vadoso, alte (per lo più 2,5-4 m) e strette (tipicamente 0,3-0,8 m) con allargamenti e restringimenti a varie altezze; d) visto in pianta, il condotto ha andamento meandreggiante con curve a gomito, molto evidente nel tratto da G a K del rilievo. I condotti freatici Nei condotti freatici tutto il condotto è riempito d’acqua che scorre più o meno lentamente; la corrosione delle pareti, quindi, avviene allo stesso modo in tutte le direzioni e in condizioni ideali si può

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Figura 63 - Immersione speleosubacquea in una condotta freatica della Grotta di Fontana le Mole: il primo sifone (foto A. Bartolini).

pavimento si depositano sedimenti di dimensioni anche grossolane. Il condotto è tubolare con sezioni a tratti quasi perfettamente circolari, ma più spesso ellittiche allungate lungo la fessura. La posizione del livello freatico è evidenziata dal cambiamento delle seguenti caratteristiche del condotto: a) cambiamento di forma, dalla forra al tubo; b) brusca variazione di direzione, da orientato verso circa Est, lungo la massima pendenza dello strato, a orientato nella direzione di strato circa N-S; c) riduzione di pendenza, o, meglio, passaggio ad un profilo ondulatorio a sali-scendi. L’entità dell’approfondimento dello sviluppo freatico al di sotto del livello dell’acqua può essere stabilita confrontando la quota del punto di transizione vadoso-freatico con quella del soffitto più basso presente nella sezione freatica del condotto. Nella Grotta di S. Benedetto l’approfondimento è di soli 5-6 m (su una lunghezza del condotto di circa 120 m), valore che permette di inserirla fra le grotte “di livello piezometrico ideale” della classificazione di FORD & EWERS (1978).

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IIL SETTORE ORIENTALE DEI MONTI AUSONI

Figura 62 - Pianta, profilo rettificato e sezioni trasversali della Grotta di San Bendetto; si osserva il tipico cambiamento delle caratteristiche del condotto in corrispondenza della transizione dalla zona vadosa a quella freatica. La foto in alto a sinistra rappresenta la condotta di ingresso in un periodo di emissione; lo speleologo è situato nel punto B del rilievo, in corrispondenza di una brusca curva, davanti al lago-sifone (oltre questo punto la condotta scende e, in queste condizioni, è sifonante). La foto in alto a destra illustra la condotta scavata dalle acque in pressione lungo una frattura inclinata, con evidenti scallops sulle pareti; si tratta del sifone “terminale” della grotta (punto O), nel quale lo speleologo sta per immergersi (foto G. Mecchia).

formare un condotto tubolare con sezione quasi perfettamente circolare o ellittica, allungata lungo la fessura. Morfologie freatiche in fase di sviluppo possono essere osservate direttamente immergendosi con tecniche subacquee nei condotti attualmente in falda (Fig. 63). Forme freatiche “fossili” possono conservarsi nella zona vadosa se l’improvviso abbassamento del livello della falda acquifera disattiva rapidamente i condotti. Le acque in pressione seguono la via più efficiente fra il punto di ingresso in falda (superficie piezometrica) e quello di uscita (sorgente), che può non essere la via più diretta. La fessura originaria che viene favorita dall’ampliamento carsico è normalmente quella più larga, in grado di trasmettere più efficientemente il flusso, infatti la portata è proporzionale a r4 (dove r è il raggio del condotto) in caso di flusso laminare, e a r2,5 in caso di flusso turbolento, mentre la dipendenza dal gradiente idraulico è solo lineare (PALMER, 1984). Di conseguenza, si può avere lo sviluppo di condotti a profondità anche rilevanti sotto la superficie piezometrica. Comunque, dato che con la profondità l’apertura delle fratture tende a diminuire, i condotti freatici si sviluppano più facilmente poco sotto la superficie piezometrica. Poiché nei condotti carsici l’acqua si muove con grande efficienza, la superficie piezometrica è normalmente piatta, con gradienti idraulici generalmente dell’ordine di 1-6 m per km; tuttavia, questa superficie è molto irregolare e discontinua a causa delle grandi differenze di dimensioni

e di distribuzione delle aperture e dei quantitativi di acqua che esse trasmettono (PALMER, 1984). Negli acquiferi in cui l’acqua segue la stratificazione il percorso più favorevole è, quindi, quello della direzione dello strato. Pertanto, spesso il passaggio dalla zona vadosa (dove le acque scorrono scendendo all’incirca lungo la massima pendenza dello strato) a quella freatica è individuabile anche dalla brusca variazione nella direzione dei condotti. I condotti freatici della Grotta di S. Benedetto (dal punto A al punto E del rilievo di Fig. 62) Nella Grotta di S. Benedetto l’ingresso delle acque in falda avviene attraverso uno specifico punto sulla superficie piezometrica, come accade normalmente nelle grotte alimentate da singoli punti di ricarica esterna. In realtà, la falda ha già abbandonato questo livello e attualmente l’emergenza perenne è posta una cinquantina di metri più a valle della grotta; il tratto freatico della cavità viene interamente sommerso solo nei periodi di piena, quando l’acqua esce dall’ingresso, mentre nel periodo invernale la grotta sifona solo nel tratto più basso. Il collegamento fra la grotta e la sorgente inferiore avviene attraverso condotti di dimensioni troppo esigue per l’esplorazione diretta. Tipicamente, il tratto freatico è costituito da un unico condotto principale con le pareti cesellate da scallops (cavità asimmetriche nella roccia formate dal flusso turbolento) mentre sul

La parte dei M. Ausoni situata a oriente della linea Castro dei Volsci-Fondi comprende una fascia ininterrotta di ampie depressioni carsiche drenate da inghiottitoi. Da Nord verso Sud si trovano i bacini di Pastena, la conca di Lenola, il piccolo campo carsico di M. Appiolo, il bacino di Valle Fosca, il bacino di La Taverna a Nord di Campodimele, la valle chiusa di Campodimele. In questa area sono riportate in catasto una quarantina di cavità, scavate soprattutto nei calcari del Cretacico inf., che pure affiorano con estensione minore rispetto a quelli del Cretacico sup. La conca di Lenola è drenata dall’Inghiottitoio del Pantano, che risulta impraticabile dopo un tratto lungo solo una decina di metri. Le acque del bacino di Valle Fosca alimentano l’Inghiottitoio di Pozzavello (-50, sviluppo 300 m), che inizia con una fessura interstrato nei calcari del Cretacico sup. e si approfondisce poi con alcuni salti impostati all’intersezione con altre fratture, con un tracciato percorribile per alcune centinaia di metri. Le acque del bacino di M. Appiolo terminano il loro breve scorrimento di superficie in una ampia depressione non catastata, situata in località Liverani. La valle che scorre a Est e a Nord di Campodimele recapita le sue acque nell’Inghiottitoio La Taverna che si approfondisce con tre pozzi in rapida successione fino a 29 m di profondità. La Valle di Campodimele è drenata dall’inghiottitoio omonimo, costituito da un pozzo profondo 25 m seguito da un condotto impraticabile. Alcune centinaia di metri più a monte dell’inghiottitoio, sempre sul fondovalle, sbocca una risorgenza temporanea, la Grotta di Vallangiola (-10, sviluppo 190 m). Il tratto iniziale, lungo un centinaio di metri e orientato quasi parallelamente alla direzione degli strati, è seguito da un tratto più interno, con tracciato perpendicolare o obliquo rispetto a quello iniziale. La stratificazione è inclinata di una decina di gradi verso NNE nella zona di imbocco, mentre verso il fondo la direzione è N15°W (Fig. 64). Dall’ingresso, la condotta scende lentamente sfruttando sempre, così è sembrato, lo stesso strato calcareo (dell’Aptiano-Neocomiano); solo negli ultimi 30 m del tratto di grotta esplorato la stratificazione sembra perdere la funzione di controllo speleogenetico. Nella zona d’ingresso e in quella di fondo le sezioni trasversali del condotto risultano di tipo freatico (con contorno da circolare a ellittico), mentre la parte centrale è caratterizzata da una forra profonda 2-4 m. Queste anomale variazioni di morfologia potrebbero essere imputabili alla sovrapposizione


Figura 64 - Pianta, profilo rettificato e sezioni trasversali della Grotta di Vallangiola.

di forme vadose (acque in discesa per gravità nel solo tratto caratterizzato dalla forra) su forme freatiche (che attualmente si sviluppano solo durante gli eventi di piena, quando le acque allagano tutto il condotto e fuoriescono dall’imbocco della risorgenza). Lo scorrimento vadoso potrebbe essere alimentato da acque di infiltrazione attraverso fratture situate nella zona prossima al tratto di uscita della risorgenza. Queste acque devono defluire attraverso fratture sul pavimento del condotto (come dimostra il fatto stesso che in condizioni idriche normali la grotta è percorribile anche nel tratto a saliscendi) raggiungendo così la superficie della falda profonda. A proposito dei rapporti fra carsificazione ed elementi strutturali, è utile evidenziare che le giaciture della stratificazione misurate localmente si dimostrano spesso diverse da quelle riportate nelle cartografie geologiche disponibili, riferite a zone circostanti (come si riscontra nella Grotta di Vallangiola). Pertanto, le informazioni ricavate indirettamente (per esempio dall’esame della cartografia) devono essere utilizzate con molta cautela. Il bacino chiuso di Pastena è un polje esteso 40 km2 e delimitato da uno spartiacque dominato dal M. Calvilli (1116 m). Il polje è costituito da due piani carsici principali, il Piano dell’Ovizzo (o di S. Andrea) e il Piano di Madonna delle Macchie, separati dal colle di M. Solo su cui sorge il paese di Pastena (Fig. 65). Il Piano dell’Ovizzo è drenato dall’inghiottitoio omonimo, che attraversa il colle di M. Solo e dopo un percorso di circa 600 m (però impraticabile), riemerge dalla parte opposta nel Piano di Madonna delle Macchie, tramite la Risorgenza La Maurizia, anch’essa ingombra di detrito e impraticabile. Comunque, una frazione delle acque scompare lungo il percorso prima dell’inghiottitoio e una frazione defluisce in altri piccoli punti di assorbimento impercorribili situati nei dintorni. Nel dopoguerra il deflusso naturale, appena descritto, è stato modificato con lo scavo di un tunnel artificiale che passa sotto il M. Solo, parallelamente al condotto naturale, raccogliendo parte delle acque del Piano dell’Ovizzo. Nel Piano di Madonna delle Macchie, si raccolgono anche le acque di alcuni bacini minori; in questo piano il deflusso si dirige verso il bordo settentrionale della depressione, dove il torrente viene inghiottito nella Grotta di Pastena (+30/-70 m, sviluppo 3427 m), in origine situata probabilmente all’intersezione fra la faglia diretta orientata WNW-ESE che rialza il “blocco” di M. Lamia (nel quale è scavata la grotta) e una faglia diretta orientata NE-SW che ha sollevato il “blocco” orientale, portando

in affioramento i calcari giurassici (litofacies 63). L’ingresso sarebbe successivamente arretrato verso Nord per erosione. Il “blocco” di M. Lamia ha un assetto a monoclinale con strati immergenti verso Est inclinati di 30-50°. La grotta attraversa il “blocco” interamente a livello dei calcari del Cretacico inf. (probabilmente riferibili al Berriasiano-Aptiano) parallelamente alla direzione degli strati (circa N5°E), con grandi gallerie spesso chiaramente impostate su frattura (Fig. 66). Le acque emergono, 50 m più in basso della quota di inghiottimento, dalla Risorgenza dell’Obbuco, posta sul fronte di accavallamento verso Nord del “blocco” calcareo sulle “Argille caotiche” della valle del Fiume Sacco. La sovrapposizione tettonica dei calcari sulle argille avviene su un piano immergente verso Sud e inclinato di circa 30° (CERISOLA & MONTONE, 1992). L’esame delle caratteristiche della Grotta di Pastena è riportato, insieme a quello di altri inghiottitoi, nel paragrafo dedicato ai M. Carseolani. Oltre alle grotte già citate, nel polje di Pastena ne sono conosciute numerose altre di modeste dimensioni; fra queste si ricorda l’Abisso el Niño, un pozzo profondo 54 m che si apre nei calcari del Cretacico inf. presso la sommità di M. Lamia. A Ovest del sistema di bacini chiusi dei M. Ausoni si innalza il “blocco calcareo” a pianta triangolare, di M. Calvilli-M. Caruso-M. Sant’Angelo, rialzato da due faglie (NW-SE e NNE-SSW) che si incontrano poco a Sud della vetta del M. Calvilli. Il “blocco” è accavallato tettonicamente verso Nord sulle “Argille caotiche”, con un contatto parzialmente nascosto dai depositi clastici pleistocenici. Una serie di faglie dirette (orientate NE-SW) rialza progressivamente i versanti NW di M. Sant’Angelo e M. Caruso. Sul M. Calvilli sono numerose le piccole sorgenti determinate dall’affioramento dell’orizzonte di argille a Orbitolina: Fontana S. Croce a q. 707 m sulle pendici settentrionali di M. Caruso; sorgente di Fontanelle a q. 530 m sul M. S. Angelo; sorgente di Casale Persicone a Nord di M. Calvilli, a q. 716 m. Il livello argilloso ha uno spessore di circa 1 m, cui seguono verso l’alto circa 5 m di marne e calcari marnosi finemente straterellati, sul cui tetto poggia infine un livello di argille verdi sterili dello spessore di circa 1 m (CAMPONESCHI, 1963). L’Abisso la Vettica (-360 m) si apre nei calcari del Cretacico inf. subito sotto il contatto con il livello a Orbitolina; nella più piccola delle due bocche di ingresso si getta l’acqua di una sorgente sotterranea, ora captata. Il grande pozzo iniziale deve la sua origine al flusso d’acqua concentrato in corrispondenza di una faglia orientata NW-SE; più in basso, il pozzo intercetta una seconda faglia con orientazione diversa e prosegue fino alla profondità di 142 m. Da una “finestra” su una parete della verticale si accede ad una nuova successione di pozzi. Tutto il tratto finale, con un dislivello di 150 m, è impostato su una faglia inclinata di 70° verso SE (Fig. 67); la morfologia prodotta, anche se di dimensioni notevoli, è un tipo comune di pozzo carsico impostato su faglia inclinata: la pianta è allungata nella direzione della faglia, la parete a tetto è inclinata e relativamente liscia, mentre sulla parete opposta lo scorrimento dell’acqua ha modellato (sia per dissoluzione chimica sia per erosione meccanica) una superficie costituita da tratti verticali alternati a piccoli terrazzi. In questo caso specifico, lungo la faglia si sono sviluppati due pozzi paralleli e a tratti intercomunicanti, con pianta a “8” lunga una ventina di metri, terminanti alle estremità con fessure millimetriche; le alternanze di pareti verticali e piccoli terrazzi da un punto di vista “tecnico-sportivo” vanno a costituire dei pozzi distinti, con imbocco stretto e basi larghe (2-5 m). Pozzi di questo tipo (su faglie o fratture inclinate) sono piuttosto frequenti e in questo volume sono già stati descritti nel Pozzo del Faggeto sui M. Lepini e nella Grotta Innocenzi sul M. Soratte (Fig. 18). A quota più bassa lungo lo stesso versante si apre il Pozzo dell’Acero (-85 m), costituito da una serie di pozzi impostati su due fratture fra loro ortogonali.

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I MONTI AURUNCI La tettonica compressiva miocenica che ha strutturato la catena dei M. Aurunci ha prodotto la sovrapposizione fra due scaglie tettoniche: l’unità di Montuaccio (a Sud), e l’unità del M. Petrella, con la prima accavallata sulla seconda lungo la linea E-W Maranola-Campodivivo. Tra le due scaglie sono presenti argille tettonizzate inglobanti massi di età diverse (unità Liguridi). L’unità di M. Petrella a sua volta si è sovrapposta verso Nord sui flysch miocenici della Valle Latina, attraverso una complessa successione di traslazioni, con lembi più avanzati che, staccati dalla struttura principale, galleggiano sulle “Argille caotiche” della Valle Latina (Fig. 68) (ACCORDI ET ALII, 1967). A Est di M. Petrella l’importante faglia N-S Fammera-Campodivivo rialza e separa gli Aurunci dalla Valle dell’Ausente e dalla dorsale di

Figura 65 - In alto: il polje di Pastena (da Segre, 1948a). In basso: profilo geologico lungo l’alveo di Fosso Mastro, dal

Vallone della Foresta al Fiume Sacco, attraverso la Grotta di Pastena.


Figura 66 - La galleria a valle del “Tunnel Sospeso” nella Grotta di Pastena (foto L. Ferri Ricchi, tratta dal libro “OLTRE L’AVVENTURA” di Lamberto Ferri Ricchi, edizioni IRECO - http://www.istitutoireco.org). Un corso d’acqua di portate saltuariamente molto elevate scorre sul fondo della galleria, larga alcuni metri; si osserva una frattura sub-verticale lungo la quale appare impostato questo tratto di grotta.

M. Maio (NASO & TALLINI, 1993; MONTONE & TALLINI, 1994). Una terza unità tettonica è costituita dal settore SW dei M. Aurunci (M. Cefalo-M. Lauzo). Scivolando su un piano di scollamento rappresentato da dolomie del Triassico, la pila carbonatica del Triassico-Giurassico dell’unità M. Cefalo-M. Lauzo si è sovrapposta sui calcari del bordo occidentale dell’unità di M. Petrella (ROSSI ET ALII, 2002). L’intersezione della faglia con la superficie topografica marca una linea orientata NW-SE. A differenza dei M. Lepini-Ausoni, l’assetto dei M. Aurunci, i cui affioramenti carbonatici coprono una estensione di 359 km2, è caratterizzato da un mosaico di “blocchi” squadrati, creati da faglie distensive, che hanno determinato la formazione di alcuni bacini chiusi. Nel massiccio aurunco sono catastate 94 grotte, con uno sviluppo spaziale complessivo di circa 9 km di condotti. La successione stratigrafica è formata da una pila di carbonati di acque poco profonde potente circa 4000 m, deposta dal Triassico al Senoniano. Su gran parte dell’area carsica affiorano i calcari del Cretacico inf., caratterizzati da carsificazione “media” (23 m di condotti per km2 di affioramento). Tuttavia, nei calcari del Cretacico sup., che coprono una superficie molto più limitata (circa 23 km2), la carsificazione risulta molto più importante (70 m di condotti per km2 di affioramento). Non sono note grotte nelle dolomie triassiche (litofacies 67d), presenti alla base della successione carbonatica, che affiorano con estensione molto limitata (8 km2).

strapiombano; un passaggio percorribile durante la bassa marea mette in comunicazione il vacuo con il mare. La cavità deve essersi originata in ambiente sotterraneo e solo successivamente il crollo della volta avrebbe scoperchiato la grotta. Per la sua posizione (sul bordo occidentale delle struttura calcarea), per la probabile morfologia originaria del vacuo (a forma di duomo) e per la prossimità di piccole sorgenti a forte mineralizzazione (sorgenti Nucci, S. Maria di Conca e S. Agostino, con salinità di 5,7 g/L), sembra possibile una genesi correlata con l’afflusso di fluidi mineralizzati profondi. All’estremità NW dei rilievi della fascia costiera si apre l’Abisso di Lago San Puoto (-58 m), situato sul modesto colle ai cui piedi si stende il laghetto omonimo (di origine carsica, forse uno “sprofondo” creato dal crollo della volta di un vacuo sotterraneo originato per dissoluzione del calcare ad opera di acque sulfuree). La grotta è una spaccatura (faglia) inclinata di 70° nei calcari del Giurassico-Cretacico inf., polverosa e ingombra di grossi blocchi incastrati fra le pareti a varie altezze. La morfologia dell’ambiente ricorda quella della Grotta di San Silviano nei M. Ausoni e potrebbe essere riferibile alla presenza nel passato di una falda sulfurea. Nell’area interna, fra M. Cefalo e M. Marano, è nota la Grotta di Monte Cristo (-15, sviluppo 80 m), un grande ambiente condizionato dalla presenza di alcune faglie orientate N60°E.

UNITÀ DI MONTE CEFALO–MONTE LAUZO

Il massiccio di Monte Ruazzo–Monte Petrella E’ un settore ricco di cavità, alcune delle quali di profondità o sviluppo anche notevoli. Nell’area del M. Ruazzo, sopra Formia, sono note alcune grotte verticali grandi e belle, come l’Abisso della Ciauchella (-296 m), formato da una successione di imponenti fusoidi, di cui uno profondo 140 m, impostati in corrispondenza di una faglia che in superficie mette in contatto i calcari del Cretacico inf. con quelli del Cretacico sup. Il livello a Orbitolina dovrebbe essere individuabile qualche decina di metri sotto l’imbocco della grotta, sulla parete del “blocco” rialzato (nei M. Aurunci questo livello è costituito da un intervallo di argille verdi ampio qualche metro; NASO & TALLINI, 1993). A 40 m di distanza dall’Abisso della Ciauchella, in direzione Est, si apre la Ciauca del Monaco (-147 m, ancora in esplorazione) costituita da una serie di pozzi con caratteristiche analoghe a quelle del vicino abisso. Più in alto sulla stessa montagna, ai bordi del campo carsico del Fosso di Fabio, si rinviene la Ciauca degli Spagnoli (-90 m), un bel pozzo cilindrico con diametro medio di 3 m, impostato su faglia inclinata di 85° (Fig. 69); la posizione della grotta somiglia a quella dell’Abisso della Ciauchella; infatti, in base alla cartografia geologica disponibile, il livello a Orbitolina dovrebbe trovarsi in prossimità dell’imbocco sul “blocco” ribassato dalla faglia. Fra le altre grotte presenti in quest’area si ricorda la Risorgenza del Formale (+12, sviluppo circa 100 m) che attraversa i calcari del Senoniano, localmente

In questa unità, caratterizzata da rilievi di modesta elevazione (M. Cefalo, 543 m), si aprono diverse cavità carsiche, specialmente nella fascia costiera. Nell’area compresa fra Gaeta e Sperlonga si affacciano sul Mar Tirreno falesie calcaree alte fino a 140 m, alternate a spiagge sabbiose. In questa fascia SEGRE (1948a) ha segnalato la presenza di 102 fra grotte, nicchie e antri, tutti situati alla base delle falesie o separati dal mare solo dalla spiaggia. Nel catasto speleologico sono riportate 16 grotte, tutte ubicate nelle litofacies calcaree di acque basse del Dogger-Cretacico sup. Fra quelle presenti nel comune di Sperlonga, si segnala la Grotta di Tiberio, che si apre a 30 m di distanza dal mare alla quota di 1 m, addentrandosi nei calcari del Cretacico inf. per una ventina di metri. La presenza di solchi e di fori di litodomi a q. circa 7 m sulla falesia, che segnerebbe la posizione del livello marino del Tirreniano (ANTONIOLI, 1991), evidenzia la variabilità di condizioni in cui si sono venute a trovare le grotte costiere nel corso della loro evoluzione. A Gaeta, oltre alla celebre Grotta del Turco nella Montagna Spaccata, sul promontorio calcareo fra Torre Viola e la spiaggia dell’Arenauta si trova l’interessante Pozzo del Diavolo (-29 m fino al livello del mare, 8 m al di sotto di questo), impostato su due fratture che attraversano il calcare del Cretacico sup. L’ingresso è di forma circolare con diametro di 15 m, verso il basso le pareti

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Figura 67 - Il tratto profondo “terminale” dell’Abisso la Vettica, impostato su una faglia inclinata mediamente di 70° verso SE. Sono riportate le sezioni orizzontali (pianta) e le sezioni verticali parallele all’immersione e alla direzione della faglia.

Figura 68 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti Aurunci.

UNITÀ DI MONTE PETRELLA


Più all’interno nel massiccio aurunco, scavate nei calcari del Dogger-Aptiano, si trovano la Ciauca del Fàleca (-65 m), ad andamento verticale impostato su più fratture, e la risorgenza temporanea della Voloca (-40, sviluppo 110 m). Il settore Nord-orientale (Monte Faggeto-Monte Revole-Monte Forte-Monte Fammera) Questo settore, più facilmente accessibile passando dal paese di Esperia, è caratterizzato da numerosi campi chiusi, all’interno dei quali si aprono quasi tutte le grotte conosciute, alcune delle quali importanti. In uno dei campi chiusi di quota più bassa (q. 615-620 m), ai piedi di M. Lago, durante le piogge le acque si raccolgono in parte in un piccolo fosso e si riversano nell’Inghiottitoio del Lago (-37, sviluppo 25 m), percorribile solo per un breve tratto. Continuando a risalire il Rio Polleca si raggiunge l’omonimo grande campo chiuso (q. 640690 m), dominato da Serra Capriolo (1340 m) a Est e da M. Revole (1283 m) a Ovest. Fra le tante grotte che si aprono all’interno del bacino si trova la più estesa di tutti i M. Aurunci, la Grava dei Serini (-262, sviluppo 2240 m). Nel piano carsico di Morroncelli (q. circa 1000 m), a Est della Grava dei Serini, la grotta più estesa è l’Abisso dei Tre (-70 m), un pozzo a spaccatura impostato quasi interamente su una frattura verticale dall’andamento sinuoso, che attraversa i calcari dell’Aptiano-Albiano. In un altro grande piano carsico situato ai piedi di M. Forte (1321 m), “il Faggeto” (q. 10001100 m), si aprono numerose cavità nei calcari del Dogger-Aptiano; le più importanti sono l’Abisso del Ciavarreto, un imponente fuso profondo 120 m impostato su frattura, e, a poche decine di metri di distanza lungo la stessa frattura, la Chiavica la Faggeta (-52 m). Da menzionare, infine, l’Abisso Scorpion (-60 m), localizzato quasi sulla vetta di q. 1098 m del M. Acquara Pellegrini sulla linea di cresta che parte dal M. Fammera; il pozzo si è originato lungo un’evidente frattura nei calcari del Dogger-Aptiano.

LA GRAVA DEI SERINI La grotta è provvista di tre ingressi; l’ingresso basso è una risorgenza temporanea e può essere raggiunto anche entrando dall’ingresso intermedio con una “traversata” di 135 m di dislivello su un percorso lungo alcune centinaia di metri. Mentre la “traversata” è nota da diversi decenni, un tratto molto più lungo, che si sviluppa nella zona di quota più elevata e che porta verso l’ingresso di quota più alta (“Sarà Serini”), è di recente esplorazione. Le note che seguono si riferiscono solo alla parte “classica”, che risulta impostata su una faglia inclinata di 70-75° nei calcari del Cretacico, ed è suddivisibile in 3 tratti principali: rami orizzontali superiori, ramo fossile verticale, ramo orizzontale inferiore (Fig. 71).

Figura 70 - Piante e sezioni della Ciauca di Monte Vate Rutto.

Figura 69 - A destra: rilievo della Ciauca degli Spagnoli. A sinistra: rappresentazione schematica di un pozzo impostato

su fratture.

con stratificazione quasi orizzontale. Nel massiccio del M. Petrella (1533 m), sopra Formia, è nota la Ciauca di Monte Vate Rutto, una spaccatura nei calcari del Berriasiano-Barremiano interpretabile come grotta tettonica. Infatti, non tutte le cavità sotterranee sono imputabili all’azione di allargamento operata dalle acque. A volte i movimenti tettonici determinano l’apertura di diaclasi di larghezza sufficiente al passaggio dell’uomo. Queste “grotte di frattura” o “grotte tettoniche” presentano delle caratteristiche morfologiche tipiche, che permettono di distinguerle dalle cavità carsiche. Una grotta tettonica, comunque, può essere successivamente interessata dal processo carsico e il riconoscimento dell’effettiva origine può divenire difficoltoso. Le caratteristiche morfologiche delle grotte tettoniche sono riassumibili nei seguenti punti (BIXIO, 1978): 1) sezione trasversale alta e stretta; 2) pianta lunga e rettilinea, con bruschi cambiamenti di direzione; 3) pareti verticali o poco inclinate, con forme concordanti; 4) pareti sub-parallele, tendenti a convergere alle estremità; 5) mancanza di una volta reale; 6) abbondanza di materiale clastico grossolano autoctono; 7) presenza di pseudo-pozzi e pavimenti sospesi; 8) circolazione idrica prevalentemente di percolazione. La Ciauca di Monte Vate Rutto (Fig. 70), spaccatura profonda 140 m, presenta tutte le caratteristiche tipiche delle grotte tettoniche. L’ingresso della cavità è un “crepaccio” lungo circa 8 m e largo in media 80 cm, che si sviluppa lungo la linea di massima pendenza del versante. Tutta la cavità si presenta con la tipica morfologia a fessura, le cui pareti verticali lungo la via di discesa distano fra loro da 50 cm a 1,5 m. E’ visibile un’estensione laterale della diaclasi di almeno 20 m sia a

metà pozzo che al fondo. Le uniche soluzioni di continuità sono alcuni blocchi crollati e incastrati fra le pareti. Le pareti sono compatte e in gran parte ricoperte da un velo di concrezione; la stratificazione è in banchi sub-orizzontali. La cavità termina in fondo ad uno scivolo detritico lungo 10 m, con un cunicolo impercorribile dove si perde l’acqua di stillicidio che si accumula al fondo in una piccola pozza fangosa. Sul M. Petrella si apre l’Abisso Shish Mahal (-315 m); sviluppato nei calcari del Cretacico inf., con una successione di pozzi a fusoide si addentra fino a –120 m, poi, e fino al fondo, gli ambienti presentano la morfologia stretta e allungata delle diaclasi tettoniche, con una profondità di quasi 180 m ed una estensione orizzontale fino a 150 m esplorati, percorribili su più livelli. Anche la Ciauca di Cese gliu Vicciu (-80 m), nei calcari del Giurassico sup. ha una morfologia simile: nella parte superiore il pozzo è fusiforme, ma superata la profondità di 30 m la verticale diventa una imponente diaclasi con un’estensione orizzontale di oltre 40 m. Fra le diverse altre cavità note in questa zona deve essere ricordata la Ciaveca della Cimmerotta (-60 m), un fusoide in cui è ben evidente la frattura di origine. Nel campo carsico fra M. Rusco e M. S. Angelo si apre la cavità attualmente più profonda dei M. Aurunci: l’Abisso del Vallaroce (-401, sviluppo 505 m). L’abisso inizia con una successione di pozzi scavati nei calcari dell’Aptiano-Albiano nei quali la grotta si approfondisce quasi verticalmente, probabilmente fino in prossimità del livello a Orbitolina, per proseguire poi in lieve discesa lungo la stratificazione fino ad una faglia. La situazione stratigrafico-strutturale, però, non è ancora sufficientemente chiara; sembrerebbe che il tratto successivo scenda lungo la faglia fino a raggiungere nuovamente il livello a Orbitolina, sul “blocco” ribassato. Nell’area del M. Petrella, sopra Spigno Saturnia si trova la Ciauca Santilli (-50 m), impostata su fratture inclinate di 60-70° nei calcari del Giurassico medio-sup.; su una parete interna sono presenti piccole croste gessose. Nella stessa area sono conosciute diverse altre grotte, fra le quali la Ciaveca la Ciaia (-50 m) e la Voragine della Palommella (-55 m), impostate su fratture.

Rami orizzontali superiori I rami superiori, a partire dall’ingresso intermedio, hanno andamento rettilineo e sono suddivisibili in due segmenti. Dal punto C al punto D di figura 71 (“ramo fossile superiore”) il condotto, lungo poco più di 150 m, è orizzontale e privo di scorrimenti idrici, impostato lungo la faglia orientata N70°E e inclinata di 70° verso SE, con sezione trasversale “lenticolare” allungata sulla faglia. Nel punto D uno scivolo lungo circa 30 m scende nel verso della massima pendenza della faglia; alla sua base il corso d’acqua temporaneo che scorre nel “ramo attivo superiore” sparisce in una stretta fessura. Il tratto attivo sembra essere originato sempre sulla stessa faglia, almeno fino al punto E, dove riceve affluenti impostati su altri elementi strutturali (rami di recente esplorazione). Considerando la morfologia dei “rami orizzontali superiori” e il loro andamento altimetrico, sembra possibile che la loro genesi sia avvenuta in condizioni freatiche, in uno spazio vuoto originario creato dalla superficie di scorrimento della faglia; il condotto, allagato da acqua in leggera pressione, si andava ampliando appena più in basso dell’intersezione della faglia con la superficie piezometrica quasi orizzontale. Il flusso era diretto verso l’attuale ingresso intermedio, che rappresenterebbe un tratto della condotta successivamente troncata dall’erosione. Ramo fossile verticale L’abbassamento di oltre 100 m del locale livello di falda dalla quota del “ramo fossile superiore” avrebbe causato, in alcuni punti favorevoli lungo la faglia, il progressivo ampliamento della fessura verso il basso fino a dirottare tutto il flusso d’acqua verso il nuovo livello di base (sviluppo del “ramo attivo inferiore”). Il “ramo fossile verticale” potrebbe essere stato uno dei primi condotti verticali in grado di catturare il flusso d’acqua. Questo ramo inizia a pochi metri dall’ingresso intermedio con una stretta fessura ed è costituito da una successione di pozzi (30; 12; 7; 2; 5; 11; 15 m) (AGNOLETTI ET ALII, 1973) tutti situati lungo la faglia, con una inclinazione media di 70° verso SE e con la volta e il pavimento che si perdono in fessura. Il “ramo fossile verticale” termina immettendosi nel “ramo attivo inferiore”. L’emergenza alta, alimentata dal ramo superiore, si sarebbe così disattivata. Per successivi processi di cattura che avvenivano sempre più a monte, si sarebbero formati altri condotti verticali,

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Figura 71 - In basso: pianta del tratto inferiore della Grava dei Serini. In alto a sinistra: proiezione dei condotti carsici

sul piano verticale parallelo all’immersione della faglia. In alto a destra: Il “ramo fossile orizzontale” (foto P. Agnoletti), con tipica sezione lenticolare allungata lungo la faglia.

Figura 72 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nell’area Monti Simbruini-Alta Valle dell’Aniene.

attualmente ancora non percorribili (come la fessura sotto lo scivolo del punto D), o non ancora scoperti.

Le dorsali Monti Simbruini–Monti Ernici–Monte Cairo–Monti di VenafroMonte Maio

Ramo orizzontale inferiore attivo Il ramo, lungo circa 200 m, ha andamento quasi completamente rettilineo e marcatamente orizzontale, impostato sempre sulla faglia orientata N70°E. Il piccolo torrente che lo percorre ha inciso una forra sul fondo del condotto, ed emerge all’esterno tramite una bassa condotta (ingresso inferiore), sifonante durante il periodo piovoso e con uscita delle acque a pressione dopo piogge particolarmente abbondanti.

I M. Simbruini, i M. Ernici e il M. Cairo costituiscono, dal punto di vista geologico, una unica struttura, allungata per circa 100 km in direzione NW-SE e con larghezza massima di 24 km, coinvolta nella catena appenninica durante l’evento tettonico del Messiniano inf. (6,4-6,8 milioni di anni fa) (CIPOLLARI ET ALII, 1995). Il versante SW della catena si immerge al di sotto dei sedimenti terrigeni miocenici della Valle Latina, con contatto a tratti stratigrafico e a tratti tettonico (faglie distensive). Lungo il versante NE la pila carbonatica mesozoica simbruino-ernica si piega e si accavalla verso NE, sovrascorrendo sui flysch miocenici della Val Roveto. La catena può essere suddivisa in quattro strutture tettoniche principali: i M. Simbruini-M. Ernici Nord-orientali, i M. Ernici Sud-occidentali, il M. Cairo (separato dai M. Ernici dalla piana fluviolacustre di Sora) e i M. di Venafro. A Sud di M. Cairo, e da questo separate tramite l’ampia valle del Fiume Liri, si ergono le dorsali di M. Maio (denominate anche M. Aurunci orientali), anch’esse, secondo CIPOLLARI ET ALII (1995), coinvolte nella costruzione della catena nel corso dello stesso “momento di migrazione”.

LE GROTTE NEL CONGLOMERATO DEL PROMONTORIO DI GIANOLA Lungo la costa nei pressi di Scauri, si innalza il piccolo promontorio di Gianola, formato da conglomerati. I ciottoli calcarei che lo costituiscono, depositati nel Pliocene per smantellamento dei vicini M. Aurunci, sono ben arrotondati e di dimensioni centimetriche, cementati in una matrice fine (NASO & TALLINI, 1993). Sul promontorio sono note due piccole cavità orizzontali, la Grotta di Torre del Fico e la Grotta Azzurra.

Nella struttura M. Simbruini-M. Ernici-M. Cairo-M. Maio le rocce carbonatiche mesocenozoiche hanno una estensione complessiva di 1257 km2. La successione stratigrafica del Mesozoico è quella tipica della sedimentazione di piattaforma interna laziale-abruzzese. Gli affioramenti di età più antica sono rappresentati dalle dolomie triassiche di Filettino (litofacies 69) e dalle dolomie liassiche (litofacies 67d), che affiorano per circa 24 km2 nei M. Simbruini. I Calcari a Palaeodasycladus del Giurassico (litofacies 66) affiorano nei Monti Simbruini ed Ernici su un’area di circa 50 km2; al loro interno il carsismo ipogeo appare molto sviluppato (50 m di condotti per km2 di affioramento). I carbonati del Dogger-Senoniano (litofacies 63+55) hanno caratteristiche analoghe a quelle riscontrate nei Volsci, rispetto ai quali, comunque, si caratterizzano per la diversa distribuzione degli intervalli dolomitici, per il minore contenuto di selce e per la discontinuità del livello a Orbitolina. Questo livello è caratterizzato da argille e argille marnose, da micriti a superfici di aspetto nodulare e da biomicriti, intercalate nei litotipi che definiscono l’intera sequenza, per uno spessore di 25-35 m (area di Vallepietra). BERGOMI (1973) segnala come in fase di incipiente diagenesi il deposito sia stato interessato localmente (Serra Carpino, Fonte Canali, dintorni di M. Porcaro nei M. Simbruini) da fenomeni di scivolamento intraformazionale, la cui presenza è evidenziata anche dal piegamento disarmonico degli strati. Nell’area simbruino-ernica questo livello è stato anche, più propriamente,


denominato “livello a Characee” (CRESCENTI, 1966) o “2° livello a Charophyta ed ostracodi” (DEVOTO, 1967), ma per semplicità di esposizione continueremo a chiamarlo “livello a Orbitolina”. Le rocce del Dogger-Senoniano rappresentano il 76% degli affioramenti carbonatici; in esse si sviluppano i più importanti sistemi carsici sotterranei della struttura, con un carsismo ipogeo che nell’insieme appare “mediamente” sviluppato (21 m di condotti per km2 di affioramento). In trasgressione sui carbonati mesozoici affiorano i Calcari a Briozoi e Litotamni del Miocene, che, a differenza di quanto avviene nella struttura dei Volsci, coprono ampi settori (16% dell’area totale), in particolare nella parte SW della struttura. Lo sviluppo del carsismo sotterraneo in questa formazione è di grado “medio” (15 m di condotti per km2 di affioramento). Il margine NE delle dorsali simbruino-erniche è interessato da brecce calcaree mioceniche (Brecce della Renga), che coprono un’area di circa 60 km2 con spessori che raggiungono 600-700 m. La carsificazione di queste brecce (litofacies 38R) risulta di entità “media”, poco più bassa di quella dei calcari miocenici. Complessivamente, sono comprese negli elenchi catastali 260 grotte scavate nei calcari meso-cenozoici, per uno sviluppo complessivo di circa 24 km di condotti carsici. I massicci dei M. Ernici e dei M. Simbruini sono i più carsificati, con sviluppo rispettivamente di 27 m e 19 m di condotti sotterranei per km2 di affioramento delle litofacies calcaree meso-cenozoiche, mentre nei rilievi di M. Cairo e M. Maio lo sviluppo del carsismo è molto più limitato (in media 5 m/km2). In questo settore di catena sono presenti depositi travertinosi di origine idrotermale di notevole estensione, sia nella Valle Latina (Anagni, Ferentino), che intorno al M. Cairo (Isola del Liri, Casalvieri, Aquino). Tuttavia il fenomeno carsico ipogeo in queste località sembra essere del tutto assente o, forse, non ancora individuato. Ben carsificato, invece, appare il deposito di travertino lasciato dalle acque “fredde” dell’Aniene a Subiaco, dove sono segnalate diverse cavità, anche se attualmente una sola di queste è riportata in catasto. Grande rilevanza assume il carsismo sotterraneo nella coltre di depositi conglomeratici calcarei che circonda Arpino su un’area di grande estensione, con quasi 1,5 km di gallerie sotterranee.

I MONTI SIMBRUINI Il massiccio simbruino, costituito da una serie di serre parallele con massima elevazione nel M. Cotento (2014 m), conserva le tracce di un antico altopiano carsificato, oggi inciso dall’erosione, con valli fluviali evolute in piani carsici chiusi e asciutti (SEGRE, 1948a). Queste montagne appaiono costituite dalla sovrapposizione tettonica di diverse unità, progressivamente più antiche verso NE, separate da importanti superfici di taglio orientate all’incirca NW-SE (Fig. 72). Numerose dislocazioni trasversali successive hanno sbloccato questa struttura (DAMIANI, 1990a). I M. Simbruini sono quasi completamente carbonatici, con oltre 4000 m di depositi di età che vanno dal Triassico al Cretacico sup. Includendo nel gruppo montuoso simbruino anche la valle dell’Aniene, l’estensione degli affioramenti carbonatici meso-cenozoici è di 426 km2, nei quali sono state esplorate fino ad oggi un centinaio di cavità, per uno sviluppo complessivo di oltre 8 km di condotti sotterranei. Nelle dolomie triassiche di Filettino (litofacies 69) si apre la Risorgenza della Gronda A; nelle dolomie del Lias inf. (litofacies 67d) risultano catastate due piccole cavità. L’unica grotta conosciuta che sembra attraversare i calcari a Palaeodasycladus (litofacies 66) è la Risorgenza della Gronda A, nel suo tratto più interno. Nei calcari del Dogger-Cretacico inf. la carsificazione risulta “elevata”, con una media di 25 m di condotti per km2 di affioramento. Appena minore è il valore di carsificazione riscontrato nei calcari del Cretacico sup. che, con quasi 190 km2, rappresentano la litofacies più estesa in affioramento. Anche i Calcari a Briozoi e Litotamni del Miocene affiorano abbastanza ampiamente, ma la loro carsificazione appare modesta (5 m/km2); più significativo risulta il fenomeno carsico nelle Brecce della Renga (11 m/km2), la cui area di affioramento è ugualmente estesa. La seguente descrizione del carsismo sotterraneo è suddivisa nelle unità tettoniche riconosciute (DAMIANI, 1990a), procedendo da NE a SW.

IL SETTORE NORD-ORIENTALE DEI MONTI SIMBRUINI Questo settore (Unità 2 di Damiani, 1990a) ha la forma di un grande “blocco” allungato in direzione NW-SE ed è caratterizzato dalla presenza di una successione ininterrotta di campi chiusi (Val Mandrone, Piano della Dogana, Campolungo, Valle S. Nicola, Valle di Camporotondo) che si stende per oltre 15 km con una larghezza media di 2,5 km, a quote comprese tra 1200 e 1300 m, parallelamente ai contigui bacini chiusi carseolani (Prati di Roccacerro, Imele, Verrecchie), di quota più bassa (SEGRE, 1948a). Le massime elevazioni si attestano nella dorsale M. Midia (1738 m)–M. Padiglione (1825 m)–Monna Rosa (1781). L’unità è delimitata a NE dal sovrascorrimento sui depositi terrigeni della Valle del Liri (“superficie 1” di DAMIANI, 1990a), che può essere seguito per oltre 50 km, e a SW da una faglia

(“superficie 3”) con rigetto fino a 650 m (Fig. 72). A differenza di quasi tutto il resto dei M. Simbruini, l’assetto di questa unità è dato da una grande anticlinale asimmetrica, che si rovescia sulla Valle del Liri formando alte pareti. Dal punto di vista stratigrafico, la caratteristica del settore Nord-orientale dei M. Simbruini è l’esteso affioramento delle Brecce della Renga, prodotte nel Miocene al bordo di una scarpata tettonica sottomarina per il susseguirsi di crolli. I blocchi si andavano ad accumulare al piede della scarpata, al di sopra del substrato di carbonati del Mesozoico o del Miocene, dando origine ad un ventaglio detritico costituito da clasti calcarei. Le dimensioni degli elementi e la presenza di matrice variano a seconda delle distanze percorse dai materiali (Fig. 73) e anche gli spessori sono molto variabili, fino ad un massimo di alcune centinaia di metri (COMPAGNONI ET ALII, 1991b). Nelle brecce sono state fino ad oggi esplorate 6 grotte, tutte nel comune di Cappadocia, tre delle quali di notevole interesse. La Grotta di Malattate (-30, sviluppo 150 m) è una risorgenza di “troppo pieno” del F. Liri, scavata interamente nelle brecce, qui molto potenti (300-400 m), utilizzando sia l’interstrato inclinato di 30° che diversi sistemi di frattura. Un centinaio di metri più in basso, ad una distanza planimetrica di circa 150 m, si trova la Grotta della Sorgente del Liri (+12, sviluppo 60 m), dalla quale esce una parte delle acque del F. Liri; all’interno sono state risalite 6 piccole cascate fino ad un sifone. La Grotta a Damiano (-30, sviluppo 500 m) si apre sul fianco di una dolina nelle Brecce della Renga, all’interno del campo chiuso di Campolongo. La stratificazione delle brecce è inclinata di 25°, l’aspetto è massivo e la matrice scarsa; in questa località lo spessore delle brecce è modesto (30-40 m) e la grotta lo attraversa interamente fino a penetrare nei sottostanti calcari del Cretacico sup. La cavità è costituita da alcuni salti impostati su fratture, seguiti da una stretta condotta meandriforme a sali-scendi con tratti sifonanti, caratterizzata da notevoli depositi fangosi (GRUPPO SPELEOLOGICO DI GROTTAFERRATA, 1997). Per quanto riguarda il carsismo nei calcari, la cavità più importante è la Grotta Picinara (-64, sviluppo 100 m), situata nell’affioramento del Cretacico sup. sul versante a Sud della Cima di Vallevona.

LA CONCA DI VALLEPIETRA E LA DORSALE MONTE TARINO–MONTE TINTEROSSE Nella conca di Vallepietra (Unità 3) affiorano le rocce più antiche dei M. Simbruini. L’unità è limitata a NE dalla faglia che ribassa l’Unità 2 (“superficie di taglio 3”), e a SW dalla faglia trascorrente NW-SE (“superficie 6”) che da Campo dell’Osso raggiunge Vallepietra, dove risulta spostata a SW di 500 m, per riprendere poi l’orientamento precedente superando l’Aniene e inoltrandosi nei M. Ernici (sovrascorrimento Filettino–M. Ortara). La “superficie 6” verso NW è interrotta da un’altra faglia trascorrente, che rialza l’Unità 5 (settore centrale dei M. Simbruini); la faglia che costeggia il Fosso Fioio è probabilmente ancora la “superficie 6”, dislocata con rigetto orizzontale di 5 km (Fig. 72) (DAMIANI, 1990a). La conca di Vallepietra è una “semi-finestra” tettonica, nella quale affiorano i carbonati triassici e giurassici che costituiscono la base della successione prevalentemente calcarea del DoggerCretacico. I calcari del basamento triassico hanno subito un processo di dolomitizzazione che li ha resi scarsamente carsificabili, determinando la fuoriuscita delle acque attraverso numerose sorgenti localizzate al contatto con i calcari sovrastanti. Il passaggio dolomie-calcari, spesso marcato da una evidente rottura di pendio, non corrisponde ad una linea-tempo né ad una stessa lito-biofacies, poiché i fenomeni di dolomitizzazione secondaria hanno raggiunto varie altezze stratigrafiche, e le geometrie risultanti sono irregolari e sfrangiate (DAMIANI, 1990b). Le sorgenti che sgorgano numerose nella conca di Vallepietra sono certamente alimentate da condotti carsici, nei quali fino ad oggi non è stato possibile accedere. L’unica eccezione è la Gronda A (+80, sviluppo 224 m), risorgenza perenne captata dall’acquedotto del Simbrivio (circa 5 L/s in magra) che si apre nelle dolomie bituminose di colore grigio del Triassico sup. (litofacies 69), come dimostrano alcuni livelli spettacolari di grandi fossili di Megalodon che affiorano sulle pareti del tratto iniziale della galleria sotterranea (Fig. 74). La grotta, particolarmente interessante dal punto di vista geologico, è impostata su fratture, lungo le quali l’acqua scende dirigendosi verso Sud tagliando gli strati disposti a reggipoggio (inclinati di 30-35° verso Nord). Dopo oltre 150 m, risalita la “2a Cascata”, la galleria attraversa piani tettonici orientati E-W e inclinati di 45° verso Sud, che hanno prodotto una fascia di cataclasite spessa fino a 7 m. Superata la zona di faglia, e fino al “fondo”, si entra in una litologia diversa, rappresentata da calcari di colore bianco (di presumibile età giurassica, litofacies 66?); la galleria finale segue una faglia inversa immergente di 45° verso NE (MARIANO, 2001). Nei calcari del Giurassico-Cretacico inf. che affiorano sui rilievi che circondano il gruppo sorgentizio del Simbrivio sono note solo 3 grotte: il Pozzo Cornetto (-55 m), in cui è visibile un piano di faglia inclinato di 65°, il Pozzo della Morra Rossa (-64 m) impostato su una evidente frattura, e il Pozzo della Rimessa (-15 m), alla cui base si intercetta un corso d’acqua (impercorribile sia a monte che a valle). Sulla dorsale M. Tarino (1961 m)–M. Tinterosse (1626 m) il carsismo ipogeo è quasi del tutto sconosciuto; in catasto sono riportate, infatti, solo due grotte di sviluppo inferiore a 10 m. Non

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Figura 73 - Le Brecce della Renga, sedimenti clastici con deposizione controllata dalla tettonica (da Compagnoni et

alii, 1991).

sono note cavità carsiche nella conca di Fiumata, mentre due pozzi sono stati esplorati poco a monte di Filettino (il più importante, la Grotta delle Morette, è profondo 40 m), presumibilmente nelle dolomie (litofacies 67d).

IL MONTE AUTORE L’Unità 4 (DAMIANI, 1990a) comprende la piramide sommitale di M. Autore (1853 m) e il rilievo di Monna dell’Orso. Sono attribuite a questa unità anche alcune placche che si rinvengono isolate sopra le Unità 2 e 3 (Fig. 72). L’unica cavità nota è un pozzetto situato sulla placca isolata di Monna Frassinello, a Nord di M. Assalonne.

IL SETTORE CENTRALE DEI MONTI SIMBRUINI Il settore centrale dei M. Simbruini è compreso nell’Unità 5, caratterizzata dal vasto


dell’altopiano sublacense, con quote che scendono dalle pendici di M. Autore verso la Valle dell’Aniene. A SE è limitato da una faglia trasversale (NE-SW), lungo la quale si è avuto un movimento trascorrente che ha dislocato di circa 5 km la faglia di Fosso Fioio. A SW una superficie di taglio complessa, con andamento appenninico, separa questo settore dalla Valle dell’Aniene; la prosecuzione di questo lineamento sembra riconoscibile nei M. Ernici (faglia Guarcino-Sora). Alcune faglie suddividono questa zona in tre “blocchi”: 5A (Camposecco e l’estremità di

Figura 76 - La galleria dopo il primo lago della Grotta dell’Inferniglio si sviluppa lungo la direzione degli strati, ben visibili sulle pareti e sul soffitto (foto A. Cerquetti).

Campobuffone), 5B (Campobuffone e parte di Campaegli) e 5C (la parte restante di Campaegli). Nel “blocco” 5B non sono note grotte. Nel bacino chiuso di Camposecco si conoscono una quindicina di cavità, la più importante delle quali è l’Inghiottitoio di Camposecco (-415, sviluppo 590 m), che attraversa uno spessore di circa 250 m di calcari del Senoniano. La grotta inizia con una successione di brevi pozzi e gallerie discendenti che portano le acque a –110 m, a una distanza dall’ingresso di un centinaio di metri verso Nord. Qui si scendono due grandi pozzi (P60 e P48), presumibilmente localizzati sulla faglia orientata NW-SE riportata nel Foglio Subiaco della Carta Geologica d’Italia (in scala 1:50.000). Dalla base dei grandi pozzi e fino al fondo, la galleria sposta il flusso idrico nel verso della pendenza degli strati (NNE), interrotta da pozzi e saltini impostati su fratture verticali o molto inclinate. Nell’ultimo tratto si alternano due principali direzioni: verso NNE e verso Est o ENE. Verso NNE (direzione di massima pendenza degli strati) le gallerie si sviluppano in discesa con pendenze di 10-15°, mentre i tratti impostati in direzione E o ENE (corrispondente all’incirca alla direzione degli strati) risultano sub-orizzontali (una situazione analoga è stata descritta per l’Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta nei M. Lepini). Subito al di la’ della cresta che a Sud separa il bacino di Camposecco dalla Valle Maiura si

Figura 74 - Livello con fossili di megalodon sulle pareti del tratto iniziale della risorgenza della Gronda A (foto A. Bonucci).

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affioramento dei calcari del Cretacico sup. e da numerosi campi chiusi ampiamente carsificati. A SW una linea di faglia complessa (“superficie 11”) separa questa unità dalla Valle dell’Aniene; una serie di faglie dirette suddividono l’unità in “blocchi” con assetto a monoclinale generalmente immergente a NE (settori 5A, 5B, 5C, 5D e propaggini NW, Fig. 72). Il settore Colle della Colubretta–Monte San Leonardo Questo settore (5D), dominato dai rilievi di Colle della Colubretta (1502 m) e di M. S. Leonardo (1526 m) situati ai due lati della Valle del T. Simbrivio, è a contatto con l’Unità 3 (conca di Vallepietra) lungo la faglia Campo dell’Osso-Vallepietra. In questo settore sono catastate 14 grotte; di queste, 3 (sub-orizzontali e di breve lunghezza) si trovano lungo il fondovalle del T. Simbrivio, mentre tutte le altre si aprono sui rilievi a Ovest della Valle del Simbrivio, ad eccezione della grande risorgenza carsica della Grotta del Pertuso, localizzata nell’alveo del F. Aniene. Fra le grotte che si aprono sui rilievi ad Ovest del T. Simbrivio sono comprese alcune interessanti cavità. Presso Cesecolevacca si trova il Pozzo della Creta Rossa (-117 m), costituito da una serie di pozzi impostati lungo un’unica frattura con inclinazione media di 85° che attraversa i calcari del Turoniano. All’interno del Piano di Campitelli, nei calcari del Cenomaniano, si trovano le “Fosse di Jenne”, la più estesa delle quali (Fossa 3a di Jenne, -40, sviluppo 140 m) è caratterizzata da una grande sala e da un reticolo di condotte meandriformi. Sul Colle Rotoli è stato esplorato l’Abisso Petrini (-115 m), ad andamento nettamente verticale; poco sotto il suo imbocco si attraversa un cambio litologico che forse corrisponde al livello a Orbitolina; da –50 m al fondo il pozzo è impostato su una evidente frattura, dislocata a –75 m da una faglia inclinata di 65° (MARIANO ET ALII, 2001). Lungo l’Aniene, in destra idrografica, si trova la Grotta del Pertuso, la più importante risorgenza carsica percorribile del Lazio (portata media 1,6 m3/s). Le sue gallerie, scavate nei carbonati del Berriasiano-Barremiano, sono suddivise in due rami principali, uno fossile (+15/-5, sviluppo 545 m) e uno attivo (+16, sviluppo 340 m), rami che si collegano in prossimità dell’ingresso. L’elevato gradiente di discesa dell’acqua fra il sifone più a monte e l’emergenza (dislivello di 10 m su una distanza in linea d’aria di 150 m, gradiente 6,7%), sembra escludere che il condotto attivo sia rappresentativo di una superficie piezometrica. L’area dei piani carsici di Camposecco, Campobuffone e Campaegli E’ il settore più centrale dei M. Simbruini, caratterizzato dal sistema di depressioni chiuse

Figura 75 - Risorgenza dell’Inferniglio. In alto: profilo rettificato, nel quale sono evidenziati i tratti sifonanti in condizioni di regime idrico ordinario. Al centro: sezione geologica con traccia parallela alla direzione degli strati, fino alla faglia di M. Porcaro, inclinata di 50°. In basso: carta geologica dell’area di Jenne (dal Foglio Subiaco), con il tracciato della grotta.

Figura 77 - Dolina nel piano carsico del Pratiglio, a Nord del M. Malaina nei Lepini (foto M. Mecchia). La foto è stata scattata nel 1996, successivamente allo sfondamento della piccola depressione originaria che ha permesso l’accesso ad una serie di tre pozzi verticali, impostata sulla frattura orientata N15°W e profonda 32 m (Grotta del Rospo). Crolli successivi lungo il bordo della dolina hanno sepolto l’accesso al pozzo.


apre l’Abisso Nessuno (-222, sviluppo 230 m), che si addentra nei calcari del Senoniano con una pendenza complessiva di 45°, ottenuta con un alternarsi di pozzi e brevi tratti di meandro impostati su più sistemi di fratturazione; il verso di deflusso delle gallerie corrisponde a quello dell’immersione degli strati. All’interno della depressione carsica di Campobuffone si trovano una decina di grotte, mentre nel campo chiuso di Campaegli sono note 4 grotte, e fra queste la più importante è la Grotta Stoccolma (-62 m), scavata nei calcari del Turoniano e impostata su una frattura inclinata di 70-80°.

L’AREA DI CERVARA DI ROMA L’Unità 6 è costituita da due piccoli “blocchi” isolati di modesta estensione, limitati a SW dalla faglia che separa i M. Simbruini dalla Valle dell’Aniene (Fig. 72). Nel blocco di NW, alla cui estremità si trova il paese di Cervara di Roma, non sono note grotte. Notevoli fenomeni carsici di superficie sono le grandi “doline” di crollo del Catino di Cervara e della Fossa di Agosta. Nel comune di Subiaco, al contatto fra il “blocco” più piccolo, di SE, e l’Unità 5 si aprono la Buca dell’Acqua (-40 m) e un’altra piccola cavità.

LE PROPAGGINI NORD-OCCIDENTALI DEI MONTI SIMBRUINI Al vertice NW della struttura carbonatica simbruina (esterno al Foglio Subiaco) affiorano estesamente i Calcari a Briozoi e Litotamni del Miocene, assenti nel resto del massiccio (Fig. 72). Nell’area di Pereto sono note al catasto abruzzese 6 piccole grotte e la “dolina” di crollo del Merulo, tutte nei calcari del Miocene ad esclusione di una cavità aperta nei calcari del Cretacico sup. Ma la cavità più interessante, sempre nei Calcari a Briozoi, si trova nel Lazio, sul piccolo rilievo di M. S. Fabrizio, ed è la Chiavica di Arsoli, grande voragine carsica venuta alla luce per il crollo della volta. La cavità, profonda 100 m, ha imboccatura ovoidale 65x45 m e pareti quasi verticali (Fig. 19); il fondo è a q. 410 m. Su una parete è visibile uno specchio di faglia inclinato di 80°. A 4 km verso SSW dalla voragine (q. 324 m in sinistra del F. Aniene), si trova la serie di sorgenti del campo Oreella, dalle quali scaturiscono acque sulfuree di colore opalescente, alla temperatura di 15-16°C, con abbondanti emissioni di gas (CO2 e H2S) che lasciano depositi biancastri incrostanti. Un chilometro più lontano, sulle pendici NE dei M. Ruffi in sinistra della Valle dell’Aniene, è segnalato il gruppo di sorgenti di Marano Equo; allineate lungo i piani di faglia del basamento carbonatico, anche queste scaturigini presentano evidenti caratteri di mineralizzazione, al contrario delle sorgenti poste a maggiore distanza, completamente prive di mineralizzazione o con indizi molto attenuati (CAMPONESCHI & NOLASCO, 1978-86). E’ possibile che la genesi della Chiavica di Arsoli sia correlata con l’afflusso di fluidi mineralizzati da zone profonde, così come quella delle già menzionate Fossa di Agosta e Catino di Cervara, situate poco a Sud di Arsoli nell’Unità 6.

LA VALLE DELL’ANIENE La profonda Valle dell’Aniene separa i M. Simbruini dai M. Ernici, ma solo geograficamente, perché dal punto di vista tettonico essa appartiene alla struttura dei M. Ernici Sud-occidentali, che si accavalla per 2-3 km sul bordo del massiccio simbruino. Il fondo della Valle dell’Aniene, quindi, non corrisponde quasi mai ad uno dei principali piani tettonici riconosciuti (Fig. 72) (DAMIANI, 1990b). Nell’alta Valle dell’Aniene, e lungo i suoi affluenti, si trovano delle risorgenze carsiche percorribili per lunghi tratti, con portate anche notevoli, alcune situate in destra idrografica (versante simbruino) altre in sinistra (versante ernico). Da monte verso valle si susseguono: la Grotta del Pertuso (già descritta), la Grotta della Foce, la Grotta di Coceraso e la Grotta dell’Inferniglio. La Grotta della Foce (circa -50, sviluppo 600 m) si incontra risalendo il Fosso Campo, affluente di sinistra dell’Aniene; la grotta inizia con un antro e una lunga galleria in leggera discesa a sezione molto alta. Più avanti il condotto assume una sezione freatica tondeggiante ampia circa 3 m, quasi sempre sifonante; superato un salone e un altro tratto di galleria, si raggiunge (nei periodi di secca) uno specchio d’acqua che rappresenta lo sbocco di un sifone permanentemente sommerso, recentemente percorso dagli speleosub per almeno 200 m (galleria tondeggiante di 5 m di diametro, con profondità fino a 50 m). La grotta funziona da risorgenza solo durante le forti precipitazioni; un’esperienza di colorazione ha rivelato che la Grotta della Foce è una delle emergenze delle acque della Grotta degli Urli (TERRAGNI, 1995). La Grotta di Coceraso (+34, sviluppo 129 m) si apre 8 m sopra l’alveo dell’Aniene, in sinistra idrografica, nei calcari dell’Aptiano-Albiano. L’acqua che la percorre sparisce fra i massi del fondo poco prima dell’uscita e riemerge nell’alveo dell’Aniene dal conoide detritico che si trova sotto l’antro d’ingresso. La galleria è impostata su evidenti fratture ortogonali fra loro. L’erosione del corso d’acqua ha eliminato il primo tratto di cavità, di cui si vede un relitto nell’andamento dell’antro iniziale. La Grotta dell’Inferniglio (+15/-25, sviluppo 1370 m) si apre sulla destra idrografica del F. Aniene ed è percorsa da un torrente con portata media di 500 L/s. La risorgenza inizia con un antro largo e basso situato 15 m più in alto del fondovalle; dall’ingresso si scende fino ad incontrare un lago-sifone alimentato da un torrente sotterraneo. Solo in occasione degli eventi di piena il torrente

esce dall’imbocco della grotta. In regime ordinario le acque riemergono da una sorgente perenne situata presso l’alveo dell’Aniene all’incirca alla stessa quota del lago-sifone interno, alimentata attraverso fessure non percorribili (Fig. 75). La presenza di fessure di drenaggio relativamente strette è probabilmente dovuta ad un abbassamento recente del livello di base (di 15 m); il tempo a disposizione non sarebbe stato sufficiente per ampliare significativamente le fessure. La grotta è costituita da una grande galleria a piccoli sali-scendi (loops), originata dalle acque prevalentemente al di sotto della superficie piezometrica. Superato il tratto iniziale, il condotto prosegue in sifone, ed è quindi possibile ispezionarlo solo in immersione subacquea; le ovvie difficoltà tecniche hanno influenzato negativamente la precisione del rilievo topografico, in particolare rendendo incerta l’effettiva quota delle superfici di acqua libera. Dalla sovrapposizione del rilievo della grotta sulla cartografia geologica esistente (Foglio Subiaco della Carta Geologica d’Italia, in scala 1:50.000), è possibile esprimere alcune considerazioni. Il primo tratto a sali-scendi, lungo 600 m (fino ad una faglia) è parallelo alla direzione degli strati calcarei del Senoniano, inclinati di 20-30° (Fig. 76), e sembra seguire lo schema classico già presentato per la galleria principale della Grotta del Formale (situata all’intersezione fra la superficie piezometrica e lo strato favorevole alla carsificazione). La superficie del 1° lago-sifone interno sembra essere quasi livellata alla quota della sorgente situata nell’alveo dell’Aniene. Poi la condotta curva bruscamente a gomito e prosegue rettilinea per altri 300 m, con due sifoni intervallati a gallerie subaeree. Questo tratto sembra coincidere con la faglia riportata sulla carta geologica; nell’interpretazione del profilo C-D di figura 72, la faglia ha una inclinazione di circa 50° e (a livello della grotta) porta i calcari del Cretacico inf. (parete del condotto in sinistra idrografica) a contatto con quelli del Senoniano (parete di destra). Con una seconda curva ad angolo quasi retto, inizia un tratto che dovrebbe inoltrarsi nei calcari del Cretacico inf., lungo circa 170 m fino al 7° sifone, oltre al quale la galleria prosegue non rilevata fino al 10° sifone, ancora inesplorato. In base al rilievo topografico, la superficie del 6° lago-sifone dovrebbe essere ad una quota più alta di 10-12 m rispetto a quella dei laghi degli altri sifoni e della sorgente, ma l’incertezza della misura rende questo dato poco affidabile. In regime idrico ordinario, il condotto principale si trova in condizioni interamente sommerse per circa metà del percorso, e in condizioni subaeree per l’altra metà. I “loops” dei sifoni risultano attualmente poco profondi; il dislivello fra la superficie dei laghi-sifone e la volta dei condotti sommersi è infatti al massimo di 5 m, pertanto la grotta può essere classificata di Stato 3 (“grotta con tratti freatici e tratti sul livello piezometrico”) o di Stato 4 (“di livello piezometrico ideale”) secondo la classificazione di FORD & EWERS (1978). E’ tuttavia opportuno ricordare che se, come ipotizzato, la galleria si è originata prima dell’ultimo abbassamento del livello di base, allora la profondità dei loops durante la fase di principale sviluppo doveva essere maggiore di una quindicina di metri rispetto a quella odierna. I travertini dell’Aniene a Subiaco Diverse bancate di travertino si rinvengono lungo la Valle dell’Aniene fra Subiaco e la confluenza con il T. Simbrivio. Subito a monte del centro abitato di Subiaco, sulla riva sinistra dell’Aniene di fronte alla cartiera, si stende il terrazzo travertinoso di San Lorenzo, con superficie di 0,6 km2. Questi travertini poggiano su formazioni prevalentemente calcaree di età cenozoica. Secondo PONZI (1862) e DE ANGELIS D’OSSAT (1897) la loro età sarebbe pleistocenica, anche se la datazione radiometrica di depositi analoghi dell’Appennino centrale ha fornito età di formazione oloceniche, riferibili al periodo più caldo post-wurmiano (CALDERONI ET ALII, 1996). Nel deposito di San Lorenzo si trova la più estesa (e una delle poche fino ad oggi catastate) fra le cavità esplorate nei depositi travertinosi della valle. Si tratta della Grotta degli Animaletti (-6, sviluppo 110 m), costituita da una galleria rettilinea pianeggiante, con alcune brevi diramazioni e salette. La maggioranza delle altre cavità presenti nei travertini di Subiaco sembra essere singenetica, cioè lasciata vuota durante la formazione del travertino, con l’unica modificazione successiva costituita dal concrezionamento per stillicidio. Nella Grotta degli Animaletti, invece, si può ipotizzare che, a partire da piccole cavità singenetiche iniziali, lo scorrimento di un corso d’acqua sotterraneo abbia collegato e ampliato i vacui fino a sviluppare una galleria; successivamente le acque avrebbero abbandonato la grotta (PROCACCIANTI ET ALII, 2001). Percorrendo la strada che costeggia sulla destra idrografica il Fiume Aniene da Subiaco a Comunacque si osservano molti concrezionamenti parietali e lembi di travertino, solo in parte riportati sulle carte geologiche, probabilmente originati in corrispondenza di sorgenti. Numerose piccole grotte sono state recentemente esplorate in questi depositi (FELICI & CAPPA, 2003). Figura 78 - In alto: sviluppo delle doline di dissoluzione nella zona epicarsica (da Williams, 1983). In basso: concentrazione del flusso alla base della zona epicarsica (da Klimchouk, 1995).

RIQUADRO 10 – “I POZZI D’INGRESSO E L’ACQUIFERO EPICARSICO” L’accesso alle grotte avviene frequentemente attraverso un pozzo, che spesso si apre all’interno o sui bordi di una dolina, come avviene in numerose grotte dei M. Simbruini (Grotta di Camposecco, Pozzo Stoccolma, Abisso Nessuno, ecc.). Nelle doline si realizza la raccolta e focalizzazione del flusso idrico in un punto interno, impostato lungo una frattura, attraverso il quale viene rimossa la massa di roccia disciolta (Fig. 77). Per effetto della carsificazione, nel tempo si accentuano le differenze spaziali della permeabilità, che tende ad aumentare. L’origine, la forma e le dimensioni di queste depressioni carsiche chiuse, sembrano controllate principalmente da processi idrologici subcutanei (o “epicarsici”) (Fig. 78; WILLIAMS, 1983; 1985). Numerosi imbocchi, tuttavia, si aprono senza alcuna evidenza di dolina, direttamente con un pozzo. L’origine di questi pozzi appare comunque legata ai processi che avvengono nella zona epicarsica, cioè alla zona superficiale dove la roccia è densamente fratturata e permette una diffusa infiltrazione. Ad una certa profondità la densità di fratturazione è notevolmente ridotta, e solo poche fratture disarticolano la roccia. L’acqua di infiltrazione che si raccoglie alla base della zona epicarsica (che può costituire una falda sospesa al di sopra della zona vadosa) viene drenata da queste fratture, nelle quali si concentra il flusso idrico che nel tempo determina l’allargamento del condotto, creando un pozzo poco sotto la superficie topografica. Fra le zone sotterranee, la zona epicarsica, situata alla transizione fra l’atmosfera esterna e quella interna, è quella maggiormente esposta ai fenomeni di condensazione, più attivi durante la stagione fredda, che possono contribuire notevolmente all’allargamento per corrosione dei pozzi alimentati dalla zona epicarsica, in particolare alla loro sommità (KLIMCHOUK, 2000a). Infine, per crollo della volta, il pozzo si può aprire all’esterno, anche senza dare vita ad una dolina (Fig. 78, KLIMCHOUK, 1995). In altri casi il pozzo può essersi formato in condizioni più profonde e può aprirsi all’esterno per erosione della zona epicarsica e decapitazione della parte superiore del pozzo originario. Questi pozzi sono frequenti sulle Alpi dove l’esarazione glaciale è stata intensa.

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I MONTI ERNICI I Monti Ernici sono compresi fra il sovrascorrimento dei M. Lepini sulla Valle Latina (a SW) e il fronte di sovrascorrimento sulla Val Roveto (a NE); per semplicità di esposizione vengono presentati separati dai M. Simbruini, dei quali in realtà rappresentano la continuazione diretta. Al loro interno, i M. Ernici sono suddivisi in due vasti settori da una grande faglia diretta, riconoscibile quasi con continuità (una larga fascia di rocce intensamente cataclasate ne marca il tracciato) dalla sorgente Trovalle presso Guarcino, per oltre 30 km verso SE fino a Sora. La faglia ha ribassato di 1000-2000 m il settore dei M. Ernici Sud-occidentali, che si caratterizza per il rilievo collinare, con netto stacco morfologico rispetto alla catena di alta quota dei M. Ernici Nord-orientali (CAVINATO ET ALII, 1993a).

I MONTI ERNICI NORD-ORIENTALI La struttura dei M. Ernici Nord-orientali (218 km2 di carbonati in affioramento) è limitata a SW dalla linea tettonica Guarcino-Trisulti-Sora e a NE dal sovrascorrimento sui depositi terrigeni della Valle Roveto (Fig. 79). La catena montuosa è dominata dal M. Viglio (2156 m); più a Sud una cresta lunga e ben marcata unisce le cime di M. Agnello (1912 m), M. Vermicano (1948 m), M. Pozzotello

(1995 m) e La Monna (1952 m), mentre ancora più a SE si snoda la dorsale di Pizzo Deta (2037 m). I 3/4 della superficie carbonatica affiorante sono costituiti da rocce prevalentemente calcaree del Dogger-Cretacico inf., nelle quali il carsismo è ben sviluppato, con circa 10 km di condotti, corrispondenti a 61 m per km2 di affioramento. Ugualmente ben carsificati risultano i Calcari a Palaeodasycladus, la cui area di affioramento è però ridottissima (4-5 km2). Carsificazione “media” presentano i calcari del Cretacico sup., nei quali la lunghezza complessiva dei condotti sotterranei attualmente noti è inferiore al chilometro. Nei piccoli affioramenti di brecce calcaree non sono note cavità carsiche di dimensioni catastabili. Nel corpo dei M. Ernici Nord-orientali si individua un importante sovrascorrimento che taglia la struttura in prossimità della linea di cresta che da La Monna conduce a M. Agnello con direzione complessiva SE-NW, per proseguire poi nei M. Simbruini (linea Filettino-M. Ortara). La sovrapposizione tettonica si è realizzata per traslazione della successione carbonatica verso NE, avvenuta con sviluppo di pieghe a stretto raggio di curvatura (anche coricate), di fasce cataclastiche spesse anche più di 10 m e di cunei di roccia “enucleata”. Il versante a SW dell’allineamento tettonico è costituito da una monoclinale calcarea con termini dal Giurassico al Cretacico sup. regolarmente immergente verso NE

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Figura 80 - Grotta degli Urli. In alto: la galleria “Andrea Doria” segue una direzione leggermente divergente rispetto a quella della stratificazione, molto fitta; detrito e blocchi dal soffitto pavimentano il condotto (foto G. Mecchia). In basso: il salone “Kilauea”, con il livello marnoso, dello spessore di alcune decine di centimetri, in affioramento sulle pareti (foto Andrea Felici).

o NNE. Superato il fronte di sovrascorrimento, sul versante NE affiorano carbonati giurassici disposti in struttura monoclinale immergente verso NNE (DEVOTO & PAROTTO, 1967). Il versante a Nord-Est del sovrascorrimento Filettino-Monte Ortara, fino alla Valle Roveto In questo settore sono note 18 grotte, le più importanti delle quali in territorio abruzzese, per complessivi circa 600 m di condotti. L’Abisso di Pizzo Deta (-130 m) si apre sul versante orientale dell’omonimo monte; si tratta di un grande pozzo originato dalla coalescenza di tre fusi adiacenti impostati su una frattura nei calcari del Cretacico sup. (Fig. 79). Nel versante a Est della linea di cresta M. Crepacuore-M. Pozzotello-M. Ortara (Fig. 79), nei calcari del Dogger-Malm, si trovano l’Abisso della Liscia (-140 m), di recentissima esplorazione, e la Grotta di Collalto (-72 m). Quest’ultima dovrebbe essere costituita da una spaccatura tettonica; sulle pareti della diaclasi si troverebbero scallops indicanti un flusso idrico in risalita (D. BANDINI, com. pers.). Di particolare interesse idrogeologico nonostante il brevissimo tratto percorribile (9 m), è la Grotta di Zompo lo Schioppo, una sorgente carsica a regime intermittente, che da’ luogo ad una delle più belle cascate dell’Appennino. La grotta è un condotto con sezione freatica quasi circolare nei calcari del Neocomiano-Aptiano, in prossimità del fronte di sovrascorrimento dei M. Ernici verso Est sui depositi terrigeni della Val Roveto.

Figura 79 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti Ernici.


La dorsale Monte Agnello–Monte Vermicano–La Monna (a Sud-Ovest del sovrascorrimento FilettinoMonte Ortara) Questo settore, facilmente accessibile fino in alta quota salendo la strada che da Guarcino porta alla stazione sciistica di Campo Catino, costituisce una delle zone carsiche più importanti dell’Appennino laziale, con 50 grotte conosciute e circa 10 km complessivi di condotti ipogei fino ad oggi esplorati. Uno spartiacque sotterraneo divide quest’area in due bacini idrogeologici principali: a NW di Campo Catino le acque sotterranee defluiscono verso le sorgenti dell’Aniene, mentre a SW del campo chiuso le acque tornano a giorno nelle sorgenti dell’alto corso del Cosa e della Valle dell’Infernoversante Sud di M. Rotonaria. Sulle pendici di M. Agnello, appena al di fuori del bacino di Campo Catino, si apre la Grotta degli Urli (-610, sviluppo 3620 m), scavata nei calcari dell’Aptiano-Albiano. La grotta è costituita prevalentemente da gallerie con andamento complessivo parallelo alla direzione della faglia di Colle Repe riportata nel Foglio Subiaco della Carta Geologica d’Italia (in scala 1:50.000). In base alla tipologia e disposizione dei condotti di grotta, sembrano riconoscibili due fasi principali di sviluppo: ad un antico sistema di ampie gallerie fossili, infatti, appare sovrapposto un reticolo attivo con morfologie anguste ancora in fase di sviluppo. La Grotta degli Urli inizia con un breve tratto verticale, che comprende un pozzo di 20 m e che si innesta in una grande galleria fossile. Questa galleria può essere percorsa quasi con continuità per oltre 1 km, in discesa progressiva fino a –500 m, interrotta solo da una rapida successione di verticali in corrispondenza dell’attraversamento di una zona di faglia (che coincide con l’evidente canalone esterno), con dislivello complessivo di quasi 100 m dal salone “del Trentennale” alla sala “Mauna Kea”. La galleria fossile (“Andrea Doria–Lontano da Qui–Terzo Troncone”) ha dimensioni ampie, con larghezza per la maggior parte del percorso compresa fra 3 e 6 m, e morfologia chiaramente influenzata dai crolli (Fig. 80). E’ probabile che la galleria si sia originata in condizioni vadose, costituendo forse un condotto di drenaggio sotterraneo di un corso d’acqua di superficie dotato di portate periodicamente elevate. Considerando la posizione del tratto noto della grotta, il suo sviluppo potrebbe essere imputabile all’inghiottimento di acque che si raccoglievano al fondo di Campo Catino. Come anche altri condotti della grotta, la galleria fossile appare impostata all’intersezione fra linee di frattura sub-verticali orientate N30°W (parallele al disturbo tettonico di Colle Repe) e un piano di strato inclinato di 30° verso NE (Fig. 81). Lo strato inclinato su cui è impostata la grotta potrebbe corrispondere al livello marnoso di colore grigio-verdastro dello spessore di 30-50 cm che si osserva oggi tagliato sulle pareti di lunghi tratti della galleria. Tutti gli apporti idrici, attivi o fossili, provengono dalla sinistra idrografica (SW, Fosso dell’Obaco) e hanno probabilmente utilizzato il livello marnoso impermeabile. Il condotto principale si è disattivato ormai da molto tempo, anche se alcuni tratti sono stati riattivati da modesti rivoli d’acqua. I rami attualmente attivi (“Rio Bravo”, fino alla zona dei sifoni terminali, -600/-610 m) hanno andamento a meandro con le strette sezioni a buco di serratura tipiche degli approfondimenti vadosi. In base alla posizione dei condotti, sembra che il drenaggio tenda, nel tempo, a spostarsi verso NNE, forse ancora influenzato dalla posizione dello strato impermeabile. Anche i sifoni che attualmente impediscono l’ulteriore prosecuzione dell’esplorazione al fondo dovrebbero essere impostati sul livello marnoso. Sovrapponendo il rilievo della grotta alla carta geologica dell’area (DEVOTO, 1970), sembra che lo strato “grigio-verdastro” che si segue per lunghi tratti della grotta corrisponda al noto livello marnoso-calcareo a Orbitolina. Questo orizzonte infatti, per la sua relativamente facile riconoscibilità, è stato utilizzato da DEVOTO (1967; 1970) come limite cartografico fra i calcari del Cretacico inf. e sup., anche se in realtà è stato deposto un po’ al di sotto del suddetto limite. A ulteriore conferma della funzione svolta dal livello a Orbitolina, si constata che all’intersezione fra questo livello e la superficie topografica si innesta tutta una serie di sorgenti di trabocco: Fontana Mora, Fontana Cardellina, Fontana Canai e Fontana del Repe, situate sui rilievi del versante a Nord di Campo Catino (DEVOTO, 1967). Nell’area laziale, il livello a Orbitolina sembra aver avuto una funzione di orizzonte di scollamento contribuendo a frammentare i “blocchi” della piattaforma carbonatica in scaglie accavallate (SALVINI, 1991). L’importanza speleogenetica dei movimenti interstrato è stata ampiamente riconosciuta sulla base di osservazioni dirette e sottolineata da numerosi autori, anche se il meccanismo non ha ancora una spiegazione esaustiva (CAR & SEBELA, 1998); probabilmente anche uno

Figura 81 - Grotta degli Urli. In alto a sinistra: pianta. In alto a destra: posizione dei condotti carsici in alcune sezioni parallele all’immersione degli strati e circa trasversali all’asse della grotta. In basso a destra: schema interpretativo dello sviluppo della grotta in relazione alla posizione del livello ad Orbitolina (livello marnoso con Characeae). In basso a sinistra: rappresentazione dei condotti originari della galleria “Andrea Doria”, impostata all’intersezione fra lo strato marnoso e una frattura sub-verticale, con direzione obliqua rispetto a quella dello strato.

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del Cosa, alla base della Monna, si trova il Pozzo di Valle dell’Agnello (-62 m), il cui tracciato coincide con la giacitura dello strato, a forte inclinazione (80°), nei calcari del Dogger-Malm. Più in basso sul fondovalle, in località Innola, si trova la Grotta Verdecchia (+2/-4, sviluppo 280 m), una risorgenza temporanea scavata nei calcari del Dogger-Malm e costituita da una galleria sub-orizzontale impostata prevalentemente in interstrato con sali-scendi che determinano brevi sifoni. Ancora più in basso, pochi metri al di sopra dell’alveo roccioso del Torrente Cosa, si apre la Grotta del Risorghiotto (-18, sviluppo 190 m) che in seguito a forti piogge si attiva come risorgenza di troppo pieno. Si tratta di una galleria con morfologia freatica scavata nei calcari del Dogger; l’andamento a saliscendi determina la presenza di alcuni sifoni, i cui segmenti discendenti sono probabilmente impostati sugli strati, mentre il tratto iniziale della grotta potrebbe seguire la faglia E-W riportata nella cartografia geologica. A quote ancora inferiori, poco sopra Guarcino, alcuni metri al di sopra dell’alveo roccioso del Torrente Cosa, all’interno di un “blocco” di calcari del Dogger-Malm rialzato da faglie e incuneato in affioramenti di calcari miocenici, si trova la Grotta di San Luca (-45, sviluppo 103 m), costituita da una galleria discendente interstrato, con inclinazione uniforme di 30° lungo la massima pendenza degli strati.

I MONTI ERNICI SUD-OCCIDENTALI

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La struttura di quest’area è caratterizzata dal ripetuto accavallamento verso NE di una serie di scaglie tettoniche con assi NW-SE, secondo uno stile strutturale compressivo pellicolare. Sui piani di sovrascorrimento si rinvengono spesso strati di Marne a Orbulina, che probabilmente hanno svolto il ruolo di livelli di scollamento. Le scaglie sono state successivamente disarticolate in “blocchi” dalla tettonica Figura 82 - Bloccodiagramma dell’area di Campo Catino, tagliato lungo le sezioni della Grotta degli Urli e dell’Abisso Vermicano, con la posizione del livello marnoso ad Orbitolina. distensiva (CAVINATO ET ALII, 1991). L’azione del carsismo sui rilievi a “blocchi” ha dato origine ad un paesaggio caratterizzato da colli, dossi e schiene allungate, spesso separate da piane coperte di terre rosse o da slittamento limitato a pochi centimetri può essere sufficiente ad aumentare l’apertura dell’interstizio valli colmate da depositi alluvionali e lacustri. facilitando il passaggio dell’acqua (LOWE, 2000). La superficie di affioramento delle rocce calcaree nei M. Ernici Sud-occidentali è di 328 L’altra grande grotta dell’area di Campo Catino è il sistema sotterraneo di Monte Vermicano km2. La successione stratigrafica è quella tipica della serie carbonatica cretacico-miocenica della (-439, sviluppo 2600 m), che si addentra con tre imbocchi all’interno del versante Sud del monte piattaforma laziale-abruzzese, anche se in affioramento si rinvengono quasi esclusivamente le rocce omonimo. Questa cavità ha un assetto spiccatamente diverso rispetto alla Grotta degli Urli, iniziando calcaree del Cretacico sup. (205 km2) e del Miocene (116 km2). con una successione di grandi pozzi, seguiti da una lunga galleria attiva a debole inclinazione. Gli Nei calcari mesozoici il carsismo sotterraneo non appare particolarmente sviluppato, ed è imbocchi di quota più elevata immettono in pozzi (P112 ingresso Vermicano, P8+55 ingresso rappresentato da 45 cavità per uno sviluppo dei condotti di 8 m per km2 di affioramento. Nei calcari Gresele), impostati su fratture nei calcari del Cretacico inf. immediatamente sotto l’intersezione fra miocenici, invece, il fenomeno carsico assume le dimensioni tipiche di questa litofacies, con oltre 2 km la superficie topografica e il livello marnoso a Orbitolina, che qui ha spessore di pochi centimetri. A di condotti distribuiti in 24 grotte, e quindi con carsificazione media di 19 m per km2 di affioramento. qualche decina di metri di distanza dall’ingresso Gresele sgorga la sorgente perenne del Vermicano, Le situazioni più interessanti e le grotte di maggiore estensione si rinvengono nei Monti Affilani, captata dal locale acquedotto, che deve anch’essa la sua esistenza a questo piccolo orizzonte nella Montagna di Roiate, nell’area di Collepardo, nella conca di Fiuggi e nella dorsale di M. Trave. impermeabile. Il meccanismo genetico di formazione di questi grandi pozzi è lo stesso descritto per I Monti Affilani l’Abisso La Vettica: nell’area a monte della grotta l’acqua di infiltrazione raggiungeva attraverso fessure La struttura dei M. Affilani si caratterizza rispetto alle unità più settentrionali per l’esteso il livello impermeabile, che impediva l’ulteriore approfondimento verticale; l’acqua sotterranea era affioramento dei carbonati miocenici. La sovrapposizione sui M. Simbruini avviene lungo una complessa quindi costretta ad ampliare delle fessure in corrispondenza di questo livello, seguendo un percorso a linea di faglia (“superficie di taglio 11” dei M. Simbruini, DAMIANI, 1990a) che taglia la Valle dell’Aniene a bassa pendenza (quello dello strato), fino ad emergere all’intersezione con la superficie topografica. Nord dell’alveo fluviale. Tuttavia, per semplicità di esposizione, il settore della Valle dell’Aniene è stato L’acqua di questa sorgente poteva scorrere in superficie fino alla prima frattura aperta, dove veniva già descritto nei M. Simbruini; pertanto i M. Affilani vengono qui considerati come la dorsale allungata assorbita, inizialmente solo in parte e poi, con l’ampliamento del condotto, completamente, generando per quasi 10 km sull’asse NW-SE che culmina nel M. delle Pianezze (1332 m), delimitata sul versante così i grandi pozzi. Anche in questa grotta, quindi, si evidenzia l’importanza dei livelli impermeabili NE dal sovrascorrimento la cui traccia raggiunge gli Altopiani di Arcinazzo (Foglio Subiaco della Carta di spessore anche modesto, con la formazione di forme carsiche ipogee “complementari” a quelle Geologica d’Italia, in scala 1:50.000). A SW la struttura di M. Scalambra si accavalla sui M. Affilani lungo rinvenute nella Grotta degli Urli (Fig. 82). una superficie di taglio a notevole rigetto. A cavallo fra i M. Affilani e la dorsale di M. Scalambra è situata Alla profondità di 300 m, raggiunta con pozzi verticali impostati su vari sets di faglie e l’ampia depressione strutturale-carsica degli Altopiani di Arcinazzo (LUPIA PALMIERI & ZUPPI, 1977). fratture, e con brevi tratti interstrato, i condotti del Vermicano e del Gresele si uniscono e danno vita Nei M. Affilani così delimitati sono note una ventina di grotte, con uno sviluppo complessivo ad una galleria a meandro che si inoltra nei calcari del Dogger-Malm con un percorso, lungo 800 m fino inferiore a 500 m. Il carsismo risulta ben sviluppato nei calcari del Cretacico sup., con 32 m di condotti ad un sifone (-439 m) che ricalca quello del fosso esterno. La galleria contiene un torrente sotterraneo per km2 di affioramento suddivisi in 10 grotte, la più lunga delle quali è la Buca del Frulicchio (sviluppo che scende su fratture tagliando in contropendenza gli strati, qui inclinati di 45-50°; questa situazione di un centinaio di metri). Nei calcari miocenici, che affiorano sui 2/3 dell’area, il carsismo appare è rara nel Lazio, trovando una importante analogia solo nella Risorgenza della Gronda A nei M. “mediamente” sviluppato (16 m/km2), con 8 cavità carsiche e fra queste la Grotta di Piava Bella (-35 Simbruini. Per spiegare questo comportamento anomalo, si potrebbe ipotizzare la prosecuzione al di m) e il Pozzo di San Già (-36 m) nel comune di Arcinazzo Romano. sotto della grotta del piano di sovrascorrimento segnalato in letteratura (DEVOTO & PAROTTO, 1967). Diverse altre grotte di dimensioni significative si aprono sul versante a Sud della cresta che La Montagna di Roiate da M. Vermicano porta a La Monna. Nell’imbuto vallivo di Terra Muta, prossimo a Fosso Vermicano, è La Montagna di Roiate è la propaggine Nord-occidentale della dorsale di M. Scalambra stato esplorato il Pozzo Ernico (-51 m), scavato nei calcari del Cretacico inf. Nella zona alta della valle (1419 m); si allunga per circa 3 km in direzione dei lineamenti strutturali che la caratterizzano, orientati

N60-70°W e inclinati verso Sud, mentre trasversalmente a questa direzione la larghezza non supera 1 km. Sulla dorsale carbonatica affiorano esclusivamente i Calcari a Briozoi del Miocene, sui quali si è sviluppato un rilievo poco accidentato con massima elevazione a S. Maria della Serra (829 m). A SW e a NE la Montagna di Roiate è limitata da due valli incise nelle torbitidi silico-clastiche del Miocene, caratterizzate da bassa permeabilità (Fig. 83). Nella valle a SW il Fosso di Cona termina in un inghiottitoio situato nel punto più basso del bacino chiuso del Pantano, per riemergere all’esterno dopo un percorso di circa 700 m (in linea d’aria) dalla Grotta dell’Arco (in realtà, l’inghiottitoio oggi è ostruito e la sua funzione è svolta da una galleria artificiale parallela alla grotta). A NE della dorsale, il Fosso del Rio, che separa la Montagna di Roiate dai M. Affilani, scompare nel Pertuso di Roiate, fora il M. Verza e riemerge dalla parte opposta del rilievo ad una distanza di 150 m. Tutte e due le grotte di attraversamento sono scavate nella parte alta della formazione dei Calcari a Briozoi del Miocene, che in questa area hanno uno spessore di circa 300 m e sono caratterizzati da stratificazione mal definita o molto spessa (20-30 m) (DAMIANI, 1990c). Il Pertuso di Roiate (dislivello 15 m, sviluppo 240 m) drena un bacino idrografico di 50 km2, esteso per circa 1/3 su terreni arenacei a bassa permeabilità e per la parte restante su calcari miocenici e cretacici. Nel periodo più secco la grotta non è attraversata da acqua in scorrimento, ma durante la stagione piovosa si attiva e in concomitanza con gli eventi temporaleschi più intensi le portate possono essere elevatissime, come testimoniano i tronchi d’albero incastrati sulla volta del condotto. Nella zona d’ingresso il traforo sfrutta una frattura verticale orientata E-W; nel tratto interno utilizza numerose fratture appartenenti a due diversi sistemi (110-140° e 20-35°, Fig. 84). La stratificazione, massiva, non sembra avere un ruolo importante, influenzando solo alcune morfologie di dettaglio della grotta. Le sezioni trasversali sono quelle tipiche delle gallerie vadose scavate durante le piene da flussi d’acqua notevoli, che lavorano in pressione producendo sezioni larghe (come quella della Grotta di Pastena rappresentata in Fig. 66); nel Pertuso le larghezze alla base della galleria sono comprese fra 2 e 7 m, e l’altezza varia fra 3 e 18 m. La Grotta dell’Arco (+23, sviluppo 1216 m), come si è detto, drenava le acque del Pantano, una conca coperta dai sedimenti fangosi di un lago che si formava per la periodica ostruzione dell’inghiottitoio. Nel 1902 fu realizzata un’opera di bonifica, scavando una galleria artificiale a Ovest della grotta e prosciugando il bacino, con la definitiva chiusura dell’inghiottitoio (SEGRE, 1948a); attualmente dalla risorgenza emerge un modesto rivolo d’acqua. La grotta ha le caratteristiche imponenti tipiche delle gallerie attraversate da corsi d’acqua allogenici: la volta raggiunge i 35 m di

Figura 85 - La “grande cavità carsica a cielo aperto” del Pozzo Santullo (foto C. Germani).


altezza, la larghezza media della galleria è intorno a 5 m, con slarghi ampi fino a 20 m e restringimenti inferiori ai 2 m; il tratto conclusivo, di recente esplorazione, è più stretto. La galleria, pianeggiante, segue sistemi di fratture le cui prosecuzioni si osservano costantemente alla sommità della volta (SEGRE, 1948a). In alcune nicchie sulle pareti si sono accumulati depositi sabbiosi trasportati dall’acqua; in un piccolo tunnel parallelo al corso principale, però, la volta di arenaria sembra effettivamente in posto, e rappresenterebbe, quindi, il passaggio alla formazione arenacea sovrastante i calcari miocenici.

Figura 83 - Carta geologica dell’area di Roiate e Affile, con la localizzazione delle grotte del Pertuso di Roiate e dell’Arco e i rispettivi spartiacque dei bacini idrografici.

Figura 84 - Pianta, profilo rettificato e sezioni trasversali del Pertuso di Roiate, con la traccia degli elementi strutturali osservati in grotta.

L’area di Collepardo Nei pressi di Collepardo si trova una delle cavità più vaste e strane del Lazio: il gigantesco Pozzo Santullo (-43 m). Questa grande cavità carsica a cielo aperto (Fig. 85) ha una imboccatura esterna a forma ovoidale di 110x140 m e pareti strapiombanti lungo tutto il perimetro, dalle quali pendono numerose stalattiti molto degradate; la parete Sud è uno specchio di faglia inclinato di 70°. La parte superiore del pozzo è costituita, per alcuni metri di spessore, da brecce calcaree cementate quaternarie mentre la parte bassa è scavata nei calcari del Cretacico sup. Il Pozzo Santullo è stato interpretato come una forma epigenica. Infatti, secondo MAR TEL (1928) il pozzo si aprirebbe nel mezzo di un avvallamento superficiale che attualmente proseguirebbe asciutto oltre la cavità, ma che un tempo doveva essere percorso da un torrente; il pozzo, quindi, si sarebbe formato con lo “sprofondamento prodotto dalla rottura della volta di una caverna sul corso di un antico torrente sotterraneo”. Questa ipotesi è stata riproposta anche recentemente: l’infiltrazione di acque meteoriche avrebbe portato all’ampliamento di fratture per dissoluzione, e quindi alla formazione di piccole cavità coalescenti convergenti in una macrodolina, che avrebbe avuto la funzione di inghiottitoio, approfondendosi sul fondo; il collasso della volta e la riattivazione della faglia che costituisce la parete Sud avrebbero prodotto la forma attuale (PIPITONE, 1996). In alternativa, si propone una ipotesi che prevede per il Pozzo Santullo una origine ipogenica, basata sull’ossidazione di H2S fornito da un bacino di idrocarburi, con meccanismi analoghi a quelli proposti per le grotte delle Guadalupe Mountains nel New Mexico, U.S.A. (HILL, 1990). La morfologia della grande cavità a cielo aperto presenta chiare analogie con quella della Grotta di S. Lucia sul M. Soratte, anche se in uno stadio più avanzato dell’evoluzione. In quest’area, però, non sono note manifestazioni sulfuree, mentre sono ben conosciuti i giacimenti di asfalto della Certosa di Trisulti a Collepardo, distanti circa 3 km dal Pozzo Santullo. L’asfalto deriva dall’ossidazione di idrocarburi e indica, quindi, la presenza nel passato di un giacimento di petrolio. In questa località, le masserelle e venule di asfalto impregnano le brecce tettoniche derivate dall’imponente faglia GuarcinoSora, che localmente ha rialzato il settore settentrionale di 2500 m. Secondo CAVINATO ET ALII (1990) le impregnazioni interesserebbero solo i sedimenti giurassici, e quindi la risalita degli idrocarburi sarebbe avvenuta prima della tettonica distensiva che ha fratturato anche i calcari del Cretacico. In effetti, subito a Nord della linea tettonica, in località S. Domenico, sono note una decina di piccole grotte nei calcari giurassici a Palaeodasycladus (litofacies 66), mentre nessuna cavità ipogea è conosciuta a Sud della linea nella stessa località. Nella zona di Collepardo, la reazione in profondità fra gli idrocarburi in risalita e gli ioni solfato della formazione evaporitica triassica, situata alla base della pila carbonatica mesozoica, deve aver originato un fluido ricco di H2S e CO2. Questo fluido avrebbe potuto risalire attraverso fratture fino alla superficie della falda, dove il mescolamento con le acque meteoriche ben ossigenate avrebbe prodotto acido solforico, potente agente carsificante (vedi il riquadro “i grandi ambienti carsici sotterranei”). In via del tutto tentativa, si può ipotizzare che l’origine del Pozzo Santullo possa essere legata alla risalita localizzata del H2S attraverso fratture nel calcare cretacico. Nei punti di iniezione del H2S nella falda superficiale ossigenata la forte dissoluzione concentrata avrebbe creato il grande vacuo ipogenico. Più tardi, nel corso dell’evoluzione dell’area, le brecce quaternarie avrebbero coperto la superficie già erosa sovrastante la cavità. Poco a Sud del Santullo, circa 30 m al di sopra del letto del Torrente Fiume che scorre in una stretta gola, si trova la Grotta di Collepardo (+26/-11, sviluppo 130 m), costituita da un unico grande ambiente lungo oltre 90 m e largo fino a 60 m, con la volta alta fino a una ventina di metri, riccamente concrezionato e con alcuni evidenti specchi di faglia, nei calcari del Cretacico sup. Ancora più a Sud su un apparente allineamento Santullo-Grotta di Collepardo si rinvengono due grandi doline a imbuto: la Fossa della Volpe (-25, assi: minore 50 m, maggiore 250 m) e la dolina Cappezzoi (-20, ovoidale di 70x120 m). Fra le altre grotte conosciute in questo settore, sono da segnalare la Voragine di Monte Tesoro (grande pozzo con diametro di 7-8 m, profondo 45 m) e la Grotta Imbroglita (-35, sviluppo 97 m). Quest’ultima è costituita da una galleria discendente che si sviluppa nei calcari del Cretacico sup. parallelamente e a breve distanza dal piano di sovrascorrimento riportato nella cartografia geologica. Il tratto iniziale è palesemente impostato su una frattura; la grande sala che segue è posta all’incrocio tra la frattura iniziale ed una faglia ad essa perpendicolare e termina su una parete con un evidente specchio di faglia; segue uno scivolo che porta all’ultima grande sala, con il soffitto costituito da un letto di strato sub-orizzontale.

I bacini chiusi della conca di Fiuggi Lungo il bordo SW dei Monti Ernici si trova una vasta area in cui le acque si raccolgono in depressioni drenate da inghiottitoi. Gli spartiacque fra i 5 bacini chiusi sono costituiti da rilievi collinari poco marcati. Il bacino idrografico più grande è quello di Canterno, che si estende su un’area di circa 70 km2, delimitata a Nord da rilievi calcarei del Cretacico sup.-Miocene che si innalzano fino ai 1131 m di M. Civitella; il fondo è occupato dal lago carsico di Canterno (q. 540 m). Un tempo almeno due inghiottitoi principali smaltivano gli afflussi nel bacino chiuso: Bocca di Muro, che convogliava gran parte delle acque, e il Pertuso, nel quale si raccoglieva una parte minore del flusso. In seguito all’ostruzione definitiva dell’inghiottitoio principale, causata dai materiali fluitati nei primi decenni del 1800, tutto il flusso confluì nel Pertuso, comportando periodiche ostruzioni e la formazione di un lago. Per dare una sistemazione definitiva allo specchio d’acqua, un secolo più tardi fu perforata una galleria artificiale lunga 2 km sotto M. Maino, che va ad alimentare una centrale elettrica localizzata all’esterno del bacino. L’Inghiottitoio del Pertuso di Canterno, situato sul fondo del Lago di Canterno, attualmente è chiuso e inaccessibile. L’ingresso era un grande imbuto asimmetrico scavato nei Calcari a Briozoi e Litotamni del Miocene, dalla cui base una galleria in leggera discesa portava fino ad una saletta sul fondo della quale l’acqua scompariva in una fessura (SEGRE, 1948a). Gli altri bacini della conca di Fiuggi si trovano ad Est del bacino di Canterno. 1) Nella Bocca dei Petuni (-16, sviluppo circa 15 m) termina il corso esterno del fosso che percorre la valle a Sud del paese di Trivigliano. 2) Le acque che scorrono nel fosso a Nord di M. Barazzo vengono inghiottite nella Bocca del Puzziglio (-3, sviluppo 10 m). 3) Separato dalla grotta precedente da un dosso appena accennato, l’Inghiottitoio Bocca della Parata (attualmente ostruito all’imbocco) drena il fosso che scorre a Ovest di M. Barazzo. 4) Il bacino più meridionale è occupato da due pantani, i Laghi Lattanzi. Fra il 1° e il 2° di questi bacini, il 4 ottobre 1971 si è aperta, con un crollo, una voragine con diametro di 50 m e profondità di 30 m (Voragine di Fontanelle), senza che in precedenza fosse mai stata notata una dolina.

LA VALLE LATINA La Valle Latina separa la catena dei Volsci dalla dorsale dei M. Simbruini-M. Ernici-M. Cairo. La valle è colmata da sedimenti terrigeni, in parte coperti da depositi continentali lacustri e da piroclastiti e lave del Vulcano Albano, dei centri eruttivi Ernici e del Vulcano di Roccamonfina. Sono presenti numerose bancate di travertino, che originano grandi placche nei pressi di Anagni e Ferentino. Il substrato calcareo mesozoico emerge in alcuni punti della valle formando strutture minori, la più interessante delle quali è la dorsale di M. Trave. Il Monte Trave La “spina” calcarea di M. Trave (326 m), situata lungo il Fiume Sacco, ha una struttura ad anticlinale asimmetrica vergente a NE. Nei circa 5 km2 di affioramenti calcarei di piattaforma la sola cavità carsica nota è la Voragine di Monte Trave, costituita da un unico grande ambiente, con imbocco ellittico ad asse maggiore di 50-60 m, con pareti verticali o strapiombanti e profondità di 84 m (Fig. 19). Il grande salone, di probabile origine ipogenica, si apre quasi in cima al colle, sul fianco orientale della piega, dove gli strati sono inclinati di 45-65° verso NNE. Il fondo della voragine è a quota 186 m. Due piccoli ammassi di travertino si trovano addossati a NW e SE del colle di M. Trave; la loro origine è da cascata, diversamente dalle estese placche di travertino di deposizione idrotermale che circondano l’area (ALBER TI ET ALII, 1975). I travertini di Anagni e di Ferentino A Nord della dorsale di M. Trave si incontra l’esteso affioramento di travertino di Anagni. La placca ha uno spessore limitato a pochi metri, però altri depositi travertinosi si rinvengono intercalati nel potente complesso argilloso-sabbioso di ambiente lacustre del Quaternario (BERGOMI & NAPPI, 1971). Anche se attualmente non sono attive sorgenti termominerali, l’origine di questo deposito sembra correlata con l’attività vulcanica locale. Non sono riportate in catasto cavità relative a questa piastra travertinosa. Nella zona di Ferentino, circa 5 km a ENE di M. Trave, a quota di circa 230 m, sgorgano numerose sorgenti di acqua bicarbonato-sulfurea fredda, con abbondanti venute gassose; nella zona si avverte sempre la presenza delle emanazioni sulfuree. La mineralizzazione delle acque è da mettersi in relazione con la venuta a giorno di fluidi mineralizzanti risalenti lungo le fratture che interessano il basamento calcareo, alle quali è legato anche il vulcanismo quaternario dei M. Ernici (CAMPONESCHI & NOLASCO, 1978-86). Questi fluidi hanno depositato il carbonato di calcio che costituisce l’estesa placca di Ferentino, potente, però, al massimo solo pochi metri. Nessuna cavità carsica catastabile è nota in queste bancate.

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Figura 86 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nel Monte Cairo e nell’area dei Monti di Venafro compresa nel territorio della regione Lazio.

IL MONTE CAIRO IL MASSICCIO CALCAREO DI MONTE CAIRO Il massiccio isolato di M. Cairo (1669 m), nel cuore della Ciociaria, è costituito da una sequenza calcarea tipica della piattaforma carbonatica interna depositatasi nel Mesozoico (litofacies 63 e 55) (Fig. 86). La sedimentazione calcarea è interrotta da una lacuna di notevole ampiezza (Albiano sup.–Cenomaniano inf.), come evidenzia la presenza di un livello di bauxite terrosa, discontinuo e di spessore modesto (in genere meno di 1 m). Sul margine orientale della struttura, il lineamento tettonico Atina-S. Elia Fiumerapido mette in contatto il massiccio del Cairo con i Monti di Venafro. Nella valle impostata lungo il lineamento i calcari di mare poco profondo del Cretacico sup. di M. Cairo entrano in contatto con il Gruppo di M. Cifalco, costituito da una successione carbonatica sensibilmente diversa, di mare più profondo, tipica del margine della piattaforma carbonatica (litofacies 51c). Sul versante SW una faglia separa M. Cairo dalla Valle Latina, mentre a Nord del massiccio si trova l’esteso deposito dei “conglomerati di Santopadre” che forma una dolce morfologia collinare, dalla quale emergono numerosi rilievi costituiti da calcari del Cretacico sup. e del Miocene. Nell’insieme, i carbonati meso-cenozoici rappresentano una superficie estesa 192 km2, il 95% della quale costituita dalle litofacies di acque basse del Mesozoico. Il carsismo ipogeo nei calcari è poco sviluppato, con 20 grotte, quasi tutte nelle litofacies 55 e 63, per un totale di quasi 800 m di condotti sotterranei. Tra le cavità conosciute, 3 (piccole e ad andamento orizzontale) si aprono nella Valle del Melfa, mentre altre 14 grotte, sempre di modeste dimensioni, sono distribuite all’interno del massiccio montuoso. Fra queste la più profonda è il Pozzo Valentina (-51 m), che si affaccia nella valle Atina–Belmonte Castello. Si tratta di un fuso con sezione quasi circolare, impostato su alcune fratture parallele, sviluppato nei calcari del Cretacico sup. Nel settore meridionale di M. Cairo, nei pressi del paese di Villa Santa Lucia, si apre la Grotta La Fossa (-32, sviluppo 65 m), una grande “dolina” di crollo imbutiforme seguita da un basso e largo ambiente. Al margine NW del massiccio carbonatico del Cairo e fino al F. Liri affiorano alcune alture calcaree, che emergono dal vasto deposito di conglomerati plio-pleistocenici. Solo tre grotte sono note su questi colli, la più importante delle quali, la Fossa del Monte (-86 m), è scavata nei calcari del

Cretacico sup. di Colle le Cese, presso Fontana Liri. Questa cavità è costituita da una grande galleria discendente che immette in una vasta sala con pianta ampia 40x60 m; il pendio detritico termina con un pavimento fangoso pianeggiante situato a quota 244 m; la volta è una cupola alta oltre 30 m (Fig. 19). Ai piedi della collina, cioè a circa 700 m di distanza dalla cavità in sinistra del Rio Arimucci, affluente del F. Liri, sgorga saltuariamente la sorgente Acqua Solforica (q. 142 m), con acque solfureobicarbonate fredde, opalescenti, con abbondanti venute gassose localizzate, che producono un acuto odore di H2S. Altre polle di acque sulfuree si trovano nelle vicinanze (CAMPONESCHI & NOLASCO, 1978-86). L’origine della cavità potrebbe essere dovuta alla risalita dei fluidi sulfurei (vedi riquadro “i grandi ambienti carsici sotterranei”).

Figura 87 - Sistema carsico Buco Marcello-Risorgenza di Zompa lo Zoppo, nei conglomerati di Santopadre. In basso: pianta delle grotte riportata sulla Carta Tecnica della regione. In alto a sinistra: forra vadosa, alta 3-4 m, nel ramo “a monte” nel Buco Marcello. In alto a destra: condotta freatica all’uscita della Risorgenza di Zompa lo Zoppo (foto G. Mecchia). In entrambe le immagini sono evidenti ciottoli di varia litologia sporgenti dalle pareti.

I DEPOSITI DI TRAVER TINO Nella media valle del Liri, intorno a Isola del Liri e Fontana Liri Inferiore, si stende una piastra di travertini lunga una decina di km e larga circa 4 km, con spessore generalmente compreso fra alcune decine di metri e 120 m. Le bancate sono state deposte in una depressione interessata da faglie distensive nel Pleistocene medio (fra 360 mila e 80-90 mila anni fa, ultimo interglaciale), probabilmente con l’alternarsi di fasi di deposizione in ambienti fluvio-lacustri-palustri e di cascata, anche se non si può escludere che parte del processo di deposizione sia stato determinato dalla risalita di fluidi endogeni. Successivamente la placca è stata incisa e smembrata per erosione dal F. Liri (CARRARA, 1991). Attualmente il carsismo ipogeo in questi travertini è del tutto sconosciuto, probabilmente per carenza di ricerche speleologiche. Un altro esteso deposito di travertini si trova presso Casalvieri, sul bordo settentrionale del massiccio calcareo di M. Cairo, lungo la sponda destra del Fiume Melfa. La deposizione della bancata, che localmente supera i 10 m di spessore, potrebbe essere dovuta alla risalita di fluidi attraverso fratture nel basamento calcareo (ANGELUCCI, 1970). Non sono riportate cavità carsiche nel catasto regionale, tuttavia è segnalato un carsismo “anche di un certo rilievo” come testimonierebbe la Grotta dell’Acqua, a SE del paese di Roselli (MANFRA ET ALII, 1976). Una terza estesa piastra travertinosa, sulla quale sorge il paese di Aquino, si rinviene nella Valle Latina a SW di M. Cairo. Il deposito, che probabilmente poggia su limi lacustri, ha modesto spessore, in genere di alcuni metri e comunque sempre inferiore a 18 m. Anche l’origine di questi travertini sarebbe legata al vulcanismo (DEVOTO, 1965; MANFRA ET ALII, 1976). Non sono noti fenomeni carsici ipogei.

Figura 88 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nel Monte Maio (Monti Aurunci Orientali).


LE GROTTE NELLE PUDDINGHE DI SANTOPADRE

I MONTI DI VENAFRO

MONTE NURIA

Nell’area fra Arpino e Santopadre, a Est del F. Liri, affiora su una estensione di circa 100 km2 il complesso conglomeratico delle puddinghe di Santopadre. Il deposito è di origine continentale, formato prevalentemente da ciottoli arrotondati di calcari del Cretacico e del Miocene, ma anche di calcari marnosi, arenarie fortemente cementate e marne nerastre. I livelli in cui prevale la componente marnoso-calcarea si presentano fortemente cementati e stratificati; sono frequenti le eteropie con lenti sabbiose e argillose e le intercalazioni di limi sottilmente stratificati di ambiente lacustre. Lo spessore del complesso è variabile da pochi metri fino a valori massimi probabilmente di circa 100 m (ANGELUCCI, 1970). Nei conglomerati l’aspro paesaggio dei rilievi calcarei viene attenuato per assumere una morfologia collinare, anche se a quote abbastanza elevate (fino a quasi 800 m). Le numerose doline in località Faete sembrano ereditate dal carsismo dei sottostanti calcari (ACCORDI ET ALII, 1967). Il carsismo sotterraneo attualmente conosciuto è costituito da 5 grotte, alcune delle quali di notevole interesse, per uno sviluppo complessivo di oltre 1300 m di condotti. La cavità più estesa è il Buco Marcello (-56, sviluppo 690 m), costituito da una galleria iniziale a forra, le cui pareti, frequentemente coperte di fango, sono costituite da ciottoli cementati (Fig. 87). Alcuni piani di stratificazione dei conglomerati, leggermente inclinati verso Nord, sono ben visibili e a tratti costituiscono il soffitto della grotta. Dopo circa 200 m il condotto si immette nel mezzo di una galleria attiva a forra, ortogonale alla prima, che può essere percorsa sia verso monte che verso valle per più di 400 m complessivi. A 600 m di distanza dall’ingresso di Buco Marcello è stata recentemente forzata una risorgenza, Zompa Lo Zoppo (+9, sviluppo 470 m), attualmente in esplorazione. Le acque di questa sorgente perenne hanno inciso un fosso che dopo un percorso di circa 1 km si getta nel Fosso Porretta, a sua volta affluente del F. Melfa. La condotta iniziale, in leggera discesa e completamente allagata (resa accessibile per svuotamento con pompe), è scavata in un conglomerato calcareo molto compatto; il “tubo” ha sezioni con larghezze comprese fra 1 e 3 m (Fig. 87), le pareti sono cesellate da scallops mentre il pavimento è una serie continua di vasche profonde anche più di mezzo metro, riempite da sedimenti fangosi. Nelle pareti del grande salone tra il 1° e il 2° sifone si nota la successione dei depositi: al di sopra del conglomerato su cui si sviluppa tutto il ramo attivo vi è una alternanza di strati di arenaria (ognuno dello spessore di circa 1 m) e di conglomerati (spessori di circa 30 cm). L’ipotesi che le acque di Buco Marcello emergano dalla Risorgenza di Zompa Lo Zoppo è suggestiva, considerando che i sifoni estremi delle due grotte distano 280 m e il dislivello è di 37 m. I conglomerati di quest’area non sono saturi, e le acque di infiltrazione generalmente proseguono il loro cammino verso il basso nei sottostanti calcari (la falda profonda è localizzata a quote di circa 150 m). Oltre alla Risorgenza di Zompa Lo Zoppo, nei conglomerati sono note altre piccole sorgenti, probabilmente alimentate sempre da condotti carsici, come riscontrato anche nella risorgenza temporanea della Grotta delle Fate (+4/-2, sviluppo 82 m).

La struttura dei M. di Venafro, posta a cavallo fra le regioni Lazio e Molise, si eleva fino alla quota di 1395 m del M. Monna Casale. All’interno dei confini della nostra regione i depositi calcarei e dolomitici coprono una estensione areale di circa 180 km2 (Fig. 86). La base della successione in affioramento è costituita dalle dolomie di piattaforma del Lias inf. (litofacies 67d), che occupano quasi metà della superficie. Al di sopra, la successione stratigrafica è caratterizzata da calcari saccaroidi e calcari cristallini (litofacies 51) del Cretacico sup., riferibili ad un ambiente di transizione dalla piattaforma carbonatica laziale-abruzzese al bacino pelagico molisano (SCROCCA ET ALII, 1995). La mancanza di depositi dal Lias a tutto il Cretacico inf. è stata attribuita alla presenza di zone di alto strutturale persistenti emergenti (IETTO, 1969). Verso Nord, tra Villa Latina e Colli al Volturno, l’unità carbonatica dei M. di Venafro è sovrascorsa sui flysch miocenici che rappresentano la parte sovrastante la successione carbonatica delle Mainarde. Questo sovrascorrimento, caratterizzato da una forte componente di movimento trascorrente, sembra correlabile con quello che borda i M. Ernici, di cui potrebbe essere la prosecuzione (SCROCCA ET ALII, 1995). Anche i M. di Venafro, quindi, sarebbero stati inglobati nell’edificio appenninico nel corso dell’evento tettonico del Messiniano inf. (6,4-6,8 milioni di anni fa) (CIPOLLARI ET ALII, 1995). Attualmente non risulta accatastata alcuna grotta nel settore laziale di questo massiccio, senz’altro poco battuto dagli speleologi. All’esterno della nostra area di studio, nel settore molisano, sono catastate 7 piccole grotte.

Il gruppo montuoso che culmina nel M. Nuria (1992 m) ha una lunghezza massima di 27 km lungo l’asse NW-SE e larghezza fino a circa 11 km. Il massiccio è caratterizzato da numerosi piani carsici di alta quota, fra cui quelli molto vasti di Rascino, che racchiude un lago perenne, e di Cornino, punteggiato da numerose doline e con un laghetto temporaneo. La successione carbonatica del M. Nuria si è deposta in un settore più interno della piattaforma laziale-abruzzese rispetto a quella di M. Giano-M. Gabbia, dalla quale differisce anche per la comparsa di livelli bauxitici del Cenomaniano sup.-Turoniano. Sul bordo occidentale, in corrispondenza del paese di Staffoli, affiorano i termini più antichi, le dolomie del Lias inf. e i calcari a Palaeodasycladus. Tuttavia, la quasi totalità dei 188 km2 di affioramenti carbonatici mesozoici è costituita dalle litofacies 63 e 55 del Dogger-Cretacico. Il carsismo sotterraneo è quasi sconosciuto, con 7 grotte sub-orizzontali riportate in catasto, nessuna delle quali raggiunge i 30 m di lunghezza. Da segnalare, però, la presenza nell’angolo NW del massiccio della più importante sorgente del Lazio, il Peschiera, che eroga una portata media di circa 17 m3/s. Nel corso dello scavo dei condotti per la realizzazione della captazione delle acque è stata intercettata, nei calcari del Cretacico sup., una caverna sotterranea (non riportata in catasto) del diametro di una quindicina di metri, quasi interamente sommersa. Come si è detto nella prima parte di questo capitolo, la valle del Fiume Velino nel corso del Quaternario è stata colmata da decine di metri di depositi, che probabilmente hanno seppellito e annegato gli antichi condotti di risorgenza.

IL MONTE MAIO A Est della Valle dell’Ausente si eleva il gruppo montuoso carbonatico di M. Maio (o M. Aurunci orientali), sovrascorso verso NE sui depositi terrigeni del Miocene (Fig. 88). I M. Aurunci orientali sono suddivisi da faglie nelle tre strutture minori di Coreno Ausonio (a Ovest, 51 km2), di Vallemaio (a NE, 8 km2) e di Castelforte (a SE, 34 km2), tutte con assetto a monoclinale immergente a SW e con deboli deformazioni interne (ROMANO & URGERA, 1995). In affioramento si rinvengono prevalentemente depositi calcareo-dolomitici di acque poco profonde del Giurassico e del Cretacico (litofacies 63 e 55), nei quali, però, non sono note cavità carsiche sotterranee. Sui fianchi occidentali dei tre elementi strutturali, a quote sempre modeste, affiorano in trasgressione i depositi paleogenici, coperti a loro volta in trasgressione dai Calcari a Briozoi e Litotamni del Miocene (spessore fino a 150 m). I calcari del Paleogene, nei quali non sono conosciute grotte, hanno spessori massimi di soli 30 m. Nei calcari miocenici della dorsale di Coreno Ausonio, lunga 15 km sull’asse NNW-SSE, e larga fino a 5 km, con massima elevazione nel M. Maio (940 m), si aprono tutte le 9 grotte conosciute nei M. Aurunci orientali. La lunghezza complessiva dei condotti è di circa 500 m, con uno sviluppo medio di 22 m di condotti per km2 di affioramento. La più importante di queste cavità è il Labirinto di San Lorenzo (+9/-12, sviluppo 150 m) che si apre a q. 30 m sul margine meridionale della dorsale. Si tratta di una grotta riccamente concrezionata, sub-orizzontale, costituita da più diramazioni. All’estremità SE del bordo della dorsale di Castelforte è famosa la Mofeta di Suio, una piccola sorgente gorgogliante a temperatura ordinaria a cui sono legate delle emanazioni di H2S, tipica manifestazione post-vulcanica del Vulcano di Roccamonfina.

La catena Velino-Nuria-Giano, i Monti Carseolani, il Monte Val di Varri, la Marsica occidentale e il massiccio della Meta–Mainarde Nel Mesozoico, l’area che successivamente avrebbe prodotto le montagne oggetto di questo paragrafo era parte del settore più orientale dell’originaria piattaforma carbonatica, dove gli ambienti di deposizione di acque basse si avvicinavano al bordo della struttura fino a superarne il margine. La distribuzione delle litofacies, quindi, è più complessa di quella descritta precedentemente per le strutture dei Volsci e dei M. Simbruini-Ernici, e presenta importanti variazioni anche all’interno delle singole strutture. Durante l’evento tettonico Messiniano “lago-mare”–Pliocene inf. (5-5,4 milioni di anni fa) quest’area, situata prevalentemente in territorio abruzzese, è stata inglobata nella catena appenninica andando a costituire le catene di M. Giano-M. Nuria-M. Velino, dei M. Carseolani e del Salto, della Marsica, della Meta-Mainarde e di altri gruppi montuosi esterni alla nostra area di studio (CIPOLLARI ET ALII, 1995).

LE CATENA MONTE GIANO–MONTE NURIA–MONTE VELINO Questa catena è delimitata a NW dalla valle del F. Velino, a NE dall’alta valle dell’Aterno fino a L’Aquila, a Est dall’Altopiano delle Rocche fino a Celano e a SW dalla Valle del Salto. Il nucleo di questa struttura, e in particolare della parte centrale e meridionale, è costituito da facies carbonatiche di piattaforma poco diverse da quelle delle altre strutture laziali-abruzzesi precedentemente descritte. Ciò nonostante, non mancano significative variazioni di facies che preannunciano a vari livelli l’avvicinarsi dei bacini pelagici (Fig. 89). La struttura è costituita da 4 grandi unità principali, orientate NW-SE: M. Giano-M. Gabbia, M. Nuria, M. Velino-M. S. Rocco, Monti d’Ocre (quest’ultima unità abruzzese è però al di fuori dell’area di studio).

MONTE GIANO–MONTE GABBIA Questo tratto di catena è lungo una quindicina di km sull’asse NW-SE e largo fino a 10 km; le cime più alte sono il M. Calvo (1901 m) e il M. Giano (1826 m). Il gruppo montuoso è posto nella zona d’incontro tra l’area umbro-marchigiana (Unità dei M. Sibillini) e quella laziale-abruzzese (M. GianoM. Gabbia e Gran Sasso). Le unità umbro-sabine, a Ovest, sono tettonicamente sovrapposte lungo la linea Olèvano-Antrodoco all’unità M. Gabbia-M. Giano, che a sua volta si sovrappone verso NE, lungo la linea di accavallamento M. Gabbia-M. Cagno, sui termini di transizione-bacino del Gran Sasso (BIGI ET ALII, 1991; CAPOTOR TI ET ALII, 1995). La successione carbonatica è rappresentata da dolomie del Triassico sup. di laguna evaporitica (litofacies 69), su cui poggiano le formazioni carbonatiche mesozoico-paleogeniche della piattaforma laziale-abruzzese. Verso Ovest e verso Nord si osserva il passaggio dai termini di piattaforma carbonatica a quelli di transizione al bacino. Il carsismo sotterraneo è pochissimo sviluppato. Sui 145 km2 di affioramenti carbonatici sono note solo 3 grotte, delle quali due in territorio abruzzese nei calcari del Cretacico sup. (litofacies 54), e la più interessante, la Grotta Oscura (+27, sviluppo 70 m), nei calcari liassici della litofacies 67d che affiorano sulla destra idrografica del F. Velino.

MONTE VELINO–MONTE SAN ROCCO Questa struttura, lunga 32 km in direzione NW-SE e larga fino a 13 km, comprende diversi gruppi montuosi, con più cime che svettano a oltre 2000 m di quota, dominate dal M. Velino (2487 m). La piramide del Velino, nuda di vegetazione e dall’aspetto desolato, si erge dalla piana del Fucino con un dislivello di 1800 m. Nella parte orientale del massiccio, fra il M. Orsello (2046 m) a Nord e il M. della Magnola (2223 m) a Sud, si trovano le grandi depressioni chiuse di Campo Felice e del Piano di Pezza, in parte colmate da depositi glaciali, in parte rivestite da terre rosse. Le rocce che costituiscono gran parte di queste montagne (quasi il 90% dei 258 km2 di sedimenti carbonatici in affioramento), sono quelle tipiche della piattaforma subsidente del GiurassicoPaleocene (litofacies 63 e 55). Però, contrariamente a quanto si riscontra nelle altre dorsali costituite da calcari della piattaforma interna, il carsismo sotterraneo sembra essere quasi assente, infatti solo due piccole grotte si aprono nei depositi mesozoici di acque basse, entrambe nel territorio laziale sulle pendici di M. Murolungo. La successione calcarea del Mesozoico di quest’area si differenzia da quella delle strutture dei Volsci e dei M. Simbruini-Ernici per la presenza di due orizzonti bauxitici del Cenomaniano, che indicano l’emersione dei depositi a scala regionale e l’attivazione di processi tipici degli ambienti continentali (BOSI & MANFREDINI, 1967). Comunque, non sono note cavità carsiche ipogee connesse con gli orizzonti bauxitici di questa struttura. In alcune località sono presenti i calcari del Miocene, deposti in trasgressione sopra i calcari mesozoici. Questi depositi hanno spessore generalmente modesto (alcune decine di metri) e affiorano solo sul 10% della superficie, anche se originariamente dovevano probabilmente coprire interamente i calcari mesozoici. Non sono note grotte in questa formazione. Nel settore più settentrionale della struttura comincia progressivamente ad aumentare la presenza di sedimenti clastici nelle rocce calcaree mesozoiche, indicativa del passaggio dalla sedimentazione di piattaforma laziale-abruzzese a quella di mare aperto del bacino umbromarchigiano. Nei Monti d’Ocre, a NE del M. Orsello, è stata riconosciuta una zona di soglia (affioramento di calcari detritici della litofacies 54) attiva a partire dal Cretacico inf. e per tutto il Cretacico sup. (BOSI & MANFREDINI, 1967). Anche il bordo settentrionale della struttura, a Nord di M. S. Rocco (Tornimparte), è situato nella zona di transizione al bacino (schema dei rapporti stratigrafici, Fig. 89). Quest’area è stata soggetta a oscillazioni del livello del mare che hanno determinato la sovrapposizione ciclica di depositi calcarei di piattaforma con depositi anche argillosi di mare più aperto (BIGI ET ALII, 1995). Nell’area di M. S. Rocco, la transizione al bacino è indicata anche dall’intercalazione di livelli argillosi all’interno della pila calcarea, situazione che crea presupposti particolarmente favorevoli per lo sviluppo di condotti ipogei, come conferma la presenza sul versante abruzzese del M. S. Rocco di numerose piccole sorgenti, le cui acque provengono inevitabilmente da condotti carsici. Tre di queste sorgenti sono state forzate e hanno permesso l’esplorazione di lunghe gallerie sotterranee periodicamente percorse dall’acqua: la Grotta di Vaccamorta, la Risorgenza di Fonte la Rocca e la Risorgenza Cul di Vacca. In figura 89 i depositi di transizione sono accorpati con quelli di piattaforma interna, mancando nella cartografia geologica una chiara suddivisione estesa a tutta l’area del massiccio. La Grotta di Vaccamorta (+89, sviluppo 1090 m) è un bell’esempio di condotto di origine vadosa impostato prevalentemente sulla stratificazione (Fig. 90) e ancora attivo. Attualmente il torrente scorre ovunque a pelo libero e la forma dei condotti è quasi sempre quella di un canyon

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Figura 90 - Un tratto fra i più angusti della Grotta di Vaccamorta (foto M. Mecchia). Si nota il giunto di strato sul quale si è originato il condotto, il soffitto leggermente arcuato, la forra di approfondimento vadoso ancora poco incisa (circa 1,5 m), gli scallops sulle pareti.

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Figura 89 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei massicci di M. Giano-M. Gabbia, M. Nuria, M. Velino-M. Orsello-M. San Rocco e nella dorsale di M. Val di Varri-M. Faito.

Figura 92 - Risorgenza di Fonte la Rocca. In alto: pianta e sezioni trasversali con le rispettive posizioni altimetriche. In basso: due immagini della condotta freatica, con sezioni trasversali allungate sul giunto di strato; l’approfondimento vadoso è limitato a pochi centimetri (foto S. Bevilacqua).


(sezioni trasversali di Fig. 91), anche se a tratti sono evidenti sul soffitto morfologie da scorrimento a pieno carico. Tutta la grotta appare originata in un ristretto gruppo di strati con spessore complessivo di circa 15 m, inclinati mediamente 10-15° (Fig. 91). Presso l’imbocco e sulle pareti interne si osservano alcuni livelli argillosi, di pochi centimetri di spessore, che hanno probabilmente avuto un ruolo importante nella genesi del condotto. Le fratture che interessano l’ammasso roccioso e che si osservano in grotta, hanno certamente avuto un ruolo nella definizione del tracciato della galleria sotterranea, tuttavia sembra che la loro importanza sia minore rispetto a quella della stratificazione. L’acqua che scorre nel torrente ipogeo è quella delle piogge che si infiltrano in un’area di piccole dimensioni estesa fino alla zona di assorbimento di doline Le Cese, distante 2 km dall’emergenza. L’acqua di infiltrazione scende attraverso fratture fino ad incontrare gli strati carsificati, e da qui li segue fino alla risorgenza. Non esiste una zona freatica né una falda acquifera, come conferma l’andamento molto variabile delle portate idriche e la topografia dei condotti, che si sviluppano con pendenza relativamente forte, complessivamente nel verso della massima pendenza degli strati. La Risorgenza di Fonte La Rocca (+5/-6, sviluppo 186 m) è costituita da un condotto ad andamento quasi orizzontale che si snoda con tracciato meandriforme complessivamente parallelo alla direzione degli strati, inclinati di 8-10°. In corrispondenza di alcune fratture il condotto curva bruscamente oppure sono presenti camini interessati da stillicidio. Il condotto si è sviluppato in un interstrato (o forse in alcuni interstrati ravvicinati) prevalentemente durante fasi di completo allagamento, nel corso delle quali le acque in pressione hanno prodotto sezioni trasversali lenticolari allungate sulla pendenza dello strato (Fig. 92). In alcuni segmenti del condotto si osservano indizi di modesto scorrimento vadoso, costituiti da solchi profondi al massimo 1-2 m. La Risorgenza di Cul di Vacca (+67, sviluppo 460 m), di recentissima esplorazione, ha un andamento vadoso simile a quello della Grotta di Vaccamorta, e probabilmente si sviluppa anch’essa in interstrati riferibili al segmento di sequenza stratigrafica che comprende gli orizzonti argillosi sopra menzionati.

I MONTI CARSEOLANI I Monti Carseolani formano una dorsale calcarea larga fino a 3 km e lunga circa 35 km da Ricetto (NW) a Capistrello (SE), situata quasi interamente in territorio abruzzese. L’attuale area di affioramento dei carbonati meso-cenozoici, messa a nudo dall’asportazione della copertura di depositi terrigeni, ha una estensione di circa 70 km2. La struttura carseolana è suddivisa in 5 unità tettoniche: M. Piano, Tufo Basso-Pietrasecca, Roccacerro-Guardia d’Orlando, M. Valminiera-Tagliacozzo e M. Girifalco-M. Arunzo (COMPAGNONI ET ALII, 1991). Le strutture carseolane sono tipicamente anticlinali asimmetriche sovrascorse verso Est o NE (Fig. 93); nel settore centrale (ma forse in tutta la dorsale) il bordo NE è tagliato da una zona di faglia trascorrente destra (MONTONE & SALVINI, 1993). A NE e a SW la dorsale calcarea è delimitata da valli incise nei depositi argilloso-arenacei del Miocene, nelle quali scorrono corsi d’acqua temporanei. I torrenti che raggiungono l’unità solubile calcarea scompaiono quasi sempre in grandiosi inghiottitoi, fenomenologie carsiche distintive di questa dorsale. La successione carbonatica di piattaforma interna visibile in affioramento si è depositata quasi esclusivamente nel Cretacico sup. e nel Miocene. L’area di affioramento dei calcari del Cretacico inf. è molto ridotta e nessuna grotta è nota al loro interno. I calcari del Cretacico sup. interessano una superficie di affioramento di circa 14 km2; in essi si aprono 3 grotte e lo sviluppo medio dei condotti sotterranei è di 167 m/km2. E’ però necessario ricordare che in alcune importanti grotte i condotti si aprono all’esterno nei calcari miocenici e raggiungono i carbonati mesozoici solo in profondità, anche se questi non sono presenti in affioramento. All’estremità settentrionale della struttura compaiono i calcari di soglia (litofacies 54), nei quali si trovano due piccole grotte. La maggiore estensione in affioramento riguarda i calcari miocenici, che occupano i 3/4 della dorsale carbonatica; lo sviluppo di condotti carsici in questa formazione risulta “elevato” (107 m/km2 di affioramento). Sulle differenze di carsificabilità fra i calcari del Cretacico sup. e quelli miocenici si sono espressi diversi autori. SEGRE (1948a) segnala la diversità di fratturazione: nei calcari cretacici è più regolare, con fratture anche beanti, mentre nei calcari miocenici predomina il caratteristico sistema di fratturazione romboedrica, con una rete di fessure molto fitta che determina la facile frammentazione della roccia. Secondo PASQUINI (1963a; 1963b), il nucleo cretacico sarebbe stato protetto dall’attacco delle acque soprattutto dalle placche arenacee (che nel recente passato coprivano la dorsale dei M. Carseolani) ma anche dai calcari miocenici, come dimostrerebbe la mancanza sulla superficie topografica di importanti pozzi carsici (tanto frequenti in altri massicci laziali ed abruzzesi). Nell’area di Pietrasecca, dove i calcari del Cretacico sup. sono particolarmente compatti e puri, il passaggio ai sovrastanti Calcari a Briozoi del Miocene avviene tramite un livello calcareo miocenico di transizione, ben identificabile per la sua minore resistenza al degrado, non molto puro e con abbondante dolomite. I Calcari a Briozoi del Miocene sono abbastanza puri ma con percentuali

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Figura 91 - Grotta di Vaccamorta. A sinistra: pianta, con giaciture degli strati. A destra: sezioni proiettate sul piano verticale parallelo all’immersione media degli strati; le sezioni trasversali (figura al centro) individuano il gruppo di strati entro i quali si sviluppa la grotta; la zona di alimentazione del torrente sotterraneo si spinge fino a 2 km dall’ingresso della risorgenza (figura in basso).

non trascurabili di MgO, riferibili a calcite debolmente magnesiaca (DERIU & NEGRETTI, 1961; BER TOLANI ET ALII, 1994). Le diverse caratteristiche dei calcari sarebbero la causa dello “stacco” morfologico delle pareti e delle volte delle gallerie, al contatto Miocene-Cretacico, nelle grotte di Pietrasecca e Luppa (PASQUINI, 1963b). Nell’Ovito di Pietrasecca la brusca variazione morfologica in corrispondenza del contatto risulta in un salto di 8 m e nell’improvviso allargarsi della galleria dopo tale salto (ANGELUCCI ET ALII, 1959) (Fig. 94).

MONTE PIANO L’unità tettonica più settentrionale dei M. Carseolani è il M. Piano (1128 m), circondato su tutti i lati dai depositi terrigeni del Miocene (Fig. 93). Alcuni modesti corsi d’acqua allogenici raggiungono il rilievo calcareo dopo aver raccolto le acque dei bacini impermeabili situati a NE. Il principale di questi, il Rio di Fosso Ricetto, taglia da parte a parte il settore settentrionale di M. Piano, attraversando la dorsale carsica con una forra; mentre nel periodo piovoso invernale l’acqua riesce a percorrere l’intero tracciato della forra (evidenziando la locale insufficiente capacità di assorbimento dei carbonati), durante l’estate il torrente perde tutta la scarsa portata poche centinaia di metri a valle dell’ingresso nei calcari (BONO & CAPELLI, 1994). Il carsismo sotterraneo è rappresentato da 7 grotte catastate, tutte di piccole dimensioni, due scavate nei calcari di soglia del Cretacico (litofacies 54), le altre nei calcari del Miocene. Di recente sono stati esplorati altri 4 pozzi, profondi pochi metri, ancora da iscrivere nel catasto (MONTRONE, 1997). Sul versante NE del rilievo si addossano alla struttura calcarea due piccoli bacini chiusi che convogliano le acque rispettivamente nell’Inghiottitoio Pisciarello (o Pratato 1, non praticabile) e nell’Inghiottitoio Puzzille (o Pratato 2, profondo 5 m), entrambi localizzati lungo la linea di contatto arenarie-calcari; nei pressi del primo si trova un inghiottitoio fossile chiamato Buco della Speranza,

percorribile per una decina di metri. Sembra probabile che le acque periodicamente assorbite da questi inghiottitoi tornino alla luce dalla parte opposta (SW) del rilievo lungo il Fosso il Rio, emergendo dalla Grotta di Pozzo Grande e da una piccola sorgente (BONO & CAPELLI, 1994). La Grotta di Pozzo Grande, nei calcari del Cretacico, è stata esplorata per uno sviluppo planimetrico di una cinquantina di metri fino ad un sifone (-21/-25 m) nel quale uno speleosub si è immerso percorrendo 28 m fino alla profondità di 37 m; l’acqua, però, non esce dall’imbocco della grotta, ma dalla sorgente omonima (un condotto ostruito da massi) situata 5 m sotto l’ingresso della cavità (MONTRONE, 1997).

L’UNITÀ PIETRASECCA-TUFO BASSO A Sud della dorsale di M. Piano si trova l’unità tettonica Pietrasecca-Tufo Basso, costituita da un’anticlinale bordata a SW da una faglia trascorrente (Fig. 93). Uno schema dell’evoluzione di questa catena nel Pliocene-Pleistocene è già stato presentato nella prima parte di questo capitolo, descrivendo l’attivazione e l’ampliamento dei condotti sotterranei che hanno portato alla completa cattura dei torrenti di superficie negli inghiottitoi e alla fossilizzazione dei tronchi fluviali a valle. Nella topografia tipica dei M. Carseolani, esiste una sensibile differenza di quota (decine di metri) fra i punti di ingresso delle acque nel sottosuolo e le zone di uscita. In queste condizioni le grotte, o almeno i tratti situati nelle aree di ingresso, si sono sviluppate nella zona vadosa con canyon sotterranei in rapido approfondimento; il condotto originario di un inghiottitoio va generalmente individuato in corrispondenza di quella che oggi è la volta della galleria. All’estremità settentrionale di questa unità tettonica, in corrispondenza del paese di Tufo Basso, è noto un breve sistema ipogeo che taglia la dorsale in un punto particolarmente stretto (400 m), interamente scavato nei calcari miocenici disposti ad anticlinale. Attualmente l’inghiottitoio è ostruito e disattivato e solo un rivolo d’acqua temporaneo fuoriesce dalla Grotta dell’Acqua Nera (+1, sviluppo 125 m), situata al piede del versante SW della dorsale. Le acque che si raccolgono nel bacino


scorrono, quindi, in gran parte in superficie, defluendo in una valle che taglia la dorsale. Più a Sud si trova l’Ovito di Pietrasecca (+14/-40, sviluppo 1370 m, Fig. 95), che si apre nel calcare miocenico e attraversa il fianco dell’anticlinale fino a inoltrarsi nei calcari del Cretacico sup. costituenti il nucleo. Questo inghiottitoio attivo drena un bacino di circa 13 km2, esteso principalmente su terreni impermeabili. Analogo andamento ha il paleo-inghiottitoio della Grotta dei Cervi (+6/-113, sviluppo 1875 m), che si apre all’interno del bacino dell’Ovito di Pietrasecca e che probabilmente rappresenta l’antico condotto di cattura del torrente, abbandonato dalle acque in seguito allo sviluppo del vicino inghiottitoio. Dalla parte opposta della rupe di Pietrasecca (massima elevazione di questa unità calcarea, 972 m), nei calcari del Cretacico sup. si trovano la Risorgenza di Vena Cionca (quasi orizzontale, sviluppo 130 m), emergenza di “troppo pieno” del sistema Cervi-Pietrasecca (la sorgente effettiva sgorga dal detrito una cinquantina di metri più in basso), e alcune paleo-risorgenze ostruite e inaccessibili.

L’UNITÀ ROCCACERRO-MONTE GUARDIA D’ORLANDO Il settore centrale dei M. Carseolani è rappresentato dall’unità tettonica Roccacerro-M. Guardia d’Orlando (1333 m) (Fig. 93), separata dalla rupe di Pietrasecca da una faglia perpendicolare all’asse della dorsale. Si tratta di una struttura antiforme complessa, costituita da scaglie tettoniche sviluppate in più fasi e accavallate verso Est lungo piani di sovrascorrimento costituiti da terreni marnosi a bassa permeabilità, che isolano le singole scaglie (MONTONE & SALVINI, 1993; PAROTTO & SIRNA, 1993). In questa unità si apre un altro grandioso inghiottitoio, la Grotta di Luppa (-170, sviluppo 2020 m, Fig. 95), che drena un bacino chiuso di 8,4 km2 per quasi la metà costituito da terreni impermeabili. La grotta ha un andamento analogo a quello dell’Ovito di Pietrasecca, inoltrandosi nei calcari miocenici fino a raggiungere il nucleo dell’anticlinale costituito dai calcari del Cretacico. Sul versante opposto (occidentale) si trova la Grotta del Secchio (+10/-3, sviluppo 254 m), paleo-risorgenza interamente scavata nei calcari miocenici. Non sono catastate altre cavità carsiche nell’intera unità. A Sud del bacino di Luppa si trova un altro campo chiuso (bacino di Vena Tagliata o delle Fosse), con numerosi punti di assorbimento (doline), ma privo di inghiottitoi transitabili. SEGRE (1948a) riporta l’esistenza di una sorgente intercettata durante lo scavo della galleria della linea ferroviaria Roma-Avezzano, captata dall’acquedotto di Tagliacozzo e Carsoli, la cui acqua dovrebbe corrispondere a quella drenata dal campo chiuso.

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RIQUADRO 11 – “GLI INGHIOTTITOI ALLOGENICI” Il fattore più importante nello sviluppo delle grotte alimentate da corsi d’acqua allogenici è dato dalla portata idrica, con le sue variazioni nel tempo, molto grandi in confronto a quanto si riscontra negli altri tipi di infiltrazione (ricarica attraverso numerosi punti di assorbimento localizzato, ricarica diffusa, ricarica ipogenica). Come tipicamente si riscontra nelle grotte che si formano per l’inghiottimento di torrenti di superficie che raccolgono le acque di bacini relativamente vasti costituiti da terreni impermeabili, le grotte dei M. Carseolani generalmente consistono di un unico condotto principale, senza affluenti importanti (Fig. 95). Tuttavia, l’entità della meandrificazione dei condotti (rapporto fra la distanza percorsa dall’acqua e la distanza in linea retta fra il punto di ingresso dell’acqua e quello di uscita – o del sifone “terminale”) degli inghiottitoi allogenici dell’area laziale-abruzzese non risulta diversa da quella dei corsi d’acqua che si formano per la confluenza di numerosi afflussi di piccola portata:

Figura 93 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti Carseolani.

Rapporto “sviluppo planimetrico / distanza in linea d’aria” Inghiottitoi allogenici: Grotta di Pastena- Risorgenza dell’Obbuco: 1,42 Inghiottitoio di Val di Varri: 1,55 Grotta di Luppa: 1,30 Ovito di Pietrasecca: 1,27 Grotte alimentate da numerosi punti di assorbimento: Inghiottitoio di Campo di Caccia (“rio Urubamba”): 1,29 Grotta di M. Fato (dalla sala “dello Gnomo” al fondo): 1,51 Grotta di Fontana Le Mole (fino al pozzo “Ruggente”): 1,19

Figura 94 - Nell’Ovito di Pietrasecca, come in altre grotte, al contatto fra i calcari del Miocene e i calcari del Cretacico

si osserva un improvviso “stacco” morfologico, con ampliamento delle gallerie. Figura 96 - La parete della rupe di Pietrasecca taglia un “tubo” freatico, la paleo-Risorgenza Superiore di Pietrasecca (foto M. Re), che sembra indicare un “momento” in cui la falda carsica si trovava intorno a q. 820 m.

Per quanto riguarda il profilo longitudinale, nell’Inghiottitoio di Val di Varri si può distinguere una zona iniziale relativamente verticale, caratterizzata da alcuni salti profondi fino a 12 m, e una zona interna ad andamento sub-orizzontale (23 m di dislivello su 650 m di sviluppo). Questa non è, però, una situazione generale. Nella Grotta di Luppa la pendenza della galleria attiva è quasi costante, pur con alcune interruzioni (“salti”) distribuite su tutto il percorso. L’Ovito di Pietrasecca, invece, inizia con un tratto quasi orizzontale, seguito dall’approfondimento interno con una serie di piccoli salti, situati


al contatto fra i calcari miocenici e quelli sottostanti, del Cretacico, situazione che sembra dimostrare il controllo litologico nell’ampliamento dei condotti (SEGRE, 1948a; ANGELUCCI ET ALII, 1959). Le principali grotte delle unità tettoniche Roccacerro-Guardia d’Orlando e Pietrsecca-Tufo Basso, seguono principalmente l’orientamento NE-SW, parallelo alle fratture (antiappenniniche) che tagliano trasversalmente la dorsale calcarea, e parallelo anche all’immersione degli strati. Solo i tratti di raccordo sono impostati sui sistemi di diaclasi che accompagnano le faglie appenniniche (NW-SE o N-S). Ampliamenti (saloni) si originano all’incrocio fra fasci di fratture appenniniche e antiappenniniche. Secondo molti autori i condotti principali sono interamente definiti dalle fratture (per es., CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963; AGOSTINI & PICCINI, 1994). CUCCHI & ULCIGRAI (1994), però, sottolineano che nella fase di impostazione del percorso ipogeo la dissipazione di energia delle acque carsiche deve aver favorito i deflussi lungo le discontinuità definite dalle rette di intersezione fra i piani di frattura a direzione NE-SW e i piani di strato. L’analisi della forma delle sezioni trasversali (Fig. 95), a forra su fratture o faglie, testimonia l’evoluzione vadosa degli inghiottitoi allogenici, anche se rimane difficoltoso esprimersi sulle condizioni iniziali di sviluppo del condotto originario. Generalmente, l’acqua dei torrenti che vengono inghiottiti è ampiamente sottosatura in bicarbonato di calcio, soprattutto durante gli eventi piovosi più intensi, quando la portata può essere elevatissima e le acque vengono rapidamente convogliate nell’inghiottitoio dopo un breve percorso sui terreni argilloso-arenacei. Le acque di piena attraversano periodicamente la grotta e sono la causa principale dello sviluppo di gallerie di grandi dimensioni (Grotta di Pastena, Fig. 66), favorito anche dall’erosione meccanica. Per esempio, nel tratto iniziale dell’Ovito di Pietrasecca la forra è larga 6-8 m e ha altezza di circa 15 m e anche nel tratto interno la larghezza si mantiene larga intorno ad un paio di metri. Queste dimensioni contrastano nettamente con quelle dei “meandri” tipici delle grotte, nei quali a) i bacini di alimentazione sono meno estesi; b) la ricarica avviene tramite numerosi punti di assorbimento localizzati, quindi con tempi ritardati rispetto all’evento piovoso; nei “meandri” la portata non raggiunge valori così elevati e la larghezza media è generalmente inferiore al metro. Come si è detto, lo sviluppo dei tratti conosciuti degli inghiottitoi carseolani sembra essere avvenuto in condizioni vadose; nel tratto più interno e profondo, comunque, il condotto poteva originariamente immergersi nella zona freatica. A questo proposito, è interessante osservare l’andamento del condotto attivo “terminale” della Grotta dei Cervi (Fig. 95), che devia bruscamente dalla direzione NE-SW assumendo quella quasi ortogonale, corrispondente alla direzione degli strati. Si può notare come in corrispondenza di questo gomito la sezione trasversale si modifichi dalla morfologia vadosa (sez. 13 e 14) a quella tipicamente freatica (sez. 15, 16 e 17) (vedi anche riquadro “morfologie carsiche ipogee: i condotti vadosi e i condotti freatici”). Si può supporre che il segmento compreso fra le sezioni da 15 a 18 corrisponda ad un tratto sviluppatosi nella zona perennemente sommersa (freatica), con un paleo-livello piezometrico intorno a q. 770 m (la Risorgenza di Vena Cionca è situata a q. 755 m). Il condotto freatico della Grotta dei Cervi si trova attualmente nella zona vadosa; una fase di approfondimento del condotto originario ha avuto inizio da poco tempo, come dimostrano il salto di 11 m che immette nel sifone “finale” e il marcato solco che progressivamente si attenua procedendo a ritroso dal salto (sez. 18) verso monte (tratto compreso fra le sezioni 15 e 17). La localizzazione di una più antica paleo-superficie piezometrica, abbandonata dal successivo abbassamento di livello, è segnalata dalla paleo-risorgenza con duplice ingresso e sezione perfettamente circolare situata a q. circa 820 m alla base della rupe di Pietrasecca (Fig. 96). Un’altra interessante caratteristica che si riscontra nelle grotte allogeniche (Pietrasecca, Cervi, Luppa, Val di Varri), è la presenza di gallerie asciutte (“fossili”), in prossimità dei sifoni “terminali” (Fig. 95), sifoni che, peraltro, sono sospesi rispetto all’eventuale zona freatica (BONO & CAPELLI, 1994). PASQUINI (1965a), descrivendo l’Inghiottitoio di Val di Varri, ha osservato che “… poco prima del

sifone finale una modesta risalita da’ accesso ad una ramificazione asciutta, probabilmente una antica condotta di sovrappieno” (l’esplorazione di quella “ramificazione asciutta” è successivamente proseguita fino alla scoperta del grande salone “Verne”). Analoga considerazione viene espressa per il ramo superiore della Grotta di Pastena, che si dirama dalla galleria principale poco dopo l’ingresso e che SEGRE (1948a) segnala come inondato in casi eccezionali. Secondo l’ipotesi, quindi, queste ramificazioni asciutte non corrisponderebbero ad antichi segmenti attivi abbandonati dalle acque a causa dell’abbassamento delle quote di deflusso. Nelle grotte alimentate da corsi d’acqua allogenici per la maggior parte dell’anno scorre un flusso di base relativamente modesto. Lungo il percorso sotterraneo si possono incontrare dei restringimenti con sezione trasversale molto ridotta (come i sifoni “terminali” delle grotte carseolane) nei quali l’acqua è costretta a convergere. Durante gli eventi di piena la capacità di smaltimento delle acque nei restringimenti è insufficiente, con conseguente risalita del livello e allagamento di una zona anche molto estesa a monte del sifone; lo spazio utile per il passaggio dell’acqua si può ulteriormente

Figura 95 - Pianta e sezioni trasversali di alcuni dei più grandi inghiottitoi dell’Appennino laziale-abruzzese.

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restringere per ostruzione ad opera di fango e vegetali. Nella roccia calcarea immediatamente al di sopra dei restringimenti, normalmente asciutta, le fessure esistenti vengono invase da acqua con velocità, gradienti idraulici, turbolenza e aggressività di dissoluzione centinaia di volte superiori a quelle esistenti in condizioni normali, in grado di produrre condotti ciechi, nicchie (SEGRE, 1948a) e anche veri condotti di diversione (sovrappieno) che bypassano il restringimento (PALMER, 1972). Il riconoscimento dell’effettiva origine è, comunque, difficoltoso. Nelle grotte di Val di Varri e di Luppa gli ipotetici condotti di sovrappieno si biforcano dalla galleria principale verso valle con una condotta in salita (fino anche a 30 m al di sopra della quota del sifone) che non ha i caratteri di un affluente. In entrambe le grotte, la condotta di sovrappieno è provvista di comunicazioni con la zona attiva (pozzi di bypass), che viene raggiunta alla stessa quota del sifone “terminale”. Il notevole sviluppo di questi rami e, in particolare, la presenza di ambienti di dimensioni notevoli (salone “Verne” nell’Inghiottitoio di Val di Varri), pongono comunque altri interrogativi che solo uno studio più approfondito può risolvere (non sono stati osservati, per esempio, gli intrecci labirintici di condotte,

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Figura 97 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti della Marsica Occidentale.

Figura 99 - Fotomosaico della gigantesca dolina della Fossa Maiura, larga circa 500 m (foto G. Mecchia).

Figura 98 - Il contatto fra i calcari del Cretacico sup. (a soffitto) e il deposito di bauxite nella Grotta di Valle delle Vacche (foto M. Mecchia).

Figura 100 - Geologia e sviluppo del carsismo ipogeo nei Monti della Meta-Mainarde.


morfologie diagnostiche attribuite a questo tipo di origine). Un altro aspetto rimarchevole è la presenza, nelle grotte di Pietrasecca e di Luppa, di grandi saloni, lunghi 80-100 m, larghi 12-20 m e alti 15-20 m, subito a monte dei sifoni “terminali” (Fig. 95). L’ampliamento di questi saloni potrebbe essere un altro effetto dell’allagamento della galleria a monte del restringimento durante le piene; grandi variazioni di sezione trasversale per ampliamento verso l’alto e lateralmente lungo joints e interstrati sono state osservate in numerose grotte del mondo (PALMER, 1972). Comunque, nel caso dell’Ovito di Pietrasecca, AGOSTINI & PICCINI (1994) hanno attribuito l’origine dell’attuale ramo fossile alla cattura del torrente di superficie in una fase intermedia fra l’abbandono dell’inghiottitoio dei Cervi e l’attivazione dell’attuale inghiottitoio di Pietrasecca.

LE UNITÀ MONTE VALMINIERA-TAGLIACOZZO E MONTE GIRIFALCO-MONTE ARUNZO Più a Sud i M. Carseolani proseguono con l’unità tettonica M. Valminiera-Tagliacozzo, caratterizzata da una struttura a blanda anticlinale tagliata a NE da un sovrascorrimento che porta i calcari del Cretacico a sovrapporsi verso NE sui calcari del Miocene (COMPAGNONI ET ALII, 1991b). Il tratto conclusivo della dorsale carseolana è rappresentato dall’unità M. Girifalco-M. Arunzo (1455 m), costituita da una monoclinale immergente a NE (Fig. 93). Lungo il bordo SW della struttura la faglia della Val Roveto, orientata NW-SE, mette in contatto i terreni argilloso-arenacei con la dorsale calcarea miocenica. Nella parte settentrionale si è formato un sistema di bacini chiusi (Prati di Roccacerro, T. Imele, Verrecchie), mentre la parte meridionale è rappresentata dalla testata della Val Roveto, percorsa dal F. Liri. I corsi d’acqua allogenici che si raccolgono nei due bacini chiusi costituiti da materiali terrigeni sono drenati rispettivamente dall’Inghiottitoio dell’Imele (-30, sviluppo 150 m) e dall’Ovito di Petrella (-96, sviluppo 160 m). Quest’ultimo ha inizio con una spaccatura impostata sullo strato inclinato di 50°, nel calcare miocenico, ma si approfondisce subito verticalmente su sistemi di fratture fra loro ortogonali, presumibilmente inoltrandosi nei calcari del Cretacico. Si ipotizza che le acque di questo inghiottitoio emergano dalla parte opposta della dorsale, nella Risorgenza la Ommeta (+4/28, sviluppo 140 m), i cui condotti attraversano i calcari miocenici che affiorano a Est del suddetto sovrascorrimento. Nella struttura sono note complessivamente 10 grotte, tutte scavate nei calcari miocenici, con la particolarità della Grotta Cola (+37/-18, sviluppo 275 m), situata presso il contatto con i calcari del Cretacico sup.

LA DORSALE MONTE VAL DI VARRI–MONTE FAITO La dorsale M. Val di Varri (1371 m)–M. Faito (1455 m) è una struttura larga fino a 8 km e lunga 26 km, con una estensione areale di 81 km2 di affioramenti carbonatici. Nell’insieme, la struttura si presenta come una monoclinale immergente a NE sbloccata da faglie dirette sui versanti SW (Val di Varri) e NE (Valle del Salto) (COMPAGNONI ET ALII, 1991b) (Fig. 89). La successione stratigrafica è riferibile all’ambiente deposizionale di piattaforma interna del Mesozoico, rappresentato dalle litofacies carbonatiche 63 e 55, alle quali si sovrappongono in trasgressione i calcari del Miocene. La maggior parte della superficie è ancora coperta dai depositi calcarei miocenici, nei quali il carsismo è “mediamente” sviluppato (21 m di condotti per km2 di affioramento), con circa 1 km di condotti distribuiti in 9 cavità. La Val di Varri, estesa circa 23 km2, si sviluppa prevalentemente su formazioni terrigene ed è chiusa all’estremità settentrionale, dove un grande inghiottitoio smaltisce le acque. La parete di ingresso dell’Inghiottitoio di Val di Varri (-120, sviluppo 2235 m) è posta presso la faglia che borda la dorsale calcarea a SW. Il tratto iniziale, costituito da un ramo attivo impostato su frattura e da un ramo fossile parallelo che scende insieme agli strati inclinati di 30°, attraversa l’asse di una piega situata sulla terminazione settentrionale della monoclinale (Fig. 95), approfondendosi di 85 m. La galleria attiva prosegue poi quasi pianeggiante, probabilmente su sistemi di fratture ortogonali fra loro e parallelamente alla direzione degli strati. Si ritiene che le acque dell’Inghiottitoio di Val di Varri riemergano dalla Risorgenza di Civitella (+10, sviluppo 895 m), interamente scavata nei calcari miocenici. Nella terminazione settentrionale, la struttura calcarea di Monte Val di Varri si suddivide in alcune strette dorsali parallele; sulla più occidentale di queste si trova la risorgenza temporanea di Castelluccio (+3, sviluppo 14 m) costituita da una condotta freatica che attraversa i calcari miocenici, mentre nella dorsale centrale (di Pescorocchiano) sgorgano le acque di un’altra risorgenza temporanea scavata nei calcari del Miocene, la Grotta Ricanali (-23, sviluppo 73 m).

LA MARSICA OCCIDENTALE La Marsica occidentale è costituita da due grandi e ininterrotte monoclinali carbonatiche (di M. Marcolano e di M. Cornacchia), parallele fra loro, delimitate sui versanti SW da faglie dirette orientate NW-SE; la stratificazione è regolare e immergente verso NE (Fig. 97).

In quest’area si sono depositati per tutto il Mesozoico sedimenti calcarei di piattaforma interna con caratteristiche litologiche piuttosto monotone. I termini più antichi affiorano alla base del versante Sud-occidentale della dorsale di M. Cornacchia, dove la faglia della Val Roveto ha sollevato la struttura. Si tratta delle dolomie saccaroidi del Lias inf. (litofacies 67d) e dei Calcari a Palaeodasycladus del Giurassico medio-sup. (litofacies 66); in queste formazioni non sono note cavità carsiche ipogee. In continuità di deposizione seguono calcari e dolomie del Dogger-Cretacico sup., depositati nelle acque basse della piattaforma interna. Nella Marsica orientale, a Est della Valle del Sangro-Giovenco (fuori dalla nostra area di studio), compaiono i sedimenti organogeni del margine della piattaforma mesozoica. Nella Marsica occidentale la successione carbonatica si differenzia da quella delle dorsali dei Volsci e dei M. Simbruini-Ernici per la mancanza del livello argilloso-marnoso dell’Aptiano, mentre è presente un livello bauxitico che testimonia l’emersione dell’area durante il Cenomaniano, marcando il passaggio dal Cretacico inf. al Cretacico sup. Dopo la “lacuna paleogenica”, la deposizione carbonatica si conclude nel Miocene con la deposizione di calcari con spessori sempre modesti. Complessivamente, nella Marsica occidentale l’area di affioramento dei carbonati meso-cenozoici è di circa 430 km2.

LA DORSALE DI MONTE MARCOLANO Nella dorsale di M. Marcolano (1950 m, massima elevazione è però il M. di Valle Caprara, 1998 m) le rocce più antiche in affioramento sono i calcari del Dogger-Cretacico inf., che coprono oltre l’80% dei circa 150 km2 di affioramenti carbonatici. Sulla dorsale sono state esplorate 9 grotte, quasi tutte nei calcari del Cretacico inf., per un totale di poco più di 1 km di condotti. Fra queste si trovano alcuni imponenti pozzi: la Grotta di Amino (-79 m), l’Inghiottitoio di Coppo di Lepre (-81 m) e l’Abisso del Tratturello (-92 m), tutti impostati su fratture, così come l’interessante Nevera di Val Mugone (-31 m). L’unica cavità ad andamento suborizzontale nota sulla dorsale è la Grotta Mandrilli (+10, sviluppo 250 m); si tratta di una risorgenza di piccola portata scavata nei calcari del Cretacico inf., costituita da una stretta galleria con andamento sinuoso, impostata nell’interstrato inclinato di 3°. Nei calcari del Cretacico sup. immediatamente al di sopra del livello bauxitico e da questo presumibilmente condizionato, si trova il grande antro di “la Grotta”, probabilmente il resto di una antica grande galleria. Al margine orientale della dorsale, nell’avvallamento ai piedi della struttura del M. Turchio, affiora ancora la copertura di calcari miocenici, nei quali si apre una cavità molto interessante, la Grotta di Valle delle Vacche (-68, sviluppo 200 m, Fig. 97 profilo C-D). Il P25 d’ingresso è impostato su una frattura inclinata di 80°. Verso la metà del pozzo si osserva, senza variazioni morfologiche della sezione, il passaggio ai sottostanti calcari del Cretacico sup. Alla base, il pozzo si immette in una grande caverna-galleria che ha per tetto lo strato inclinato di 7-8°, mentre il pavimento è inciso in una lente bauxitica dello spessore di 7-8 m (Fig. 98). In quest’area, lo spessore dei sedimenti calcarei del Cretacico sup. è, quindi, di soli 10-15 m. Il deposito di bauxite, terroso e poco permeabile, è in grado di sostenere un lago stagionale, che si vuota lentamente per perdite dal fondo. La creazione del grande ambiente (caverna-galleria) è imputabile alla progressiva escavazione della lente bauxitica, facilmente erodibile, ad opera delle acque che filtravano dai calcari sovrastanti, analogamente a quanto riportato per la Grotta di Colle Cantocchio, nei M. Lepini; l’ulteriore ampliamento della caverna-galleria è stato forse impedito dall’esigua estensione del deposito bauxitico. L’impermeabilità della lente è interrotta da una frattura, attraverso la quale le acque hanno potuto defluire creando un pozzo profondo 20 m, che perfora le bauxiti penetrando nei calcari del Cretacico inf. Una stretta fessura, poco più in basso, impedisce l’ulteriore prosecuzione.

LA DORSALE DI MONTE CORNACCHIA Nella dorsale di M. Cornacchia (2003 m) le litofacies 63 e 55 insieme occupano il 90% dei circa 280 km2 di affioramenti carbonatici. Il versante Sud-occidentale della giogaia è tagliato da un vistoso livello bauxitico di età cenomaniana, che si estende senza interruzioni (PAROTTO, 1971). In questi carbonati il carsismo ipogeo è pochissimo sviluppato, o conosciuto, infatti sono note solo 6 cavità, tutte di piccole dimensioni. In alcune località al di sopra dei carbonati mesozoici si rinvengono in trasgressione i calcari miocenici, nei quali, comunque, non è nota alcuna grotta. Ribassata rispetto alla dorsale principale di M. Cornacchia, a Sud della Valle Fredda (T. Lacerno), si stacca una vasta zona collinare costituita da calcari del Cretacico, sul cui bordo meridionale si ergono i paesi di Posta Fibreno e Alvito. La particolarità di questa zona, priva di cavità ipogee conosciute, è la presenza di una dozzina di macrodoline imbutiformi. La dolina più grande è la gigantensca Fossa Maiura, con diametro medio di circa 500 m e profondità di 95 m dal punto più basso lungo l’orlo esterno (Fig. 99). All’estremità SW di quest’area affiora la falda carbonatica della struttura dei M. Carseolani-M. della Marsica occidentale (gruppo sorgivo Fibreno, portata 8,5 m3/s). La falda viene a giorno “con difficoltà” attraverso fratture nei calcari miocenici, che qui hanno spessore di almeno 130 m; i pozzi

perforati per la captazione delle acque sono perciò stati approfonditi fino a raggiungere i calcari del Cretacico, dove la produttività dell’acquifero è notevolmente migliorata (CELICO, 1983). Questo confermerebbe le differenze di comportamento osservate e descritte nel paragrafo sui M. Carseolani, mentre contrasta con il grado di carsificazione “elevato” dei Calcari a Briozoi e Litotamni che si desume dal calcolo dello sviluppo dei condotti ipogei nella nostra regione (27 m/km2, come si è detto nel paragrafo sulle “differenze di carsificazione fra le litofacies carbonatiche”). Da segnalare, infine, la presenza di piccole sorgenti sulfuree presso il bordo meridionale della struttura (Fig. 20).

LE BRECCE DI CAMPOLI APPENNINO La collina di Campoli Appennino, situata ai piedi della dorsale di M. Cornacchia, è costituita da una placca di conglomerati del Quaternario poggiante su un basamento di calcari del Cretacico e del Miocene. Nelle brecce il fenomeno carsico epigeo è particolarmente appariscente, costituito da quattro gigantesche doline a forma di scodella, la maggiore delle quali, il “Tomolo” (sul cui bordo si erge l’abitato di Campoli Appennino) ha asse maggiore di 630 m, asse minore di 450 m e profondità di 130 m; il fondo della dolina raggiunge i sottostanti calcari. Anche le altre tre doline hanno dimensioni notevoli (ZUCCARI, 1963). L’unica cavità sotterranea riportata nel catasto speleologico è la Grotta Treo, una fenditura rettilinea lunga una cinquantina di metri e alta fino a 25 m, che si apre all’interno della omonima macrodolina. Numerose caverne di pochi metri di sviluppo, residuo forse di grotte più estese, sono segnalate da ZUCCARI (1963) lungo le pareti di conglomerato sub-verticali, impostate all’intersezione fra fratture e stratificazione dove gli strati affiorano a reggipoggio.

I MONTI DELLA META-MAINARDE La catena della Meta–Mainarde, massiccio con vette aguzze e selvagge, dominate dal M. Petroso (2249 m) e dalla Meta (2242 m), è costituita da una anticlinale calcarea con asse N-S disposto lungo la Val Canneto e la Val Fondillo; la struttura è sovrascorsa verso Nord (M. Amaro) e verso NE (M. Marrone) sui sedimenti fliscioidi dell’alta Val di Sangro e dell’alta Valle del Volturno (DAMIANI ET ALII, 1991) (Fig. 100). L’estensione areale dei depositi carbonatici è di circa 200 km2. Al nucleo dell’anticlinale affiorano estesamente le dolomie massive del Giurassico inf. (litofacies 67d), potenti più di 500 m. BONI ET ALII (1986) hanno osservato che “le dolomie si possono differenziare dalle altre formazioni

carbonatiche dell’Appennino centrale perché hanno caratteri idrogeologici, almeno apparentemente, simili a quelli delle rocce a permeabilità interstiziale. Hanno infatti limitata permeabilità d’insieme ed elevata capacità di immagazzinamento. Hanno la particolarità di trovarsi sature fino a quote superiori a 1000 m. Ospitano, infatti, falde con gradienti idraulici superiori al 2% che alimentano un regolare scorrimento perenne ad alta quota, generalmente assente negli altri terreni carbonatici”. In effetti, in questa formazione geologica il carsismo ipogeo risulta quasi del tutto assente, con solo 2 piccole grotte segnalate nei catasti regionali laziale e abruzzese. Successivamente alla deposizione delle dolomie, dal Lias medio al Cenozoico si sono sedimentati calcari di margine e di scarpata, che testimoniano il passaggio verso Est dalla piattaforma carbonatica laziale-abruzzese ad un bacino adiacente. I margini delle piattaforme sono le aree più interessate dalla tettonica sinsedimentaria e anche dalla tettonica recente, a causa delle marcate differenze sia di litologia che di spessore tra i sedimenti carbonatici di piattaforma e i sedimenti di bacino. Ciò ne rende più complesso lo studio, perché la tettonica viene ad insistere proprio in zone in cui la norma è l’assenza di sedimentazione continua e la componente detritica costituisce il più delle volte il litotipo prevalente (D’ANDREA, 1990). Le grotte conosciute in queste formazioni calcaree sono poche e mai di grande sviluppo; questo, evidentemente, non indica necessariamente una scarsa carsificabilità, anche se alcuni livelli marnosi e il substrato dolomitico probabilmente limitano la possibilità di formazione di sistemi molto profondi. Sopra le dolomie massive (litofacies 67d) si sono deposti sedimenti calcarei piuttosto eterogenei nelle diverse zone, raggruppabili nelle due seguenti formazioni (litofacies 62t e 62b): a) in destra (Est) della Val Canneto: calcari organogeni e oolitici (litofacies 62t), con spessori maggiori di 200 m, nei quali si apre la Chiatra delle Ciaule, pozzo verticale profondo 53 m; b) in sinistra (Ovest) della Val Canneto: breccia a matrice calcarea, poligenica e con dimensione dei clasti variabile (litofacies 62b), con spessore anche di 400 m, nella quale è noto l’Abisso Yoghi, successione di pozzi profonda 90 m. Nelle successioni stratigrafiche di tutta l’area mancano tracce di sedimentazione relative al Neocomiano-Barremiano. Successivamente (Barremiano-Aptiano), nell’area del M. Meta si è depositato un conglomerato calcareo massivo (litofacies 53m, il contatto è visibile all’Abisso Yoghi), che verso l’alto contiene livelli marnosi e livelli con selce. E’ nota in questa formazione una sola piccola grotta nel comune di Picinisco.

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versante SW della dorsale fino a più di 70° sul versante NE, dove i carbonati si immergono al di sotto delle torbiditi argilloso-arenacee di fondovalle. In generale, l’inclinazione degli strati, pur potendo essere estremamente varia risulta prossima alla verticale solo in un numero limitato di casi, mentre molto frequentemente ha valori modesti. Quindi, mentre si rinvengono spesso condotti carsici di interstrato con pendenze basse, è raro trovare pozzi impostati sulla stratificazione; il Caùto di Pezziaratte (-84 m), sembra rappresentare una di queste situazioni inconsuete (Fig. 101). Si tratta di un profondo pozzo a salto unico che si apre parallelamente e nelle immediate vicinanze del contatto a forte inclinazione (70-75°) fra i calcari del Cretacico inf., che costituiscono il nucleo dell’anticlinale, e le sovrastanti calcareniti del Miocene.

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Figura 101 - Sezione e piante del Caùto di Pezziaratte, grande pozzo impostato lungo uno strato fortemente

inclinato.

A Ovest della Val Canneto fino al Paleocene si depositano calcari con elementi detritici più piccoli passanti verso l’alto a calcari bianchi, prevalentemente bioclastici (litofacies 51s), che costituiscono le cime dei M. della Meta, delle Mainarde, del M. Sterpidalto e del M. Amaro. Come tipicamente si riscontra nelle aree di margine delle piattaforme carbonatiche, la continuità di sedimentazione rappresenta soltanto una rara evenienza, infatti localmente questi sedimenti si sono depositati anche direttamente sopra le dolomie basali, per esempio al M. Amaro. Il carsismo ipogeo risulta poco sviluppato, ma comunque più che in tutte le altre formazioni di questa struttura. Fra le almeno 14 cavità conosciute, le più importanti sono la Chiatra 2a del Bosco Fondillo (-63 m), la Callarella di Macchiarvana (pozzo su frattura inclinata di 80°, che si immette in una sala; -57 m), e i pozzi 1° e 2° di Monte Amaro (rispettivamente –40 e –65 m), situati presso la vetta del M. Amaro (1850 m).

LE DORSALI DI MONTI CASTELNUOVO, ROCCHETTA AL VOLTURNO E PIZZONE A Est dei M. della Meta emergono dai sedimenti terrigeni le tre “spine” carbonatiche di M. Castelnuovo, Rocchetta al Volturno e Pizzone. Scendendo i versanti orientali, ai piedi dei rilievi i carbonati meso-cenozoici sono regolarmente coperti dalle formazioni terrigene, mentre sul versante Ovest i calcari sono rialzati da faglie orientate NW-SE. E’ probabile che i sedimenti calcarei che costituiscono le tre dorsali siano stati deposti all’interno di una piattaforma carbonatica diversa da quella laziale-abruzzese, situata più a Est (la piattaforma “Morrone-Pizzalto-Rotella”, vedi prima parte di questo capitolo). I forti raccorciamenti subiti dalle strutture carbonatiche avrebbero portato quasi a contatto il margine della piattaforma laziale-abruzzese con i depositi di questa piattaforma più esterna (D’ANDREA ET ALII, 1992; SCROCCA & TOZZI, 1999). In questi tre piccoli rilievi attualmente è conosciuta una sola grotta, il Caùto di Pezziaratte, situato nella dorsale calcarea di M. Castelnuovo (1251 m), estesa arealmente per circa 5 km2. La sua struttura è ad anticlinale asimmetrica, con pendenze che vanno aumentando da 10-30°NE sul


PARTE III - LE GROTTE

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NOTE INTRODUTTIVE Questa parte del libro è dedicata all’approfondita illustrazione delle 206 grotte più importanti dell’ambito territoriale analizzato. Di seguito sono esposte le scelte metodologiche effettuate per la suddivisione del territorio in Zone e Sotto-Zone. Sono poi illustrati nel dettaglio gli argomenti relativi a ciascuna grotta.

LE ZONE Il territorio regionale è stato suddiviso in Zone utilizzando un criterio prevalentemente geologico, consistente nel raggruppare rilievi montuosi che hanno avuto origine nel corso di un particolare “momento di migrazione” della catena appenninica, ma tenendo conto anche delle consuetudini di denominazione dei massicci e della disomogenea distribuzione delle grotte sul territorio. Sono state così individuate 12 Zone, alcune delle quali comprendono anche settori esterni ai limiti amministrativi del territorio regionale. Questa scelta deriva sia dalla necessità di non interrompere artificialmente la continuità delle zone carsiche attraversate dai confini regionali, sia dall’esigenza di includere cavità tradizionalmente esplorate e studiate dagli speleologi del Lazio. Ciascuna Zona è presentata con una carta d’insieme e con la descrizione dei tratti geografici principali e dell’assetto idrogeologico. Sulla carta d’insieme sono riportati i perimetri di delimitazione delle Sotto-Zone, all’interno delle quali è indicata la localizzazione di tutte le grotte comprese nella Zona. Altri elementi fondamentali della carta sono le principali sorgenti degli acquiferi carbonatici, dalle quali viene alla luce la maggior parte delle acque dei circuiti carsici. A questo scopo è stato utilizzato lo “Schema idrogeologico dell’Italia centrale” di BONI ET ALII (1986), che descrive le grandi linee dell’idrogeologia dell’area che dal Lazio si estende verso Est fino al Mar Adriatico. Le sorgenti più importanti, anche di tipo “lineare”, sono riportate con simboli di grandezza proporzionale alla portata, distinguendo le acque con salinità e/o temperatura anomala; sono inoltre segnalate le emissioni gassose associate a sorgenti di portata limitata. A fianco della carta sono elencati nomi, quota e portata media delle sorgenti. Le legende delle sorgenti e degli altri tematismi della carta d’insieme sono riportate in questa sezione introduttiva. Nel testo che segue la carta sono descritti i principali tratti dell’orografia della Zona, e indicate le principali forme carsiche di superficie, oltre a tutte le cavità “significative”, cioè le grotte profonde almeno 30 m o con sviluppo superiore a 50 m. Successivamente sono descritte le caratteristiche principali del deflusso delle falde carsiche basali e formulate delle ipotesi sui percorsi idrici sotterranei oltre il “fondo” delle grotte, indicando le sorgenti più probabili dalle quali tali acque tornano a giorno. Si tratta a volte di sorgenti minori, d’alta quota, non legate alla falda basale e non comprese fra quelle principali individuate sulla carta d’insieme.

LE SOTTO-ZONE Al fine di semplificare e facilitare la lettura le 12 Zone sono state ulteriormente suddivise in 44 Sotto-Zone; il quadro d’insieme di tutte le Zone e Sotto-Zone è riportato all’inizio di questo libro. Per rappresentare le Sotto-Zone sono stati quasi sempre impiegati stralci della Carta Geologica d’Italia in scala 1:100.000, nei quali sono indicate le ubicazioni delle grotte presenti. Data la complessità delle legende delle carte geologiche, non è stato possibile inserirle in questo libro, tuttavia questa cartografia è di facile reperibilità.

LE GROTTE Fra le oltre 1600 grotte conosciute nell’area considerata, si è scelto di esaminare in dettaglio le grotte profonde almeno 50 m o con uno sviluppo planimetrico di oltre 100 m, con alcune eccezioni per grotte di dimensioni inferiori ma di particolare interesse. In totale sono state inserite 206 cavità; per motivi diversi non è stato possibile includere una decina di grotte, anche se rientravano per le dimensioni nel criterio sopra esposto. Ogni grotta è illustrata da testi, elaborati grafici e fotografie, organizzati nelle sezioni seguenti.

Dati catastali Numero assegnato alla grotta nei Catasti Regionali delle Grotte I Catasti delle Grotte sono gestiti a livello regionale. La regione è indicata con le seguenti sigle: La = Lazio, A = Abruzzo, U = Umbria, Mo = Molise. La provincia è rappresentata dalla targa automobilistica. Per esempio, il Pozzo Dodarè è accatastato con il numero 308 La/FR. Localizzazione Sono riportati il comune nel quale si trova l’imbocco della grotta, la località geografica, le

coordinate e la quota dell’imbocco (o degli imbocchi). Le coordinate della grotta sono state calcolate su due basi cartografiche: la carta dell’Istituto Geografico Militare Italiano (IGMI) in scala 1:25.000, serie M891, e la Carta Tecnica Regionale (CTR) del Lazio (o delle regioni limitrofe) in scala 1:10.000. Le tavolette dell’IGMI utilizzate, anche se ormai datate (la maggior parte è stata elaborata nel periodo 1936-57), rappresentano ancora un’ottima base di lavoro; fra i punti di forza di questa cartografia si ricordano la toponomastica (raccolta in campagna dai rilevatori), la rappresentazione di sorgenti, fontanili, sentieri, sterrate sottobosco e altri “particolari” che nella cartografia più recente sono trascurati, poichè il rilevamento fotogrammetrico risulta poco efficace per l’individuazione di questi dettagli. La CTR della Regione Lazio ha il pregio di rappresentare la situazione attuale (la carta è un’elaborazione da riprese aerofotogrammetriche effettuate nel 1990-‘91) e di utilizzare una scala di grande dettaglio, con equidistanza fra le curve di livello di soli 10 m. Negli ultimi anni l’IGMI ha messo in commercio una nuova serie di carte, che però ancora non copre tutto il territorio regionale, e che non è stata quindi utilizzata per questo lavoro. In questo libro l’ubicazione delle grotte sulle tavolette IGMI 1:25.000 è espressa in coordinate geografiche, mentre sulle sezioni CTR 1:10.000 è espressa in coordinate chilometriche Gauss-Boaga. A titolo d’esempio, alla Grotta degli Urli sono state assegnate le seguenti coordinate: Coordinate geografiche sulla tavoletta IGMI: 0°52’49”3 (13°19’57”7) - 41°50’07”9. Il primo valore è la longitudine verso Est rispetto al meridiano di Monte Mario (poche grotte sono localizzate ad Ovest del meridiano di riferimento, in questi casi l’orientamento viene specificato); tra parentesi viene riportata la longitudine rispetto al meridiano zero di Greenwich, che si ottiene aggiungendo 12°27’08”4. L’ultimo dato è la latitudine riferita all’equatore ed è, ovviamente, sempre verso Nord. Coordinate chilometriche Gauss-Boaga sulla sezione CTR: 2.381.555 - 4.632.940. Il primo valore è la longitudine, espressa in metri, assegnando al meridiano di 15°Est rispetto a Greenwich il valore convenzionale di 2520 km. L’area ad Ovest del meridiano di 12°Est fa invece riferimento al meridiano di 9°Est, al quale è stato assegnato il valore convenzionale di 1500 km. Il secondo valore, la latitudine, è la distanza espressa in metri dall’equatore. E’ importante evidenziare che le coordinate di una grotta ricavate sui due tipi di carta non corrispondono perfettamente. Infatti, i due reticoli chilometrici Gauss-Boaga e UTM non sono fra loro sovrapponibili, perché gli ellissoidi di riferimento hanno orientamenti diversi (Monte Mario per la carta IGMI e Potsdam in Germania per la CTR), e perché sono diverse le compensazioni delle reti d’appoggio (la rete nazionale per la carta IGMI, la rete europea European Datum 1950 per la CTR). Questo determina una “compressione” della rete nazionale e quindi una differenza di alcune decine di metri fra gli assi dei due sistemi. Questa differenza non è la stessa in tutto il territorio e quindi non è possibile passare direttamente da una rete all’altra. Ormai, però, semplici programmi consentono di calcolare le formule complesse elaborate per consentire il passaggio da coordinate geografiche con ellissoide orientato a Monte Mario, a coordinate chilometriche Gauss-Boaga e a coordinate chilometriche UTM. In conclusione, le coordinate, che abbiamo calcolato in modo indipendente sulle due carte e quindi confrontato tramite calcolo analitico, quasi mai forniscono perfettamente la stessa posizione, anche a causa delle inevitabili “imprecisioni” implicite nella rappresentazione grafica del territorio (la differenza può essere al massimo di alcune decine di metri). Per la quota di imbocco della grotta si è, invece, scelto di riportare un unico valore, quello ritenuto più attendibile, anche quando si sono riscontrate differenze fra i valori delle due basi topografiche. Dati metrici I dislivelli (positivo e/o negativo) sono misurati fra l’ingresso e i punti rispettivamente più elevato e più profondo della grotta. Lo sviluppo planimetrico è dato dalla somma delle proiezioni sul piano orizzontale delle lunghezze di tutti i rami rilevati. In alcuni casi (specificati) è stato riportato anche lo sviluppo presunto dei rami non ancora rilevati. Lo sviluppo “spaziale” (utilizzato, per esempio, nel capitolo dedicato al carsismo) è invece la misura delle lunghezze effettive delle poligonali di rilievo. Altri nomi della grotta Le grotte sono state spesso chiamate con nomi diversi nel tempo. Generalmente è mancata, nel passato, un’efficace codificazione toponomastica, e a molte grotte sono stati assegnati solo nomi generici (“la grotta”, o localmente “ouso”, “ciauca”, “chiavica”, ecc.); frequentemente gli speleologi hanno assegnato nuovi nomi a grotte che già avevano una denominazione locale. Tranne che in qualche caso, in questo libro si è scelto di assegnare alla cavità la denominazione riportata nel Catasto Regionale delle Grotte, ritenendo tuttavia opportuno segnalare anche le altre con le quali la grotta è conosciuta. Aree protette di riferimento Questa voce è presente nel caso in cui la grotta si trovi all’interno di parchi, riserve naturali, monumenti naturali, siti di importanza comunitaria (SIC) o zone di protezione speciale (ZPS). Si riportano il tipo, il codice e la denominazione dell’area protetta.

Itinerario Una delle (meno gratificanti …) difficoltà dell’attività speleologica è in molti casi il reperimento dell’imbocco della grotta, spesso localizzato in fitti boschi, o in mezzo a roveti o in pietraie prive di elementi evidenti di riferimento visivo. Per ridurre le difficoltà di individuazione dell’imbocco della cavità, si è scelto di descrivere meticolosamente il percorso di avvicinamento. L’itinerario parte generalmente dal paese più vicino (è quindi sempre consigliabile disporre di una buona carta stradale). Viene descritto in dettaglio il percorso fino al punto in cui si lascia la macchina (le distanze sono ricavate con il contachilometri dell’auto), e quindi il cammino fino all’imbocco della grotta. Spesso è utile avere con sé la carta topografica dell’area, la bussola e l’altimetro o anche il GPS. L’itinerario è generalmente riferito alla situazione degli anni ’90. E’ anche quantificato il tempo indicativo necessario per raggiungere a piedi l’imbocco della grotta dalla macchina (a passo medio, senza soste). Naturalmente talvolta è possibile raggiungere la grotta con percorsi diversi; per semplicità di esposizione gli itinerari alternativi non sono stati considerati. Sono poi riportate le eventuali “limitazioni di accesso”; infatti, anche se la maggior parte delle grotte del Lazio è liberamente accessibile, la visita di alcune di esse richiede una preventiva autorizzazione. Diverse grotte si aprono in terreni privati, alcune sono localizzate all’interno di luoghi di lavoro e le risorgenze captate sono situate all’interno di aree di rispetto e chiuse da porte o cancelli. Alcune grotte richiedono l’autorizzazione del comune per la loro “pericolosità”, mentre altre sono chiuse per salvaguardarne l’integrità. In tutti questi casi per l’accesso è necessario richiedere l’autorizzazione al proprietario del fondo, o al comune, o alla società o all’Ente all’interno della cui proprietà o gestione si apre l’imbocco. Un altro tipo di “limitazione di accesso” è costituito dalle caratteristiche fisiche della grotta o dalle condizioni climatiche, variabili nel tempo. In condizioni meteorologiche avverse è sconsigliabile la visita di numerose grotte; queste difficoltà d’accesso sono segnalate nella parte relativa alla descrizione della grotta.

Descrizione Il percorso sotterraneo è descritto generalmente in dettaglio. Per una migliore comprensione del testo è necessario accompagnare la lettura all’osservazione del rilievo, facilitata da numerosi rimandi ai “punti” di rilievo e ai toponimi degli ambienti. A partire dall’imbocco, vengono descritti il ramo principale e i rami secondari più importanti. Si riportano osservazioni sulla via più consigliabile, sui pericoli della progressione, sulle dimensioni e sulle caratteristiche degli ambienti sotterranei, sull’idrologia e sulle correnti d’aria che interessano la grotta. Spesso sono anche presentate misure della giacitura di strati, faglie e fratture lungo le quali ha avuto origine e si è sviluppata la grotta. Dato l’incessante progresso dell’esplorazione del mondo sotterraneo, con continue scoperte di nuovi rami, le descrizioni riportate sono destinate, naturalmente, a divenire incomplete nel futuro. Comunque, la situazione attuale, riferita all’inizio dell’anno 2003, risulta ben rappresentata e con un numero molto ridotto di dati mancanti.

Stato dell’ambiente In questa sezione sono segnalate le alterazioni ambientali effettivamente osservate in grotta, causate sia dalla frequentazione degli speleologi o di altri “visitatori”, sia dall’eventuale “sfruttamento” della grotta per attività antropiche di vario tipo. Poiché la maggiore presenza umana in una grotta determina generalmente una minore integrità dell’ambiente sotterraneo, si è effettuata una stima della frequentazione della cavità, sulla base sia dei dati storici disponibili negli archivi dei Gruppi Speleologici sia delle informazioni fornite direttamente dagli abituali frequentatori degli ambienti ipogei. Per “frequentazione” si è inteso il numero complessivo di visitatori (somma dei singoli “ingressi” in grotta). Sono state utilizzate 8 “classi di frequentazione”: • non superiore a qualche decina di visite; • non superiore a 200 visite; • diverse centinaia di visite; • oltre un migliaio di visite; • alcune migliaia di visite; • assidua frequentazione, probabilmente superiore a 10 mila visite; • grotta nota “da sempre”, frequentata dalla popolazione locale fin da tempi remoti;

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• grotta “turistica”. Nelle grotte molto estese e complesse la frequentazione, ove non diversamente specificato, si riferisce al ramo principale; evidentemente i rami laterali e il tratto profondo sono normalmente molto meno battuti. Per quanto riguarda le alterazioni prodotte dagli speleologi, queste generalmente sono limitate alle “tracce” di passaggio, come l’infissione di ancoraggi sulle pareti (“spit” e “fix”); inoltre, in diverse grotte sono state allargate strettoie per rendere possibile il passaggio. In alcuni casi, rari, la presenza si concentra in alcuni punti della grotta (per esempio, nei “campi interni” necessari per l’esplorazione delle zone più lontane dall’ingresso) e il degrado locale è più marcato. E’ corretto però osservare che tra gli speleologi esiste una forte sensibilità verso i problemi ambientali, sviluppatasi particolarmente negli ultimi anni, che rende sempre più raro l’abbandono di rifiuti, pile o carburo esausto e la pratica delle scritte a nerofumo sulle pareti. Le alterazioni per lo sfruttamento di una grotta consistono prevalentemente in opere per la captazione delle acque di risorgenza (limitate ad un tratto della grotta prossimo all’imbocco), nello sventramento per le operazioni di cava e nelle “sistemazioni” per la fruizione turistica (con sbancamenti, scavo di tunnel, realizzazione di scale e passerelle in cemento o in griglia metallica, installazione di impianti di illuminazione, …). Notevoli modificazioni morfologiche di antri di ingresso sono dovute al loro utilizzo come ricovero o come centri di culto (sono numerosi i santuari che occupano grandi caverne). Numerose grotte sono utilizzate come discariche di rifiuti o ricevono liquami civili e industriali scaricati nei corsi d’acqua o versati sulla superficie carsica. Le grotte di facile accesso sono quasi sempre oggetto di atti di vandalismo, come l’asportazione delle concrezioni e le scritte sulle pareti.

Note tecniche La quasi totalità delle grotte descritte in questo libro può essere percorsa solo da speleologi esperti, o per lo meno sotto la loro guida. Le note sulla progressione in grotta, quindi, sono indirizzate esclusivamente a loro e vogliono essere un aiuto nell’organizzazione della “punta” e per la preparazione delle attrezzature. Sono elencati, nella successione dall’ingresso verso il fondo, tutti gli ostacoli (pozzi, risalite, fiumi, laghi, sifoni) che richiedono l’impiego di attrezzatura (corde, muta, canotto). E’ evidente che questa nota tecnica ha un certo grado di soggettività (e può quindi risultare incompleta), perché il modo di andare in grotta e di affrontare le difficoltà può essere diverso da speleologo a speleologo.

(rettificata svolgendo l’asse della grotta). Il Nord di riferimento è quello magnetico che, pur se variabile nello spazio e nel tempo, nel Lazio è comunque prossimo al Nord geografico. Le scale grafiche utilizzate (quasi sempre 1:500, 1:1000, 1:2000) sono state scelte per consentire una immediata trasposizione in misure reali. Sono inoltre riportate le quote relative (l’imbocco superiore è posto alla quota “zero”), la profondità dei pozzi (in metri) e la toponomastica degli ambienti sotterranei (attribuita dagli speleologi che per primi hanno esplorato la grotta). Sono inoltre indicati gli autori del rilievo e la data della sua esecuzione. Lungo il tracciato sono riportate almeno le stazioni di misura (i “punti”) essenziali ai fini della corretta interpretazione della corrispondenza fra pianta e sezione, e quelle di riferimento necessarie per rendere più chiara la lettura del paragrafo “descrizione”.

Profilo geologico Elaborato in scala 1:25.000 e riferito ad un allineamento passante per la grotta, è ricavato interpretando la cartografia geologica esistente (i cui riferimenti bibliografici sono riportati sotto il profilo e nella didascalia della carta) integrata da eventuali osservazioni di campagna. Illustra a grandi linee l’assetto geologico in cui la grotta si inserisce e offre un’idea dell’altimetria del paesaggio. In questo libro si è scelto di descrivere i “gruppi di rocce” utilizzando le “litofacies” descritte nelle “Note illustrative alla Carta delle litofacies del Lazio-Abruzzo ed aree limitrofe” di ACCORDI & CARBONE (1988); a titolo di esempio, “67” indica il “Calcare Massiccio” del Lias inf. La legenda delle “litofacies” alla quale si fa riferimento per tutti i profili geologici è riportata in queste note introduttive. Per quanto riguarda le formazioni carbonatiche del Mesozoico, è stata inserita un’ulteriore suddivisione, ricavata dalla cartografia geologica disponibile per la realizzazione del profilo, segnalata dall’età di deposizione dei sedimenti carbonatici; per esempio, “C7-5” indica che la formazione geologica si è depositata nell’intervallo Cenomaniano-Aptiano. L’elenco degli indici utilizzati per definire l’età è riportato in questo paragrafo introduttivo. Nella “parte seconda” del libro si possono trovare ulteriori informazioni sulla geologia e sul carsismo.

Fotografie L’abbondanza del materiale raccolto, fornito da numerosi “speleo-fotografi”, ha consentito di presentare un’ampia panoramica degli ambienti sotterranei della regione, selezionando, per molte grotte, alcune interessanti immagini.

Sigle Gruppi Storia delle esplorazioni In questa sezione è riportata la cronologia delle esplorazioni, con i nomi dei primi esploratori della cavità o di nuovi rami all’interno della stessa. Le informazioni sono state tratte dagli articoli riportati in bibliografia, oppure sono frutto di diretta conoscenza dei fatti, o sono state fornite verbalmente dagli esploratori. Inevitabilmente, il dettaglio della narrazione non è sempre omogeneo e sicuramente sono presenti errori di attribuzione, perché la comunicazione nel mondo speleologico è frequentemente carente con conseguente perdita delle informazioni. Proprio in considerazione di ciò, si è ritenuto opportuno descrivere gli attori e i tempi dell’attività esplorativa, divulgando anche all’esterno dei Gruppi Speleologici le modalità con le quali si è ampliata la conoscenza del mondo sotterraneo.

Bibliografia Sono elencati gli articoli più significativi contenenti riferimenti specifici alla grotta in oggetto. I riferimenti bibliografici completi sono riportati in fondo al libro.

Rilievo topografico Il rilievo topografico in grotta viene generalmente eseguito con bussola (per la misura della direzione rispetto al Nord), clisimetro (per la misura dell’inclinazione) e fettuccia metrica (per la misura della lunghezza). Nel disagevole ambiente sotterraneo è difficile stabilire il grado di precisione; ponendo la massima attenzione nella fase di misura, l’errore può essere stimato in circa 1% in pianta e 2% nei dislivelli. E’ opportuno evidenziare che i rilievi presentati sono frutto del lavoro di numerosissimi speleologi che hanno svolto la loro attività nel corso di un secolo, anche se la maggioranza dei rilievi è stata prodotta negli ultimi decenni. Per fornire immagini omogenee, e quindi di facile interpretazione, tutti i rilievi sono stati appositamente ridisegnati, tentando comunque di mantenere lo “stile” originario. La rappresentazione grafica della grotta è quella classica, suddivisa in pianta e sezione

Nell’elenco che segue vengono riportate le denominazioni dei gruppi speleologici citati nel testo, e le sigle utilizzate. SCR Speleo Club Roma ASIC Associazione Speleologica Italia Centrale - Capitone ASR Associazione Speleologica Romana ASR’86 Associazione Speleologica Romana ‘86 CAI Club Alpino Italiano CSR Circolo Speleologico Romano CSE Circolo Speleologico Esperiano GGP Gruppo Grotte Pipistrelli CAI Terni GGR Gruppo Grotte Roma GGR Niphargus Gruppo Grotte Roma Niphargus GSA Gruppo Speleologico Aquilano GS Anxur Gruppo Speleologico Anxur - Terracina GSC Gruppo Speleologico Ciociaro CAI Frosinone GS CAI Latina Gruppo Speleologico CAI Latina GS CAI Perugia Gruppo Speleologico CAI Perugia GS CAI Roma Gruppo Speleologico CAI Roma GSF Gruppo Speleologico CAI Foligno GSG Gruppo Speleologico Grottaferrata GSGM Gruppo Speleologico Guidonia Montecelio GS UTEC Narni Gruppo Speleologico UTEC Narni SCF Speleo Club Formia SR Associazione Speleologi Romani SZC Shaka Zulu Club - Subiaco Tri.Ma. Speleo Club Tri.Ma. - Maranola GS URRI Gruppo Speleologico URRI - Roma

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(legenda a pag. 86)


Il termine Tuscia indicava, nel tardo impero romano e nell’alto medioevo, la vasta regione tirrenica a Nord di Roma, già chiamata Etruria, che comprendeva parte della Toscana, parte dell’Umbria e l’Alto Lazio, quest’ultimo definito Tuscia Romana. Oggi il termine Tuscia indica il territorio della provincia di Viterbo, ma comprende geograficamente anche la parte settentrionale della provincia di Roma. In questo volume, nella Zona della Tuscia è stato incluso tutto il territorio laziale che si trova sulla destra idrografica del Fiume Tevere fino al confine con la Toscana a Nord. La gran parte di quest’ampio territorio è costituita da rocce di origine vulcanica, originatisi a seguito dell’attività degli apparati Vulsinio e Cimino. Questo tipo di terreni non permette lo sviluppo di grotte naturali; nelle lave del Vulcano di Vico, comunque, è presente una grotta, che per la particolarità è stata inserita fra quelle descritte in questo libro (Sotto-Zona dell’apparato vulcanico di Monte Venere). Una parte estesa del territorio della Tuscia è ricoperta da depositi argillosi, sabbiosi e ghiaiosi. Alcune grotte naturali sono state scoperte in questi terreni; meritano di essere ricordate la Grotta della Frana (sviluppo 50 m) nelle argille e conglomerati di Tarquinia, la Grotta di Sant’Anselmo (sviluppo 65 m) fra tufi e conglomerati a Civita Castellana, la Chiesa Rupestre di Santa Lucia (sviluppo 40 m) e altre due grotte minori fra tufi e travertini a Bomarzo, e la Buca della Franciola (-25, sviluppo 41 m) nei conglomerati di Acquapendente. All’interno dell’area vulcanica spiccano alcuni rilievi costituiti da rocce carbonatiche: il Monte Canino, il Monte delle Fate (Sotto-Zona dei Monti Ceriti) e il Monte Soratte, che però coprono un’area complessiva di soli 8 km2; in questi affioramenti calcarei sono conosciute 27 grotte. Numerose sono le placche travertinose distribuite su tutta la Tuscia. Nel catasto regionale sono elencate 21 grotte, la quasi totalità delle quali scavate nei depositi di travertino situati nei pressi di Canino, dove i condotti ipogei sono particolarmente ben sviluppati (Sotto-Zona dei travertini del Fiume Fiora).

I TRAVER TINI DEL FIUME FIORA Il settore occidentale della regione vulcanica dei Monti Vulsini è occupato da due vasti pianori travertinosi: a Sud la piastra di Canino e a Nord quella della Chiusa del Vescovo. La piastra travertinosa di Canino Il banco di travertino meridionale è il più grande del Lazio, con un’estensione di circa 60 km2. Il bordo del banco costeggia per 10 km la riva orientale del Fiume Fiora, che scorre da Nord verso Sud; a Est i travertini si spingono fino alle propaggini del piccolo rilievo calcareo di Monte Canino, mentre a Sud terminano poco prima di raggiungere le sponde di Fosso Timone. La superficie topografica non presenta al suo interno dislivelli apprezzabili, ma è un susseguirsi di blande ondulazioni e di vallette, con poche notevoli doline a pareti ripide. In posizione quasi centrale si trova la massima elevazione, il M. Fumaiolo (226 m), mentre la quota più bassa (19 m) è alla confluenza del Fosso Timone con il Fiume Fiora, all’estremità meridionale. All’interno di questa placca sono note 11 grotte scavate nei travertini: la Grotta Misa (sviluppo 119 m), localizzata in una digitazione al bordo NW della piastra travertinosa; la Grotta del Lago (sviluppo 55 m), la Grotta Adibita a Stalla (sviluppo 58 m) e altre 6 cavità più piccole situate lungo la scarpata di travertino che costeggia il Fiume Fiora nella zona di Vulci; proseguendo verso Sud fino al vertice meridionale dell’affioramento del banco di travertino si trovano la Grotta di Ponte Sodo (sviluppo 80 m) e la Risorgenza di Fosso Timone. Sul bordo orientale della grande piastra di travertino s’innalza la “spina” calcarea di Monte Canino (432 m), una piccola dorsale estesa solo 3 km2. Quasi in cima al monte si trova l’unica grotta esistente, il Pozzo di Monte Canino (-25). La piastra travertinosa della Chiusa del Vescovo Il banco di travertino settentrionale costituisce un pianoro denominato “Chiusa del Vescovo”, delimitato a Est da una brusca scarpata, ai cui piedi un pendio lo raccorda alla riva del Fiume Fiora. La piastra raggiunge sul lato Sud il Torrente Olpeta in corrispondenza della confluenza nel F. Fiora, verso Est si estende fino alle propaggini della colata lavica della Selva del Lamone mentre a Nord gli affioramenti travertinosi si seguono con certezza fino al Fosso delle Fontanelle, affluente del Fiora. I confini orientali e settentrionali sono però poco definiti, perché le sottili coperture di piroclastiti recenti nascondono la reale estensione dell’affioramento di travertino e non determinano apprezzabili stacchi morfologici. I travertini della Chiusa del Vescovo hanno un’estensione di circa 6 km2, nei quali sono note 5 grotte, fra cui le più estese del Lazio in questo litotipo: il Bucone (sviluppo 1065 m) e la Grotta Nuova (sviluppo 603 m). Deflusso sotterraneo Nell’Alto Lazio, le rocce carbonatiche sepolte sotto i terreni neogenici e quaternari, molto permeabili, contengono una ricca falda, tenuta in pressione dai sovrastanti sedimenti limoso-sabbiosi a bassa permeabilità (BALDI ET ALII, 1974). Sopra di questi anche la copertura vulcanica racchiude una falda (più modesta), ma sono frequenti le intercalazioni di livelli impermeabili. I travertini, molto porosi e soggetti a carsismo, hanno un’elevata permeabilità, ed è probabile che le acque meteoriche

percolino fino al contatto con i terreni vulcanici sottostanti, per poi proseguire in gallerie sotterranee scavate sulla superficie di contatto a debole pendenza. Attualmente la sorgente più significativa conosciuta nelle vicinanze degli affioramenti travertinosi è una scaturigine termo-minerale situata sulle pendici Sud di Monte Canino, in località Bagno di Musignano. Le grotte maggiori sono costituite da condotte sub-orizzontali attraversate da corsi d’acqua. Nel deposito travertinoso della Chiusa del Vescovo l’importante sistema Bucone-Grotta Nuova è percorso da un rio sotterraneo temporaneo; è probabile, infatti, che le acque della Grotta Nuova siano le stesse che più a monte scorrono nel Bucone, raccogliendo così una parte significativa delle acque meteoriche che cadono sul pianoro. Le acque che scorrono nella Grotta Nuova riemergono definitivamente da una piccola sorgente situata a poche decine di metri dal Fiume Fiora, al contatto con le sottostanti filladi impermeabili. Nelle digitazioni della piastra travertinosa di Canino si trovano i due interessanti inghiottitoi della Grotta Misa e della Grotta di Ponte Sodo. La Grotta Misa drena un piccolissimo e mal riconoscibile bacino; le acque che saltuariamente la percorrono riemergono subito al di là del dosso d’ingresso, a poche decine di metri dal Fiume Fiora. La Grotta di Ponte Sodo inghiotte le acque di Fosso Timone, torrente perenne alimentato da un bacino molto esteso; dopo un percorso sotterraneo di soli 200 m il torrente ricompare attraverso una condotta percorribile per una ventina di metri (Risorgenza di Fosso Timone), per confluire nel F. Fiora poco più avanti.

L’APPARATO VULCANICO DI MONTE VENERE L’apparato di Monte Venere è un edificio vulcanico secondario che sorge presso la riva del Lago di Vico. All’interno della depressione irregolare in cui si apre il lago, originatasi per collasso calderico e delimitata su tre lati dalla cinta craterica dell’apparato Vicano, spicca la doppia cima di Monte Venere (838 m), un rilievo dalla tipica morfologia a cono. Attorno alle pendici del complesso vicano si trova una serie di manifestazioni vulcaniche tardive quali le sorgenti termo-minerali di Viterbo. Nell’area è conosciuta una sola grotta, il Pozzo del Diavolo descritto in questo lavoro, che rappresenta anche l’unica cavità vulcanica del Lazio. I MONTI CERITI Presso Sasso si trova una piccola area carsica, il Monte delle Fate, formata da una serie di tre modeste alture di natura calcarea allineate in direzione ENE-WSW e poste al limitare dei colli vulcanici dei Monti Ceriti, alle propaggini meridionali dei Monti della Tolfa. L’estensione totale dell’affioramento carbonatico è modestissima, meno di 1 km2, tuttavia sono presenti 3 grotte, la più importante delle quali è la Grotta Patrizi (-47, sviluppo 260 m), che si sviluppa sul dosso maggiore, il Monte delle Fate (396 m). Deflusso sotterraneo Le acque del Monte delle Fate e del vicino dosso calcareo di località il Casone (comunicanti al di sotto dei depositi di copertura) dovrebbero emergere dalla sorgente termo-minerale Acqua Calda, situata a q. 244 m sul bordo del dosso calcareo, 1,4 km verso WSW dalla Grotta Patrizi; il fondo della grotta è posto a q. 282 m, probabilmente una trentina di metri sopra il livello di falda. La portata della sorgente, circa 5 L/s (CAMPONESCHI & NOLASCO, 1978-86), appare adeguata all’estensione dei rilievi calcarei.

il Bucone - la galleria (foto A. Cerquetti)

infiltrano in questa piccola dorsale calcarea si mescolino con quelle dell’acquifero costituito dai depositi clastici circostanti e drenato da diversi fossi affluenti del Tevere fino a quote di circa 30 m. BONI ET ALII (1988) riportano l’area del M. Soratte all’interno delle isopiezometriche di q. 100 e 200 m. La superficie piezometrica deve, comunque, essere situata sotto q. 128 m, corrispondente al fondo del Mero Grande. La superficie di sovrascorrimento a basso angolo che taglia il versante orientale del M. Soratte (passando presumibilmente subito sotto il fondo della Grotta di Santa Lucia) potrebbe costituire un limite di permeabilità sufficiente a separare le acque sotterranee dell’unità tettonica di Sant’Oreste (i Meri) da quelle dell’unità superiore (Grotta Andrea Innocenzi, Abisso Erebus).

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IL MONTE SORATTE E’ una stretta dorsale calcarea, allungata in direzione NW-SE, che si eleva con grande stacco morfologico dalla fascia di basse colline e ondulazioni della piana del Tevere. La dorsale ha una lunghezza di circa 6 km e larghezza fino a 1,5 km; le sue appendici di Monte Cuculo e Monte Belvedere emergono all’estremità SE dell’allineamento. La quota più alta è il Monte Soratte (693 m) posto al centro della dorsale. La cresta è costituita da una serie di piccole cime separate da selle non molto pronunciate, che le conferiscono un andamento dentellato. I versanti della dorsale, orientale e occidentale, sono ripidi e si caratterizzano per la quasi completa assenza di idrografia superficiale. Solo in occasione di forti eventi piovosi le acque di dilavamento sono convogliate in canaloni che si originano nelle strette selle che incidono la linea di cresta. Sono assenti le tipiche morfologie carsiche di superficie, come i campi carsici, le doline e i campi solcati. Nonostante ciò, il carsismo ipogeo risulta piuttosto sviluppato, con 23 grotte esplorate. Raggiunta l’area della cresta sommitale del monte, salendo dal paese di Sant’Oreste e andando verso NW, si incontrano la Grotta della Monnezza (-30), la Grotta 1a del M. Soratte (-33), l’Abisso Erebus (-115) e la Grotta Andrea Innocenzi (-53). Sul fianco orientale della montagna, presso S. Oreste, si trova la Grotta di Santa Lucia (+15/-105); più in basso sullo stesso versante si aprono i tre pozzi intercomunicanti dei Meri (-109) e, poco sotto, la grotta-santuario di Santa Romana. Deflusso sotterraneo Per quanto riguarda l’emergenza della falda carsica, si può ipotizzare che le acque che si il Bucone- la sala “delle Colonne” (foto G. Cappa)


I TRAVERTINI DEL FIORA

Il Bucone Dati catastali altro nome: Infernetto 923 La - comune: Ischia di Castro (VT) - località: Chiusa del Vescovo - quota: 171 m; carta IGM 1:25000: 136 IV SE Ponte San Pietro - coordinate: 0°49’47”7 Ovest (11°37’20”4) 42°31’55”3 carta CTR 1:10000: 343 080 Ponte San Pietro - coordinate: 1.715.345 - 4.712.355 dislivello: +2/-15 m - sviluppo: 1065 m

Itinerario Da Farnese si prende la strada per Pitigliano (GR). Dopo circa 7 km si imbocca la strada a sinistra che porta alle rovine di Castro e a Manciano (GR). Dopo 2,8 km si svolta in una strada bianca a sinistra e la si percorre per 300 m fino ad un cancello posto sulla sinistra. Una stradina parte dal cancello e arriva a due casolari dopo circa 50 m; la dolina d’ingresso è a sinistra dei casolari. Per accedere alla grotta, che si apre in terreno privato recintato, è opportuno chiedere il permesso al proprietario.

Descrizione

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 F. 136 Tuscania 1 = il Bucone 2 = Grotta Nuova 3 = Grotta Misa 4 = Grotta di Ponte Sodo

coordinate riquadro: angolo NW = 0°52’ Ovest - 42°23’ Nord angolo SE = 0°42’ Ovest - 42°34’ Nord

L’ingresso principale è in una dolina di crollo lunga 30 m. Ad una estremità della dolina, nel punto più depresso, si apre un foro a sezione triangolare, alto 1,50 m e largo altrettanto, con al centro un grande masso, che permette di scendere in una sala di crollo occupata da un grande conoide detritico. La sala intercetta una galleria periodicamente attiva, che può essere percorsa sia verso monte che verso valle; dalla stessa sala si dirama anche una galleria superiore “fossile”. Disceso il conoide detritico verso sinistra, si supera un basso passaggio (alto 60 cm e largo 2 m) lungo 6 m, si sale un gradino e si entra nel tratto a monte della galleria attiva. Questa è lunga 60 m, alta un paio di metri e larga altrettanto, con dei restringimenti causati da frane, una delle quali pone anche fine alla galleria (q. +2, punto B). Dalla frana scaturisce il torrente sotterraneo che per gran parte dell’anno percorre la grotta. Se, invece, dalla sala di crollo iniziale si scende il conoide detritico verso destra, si percorre un tratto di galleria lungo una settantina di metri, largo 6-8 m e alto da 3 a 5 m, con il fondo detritico, nel quale serpeggia il torrente, con grandi cumuli di massi ai lati. Al termine di questo tratto si risale un nuovo conoide detritico che occupa quasi interamente la galleria, lasciando uno stretto passaggio in alto. Alla sommità del conoide si rivede la luce, sbucando alla base di un pozzo alto 5 m e con diametro di 4 m, che porta all’esterno (punto D). Si discende il conoide sul versante opposto, e dopo una quindicina di metri la volta si abbassa fino a 80 cm, per poi rialzarsi subito dopo. Da qui si entra in una galleria meandriforme in leggera discesa, con sezione a tratti ellittica allungata lungo la stratificazione suborizzontale del travertino, con larghezza quasi sempre superiore ai 2 m e altezza minore, fino a 1 m, che costringe spesso a camminare chinati. A questi tratti se ne alternano altri con sezione più alta, fino a 4 m, e con morfologia più articolata. Le pareti e i soffitti non interessati da crolli sono molto concrezionati; sul pavimento sono presenti vasche profonde anche 1 m, dove l’acqua ristagna dopo le piogge. Nel corso delle visite in periodi piovosi si è osservato che in questo tratto la portata del corso d’acqua aumenta rispetto a quella che filtra dal detrito della galleria a monte. In alcuni punti, passaggi laterali asciutti poco più alti del fondo consentono di evitare tratti bassi allagati. Dopo 320 m dall’ingresso a pozzo si raggiunge la “sala delle colonne” (punto J), con dimensioni in pianta di circa 30x15 m e alta 7-8 m; la sala deve il nome ad alcune colonne concrezionali di grande diametro, alte fino a 5 m. Nei periodi di piena, in questa sala si forma un grande lago. La parte terminale della galleria attiva che continua oltre la sala, lunga un’ottantina di metri, ha dimensioni più ridotte (altezza fra 1 e 2 m e larghezza fra 1,5 e 3 m), e termina in un ulteriore restringimento impercorribile (-15 m, punto L). Una trentina di metri prima della sala delle colonne, in corrispondenza di una saletta, partono due diramazioni. Una galleria concrezionata parte sulla destra della galleria a 2 m d’altezza, e si ricollega, dopo un breve giro, alla sala delle colonne; sulla parete opposta, sbuca dall’alto un cunicolo basso e molto fangoso, che si sviluppa parallelamente alla galleria principale verso monte, per una quarantina di metri, abbassandosi progressivamente fino ad impedire il passaggio (punto M). Tornando all’ingresso principale, nella sala si sale su una cornice in alto sulla destra del conoide detritico e si accede al “ramo fossile principale”. Questa galleria si presenta inizialmente meandreggiante, concrezionata e con mensole sporgenti dalle pareti, alta da 1 a 2 m e larga 3 m; dopo circa 30 m, superato un passaggio basso, la sezione diventa più bassa e, in alcuni tratti, larga fino a 2 m, con fondo piatto spesso ricoperto da concrezione. Dopo circa 70 m questo ramo comunica con il pozzo di 5 m (punto D) intercettato anche dalla galleria principale, tramite una finestrella in parete a meno di 2 m d’altezza dalla sommità del secondo conoide. Superato il pozzo, la condotta prosegue per altri 110

m, comunicando con la galleria principale in altri due punti, tramite una nuova finestra (punto E) ed un pozzetto di 5 m seguito da stretti cunicoli discendenti (punto G). Il ramo stringe progressivamente e termina con due cunicoli stretti (punto F). Una sensibile corrente d’aria percorre la grotta nel tratto compreso fra i due ingressi. Nel periodo estivo la grotta è normalmente asciutta, mentre nel periodo invernale un piccolo torrente percorre la grotta; nei periodi più piovosi si può verificare l’allagamento di vaste zone della grotta, fino anche al sifonamento dei tratti con il soffitto più basso.

Stato dell’ambiente La grotta è molto frequentata. A partire dal 1975, anno della prima indagine da parte di gruppi speleologici, il numero complessivo di visite è stimabile in diverse centinaia. In realtà, le caratteristiche dell’imbocco (aperto in piena campagna, di notevoli dimensioni) e dell’intera galleria (sviluppata sempre a pochi metri dalla superficie esterna) rendono la grotta molto vulnerabile. La “dolina” d’ingresso si presenta ingombra di rifiuti, così come il secondo ingresso a pozzo, che, attrezzato con dei tubi, assolve all’impropria funzione di recettore di acque di scarico di una vicina abitazione. Rifiuti di vario tipo, trascinati dalle acque, sono distribuiti in diversi punti della galleria.

Note tecniche Per percorrere la grotta dall’ingresso principale non occorrono attrezzature. La discesa dall’ingresso a pozzo (P5) richiede una corda da 10 m. Nel “Ramo Superiore” si incontra un pozzetto di 5 m (corda) che riporta verso la galleria principale.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre. Nel 1950 venne esplorata fino alla frana prima dell’ingresso a pozzo dagli archeologi F. Rittatore Vonwiller e L. Cardini, che vi eseguirono dei saggi nel 1955. Nella sala iniziale della grotta sono stati infatti rinvenuti alcuni frammenti ceramici risalenti all’età del Bronzo Medio (XVI secolo a.C.) oltre a manufatti in osso, conservati nel Museo Fiorentino di Preistoria e nell’Antiquarium comunale di Ischia di Castro (NEGRONI CATACCHIO, 1981 e 1983). Le esplorazioni sono state continuate dal Gruppo Speleologico CAI Orvieto nel 1973 e completate dal CSR il 3 dicembre 1978 (A. Fratoddi, S. Gambari, L. Nizi, G. Spinello).

Bibliografia CENTRO DI CATALOGAZIONE DEI BENI CULTURALI DELLA PROVINCIA DI VITERBO, 1985; MIELI, 1994; NEGRONI CATACCHIO, 1981; NEGRONI CATACCHIO, 1983; NIZI, 1984a; PIRO & MECCHIA, 1997a; RATTOTTI, 1981.


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Grotta Nuova Dati catastali

Stato dell’ambiente

altro nome: Grotta dell’Infernaccio 924 La - comune: Ischia di Castro (VT) - localitĂ : Chiusa del Vescovo quota: 134 m carta IGM 1:25000: 136 IV SE Ponte San Pietro - coordinate: 0°50’28â€?3 Ovest (11°36’40â€?1) - 42°31’29â€?3 carta CTR 1:10000: 343 080 Ponte San Pietro - coordinate: 1.714.470 - 4.711.440 dislivello: + 25/-11 m - sviluppo planimetrico: 603 m

La grotta è stata molto frequentata, sia in epoca lontana che in tempi recenti (scavi archeologici). A partire dall’anno dell’inizio della frequentazione dei gruppi speleologici (1976), il numero complessivo di visite è stimabile in diverse centinaia. Lo stato dell’ambiente piĂš interno appare integro, anche per le particolari caratteristiche delle grotte nei travertini (franositĂ , abbondanza di materiali terrosi) e per la presenza di un torrente (azione dilavante), che rendono meno percepibili gli effetti ambientali derivanti da un lato dalla frequentazione, dall’altro dalle caratteristiche di vulnerabilitĂ proprie di una grotta situata a pochi metri dalla superficie agricola. E’ in ultimo da ricordare che in questa galleria trova, probabilmente, recapito l’acqua inquinata della grotta il Bucone.

Itinerario Da Farnese si prende la strada per Pitigliano (GR). Dopo circa 7 km si imbocca la strada a sinistra che porta alle rovine di Castro e a Manciano (GR). Dopo 4,7 km, poco prima del ponte sul Fiume Fiora, si svolta in una strada bianca a sinistra, che porta a Canino, e la si percorre per meno di un chilometro fino ad una cabina elettrica poco sotto la strada. Si lascia la macchina 50 m piÚ avanti, dove sulla sinistra parte un ripido sentiero in salita affiancato da un tubo, che si deve seguire per un centinaio di metri (+30 m di dislivello); quindi si piega a sinistra fra i cespugli e dopo 15 m ci si affaccia sulla grande dolina d’ingresso (15 minuti di cammino).

Descrizione

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J). Risalendo quest’ultima frana si arriva in una saletta chiusa (punto K). In questo tratto finale della galleria il torrente scava nel banco di travertino fino a raggiungere i tufi sottostanti.

La grotta si apre con una grande dolina di crollo di circa 10 m di diametro e profonda 10 m, localizzata a metĂ del ripido versante che scende verso il Fiora. Sul fondo della dolina si intercetta una grande galleria in discesa col fondo occupato da un accumulo di grossi blocchi di frana coperti da abbondante sedimento argilloso. Disceso il conoide, dopo una trentina di metri, si incontra un corso d’acqua perenne che verso valle scompare subito tra i massi della frana (-11 m, punto B). Risalendo invece il corso d’acqua verso monte, si può proseguire tramite un passaggio basso lungo il torrente oppure scavalcare i blocchi di frana; si entra quindi in una galleria, inizialmente larga una decina di metri e alta altrettanto, con andamento pressochĂŠ rettilineo, a parte alcune ampie curve, quasi priva di concrezioni; il torrente scorre quasi sempre su un letto fangoso. Dopo un centinaio di metri (punto C), la galleria si riduce fino a meno di 1 m di altezza ed assume una sezione subcircolare o ellittica; forse durante l’inverno questo passaggio è soggetto a temporanee sommersioni. Dopo una quindicina di metri il soffitto si alza di nuovo fino ad un paio di metri; la galleria ora prosegue piuttosto ampia (3-4 m di larghezza) con andamento meandreggiante, per circa 70 m fino ad una sala di crollo (punto D) che si allarga lateralmente (diametro di una dozzina di metri). Oltre la sala, la galleria prosegue con le stesse caratteristiche del tratto precedente; dopo altri 70 m si incontra un’altra sala di grandi dimensioni, lunga 40 m e larga 7, con la volta alta almeno 10 m, occupata interamente da una frana di blocchi, tra i quali bisogna trovare il passaggio per proseguire. Superata la frana, si continua nella galleria per altri 160 m, fino a raggiungere un punto dove l’acqua fuoriesce dal detrito che ingombra il pavimento. Ci troviamo ora in un grande ambiente, largo 15 m e lungo una quarantina, originato da una frana sulla quale si risale per oltre 25 m lateralmente alla galleria principale; alla sommitĂ (punto H, + 25 m) il pavimento è coperto da un deposito di guano di notevole spessore. Dalla base del salone, tramite angusti passaggi fra massi, si raggiunge una nuova sala di una decina di metri di diametro, alta 15 m, sul fondo della quale si ritrova l’acqua (punto I). Si avanza quindi in una galleria per una trentina di metri; la volta si abbassa fino a 1 m, finchĂŠ una nuova frana sbarra definitivamente il cammino; dalla base dell’accumulo detritico filtra l’acqua (punto

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Storia delle esplorazioni

Descrizione

La grotta è conosciuta da sempre. Nel 1949 venne esplorata parzialmente da archeologi fra cui F. Rittatore Vonwiller, e l’anno successivo L. Cardini e E. Tongiorgi effettuarono alcuni scavi. Nel 1976 sono state completate le esplorazioni, sempre da parte di archeologi. Nel tratto iniziale della grotta è stato rinvenuto materiale paletnologico; data l’importanza e l’originalitĂ dei ritrovamenti, la Grotta Nuova ha dato il nome ad un “aspettoâ€? particolare delle culture dell’etĂ del Bronzo. Venne utilizzata come luogo di culto dall’epoca del Bronzo Antico a quella del Bronzo Recente (secoli XVIII - XIII a.C. circa; NEGRONI CATACCHIO, 1981 e 1983). I reperti sono esposti nel Museo Fiorentino di Preistoria e negli Antiquarium comunali di Ischia di Castro e Farnese.

Si tratta di un inghiottitoio temporaneo a cui si accede da un portale largo 10 m e alto 3 m, ingombro di massi. Si scende per 5 m tra i massi, entrando in una sala di 10 m di diametro. La grotta è scavata nel travertino, le cui bancate sembrano inclinate di 35° verso 170°. Sulla destra della sala parte un ramo ascendente lungo circa 10 m (punto 4), interrotto da una strettoia. In fondo alla sala, un altro salto di 5 m, superabile sulla sinistra senza attrezzature, porta in una galleria meandriforme lunga circa 50 m, alta mediamente 2,5 m e con il fondo a marmitte scavato dal torrente. A metĂ della galleria sulla parete di destra, si può risalire un saltino di 2 m che prosegue con uno stretto cunicolo largo 40 cm e lungo 5 m, che porta ad un secondo ingresso molto stretto (40 x 50 cm, punto 11). Riprendendo la discesa della galleria principale, si arriva in breve nella sala “dei Pipistrelli Agitatiâ€? riempita da un conoide di depositi argillosi

Grotta Misa Dati catastali 331 La - comune: Montalto di Castro (VT) - localitĂ : i Colli - quota: 138 m carta IGM 1:25000: 136 III NE Riminino - coordinate: 0°49’27â€? Ovest (11°38’41â€?4) - 42°29’54â€? carta CTR 1:10000: 343 120 Riminino - coordinate: 1.715.980 4.708.540 dislivello: -24 m - sviluppo planimetrico: 119 m

Itinerario Dalla S.S.Aurelia al km 107,5 si prende la SS 312 per Canino. Dopo 5,8 km si svolta a sinistra in direzione della Cartiera (Industria Cartaria Lucchese Ponte Sodo); la si supera e, dopo 13,1 km, si imbocca una strada a sinistra senza indicazioni, che va a Manciano (GR) e che dopo poco diventa sterrata. Dopo 5,7 km si imbocca una strada bianca a sinistra; al bivio dopo 1,9 km si prosegue dritti per circa 1 km fino ad un cancello, di solito aperto, presso il quale si lascia la macchina. Si prosegue a piedi per 200 m attraversando il prato a destra della strada, (in direzione NE) fino ad incontrare il solco del torrente che si getta nella grotta; l’imbocco è poco visibile perchĂŠ nascosto dai rovi, e si trova in un terreno privato recintato.

Non sono necessarie attrezzature. Nei periodi di pioggia la galleria si allaga in vari punti.

MIELI, 1994; NEGRONI CATACCHIO, 1972; NEGRONI CATACCHIO, 1977a; NEGRONI CATACCHIO ET ALII, 1979; NEGRONI CATACCHIO, 1981; NEGRONI CATACCHIO, 1983; NIZI, 1984a; PIRO & MECCHIA, 1997a; POGGIANI KELLER, 1978; QUAGLIULO, 1996; RADMILLI, 1978; RATTOTTI, 1981; RITTATORE VONWILLER ET ALII, 1978; TOZZI ET ALII, 1995.

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Note tecniche

Bibliografia

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Grotta Nuova: il passaggio basso a metĂ della galleria (foto G. Mecchia)

scavati alla base dal torrente. Si prosegue quindi in un basso cunicolo (alto meno di 1 m) con il fondo fangoso, che si interra progressivamente fino a diventare impraticabile dopo 10 m (punto 18). Fino a pochi anni fa questo cunicolo era superabile in quanto non completamente colmato dai sedimenti, e dava accesso alla saletta “del Guano� e ad un nuovo cunicolo basso che chiudeva in strettoia. Nel periodo invernale si avverte una corrente d’aria con flusso diretto dal secondo ingresso verso quello principale.

Stato dell’ambiente La grotta è presumibilmente nota “da sempreâ€?, ma è stata esplorata dagli archeologi negli anni ’40 e dagli speleologi solo a partire dal 1975; scarsamente frequentata, ha visto un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. L’ambiente sotterraneo appare integro; nella galleria sono presenti resti di animali trascinati dall’acqua.


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Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni 37

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La grotta è conosciuta da sempre; nel passato venne utilizzata come riparo, come santuario e come luogo di sepoltura, ed ha fornito dati molto interessanti per quanto riguarda la ricostruzione ambientale e faunistica del territorio durante l’età del Bronzo (1600-1400 a.C.). È stata esplorata nel giugno 1947 dagli archeologi L.Cardini, E. Tongiorgi e F. Rittatore Vonwiller.

Bibliografia DOLCI, 1967; GUIDI & PIPERNO, 1992; MIELI, 1994; NEGRONI CATACCHIO, 1972; NEGRONI CATACCHIO, 1981; QUAGLIULO, 1996; RADMILLI, 1961; RADMILLI, 1978; RITTATORE VONWILLER ET ALII, 1978.

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Grotta di Ponte Sodo: la cascata formata dalla diga all’ingresso dell’inghiottitoio (foto G. Mecchia)


Grotta di Ponte Sodo Dati catastali altro nome: Infernaccio 58 La - comune: Canino (VT) - località: Mulino di Ponte Sodo - quota: 47 m carta IGM 1:25000: 136 III SE Montalto di Castro - coordinate: 0°48’02” Ovest (11°39’06”4) 42°24’06” carta CTR 1:10000: 343 160 Vulci - coordinate: 1.718.360 - 4.697.860 dislivello: -15 m - sviluppo planimetrico: 80 m

Itinerario Dalla S.S.Aurelia al km 107,5 si prende la SS 312 per Canino. Dopo 5,8 km si svolta a sinistra in direzione della cartiera (Industria Cartaria Lucchese Ponte Sodo). Dopo 2,8 km ci si può fermare su un ponte presso la cartiera; sulla sinistra si vede il Fosso Timone che con una bella cascata si getta nella grotta. Proseguendo si entra nel piazzale della cartiera, dove si trova l’entrata più comoda. Per accedere alla grotta è necessario chiedere il permesso ai proprietari della cartiera.

Descrizione Il Fosso Timone è sbarrato da una diga, alta circa 5 m, realizzata per derivare una parte dell’acqua del fiume in un canale artificiale, per sfruttarla come forza motrice nell’attività della cartiera appositamente costruita davanti al salto d’acqua. Alla base della diga l’acqua viene inghiottita da un grande antro (largo 5 m e alto 4 m). L’acqua percorre quindi un’ampia galleria in discesa (larga 3 m e alta 2 m) lunga una decina di metri e invasa dall’acqua per l’intera larghezza. Al termine della galleria l’acqua si getta con una spettacolare cascata di 12 m in un profondo lago; dallo specchio d’acqua (largo 20 m e lungo 30 m) il torrente prosegue vorticoso e spumeggiante fra grandi massi, con l’alveo ipogeo scavato nella roccia lavica sottostante, raggiungendo dopo breve percorso il lago-sifone terminale (-15, punto 15). Oltre all’ingresso principale costituito dall’inghiottitoio, la grotta ha un secondo imbocco (punto 1), situato all’interno di uno degli edifici della cartiera. Questo ingresso era probabilmente naturale anche se ha subito profonde modifiche prima per la costruzione all’interno della grotta di un mulino, e poi, nel corso del XX secolo, per la creazione della cartiera. Si accede alla cavità tramite una serie di scale in cemento che scendono nel punto più alto del pavimento della grotta (punto 4), costituito da un terrazzo largo 20 m, con la volta alta 5 m. Il pavimento del terrazzo scende dolcemente con vaschette fossili fino alla stessa altezza della sommità della cascata che si vede panoramicamente di fronte, per poi precipitare quasi verticalmente sul lago. Questo terrazzo e il lago fino al sifone costituiscono un unico grande ambiente a pianta triangolare con i lati lunghi 50-70 m; dal soffitto pendono innumerevoli stalattiti ormai fossili e due grandi colonne concrezionali si trovano sul ripiano. Raggiunta la base del terrazzo, con l’ausilio di una scala metallica fissa (punto 12), si scende fra macigni e grandi vasche fino ad una spiaggia fangosa antistante il lago-sifone terminale. Da qui, le acque sotterranee di Fosso Timone percorrono un tratto di sifone inesplorato lungo circa 25 m, fino a sbucare in un condotto percorribile, che dopo una ventina di metri riemerge all’esterno, in corrispondenza del termine del banco di travertino.

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre”, ed è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi lontani. Dalle sponde del lago partono le cinghie di trasmissione, ormai inutilizzate, che azionavano la cartiera. Le fondazioni della costruzione, di un certo interesse come archeologia industriale, occupano una vasta area. Sulla sinistra delle scale di accesso si nota in alto un’apertura che dà sull’esterno, chiusa da un lucernario. L’accesso alla spiaggetta fangosa avviene attraverso un accumulo di materiali di scarto della precedente attività industriale. La forte antropizzazione e la percezione di un certo odore di ammoniaca non impediscono, comunque, la presenza di una rilevante colonia di pipistrelli.

Note tecniche Entrando dalla cartiera, per arrivare al sifone non è necessaria nessuna attrezzatura.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre dai locali, che sfruttavano l’energia dell’acqua della cascata per far funzionare un mulino posto all’interno della galleria; venne percorsa dal CSR (F. Botti, G. Dusmet, C. Zileri dal Verme) alla fine degli anni ‘20.

Bibliografia ABBATE, 1894; DOLCI, 1966; PALMIERI, 1863; PASQUINI, 1960a; RATTOTTI, 1981; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948b.

Risorgenza di Fosso Timone dalla quale tornano alla luce le acque inghiottite dalla Grotta di Ponte Sodo (foto archivio CSR; 1952)

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L’APPARATO VULCANICO DI MONTE VENERE

Pozzo del Diavolo

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Dati catastali 1289 La - comune: Caprarola (VT) - localitĂ : Monte Venere - quota 800 m carta IGM 1:25000: 137 III SE S. Martino al Cimino - coordinate: 0°16’13â€?5 Ovest (12°10’54â€?9) - 42°20’30â€?1 carta CTR 1:10000: 355 070 Caprarola - coordinate: 2.287.860 4.691.600 dislivello: -13 m - sviluppo planimetrico: 40 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale Regionale “Lago di Vicoâ€?; SIC IT6010023 “Monte Fogliano e Monte Venereâ€?; ZPS IT6010057 “Lago di Vico - M. Venere e M. Foglianoâ€?

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Itinerario

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 F. 137 Viterbo e F. 143 Bracciano 1 = Pozzo del Diavolo

coordinate riquadro: angolo NW = 0°20’ Ovest - 42°22’ Nord angolo SE = 0°13’ Ovest - 42°17’ Nord

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Dalla piazza centrale di Ronciglione (piazza Vittorio Emanuele) si segue la via Cassia in direzione Viterbo. Dopo 2,5 km si imbocca una stradina a sinistra. Percorsi 200 m, ad un bivio si svolta a destra. Si prosegue per 3,4 km sulla strada che costeggia il lago, fino ad un incrocio presso una cabina elettrica, dove si svolta a destra e, percorsi 700 m, ad un ulteriore bivio si svolta a sinistra. Ancora 2,2 km e si raggiunge il parcheggio di un’area attrezzata per picnic, dove si lascia la macchina. A piedi, si attraversa la strada e si prende il sentiero che risale il versante verso SW. Il sentiero è segnalato da cippi in pietra e porta ad una sella fra due delle tre cime di Monte Venere; dalla sella si sale alla vetta di sinistra (Sud). Dal centro del piano sommitale della vetta si prosegue verso SW; una trentina di metri piĂš in basso sul versante si trova l’imbocco recintato della cavitĂ (40 minuti di cammino).

IL MONTE DELLE FATE A SASSO Descrizione Si tratta dell’unica grotta del Lazio attualmente nota nelle rocce vulcaniche. L’ambiente sotterraneo, infatti, deve essersi originato per svuotamento della massa lavica (lave tefritico-fonolitiche). L’imbocco della cavità è un foro con larghezza di 5 m. Si entra dal punto piĂš basso lungo l’orlo, scendendo in arrampicata un saltino di 3 m e raggiungendo un terrazzo che sovrasta un grande salone. Il salone ha una forma irregolare con larghezza massima di 20 m e altezza fino a 5 m. Il pavimento, in discesa verso Ovest, è costituito da grandi blocchi crollati dalla volta, con le dimensioni massime di un cubo di 3 m di lato. Le pareti e la volta del salone sono lisce e di colore scuro, con numerose fratture in tutte le direzioni. I grandi blocchi isolano alcuni piccoli ambienti sottostanti. Sul lato NE del salone è presente una breve diramazione: si risale su massi entrando in un foro di 60-70 cm che dopo 5 m porta alla base di un piccolo camino; in inverno una forte corrente d’aria percorre la diramazione in direzione del salone. Poco piĂš in basso rispetto a questa diramazione se ne trova una seconda, che risale a scivolo per una decina di metri. I camini delle diramazioni sembrano corrispondere a due piccoli avvallamenti all’esterno. Modesti stillicidi scendono dalle pareti nei periodi umidi. Nella grotta furono rinvenuti tra il terriccio ed i massi di crollo numerosi frammenti di vasi la cui tipologia, data l’originalitĂ dei pezzi rinvenuti, fu definita “aspetto di Monte Venereâ€?. Per questo sito sono state eseguite numerose analisi al C14 per stabilire l’etĂ assoluta degli strati. I risultati di queste datazioni collocano l’aspetto di Monte Venere tra la seconda metĂ del V e gli inizi del IV millennio a.C. (DELPINO & FUGAZZOLA DELPINO, 1980).

Stato dell’ambiente A parte gli scavi archeologici, la grotta appare integra, nonostante le frequenti visite di escursionisti e speleologi.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre. Nel 1970 alcuni archeologi dilettanti la esplorarono, e scoprirono numerosi frammenti ceramici, segnalandoli alla Sovrintendenza Archeologica per l’Etruria Meridionale, che nel settembre 1972 eseguĂŹ alcuni saggi stratigrafici.

Bibliografia DELPINO, 1972; DELPINO & FUGAZZOLA DELPINO, 1980; FUGAZZOLA DELPINO, 1987; MECCHIA G., 1996; MORETTI, 1977; TOZZI ET ALII, 1995. Pozzo del Diavolo: dall’interno verso l’imbocco (foto D. Di Pasquale)

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 F. 143 Bracciano 1 = Grotta Patrizi

coordinate riquadro: angolo NW = 0°27’ Ovest - 42°06’ Nord angolo SE = 0°22’ Ovest - 42°02’ Nord

Grotta Patrizi Dati catastali altri nomi: Grotta della Croce, Grotta di Sasso 183 La - comune: Cerveteri (RM) - localitĂ : le Croci - quota: 300 m carta IGM 1:25000: 143 III SO Santa Severa - coordinate: 0°24’12â€? Ovest (12°02’56â€?4) - 42°03’45â€? carta CTR 1:10000: 364 090 Sasso - coordinate: 2.275.800 - 4.661.000 dislivello: -47 m - sviluppo planimetrico: 260 m

Itinerario Dal km 47 della via Aurelia si imbocca la strada per la frazione di Sasso. Costeggiate le case del paese, si prosegue lungo la strada principale per altri 2 km circa, fino ad arrivare ad un bivio da cui parte una strada a sinistra. All’inizio di questa strada si trova il cancello di entrata della tenuta, recintata, al cui interno si apre la grotta. Per accedervi è necessario chiedere il permesso al proprietario. Una volta entrati, si prosegue per circa 500 m alla destra del cancello.


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biospeleologiche.

Descrizione (di Leonardo Latella) La grotta presenta attualmente due ingressi, uno superiore a pozzo (punto 2) ed uno inferiore (punto 1), orizzontale, che è stato aperto negli anni ‘50 per agevolare i lavori di ricerca all’interno. Dall’ingresso artificiale, percorrendo per una quindicina di metri un comodo corridoio, la cui volta è a tratti franata, si giunge ad una saletta nella quale scende il pozzo di 7 m del vecchio ingresso; proseguendo oltre si entra in un’ampia sala che immette in uno scivolo fangoso largo circa 3 m e lungo una ventina (punti 3-4). Poco prima della base dello scivolo, sulla destra, si aprono due basse gallerie, che immettono in un ambiente piĂš ampio (punto 9). Da questo punto, procedendo sulla destra si entra in una saletta chiusa (punto 10), con un piccolo ambiente sottostante a cui si accede tramite un pozzetto che si apre nel pavimento; proseguendo invece dritto si giunge ad una piccola stanza che immette a sua volta in uno stretto cunicolo che chiude dopo una decina di metri; prendendo a sinistra e passando sotto un ponte di roccia si può invece seguire, per 15 m, un ampio corridoio al termine del quale, risalendo lungo una piccola colata calcitica sulla destra (punto 12), si arriva alla confluenza dei tre rami terminali della grotta (punto 13). Il ramo di destra chiude in strettoia dopo circa 30 m, quello centrale dopo 10 m, mentre il ramo di sinistra prosegue dopo una risalita di circa 7 m, effettuabile in opposizione, per un’altra ventina di metri.

AGOSTINI ET ALII, 1979c; BADINI, 1978; CERRUTI, 1954; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954b; DOLCI, 1967; GAMBARI, 1974; MANCINI, 1997; PATRIZI, 1954; PATRIZI ET ALII, 1954a; RADMILLI, 1950; RADMILLI, 1953; RADMILLI, 1954a; RADMILLI, 1961; RADMILLI, 1978; RELLINI ET ALII, 1927; SEGRE, 1948a; TOZZI ET ALII, 1995; TROVATO, 1975.

IL MONTE SORATTE

Dall’ingresso normalmente utilizzato, il tunnel artificiale, non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni

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1 = Grotta Andrea Innocenzi 2 = Abisso Erebus 3 = i Meri del Soratte 4 = Grotta di Santa Lucia

coordinate riquadro: angolo NW = 0°01’ - 42°18’ angolo SE = 0°08’ - 42°11’

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1982 dal CSR (S. Albergamo, E. Carallo, L. Nizi, J. Ventre, Ines Vigorosi, R. Vigorosi ed altri).

Bibliografia NIZI, 1984; PEGUIRON & NIZI, 1986.

Dati catastali 1362 La - comune: Sant’Oreste (RM) - localitĂ : versante Ovest del Monte Soratte - quota: 634 m carta IGM 1:25000: 144 IV SO Rignano Flaminio - coordinate: 0°02’54â€?5 (12°30’02â€?9) - 42°14’45â€?0 carta CTR 1:10000: 356 150 Sant’Oreste - coordinate: 2.313.880 4.680.185 dislivello: -115 m - sviluppo planimetrico: 110 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale Monte Soratte; SIC IT6030014 “Monte Soratteâ€?

Itinerario Dal belvedere di Sant’Oreste (Piazza Italia) si prende la strada che porta al Santuario della Madonna delle Grazie (la strada è chiusa da una sbarra; le modalitĂ di accesso alle auto sono regolate dal Comune). Arrivati al santuario, situato quasi in cima alla dorsale, e lasciata la macchina, dallo spiazzo del parcheggio si prende il comodo sentiero che porta alla vetta su cui è posto l’Eremo di San Silvestro. Dall’Eremo si segue un sentiero poco battuto fino alla sella successiva, che separa la vetta dall’anticima Nord. Si scendono alcune roccette sulla sinistra, nascoste dalla vegetazione, e pochi metri piĂš in basso si trova la grotta (15 minuti di cammino). %

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P5 d’ingresso, P10, P18 alla base del quale un breve e ripido scivolo porta sul P16 finale, fondo (-53). E’ conveniente usare un’unica corda da 70 m.

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 F. 144 Palombara Sabina

Note tecniche

Abisso Erebus

La grotta si apre con un pozzetto il cui imbocco è un piccolo foro (1x0,4 m) impostato lungo una frattura orientata N10°E. Il pozzetto, profondo 5 m, si allarga in una saletta (10x1,8 m), allungata nella direzione della frattura e ingombra di massi di crollo. All’estremitĂ Sud della saletta la cavitĂ prosegue con una successione di scivoli (P10, P18, P16) impostati lungo un piano di frattura orientato N70°W e immergente 60°SSW. Il P10, largo meno di 1 m, inizia con uno scivolo polveroso e termina, con un tratto piĂš verticale, in una piccola saletta. Da qui si prosegue lungo lo scivolo del P18, con massi di crollo a forma di lama incastrati all’imbocco e nella verticale. Il tratto iniziale è stretto (50-60 cm), poi il passaggio si amplia leggermente. Un breve tratto ad inclinazione minore separa il fondo dello scivolo dall’inizio del successivo P16. Anche questo salto ha le anguste dimensioni di quelli precedenti (larghezza 0,6-1,2 m) e termina in una saletta ampia 2,3x0,8 m. La saletta (punto 10) è posta all’intersezione con una frattura subverticale orientata N35°E, che dĂ luogo ad un angusto passaggio (40-50 cm), inizialmente in discesa, che può essere percorso per una quindicina di metri fino ad un restringimento piĂš pronunciato (-53 m, punto 15). Poco prima della fine del tratto percorribile una stretta fessura perpendicolare a quella principale (punto 14) aspira, d’estate, quasi tutta la corrente d’aria che attraversa la grotta provenendo dall’ingresso. Nella grotta non si osservano tracce di passaggio attuale dell’acqua. 7

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La grotta, esplorata nel 1982, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Ad eccezione del cunicolo terminale, dove sono stati effettuati degli infruttuosi tentativi di disostruzione, non si rilevano alterazioni dello stato dell’ambiente.

Descrizione

Note tecniche

3

Stato dell’ambiente

904 La - comune: Sant’Oreste (RM) - localitĂ : sul versante Ovest della cima di quota 598 m (Casaccia dei Ladri) - quota: 546 m carta IGM 1:25000: 144 IV NO Stimigliano - coordinate: 0°02’35â€?7 (12°29’44â€?1) - 42°15’04â€?2 carta CTR 1:10000: 356 100 Torre dei Pastori - coordinate: 2.313.470 - 4.680.765 dislivello: -53 m - sviluppo planimetrico: 54 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale Monte Soratte; SIC IT6030014 “Monte Soratteâ€? Dal belvedere di Sant’Oreste (Piazza Italia) si prende la strada che scende verso la S.S. Flaminia. Ad un bivio dopo 500 m si imbocca una stradina a destra, che inizia asfaltata per divenire subito dopo sterrata. La si percorre per 2,8 km, costeggiando sempre il versante occidentale del Monte Soratte, fino all’imbocco di un tunnel, dove si lascia la macchina. Si risale il ripido versante lungo la linea di massima pendenza, superando un dislivello di 200 m in direzione 50°. L’imbocco si apre circa 50 m sotto la vetta tra rocce, nella fitta boscaglia (circa 20 minuti di cammino).

La grotta è stata frequentata in tempi ormai lontani. A partire dal 1933, anno della prima esplorazione speleologica/archeologica, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. La sua localizzazione, all’interno di un terreno privato, ha notevolmente limitato la possibilitĂ di accesso. Dalla sala alla base del pozzo d’ingresso è stato scavato un tunnel artificiale lungo una quindicina di metri, per creare un secondo ingresso piĂš agevole per gli scavi archeologici, che hanno modificato la morfologia della prima parte della grotta.

L’ingresso venne scoperto da S. Patrizi (CSR) nel 1932, in un terreno di sua proprietĂ . Il 27 aprile 1933, in seguito a lavori di allargamento del pozzetto di ingresso, fu possibile iniziare l’esplorazione della grotta, che venne dedicata al suo scopritore. Negli anni dal 1949 al 1954 furono effettuati, dai soci del CSR (Patrizi, A.M. Radmilli, A.G. Segre ed altri) lavori di scavo che portarono alla luce resti di sepolture di un individuo adulto e di uno piĂš giovane nella galleria principale, e di un altro adulto nella sala di fondo. Vennero inoltre rinvenute diverse suppellettili, ossa e utensili di selce scheggiata, che permisero di datare le sepolture al neolitico medio. Subito dopo la scoperta della grotta, Patrizi iniziò anche lo studio della fauna ipogea; nel corso degli anni vi sono state condotte importanti ricerche

Dati catastali

Itinerario

Stato dell’ambiente

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I pavimenti degli scivoli e delle salette sono particolarmente polverosi. La temperatura sembra piuttosto elevata e la cavità è popolata da una moltitudine di ragni e insetti.

Grotta Andrea Innocenzi

Bibliografia

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uscita, fresca nelle parti basse, calda da -30 all’ingresso.

Descrizione (di Emanuele Cappa) La grotta consiste in una “spaccaturaâ€? quasi verticale (immersione SW) orientata SE-NW, priva di segni di escavazione dell’acqua. Infatti le pareti sono ricoperte da uno spesso strato di concrezione (anche un metro) che non permette di vedere l’aspetto superficiale della roccia sottostante. In particolare, ampie superfici sono ricoperte da concrezioni a cavolfiore o coralloidi, il che presuppone un intenso stillicidio ed una scarsa circolazione d’aria, ossia il contrario della situazione attuale. Si trovano anche numerose stalattiti e stalagmiti eccentriche, in gran parte secche, con chiari segni di diversi cicli di deposizione in condizioni ambientali diverse. L’attuale ciclo sembrerebbe essersi attivato da breve tempo. L’ingresso, impostato su una frattura, è lungo 2,5 m e largo 1,7 m. Sceso un saltino a cielo aperto di 4 m, si percorre uno scivolo fangoso in discesa, lungo 15 m, a cui fanno seguito un P6 ed un P11. Dalla base di quest’ultimo parte un altro scivolo fangoso che porta al vecchio fondo di -46 (punti 3-4). La larghezza della spaccatura in questa zona è compresa tra 1 e 2 m. Alla base del P11, invece di scendere il secondo scivolo si può entrare in uno stretto passaggio tra i massi di una frana verticale, oltre la quale la fessura prosegue stretta ed in leggera discesa per circa 30 m fino ad un saltino di 6 m. Qui cominciano le prime concrezioni (da -50 all’ingresso il concrezionamento è in disfacimento e coperto di terra). Un passaggio tra i massi del pavimento conduce ad un allargamento sottostante, poi un passaggio analogo porta alla zona dei Pozzi Gemelli. Qui la fessura è scendibile in tre punti diversi: i due piĂš lontani (Pozzi Gemelli) si congiungono su due livelli e chiudono contro concrezionamento dopo circa 20 m, a 70 m di profonditĂ (punto 6); il terzo saltino (P4) permette di raggiungere una zona in cui la spaccatura si allarga ed è possibile percorrerla su piĂš livelli a patto di poggiare i piedi su sassi incastrati in modo precario. Per raggiungere il fondo, dopo aver percorso una decina di metri nella spaccatura si risalgono 3 m con la corda per superare un diaframma, 100 si scende quindi dalla parte opposta un P6, e dopo una decina di metri si traversa sull’imbocco di un pozzo. Subito dopo si apre un P20 seguito da un P15 piuttosto stretto, che conducono al fondo di -115 (punto 10), anche questo tappato da concrezione. Traversando in cima al P20, si risale di 5 m fino ad una cresta fangosa. Scendendo e poi traversando per 6 m la spaccatura che va allargandosi, si raggiunge un terrazzino sospeso di massi incastrati. Da qui si scende un P20 atterrando sul fondo a -100 (punto 9), costituito da grossi massi incastrati tra i quali filtra l’aria. Le misure di quest’ultimo ambiente sono ragguardevoli rispetto ai precedenti: la spaccatura è larga 2 m, lunga 15 m, alta almeno 25 m ed inclinata di 30° rispetto alla verticale. Durante l’inverno la grotta è percorsa da una corrente d’aria in

37

Stato dell’ambiente A partire dal 1995, anno della scoperta, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Nel corso delle esplorazioni sono stati effettuati modesti lavori di scavo per consentire il passaggio. Non si segnalano danneggiamenti o significative alterazioni dello stato dell’ambiente.

Note tecniche Dall’ingresso al fondo principale: P4, P6, P11, passaggio stretto in frana, P6, P4 (fessura dei “Pozzi Gemelli�), Risalita 3, P6, traverso+P20, P15, fondo (-115).

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da tempo fino al vecchio fondo a -46. Alcuni speleologi ritengono si tratti della Grotta II del Soratte, altri della Grotta di Gasperone; entrambe queste grotte sono state esplorate e catastate dal CSR nel 1924. I pochi scritti che le riguardano assegnano alle due grotte posizioni e descrizioni che non coincidono con l’Abisso Erebus, per cui gli esploratori hanno deciso di assegnare a questa grotta un altro nome. Il 27 agosto 1995 F. Donati ed E. Carallo con una disostruzione superano una strettoia e accedono ad una zona nuova. Fra febbraio e maggio 1996 viene completata l’esplorazione, condotta dall’ASR’86 (Donati, E. Cappa, Carallo, Annarita De Angelis, Antonella Santini, S. Soro, R. Hallgass, M. Angileri) in collaborazione con il GS CAI Roma (A. Giura Longo e Marzia Fulli).

Bibliografia CAPPA E., 1997a; CAPPA E. ET ALII, 1997c; CAPPA & FELICI, 1998a. Mero Grande: la discesa del pozzo (foto G. Mecchia)

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I Meri del Soratte Dati catastali comune: Sant’Oreste (RM) - località: Piano delle Pere, versante orientale del Monte Soratte carta IGM 1:25000: 144 IV SO Rignano Flaminio carta CTR 1:10000: 356 150 Sant’Oreste I MERO o MERO PICCOLO (1 La) - quota: 247 m coordinate: 0°03’56”9 (12°31’05”3) - 42°14’28”8 coordinate: 2.315.210 - 4.679.615 II MERO o MERO GRANDE (2 La) - quota: 243 m coordinate: 0°03’58”0 (12°31’06”4) - 42°14’28”3 coordinate: 2.315.235 - 4.679.605 III MERO o MERO MEDIO (3 La) - quota: 220 m coordinate: 0°03’58”9 (12°31’07”3) - 42°14’29”6 coordinate: 2.315.260 - 4.679.650 dislivello: -109; sviluppo planimetrico: 190 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale Monte Soratte; SIC IT 6030014 “Monte Soratte”

Itinerario Dal belvedere di Sant’Oreste (Piazza Italia) si imbocca la provinciale per Ponzano (cartello turistico per i Meri e la Grotta di Santa Romana). Dopo 1,8 km si svolta a destra in una strada sterrata (seguendo sempre i cartelli turistici) e la si segue per circa 2 km. Quando la strada, dopo un tratto orizzontale, comincia a risalire un dosso, si lascia la macchina e si imbocca il sentiero sulla destra (indicato con un altro cartello; quota 200 m). Dopo 5 minuti, si lascia sulla destra il bivio per la Grotta di Santa Romana, e si prosegue dritto, arrivando in breve presso l’evidente imbocco del Mero Piccolo, circondato da una recinzione in legno (10 minuti di cammino).

Descrizione I Meri del Soratte sono tre grandi pozzi comunicanti tra loro, e con la Grotta della Madonnina costituiscono un unico sistema carsico. I loro ingressi, sulle pendici boscose della montagna, sono circolari, ampi dai 10 ai 15 m e distanti tra loro da 20 a 40 m. Il sistema sotterraneo appare impostato su due fratture principali: una verticale diretta N60°E, ed una diretta N70°W, con immersione 65° verso S. Gli strati immergono di 50° verso 250°.

IL MERO PICCOLO Il Mero Piccolo è l’imbocco di quota più elevata del sistema. Si apre con una grande dolina a pozzo del diametro di circa 10 m; per i primi 5 m il pozzo attraversa un banco di brecce. Calandosi dal punto più basso dell’orlo, si scende verticalmente per 20 m, poi il pozzo prosegue con un ripido scivolo lungo 20 m, in larghi ambienti. Alla fine dello scivolo, a 38 m di profondità, una grande finestra (alta 8 m e larga 4 m) immette direttamente sulle strapiombanti pareti del Mero Grande. GROTTA DELLA MADONNINA I due piccoli ingressi della Grotta della Madonnina si aprono all’interno del Mero Piccolo. L’imbocco più evidente è costituito da una finestra larga 1 m che si apre in una nicchia facilmente raggiungibile (con corda), 10 m sotto l’orlo del pozzo, sul lato NE (guardando nel pozzo, si vede l’imbocco sulla destra). Si entra in una saletta e si avanza in una condotta alta 2-3 m che sale a scivolo per una decina di metri, e prosegue in leggera discesa lungo una frattura obliqua, alla cui base si trova un pozzetto cieco. Da un pilastro di calcare bianco, chiamato “La Madonnella” dai primi esploratori, deriva il nome più frequentemente usato per questa grotta. Dopo una ventina di metri si arriva su un saltino di 7 m. Nella saletta alla base del salto (punto

4) venne scoperta un’anfora etrusca del VI secolo a.C., attaccata al suolo e precisamente sotto uno stillicidio. Dalla saletta (“grotta dell’anfora”) parte uno scivolo discendente impostato sulla stessa frattura che ha generato la prima parte della grotta, ma percorribile nel verso opposto. La stretta frattura obliqua dopo una cinquantina di metri diviene impraticabile (-40 m dall’imbocco del Mero Piccolo). Dalla base del salto da 7 m è anche possibile salire leggermente in un cunicolo fino alla base di un salto (non rilevato), che può essere risalito per 12 m fino ad una saletta concrezionata e piena di guano (“Grotta dei Pipistrelli”). Vicino allo sbocco del camino nella saletta si apre un pozzo parallelo profondo 15 m, che riporta nei cunicoli sottostanti. Il secondo ingresso della Grotta della Madonnina non è visibile dall’esterno. Si apre anch’esso 10 m sotto l’orlo del pozzo del Mero Piccolo, in fondo ad un terrazzino che attraversa il pozzo. E’ costituito da una stretta e bassa fessura, che immette nella saletta iniziale della grotta.

IL MERO GRANDE Il Mero Grande, la cui dolina di imbocco ha un diametro di una dozzina di metri, occupa la posizione centrale del sistema; è profondo complessivamente 105 m, con una verticale di discesa di 86 m. Disceso il ripido scivolo iniziale, si entra nella parte verticale del pozzo, larga 8 m. Più in basso l’ambiente si allarga fino ad avere un’ampiezza di più di 20 m e forma circolare. Il fondo del pozzo (18x20 m) è costituito da un conoide detritico che da 86 m di profondità scende ripidamente (35°) in una galleria larga 5 m, alta da 2 a 6 m e lunga 20 m, che conduce al fondo del pozzo. IL MERO MEDIO Il Mero Medio, il cui ingresso è posto 27 m più in basso del Mero Piccolo, si apre con una dolina di 15 m di diametro, è profondo 56 m con una verticale di discesa di 46 m. Sceso l’imbuto iniziale si entra nella parte verticale del pozzo, larga prima 8 m e che poi si amplia progressivamente verso il basso. 101 La base del pozzo è occupata da un imponente accumulo detritico; dalla sommità, larga una decina di metri, il conoide può essere sceso per una decina di metri verso NE e per una ventina verso SW, fino a raggiungere la parete in un ambiente sovrapposto alla galleria del Mero Grande. Il pozzo è impostato sulla frattura principale (N60°E) che ha dato origine anche alla galleria in fondo al Mero Grande. I due pozzi comunicano tramite una grande galleria orizzontale posta rispettivamente 15 m sopra il fondo del Mero Medio e 40 m sopra il fondo del Mero Grande. NOTE IDROLOGICHE Nei tre pozzi è quasi assente lo scorrimento d’acqua, gli ambienti sono asciutti anche dopo forti piogge.

Stato dell’ambiente I pozzi, discesi per la prima volta negli anni ’20, sono molto frequentati, con un numero complessivo di visite stimabile in oltre un migliaio. Molto scarsa l’immondizia accumulata alla base dei pozzi, fatto che contrasta positivamente sia con le grandi dimensioni degli imbocchi sia con la notorietà del sito.

Note tecniche Mero Piccolo: P38 (corda 55 m) fino all’orlo del Mero Grande. Mero Medio: P46 (corda 65 m). Mero Grande : P86 (corda 100 m).

Storia delle esplorazioni Le grotte sono conosciute da secoli, e citate anche da autori di età romana. Il Monte Soratte era considerato l’abitazione di Soranus, massima divinità maschile dei Falisci; gli era consacrata una grotta dalla quale uscivano vapori letali. Varrone, secondo quanto riporta Plinio, afferma che “vapori mortiferi” vengono emanati dalle fessure del Monte Soratte, e cagionano la morte agli uccelli che vi si avvicinano. Molto probabilmente si


riferiva alla nebbia che viene emanata dai Meri. (FRANCHETTI, 1932). All’interno della Grotta della Madonnina è stato ritrovato un orcio di età preromana, che testimonia un’antica frequentazione. Le voragini vennero esplorate completamente nel corso di sei spedizioni compiute fra il 1920 e il 1924 dal CSR (E. Jannetta, C. Franchetti, A. Datti, P. Vacchelli, C. Caffarelli, C. Zileri dal Verme).

Bibliografia ABBATE, 1894; BOEGAN, 1928; BROCCHI, 1824; CAPPA & FELICI, 1998a; CHIOCCHINI ET ALII, 1975; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1926; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954a; DOLCI, 1965; FRANCHETTI, 1925a; FRANCHETTI, 1932; LUPIA PALMIERI, 1966; MANCINI, 1997; MECCHIA G., 1991b; NOTARI, 1977; PALMIERI, 1863; PEGUIRON & NIZI, 1986; PLINIO IL VECCHIO, I SECOLO d.C.; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c; SEGRE, 1948d; SEGRE, 1949a; SEGRE, 1951a.

Grotta di Santa Lucia Dati catastali 514 La - comune: Sant’Oreste (RM) - località: Cava Bellucci - quota: 440 m carta IGM 1:25000: 144 IV SO Rignano Flaminio - coordinate: 0°03’35” (12°30’43”4) - 42°14’24” N carta CTR 1:10000: 356 150 Sant’Oreste - coordinate: 2.314.690 - 4.679.480 dislivello: - 105/+15 m - sviluppo planimetrico: 120 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale Monte Soratte; SIC IT6030014 “Monte Soratte”

Itinerario Dal belvedere di Sant’Oreste (Piazza Italia) si prende la strada per San Silvestro, e dopo poche decine di metri si arriva ad un incrocio. Si imbocca la strada a destra, che poco dopo diventa sterrata; dopo 500 m ad un bivio si continua in piano a sinistra. Percorsi ancora 400 m si svolta a sinistra in una strada in salita; dopo 200 m si lascia la macchina in un piazzale presso una cava abbandonata. La grotta si trova oltre una recinzione con cancello, sulla parete della cava.

102 Descrizione L’unico accesso alla grande caverna di Santa Lucia è un foro sulla volta, aperto accidentalmente durante i lavori di scavo sulla parete della cava esterna. Il foro è alto circa 7 m e largo altrettanto, con sezione squadrata. Sul ciglio occidentale è ben evidente la stratificazione, orientata N-S e immergente 40° verso Est. Affacciandosi nel foro si può vedere gran parte dell’imponente salone. La calata, 40 m, è tutta nel vuoto; scendendo, le pareti quasi immediatamente si allontanano fino a 15-20 m sul lato più vicino. Il salone ha una volta a cupola e una pianta vagamente ovoidale, con l’asse maggiore lungo 90 m e il minore 55 m. Il volume del salone, calcolato fino alla sommità della seconda verticale, è di circa 100.000 m3. La verticale di discesa nella caverna termina su un ripido pendio franoso che si getta in un imponente pozzo (che non può essere sceso direttamente, per il rischio di crolli). Traversato il ghiaione verso la parete più vicina, e più facilmente accessibile, si raggiunge il bordo del salone, presso la parete Est. La sala è costituita da un grande imbuto detritico, intorno al quale è possibile camminare costeggiando le pareti. Dall’approdo presso la parete Est si può scendere, sempre accostati alla parete, verso l’imbocco del secondo pozzo, oppure si può salire verso una grande colonna stalagmitica (alta 3-4 m e larga 1,8 m), nella zona più alta della sala. Da qui, continuando ad aggirare l’imbuto, si scende verso la parete Ovest, impostata su una frattura orientata N-S e immergente 60°E. Sulla verticale del punto 9 del rilievo si osserva un grande “occhio nero” a 30 m di altezza. La parete è stata risalita in artificiale e al di sopra dell’”occhio” sale una bella galleria a sezione circolare con le pareti coperte da depositi gessosi, che raggiunge un piccolo ambiente riccamente concrezionato con lunghi “capelli d’angelo” (+ 15 m, punto 22). Le pareti della caverna sono attraversate da numerose fratture variamente dirette. I sistemi strutturali principali sembrano avere giacitura N50-70°W (immersione verso N) e N-S o NNE-SSW (immersione 60-70°NE). Il concrezionamento assume forme diverse, con stalagmiti, concrezioni a cavolfiore e vaschette sul pavimento, stalattiti e colate calcitiche sulle pareti. Caratteristiche le bellissime stalattiti a spaghetto, che in una nicchia sul lato Nord della sala raggiungevano anche i due metri di lunghezza, ma che ormai sono state interamente distrutte. Nella sala, l’ingresso della luce, avvenuto nel 1967, ha dato inizio al deterioramento del concrezionamento e allo sviluppo di muschio, che copre alcuni tratti di pavimento nelle zone più illuminate e più ricche di acqua di stillicidio.

Grotta di Santa Lucia: la base del primo pozzo (foto L. Ferri Ricchi; tratta dal libro “OLTRE L’AVVENTURA” di Lamberto Ferri Ricchi, edizioni IRECO - http://www.istitutoireco.org


Il secondo pozzo è addossato alla parete Sud della sala; alla fine dell’imbuto detritico, dove la pendenza diviene quasi verticale, la sezione orizzontale è quasi circolare con un diametro di circa 25 m. Dal ciglio Ovest la profondità è di 60 m, mentre dal ciglio Est, più comodo per la discesa, la profondità è di 45 m fino alla sommità del pendio detritico posto alla base del salto. La discesa del pozzo è resa pericolosa dall’instabilità del detrito che costituisce il ripido imbuto sovrastante il pozzo; qualsiasi pietra che cada dalla volta e ogni oggetto gettato dall’imbocco viene convogliato nel P45. La calata nel pozzo è resa ancora più rischiosa dalla franosità di alcuni tratti delle pareti. La base del pozzo, circolare con diametro di 15 m, è costituita da un pendio di detrito e blocchi, con quel che resta di frigoriferi, copertoni, motociclette ed altro di chiara provenienza esterna. La grande frana di fondo (-105) chiude ermeticamente la grotta. Non si osservano correnti d’aria. L’attività idrica è limitata allo stillicidio in alcuni punti localizzati nel salone. Si è constatato che di tanto in tanto avvengono crolli di blocchi dalla volta, infatti il fenomeno che ha portato all’apertura della cavità è da considerarsi tuttora attivo.

Stato dell’ambiente A partire dal 1967, anno della scoperta, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di discese. Alla dismissione della cava, conseguente al crollo che ha portato alla luce la cavità, non sembra aver fatto seguito alcuna azione di ripristino ambientale. L’esposizione agli agenti atmosferici, conseguente all’apertura per crollo della volta, ha comportato un inarrestabile degrado dello stato originario delle pareti e delle concrezioni (suggestive stalattiti conosciute come “capelli d’angelo”). Alla base del pozzo conclusivo si rinvengono rifiuti anche di notevoli dimensioni. Soltanto recentemente, con l’istituzione della Riserva Naturale, il sito è stato recintato efficacemente. Occorre infine sottolineare che l’eccezionalità dell’evento che ha portato alla scoperta della grotta, non è stato per nulla compreso; la mancanza di immediate ed efficaci azioni di tutela (protezione dalla luce e dagli altri agenti atmosferici, regolamentazione dell’accesso al sito e alla grotta) ha comportato l’irrimediabile compromissione dello stato presente al momento della scoperta. Lo stato dell’ambiente risulta quindi quello che inevitabilmente si produce in grandi cavità di questo tipo in assenza di interventi di salvaguardia.

Note tecniche Pozzo d’ingresso di 40 m (corda 65 m), si arriva su un ripido e insidioso scivolo detritico che va risalito a piedi rimanendo vincolati alla corda che va poi fissata alla comoda sommità dello scivolo. Il successivo P45 (corda 70 m) si scende dal ciglio più basso, su parete franosa.

Storia delle esplorazioni L’imbocco si aprì nel marzo 1967, durante i lavori della cava, a causa del crollo della volta. Pochi giorni dopo, il 22 e 23 marzo, la grotta venne esplorata dallo SCR (G. Saiza, I. Bertolani, A. Mariani, A. Moretti, G. Pasquini) e URRI (W. Dragoni). Nell’ottobre-novembre 1998 il GSG ha risalito il ramo ascendente sulla parete Ovest della sala.

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1970; CAPPA & FELICI, 1998a; FERRI RICCHI, 2001; GRUPPO SPELEOLOGICO GROTTAFERRATA, 1998; PASQUINI, 1967; PEGUIRON & NIZI, 1986.

Grotta di Santa Lucia: l’ingresso (foto G. Mecchia)

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(legenda a pag. 86)


La Sabina è la vasta regione allungata in direzione N-S che si estende in sinistra idrografica del Fiume Tevere fino alla linea tettonica Olèvano-Antrodoco a Est; a Sud si spinge fino alla Valle Latina, mentre verso Nord termina poco oltre il confine con la regione Umbria. Sono stati inseriti in questa Zona anche i settori ricadenti nel territorio laziale dei Monti Reatini e dei Monti Sibillini. La regione sabina così definita comprende quasi tutta la provincia di Rieti e parte di quelle di Terni e Roma. In quest’area, prevalentemente montuosa, si sviluppano numerose catene costituite da successioni di rocce calcaree e calcareo-marnose con estensione areale complessiva di circa 1350 2 km ; il fenomeno carsico, con 239 grotte conosciute, delle quali oltre un centinaio in Umbria, è ben rappresentato in diverse zone. Oltre alle grotte nei calcari, numerose cavità (circa 90) si aprono nei depositi travertinosi presenti nelle placche distribuite in molte località della Sabina, e altre (una decina) si trovano nei conglomerati del bacino intramontano di Rieti e della valle del Farfa. Ai fini di una più agevole descrizione del carsismo ipogeo, la Sabina è stata suddivisa in 9 SottoZone; partendo dall’angolo Nord-orientale della regione spostandosi grosso modo verso Sud: Monti Sibillini meridionali, Monte Cosce (parzialmente in Umbria), travertini delle Marmore (Umbria), Monti Sabini settentrionali (parzialmente in Umbria), Monti Sabini orientali, Monti Lucretili-Monti Tiburtini, Monti Cornicolani, Media Valle dell’Aniene (che comprende l’angolo meridionale della Sabina orientale, i Monti Ruffi e un piccolo settore dei Monti Simbruini), Monti Prenestini. Nei Monti Reatini non sono conosciute grotte di dimensioni significative.

I MONTI SIBILLINI MERIDIONALI L’area considerata in questo lavoro è limitata alla parte dei Monti Sibillini compresa nel territorio del Lazio. Questo tratto di catena inizia a Nord dal valico di Forca Canepine, sale di quota espandendosi verso SW e culminando nelle due vette principali di Monte Pizzuto (1904 m) e Monte Boragine (1824 m). I versanti orientali scendono ripidi verso la valle del Velino, mentre a SW la conca di Leonessa separa il massiccio dai Monti Reatini. Quest’area, che costituisce la parte meridionale della catena dei Sibillini, sviluppata quasi interamente nelle Marche e in Umbria, comprende un’estensione di 123 km2 di affioramenti carbonatici, nei quali sono note solo 3 grotte, e fra queste la Grotta di Cittareale (dislivello 475 m, sviluppo oltre 2650 m) e la Buca di Terzone (-55). Deflusso sotterraneo La falda basale contenuta nei depositi carbonatici del dominio umbro-marchigiano dei M. Sibillini affiora sia a Est, lungo la linea che segna il sovrascorrimento dei Monti Sibillini verso l’Adriatico, cioè al contatto con i depositi terrigeni a limitata permeabilità, sia a Ovest, con incrementi di portata nell’alveo 105 dei torrenti Sordo e Corno (fra le q. 620-506 m, complessivamente 4,5 m3/s) che confluiscono presso Norcia. Sul margine orientale, lungo il sovrascorrimento dei M. Sibillini, le scaturigini più importanti (relativamente al destino delle acque che s’infiltrano nel solo territorio della regione Lazio) sono situate nel settore umbro dell’unità di M. Utero (sorgenti Capo d’Acqua, portata media 0,6 m3/s; CELICO, 1983) e alimentano il Fiume Tronto. Da qui, seguendo la suddetta linea tettonica verso Sud fino alla faglia di Leonessa che chiude i M. Sibillini, si trovano diverse sorgenti più piccole (portata media complessiva 200 L/s) che bordano la struttura di M. Boragine; la più importante è la sorgente Bacugno (q. 800 m, portata media 90 L/s; BONI ET ALII, 1995). Venute d’acqua più abbondanti emergono in alveo lungo l’alto corso del F. Velino a Sud di Cittareale (350 L/s fino alla sezione di misura situata all’altezza di Bacugno). Nell’unità di M. Utero l’unica cavità importante è la Grotta di Cittareale, situata sulle pendici occidentali della dorsale di M. Prato-M. Laghetto; il destino del torrente perenne che scorre al fondo della grotta potrebbe essere legato alle emergenze segnalate sotto q. 900 m nell’alveo del Fiume Velino, oppure potrebbe interessare le lontane (quasi 11 km) sorgenti di Capo d’Acqua del Tronto (q. 830 m; dislivello dal fondo della grotta alla sorgente: 140 m) con un percorso verso NNE. Tuttavia, il deflusso sotterraneo più importante dei M. Sibillini meridionali, almeno per le unità di M. Boragine e M. Tolentino, sembra dirigersi verso l’interno dell’Appennino fino alle sorgenti lineari sopra ricordate. In particolare, per quanto riguarda le acque di infiltrazione del settore che comprende la Buca di Terzone (unità di M. Boragine) è probabile un deflusso verso il Fiume Corno a monte della confluenza con il Fiume Sordo. In corrispondenza della grotta la falda basale dovrebbe avere una quota piezometrica di circa 900 m (BONI ET ALII, 1988), quindi solo un centinaio di metri più bassa del fondo della cavità. I MONTI REATINI Il gruppo dei Monti Reatini è delimitato a NE dalla conca di Leonessa, a Est e a Sud dalla profonda valle del Fiume Velino, che ne segna il contorno, e a SW dalla grande conca di Rieti, antico bacino lacustre del quale restano alcuni piccoli laghi relitti. Il massiccio culmina con il Monte Terminillo (2216 m), modellato dal glacialismo che ha lasciato alcuni circhi alle alte quote. La parte dei Monti Reatini ricadente nel territorio del Lazio ha un’estensione areale di circa 230 km2. Nell’area le manifestazioni carsiche superficiali sono scarse e costituite prevalentemente da rare doline; anche il carsismo ipogeo è poco sviluppato, rappresentato da 9 cavità di piccole dimensioni, la più estesa delle quali è la Grotta 2a della Spacca (-30), nel comune di Morro Reatino.


Recentino (sviluppo 61 m). Nella lunga dorsale dominata da Monte Cosce fino alle gole del Nera sono state esplorate 49 grotte. Nell’area meridionale, dominata dalla cima principale, le più importanti sono il Pozzo delle Canine (-78, sviluppo 120 m), il Pozzo di Miesole (-51) e la Grotta di San Francesco (sviluppo 70 m), localizzate sul versante orientale, la Grotta Cherubini (-40) sul versante occidentale, e il Buco del Pretaro (sviluppo 530 m) che si apre sul bordo Sud-occidentale della dorsale calcarea, presso Montebuono. Nell’area settentrionale, nel territorio narnese, le cavità più importanti sono la Grotta di Pizzo Corvo (-46), la Buca di Taizzano (sviluppo 82 m) e la Buca della Montagna (sviluppo 64 m). E’, infine, da segnalare una piccola grotta conosciuta nella placca di travertini situata presso Calvi nell’Umbria.

Deflusso sotterraneo

Grotta di San Michele a Monte Tancia: la galleria freatica, all’interno della quale si trova un altare ed alcuni affreschi di epoca medioevale (foto G. Mecchia)

Deflusso sotterraneo La falda basale contenuta nella successione carbonatica dei Monti Reatini affiora sul bordo settentrionale della Piana di Rieti nella grande sorgente di Santa Susanna (q. 385 m, portata media 5,5 m3/s) e da altre scaturigini più piccole situate lungo il F. Velino fino a Rieti. Una scaglia tettonica compresa fra il sovrascorrimento frontale sulla Valle Velina e l’unità di M. Terminillo appare idraulicamente isolata dal resto del massiccio dei M. Reatini; le acque di infiltrazione di quest’area raggiungono le sorgenti della media valle del Fiume Velino nella Piana di S. Vittorino (BONI ET ALII, 1995).

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I TRAVER TINI DELLA CASCATA DELLE MARMORE Il pianoro delle Marmore, posto tra i due rilievi calcarei di Rocca S. Angelo a Ovest e Monte Mazzelvetta a Est, è costituito da un potente banco di travertino che si sviluppa per una larghezza di circa 1 km in senso E-W, ad una quota media di 370 m. Sul lato Nord, verso la Valnerina, il pianoro si interrompe bruscamente con un salto di oltre 100 m; la rupe è costituita da una serie di pareti verticali alternate a brevi pendii. Il piano travertinoso è attraversato dal Fiume Velino, che fu convogliato già in epoca romana in un canale artificiale scavato allo scopo di evitare impaludamenti dell’area a monte. In corrispondenza della rupe il fiume forma la spettacolare cascata delle Marmore e confluisce poi nel Fiume Nera, che contorna la base della rupe. Nell’area sono conosciuti vistosi fenomeni carsici superficiali, costituiti da grandi doline, alcune delle quali ormai colmate da sedimenti. Il carsismo ipogeo nel travertino è rappresentato da una quarantina di grotte, prevalentemente su frattura, localizzate soprattutto presso il bordo della rupe, come le Grotte dei Campacci di Marmore (sviluppo 480 m). Altre cavità sotterranee significative sono la Grotta Innominata (sviluppo 70 m), la Grotta delle Foglie (sviluppo 50 m) e la Grotta Presso la Ferrovia (sviluppo 54 m). IL MONTE COSCE E’ una dorsale allungata in senso appenninico che si estende per circa 20 km dai confini settentrionali del Lazio, sviluppandosi quindi per gran parte in Umbria. La catena è delimitata sul lato SE da ripidi versanti che scendono verso la valle del Torrente Aia, mentre a NE una serie di modesti rilievi e la Piana di Terni la separano dai vicini Monti Sabini; sul lato occidentale e meridionale la catena scende verso la valle del Tevere. Dall’estremità SE si alza subito il Monte Cosce (1121 m), la vetta più elevata di tutta la dorsale, che prosegue scendendo progressivamente verso NW con una serie di cime minori (M. San Pancrazio) fino all’incisione della valle del Nera, che taglia trasversalmente la catena, raggiungendo quindi il punto più basso, a q. 90 m, presso Stifone. A Nord del Fiume Nera si eleva il Monte Santa Croce, con il quale termina la struttura di M. Cosce e inizia la catena Amerina. La Sotto-Zona di Monte Cosce ha un’estensione areale di circa 100 km2, nei quali il fenomeno carsico ipogeo nei calcari è rappresentato da 78 grotte. Particolarmente ricco di cavità è il piccolo settore di Monte S. Croce (a Nord delle gole del Nera), in cui sono note 29 grotte, e fra queste la Grotta dello Svizzero (-80, sviluppo 750 m), la Grotta Celeste (sviluppo 150 m), la Grotta dei Veli (sviluppo 130 m), la Grotta del Monte Santa Croce (sviluppo 110 m), la Galleria della Miniera di Montero Vecchio (sviluppo 96 m), la Grotta della Polveriera (sviluppo 74 m), la Grotta delle Buche (sviluppo 70 m), la Grotta degli Archi (sviluppo 70 m) e la Galleria di

Le acque sotterranee della dorsale di Monte Cosce si dirigono verso le gole del Fiume Nera, tra Narni e Montoro; in questo tratto, sono stati misurati incrementi della portata in alveo di circa 15 m3/s. Le acque emergono da almeno una ventina di sorgenti poste in alveo o lungo le sponde calcaree (sia sulla destra sia sulla sinistra idrografica), a quote comprese fra 90 e 75 m; le acque sorgive sono caratterizzate da anomali valori di salinità e da gas (BONI ET ALII, 1986). Dai punti di assorbimento situati all’estremità SE della struttura le distanze percorse sono notevoli: ad esempio, le acque che percolano nella Grotta delle Canine devono viaggiare per 11 km in direzione NW, mentre le acque di infiltrazione dell’area circostante il Buco del Pretaro percorrono oltre 15 km verso NNW.

I MONTI SABINI SETTENTRIONALI E ORIENTALI Si tratta di un’area molto vasta che comprende un complesso sistema di rilievi che giungono a Nord fino in prossimità di Terni e a Sud toccano le sponde dell’Aniene. L’area è costituita da due gruppi montuosi (Sotto-Zone Monti Sabini settentrionali e Monti Sabini orientali) con andamento complessivamente meridiano, separati fra loro dall’ampia incisione della valle del Farfa. Una parte dei Monti Sabini orientali è stata, però, inclusa nella Sotto-Zona denominata “media valle dell’Aniene”. L’area ha una lunghezza di circa 60 km in senso N-S e un’estensione areale complessiva di circa 700 km2. La quota più alta è il Monte Navegna (1506 m) che svetta nella dorsale più orientale di tutta la struttura. I Monti Sabini settentrionali sono delimitati verso Est dalla conca di Rieti, verso Ovest digradano verso la valle del Tevere, mentre nel settore NW una serie di rilievi e la Piana di Terni li separano dal gruppo del Monte Cosce. La catena si sviluppa con una successione di cime di poco superiori ai 1200 m fino al Monte Tancia (1292 m), quindi scende con una serie di elevazioni minori verso l’ampia valle del Farfa, che taglia i Monti della Sabina con andamento E-W. Nella Sotto-Zona sono note 35 grotte nei calcari; le più importanti sono la Voragine le Puzzole (-53) e la Grotta della Mandorla (sviluppo 52 m), presso Contigliano, e il Buco del Diavolo (-37), situato verso l’estremità settentrionale della struttura, fra Stroncone e Miranda. In prossimità del bordo occidentale della struttura, nell’area di Roccantica-Poggio Catino, si trovano le grandi doline del Revòtano (asse massimo 320 m), del Catino e del Catinello. Si ricordano anche alcune grotte santuario, con sviluppo modesto ma di interesse storico: le grotte di San Cataldo a Cottanello, di San Michele a Monte Tancia e di San Leonardo a Roccantica. La valle del Farfa e i rilievi collinari nei conglomerati incisi dai Fiumi Velino, Salto e Turano, costituiscono l’area di raccordo fra Monti Sabini orientali e settentrionali. Nella valle del Farfa si trovano alcune piccole placche di travertino, una delle quali, nei pressi di Castelnuovo di Farfa, forma il Piano di Cornazzano attraversato dalle gallerie della Grotta Scura (sviluppo 355 m). Nei depositi travertinosi di Poggio Nativo e Cerdomare sono note una dozzina di grotte, due delle quali raggiungono lo sviluppo di 60 m. Il piccolo banco di travertino di Montopoli in Sabina è attraversato dal traforo della Grotta Pinta (sviluppo 60 m). Nei depositi conglomeratici che colmano la valle del Turano, collegati al bacino di Rieti, e in quelli che si rinvengono nella Valle del Farfa sono note una decina di grotte, la più importante delle quali è il Pozzo Pànfilo (-60). I Monti Sabini orientali sono separati verso Ovest dai contigui Monti Lucretili tramite l’incisione valliva del Torrente Licenza. Sul lato orientale il confine è costituito dalla linea tettonica OlèvanoAntrodoco, mentre il limite meridionale è rappresentato dal corso dell’Aniene. Il settore meridionale è caratterizzato da una serie di modeste cime senza grandi elevazioni (la vetta più alta è il Monte Aguzzo, 1067 m) separate da valli che costituiscono un reticolo idrografico molto ramificato, anche se privo di corsi d’acqua importanti. Parallelamente ai M. Sabini orientali si sviluppa un’altra dorsale, che per ragioni di omogeneità geologica e strutturale è stata inclusa in questa Sotto-Zona. La dorsale si sviluppa a Nord della Piana del Cavaliere, e raggiunge le massime elevazioni con il Monte Cervia (1439 m) e il Monte Navegna (1506 m); il Fiume Turano e l’omonimo lago la separano dalle adiacenti dorsali dei Monti Sabini. Nei calcari dei Monti Sabini orientali sono conosciute 40 grotte (comprendendo quelle della

Travertini di San Cosimato (Vicovaro): concrezioni nella Grotta dei Saraceni (foto M. Piro)

media valle dell’Aniene). Sulle pendici occidentali di M. Navegna si apre la Risorgenza di Capo d’Acqua (sviluppo 62 m) e dalla parte opposta del Lago del Turano si trovano la Risorgenza di Puffi Street (un centinaio di metri di sviluppo) e la Grotta di San Michele (sviluppo 68 m). Scavalcando la cresta di M. Faito (1228 m) si scende sul suo versante occidentale raggiungendo la Grotta Pila (sviluppo 74 m). Più a Nord si trova la cavità più estesa di tutto il gruppo montuoso, la Grotta Grande di Muro Pizzo (sviluppo 380 m). Relativamente all’area intorno al paese di Scandriglia si segnalano la Grotta di Cava dell’Acqua (sviluppo 56 m) e la Grotta Formicara (sviluppo 57 m). Più a Sud, nella parte alta della valle del Torrente Licenza, sul versante orientale, si deve citare il Pozzo dei Casali a Percile, una voragine di crollo profonda una cinquantina di metri, e, fra le forme epigee, i ben noti “Lagustelli” di Percile (due laghetti che occupano il fondo di grandi depressioni carsiche imbutiformi). Nella parte terminale del bacino del Licenza, che confluisce nel Fiume Aniene, si trova il Catino di Mandela, voragine di superficie profonda 70 m. Nel settore meridionale della Sabina (Sotto-Zona “media valle dell’Aniene”) le grotte più significative sono il Pozzo di Cineto (-58) e, presso Roviano, la Grotta di Frate Alessio (sviluppo 80 m).

Pozzo del Merro: esplorazione in immersione di una cavità laterale (foto di G. Caramanna)


Deflusso sotterraneo

Deflusso sotterraneo

I Monti Sabini settentrionali sono tagliati dal piano di sovrascorrimento del M. Tancia, una linea tettonica orientata N-S che costituisce uno sbarramento per le acque sotterranee, separando così i M. Sabini settentrionali in due unità idrogeologiche. Le acque del settore a Ovest della linea tettonica confluiscono nella falda basale della dorsale del M. Cosce e raggiungono le gole del Fiume Nera tra Narni e Montoro (distanti più di 30 km dal Revòtano, in direzione NW). Il settore dei M. Sabini settentrionali a Est della linea del Tancia e parte della Sabina orientale sono drenati dalla grande sorgente Càpore (q. 246 m, portata media 5 m3/s, BONI ET ALII, 1988), situata nei pressi di Frasso Sabino al limitare della struttura carbonatica settentrionale nella Valle del Farfa. La Grotta di Muro Pizzo dista dalla sorgente quasi 8 km in direzione Est; per collegarsi all’emergenza i percorsi carsici devono passare, forse con profondi loops, al di sotto dei depositi conglomeratici del Plio-Pleistocene che colmano la valle del Farfa. Nella parte meridionale della Sabina orientale affiorano estesamente le formazioni mioceniche, nelle quali ai calcari si alternano livelli marnosi che ne limitano la permeabilità; dove predominano i calcari il carsismo è sviluppato e sono presenti falde discontinue su orizzonti sovrapposti che alimentano sorgenti e ruscelli con portata perenne. Nell’area di M. Aguzzo prossima al sistema di sovrascorrimenti della linea Olévano-Antrodoco, la linea tettonica del Fosso Ferrata mette in contatto i calcari della zona di Cineto Romano con terreni argillosi e marnosi a bassa permeabilità, ed è quindi sede di emergenze. Anche gli stillicidi che si infiltrano nel Pozzo di Cineto probabilmente alimentano una delle numerose sorgenti del gruppo Morgia Rossa-Osteria Ferrata-Acetosa (portata complessiva di 100 L/s), situate a q. 315-320 m e distanti dal pozzo circa 700 m in direzione Sud; come ipotesi alternativa, le acque di percolazione potrebbero riemergere direttamente nel Fosso Ferrata (portata degli incrementi in alveo di 200 L/s; CAPELLI ET ALII, 1987); queste acque sorgive hanno elevata mineralizzazione e contengono gas. Le acque che penetrano nei colli conglomeratici dell’area circostante Belmonte in Sabina (il Pozzo Pànfilo si apre a q. 542 m) potrebbero andare ad alimentare il vicino Torrente Turano (q. 400 m), dove sono segnalati consistenti incrementi in alveo (400 L/s fino all’altezza di Belmonte in Sabina; BONI ET ALII, 1995); in alternativa, la superficie piezometrica potrebbe essere localizzata a quota un po’ più bassa, e quindi le acque di percolazione, raggiunta la falda, sarebbero condotte alla sorgente Càpore.

Gli afflussi meteorici che si infiltrano negli estesi affioramenti di Calcare Massiccio del settore dei M. Lucretili delimitato dalla superficie di sovrascorrimento M. Sterparo-M. Castelvecchio (“Unità 2 della falda sabina”), defluiscono in parte verso la sorgente Acquoria a Tivoli (q. 70 m, portata 750 L/s, acqua molto mineralizzata e con gas), con provenienza, ad esempio, dall’area di Monte Guardia, dove sono note la Grotta Hale Bopp e il Pozzo di S. Polo, distanti dalla sorgente circa 5 km in direzione NNE. Un’altra parte del flusso sotterraneo alimenta il Fiume Aniene fra Tivoli e Bagni di Tivoli, dove, a quote comprese fra 50 e 80 m, si registrano incrementi in alveo di circa 2 m3/s (le acque probabilmente provengono dal settore dei M. Lucretili che comprende il Pozzo Peter Pan). Una frazione significativa delle acque sotterranee raggiunge, però, le sorgenti delle Acque Albule, dove emergono anche le acque sotterranee dei Monti Cornicolani. Nel settore dei M. Lucretili a Est della linea tettonica M. Sterparo-M. Castelvecchio (“Unità 3” della Sabina) si trovano alcune piccole sorgenti temporanee alimentate da condotti carsici sviluppati al contatto dei calcari con la formazione marnosa impermeabile del “Rosso Ammonitico” (per esempio la Risorgenza di Collentone, nell’area fra M. Marcone e M. Follettoso).

I MONTI LUCRETILI E I MONTI TIBUR TINI Questo complesso montuoso, che qui è raggruppato in un’unica Sotto-Zona, si estende in senso N-S per una lunghezza di quasi 30 km su una superficie di circa 160 km2. Il massiccio dei Monti Lucretili è delimitato a Ovest dalla piana del Tevere, a Nord dalla valle del Fosso Corese, affluente del Tevere, a Est da un allineamento di valli (dominato dalla vetta conica di M. Pellecchia, 1368 m, la cima più alta) che termina con la marcata incisione del Licenza. Il Torrente Licenza affluisce nel Fiume Aniene, la cui valle stretta e profonda segna il bordo SE della struttura. All’interno della dorsale, che si eleva progressivamente di quota a partire dal bordo settentrionale, si distinguono allineamenti secondari di cime, prevalentemente con forme arrotondate, separate da valli generalmente non molto marcate, data l’assenza di corsi d’acqua perenni, e da ampi pianori carsici in quota, come il Pratone di Monte Gennaro, caratterizzati da morfologie carsiche superficiali, fra cui doline che mostrano segni di evoluzione recente. Nei Monti Lucretili sono conosciute 26 grotte. Nel settore occidentale si aprono il Pozzo Peter Pan (-50), sulla vetta di M. Andrea (980 m), e, nell’area di M. Guardia (600 m), la Grotta Hale Bopp (-72) e il Pozzo di San Polo (-62). Più a Nord, a Monte Flavio, si trovano il Pozzo di Colle Mastro Bannetto (-29) e la Grotta di Casa Nuvola (sviluppo 70 m). Nel settore orientale è stata esplorata la Risorgenza di Collentone (sviluppo 90 m). Da segnalare la voragine che si è aperta il 25 gennaio 2001 in località Pozzo Grande (q. 100 m) nel comune di Marcellina, profonda una decina di metri nei terreni alluvionali e detritici in prossimità del bordo occidentale dei M. Lucretili. Il corso dell’Aniene , a Sud dei M. Lucretili, separa la piccola dorsale dei Monti Tiburtini, dove, principalmente sul Colle Ripoli (522 m), sono state esplorate 6 grotte nei calcari, le più importanti delle quali sono la Voragine di Monte Spaccato (-90) e il vicino pozzo omonimo (-35). Nella valle dell’Aniene a Tivoli sono riportate nel catasto delle grotte una quindicina di cavità nei travertini, come quelle celebri di Villa Gregoriana, e in particolare la Grotta del Nettuno e la Grotta delle Sirene; la seconda delle due è un traforo naturale che attraversa il banco di travertino ed è percorsa da una parte delle acque dell’Aniene; più in basso, a Ponte Lucano, si trovano alcune grotte di modeste dimensioni ma di interesse archeologico, la più importante delle quali è la Grotta Polesini. A monte di Tivoli lungo il Fiume Aniene si osservano numerosi altri concrezionamenti e banchi travertinosi, il più interessante dei quali è la rupe di San Cosimato; una quindicina delle grotte che si aprono in questi depositi hanno dimensioni catastabili.

I MONTI CORNICOLANI Sono costituiti da un gruppo di piccoli rilievi calcarei situato in posizione isolata nella pianura del Tevere, separato dai vicini Monti Lucretili tramite la Valle delle Dame; la lunghezza è di 7-8 km in senso E-W e l’estensione areale di quasi 20 km2. Nonostante la modesta altitudine (la quota più alta è Poggio Cesi, 413 m), il piccolo gruppo montuoso si alza sulla pianura circostante con grande stacco morfologico. Le manifestazioni del fenomeno carsico sono piuttosto evidenti, sia per quanto riguarda le morfologie epigee, sia per quelle ipogee. Fra le forme di superficie sono conosciute alcune grandi doline, piuttosto profonde e con pareti ripide, con diametro anche superiore a 100 m; le principali sono la Dolina delle Carceri e il Merro Secco. Un’altra grande depressione, la Dolina di Santa Lucia, formatasi nel 1915, si trova ai piedi di Poggio Cesi. Il carsismo ipogeo è ben rappresentato in relazione alla superficie, con una dozzina di cavità sotterranee. Le cavità più importanti dell’area sono il condotto sommerso del Pozzo del Merro (-450) e il Pozzo Sventatore (-118), che si approfondiscono molto al di sotto del livello della falda freatica. Nell’area sommitale di Poggio Cesi sono conosciute emissioni di aria calda provenienti da varie cavità impostate su fratture e da numerose fessure non praticabili; fra le cavità più importanti si possono ricordare lo Sventatoio di Poggio Cesi (-88), la Grotta di Fossavota (-31) e il Pozzo Anacleto (-48). A Guidonia, sul bordo meridionale del rilievo calcareo (Colle Largo), si trova un’altra interessante grotta, la Cavità dell’Elefante (sviluppo 125 m). A Sud dei Monti Cornicolani si stende la piana travertinosa delle Acque Albule, che raggiunge il Fiume Aniene. Deflusso sotterraneo Le acque sotterranee dei Monti Cornicolani emergono nel pianoro delle Acque Albule dalle sorgenti Lago delle Colonnelle e Lago della Regina (q. 70 m), che erogano portate medie di 3,2 m3/s (CAPELLI ET ALII, 1987); le acque sorgive, sulfuree, hanno elevata temperatura (24°C). La falda carsica miscelata a fluidi mineralizzati affiora nei laghi sul fondo del Pozzo del Merro e di Pozzo Sventatore (la quota degli specchi d’acqua è di circa 80-83 m), distanti 8,5 km dalle sorgenti, verso NNW, e nella Cavità dell’Elefante (q. circa 77 m), distante 4 km, verso NNE. I MONTI PRENESTINI Questa catena ha andamento meridiano e si sviluppa per una lunghezza di oltre 20 km. Nella parte settentrionale il rilievo è tagliato dalla valle dell’Empiglione che isola il settore dell’Ara Salère, che più a Nord borda il Fiume Aniene. Il versante orientale scende ripido, interrotto da fasce di pareti verticali, verso la larga valle del Torrente Fiumicino e del Fosso di Capranica; alla base di questo versante si raccorda la piccola dorsale secondaria di Ciciliano, tramite la sella del Passo della Fortuna. Sempre a Est, una fascia di colline separa i M. Prenestini dalla stretta dorsale di Bellegra. Il versante occidentale scende fino ad essere ricoperto dalle colate piroclastiche del Vulcano Albano; nell’angolo Nord-occidentale una serie di incisioni vallive, fra cui la Valle della Mola, separano i Monti Prenestini dai Monti Tiburtini. Alla sommità del versante orientale si trovano le cime maggiori della dorsale: Monte Guadagnolo (1218 m), Monte Coste Galle (1148 m) e Monte Manno (1078 m). La dorsale presenta un altopiano che si sviluppa intorno ai 1000 m di quota, interessato da morfologie carsiche superficiali, numerose soprattutto nei grandi piani carsici costellati da moltissime doline, come Le Prata nei pressi di Guadagnolo e il piano in località Canepine sotto Rocca di Cave; ad Est del paese si trova la Fossa Ampilla (-61). Nel settore meridionale sono conosciute altre doline di grandi dimensioni, fra le quali Fossa Leprara e La Piscina. Da segnalare anche alcune depressioni che si sviluppano nelle aree marginali della catena, dove una coltre di tufi ricopre il substrato calcareo: gli “sprofondi” dell’area di Passerano.

Il carsismo ipogeo è rappresentato da 22 cavità. Fra le grotte più importanti sono il Pozzo 2° della Mentorella (-53), situato nei paraggi dell’omonimo santuario sul versante orientale della dorsale, il Pozzo della Ventrosa (-59), il Puzzu de Piscianegliu (-30) e la Caverna Macchia Nera (-30) tutte situate più in basso sul versante che scende verso San Gregorio da Sassola. Ai piedi del versante orientale (Monti Caprini) sgorgano le acque di due interessanti risorgenze: l’Ainate (sviluppo 210 m) e la Risorgenza della Mola (sviluppo 92 m). Nei Monti dell’Ara Salère, non lontano da Castel Madama, è da ricordare la Grotta della Riservola (-37).

Deflusso sotterraneo Le acque sotterranee del settore settentrionale (Monti dell’Ara Salère) e di parte del settore più propriamente prenestino dovrebbero dirigersi verso Nord per emergere lungo l’alveo del Fiume Aniene. Sembra però probabile che le acque di infiltrazione del versante a oriente della linea di cresta Guadagnolo-Capranica Prenestina-Rocca di Cave (comprese quelle che scendono nel Pozzo 2° della Mentorella e nella Fossa Ampilla) defluiscano verso Est, per emergere attraverso diversi condotti carsici, come le risorgenze di Ainate e della Mola e altri condotti un po’ più a valle presso il contatto dei calcari con le marne a Orbulina (impermeabili). Queste acque si versano nel Torrente il Rio; nella stazione di misura posta lungo questo torrente (a q. 240 m) sono stati misurati incrementi di portata in alveo di 95 L/s (BONI ET ALII, 1988). Nel versante a occidente della suddetta linea di cresta affiora estesamente la Formazione di Guadagnolo, che contiene falde discontinue negli orizzonti calcarei; le acque sotterranee probabilmente scendono verso Ovest su superfici di strato, alimentando ruscelli. Le acque di stillicidio che gocciolano nel Pozzo della Ventrosa dovrebbero riemergere nel fosso omonimo poco a valle della grotta.

I MONTI RUFFI La catena dei Monti Ruffi (che in questo libro è inserita nella Sotto-Zona della media valle dell’Aniene) è costituita da una serie di dorsali con vette arrotondate, separate da solchi poco marcati, allineate in direzione NNW-SSE, per una lunghezza di 10 km ed estensione areale di una quarantina di km2. Il massiccio è delimitato a Nord e a Est dalla valle dell’Aniene; a Ovest e a Sud l’ampia valle del Torrente Fiumicino circonda alla base il rilievo. Al suo interno vi sono alcune vette superiori a 1000 m e caratterizzate da elevata acclività, quali Monte Costa Sole (1251 m), al centro del massiccio, e Monte Macchia (1130 m). Il carsismo superficiale è ben rappresentato, con microforme di corrosione, vaschette e solchi 107 carsici evidenti nelle zone prive di vegetazione. In alcune depressioni chiuse presenti nelle zone sommitali di Monte Costa Sole e Monte Fossicchi si trovano numerose doline. Il carsismo ipogeo, al contrario, non è molto sviluppato. Nell’area sono conosciute 6 cavità, tutte di piccole dimensioni, ad eccezione della voragine del Pozzo di Cerreto (-48). Dall’estremità Sud-orientale dei Monti Ruffi inizia la dorsale calcarea di Rocca Canterano, con il bordo orientale quasi verticale che disegna il fronte della linea tettonica Olèvano-Antrodoco, esposto davanti ai Monti Simbruini. In questa modesta striscia calcarea, strettissima e lunga, che continua, interrotta solo da piccole faglie, fino a Bellegra e Olèvano Romano, si trovano 2 grotte, e in particolare la Bucia Cucera (-28) a Canterano. Deflusso sotterraneo L’ossatura delle scaglie tettoniche che costituiscono i M. Ruffi è formata dalle ripetute alternanze di marne e calcareniti della Formazione di Guadagnolo (a permeabilità variabile, come si è detto per i vicini M. Prenestini), sulle quali poggiano i calcari miocenici, ben carsificabili e permeabili, potenti 7080 m, presenti in affioramento quasi sulla totalità della superficie di questi rilievi montuosi. Data la disposizione geologica dei livelli marnosi a bassa permeabilità del substrato (Formazione di Guadagnolo), le acque che si infiltrano nei calcari devono infine seguire la pendenza degli strati impermeabili sottostanti. Per quanto riguarda l’unica grotta di un certo interesse presente su questi monti, il Pozzo di Cerreto situato sulla dorsale di M. Sacrestia, le acque che colano lungo la sua verticale dovrebbero raggiungere il Torrente Fiumicino (distante 1 km in direzione Ovest), nel quale si versano circa 50 L/s fra q. 350 m e la confluenza nel F. Aniene (q. 290 m) (BONI ET ALII, 1988).


I MONTI SIBILLINI MERIDIONALI

Grotta di Cittareale Dati catastali altro nome: Pozzo della Sibilla 297 La - comune: Cittareale (RI) - localitĂ : Costa di Pietra - quota: 1420 m carta IGM 1:25000: 139 IV NE Cittareale - coordinate: 0°42’38â€?0 (13°09’46â€?4) - 42°38’33â€?1 carta CTR 1:10000: 337 140 Cittareale - coordinate: 2.369.385 4.722.830 dislivello: +25/-450 m - sviluppo planimetrico rilevato: 2650 m

Itinerario Da Cittareale si prende la strada per Norcia. Dopo circa 4 km si parcheggia l’auto alla partenza di una strada sterrata a destra, presso il ponticello sul Fiume Velino (q. 1177). Si risale la Valle di S. Rufo, seguendo la sterrata fino ad un fontanile (Fonte S. Rufo; q. 1305; 20 minuti di cammino). Da qui si risale il pendio di Monte Prato in direzione NE, tramite una traccia di strada a forte pendenza, e si raggiunge il prato sotto il limite del bosco soprastante la fontana. Nel punto in cui il limite del bosco è piĂš alto in quota, si entra nel bosco e si continua a risalire il versante per 50 m, fino alla grotta. L’imbocco, un foro di mezzo metro di diametro, è posto poco al disotto di una fascia di pareti alte meno di 10 m, nascosto tra alcune roccette. Per trovarlo si può fare riferimento ad un evidente antro posto qualche metro piĂš in alto, nelle pareti; la grotta si trova 5 m piĂš in basso sulla sinistra. Dalla fonte si percorrono complessivamente 275 m di distanza planimetrica in direzione 45°, con un dislivello di 115 m (20 minuti di cammino dalla fonte). Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 139 L’Aquila

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Descrizione

1 = Grotta di Cittareale 2 = Buca di Terzone

(informazioni di Elisabetta Preziosi e Paris Scipioni) La grotta di Cittareale è una grotta complessa, che si sviluppa su piĂš “pianiâ€? suborizzontali messi in comunicazione fra loro da una successione di pozzi. Le esplorazioni sono ancora in corso in diversi rami, inoltre i tratti giĂ esplorati ma non rilevati sono numerosi. La descrizione che segue è suddivisa nei principali rami della grotta.

coordinate riquadro: angolo NW = 0°36’ - 42°40’ angolo SE = 0°47’ - 42°34’

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DALL’INGRESSO AL FONDO “GIUGNO 1989â€? L’ingresso è un pozzo profondo 15 m, con imboccatura del diametro di 50 cm, poi largo circa 1,5 m. Dalla base si prosegue con un breve tratto a scivolo, si risale quindi per 3-4 m una fessura (corda fissa) che porta alla base di un saltino di circa 5 m, anch’esso da risalire su corda fissa. Da sopra il salto si percorre una comoda galleria, molto asciutta e leggermente ascendente, si traversa un pozzo (corda fissa) e si raggiunge, dopo una sessantina di metri, la base di un camino (punto A), che porta al punto di quota piĂš elevata della grotta (+25). Proseguendo in avanti (ramo “del Noccioloâ€?), cioè sempre verso NE (tutto il ramo è impostato lungo una faglia orientata N30°E), la galleria inizia a scendere, con pendenza analoga a quella di salita. Dopo una settantina di metri si traversa un pozzo (“del Noccioloâ€?) e poco piĂš avanti si inizia a scendere un altro pozzo e, senza scenderlo tutto, si risale una corda fissa che conduce in una saletta. Un comodo cunicolo (con morfologia freatica come d’altra parte tutto il ramo) porta all’imbocco (punto B) di una serie di pozzi profonda una quarantina di metri (pozzi “Pragaâ€?), caratterizzata da forte stillicidio. Per giungere piĂš rapidamente al fondo “Giugno 1989â€? si traversa alla sommitĂ dei pozzi “Pragaâ€? e, tramite un foro sulla parete di fronte, si entra in un condotto ortogonale a quello finora percorso (punto C). Siamo entrati in un settore di grotta costituito da piĂš piani suborizzontali collegati da condotti freatici inclinati; questo sistema è impostato su una evidente faglia orientata N70°W e inclinata di 50-70° verso nord. Dal punto C si prosegue a destra (ESE) in una galleria discendente (gli “Scivoliâ€?) con sezione tondeggiante, comoda e molto asciutta. Dopo poche decine di metri è possibile scegliere fra due vie alternative:

proseguire in basso scendendo un salto, oppure entrare in un buco di fronte (corda) ed entrare in un cunicolo parallelo (è questa la via in genere preferita, chiamata ramo “delle Meteoritiâ€?). Scendendo nel ramo “delle Meteoritiâ€?, si raggiunge anche (poco prima di un traverso con sottostante salto) il basso imbocco di un cunicolo orizzontale (è il ramo “degli Asteroidiâ€?). Continuando, si scendono alcuni saltini finchĂŠ i due rami si ricongiungono alla sommitĂ del pozzo “dell’Arco Naturaleâ€?. Si scende il pozzo per una decina di metri fino ad un masso sospeso (“l’Arco Naturaleâ€?), raggiungendo cosĂŹ un livello sub-orizzontale, sempre impostato sulla faglia. L’â€?Arco Naturaleâ€? è situato nel mezzo di una grande galleria. Per proseguire verso il fondo si devono risalire alcuni metri verso ovest con una corda fissa (galleria “Neraâ€?). La galleria è costituita da tratti ascendenti alternati a pendii in discesa, per circa 100 m, fino ad una sala con un pozzo (punto F). Da un masso posto nella sala partono due corde: una sale leggermente, l’altra scende uno scivolo che poi si affaccia nel pozzo. Si prende questa seconda corda e si arriva su uno sperone che taglia in due l’ampio pozzo, profondo una ventina di metri; da qui si prosegue la discesa. Il ramo “dell’Assassinoâ€? (non rilevato) prosegue con una serie di franosi scivoli, in roccia instabile, fino ad un pozzo profondo una cinquantina di metri. Dalla base (punto G) si scendono ancora alcuni salti e scivoli fino a sbucare in un’ampia sala, che sprofonda in un pozzo di 50 m. Il pozzo ha due bocche; guardandolo, si entra in quella di destra. Durante la discesa di questo bellissimo pozzo si osserva un grande fuso parallelo, nel quale si sente scendere una cascata d’acqua; questo fuso parallelo è chiuso alla base e l’acqua della cascata va verso il fondo della grotta attraverso passaggi non percorribili. Dalla base del pozzo di 50 m parte una alta galleria in forte discesa (scivolo con corda), nella quale, poco dopo la partenza, affluisce un torrentello (con portata stimata in circa 5 l/s nel gennaio ‘94). Lo scivolo scende con forte pendenza per 60-70 m, poi l’inclinazione diminuisce, e si continua a scendere in un ambiente largo fino a una decina di metri e alto una ventina. Dopo altri 60 m la volta si abbassa, si entra in una sala che rappresenta la base di un altro fuso, le pareti si chiudono, e l’acqua filtra nel pavimento detritico, lasciando solo una pozza in superficie (fondo “Giugno 1989â€?, -450). Dal fuso della sala di fondo proviene una discreta quantitĂ d’acqua. In tutta questa via, dall’ingresso al fondo, l’acqua si trova solo sui pozzi “Pragaâ€?, e immediatamente a monte di questi, e sotto il P50 e fino al fondo; complessivamente, la grotta è molto asciutta, anche nei periodi piovosi.

RAMO “DELLA SPINAâ€? (FONDO -170) E NUOVA VIA AL FONDO “GIUGNO 1989â€? (-450) Subito dopo la seconda risalita a partire dall’ingresso si entra nel cunicolo di sinistra, che si affaccia sopra un P10. Sceso il pozzo, ci si infila in una strettoia bagnata e scomoda che immette su un terrazzo, che è l’inizio di un pozzo profondo 7 m. Sul fondo si apre una bella “finestraâ€? da cui parte un P65 (pozzo “Ekuâ€?). Dalla base del pozzo si percorre una breve galleria che immette in una grande stanza (punto H), situata al fondo di un grande pozzo dal quale arriva sempre uno stillicidio d’acqua. Sulla parte opposta della base del pozzo inizia un canyon molto bagnato, che si scende per circa 30 m, terminando all’inizio di una diaclasi asciutta e lunga una quarantina di metri. All’inizio di questa diaclasi si apre un primo pozzo di 25 m e, pochi metri piĂš avanti, un altro di 20 m, entrambi interessati da un forte scorrimento d’acqua. Sceso questo secondo pozzo è possibile infilarsi in un meandro e poi in un piccolo pozzo (10 m), al termine del quale la volta si abbassa. Qui il condotto diventava impraticabile e l’acqua si perdeva nel detrito della galleria (-170), finchĂŠ un recente lavoro di disostruzione ha permesso di superare una serie di strettoie e quindi di accedere a nuovi pozzi, per un dislivello complessivo di 200 m (tratto non rilevato).


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RISALITA DEL P50 DEL RAMO “DELLA SPINAâ€? E VIA NUOVA AL FONDO “GIUGNO 1989â€? (-450) Il pozzo del punto H è stato recentemente risalito per 50 m; alla sommitĂ ci si immette in una serie di pozzi discendenti, di dimensioni anche notevoli, e sempre bagnati. Alla fine di questa serie di pozzi si raggiunge il fondo della grotta a -450 (questo ramo non è stato rilevato). RAMO “DEL DRAGOâ€? Scesi una decina di metri del P65 (pozzo “Ekuâ€?), con un pendolo si arriva ad un grosso masso, che costituisce il bordo di un pozzo parallelo. Si scende per circa 20 m e, dalla base, con una facile arrampicata si raggiunge la sala “dell’Ossoâ€?. Proseguendo per meandri e pozzi (tratto rilevato solo in pianta, percorso I-J-K) si può tornare all’uscita della grotta chiudendo un anello molto interessante. Dalla sala “dell’Ossoâ€? partono altre diramazioni che permettono di accedere a zone non ancora del tutto esplorate. RAMO “DI COMUNE ACCORDOâ€? Questo ramo, che si sviluppa al disotto del ramo “del Noccioloâ€?, è raggiungibile tramite i pozzi “Pragaâ€? e dopo aver sceso il P35 (pozzo “Butterflyâ€?). Le gallerie sono asciutte, tranne alcune zone in corrispondenza dei pozzi, dove c’è stillicidio. GALLERIA “BIANCAâ€? E RAMO “STE.MI.â€? Arrivati all’â€?Arco Naturaleâ€? si prende l’evidente galleria “Biancaâ€? (nel verso opposto alla galleria “Neraâ€?). Questo ramo è completamente asciutto, si percorre comodamente, e presenta delle belle zone ricche di cataclasite e cristalli di calcite. A metĂ circa della galleria un basso passaggio immette nel ramo “Ste.Mi.â€?. La prima parte del ramo è caratterizzata da passaggi bassi e scomodi, ma lo spettacolo successivo ripaga le fatiche. Si entra in una zona ricchissima di gesso e sabbia; tutto il tratto si percorre senza usare attrezzature di progressione. GALLERIA “DEGLI ASTEROIDIâ€? Il ramo inizia dal cunicolo orizzontale sopra descritto, prima di arrivare all’â€?Arco Naturaleâ€? scendendo dagli “scivoliâ€?. Il primo tratto, lungo un centinaio di metri, è una galleria bassa, poi si percorre un susseguirsi di cunicoli e gallerie sempre basse, ma calde e asciutte. Lo sviluppo del ramo è di poco piĂš di 1 km, ma diversi passaggi sono ancora da esplorare.

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POZZI “PRAGAâ€? La discesa dei pozzi “Pragaâ€? (dal punto B), profondi 40 m, spezzati da due terrazzi e decisamente bagnati (soprattutto il primo tratto), porta, con un pendolo ed entrando in un foro nella parete, ad un condotto ortogonale a quello del ramo “del Noccioloâ€?, allo stesso modo di quanto avviene nel sovrastante ramo che porta al fondo “Giugno 1989â€?. Proseguendo verso destra (WSW) il cunicolo termina in breve. Andando a sinistra (ENE) si sale una galleria asciuttissima che, dopo una quarantina di metri, superata una strettoia (“1° Maggioâ€?), si affaccia alla sommitĂ di un pozzo (P150 “del Buiometroâ€?, punto P). RAMI “OLTRE IL BUIOMETROâ€? Si traversa il pozzo “del Buiometroâ€? dopo aver superato la strettoia “1° Maggioâ€? (vedi sopra pozzi “Pragaâ€?). La traversata del pozzo “del Buiometroâ€? ha un aspetto innocuo; in realtĂ da qui il pozzo è profondo circa 150 m. Il pozzo si traversa con una breve discesa e risalita con corda, fino ad un cunicolo situato dalla parte opposta. Da qui si prosegue con un susseguirsi di gallerie e pozzi che permettono di arrivare alla sala “di Capodannoâ€?, e da questa ad un pozzo profondo 70 m (“Betta nun ce fĂ scherziâ€?). Quindi inizia una serie di meandri (tratto rilevato solo in pianta), in parte inesplorati, il principale dei quali porta ad una zona molto fangosa e bagnata (meandro “Aspettando Aldoâ€?). Al termine di questa zona una facile arrampicata permette di uscire dal fango e, subito dopo, con una serie di corde fisse si risale per circa 80 m fino all’imbocco di un basso cunicolo che immette in una grandissima sala (sala “Cantabricaâ€?). Siamo entrati nelle zone denominate “Terre Lontaneâ€?. Le gallerie sono asciutte, concrezionate, e con bei depositi di gesso. Il ramo è in esplorazione. NOTA SULLE CORRENTI D’ARIA Durante la visita del gennaio ‘94 (giornata molto fredda, è nevicato durante la notte), l’imbocco presentava una forte corrente d’aria in entrata, e pertanto funzionava da ingresso basso. Nel cunicolo sopra i pozzi “Pragaâ€?, e soprattutto in quello sotto gli stessi, spirava invece una forte corrente d’aria verso l’esterno. Il punto dove le due correnti d’aria si “scontranoâ€? sembra essere poco a monte dei pozzi “Pragaâ€?, forse sul pozzo “del Noccioloâ€?, che risale per 50 m. Da sotto i pozzi “Pragaâ€? fino al fondo di -450 la corrente d’aria è sempre diretta verso l’ingresso noto. Solo sul torrente terminale la corrente sembra invertire direzione, ma il fenomeno potrebbe essere legato allo scorrimento d’acqua.

Buca di Terzone: l’imbocco, dietro la rete (foto M. Mecchia)

Grotta di Cittareale: la faglia negli “Scivoli� (foto M. Mecchia) .7

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Stato dell’ambiente La grotta è molto frequentata. A partire dal 1983, anno in cui gli scavi nella zona d’ingresso hanno permesso l’accesso al sistema profondo, il numero complessivo di visite può essere stimato in oltre un migliaio. La frequentazione, esclusivamente speleologica, ha comportato alcuni interventi di disostruzione oltre ai consueti effetti ambientali, che, data la notevole estensione del sistema, sono limitati alle zone maggiormente battute, mentre rimangono pressochè integri diversi rami di notevole interesse.

Note tecniche (di Elisabetta Preziosi e Paris Scipioni) PERCORSO DALL’INGRESSO AL FONDO “GIUGNO 1989” DALL’INGRESSO, PERCORRENDO IL RAMO “DEL NOCCIOLO” FINO ALLA SOMMITÀ DEGLI “SCIVOLI”: P15 d’ingresso (corda 18 m), Risalita 3 in fessura (corda 6 m), Risalita 5 (corda 12 m), Traverso 6 m su pozzo (corda 10 m), Traverso del Pozzo “del Nocciolo” (scendere 8 m poi traversare a destra e risalire oltre; corda 36 m), segue galleria bassa e si scendono 5 m in arrampicata, Traverso 12 m sul pozzo “Praga” con forte stillicidio in periodi pioggia, dopo il traverso si va a destra (punto C). GLI “SCIVOLI” FINO ALL’”ARCO NATURALE”: Scivolo 5 (corda 10 m), 1° Scivolo: si scendono solo 5 m poi risalire nella finestra di fronte (corda 10 m), Risalita 8 fino alla finestra (ramo “delle Meteoriti”), corrimano con 20 m di corda, P2+corrimano (corda 20 m), Traverso 20 m (attenzione!, scarica sassi), P30 (attenzione! scarica sassi), Traverso+Scivolo (corda 12 m), P15 (corda 20 m), “Arco Naturale”. DALL’”ARCO NATURALE” AL PRIMO POZZO DEL RAMO “DELL’ASSASSINO”: Risalita 8 m (arrampicabile), Traverso 20 m nella galleria “Nera” (corda 25 m), Traverso (corde 15+10 m), punto F, P25 (corda 45 m).

Buca di Terzone Dati catastali 1313 La - comune: Leonessa (RI) - località: Valle di Terzone - quota: 1035 m carta IGM 1:25000: 139 IV NE Cittareale - coordinate: 0°38’48”2 (13°05’56”6) - 42°37’53”5 carta CTR 1:10000: 337 140 Cittareale - coordinate: 2.364.130 4.721.740 dislivello: circa -55 m - sviluppo planimetrico: circa 30 m

Itinerario Da Cittareale si prende la strada per Norcia, e dopo 8,7 km ad un bivio si prosegue verso Leonessa. L’ingresso si trova sul bordo destro della strada fra Trimezzo e Terzone, a circa 2,3 km dalla frazione di Trimezzo. L’ingresso è chiuso da una rete paramassi.

Descrizione (di Marco Tosti) L’ingresso, alla base di una paretina di 4 m, è un foro tondeggiante di 80 cm di diametro, impostato su una frattura con direzione N50°W. Gli strati sono inclinati di 20° verso nord. Il pozzo di ingresso, con imbocco particolarmente franoso, è profondo 34 m. A circa metà pozzo si nota una “finestra” (dalla quale proviene aria) il cui accesso è reso difficoltoso da uno spesso strato di fango che ricopre le pareti. Alla base del P34 si supera una strettoia (allargata artificialmente) e si arriva in breve sopra un pozzo profondo circa 15 m. Alla base del pozzo una grande frana chiude la cavità (-55).

Stato dell’ambiente L’ingresso è stato aperto durante gli scavi per l’allargamento della sede stradale. Il pozzo, disceso per la prima volta nel 1994, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. La strettoia alla base del P34 è stata allargata artificialmente. Di conseguenza, lo stato originario della grotta risulta assai alterato.

DAL RAMO DELL’ASSASSINO AL FONDO “GIUGNO 1989”: Corrimano con 15 m di corda, Scivolo (corda 35), P50 (corda 80 m, attenzione! scarica sassi), P8 (corda 15 m), Scivolo+saltino su sfasciumi (in arrampicata), P5 (in arrampicata), corrimano, P50 (corda 60 m), Scivolo (corda 150 m), fondo “giugno 1989” (-450).

Note tecniche

Storia delle esplorazioni

P34 (corda 45 m) con partenza franosa sotto la rete, P15 (corda 20 m), fondo (-55).

Esplorata il 12 agosto 1962 fino alla strettoia a -18 m dal G.S.C.T.C. Polisportiva Spoleto, che ha dato alla grotta il nome di “Pozzo della Sibilla”. Nella primavera 1983 sono iniziate le esplorazioni del GGP, che durano tuttora a cui hanno partecipato C. Gatti, Elisabetta Preziosi, P. Scipioni e molti altri; il nome della grotta è stato cambiato successivamente in “Grotta di Cittareale”. Il superamento della strettoia ha permesso di esplorare il “Ramo della Spina” (-170) e il “Ramo del Nocciolo”. Con una risalita di 20 m al termine del “Ramo del Nocciolo” nel 1989, è stata scoperta una nuova prosecuzione che ha portato la profondità a -450 m. Nel 1991 è stata esplorata la “Galleria degli Asteroidi”, e successivamente il “Ramo oltre il Buiometro” e il “Ramo 1° Maggio”. Nel 2001 il Gruppo Speleologico Marchigiano ha esplorato un ramo in risalita che parte dalla base del penultimo pozzo; contemporaneamente l’ASIC ha esplorato lo stesso ramo discendendovi dal “Ramo della Spina”. Nel 2002 l’ASIC (E. Preziosi, P. Scipioni ed altri) insieme con L. Budassi (GGP), D. Battistini (GS Spoletino CAI) e G. Antonini (GS Marchigiano) ha iniziato l’esplorazione di un ramo discendente parallelo che parte ancora dal “Ramo della Spina”.

Bibliografia ANTONINI, 2001; DOLCI, 1967; GATTI & UFFREDUZZI, 1989; GRUPPO GROTTE PIPISTRELLI CAI TERNI, 1995; PREZIOSI & SCIPIONI, 1993; SCIPIONI, 1997; SQUAZZINI, 1983.

Storia delle esplorazioni Esplorata fra luglio e agosto 1994 dal GS Spoletino CAI (R. Giorgetti, Anna Laura Battaglia, A. Morgantini, M. Tosti), e dal GGP (P. Scipioni e C. Gatti).

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I TRAVERTINI DELLA CASCATA DELLE MARMORE

posto all’interno del camping; o meglio, costeggiando il fianco sinistro della recinzione dello stesso camping lungo un viottolo intagliato nel travertino e scendendo poi a destra in direzione opposta alla cascata, seguendo un antico canalino d’irrigazione tuttora in uso, fino ad una grande frattura a destra nella rupe, protetta con un cancello (GRUPPO GROTTE PIPISTRELLI CAI TERNI, 1995). L’area della Cascata delle Marmore è visitabile in tutti i periodi dell’anno, la caduta d’acqua è però visibile solo in alcune ore del giorno, maggiormente nel periodo estivo. L’accesso per gli speleologi alle cavità non è attualmente soggetto a limitazioni, ma si ritiene che le opere di consolidamento della rupe potranno in futuro ostruire alcuni tratti della cavità limitandone la percorribilità.

Descrizione (di Tonino Uffreduzzi) Il complesso sub-orizzontale delle Grotte dei Campacci, scavato nei travertini, è composto da due grotte comunicanti fra loro tramite fessure non percorribili: il sistema Grotta della Condotta - Ingresso Condotta-Colonne - Pozzo delle Colonne - Tombino Colonne e il sistema Grotta della Morta - Grotta delle Due Diaclasi. Gli ambienti sotterranei si presentano asciutti e polverosi; solo limitate zone sono caratterizzate da modesti stillicidi. La visita alle Grotte dei Campacci può essere impostata realizzando tre diversi itinerari che permettono di attraversare la maggior parte degli ambienti. Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 138 Terni 1 = Complesso delle Grotte dei Campacci

coordinate riquadro: angolo NW = 0°11’ - 42°34’ angolo SE = 0°20’ - 42°30’

Complesso delle Grotte dei Campacci 112

Dati catastali comune: Terni - località: I Campacci carta IGM 1:25000: 138 I SO Labro carta CTR 1:10000: 347.010 Collestatte GROTTA DELLA MORTA (57 U) coordinate IGM: 0°15’56” (12°43’04”4) - 42°33’06” - quota: 381 m coordinate CTR: 2.332.570 - 4.713.560 GROTTA DELLE DUE DIACLASI (58 U) coordinate: 0°15’52” (12°43’00”4) - 42°33’04” - quota: 364 m coordinate CTR: 2.332.490 - 4.713.520 GROTTA DELLE COLONNE (59 U) coordinate: 0°15’56” (12°43’04”4) - 42°33’06” - quota: 381 m coordinate CTR: 2.332.610 - 4.713.610 GROTTA DELLA CONDOTTA (60 U) coordinate: 0°15’58” (12°43’06”4) - 42°33’07” - quota: 380 m coordinate CTR: 2.332.700 - 4.713.640 dislivello: -32 m - sviluppo planimetrico: 480 m Aree protette di riferimento: Parco Fluviale del Fiume Nera; ZPS IT5220025 “Bassa Valnerina: Monte Fionchi - Cascata Marmore”

Itinerario Da Terni, percorrendo per oltre 7 km la S.S. 79 per Rieti, si giunge all’abitato di Marmore. Superata la ferrovia, si incontra il bivio a sinistra per il campeggio, all’interno del Parco dei Campacci, raggiunto il quale si parcheggia l’auto. L’accesso al sistema è garantito da cinque ingressi, protetti da recinzione e/o tombini o cancelli, raggiungibili in pochi minuti. Attualmente quasi tutti gli ingressi sono posti oltre una rete di protezione che ostacola l’accesso all’insidioso fronte della rupe. Costeggiando a destra il confine del campeggio fino a tale recinzione, si trovano il tombino Colonne, e subito dopo un ampio pozzo recintato (Pozzo delle Colonne). Poco oltre, un’altra recinzione con un saltino di 3 m è l’ingresso Condotta-Colonne. Altri ingressi minori seguono i precedenti. Per accedere alla Grotta della Morta ed alla complessa Grotta delle Due Diaclasi, si può usare un cancelletto

TRAVERSATA DALL’INGRESSO CONDOTTA-COLONNE ALL’INGRESSO DEL TOMBINO GROTTA DELLA CONDOTTA, CON DEVIAZIONE ALLA SALA DI TEO Si entra nell’ingresso Condotta-Colonne oltrepassando una recinzione ed un cancello. L’accesso è su frattura con pozzetto di qualche metro, da superare in opposizione; sul fondo la frattura può essere percorsa sia verso Est che verso Ovest. In direzione Est si avanza tra le due pareti della frattura, che continua in alto sino all’esterno. Il tratto prossimale al piano di campagna è caratterizzato da estesi e spessi depositi travertinosi mammellonari. Proseguendo si rinvengono i resti di una condotta idrica realizzata alla fine del XIX secolo (punto 61), e parzialmente rivestita a mattoni; verso destra la condotta prosegue orizzontalmente per alcune centinaia di metri sino ad arrivare ad un’opera di presa sul Fiume Velino (la sua percorribilità è limitata dalla presenza di acqua) mentre a sinistra la condotta conduce, tramite un cunicolo in forte pendenza, ad una cisterna ipogea di raccolta delle acque (la visita di questo tratto è sconsigliata per la sua pericolosità). Attraversata la condotta si prosegue nel cunicolo principale sino alla sua occlusione da crollo e concrezionamento; in questo punto (64) si dipartono due rami. RAMO DELLA SALA DI TEO Salendo qualche metro in arrampicata si accede ad un passaggio stretto da superare distesi sino ad affacciarsi, in contrasto, sopra un pozzetto di pochi metri, superabile in opposizione, meglio se con l’ausilio di corda di sicura o scaletta; al disotto l’ambiente si allarga con colate calcitiche sulla sinistra ed un laghetto asciutto con fondo sabbioso sulla destra (punto 77), proseguendo si risale di qualche metro su fessura per poi ridiscendere sino ad una saletta, detta di Teo, con un fondo sabbioso, caratterizzata da livelli concrezionari legati ad un laghetto. Tornando indietro di qualche metro si può risalire di 7-8 m in opposizione (la “Spaccazza”) e visitare la parte alta della frattura, ornata da splendide concrezioni stalattitiche e colonnari. RAMO DEL TOMBINO GROTTA DELLA CONDOTTA Dal punto 64 del rilievo, invece di salire si imbocca il ramo in basso, sul fondo del cunicolo. Questo ramo della grotta, privo di concrezionamenti, è costituito da un lungo cunicolo a fessura, con passaggi anche molto stretti, che rende bene l’idea dei fenomeni speleogenetici che hanno guidato lo sviluppo dell’intero complesso. Quasi al termine della diramazione una risalita conduce all’ingresso Tombino Grotta della Condotta. TRAVERSATA DALL’INGRESSO CONDOTTA-COLONNE AL TOMBINO COLONNE Dall’ingresso Condotta-Colonne si prosegue in direzione Ovest sul fondo ad elevata pendenza della frattura principale, caratterizzato da massi di crollo; si arriva, attraversando una sala dal soffitto molto alto, ad un pozzetto verticale di 11 m, da scendere con corda o scaletta. Si accede così all’ampia sala all’aperto della Grotta delle Colonne; tale ambiente è generato dall’intersezione di almeno tre fratture a diversa direzione di cui due si estendono, con apertura di qualche metro, sino al piano campagna (Pozzo delle Colonne); caratteristici i depositi mammellonari che dai bordi esterni della frattura si propendono per metri verso l’interno, i numerosi crolli di volumi rocciosi hanno determinato un ulteriore allargamento della sala. Gli attuali lavori di consolidamento della rupe (iniziati nel 1999) interessano questo e altri ambienti del livello inferiore, con il posizionamento di tiranti e gettate di calcestruzzo, per cui la visita di questi tratti ha perso il fascino che aveva in passato. Dal ballatoio che separa la base del Pozzo delle Colonne dalla grotta sottostante, tramite uno

Travertini delle Marmore: la cascata e sullo sfondo, a sinistra, la parete sulla quale si apre uno degli imbocchi delle grotte dei Campacci (foto G. Mecchia)

stretto cunicolo a fessura si accede alla Sala delle Colonne, l’ambiente più suggestivo dell’intero complesso con la presenza di cordoni concrezionari legati a vari livelli di un laghetto fossile ed enormi concrezioni stalattitiche e colonnari, sia verticali che inclinate di circa 45°. Le stalattiti inclinate sono legate alla deposizione del travertino in ambiente di cascata su pendio mentre quelle verticali si sono deposte in ambiente ipogeo da circolazione di acque provenienti dall’esterno e percolanti attraverso la parte alta della frattura principale. Dalla Sala delle Colonne si ritorna al Pozzo delle Colonne; risalendo in arrampicata si accede al cunicolo che con attraversamenti in contrasto conduce al Tombino Colonne, raggiungibile dopo una salita in opposizione di una fessura in alcuni punti piuttosto stretta. L’uscita dal tombino a grata avviene nel boschetto del Parco dei Campacci.

TRAVERSATA GROTTA DELLA MOR TA - GROTTA DELLE DUE DIACLASI, CON DEVIAZIONE NEL RAMO DELLA BUCA DELLE LETTERE Si accede alla Grotta della Morta dal cancello nel camping; il primo tratto, su cunicolo di crollo, permette di entrare in una frattura verticale che può essere discesa in opposizione, meglio se con l’ausilio di una corda di sicura, in quanto, seppure il dislivello da superare è solo di qualche metro, la profondità della frattura è di 10-20 m. Le fessure alla base della grotta comunicano per vie non percorribili con il sistema della Grotta delle Colonne. Si avanza quasi in piano nella frattura che, pur attraversando slarghi a sala, diventa poi uno stretto cunicolo che si immette in un ambiente detto Sala Paradiso, per via della ricchezza delle concrezioni colonnari ed a festone. Da questa sala si diparte la deviazione della Buca delle Lettere, che può essere imboccata salendo a sinistra nella sala ed infilandosi in uno stretto passaggio al di sotto di concrezioni stalattitiche; al di là, si risale in arrampicata un saltino di qualche metro arrivando, dopo aver superato due salette, ad un punto in cui una stretta fessura si apre sul pavimento (la “Buca delle Lettere”). Passata questa strettoia verticale dell’altezza di circa 2 m, un cunicolo stretto a fessura porta ad un sistema di sale allineate in direzione N-S e caratterizzate da depositi mammellonari ed a clava, di travertino particolarmente “spugnoso”. Il percorso a ritroso ci riporta nella Sala Paradiso da dove si prosegue nella traversata imboccando uno stretto cunicolo al di sotto di un masso di crollo (punto 6), in direzione Ovest; si segue il cunicolo scendendo in basso sino ad arrivare sul fondo sabbioso della frattura, la si segue sino a doversi alzare verso l’alto ed effettuare un lungo tratto in contrasto, aiutati da una cengia, così da portarsi verso l’uscita (Grotta delle Due Diaclasi) che si apre sulla rupe di travertino in prossimità del salto principale della cascata.

Stato dell’ambiente Le grotte, a partire dagli anni ‘50, sono state oggetto di assidua frequentazione, stimabile in molte migliaia di visite, probabilmente oltre 10.000. Attualmente le grotte sono interessate dai lavori per il consolidamento della rupe di Marmore, lavori che hanno parzialmente alterato lo stato delle cavità, attraversate da alcuni tiranti e da colate


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di calcestruzzo nelle zone inferiori del sistema. In alcune zone interne sono posizionate strumentazioni di monitoraggio. Una delle diaclasi intercetta resti di una condotta idrica realizzata alla fine del XIX secolo parzialmente rivestita a mattoni, con origine da una cisterna ipogea collegata ad un’opera di presa posta all’esterno. La recente opera di ripulitura e asportazione dei rifiuti eseguita dagli speleologi ha sensibilmente migliorato l’aspetto degli ambienti sotterranei, che risultano pertanto abbastanza puliti.

IL MONTE COSCE

Note tecniche I dislivelli verticali, alti fino a qualche metro, possono sempre essere superati in arrampicata libera anche se è consigliabile, vista la fragilità degli appigli, l’uso di una corda di sicura e/o di scalette (15 m). La cavità è attrezzata con spit e chiodi da roccia.

Storia delle esplorazioni Le prime esplorazioni sistematiche del complesso sono state effettuate negli anni ‘50 dal GGP (F. Fratini, B. Moschowitz, L. Virgili, G. Coletti, L. Croccolino, D. Censi, F. Foschi e R. Sconocchia).

Bibliografia ANTONELLI ET ALII, 1962; BERGUI, 1937; CATASTO SPELEOLOGICO DELL’UMBRIA, 1994; GRUPPO GROTTE PIPISTRELLI CAI TERNI, 1995; LEMMI & COLETTI, 1961; LIPPI BONCAMBI, 1950; MATTIOLI, 1965B; MATTIOLI, 1972; RICCARDI., 1825; SABATINI & UFFREDUZZI, 1989.

Complesso delle Grotte dei Campacci: salone con resti della condotta nella Grotta della Condotta (foto C. Gatti)

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Grotta dello Svizzero: il cunicolo iniziale (foto G. Mecchia)

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 138 Terni 1 = Grotta dello Svizzero 2 = Grotta di Pizzo Corvo 3 = Pozzo delle Canine 4 = Pozzo di Miesole 5 = Grotta Cherubini 6 = Buco del Pretaro

coordinate riquadro: angolo NW = 0°01’ - 42°33’ angolo SE = 0°13’ - 42°21’


Grotta dello Svizzero Dati catastali 84 U - comune: Narni (TR) - località: Monte Santa Croce - quota: 280 m carta IGM 1:25000: 138 IV SO Narni - coordinate: 0°02’37”0 (12°29’45”4) - 42°30’01”7 carta CTR 1:10000 (Umbria): 346 060 Fornole - coordinate: 2.314.2294.708.514 dislivello: -80 m - sviluppo planimetrico: 750 m

Itinerario Da Narni si raggiunge la frazione di Stifone, dove si lascia la macchina. Si scende a piedi attraverso le case raggiungendo il Fiume Nera, che si attraversa su un ponticello pedonale (q. 90). Si passa sotto la ferrovia abbandonata e si prende il sentiero a destra, che corre alla base di due grandi muri di sostegno. Arrivati ad un bivio (fin qui 10 minuti a piedi, q. 130), si prende il sentiero di sinistra che risale il versante con vari tornanti. A q. 200 ad un bivio si imbocca il sentiero di destra, e al successivo bivio (q. 215), poco visibile, si prende ancora a destra. Salendo poi per tracce di sentiero nel bosco si raggiunge l’ingresso (40 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è una spaccatura lunga 2,7 m e larga fino a 1 m, con due alberi che sbucano dall’imbocco. Non si avvertono correnti d’aria. La grotta è interamente impostata su un’unica frattura (faglia) orientata 135°-315° e inclinata mediamente di 60° verso SW. Sceso il saltino d’ingresso (3 m) si cammina in una galleria in discesa, larga 1,4 m e alta altrettanto, impostata sulla frattura. Percorsi una ventina di metri, la galleria curva verso destra e dopo un breve tratto in piano si striscia risalendo un passaggio basso e si entra in una saletta (punto 4); qui, lungo il piano di faglia, si osserva la breccia cataclastica. Si riprende la discesa lungo la massima pendenza della frattura e dopo una dozzina di metri si raggiunge un bivio (punto 5). Da qui è possibile proseguire in due rami distinti, privi di collegamenti noti. Sulla parete superiore si osserva la breccia rossastra, mentre il pavimento è ingombro di massi.

RAMO DI SINISTRA (VERSO SUD) Dal punto 5 si prosegue verso sinistra percorrendo una frattura in leggera discesa fino ad arrivare in una saletta larga 3 m e alta 2,5 m (punto 22). Si imbocca un basso passaggio e si scende fino a raggiungere un’altra piccola sala (punto 24), larga 2,7m e alta 1,6 m, dove si osservano sottili radici. Si prosegue nella spaccatura con la solita orientazione e inclinazione, larga 1,2 m, ancora con presenza di sottili radici, e si raggiunge la sala terminale di questo ramo (punti 27-29), con accumuli di guano che formano chiazze scure sul pavimento, e con un piccolo stillicidio dal soffitto e lungo la parete (l’unico osservato in tutta la grotta) che causa la presenza di fango. La sala è lunga una quindicina di metri, larga 3-4 m e alta 2-2,5 m, le pareti sono costituite, almeno a tratti, da piani di frattura. In fondo alla sala si è alla base di un camino alto una quindicina di metri, inclinato lungo la massima pendenza della frattura e chiuso alla sommità (punto 30). Non si avvertono correnti d’aria. Il punto più profondo di questo ramo (-52 m) si può raggiungere inoltrandosi in un cunicolo lungo una trentina di metri. RAMO DI DESTRA (VERSO OVEST) Dal punto 5 si prosegue seguendo la massima pendenza della frattura, in ripida discesa per 7-8 m. Sulla parete inclinata si osservano alcuni gradini scavati a mano. Si arriva ad una saletta (punto 7) larga 1,5 m e alta 2,5 m, con le pareti costituite da piani di frattura. Evitando di entrare nella saletta, si prosegue nel cunicolo che si apre sotto i piedi, percorrendo

la fessura fino a raggiungere, in breve, una strettoia orizzontale larga 40 cm, a forma triangolare con il piano di frattura a soffitto (punto 11). Percorso uno stretto cunicolo discendente, si supera un saltino (punto 13) aiutandosi con una corda fissa, atterrando nel mezzo di una galleria larga 1,5 m, impostata sulla solita frattura. Da qui si può proseguire sia verso destra che verso sinistra. Andando a destra (Ovest) la galleria termina dopo pochi metri; nella nicchia (punto 14) si osservano le scalpellate in parete e cristalli di calcite. Da qui si scende in un ampio foro, si trova una corda fissa che facilita la discesa di un saltino di 2-3 m e si arriva nelle salette terminali di questo ramo. Si osservano, conficcate nel fango, 2 monete da 5 centesimi coniate nel 1921 e scritte a nerofumo datate 1928. Il punto più profondo di questo ramo (-80) si raggiunge scendendo per 6-7 m in cunicoli. Proseguendo nelle salette si trovano alcune brevi diramazioni, una delle quali riporta al punto 13. La grotta è completamente asciutta, tranne l’unico stillicidio descritto nel ramo di sinistra.

Stato dell’ambiente La grotta è nota da lungo tempo, e almeno a partire dal XVIII secolo è stata sfruttata come miniera di ferro. All’interno si osservano, quindi, tracce di scavo come gradini, scalpellature e asportazioni, mentre mancano resti di attrezzi o manufatti. Nei tempi più recenti la grotta non è stata frequentata in modo assiduo; anche per questo non si rinvengono rifiuti abbandonati all’interno e nell’insieme non si ricava l’impressione di un ambiente compromesso.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature da risalita. Una corda da 10 m e uno spezzone corto sono sufficienti per aiutarsi nei passaggi più inclinati (corde fisse della descrizione). Da notare che la vistosa numerazione verniciata sulle pareti della grotta non corrisponde ai punti del rilievo del GGP, riportato in questo volume.

Storia delle esplorazioni La grotta era conosciuta da sempre. In base alla documentazione storica raccolta da A. Scatolini sembra corrispondere al sito della “Cava di Zara”, nella quale “fattovi calare quattro uomini, questi trovarono in fondo dei rami di vena di ferro, dell’altezza di un palmo (25 cm), ma di qualità un poco inferiore delle altre cave” (PENNINI, 1760). Venne rintracciata l’11 novembre 1956 su indicazione di un ingegnere svizzero che lavorava in un’industria narnese ed effettuava ricerche minerarie nella zona, ed esplorata nel 1957 dal GGP (M. Silvestri, F. Fantini, G. Coletti, B. Mattioli e B. Moschowitz).

Bibliografia CATASTO SPELEOLOGICO DELL’UMBRIA, 1994; DE DOMINICIS, 1961; MATTIOLI, 1968; PENNINI, 1760; SCATOLINI A. (2000).

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Bibliografia 7

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CATASTO SPELEOLOGICO DELL’UMBRIA, 1994; DE DOMINICIS, 1961; KELLER, 1895; LEMMI & COLETTI, 1961; MANTOVANI, 1884; SEGRE, 1948A; TERRENZI, 1889.

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Pozzo delle Canine

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Dati catastali

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155 U - comune: Stroncone (TR) - localitĂ : versante NE del Colle di Vasciano - quota: 680 m carta IGM 1:25000: 138 III NE Stroncone - coordinate: 0°09’38â€? (12°36’46â€?4) - 42°26’40â€? carta CTR 1:10.000 (Umbria): 346 160 Monte San Pancrazio - coordinate: 2.323.690 - 4.702.160 dislivello: -78 m - sviluppo planimetrico: 120 m

KM

Itinerario trova 12 m piĂš in alto del punto piĂš basso. Dal bordo basso il dislivello massimo del pozzo è di 46 m. La discesa viene solitamente effettuata dal punto piĂš alto, piĂš sicuro e panoramico, fissando la corda su un albero che si sporge nel pozzo e permette una bella calata di 41 m interamente nel vuoto, con atterraggio sul conoide detritico in posizione centrale. Il pozzo sembra impostato su una serie di fratture orientate N30°E e inclinate di 50-70° verso SE; una di queste sembra essere una faglia, con il labbro NW sfarinato, la cui erosione ha determinato la posizione del punto piĂš basso lungo il bordo a valle. La roccia appare quasi ovunque frantumata (conferendo al pozzo un aspetto poco rassicurante) e solo nella parte superiore si riconosce la stratificazione, immergente di 30-40° verso 310°. Le pareti strapiombano su tre lati e la base ha una forma ellittica di 40x50 m che, rispetto all’imbocco, si amplia soprattutto verso NW seguendo l’inclinazione degli strati. Il fondo è un grande conoide di massi e detrito che scende da quota -19 a SE a -46 a NW, coperto da una fitta bassa vegetazione. Il concrezionamento è del tutto assente. L’attivitĂ idrica è limitata allo stillicidio che si attiva solo dopo le piogge. Nel pozzo nidificano molti uccelli, il cui guano nerastro copre alcuni settori delle pareti.

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Stato dell’ambiente Grotta di Pizzo Corvo: il pozzo visto dal basso (foto M. Mecchia)

Grotta di Pizzo Corvo

Il pozzo è noto “da sempreâ€?. Nonostante la notorietĂ del luogo, la frequentazione speleologica è abbastanza limitata. Lo stato dell’ambiente appare sufficientemente preservato; sul fondo del pozzo si trovano solo pochi rifiuti sulla verticale del bordo basso.

Note tecniche Si Ă ncora la corda (50 m) ad un albero che sporge dal punto piĂš alto lungo il bordo del pozzo; da qui la verticale di discesa misura 41 m.

Dati catastali

Storia delle esplorazioni

82 U - comune: Narni (TR) - localitĂ : Casa Colombaia presso Villa Eroli - quota: 225 m carta IGM 1:25000: 138 IV SO Narni - coordinate: 0°06’01â€? (12°33’09â€?4) - 42°30’36â€? carta CTR 1:10000 (Umbria): 346 070 Narni - coordinate: 2.318.925 - 4.709.390 dislivello: -46 m

Il nome ha origine dal termine “corboâ€? o “canestroâ€? (SEGRE, 1948a). E’ stata descritta, ma non discesa, da TERRENZI (1889). La prima esplorazione completa è forse opera del CSR tra il 1948 e il 1950: infatti SEGRE (1948a) non ne indica la profonditĂ , mentre Lippi Boncambi nel 1950 la inserisce nel catasto; LEMMI & COLETTI (1961) ne indicano la profonditĂ e il fatto che “è citato col n. 59 nel catasto del CSRâ€?.

Itinerario Da Narni si prende la strada verso Terni. Passati sotto uno stretto arco romano, si prosegue per 1,4 km fino ad un bivio, dove si svolta a destra in una strada in salita (indicazioni per Santa Lucia, Santuario Sacro Speco, Sant’Urbano). Dopo 1 km ad un bivio si prosegue a sinistra per la strada principale, che si lascia dopo 1 km per prendere una stretta stradina che scende a sinistra, evitando di imboccare la “strada della Colombaiaâ€?, che inizia subito prima. Si percorre la stradina per 500 m fino ad un incrocio, dove si svolta a sinistra raggiungendo dopo 200 m un nuovo bivio. Si imbocca una strada a destra, in forte discesa, e dopo 200 m, in corrispondenza di un tornante, si imbocca un’altra sterrata a destra in leggera salita. Dopo 400 m, ad una curva a 90° davanti ad una casa, si lascia la macchina. Si prosegue a piedi sulla stradina che sale a destra della casa, interrotta dopo pochi metri da una sbarra, quindi ad un incrocio si imbocca un’altra stradina sterrata a sinistra; dopo circa 60 m, si gira a destra seguendo il tornante e dopo altri 20 m la si lascia per addentrarsi nel bosco a sinistra. Si segue una traccia di sentiero verso sinistra e dopo una cinquantina di metri si arriva al grande pozzo, nel punto piĂš basso del bordo, circondato da filo spinato, nel bosco (5 minuti di cammino).

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Descrizione L’imbocco è un pozzetto profondo 6 m, con una sezione irregolare ampia fino a 5 m. Il lato a monte è costituito da una paretina, mentre quello a valle è occupato da massi franati. Il pozzo è impostato all’incrocio fra due fratture: quella che forma la parete (NW-SE) e una quasi ortogonale, lungo la quale è impostata la prima parte della grotta. Quest’ultima frattura si nota anche all’esterno poichĂŠ taglia la parete con un ripidissimo canalone. Alla base del pozzo, sul lato della parete, una fessura sul pavimento (lunga 3 m, larga 0,6 m) immette direttamente nel salto successivo, profondo 9 m. Si prosegue in una galleria inclinata, impostata sulla frattura orientata NE-SW, lunga una quindicina di metri, perfettamente rettilinea. La galleria è larga 1,30 m ed è alta 8 m in corrispondenza del salto, poi il soffitto si mantiene pressochĂŠ orizzontale. In fondo (punto 4), la galleria termina con un pozzo profondo 10 m, con l’imbocco costituito da uno stretto buco (1,5x0,6 m). Due metri sotto l’orlo del pozzo la sezione si stringe ulteriormente in una scomoda strettoia. Dalla base fino al fondo la grotta è interamente impostata sulla frattura orientata NW-SE. Si avanza nella stretta fessura che scende per una quindicina di metri fino ad un abbassamento del soffitto (punto 8), oltre il quale la grotta si allarga in una saletta (5x4 m). Sulla destra della saletta, attraverso una strettoia, si può accedere ad un pozzo profondo 12 m e chiuso alla base (punto 13). In fondo alla saletta (punto 16) una strettoia verticale immette in una successione di salti (5, 8 e 20 m) separati da strettoie molto selettive. Il fondo (-78) è costituito da una fessura larga circa 60 cm e lunga una quindicina di metri. La grotta è inattiva e asciutta. In estate si è notata una debolissima corrente in uscita.

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Descrizione Si tratta di una cosiddetta “dolina di crolloâ€? con imbocco a forma quasi circolare di 25-30 m di diametro. Aprendosi sul versante inclinato, il punto di quota piĂš elevata lungo il bordo (situato a SW) si

Dalla SS 313, al bivio per Lugnola, si prosegue in direzione di Vasciano. Poco prima di entrare nel paese si prende la strada sterrata che passa a fianco del castello diroccato. Si lascia la macchina nei pressi della sbarra, 400 m piÚ avanti (q. 530 circa). Si prende il sentiero che parte poco prima della sbarra e che risale il versante, poco visibile e a tratti interrotto. Intorno a quota 640 (circa 20 minuti a piedi) si lascia il sentiero, per salire il versante seguendo la massima pendenza. Il reperimento della grotta risulta particolarmente arduo, anche a causa della vegetazione. Il pozzo si trova su un ripiano alla base di una paretina tagliata per tutta la sua altezza da un’evidente frattura (q. 740 circa, 40 minuti di cammino).

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La grotta, scoperta nel 1973, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite speleologiche, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Ciò è anche imputabile alla difficoltĂ di individuazione dell’ingresso. La grotta è integra.

Note tecniche P6+P9 (corda 20 m), P10 (corda 15 m), serie finale di pozzi (P5+8+20) particolarmente stretta (difficile l’utilizzo dell’attrezzatura di risalita su corda), fondo (-78).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1973 dal GGP (B. Moschowitz, B. Mattioli, L. Croccolino, P.L. Salustri).

Bibliografia CATASTO SPELEOLOGICO DELL’UMBRIA, 1994; LEMMI, 1965.

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Pozzo di Miesole Dati catastali altro nome: Pozzo di Mezzo 350 La - comune: Configni (RI) - localitĂ Fosso Collinette - quota: 695 m carta IGM 1:25000: 138 III NE Stroncone - coordinate: 0°10’17â€?9 (12°37’26â€?3) - 42°25’49â€?9 carta CTR 1:10000: 346 160 Configni - coordinate: 2.324.540 - 4.700.410 dislivello: -51 m - sviluppo planimetrico: 63 m

Itinerario In prossimitĂ dell’ingresso principale del paese di Configni (300 m prima della piazza) si prende una strada asfaltata a destra in salita. Dopo 100 m la strada diventa sterrata: ad un bivio si prosegue a destra. Dopo 2,2 km si lascia la macchina ad una curva in corrispondenza di un canalone (fosso Collinette). L’ingresso della grotta è ubicato esattamente lungo il canalone, 40 metri piĂš in basso. E’ conveniente non scendere direttamente il ripido canalone. Il pozzo si apre nel bosco ed è recintato (5 minuti di cammino).

Descrizione La grotta si apre con un grande pozzo, la cui sezione orizzontale è lunga oltre 15 m e larga la metĂ . Il pozzo, profondo 42 m fino alla sommitĂ del cono detritico posto alla sua base, è impostato su una faglia orientata N20°W e immergente 80°SW. Scendendo, l’imbuto si stringe assumendo una sezione quasi circolare ampia 5-7 m. A 20 m di profonditĂ , e fino a 5 m dal fondo del pozzo, un diaframma di roccia dello spessore di 1,5 m divide in due parti il salto. Il foro a Sud è il piĂš ampio, con un diametro di 2,5-3 m, mentre quello Nord è largo circa 1,5 m. A 5 m dalla fine della discesa il pozzo sbuca in una grande sala; si atterra in cima ad un bel cono detritico, alto 5-8 m e largo 15-20 m, che presso il bordo Ovest della sala poggia su un pavimento pianeggiante. La sala è bella e grande (60x40 m, altezza di una quindicina di metri). La base è pianeggiante e coperta da un piccolo spessore di fango, spesso “bucatoâ€? dallo stillicidio che mette a nudo un pavimento detritico sottostante; alcuni blocchi crollati dalla volta sono immersi nel pavimento. Il lato

Stato dell’ambiente

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Est è impostato su un disturbo tettonico parallelo a quello che ha originato il pozzo; una fessura può essere risalita per alcuni metri fino ad una strettoia che immette in un salto discendente che riporta alla stessa quota del salone. Sul lato Nord parte delle acque di stillicidio vengono raccolte in un solco che si inoltra sotto la parete (punto 6, -51). Sul lato Ovest spicca la giacitura degli strati calcarei immergenti 45-50° verso NE; un piccolo foro sul pavimento (sezione 1,5x0,4 m) scende per 2-3 m. Il lato Sud è costituito da un ammasso di frana formato da detrito e blocchi, che si risale per una decina di metri, con belle concrezioni presso la parete. L’attività idrica sembra limitata allo stillicidio. Non si avverte alcuna corrente d’aria.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1954, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. La grotta è integra.

Note tecniche Pozzo unico di 42 m (corda 70 m), con lungo corrimano si arriva ad un albero che si sporge all’interno del pozzo; dal diaframma di roccia situato 20 m più in basso si entra nel foro più ampio.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 30 maggio 1954 dal CSR (M. Astorri, E. Callori, G. Pighetti, B. Rossi, M. Salvucci, E. Spicaglia, F. Zanera). In tempi più recenti il Gruppo Speleologico Stroncone ha effettuato la risalita della fessura nella sala.

Bibliografia CALLORI, 1954; DOLCI 1967.

sommità, scavalcato l’imbocco del pozzo, sulla stessa frattura, uno stretto cunicolo chiude dopo pochi metri. Durante l’estate, dal pozzo sale una forte corrente d’aria. A sinistra dell’orlo del pozzo, risalendo di 1,5 m si accede ad un piccolo reticolo di gallerie di origine tettonica che si intersecano ad angolo retto seguendo le direzioni N-S ed E-W, riscontrate anche in faglie visibili all’esterno. Fatti pochi metri si arriva in un ambiente formato dall’intersezione di due gallerie (punto 4), nel quale numerose radici pendono dalla volta. La fessura appena percorsa, venendo dal pozzo, prosegue oltre l’incrocio per 10 m con un basso cunicolo che ne incrocia a sua volta un altro perpendicolare, chiuso in fessura. Dal punto 4, il ramo ortogonale al precedente, cioè il principale, prosegue con direzione E-W sia a destra che a sinistra dell’incrocio; il tratto di sinistra chiude dopo 5 m, mentre quello di destra prosegue con una galleria lunga oltre 30 m, dalla caratteristica sezione triangolare, larga circa 1 m (ma in un punto stringe fino a 30 cm) con le pareti e il fondo coperti da bianchi crostoni stalattitici e vaschette; abbondano le concrezioni e sottili stalattiti in formazione. A metà della galleria (punto 5) uno sprofondamento laterale immette nuovamente nel pozzo. Poco più avanti confluisce nel condotto principale una fessura laterale lunga circa 4 m fino ad uno sbarramento di concrezioni. Un’altra cortina di concrezioni alla fine della galleria principale (punto 7) può essere superata strisciando in una strettoia (allargata artificialmente); al di là si incontra ancora un tratto di galleria con caratteristiche simili al precedente, che sprofonda in un pozzetto a fessura di 8 metri; dopo il pozzetto la frattura prosegue in un passaggio ostruito da numerose belle colonne stalattitiche. Ad eccezione che in quest’ultimo ambiente, gli stillicidi sono scarsissimi.

Stato dell’ambiente

Grotta Cherubini Dati catastali 329 La - comune: Vacone (RI) - località: Colle Castagneto - quota: 630 m carta IGM 1:25000: 138 III SE Montebuono - coordinate: 0°10’46”3 (12°37’54”7) - 42°23’40”8 carta CTR 1:10000: 356 040 Montebuono - coordinate: 2.325.060 4.696.425 dislivello: -40 m - sviluppo planimetrico: 100 m

Itinerario Da Vacone si prende la strada per il cimitero, che diventa presto sterrata. Dopo 700 m ad un trivio si prosegue a destra per altri 1,5 km finché, superato un fosso appena accennato, si incontra sulla destra un cancello mentre sulla sinistra si vede un albero di leccio con incisa una croce alta un metro. Si segue la strada per altri 60 m, poi si lascia la macchina. Si risale il pendio sulla destra della strada in direzione 60° per 110 m, per 45 m di dislivello (meno di 10 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso, alto 60 cm e largo 1 m, si apre in una piccola dolina di crollo alla base di una paretina calcarea alta 4 m. Un secondo ingresso, di dimensioni ancora più ridotte, si apre 1 m più a destra; il pertugio immette in un cunicolo che è stato percorso per una ventina di metri, progressivamente sempre più stretto fino ad una fessura impraticabile. Disceso un gradino alto 1 m, uno scivolo lungo 8 m, coperto di terra e foglie, conduce ad una frattura chiaramente tettonica orientata E-W, con sezione che all’imbocco si allunga per una decina di metri verso Est (allineamento punti 2-3) mentre la larghezza è di 1-1,5 m. Verso il basso la fessura tende a stringere, diventando infine impraticabile (è stata discesa per oltre 35 m senza toccare un vero fondo). Il pozzo-fessura è interrotto a metà da un terrazzino formato da materiale detritico. Alla

A partire dal 1948, anno della prima esplorazione speleologica, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Le disostruzioni che hanno permesso l’esplorazione del ramo sinistro, costituiscono l’unico segno evidente di alterazione dell’ambiente.

Note tecniche Il P35 interno stringe progressivamente fino a diventare impercorribile (corda 50 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 26 luglio 1948 dal CSR (C. Ranieri, G. Pighetti e L. Sorrentino). Nel 1993 il GGP (Emanuela Bisonni e G. Granati) ha allargato la strettoia che chiudeva il ramo sinistro, proseguendo nella galleria.

Bibliografia CAMPONESCHI, 1962; CHIOCCHINI ET ALII, 1975; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1948; DOLCI, 1967; SEGRE, 1948A.

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intersecano formando un reticolo labirintico, con andamento per lo piĂš “a scivoloâ€?, lungo la massima pendenza delle superfici di discontinuitĂ . Trovare la strada giusta in questo labirinto non è facile e richiede molto tempo, se non si è accompagnati da una “guidaâ€?.

Buco del Pretaro Dati catastali altro nome: Buco della Speranza 967 La - comune: Montebuono (RI) - localitĂ : Ponte del Pretaro - quota: 322 m carta IGM 1:25000: 138 III SE Montebuono - coordinate: 0°08’08â€? (12°35’16â€?4) - 42°22’29â€? carta CTR 1:10000: 356 040 Montebuono - coordinate: 2.321.360 4.694.285 dislivello: +6/-41 m - sviluppo planimetrico 530 m

Itinerario Da Montebuono si prende la S.P. per Magliano Sabina fino al Ponte del Pretaro (1,3 km). Appena superato il ponte si vede sulla destra della strada l’ingresso, un foro alla base della parete chiuso da un cancello. L’accesso è regolamentato dal Comune; consigliabile la visita “guidataâ€?, con l’accompagnamento del Gruppo Speleologico Utec Narni, anche per l’andamento labirintico della grotta.

Descrizione Alla base della parete verticale si trova l’ingresso, allargato artificialmente, costituito da un foro di sezione circolare di 70 cm di diametro. Ci si infila nel pertugio calandosi in una saletta; si prosegue la discesa nella condotta forzata superando un primo passaggio basso (40 cm) con soffitto tondeggiante e base detritico-terrosa pianeggiante, poi la condotta scende ripidamente, con allargamenti e abbassamenti della volta. Dopo 6 m il cunicolo si biforca (punto 3): a destra una stretta fessura in discesa porta al ramo “Agiliâ€? (descritto piĂš avanti), mentre a sinistra si prosegue per la “Via Vecchiaâ€?. Ancora 2-3 m di discesa e l’ambiente di allarga (punto 4) e lungo un 120 giunto di strato inclinato si sviluppa una serie di cunicoli: quelli in alto lungo il piano (“Labirinto di Patrocloâ€?), cioè a destra, portano verso l’ingresso del ramo “del Guerrieroâ€? e verso il punto piĂš alto della grotta (quota +6), mentre tenendosi in basso presso la parete di sinistra si prosegue per la “Via Vecchiaâ€?. Tutta la grotta è costituita da una fitta rete di condotti con sezioni circolari o ellittiche allungate lungo piani di discontinuitĂ . Le condotte sono impostate in sistemi di fratture immergenti verso 50°-70° con inclinazione di 40°-65° (sistema prevalente nella “Via Vecchiaâ€?) e immergenti di 60° verso 330°-340° (nel ramo “del Guerrieroâ€?), e lungo gli strati, inclinati di 30-65° verso 210-250°. Si tratta spesso di condotte forzate di dimensioni limitate (in genere con diametro inferiore al metro). Le condotte si

“VIA VECCHIAâ€? Una quindicina di metri piĂš avanti del punto 4, si aggira e si scende un pozzetto scivolando sul piano inclinato dello strato: il pozzetto “BarbablĂšâ€? ampio 1x2 m e profondo 4 m, arrampicabile. Alla base si prosegue nella spaccatura e, tenendosi in alto presso la volta, si raggiunge dopo pochi metri una condotta pianeggiante. Subito si aprono alcuni tubi ellittici a scivolo (“1° Tobogaâ€?, punto 16), impostati sulla frattura inclinata di 50° verso 60° e profondi 9 m: uno misura 40x60 cm ed è una bella ed inusuale discesa per gravitĂ , un secondo è piĂš ampio (20x120 cm) e può essere sceso piĂš comodamente, con l’aiuto della corda fissa. Alla base del 1° Toboga si entra in una condotta forzata (diametro 70 cm) a sinistra (Nord) che immette immediatamente nel “2° Tobogaâ€?, simile al primo, profondo 5 m, con una corda che facilita la discesa (e soprattutto la salita, data la presenza di fango). Alla base bisogna scoprire, con l’indispensabile buona sorte, il passaggio giusto in un intricato sistema di condotte ricche di concrezioni coralloidi, evitando un ripido scivolo (profondo 11 m, porta al ramo “del Cervoâ€?), e dopo una decina di metri si raggiunge un incrocio individuabile dalla scritta “22â€? sulla parete (punto 25 del nostro rilievo). In questo tratto si notano sulle pareti le scritte in carboncino: “uscitaâ€? e “plus ultraâ€?, scritte al contrario e risalenti ad una epoca sconosciuta (cioè sono state trovate giĂ dai “primiâ€? esploratori della grotta); la scritta “uscitaâ€? non è diretta verso l’ingresso attuale (che, d’altra parte, era impercorribile ed è stato aperto artificialmente), e dimostra l’antica esistenza di un altro ingresso, tuttora ignoto. Si prosegue in una spaccatura orientata a NW, che dopo pochi metri diventa piĂš ampia (larga 1,5 m, alta anche 3 m), impostata lungo lo strato inclinato. Dopo meno di 10 m si nota una fessura verticale a destra (che in breve chiude), poi si raggiunge una particolare forma di erosione nella roccia (“l’ondaâ€?), si risale e dopo una decina di metri si sbuca in una saletta alta 2 m, ampia 2x10 m (punto 29), a quota -34. All’estremitĂ SW (a sinistra entrando nella saletta dal cunicolo) parte un altro cunicolo che dopo 3-4 m sale in un camino alto 8 m, che inizia con una stretta fessura (30 cm) a forte inclinazione, poi la sezione diviene tondeggiante (diametro 50 cm) e verticalmente si sbuca in una sala. La sala “UTECâ€? (punti 32-33) è l’ambiente piĂš grande della grotta, ampia 5x10 m e alta 4-5 m. La volta è costituita da numerose cupole (che caratterizzano molte parti della grotta), le pareti sono “poroseâ€? (interamente alterate, come ovunque nella grotta) e si trovano piccole

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Buco del Pretaro: il P9, 1° Toboga (foto A. Cerquetti)

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Buco del Pretaro: il P11, 2° Toboga (foto C. Germani)


croste bianche di gesso; il pavimento è fangoso e in leggera discesa. Per raggiungere il punto più lontano dall’ingresso (il “fondo”, -41), si sale nel punto più alto della sala, per percorrere poi un breve cunicolo fino all’ampio scivolo finale, dove si cammina su una superficie di strato.

RAMO “DEL GUERRIERO” Per entrare nel ramo del Guerriero, dal punto 4 si sale nella condotta tenendosi presso la parete di destra fino a raggiungere un passaggio basso: alla base della paretina (punto 8) si apre uno stretto cunicolo terroso in forte discesa (alto 40 cm e largo 60 cm), che dopo 5-6 m termina in una condotta quasi orizzontale (diametro 50 cm) che immette in un secondo tratto ripido fino alla sala “del Guerriero” (punto 41), larga 2 m e alta poco di più, con cupole sulla volta e concrezioni coralloidi. Sulla destra inizia un piccolo cunicolo orizzontale (ramo “Agili”) che riporta al punto 3, vicino all’ingresso della grotta. A sinistra, invece, si scende in un reticolo di condotte quasi verticali, scegliendo la più grande (diametro inferiore al metro), superando un dislivello di 8 m fino ad uno slargo (punto 43). Se, invece di proseguire la discesa, si prende la diramazione in salita lungo gli strati, dopo 4-5 m si raggiunge la saletta dell’”Arpa Celtica” (così chiamata per una caratteristica concrezione a velo), ampia 2 m e alta 1,7 m, con belle concrezioni calcitiche bianche, cupole sulla volta e pavimento piatto. Ritornati al punto 43, si riprende con la discesa di un tratto verticale, il pozzo “Fabau”, armato con corda e scale ma arrampicabile, profondo 5 m. Si prosegue la discesa della condotta incontrando un livello argilloso scuro; da qui in avanti la grotta è fangosissima. A sinistra della condotta parte una breve diramazione (“Black Out”); il cunicolo principale è attraversato da una forte corrente d’aria. Si scende ancora qualche metro nella frattura inclinata di 65° verso 340° arrivando sopra un salto profondo 12 m (pozzo “D’Avolha”, punto 46), da scendere con la corda; alla base (che rappresenta il punto probabilmente più profondo della grotta, circa -40, ma manca un breve tratto di rilievo) la fessura è impercorribile. Invece di scendere il pozzo D’Avolha, lo si può scavalcare alla sommità, verso destra, entrando con una piccola condotta nella “regione Himalayana”. Si salgono 8 m (corda, ma arrampicabile) lungo lo strato a forte inclinazione (50-60°) fino ad una saletta fangosissima (punto 48). Da qui è possibile continuare la salita (corda) per una quindicina di metri fino al “Trivio” (punto 50, quota -6), dove si incrocia una fessura percorribile in orizzontale per una ventina di metri verso destra (NW) e per una decina di metri verso sinistra fino al pozzo “a Sabbia”. Dalla saletta del punto 48 si può anche scendere attraverso due condotte che si ricollegano più in basso, impostate sulla frattura inclinata di 60° verso 330°, raggiungendo un tratto verticale, profondo circa 20 m, al di sotto del quale la fessura diviene impercorribile. RAMO AGILI Inizia dal punto 3 con una stretta fessura verticale profonda 3 m, poi una breve piccola condotta porta ad una strettoia orizzontale (“la Grande Fuga”), subito seguita da una seconda strettoia orizzontale nella quale si striscia su terriccio, per riemergere dopo alcuni metri in una condotta e infine raggiungere la sala “del Guerriero” (punto 41). IDROLOGIA E CORRENTI D’ARIA Nella grotta lo stillicidio è molto scarso e non sono noti scorrimenti d’acqua nemmeno nei periodi piovosi. In una visita effettuata a fine maggio si avvertiva una modesta corrente d’aria in uscita dall’ingresso, corrente sensibile anche all’interno e diretta verso l’ingresso noto, sia nella “Via Vecchia” che nel ramo “del Guerriero”. All’ingresso la corrente d’aria dovrebbe soffiare verso l’esterno in estate e verso l’interno in inverno (NINI, 1988).

Stato dell’ambiente L’imbocco attuale è stato aperto durante i lavori di scavo per la realizzazione della sede stradale. Nei primi anni ’80 gli speleologi disostruirono l’ingresso fino a permettere il passaggio. A partire da quell’anno la grotta è stata molto frequentata con un numero complessivo di visite stimabile in oltre un migliaio. Alcuni modesti interventi di disostruzione hanno portato all’esplorazione del ramo “del Guerriero”. Nella grotta sono state rinvenute tracce di una frequentazione antecedente il XX secolo (evidentemente attraverso un altro ingresso) e anche frammenti di copertoni nella zona più interna. Grazie alla presenza del cancello fin dall’inizio dell’attività esplorativa, la cui apertura necessita di autorizzazione, la grotta è oggetto di un flusso di visite numeroso ma controllato che ha consentito nel tempo di preservare quasi integralmente lo stato dell’ambiente.

Note tecniche “VIA VECCHIA”: Si può percorrere senza attrezzature. Si incontrano tre pozzetti: P4 (“Barbablu”), P9 (“1° Toboga”), P5 (“2° Toboga”) attrezzati con corda fissa ma arrampicabili. Per entrare nel ramo “del Cervo”, però, si deve scendere un P10.

RAMO “DEL GUERRIERO”: Diaclasi in discesa di 8 m, P5 (armato ma arrampicabile), P12 (corda 15 m) con fessura impercorribile alla base. “REGIONE HIMALAYANA”: Sopra il P12 si entra nella “Regione Himalayana”: Risalita 8 (arrampicabile ma attrezzata con corda fissa), Risalita 15 fino al “Trivio” (due corde, da 15 e 20 m).

Storia delle esplorazioni Nel 1944, durante il passaggio degli alleati, fu aperta una strada che aggirava il Ponte del Pretaro, distrutto dai bombardamenti. In quell’occasione fu scoperto un piccolo foro nella roccia, presto ricoperto dalla vegetazione spontanea. Nel luglio 1983 un abitante dei dintorni, ricordandosi del buco, tornava a visitarlo e ne dava notizia al GS UTEC Narni che, dopo aver superato alcuni problemi burocratici (il sindaco aveva chiuso nel frattempo l’ingresso), il 30 agosto iniziava le esplorazioni, proseguite poi per alcuni anni. Probabilmente l’intero complesso ha o aveva un altro ingresso da dove, ai primi del XIX secolo, entrarono dei pionieri della speleologia o dei briganti (il “Pretaro” era appunto un famoso brigante della zona dei primi anni dell’800) che lasciarono delle scritte con il nerofumo delle loro candele. Sotto il Pozzetto Barbablù furono trovate 4 monete pontificie (Baiocchi) datate dal 1801 al 1816 e alcune antiche scritte (NINI, 1988), e in una delle gallerie terminali è stato trovato un frammento di pneumatico. Nella primavera del 1995 sono state riprese le esplorazioni da parte del GS UTEC, in particolare ad opera di G. Guerriero Monaldi, ed è stato esplorato il Ramo del Guerriero. Attualmente (2003) sono in corso nuove esplorazioni.

Bibliografia GRUPPO SPELEOLOGICO UTEC NARNI, 1985; MECCHIA G, 1997; MONTINI E TROMBETTI, 1987; NINI, 1988; RUSCONI, 1990.

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Aree protette di riferimento: SIC IT6020017 “Monte Tancia e Monte Pizzuto�; ZPS IT6020017 “Monte Tancia e Monte Pizzuto�

I MONTI SABINI SETTENTRIONALI

Stato dell’ambiente La grotta, pur se esplorata fin dal 1960, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. I rifiuti presenti sul fondo del pozzo sono il segno dell’utilizzo improprio della voragine avvenuto fino a qualche decennio fa; il fetore che emanava dall’imbocco a causa delle carogne di animali in decomposizione ha determinato, infatti, il nome della grotta.

Itinerario Da Rieti si prende la strada per Contigliano; dopo circa 7,5 Km ad un bivio si svolta a sinistra per Monte San Giovanni in Sabina. Dopo 400 m ad un nuovo bivio si prende a destra per San Filippo. Dopo 2,7 Km, poco prima di entrare nel paese di San Filippo, si imbocca una strada a destra che sale (subito si nota un grande fontanile). La si percorre per 400 m, fino ad un bivio; qui si svolta a sinistra e ci si ferma dopo 400 m (in questo ultimo tratto la strada diventa sterrata) nei pressi di una stradina che scende a sinistra (percorribile anche con l’auto, ma in cattive condizioni). Si segue la stradina per 130 m fino ad un ripido sentiero che scende sulla sinistra: lo si percorre per 40 m fino a raggiungere i due ingressi della grotta (5 minuti di cammino).

Note tecniche Discesa della spaccatura dall’estremità orientale dell’ingresso minore (punto 1): P35 (corda 60 m, attenzione! scarica sassi).

Storia delle esplorazioni Localizzata da R. Riccardi e G. Venanzi nel 1927. La prima discesa nota è stata eseguita il 14 maggio 1960 dallo SCR (B. Camponeschi, S. Mainella, G. Pasquini, Ferro).

Descrizione

Bibliografia

Due spaccature si aprono nel fianco della montagna, la maggiore orientata E-W (punti 3-5), lunga 24 m e larga fra 50 e 150 cm, la minore (punti 1-2) orientata circa N40°W, lunga 12 m, larga come l’altra ma posta piĂš in basso di 2-4 m. Le due spaccature sono distanti fra loro 5 m, separate da un ponte di roccia, ma gli ambienti ipogei sono comunicanti. La grotta è costituita interamente da questa spaccatura tettonica quasi verticale, che taglia strati sottili di calcari con lenti selcifere, orientati N60-65°E e debolmente immergenti a nord (10-20°). Entrando dall’estremitĂ orientale della spaccatura minore (punto 1) si scende uno scivolo molto franoso profondo 12 m, fino alla verticale di un salto di 22 m. La fessura, dall’andamento in pianta sinuoso, ha quasi ovunque una larghezza di circa 60 cm. Anche la base del pozzo ha una larghezza che non raggiunge il metro; qui la fessura si allunga per circa 30 m, con il fondo coperto di detrito, massi e ossa di animali, non pianeggiante ma articolato in un saliscendi, con il punto percorribile di quota piĂš profonda (punto 16) situato 42 m sotto l’orlo piĂš basso. All’estremitĂ orientale (punto 14) la spaccatura si apre in un approfondimento, appena troppo stretto per essere disceso, la cui profondità è stimata in 10-15 m per una lunghezza di una dozzina di metri. In estate una sensibile corrente d’aria si inoltra verso il basso nella fessura. Entrando dall’ingresso maggiore presso la sua estremitĂ occidentale (punto 5) si scende un pozzo indipendente profondo 55 m. Dalla sua estremitĂ orientale (punto 3), invece, si scende per 18 m nell’altro ramo fino ad un terrazzo detritico (fra i punti 7 e 9). Da qui si può scendere ad est, ricollegandosi al tratto descritto in precedenza, oppure ad ovest, con una serie di saltini (10, 4, 8 e 5 m) che portano comunque al fondo dello stesso ramo (punto 16). L’attivitĂ idrica della spaccatura appare limitata a uno scarso stillicidio.

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 144 Palombara Sabina 1 = Voragine le Puzzole 2 = Revotano 3 = Grotta Scura coordinate riquadro: angolo NW = 0°12’ - 42°25’ angolo SE = 0°25’ - 42°13’30â€?

Dati catastali 68 La - comune: Roccantica (RI) - localitĂ : 1 km a NW di Monte Cesa quota: 505 m carta IGM 1:25000: 144 IV NE Poggio Mirteto - coordinate: 0°14’36â€? (12°41’44â€?4) - 42°18’36â€? carta CTR 1:10000: 357 050 Roccantica - coordinate: 2.330.010 4.686.900 dislivello: -85 m - diametro maggiore: 320 m - diametro minore: 250 m Aree protette di riferimento: SIC IT6020017 “Monte Tancia e Monte Pizzutoâ€?; ZPS IT6020017 “Monte Tancia e Monte Pizzutoâ€?

Itinerario Dalla piazza di Roccantica, dal cui belvedere è possibile vedere il bordo del Revotano, 100 m piĂš in alto sulla montagna di fronte, si esce dal paese e si prosegue a piedi lungo la strada per l’Eremo di S. Leonardo per 200 m, superando l’ultima casa del paese. Subito dopo, sulla destra, si imbocca un sentiero che scende al Fosso di Fonte Regna e che prosegue raggiungendo in breve il Fosso di Galatina, piĂš grande del precedente e attivo d’inverno (q. 380 circa, 15 minuti di cammino). Attraversato il fosso si prosegue lungo il sentiero che sale sul versante opposto. Dopo 5 minuti 3

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66 La - comune: Contigliano (RI) - localitĂ : sopra le pareti del versante sud di Monte Romano - quota: 670 m carta IGM 1:25000: 138 II SO Contigliano - coordinate: 0°18’15â€?5 (12°45’23â€?,9)- 42°22’46â€?5 carta CTR 1:10000: 357 020 Poggio Fidoni - coordinate: 2.335.310 - 4.694.415 dislivello: -53 m - sviluppo planimetrico: 50 m

Il Revòtano

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Dati catastali

CHIOCCHINI ET AII, 1975; DOLCI 1966; PASQUINI, 1960b; RICCARDI R., 1927; SEGRE 1948a.

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il Revòtano: la dolina vista dalla strada (foto M. Mecchia)

%LABORAZIONE SU BASE CARTOGRAFICA LEGENDA A PAG #ARTA 'EOLOGICA D )TALIA &OGLIO 0ALOMBARA 3ABINA

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KM

di cammino si lascia il sentiero principale per prendere una traccia a sinistra che sale ripida lungo il versante. Da qui si continua a salire per tracce di sentiero poco battute, nella fitta vegetazione, percorrendo una dorsale fino a quota 500 m circa. Spostandosi poi a destra lungo tracce di sentiero si arriva all’orlo della dolina. Se si è fortunati, si raggiunge il punto piĂš basso dell’orlo, in corrispondenza di un cerchio di pietre (45 minuti di cammino). E’ difficile rendersi conto di essere sul bordo della dolina, in quanto la vegetazione impedisce di vedere la cavitĂ . Un sentiero parte da questo punto scendendo verso l’interno. Poco piĂš sotto si intravedono le alte pareti interne della dolina.

il Revòtano: il fondo della dolina (foto M. Mecchia)

Descrizione Si tratta di una grande dolina con traccia del bordo quasi circolare del diametro di circa 250 m; la profondità è di 85 m dal punto piĂš basso dell’orlo, posto all’estremitĂ settentrionale della dolina (punto D). Da questo punto si scende nella dolina tramite un sentiero che taglia il pendio compiendo un semi-giro fino a raggiungere un grande accumulo di frana. Qui la vegetazione è piĂš diradata e si può osservare meglio l’aspetto della cavitĂ : la parte alta è quasi ovunque caratterizzata da pareti verticali alla base delle quali dei ripidi conoidi detritici scendono ad imbuto fino al fondo. In particolare è possibile ammirare la grande parete verticale sul versante ovest, alta una cinquantina di metri. Si scende infine tra i massi coperti di muschio fino a raggiungere il fondo della dolina (punto B), interamente occupato da blocchi di grandi dimensioni tra i quali è cresciuto un rado bosco. L’acqua non ristagna nella dolina nemmeno dopo forti piogge. La temperatura al fondo della dolina sembra essere molto piĂš bassa rispetto a quella dell’esterno.

Grotta Scura: la galleria presso la risorgenza (foto G. Cappa)

Grotta Scura: l’antro di ingresso (foto G. Mecchia)


Stato dell’ambiente Sebbene sia presumibile una forte frequentazione del luogo nel passato, attualmente la cavità è situata in un bosco fitto e intricato che opera un’azione deterrente verso un facile escursionismo. All’interno della “dolina” non si riscontrano elementi di contrasto con lo stato naturale del sito.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Bibliografia CHIOCCHINI ET ALII, 1975; DOLCI, 1966; GUATTANI, 1828; KELLER, 1895; MAROCCO, 1883; PALMIERI, 1863; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1951a; SEGRE, 1956; SPERANDIO, 1790; TUCCIMEI, 1886; TUCCIMEI, 1887.

Grotta Scura Dati catastali 925 La - comune: al confine tra Castelnuovo di Farfa e Poggio Nativo (RI) - località: Cornazzano carta IGM 1:25000: 144 I SO Fara in Sabina carta CTR 1:10000: 357 140 Poggio Nativo INGHIOTTITOIO - quota: 275 m coordinate IGM: 0°18’07”9 (12°45’16”3) - 42°14’36”5 coordinate CTR: 2.334.700 - 4.679.010 RISORGENZA - quota: 255 m coordinate IGM: 0°18’05”7 (12°45’14”1)- 42°14’39”4 coordinate CTR: 2.334.650 - 4.679.100 TERZO INGRESSO - quota: 270 m coordinate IGM: 0°18’04”0 (12°45’12”4)- 42°14’39”4 coordinate CTR: 2.334.610 - 4.679.100 dislivello (dall’inghiottitoio): -20/+10 m - sviluppo planimetrico: 355 m Aree protette di riferimento: SIC IT6020018 “Fiume Farfa (corso medio-alto)”; ZPS IT6020018 “Fiume Farfa (corso medio-alto)”

Itinerario Da Castenuovo di Farfa si prende la S.P. Mirtense in direzione Poggio Nativo; appena usciti dal paese si svolta a sinistra in una stradina in forte discesa, prima asfaltata e poi bianca. Al primo bivio dopo 400 m si svolta a sinistra, quindi la strada costeggia la depressione denominata Cornazzano. Al successivo bivio, dopo 1 km, si svolta a destra, quindi si lascia la macchina presso un terzo bivio con una carrareccia in discesa. L’inghiottitoio si apre nel prato a destra della strada; un sentierino costeggia la grande dolina di ingresso e conduce ad un cancelletto chiuso ma aggirabile; con una scala in ferro si scende nell’antro di ingresso, sistemato artificialmente. Per raggiungere l’ingresso del ramo fossile (terzo ingresso) si percorre la carrareccia che parte dal bivio per 50 m e, superata una “tagliata”, si prende un sentiero a sinistra. Dopo circa 50 m si scende verso destra per pochi metri un ripido scivolo fra gli alberi, su tracce di sentiero (è utile una corda per aiutarsi), arrivando all’ingresso, un foro aperto artificialmente alla base di una paretina di 2 m (10 minuti di cammino). Per arrivare all’ingresso inferiore (secondo ingresso) si prosegue invece per la carrareccia per altri 100 m, poi la si abbandona e si segue un sentiero in leggera discesa a sinistra per 100-150 m, arrivando in breve all’ampio portale della risorgenza (15 minuti di cammino).

Descrizione Si tratta di una grotta di attraversamento che drena l’acqua della conca di Cornazzano, un bacino chiuso di 0,7 km2. La profonda incisione del solco torrentizio scende nell’antro di ingresso (la “Caverna delle Pisoliti”), di grandi dimensioni (larga 15 m e lunga una quarantina), la cui volta, alta circa 3 m, è solcata da un grande canale di volta e da alcune cupole di evorsione. Il pavimento, pianeggiante, mostra i segni di rimaneggiamento antropico. Si scende nell’antro tramite una scaletta in ferro fissata alla roccia. Al termine della sala, un pozzetto di 6 m (punto C) immette in una galleria a forra con andamento meandriforme larga mediamente 1-2 m, alta da 5 a 10 m, che prosegue con piccoli gradini e pozze d’acqua per circa 100 m in direzione ovest seguendo due sistemi di fratture ortogonali, orientate NE-SW e NW-SE. La galleria sbuca in un grande ambiente (sala “Sabina 88”, punto H), larga circa 5 m e lunga una ventina; qui la grotta ha un netto cambiamento di direzione e piega verso NE. Dal fondo dalla sala, un’ampia galleria lunga una ventina di metri (punti I-L), con il fondo coperto da argilla e massi di crollo, conduce ad un nuovo ambiente di crollo di 15 m di larghezza, occupato

da pozze e laghetti, con un canale di volta sul soffitto, che comunica con l’esterno tramite un grande portale, l’”Antro del Cavallo”, formatosi a causa dell’arretramento per erosione delle pareti esterne; il torrente che esce dalla grotta si getta nel torrente Farfa, 60 m più in basso. Dalla sala “Sabina 88” è anche possibile, tramite un passaggio laterale fra grandi massi di crollo (punto O), accedere alla sala “Francesco Orofino” del ramo fossile. Un terzo ingresso è stato aperto artificialmente; si tratta di uno stretto pertugio in discesa che immette in un cunicolo pianeggiante largo 1 m e alto circa mezzo metro, lungo una decina di metri, al termine del quale il passaggio è sbarrato da una porta in ferro posizionata dalla Sovrintendenza Archeologica. Al di là della porta si entra nella grande sala “Francesco Orofino” (23x13 m, altezza 5 m) con la volta molto concrezionata e con il pavimento reso pianeggiante da un riempimento di sedimenti argillosi di notevole spessore. In fondo al salone sono ben visibili le trincee scavate dagli archeologi. In alto a sinistra (punto N), salendo in arrampicata una fessura per una decina di metri, si entra nel ramo “del Tiramisù”, costituito da una galleria molto fangosa e ben concrezionata lunga circa 80 m, larga poco più di 1 m e alta fino a 5 m. Al termine della sala (punto O) si incontra invece l’inizio di una profonda forra: scendendo sul fondo con un salto di 7 m e superando uno stretto passaggio si torna alla sala “Sabina 88” del ramo inferiore; traversando invece in quota per una ventina di metri si entra nella sala “dell’Eccentrica”, del diametro di una decina di metri, chiusa da una grande frana. La grotta è attiva ed è percorsa da un torrente stagionale il cui livello, in caso di piogge intense, può raggiungere l’altezza di 3 m nel tratto a meandri (punti C-G). Negli ambienti più grandi e comunicanti con l’esterno come l’”Antro del Cavallo”, la “Caverna delle Pisoliti” e la sala “Francesco Orofino”, sono stati trovati numerosi reperti (selce, frammenti di osso e di ceramica) mescolati al sedimento che ricopre il fondo.

Stato dell’ambiente La presenza del torrente, che scompare nel grande antro della Grotta Scura, fa supporre una notorietà storica del sito cui si è sicuramente accompagnata, grazie alla morfologia pianeggiante del tratto iniziale della grotta, una certa frequentazione e l’utilizzo dell’ambiente. La grotta presenta numerosi segni di modifiche antropiche. La “Caverna delle Pisoliti”, utilizzata un tempo come fungaia, si presenta attualmente recintata e raggiungibile con scale in ferro. Vari ambienti sono stati interessati da scavi archeologici e l’accesso al ramo fossile è chiuso da una porta di ferro. Il torrente che percorre la grotta era un tempo fortemente inquinato da scarichi industriali; attualmente l’inquinamento causato dalle fognature delle abitazioni circostanti e la presenza, nel meandro attivo, di rifiuti di grandi dimensioni trascinati dall’acqua, costituiscono un rilevante elemento di alterazione dello stato ambientale.

Note tecniche Per effettuare la traversata è necessaria la sola attrezzatura di discesa (P6 dopo la “Caverna delle Pisoliti”). Per visitare il ramo superiore, è necessario risalire un P7 dalla sala “Sabina 88”.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre. Il 31 ottobre 1963 soci dello SCR (A. Mariani e E. Serafini) hanno percorso tutta la cavità effettuando la traversata fra i due ingressi. Nel 1988 il Gruppo Speleo Archeologico “Orofino” ha esplorato i rami alti.

Bibliografia MARIANI, 1963; MECCHIA G., 1993b; MONTRONE & RISIO, 1987; RUSCONI, 1990.

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I MONTI SABINI ORIENTALI

Pozzo Panfilo: l’ingresso (foto M. Chiariotti)

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 144 Palombara Sabina 1 = Pozzo Panfilo 2 = Grotta Grande di Muro Pizzo

coordinate riquadro: angolo NW = 0°25’ - 42°19’ angolo SE = 0°30’ - 42°10’

Pozzo Panfilo: la base del P12 (foto M. Chiariotti)


Pozzo Panfilo

Grotta Grande di Muro Pizzo

Dati catastali

Dati catastali

altro nome: il Pozzo della Costa 1086 La - comune: Rocca Sinibalda (RI) - località: Costa Pozzo - quota: 542 m carta IGM 1:25000: 144 I NE Rocca Sinibalda - coordinate:0°27’30”0 (12°54’38”4) - 42°17’27”4 carta CTR 1:10000: 357 110 Torricella in Sabina - coordinate: 2.347.775 - 4.684.290 dislivello: -60 m - sviluppo planimetrico: 30 m

altri nomi: Grotta di Valle Spineta; Grotta del Monte 70 La - comune: Monteleone Sabino (RI) - località: Rocchette - quota: 820 m carta IGM 1:25000: 144 I SE Poggio Moiano - coordinate: 0°27’13” (12°54’21”4) - 42°13’39” carta CTR 1:10000: 357 150 Poggio Moiano - coordinate: 2.347.180 - 4.677.250 dislivello: -12/+3 m. - sviluppo planimetrico: 380 m

Itinerario

Itinerario

Al km 64 della S.S. 4 Salaria, si esce allo svincolo per Rocca Sinibalda. Dopo 3,7 km si prende a sinistra la S.P. Turanense. Dopo 3,9 km, superato un fontanile sulla sinistra, si svolta a sinistra per la località “Torricchia”. Si segue la stretta strada asfaltata per 900 m in salita, e quindi si imbocca una strada sterrata a destra. Dopo 200 m si lascia la macchina presso un bivio con un’altra sterrata sulla destra, in cattive condizioni (quota 695 m). Si scende a piedi per la strada di destra per 450 m fino ad una radura, oltre la quale la strada prosegue diventando un largo sentiero (quota 665). Il sentiero scende lentamente lungo una cresta, poi piega a destra; qui lo si lascia e si prosegue dritti in un sentiero più stretto, sempre lungo la cresta. Dopo 35 m si incontra una grande roccia sulla sinistra (il “Ripone”, q. 635). Dopo altri 20 m si lascia il sentiero per prenderne uno meno evidente a destra. Si scende per il sentiero a zig-zag, a volte ridotto a semplice traccia, fra rovi e sottobosco piuttosto fitto, fino ad intersecare un nuovo sentiero abbastanza evidente, che taglia orizzontalmente il versante (quota 550). Da qui si prosegue verso sinistra, in piano, per 50 m. Poi si supera un filo spinato e si scende sulla destra in un nuovo sentierino. Dopo una quindicina di metri si raggiunge una radura. La si attraversa scendendo verso l’estremità sinistra (NE), oltre la quale, dopo 5 m, si apre l’ingresso del pozzo, su un ripido versante a pochi metri da una cresta (35 minuti di cammino).

Da Poggio Moiano si imbocca la Circonvallazione Moianense. La si segue per 700 m fino ad un bivio con una Madonnina, dove si prende la strada di sinistra. Dopo 3,5 km si svolta per una strada sterrata che scende a sinistra e dopo 800 m ad un incrocio si lascia la macchina. Si prosegue a piedi sulla stradina di destra, e dopo circa 500 m di leggera salita si arriva ad un prato dove la strada inizia a scendere leggermente. Si lascia la stradina inoltrandosi nella boscaglia verso sinistra (NW) e a 400 m di distanza si trova l’ingresso della grotta, di difficile reperimento (15 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso, alla base della paretina rocciosa alta 3 m, è un portale alto 1,5 m e largo 3,5 m. Si entra in una sala con il soffitto costituito da una superficie di strato (inclinata di 15° verso 110°) e il pavimento in leggera discesa. Un secondo ingresso, alto 0,5 m e largo 2,5 m, si apre a pochi metri di distanza dal primo, sempre lungo la paretina esterna (frattura NNW-SSE); la luce che entra da questa apertura illumina lateralmente la sala. In fondo alla sala d’ingresso si striscia in un passaggio basso

(60 cm) e si entra in una seconda sala (punto 2) alta 2,5 m, con vaschette fossili, lame di roccia sulla volta (in discesa come lo strato), e pavimento detritico. Proseguendo, si attraversano diverse salette a pianta quasi circolare di 2-8 m di diametro, a forma di cupole con altezza al centro fino a 3 m e pavimento orizzontale. Le salette si fondono con collegamenti ampi che isolano dei tozzi pilastri di roccia, larghi un paio di metri. Le cupole sono a volte influenzate dalla stratificazione e con nicchie semi-sferiche più piccole. Dalle volte scendono spaghetti di calcite, mentre un concrezionamento scuro è spesso coperto da patine di concrezione bianca più recente. Dalla seconda sala (punto 3) si può accedere ad un’altra zona della grotta strisciando in un breve cunicolo (altezza 60 cm), oltre il quale la volta si alza fino a 1,3 m. Anche questa zona ha un andamento labirintico, con brevi condotti che mettono in comunicazione le salette a cupola, qui maggiormente influenzate dalla stratificazione e dai crolli. Abbondano le bianche concrezioni mammellonari. Ad un’estremità della grotta (punto 15) spuntano dalla volta le radici della vegetazione esterna (solo pochi metri separano il soffitto sotterraneo dalla superficie topografica). Tutta la grotta appare scavata in pochi strati calcarei, che nella parte più interna (punto 11) risultano meno inclinati (5°) rispetto alla zona d’ingresso. Lungo il bordo di questa saletta si apre un passaggio basso che immette in un camino ascendente. Il pozzetto, largo circa 1 m e impostato su una frattura verticale N-S, è alto 13 m e sbuca in superficie nel bosco (+3 rispetto all’ingresso principale) all’interno di una piccola dolina del diametro di 3 m, profondità di quasi 2 m e con il fondo occupato da grandi massi. Attualmente il pozzetto è ostruito e quindi non può essere disceso. L’attività idrica nella grotta è limitata ad uno scarso stillicidio.

Descrizione (di Lorenzo Grassi) La cavità è scavata in un conglomerato calcareo con cemento calcitico e inizia con un pozzo profondo 52 m. L’imbocco, di forma semicircolare di dimensioni 2x3 m, è impostato su una evidente faglia con direzione N75°W e immersione di 70° verso S, che poi condiziona tutto l’andamento del pozzo. Uno scivolo franoso di terra porta in breve sulla verticale di un tratto dalle dimensioni più ridotte, che dopo una quindicina di metri è spezzato da un comodo terrazzino in discesa. Dal bordo (punto 2), il pozzo prosegue con un tratto verticale di 12 m, un po’ più stretti e sempre franosi; un grande masso instabile è incastrato fra le pareti. Si raggiunge così un secondo terrazzo che, dopo alcuni piccoli gradini, porta sull’orlo dell’ultimo salto (punto 3), profondo 25 m. Una quindicina di metri sotto il bordo, il pozzo si allarga in una grande sala (18x5 m), che presenta sulla sinistra una liscia parete di faglia. Si può percorrere il salone inclinato in discesa, con fondo ingombro di massi e di resti di ossa di animali, fino ad uno stretto pertugio ostruito da sassi (–60), che sembrerebbe essere la possibile prosecuzione della grotta. Subito sopra, a meno di una decina di metri di altezza, occhieggia una finestra.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1978, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite (fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina) a causa soprattutto della localizzazione dell’imbocco all’interno di una fitta e intricata boscaglia. Ad eccezione di ossa di animali caduti nel pozzo, non sono presenti segni di alterazione dell’ambiente.

Note tecniche La discesa del P52 presenta difficoltà di armo a causa della franosità delle pareti di conglomerato. Quindi, non sono stati infissi spit o fix, mentre sono possibili ancoraggi naturali.

Storia delle esplorazioni Esplorata fra il 12 e il 18 febbraio 1978 dall’ASR (P. Festa, T. Bernabei, M. Simoncelli, F. Donati, Eloisa Gallinaro, A. Bonucci) e dedicata al pastore Panfilo che accompagnò gli esploratori.

Bibliografia: ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1978; BERNABEI, 1978a; BONUCCI, 1978; RUSCONI, 1990.

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I MONTI LUCRETILI E I MONTI TIBURTINI 7

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Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempreâ€?, ed è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi lontani. Nel corso del XX secolo gli speleologi hanno percorso la grotta numerosissime volte con un numero di visite stimabile in alcune migliaia. A queste sono senz’altro da aggiungersi moltissime altre frequentazioni dovute anche al fascino e alla facilitĂ di percorrenza dell’intero ambiente labirintico. Si osservano scritte sulle pareti e sulle concrezioni (anche del secolo scorso), pochi rifiuti e tracce di scavo (archeologico?). Nonostante ciò lo stato attuale dell’ambiente non è cosĂŹ alterato da rendere sgradevole la visita.

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 144 Palombara Sabina e F. 150 Roma 1 = Risorgenza di Collentone 2 = Grotta Peter Pan 3 = Grotta Hale Bopp 4 = Pozzo di San Polo dei Cavalieri 5 = Voragine di Monte Spaccato coordinate riquadro: angolo NW = 0°18’ - 42°06’ angolo SE = 0°28’ - 41°54’30â€?

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni All’interno della grotta è stata trovata la sigla “F.P. 1877â€?. La prima esplorazione documentata è di Luigi Pusterla intorno al 1892. I locali la conoscono come “La Grotta Grandeâ€?.

Bibliografia CHIOCCHINI ET ALII, 1975; DOLCI, 1966; MANCINI, 1997; MANISCALCO, 1963; PUSTERLA, 1892; SEGRE, 1948a.

Grotta Grande di Muro Pizzo: l’imbocco (foto M. Mecchia)


Risorgenza di Collentone: la galleria nel tratto intermedio della cavità (foto G. Cappa)

Risorgenza di Collentone Dati catastali 1256 La - comune: Roccagiovine (RM) - località: versante sud Monte Marcone - quota: 825 m carta IGM 1:25000: 144 II SE Vicovaro - coordinate: 0°24’43”0 (12°51’51”4) - 42°03’09”8 carta CTR 1:10000: 366.110 Licenza - coordinate: 2.343.250 - 4.657.950 dislivello: +2 m - sviluppo planimetrico: 90 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili; ZPS IT6030029 “Monti Lucretili”

Itinerario Da Roccagiovine si raggiunge il cimitero e si prosegue per 500 m fino ad un bivio; si imbocca quindi la strada in cemento che prosegue sulla stessa direzione, leggermente verso sinistra, e che presto diventa sterrata. Dopo 3,4 km si raggiunge una sella erbosa (quota 865), dove si lascia la macchina. Si scende a sinistra lungo la sterrata, in pessime condizioni, che fiancheggia sulla destra il Fosso delle Forme. Dopo circa 300 m si prende un sentierino sulla destra; superato un primo fosso poco accennato si arriva su una larga sella e si scende verso un secondo fosso. Si risale quest’ultimo per una cinquantina di metri fino all’imbocco della risorgenza (20 minuti di cammino).

Descrizione (di Franco Bufalieri) La grotta è una risorgenza di troppo pieno, con portate comunque esigue (generalmente non più di 2 L/s). Il condotto principale, suborizzontale e quasi rettilineo in direzione nord, è lungo 75 m fino ad un sifone perenne inesplorato. La grotta ha due ingressi, distanti 4 m fra loro. L’ingresso principale, quello basso, è una fessura larga 40 cm e alta poco più di 1 m. Il secondo ingresso è un’apertura non transitabile, posta lateralmente all’imbocco principale, un paio di metri più in alto; un breve (12 m) cunicolo collega questo ingresso al condotto principale. Frequentemente nel periodo invernale-primaverile l’accesso può essere impedito dall’innalzamento del livello delle acque nella grotta (sifone). Dall’ingresso principale si percorre una galleria lunga 18 m, che ha l’aspetto di una condotta in pressione con altezza media di circa 1 m e larghezza di 60 cm. Il pavimento è costituito da detrito, sotto il quale normalmente scorrono le acque, che, infatti, emergono all’esterno alla base dell’accumulo di massi e detrito. Nei successivi 20 m la galleria, alta 4 m, assume morfologia vadosa ed è intersecata da numerose fratture circa ortogonali all’asse. Da qui il condotto assume una sezione generalmente circolare di diametro inferiore a 1 m e andamento a sali-scendi che determina la formazione di 5 passaggi temporaneamente sifonanti; dopo una ventina di metri si arriva su un nuovo sifone, perenne. Subito prima del sifone terminale si rinviene un deposito di sabbie vulcaniche.

Stato dell’ambiente La risorgenza, esplorata a partire dal 1994, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200, a causa delle condizioni idrologiche che impediscono l’accesso per buona parte dell’anno. Le analisi delle acque prelevate nel 1995-’96 dal GSGM, hanno evidenziato un inquinamento microbiologico, probabilmente derivante da deiezioni di animali al pascolo. Questo fenomeno costituisce l’unico elemento di alterazione presente in questa grotta.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature. I sifoni non sono ancora stati percorsi con attrezzature speleosubacquee.

Storia delle esplorazioni Esplorata a partire dall’aprile 1994 dal GSGM (F. Bufalieri e L. Castaldi). Una serie di visite ha consentito allo stesso gruppo (Bufalieri, Castaldi, M. Biagi, C. Idrissi, N. Daniele) di risalire la risorgenza man mano che le acque si ritraevano con l’avanzare della stagione secca, raggiungendo infine il sifone terminale il 15 gennaio 1995.

Bibliografia MANCINI A., 2002; MECCHIA G., 1996.

Risorgenza di Collentone: la galleria freatica (foto G. Cappa)

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Grotta Peter Pan: la zona dell’ingresso; la fessura è situata sotto l’albero (foto M. Mecchia)


Grotta Peter Pan Dati catastali 1200 La - comune: San Polo dei Cavalieri (RM) - località: Monte Andrea - quota: 950 m carta IGM 1:25000: 144 II SO Palombara Sabina - coordinate: 0°22’23”8 (12°49’32”2) 42°02’31”0 carta CTR 1:10000: 366.140 Marcellina - coordinate: 2.340.030 - 4.656.740 dislivello: -50 m - sviluppo planimetrico: 95 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili; ZPS IT 6030029 “Monti Lucretili”

Itinerario Da Marcellina si prende la strada per San Polo dei Cavalieri; al km 13,200 si imbocca una strada in salita a sinistra che porta a Prato Favale; dopo 5,7 km, si lascia l’auto all’inizio del prato (quota 800 m circa). Si scende al prato e lo si attraversa in direzione N, fino alla base del versante del Monte Andrea. Si risale il pendio fino ad arrivare sulla cima (quota 976), composta da due dossi. L’imbocco della grotta si trova sul dosso occidentale (a sinistra salendo) a 20 m dalla sommità, alla base di un albero (20 minuti di cammino).

Descrizione (del Gruppo Speleologico Grottaferrata) L’ingresso è una fessura larga 30 cm e lunga quasi 1 m, impostata su una frattura orientata N30°E e inclinata di 80° verso SE, da cui in inverno fuoriesce una sensibile corrente d’aria. Superato il punto stretto d’imbocco, la grotta si allarga e inizia uno scivolo terroso che dopo alcuni metri si conclude su una strettoia verticale di 4 m. Dalla base della strettoia parte un nuovo scivolo; in questo punto le pareti sono più distanti e la volta più alta, formando così una specie di meandro in forte discesa. Dieci metri più avanti ci si affaccia su un pozzo da 22 m; dall’imbocco parte anche un traverso che, dopo pochi metri, arriva in piccoli ambienti di crollo. Scendendo il pozzo, dopo circa 6 m si supera una scomoda strozzatura; alla base del salto uno scivolo porta su un buco nella breccia (punto E), impraticabile. In questo punto si nota un modesto stillicidio e le pareti sono ricoperte da una patina calcitica. Per proseguire bisogna risalire in arrampicata per 5 m, non difficili ma su materiale di crollo; si arriva sull’orlo dell’ultimo salto (punto F), profondo 12 m, impostato lungo la frattura principale. Alla sua base una saletta costituisce il fondo attuale della grotta (-50). Poco più avanti una frana instabile, da cui proviene una modesta corrente d’aria, impedisce la prosecuzione.

Stato dell’ambiente L’imbocco del pozzo d’ingresso è stato allargato artificialmente nel 1995. In questi pochi anni la grotta è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente non ha subito alterazioni.

Note tecniche Scivolo+P4 (attacco esterno sull’albero, corda 10 m), P 22 (corda 30 m), P 12 (corda 15 m), fondo (-50).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel settembre 1995 dal GSG (P. Dalmiglio, Maria Grazia Lobba, A. Peccerillo).

Bibliografia MECCHIA G., 1996; PECCERILLO, 1998.

Grotta Hale Bopp Dati catastali 1357 La - comune: Marcellina (RM) - località: versante occidentale Monte Guardia - quota: 505 m carta IGM 1:25000: 144 II SO Palombara Sabina - coordinate: 0°22’14” (12°49’22”4) - 42°01’05” carta CTR 1:10000: 366 140 Marcellina - coordinate: 2.339.730 - 4.654.150 dislivello: -72 m - sviluppo planimetrico: 200 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili; ZPS IT6030029 “Monti Lucretili”

Itinerario Da Marcellina si prende la strada per San Polo dei Cavalieri; superato il bivio per il Monte Morra, dopo 600 m si lascia la macchina in corrispondenza di un nuovo bivio con una strada secondaria a sinistra, chiusa da una sbarra. Si prosegue a piedi per questa strada, che diviene sterrata, per 500 m, poi, in corrispondenza di un cancello, si prende a sinistra la traccia di una vecchia carrareccia che sale tagliando il versante, e che porta ai tre livelli di una cava inattiva; dopo 600 m si arriva al grande piazzale della cava, diviso in due parti da un gradone. L’imbocco della grotta si trova nel livello più basso, a circa metà piazzale, sotto la paretina (30 minuti di cammino).

Descrizione (di Antimo Peccerillo) La grotta è impostata interamente lungo una frattura, ed è caratterizzata, soprattutto nella zona più profonda, da massi franati un po’ ovunque. L’ingresso, di 70x70 cm, immette subito su un saltino di 3 m arrampicabile in roccia friabile, alla base del quale, tra impressionanti blocchi di frana, si apre una saletta. Uno scivolo detritico ed un passaggio stretto permettono di raggiungere un secondo ambiente, sempre fra blocchi di frana, quindi una fessura in salita conduce alla sommità del primo pozzo, profondo 20 m. Alla base del salto si apre una grande sala in discesa, lunga 60 m e impostata su diaclasi, con il pavimento coperto da detrito e blocchi di crollo: la “Sala della Cometa” (punti 4-7). Raggiunto il fondo della sala, è necessario risalire di 6 m per guadagnare l’orlo del secondo pozzo, profondo una decina di metri. Alla base del salto, alcuni passaggi angusti lunghi in tutto una decina di metri conducono alla sommità del pozzo “Rombo di Tuono”, profondo 20 m, molto franoso e interamente arrampicabile perché impostato su una frattura mai larga più di 1 m. La diaclasi è percorribile alla base per circa 40 m; un passaggio in discesa fra i massi permette di raggiungere

il fondo a -72 m. Traversando sopra l’imbocco del pozzo si raggiunge un secondo pozzo parallelo al precedente, ancora più franoso, il “Pozzo delle Meteore”, profondo 12 m, alla base del quale ci si ritrova all’interno di ambienti caratterizzati da grandi e instabili accumuli di frana. Una apprezzabile circolazione d’aria percorre quasi tutti gli ambienti della cavità.

Stato dell’ambiente La grotta è venuta alla luce durante la coltivazione della cava, attualmente dismessa. Esplorata per la prima volta nel 1997, fino ad oggi è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, probabilmente non superiore a qualche decina. La grande quantità di massi presente negli ambienti più vicini all’ingresso è stata senz’altro gettata nella grotta durante le attività estrattive. Non si rinvengono accumuli di rifiuti.

Note tecniche P3 (arrampicabile, utile una corda), P20, Risalita 6, P10, P20 franoso (arrampicabile, corda non necessaria), fondo (-72). In alternativa al P20 si può scendere un franoso P12 parallelo (corda).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel maggio 1997dal GSG (P. Dalmiglio, A. Peccerillo, L. Alessandri, E. Pavoni).

Bibliografia PECCERILLO & DALMIGLIO D., 1998.

131


Pozzo di San Polo dei Cavalieri

Note esplorative

Voragine di Monte Spaccato

La grotta è nota fin dall’epoca romana e utilizzata come cava. Venne esplorata il 9 aprile 1922 dal CSR (C. Franchetti, Busiri, E. Jannetta)

Dati catastali

Dati catastali

Bibliografia

altro nome: Sfogatore 265 La - comune: Marcellina (RM) - localitĂ : versante sud Monte Guardia - quota: 525 m carta IGM 1:25000: 144 II SO Palombara Sabina - coordinate: 0°22’18â€?2 (12°49’26â€?6) 42°00’49â€?5 carta CTR 1:10000: 366 140 Marcellina - coordinate: 2.339.828 - 4.653.718 dislivello: - 62 m - sviluppo planimetrico: 23 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili; ZPS IT6030029 “Monti Lucretiliâ€?

38 La - comune: Tivoli (RM) - localitĂ : Cresta Sud di Monte Calvo - quota: 440 m carta IGM 1:25000: 150 I NO Tivoli - coordinate: 0°21’19â€?6 (12°48’28â€?) - 41°56’15â€?5 carta CTR 1:10000: 375 060 San Vittorino - coordinate: 2.338.235 - 4.645.290 dislivello: -90 m - sviluppo planimetrico: 50 m.

ABBATE, 1984; AGOSTINI, 1989; BOEGAN, 1928; BULGARINI, 1848; CABRAL & DEL RE, 1779; CAPPELLO, 1824; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1926; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954a; DOLCI, 1965; FILOSTRATO, II – III SECOLO D.C.; GORI, 1855; KIRCHER, 1671; MANCINI C.M., 1997; NIBBY, 1820; PALMIERI, 1863; PINTUS, 1987; PUSTERLA, 1892; SEBASTIANI, 1828; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c; SEGRE, 1948d; SEGRE, 1948e; SEGRE, 1951a; SEGRE & ROSSI, 1948; SICKLER, 1821.

Itinerario Da Marcellina si prende la strada per San Polo dei Cavalieri e la si percorre fino al secondo tornante, in corrispondenza di una cava abbandonata, pochi metri dopo il km 10; qui si lascia la macchina. Si entra nel piano di cava, e lo si attraversa fino quasi alla fine (circa 80 m), poi si scende verso un edificio visibile anche dalla strada, lungo la massima pendenza, per un dislivello di una trentina di metri. L’imbocco si apre nella macchia, ed è poco visibile anche se abbastanza grande (5 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è una spaccatura allungata per 7 m in direzione WNW-ESE, divisa in due parti da un ponte di roccia. Il pozzo, profondo 10 m, si scende dalla parte piĂš ampia (1,5x2,5 m) che ha inizio con uno scivolo. La base del salto è un imbuto franoso. Da qui si scende ripidamente per una decina di metri in una fessura dal fondo detritico, strisciando sotto una frana, e intersecando una frattura circa ortogonale (punto 5), dalla quale in inverno spira una violenta corrente d’aria. La frattura dĂ luogo ad un pozzo profondo 45 m, che inizia con un breve tratto inclinato a 45° per aprirsi poi nel vuoto. La stretta fessura (30-60 cm) si allunga per 10-15 m in direzione NNE-SSW e ha una superficie ondulata, con una gobba a metĂ . La base del pozzo, a -62, misura 1x7 m, ed è costituita da un pavimento detritico.

132 Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1958, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente è integro, ad eccezione di pochi oggetti gettati dall’esterno.

Itinerario Da Tivoli si prende la strada per San Gregorio da Sassola. Dopo 2 km si prende la strada a sinistra per la Casa di cura “Monte Ripoliâ€?, che porta, dopo circa 2 km, quasi sulla vetta di Monte Calvo. Lasciata la macchina, si raggiunge la vetta e si scende in direzione sud per 300 m verso il Passo di Monte Arcese. Circa 200 m prima del passo, sul versante che guarda la pianura, si trovano due spaccature parallele: quella posta a quota piĂš alta è il Pozzo di Monte Spaccato, la piĂš bassa è la Voragine (10 minuti di cammino).

Descrizione L’imbocco è una spaccatura a sezione leggermente curva, lunga 35 m, larga da 1 a 2 m, impostata su una frattura diretta circa N80°W con immersione media di 58° verso Nord, cioè verso l’interno del monte. La grotta è una fenditura quasi perfetta: è larga mediamente da 1,2 a 1,5 m, con pareti praticamente parallele, molto regolari, e inclinazione costante. La lunghezza si riduce leggermente nella parte mediana e aumenta in fondo fino ad una cinquantina di metri. La parete inferiore costituisce uno scivolo a forte inclinazione (58°), coperto da uno spessore di concrezione e da detrito sabbioso; alcuni massi di crollo sono incastrasti fra le pareti. La parete a tetto è piĂš regolare, ed è solcata da concrezioni a “fetta di prosciuttoâ€?, che scendono lungo la linea di massima pendenza. E’ presente un modestissimo stillicidio. La base del pozzo è una spaccatura larga fino a 2,5 m, con il fondo costituito da detrito e blocchi, nel quale si mischiano ossa, rami di alberi, resti di precedenti discese; il pavimento è movimentato, a sali-scendi, con il punto piĂš profondo (-90) sull’estremitĂ orientale (punto 6). All’incirca a metĂ si trova una fessura larga meno di 30 cm e lunga un paio di metri, che scende leggermente verso Nord, impraticabile. La grotta era ricca di concrezionamenti di alabastro, noti in epoca romana, quando venivano estratti a fini commerciali. Ancora oggi sono ben visibili gli scalini scavati nella ripida parete a scivolo a formare un tracciato a zig-zag che conduce fino in fondo al pozzo. Quindi la morfologia della spaccatura è stata sensibilmente modificata dalle operazioni di estrazione dell’alabastro.

Stato dell’ambiente

Note tecniche P10 (corda 20 m, attenzione allo scivolo franoso), P45 a fessura molto stretta (corda 55 m), fondo (-62).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 26 gennaio 1958 dal CSR (A. Assorgia, M. Dolci, G. Marzolla, G. Pasquini, C. Premoli); la strettoia terminale alla base dello scivolo venne tentata dal Dolci senza successo. Il 7 febbraio 1966 Pasquini, che nel frattempo si era dimesso dal CSR, tornò con lo SCR sul posto, e in quell’occasione G. Saiza riuscĂŹ a superare la strettoia e a scendere il pozzo da 50 m.

Bibliografia

La voragine è nota fin dall’antichitĂ essendo stato sfruttato il giacimento di alabastro in essa depositato. Sono visibili ancora oggi i resti della scalinata intagliata nella roccia, utilizzata dagli schiavi per il trasporto del materiale estratto dal fondo. Le operazioni di scavo hanno sicuramente ampliato e profondamente modificato la morfologia della fessura (asportazione del rivestimento di alabastro dalle pareti). Sul fondo si rinvengono resti di attrezzature meccaniche usate in antiche discese e poche ossa di animali, gettati nella voragine.

Note tecniche La discesa su corda del P90 è stata attrezzata sia a partire dal centro che dalle estremità della spaccatura (corda 120 m).

Voragine di Monte Spaccato: la discesa nella spaccatura (foto G. Mecchia)

DOLCI, 1967; PASQUINI, 1966; TROVATO, 1980. DORSALE DI DORSALE DI -ONTE -ORRA -ONTE 'UARDIA &OSSO DI 0ESCHIO 'ROSSO 0OZZO DI

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I MONTI CORNICOLANI

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Pozzo del Merro: la dolina (foto G. Caramanna)

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 144 Palombara Sabina e F. 150 Roma

Pozzo Sventatore

1 = Pozzo Sventatore 2 = Pozzo del Merro 3 = Grotta di Fossavota 4 = Sventatoio di Poggio Cesi 5 = CavitĂ dell’Elefante coordinate riquadro: angolo NW = 0°10’ - 42°04’ angolo SE = 0°20’ - 41°55’30â€?

Dati catastali

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altro nome: Sfogatoio 33 La - comune: Sant’Angelo Romano (RM) - localitĂ : 300 m a ENE del Pozzo del Merro - quota: 165 m carta IGM 1:25000: 144 III SE Mentana - coordinate: 0°13’51â€?(12°40’59â€?4) - 42°02’20â€? carta CTR 1:10000: 366 130 Montecelio - coordinate: 2.328.250 4.656.770 dislivello: -118 - sviluppo planimetrico: 70 m

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Itinerario Pozzo Sventatore: la sala alla base del pozzo d’ingresso (foto C. Germani)

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Dal centro di Mentana si prende la strada che porta al centro sportivo Mezzaluna. Al bivio per il centro sportivo (dopo 1,9 km), si prosegue dritto, si passa sotto il cavalcavia autostradale e, dopo 1 km, si imbocca una strada a sinistra con asfalto in cattivo stato, passando fra due alti pilastri senza cancello. Si segue la strada, che sale fra due file di pini, e dopo 1 km si arriva ad un incrocio. Si svolta a destra, seguendo la strada in condizioni migliori, asfaltata. Dopo 700 m, subito dopo aver passato un fontanile sulla sinistra, si arriva ad un bivio e si prende la strada in cemento, a destra, che scende ripida. Dopo 300 m, si arriva ad un incrocio, dove si lascia la macchina. La grotta, recintata, è situata ad una cinquantina di metri di distanza, all’interno del campo, sulla destra.


Descrizione

Stato dell’ambiente

L’imbocco è un grande pozzo, recintato e racchiuso da vegetazione. Il recinto ha un diametro di circa 10 m, l’imbuto d’imbocco, circolare, è poco più piccolo; il pozzo è profondo 47 m. Un secondo ingresso (lo “Sfogatoio”), ampio circa 0,5x1,5 m, è ubicato una dozzina di metri ad ovest, circa 1 m più in basso; attualmente è ostruito da massi. L’imbuto d’ingresso del pozzo principale stringe in basso e la sezione orizzontale (punto 3) assume una forma ellittica (asse maggiore 4 m, asse minore 2 m) allungata sulla frattura diretta N60°E. Tutta la grotta è impostata lungo questa frattura, che immerge circa 70°NW. La giacitura degli strati ha direzione N-S e immersione 40°E. Dopo una trentina di metri di discesa il pozzo si amplia e assume sezione subcircolare (diametro circa 5 m); un altro fuso si collega da NE. Subito sotto, il pozzo si allarga in una grande sala. Sulla verticale di discesa si atterra (punto 4) su un pendio detritico che si getta con un imbuto in un altro pozzo. La sala è lunga 30 m, larga fino ad una dozzina di metri e alta circa 15 m. Aggirato il primo pozzo ad imbuto, camminando sul bordo, si arriva ad una sella (punto 5) che si affaccia su un secondo pozzo ad imbuto, più ampio. Nei due pozzi si convoglia il materiale detritico, instabile, che pavimenta la sala. Camminando sul bordo, costeggiando la parete, si supera anche il secondo imbuto. Dall’ingresso secondario, in particolari condizioni di illuminazione, entra un suggestivo raggio di luce verde che colpisce il pavimento della sala. Un altro pozzo a fuso sale nel buio sopra il secondo imbuto. All’estremità sud-occidentale della sala (punto 6) si aprono due pozzi paralleli dall’imbocco di piccole dimensioni (circa 1,5x1 m), entrambi impostati su fratture orientate come quella principale; un terzo pozzo, dall’imbocco molto piccolo, si apre 2 m più in alto. Dei due pozzi, quello un po’ più piccolo (punto 7), utilizzato per la discesa, scende inclinato per 9 m fino ad un terrazzino (punto 9), poi scende ancora per 7 m fino ad entrare in una grande sala. Da qui si scendono 25 m, prima nel vuoto poi in scivolo, arrivando a toccare l’acqua del profondo lago-sifone terminale (punto 13, -85). La sala inferiore è allungata per una ventina di metri nella direzione della frattura principale, con larghezze che arrivano ad una dozzina di metri. Il lago-sifone terminale, nel quale le pareti si gettano verticali, è di forma ovale, lungo una decina di metri e largo 2-3 m. Una decina di metri sopra il lago-sifone un terrazzino (“Cengia delle Ossa”) consente la sosta. Le pareti sono concrezionate a cavolfiore, e sopra la superficie del lagosifone sono coperte da fango indurito. Dall’altra parte del lago si vede, in alto, un foro nella volta, che mette in comunicazione i due pozzi ad imbuto della sala superiore (punto 5) con il lago. Il lago è stato sondato con uno scandaglio rivelando profondità comprese fra 72 e 79 m a seconda del punto di misura (RICCI, 1977a). Il lago sembra rappresentare una estesa falda, che affiora anche nel vicino pozzo del Merro. Entrando dal secondo ingresso della grotta (lo “Sfogatoio”) si scende un saltino di 3-4 m, poi un breve tratto orizzontale immette sulla volta della grande sala. Sceso il pozzo si atterra sulla sella (punto 5) che separa i due pozzi ad imbuto detritico. La profondità dal piano campagna del pelo libero del lago è di 85 m (giugno 1994, la stessa misurata nel rilievo del marzo 1957). Il sifone è stato esplorato dagli speleosub in immersione. Al disotto del pelo dell’acqua, il condotto stringe fino a 1,5 m di diametro alla profondità di 9 m; quindi si allarga di nuovo e prosegue non più verticale, ma inclinato verso 240°. Le pareti sono lisce, con depositi argillosi che si staccano al passaggio dei sub, rendendo difficile la percorribilità. Alla profondità di 33 m il condotto continua inesplorato, con le stesse dimensioni (notizie da Edoardo Malatesta). Per quanto riguarda le correnti d’aria, nel corso della visita del giugno 1994 non sono state avvertite. MAXIA (1954) ha segnalato l’uscita di aria calda nella stagione fredda.

Nel passato l’ingresso è stato utilizzato come “discarica” e, data la morfologia della grotta, tutto ciò che cade è destinato a raggiungere il lago terminale. La superficie del lago, infatti, è coperta da uno strato di melma e di materiali galleggianti. A partire dal 1928, anno della prima discesa, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Nel 1985 il prato in cui si apre la cavità è stato sconvolto dalla ruspa e i materiali di risulta sono stati gettati nella grotta quasi occludendo l’ingresso minore e creando una zona franosa intorno all’imbocco principale (NOTARI, 1986). Tuttavia, la cortina di alberi successivamente cresciuta intorno all’imbocco rende poco percepibili le tracce dei lavori.

Note tecniche P47 (corda 80 m), si atterra sul pendio detritico, si traversano i due pozzi ad imbuto camminando lungo la parete e si fissa la corda su clessidra. P41 (corda 60 m+cordino lungo) che termina direttamente sul lago-sifone (-85); poiché il lago non ha rive per la sosta, ci si può fermare una decina di metri sopra su un comodo terrazzino.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 19 maggio e il 23 settembre 1928 dal CSR (C. Franchetti, A. Datti, F. Botti). Dal 1973 al 1975 l’ACEA, in collaborazione con il GS CAI Roma, ha effettuato studi sull’idrologia del lago e sul chimismo delle acque per un’eventuale utilizzazione a fini idropotabili (RICCI, 1977 a). Fra l’estate del 1999 e l’estate del 2000 sono state effettuate alcune immersioni subacquee da parte di M. Giordani, E. Malatesta e G. Spaziani, che sono scesi nel lago terminale fino alla profondità di 33 m.

Bibliografia CAMPONESCHI & NOLASCO, 1980; CASALE ET ALII, 1963; CERRUTI, 1954; DOLCI, 1965; GERMANI, 1984a; GERMANI, 1984c; GERMANI, 1986; GUZZARDI, 1974a; GUZZARDI, 1974b; KELLER, 1895; MANCINI, 1997; MANFREDINI, 1951; MAXIA, 1954; NOTARI, 1986; RICCI, 1977a; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1958.

Pozzo Sventatore: dal lago terminale verso l’alto (foto M. Zampighi)

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Pozzo del Merro Dati catastali 32 La - comune: Sant’Angelo Romano (RM) - localitĂ : Pozzo del Merro - quota: 140 m carta IGM 1:25000: 144 III SE Mentana - coordinate: 0°13’42â€? (12°40’50â€?4) - 42°02’19â€? carta CTR 1:10000: 366 130 Montecelio - coordinate: 2.328.025 4.656.760 dislivello: -450 m Area protetta di riferimento: Riserva Naturale Macchia di Gattaceca e Macchia del Barco

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Itinerario Dal centro di Mentana si prende la strada che porta al centro sportivo Mezzaluna. Al bivio per il centro sportivo (dopo 1,9 km), si prosegue dritto, si passa sotto il cavalcavia autostradale e, dopo 1 km, si imbocca una strada a sinistra con asfalto in cattivo stato, passando fra due alti pilastri senza cancello. Si segue la strada, che sale fra due file di pini, e dopo 1 km si arriva ad un incrocio. Si svolta a destra, seguendo la strada in condizioni migliori, asfaltata. Dopo 700 m, subito dopo aver passato un fontanile sulla sinistra, si arriva ad un bivio e si prende la strada in cemento, a destra, che scende ripida. Dopo 300 m, si arriva ad un incrocio; si prosegue ancora per 200 m sulla sterrata di destra, quindi si lascia la macchina. La grotta è situata sulla destra della strada, all’interno di un terreno recintato; per l’accesso è necessario chiedere il permesso all’ACEA, che gestisce l’area.

Descrizione (informazioni da CARAMANNA, 2001 e 2002)

Pozzo del Merro: prove di pompaggio eseguite dall’ACEA negli anni ‘70 (foto

C. Germani)

La dolina iniziale è una grande voragine di forma ad imbuto; l’imbocco ha forma ovale e diametro di circa 150 m, e il bordo è caratterizzato da una marcata variazione altimetrica; il lato nord è costituito da una ripida parete alta circa 80 m, mentre partendo dal punto piĂš basso del bordo, sul lato Sud-orientale, utilizzato per la via di discesa, la cavitĂ scende con pendenza minore un dislivello di 58 m, restringendosi progressivamente fino a raggiungere uno specchio d’acqua con diametro di una trentina di metri che ne occupa tutta la sezione. I versanti interni della dolina sono piuttosto ripidi, ma nei tratti dotati di inclinazione minore, sui quali si può formare un suolo, è presente una copertura di vegetazione molto varia, anche con alberi di alto fusto. Sulle pareti si osservano alcuni piccoli cunicoli impercorribili e fratture orientate N-S. La discesa nella cavità è facilitata, nei primi 40 m, da scale in muratura, dissestate in piĂš punti, che costeggiano la parete; quindi si percorre un breve tratto di sentiero lungo una cengia, e poi con una scaletta metallica si scende fino a –58, raggiungendo il bordo del lago-


sifone. La superficie dell’acqua è totalmente coperta da piccole alghe verdi galleggianti. Al disotto del livello del lago, le osservazioni degli speleosub (fino a circa 100 m di profondità) e le immagini delle telecamere del ROV (Remote Operated Vehicle) hanno permesso di constatare che il pozzo prosegue; scendendo dapprima verticalmente, poi con un’inclinazione di circa 70°, prima verso WNW, poi verso NE; la sezione si stringe gradualmente fino a un diametro di circa 5 m a 40 m di profondità dalla superficie d’acqua. Sulle pareti, bianche e levigate, a tratti ricoperte da sottili strati di ossidi ferrosi di colore rossastro, si notano per i primi 30 m tracce di intensa erosione, con formazione di diaframmi calcarei che separano dal condotto principale alcune cavità secondarie, le maggiori delle quali a circa 30 e 60 m di profondità. Sono presenti numerosi arrivi di condotti carsici e camini in parte percorribili, ed un meandro di dimensioni notevoli a –160. Tutte le diramazioni esplorate si sono rivelate a fondo chiuso. Il condotto continua a scendere con le stesse caratteristiche, con larghezza variabile ma mediamente intorno ai 4-5 m, con un’alternarsi di restringimenti e zone più larghe, fino al fondo, a –392 dallo specchio d’acqua; qui l’ambiente, con il pavimento pianeggiante e coperto di sedimenti limosi rossastri, è largo tra i 10 e i 20 m; è stata vista una prosecuzione laterale orizzontale, non percorsa.

Stato dell’ambiente Negli anni ‘70 l’ACEA, con l’intento di realizzare la captazione delle acque, ha attrezzato la voragine iniziale con scale in muratura seguite da una scaletta in ferro e con un binario metallico sopraelevato utilizzato per il trasporto di materiali fino al lago. Le recenti esplorazioni subacquee, realizzate con il supporto dei VV.FF. e l’uso di apparecchiature ROV, hanno richiesto l’installazione di piattaforme in legno, tubi metallici, passerelle con corrimano a varie quote nella parte subaerea e attrezzature specifiche per le manovre dei cavi. Nella parte sommersa sono state lasciate in posto numerose sagole e cime guida utilizzate per le immersioni e per le manovre (dal 1998 al 2002 si può stimare un numero di immersioni speleosubacquee compreso fra 50 e 100 ingressi). All’interno del condotto sommerso si incontrano detriti e oggetti di vario genere caduti dall’alto.

Grotta di Fossavota Dati catastali altro nome:Vulcanetto 293 La - comune: Sant’Angelo Romano (RM) - località: Poggio Cesi - quota 345 m carta IGM 1:25000: 144 II SO Palombara Sabina - coordinate: 0°16’40”7 (12°43’49”1) 42°02’06”6 carta CTR 1:10000: 366 130 Montecelio - coordinate: 2.332.110 - 4.656.240 dislivello: -31 - sviluppo planimetrico: 95 m Area protetta di riferimento: SIC IT6030015 “Macchia di Sant’Angelo Romano”

Itinerario Da Montecelio si prende la strada per Sant’Angelo Romano. Dopo circa 2 km, arrivati in corrispondenza della valle fra i rilievi di Montecelio e Poggio Cesi, si prende una strada sterrata a destra e la si percorre per 500 m fino a trovare, sulla destra, un cancello chiuso da cui parte una strada sterrata in salita per il Monte dell’Orazione (Poggio Cesi). La strada si trova all’interno di una proprietà privata con divieto di accesso; si deve quindi lasciare la macchina. Si risale lungo la strada, che segue una “Via Crucis”; subito dopo la VII stazione, ad un bivio si gira a sinistra e si arriva ad un passo; quindi si attraversano dei campi a sinistra fino ad arrivare alla base di una paretina. La si segue verso destra (est) per circa 50 m. L’ingresso si apre sotto la parete di roccia, evidenziato da una estesa macchia nera dovuta ai vapori emessi dalla grotta. Sulla destra dopo 10 m c’è un’altra apertura di più facile accesso da cui si scende (20 minuti di cammino).

Descrizione La grotta si apre con due ingressi, entrambi a pozzo, distanti fra loro una decina di metri. Il principale (punto 1) è largo 4x2 m e scende a gradoni per 7 m. Il secondo ingresso (punto 2), posto 2 m più in basso, è largo 1x0,5 m. e profondo 3 m. Alla base parte una galleria discendente a scivolo, con fango, guano e massi di crollo, larga 4 m ed alta fino a 15 m. La grotta è impostata interamente su un piano di faglia orientato NE-SW. Dopo 60 m, arrivati al punto più basso (punto 6, -31) la galleria risale per 25 m più ripida e più stretta, con grandi massi incastrati fra le pareti, fino ad una frana di grandi blocchi (punto 9) che chiude quasi completamente il passaggio. Superando una strettoia tra i massi si accede ad un ultimo tratto di galleria (punto 10) lungo una trentina di metri. La grotta è asciutta. Nel periodo invernale, una violenta corrente di aria calda proviene dalle fessure tra i blocchi che formano il pavimento della galleria e fuoriesce dagli ingressi. La temperatura nell’interno della cavità, misurata nel 1972, è risultata di 18,9°C (TROVATO, 1975; CAMPONESCHI & NOLASCO, 1980); alla fine del XIX secolo KELLER (1897) aveva misurato una temperatura costante di 20,5°C.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata nel 1962, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Non sono percepibili alterazioni dello stato dell’ambiente.

Note tecniche P7 dell’ingresso principale (corda 15 m). Superata la strettoia fra i blocchi, si traversa (punto 10) per 4 m lungo la galleria utilizzando 10 m di corda.

Note tecniche Un comodo sentiero scalinato conduce fino a 20 m sopra la superficie del lago; Una vecchia scala a pioli in ferro permette di scendere l’ultimo tratto. Il condotto sommerso è esplorabile con attrezzature speleosubacquee.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 23 settembre 1928 dal CSR. Negli anni ‘70 l’ACEA, con l’intento di realizzare una captazione delle acque, ha attrezzato la voragine iniziale con scalette in muratura e un binario sopraelevato per il trasporto di materiali, che giunge fino al lago. Alcuni studi sono stati compiuti dall’ACEA a partire dal 1973 con la collaborazione del GS CAI Roma, in concomitanza con lo studio del vicino Pozzo Sventatore. Nel 1998, nell’ambito di un programma di ricerca condotto dall’Istituto di Scienze della Terra dell’Università “La Sapienza” di Roma e con l’appoggio logistico dei Vigili del Fuoco, due subacquei, G. Caramanna e R. Malatesta, si sono immersi nel lago raggiungendo la profondità di 70 m. Nel 1999 un’altra serie di immersioni ha consentito di raggiungere la profondità di 100 m dalla superficie dello specchio d’acqua. Dopo aver constatato che la cavità prosegue in profondità, nei mesi di febbraio ed aprile 2000 è stato calato nella voragine un R.O.V. in dotazione al Nucleo Sommozzatori dei VV.FF. di Roma, che ha raggiunto i 200 metri, e successivamente un R.O.V. di altro tipo in dotazione ai VV.FF. di Grosseto, che ha potuto raggiungere i 310 metri, ma senza toccare il fondo. Nel marzo 2002 un’altra serie di immersioni di un R.O.V. in dotazione ai VV.FF. di Milano, con il supporto del Dipartimento di Scienze della Terra della III Università di Roma, ha permesso di toccare il fondo, a 392 metri dallo specchio d’acqua. Le immagini delle telecamere dei ROV hanno consentito di ricostruire l’andamento della cavità.

Bibliografia ABBATE, 1894; BONO ET ALII, 1999; BUTTINI, 1896; CAMPONESCHI & NOLASCO, 1980; CARAMANNA, 2001A; CARAMANNA, 2001b; CARAMANNA, 2002; CARAMANNA, 2003; CASALE ET ALII, 1963; CERRUTI, 1954; CHIOCCHINI ET ALII, 1975; DOLCI, 1965; GIARDINI ET ALII, 2001; GUZZARDI, 1974a; KELLER, 1895; MALATESTA, 1999; MANFREDINI, 1951; RICCI M., 1977a; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1956; SEGRE, 1958; TERRENZI, 1889; TUCCIMEI, 1887.

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Storia delle esplorazioni Esplorata il 2 dicembre 1962 dal CSR (M. Trapper, V. Sbordoni ed altri).

Bibliografia CAMPONESCHI & NOLASCO, 1980; DOLCI, 1967; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1995b; KELLER, 1897; PONZI, 1862; RICCI M., 1977a; SEGRE, 1948a; TROVATO, 1975.

Sventatoio di Poggio Cesi: frammenti di ceramica rinvenuti alla base del P11 (foto

G. Albamonte)

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Sventatoio di Poggio Cesi

reperti archeologici, iniziandone lo studio. In seguito U. Randoli, C. Fortunato, M. Pappalardo, Maria Luisa Battiato e L. La Scala allargavano il cunicolo e completavano l’esplorazione.

Bibliografia Dati catastali 374 La - comune: Sant’Angelo Romano (RM) - località: Poggio Cesi - quota: 350 m carta IGM 1:25000: 144 II SO Palombara Sabina - coordinate: 0°16’38”6 (12°43’47”) 42°02’03”6 carta CTR 1:10000: 366 130 Montecelio - coordinate: 2.332.150 - 4.656.150 dislivello: - 88 m - sviluppo planimetrico: 150 m Area protetta di riferimento: SIC IT6030015 “Macchia di Sant’Angelo Romano”

ALBAMONTE & BELLI, 1985; CAMPONESCHI & NOLASCO, 1980; CASALE ET ALII, 1963; DOLCI, 1968; GERMANI, 1984A; GERMANI, 1986; GUIDI & PIPERNO, 1992; MANISCALCO, 1963; NOTARI, 1985; NOTARI, 1988; RICCI M., 1977a; TROVATO, 1975.

Cavità dell’Elefante

Itinerario Da Montecelio si prende la strada per Sant’Angelo Romano. Dopo circa 2 km, arrivati in corrispondenza della valle fra i rilievi di Montecelio e Poggio Cesi, si prende una strada sterrata a destra e la si percorre per 500 m fino a trovare, sulla destra, un cancello chiuso da cui parte una strada sterrata in salita per il Monte dell’Orazione (Poggio Cesi). La strada si trova all’interno di una proprietà privata con divieto di accesso; si deve quindi lasciare la macchina. Si risale lungo la strada, che segue una “Via Crucis”; subito dopo la VII stazione, ad un bivio si gira a sinistra e si arriva ad un passo. Gli ingressi della grotta si aprono sotto la paretina di roccia subito a sud del passo, a meno di 10 m (20 minuti di cammino).

Descrizione (di Umberto Randoli) La grotta ha due ingressi distanti fra loro una dozzina di metri. L’imbocco principale (punto 1) è un foro tra i massi di una frana, alto 2 m e largo 1,5 m, che immette in un pozzo di 7 m. Si atterra (punto 2) su una frattura larga un paio di metri, percorribile per circa 10 m. Alla base della discesa si trova una strettoia ad “L” nella frana, che conduce ad un piccolo ambiente. Si scende un saltino di 6 m e si esce dalla frana. Poi uno scivolo (punto 3) porta alla partenza di un pozzo profondo 11 m. Dallo scivolo iniziano anche ambienti che si collegano con un altro pozzo agli ambienti sottostanti. La grotta prosegue con un cunicolo che consente di bypassare la frana che ha ostruito la parte superiore della frattura. Dopo pochi metri il cunicolo sbuca (punto 6) in un pozzo di 22 m, stretto e allungato, leggermente inclinato, che si allarga lievemente scendendo. Si atterra in una frattura (punto 7). Andando verso NE si scende, senza necessità di corde, un ripido scivolo profondo 25 m, fino a passaggi impraticabili (fondo, punto 9, -88). Andando, invece, verso SW si scende un saltino di 8 m, dalla cui base si possono risalire stretti cunicoli, che in breve diventano impercorribili. Nella grotta, in particolare nella saletta sotto il P11, sono stati rinvenuti in gran quantità frammenti di ceramica che sono stati datati all’età del Bronzo, alcuni dei quali decorati con motivi geometrici, oltre a una lama di pugnale, spille e monili, e vari frammenti di ossa di animali. Il lavoro di scavo e catalogazione dei reperti è stato effettuato dal GS CAI Roma in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica. La temperatura misurata negli ambienti superiori della cavità è risultata di 18,9°C (TROVATO, 1975). Nel periodo freddo dalla grotta fuoriesce aria calda che simula una fumata (CAMPONESCHI & NOLASCO, 1980).

Stato dell’ambiente La grotta è nota fin da tempi storici, come dimostrato dal rinvenimento di oggetti risalenti all’età del Bronzo. Esplorata dagli speleologi a partire dal 1962, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Ad esclusione dei modesti lavori di scavo per l’allargamento dei passaggi in frana e per l’indagine archeologica, la morfologia della grotta non ha subito modifiche. Lungo il percorso si rinvengono frammenti di ossa animali.

Note tecniche P7 d’ingresso, P6, scivolo, P11, P22, biforcazione (punto 7). Ramo verso SW: P8. Ramo verso NE: scivolo di 25 m (arrampicabile, corda non necessaria), fondo (-88).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 14 gennaio 1962 dallo SCR (C. Casale, G. Pasquini e R. Pastina) fino alla prima saletta. Le esplorazioni più recenti sono state realizzate dal GS CAI Roma. Nel 1976 Maria Grazia Lobba e F. Ardito allargavano la fessura alla base della saletta, discendendo il P11. Nel novembre 1983 G. Albamonte, Luana Belli, V. Gambini, C. Germani, Orietta Notari Palma e Federica Ricci ritrovavano i

Dati catastali 1255 La - comune: Guidonia-Montecelio (RM) - località: Casacalda, Colle Largo - quota grotta: 97 m - quota tunnel: 100 m carta IGM 1:25000 : 144 II SO Palombara Sabina – coordinate grotta: 0°16’51”5 (12°43’59”9)42°00’03”5 carta IGM 1:25000 : 144 II SO Palombara Sabina – coordinate tunnel: 0°16’54”0 (12°44’02”4) - 42°00’01”0 carta CTR 1:10000 Montecelio:366.130 – coordinate grotta: 2.332.320 - 4.652.460 carta CTR 1:10000 Montecelio:366.130 – coordinate tunnel: 2.332.410 - 4.652.340 dislivello: - 20 m - sviluppo planimetrico: 125 m

Itinerario Da Guidonia, si raggiunge l’aeroporto e se ne costeggia il recinto, quindi si svolta per via Donizetti. Si lascia la macchina appena imboccata la via, davanti alla vecchia fornace che sovrasta un tunnel, ben visibile a sinistra. Pochi metri più su lungo la via, subito prima di una tettoia, si prende un sentiero che sale a sinistra. Il sentiero passa sopra la parete della fornace, proseguendo in piano. Dopo una ventina di metri si lascia il sentiero principale, che continua in salita a destra, e si continua a procedere per un sentierino in quota; dopo altri 30 m si lascia questo sentierino, superando un filo spinato a sinistra. Si scende nel prato e dopo meno di 50 m si arriva all’ingresso del tunnel artificiale, infossato nella folta vegetazione. Si tratta di un tunnel - rifugio antiaereo scavato durante la II guerra mondiale (5 minuti di cammino).

Descrizione Gli ingressi della grotta si trovano all’interno del tunnel artificiale (alto e largo 2,5 m) scavato nel calcare maiolica con fitta stratificazione quasi verticale (N60°W, 80°NE), a 140 m dall’ingresso del tunnel. I due pozzetti di accesso, così come tutta la grotta, sono impostati su una frattura orientata N50°E che interseca la galleria artificiale, ai lati della quale si aprono. L’ingresso sulla sinistra del tunnel (punto A), in basso, è un pozzo con l’imbocco stretto (40 cm), profondo 7 m. Sulle pareti e alla base del pozzo sono presenti numerose concrezioni a cavolfiore, caratteristica costante di tutta la cavità. Si procede quindi in opposizione superando una lama di roccia e risalendo un breve dosso sabbioso per giungere in un passaggio completamente ricoperto di concrezioni. Scendendo nella spaccatura si arriva subito su un pozzo profondo 10 m, stretto soltanto nella parte iniziale. Il pozzo immette nel mezzo di una galleria; alla base (punto C) spiccano due enormi stalattiti ricoperte da minuti cristalli a rosetta (“la Proboscide”). La galleria, circa orizzontale, può essere percorsa nelle due direzioni. Il tratto verso SW,

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lungo una cinquantina di metri, inizia con una spaccatura allagata con acqua profonda oltre 5 m, superabile in opposizione, e prosegue per circa 20 m, riccamente concrezionata, fino ad un saltino, alla base del quale si trova una pozza d’acqua (probabilmente è l’affioramento della falda idrica). Dopo una decina di metri una breve risalita, superabile in opposizione, immette (punto E) in un secondo saltino e nella saletta terminale. Nel tratto dal punto C verso NE, lungo anch’esso circa 50 m, si cammina tra dossi sabbiosi e avvallamenti con pozze d’acqua e una spaccatura allagata con acqua profonda 3 m, superabile in opposizione. La galleria termina (punto D) con una fessura impraticabile in parte allagata, da cui proviene l’acqua. Il secondo ingresso della grotta è sulla destra del tunnel. Si risalgono un paio di metri e quindi si scende nella spaccatura, senza corda ma con un passaggio un po’ stretto, fino a raggiungere la galleria orizzontale nel tratto di NE (tratto non rilevato). Per quanto riguarda le correnti d’aria, durante una visita nel marzo 1999, si osservava che l’aria fredda entrava dall’ingresso sulla destra del tunnel, scendeva fino alla galleria di fondo, per risalire lungo il P10 e il P7 ed uscire piĂš calda dall’ingresso sulla sinistra del tunnel. Dalla fessura terminale del ramo di NE, nel periodo invernale, proviene una sensibile corrente d’aria.

I MONTI PRENESTINI

Pozzo della Ventrosa Dati catastali 281 La - comune: San Gregorio Da Sassola (RM) - localitĂ : tra Colle Tronetta e Colle Ventrosa - quota: 945 m carta IGM 1:25000: 150 I NE Castelmadama - coordinate: 0°27’35â€?6 (12°54’44â€?)- 41°56’07â€?7 carta CTR 1:10000: 375 070 San Gregorio da Sassola - coordinate: 2.346.920 - 4.644.800 dislivello: - 59 m - sviluppo planimetrico: 38 m

Itinerario Da Tivoli si prende la strada per San Gregorio da Sassola. Poco prima di entrare in paese, ad un bivio prima di un ponte che attraversa la valle, si prende la strada a sinistra per il Convento di Santa Maria Nuova. Percorsi 1,1 km si arriva alla confluenza di cinque strade; si prosegue dritto sulla strada asfaltata per 500 m circa, fino ad uno sbarramento costituito da un cancello, generalmente chiuso. Superato il cancello, si prosegue per la strada, dapprima asfaltata, poi sterrata, per 5,5 km giungendo cosĂŹ ad un bivio; qui si gira a destra e si percorrono ancora 1,6 km di strada sterrata, fino a notare sulla sinistra il recinto che racchiude la grotta, presso la quale si trova anche una lapide in memoria di una speleologa deceduta nel 1961 precipitando nel pozzo.

Stato dell’ambiente

Descrizione (di Pier Leonida Orsini)

La parte sommitale della fessura che costituisce la grotta è stata intercettata durante i lavori di scavo del tunnel. Ancora oggi l’accesso alla grotta avviene obbligatoriamente attraverso il tunnel artificiale (il cui imbocco è ingombro di rifiuti), ormai abbandonato e facilmente accessibile. A partire dal 1992, anno della scoperta da parte degli speleologi, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Un’analisi delle acque, effettuata nel 1995 (GSGM), ha rilevato un inquinamento microbiologico, che appare scontato, data la localizzazione prettamente urbana della cavitĂ .

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Al bordo della strada, recintato, si apre il pozzo iniziale, profondo 20 m, con imbocco di forma ellissoidale con lunghezza degli assi rispettivamente di 1,5 m e 2 m. Dopo circa 5 m di discesa un grosso masso incastrato fra le pareti rimane a lato della linea di calata. La parete nord del pozzo è coperta da uno strato di muschio per almeno 10-15 m di verticale. Dalla base del P20 si prosegue in uno scivolo (punti 2-6) che supera un dislivello di 18 m con inclinazione massima di 65°. Il pavimento dello scivolo è coperto da uno strato di fango e vegetazione e da rifiuti, la forma è quella classica a canyon, leggermente svasata verso l’alto. La volta si trova ad altezze dal fondo variabili tra circa 3 e 10 m. Allo scivolo segue il P16 finale. La sala alla base di questo pozzo ha una forma allungata e pavimento in pendenza verso SE mentre verso NW si stende quasi in piano. Il fondo della sala è letteralmente tappezzato di rifiuti e di ossa. L’altezza della sala supera in alcuni punti il dislivello del P16, mettendo cosĂŹ in collegamento il soffitto con la parte superiore del meandro (scivolo). Verso SW il pendio conduce ad un portale alto 1,6 m oltre il quale si trova una piccola sala dal fondo completamente allagato (-59); dall’alto un camino si immette nella saletta. Gli strati, misurati sia nella sala terminale che lungo lo scivolo, sono inclinati di 35-40° verso SW. Tutta la grotta sembra impostata essenzialmente su due fratture, una in direzione appenninica e l’altra, quella dello scivolo, ad essa perpendicolare. La grotta è abbastanza concrezionata con crostoni sulle pareti, soprattutto nell’ultimo tratto. E’ stata notata una colonia di chirotteri ed altri animali (insetti).

Note tecniche P7 d’ingresso (corda 10 m), P10 (corda 15 m), entrambi su ancoraggi naturali, fondo (-20).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1992 dal GSGM (F. Bufalieri, L. Castaldi, M. Biagi, C. Idrissi).

Bibliografia BUFALIERI, 1997; MECCHIA G., 1996.

Stato dell’ambiente

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 150 Roma e F. 151 Alatri 7

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angolo NW = 0°23’ - 41°59’ angolo SE = 0°33’ - 41°49’

La grotta, esplorata nel 1955, è stata oggetto fino ad oggi di scarsa frequentazione, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Nello scivolo a metĂ grotta e nella saletta di fondo si trovano rifiuti e bidoni di latta, evidentemente gettati dall’esterno.

Note tecniche P20 d’ingresso (corda 30 m), scivolo (corda 35 m), P16 (corda 25 m), fondo (-59).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 4 settembre 1955 dal CSR (Catalani, Marcello Chimenti e C. Ranieri).

Bibliografia AGOSTINI, 1989; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958a; DOLCI, 1967; MANISCALCO, 1963; NEGRETTI, 1960; ROSA & BERGAMELLI, 1995; SCOTONI, 1971.


Pozzo 2° della Mentorella Dati catastali 489 La - comune: Capranica Prenestina (RM) - località: Santuario della Mentorella - quota: 1025 m carta IGM 1:25000: 150 I NE Castelmadama - coordinate: 0°28’52”9 (12°56’01”3) - 41°55’15”4 carta CTR 1:10000: 375 080 Pisoniano - coordinate: 2.348.650 - 4.643.140 dislivello: -53 m - sviluppo planimetrico: 24 m Area protetta di riferimento: SIC IT6030035 “Monte Guadagnolo”

Itinerario Da Capranica Prenestina si prende la strada per Guadagnolo; dopo circa 9 km si prende la strada sulla sinistra che porta al Santuario della Mentorella. La si percorre per 1,2 km; sull’ultimo tornante prima di arrivare al santuario è stato realizzato un piazzale adibito a parcheggio. L’ingresso del pozzo si trova su un lato del piazzale, ed è stato chiuso con un muretto circolare e una grata; la chiave del lucchetto che chiude la grata è affidata ai frati del Santuario, ai quali occorre chiedere il permesso per accedere alla grotta.

Descrizione Il pozzo iniziale, profondo 13 m, ha un piccolo imbocco (60x80 cm). Sul fondo della saletta situata alla base del salto, un altro foro immette in un pozzo di 22 m chiuso alla base da un accumulo di materiali di crollo. A 10 m di altezza dalla base del P22 si trova una stretta finestra che comunica

con un pozzo parallelo in prossimità della sua volta (punto 3). Il pozzo, profondo 28 m, è franoso e fangoso. Il fondo è occupato da un caos di blocchi; un rigagnolo di acqua si perde in un cunicolo impraticabile (punto 7, -53). La cavità si sviluppa su due fratture ortogonali orientate rispettivamente verso NE e verso NW. Gli strati sono inclinati di 15-20° verso E.

Stato dell’ambiente La grotta è stata esplorata nel 1968; alcuni anni più tardi, la realizzazione di un piazzale di parcheggio a servizio del vicino santuario ha comportato la chiusura dell’imbocco, prima con massi, e attualmente mediante un muretto e una grata. Probabilmente tali lavori hanno comportato l’utilizzo della cavità come discarica di materiali da costruzione. Conseguentemente la grotta è stata scarsamente frequentata dagli speleologi, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200.

Note tecniche P13 (chiuso con grata), P22 da scendere fino a 10 m dalla base, entrando tramite una finestra nel P 28 conclusivo, fondo (-53).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 7 aprile 1968 dall’ASR (M. Boccitto, P. Befani, A. Moretti).

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; AGOSTINI, 1989; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969b; SCOTONI, 1971.

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Il Santuario della Mentorella a Guadagnolo, su uno sperone calcareo lungo il versante orientale dei Monti Prenestini (foto G. Mecchia)

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Ainate

dalla quale partono due cunicoli: il primo stringe quasi subito, mentre il secondo dopo pochi metri è ostruito da una frana.

Stato dell’ambiente altro nome: Risorgenza della Frana; Risorgenza Rapiglia 97 La - comune: Pisoniano (RM) - località: Valle Rapiglia - quota: 525 m carta IGM 1:25000: 150 I SE Palestrina - coordinate: 0°29’42” (12°56’50”4) - 41°54’45” carta CTR 1:10000: 375 080 Pisoniano - coordinate: 2.349.760 4.642.180 dislivello: +8/-11 m - sviluppo planimetrico: 210 m

Il primo tratto della risorgenza, percorso già nel 1931, è stato oggetto di diverse centinaia di visite speleologiche. Testimonianza della conoscenza e utilizzo della grotta da parte della popolazione locale è la presenza nella galleria di un tubo servito probabilmente per captare l’acqua dal primo sifone perenne; un cavetto d’acciaio accompagna il tubo per tutta la lunghezza della grotta. Complessivamente, anche grazie all’azione dilavante delle acque, la grotta non presenta particolari elementi di degrado ambientale.

Itinerario

Note tecniche

Dati catastali

Da Tivoli o dal casello di Castelmadama della A24 Roma-L’Aquila, si prende la S.P. Empolitana in direzione di Pisoniano. Superato il bivio per Cerreto Laziale, dopo 2 km (nella piana sottostante il paese di Pisoniano) si devia a destra per la strada bianca (via Contrada Cammarari) che costeggia il Fosso Cataldo. Si prosegue dritti per 1250 m; raggiunto un bivio, si gira a destra, si attraversa un ponte e si prosegue dritti per altri 70 m fino ad uno spiazzo erboso, dove si lascia la macchina. Si imbocca la carrareccia che volge a sinistra (verso SW) e dopo circa 200 m, attraversati due fossi, la si lascia prima di una curva a sinistra, prendendo verso destra una traccia di sentiero. Dopo una cinquantina di metri si entra nel bosco e si prosegue risalendo decisamente il versante. Superato un dislivello di 50 m, si raggiunge una paretina rocciosa; la si aggira sulla destra fino ad imboccare un canalone, che si deve risalire per 30 m di dislivello, fino all’ingresso della grotta, che si apre tra i massi, ai piedi di una parete alla testata del canalone (30 minuti di cammino).

Non sono necessarie attrezzature fino ai sifoni permanenti.

Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente nel 1931 dal CSR, che trovò un sifone a 40 m dall’ingresso. Il sifone fu trovato aperto il 6 settembre 1975 dall’ASR (S. Agostini, Milvia Conti, A. Parboni); gli esploratori proseguirono fino al primo sifone perenne. Quest’ultimo è stato successivamente forzato negli anni ‘80 con attrezzatura subacquea da L. Ciocca e M. Diana, che hanno raggiunto un secondo sifone. L. Russo e C. Giudici nel 1988 hanno percorso il secondo sifone fino all’attuale fondo.

Bibliografia ABBATE, 1984; AGOSTINI. 1989; DOLCI, 1966; MANCINI, 1997; NOTARI, 1988; SCOTONI, 1971; SEGRE, 1948a.

Descrizione

Fossa Ampilla

Si tratta di una risorgenza di troppo pieno, che emette dall’ingresso solo raramente. In queste occasioni l’intera grotta si allaga completamente.

LA GALLERIA INIZIALE Il foro di accesso ha un diametro di 50 cm. Si striscia tra grandi massi di frana per una decina di metri; diversi passaggi consentono di superare la frana e raggiungere una galleria con sezione tondeggiante, lunga una cinquantina di metri in direzione SW. La galleria è larga 2 m, alta poco di meno e con alcuni concrezionamenti. Poi la grotta scende con uno scivolo, la volta si abbassa fino a poco più di un metro e le pareti si avvicinano fino ad un metro. Dal punto più basso il condotto cambia bruscamente direzione (verso NW) e risale. In questo breve tratto l’acqua a volte ristagna formando un sifone. Quindi la grotta riprende la direzione iniziale (SW) e la morfologia cambia sensibilmente: si cammina tra due pareti lisce e coperte da veli di concrezione, inclinate di 60-70° verso SE (strati?). La galleria, larga 1-2 m e alta mediamente 2 m, assume un andamento a saliscendi, tra varie pozze e sporadiche concrezioni. Dopo una novantina di metri, in corrispondenza di un altro brusco cambio di direzione (ora verso N), si scende in un altro sifone temporaneo (punto 16), alto 1 m e largo 2 m, e si risale fino ad una cascatella alta 2 m (punto 18). Fin qui, la grotta è percorribile in un quarto d’ora. I SIFONI PERENNI (INFORMAZIONI DI LIVIO RUSSO) Risalita la cascatella, ci si trova davanti ad uno specchio d’acqua. Il lago-sifone (perenne) è stato superato dagli speleosubacquei; si scende in un condotto molto inclinato, con sezione circolare di 1,5 m di diametro, fino alla profondità di 7 m, per poi risalire in un ripido condotto fino a riemergere in una galleria alta 2 m e larga 1,5 m. Percorsi una decina di metri si arriva in una saletta con alla base un secondo lago-sifone (punto 20), del diametro di 2 m. Alla profondità di 8 m sotto lo specchio d’acqua, gli speleosub hanno osservato una finestrella impraticabile, dietro la quale si scorgono ambienti più larghi. Proseguendo verso il basso è stata raggiunta la profondità di 19 m, arrivando in una saletta (punto 21, -11)

143 Dati catastali 50 La - comune: Rocca di Cave (RM) - località: Punta Carpigna - quota 760 m carta IGM 1:25000: 151 IV SO Olevano Romano - coordinate: 0°30’20”4 (12°57’28”4)- 41°50’48”2 carta CTR 1:10000: 375 160 Cave - coordinate: 2.350.470 - 4.634.840 dislivello: -61 m

Itinerario Da Rocca di Cave si prende la strada per Capranica Prenestina. Dopo 500 m ad un bivio si imbocca una buona strada bianca a destra. La si segue per 500 m fino ad un incrocio con una strada bianca a sinistra (indicazione per il “tiro al volo”), dove si lascia la macchina. Si scende lungo quest’ultima strada, in condizioni non buone, finché non diventa sentiero, proprio nei pressi dell’evidentissimo enorme ingresso della cavità (10 minuti di cammino).

Descrizione L’imbocco della voragine a piano campagna ha un’ampiezza di 150x80 m; il suo bordo, articolato e con notevoli differenze di quota, è circondato da una folta vegetazione di alberi e felci. Il pozzo ha una parete rocciosa più alta e verticale, di circa 90 m, ed una più bassa di 43 m. Giunti sopra a quest’ultima (punto 1) con un comodo sentiero, si può attrezzare la calata dal bordo inferiore, scendendo la parete prima molto ripida con alberi e terra (molto scivolosa se bagnata), poi (punto 5) verticale per gli ultimi 25 m. Il fondo del pozzo (40x45 m) è costituito da un conoide detritico prevalentemente terroso, che inizia ripido (40°) nella parte sommitale per poi coricarsi gradualmente fino a giungere alla base della parete opposta. Il conoide è ricoperto da fitta vegetazione; sono presenti anche due alberi ad alto fusto.


Alla base della parete piÚ alta, cioè alla fine del conoide, si apre una grande caverna alta fino a 10 m, larga 40 m ed estesa orizzontalmente 20 m. Il fondo della caverna è rappresentato da un perfetto piano orizzontale terroso, originato da allagamenti. Nel punto piÚ interno si trova un piccolo cunicolo-inghiottitoio, quasi colmato da un riempimento di terra (-61).

Note tecniche

Stato dell’ambiente

Viene descritta da Girolamo Senni di Palestrina nelle “Memorie di Genazzano e de’ vicini paesiâ€? del 1838; l’Autore accenna anche alla presenza di “latte di monteâ€? all’interno della cavitĂ , ma non è chiaro se vi sia disceso. L’Abbate la cita nella sua “Guida alla Provincia di Romaâ€? del 1894. Fu esplorata speleologicamente nel 1926 dal CSR.

La voragine è ovviamente nota fin da tempi remoti; tuttavia, essendo possibile discenderla solo con corde, l’accesso è stato sostanzialmente limitato agli speleologi che, nel corso del XX secolo, la hanno scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visite probabilmente non superiore a 200. Al suo interno non si osservano tracce di degrado.

LA MEDIA VALLE DELL’ANIENE

Dal bordo inferiore si scende un pozzo unico di 43 m (corda 60 m); si fraziona la discesa usando alcuni alberelli presenti lungo il pendio.

Storia delle esplorazioni

Bibliografia ABBATE, 1894; AGOSTINI, 1989; DOLCI, 1965; KELLER, 1895; SCOTONI, 1971; SENNI, 1838; SEGRE, 1948A; SEGRE, 1951a.

144

Monti Ruffi: campo chiuso sul versante orientale (foto M. Mecchia)

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 144 Palombara Sabina, F. 145 Avezzano, F. 150 Roma e F. 151 Alatri

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1 = Pozzo di Cerreto 2 = Pozzo di Cineto Romano 3 = Chiavica di Arsoli

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angolo NW = 0°27’ - 42°05’ angolo SE = 0°36’ - 41°55’


Pozzo di Cerreto Dati catastali altro nome: Pozzo Noce; Pozzo Fossicchi 95 La - comune: Cerreto Laziale (RM) - località: versante SW Colle Sacrestia - quota: 695 m carta IGM 1:25000: 151 IV NO Gerano - coordinate: 0°30’33”2 (12°57’41”6) - 41°58’02”0 carta CTR 1:10000: 375 040 Ciciliano - coordinate: 2.351.080 4.648.230 dislivello: -48 m - sviluppo planimetrico: 70 m Area protetta di riferimento: SIC IT6030037 “Monti Ruffi”

Itinerario Dalla Piazza Monte Ruffo di Cerreto Laziale si prende la strada, in cemento per i primi metri, poi sterrata, che porta all’Ara delle Valli. Superato il primo tornante, si lascia la macchina e si imbocca sulla sinistra un sentiero segnato con vecchi segni rossi, ma ben visibile, che procede salendo a mezza costa fino alla quota di 660 m, poi scende leggermente attraversando cinque incisioni torrentizie profondamente incise nella roccia calcarea. Dopo aver superato il quinto fosso, sulla sinistra, pochi metri più in alto, si apre la voragine (20 minuti di cammino).

Descrizione E’ una spettacolare “dolina di crollo” di forma tondeggiante, condizionata da faglie con direzione NNE, che si apre a metà versante, a fianco di un solco torrentizio molto inciso. L’imbocco è tondeggiante con diametro medio di 25 m e immette in una grande caverna (70x50 m). Sul

bordo SW del perimetro di imbocco si trova la più breve via di accesso, una verticale di 15 m (punto 1). L’orlo NE della “dolina”, 25 m più alto, è costituito da una parete di circa 30 m, al disotto della quale si sviluppa la cavità. Sul fondo della caverna, ingombro di massi di crollo, un accumulo detritico cementato e ricoperto da vegetazione forma una dorsale allungata che attraversa tutta la sala in direzione NE, con ripide discese sui due lati, per un dislivello di circa 30 m sul pendio orientale (punto 8, -48). De Angelis D’Ossat nel 1898 descrisse l’imbocco, attribuendogli un diametro di 6-8 m. Sembrerebbe quindi che un successivo crollo, avvenuto prima del 1948, abbia allargato la voragine.

Stato dell’ambiente Si ha testimonianza di una frequentazione della voragine già in tempi remoti. Scarsa è stata la presenza speleologica che, a partire dal 1941, ha visto un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. La grotta non presenta alterazioni ambientali di rilievo.

Note tecniche Dall’orlo basso si scende un P15 (corda 20 m), con ancoraggio su alberi.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre; si narra che i pastori scendessero il pozzo aiutandosi con gli alberi che crescono lungo la parete. La prima discesa documentata è di L. Colombo, nel 1941.

Bibliografia AGOSTINI, 1989; BOMBARDIERI & VECCHIO, 1998; COLOMBO, 1941; DE ANGELIS D’OSSAT, 1898; DOLCI, 1966; PALMIERI, 1863; SEGRE, 1948a.

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Stralcio della carta di G. Petroschi (1767) in cui è indicato il Pozzo di Cineto Romano, nei pressi del paese di Scarpa


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Pozzo di Cineto Romano Dati catastali altri nomi: Bocca o Buca di Pozzo 51 La - comune: Cineto Romano (RM) - localitĂ : in paese - quota: 530 m carta IGM 1:25000: 145 III SO Arsoli - coordinate: 0°30’33â€?0 (12°57’41â€?4) - 42°03’00â€?2 carta CTR 1:10000: 366 120 Vallinfreda - coordinate: 2.351.275 - 4.657.420 dislivello: -58 m - sviluppo planimetrico: 17 m

Itinerario Entrati a Cineto dalla strada provinciale proveniente dalla SS 6 Tiburtina si supera una piazzetta con un monumento al centro. Al bivio immediatamente successivo si svolta a sinistra; dopo 300 m, ad un altro bivio, si gira a destra; dopo altri 400 m ad un altro bivio si svolta a sinistra per una strada in salita. Dopo circa 50 m c’è un fontanile, e poco dopo, ad un incrocio con Via Fermo Melloni, si lascia la macchina. L’ingresso del pozzo è nel prato a destra, a 5 m dalla strada, ed è chiuso da una grata. Per l’accesso è necessario contattare il Comune di Cineto Romano.

Descrizione Il pozzo è impostato su una frattura diretta NNE-SSW. L’ingresso, di forma circolare di 3 m di diametro, è circondato da un muretto e chiuso con una grata. Il pozzo si allarga progressivamente verso il basso; con un salto verticale di 51 m si giunge alla sommitĂ di uno scivolo detritico lungo 20 m, che scende fino alla profonditĂ di 58 m.

Stato dell’ambiente La grotta, situata all’interno del paese, è certamente nota da tempi lontanissimi. Nel passato è stata utilizzata per lo scarico di materiali di cava, di rifiuti e di carogne di animali. Nonostante l’imbocco sia impedito da una grata, il pozzo continua ad essere usato come “discaricaâ€?. La frequentazione speleologica è stata molto modesta, con un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina.

Note tecniche Pozzo unico profondo 51 m (corda 65 m).

Storia delle esplorazioni E’ citato da Revillas che lo indica nella sua carta della diocesi di Tivoli del 1739 come “Pozzoâ€? (SEGRE, 1951a). Viene citato ancora da SEGRE (1948a) come pozzo “non molto profondo, sebbene fosse ritenuto tale dal Cappello che lo dice piĂš grande della Voragine di Monte Spaccatoâ€?. Il Touring Club Italiano nella Guida del Lazio del 1981 riporta ancora un’antica ed errata descrizione: “pozzo artificiale scavato molti secoli fa, di sezione circolare, largo meno di 3 m e profondo oltre 500, solo per pochi metri occupato dall’acquaâ€?. Fu esplorato negli anni ’20 (probabilmente nel 1925) dal CSR (A. Datti, C. Franchetti e C. Zileri dal Verme).

Bibliografia ABBATE, 1894; CAPPELLO, 1824; DOLCI, 1965; MAROCCO, 1883; NIBBY, 1837; PALMIERI, 1863; REVILLAS, 1739; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1951a; TOURING CLUB ITALIANO, 1981.


Chiavica di Arsoli

(SEGRE, 1948a). Non si hanno notizie della prima esplorazione speleologica, che comunque avvenne prima del 1948.

Bibliografia Dati catastali 98 La - comune: Arsoli (RM) - località: - quota: 510 m carta IGM 1:25000: 145 III SO Arsoli - coordinate: 0°34’19”6 (13°01’28”) - 42°02’33”2 carta CTR 1:10000: 367 130 Arsoli - coordinate: 2.356.485 - 4.656.490 dislivello: -100 m - sviluppo planimetrico: 100 m

DE ANGELIS D’OSSAT, 1898; DOLCI, 1966; KELLER, 1895; REVILLAS, 1739; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1949b; SEGRE, 1950; SEGRE, 1951a; SEGRE, 1956; TERRENZI, 1889; TUCCIMEI, 1886.

Itinerario Da Arsoli si prende la strada per Cervara di Roma; dopo 1,9 km, subito prima di un ponticello, si imbocca una stretta strada asfaltata a sinistra, che sale verso la Costa dei Morti. Al terzo tornante, dopo 1 km, si lascia la macchina. Si prende il sentiero in discesa, poco evidente, che parte dal tornante, e dopo un centinaio di metri si arriva alla recinzione che racchiude il grande pozzo, indicato anche nelle carte topografiche (5 minuti di cammino).

Descrizione Si tratta di una grande voragine a pozzo, profonda complessivamente 100 m. L’imbocco ha una pianta ovoidale di 65x45 m. Lungo tutto l’orlo le pareti scendono verticali o strapiombanti, tranne che sul ciglio est, quasi nel punto a quota più bassa del bordo (punto 1), dove è possibile scendere un ripido (65°) pendio alberato. Scesi una decina di metri, si prosegue verso sud con minore inclinazione (40-50°), su un pendio coperto da detrito fine, tenendosi addossati alla parete, raggiungendo così la profondità di -37 (punto 4, consigliabile la corda). Forse è possibile, all’inizio della discesa, traversare dalla parte opposta e scendere fra gli alberi fino alla base della parete, senza corda. Intorno l’ambiente è maestoso: lateralmente scende un ripido versante coperto di vegetazione, mentre davanti si innalza una parete alta fino a 80 m. Per proseguire la discesa diventa indispensabile la corda; si scende un breve scivolo detritico, molto instabile, si fraziona sul liscione di faglia (orientato N50°W con immersione di 80° verso SW), per scendere gli ultimi 19 m, su una parete di roccia frantumata in piccoli blocchetti. Si atterra alla sommità della grande falda detritica (punto 6). Da qui si può vedere tutta la parte bassa della cavità: il pendio scende con inclinazioni che diminuiscono da 40° nella parte alta a 30° in quella bassa, inoltrandosi dentro un grande cavernone, con una bocca alta una ventina di metri e larga 25 m, lungo una sessantina di metri; prevale il detrito medio-fine, con rari blocchi di grandi dimensioni. Nella parte alta, dove si risentono maggiormente gli effetti dell’illuminazione solare, abbonda una bassa vegetazione. Scendendo al fondo della grotta la galleria si allarga fino a 35 m, mentre la volta si abbassa a 6-10 m. Alcuni grossi blocchi si rinvengono proprio in corrispondenza del punto più basso della cavità (-100). Nel periodo secco il pozzo è completamente asciutto.

Stato dell’ambiente La grande voragine è inevitabilmente nota da sempre; le prime esplorazioni documentate sono collocabili nella prima parte del XX secolo. Non risulta, invece, una frequentazione significativa da parte degli speleologi. Stranamente, inoltre, non si rinvengono i classici rifiuti “da discarica”, mentre sono stati osservati resti scheletrici di animali.

Note tecniche Dal ciglio Est si scende il ripido pendio (consigliabile la corda) e, tenendosi vicini alla parete, si arriva sopra un P26 (attenzione! frana instabile, corda unica di 110 m).

Storia delle esplorazioni E’ indicata nella carta della diocesi di Tivoli di REVILLAS (1739). Il geofisico F. Keller la descrisse per primo, nel 1895, avendola vista dall’alto

147


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(legenda a pag. 86)


I Monti Lepini si sviluppano in direzione appenninica su una lunghezza di circa 37 km, per un’estensione areale di quasi 500 km2. Sul bordo NW i modesti rilievi calcarei s’immergono al disotto dei depositi vulcanici dei Colli Albani, a Ovest i versanti terminano sul bordo della Pianura Pontina (a quote basse, quasi sul livello del mare), a Sud la valle del Fiume Amaseno separa i M. Lepini dai M. Ausoni (tuttavia, si è scelto di assegnare ai Monti Ausoni anche il colle di M. Saiano, 415 m, e la piccola dorsale di Priverno), a Est la catena lepina si accavalla sul bordo della Valle Latina (a quote per lo più intorno a 200-300 m). Al bordo SE dei M. Lepini si erge la dorsale di M. Siserno. Le cime più elevate sono il Monte Semprevisa (1536 m) nel settore centrale e il Monte Malaina (1480 m) nel settore orientale; l’idrografia superficiale è praticamente assente, tanto che nemmeno le valli principali ospitano corsi d’acqua perenni, ma piuttosto torrenti che si attivano nei periodi piovosi. La catena è nettamente divisa in due parti da una profonda incisione, la valle del Rio, che da Carpineto Romano scende verso Montelanico sfociando, infine, nella Valle Latina nel tratto compreso fra Colleferro e Sgurgola; anche il Torrente Rio, che è il corso d’acqua più importante dell’area, presenta un regime torrentizio e irregolare, caratterizzato da prolungati periodi di secca e da piene improvvise. L’incisione segue per gran parte del percorso un’importante linea tettonica, che ha un ruolo considerevole anche nello sviluppo del carsismo e nella definizione delle direzioni di deflusso sotterraneo. La linea tettonica ha andamento quasi rettilineo nel tratto fra Montelanico e Carpineto, tagliando il versante orientale della valle nei pressi del piede, lasciando così il fondovalle nel settore occidentale. La linea attraversa il paese di Carpineto Romano e prosegue verso SSE fino a Pian della Faggeta. Anche qui la faglia attraversa il versante a Est della piana (la parete verticale del Perrone del Corvo, che si affaccia sul piano carsico, è un’espressione del sollevamento del blocco orientale sopra quello occidentale); una ristretta fascia di terreni marnosi friabili s’interpone fra i due “blocchi”. Ancora più a SSE la linea lascia nel settore orientale la cima di Conco Merlo, taglia l’incisione di Valle S. Maria e circonda il rilievo conico del Monte della Difesa (923 m), uscendo, infine, dall’affioramento lepino nella valle che separa Roccagorga (Ovest) da Maenza (Est). Da Montelanico verso Nord, la linea tettonica attraversa la valle del Rio, colmata da depositi alluvionali e vulcanici, addentrandosi poi nei rilievi calcarei dell’area di Segni, dividendo così un piccolo settore appartenente all’unità orientale (M. Camposano, 679 m) prima di inoltrarsi nella Valle Latina nell’area di Colleferro. Fa parte del settore orientale anche la piccola dorsale calcarea di Gavignano (PAROTTO & TALLINI, 2000). Questo lineamento individua, quindi, due grandi unità geologiche, che per una più agevole trattazione del fenomeno carsico sono state ulteriormente suddivise in Sotto-Zone. Nel settore a Ovest della linea Carpineto-Montelanico sono compresi i Monti Lepini Nord-occidentali, Sud-occidentali e centrali. Il settore a Est della linea Carpineto-Montelanico include i Monti Lepini orientali e la SottoZona M. Caccume-M. Siserno. Un’ulteriore Sotto-Zona è rappresentata dalla piastra travertinosa di Cisterna di Latina che si stende nella Pianura Pontina ai piedi del versante occidentale della catena lepina. Sono note, complessivamente, circa 460 grotte, fra le quali numerose di estensione rilevante; questo massiccio, quindi, risulta il più carsificato dell’intero Appennino laziale-abruzzese. Dal punto di vista idrogeologico, i Monti Lepini insieme ai Monti Ausoni e ai Monti Aurunci occidentali e centrali, costituiscono una struttura isolata (denominata dorsale “dei Volsci”). Nei Monti Lepini l’acquifero carsico è racchiuso a SW dai sedimenti sabbioso-argillosi della Pianura Pontina e a NE dal flysch che riempie la Valle Latina. La falda carsica ha un gradiente idraulico tipicamente molto basso, con un ostacolo nella parte centrale del massiccio, rappresentato dalla linea tettonica Carpineto-Montelanico, che probabilmente determina significative perdite di carico e valori del gradiente idraulico localmente forti. Date le differenze di quota lungo il perimetro calcari-terreni impermeabili, il flusso sotterraneo è costretto a

emergere quasi interamente sul versante tirrenico, mentre sul bordo della Valle Latina (situato a quote più elevate) sgorgano solo alcune sorgenti di modesta portata.

I TRAVER TINI DI CISTERNA DI LATINA Nei pressi del margine occidentale della catena, nella Pianura Pontina, si trova la grande placca di travertini di Cisterna di Latina, estesa circa 14 km2. La superficie scende molto dolcemente da NW (q. circa 80 m) verso SE (q. circa 40 m). All’interno della piastra travertinosa i fenomeni carsici sono rappresentati da una cavità ipogea, la Grotta di San Biagio (sviluppo 350 m), e dagli “sprofondi” di Casa Affonnata e di Cotronia, con laghi sul fondo. Altri sprofondi si trovano nella coltre di sedimenti della fascia di pianura adiacente alla catena; alcuni di essi si sono formati in tempi storici e sono occupati da laghetti con acque sulfuree. I MONTI LEPINI NORD-OCCIDENTALI Questa Sotto-Zona è situata a Ovest della linea di cresta M. Lupone (1378 m)-M. Rinsaturo (1166 m) ed è costituita da versanti calcarei che scendono progressivamente verso SW fino ad immergersi al di sotto della coltre di depositi della Pianura Pontina; il limite a Sud arriva a comprendere il paese di Norma e le sorgenti di Ninfa. Dal punto di vista amministrativo, i Monti Lepini Nord-occidentali rientrano nella provincia di Latina. Sono conosciute 15 grotte, tutte di dimensioni abbastanza modeste. La più estesa si trova all’interno del paese di Cori ed è la Grotta del Convento di Santa Oliva (sviluppo 160 m); le altre cavità più importanti sono l’Arnale Cieco (sviluppo 110 m) e il vicino Pozzo del Catavio (sviluppo 70 m), situate sul versante che da Cori sale a M. Rinsaturo, e l’Oviso dei Maiali (-35) localizzato nell’area fra Cori e Norma. Deflusso sotterraneo La falda basale fa capo alla sorgente Ninfa (q. 29 m), di grande portata (in media oltre 2 m3/s) e con le caratteristiche bicarbonatocalciche tipiche delle acque dei circuiti carsici (BONI ET ALII, 1988). Le grotte dell’Arnale Cieco e del Convento di S. Oliva sono situate 8-9 km verso NNW dalla sorgente, con ingressi posti rispettivamente oltre 500 m e 250 m sopra la superficie della falda (considerando che localmente il livello piezometrico potrebbe essere a q. 60-70 m). I MONTI LEPINI SUD-OCCIDENTALI La Sotto-Zona Sud-occidentale è costituita da un’articolata dorsale che culmina, da NW a SE, nel M. della Bufala (861 m), nel M. Nero (445 m) e nel M. S. Angelo (382 m), rappresentando un settore ribassato da faglie rispetto alla dorsale del M. Semprevisa, e da questa separato dalla vasta depressione compresa fra Bassiano, Sezze e Roccagorga. Verso SW la dorsale digrada verso la Pianura Pontina. Rientrano nella Sotto-Zona anche il klippe di Colle Cantocchio, la dorsale di M. Pizzone (709 m) e la parte bassa del versante SW del M. Semprevisa. In quest’area si conoscono 40 grotte. Al bordo della Pianura Pontina, dominato dalle balze calcaree sulle quali si ergono i paesi di Sermoneta e di Sezze, sgorgano diverse sorgenti sulfuree; alla risalita di queste acque sembrano legate alcune manifestazioni carsiche fra le più importanti dell’area, e in particolare l’Ouso di Sermoneta (-65) e il sistema sotterraneo di Acquapuzza, che conta una decina di grotte, le più estese delle quali sono la Grotta di Fiume Coperto (sviluppo 170 m) e la Grotta della Cava (sviluppo 230 m). Nell’area interna del massiccio le cavità più importanti sono la Grotta di Colle Cantocchio (sviluppo 150 m) alla base del rilievo omonimo, l’Ouso del Cavone (-62) sul M. della Bufala e, nell’area fra Roccagorga e Bassiano, il Pozzo Nuovo (-81), la Grotta Marina (sviluppo 110 m) e la Grotta Vittorio Vecchi (sviluppo 180 m). Deflusso sotterraneo Le acque sotterranee di quest’area vengono a giorno da una serie di sorgenti, spesso mineralizzate, poste nella fascia pedemontana tirrenica. Sul bordo occidentale dei M. Lepini, tra Sermoneta e Sezze, si trovano

numerose polle e sorgenti; ai piedi del rilievo di Sermoneta scaturiscono le Sorgenti Sulfuree (q. 15 m, portata media 190 L/s; BONI ET ALII, 1988). L’ouso omonimo è localizzato 1 km a Nord e il suo fondo è posto 32 m più in alto della sorgente. Poco più a Sud si trova il gruppo sorgentizio di Acquapuzza. La Grotta di Fiume Coperto è localizzata a pochi metri di distanza dalla omonima sorgente (q. 14 m, portata media di tutto il gruppo di sorgenti 1600 L/s); le pozze sul fondo della grotta sono praticamente alla stessa quota delle polle. Probabilmente queste sorgenti raccolgono le acque di un bacino sotterraneo che comprende anche l’area dell’Ouso del Cavone, situato 3,5 km verso NE. Ancora un po’ più a Sud, presso Sezze, la falda basale emerge da polle nell’alveo del Fiume Uffente e da numerose sorgenti (q. 3-4 m; portata media complessiva 5,5 m3/s), raccogliendo le acque di infiltrazione di un’area carbonatica che include le grotte Marina, Vecchi e Pozzo Nuovo, localizzate 6-7 km a NE di queste emergenze.

I MONTI LEPINI CENTRALI Questa Sotto-Zona è caratterizzata dalla lunga dorsale che collega il M. Semprevisa (1536 m) con il M. Lupone (1378 m) a NW e il M. Erdigheta (1339 m) a SE; sul versante Nord-orientale della dorsale, intorno a q. 800 m, si trovano tre grandi depressioni carsiche (Pian della Faggeta, Campo di Montelanico, Campo di Segni). Nella Sotto-Zona sono conosciute ben 177 grotte. La distribuzione delle cavità sul territorio non è, però, omogenea. Nei piani carsici di Segni e di Montelanico il fenomeno carsico ipogeo è quasi del tutto sconosciuto, infatti la quasi totalità delle grotte si apre nel tratto di dorsale compreso fra M. Perentile, M. Belvedere, M. Semprevisa e M. Erdigheta, soprattutto sul versante NE (fino al fondovalle) ma anche al di la’ della cresta che guarda il versante tirrenico. Le grotte di sviluppo significativo sono molto numerose. Nell’area intorno la sommità di M. Semprevisa si trova il raggruppamento di pozzi di Passo del Brigante, e fra questi l’Abisso Enriquez (-228, sviluppo 435 m), l’Ouso “B” (-32) e l’Ouso “C” a Vadu degliu Brigante (-35). Spostandosi a SE, nell’area sommitale di M. Erdigheta sono noti l’Abisso Consolini (-555, sviluppo 1405 m), l’Ouso delle Donne (-61), l’Ouso delle Quattro Dita (-33) e il Catravasso Emma (-32); poco più sotto, nel campo chiuso, si apre l’Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta (circa –300, sviluppo 1010 m). Lungo la sterrata che da Pian della Faggeta sale verso il M. Semprevisa si rinvengono la Grotta per la Carrozzabile per il M. Semprevisa (sviluppo 91 m), la Cantina dell’Arnara (sviluppo 65 m) e la Grotta Mary Poppins (-33), situate proprio sul bordo della strada; un po’ più in su si trovano il Pozzo della Faina (-52) e, sul solco che scende dalla Fonte del Sambuco, il Pozzo della Ruspa (-35, aperto e richiuso durante i lavori stradali). Spostandosi dalla cima del M. Semprevisa verso NW e superata l’incisione dell’Acqua Mezzavalle, si giunge all’area sommitale del M. Capreo (1421 m); qui si aprono il Pozzo della Croce (-92), l’Ouso di Valle Jatare (-43) e il Pozzo della Strega (-42). Nei pressi, sul M. Ardicara (1441 m) si trova l’Ouso della Foglia che Trema (-45) e scendendo lungo la valle fra le dorsali di M. Ardicara e M. Capreo, si arriva all’imbocco della Grotta del Rapiglio (sviluppo 940 m), mentre sul versante SW di M. Ardicara si incontra la Risorgenza dell’Istrice (sviluppo 240 m). Risalendo l’incisione dell’Acqua Mezzavalle da Pian della Faggeta e muovendosi poi sul versante del Capreo si arriva all’Ouso a quota 840 di M. Caprea (sviluppo 60 m), all’Ouso della Capanna di Cacciapezzole (-30), all’Ouso della Rava Bianca (-676, la grotta più profonda del Lazio) e al vicino Ouso Gemello della Rava Bianca (-60), e, a quota più elevata, gli Ousi 2° (-72) e 3° dei Cavoni (-33). Più a Nord, a mezzacosta sul versante NE del M. Capreo, si individuano l’Ouso di Valle Me Ne Pento (-141) e l’Ouso di Crepe Canina (-31).

Anche l’area di fondovalle è ricca di grotte. All’interno di Pian della Faggeta si aprono l’Ouso di Pozzo Comune (-190), l’Abisso Capodafrica (-152), l’Ouso di Gaetano (-52), l’Ouso del Sordo (-56) e la Grotta Federico Docet (-30). Nel tratto compreso fra Pian della Faggeta e Carpineto Romano le grotte più importanti sono l’Ouso di Salvatore (-161) e l’Ouso nella Villa (-58). Sul fondovalle della dorsale del Capreo, nel tratto compreso fra Carpineto e Montelanico, si aprono la Grotta del Formale (sviluppo 2920 m), la Grotta Ciaschi (sviluppo 980 m), l’Ovuso dell’Isola (-65), Bocca Canalone (-87) e l’Ouso dell’Omo Morto (-75). In tutta la Sotto-Zona dei Monti Lepini centrali l’unica cavità di dimensioni significative esterna all’area appena descritta è l’Oviso di Segni, grande salone sotterraneo situato sui rilievi che separano il paese di Segni da quello di Artena.

Deflusso sotterraneo In corrispondenza del disturbo tettonico Carpineto-Montelanico, all’altezza di Carpineto Romano, la superficie piezometrica della falda di base in condizioni idriche ordinarie si attesta intorno a q. 100 m. A valle la superficie d’acqua diminuisce rapidamente di pendenza per stabilizzarsi ad un gradiente idraulico di 5-6 m/km fino alle varie grandi sorgenti poste sul bordo SW del massiccio calcareo nella fascia fra Ninfa e Sezze (CELICO, 1983) a quote mai superiori a 30 m. Quindi, dal settore Carpineto RomanoPian della Faggeta (a Ovest della linea tettonica) le direzioni di drenaggio sono complessivamente verso SE e le distanze grotte-sorgenti sono dell’ordine di una decina di chilometri. Nella parte alta (dal punto di vista stratigrafico) dei calcari del Cretacico inf. si trova il livello argilloso-marnoso a Orbitolina, dello spessore fino ad alcuni metri, che interrompe la continuità idrologica dei calcari e

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Abisso Consolini: dalla base del P91 verso i fusi paralleli (foto Pais e Saltarelli; archivio Alberta Felici)


Cristalli di gesso nella Grotta della Signora della Torre (foto G. Pintus)

Grotta di Colle Cantocchio: il rilievo (foto G. Pintus)

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Ouso di Valle Me Ne Pento: la discesa di un pozzo (foto M. Chiariotti) Grotta del Formale: l’ingresso (foto G. Mecchia)


determina la presenza di sorgenti in alta quota, nella zona vadosa. Anche altri livelli “resistenti” situati più in alto del livello a Orbitolina (ma con minore continuità nello spazio) sono in grado, localmente, di produrre l’emergenza delle acque da condotti carsici (per es., le risorgenze del Rapiglio e dell’Istrice sul versante SW del M. Semprevisa). Sul versante NE del M. Semprevisa tutte le grotte presentano un andamento planimetrico concorde con l’inclinazione degli strati, discendente verso NE e quindi opposto al verso di deflusso della falda basale; le acque di queste grotte si dirigono verso lo sbarramento costituito dalla linea tettonica Carpineto-Montelanico. Alcuni condotti drenanti, comunque, intersecano la superficie topografica a mezza costa, formando piccole scaturigini temporanee (per es., l’Abisso Enriquez, le cui acque dovrebbero emergere dall’effimera sorgente Giulianello a q. 1180 m, a poco più di 100 m di distanza e 24 m più in basso del fondo della grotta). Sembra quindi probabile che gran parte delle acque di infiltrazione del versante NE del M. Semprevisa non raggiunga la falda rapidamente per vie verticali, ma scorra a lungo in condotti carsici situati in particolari piani di stratificazione o su livelli impermeabili, situati nella zona vadosa, andando ad alimentare i sistemi carsici prossimi al disturbo tettonico Carpineto-Montelanico. La faglia di retroscorrimento Carpineto-Montelanico costituirebbe, quindi, uno sbarramento per le acque che scendono, per vie sotterranee, dalla dorsale di M. Semprevisa. Dall’area di faglia il deflusso si realizza verso NW parallelamente al disturbo tettonico fino allo sbocco nell’area di Montelanico, raggiungendo così la falda basale (intorno a q. 100 m), anche se è probabile che lungo tutti i percorsi carsici a monte una parte delle acque filtri attraverso strette fessure direttamente verso la falda. Nel tratto di fondovalle compreso fra Carpineto e Montelanico, occasionalmente (durante gli eventi piovosi più intensi, forse 1-2 volte l’anno), si osserva la risalita del livello dell’acqua all’interno delle grotte presenti nell’area (FELICI, 1978a): nella Grotta Ciaschi l’acqua è stata vista risalire fino a 20-30 m (q. 365-355 m) sotto l’imbocco, nell’Ovuso dell’Isola fino a q. circa 335 m (cioè 40 m sotto l’imbocco), mentre talvolta l’acqua esce dagli imbocchi dell’Ouso dell’Omo Morto (q. 357 m), di Bocca Canalone (q. 344 m) e della Grotta del Formale (q. 396 m). Il comportamento idraulico non è stato ancora completamente chiarito, anche perché non tutte le bocche si attivano contemporaneamente. Sembra probabile che in queste occasioni l’acqua presente nelle grotte sia effettivamente quella della falda che risale da q. circa 100 m. In base alla quota delle bocche di uscita, in tali circostanze la falda dovrebbe assumere valori elevatissimi del gradiente idraulico (forse intorno al 3%) mantenendo la direzione di deflusso verso NW. Dall’area di Montelanico le acque della falda freatica si dirigerebbero (durante gli eventi di piena così come in regime ordinario) verso le sorgenti localizzate sul bordo SW del massiccio lepino, probabilmente soprattutto verso la sorgente di Ninfa.

I MONTI LEPINI ORIENTALI Sono conosciute 202 grotte; insieme ai Monti Lepini centrali è un’area di grande interesse per lo studio del carsismo ipogeo del Lazio. Come detto in precedenza, la linea Carpineto-Montelanico, che separa i M. Lepini in due parti dal punto di vista geologico, non corrisponde perfettamente con la linea di fondovalle. Entrambi i “blocchi” posti ai lati della faglia sono carsificati, anche se il “blocco” a Ovest della linea appare molto più interessato da carsismo profondo. Nel “blocco” orientale, comunque, sono conosciute numerose grotte. Non lontano dalla strada Carpineto-Maenza si apre l’Ouso di Pratella dei Pezzenti (-38, sviluppo 90 m) e, più avanti, ancora nel comune di Carpineto Romano, sul versante SW di M. Sentinella, l’Ouso di Casa Santucci (-46), l’Inghiottitoio di Monte Celli (sviluppo 90 m), il Pozzo delle Bombe (-70), l’Abisso Alien 3 (-175) e l’Ouso di Valle Grande (-30, sviluppo 70 m). Sul Monte della Difesa (923 m), lungo il fosso che inizia da Pian dell’Erdigheta e a poche centinaia di metri dalla linea Carpineto-Montelanico, si apre l’Inghiottitoio di Valle Santa Maria (-45). Dalla strada Carpineto-Maenza, salendo verso Est sul versante che culmina nel M. Malaina, si raggiunge la sorgente dell’Acqua del Carpino e le numerose grotte che si aprono nell’area sovrastante (località Fossa Agneluca-Lestra Gigante-Cima Acquaviva), fra le quali il Pozzo della Macchia (sviluppo 100 m), il vicino Ouso degli Zappi (-32), l’Ouso di Valle dei Ladri (sviluppo 150 m) e l’Ouso delle Costagliette (-37). L’area centrale dei Monti Lepini orientali è tagliata da un’incisione trasversale (il campo carsico di Pian della Croce), che separa il massiccio di M. Malaina a Nord dalla dorsale M. Gemma-M. Salerio a Sud. Intorno a quest’area si apre la maggior parte delle grotte della Sotto-Zona dei M. Lepini orientali. Il versante a Sud del crinale di M. Salerio-M. Gemma-Punta la Torricella può essere convenientemente salito dal paese di Maenza, incontrando nell’ordine la risorgenza della Grotta di Fontana Le Mole (sviluppo 1160 m), la Grotta dei Folignati (sviluppo 220 m) e poco più a Ovest il Pozzo di Fine Anno (-31). Poi, in prossimità della cresta che congiunge Punta La Torricella (946 m) con il M. Gemma (1457 m) si trova un gruppo di pozzi, i più importanti dei quali sono l’Abisso della

Poiana (-166), il Pozzo Dodarè (-68), la Chiavica La Monica (-43) e il Pozzo Nietta (-40). Il versante settentrionale di questa dorsale è invece più facilmente accessibile salendo dal paese di Supino. Partendo dal piazzale di Fonte Pisciarello si raggiungono le grotte dell’anfiteatro Punta La Torricella-Colle di Trevi (964 m)-Castagna di Vilo (791 m), e in particolare la Grotta del Pisciarello (-97), il Pozzo del Faggeto (-309), il Pozzo Frigorillo (-87) e il Pozzo di Castagno di Vilo (-32), quest’ultimo situato presso la cresta omonima. Sempre dal paese di Supino parte la strada che sale a Pian della Croce. Sui pendii che chiudono ripidamente la valle si trovano l’Ouso della Donnicciola (-51, sul versante di Colle Piazza Marotta), la Risorgenza del Pastore presso Fonte Canali (sviluppo oltre 100 m) e il Pozzo Quercia Santea (-35). Sul versante Nord di M. Gemma-Punta La Torricella, si apre il Pozzo del Muschio Biondo (-30). Poco prima di arrivare a Pian della Croce, si trova il Pozzo della Foce (-42), mentre all’interno del bacino carsico, un po’ in alto rispetto al fondovalle, è nota la Risorgenza del Fiammifero (sviluppo 67 m); all’estremità del campo chiuso si rinviene la Fossa il Ferro (-58). Da Pian della Croce si giunge ad una zona di grande importanza per il carsismo del Lazio, rappresentata dalle aree di cresta M. Malaina-M. Semprevina (1430 m), dai piani carsici del Pratiglio e di Campo di Caccia fino alla cresta M. Pisciarello (1423 m)-M. San Marino (1387 m). Sulla cresta M. Malaina-M. Semprevina si trovano la Grotta di Monte Fato (-336, sviluppo 1615 m) con il vicino Pozzo Pazzo (-72) e l’Ouso di Passo Pratiglio (-299, sviluppo 605 m). Al di la’ del crinale, nel Pratiglio, si aprono la Grotta del Rospo (-32) e il Pozzo Luisa (-41). Scendendo verso Campo di Caccia si incontrano poi l’Ouso di Colle Ruso (-43) e l’Inghiottitoio di Campo di Caccia (-610, sviluppo 2600 m). L’area settentrionale del massiccio del Malaina è però più facilmente accessibile risalendo la sterrata che dal paese di Gorga porta a Fontana San Marino. Sui rilievi che circondano la strada si trovano alcune grotte e fra queste la Voragine delle Putine (-44), fra M. Pilocco (1112 m) e M. Pietracquare (1016 m). Raggiunta la fontana, si prosegue seguendo la canalizzazione che conduce alla Risorgenza San Marino (sviluppo 222 m). Inoltrandosi, invece, nella montagna, sui rilievi compresi fra M. San Marino (1387 m) e Monte Alto (1416 m), si trovano l’Ouso a due Bocche di Monte Pisciarello (-221), il Pozzo di Monte Alto (-50), il Pozzo 2° di Monte Alto (-34) e, in corso di esplorazione, l’Abisso del Sacco (circa -260). Analogamente a quanto osservato nella Sotto-Zona dei Monti Lepini centrali, anche nell’area più settentrionale di questa Sotto-Zona le cavità ipogee sono quasi del tutto assenti. A Nord di Gorga l’unica grotta di dimensioni significative è il Pozzo di San Leonardo (-34), situato sul versante che scende verso Sgurgola.

Deflusso sotterraneo Zona del Monte Malaina Lo stile di deflusso nella zona aerata è analogo a quello descritto per l’area del M. Semprevisa. Infatti il drenaggio sotterraneo è caratterizzato da interstrati carsificati nei quali si raccolgono la maggior parte delle acque di percolazione. Questi flussi raggiungono la falda basale seguendo per lunghi tratti percorsi a modesta inclinazione (quella degli strati) che spostano le acque di alcuni chilometri rispetto alle zone di infiltrazione. Dalla cresta M. Malaina-M. Semprevina, le gallerie dei sistemi sotterranei che si estendono sotto i piani carsici del Pratiglio e di Campo di Caccia si sviluppano in leggera discesa verso NW; se nel settore ancora più a NW, dove non sono ancora stati scoperti i condotti carsici drenanti, il flusso sotterraneo continuasse ad avere le stesse caratteristiche, le acque carsiche dovrebbero confluire in falda in prossimità della linea tettonica Carpineto-Montelanico, non lontano dall’area di Montelanico. Dalla linea di cresta M. Malaina-M. Semprevina verso SE, poco a valle degli imbocchi delle grotte del Fato e del Pratiglio, la stratificazione si piega verso Sud; in corrispondenza dell’intersezione con la superficie topografica del livello a Orbitolina (ALBER TI ET ALII, 1975) o di altri strati “resistenti”, sgorgano le acque di Fonte Serena a Pian della Croce, e di Fontana Martino e Fontana Canali più ad Est (portate fra 5 e 10 L/s). Fra le scaturigini carsiche di alta quota sono da segnalare la Risorgenza di S. Marino (q. 1245 m, portata media 2 L/s) sul monte omonimo, condotto sub-orizzontale captato all’uscita, e l’Acqua del Carpino (q. 913 m, portata 1-5 L/s), che rifornisce l’acquedotto di Carpineto Romano; uno dei bottini di cattura di questa seconda sorgente è la Grotta del Lago Gelato (sviluppo 30 m). Zona di M. Salerio-M. Gemma La Risorgenza di Fontana Le Mole (q. 840 m, portata media 4-8 L/s, portata di piena fino a 500 L/s; BOLLATI & BAR TOLINI, 1991) drena le acque di un settore limitato, che forse si spinge verso Nord fino a Pian della Croce (q. circa 1050 m). Il sistema carsico si sviluppa “sospeso” alcune centinaia di metri al di sopra della falda basale, la cui superficie piezometrica localmente non dovrebbe superare q. 250 m. Comprese nell’area di alimentazione della sorgente sono la Grotta dei Folignati, il Pozzo Dodarè e l’Abisso della Poiana (il dislivello dall’imbocco di quest’ultimo alla sorgente è di 455 m). L’anfiteatro Punta La Torricella-Colle di Trevi-Castagna di Vilo In questo anfiteatro carsico sono presenti sorgenti a quote elevate (sorgente di Trevi, q. circa 880 m) e a mezza costa (le due sorgenti captate del Pisciarello, q. 357-400 m); altre piccole sorgenti

si trovano dalla parte opposta del crinale, ne “la Valle” di Patrica (q. 400-500 m). Per quanto riguarda la Grotta del Pisciarello, data la quota del fondo (327 m), è da escludere che le sue acque emergano dalle sorgenti vallive. Si possono considerare due possibilità: 1) deflusso verso piccole sorgive poste sul fronte di accavallamento a NE del massiccio dei M. Lepini sui sedimenti terrigeni della Valle del Sacco, fra Supino e Patrica (a quote di 200-250 m), o presso Morolo, o nelle piroclastiti a valle del sovrascorrimento (sorgente Lagoscillo, q. 154 m, portata media 20 L/s)(CELICO, 1983). 2) confluenza nella falda basale a q. circa 200 m; la falda si dirigerebbe poi verso le lontane sorgenti della valle dell’Amaseno o del bordo tirrenico dei Lepini, e cioè verso Sud o SW per 10-20 km (BONI ET ALII, 1988).

IL MONTE CACCUME E IL MONTE SISERNO Il massiccio del M. Caccume, insieme al contiguo rilievo di M. Calvello, rappresenta l’angolo Sudorientale dei Monti Lepini. A Sud la Valle del Fiume Amaseno lo separa dai M. Ausoni. A Est il bordo corre al piede del massiccio calcareo, dove affiorano i depositi terrigeni che lo staccano dal M. Siserno e dalla Valle Latina. A Nord e a Ovest non esiste un effettivo “limite” con la parte restante del settore orientale dei Monti Lepini; al solo scopo di rendere più agevole la lettura, si è scelto di separare questa Sotto-Zona dai contigui Monti Lepini orientali seguendo la cresta che da Maenza sale a M. S. Martino (695 m), M. Calvello (985 m), M. Acuto (827 m) e da qui tagliando il versante meridionale del Colle di Trevi fino alla Valle di Patrica. In quest’area sono comprese 25 grotte; le più importanti sono la Risorgenza della Rologa (sviluppo 600 m), sul versante Sud di M. Caccume, e la Grotta degli Ausi (sviluppo 1505 m), che attraversa da parte a parte una dorsale calcarea strettissima e allungata che si insinua quasi fino al Fiume Amaseno. Altre grotte significative sono il Pozzo Contrada Franco (-41), sul versante meridionale di M. Caccume, e la Chiavica del Peschio (-32), che si incontra risalendo il Fosso di Monteacuto fra il M. Calvello e il M. Caccume. A SE di Monte Caccume si innalza la dorsale calcarea isolata di Monte Siserno (789 m), che si sviluppa per circa 12 km lungo l’asse orientato in direzione appenninica. In quest’area sono note 5 grotte, fra cui il Pozzo l’Arcaro (sviluppo 340 m), che si apre lungo il bordo orientale della struttura. Deflusso sotterraneo L’area di M. Caccume-M. Calvello probabilmente alimenta le numerose sorgenti che sgorgano lungo il Fiume Amaseno. La Risorgenza della Rologa (q. 525 m, portata 5-6 L/s in magra; TROVATO, 1970) raccoglie le acque di infiltrazione di una parte del versante meridionale di M. Caccume; il 151 condotto si trova sospeso al di sopra della falda basale, che in questo settore dei M. Lepini dovrebbe essere localizzata a quote inferiori a 200 m (BONI ET ALII, 1988). Più in basso, le acque di una valle chiusa confluiscono nella grotta di attraversamento degli Ausi; la grotta sembra svilupparsi pochi metri sopra la falda di base, drenata dal F. Amaseno che scorre a circa 500 m di distanza dalla grotta a quote intorno a 40 m, cioè 15 m più in basso della risorgenza. La dorsale di M. Siserno racchiude una falda che viene a giorno all’estremità meridionale del massiccio (Valle Fratta), 9-10 km a SE del Pozzo l’Arcaro, nelle sorgenti Le Voleghette, Farina e Serrapane (q. 97-111 m, portata media complessiva 280 L/s; BONI ET ALII, 1988). Si segnala la presenza di una piccola sorgente a qualche centinaio di metri di distanza dalla grotta; l’acqua esce alla base di uno sperone calcareo che emerge fra le argille; la portata è molto modesta e probabilmente non esiste collegamento idrologico con il Pozzo l’Arcaro.


I TRAVERTINI DI CISTERNA

Grotta del Convento di Santa Oliva: la sala iniziale (foto M. Piro)

Arnale Cieco: l’ingresso (foto G. Mecchia)

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000 F. 158 Latina 1 = Grotta di San Biagio coordinate riquadro: angolo NW = 0°23’ - 41°37’ angolo SE = 0°29’ - 41°32’

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Pianura Pontina: le sorgenti di Ninfa; nell’oliveto a monte si vede l’imbocco del Pozzo di Pedicata (foto G. Mecchia)


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Grotta di San Biagio Dati catastali 1389 La - comune: Cisterna di Latina (LT) - località: Macchia di San Biagio - quota: 80 m carta IGM 1:25000: F. 158 I NE Cori - coordinate: 0°24’32”8 (12°51’41”2) - 41°35’39”7 carta CTR 1:10000: 400 030 Cisterna di Latina Est - coordinate: 2.341.755 - 4.607.030 sviluppo planimetrico: m 350

Itinerario Da Cisterna di Latina si prende la strada per la frazione di San Valentino. Superata la frazione, dopo 800 m si svolta a destra e dopo 3,2 km si ferma la macchina nei pressi del margine della Macchia di San Biagio, una striscia di bosco sulla destra della strada. Si prosegue a piedi nel prato costeggiando il margine del bosco, e dopo quasi 2 km sulla destra, presso i ruderi di alcuni impianti di cava (pilastri), si trova la dolina in cui si aprono gli ingressi della cavità (20 minuti di cammino).

Descrizione La dolina di accesso, forse naturale o forse risultato dell’estrazione di una antica cava, ha un diametro di una ventina di metri e si apre ingombra di rovi nel mezzo della pianeggiante piastra travertinosa, ai limiti di un bosco. Il “primo” ingresso della grotta (punto 1) si apre sul fondo della dolina, alla base di una paretina alta 3 m, ed ha forma triangolare alta 1 m e con base di 1,3 m. Si scende in leggerissima pendenza

entrando in una saletta (punto 2) alta poco più di 1 m, dalla quale partono diverse condotte. Si può giungere nella sala anche da altre due aperture: il “secondo” ingresso è un piccolo foro, allargato artificialmente di recente, che si apre 7 m più a nord del primo; il “terzo” ingresso è una fessura situata sempre nella dolina, 7 m a sud del “primo” ingresso. La grotta, scavata nel travertino, è costituita da un labirintico reticolo di condotte impostate all’intersezione fra un piano orizzontale (strato) e fratture verticali orientate in numerose direzioni. La sezione dei condotti è quasi ovunque semi-ellittica: il pavimento è pianeggiante e costituito da un riempimento di fango, dello spessore di circa mezzo metro, a volte con ciottoli; la volta è una semiellisse con alla sommità la frattura originaria. L’altezza attuale delle condotte è sempre modesta (in genere 1-1,3 m), infatti in tutta la grotta è possibile stare in piedi in un solo ambiente (una saletta vicino all’ingresso); nonostante ciò il percorso non è particolarmente impegnativo, mancando vere strettoie. La larghezza delle condotte è di 1-3 m. La parte esplorata del reticolo di condotti ha uno sviluppo totale di 350 m. Attualmente la grotta non è percorsa da un torrente. Nella stagione estiva l’irrigazione dei campi sovrastanti rende umida la grotta (percolazione diffusa) e viscido il fango. D’inverno il fango è secco e manca quasi completamente lo stillicidio. Sembra che il riempimento fangoso sia piuttosto recente, determinato proprio dall’attività irrigua che avrebbe trasportato in grotta il suolo esterno. Dalla prima saletta si può proseguire negli ambienti più comodi (verso sud). Dal punto 4 parte a sinistra una scomoda condotta che raggiunge nuovamente l’esterno (“quarto” ingresso), un’apertura alta meno di 1 m e larga 2,5 m. Dal punto 4 si può proseguire verso destra fino a raggiungere il punto più interno della grotta (distante 100 m dall’ingresso, in linea d’aria, oltre il punto 9), in un

tratto caratterizzato da belle concrezioni; un restringimento impedisce l’ulteriore avanzamento. Anche le altre condotte, che si diramano nelle più diverse direzioni, hanno caratteristiche e terminazione analoghe.

Stato dell’ambiente Sebbene sia ipotizzabile la conoscenza della grotta da parte della gente del posto, la grotta è stata scoperta dagli speleologi solo nel 1999 e, da allora, scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. All’interno non si notano le tracce di passaggio. Il consistente riempimento fangoso che costituisce il pavimento di tutta la grotta sembra dovuto al flusso idrico determinato dall’abbondante irrigazione dei campi sovrastanti avvenuto nel corso degli ultimi decenni.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1999 da C. Germani, Carla Galeazzi, S. Galeazzi, A. De Paolis, E. Castrichella.


I MONTI LEPINI NORD-OCCIDENTALI

Arnale Cieco Dati catastali

Dati catastali

136 La - comune: Cori (LT) - località: versante orientale del colle di quota 635 - quota: 585 m carta IGM 1:25000: 158 I NE Cori - coordinate: 0°28’25”9 (12°55’34”3) - 41°39’07”9 carta CTR 1:10000: 388 120 Roccamassima - coordinate: 2.347.310 4.613.320 dislivello: -9 m - sviluppo planimetrico: 110 m

134 La - comune: Cori (LT) - località: Convento di Santa Oliva - quota: 335 m carta IGM 1:25000: 158 I NE Cori - coordinate: 0°27’40” (12°54’48”8) - 41°38’34” carta CTR 1:10000: 388 150 Cori Ovest - coordinate: 2.346.220 - 4.612.300 dislivello: -14 m - sviluppo planimetrico: 160 m

Itinerario Da Cori si prende la strada per Roccamassima. Dopo 1,5 km si lascia la macchina presso una curva a sinistra adiacente una cava. Si prende il sentiero (attenzione: ce ne sono tre) che parte sulla destra della cava e passa sopra una piccola costruzione con il tetto scoperchiato. Si segue il sentiero, che sale dolcemente il versante orientale del colle, per circa 200 m, poi si prende una traccia di sentiero che risale lo stesso versante in direzione opposta e la si segue per circa 100 m fino ad uno spiazzo pianeggiante contornato da una parete alta circa 5 m. L’ingresso della grotta si trova alla base della parete, seminascosto dai rovi (15 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso, alto 1 m e largo 3 m, è diviso in due parti da un pilastro di roccia, e dà accesso ad una sala di interstrato bassa (meno di 1,5 m) e lunga (22 m), con una larghezza massima di 5 m; il pavimento è in leggera discesa e ricoperto da grandi blocchi calcarei, mentre il soffitto è rappresentato da un letto di strato solcato da un meandro di volta. Lungo la parete destra della sala, un passaggio (punto 2) permette di accedere ad una sala parallela, con alcune piccole stalattiti e stalagmiti, e con il pavimento e le pareti ricoperti a tratti da una crosta calcitica. Al centro della sala (punto 6) si apre un saltino di 2 m, a imbuto, alla cui base un’apertura di poche decine di centimetri obbliga a strisciare sul pavimento e conduce ad una galleria impostata in un livello inferiore (punto 8), alta meno di 2 m, con andamento meandreggiante, terminante dopo 35 m in un’altra sala (punto 9). Ai lati della galleria sono stati ammassati artificialmente i detriti per creare un camminamento. Rimane comunque abbondantissimo il detrito che ricopre il pavimento. Dall’ultima sala, salendo un gradino di 1,5 m corrispondente ad un banco calcareo, si raggiunge un’altra saletta (punto 10) che termina da una parte con un breve cunicolo molto basso e dall’altra parte con una piccola galleria quasi rettangolare (punto 11).

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Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre”, ed è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi antichi. Largamente modificata dall’uomo, soprattutto nel livello inferiore, sembra sia stata utilizzata anche come rifugio durante l’ultima guerra. Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 150 Roma, F. 151 Alatri, F. 158 Latina e F. 159 Frosinone 1 = Arnale Cieco 2 = Grotta del Convento di Santa Oliva coordinate riquadro: angolo NW = 0°25’ - 41°45’ angolo SE = 0°36’ - 41°34’

Grotta del Convento di Santa Oliva

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre. Gli abitanti di Cori raccontano che alcune persone entrate all’Arnale siano uscite dalla Grotta del Convento di S. Oliva. Fu esplorata dal CSR in data imprecisata, ma certamente prima degli anni ‘40.

Bibliografia DOLCI, 1966; GRUPPO SPELEOLOGICO APRILIA, 1965; MANISCALCO, 1963; PATRIZI & SEGRE, 1951; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1956.

Itinerario Si può entrare nella grotta scendendo, tramite una rampa di scale, dal chiostro dell’ex convento di Santa Oliva in Piazza Leone XIII a Cori, attualmente chiuso per essere adibito a museo. Per l’accesso occorre chiedere l’autorizzazione al Comune di Cori.

Descrizione Una breve scalinata discendente che parte dal chiostro del convento dà accesso (punto 1) al primo ambiente della grotta, una sala (punti 1-3). A sinistra una bassa finestra (punto 2) permette di entrare in un cunicolo (punti 2-39) lungo circa 30 m, inizialmente in piano, poi in forte discesa. Dalla sala si entra, passando lateralmente ad un diaframma di roccia quasi verticale, in una seconda sala (punti 4-9), un ambiente a cupola di 12x8 m, con il fondo occupato da un conoide detritico: dalla volta partono numerosissime radici. A destra una bassa galleria orizzontale (alta 80 cm), a sezione tondeggiante, con il fondo detritico, conduce dopo circa 15 m ad una rampa di scale ascendente (punto 8) che costituiva un accesso dalle cantine di un locale sovrastante. In questo tratto vi sono rifiuti di ogni genere. Dalla seconda sala (punto 9) risalendo il conoide ci si immette in una saletta di 4 m di diametro (punto 12), dalla quale parte una galleria con larghezza variabile da 3 a 1,5 m, con la volta alta mediamente 1,5 m, che prosegue per circa 20 m in leggera discesa, arrivando ad una saletta (punto 20), nella quale si trova un blocco di lava leucititica squadrato ritenuto nel passato un altare; in realtà si tratta di un elemento del lastricato di una strada romana, utilizzato forse come base per candele. La galleria prosegue oltre la saletta con un ripido scivolo; la volta è alta mediamente 1,5 m, ma si abbassa notevolmente alla base dello scivolo (punto 23) dove la grotta cambia direzione passando al di sotto della galleria appena percorsa e tornando verso la sala iniziale (tuttavia non sono noti collegamenti percorribili). Quindi si entra in una galleria di altezza variabile da 1 m a 2 m e con andamento tortuoso, che prosegue quasi in piano, percorrendo altri 35 m; lungo questo tratto di galleria sono stati ammassati lateralmente detriti, sostenuti da muretti a secco che delimitano un camminamento e che, in alcuni casi, sembrano chiudere cunicoli laterali. A metà di questo tratto si apre, in alto, al disopra di un muretto artificiale, una breve diramazione che chiude dopo pochi metri. Al termine, la galleria si allarga ai due lati in un ambiente di interstrato che chiude in fessura (punto 31).

Stato dell’ambiente La grotta, attualmente situata in ambito pienamente urbano, è nota “da sempre” ed è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi lontani. Certamente oggetto di importanti interventi di modifica, tra i vari usi cui è andata soggetta nel corso dei secoli si possono segnalare l’utilizzo a scopo di culto in collegamento con il vicino convento e quello di rifugio durante l’ultima guerra. La prima parte della grotta è ingombra di rifiuti di ogni specie.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre. Fu esplorata dal CSR (A. Datti e C. Franchetti) in data imprecisata, ma certamente prima degli anni ‘40.

Bibliografia DOLCI, 1966; MANISCALCO, 1963; PATRIZI E SEGRE, 1951; SEGRE, 1948a.


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I MONTI LEPINI SUD OCCIDENTALI

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 159 Frosinone 1 = Grotta di Colle Cantocchio 2 = Ouso di Sermoneta 3 = Grotta di Fiume Coperto 4 = Grotta della Cava 5 = Ouso del Cavone 6 = Grotta Vittorio Vecchi 7 = Grotta Marina 8 = Ouso di Pozzo Nuovo

coordinate riquadro: angolo NW = 0°30’ - 41°35’ angolo SE = 0°42’ - 41°28’

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Grotta di Colle Cantocchio Dati catastali Altri nomi: Grotta Ragugna o Raguina; Grotta dei Pipistrelli 402 La - comune: Bassiano (LT) - localitĂ : versante Sud del colle Cantocchio - quota: 340 m carta IGM 1:25000: 159 IV SO Sermoneta - coordinate: 0°32’57â€? (13°00’05â€?4) - 41°34’29â€?5 carta CTR 1:10000: 400 040 Norma - coordinate : 2.353.380 - 4.604.585 dislivello: +5/-27 m - sviluppo planimetrico asse principale : 150 m

Itinerario Da Sermoneta ci si dirige verso Bassiano passando per l’Abbadia di Valvisciolo. Dopo 3,1 km dall’Abbadia, si lascia la macchina subito dopo aver superato due tornanti consecutivi, in una piazzola sulla destra della strada, luogo di sosta per gli alpinisti che raggiungono le pareti di arrampicata sulla vetta del colle. Si imbocca un sentiero che parte sul lato monte della strada e che taglia il versante verso W. Dopo circa 10 minuti si giunge ad un bivio: una freccia di vernice sulla roccia indica verso sinistra la “Grotta del Pipistrello�. Si scavalca un filo spinato e si prosegue lungo il sentiero per un’altra decina di minuti, fino a sbucare in un ampio prato, in salita verso la base della parete di Colle Cantocchio. Si risale lungo il prato seguendo tracce di sentiero per una cinquantina di metri, fino ad incontrare un altro sentiero che scende sulla sinistra in un impluvio. Dopo una decina di metri, sulla destra, tra la vegetazione, si intravede un vecchio sentiero che consente di raggiungere in pochi minuti

Ouso di Sermoneta: il salone - (foto di M. Chiariotti)


la base delle pareti; qualche decina di metri a sinistra, si trova l’ingresso della grotta (30 minuti di cammino).

Ouso di Sermoneta

Descrizione La grotta è provvista di due zone d’ingresso. L’accesso più facile avviene tramite un antro di forma triangolare (punto 1), alto 2,5 m e largo 1,5 m, situato alla base di un’alta parete. Altri due fori si aprono poco più in alto. L’antro dà accesso ad una spaccatura alta (circa 3 m) e stretta (1,2 m), che a destra comunica con l’esterno (punto 3), mentre a sinistra porta ad un saltino in salita di circa 2 m su massi di frana. Risalendo il dislivello, attraverso un foro si arriva alla sommità (punto 5) di una sala di frana. Andando verso destra, si comincia a scendere in un caos di blocchi, in un ambiente con il soffitto fortemente inclinato che va a convergere, verso il basso, con la base della frana. In questo punto sul soffitto si osserva un bel liscione di faglia con strie. Subito dopo l’ambiente si apre in un grande salone (punto 29). Qui ci si può rendere conto che la grotta è in realtà formata da un unico grande ambiente principale, con il fondo inclinato poco più di 30° coperto di blocchi calcarei, e il soffitto costituito da una superficie di scorrimento tettonico irregolare e ondulata (in parte crollata), anch’essa inclinata di circa 30° verso NW; l’altezza del vacuo varia da 2-3 m nella parte alta ad una decina di metri nella parte bassa del salone (punti 54-69), costituita da una striscia pianeggiante argillosa occupata in parte da due laghetti poco profondi (punto 62, “fondo”, -27), al bordo della quale il soffitto si immerge. Il salone misura un centinaio di metri di larghezza e circa 50 m lungo la direzione di massima pendenza del soffitto. Si può facilmente visitare tutto l’ambiente, aggirandosi nel caos di blocchi che costituisce il pendio. Nella parte alta si trovano alcune brevissime diramazioni e si raggiunge (punto 85) una spaccatura quasi verticale impostata su una faglia orientata N75°E, che taglia e interrompe la parte alta della sala. Alcuni grandi pilastri di roccia suddividono questa zona in alcuni ambienti, interconnessi tramite fessure e passaggi più ampi; una saletta, in particolare, battuta da stillicidio, presenta belle stalattiti sul soffitto e sulle pareti. Questa parte di grotta situata a Sud del piano di faglia si raggiunge dalla sommità della sala scendendo un dislivello di circa 5 m, ed è popolata da una grande colonia di pipistrelli. Dalla sommità del salone, appena entrati (punto 6) si può anche scendere verso sinistra (punto 14), dove, attraverso due distinti cunicoli, si può raggiungere la seconda zona di ingresso (punto 17), caratterizzata da un terrazzo che si affaccia su un saltino alto un paio di metri, all’interno di un antro alto 2,5 m e largo 2 m. La quota di questo secondo ingresso è di 8 m più bassa rispetto a quella dell’ingresso principale. Per quanto riguarda l’attività idrica della grotta, è stato notato solo stillicidio, che forma pozze d’acqua sul fondo (punto 62), e un piccolo solco che scompare fra piano argilloso e parete al punto 69. In diverse zone della grotta si percepiscono correnti d’aria presumibilmente dovute alla circolazione fra gli ingressi.

Stato dell’ambiente La grotta è senz’altro nota da lungo tempo ai pastori e ai contadini della zona. Data l’assenza di ostacoli all’interno della grotta, la frequentazione speleologica ed escursionistica è stata, nel tempo, significativa. Nonostante ciò, non sono presenti all’interno rifiuti o danneggiamenti evidenti.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni E’ stata rinvenuta da G. Befani e T. Cocozza durante un rilevamento geologico, ed è stata esplorata il 21 febbraio 1963 dallo SCR (M. Monaci e R. Ribacchi).

Bibliografia COCOZZA & PRATURLON, 1966; DOLCI, 1968a; MANISCALCO, 1963; RIBACCHI, 1963

Dati catastali 261 La - comune: Sermoneta (LT) - località: versante NW del colle di Sermoneta - quota: 112 m carta IGM 1:25000: 159 IV SO Sermoneta - coordinate: 0°31’47”8 (12°58’56”2) - 41°33’07”7 carta CTR 1:10000: 400 040 Norma - coordinate: 2.351.720 - 4.602.100 dislivello: - 65 m - sviluppo planimetrico: 90 m

Itinerario Da Latina Scalo si raggiunge dopo 4,4 km Sermoneta Scalo. Da qui, al bivio, si svolta a destra prendendo la S.P. Monticchio e si prosegue verso Sermoneta. Dopo 1,4 km si lascia la macchina ad un incrocio con un fontanile. Dall’incrocio si prende un sentiero che risale il versante del colle su cui sorge Sermoneta. Al secondo tornante si lascia il sentiero in corrispondenza del pilastro di un’antica porta. Si prosegue per 150 m in direzione E-NE risalendo leggermente il pendio ed attraversando il bosco (10 minuti di cammino).

Descrizione Si tratta di una grande voragine costituita da un unico ambiente, che si può ammirare quasi per intero già dall’esterno. Sulle pareti nidificano varie specie di uccelli. L’imbocco del pozzo ha pianta leggermente ellissoidale, con asse maggiore di circa 17 m, allungato in direzione NE-SW; l’asse minore è solo leggermente più corto. Scendendo in corrispondenza del ciglio basso (punto 1), il pozzo è profondo 40 m e la discesa si svolge tutta vicino alla parete. Si

atterra presso la sommità di un grande cono di blocchi e detrito (punto 3), che scende fino al fondo del salone. Oltre al grande pozzo di ingresso, è possibile osservare il salone da un piccolo pertugio (20-30 cm, punto 21), attualmente non percorribile, ubicato 14 m sotto l’orlo del pozzo principale, impostato su una frattura secondaria orientata N30°W. All’interno, il salone ha un perimetro quasi circolare, con diametro di circa 60 m, ed è interamente invaso da due grandi conoidi di blocchi e detrito, affiancati: il primo parte dalla base del pozzo, il secondo inizia sotto il secondo ingresso. I due conoidi terminano nel punto di quota più bassa del salone (punto 13,-65). Verso il fondo del salone, ben visibile anche dall’esterno, si apre una condotta (punto 10) alta un paio di metri e larga poco meno di 10 m, raggiungibile salendo un gradino di 3 m; si scendono una dozzina di metri lungo un pendio detritico e quindi la condotta chiude in frana. La stratificazione è orientata E-W con immersione di 30° verso nord. La grotta è impostata su numerose fratture; un fascio di fratture orientato N40°E e immergente 75°SE è ben visibile sulla parete di discesa. Sempre su questa parete si osserva una frattura con la stessa orientazione ma verticale, con roccia cataclasata per uno spessore di circa 80 cm. Un sistema di fratture circa ortogonale sembra determinare la forma della sala, con una volta a cupola. Nella parte occidentale della sala, dove sbuca il secondo ingresso, la volta è più bassa (10-15 m) e si osservano evidenti fratture orientate N60°E e immergenti 60°NW. Il concrezionamento è scarso, probabilmente per il degrado dovuto ai crolli e all’azione degli agenti atmosferici esterni; una bassa vegetazione si è sviluppata alla base del pozzo e il muschio ricopre parte delle pareti. Un leggero stillicidio interessa la parte bassa del salone.

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Stato dell’ambiente La grande voragine, aprendosi appena al di sotto dell’abitato di Sermoneta, è stata certamente conosciuta fin da tempi remoti. Lateralmente all’imbocco, la presenza di una grande cava di versante, dismessa senza alcun intervento di ripristino ambientale, altera profondamente l’insieme paesaggistico. A partire dalla prima discesa speleologica (1957) la grotta è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. All’interno si rinvengono esclusivamente ossa di animali e pochi oggetti gettati dall’alto.

Note tecniche Pozzo unico di 40 m (corda 45 m).

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Storia delle esplorazioni Esplorata il 29 dicembre 1957 dal CSR (M. Chimenti, G. Costa, M. Dolci, F. Pansecchi, C. Premoli, F. Volpini).

Bibliografia BROCCHI, 1824; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958c; DOLCI, 1967; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1988; MANISCALCO, 1963; SEGRE, 1956.

Grotta di Fiume Coperto Dati catastali 1361 La/ - comune: Bassiano (LT) - localitĂ : Acquapuzza - quota: 21 m carta IGM 1:25000: 159 IV SO Sermoneta - coordinate: 0°32’29â€?7 (12°59’38â€?1) - 41°31’06â€?8 carta CTR 1:10000: 400 080 Latina Scalo - coordinate: 2.352.605 - 4.598.350 dislivello: +7/-6 m - sviluppo planimetrico: 170 m

Itinerario Da Latina si raggiunge Latina Scalo. All’incrocio con semaforo che si incontra nel centro abitato, si svolta a destra per la Via Setina (S.P. Murillo). La si segue per 4,5 km, poi ad un bivio si svolta a sinistra; dopo 1,2 km ad un nuovo bivio, dopo aver sorpassato la ferrovia con uno stretto cavalcavia, si svolta a destra; dopo 250 m ad un terzo bivio presso un ristorante si svolta a sinistra, si prosegue per altri 250 m e si lascia la macchina, nei pressi di una cava. Si risale quindi il terrapieno della ferrovia abbandonata sulla destra della strada, seguendo una traccia di sentiero fra i rovi che svolta subito verso destra; dopo pochi metri si trova l’imbocco della grotta. Dato che la grotta è frequentata dai locali, il sentierino di accesso è ben individuabile; si tratta della prima evidente traccia di sentiero dopo il margine Nord della cava.

Descrizione La grotta è costituita da una galleria che si allarga in due sale, con numerose pozze e laghetti di acqua leggermente sulfurea e stagnante, che affiora tra i massi che ricoprono ovunque il fondo.

Grotta della Cava: la saletta al punto 33 (foto G. Mecchia)


L’aria ha un forte odore di zolfo, che si accentua negli ambienti stretti e poco ventilati. Sulle pareti si trovano quasi ovunque belle cristallizzazioni di gesso con colori variabili da bianco ad ocra e a violaceo, in crostoni parietali che però sono estremamente fragili e sfaldabili. Le concrezioni calcitiche sono visibili a tratti al disotto dei crostoni di gesso o nelle parti più alte della cavità, al disopra di un livello orizzontale che segna nettamente il limite delle cristallizzazioni di gesso. Numerose anche, sulle pareti non concrezionate, le vermicolazioni argillose. L’andamento della grotta, che si sviluppa parallelamente al versante, è condizionato dalla presenza di un piano di faglia con direzione NE-SW, parallelamente al quale si sviluppano i principali tratti di galleria e le pareti delle sale. Gli strati immergono di 10° verso 110°. L’ingresso è un foro di 1 m di diametro che immette in un ripido scivolo terroso lungo 5 m. Alla base dello scivolo si apre un ambiente di crollo che intercetta la galleria principale. Procedendo verso sinistra (NW) si segue per una decina di metri una galleria bassa in discesa che termina in frana, delimitata sul lato destro da una serie di pozze con acqua stagnante, l’ultima delle quali è un basso laghetto che chiude l’eventuale prosecuzione. Tornati alla base dello scivolo iniziale, si può proseguire nel senso opposto, verso destra (SE). Attraverso vari passaggi poco evidenti fra i massi si scende al livello dell’acqua, incontrando subito una saletta (punto 2), determinata dall’intersezione della galleria principale con una frattura ortogonale. Sulla sinistra un laghetto profondo almeno 3 m, probabilmente un sifone, sembra chiudere un arrivo laterale. Un altro laghetto sulla sinistra si supera in spaccata, entrando in una piccola galleria rettilinea in leggera salita che termina dopo 7 m in una saletta con alcuni stretti diverticoli. Sulla destra si passa invece una pozza non molto profonda, e si entra in una galleria alta inizialmente circa 1 m e larga altrettanto. La galleria, con pareti e fondo lisci, prosegue per una trentina di metri, compiendo una curva a destra, con un’altezza variabile da 1 a 3 m e una larghezza di 1,5 m. Termina in una saletta (punto 3) dalla quale, attraverso un passaggio in fessura alta e stretta, si entra in una sala di crollo con varie pozze d’acqua sul fondo, fra i massi. La sala (punto 4) ha una forma irregolare con larghezza di circa 10 m, le pareti sono ricoperte da cristallizzazioni di gesso; dalla sala partono diverse diramazioni. Sulla destra, subito dopo un conoide terroso che sembra provenire dall’esterno, parte un basso cunicolo impostato su una frattura che continua anche dalla parte opposta della sala. Dopo 10 m il cunicolo si biforca in due brevi diramazioni. Tornati alla sala, sulla sinistra si prosegue lungo la stessa frattura del cunicolo già percorso raggiungendo nuovamente l’acqua; con un basso passaggio di interstrato si raggiunge un lago-sifone (punto 10). A qualche metro di distanza e poco più in alto lungo la parete della sala si apre una stretta fessura lunga circa 8 m, che stringe diventando impraticabile. La sala termina sul lato opposto con un cumulo di massi crollati che circonda un laghetto (punto 5) largo circa 3 m e con la volta bassa. Superato il laghetto sulla sinistra, passando fra i massi, si giunge in un ambiente alla base di una grande frana. Questa frana si può risalire per circa 15-20 m (punto 7), con passaggi fra massi che formano brevi diramazioni, alcune delle quali ben concrezionate da colate di calcite non più attive. La parete che sovrasta la frana è un esteso piano di faglia con direzione N30°E, inclinato di circa 70° verso NW, che si può osservare a varie altezze camminando su cenge determinate da blocchi incastrati. Vari passaggi si collegano a diverse altezze o riportano in basso verso il livello dell’acqua. Tornati alla base della frana (punto 6), si prosegue costeggiando, fra grandi blocchi, una serie di laghetti che occupano quasi interamente la galleria, larga in questo tratto circa 2 m. Percorsi una quarantina di metri dalla sala precedente, si giunge ad una nuova grande sala di crollo (punto 9) con pianta larga 15x20 m e altezza fino a 4 m. La parete sinistra segue un piano di frattura con direzione NE-SW; quasi tutta la parte destra della sala è occupata da un lago profondo circa 1 m; il pavimento è coperto da grandi massi. Percorsa tutta la sala lungo il lato sinistro, uno stretto passaggio verticale immette in una saletta con laghetto. Da qui parte una fessura allagata la cui volta si abbassa progressivamente sull’acqua (punto 10) fino ad una curva, oltre la quale la prosecuzione non è più visibile. La frana terminale corrisponde, all’esterno, al piano della grande cava visibile a destra della strada. L’acqua sul fondo della galleria sembra rappresentare la superficie della falda idrica; tuttavia durante le visite svolte in epoche diverse si è notata solo una variazione massima del livello dell’acqua limitata a qualche decina di centimetri, e le superfici degli specchi d’acqua sono apparentemente stagnanti, anche in presenza di una forte attività idrica delle sorgenti esterne, in particolare di quella che fuoriesce dalla captazione. Si deve notare però che probabilmente la circolazione idrica originaria della grotta è stata stravolta dai lavori di costruzione della massicciata ferroviaria. E’ apprezzabile una leggera corrente d’aria nel tratto fra l’ingresso e la prima grande sala.

Stato dell’ambiente La grotta, situata a pochi metri dalla sorgente omonima sfruttata già in epoca romana, è nota “da sempre”. Riscoperta dagli speleologi solo nell’ultimo decennio, è stata oggetto di studi e ricerche

che hanno comportato qualche centinaio di visite. Prima dei lavori di sistemazione che hanno interessato l’area in varie epoche, la grotta era più facilmente accessibile e costituiva forse una diramazione del condotto della sorgente principale; infatti si sviluppa parallelamente al versante e probabilmente un tempo aveva varie comunicazioni con l’esterno, poi chiuse dal terrapieno della ferrovia abbandonata. All’interno, in particolare alla base dello scivolo d’ingresso, si trovano modesti quantitativi di rifiuti.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre dai locali, ed è stata posta in relazione con la sorgente di Fiume Coperto, la più settentrionale di un gruppo di sorgenti mineralizzate affioranti alle falde del Monte Acquapuzza; viene citata da CAMPONESCHI & NOLASCO (1983). E’ stata esplorata nel 1993 dallo SCR (C. Giudici, Silvia Ronzoni, L. Russo).

Bibliografia CAMPONESCHI & NOLASCO, 1983; CELICO, 1983; DI RUSSO ET ALII, 1999; GIUDICI & RUSSO, 1993; PIRO, 2000.

Grotta della Cava Dati catastali 384 La - comune: Bassiano (LT) - località: Acquapuzza, Cava della Catena - quota: 27 m carta IGM 1:25000: 159 IV SO Sermoneta - coordinate: 0°32’26”2 (12°59’34”6) -41°31’00”0 carta CTR 1:10000: 400 080 Latina Scalo - coordinate: 2.352.520 - 4.598.140 dislivello: -15 m - sviluppo planimetrico: 230

Itinerario Da Latina si raggiunge Latina Scalo. All’incrocio con semaforo che si incontra nel centro abitato, si svolta a destra per la Via Setina (S.P. Murillo). La si segue per 4,5 km, poi ad un bivio si svolta a sinistra; dopo 1,2 km ad un nuovo bivio, dopo aver sorpassato la ferrovia con uno stretto cavalcavia, si svolta a destra; dopo 250 m ad un terzo bivio presso un ristorante si svolta a sinistra, si prosegue per altri 250 m e si lascia la macchina, nei pressi di una cava. Si risale quindi il sentiero che parte sulla destra della cava, sale inizialmente abbastanza ripido e poi prosegue in quota passando poco a monte di un terrazzamento con una fila di arnie. Seguendo tracce di sentiero in quota si arriva al bordo laterale della cava; si scende per passaggi abbastanza evidenti lungo la parete, per circa 3 m, fino a raggiungere una stretta cengia determinata da un accumulo di massi di crollo; la si segue verso destra, evitando alcune strette fessure verticali che immettono nella grotta, fino a trovare il passaggio più agevole per scendere nella cavità (5 minuti di cammino).

Descrizione La grotta si apre con una lunga spaccatura determinata da un accumulo di grandi massi di

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crollo alla base della parete della cava. Si scende fra massi e parete imboccando un breve scivolo che porta, dopo circa 10 m, in un primo grande ambiente di crollo (punti 4-6), dalla volta alta oltre 10 m, che si sviluppa fra la parete calcarea e l’accumulo di massi prima citato. Da qui la grotta prosegue con andamento pressochè orizzontale e assume un aspetto labirintico, con una serie di percorsi fra massi di crollo e diaframmi di roccia che a volte non permettono di percepire le reali dimensioni e la continuità degli ambienti che si attraversano. Gli ambienti della grotta sono chiaramente impostati su linee di frattura ad andamento NE-SW e NW-SE. Parte della sala iniziale è scavata in un deposito di breccia ad elementi calcarei di dimensioni variabili, che ingloba anche grandi blocchi, con cemento argilloso rossastro; tale formazione si può mettere in relazione con la presenza di un importante allineamento di faglia a direzione appenninica. Sulla destra della sala, in alto, si apre una diramazione molto stretta che inizia con un pozzetto di pochi metri (punto 5) e che prosegue poi per circa 40 m, dapprima in forte discesa, poi in piano, collegandosi infine con un altro ambiente della grotta (punto 40). Superando invece, nella sala iniziale, un punto dalla volta bassa, si apre una nuova sala di circa 10 x 10 m con volta alta 3-4 m (punto 7); sulla sinistra parte una larga galleria in salita che chiude in frana dopo circa 20 m (punto 9). Procedendo invece verso destra, si raggiunge un nuovo ambiente di forma allungata, lungo complessivamente circa 30 m e largo una decina, con la volta che raggiunge i 5-6 m nella parte centrale (punto 11); da questo ambiente, occupato da un caos di massi di crollo e da alcune grandi colonne stalagmitiche, partono tre diramazioni. Sulla sinistra una galleria di forma irregolare, piuttosto bassa, si allarga in alcune piccole salette, e dopo circa 40 m chiude con un ambiente dal fondo coperto da un notevole deposito di fango (punto 16). La seconda diramazione, una stretta galleria, dopo una ventina di metri si allarga in una nuova sala di dimensioni 10x5 m, dalla volta a cupola, alta 7-8 m (punto 20); da qui un passaggio fra massi, che si allarga in alto in altri piccoli ambienti, conduce ad una sala di forma all’incirca rettangolare, di dimensioni 10 x 6 m, con la volta alta 4-5 m (punti 24-31) con al centro un grande diaframma di roccia. Sul lato sinistro di questa sala si apre una stretta fessura verticale che è stata percorsa per qualche metro (punto 25), dalla quale, nei periodi invernali arriva una sensibile corrente d’aria; inoltre a volte sul fondo si trova acqua, che emana odore di zolfo. Un’altra diramazione è costituita da una galleria piuttosto stretta e bassa con ingresso molto stretto (punto 26), lunga complessivamente una cinquantina di metri, che compie un percorso ad anello, ed è ben concrezionata. Dalla sala, procedendo verso destra, sempre fra massi di crollo, la volta si abbassa notevolmente fino a meno di 1 metro, ed il fondo scende di un paio di metri (punto 32); qui si intercetta un torrentello 160 con andamento ortogonale, le cui prosecuzioni a monte e a valle sono basse gallerie di interstrato non transitabili; nei periodi piovosi questa zona è allagata, mentre in periodi secchi si trovano notevoli depositi di fango. Tornando alla sala intermedia (punto 11), la terza diramazione della sala è una galleria inizialmente piuttosto larga (oltre 10 m) che si imbocca procedendo verso destra. In questo tratto, nel quale giunge anche la diramazione che parte dalla sala iniziale, vi sono tre grandi pilastri di roccia. Poco dopo la galleria stringe, e prosegue rettilinea per una quarantina di metri, seguendo la direzione NE-SW, allargandosi a metà in una sala di forma ovale (punto 37), larga circa 10 m. La galleria confluisce in un’altra grande sala rettangolare con dimensioni di 6x10 m e altezza di 2 m, suddivisa da grandi massi di crollo (punto 33). Scendendo verso sinistra fra i massi, si intercetta di nuovo il torrentello incontrato al punto 31. Proseguendo invece dritti, si entra in una nuova diramazione, una breve galleria in salita, che dopo 10 m circa piega ad angolo retto scendendo con un breve scivolo per altri 15 m circa; questa diramazione è la parte più concrezionata della grotta, e presenta alcune belle colonne stalattitiche; chiude con uno sbarramento di concrezione (punto 36). Nei periodi in cui in grotta c’è presenza di acqua, si sente un notevole odore di zolfo, mentre nei periodi secchi tale odore diminuisce notevolmente.

Stato dell’ambiente Sembra che la grotta sia venuta alla luce nel corso dell’attività della cava (in esercizio probabilmente da prima della seconda guerra mondiale fino agli anni ’70), nella quale si è già attivato il processo naturale di attecchimento della vegetazione. Dopo l’abbandono della cava, grandi massi sono stati accumulati ad ostruire l’imbocco della grotta. Nota agli speleologi fin dal 1963, non è stata tuttavia molto frequentata.

Ouso del Cavone Dati catastali 905 La - comune: Bassiano (LT) - località: versante sud Monte della Bufala - quota: 700 m carta IGM 1:25000: 159 IV SO Sermoneta - coordinate: 0°34’19”2 (13°01’27”6) - 41°31’59”3 carta CTR 1:10000: 401 050 Sezze Nord - coordinate: 2.355.180 - 4.599.910 dislivello: -62 m - sviluppo planimetrico: 85 m

Itinerario Da Sermoneta ci si dirige verso Bassiano passando per l’Abbadia di Valvisciolo. Arrivati al bivio per Bassiano si prosegue a sinistra verso Sezze per 300 m fino ad un altro bivio. Si prende a destra, poi, dopo 200 m, ad un altro bivio, si va a sinistra su una stradina in discesa. La si segue per 600 m fino al bivio con un’altra strada a destra che supera un ponticello (Ponte Mariuccia). Passato il ponte, la strada poco dopo diventa sterrata; la si segue per circa 2 km, finché si trasforma in sentiero (q. 500 m circa). Si lascia la macchina e si segue il sentiero (segni gialli e rossi) fino al valico (q. 556 m). Qui si risale il versante per prati seguendo la cresta (direzione circa NW) fino al colle di q. 720 (poco prima del primo canalone evidente). La grotta si apre a 40 m in direzione 225° dalla cima del colle di q. 720 m (circa 30 minuti di cammino).

Storia delle esplorazioni Sicuramente già conosciuta dai cavatori, è stata esplorata il 17 febbraio 1963 dallo SCR (L. Valerio, M. Monaci, G. Saiza).

Bibliografia DOLCI, 1968; MANISCALCO, 1963; VALERIO, 1963.

Da Sezze Romano si prende la strada per Roccagorga. Dopo 4 km, arrivati alla frazione di Chiesa Nuova si devia per il campo sportivo. Ci si inoltra quindi, ignorando gli altri bivi, in un pianoro sovrastante la località di Suso, costeggiando un torrente che scorre a destra della strada, che successivamente diventa sterrata. Dopo 1,7 km ad un bivio si prende la strada a sinistra, in cattive condizioni (conviene lasciare la macchina). La grotta si trova dopo circa 250 m, poco sotto la strada (15 minuti di cammino). Dato che si tratta di sito archeologico, l’imbocco è stato completamente ostruito con pietre, rendendo la cavità inaccessibile.

Descrizione (da DONATI, 1988d)

L’imbocco, una fessura lunga 4 m e larga da 20 a 50 cm, si trova alla base di una paretina alta 1,5 m. Nell’area di ingresso sono ben visibili gli strati (direzione N25°W, immersione 20°E). L’imbocco è stato ostruito completamente con massi di grandi dimensioni (per evitare accidentali cadute del bestiame). Rimuovendo i massi si accede alla cavità. La grotta si è originata lungo una frattura verticale orientata in direzione N30°W, e presenta la tipica forma stretta e allungata a crepaccio, che evidenzia la sua origine tettonica. L’ambiente sotterraneo è originato dalle due pareti parallele distanti 1,5-2 m fra le quali a più livelli sono incastrati grandi blocchi di crollo ed accumuli detritici. Sceso il primo pozzo di 15 m si segue uno scivolo (tratto 2-6) di detriti ripido (30°) e franoso, lungo 40 m. Si accede quindi all’ambiente più ampio della grotta (punti 6-7); qui le due pareti si allontanano formando una sala di 4x7 m con il fondo occupato da grandi blocchi di crollo; ancora tra i blocchi è la prosecuzione. Dopo brevi passaggi, scendendo in ambienti più stretti, è necessario, dopo aver invertito la direzione (punto 9), armare un salto di 10 m che conduce al fondo (-62), dove la fessura tra detriti e limitati depositi di fango non presenta prosecuzioni percorribili. Durante il periodo estivo la grotta si presenta asciutta, con un limitatissimo stillicidio in prossimità del fondo. Non sono state avvertite correnti d’aria.

L’ingresso, attualmente ostruito da massi cementati, si apre in un banco calcareo di 4 m di spessore, che immerge di 10° verso NE, solcato vistosamente da una frattura verticale N45°E su cui è impostata la prima parte della cavità; lungo tale frattura è stato allargato artificialmente un pozzetto di 50 cm di diametro profondo 3 m, che dà in un piccolo ambiente diviso orizzontalmente da un grande masso appoggiato. Si passa quindi sotto il masso e si imbocca un condotto largo e basso (25-30 cm) molto fangoso, talvolta percorso da un rivolo d’acqua, che sbocca dopo 20 m in una saletta (punto 6), la prima di una serie di ambienti separati da restringimenti, che ci conduce ad una strettoia dal fondo allagato (punto 10). Qui la grotta cambia direzione seguendo una frattura NNW-SSE, presenta dimensioni più ampie ed è rettilinea fino alla sala “del Prosciuttone” (punto 12). La grotta ora interseca una nuova frattura NE-SW e si biforca: seguendo la via più evidente si scende verso est fino ad un buco impercorribile (punto 13) da cui esce una corrente d’aria e nel quale si versa l’acqua che a volte percorre il primo tratto della grotta; è questo il punto più profondo della grotta (-6). Dalla sala (punto 12) proseguendo invece in quota, si imbocca un condotto che dopo una decina di metri (punto 15) piega verso ovest e, dopo una trentina di metri, immette in un grande ambiente, la sala “Appenninica”, divisa in vari vani da una grande accumulo di frana, che ha coinvolto anche gran parte dei reperti archeologici qui scoperti. Da qui si accede all’ultima sala, dove sono stati effettuati i ritrovamenti più interessanti. Per raggiungerla bisogna avanzare a destra, risalire la frana fino al soffitto, superare la strettoia “degli Scheletri” (punto 25) fino a sbucare nella sala “dei Sette”, grande ambiente a fondo terroso diviso in due da una cortina di concrezioni, e dall’altezza variabile ma comunque scomoda. Questa sala è molto vicina all’esterno. Nella grotta sono stati rinvenuti frammenti di vasi e ciotole datati fra la prima età del Bronzo e la civiltà Appenninica (II millennio a.C. - 1300 a.C.), decorati con motivi geometrici o a intaglio, una lama in rame e due anelli in bronzo. Interessanti i resti di crani, un teschio di bambino e probabili ossa di Ursus Spelaeus.

Stato dell’ambiente

Stato dell’ambiente

La grotta, scoperta nel 1982, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina, ed è sostanzialmente integra. L’imbocco è chiuso con massi per evitare rischi di caduta del bestiame.

La grotta è stata scoperta ed esplorata nel 1987 dagli speleologi. Data la rilevanza dei reperti archeologici scoperti al suo interno (in alcuni ambienti interni sono stati effettuati scavi), l’ingresso, aperto con operazioni di disostruzione, è attualmente chiuso da massi cementati ivi posizionati per preservare il sito. Pertanto, la grotta è stata scarsamente frequentata (probabilmente meno di 200 visite complessive).

Descrizione

Note tecniche P15 d’ingresso+scivolo (corda 50 m), P10 (corda 15 m), fondo (-62).

Note tecniche

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1982 dal CSR (S. Albergamo, L. Nizi, J. Ventre, Ines Vigorosi, R. Vigorosi).

Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni

Bibliografia NIZI, 1984.

Grotta Vittorio Vecchi

L’ingresso è stato aperto il 29 novembre 1987; il GS CAI Latina (M. Milizia) e l’ASR’86 (F. Donati, D. Peronace, F. Pietrosanti e L. Zannotti) percorrevano i primi metri fermandosi su una strettoia. Questa è stata superata la domenica successiva, e l’esplorazione è stata proseguita dai due gruppi (oltre ai primi esploratori, erano presenti P. Petrignani e E. Pietrosanti). Il 20 dicembre 1987 Peronace, M. Rosatella e Zannotti hanno forzato la strettoia nella parte alta dell’ultima sala, arrivando nell’ambiente in cui sono stati trovati la maggior parte dei reperti.

Bibliografia

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Itinerario

Dati catastali 1016 La - comune: Sezze (LT) - località: Longara - quota: 505 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°38’21”8 (13°05’30”2) - 41°31’57”6 carta CTR 1:10000: 401 060 Roccagorga - coordinate: 2.360.800 - 4.599.730 dislivello: +8/-6 - sviluppo planimetrico: 180 m

BERNABEI, 1988a; DONATI, 1988a; DONATI, 1988d; DONATI & PINTUS, 1988; PINTUS, 2000; RUSCONI, 1990.


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Grotta Vittorio Vecchi: teschio umano rinvenuto in uno dei condotti della grotta e poi asportato (foto G. Pintus)

Grotta Marina Dati catastali 1186 La - comune: Sezze (LT) - localitĂ : Longara - quota: 500 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°38’23â€?1 (13°05’31â€?5) - 41°31’57â€?3 carta CTR 1:10000: 401 060 Roccagorga - coordinate: 2.360.830 - 4.599.720 dislivello: -27 m - sviluppo planimetrico: 110 m.

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Itinerario Da Sezze Romano si prende la strada per Roccagorga. Dopo 4 km, arrivati alla frazione di Chiesa Nuova si devia per il campo sportivo. Ci si inoltra quindi, ignorando gli altri bivi, in un pianoro sovrastante la localitĂ di Suso, costeggiando un torrente che scorre a destra della strada, che successivamente diventa sterrata. Dopo 1,7 km ad un bivio si prende la strada a sinistra, in cattive condizioni (conviene lasciare la macchina). La grotta si trova dopo circa 250 m, poco sotto la strada (15 minuti di cammino). L’imbocco è stato ostruito con massi, facilmente rimuovibili.

Descrizione Il pozzetto d’ingresso, ostruito da massi per preservare la grotta, ha un foro d’imbocco di 50 cm di diametro situato alla base di una paretina alta 3 metri, in un banco calcareo che immerge di 10° verso NE. Presso l’ingresso si osserva una evidente fratturazione verticale con orientazioni 45° e 65°. Il pozzo è profondo 7 m; dopo i primi 3 m si allarga, sbucando sulla volta di una sala. La grotta è costituita, infatti, da tre grandi sale, collegate tra loro da brevi gallerie; si sviluppa complessivamente in direzione NE-SW, ma l’andamento degli ambienti è condizionato anche da fratture ortogonali (NW-

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Grotta Marina: una sala interna (foto G. Pintus)

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Grotta Marina: particolare della seconda sala (foto G. Cappa)


SE). Si procede camminando sul pavimento, quasi sempre in leggera discesa, coperto da un cumulo detritico misto a fango; la grotta è ben concrezionata ovunque, sia sulle pareti che sulle volte. Dalla base del pozzo si può risalire, sulla sinistra, una breve diramazione in salita che dopo una decina di metri (punto 7) è completamente ostruita da un riempimento di terriccio. Attraversata la sala, che ha dimensioni di 15x10 m ed è alta 3-4 m, tenendosi sulla destra si accede ad una galleria (punto 13). Se invece si scende verso il punto più basso della sala (punto 10), dove nei periodi piovosi sembra che si formi un laghetto, si entra in un accumulo di grandi massi, fra i quali si sviluppa una serie di passaggi, alcuni dei quali sono impraticabili, mentre altri permettono di scendere nella stessa galleria (tratto 12-15). La galleria, alta 6-7 m e larga un paio di metri, con un laghetto nel punto più depresso, sbuca in una seconda sala, con dimensioni di 10x20 m, forma rettangolare, allungata in senso trasversale alla galleria; alle due estremità (punto 17 e punto 18), alcuni passaggi fra i massi chiudono in strettoie impraticabili. Proseguendo, un passaggio basso (alto 1 m e largo 4 m, punto 22) dà accesso alla terza sala, la più grande e maggiormente concrezionata. La sala ha pianta di 18x16 m, la volta è alta fino a 6 m e il pavimento è in discesa, con un gradino a metà del percorso corrispondente ad un abbassamento della volta, dalla quale pendono numerose cortine e concrezioni. Tre grandi colonne sono allineate nel primo tratto della sala. All’estremità Est (punto 28) si può scendere, tra i massi, in una alta spaccatura rettilinea lunga una ventina di metri, che chiude in strettoia. Proseguendo nella sala, si imbocca una galleria in discesa (punto 29), alta un paio di metri e larga fino a 3 m, che termina dopo 10 m in un passaggio scomodo, oltre il quale si trova una bassa saletta di 5x3 m; da qui una stretta fessura diventa subito impraticabile.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata nel 1989, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. L’interno si presenta ancora integro. Il pozzetto d’ingresso, disostruito all’atto della scoperta, viene sistematicamente richiuso con massi per preservare la grotta da eventuali atti vandalici.

raggiunge la base pianeggiante della dolina; l’imbocco è all’estremità NW, sotto una paretina. I piani di stratificazione hanno giacitura N70°E 45°SE. All’imbocco l’accesso è ostacolato da un masso alto un paio di metri, che forma praticamente un saltino. Saliti sul masso ci si affaccia in un imbuto terroso largo 2 m e profondo 4 m. Alla base dell’imbuto si supera un restringimento (40-50 cm) entrando in un piccolo slargo (punto 2) che si affaccia in un pozzo dall’imboccatura stretta (30 cm) e bassa (50 cm). Il pozzo è profondo 14 m. Passato lo stretto imbocco, l’ambiente si amplia; la discesa è interrotta da due terrazzini, a -5 e -11 m. Dalla base del salto parte subito una spaccatura larga 40 cm, alta 2,5 m e profonda 12 m. Il P12 si apre a campana e la base (punto 5) è ampia 3 m. La parete SW risulta chiaramente costituita dalla frattura orientata N30°W e immergente 80°E, lungo la quale sembra essere impostata tutta la grotta. La prosecuzione più evidente è un pozzo di 7 m che si apre lungo la frattura in uno slargo all’estremità SE della sala, ma anche all’altra estremità è possibile scendere in una stretta fessura che porta alla sala presso il fondo. Il P7 è largo 1,5 m; dalla sua base si prosegue per una decina di metri in un comodo meandro fino alla sommità di un pozzo profondo 15 m. Il pozzo inizia con una fessura inclinata, larga e bassa, che dopo 4 m si apre in una spaccatura verticale. Dalla base del P15 si accede direttamente all’ultimo salto, profondo 17 m, che inizia come una spaccatura larga 1,5 m e alta alcuni metri. La base è ampia 4x2 m, con il pavimento fangoso e detritico, con una piccola pozza d’acqua. Due piccoli fori permettono l’accesso ad una sala contigua (punto 9). La sala è larga circa 6x12 m, alta 6-7 m, con un pavimento fangoso con estesi tratti coperti da una inconsueta sabbia fine di colore bianco e in parte ingombro di massi di crollo. Un camino sulla sua volta sale per ricollegarsi alla base del P12. Il pavimento della sala scende e, fra i massi, è possibile raggiungere la base di una fessura (punto 10, -81). Qui inizia un tratto orizzontale percorribile per una sessantina di metri, impostato sulla frattura principale e articolato su più livelli in un saliscendi labirintico.

Caratteristiche della grotta sono l’abbondante fango e la scarsezza di acqua in condizioni normali. Nel periodo invernale una sensibile corrente d’aria viene aspirata dall’ingresso. Nella frattura sul fondo della grotta, però, la corrente d’aria appare appena percettibile.

Stato dell’ambiente A partire dal 1971, anno in cui è stato aperto l’imbocco del pozzo iniziale sul fondo della dolina, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. All’interno si osservano alcune tracce di passaggio degli speleologi.

Note tecniche P4 d’ingresso (arrampicabile, eventualmente corda 6 m), P14+P12 (corda 40 m), P7 (corda 10 m), P15 (corda 20 m), P17 (corda 20 m), fondo (-81).

Storia delle esplorazioni L’ingresso è stato disostruito il 10 ottobre 1971 dal G.S.CAI Latina (G. Forlenza, A. Ghidoni, U. Mascolo e R. Nervi). Fra il 24 ottobre e il 2 novembre è stato raggiunto il fondo dei pozzi ed esplorato il ramo verticale parallelo (Nervi, Ghidoni, R. Remondina, G. Cavasini, A. Serratore, Mascolo, G. Fodale e Forlenza). Le esplorazioni del G.S.CAI Latina sono state completate nella parte orizzontale fra il 2 e il 9 novembre 1975 (Serratore, Forlenza, G. Scafiddi, Claudia Mostaccio, R. De Angelis, Silvana De Angelis, Lina Malgeri, Fodale, U. Manciocchi).

Bibliografia DONATI, 1988c; GRASSI, 1993; RUSCONI, 1990.

Note tecniche Unica verticale è il P7 d’ingresso (corda 10 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 15 luglio 1989 dall’ASR’86 (D. Candela, T. Dobosz, G. Pintus, R. Roia, F. Zaccheo e L. Zannotti).

Bibliografia DONATI, 1990; MECCHIA G., 1996.

Ouso di Pozzo Nuovo Dati catastali altro nome: Grotta Nova 1004 La - comune: Roccagorga (LT) - località: 600 m a NNE di Pozzo Nuovo - quota: 380 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°40’07”4 (13°07’15”8) - 41°31’40”5 carta CTR 1:10000: 401 060 Roccagorga - coordinate: 2.363.240 - 4.599.150 dislivello: -81 m - sviluppo planimetrico: 130 m

Itinerario Da Sezze si prende la strada che porta a Roccagorga. Dall’incrocio con la strada per Bassiano si prosegue per 5,3 km. Qui si svolta a sinistra per una stradina asfaltata (cartello: via Pozzo Nuovo - Arco). Dopo 1 km si arriva in località Pozzo Nuovo (fontanile), si prosegue a sinistra, ancora lungo via Pozzo Nuovo, e dopo 1 km si svolta a sinistra in una stradina asfaltata che sale. Dopo 500 m l’asfalto finisce in corrispondenza di un bivio. Si scende per la strada bianca di sinistra e dopo circa 150 m si lascia la macchina presso due case. Si prosegue a piedi per circa 50 m in una strada bianca in discesa. La grotta si apre una cinquantina di metri all’interno del campo a sinistra della strada. L’imbocco è posto in una dolina circondata da fitti arbusti e rovi, mal riconoscibile (5 minuti di cammino). Per accedere alla grotta, che si apre in terreno privato recintato, è opportuno chiedere il permesso al proprietario.

Descrizione La dolina, di difficile riconoscimento a causa della fitta vegetazione che ne circonda il bordo, ha una forma allungata di dimensioni 20x5 m. Dal bordo, sceso uno scivolo fangoso alto 4-5 m, si

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I MONTI LEPINI CENTRALI

Ovuso dell’Isola

Note tecniche Pozzo unico profondo 58 m (corda 70 m).

Storia delle esplorazioni Dati catastali 24 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Villa Pecceto - quota: 375 m carta IGM 1:25000: 159 IV NO Montelanico - coordinate: 0°36’39”5 (13°03”47’9) - 41°37’25”6 carta CTR 1:10000: 389 130 Campo di Montelanico - coordinate: 2.358.660 - 4.609.900 dislivello: -65 m - sviluppo planimetrico: 52 m

Esplorata nel maggio 1928 dal CSR (C. Franchetti, A. Datti, F. Botti, L. Tosti di Valminuta, P. Pietromarchi, Greppi).

Bibliografia DOLCI, 1965; FELICI, 1976; FELICI, 1978a; FELICI, 1978b; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1956.

Itinerario Da Montelanico si prende la S.S. 609 per Carpineto Romano. Al km 17,1 sulla sinistra si imbocca una strada per il Ristorante dell’Isola (Villino Pecceto). Dopo 300 m si svolta a destra per una strada in cemento, e si raggiunge, dopo altri 300 m, il ristorante. Si prosegue per sentiero verso est, in quota, per circa 200 m fino all’evidente ingresso che è circondato da filo spinato e cespugli (5 minuti di cammino).

Descrizione

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 159 Frosinone 1 = Ovuso dell’Isola 2 = Bocca Canalone 3 = Ouso dell’Omo Morto 4 = Grotta Ciaschi 5 = Grotta del Formale 6 = Ouso di Valle Me Ne Pento 7 = Grotta del Rapiglio 8 = Pozzo della Croce 9 = Risorgenza dell’Istrice 10 = Ouso 2° dei Cavoni 11 = Ouso della Rava Bianca 12 = Ouso Gemello della Rava Bianca 13 = Ouso nella Villa 14 = Ouso di Pozzo Comune 15 = Ouso del Sordo 16 = Abisso Capodafrica 17 = Ouso di Gaetano 18 = Abisso Miguel Enriquez 19 = Pozzo della Faina 20 = Abisso Consolini 21 = Ouso delle Donne 22 = Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta coordinate riquadro: angolo NW = 0°33’30” - 41°39’ angolo SE = 0°43’ - 41°31’

L’imbocco è un pozzo di circa 3 m di diametro, circondato da vegetazione, con due alberi che si affacciano nel vuoto. Il pozzo, profondo 58 m, è impostato su una frattura orientata N50°E, mentre gli strati sono inclinati di 25° verso 40°. A meno di 10 m di distanza dalla cavità si nota un piccolo buco (punto 12) del diametro di 1 m, attualmente ostruito, che dovrebbe ricollegarsi con il pozzo, presumibilmente a circa 20-30 m di profondità. Fin dall’inizio della discesa il pozzo perde la forma circolare per assumere quella allungata a fessura, lunga 3 m e larga circa 1 m. Dopo una decina di metri di discesa, il pozzo ha un primo allargamento; la calata prosegue nel vuoto e a -40 si tocca la parete ai piedi di una bella colata calcitica, spesso coperta da un velo d’acqua, che emerge da una fessura verticale alta 2-3 m e larga mezzo metro. Lungo la stessa frattura ma dalla parte opposta (verso 300°), il pozzo si allarga in un ambiente parallelo, assumendo un diametro di una decina di metri. Da qui al fondo le pareti sono quasi ovunque ricoperte da un sottile strato di fango. Si scendono gli ultimi metri e si atterra (punto 5) presso il fondo di una grande galleria in discesa, ingombra di detrito, fango, ossa e rifiuti. La presenza di carogne di animali è frequente e il fetore può essere nauseante. Nei periodi piovosi un rivolo d’acqua percorre la galleria, in questo punto larga 10 m. Risalendo la galleria, impostata sulla frattura diretta a 300°, si arriva dopo una quindicina di metri ad un bivio (punto 8): qui la larghezza è di 3,5 m e l’altezza notevole (una decina di metri); ai lati si trovano notevoli accumuli di fango, incisi al centro dal rivolo d’acqua. Verso sinistra si entra in un breve (10 m) meandro attivo (frattura orientata verso 240°), che sale lievemente e giunge ad una pozza d’acqua (punto 11) larga 2,5 m, alla base di un camino. L’acqua proviene da un foro situato a 3 m di altezza; il camino sale per una ventina di metri. Tornati al bivio (punto 8) si riprende a salire la galleria verso 300° arrivando dopo pochi metri ad un brevissimo meandro dal fondo allagato, che dopo una curva termina (punto 10) alla base di un alto camino (stimato 20 m), dal quale scende l’acqua. Ridiscesi fino alla corda (punto 5), la galleria finisce ma prosegue una fessura in discesa, alta 7-8 m e inizialmente larga 1 m (attenzione ad una bomba inesplosa, residuo dall’ultimo evento bellico, mimetizzata fra il detrito). Qui si avverte una corrente d’aria che spira dalla base del pozzo verso il fondo (maggio ’98). Si arriva subito (10 m) al fondo della grotta (punto 7; -65), una saletta larga 2 m; il pavimento e le pareti sono rivestite di fango, inciso solo dal solco del rivolo d‘acqua che mette a nudo il detrito sottostante e che termina alla base della parete in un piccolo buco idrovoro. Nella visita del maggio ‘98, al termine di un periodo piovoso, solo uno stillicidio proveniva dalla fessura a -35, mentre risultavano attive entrambe le diramazioni della galleria alla base del pozzo. Tutta l’acqua veniva convogliata nel punto di assorbimento localizzato al fondo. E’ noto che in seguito a precipitazioni eccezionali il livello dell’acqua risale fino ad allagare completamente la base del pozzo, raggiungendo quota circa -40 (limite dei depositi di fango che ricoprono le pareti); contemporaneamente la vicina (e di quota poco più bassa) Bocca Canalone si allaga completamente e l’acqua sgorga dal suo imbocco (FELICI, 1978b).

Stato dell’ambiente La grotta viene, da sempre, utilizzata dai pastori per disfarsi degli scarti di lavorazione della lana e più in generale per gettarvi carogne di animali o rifiuti. Alla base del pozzo il fetore emanato dai resti organici può essere veramente sgradevole. A partire dal 1928, anno della prima discesa del pozzo, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite, delle quali non si rinviene praticamente traccia, anche grazie alla periodica risalita delle acqua di falda.

Bocca Canalone Dati catastali 26 La - comune: Carpineto Romano (RM)- località: Ponte dell’Omo Morto - quota: 344 carta IGM 1:25000: 159 IV NO Montelanico - coordinate: 0°36’31”4 (13°03”39’8) - 41°37’12”0 carta CTR 1:10000: 389 130 Campo di Montelanico - coordinate: 2.358.420 - 4.609.470 dislivello: -87 m - sviluppo planimetrico: 70 m Area protetta di riferimento: SIC IT6030042 “Alta valle del Torrente Rio”

Itinerario Da Montelanico si prende la S.S. 609 per Carpineto Romano. Al km 17,4 si lascia la macchina in una piazzola sulla sinistra e si scende per sentiero verso il torrente Rio. Raggiunto, dopo una ventina di metri, un ponte in legno, si attraversa il torrente. La cavità si apre ad una ventina di metri dal ponte, poco sotto il sentiero, sopraelevata di un paio di metri sulla confluenza tra Valle Casale e Valle Formale, sulla destra orografica. La dolina è circondata da filo spinato (5 minuti di cammino).

Descrizione (informazioni di Alberta Felici) La grotta ha un andamento prevalentemente sub-verticale, costituito da una successione di piccoli salti, il maggiore dei quali è profondo 15 m. L’imbocco è un pozzo verticale di forma tondeggiante, di circa 1 m di diametro. Il pozzo, profondo 6 m, è scavato nell’interstrato inclinato di 70° verso 165°. Nel tratto iniziale i pozzi (6; 14 e 5 m) scendono con un andamento a chiocciola fino a quota -33 m (punto 8, situato quasi in verticale sotto l’ingresso); il salto di 5 m inizia con una impegnativa strettoia (fessura parzialmente ostruita da una colata calcitica). Dal punto 8 si scendono due pozzi (15 e 14 m) separati da una delle numerose pozze d’acqua presenti sul fondo roccioso della grotta. Segue una condotta in discesa lunga meno di 20 m, con le sezioni tipiche delle condotte forzate; il fondo è di roccia viva come quasi ovunque nella grotta (si osservano solo alcuni piccoli depositi di sabbia), le pareti sono scolpite da scallops che indicano un flusso in salita, nonostante il rivolo d’acqua che, a partire da sopra la strettoia del P5 (punto 5), normalmente attraversa la grotta fino al fondo, dove si perde nel detrito. Alla fine della condotta (punto 16) si scende uno scivolo profondo 6 m e, superata una nuova pozza d’acqua, si arriva alla sommità dell’ultimo pozzo, profondo 10 m. Dalla base si percorrono ancora pochi metri in una condotta discendente fino ad un passaggio troppo basso (punto 23) con pavimento detritico, che costituisce il fondo della grotta (-87). In occasione di fortissime precipitazioni, perlopiù autunnali, il livello dell’acqua all’interno della grotta risale fino all’ingresso, dal quale vengono erogate portate anche di un centinaio di litri al secondo. L’emissione dura anche più di due giorni; l’acqua inizialmente è torbida e contiene detriti vegetali, quindi diventa limpida. Cessata l’emissione, il livello all’interno si abbassa lentamente, impiegando oltre un giorno a scomparire dalla vista (cioè dalla profondità di 8 m). Il torrente esterno (Valle Casale) pur passando sopra la grotta a pochissimi metri di distanza non dà luogo a perdite evidenti: i due sistemi idrici sono del tutto indipendenti.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1927, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visite speleologiche probabilmente non superiore a 200, delle quali non si rinviene praticamente traccia, anche grazie alla periodica risalita delle acqua di falda che saltuariamente fuoriescono dall’imbocco. Il torrente Rio, che scorre accanto alla grotta, risulta da alcuni decenni fortemente inquinato a causa di scarichi fognari non depurati. Tale inquinamento riguarda anche la cavità, nella quale scorrono veli d’acqua con schiume e maleodoranti.


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Note tecniche P6 d’ingresso, P14, P5 con strettoia verticale all’imbocco, P15, P14, Scivolo 6, P10, fondo (-87).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel maggio 1927 dal CSR fino alla strettoia a 22 m di profondità. L’11 ottobre 1970 lo SCR (Alberta Felici, Cristina Semorile), superata la strettoia, ha completato l’esplorazione.

Bibliografia CAPONE, 1991; DOLCI, 1965; FELICI, 1971; FELICI, 1976; FELICI, 1978a; FELICI, 1978b; FELICI & CAPPA, 1990; MANCINI, 1997; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1956.

Ouso dell’Omo Morto Dati catastali 40 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Ponte dell’Omo Morto - quota: 357 m carta IGM 1:25000: 159 IV NO Montelanico - coordinate: 0°36’37”8 (13°03”46’2) - 41°37’06”3 carta CTR 1:10000: 389 130 Campo di Montelanico - coordinate: 2.358.600 - 4.609.300 dislivello: - 70 m (-75 con sifone) - sviluppo planimetrico: 70 m (75 con sifone) Area protetta di riferimento: SIC IT6030042 “Alta valle del Torrente Rio”

Itinerario Da Montelanico si prende la S.S. 609 per Carpineto Romano. Al km 17,6 si imbocca una strada sterrata sulla sinistra e si lascia la macchina dopo alcune decine di metri, presso il cancello di uno stabilimento. Aggirato lo stabilimento, si raggiunge il fosso che si getta dentro la grotta e lo si percorre fino all’imbocco (meno di 5 minuti di cammino).

Descrizione Seguendo il fosso, che nel tratto finale si approfondisce in un solco nel fitto della vegetazione, si raggiunge il punto più basso della grande dolina di ingresso della grotta, lunga una ventina di metri e 166 larga una decina. Dall’orlo dell’inghiottitoio (punto 1) le pareti della dolina si alzano tutto intorno per 5 m fino a piano campagna. Un grande tronco crollato occupa in parte l’imbocco. Dall’orlo si scende un pozzo profondo 11 m, impostato su una frattura orientata a 260°; verso il basso il pozzo progressivamente stringe e il tratto finale è a sezione ellittica di 1,5x2 m. All’interno della dolina, un diaframma di roccia dello spessore di 3 m separa il pozzo principale da un pozzo parallelo. Alla base del P11 la fessura stringe fino a quasi 1 m e ci si affaccia subito su un secondo salto a scivolo, profondo 7 m, impostato su frattura diretta verso 300°. Dalla base dello scivolo si avanza per una decina di metri in meandro, si scende un gradino e, superato un brusco gomito (punto 6) determinato dall’intersezione di due fratture orientate rispettivamente verso 310° e verso 220°, si intercetta un pozzo di 15 m. Il pozzo, largo quasi 2 m, è impostato su una frattura orientata verso 260°. Dalla base (punto 7) si avanza lungo la stessa, comoda, fessura e dopo una decina di metri si arriva sopra uno scivolo profondo 5 m. Quindi si procede ancora lungo la fessura, inizialmente comoda (larga 1 m e alta 2 m), poi, per pochi metri, il soffitto si abbassa (1 m), quindi (punto 13) si scende, nuovamente in una agevole fessura, con alcuni gradini rocciosi, con le pareti di calcare bianco bucherellato dalla dissoluzione, talvolta attraversate da piccole colate calcitiche di colore marrone. Dopo meno di 10 m un brusco gomito (punto 14, frattura orientata verso 150°) è subito seguito dall’ultimo salto, profondo 6 m. Il P6 è una bella condotta quasi verticale, larga 1-1,5 m. Dalla base si scendono due gradini rocciosi, di nuovo sulla frattura orientata verso 260°, arrivando dopo 5 m sull’orlo di un piccolo specchio d’acqua, con pianta ellittica di 2x0,8 m: è il sifone terminale (punto 17, -70). Il sifone è stato esplorato in immersione da speleosub, che sono scesi sotto la superficie dell’acqua per 8 m lungo uno scivolo inclinato di 40°. Le esplorazioni si sono fermate davanti ad un restringimento della galleria sommersa (-75), anche a causa del fango che impediva completamente la visibilità. Il fosso esterno è quasi sempre asciutto, e anche la grotta è normalmente percorsa solo da pochissima acqua di stillicidio che si raccoglie in un modestissimo rivolo che forma piccole pozze. In occasione di eventi piovosi molto intensi, quando l’acqua esce dall’ingresso di Bocca Canalone (distante solo 250 m), l’acqua risale dal fondo della grotta fino a 8-10 m sotto il piano campagna, come testimoniano anche gli scallops sulle pareti, che indicano un flusso in risalita. Eccezionalmente il livello dell’acqua giunge quasi al piano di campagna (come fu constatato il 23/11/’91 e il 1/1/’96; A. Felici, comunicazione personale).

Stato dell’ambiente A partire dal 1926, anno della scoperta, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite speleologiche, delle quali non si rinviene praticamente traccia, anche grazie alla periodica risalita delle acque di falda. Il Torrente Rio, che scorre nei pressi della grotta, risulta da alcuni decenni fortemente inquinato a causa di scarichi fognari non depurati. Tale inquinamento riguarda anche la cavità, nella quale a volte sono percepibili odori di detersivi, e si rinvengono anche rifiuti trasportati dalle acque.

Note tecniche P11 d’ingresso (corda 25), P7 (corda 10), P15 (corda 20 m), P5 (corda 8 m), P6 (corda 10 m), fondo (-70).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1926 dal CSR (C. Zileri dal Verme, C. Franchetti, Stianco) fino a –16 m dove “detriti al fondo ostruiscono una galleria” (SEGRE, 1948a). Le esplorazioni vennero riprese dal 22 al 26 agosto 1972 dallo SCR (S. Colaluca, Alberta Felici) che ne raggiunse il fondo. Nell’ottobre 1996 G. Spaziani (GSC) ha tentato di forzare il sifone percorrendone un breve tratto.

Bibliografia CAPONE, 1991, DOLCI, 1965; FELICI, 1976; FELICI, 1978a; FELICI, 1978b; FELICI & CAPPA, 1990; SEGRE, 1948a.

Grotta Ciaschi Dati catastali altri nomi: Dolina-inghiottitoio sotto la casa di Amedeo Ciaschi 832 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: 100 m a NE del km 18,5 della S.S.609 - quota: 385 m carta IGM 1:25000: 159 IV NO Montelanico - coordinate: 0°36’50”5 (13°03”58’9) - 41°36’57”7 carta CTR 1:10000: 389 130 Campo di Montelanico - coordinate: 2.358.850 - 4.609.050 dislivello: -162 m - sviluppo planimetrico: 980 m (rilevati 900 m).

Itinerario Da Montelanico si prende la S.S. 609 per Carpineto Romano. Al km 18 si imbocca una strada sterrata sulla sinistra. Si accede alla grotta dal cancello che si trova subito alla destra della sterrata; si attraversa un piccolo castagneto fino al prato retrostante nel quale si apre, a non più di un centinaio di metri dalla strada asfaltata, l’evidente dolina di ingresso, contornata da fitta vegetazione (meno di 5 minuti di cammino). Per accedere alla grotta, che si apre in terreno privato recintato, è opportuno chiedere il permesso al proprietario.

Descrizione (di Andrea Giura Longo) La grotta si apre sul fondo di una dolina larga una ventina di metri e profonda 10 m. L’ingresso è parzialmente ostruito da detriti e da tronchi d’albero. Nel seguito è riportata la descrizione della grotta suddivisa nei suoi rami principali.


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RAMO “VER TICALEâ€? Il ramo di accesso è costituito da una unica frattura larga non piĂš di 2 m, nella quale si succedono 7 salti, intervallati da brevi tratti obliqui fino alla profonditĂ di 113 m. Dall’ingresso, scesi in una piccola saletta terrosa si prosegue in uno stretto P7 facilmente arrampicabile, seguito immediatamente da un pozzo 168 profondo 32 m. Alla base, una condotta inclinata conduce al 3° pozzo, profondo 25 m. Percorsa un’altra breve condotta, una stretta fessura verticale immette in un pozzo di 9 m. Si giunge cosĂŹ in una saletta allungata, in parte occupata da una pozza fangosa, che termina con un piccolo salto arrampicabile di 3 m. Da qui un passaggio basso, accanto ad alcune concrezioni, dĂ accesso ad uno stretto pozzo profondo 18 m. Si prosegue in strettoia, scendendo lungo una colata l’ultimo P8 e giungendo sul fondo di un meandro attivo, che può essere seguito sia verso valle che verso monte. RAMO “A VALLEâ€? Verso valle, dopo una prima saletta allagata, il meandro assume la forma tondeggiante tipica di una condotta freatica, alta 1-1,5 m, che si allarga in corrispondenza di una colata sulla sinistra. Si giunge in breve (65 m) ad un primo bivio, da cui si stacca sulla destra il ramo “del Pozzoâ€?. Seguendo l’acqua verso sinistra, si supera un laghetto che costringe ad un primo bagno o ad una larga contrapposizione, si scende un piccolo saltino in arrampicata e si prosegue sulla sinistra per giungere (a 40 m dal bivio) ad un allargamento detto sala “delle Rudisteâ€?, per la presenza di alcuni esemplari di fossili ben visibili sui blocchi a terra; in realtĂ tutta la galleria della grotta, a debole pendenza, si sviluppa in un banco di calcari a rudiste e la presenza dei fossili è costante in tutto il meandro. Dalla sala “delle Rudisteâ€? si scende lungo una placca scivolosa e con un caratteristico solco di erosione. Dieci metri piĂš avanti il meandro si biforca in due rami che si riuniscono una decina di metri piĂš a valle: la galleria di destra, piĂš stretta, è percorsa dall’acqua; la galleria di sinistra, il “By-Passâ€?, risale fino ad intercettare un piccolo arrivo d’acqua, per poi scendere ricollegandosi alla galleria principale. Da qui inizia una successione di laghetti e di vaschette concrezionali erose dall’acqua, fino ad arrivare (130 m dopo la fine del “By-Passâ€?) ad un affluente di sinistra, che conduce verso il “Pozzo Pongoâ€?. Seguendo l’acqua verso valle, il meandro assume la forma di uno

KM

stretto canyon. Dopo 30 m, raggiunto un bivio, si tralascia il ramo di “sinistra� e si prosegue in una condotta forzata. Percorsi 60 m la volta si immerge nel sifone “di destra� (-162).

RAMO “DEL POZZOâ€? Inizia con un tratto in lieve salita e quindi con un lago, oltre il quale la roccia diventa di colore bianco ed erosa in lame affilate. Si incontrano poco piĂš avanti, sul bordo di un altro laghetto, le prime tracce di una sabbia nera grossolana. A 60 m dal bivio si giunge sull’orlo di un pozzo profondo 28 m, sotto il quale si atterra su cumuli sabbiosi che invadono una galleria freatica di colore bianco, del diametro di circa 2 m, che conduce, dopo 20 m in forte discesa, ad un sifone di acqua limpida e stagnante (sifone “del Pozzoâ€?, 157). Il sifone, superato con le bombole, è lungo una ventina di metri; al di lĂ una galleria prosegue per una decina di metri fino all’orlo di alcuni saltini che sembrano immettere in un pozzo piĂš profondo (l’esplorazione non è ancora stata effettuata). Lungo il P28 una “finestraâ€? (raggiunta con un traverso in artificiale) comunica con un pozzo parallelo, che termina nella galleria poco piĂš avanti del pozzo principale. POZZO “PONGOâ€? E’ una galleria in salita di circa 50 m che conduce alla base di un pozzo. Il pozzo, alto 26 m, è stato risalito e al di sopra prosegue una galleria che va pian piano restringendosi. Dal pozzo arriva sempre un discreto apporto d’acqua. RAMO “DI SINISTRAâ€? Il ramo “di sinistraâ€?, lungo una cinquantina di metri, si imbocca all’ultimo bivio del ramo “a Valleâ€?. Superato un tratto di galleria con il fondo allagato, si sale leggermente abbandonando man mano il rumore dell’acqua per ridiscendere dopo un breve saltino fino ad un piccolo lagosifone molto fangoso (-152). RAMO “A MONTEâ€? Il ramo “a Monteâ€? inizia alla base del ramo “Verticaleâ€? risalendo la corrente dell’acqua. E’ caratterizzato dalla presenza di una grande quantitĂ di fango che riveste quasi sempre tutte le pareti della galleria. Dopo una prima curva a destra e un passaggio basso accanto ad una grande lama che invade il meandro, si giunge, dopo 30 m, al 1° sifone a monte, aperto scavando la soglia, e ora superabile quasi sempre immergendosi

nell’acqua fino al petto. Superato il sifone, si risale uno scivolo e si supera in spaccata un breve meandro fino ad una piccola sala (da qui parte la “Risalita Biancaneveâ€?). Si prosegue su un ripido conoide di fango fin dentro una spaccatura, sopra la quale inizia una condotta con sezione tondeggiante. La condotta scende poi lentamente, superando un tratto allagato e ritrovando l’acqua corrente che sgorga dal 2° sifone a monte (a 120 m dal primo sifone), con una piccola cascatella alta un paio di metri; questo sifone è stato superato solo quando la portata dell’acqua era sufficientemente bassa da poterlo svuotare innescando un tubo a valle. Oltre il sifone, il meandro riprende a salire lungo la via dell’acqua. Dopo una quindicina di metri, dalla sinistra arriva il ramo “dei Sifoniâ€?; 60 m piĂš avanti si arriva alla base di un largo pozzo. La risalita del pozzo è ancora in corso; fino ad ora sono stati risaliti 35 m.

la profonditĂ di circa -90 m, senza toccare il fondo del P18. Nell’inverno 1978-79 una frana chiuse il pozzetto iniziale. Il 20 marzo 1994 il GS CAI Roma (Luisa Battiato, Cristiana Coccia, C. Fulli, A. Giura Longo, L. Grassi, U. Randoli, C. Silvestri, Isabella Triolo) hanno ritrovato aperto il pozzetto iniziale e, dopo aver superato il limite precedente scendendo un altro pozzetto, sono entrati in una galleria, raggiungendo sia a monte che a valle due sifoni. Successivamente L. Russo ha superato in immersione il sifone a monte, che in seguito è stato allargato. Fra marzo e maggio 1994 il GS CAI Roma ha completato l’esplorazione dei rami principali. Il 21 gennaio 1996 G. Dominici ha esplorato il sifone finale del Ramo del Pozzo; fra il 1996 e il 1998 ancora il GS CAI Roma ha effettuato numerose risalite (A. Giura Longo, Marzia Fulli, Cristiana Coccia, G. Dominici M., Pappalardo, C. Fulli, L. Grassi, M. Pappalardo, Sonia Galassi, F. Mingolla, S. Re).

RISALITA â€?BIANCANEVEâ€? Sulla destra della piccola sala un piccolo buco in parete dĂ accesso ad una saletta circolare, che costituisce la base di un pozzo, che è stato risalito per circa 35 m senza ancora averne raggiunto la sommitĂ .

Bibliografia DOMINICI, 1996; FELICI, 1976; FELICI, 1978b; FELICI ET ALII, 1997; FULLI, 1996; GIURA LONGO, 1995a; GIURA LONGO, 1996; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1994; NIZI, 1984a; NOTARI, 1979; TRIOLO, 1995.

RAMO â€?DEI SIFONIâ€? Poco dopo il 2° sifone a monte, si stacca sulla sinistra uno stretto meandro solo in parte rilevato, lungo circa 90 m, caratterizzato da continui sali-scendi e da piccoli laghi e pseudo-sifoni, che costringono a continui bagni fino ad incontrare una nuova via d’acqua chiusa in breve da sifoni sia a monte che a valle. NOTE IDROLOGICHE Analogamente alle altre grotte presenti nella zona, anche nella Grotta Ciaschi il livello dell’acqua occasionalmente risale fino a quote massime corrispondenti al secondo pozzo (P32). Di solito, invece, la galleria attiva è percorsa da un piccolo torrente perenne.

Stato dell’ambiente Negli anni ’70 il condotto verticale che drena la dolina Ciaschi si è ciclicamente aperto e richiuso, inghiottendo enormi volumi di suolo. Negli ultimi 20 anni le esplorazioni speleologiche si sono succedute costantemente totalizzando diverse centinaia di visite. Nella galleria, la presenza di un corso d’acqua, saltuariamente vigoroso, contribuisce a cancellare le tracce di passaggio e a mantenere complessivamente integro lo stato dell’ambiente. Per quanto riguarda la qualitĂ delle acque, quella che colma le vasche del meandro principale, continuamente rinnovata dalla presenza di un ruscello perenne, è sporca e di odore nauseabondo, pur non risultando cosĂŹ inquinata come nelle altre grotte dell’area.

Note tecniche DALL’INGRESSO, RAMO VER TICALE: P7 (arrampicabile), P32, P25, P9, P3 (arrampicabile), P18, P8, si intercetta la galleria (–113).

RAMO A VALLE: nessun salto attrezzato con corda fino al “sifone di destra� (162). Nel ramo “del Pozzo�: P28. RAMO A MONTE: necessaria la muta. Il superamento dei sifoni “chiusi� richiede le specifiche attrezzature speleosubacquee.

Storia delle esplorazioni La dolina iniziale si aprÏ nel 1972, e nel dicembre 1977, a causa di forti piogge, si approfondÏ ulteriormente. Il 3 giugno 1978 Alberta Felici e G. Cappa scesero il primo pozzetto della grotta, finalmente praticabile, arrivando sull’orlo di un pozzo. Il 18 giugno 1977 P.L. Bianchetti (SCR) insieme a due ragazzi di Carpineto, scese il pozzo e lo scivolo successivo, arrestandosi per mancanza di scale a metà del secondo pozzo. Il 2 luglio 1978 sempre Bianchetti, questa volta insieme a due soci del CSR, raggiunse

Grotta del Formale Dati catastali 39 La - comune: Carpineto Romano (RM) - localitĂ : Formale - quota: 396 m carta IGM 1:25000: 159 IV NO Montelanico - coordinate: 0°36’44â€?7 (13°03â€?53’1) - 41°36’45â€?2 carta CTR 1:10000: 389 130 Campo di Montelanico - coordinate: 2.358.750 - 4.608.650 dislivello: - 123 m/ + 25 m - sviluppo planimetrico rilevato: 2920 m

Itinerario Da Montelanico si prende la S.S. 609 per Carpineto Romano. Al km 18,8, si prende una stradina a destra e la si percorre per 300 m, fino ad un bivio; quindi si imbocca una sterrata a destra e dopo altri 300 m si giunge all’imbocco della grotta, pochi metri a destra della strada e sulla destra orografica di un impluvio che assume la caratteristica di torrente solo a valle dell’imbocco della cavitĂ . L’ingresso è chiuso da un cancello con lucchetto; per accedere alla grotta è necessario chiedere il permesso al Comune di Carpineto Romano.

Descrizione (di Emanuele Cappa) La grotta è una risorgenza temporanea. L’ingresso ad antro, alto 1,8 m e largo 5,2 m, si apre alla base di una paretina, ed è chiuso da un cancello. Gli strati immergono di 21° verso NNE e una frattura verticale taglia l’ingresso in direzione 135°.

LA GALLERIA “PRINCIPALEâ€? Sceso carponi il basso scivolo iniziale, si prosegue in posizione eretta raggiungendo dopo 20 m il 1° sifone (lungo 8 m, profondo 2 m). Oltre il sifone, la galleria assume una morfologia che si mantiene costante fino ai “Pozzi Gemelliâ€?, con il rapido alternarsi di condotte forzate (diametro medio 2 m) e condotte sfondate da forre profonde diversi metri. Dopo 80 m si incontra il 2° sifone, lungo 60 m e profondo 15 m; dopo altri 30 m si arriva al 3° sifone, lungo 25 m e profondo 5 m. Seguono una forra allagata lunga 120 m poi, dopo un breve scivolo, tre laghi profondi circa 2 m. Tra il secondo e il terzo lago parte sulla sinistra un ramo discendente (“la Perditaâ€?). Subito dopo i laghi, inizia sulla destra il ramo “By-passâ€?, mentre una stretta forra in salita, sovrastata da un passaggio freatico di circa 1 m di diametro, conduce al pozzo “dei Folignatiâ€? (P8).


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Grotta del Formale: galleria nel tratto iniziale (foto M. Bollati)

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Sceso il pozzo, dopo una decina di metri sulla sinistra inizia la diramazione “Via Condottiâ€?. La galleria principale prosegue in leggera 170 discesa, riempita per metĂ da grossi clasti perfettamente levigati, poi riprende decisa a salire. Nel punto piĂš basso parte un altro ramo sulla sinistra (il “Ramo Dâ€?). Al termine della salita, dopo 120 m, sulla destra si nota una confluenza, che è il punto terminale del ramo del “By-passâ€?. Superata una zona di faglia con evidenti crolli, si giunge dopo altri 80 m ai “Pozzi Gemelliâ€?, separati da un sottile diaframma di roccia fortemente cataclasata. Il P4 porta al ramo “del Sifonettoâ€?, mentre il P7 permette di proseguire lungo la galleria “principaleâ€?. Questa ora si presenta piĂš ampia (diametro medio 3 m) e priva degli approfondimenti a forra. Il pavimento è costituito da ghiaia fine, spesso coperta da un sottile strato di concrezione, mentre il soffitto sovente consiste in un letto di strato. Dopo 20 m sulla destra inizia il ramo “Fangolandiaâ€?. Si scende ancora nella galleria con leggera pendenza fino a -40, percorrendo circa 160 m dai “Pozzi Gemelliâ€?, per poi risalire; dopo altri 40 m si arriva al bivio con il “Ramo Gâ€?; dopo un altro centinaio di metri la galleria raggiunge di nuovo la quota di ingresso. Qui si intercetta un’altra galleria trasversale, che a destra sale per circa 40 m, mentre a sinistra, superati due ampi saloni, scende nuovamente fino al 4° sifone, posto a quasi 1200 m dall’ingresso, alla profonditĂ di -30. Al di lĂ del sifone, lungo 50 m, si trova un reticolo di gallerie con andamento a saliscendi (non rilevate): ognuna è stata esplorata per qualche decina di metri, per un totale di circa mezzo chilometro.

“LA PERDITAâ€? E’ uno stretto e fangoso meandro lungo un centinaio di metri, interrotto, a pochi metri dall’inizio, da un pozzetto di 8 m. Scarica le acque del lago “dell’Archettoâ€? nel ramo “Via Condottiâ€?. “BY-PASSâ€? Questa diramazione permette di aggirare il pozzo “dei Folignatiâ€?, con una galleria bassa e disagevole lunga circa 160 m. “VIA CONDOTTIâ€? Si tratta del ramo laterale piĂš lungo, con i suoi 450 m rilevati (a

KM

cui se ne devono aggiungere circa un centinaio fino al sifone terminale). Analogamente alla galleria principale, alterna alti meandri (sul cui soffitto resta spesso evidente il condotto freatico originario) a condotte forzate del diametro di 1 m. Il pavimento scende dolcemente, con alcune contropendenze, fino alla profonditĂ di circa -80. A “Via Condottiâ€? si collega un vasto sistema di gallerie solo parzialmente esplorato. A 80 m dall’inizio del ramo confluisce da sinistra il termine della diramazione “La Perditaâ€?. Dopo altri 40 m sulla sinistra parte la “Via dei Laghiâ€?. Dopo ancora altri 50 m, da destra arriva il “Ramo Dâ€?. Altri 160 m, e da sinistra arriva il “Ramo Hâ€?.

“RAMO Dâ€? E’ forse il ramo piĂš bello della grotta perchĂŠ quasi del tutto privo di accumuli di fango e della patina nera che ricopre gran parte della roccia nel resto della cavitĂ ; è lungo circa 260 m. Ha una ulteriore diramazione, il “Ramo Lâ€?. RAMO “DEL SIFONETTOâ€? E “RAMO Lâ€? Il ramo “del Sifonettoâ€?, lungo una sessantina di metri, ed il “Ramo Lâ€?, lungo un centinaio di metri, dovrebbero essere collegati tramite sifone. “RAMO Gâ€? E’ lungo complessivamente circa 200 m; nel ramo, una breve galleria di interstrato conduce dopo una trentina di metri al pozzo “dei Conettiâ€? (P38). Traversando il pozzo alla partenza lungo una cengia, si raggiunge uno stretto meandro di una cinquantina di metri che sale fino alla base di un pozzo, ancora da risalire, stimato alto piĂš di 10 m. Scendendo il P38 invece si raggiunge un meandro che, con un P11 ed un P7, conduce ad un salone ingombro di montagne di fango alla profonditĂ di -114. “VIA DEI LAGHIâ€? E’ una galleria lunga 140 m che termina, con un pozzetto di 5 m, in un bivio da cui partono il “Ramo Hâ€? e la “Via dei Pozziâ€?; le pareti sono scure; si percorre stando sempre chinati.

Ouso di Valle Me Ne Pento: conchiglia fossile in rilievo (foto M. Chiariotti)

Ouso di Valle Me Ne Pento: base del pozzo, impostata su strato e frattura

(foto M. Chiariotti)


“RAMO H” E’ alto e assai fangoso, lungo una novantina di metri. “VIA DEI POZZI” E’ un ramo che, con vasti ambienti verticali estesi per una sessantina di metri, scende con un P18, uno scivolo, un P8 ed un P20 fino ad un sifone alla profondità di -123, che rappresenta il punto a quota più bassa di tutta la grotta. “FANGOLANDIA” Questa diramazione, lunga complessivamente 130 m, comincia con una comoda condotta forzata, riempita per un terzo dal fango, che sale con leggera pendenza fino ad una curva a gomito; qui il soffitto si abbassa e si è costretti a proseguire strisciando sul fango compatto. Una nuova curva a gomito, e la galleria diventa un meandro che sale dividendosi in cinque condottine forzate dal diametro di 80 cm. NOTE MORFOLOGICHE ED IDROLOGICHE Gran parte della grotta si sviluppa seguendo uno strato di calcare a Rudiste (Cretaceo superiore) avente lo spessore dell’ordine del metro. Le pareti della cavità sono coperte da una spessa patina nera di ossido di manganese e ferro che si trova anche sulle concrezioni e su una tegola, forse di epoca medievale, rinvenuta alla base di un camino. La patina è assente ovunque l’acqua ristagni o percoli per lunghi periodi. Le pareti dei rami che scendono a pozzi (“Via dei Pozzi”, “Ramo G”) sono invece uniformemente coperte di fango. L’intero Formale è concrezionato seppure non eccessivamente. Particolari sono le stalagmiti di fango che forse vengono distrutte per poi riformarsi dopo ogni piena violenta. La notevole quantità di ghiaia e grandi massi perfettamente levigati denota un’antica intensa attività in condizioni artesiane, come anche la presenza di numerose evorsioni di volta con terebrazioni cilindriche. Oggi la cavità emette acqua dall’ingresso una volta ogni tre o più anni, anche se nel 1996 le eccezionali piogge l’hanno resa attiva per ben due volte (Gennaio, Ottobre). Tuttavia, vista la sua conformazione, è possibile che spesso si inondi parzialmente senza che all’esterno ci siano segni visibili. I sifoni iniziali ed i tre laghi successivi tendono a riempirsi dopo ogni pioggia: nel mese di Luglio sono stati pompati circa 36 m³ d’acqua ogni settimana per tenerli ragionevolmente asciutti. Il resto della grotta (esclusi alcuni sifoni) tende a prosciugarsi spontaneamente nei mesi estivi. Gli unici drenaggi (pochi litri al minuto) che rimangono attivi anche a fine Agosto si trovano al fondo di “Via Condotti” e del “Ramo G”. La corrente d’aria, che si instaura una volta stappati i sifoni, caratterizza la grotta come ingresso basso.

Stato dell’ambiente L’ingresso è chiuso da un cancello. La parte interna della grotta (oltre il 3° sifone) è stata percorsa per la prima volta nel 1990. Tuttavia le esplorazioni più intense sono avvenute solo nel periodo maggio-settembre 1996 (con svuotamento dei sifoni mediante pompe). In quei mesi la galleria principale è stata oggetto di diverse centinaia di visite, mentre negli altri rami la frequentazione è stata scarsa. La grotta si presenta integra, anche in considerazione del violento scorrimento d’acqua che occasionalmente la attraversa.

Note tecniche Varcato il cancello all’ingresso, la progressione è quasi sempre bloccata da un sifone a 20 m dall’ingresso, percorribile solo con attrezzature subacquee o svuotando i sifoni (pompe).

DALL’INGRESSO, LA “GALLERIA PRINCIPALE”: Prevalentemente orizzontale, interrotta da due salti: P8 e P7. ALTRE DIRAMAZIONI: “la Perdita”: P8. Ramo “del Sifonetto”: P4.

Ramo “G”: P38, P11, P7. “Via dei Laghi”: P5. “Via dei Pozzi”: P18, P8, P20, fondo (-123).

Storia delle esplorazioni La grotta, conosciuta da sempre dai locali, venne esplorata nel 1926 dal CSR (C. Zileri dal Verme, C. Franchetti e Stianco) per 80 m, fino al secondo sifone. Con una serie di immersioni subacquee iniziate nel 1969 e culminate il 3 ottobre 1971, l’ASR (principalmente A. Moretti e G. Saiza) percorse il secondo sifone fermandosi a 240 m dall’ingresso (terzo sifone). Le esplorazioni subacquee vennero riprese nel 1990 dal GSF (M. Bollati, Annachiara Bartolini, P. Pietraccini, L. Buono, R. Piselli, R. Pettinelli); gli speleosub nel corso di diverse immersioni, dal 21 ottobre 1990 fino al 21 gennaio 1995, si spinsero fino 700 m dall’ingresso (pozzi Gemelli). Dal 9 maggio al 28 settembre 1996, sotto la direzione di Alberta Felici, G. ed E. Cappa, i tre sifoni iniziali sono stati svuotati e tenuti aperti per mezzo di pompe, permettendo una più agevole esplorazione di tutta la parte attualmente conosciuta. La grotta è stata esplorata nel corso di 38 punte, ad opera di speleologi di vari gruppi: ASR’86 (F. Principi, Annarita De Angelis, F. Donati, S. Feri, Antonella Santini, S. Soro, Eleonora Prata), SZC Subiaco (A. Procaccianti e L. Pomponi), e da: V. Battisti, G. Montecchi, R. Principi, T. Dobosz, Fernanda Vittori, F. Proietti, D. Candela, E. Carallo. Il 1° settembre 1996 G. Spaziani (GSC) si è immerso nel quarto sifone, esplorando per breve tratto le numerose gallerie che si diramano al di là di esso.

Bibliografia ABBATE, 1894; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1971b; BOLLATI, 1994; BOLLATI, 1995; CAPPA E., 1997b; CAPPA E., 1997d; CAPPA E. ET ALII, 1997b; CAPPA G., 1997b; DOLCI, 1965; FELICI, 1976; FELICI, 1978a; FELICI, 1978b; FELICI, 1996; FELICI ET ALII, 1997; FILECCIA, 1996; GESSI, 1995; MANCINI, 1997; PALMIERI, 1863; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1956.

Ouso di Valle Me Ne Pento Dati catastali 798 La - comune: Carpineto Romano (RM)- località: Scatafasci, sopra il Pratozzo - quota: 1050 m carta IGM 1:25000: 159 IV NO Montelanico - coordinate: 0°36’53”5 (13°04”01’9) - 41°35’29”5 carta CTR 1:10000: 401 010 Bassiano - coordinate: 2.358.900 4.606.310 dislivello: -141 m - sviluppo planimetrico: 125 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta; dopo 2,3 km, ad un fontanile, si imbocca una strada sterrata a destra e la si segue per circa 1 km, superando una prima ripida salita e lasciando la macchina in un tratto pianeggiante prima di una seconda ripida salita sassosa (quota 725 m). Si prosegue a piedi imboccando una carrareccia sulla sinistra che sale costeggiando vecchi pali di una linea elettrica, fino ad un cancello. Da qui si prende un sentiero a sinistra che sale lungo la recinzione. Si costeggia la recinzione, prima in salita poi in piano, fino ad uscire dal bosco in una zona prativa pianeggiante e caratterizzata da una serie di terrazzamenti denominata “Il Pratozzo”. Si risalgono i terrazzamenti e si prosegue quindi nella larga valle in direzione della Croce del Monte Capreo

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incontrando una serie di grandi tronchi di faggio caduti. L’ingresso della grotta si trova a quota 1050 m, 50 m a sinistra dal fondovalle (destra orografica) in un punto in cui la valle comincia a piegare verso destra (30 minuti di cammino).

Descrizione (di Andrea Giura Longo) L’imbocco, largo 3x2 m, è un imbuto che dà su uno scivolo terroso a fondo cieco, profondo 5 m. Sul lato SW si apre un piccolo ambiente profondo non più di un paio di metri. Sul lato est, 2 m sopra il fondo, una finestra (punto 2) larga 1 m e alta 1,5 m immette in un pozzetto di 2 m. Alla base del P2 un buco nel pavimento sbocca sul successivo P7, un pozzo a fessura che scende in una piccola sala (punto 3). Da qui partono tre diramazioni. Un meandro in salita conduce a due salette successive e chiude (punto 4) dopo pochi metri su concrezioni; un secondo meandro, in discesa, termina dopo circa 40 m in una saletta chiusa da frana (punto 5); infine una fessura nel pavimento lunga circa 1 m e larga 0,5 m immette in un fuso di 2,5 m di diametro e profondo 9 m. Alla base di questo pozzo, tramite una fessura tra concrezioni, si scende un salto di 2 m alla cui base parte uno stretto cunicolo in discesa lungo circa 10 m che, con un breve saltino arrampicabile, scende in una saletta (punto 6) di 3 m di diametro. Dalla saletta una fessura nel pavimento tra due colate calcitiche costituisce la partenza del successivo P35. La fessura, che porta ad un piccolo terrazzino, intercetta un fuso largo 2 m che risale per almeno 10 m. A circa -10 dal terrazzino il fuso comunica lateralmente con una sala larga 8 m il cui fondo è occupato da grossi massi di crollo. Il fondo del P35 (punto 7) è una sala leggermente allungata in direzione E-W concordemente con una grossa diaclasi larga 0,5-1 m che attraversa tutto il pavimento ed è parzialmente ostruita da materiale di crollo. La diaclasi

prosegue verso ovest in un pozzo risalito per più di 30 m, mentre verso est si approfondisce nel successivo P20. La partenza del pozzo si trova nel punto più basso della sala vicino ad un pozzo che risale sul lato nord. Al fondo della sala verso sud si apre uno stretto pertugio che dà luogo nei periodi piovosi ad un rivolo d’acqua. Sceso il P20 si atterra su uno scivolo di detriti. A monte lo scivolo prosegue in una saletta, mentre verso valle immette in una grande diaclasi con direzione SW-NE larga 3 m nella quale (punto 8) si scende direttamente con un P15 seguito da un P7. La base del P7 è una sala triangolare con il soffitto costituito dal letto di uno strato con immersione di 45° verso NE. Si prosegue nella diaclasi con direzione NE camminando per 7-8 m, in questo punto sono visibili sulla parete di sinistra alcuni esemplari di fossili. Si scende in arrampicata nella diaclasi per 7 m per affacciarsi su un altro P7 da scendere su frana. Da qui ci sono due possibili vie. Si può scendere nella frana sotto un masso sulla destra proseguendo per circa 5-6 m fino ad incontrare un piccolo rivolo d’acqua che scompare in una fessura di interstrato impraticabile, e che costituisce il fondo della grotta (punto 12, -141). L’altra possibilità è quella di risalire per 10 m sulla parete opposta a quella da cui si è scesi, fino ad un terrazzo dal quale si può proseguire ancora nella diaclasi per 4-5 m, fino ad una strettoia che immette in un P11 chiuso su frana (punto 11). Fino al 1997, anno della scoperta della prosecuzione, la grotta, scoperta nel 1972, era stata frequentata da un ridottissimo numero di speleologi. Con l’allargamento della strettoia al “vecchio fondo” è stato dato nuovo impulso all’attività esplorativa, che non ha comunque portato nella grotta un numero complessivo di visitatori superiore a 200. Ad eccezione dell’intervento suddetto e di modeste tracce di passaggio, non sono segnalate alterazioni degli ambienti. Ingresso con Scivolo 5 (corda 10 m), P2+P7 (corda 15 m), P9+P2 (corda 20 m), P35 (corda 50 m), P20 (corda 30 m), P15 (corda 20 m), P7 (corda 10 m), P7 (corda 10 m), Salto di 7 m in frana (arrampicabile), fondo (-141).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 12 marzo 1972 dallo SCR (Alberta Felici, F. Cappucci, Cristina Semorile, L. Zani, M. Sagnotti e M. Panetti) fino alla strettoia di - 30. Nel gennaio 1997 il GS CAI Roma (A. Campitelli, M. Chiariotti, M. De Antonis, C. Fulli, Marzia Fulli, A. Giura Longo, Laura Napolitano, Elisabetta Pilo, C. Rosa, R. Tacchia e R. Vallone) in tre punte ha superato la strettoia raggiungendo il fondo.

Bibliografia FELICI, 1978a; GIURA LONGO, 2000; MECCHIA G., 1997; NIZI, 1984a.

Grotta del Rapiglio Dati catastali

Grotta del Rapiglio: abbassamento della condotta prima del lago al punto 6

(foto E. Franceschelli)

Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta; dopo 2,3 km, ad un fontanile, si imbocca una strada sterrata a destra che, inizialmente pianeggiante, poi sale con forte pendenza (è consigliabile il fuoristrada); la si segue per 5,2 km superando una sella e scendendo sul versante opposto fino a raggiungere uno spiazzo con un bottino e due fontanili, alla confluenza con una valle secondaria (q. 829 m), dove si lascia la macchina. Risalendo la valle per circa 150 m, sulla destra si incontra un sentiero che, seguendo la recinzione della zona di protezione della sorgente, conduce dopo circa 200 m alla grotta, situata in un piccolo canalone, 3 m sotto il sentiero (10 minuti di cammino).

Descrizione

Stato dell’ambiente

Note tecniche

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Itinerario

41 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Rapiglio - quota: 898 m carta IGM 1:25000: 159 IV NO Montelanico - coordinate: 0°35’41”1 (13°02”49’5) - 41°35’16”9 carta CTR 1:10000: 401 010 Bassiano - coordinate: 2.357.215 4.605.965 dislivello: +89/-7 m - sviluppo planimetrico: 940 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Grotta del Rapiglio: il meandrino iniziale (foto G. Mecchia)

La grotta è una risorgenza temporanea. L’ingresso, un piccolo antro alto meno di 1 m, è posto alla base di una paretina alta 3 m, in una breve forra che scende ripida verso un fosso; lungo la forra, più in basso, si trovano altre aperture probabilmente comunicanti con la grotta, fra cui una fessura verticale che emette acqua nella stagione invernale. Nell’area di imbocco gli strati sono debolmente inclinati verso NE. Dall’ingresso si entra in una condotta a sezione ovale larga 1,5 m e alta 80 cm. Dopo una decina di metri di condotta, la grotta prosegue con una forra di dimensioni ridotte, alta 1,20 m e larga circa 60 cm, meandreggiante, con vaschette sul fondo e pareti bianche levigate dall’acqua. Ad una cinquantina di metri dall’ingresso si sbuca (punto 2) in una galleria più ampia, a sezione tondeggiante, con il fondo fangoso. Verso destra la galleria prosegue per una cinquantina di metri, larga mediamente un paio di metri e alta fino a 3 m; dopo alcuni passaggi bassi, termina intasata da terriccio e detriti e comunica con l’esterno tramite una fessura impraticabile. Verso sinistra, invece, la galleria principale prosegue per circa 180 m (tratto 2-4) con andamento a saliscendi, che forma una successione di tratti sifonanti durante le piene. La condotta a saliscendi è costituita da una serie di “salette di crollo - scivolo - passaggio basso - scivolo – saletta di crollo” in cui le salette si trovano nei punti di quota più elevata, gli scivoli sono coperti di sabbia e ghiaia, e terminano nei punti bassi con depositi di fango sul fondo. Il fondo della galleria raggiunge in questo tratto un livello ben visibile di roccia marnosa di colore nerastro. Le dimensioni della galleria sono di 2 m di larghezza e da 1 a 4 m di altezza. A 135 m dall’ingresso si raggiunge il punto più basso della cavità (-7, punto 3). Dal punto 4, la grotta assume un andamento in leggera salita. Per un’ottantina di metri si segue un meandro alto oltre 10 m, che si può percorrere a diverse altezze a causa dei massi incastrati e della caratteristica sezione, a fessura sul fondo, ma che si allarga fino a 3 m alla sommità. Con una breve risalita si raggiunge la parte alta del meandro, dove conviene procedere sui ponti di roccia creati dai massi o sulle comode mensole degli antichi livelli (tratto 4-5). Nella parte inferiore, piuttosto stretta, si trova l’acqua, che in un tratto forma anche un laghetto piuttosto profondo. Le pareti del meandro sono a tratti bianche e levigate, ma più spesso coperte da una patina di fango scuro; nella parte alta si notano a tratti alcune concrezioni. Quindi il meandro stringe anche in alto, e conviene scendere nella parte inferiore. Inizia qui (punto 5) una galleria a forra, quasi rettilinea, lunga una cinquantina di metri, con una larghezza di 0,5-1,5 m, alta dai 2 ai 5 m. Per i primi 25 m il fondo è in leggera discesa. Al termine della discesa si incontra sulla destra un punto di assorbimento, costituito da un breve cunicolo discendente che inghiotte buona parte dell’acqua del torrente interno proveniente dal fondo della cavità. Solo a monte di questo “inghiottitoio” il corso d’acqua è attivo anche nella stagione secca. Il cunicolo, largo meno di 1 m e alto circa 50 cm, può essere percorso per meno di 10 m fino ad un restringimento. La galleria principale prosegue quindi in leggera salita per altri 20 m fino ad un bivio fra due cunicoli, identificato da una bella colonna. Percorrendo il basso cunicolo superiore (nel quale è necessario strisciare


sul pavimento), molto concrezionato e con il pavimento a vaschette, si può evitare di bagnarsi e si torna sul ramo attivo dopo una trentina di metri. Proseguendo invece in basso per il ramo attivo si striscia per un breve tratto nell’acqua in uno stretto passaggio, poi, dopo la congiunzione con il ramo superiore, ci si immette in una galleria lunga 50 m, larga 3 m e alta 2 m, interrotta a circa metà (punto 6) da un lago lungo una decina di metri e profondo 50 cm, sul quale il soffitto si abbassa fino a 50 cm dal pelo dell’acqua (rilevazione del periodo estivo). Superato il lago si avanza nella galleria, e 5 m prima del suo termine bisogna superare la base di una grande formazione colonnare che occupa quasi completamente l’ambiente. Al termine della galleria (punto 7) inizia uno stretto meandro (largo circa 50-100 cm ed alto 5-10 m) con pareti molto irregolari e mensole sporgenti, che bisogna percorrere cercando il passaggio più agevole, quasi sempre ad un paio di metri di altezza. Dopo 80 m, scesi sul fondo del meandro, si risale in arrampicata un saltino di 2 m raggiungendo poco dopo una stretta fessura alta 5 m, che aveva fermato le precedenti esplorazioni (punto 8). Superata la selettiva strettoia, nella quale spesso si rischia di bagnarsi, dopo una cinquantina di metri in fessura si giunge alla base di una risalita di 6 m, oltre la quale la grotta mantiene un andamento a meandri con le tipiche sezioni a fessura; dopo una novantina di metri si raggiunge (punto 10) un’altra risalita di 4 m. Dopo altri 180 m una terza

risalita (punto 12), di 10 m, porta ad una sala franosa (sala “dell’Ovo Sodo” alla quota più elevata di tutta la grotta, +89). Da qui un pozzetto in discesa conduce ad una strettoia fra massi di frana, non ancora superata (punto 13). La grotta è percorsa da una forte corrente di aria fredda in uscita nel periodo estivo. A seconda dall’andamento delle piogge la grotta è accessibile per un tratto più o meno lungo. In primavera un sifone sbarra quasi sempre il cammino a 50-80 m dall’ingresso, mentre all’esterno sgorga una notevole quantità d’acqua da una fessura verticale posta circa 7 m più in basso dell’imbocco. In estate, dalla fessura del punto 8 sgorga un corso d’acqua di modesta portata che viene inghiottito dal punto di assorbimento interno, mentre dall’imbocco della grotta non esce acqua; in questa situazione la grotta è completamente percorribile, anche se si incontrano numerose pozze d’acqua.

Stato dell’ambiente A partire dal 1926, anno della scoperta, il primo tratto della grotta è stato oggetto di diverse centinaia di visite. Il tratto successivo al lago, e soprattutto la parte oltre la fessura del “fondo ’68”, è stata oggetto di non più di un centinaio di visite. La grotta non presenta alterazioni di rilievo.

Note tecniche

laghi; nei periodi piovosi, un sifone sbarra quasi sempre il cammino a 5080 m dall’ingresso. Quando la grotta è asciutta, fino alla strettoia “Fondo ‘68” (punto 8) non occorrono attrezzature. Per proseguire, l’attrezzatura è necessaria per risalire tre salti: Risalita 6, Risalita 4, Risalita 10.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1926 dal CSR (C. Zileri dal Verme, C. Franchetti, A. Datti) per i primi 50 m, fino ad un sifone. Il 22 luglio 1960 M. Polidori e F.P. Sarno (SCR) trovarono vuoto il sifone e raggiunsero il “Lago” a 400 m dall’ingresso. Nel dicembre 1968 l’ASR completò l’esplorazione fino al vecchio fondo. Nell’estate 1999 l’ASR‘86 ha scoperto un nuovo ramo superando la fessura del vecchio fondo; le esplorazioni sono state completate nel 2000.

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969b; DOLCI, 1965; FELICI, 1978a; FERI & SORO, 2001; SARNO, 1960; SEGRE, 1948a.

Pozzo della Croce Dati catastali altri nomi: Ouso dei Corvi; Ouso a due Bocche 485 La - comune: Carpineto Romano (RM)- località: Croce Capreo - quota: 1405 m carta IGM 1:25000: 159 IV NO Montelanico - coordinate: 0°37’08”2 (13°04”16’6) - 41°35’06”8 carta CTR 1:10000: 401 010 Bassiano - coordinate: 2.359.350 4.605.530 dislivello: -92 m – sviluppo planimetrico: 85 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km), sulla destra parte una strada prima asfaltata e poi bianca che, dopo la prima salita, prosegue con minore pendenza costeggiando il versante del Monte Semprevisa. Dopo circa 6,5 km si lascia la macchina alla fine della strada. Si prende il sentiero che prosegue nella stessa direzione della strada, fino ad incrociare un altro sentiero che sale

La percorribilità della grotta varia in funzione del livello raggiunto dai

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Risorgenza dell’Istrice: la condotta oltre la strettoia iniziale (foto A. Cerquetti)

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per la valle di Acqua Mezzavalle. Si prosegue in salita fino al passo, quindi si segue il sentiero che sale alla Croce del Capreo; circa 50 m prima della croce, al lato del sentiero e sul margine di una grande dolina, si apre la grotta; l’ingresso è circondato da uno steccato (2 ore di cammino).

Descrizione L’ingresso è costituito da due fori verticali affiancati, in un unico avvallamento, il piĂš grande dei quali è largo circa 3 m. Il pozzo di ingresso è profondo 29 m, con sezione costante, e termina in una sala con un piccolo conoide detritico. Da qui uno scivolo franoso lungo una decina di metri, porta ad un saltino di 3 m da scendere in arrampicata, seguito da un pozzo di 11 m. Alla base del salto (punto 6) si può proseguire per due vie: una risalita di 3 m o un pozzo di 4 m. La risalita porta al ramo “di Sinistraâ€?, che inizia con due saltini (P6, P4). Un breve tratto orizzontale porta su un pozzo di 6 m. Si arriva cosĂŹ ad una strettoia selettiva (punto 16) che immette nel successivo pozzo profondo 25 m, molto bagnato dallo stillicidio e con pareti lisce; la base del P25 (punto 19) è una saletta di forma ovoidale larga 2x3 m. Una condotta in lieve discesa dopo 3 m porta ad un salto di 6 m, la cui base è occupata da un laghetto (punto 21). La corrente d’aria in questo punto è molto forte. Una stretta fessura costituisce la congiunzione, non percorribile ma stabilita a voce, con il ramo “di Destraâ€?, dal quale proviene un rivolo d’acqua. Dalla parte opposta si percorre uno stretto meandrino (non rilevato), reso agibile con lavoro di disostruzione, lungo una quindicina di metri, che porta ad un saltino di 3 m. La base del saltino è una saletta, oltre la quale la fessura continua impraticabile (-95). Dalla base del P11 (punto 6) è possibile proseguire per il ramo di destra, che inizia con un salto di 4 m, seguito da altri quattro salti (5, 8, 14 e 7 m) che portano ad una fessura impercorribile (punto 26, -90). In questo ramo esistono alcune brevi diramazioni; un cunicolo conduce ad una sala a camino con pavimento e pareti concrezionati.

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Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1962, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Buona parte dell’attivitĂ speleologica è stata dedicata a tentativi di disostruzione delle strettoie “terminaliâ€?, peraltro finora poco fruttuosi.

Note tecniche .

P29, Scivolo lungo una decina di metri, P11. Biforcazione (punto 6). Ramo di destra: P4, P5, P8, P14, P7 Ramo di sinistra: Risalita 3, P6, P4, P6, strettoia che immette nel P25, P6, P3

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Storia delle esplorazioni

Rinvenuta il 21 ottobre 1962 dallo SCR (A. Maniscalco, L. Valerio, Marcello Chimenti, Manuela Martinelli e F. Stampacchia ). L’esplorazione è stata effettuata il 1 dicembre 1968 dall’ASR. Successivamente, negli anni intorno al 1990, l’ASR’86 ha ripetutamente cercato di superare le strettoie del fondo, riuscendo ad aggiungere solo il P6 terminale.

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969b; FELICI, 1978a; MECCHIA G., 1993b.

Risorgenza dell’Istrice Dati catastali 1450 La - comune: Carpineto Romano (RM) - localitĂ : Fosso S.Angelo - quota: 1280 m carta IGM 1:25000: 159 IV SO Sermoneta - coordinate: 0°37’05â€?2 (13°04â€?13’6) - 41°34’20â€?5 carta CTR 1:10000: 401 010 Bassiano - coordinate: 2.359.120 - 4.604175 dislivello: circa +20/-6 m - sviluppo planimetrico: 240 m circa Area protetta di riferimento : ZPS IT6030040 “Monti Lepini centraliâ€?

Itinerario Da Sermoneta si prende la strada per Bassiano, passando davanti all’Abbadia di Valvisciolo. Arrivati al bivio per Bassiano, si prosegue a sinistra verso Sezze per 300 m fino ad un altro bivio. Da qui si prende la strada a sinistra, che sale a Camporosello, inizialmente asfaltata. Dopo 3 km circa la strada diventa bianca, e per transitarvi occorre il permesso del Comune di Bassiano. Percorsi ancora 7 km, dopo aver superato un rifugio della Comunità Montana sulla sinistra della strada, si lascia la macchina alla prima curva (q. 1070). Si risale per il sentiero che parte dalla curva e costeggia un fosso; quando il sentiero si divide in varie tracce, conviene risalire il versante destro orografico della

valle, seguendo le tracce, fino ad arrivare su una dorsale allungata parallela al fosso. Si segue la dorsale in salita, finchè non si esce dal bosco (q. 1160). Quindi si taglia quasi in quota verso sinistra salendo leggermente, tenendosi una trentina di metri piÚ in alto di una recinzione in filo spinato che costeggia il bosco, fino ad arrivare sul fosso successivo. La grotta si apre in un canalone lungo pochi metri, affluente del fosso principale (20 minuti di cammino).

Descrizione La grotta è una risorgenza che raramente emette acqua; la percorribilitĂ dipende dal livello dell’acqua all’interno. L’imbocco, largo 1 m e alto 30 cm, si apre alla base di una paretina alta 2 m. Si entra in una bassa galleria, di sezione triangolare, di dimensioni leggermente maggiori dell’imbocco, che ha per soffitto un letto di strato inclinato di circa 20° verso 37°, mentre il pavimento è coperto di detrito. Percorsi 5 m, si scende un breve scivolo dal fondo terroso, con la volta che si abbassa progressivamente fino ad una ventina di centimetri (punto 3). Superato il punto piĂš stretto, si esce in una saletta di 2 m di diametro, alta 2 m; sulle pareti sono stati notati resti vegetali lasciati dalle piene e tracce delle unghie dell’istrice (il tratto iniziale è utilizzato infatti come tana dagli istrici) sui depositi fangosi. Dalla saletta parte (punto 5) una galleria pressochĂŠ rettilinea, in discesa, lunga una sessantina di metri, a sezione tondeggiante con diametro di circa 1,5 m, con scallops sulle pareti e sottili depositi di fango; alla fine di questo tratto (punto 11), che costituisce il primo sifone temporaneo, la volta si abbassa fino a 50 cm. E’ questo il punto di quota piĂš bassa di tutta la grotta (-6); sul fondo si trovano spessi depositi di argilla e di sabbia nerastra. Superato un tratto di circa 20 m, la galleria continua in leggera salita per altri 15 m, mantenendo una sezione tondeggiante, con un diametro inizialmente di 1 m, che si allarga in alcuni punti fino a 2 m, mentre la volta si alza progressivamente; il fondo è occupato da uno spesso deposito di fango reinciso dallo scorrimento d’acqua. A metĂ di questo tratto (punto 14), sulla destra

M

si apre una breve diramazione che chiude quasi subito. Al termine del tratto in risalita del primo sifone si trova una saletta (punto 15) alta 3 m, con un piccolo arrivo laterale sulla sinistra, chiuso dal fango. Si scende quindi in un secondo tratto sifonante (punti 15-18) con caratteristiche simili al primo, lungo una decina di metri, con la volta bassa e la sezione tondeggiante; poi il soffitto si alza, la galleria curva e torna a salire (punto 18), Si risale uno scivolo lungo una decina di metri (tratto 18-19) e ci si trova sul bordo di una marmitta profonda 2 m, che costituisce il fondo di una saletta larga 2 m e alta 4 m. Sul lato opposto parte un piccolo cunicolo di sezione circolare, con diametro di 50 cm (terzo sifone), per metĂ colmato da depositi di argilla, che prosegue rettilineo per 25 m (fino al punto 22). Qui termina il tratto a saliscendi (sifoni); piĂš avanti la quota della galleria si mantiene sempre al disopra della quota dell’ingresso e si osserva un sensibile cambiamento della morfologia dei condotti. Il cunicolo sbocca in una saletta (punto 22) di 4x5 m, alta oltre 3 m, con un camino che parte dalla volta. Al di lĂ della saletta inizia un meandro stretto, scavato nelle roccia viva con numerose lame di roccia che restringono la sezione. Il meandro, alto fino a 5 m e largo da 50 cm a 2 m, deve essere percorso a varie altezze, scegliendo di volta in volta il punto piĂš largo; il fondo è in leggera salita per una trentina di metri (fino al punto 27) quindi la pendenza aumenta e dopo una quarantina di metri si arriva in una sala (punti 35-36), con pianta ampia 3x7 m e altezza di una dozzina di metri. Dalla sala parte, sulla sinistra, un breve ramo ascendente che chiude con un piccolo foro impraticabile. La parete in fondo alla sala è stata risalita per 8 m, giungendo all’imbocco di un meandro che è stato percorso per pochi metri, e che continua con le stesse caratteristiche del tratto precedente (l’esplorazione è ancora in corso). Nel periodo di osservazione (2001-2002) la grotta è sempre stata trovata chiusa dal sifone nell’intero periodo invernale, mentre è risultata percorribile solo nel novembre del 2001 e nel periodo estivo del 2002. E’ stata osservata una forte corrente d’aria in uscita, presente solo quando il sifone


è aperto.

Stato dell’ambiente A partire dal 2001, anno della scoperta, la grotta è stata oggetto solo di alcune decine di visite, anche a causa del breve periodo in cui il sifone iniziale è aperto. La grotta è integra; anche l’allargamento della strettoia presso l’ingresso non ha causato modifiche visibili. Il tratto iniziale è utilizzato come tana dagli istrici.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature fino alla risalita “terminale”.

Storia delle esplorazioni Rinvenuta il 7 ottobre 2001 dallo SCR (G. Mecchia, A. Sbardella e M. Strani) e percorsa fino alla prima strettoia. E’ stata esplorata successivamente dallo SCR in tre punte: il 21 ottobre 2001 fino al punto 22 (G. Ceccarelli, F. De Lorenzo, M. Strani e B. Weber), il 4 agosto 2002 fino al fondo (G. Pintus e A. Marzialetti) e il 24 agosto 2002 sono state effettuate le due risalite nella sala terminale da M. Barbati e A. Zambardino.

Bibliografia MECCHIA G., 2002

2 m, costituito da blocchi di crollo, dal quale ci si affaccia (punto 4) su un pozzo più grande. Il pozzo “Sagnotti” è profondo 34 m e largo mediamente 4x2 m. Il pozzo e la parte successiva della grotta sembrano impostati su una frattura orientata N40-50°E e immergente 80°SE. La base è larga 2,50 m e ingombra di detrito e blocchi. Da qui si scende una breve (5 m) piccola galleria, in fondo alla quale è stato allargato un foro (40 cm) che ha permesso di entrare alla base di un piccolo fuso (punto 6). Scavando alla base del fuso è stato aperto l’imbocco di un pozzo profondo 10 m. Sotto il salto la prosecuzione in fessura è stretta e ostruita (punto 7, “fondo”, -72). Risalendo 3 m, si trova un condotto che in breve diventa troppo stretto. I pozzi sono molto franosi ed è quindi necessario stare molto attenti. Nel periodo secco la grotta è interessata solo da uno scarso stillicidio. D’estate una corrente d’aria non forte, diretta verso l’interno, è percepibile nelle strettoie.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1969, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. E’ da segnalare esclusivamente l’opera di disostruzione svolta sopra il P10 finale.

Note tecniche

Ouso 2° dei Cavoni Dati catastali

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altro nome: Ouso della Semiluna 551 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: i Cavoni - quota: 1303 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°38’03”1 (13°05”11’5) - 41°34’42”6 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.360.480 - 4.604.830 dislivello: -72 m - sviluppo planimetrico: 25 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

P6 d’ingresso, P6, P12, P34 (questi 4 pozzi possono essere armati con un’unica corda da 90 m), P10 (corda 15 m), fessura “terminale” (-72).

Storia delle esplorazioni Rinvenuta il 7 aprile 1969 dallo SCR (F. Cappucci, Alberta Felici, P. Langosco, M. Sagnotti, P. Stella) ed esplorata dallo stesso gruppo il 4 aprile 1971 (A. Antonelli, Maddalena Del Gallo, D. Lunghini, R. Papadia) e il 18 aprile 1971 (Antonelli, Lunghini, F. e M. Sagnotti) fino agli ambienti alla base del pozzo “Sagnotti” (-62 m). Il 10 giugno 1996 lo SCR (M. Barbati, M. Mecchia, A. Zambardino) ha disostruito il fondo della piccola galleria a -62 m e ha disceso un pozzo di 10 m.

Bibliografia: AGNOLETTI E TROVATO, 1971; FELICI, 1978a; ZAMBARDINO, 1997.

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km) al primo bivio si imbocca a destra la strada asfaltata che sale verso il Monte Semprevisa; dopo 500 m, alla prima curva (q. 895 m) si lascia la macchina e si sale verso est per il sentiero che percorre la valle di Acqua Mezzavalle. Arrivati alla cisterna (q. 1210 m) si sale direttamente la costa verso nord fino ad arrivare su una cresta. Da quota 1320 m della cresta si scende sul versante opposto per circa 50 m (20 m di dislivello). Il reperimento dell’ingresso nel bosco è difficile (1 ora di cammino).

Descrizione L’ingresso è una piccola dolina (3x2 m); nella parte a monte l’imbuto è costituito da un breve scivolo terroso, mentre nella parte a valle si trova una paretina. Il foro di accesso al pozzetto iniziale, profondo 6 m, è largo 1x0,60 m. Alla base del salto (campana larga 2,50 m) è ben visibile la frattura lungo la quale è impostata la parte iniziale della grotta (diretta N80°W e inclinata 70-80°N). Gli strati hanno direzione E-W e inclinazione 20°N. Tramite un foro alto 50 cm e largo 70 cm si entra subito nel P6 successivo, che inizia con un saltino profondo 2,5 m e prosegue con una stretta (30 cm) e scomoda fessura verticale che, dopo circa 4 m di discesa, si immette in un pozzo più ampio (punto 3). Il pozzo “Lunghini”, profondo 12 m, è formato da due fusi che si chiudono più in alto del punto d’armo del pozzo. La sezione orizzontale è larga circa 1 m e si allunga per circa 3-4 m. Si atterra su un terrazzo largo

Ouso della Rava Bianca Dati catastali 240 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Rava Bianca - quota: 1125 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°38’12” (13°05”20’4) - 41°34’52” carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.360.690 - 4.605.110 dislivello: -676 - sviluppo planimetrico: 550 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km) al primo bivio si imbocca a destra la strada asfaltata che sale verso il Monte Semprevisa, e dopo 500 m si lascia la macchina alla prima curva (q. 895 m). Si sale verso est per il sentiero che percorre la valle di Acqua Mezzavalle. Arrivati intorno a q. 1000, si prende il sentiero a destra (non segnato in carta) che, passata la sella a ovest di q. 1010, sale verso NW in località i Cavoni. Si raggiunge una vallecola: la cavità si apre immediatamente a monte del sentiero, a sinistra dell’alveo (1 ora di cammino).


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Descrizione DALL’INGRESSO AL SIFONE DI -144 La grotta inizia con un grande pozzo profondo 73 m, impostato su una frattura orientata N50°W con immersione 70°SW. L’imbocco ha sezione circolare, ad imbuto, con diametro di 7 m a piano campagna, che stringe in basso fino a circa 3 m. Ad una ventina di metri di profonditĂ il fuso confluisce, tramite uno scivolo, in un fuso piĂš grande. La seconda parte del 178 pozzo è cilindrica con una bella sezione circolare di 3-4 m di diametro. Ad una cinquantina di metri di profonditĂ il fuso si apre in una grande sala. Alla base del pozzo un cono di detrito e fango scende altri 7-8 m fino al fondo di un imbuto fangoso. La sala (punto 4) è lunga oltre 20 m, larga fino ad una decina e alta una ventina di metri. E’ impostata sulla stessa faglia del pozzo. Sulla volta è presente un secondo fuso che sale inesplorato. In seguito a forti piogge, alla base del pozzo si può formare un grande lago, esteso fino a 150 m2 e con capacitĂ massima di circa 600 m3; lentamente, poi, il lago si svuota a causa delle perdite per filtrazione sul fondo. Le pareti della parte periodicamente sommersa sono coperte da concrezionamento tipico, di colore biancastro. La soglia del lago è posta sull’estremitĂ orientale della sala, dove è presente il condotto che costituisce la prosecuzione della grotta; questo inizia con un foro (punto 7) di 60 cm di diametro, dal quale in inverno spira una sensibile corrente d’aria. Si scendono alcuni metri in meandro, fino ad un salto profondo 6 m. Da qui al vecchio fondo della grotta (punto 22), la base dei salti si amplia ed è tipicamente presente una vasca d’acqua. Il fondo e le pareti dei condotti sono quasi sempre coperti da latte di monte. Si prosegue in un meandro d’interstrato, con sezione inclinata lungo gli strati, che immergono 30-40° verso NE. Dopo un percorso di una trentina di metri il condotto intercetta una serie di salti (29, 5 e 8 m) impostati lungo una faglia diretta N75°E con immersione 60°N. Il P29 è interrotto da un terrazzo dopo una decina di metri, e alla sua base è presente un’ampia pozza. Seguono in successione i salti da 5 e 8 m. Un tratto di meandro lungo una trentina di metri scende a gradoni fino ad un sifone inesplorato (punto 22, -144).

DALLA STRETTOIA DI -125 (PUNTO 23) AL “MEANDRO� (-385) Risalendo sul lato Nord della saletta alla base del P5 (-127) lungo un ballatoio inclinato, si arriva al passaggio che nel marzo 2000 ha aperto la strada al nuovo fondo della grotta. Si tratta di una strettoia (punto 23) allargata artificialmente, con forte corrente d’aria, lunga circa 3 m.

KM

Oltre la strettoia si intercetta un meandro fossile che risale anche verso monte, sbucando sul P29 precedentemente disceso, tramite una piccola finestra che non era stata notata in precedenza, e che avrebbe consentito di proseguire le esplorazioni senza alcuna disostruzione (tratto non rilevato). Subito dopo la strettoia si deve superare un cunicolo allagato lungo circa 3 m e con il soffitto alto solo 50 cm. Verso valle (punto 28), il meandro prosegue in discesa con una bassa galleria lunga circa 30 m, che scende lungo la pendenza degli strati. Al termine della galleria (punto 33) si scende, in strettoia, un piccolo saltino di 2 m che immette in un cunicolo attivo (punto 35) da monte (forse l’acqua proveniente dal sifone del punto 22). Verso valle e pochi metri piĂš avanti si scendono uno scivolo di 4 m, reso estremamente viscido dal latte di monte, un P15 e un P5 in successione, anche questi scivolosi per il latte di monte. Dalla base del P5, per superare un tratto allagato, si devono risalire in arrampicata circa 5 m su blocchi di frana, per poi ridiscendere subito al di lĂ , con corda, un salto di 7 m. Segue (punto 43) uno scivolo di 8 m con latte di monte, che conduce direttamente alla partenza di un grande pozzo profondo 60 m. Il pozzo ha una cengia 15 m sotto la partenza, e subito dopo diventa molto largo, almeno 10 m. La base, una sala tondeggiante del diametro di circa 10 m, è occupata da grandi massi ricoperti di latte di monte. L’acqua che scende, a volte copiosa, dal pozzo, si infila in un’apertura tra i massi, che dĂ accesso ad un ramo discendente costituito da una serie di pozzi (P3, P15, P2, scivolo, P15, P7, P10, P15, P8; questo tratto, non rilevato, termina con un laghetto di 4x2 m, probabilmente un sifone). La grotta prosegue con un pozzo da 18 m, che alla base ha un accumulo di fango liquido, e subito dopo una sala asciutta. Dopo la sala, con una curva a destra (punto 54) parte un meandro; lo si percorre in alto nella zona asciutta e si scende un P4 con armo naturale. Poi si prosegue nel meandro, e quando questo stringe si risale in arrampicata per 2-3 m; dopo qualche metro piĂš stretto ci si affaccia su un P15 (punto 61). Alla base del P15 (punto 64) si trova un laghetto e una bella colata calcitica. Qui la grotta compie una retroversione. Si traversa il laghetto, si risale la colata, e si prosegue per alcuni metri nel meandro, che poi svolta bruscamente a sinistra (punto 67). Il meandro si allarga, ci si tiene su un ballatoio a sinistra, quindi si supera una fessura. Avanzando sempre nella parte alta del meandro, si supera un altro punto stretto, fino a sbucare sul soffitto di una saletta. Si scende in arrampicata sul fondo della saletta, e da qui (punto 69) parte un pozzo di 35 m.

Ouso della Rava Bianca: ramo verso il “vecchio fondo� (foto C. Germani)

Ouso della Rava Bianca: il P60 (foto A. Zambardino)

La base del P35 è una sala occupata da massi, con interstrati argillosi sulle pareti. Si ritrova l’acqua, che si infila in una profonda incisione sul pavimento della sala. Dopo la sala si scende uno scivolo un po’ franoso, e con un traverso si arriva all’orlo di un P10 che scende in una saletta occupata da un conoide detritico (sala “del Diplomaticoâ€?). Quindi si scende un P14, seguito da due pozzi da 6 e 4 m in successione. Si prosegue con un meandro per una decina di metri fino ad una saletta a cupola, oltre la quale parte (punto 87) un pozzo di 35 m piuttosto franoso.

una ventina di metri. Seguono un P13 e un P23, che si scendono sotto un leggero stillicidio. Dalla base del P23 si possono scegliere due vie per proseguire verso il basso: quella attiva, con un salto che si scende parzialmente in libera e poi con 5 m di corda, e quella fossile, con un salto parallelo di circa 5 m. Ambedue le vie portano ad una sala allungata in leggera discesa, che conduce al salto successivo, un P11. Sceso il salto, seguendo la via dell’acqua si può scendere un P6 che porta ad un meandrino stretto inesplorato (punto 176, -676) dove l’acqua scompare; oppure si può traversare sopra il P6 ed entrare a destra in un cunicolo lungo 8 m con una strettoia a metĂ , che si affaccia su un P10 sceso solo in parte (tratto non rilevato, in esplorazione).

IL “MEANDROâ€? (DA -385 A -447) Dalla base del P35 si percorre un meandro (tratto 90-137) in leggera discesa, lungo circa 150 m, interrotto da sette salti (4, 3, 7, 6, 6, 6, 10 m). Il meandro termina in corrispondenza di un approfondimento di circa 15 m, al fondo del quale l’acqua si perde in una strettoia impraticabile. La grotta prosegue in avanti oltre il pozzo nella parte alta e fossile del meandro. Si supera il pozzo con un traverso e si risale subito dopo per un paio di metri in strettoia (punto 137). I POZZI DEL TRATTO TERMINALE (DA -447 A -676) Oltre la strettoia la grotta si allarga e scende con quattro salti (4, 8, 7, 6 m); con l’ultimo salto si atterra in una zona franosa (sala “dei Tre Pozziâ€?), con aria e varie prosecuzioni nella frana. Dal centro della frana, tramite un P11, si scende in uno spazio dove l’unica prosecuzione è una spaccatura verticale (P2) lunga 1 m e larga 30 cm. Da qui la grotta riprende la morfologia a fusoidi; si scende prima un P15 che termina su una cengia, dalla quale parte un P26 largo 8 m. Alla base del pozzo si percorre qualche metro per affacciarsi sullo stesso fuso e scendere altri 13 m. Qui la sosta è comoda e l’ambiente è asciutto. Ci troviamo (punto 155) su un P65 che inizia con una cengia posta sulla verticale del pozzo, frazionato in due punti. Il pozzo è largo

Stato dell’ambiente Il pozzo di ingresso è noto fin dal 1953. Solo a partire dal 1985 la grotta è stata oggetto di alcune centinaia di visite, progressivamente meno numerose verso le parti piĂš profonde (esplorazioni 2000-2002). Ad eccezione dell’allargamento della strettoia di -125, non sono segnalate significative alterazioni dello stato dell’ambiente, nemmeno nel tratto iniziale della grotta.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL SIFONE “VECCHIO PROSECUZIONE:

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(-144)

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P73 (corda 88 m), spesso il fondo del pozzo è occupato da un lago profondo qualche metro che in alcune stagioni è superabile con il canotto, mentre in periodi piovosi si alza fino ad impedire la prosecuzione. P6, P29+P5, in basso si prosegue con un P8 per il sifone “fondo vecchioâ€?, mentre per andare verso il “fondo nuovoâ€? si sale lungo un ballatoio inclinato arrivando ad una strettoia (punto 23, -125).


179 Ouso della Rava Bianca: il P73 d’ingresso (foto A. Gatti)

DALLA STRETTOIA DI –125 AL “MEANDRO”: Scivolo 4, P15+P5, P7+Scivolo 8, P60 (-240), P18, P4, P15, P35, P10 con traverso alla sommità, sala “del Diplomatico”, P14, P6+P4, P35 (-385).

sono ancora in corso.

Bibliografia CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954b; DOLCI, 1967; FELICI, 1978a; GALASSI & PAPPALARDO, 1986; GIURA LONGO, 2002; MANISCALCO, 1963; SPICAGLIA, 1958.

“IL MEANDRO”: P4, P3, strettoia, P7, P6, P6, P6, P10, si traversa sopra P15, strettoia fine meandro (-447). DALLA FINE DEL “ MEANDRO” AL FONDO: P4+P8+P7+P6, sala “dei Tre Pozzi”, P11, P2 stretto, P15+P26+P13+P65+P13+P23, P5, P11, P6, P3, fessura “terminale” (-676).

Storia delle esplorazioni Rinvenuta e forse esplorata nel periodo 1953-54 dal CSR. La prima esplorazione documentata avvenne il 19 marzo 1957 ad opera del CSR (F. Pansecchi, A. Todeschini) con G. Maffei. Gli esploratori si fermarono alla base del primo pozzo, occupata dal lago. Nel 1985 il GS CAI Roma, in occasione di un abbassamento del livello del lago, scoprì la prosecuzione della cavità, che venne esplorata fino a -144. Nel 1999 sempre il GS CAI Roma iniziava la disostruzione di una fessura a -120, completata soltanto il 19 marzo 2000; nei mesi successivi la grotta è stata esplorata fino a -385 (M. De Antonis, Marzia Fulli, A. Giura Longo, F. Mingolla, A. Ponziani ed altri). Le successive esplorazioni fra l’estate del 2001 e il 2002, condotte sempre dal GS CAI Roma con l’aiuto di ASR’86 (F. Nozzoli, M. Taverniti) e SCR (G. Belligno, M. Barbati, A. Zambardino), hanno permesso di raggiungere la profondità di -676. Il 17 e 25 maggio 2003 Taverniti, De Antonis e Mingolla hanno esplorato il ramo discendente alla base del P60. Le esplorazioni

Ouso Gemello della Rava Bianca Dati catastali altro nome: Ouso II della Rava Bianca 241 La - comune: Carpineto Romano (RM)- località: Rava Bianca - quota: 1135 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°38’13” (13°05”21’4) - 41°34’50”5 Carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.360.720 - 4.605.070 dislivello: -60 m - sviluppo planimetrico: 50 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Itinerario Da Carpineto Romano si raggiunge Pian delle Faggeta (5,4 km), al bivio con la strada asfaltata che sale verso il Monte Semprevisa si prende quest’ultima strada per 500 m lasciando la macchina alla prima curva (q. 895 m). Si sale verso est per il sentiero che percorre la valle di Acqua


Mezzavalle. Arrivati intorno a q. 1000, si prende il sentiero a destra (non segnato in carta) che, passata la sella a ovest di q. 1010, sale verso NW in località i Cavoni. Si raggiunge una vallecola: la cavità si apre immediatamente a monte del sentiero, a destra dell’alveo e pochi metri verso sud rispetto all’Ouso I della Rava Bianca, sull’altro lato della stessa vallecola (1 ora di cammino).

Descrizione L’ingresso è una dolina a pozzo con diametro di 6-7 m sull’orlo esterno. Il pozzo è profondo 26 m ed è costituito dalla coalescenza di tre fusi; in corrispondenza della congiunzione dei fusi, alle profonditĂ di 8 e 16 m si sono formati due terrazzi inclinati. Il pozzo si immette in una galleria in discesa verso nord, larga 1,5-2 m. Dopo pochi metri la volta si abbassa fino ad 1 m e s’incontra un gradino di 1 m. Quindi (punto 5) si risalgono subito 2 m in arrampicata arrivando sopra uno scivolo profondo 5 m incassato fra le due pareti. Sceso lo scivolo si trova una saletta (punto 6), base di un ampio fuso. Da qui si scendono un gradino di 1 m, un breve scivolo con volta a nicchia, un nuovo gradino con sottostante nicchia che permette una certa mobilitĂ prima di una angusta strettoia. Oltrepassata la strettoia si scende uno scivolo di pochi metri e si arriva (punto 7) sopra un pozzo di 19 m, perfettamente verticale. La base del pozzo, ingombra di detrito, sul lato sud termina con una fossa, mentre verso nord, tramite una stretta soglia, si accede (punto 9) alla base di un alto fusoide parallelo.

Stato dell’ambiente A partire dal 1953, anno della scoperta, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Lo stato dell’ambiente interno si può ritenere integro.

Note tecniche P26 d’ingresso, Scivolo 5 (superabile in arrampicata), P19, sala di fondo (-60).

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Storia delle esplorazioni Rinvenuta e forse esplorata nel periodo 1953-54 dal CSR. La prima esplorazione documentata avvenne il 18 settembre 1960 ad opera dello SCR (L. Laureti, Manuela Martinelli, G.C. Negretti, F. Pancirolli, G. Stampacchia).

Ouso di Pozzo Comune: la galleria alla base del primo P19 (foto P. Fanesi)

Bibliografia

180 CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954b; DOLCI, 1967; FELICI, 1978a; MANISCALCO, 1963.

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Ouso nella Villa: una piega degli strati all’interno della cavità (foto G. Cappa)

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Ouso nella Villa

probabilmente non superiore a 200. L’interno è da ritenersi integro.

Note tecniche Strettoia che immette nel P33, P12, P4, fessura “terminale” (-58).

Dati catastali altro nome: Ouso del Monsignore 823 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: la Forcella - quota: 801 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°38’43”5 (13°05”51’9) - 41°35’16”0 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.361.430 - 4.605.850 dislivello: -58 m - sviluppo planimetrico: 82 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Storia delle esplorazioni L’ingresso è venuto alla luce nell’autunno 1976, durante i lavori di sistemazione del giardino della villa, ed è stato allargato artificialmente. L’esplorazione è stata completata nel 1977 da V. Battisti, G. Cappa, Alberta Felici, M. Rosatella. Il 18 settembre 1977 il GS CAI Roma (F. Ardito, R. Gambini e V. Gambini) ha esplorato le tre risalite.

Bibliografia: FELICI, 1978a; NIZI, 1984a; RICCI M., 1979.

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta; dopo 4,0 km, 100 m prima della Forcella (q. 797 m), sulla sinistra c’è il cancello d’ingresso della villa. La grotta si apre 8 m sotto la villa e 6 m sopra la dolina posta presso il cancello. Per accedere alla grotta, che si apre in terreno privato recintato, è necessario chiedere il permesso al proprietario.

Descrizione (informazioni di Alberta Felici) L’accesso alla cavità si presenta in forma di trincea lunga qualche metro che termina in un pertugio verticale e in un breve cunicolo d’interstrato. Superata la strettoia iniziale (punto 2), si sbuca alla sommità di una galleria a meandro. La discesa al fondo della galleria costituisce il primo pozzo, profondo 33 m, verticale, stretto per i primi metri, poi sempre più ampio; a -20 si incontra una piccola cengia. Dal fondo del pozzo si scende per alcuni metri lungo uno scivolo detritico giungendo ad una sala (punti 4-5) posta al congiungimento con un meandro proveniente da SE ed adorna di notevoli concrezioni parietali e grandi stalagmiti. Questo meandro, superato un laghetto temporaneo, risale con piccoli salti fino quasi alla volta, 10 m più in alto, e dopo una trentina di metri stretti e scomodi un ulteriore restringimento impedisce la prosecuzione (punto 22). Dalla sala (punto 5) si scende il secondo pozzo, profondo 12 m, interrotto a -5 da una cengia. L’ambiente al suo fondo (punto 6) è la diretta prosecuzione di quello superiore, stretto, molto alto e caratterizzato da un canale di volta in ripidissima discesa. Il terzo salto (P4) porta al congiungimento di tale galleria con un’altra, proveniente da WSW, che segue l’immersione degli strati ed è ripidissima (pendenza strati e galleria di 55°). Questa galleria, ricoperta da abbondanti sedimenti argillosi, può essere risalita superando un pozzetto di 5 m, alla cui sommità si trova un piccolo ambiente (3x2 m) privo di prosecuzioni. Dopo la confluenza, la grotta si restringe (0,5 m) e superato un breve cunicolo si giunge ad una saletta che presenta una stretta diramazione a livello del soffitto (tratto 11-13), percorribile per 15 m, e una fessura impraticabile (punto 10, “fondo”, -58) che smaltisce le acque che saltuariamente percorrono la grotta; da un’ulteriore fessura (punto 9) a livello del pavimento, molto stretta e bassa, a volte proviene un rivolo d’acqua. La grotta attualmente si presenta quasi del tutto asciutta nei mesi estivi e percorsa da un forte stillicidio nei periodi piovosi; le acque si raccolgono formando rigagnoli, pozze, ed allagando il fondo della saletta terminale. Veli di sedimenti fini sono così depositati lungo le pareti di alcuni camini; risultano invece assenti veri e propri corsi d’acqua.

Stato dell’ambiente L’esplorazione speleologica seguita all’accidentale apertura della bocca d’accesso al pozzo nel 1976 si è rapidamente conclusa e, a causa anche della localizzazione in terreno privato, la grotta è stata poi scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori

Ouso di Pozzo Comune Dati catastali 274 La - comune: Carpineto Romano (RM)- località: Pian delle Faggeta - quota: 858 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°39’25”8 (13°06”34’2) - 41°34’35”0 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.362.390 - 4.604.560 dislivello: -190 m - Sviluppo planimetrico rilevato: 1105 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km) si lascia sulla destra la strada che sale verso il Monte Semprevisa e si prosegue per la strada bianca che attraversa il piano. Dopo 300 m si lascia la macchina in una piazzola. La cavità si apre nel punto più depresso del piano, a circa 50 m dalla strada, sulla sinistra.

Descrizione L’inghiottitoio drena le acque di una piccola parte del bacino di Pian delle Faggeta. Un piccolo fosso, che comunque si attiva solo in occasione di forti piogge, scompare sottoterra in un pozzetto intransitabile che si apre subito prima dell’ingresso della grotta, situato all’interno di una depressione doliniforme ampia 12x8 m, alla base di un costone roccioso. Si scende nella depressione per roccette fino al fondo (punto B), dove, con un bel portale (largo 4 m e alto 5 m), inizia la parte sotterranea della grotta. Nell’antro d’ingresso si nota sulla destra un buco sul pavimento che immette in un pozzetto profondo 6 m (ramo “A0”), mentre sull’altro lato parte una galleria larga 1,5 m e alta 5 m. Per entrarvi si deve scendere in arrampicata un salto di 2 m formato dai massi di crollo. Dopo una decina di metri si scende un salto di 3 m e si entra in un grande salone (“1° Salone”). L’ambiente è lungo 35 m, largo 5-10 m e alto fino a 15 m, con pavimento di detrito e massi di crollo. Nel punto più basso (punto C) si osserva la prosecuzione: un meandro largo circa 1 m. Dopo 6-7 m si scavalca un piccolo foro nel pavimento (punto D, pozzo profondo 13 m) e si prosegue per pochi metri fino ad una saletta (punto E) larga 3 m, che si affaccia su un pozzo di 19 m. Il P19 è impostato all’intersezione di due fratture perpendicolari fra loro dirette secondo i sistemi N-S e E-W (è visibile il liscione della faglia meridiana) (BEFANI, 1964), ed è interrotto a metà da un terrazzino costituito da massi crollati. Si atterra nel letto di un corso d’acqua alla base di una galleria a meandri. A monte si percorrono una decina di metri fin sotto un salto alto 4 m,

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sopra il quale ci si trova alla base del P13 nominato precedentemente; l’acqua del torrentello fuoriesce da una fessura impraticabile a quota -25. A valle, dopo una ventina di metri di percorso comodo, si supera una marmitta rischiando di bagnarsi, e si arriva sull’orlo di uno scivolo profondo 7 m, che immette in una sala larga 4 m e alta una quindicina, impostata su una frattura N-S. Sulla parete opposta a quella di discesa è stato raggiunto, con una risalita in artificiale di 8 m, un piccolo affluente (“A1”), che dopo soli 15 m diviene impraticabile (l’acqua sgorga da una fessura). Dalla sala si prosegue e dopo una trentina di metri si raggiunge il ciglio di un salto profondo 12 m. La discesa può essere evitata prendendo (punto F), sulla sinistra poco prima del P12, uno scivolo molto fangoso che, tramite un cunicolo, arriva alla base del P12. Il passaggio (punto G) comporta inevitabilmente una “doccia” (l’acqua proviene dal P12), fastidiosa nei periodi piovosi. Si prosegue in un bel meandro, comodo (largo generalmente circa 1 m) e percorribile sempre sul fondo, alto da 5 a oltre 10 m, percorso tutto l’anno da un torrentello. Dopo 60 m il meandro riceve un affluente da un camino sulla destra (“A2”), e dopo altri 80 m, superata una curva a gomito, giunge sull’orlo di un pozzo profondo 19 m (“pozzo Marilù”, punto I), nel quale l’acqua si getta con una bella cascata. Si evita l’acqua scendendo sulla parete di destra, che si allarga formando una bella sala di 5 m di ampiezza. Alla base della cascata una pozza d’acqua è facilmente aggirabile. Sulla sinistra della sala arriva, dall’alto, un nuovo modesto affluente (ramo “Margherita”). Si prosegue seguendo l’acqua. Il meandro scende a gradoni e con un salto di 4 m, subito seguito da un pozzo profondo 23 m, nel quale il torrente si getta a cascata, facilmente evitabile scendendo più avanti nel meandro, al di fuori del getto. Alla base del P23 c’è un’ampia pozza d’acqua (punto J). Si prosegue in un meandro di comoda percorrenza, che si snoda con curve brusche a 90°, e dopo una quarantina di metri (punto K) forma un salto di 2 m, con alla base una marmitta colma d’acqua, profonda 1 m (“il bicchiere”). Sopra la marmitta parte un ramo in risalita (meandro del “Trappoliere Scalzo”). Il “bicchiere”, facendo attenzione, può essere superato senza bagnarsi; ci si china, per proseguire in una condotta alta 1,5 m, avanzando per 50 m in piano, poi si scende una serie di gradoni che portano alla sommità (punto L) di un pozzo profondo 23 m. Alla base si trova la consueta pozza d’acqua, e dopo uno slargo ampio 4 m, riprende il meandro, ancora di agevole percorrenza (largo sempre più di 1 m); si scendono due gradoni arrivando sopra un terzo salto più alto (4 m), e una decina di metri più avanti si giunge sull’orlo di un pozzo profondo 14 m. Dalla base, una sala larga 4 m, si riprende il meandro in leggera discesa; la volta si abbassa 182 progressivamente da 5 m di altezza fino a immergersi in un lago-sifone dopo una quarantina di metri (189, “vecchio fondo”). Poco prima del sifone la sezione della cavità è rettangolare con il pavimento e la volta rappresentati da superfici di strato, orientati NW-SE con immersione verso NE. Il livello dell’acqua del sifone appare a livello pressoché costante in tutte le stagioni (BEFANI, 1964). Il sifone, superato da uno speleosub, è lungo 14 m, profondo 1 m, e sbuca in un vasto salone (punto N). Tuttavia, è possibile raggiungere questo ambiente anche senza immergersi. Infatti, una trentina di metri prima del sifone, in corrispondenza di una grande pozza d’acqua, si possono risalire 9 m (corda fissa) fino ad una “finestra” (punto M), oltre la quale si scende in un meandro largo oltre 1 m e alto 6-10 m, pianeggiante, che dopo una quarantina di metri entra nel salone post-sifone (punto N), largo 4 m e lungo una dozzina di metri. Alla fine del salone un nuovo affluente (“dell’Ovest”), con portata paragonabile a quella del corso d’acqua principale, proviene da sinistra. Per seguirlo, si sale la colata calcitica, si trova subito una paretina arrampicabile e si arriva in una saletta dalla quale si dipartono tre vie, che però risultano tutte, in breve, impraticabili. Tornati nel salone, si può avanzare ancora camminando sul fondo dell’ampio (2 m) meandro, ma a 60 m di distanza dalla fine del sifone “vecchio fondo”, un secondo lago-sifone sbarra il cammino (-190). Anche questo sifone è stato superato dallo speleosub. Al di là è presente una campana d’aria, poi un terzo sifone seguito da una nuova campana d’aria e quindi un quarto sifone ancora inesplorato. Il secondo e terzo sifone misurano complessivamente 11 m di lunghezza e hanno profondità di circa 1 m (RICCI, 1979).

RAMO “A0” (SVILUPPO PLANIMETRICO COMPLESSIVO: 110 M) Nell’antro di ingresso si nota sul pavimento, sulla destra, un foro largo 50 cm che con un salto di 6 m raggiunge un condotto attivo (RICCI, 1979). L’acqua giunge da una stretta fessura e prosegue nel condotto compiendo un giro ad anello che si ricollega al “1° salone”. RAMO “A2”(SVILUPPO PLANIMETRICO COMPLESSIVO: 130 M; DISLIVELLO: +60 M DALLA PAR TENZA NEL MEANDRO) Si apre a metà del primo meandro, a quota -62. D’inverno, la cascata cui dà origine è talvolta impressionante. Si risale una prima parte molto verticale (con salti di 4, 8 e 6 m). Da qui si può proseguire in due diramazioni. La prima (meandro “Spazzolini”) inizia sotto la parete; il meandro è lungo 65 m e bassissimo (si striscia sempre nell’acqua), e termina con una sala alta circa 10 m, dal cui soffitto arriva l’acqua (RICCI, 1979). Per accedere alla seconda diramazione si risale la parete alta 16 m, entrando in un meandro (“degli Zombies”) che dopo 65 m arriva in una saletta. Presso il soffitto vi è un foro che immette sotto un pozzetto di 6 m, alla cui sommità si trova uno stretto foro, dal quale d’estate arriva una forte corrente d’aria. Una disostruzione ha permesso l’accesso, con molta

difficoltà, ad una condotta lunga 3 m che porta alla base di un salto di 5 m. Alla sommità si trova una sala a fuso di 8 m di diametro e 30 m circa di altezza (non rilevata); al lato della sala un condotto inclinato di 45° lungo circa 15 m finisce in una nuova fessura colmata da detrito e fango. La sommità del pozzo dovrebbe essere a quota circa +30 rispetto all’ingresso (TOPANI, 1979).

RAMO “MARGHERITA”(SVILUPPO PLANIMETRICO COMPLESSIVO: 140 M; DISLIVELLO: +55 M DALLA PAR TENZA NELLA SALA) Nella sala alla base del P19 (quota -87), sulla sinistra, si deve risalire la parete in artificiale per 10 m, entrando in una evidente “finestra”. Si supera un passaggio stretto e bagnato e si arriva così ad una saletta di 4 m di diametro, occupata da un laghetto. Si risale quindi un pozzo di 11 m (FESTA, 1978). Il ramo continua con uno scivolo ascendente per poi diramarsi in una parte asciutta ed una attiva. Dal terrazzino, il ramo asciutto si sviluppa verso sinistra (depositi argillosi), mentre a destra sul ramo attivo si risale uno scivolo di 8 m, che immette in un corridoio terminante in una sala con due camini (sala “del Ponte”) (DONATI, 1978). Tramite una finestra, si raggiunge il ramo asciutto, chiudendo l’”anello”. Nella sala sbocca anche un meandro attivo, che può essere percorso in salita per 20 m fino alla base di un P6. Al di sopra, il meandro continua con due piccoli salti risalibili in arrampicata e con una fessura che stringe in basso. Risaliti nella parte alta, si arriva ad un nuovo tratto largo e quindi all’ennesima strettoia (BERNABEI, 1978). Il punto finale è posto ad una quota di -32 m rispetto all’ingresso. MEANDRO DEL “TRAMPOLIERE SCALZO” (SVILUPPO PLANIMETRICO: 40 M; DISLIVELLO: +20 M DAL “BICCHIERE”) Sopra il “bicchiere” si sale un camino di 8 m, poi, poco più avanti, si salgono due salti (6 e 3 m) proseguendo in un meandro che in breve (meno di 20 m) stringe fino all’impercorribilità. Sopra il camino di 8 m una “finestra” in alto probabilmente riporta nella sala del P23. Nel ramo si rinvengono fango, foglie e ramoscelli. La portata idrica non è molto copiosa, e anzi in estate è nulla (RICCI, 1979).

Ouso di Pozzo Comune: la galleria subito a monte del sifone “vecchio fondo” (foto C. Germani)

Stato dell’ambiente La grotta è stata percorsa numerosissime volte; a partire dal 1953, anno della scoperta, il numero di visitatori è stimabile in alcune migliaia. La dolina di ingresso non viene utilizzata come discarica, contrariamente a quanto avviene in molte altre situazioni analoghe; questo fa sì che all’interno della grotta non si trovino rifiuti trasportati dalle acque. Le portate idriche, periodicamente anche notevoli, contribuiscono ad eliminare le tracce di passaggio. Nei tratti non percorsi dal torrente si rinviene qualche rifiuto.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL POZZO “MARILÙ”: P3 (arrampicabile), P3 (arrampicabile), P19, Scivolo 7, scivoletto di fango, “il Meandro” fino alla sommità del pozzo “Marilù” (-70).

DAL POZZO “MARILÙ” AL FONDO: P19 “Marilù”, P4, P23, P2, “il Bicchiere”, P23, P4, P14, prima del sifone del “vecchio fondo”: Risalita 9, sifone “terminale” (-190).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1953 dal CSR fino al primo sifone. Nella seconda metà degli anni ‘70 tutta la speleologia romana si dedicò a questa grotta, primo esempio di una rinnovata mentalità esplorativa. Il 13 luglio 1975 M. Ricci (GS CAI Roma) risale l’affluente “A1”. Nel 1977 il primo tratto dell’affluente “A2” viene risalito dal GS CAI Roma e dall’ASR. Il 26 giugno 1977 F. Ardito, V. Gambini e C. Germani (GS CAI Roma) esplorano il “meandro Spazzolini”. Il 27 ottobre Ardito e R. Gambini risalgono il “meandro del Trappoliere scalzo”. Il 9 luglio 1978 M. Diana (GS CAI Roma) si immerge nell’allora sifone terminale, sbucando in un vasto salone, scoprendo poi il by-pass che permette di evitare l’immersione. Il 16 luglio Diana si immerge nel secondo sifone, supera anche un terzo sifone fermandosi davanti al quarto. Intanto Ardito e Ricci risalgono l’”affluente dell’Ovest”. Il 23 luglio G. Crassan e Ricci (GS CAI Roma) esplorano il ramo “A0”. Il 16 settembre Bernabei, A. Bonucci e Topani (ASR) esplorano il “meandro degli zombies” fino alla sommità del P6. L’11 ottobre P. Festa, Topani e Bernabei (ASR) iniziano la risalita del ramo “Margherita”, arrivando sopra il P11. Il 19 novembre F. Donati, Festa, F. Lauteri (ASR) continuano l’esplorazione di questo ramo fino alla “Sala del Ponte”. Due giorni dopo Bernabei, Topani, Donati, V. Vecchi completano l’esplorazione del ramo. Il 10 giugno 1979 G. Boldrini, Festa e Topani completano l’esplorazione del “ramo degli Zombies”.

Bibliografia ARDITO, 1978; ARDITO, 1988; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1979; BEFANI, 1965; BERNABEI, 1978b; BERNABEI, 1979; CAPPA G. & FELICI, 2001; CERRUTI, 1954; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954b; DOLCI, 1967; DONATI, 1978; FELICI, 1978a; FESTA, 1978; GIUDICI & RUSSO, 1993; GRASSI, 1993; MANISCALCO, 1963; RICCI, 1979; SEVERA, 1961; SPELEO CLUB ROMA, 1961a; SPELEO CLUB ROMA, 1961b; SPELEO CLUB ROMA, 1962; TOPANI, 1979a; TOPANI, 1979b.

Ouso di Pozzo Comune: il P19 (foto M. Mecchia)


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Ouso del Sordo Dati catastali

Dati catastali

altro nome: Ouso dello Stracciaro 239 La - comune: Carpineto Romano (RM) - localitĂ : Pian delle Faggeta - quota: 847 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°39’39â€?4 (13°06â€?47’8) - 41°34’28â€?6 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.362.700 - 4.604.350 dislivello:-56 m - sviluppo planimetrico: 55 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggetaâ€?; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centraliâ€?

altro nome: Dolina con due ousi in localitĂ le Fosse 799 La - comune: Carpineto Romano (RM) - localitĂ : le Fosse sotto Cima dell’Ouso (Pian delle Faggeta) - quota: 896 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°39’53â€?3 (13°07â€?01’7) - 41°34’12â€?2 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.363.000 - 4.603.850 dislivello: -152 m - sviluppo planimetrico: 165 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggetaâ€?; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centraliâ€?

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km) si lascia sulla destra la strada che sale verso il Monte Semprevisa e si prosegue per la strada bianca che attraversa il piano. Dopo 600 m si lascia la macchina. La grotta si trova in una dolina piena di alberi, un centinaio di metri sulla sinistra della strada. La grotta si apre in terreno privato recintato.

Descrizione Si tratta di una enorme dolina a pozzo, con dimensioni esterne di 30x15 m, con asse maggiore in direzione NW-SE, come la valle. Dalla superficie pianeggiante di Pian delle Faggeta la dolina scende con un ripido imbuto fino a –8, dove le dimensioni si riducono a 10x5 m. Da qui (quota zero del rilievo) il pozzo scende verticalmente per 26 m, interrotto solo da un ripiano dopo 20 m. In fondo al pozzo, una strettoia, frequentemente ostruita da tronchi e detriti e quindi impraticabile, immette (punto 3) in un salto di 2 m che continua con stretta galleria in discesa lunga una quindicina di metri e interrotta da un salto di 7 m. Al termine si scende un pozzo di 13 m. Dalla base del pozzo parte una galleria piĂš ampia che dopo 15 m conduce sopra un salto di 2 m, sotto il quale la grotta chiude con una fessura in una saletta (punto 8, -56). Fino alla sommitĂ del pozzo profondo 13 m la circolazione idrica è limitata allo stillicidio. Nel P13 si riversa una cascatella proveniente da una fessura situata dalla parte opposta del pozzo. La fessura può essere raggiunta con una breve traversata, proseguendo poi per pochi metri fin sotto una 184 seconda cascatella (RICCI, 1979).

Stato dell’ambiente La grande dolina dell’Ouso del Sordo che sprofonda nel mezzo di Pian delle Faggeta, deve essere stata nota ai pastori da tempo antichissimo. Le discese speleologiche, avviate nel 1946, sono comunque state ridottissime soprattutto a causa della scarsa attrattiva esercitata dalle caratteristiche morfologiche della cavitĂ . Probabilmente in passato nella grotta venivano gettati rifiuti; tuttavia oggi la voragine è recintata e non piĂš utilizzata a tale scopo.

Note tecniche Dolina a pozzo: P20+6, strettoia, P2, P7, P13, P2, fessura “terminale� (-56).

diretta N60°E e inclinata di circa 70°, sulla quale è impostata la seconda parte della grotta. La fessura (tratto 16-30) è percorribile per 70 m, sempre decisamente scomoda, stretta (quasi sempre meno di 1 m, spesso 40-50 cm) e alta da 0,5 a 2 m. Si passa subito una strettoia, in corrispondenza di una brusca curva, e dopo pochi metri si arriva su un salto di 4 m, seguito, dopo un breve tratto, da un P5. Si avanza ancora per 15 m fino ad una strettoia seguita da un saltino di 4 m, arrampicabile, con alla base una pozza d’acqua. Subito dopo si supera una impegnativa strettoia, che costringe a strisciare nell’acqua di una pozzetta. Si prosegue per 15 m fino ad una successione di pozzi (3, 13 e 42 m) con piccole sale alla base, impostati sempre lungo la stessa frattura. Il salto di 13 m ha l’imbocco stretto a fessura. Dalla saletta alla sua base parte (punto 31), con una spaccatura sul pavimento larga 60 cm, il P42. Il pozzo si sviluppa lungo il piano della frattura, spostandosi quindi circa verso sud tramite alcuni piccoli terrazzini. Alla base del pozzo (punto 35) parte un condotto che cambia bruscamente direzione, dirigendosi verso ovest, sbucando subito in una sala (“del Fangoâ€?), ampia 5x3,5 m, caratterizzata da un conoide di fango proveniente da una breve condotta che si immette nella sala dalla parete sinistra. Il meandro riprende al di lĂ della sala e in breve diviene una condotta a sezione rettangolare larga 60 cm e alta 70 cm, che termina dopo 7 m in uno specchio d’acqua profondo una ventina di centimetri (punto 39, -152). Durante l’estate può essere presente un fastidioso stillicidio lungo il P39 e soprattutto sul P13 e sul P42. Durante la stagione piovosa, l’attivitĂ idrica è senz’altro notevole ed è sconsigliabile scendere durante forti temporali. Non si avvertono correnti d’aria.

Abisso Capodafrica

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km) si lascia sulla destra la strada che sale verso il Monte Semprevisa e si prosegue per la strada bianca che attraversa il piano. Dopo 1,2 km, alla fine del rettilineo, si lascia la macchina alla prima curva. La dolina di ingresso si apre a meno di 50 m sulla sinistra della strada.

Descrizione La grotta si apre all’interno di una dolina ampia 20 m e profonda 4 m. L’ingresso principale è un cunicolo che si apre nel punto piĂš basso della depressione, quasi al centro, e ha una sezione d’imbocco di forma triangolare, alta 60 cm e larga altrettanto. Dopo 3-4 m orizzontali, il cunicolo scende, fangoso e scomodo, nell’interstrato orientato N60-70°W e inclinato di 35-40° verso NNE, e dopo una quindicina di metri termina (punto 2) su uno stretto salto, profondo 7 m (pozzetto “Mangia e Beviâ€?), diviso in due parti da un terrazzino situato 4 m sotto il ciglio del pozzo. Un secondo ingresso, piĂš vistoso, si apre sulla parete all’estremitĂ est della dolina, e con uno stretto cunicolo, attualmente ostruito dal detrito rimosso per consentire il passaggio nel condotto principale, porta sopra il salto di 7 m. Dalla base del P7 si percorrono 5 m di meandro fino ad un approfondimento. Questo inizia con un breve scivolo, largo 50 cm, che immette (punto 5) in un pozzo profondo 12 m, largo 1 m all’imbocco e che scampana fino a 2,5 m alla base. Il pozzo è impostato su una frattura E-W. Alla base del salto arriva, dall’estremitĂ ovest della frattura, un piccolo affluente. Dalla sala si scendono 4-5 m di meandro fino ad un salto dall’imbocco stretto, profondo 5 m (“l’Occhio di Paperaâ€?), che termina in una saletta ampia un paio di metri, dalla quale ci si affaccia (punto 9) su un profondo pozzo. Il pozzo, profondo 39 m, è impostato lungo la frattura quasi verticale diretta E-W. L’imbocco è una stretta fessura (50 cm). Scesi 3 m la fessura si amplia fino a 2,5 m ed è allungata di 7-8 m verso est. La verticale è spezzata da 3 terrazzini; dopo una ventina di metri si stringe fino ad 1 m di larghezza, per riallargarsi piĂš sotto e terminare in una saletta (punto 15) ampia 1,5 m. D’estate uno stillicidio non intenso batte il pozzo. Dalla base (punto 15) si passa una “portaâ€? (alta 1,6 m e larga 60 cm) e si interseca una frattura

Stato dell’ambiente La definitiva forzatura del pertugio sul fondo della dolina, nel 1994, ha dato l’avvio alle esplorazioni del sistema profondo. In questi ultimi anni, anche a causa degli angusti passaggi, l’abisso è stato comunque scarsamente frequentato, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. La grotta non presenta significative modificazioni, se non quelle rappresentate dalle disostruzioni dei frequenti passaggi stretti e dai segni di percorrenza degli speleologi.

Note tecniche DALL’INGRESSO ALLA “FESSURA�: P4+3 (corda 15 m), P12 (corda 20 m), P5 (corda 15 m), P39 (corda 60 m) alla cui base (-66) inizia la “Fessura�.

LA “FESSURA�: P4 (corda 10 m), P5 (corda 15 m), strettoie, P3 (corda 5 m). TRATTO CONCLUSIVO: P13 (corda 20 m), P42 (corda 60 m), laghetto “finale� (-152).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel giugno1972 da F. Cappucci e Alberta Felici (SCR) per una decina di metri, fino ad un’ostruzione.

Storia delle esplorazioni La grotta è nota da sempre. Si racconta che “I nomi della grotta sono in relazione a due incidenti mortali. Verso il 1820 vi fu precipitato dai briganti un venditore ambulante (lo “stracciaroâ€?) e si racconta che le fettucce e i fili colorati fossero riaffiorati dopo forti piogge, al Formale. Verso la fine dell’800 vi precipitò invece un sordomuto che era andato a prendere legna presso l’ingresso.â€? (FELICI, 1978a). Venne esplorata nel 1946 da A.G. Segre fino alla strettoia di -26. Il fondo è stato raggiunto il 1 maggio 1954 dal CSR. Il 4 marzo 1979 il GS CAI Roma (G. Crassan e M. Ricci) ha esplorato il breve meandro sopra il P13.

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Bibliografia CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954b; DOLCI, 1967; Felici, 1978a; MANISCALCO, 1963; RICCI, 1979; SEVERA, 1961.

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Le esplorazioni sono state riprese dall’ ASR’86; fra il 28 gennaio e il 20 febbraio 1994, ad opera di D. Candela, A. Continenza, Annarita De Angelis, T. Dobosz, F. Donati, C. D’Ottavi, R. Hallgass, Antonella Santini, M. Angilieri, con S. Soro (SCR) e A. Gatti (GS CAI Roma); dopo la disostruzione di un cunicolo sono stati discesi vari pozzi, raggiungendo a - 66 una stretta fessura che ha fermato le esplorazioni per qualche mese. Il 5 giugno 1994 l’ASR’86 ha superato la strettoia e percorso la grotta fino al punto 24. Nell’agosto dello stesso anno è stato raggiunto il fondo da ASR’86 (Soro, Santini, Hallgass) e SCR (M. Barbati, M. Mecchia). Successivamente Soro ha esplorato la condotta nella sala “del Fango”.

Bibliografia CAPPA E. ET ALII, 1997; CAPPA & FELICI, 2001; FELICI 1978a; HALLGASS, 1995; MECCHIA M., 1995a; NIZI 1984a.

Abisso Miguel Enriquez Dati catastali altri nomi: Ouso “E” a Vadu degliu Brigante; Ouso dello Sperone 838 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Passo del Brigante - quota: 1432 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°38’33”7 (13°05”42’1) - 41°34’00”7 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.361.160 - 4.603.520 dislivello: -228 m - sviluppo planimetrico: 435 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Itinerario

Ouso di Gaetano Dati catastali altri nomi: Pozzo dell’Acquicciola; Ouso di Bertoldo 377 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Acquicciola - quota: 935 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°40’00”0 (13°07”08’4) - 41°34’02”4 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.363.160 - 4.603.530 dislivello: -52 m - sviluppo planimetrico: 20 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km) si lascia sulla destra la strada che sale verso il Monte Semprevisa e si prosegue per la strada bianca che attraversa il piano per 1,7 km, fino alla Fontana dell’Acquicciola, dove si lascia la macchina. Si attraversa quindi il prato di felci antistante, in direzione sud (195°), fino al margine opposto. La cavità 186 si apre, circondata da filo spinato, al limite tra i dossi e il prato di fondovalle, a circa 100 m dalla fontana (meno di 5 minuti di cammino).

Descrizione Il pozzo ha un ingresso tondeggiante del diametro di circa 2 m e una verticale di discesa profonda 50 m. Scende verticalmente con sezione larga un paio di metri; a 5 m dal fondo un piccolo terrazzino inclinato interrompe la calata. Alla base parte una breve galleria in discesa, con il fondo detritico, che dopo una brusca curva termina in una stretta fessura (-52).

Stato dell’ambiente Il pozzo, come testimonia il nome stesso riferito a un personaggio vissuto attorno al 1800, è noto da lungo tempo. L’esplorazione speleologica è stata compiuta nel 1957; non presentando particolari elementi di attrazione, la grotta è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Non sono segnalate alterazioni dell’ambiente nè rifiuti al fondo del pozzo.

Note tecniche Pozzo profondo 50 m.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre. Si racconta che “Gaetano era il vetturale di un signore di Carpineto verso la fine della prima metà del 1800, gettato nel pozzo dai briganti. Bertoldo era un pastore che teneva il bestiame a pascolare presso il pozzo nel periodo 1920-30” (FELICI, 1978a). Venne esplorata il 19 maggio 1957 dal CSR (M. Franchetti, G. Lepri, G. Pasquini, A. Todeschini). Nel 1992 S. Re (SCR) ha superato una strettoia presso il fondo raggiungendo una saletta.

Bibliografia CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958c; DOLCI, 1968a; Felici, 1978a; MANISCALCO, 1963; MECCHIA G., 1993b; SEVERA, 1961.

Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km) sulla destra parte una strada prima asfaltata e poi bianca che, dopo la prima salita, prosegue con minore pendenza costeggiando il versante del Monte Semprevisa. Dopo circa 5,5 km (circa 1 km prima della fine della strada), in corrispondenza di una piccola cava, si lascia la macchina. Si inizia a salire il ripido versante e poco sopra si intercetta un sentiero che porta in cresta. Raggiunta la cresta si prosegue verso la vetta del Monte Semprevisa fino al Passo del Brigante, riconoscibile per un caratteristico picco. L’abisso si apre nella faggeta, a 130 m di distanza in direzione 75° dal passo, 50 m più in basso. Nell’area circostante, entro un raggio di 30, m si aprono i sei pozzi del “Complesso di Passo dei Briganti” (30 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è un pozzo profondo 22 m, con una sezione di imbocco di piccole dimensioni (circa 50 cm di diametro). La prima parte della grotta (fino a -90) è impostata su una frattura diretta N-S/NNESSW, che dà luogo ad una successione di pozzi a fessura, più o meno ampliati a forme fusoidi (22, 17, 9, 21 e 21 m), con la caratteristica presenza di pozzi paralleli che riconducono negli stessi ambienti. Il P22 è stretto nella prima parte e ha andamento “a chiocciola”. Alla base (punto 5) uno stretto condotto, allargato artificialmente, lungo un paio di metri, immette su un terrazzino che si affaccia nel secondo pozzo. Il P17 è stretto e allungato lungo la frattura N-S. Alla base del successivo P9 si collegano più fusi; un foro di piccole dimensioni (punto 13) apre il successivo pozzo di 21 m, caratterizzato da stillicidio anche in estate. Dalla base del pozzo si può accedere a diversi fusi: a) un fuso alto 27 m risale fino a poco sopra la base del P9; b) due fusi formano pozzi paralleli discendenti, profondi rispettivamente 9 e 13 m, non comunicanti; il P9 è chiuso da un pavimento detritico, il P13 alla base prosegue con uno stretto meandro che diviene in breve impraticabile; c) un paio di “oblò” permettono l’accesso alla base di altrettanti fusi, nel secondo dei quali, di piccole dimensioni, un piccolo foro a 3 m di altezza ha consentito, dopo opera di disostruzione, di entrare in un’altra serie di fusi, allineati nelle direzioni ESEWNW ed ENE-WSW, che caratterizzano anche tutto il resto della grotta (meandro). Questi fusi formano un pozzo di 21 m con un grande terrazzo a metà. Dalla base del P21 (punto 23) si scendono due pozzi in successione, profondi rispettivamente 11 e 6 m, fino ad una saletta con arrivo d’acqua da sinistra. Da qui (punto 26) al fondo (punto 141) si percorre un meandro lungo circa 350 m, dalla morfologia tipica: spesso stretto, con pareti fangose, alto generalmente 5-7 m, intervallato da numerosi salti profondi 4-6 m, percorso da un torrentello di portata molto variabile in dipendenza delle piogge, con poche affluenze. Nella parte iniziale due strettoie, originariamente impraticabili, limitano il passaggio. Oltrepassate le strettoie, due piccoli fori permettono di entrare alla base (punto 40) di un fuso alto a perdita d’occhio. Il meandro prosegue con allargamenti e restringimenti, piuttosto monotono, fino alla frana terminale (punto 141). Nel tratto iniziale si scendono numerosi salti (6, 5, 4, 7 e 6 m). Alla base dell’ultimo la via si biforca: salendo a sinistra si prosegue per la via più comoda, mentre dritto si segue la via dell’acqua (non rilevata), un po’ più stretta. Sul ramo sinistro (punto 69) si scende un P10 e si entra alla base di un fuso che sale per almeno una ventina di metri. Poco più avanti, in mezzo al meandro (qui largo fino a 3 m) è poggiato un masso di piroclastite nera dalla forma caratteristica (“vaso nero”). Proseguendo si scende uno scivolo di 7 m alla cui base si ricollega la diramazione attiva. Da qui al fondo (ultimi 200 m di sviluppo planimetrico) sono stati attrezzati con corda 6 salti (6, 4, 4, 4, 7 e 4 m). In corrispondenza del terzo salto di 4 m confluisce un modesto affluente di destra. La grotta è impercorribile oltre una frana a quota -228 (punto 141). La frana terminale è posta a circa 30 m dall’esterno, proprio in corrispondenza della strada. Sia all’imbocco che in tutta la grotta è presente una forte corrente d’aria. D’estate la corrente è diretta verso il fondo, d’inverno verso l’alto. Per quanto riguarda il regime idrico, nel periodo secco il meandro è praticamente asciutto, mentre nel resto dell’anno è percorso da un torrente con portata variabile in dipendenza delle piogge.


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Un ouso (pozzo nel dialetto locale) nella faggeta: una combinazione molto comune nei Monti Lepini (foto A.

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Stato dell’ambiente

Itinerario

La grotta, esplorata a partire dal 1971, è stata scarsamente frequentata in particolare fino al 1991, quando è stata aperta la prosecuzione con azioni di disostruzione. Il numero complessivo di visitatori rimane comunque non superiore a 200 e molto piĂš ridotto nella zona profonda caratterizzata da angusti meandri. A parte l’allargamento di alcuni condotti e le poco evidenti tracce del passaggio degli speleologi non sono segnalate alterazioni ambientali.

Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km), sulla destra parte una strada prima asfaltata e poi bianca che, dopo la prima salita, prosegue con minore pendenza costeggiando il versante del Monte Semprevisa. Si supera il tornante di quota 1067 e si prosegue per 1 km fino ad oltrepassare una fessura sulla destra con evidenti segni di disostruzione; 50 m piĂš avanti, dopo una curva, si lascia la macchina (quota 1140 m). Si entra quindi nel bosco risalendo un breve pendio erboso; si prosegue salendo dritti fino ad un grande tasso con il tronco doppio, quindi si devia verso destra salendo in diagonale ed entrando in breve in un canalone. La grotta si apre a 220 m di distanza in direzione 225°e 80 m di dislivello da dove si lascia la macchina, sulla sinistra orografica del canalone; l’ingresso è poco visibile (15 minuti di cammino).

Note tecniche DALL’INGRESSO, IL TRATTO VER TICALE:

188

P22 d’ingresso+strettoia+P17, P9+P21, oblò, Risalita 3, oblò, P21, P11, P6 (-121).

IL MEANDRO, FINO AL FONDO: Strettoie, P6, P5, P4, P7, P6, P10, P7, P6, P4, P4+4 (“Lastra Verticale�), P7, P4, frana terminale (-228).

Storia delle esplorazioni

Monti Lepini centrali: la piana di Camporosello vista dal M. Semprevisa (foto A. Cerquetti)

Esplorata nell’autunno 1971 dallo SCR (A. Antonelli, R. Campagna, D. Lunghini), fino al vecchio fondo di –70. Nel febbraio 1975 l’ASR trovò e discese un pozzetto che conduce a -88. Successivamente, a partire dal febbraio 1991, lo SCR (G. Sterbini, Anna Pedicone Cioffi, M. Mecchia, S. Re, G. Paris, Marina Nuzzi, E. D’Alessandro, L. Ciocca, G. Ceccarelli, M. Barbati, M. Monteleone, Andrea Felici, P. Turrini, G. Barabino, Dalma Pereszlenyi, G. Polletti), dopo una lunga serie di disostruzioni durate fino al gennaio 1992 ha superato il vecchio fondo ed esplorato la grotta fino al fondo attuale (-228).

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1975a; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1975b; BARBATI, 1993; CAPPA E. ET ALII, 1997d; CAPPA G., 1991; MECCHIA M, 1993; NIZI, 1984a; PARIS, 1993; STERBINI, 1993b.

Pozzo della Faina Dati catastali 1172 La - comune: Carpineto Romano (RM) - localitĂ : Cesa Schiumetta - quota: 1220 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°39’34â€?0 (13°06â€?42’4) - 41°33’42â€?4 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.362.530 - 4.602.930 dislivello: - 52 m - sviluppo planimetrico: 36 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggetaâ€?; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centraliâ€? Monti Lepini centrali: il versante del Monte Ardicara visto da Camporosello (foto G. Mecchia)

Descrizione (di Andrea Giura Longo) L’andamento della grotta è condizionato interamente da due fratture ortogonali; la prima parte segue la direzione NW-SE, la seconda .NE-SW. L’imbocco è una spaccatura di 2,5x1 m con un masso incastrato da un lato, che immette in un pozzo di 7 m. Il fondo del pozzo è una saletta larga circa 4 m, occupata da grandi blocchi, sotto i quali si aprono dei piccoli ambienti ciechi. Su un lato, una bassa strettoia costituisce la partenza del successivo pozzo, profondo 9 m, che inizia con un breve scivolo terroso (punto 2) e termina in una sala lunga circa 10 m, nella quale si nota un evidente ripiano inclinato alto 1,5 m. Attraversata la sala, si risale un gradone e si prosegue in un basso cunicolo che si apre dietro un grande masso e che presenta evidenti segni di disostruzioni. Dopo un paio di metri si esce in un piccolo ambiente (punto 3) da cui parte, con una strettoia, un pozzo di 20 m; in questo punto la grotta cambia nettamente direzione seguendo una frattura NE-SW. Dopo circa 2 m di strettoia verticale, il pozzo si allarga fino a 5 m, ed è interrotto a metĂ da una cengia inclinata. Alla base, costituita da uno scivolo detritico, una fessura verticale immette (punto 4) in un altro pozzo di 9 m che termina in una saletta circolare con un piccolo arrivo d’acqua. Uno stretto meandrino ed un pozzo di 7 m conducono al fondo della grotta (punto 6, -52). Qui un rivolo d’acqua, che ha scavato un solco nel pavimento, sparisce in una fessura orizzontale lunga un paio di metri e larga non piĂš di 15 cm.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1991, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Ad eccezione dell’allargamento artificiale del cunicolo successivo al P9 non si rilevano alterazioni dello stato dell’ambiente.

Note tecniche P7 d’ingresso+P9, P20+P9, P7, fessura “terminale� (-52).

Storia delle esplorazioni Esplorata fra marzo 1991 e aprile 1996 dal GS CAI Roma.

Bibliografia GIURA LONGO, 1996; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1995a; MECCHIA G., 1996.


Abisso Consolini Dati catastali altro nome: Ouso Cerasolo 310 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Cerasolo - quota: 1360 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°39’40” (13°06”48’4) - 41°33’27” carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.362.700 - 4.602.450 dislivello: -555 m - sviluppo planimetrico: 1405 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggeta”; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centrali”

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km), sulla destra parte una strada prima asfaltata e poi bianca che, dopo la prima salita, prosegue con minore pendenza costeggiando il versante del Monte Semprevisa. Dopo 3,4 km, appena superato un tornante, si lascia la macchina in uno slargo (piccola cava). Sulla destra dello slargo parte un sentiero in ripida salita nel bosco, che raggiunge la cresta. Si prosegue lungo il sentiero in cresta (verso SW) fino a raggiungere un ampio pianoro (Pian dell’Erdigheta) uscendo dal bosco. Si attraversa il piano e si imbocca l’ultima valletta sulla destra, prima della sella; la si risale fino ad arrivare all’ingresso, a imbuto, posto al limite del bosco (40 minuti di cammino).

Descrizione DALL’INGRESSO ALLA BASE DEL P133 (-220) Il grande pozzo d’ingresso, profondo 91 m, ha un imbocco ad imbuto con diametro esterno di 5 m. Scendendo nel ripido imbuto la sezione progressivamente si stringe. Sceso un dislivello di 5 m (punto 2) l’imbuto termina e si apre uno spettacolare fuso profondo 86 m. In occasione di una tromba d’aria all’inizio degli anni ’90, due grandi faggi sono caduti nell’imbuto, incastrandosi fra le pareti; attualmente per entrare nel pozzo è necessario passare nel restringimento formato da tronchi e radici, con il pericolo di caduta di sassi nel primo pozzo e sul consecutivo P133, dove occasionalmente possono proseguire la caduta. La calata avviene al centro del pozzo, sempre lontano dalle pareti. Il pozzo ha sezioni per lo più quasi circolari con diametro che aumenta progressivamente verso il fondo; numerose coste rocciose e rientranze sembrano indicare che nel pozzo siano stati inglobati diversi piccoli fusoidi. Si atterra sul piano detritico orizzontale alla base, di forma circolare di 10-11 m di diametro. Da qui è evidente la grande “finestra” (alta circa 25 m, larga 2 m alla base, con le pareti che si allargano a “V” verso l’alto), situata 3 m sopra la base del P91 e comunicante con il pozzo successivo. Con l’aiuto di una corda si raggiunge la soglia di cataclasite (punto 11) che costituisce la base della “finestra”, affacciandosi su un grande pozzo profondo 133 m e su un ambiente a forma di cupola alla base del quale si aprono altri 3 pozzi, paralleli al P133. Qui la giacitura degli strati è di N30-40°W con inclinazione di 30° verso NE e si osservano bene gli elementi strutturali sui quali è impostata la serie iniziale di pozzi, situati all’intersezione fra due faglie, una orientata N40°W con inclinazione di 80° verso SE e l’altra verticale con direzione N-S (BEFANI, 1963). Per proseguire la discesa verso il fondo della grotta sono state utilizzate diverse “vie”: direttamente lungo il P133; lungo il P133 fino alla “cengia Monaci”, situata 81 m sotto la soglia; da qui si supera una strettoia allargata artificialmente e, con una serie di pozzi larghi intervallati da meandri stretti e brevi, si raggiunge la galleria alla sommità della risalita di 12 m descritta nel punto successivo. dalla soglia rocciosa (punto 11) si traversa orizzontalmente verso sinistra per 4 m (corda) tenendosi accostati alla parete, raggiungendo una cresta affilata, oltre la quale si apre un pozzo profondo 25 m (pozzo “dell’Occhialone”), parallelo al P133. Il P25 è interrotto da una cengia franosa 10 m sotto la partenza, più sotto stringe in una fessura larga 80 cm, e la base è un ultimo terrazzino che si affaccia sull’ampio P133, allungato nella direzione della frattura orientata circa N85°E. Dal terrazzino la via di discesa raggiunge verticalmente il fondo del pozzo. Il salone (punto 18) situato alla base del P133 è lungo 36 m e largo 13 m, con asse maggiore impostato lungo la faglia N-S. Il pavimento è ingombro di detriti e massi. Gli altri pozzi paralleli al P133 sono situati ad est della cresta affilata che separa il P133 dal pozzo “dell’Occhialone”, alla base di un grande salone (22x25 m, alto circa 35 m) con il pavimento molto accidentato, costituito da detrito dal quale emergono grandi blocchi calcarei di crollo. Accostati alla parete est del salone si trovano il pozzo “delle Cengie” e il pozzo “dei Triestini”. Il pozzo “delle Cengie”, complessivamente profondo 33 m, ha un’imboccatura rettangolare ampia 4x2 m che immette in una verticale di 12 m che termina su un terrazzo, al quale segue uno scivolo in roccia lungo 7 m fino

ad un secondo terrazzo; da questo, con un salto verticale di 12 m, si giunge ad una “finestra” alta 20 m e larga 10 m che comunica con il pozzo “dei Triestini”. Quest’ultimo è un pozzo profondo un’ottantina di metri fino ad un terrazzo, dal cui fondo di detrito e massi partono due pozzetti paralleli più stretti, uno profondo 12 m e l’altro (con una successione di saltini) profondo 25 m (BEFANI, 1963).

DALLA BASE DEL P133 (-220) AL MEANDRO DI -350 Dalla base del P133 (punto 18), in cui scorre un rivolo d’acqua, si scendono alcuni gradoni e accumuli detritici, si traversa sulla sinistra (corda fissa) un pozzo cieco (non rilevato), poi si risale per alcuni metri una frana (punto 24). Da qui, scendendo, si arriva alla fastidiosa strettoia (strettoia “Pineschi”) che, dopo essere stata allargata, per alcuni anni è stata l’unica strada verso il fondo; in alto (punto 24), invece, una risalita di 12 m permette di evitare la strettoia ricongiungendosi poi alla “via vecchia” in prossimità della partenza del P17. Sopra la risalita si percorrono alcuni metri su blocchi di crollo (la frattura principale è la stessa del P133, N85°E), oltre i quali si scende un pozzetto di 8 m che arriva in una sala asciutta di 5x4 m. Si segue poi un breve (5 m) meandro stretto, poi si scende un saltino di 2 m che immette in un’altra saletta asciutta di 5x3 m, alta 3 m. Poco oltre c’è la partenza del P17; alla base confluisce il cunicolo della “vecchia via” della strettoia. Segue un pozzetto di 9 m, poi si percorrono 10 m di meandro, ancora in ambienti asciutti, con roccia molto chiara e compatta, che sfonda direttamente sul P53, pozzo molto ampio impostato su una frattura orientata N-S. Circa 35 m più in basso dell’attacco, in prossimità di un restringimento, c’è un’ampia cengia orizzontale battuta da stillicidio, che poi bagna l’ultimo tratto del pozzo. La cengia si trova sulla parete opposta a quella di calata, ma è facilmente raggiungibile con una breve pendolata. Qui si possono osservare resti di scheletri di pipistrelli molto ben conservati. Dalla base del P53 si percorrono 10 m di galleria fossile e ci si trova alla sommità di un altro grande ambiente verticale: il pozzo “Uffa”, di 15+30 m, spezzato da una comoda cengia. La seconda parte del pozzo non va scesa fino al fondo: 6 m prima della base è necessario spostarsi con un lungo pendolo verso la parete opposta, dove si può fissare la corda ad uno spit, 10 m sopra la base del pozzo. Da qui si salgono ancora alcuni metri su una corda fissa (R6) e si raggiunge una finestra. Segue subito un meandro fossile di 10 m (direzione 85°), poi si scende un altro pozzo di 10 m spezzato da un gradone. Oltre è necessario superare con un traverso a pendolo un pozzetto cieco e proseguire nel meandro, prima per alcuni metri in alto dove è più largo, poi si scende sul fondo tra sfasciume di roccia in ambiente fossile. Circa 15 m più avanti, subito dopo una saletta (-350, punto 66) con un modesto apporto idrico 189 dall’alto, inizia il lungo meandro che conduce al fondo dell’abisso. IL MEANDRO DA -350 AL FONDO I primi 80 m (meandro “Tuca-Tuca”) sono completamente fossili e con depositi terrosi. E’ il tratto più stretto della grotta, ma non ci sono passaggi particolarmente impegnativi. La roccia appare abbastanza levigata da antichi scorrimenti d’acqua, con le tipiche “mensolette” di erosione selettiva. Terminato questo tratto le pareti si distanziano; qui è attrezzata una calata su corda, che con una quindicina di metri di verticale conduce alla saletta utilizzata come campo base durante le esplorazioni, mentre scendendo solo pochi metri (P4) e proseguendo nel meandro, ora largo, si incontra una decina di metri più avanti un ripido scivolo franoso di una decina di metri, da attrezzare con corda. Da qui (punto 90) inizia un tratto di meandro fossile e sinuoso lungo circa 150 m; non è stretto, ma spesso è necessario avanzare in contrasto a mezza altezza tra le pareti lisce, cosa che può renderlo un po’ faticoso trasportando sacchi. Questo tratto di meandro, come anche tutti gli altri della grotta, non è molto alto; è quasi sempre possibile raggiungere, almeno visivamente, sia il fondo che il soffitto, per un’altezza complessiva di non più di 10-15 m. Si giunge quindi in una saletta con il soffitto alto pochi metri. Poi, dopo altri 15 m di meandro da percorrere sul fondo, si scende un pozzetto del quale non va raggiunta la base, ma pendolando si prosegue nel meandro al di là del pozzetto. Da qui si percorrono sul fondo altri 50 m di meandro terroso. Nella seconda parte di questo meandro i soffitti sono evidentemente costituiti da strati calcarei inclinati. Alla fine, superato un passaggio stretto, si scendono 3 m in arrampicata. Si prosegue percorrendo il fondo del meandro, senza scorrimento d’acqua ma con alcune pozze; anche qui è largo 50-100 cm, ed il soffitto alto 2-3 m. Dopo alcune decine di metri si scende ancora un saltino di 3 m (arrampicabile) fino ad una saletta di 4x3 m, dove è visibile un segno X di nerofumo; da qui (punto 138) inizia un tratto di meandro dove sono state trovate parti dello scheletro di un mustelide (“Meandro della Faina”). Superato un passaggio stretto si percorre una galleria lunga 6 m con un piccolo meandro affluente in alto a sinistra. Dopo altri 50 m di meandro comodo, da percorrere sul fondo, si giunge alla sala “Silverstone” (-420). Anche qui c’è un piccolo affluente che scende dall’alto, troppo stretto per essere esplorato. Sulla sinistra della sala alla base di un pendio detritico c’è un laghetto di 3x3 m, che è la base di un fuso che prosegue in alto. Invece si prosegue oltre la sala scendendo un P7, e presso una saletta si ritrova il corso d’acqua. Subito dopo si scende un P11 (pozzo “della Retroversione”); il pozzo forma un’ampia e bella sala con ulteriore apporto idrico dall’alto e accumulo di latte di monte liquido sul fondo. Si prosegue nel meandro cambiando nettamente direzione. Anche questo meandro,


largo 80-120 cm, presenta accumuli di latte di monte sul fondo. Poche decine di metri piĂš avanti della sala si scende un pozzetto di 4 m con partenza stretta e scomoda; alla base c’è una saletta e subito dopo un P18. Si continua a seguire il torrentello che si getta in un salto di 8 m con pozza sul fondo, in una sala ampia 7x8 m. Sopra, un fuso prosegue verso l’alto. Prosegue quindi il meandro, largo mediamente piĂš di 1 m, con pozze d’acqua, che può essere percorso a diverse altezze, ma risulta piĂš comodo 3-4 m sopra il fondo, per non essere costretti a fastidiosi saliscendi in corrispondenza dei restringimenti. Si giunge ad un saltino di 2 m da attrezzare con corda, proprio sopra un laghetto che obbliga a qualche gioco di equilibrio per evitare di bagnarsi. Oltre il laghetto, un pavimento di roccia liscia e compatta costituisce la sala “della Spiaggettaâ€? (8x4 m, alta 8 m; punto 202); sulla parete è segnata in nerofumo la data 11.3.90, giorno dell’esplorazione. Il meandro continua per una trentina di metri fino ad un saltino di 3 m con pozza alla base; poi si percorrono ancora alcune decine di metri di meandro abbastanza comodo, con i soffitti alti circa 8 m; alla fine, sulla roccia è segnata una freccia che indica che è necessario scendere. Segue quindi un salto di 7 m che immette in una sala rotonda di 7 m di diametro. Poi ancora alcune decine di metri di meandro tutto percorribile sul fondo, e al termine due saltini consecutivi di 7 e 8 m circa conducono alla saletta “Nano Ghiacciatoâ€?. Ricomincia quindi il meandro; si traversa in equilibrio una pozza d’acqua e poco dopo si passa alla base di un fuso con apporto idrico dal soffitto. Poi si avanza per altri 40 m in un meandro comodo che termina con due saltini (profondi circa 3 e 6 m). Alla base dell’ultimo pozzetto inizia una zona particolare della grotta: si tratta di una diaclasi obliqua, stretta e liscia. Si percorre ora un tratto lungo 30 m chiamato “Faglia Obliquaâ€? (diretta verso 315° con un’immersione di 75° verso SW). Oltre questo tratto si percorrono circa 30 m di meandro stretto fino alla “Confluenzaâ€?. Qui si intercetta una galleria percorsa da un torrentello. La galleria può essere risalita verso sinistra oppure può essere discesa verso destra, dirigendosi verso il fondo. Per inoltrarsi nel ramo a monte è necessario arrampicare per 3-4 m verso un buco in alto, entrando in grandi ambienti di crollo. Da qui si percorre una galleria suborizzontale quasi rettilinea (galleria “della Catturaâ€?), lunga 60 m, che termina alla base di una risalita non esplorata. Sulla sinistra si scende fino ad un passaggio basso, oltre il quale è stato risalito un pozzo di 14 m. Dalla sommità è stata esplorata una galleria lunga una sessantina di metri, fino alla base di una nuova risalita (-517). Dalla confluenza, seguendo invece l’acqua verso il basso si percorrono una trentina di metri di comodo meandro, poi si scende un salto di 4 m con pendolo sul laghetto alla base. Un’altra pozza, 20 190 m piĂš avanti, si supera con un traverso. Da qui gli ultimi 30 m di galleria, alta 4-5 m, conducono alla sala del fondo, con il lago-sifone lungo 15 m e largo 5 (-555). Altrettanto ampie sono le dimensioni della parte di sala asciutta antistante il lago. Sul soffitto della sala, a circa 10 m d’altezza, si nota un foro che dĂ accesso ad ambienti ancora inesplorati.

Stato dell’ambiente La grande dolina d’ingresso al maestoso pozzo deve essere stata nota ai pastori da lungo tempo. Le prime discese furono realizzate dagli speleologi nel 1960 fino alla profonditĂ di 240 m. A partire dagli anni ’80 la disostruzione di un cunicolo ha portato alla scoperta dell’esteso e profondo sistema sotterraneo. La grotta è stata molto frequentata, con un numero complessivo di visite riferito alla parte iniziale stimabile in oltre un migliaio. Le zone profonde hanno visto, ovviamente, un numero 337

molto ridotto di passaggi. A parte i resti di animali che occasionalmente cadono nel pozzo di ingresso o di pochi altri oggetti che hanno raggiunto la base del grande pozzo, il sistema è caratterizzato da condizioni ambientali buone, con qualche localizzata concentrazione di tracce del passaggio degli speleologi.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL FONDO DEGLI ANNI ’60 (-230): P91 d’ingresso, Risalita 3, P133 (sceso per la via “c�: traverso sopra il pozzo, P25 “dell’Occhialone�, P108) (-220).

DA -230 ALL’INIZIO DEL MEANDRO ( -350): Traverso 4 m su pozzo cieco, Risalita 12, P8, P2, P17, P4, P6, P53, P6, P15+30 (pozzo “Uffaâ€?, a 6 m dal fondo si pendola, poi Risalita 6 fino a finestra) P10, traverso su pozzetto con pendolo, saletta punto 66 (-350) IL MEANDRO: P15 (si scendono solo alcuni metri, poi si lascia la corda per percorrere il meandro dove questo si fa piĂš largo), Scivolo 10, P7 con pendolata, 2 saltini di 3 m arrampicabili, sala “Silverstone (-420). DA -420 ALLA SALA “DELLA SPIAGGETTA ( -480) P11 “della Retroversioneâ€?, P4, P18, P8, P2 con laghetto alla base, sala “della Spiaggettaâ€? (punto 202, -480) DALLA SALA “DELLA SPIAGGETTAâ€?AL FONDO P3, P7, P7+P8, P3, P6, la “Diaclasi Obliquaâ€?, la “Confluenzaâ€? (verso valle per il fondo) (-545) P4 con pendolo su laghetto, traverso su pozza, lago-sifone (-555)

Storia delle esplorazioni Esplorata per i primi metri di profonditĂ nel 1960 dal GGR, che vi era giunto su segnalazione di un pastore. Alcune settimane dopo C. Bellecci scese per 50 m il primo pozzo, e successivamente Bellecci e S. Conte scesero di nuovo il primo pozzo affacciandosi dal finestrone. Gli esploratori dedicarono la grotta a Franco Consolini, speleologo del GGR morto in un incidente con il paracadute. Il 7-8 gennaio 1961 il GGR insieme con lo SCR tornava all’abisso. G. Pasquini, A. Angelucci e L. Valerio raggiunsero la base del primo pozzo, deposero una lapide in memoria di Franco Consolini ed a commemorazione dell’unione tra i due gruppi; (GGR ed SCR) e ispezionarono quindi la prosecuzione: due pozzi, il piĂš profondo dei quali venne valutato 60 m. Per tutto il 1961 continuarono le esplorazioni ad opera delle SCR. Fra I’1 e il 4 aprile l’esplorazione viene proseguita da G. Stampacchia, M. Monaci, Alberta Felici e L. Valerio. Monaci discende per circa 80 m il pozzo fino alla cengia che prenderĂ il suo nome. Il 23-25 aprile scendono G. Stampacchia, G. Pasquini, P. Guj, U. Intini e F. Cavanna. Stampacchia e Guj toccano il fondo del secondo pozzo. Fra il 21 e il 31 agosto viene organizzato un campo estivo a cui partecipano anche Biardi e Turco della SocietĂ Adriatica di Scienze Naturali (Trieste), e Fernandez e Ugarte di Bilbao. Il 24 viene raggiunto il fondo da G. Stampacchia e R. Trigila con Pasquini e Biardi in sicura alla Cengia Monaci. Il 27 viene sceso da Bellecci e Turco il “Pozzo dell’Occhialoneâ€?. Il 28 vengono scesi il “Pozzo delle ..%

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Cengie� (da Trigila) e il “Pozzo dei Triestini� (da Turco, Biardi, Trigila e Ugarte). Si trovano anche altre due prosecuzioni: un pozzo da 12 m (Turco) e un ramo a prevalente sviluppo orizzontale intervallato da piccoli salti per un dislivello complessivo di 30 m. Nel 1982 una delle due strettoie terminali viene superata da S. Gozzano (SCR), che percorre un cunicolo per qualche metro. Il 12 ottobre 1986 L. Grassi (GGR Niphargus) scavando fra i detriti del fondo del primo pozzo trova un passaggio molto stretto che sembra proseguire. Con l’entrata del GGR Niphargus nel GS CAI Roma inizia un nuovo periodo di esplorazioni: vi partecipano M. Luisa Battiato, A. Campitelli, C. Cristofari, Sonia Galassi, A. Gatti, G. Giuffrida, A. Giura Longo, L. Grassi, F. Mingolla, M. Pappalardo, G. Pineschi, P. Pineschi e U. Randoli. Il 5 marzo 1989 viene superata la strettoia, e gli esploratori arrivano sopra il P60; Fra marzo 1989 e marzo 1990 continuano le esplorazioni nel nuovo meandro con l’apporto di M. Topani (SR) e L. Zannotti (ASR’86). Il 25-26 maggio 1991, insieme con Zannotti, S. Re e S. Feri (SCR) viene raggiunto il fondo. Successivamente vengono esplorati i nuovi rami a monte ed il Ramo della Cengia Monaci.

Bibliografia BEFANI, 1963; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954b; DOLCI, 1967; DONATI & ZANNOTTI, 1990; FELICI, 1978a; GIURA LONGO, 1995b; GIURA LONGO & PAPPALARDO, 1993; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1995a; MANISCALCO, 1963; MECCHIA G., 1993a; MECCHIA M. E MECCHIA G., 1983; RE, 1993b; SEVERA, 1961; SPELEO CLUB ROMA, 1961a; SPELEO CLUB ROMA, 1961b.


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Abisso Consolini: la dolina d’ingresso (foto M. Chiariotti)

Monti Lepini centrali: Pian dell’Erdigheta (foto G. Mecchia)

Ouso delle Donne Dati catastali Bibliografia

altri nomi: Ouso del Pizzoncino; Ouso a Sud-Est dell’Erdigheta 496 La (catastata anche come 808 La) - comune: Carpineto Romano (RM) - localitĂ : 300 m a SE della cima del Monte Erdigheta - quota: 1210 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°39’51â€?0 (13°06â€?59’4) - 41°33’04â€?8 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.362.910 - 4.601.760 192 dislivello: -61 m Area protetta di riferimento : ZPS IT6030040 “Monti Lepini centraliâ€?

AGNOLETTI & TROVATO, 1971; FELICI, 1978a; NIZI, 1984a; STERBINI, 1986.

Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km), sulla destra parte una strada prima asfaltata e poi bianca che, dopo la prima salita, prosegue con minore pendenza costeggiando il versante del Monte Semprevisa. Dopo 3,4 km, appena superato un tornante, si lascia la macchina in uno slargo (piccola cava). Alla destra dello slargo parte un sentiero in ripida salita nel bosco, che raggiunge la cresta. Si prosegue lungo il sentiero in cresta (verso SW) fino a raggiungere un ampio pianoro (Pian dell’Erdigheta) uscendo dal bosco. Dal piano si risale fino alla sella erbosa fra il Monte Pizzone e il Monte Erdigheta; quindi si scende in obliquo verso destra. Superato un canalino con ghiaione, a circa 5 m da un albero sempreverde e circa 50 m sopra il limitare di un bosco recintato si apre il pozzo, sotto una paretina di 2 m di altezza (40 minuti di cammino).

Dati catastali

Descrizione (di Gianluca Sterbini)

Da Carpineto Romano si prende la strada per Pian delle Faggeta. Raggiunto il piano (5,4 km), sulla destra parte una strada prima asfaltata e poi bianca che, dopo la prima salita, prosegue con minore pendenza costeggiando il versante del Monte Semprevisa. Dopo 3,4 km, appena superato un tornante, si lascia la macchina in uno slargo (piccola cava). Sulla destra dello slargo parte un sentiero in ripida salita nel bosco, che raggiunge la cresta. Si prosegue lungo il sentiero in cresta (verso SW) fino a raggiungere un ampio pianoro (Pian dell’Erdigheta) uscendo dal bosco. La grotta si apre in uno degli avvallamenti al centro del piano (30 minuti di cammino).

altro nome: Ouso di Prata delle Retigheta 483 La - comune: Carpineto Romano (RM) - localitĂ : Pian dell’Erdigheta - quota: 1190 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°40’01â€?0 (13°07â€?09’4) - 41°33’22â€?0 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.363.175 - 4.602.310 dislivello: circa -300 m - sviluppo planimetrico rilevato: 1010 m Aree protette di riferimento : SIC IT6030041 “Monte Semprevisa e Pian della Faggetaâ€?; ZPS IT6030040 “Monti Lepini centraliâ€?

Itinerario

L’imbocco ha il diametro di 1 m e dĂ accesso ad un pozzo a campana di 24 m che alla base (punto 2) è largo 4x3 m. Uno scivolo immette nel secondo pozzo, profondo 37 m, che costituisce un grande ambiente impostato su una frattura (orientata N10°E e inclinata verso W), largo 7 m e lungo piĂš di 10 m; il fondo (punto 4, -61) è coperto da detrito. Dal fondo una risalita di 8 m (punto 5) permette di accedere ad alcuni ambienti occlusi dal detrito, che si sviluppano sempre all’interno della frattura. Risalendo ancora 5 m si entra in un ambiente di 3x5 m (punto 8) sovrastato da un camino alto circa 10 m che comunica tramite una “finestraâ€? con il P37.

Descrizione IL RAMO “VECCHIO�, DALL’INGRESSO AL FONDO DI -53

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1974, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente interno risulta integro.

Note tecniche P24 d’ingresso+P37, sala del fondo (-61).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 27 ottobre 1974 dallo SCR (Daniela Pizzamiglio, Luisa Timpone, D. Lunghini, V. Battisti).

Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta: l’ingresso (foto C. Bonuccelli)

L’ingresso è un antro largo quasi 4 m e alto 3 m; un solco entra nella grotta, alimentandola solo in occasione degli eventi piovosi piĂš intensi. Sul pavimento sono accumulati grandi blocchi di strato crollati. Dall’antro scende una breve galleria impostata sullo strato inclinato di 20° verso 30°, sulle cui pareti emergono fossili di rudiste. La galleria, lunga 10 m, stringe progressivamente e termina su un pozzetto dall’imboccatura larga 1 m. Il salto, profondo 8 m, arrampicabile, porta in una saletta, in fondo alla quale sono possibili due prosecuzioni: a destra si apre un pozzo con l’imbocco largo 50 cm, profondo 35 m (punto B); a sinistra si scende in arrampicata un saltino largo 0,5 m e profondo 2 m, sotto il quale si apre un pozzo di una trentina di metri, poco visibile (attenzione!), proseguendo dritto, invece, ci si affaccia in


un ambiente più grande, si scende un altro saltino arrampicabile di 4 m, entrando in una sala. La sala, larga 3 m, ha un pavimento roccioso piatto; la volta è alta una decina di metri. Nella sala si nota, subito a destra appena sceso il saltino, una bassa “finestrella” in parete. Infilandosi nel foro si arriva, dopo 5 m, alla base di un fuso, risalibile per 5 m fino a raggiungere uno stretto cunicolo. Nella sala, sulla parete opposta al saltino, si trova una colata di concrezione fangosa bianca, alta 6 m fino ad una stretta fessura. Sempre nella sala, a sinistra, si nota una specie di “porta” squadrata, sotto la quale un grande blocco di roccia è appoggiato a terra e alla parete. Aggirando il blocco ci si trova sopra un pozzo profondo una trentina di metri; per scendere più comodamente, si percorre una breve fessura, larga 70 cm, fino ad affacciarsi alla sommità del pozzo, in un posto più largo. Scesi i primi 4 m si atterra su una sella (punto D) lunga un paio di metri e larga 1,2 m; da qui è possibile scendere due pozzi indipendenti, privi di collegamento al fondo: il pozzo di destra (ovest) e il pozzo di sinistra (est). Il pozzo di destra è profondo 25 m (dalla sommità, cioè da sopra il saltino di 4 m); è un bel pozzo formato da più arrivi d’acqua, con diametro medio di 3 m. Si atterra all’estremità di una galleria orizzontale, larga 2 m e lunga una quindicina di metri, con il pavimento completamente ricoperto da uno spesso accumulo di fango; la galleria, in realtà, è formata da tre fusi comunicanti alla base. A metà galleria la volta si abbassa fino a 2 m e si entra alla base del secondo fuso; qui si trova una breve diramazione a sinistra, lungo una frattura circa verticale orientata 170° (quasi perpendicolare alla galleria), che porta sotto un fuso che sale a perdita d’occhio. Tornati alla galleria, si osserva che il secondo fuso è molto alto (più di 20 m) con pareti rivestite di concrezione bianca, con un segno di fango 2 m sopra la base della galleria, che sembra indicare un antico livello massimo di risalita delle acque in questo ambiente. La galleria si chiude con un terzo fuso, più piccolo, sotto il quale (punto E) si nota l’acqua di stillicidio defluire fra parete e fango. Tutta la galleria (e i fusi) sono impostati su due sistemi di fratturazione: quello con piano ondulato circa verticale orientato N10-30°W lungo il quale si è impostata la diramazione anzidetta, e un sistema di fratture orientato N80°W e inclinato di 70° verso sud. Questo secondo sistema di fratture taglia in modo molto evidente l’estremità est della galleria (presso la corda) e ne forma la parete sud. Dalla sella (punto D) ci si affaccia anche nel grande pozzo di sinistra, da qui profondo 25 m (quindi, dall’attacco è un P29); verso l’alto il fuso sale per 7-8 m. Il pozzo ha andamento articolato, nella parte bassa assume una larghezza media di 5 m e alla base (punto F) misura 9x5 m. Il pavimento è detritico e pianeggiante; solo ai bordi si trovano accumuli di fango, appoggiati alle pareti. Una frattura orientata E-W e inclinata 70°S (appartenente allo stesso sistema del pozzo di destra) taglia la parte bassa del pozzo. Sul lato orientale della sala, lungo questa frattura, si sale su una piccola soglia (cataclasite?) e si scende in una saletta fangosa. Da qui, superato un passaggio stretto, si entra in un’altra sala originata all’intersezione con una frattura circa verticale orientata N20°W, lunga 8 m e larga 2, con molto fango e alti camini. Alla base della parete della sala parte una stretta fessura in discesa (arrampicabile), che scende per 8 m e porta al fondo di questo ramo (punto G, -53). Tornati alla base del pozzo di sinistra (punto F), un passaggio basso, che si apre su una frattura parallela dalla parte opposta della sala, porta alla base di un altro fuso, che risulta essere il P35 di cui si era visto l’imbocco precedentemente (punto B). Il ramo “vecchio” è generalmente asciutto o con stillicidio limitato.

I RAMI “NUOVI” (DI VALERIO OLIVETTI E MARCO TAVERNITI) FINO ALLA STRETTOIA “DEL CANISCIONE” Dalla base del 2° pozzo (P4) un passaggio stretto (punto C), a circa 2,5 m di altezza, porta in un meandro comodo che si percorre sul fondo e che porta alla base di una risalita di 7 m. Alla sommità, un cunicolo lungo 6 m (passaggio di “Trans Sirvana”), sottoposto a impegnativa disostruzione, ha permesso di accedere alle “zone nuove” della grotta. Uno stretto meandro porta, dopo 10 m, in una piccola sala con due modesti arrivi d’acqua da est ed alla partenza di un pozzo. Il P15, largo e comodo, presenta un fuso adiacente (a sud) e alla base intercetta un meandro con scorrimento d’acqua. Verso monte il meandro diventa presto impraticabile, mentre a valle, dopo qualche metro, intercetta un fuso parallelo (punto H) che scende fino al livello di scorrimento dell’acqua, ormai approfondito di una decina di metri. Proseguendo senza scendere, il meandro continua stretto e scomodo, percorribile a metà altezza, fino ad una saletta occupata da massi di crollo (punto I), da cui parte un bel pozzo di 40 m, interrotto da un terrazzo a circa metà discesa. Alla base del pozzo si incontra l’acqua lasciata in precedenza. Brevi tratti di meandro di scomoda percorribilità separano due salette; dalla prima, una facile arrampicata sul lato NW porta alla base di un pozzo ascendente e alla partenza di un meandro molto stretto (impercorribile) in direzione NNW; dalla seconda saletta è possibile scendere in basso, seguendo l’acqua in un pozzo di 8 m (punto J) fino ad intercettare con la Strettoia del Caniscione un nuovo meandro. Sopra il P8 è anche possibile, evitando di seguire l’acqua, proseguire in orizzontale in ambienti che sembrano rappresentare l’ovvia prosecuzione di quelli finora percorsi (ramo “Matrix”).

MEANDRO “SENZA TEMPO” La discesa del P8, con il superamento della strettoia verticale “del Caniscione”, permette di intercettare un nuovo condotto con scorrimento idrico indipendente, che si estende a monte per circa 30 m (punto Z) con morfologia di tipo freatico, a sezioni trasversali circolari. A valle un breve meandro con latte di monte sulle pareti conduce (punto L) al pozzo “dei Graffiti”, profondo 18 m, che mantiene alla sua sommità l’antico solco del meandro. Dalla base del pozzo con una risalita di 3 m si accede ad uno stretto e scomodo meandro che porta su un pozzo profondo 17 m. Alla sua base comincia un meandro tipico, che si sviluppa per 310 m rilevati (tratto L-Q) ed almeno 100 m ancora da topografare. Il meandro è percorribile a metà altezza dove presenta una maggiore larghezza, anche se spesso sono osservabili altri livelli, a volte percorribili ad altezze diverse, mentre il torrente (che scorre alla base delle strette fessure) non è mai raggiungibile, se non dove gli ambienti si allargano, in corrispondenza di piccoli pozzi profondi da 3 a 7 m (3, 7, 4, 4 3, 5, 7, 4 m). Per i primi 130 m (fino al punto N) il meandro segue la direzione ENE, poi curva bruscamente assumendo la direzione NW; proseguendo, la volta si abbassa, assumendo una sezione circolare, e pochi metri dopo la curva l’acqua scompare in un buco nel pavimento. Dopo una settantina di metri dalla brusca curva, in corrispondenza del P7, il meandro riprende la direzione ENE, si approfondisce e assume nuovamente la sezione caratteristica del tratto precedente, dotato della stessa orientazione. Dopo un percorso in leggera discesa lungo un’ottantina di metri, superando un P4, si raggiunge il limite attuale del rilievo strumentale (punto Q, -202). Fin qui il meandro è caratterizzato dall’assenza quasi completa di arrivi d’acqua anche in periodi di pioggia; sul fondo del meandro scorre solo un rivolo d’acqua. La progressione è abbastanza impegnativa, fra pareti che difficilmente si allargano oltre il metro, a meno di alcuni allargamenti che producono piccoli pozzi da attrezzare. Come detto, oltre il punto Q è stato esplorato un tratto lungo un centinaio di metri. Infatti, dopo aver sceso un ennesimo “allargamento”, è stato raggiunto un pozzo profondo 50 m. A partire da questo ambiente le dimensioni della grotta divengono più spaziose. Alla base del pozzo si intercetta una galleria piuttosto ampia. L’acqua scorre qualche metro più in basso, e la progressione si svolge sempre in ambienti asciutti. Si scendono altri tre salti di una decina di metri, fino ad arrivare ad una saletta, dove per ora l’unica via percorribile è quella dell’acqua. L’esplorazione è ferma su un pozzo di pochi metri, raggiunto in un periodo di scorrimento idrico notevole. La profondità raggiunta dovrebbe essere intorno ai 300 m. 193 RAMO “MATRIX” Dalla piccola sala si oltrepassa la sommità del P8 (punto J) che porta alla strettoia “del Caniscione” e dopo pochi metri si incontra un saltino di 4 m, alla base del quale si trova “il Lago”, profondo non più di 1 m. Qui il meandro si allarga, e dal soffitto, alto anche più di una decina di metri, piove uno stillicidio modesto ma perenne che diviene un cospicuo arrivo d’acqua nei periodi di forti piogge (è l’afflusso più consistente di tutta la grotta). Il lago viene superato con un traverso di 7-8 m attrezzato sulla parete di sinistra. Proseguendo oltre il lago si entra in un tratto di meandro (dal “Lago” al punto R) lungo circa 60 m in direzione NW, largo non più di 1 m, mentre la sua altezza varia fino a diversi metri. Lo si percorre all’inizio camminando sul fondo fangoso, attraversato da un debole scorrimento d’acqua. Dopo una trentina di metri (punto K) si prosegue avanzando nella parte superiore del meandro lasciando in basso lo stretto pavimento sul quale scorre un rivolo d’acqua. Poco più avanti si perviene ad una strettoia, allargata a mano, superabile in alto. Superato l’ostacolo, il meandro si allarga (punto R) e si incontra un breve saltino di 2-3 m che si scende in arrampicata. Si prosegue con qualche altro breve saliscendi fino ad un successivo saltino di 3-4 m attrezzato con corda. Da qui, dopo pochi metri ancora, si perviene al primo di tre pozzi che si aprono in rapida successione, profondi rispettivamente 8, 15 e 15 m. L’ultimo di questi pozzi porta alla sala “del Gomito”. Dalla sala la prosecuzione si raggiunge con una arrampicata fangosa di pochi metri con la quale si arriva al “passaggio dell’Occhio”, costituito da una stretta fessura (nella quale è conveniente passare di piedi) che taglia un’ansa del meandro, qui molto stretto. Ci si trova ora in un meandro comunque molto stretto ma percorribile, per 5 m, che poi si allarga e si approfondisce. Questo tratto (dal “passaggio dell’Occhio” al punto S), lungo circa un centinaio di metri, si percorre ad un’altezza di circa ¾ dal fondo, in un livello con sezione rotonda, spesso più larga che alta (stando praticamente sempre chinati, senza mai avere la possibilità di mettere il sacco in spalla), con il fondo intagliato dalla successiva erosione del torrente. Si arriva così (punto S) ad uno stretto e breve salto (7 m) attrezzato con corda, che ci porta in una piccola saletta dove si trova un ridottissimo arrivo d’acqua, e subito dopo si scende un pozzetto di 8 m ancorando la corda su una enorme colata calcitica che ne arriva alla base. Si ritorna così sul fondo del meandro, che qui è largo e forma una sala (“l’Autogrill”) ampia


4x8 m. Da questa parte, in direzione NW, lo stretto meandro “di Strittolaâ€? lungo circa 60 m, che, come suggerisce il nome, è piuttosto stretto (l’esplorazione di questa grotta, infatti, è stata realizzata allargando numerosissimi stretti passaggi). Dopo il tratto iniziale che punta verso NW, il meandro prosegue curvando progressivamente per riportarsi praticamente parallelo alla direzione dalla quale si proviene (verso SE). Si tratta di un tipo meandro a lame, la cui sezione rimane abbastanza costante lungo tutta la sua altezza, anche se nella parte alta è leggermente piĂš largo, rendendo possibile la progressione. Terminato il meandro “di Strittolaâ€? (punto T) gli ambienti si allargano e si può riprendere una progressione piĂš agevole. Si incontrano quindi due verticali, rispettivamente di 15 m e 17 m (pozzo “del Santo Martelloâ€?). Alla base del pozzo comincia il meandro “Casa Bagginsâ€?, asciutto (l’acqua scorre sul fondo della fessura) e con morfologia “paleofreaticaâ€? (tondeggiante) di percorribilitĂ quasi sempre comoda, che si sposta in direzione SE per una settantina di metri fino ad una curva di circa 90° (punto U). Nel tratto iniziale il fondo non è mai visibile; poco prima di una saletta in cui confluisce, il meandro si approfondisce ulteriormente fino ad una decina di metri e si intuiscono ambienti sottostanti di dimensioni metriche. Continuando dritti, con un saltino di 1,5 m si scende sul fondo di una piccola sala da cui parte un meandro alto circa 2 m. Fin qui il soffitto del meandro “Casa Bagginsâ€? non ha quasi perso quota; dalla saletta si prosegue camminando comodamente in un condotto largo e alto 2 m. L’acqua del torrente seguito a partire dal “Lagoâ€? si perde in ambienti ancora non esplorati, mentre il meandro successivo è percorso da un torrente indipendente, alimentato da fessure che si aprono sul soffitto nei pressi della saletta. La morfologia di questo nuovo meandro è molto variabile e nel complesso assomiglia a quella dei meandri a lame precedenti, però mantiene un’altezza costante di circa 2 m e ha la particolaritĂ di svilupparsi in discesa (mentre nel resto della grotta si perde quota quasi esclusivamente per mezzo di pozzi). Il meandro ha uno sviluppo di un centinaio di metri, alla fine dei quali (punto V) si incontrano altri due pozzetti, rispettivamente di 8 m e 10 m. Dopo l’ultimo di questi pozzi con una breve arrampicata di 3 m ed un altro saltino di 5 m attrezzato con corda, si arriva alla piccola sala “dei Cavalliâ€? (limite del rilievo, -219). Si prosegue in uno stretto meandro per circa 50 m, quindi si incontrano altri due pozzetti, di 7 e 12 m rispettivamente. Sotto il P12 si giunge alla confluenza con un meandro delle stesse dimensioni di quello che stiamo percorrendo senza però nessuno scorrimento d’acqua, ancora da esplorare 194 (risalita di una parete alta una decina di metri), mentre la parte a valle porta alla sala “del Campoâ€?, del diametro di 4 m, dove è stato attrezzato il campo interno per le esplorazioni ancora in corso. Il meandro prosegue per qualche altra decina di metri fino ad incontrare un pozzo di circa 8 m, alla base del quale si arriva sul fondo di un meandro molto fangoso, dal quale parte una galleria orizzontale di sezione circolare, alta 7-8 m. Dopo poche decine di metri, però, il soffitto si abbassa fino a pochi decimetri dal fango e dall’acqua che scorre nella parte centrale del condotto. L’acqua non è profonda

37

NOTE SULLA CIRCOLAZIONE D’ARIA (DI VALERIO OLIVETTI E MARCO TAVERNITI) Le correnti d’aria presentano notevoli mutamenti in funzione delle condizioni atmosferiche esterne. D’inverno nel cunicolo “di Trans Sirvanaâ€? soffia una corrente verso il fondo generalmente fortissima, che però non è riscontrabile, almeno con la stessa intensitĂ , nella strettoia “del Caniscioneâ€?. Nelle zone profonde della grotta, il flusso d’aria sicuramente non ha la stessa portata che all’ingresso, e probabilmente neanche la stessa direzione. Nel ramo “Matrixâ€? l’intensitĂ della corrente è paragonabile a quella dell’ingresso, ed ha la stessa direzione.

Stato dell’ambiente L’antro di imbocco è situato all’interno di un suggestivo piano carsico lontano da zone antropizzate, utilizzato stagionalmente dai pastori per il pascolo. Nel 1969 la grotta fu esplorata fino alla profonditĂ di 59 m. Questo tratto, classicamente utilizzato a fini didattici nei corsi speleologici, è stato oggetto di diverse centinaia di visite ma appare comunque sostanzialmente integro, con tracce poco evidenti del passaggio degli speleologi e dei tentativi di disostruzione, con una limitata presenza di ossa di animali trascinate dall’acqua. La recentissima scoperta (2000) di nuovi condotti sta portando alla conoscenza un esteso e profondo sistema carsico la cui esplorazione è in svolgimento.

Note tecniche DALL’INGRESSO, IL RAMO “VECCHIO�: P8 (arrampicabile), P4 (arrampicabile), P25 o P29 (corda 40 m, si biforcano dalla sella a –4).

RAMI “NUOVIâ€?, DALLA BASE DEL P4 FINO AL “CANISCIONEâ€?: Risalita 7, strettoia “Trans Sirvanaâ€?, P15, si scavalca un pozzo, P40, sommitĂ del P8. MEANDRO “SENZA TEMPOâ€?: P8 (strettoia “del Caniscioneâ€?), P18, Risalita 3, P17, inizia il meandro “tipicoâ€?, P3, P7, P4, P4, P3, P5, P7, P4, limite riievo (-202), pozzo di circa 50 m, tre salti di una decina di metri (circa –300). RAMO MATRIX: Si scavalca il P8, P4, traverso di 7-8 m sul “Lagoâ€?, P3 (arrampicabile), P4, P8+P15+P15, sala “del Gomitoâ€?, arrampicata al “passaggio dell’Occhioâ€?, meandro, P7, P8 con colata calcitica, sala “l’Autogrillâ€?, meandro “Strittolaâ€?, P15, P17, P2, P8, P10, P3 (arrampicabile), P5, sala “dei Cavalliâ€? (-219, limite rilievo), due pozzetti di 7 e 12 m, P8, fondo (circa –270).

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Inghiottitoio di Pian dell’Erdigheta: i saltini iniziali (foto C. Germani)

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piĂš di qualche decina di centimetri; la galleria è attraversata da un evidente flusso d’aria e dall’altra parte della strettoia si sente chiaramente lo scorrere di acqua in ambienti piĂš grandi. Questo tratto non rilevato è lungo circa 200-300 m e supera un dislivello in discesa di circa 50 m. La profonditĂ raggiunta dovrebbe essere di circa 270 m; l’esplorazione è tuttora in corso.

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Storia delle esplorazioni Esplorata il 9 marzo 1969 dallo SCR (Alberta Felici, S. Marinucci, N. Ferri, F. Sagnotti, P. Stella e F. Cappucci). Nel 2000 sono riprese le esplorazioni ad opera dell’ASR’86 (A. Benassi, S. Feri, F. Nozzoli, V. Olivetti, S. Soro, M. Taverniti, P. Turrini ed altri); un passaggio alla sommità del P25 ha permesso di scoprire un nuovo ramo e di approfondire la cavità fino a circa -300: Le esplorazioni sono ancora in corso nel 2003.

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969b; FELICI, 1978a; MECCHIA G., 1993b; TAVERNITI, 2001.


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I MONTI LEPINI ORIENTALI Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 159 Frosinone 1 = Risorgenza San Marino 2 = Pozzo di Monte Alto 3 = Ouso a Due Bocche di Monte Pisciarello 4 = Inghiottitoio di Campo di Caccia 5 = Ouso di Valle dei Ladri 6 = Pozzo della Macchia 7 = Fossa il Ferro 8 = Ouso di Passo Pratiglio 9 = Grotta di Monte Fato 10 = Pozzo Pazzo 11 = Ouso della Donnicciola 12 = Grotta del Pisciarello 13 = Pozzo Frigorillo 14 = Pozzo del Faggeto 15 = Abisso della Poiana 16 = Pozzo Dodarè 17 = Grotta dei Folignati 18 = Grotta di Fontana le Mole 19 = Abisso Alien 3 20 = Pozzo delle Bombe

coordinate riquadro: angolo NW = 0°37’ - 41°40’ angolo SE = 0°47’ - 41°33’

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Risorgenza San Marino Dati catastali 278 La - comune: Gorga (RM) - località: versante nord Monte San Marino - quota: 1240 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°41’36”0 (13°08’44”4) 41°37’24”7 carta CTR 1:10000: 389 140 Carpineto Romano - coordinate: 2.365.450 - 4.609.690 dislivello: +2 m - sviluppo planimetrico: 222 m

Itinerario Da Gorga, appena entrati in paese si prende, sulla destra, il Viale della Libertà e lo si percorre per 1,3 km fino ad un fontanile. Pochi metri prima del fontanile, sulla destra, parte una sterrata, che dopo 4,8 km arriva a Fontana San Marino (per chi non ha il fuoristrada sono transitabili i primi 2,2 km; q. 915). Dalla fontana (q. 1140, 30 minuti di cammino), si prende il sentiero in salita che taglia il versante in direzione SW, fino ad arrivare al letto di un torrente che deve essere risalito fino all’imbocco della grotta, circondato dal recinto dell’area di rispetto della sorgente. Per entrarvi si percorre una trincea larga meno di 1 m e lunga una ventina di metri (10 minuti di cammino dalla fontana). Dato che l’acqua della risorgenza è captata e utilizzata per uso potabile, per l’accesso è necessario chiedere l’autorizzazione al Comune di Gorga. In occasione della “Festa della Montagna”, che si svolge nel mese di luglio, il Comune organizza la visita del primo tratto della grotta.

Descrizione Si tratta di una risorgenza percorsa da un torrente perenne con portata media di 2 L/s (VENTRIGLIA, 1990) e con percorso in leggerissima discesa (+2 m su 200 m di sviluppo), così come molto piccola è la pendenza degli strati (inclinati di 5° verso nord). L’ingresso, di forma triangolare alto 1,8 m e largo 4 m, è sbarrato da un muro che lo chiude completamente. L’accesso è consentito da una porta in ferro che dà adito ad una galleria. Sulla sinistra, tre vaschette di decantazione sono alimentate da un canaletto artificiale che convoglia le acque del torrente sotterraneo. Sulla destra, una breve risalita tra concrezioni porta ad un ambiente allungato in

direzione ortogonale alla galleria principale, lungo 10 m e largo 2,5 m, che chiude in fessura. La galleria, impostata su una evidente faglia diretta N50°W e immergente 60°NE, si mantiene larga fino a 3 m e alta 4 m per circa 70 m. Qui (punto D) la volta si alza e si allarga fino a 5 m per crolli (sono evidenti alcuni liscioni di faglia), mentre il torrente passa sotto i massi. In questo primo tratto si possono notare concrezioni di fango sulle pareti ed alcune colate calcitiche. Da qui alla fine della grotta (130 m) si snoda un tortuoso meandro, alto dai 6 ai 10 m, largo alla base 40-70 cm, con acqua alta circa 50 cm e un pavimento melmoso nel quale si affonda per altri 50-60 cm. Dalle pareti, abbondantemente rivestite di latte di monte, alcune colate e rare stalattiti di tanto in tanto chiudono il soffitto a varie altezze. In alcuni punti è visibile un livello di piena della grotta (circa 1 m più alto di quello di magra). La grotta termina a causa di una colata che ha ostruito il passaggio: è rimasto un piccolo foro (15 cm di diametro) sotto il livello dell’acqua e due strettoie sovrapposte, 1 m sopra il livello dell’acqua, che d’estate emettono una forte corrente d’aria. Appena dopo l’inizio del meandro (punto D) vi è una saletta con un piccolo arrivo d’acqua sulla destra, quasi completamente ostruito da una concrezione parietale; l’imbocco del condotto è largo 20 cm e alto 60, ma subito dopo diventa largo 50 cm e alto 2,5 m. Il condotto è stato percorso per 12 m fino ad un ulteriore restringimento; questa diramazione, diretta a sud, in estate è percorsa da una corrente d’aria in uscita.

Stato dell’ambiente La grotta è conosciuta “da sempre” dalla popolazione locale, e le sue acque sono incanalate nell’acquedotto di Gorga. La prima visita speleologica risale al 1949, ma da allora le visite non si sono susseguite in modo significativo. All’esterno, il canyon di accesso all’imbocco è stato modificato con mine per scavare l’alloggiamento dei tubi e rettificare il percorso. L’ingresso è stato chiuso con un muro; tramite una porta si accede all’interno per la manutenzione delle vasche; le opere di captazione interessano solo i


primi 20 m della grotta. Superate le opere dell’area di ingresso, la grotta è praticamente integra.

Pozzo di Monte Alto

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature, ma è consigliabile indossare la muta per procedere sul fondo, dove l’acqua più il fango non superano la profondità di 1,3 m.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre dai locali. All’interno è stata trovata una scritta attribuita a un brigante del XIX secolo, che, secondo leggende locali, ne fece il suo nascondiglio. Speleologicamente è stata visitata il 26 gennaio 1949 dal CSR (C. Franchetti, C. Imperi, G. Lepri con figlio, P. Pietromarchi, G. Pighetti, C. Ranieri, M. Rossi Marcelli, V. Rossi Marcelli e A.G. Segre); non sappiamo però quanto gli speleologi si inoltrarono nella grotta. La prima esplorazione completa risulta essere quella dello SCR, effettuata in tre fasi: il 26 febbraio 1961 (M. Monaci, R. Ribacchi), il 5 marzo 1961 (F. Nolasco, F. Pancirolli, R. Trigila) e il 21 gennaio 1962 (F. Carosone, R. Trigila).

Bibliografia DOLCI, 1967; MANISCALCO, 1963; MECCHIA G. & PIRO, 1986; MECCHIA G. & PIRO, 1997A; ROSSI MARCELLI, 1950; TRIGILA, 1965.

Dati catastali 1093 La - comune: Morolo (FR) - località: versante NW di Monte Alto - quota: 1320 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°42’28”0 (13°09’36”4) 41°37’38”4 carta CTR 1:10000: 389 140 Carpineto Romano - coordinate: 2.366.720 - 4.610.140 dislivello: -50 m - sviluppo planimetrico: 20 m

Itinerario Da Gorga, appena entrati in paese si prende, sulla destra, il Viale della Libertà e lo si percorre per 1,3 km fino ad un fontanile. Pochi metri prima del fontanile, sulla destra, parte una sterrata, che dopo 4,8 km arriva a Fontana San Marino (per chi non ha il fuoristrada sono transitabili i primi 2,2 km; q. 915). Dalla fontana (q. 1140, 30 minuti di cammino), si prende il sentiero che risale il fondovalle. Dopo circa 300 m il sentiero porta ad una larga valle con prati. Si raggiunge il secondo canalone sulla sinistra dall’ultima curva della valle, lo si risale fino alla sella e si scende la successiva valle fino a raggiungere una grande dolina. Il pozzo si trova a 200 m di distanza in direzione 115° (60 m di dislivello); l’imbocco, nonostante le grandi dimensioni, non è molto visibile (circa 30 minuti di cammino dalla fontana).

Descrizione L’ingresso ha due bocche, con un grande pozzo principale (diametro 8 m) che scende direttamente con pareti quasi verticali, e un pozzetto secondario lungo 2 m; un piccolo ponte di roccia,

largo 1 m e alto 1,50 m, separa i due imbocchi, allineati lungo una frattura verticale orientata N70°W. Nella zona d’imbocco gli strati immergono verso SW con inclinazione di 20-30°. Il pozzetto secondario è profondo 4 m e ad una estremità si collega con il pozzo principale tramite una fessura stretta fino a 70 cm, al di sotto del ponte di roccia. Il pozzo principale è profondo 44 m. Dal diametro iniziale quasi circolare si passa rapidamente ad una forma a fessura, la cui larghezza da 3 m diminuisce progressivamente fino a 2 m. Un ripido scivolo di mammelloni di concrezione a 20 m di profondità immette (punto 3) nella seconda parte del pozzo. Si scende quindi fino al fondo lungo una parete verticale coperta di colate di latte di monte. Alla base (punto 4), una saletta di dimensioni 7,5x2,5 m, parte immediatamente una galleria detritica, coperta da fogliame e rami, lunga una dozzina di metri, con la volta a fessura meandriforme alta fino a 7 m. Al termine una frana chiude il passaggio (-50). L’attività idrica è limitata allo stillicidio. Manca qualsiasi corrente d’aria.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1966, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Il pozzo non presenta alterazioni ambientali.

Note tecniche Pozzo unico di 44 m (corda 60 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata dallo SCR fra il 29 maggio 1966 (P. Befani, P. Langosco, G. Pasquini) e il 2 giugno 1966 (P. Befani, G. Pasquini e R. Ribacchi).

Bibliografia MECCHIA G. & PIRO, 1997a; RUSCONI, 1990.

Ouso a Due Bocche di Monte Pisciarello Dati catastali 930 La - comune: Morolo (FR) - località: versante sud di q. 1312 di Monte Pisciarello - quota: 1269 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°42’17”1 (13°09’25”5) 41°37’11”1 carta CTR 1:10000: 389 140 Carpineto Romano - coordinate: 2.366.460 - 4.609.290 dislivello: -221 m - sviluppo planimetrico: 280 m

Itinerario Da Gorga, appena entrati in paese si prende, sulla destra, il Viale della Libertà e lo si percorre per 1,3 km fino ad un fontanile. Pochi metri prima del fontanile, sulla destra, parte una sterrata, che dopo 4,8 km arriva a Fontana San Marino (per chi non ha il fuoristrada sono transitabili i primi 2,2 km; q. 915). Dalla fontana (q. 1140, 30 minuti di cammino), si prende il sentiero che risale il fondovalle. Dopo circa 300 m il sentiero porta ad una larga valle con prati. Dopo altri 400 m la valle si biforca; si prosegue dritti (sud) per 400 m risalendo il fondovalle fino ad una decisa curva a sinistra. Da qui si sale il versante sulla sinistra superando un dislivello di 30 m fino all’imbocco, situato in un bosco rado (20 minuti di cammino dalla fontana).

Descrizione DALL’INGRESSO AL FONDO L’ingresso è un pozzo profondo 19 m, il cui imbocco a imbuto, largo 6x4 m, presenta un caratteristico arco naturale di roccia. Il pozzo, impostato su frattura orientata N10°E e immergente di 75° verso ovest, diventa ampio e verticale, e termina con un ripido scivolo terroso lungo 12 m che conduce ad un pozzo di circa 30 m, il cui fondo chiude con accumulo detritico. Nella zona d’ingresso gli strati immergono di 10° verso nord. Per proseguire la discesa verso il fondo, il P30 non deve essere sceso; poco prima della fine dello scivolo (punto 6) si entra facilmente in un comodo meandro fossile posto sulla parete destra. Qui si avverte una forte corrente d’aria diretta verso l’esterno nel periodo estivo. Dopo circa 25 m di meandro, si scende con facili passaggi in arrampicata in una saletta (punto 12) dove l’ambiente si fa più ampio (3,5x5 m); qui si notano due modesti arrivi d’acqua, inattivi durante la stagione secca, uno proveniente da un pozzo fusoide direttamente a lato della sala (vasca), l’altro che scende su una imponente colata calcitica alla partenza del pozzo successivo (P33). Il P33, largo e a campana nella prima metà, è interrotto da un comodo terrazzo orizzontale oltre

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colata calcitica� e superato uno stretto passaggio sul soffitto del meandro, si arriva ad una saletta, per affacciarsi su un laghetto profondo e limpido (laghetto “Azzurro�).

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“FONDO SCR ’80â€? Il “vecchio fondoâ€? di quota -124 si raggiunge imboccando la “finestraâ€? posta 3 m sopra la base del P33. Dalla “finestraâ€? si scende un pozzo di 11 m e si percorre uno stretto meandro; dopo una ventina di metri si arriva alla sommitĂ di un pozzo profondo 25 m. Dalla base si prosegue ancora per ambienti molto angusti, scendendo due salti profondi entrambi una decina di metri, fino ad una strettoia impraticabile (–124, punto 129).

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“AFFLUENTE ATTIVO� Dal punto 57 si risale la galleria attiva superando un dislivello di 5 m su una distanza di 35 m, fino alla sala “Bianca� (punto 97), occupata da una marmitta colma d’acqua. In alto nella sala si nota una prosecuzione, non esplorata.

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Stato dell’ambiente

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La grotta è stata scoperta nel 1976; come accaduto per diverse grotte di quest’area, al primo periodo esplorativo, che ha portato alla conoscenza del tratto iniziale della cavitĂ , è seguita una fase di stasi e quindi, negli anni ’90, una grande ripresa delle esplorazioni speleologiche con significativo approfondimento della cavitĂ e notevole incremento del numero delle visite. In questa grotta le esplorazioni sono riprese nel 1995 e complessivamente è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Lo stato dell’ambiente è nell’insieme integro, ad eccezione delle piccole alterazioni morfologiche prodotte da interventi di allargamento di strettoie e di scarse tracce del passaggio degli speleologi.

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Risorgenza San Marino: la trincea d’imbocco (foto G. Mecchia)

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il quale si prosegue sulla parete inclinata e concrezionata fino al fondo occupato da un accumulo detritico. Qui, sulla parete sinistra, a circa 3 m di altezza, è posta la “finestraâ€? (punto 105) che immette nel ramo che conduce al “vecchio fondoâ€? (-124). Dalla parte opposta, dopo pochi metri, si giunge ad un passaggio stretto, basso e percorso dall’acqua, oltre il quale la grotta prosegue con un cunicolo lungo 10 m con le pareti coperte da latte di monte e il fondo occupato da acqua e melma. Nel cunicolo si nota una forte corrente d’aria. Al termine del cunicolo c’è un pozzetto di 6 m, quindi un meandro dove si infila l’acqua, che diventa presto impraticabile per le ridotte dimensioni. La prosecuzione, una piccola “finestraâ€? concrezionata detta l’â€?occhioâ€?, è posta sulla parete destra prima del fondo del pozzetto. La “finestraâ€? dĂ accesso ad un ramo piĂš ampio del precedente ma con la stessa direzione NW e con alti soffitti. Scesi circa 6 m, si prosegue su comoda cengia fino ad un salto di 9 m che immette in una sala (3x5 m) il cui fondo (punto 21) è quasi interamente occupato da un profondo laghetto. Nella sala si immette anche l’acqua del ramo attivo lasciato prima del passaggio dell’â€?occhioâ€?. Sulla volta, alta piĂš di 25 m, si possono notare ambienti comunicanti molto ampi. Poco piĂš avanti, dopo un breve tratto di meandro attivo si giunge su una fessura impraticabile ma con forte corrente d’aria (“secondo fondo 1980â€?). La risalita che ha aperto all’esplorazione la prosecuzione della grotta, è posta sulla parete destra della sala del punto 21 e raggiunge una “finestraâ€? a 18 m d’altezza. La “finestraâ€? (punto 23) comunica direttamente con un altro pozzo, ampio e con un regime idrico superiore all’altro. Dalla sella della “finestraâ€? si nota una prosecuzione a monte del nuovo pozzo

Note tecniche DALL’INGRESSO AL LAGHETTO DI -165:

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che ha dato accesso ad un’altra zona esplorativa (ramo “Nostroâ€?). Dalla sella (punto 23) si scendono quindi 12 m spezzati da due gradoni (battuti da acqua a pioggia quando il regime idrico è elevato) e si prosegue in una strettoia verticale (punto 26), il cui passaggio può risultare difficile in caso di forte attivitĂ idrica. Si prosegue con un breve tratto di meandro (5 m) largo 40-50 cm che sfonda (punto 28) sul largo pozzo da 44 m. Qui per accedere alla verticale, è stata necessaria una pesante disostruzione. Il P44, fuso dalle pareti verticali o strapiombanti, ha un’ampiezza massima di 6x7 m. E’ presente stillicidio nella parte bassa. Il fondo (dimensioni 4x5 m) si presenta orizzontale e privo di accumuli detritici. Circa 20 m sopra il fondo, tramite un fuso parallelo, si immette l’acqua del “secondo fondo 1980â€? precedente la risalita. Alla base del P44 si trova subito un salto di 7 m con alla base una saletta occupata da un laghetto poco profondo (punto 31). Oltre la saletta parte un ampio pozzo di 18 m. Appena 7 m piĂš avanti dalla base del P18 si scende (completamente nel vuoto) un fuso a sezione circolare profondo 17 m; il fondo della verticale è occupato da un profondo laghetto che tracima in una stretta fessura. La prosecuzione è nel piccolo meandro fossile che si apre circa 3 m sopra il pelo dell’acqua. Lo si raggiunge con una facile pendolata, percorrendo poi 15 m di stretto meandro, al termine del quale, una bassa e scomoda strettoia immette direttamente sulla cima di un piccolo fuso circolare profondo 7 m. Sceso questo salto, si prosegue con un passaggio basso che nasconde una breve risalita (3 m) in piccoli ambienti. Al di lĂ di questi, si apre una saletta (sala “Corvinaâ€?, quota -180) con un arrivo fossile sulla parete di sinistra. Sulla prima cengia di questo camino, a

pochi metri di altezza, si può notare una particolare forma di dissoluzione del calcare a lame e punte affilate. La risalita di questo pozzo permette di superare, passando piĂš in alto (percorrendo il “Passaggio Altoâ€?), un successivo angusto e bagnato passaggio (detto “Smerdoiaâ€?) che si trova sul fondo del meandro pochi metri piĂš avanti. Se invece, dalla Sala Corvina si prosegue in basso, si scende un saltino di 3 m con partenza stretta e poco piĂš avanti si passa nella strettoia con acqua nel fondo (“Smerdoiaâ€?). Superata la strettoia, il meandro si fa piĂš ampio e comodo e si giunge all’affluente di sinistra (punto 57), un ramo attivo percorso da un torrentello ben piĂš consistente di quello seguito fino ad ora, che può quindi considerarsi un suo tributario. Proseguendo a valle, la grotta assume la forma di meandro di facile percorribilitĂ ; si nota la netta diminuzione della corrente d’aria, la cui via principale, evidentemente, è l’affluente. Superato l’affluente, dopo una dozzina di metri c’è un salto di 7 m che immette in una saletta con un piccolo arrivo d’acqua proveniente da un fuso. Seguono altri 20 m di meandro con il soffitto che si abbassa fino a 2 m. Procedendo oltre, il meandro diventa piĂš stretto e sinuoso per 40 m fino ad un salto di 6 m con partenza stretta. Alla base del P6 (punto 78) c’è una saletta comoda e asciutta (sala “del Fumogenoâ€?) dalla quale si scende nel sottostante meandro attivo. Dopo pochi metri di meandro si incontra la grande “1a colata calciticaâ€? che lascia soltanto una piccola apertura sul fondo, dove scorre l’acqua. Superata questa strettoia, si percorrono altri 45 m di meandro, largo mediamente 40-50 cm, alto 10 m, fino ad una nuova colata (punto 87) che impedisce la prosecuzione (fondo, -221). Sul fondo del meandro l’acqua si infila in un basso passaggio sotto la concrezione; non è stata notata corrente d’aria. Risalendo la “2a

P19+scivolo (corda 40 m), scavalcando il pozzo sottostante; P33 (corda 45 m), P6, prima del fondo del pozzetto si entra nell’�occhio�, P6 (corda 20 m), cengia, P9 (corda 15 m) alla cui base parte la Risalita 18 (corda 25 m), sella, P12 (corda 20 m), P44 (corda 50 m), P7 (corda 15 m), P18 (corda 25 m), P17 (corda 25 m) con laghetto alla base (-165).

DAL LAGHETTO DI –165 AL FONDO: P7 (corda 10 m), P3 (corda 8 m), strettoia bagnata, P3 (corda 6 m), P7 (corda 12 m), P6 (corda 10 m), fondo (-221).

Storia delle esplorazioni Le esplorazioni iniziarono il 10 agosto 1976 ad opera di soci dello SCR, che erano stati accompagnati all’ingresso dal pastore Epifanio. Nel corso dello stesso mese la grotta venne discesa fino a -67 (O. Armeni, V. Battisti, M. Corinaldesi, C. Giudici, C. Graziosi, D. Lunghini, A. Rosa, A. Torrice, M. Zampighi). Fra aprile e giugno del 1980 lo SCR (F. Ardito, Armeni, C. Collina, F. Lauteri, M. Mecchia, C. Meucci, Eleonora Petrucci) raggiunse il fondo di -80. L’11 maggio 1980 E. Giacobbe e E. Girardi esplorarono l’altro ramo della grotta fino al fondo di -124. Il 22-23 aprile 1995 lo SCR ha ripreso le esplorazioni; M. Barbati, A. Benassi, S. Feri, Eleonora Prata, dopo aver compiuto una risalita di 8 m hanno raggiunto una finestra che si affaccia su un pozzo. Nel maggio-giugno 1995, con tre punte esplorative, gli stessi con V. Olivetti, C. Bonuccelli, G. Ceccarelli, P.L. Orsini, Giovanna Ricca, Mecchia, Antonella Santini, S. Soro e P. Turrini hanno proseguito le esplorazioni fino ad una strettoia a -200. Il 19-20 agosto Barbati e S. Pianella hanno raggiunto l’attuale fondo. Nel 2001 il GSG ha aperto il “by-pass� scoprendo un nuovo ramo discendente.

Bibliografia ARMENI, 1982; BARBATI, 1997; DALMIGLIO P., 2002; MECCHIA G. & PIRO, 1984; OLIVETTI, 1997; RUSCONI, 1990.


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Inghiottitoio di Campo di Caccia Dati catastali 335 La - comune: Gorga (RM) - località: Campo di Caccia - quota: 1186 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°41’29”3 (13°08’37”7) 41°37’01”6 carta CTR 1:10000: 389 140 Carpineto Romano - coordinate: 2.365.350 - 4.609.000 dislivello: -610 m - sviluppo planimetrico: circa 2600 m

Itinerario Da Gorga, appena entrati in paese si prende, sulla destra, il Viale della Libertà e lo si percorre per 1,3 km fino ad un fontanile. Pochi metri prima del fontanile, sulla destra, parte una sterrata, che dopo 4,8 km arriva a Fontana San Marino (per chi non ha il fuoristrada sono transitabili i primi 2,2 km; q. 915). Dalla fontana (q. 1140, 30 minuti di cammino), si prende il sentiero in salita che taglia il versante in direzione SW fino ad una sella (quota 1218). Dalla sella si segue verso sinistra una traccia di sentiero che taglia il versante in leggera discesa, fino a sbucare sul piano di Campo di Caccia. L’evidente dolina di ingresso si apre nella piana (40 minuti di cammino dalla fontana).

Descrizione (informazioni di Andrea Benassi) Il bacino chiuso di Campo di Caccia (estensione di 1,1 km2) termina con un’ampia dolina (con asse maggiore di quasi 50 m). In fondo alla dolina, alla base di una paretina alta 2 m, è posto un piccolo foro, alto mezzo metro, che immette in un cunicolo orizzontale lungo 8 m. Sopra il bordo della dolina, due pozzi sfondano fino al cunicolo. I pozzi sono impostati lungo una frattura orientata N20-40°W immergente 50-70° verso ovest; gli strati calcarei sono orientati N7080°W con inclinazione di 20° verso nord. Il pozzo intermedio è un imbuto di 4 m di diametro che va a restringersi fino a 1,50 m, con un albero sul bordo. E’ profondo 3 m e arriva alla fine del cunicolo orizzontale. Un piccolo ponte di roccia separa il pozzo intermedio dal pozzo più lontano dal bordo della dolina. Anche questo ha un diametro di 4 m; le pareti sono quasi verticali e la profondità è di 7 m, 200 poiché termina alla base del gradino roccioso situato alla fine del cunicolo orizzontale. Morfologicamente la grotta si può dividere in tre tratti: il meandro stretto dall’ingresso alla “Frana Cannibale”, la zona di rapido approfondimento con i grandi pozzi da “Aurocastro” al “Rapa Nuì”, e il collettore del “Rio Urubamba” nel quale si scende dal “Rapa Nuì”, chiuso sia a valle che a monte da sifoni.

DALL’INGRESSO ALLA FRANA CANNIBALE (-80) Questo tratto, che ha uno sviluppo di circa 300 m per 80 m di dislivello, è il più scomodo, composto di stretti meandri e piccole condotte freatiche; lungo il percorso si trovano diversi sifoni temporanei che possono talvolta impedire il passaggio, inoltre buona parte delle gallerie in caso di forti piogge si può allagare totalmente, senza lasciare vie di fuga. E’ consigliabile entrare nella grotta dal cunicolo orizzontale o anche dal pozzetto intermedio (facile arrampicata). Quindi, infilandosi nel cunicolo, si arriva subito sotto i due pozzetti esterni, si scendono due gradini rocciosi e ci si inoltra nella grotta. Dopo 5 m il condotto curva bruscamente a 180°, scendendo con un saltino in un cunicolo (compiendo un “giro a chiocciola”) che si percorre fino ad un piccolo slargo. Verso monte si può salire qualche metro in un condotto che riporta sotto la dolina. A valle si scende un salto di 3 m seguito dopo 5 m da un secondo salto (P5). La volta, poi, si abbassa fino a sfiorare il pavimento: è il 1° sifone. Questo sifone, che ha spesso impedito le esplorazioni, ha un pavimento di fango e detrito la cui posizione cambia ad ogni piena. Negli ultimi 10 anni è stato trovato completamente chiuso (dall’acqua o dal fango), con un piccolo passaggio per l’aria, o anche ben aperto (30-40 cm di altezza, 60 cm di larghezza). Attualmente, dopo gli allargamenti effettuati nel 1998-2000, risulta quasi sempre ben percorribile. Si striscia nel tratto ascendente, lungo 6-7 m e inclinato di quasi 30°, fino alla saletta situata alla sommità, posta direttamente sopra un saltino di 3 m. Sceso il saltino si prosegue in uno stretto (30-50 cm) e scomodo meandro, che dopo una quarantina di metri in discesa porta sul fondo di un 2° sifone (antico sifone disattivato, normalmente vuoto). In corrispondenza del punto più basso parte sulla sinistra un meandro in salita, percorribile per una ventina di metri fino ad una sala. Il tratto ascendente del 2° sifone, lungo una dozzina di metri, è stretto e fangoso, dalla tipica sezione semicircolare con fondo piatto colmato da fango. La condotta è impostata su una frattura orientata N55°W con immersione di 45° verso NE.

Al termine del tratto ascendente segue un breve cunicolo orizzontale che porta ad un salto profondo 7 m. Dopo aver strisciato nell’imbocco, si entra nel salto, largo 1,5 m e interrotto da due terrazzi. Avanzando ancora 20 m in un meandro poco più largo dei precedenti si arriva ad un improvviso abbassamento della volta che dà luogo al 3° sifone (a seconda dell’andamento delle piogge, può essere completamente allagato e superabile in apnea), che in un solo punto si abbassa assumendo la sezione tipica già descritta, alta 30 cm e larga 60 cm, con il fondo costituito da sabbia e ghiaia. Oltre il passaggio basso si prosegue con una serie di strette curve (presenza di rocce vulcaniche scure) arrivando, dopo una dozzina di metri, sull’orlo di un salto di 4 m, formato da un blocco incastrato nel meandro. Dalla base, uno degli ambienti più ampi (1,5 m) di questo tratto della grotta, si superano due curve arrivando al 4° sifone, molto simile al 3°. Al di là si incontra una frattura orientata N60°E che ha formato una fessura alta 7-8 m, da percorrere presso la volta, con passaggi sempre scomodi ma comunque un po’ più ampi. Superato un passaggio esposto, dopo una ventina di metri si scende sul fondo della fessura, intercettando una serie di fratture orientate N10°W, nelle quali si avanza per una quarantina di metri, fino ad un salto di 3 m che porta in una grande galleria concrezionata. In quest’ultimo tratto le acque di stillicidio formano un rigagnolo; fin qui, infatti, la grotta (nel periodo estivo) è praticamente asciutta, a parte rari stillicidi e piccole pozze, che comunque, uniti al fango, rendono impegnativo il percorso. Pochi metri prima del salto di 3 m è possibile, scendendo un salto di 7-8 m, proseguire in uno stretto condotto attivo che in breve stringe ulteriormente (ramo “Brancaleone”). Si percorre la galleria concrezionata per una ventina di metri fino al termine, dove progressivamente si stringe e si abbassa, con il pavimento coperto di sabbia e fango e segni di molti livelli di passati riempimenti (sembra un antico sifone). Dal fondo emergono i massi della “Frana Cannibale”, posta dopo un passaggio basso e stretto; la disostruzione di questo passaggio (da superare strisciando sotto un cumulo di pietre appoggiate in bilico) ha permesso l’esplorazione della parte profonda della grotta.

DALLA FRANA “CANNIBALE” (-80) ALLA “NUOVA ATLANTIDE” (-457) Dopo la frana “Cannibale” la grotta cambia vistosamente aspetto, intercettando delle evidenti fratture lungo le quali si è generata una serie di pozzi di grandi dimensioni. Superato l’ambiente di frana parte un pozzo, profondo 19 m, con la volta ancora costituita dal meandro (che prosegue alla sommità del pozzo sulla parete opposta, ancora inesplorato); le dimensioni non sono notevoli, ma già si apprezza il cambiamento. Nell’ampia base del pozzo si trovano grandi depositi di fango, dovuti ad un arrivo d’acqua, forse proveniente dal ramo “Brancaleone”. La corda prosegue nel salto successivo, profondo 36 m; dopo una decina di metri di discesa si sbocca in un terrazzo che si affaccia su un ambiente vastissimo, “Aurocastro”. Da qui si scende interamente nel vuoto. Dalla base del P36, l’ambiente che segue è una grande forra, alta almeno 40 m, larga alla sommità circa 10-15 m e comodamente percorribile sul fondo. Sulle pareti e sulla sommità si individuano alcuni arrivi d’acqua e forse gallerie fossili; da questo punto il fondo della galleria è percorso da un torrente. Si prosegue scendendo piccoli salti (4, 5 e 4 m) e rapide arrampicabili. In questo tratto da sinistra provengono alcuni arrivi d’acqua di facile raggiungimento, ancora da esplorare. Il salto successivo, di 7 m, porta al pozzo “Cuccurucù”, profondo 27 m. Qui comincia il tratto più bagnato della grotta. La partenza del pozzo è impostata su uno scivolo a cui segue il tratto verticale, impercorribile in caso di piena. L’ambiente che si raggiunge, “Campo Oceanico”, rappresenta un primo nodo del sistema; foglie e resti provenienti dall’esterno sono stati rinvenuti ad oltre 10 m di altezza sulla grande colata di concrezione presente sulla destra (e con una ampia pozza alla base). Alla sommità della colata è evidente l’imbocco di un meandro (5-10 m di risalita, ancora da effettuare). Il meandro sotto “Campo Oceanico” esegue un curioso avvitamento a chiocciola ed in corrispondenza di questo si stringe molto, rimanendo comunque sempre di comoda percorribilità. Vasche, marmitte e grossi ciottoli trasportati dall’acqua dimostrano chiaramente la notevole portata del torrente. Segue un saltino di 5 m che porta sul “Grande Lago Sospeso”. Qui parte una nuova serie di pozzi (di “Capo Horn”), profonda complessivamente 68 m. L’ambiente assomiglia a quello di “Aurocastro”. Vi si accede da una sorta di “balcone” sospeso, molto aereo, che l’armo contribuisce a rendere ancora più suggestivo (un solo frazionamento, appena fuori dal terrazzo, molto esterno, sposta la corda nel vuoto ed abbastanza fuori dall’acqua, con discesa nel vuoto di circa 30 m). Dopo questo tratto non si incontra un ambiente piano, ma ancora una forra in discesa con un gradone di 10 m e un’altra verticale di 25 m, entrambi molto bagnati, che portano su un grande lago superabile con un traverso. Gli ambienti sono molto ampi, la roccia è compatta, lavorata dall’acqua, l’andamento quasi orizzontale degli strati risulta evidente in tutta la forra; in particolare nell’ultima parte dei pozzi di “Capo Horn” si osservano strati di colore alterno di grande bellezza.

A questo punto segue un tratto di meandro orizzontale molto alto, lungo una cinquantina di metri, di aspetto diverso rispetto alle parti precedenti, con tratti concrezionati ed alcuni passaggi bassi (forse sifonanti in caso di piena). In un punto non perfettamente individuato il corso d’acqua principale viene assorbito da una fessura impraticabile, mentre un tratto inattivo tra concrezioni dà accesso al successivo pozzo di 28 m (pozzo “Endurance”). Questo si scende su concrezione per 5 m, poi nel vuoto e nuovamente in un ambiente di grandi dimensioni fino alla base, dove si ritrova il torrente principale. Il meandro è ora più stretto (1 m) e lavorato da scallops; lo si segue fino ad un salto di 10 m, poi, con un traverso, si superano due profonde pozze. Qui, in alto, si nota l’imbocco di un grande ambiente fossile, la “Porta della Follia”, ancora non raggiunta. Si prosegue in discesa tra saltini e rapide in una zona molto concrezionata fino ad incontrare ancora un salto, profondo circa 10 m; la corda prosegue con traverso in una saletta posta sopra la partenza stretta del pozzo successivo. Questo pozzo, profondo 28 m (pozzo “del Macaco”), è l’unico con partenza scomoda. Alla base le dimensioni tornano normali, e si accede ad uno scivolo profondo 16 m. Ormai si è nella zona del “Rapa Nuì”. Nell’ambiente si trovano un pozzo fossile sulla sinistra ed una galleria bassa con lago sulla destra. La zona fossile, “canyon del Silenzio”, si presenta come una profondissima forra con frane sospese. La via normalmente percorsa segue invece la galleria bassa con marmitte sul fondo, che dopo una decina di metri si affaccia su un grande pozzo di 55 m (“Rapa Nuì”). Un gradone, con comodo terrazzo 5 m più in basso, porta ad affacciarsi sul vuoto totale del pozzo; da qui si scende senza frazionare fino al fondo (ambiente denominato “Nuova Atlantide”).

DALLA “NUOVA ATLANTIDE” (-457) AL SIFONE “MARE DI LIDENBROK”, BASSO CORSO DEL “RIO URUBAMBA” (-600) Dalla base del pozzo “Rapa Nuì” si atterra direttamente nella galleria del fiume (la “Nuova Atlantide”). Il fiume, denominato “Rio Urubamba”, può essere risalito o disceso. L’ambiente è molto ampio; in alto occhieggiano diversi finestroni e cenge posti sia verso monte che verso valle rispetto al fiume sottostante. Da questo punto, proseguendo lungo il torrente, la grotta, oltre che molto bagnata, è anche fredda a causa di forti correnti d’aria. Il regime idrico presenta una fase di magra probabilmente solo nel periodo a cavallo tra luglio ed agosto. La progressione lungo il fiume in caso di piena è impossibile. L’ambiente (la “Nuova Atlantide”) presenta dei livelli di piena a quasi 2 m di altezza; l’unico punto sicuro è costituito dai livelli fossili della parte a monte, che si trovano quasi 20 m sopra il fiume. Il corso d’acqua a valle (galleria “Akenaton”) si segue tra laghi e rapide in ambienti molto bagnati per una cinquantina di metri fino al pozzo “Maelstrom”. Questo è un P24 pericoloso in caso di piena; infatti, la cascata che si attiva vi si incanala formando un potente getto non evitabile. Alla base, la galleria continua sempre molto grande, per 100 m in leggera discesa, fino all’arrivo di un grande affluente da destra. In questo tratto la galleria è interrotta da un salto di 7 m, e da rapide e laghi da passare in spaccata, molto profondi. In alcuni punti il soffitto si perde, in altri si cammina in condotta. Dalla “1a confluenza” segue un tratto di galleria lungo 300 m, caratterizzato da una successione di laghi-marmitta molto grandi e profondi, alcuni dei quali si passano con una serie di circa 60 m di traversi alti (la “via del Jinchy”). La galleria si approfondisce ulteriormente con un salto di 6 m e una serie di rapide, fino alla “2a confluenza” con una galleria da destra (“Gondwana”). Si prosegue quindi ancora per altri 150 m in una galleria orizzontale (“l’Ultima Thule”), comodissima e molto bagnata, fino al grande lago-sifone, il “mare di Lidenbrok”, che attualmente ferma l’esplorazione (-600). Il lago è stato ispezionato per 10 m di profondità. RAMO “LA LEMURIA” Questo ramo è raggiungibile da tre diverse gallerie: la prima in ordine cronologico di esplorazione è stata raggiunta effettuando un traverso di 20 m a circa 20 m di altezza dalla base del pozzo “Rapa Nuì”, con una successiva risalita di 20 m su ambienti di crollo molto instabili. Si arriva così all’ingresso di una galleria fossile di notevoli dimensioni che, dopo un percorso di 420 m ed un dislivello di 160 m, si ricongiunge con il “Rio Urubamba” prima dell’”Ultima Thule”. Il primo tratto della galleria è un enorme meandro, alto forse 50 m e molto largo, che si percorre presso la sommità. Dopo aver disceso un P25 e un P15, raggiungendo così la base del meandro, si incontrano laghi e marmitte che lasciano supporre il passaggio dell’acqua in tempo di piena. E’ possibile raggiungere questo tratto (utilizzato come campo base profondo) anche percorrendo la parte bassa del meandro, che si imbocca dalla sommità del pozzo “Maelstrom”. Poco più avanti si raggiunge il bordo di un pozzo profondo 30 m, alla cui base è possibile proseguire per due vie. Verso il basso si scende per saltini per una ventina di metri, fino a raggiungere il “Rio Urubamba” (“1a confluenza”). Proseguendo invece nella grande galleria in leggera discesa (“Gondwana”) e superando alcuni pozzi e risalite, si raggiunge, dopo 270 m, il “Rio Urubamba” (“2a confluenza”) nel quale si scende con un pozzo di una dozzina di metri.


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DALLA “NUOVA ATLANTIDE” (-457) AL SIFONE”LA FONTE DELLA GIOVINEZZA” (-430), ALTO CORSO DEL “RIO URUBAMBA” Dalla “Nuova Atlantide” il fiume è stato risalito per 420 m in ambienti grandi in leggera salita, molto bagnati, in tutto simili alla parte a valle. Sono state anche raggiunte alcune zone fossili situate a 10-15 m di altezza nella galleria (sale “Borea”, “Elisea” ed “Antinea”). La galleria attiva si percorre a tratti sul letto del fiume, e a tratti risalendo su frane e raggiungendo ambienti più facilmente percorribili. In un punto una grande colata a vaschette ostruisce quasi totalmente la galleria, e si supera con un passaggio in alto, di piccole dimensioni (50x50 cm). Infine si raggiunge il sifone perenne “la Fonte della Giovinezza” (-430). NOTE IDROLOGICHE Il 1° sifone risulta attualmente quasi sempre aperto; si riempie d’acqua solo durante il disgelo (marzo-aprile), mentre a seguito della rimozione di alcuni tronchi non si riempie più di fango. Il 2° sifone sembra essere sempre percorribile. Il 3° sifone è invece molto più selettivo, e si ha la certezza di passare solo tra fine giugno ed ottobre. Il 4° sifone ha un comportamento simile al 3°. Per quanto riguarda il tratto iniziale e la prima parte dei pozzi, è stato rilevato che in periodi di secca (luglio) anche una pioggia di 10 ore non modifica sostanzialmente il regime interno e sicuramente non pregiudica il transito dei sifoni; questo, comunque, non vuol dire che non possano arrivare onde di piena. Infatti, se in seguito a piogge persistenti il suolo si satura, si può creare molto rapidamente un torrente di portata anche notevole che entra in grotta; in questo caso si è veramente nei guai. Dalla “Frana Cannibale” al P55 “Rapa Nuì” il regime idrico può essere molto variabile anche

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in condizioni normali, e anche in periodi di secca può essere necessario l’uso di un corpetto in neoprene. Più in basso la grotta diventa realmente molto bagnata, ed occorre quindi la massima prudenza per accedere a questa zona. Il regime idrico, a differenza della parte superiore, sembra presentare una risposta più lenta alle piogge, con portate di magra probabilmente solo nel periodo a cavallo tra luglio ed agosto. Naturalmente le piene sono comunque possibili e devastanti.

Stato dell’ambiente L’apertura del foro in fondo alla dolina d’ingresso, avvenuta probabilmente nel 1949, consentì la visita di un primo breve tratto della grotta. La presenza di un sifone di fango a -30 ha ciclicamente permesso l’accesso alla parte interna. Tuttavia solo a partire dal 1995 sono state condotte esplorazioni sistematiche, ancora in corso, che hanno comportato un afflusso nella grotta pari ad alcune centinaia di visite. Nelle doline di ingresso e nel primo tratto della grotta si osservano i resti di sporadici pic-nic mentre all’interno l’ambiente appare ben conservato, con modeste tracce di passaggio degli speleologi.

Note tecniche

Ouso di Valle dei Ladri: la prima sala (foto E. Franceschelli)

P3, P5, 1° sifone, P3, 2° sifone, P7, 3° sifone, P4, 4° sifone, traverso su passaggio esposto, P3, “Frana Cannibale” (-85) P19+P36, sala “Aurocastro”, P4, P5, P4, P7, P27, sala “Campo Oceanico”, P5, “Grande Lago Sospeso”, P68 (-300) P28, P10 con traverso alla base per superare un lago, P10, P28, P16, galleria “delle Marmitte”, P55 “Rapa Nuì”, salone “la Nuova Atlantide” (-457) Rio “Urubamba” verso il fondo: P24 “Maelstom”, P7, 1a confluenza, P8, 60 m di traversi su laghi (“via del Jinchy”), P6, rapide, 2a confluenza, sifone terminale (-600)

Storia delle esplorazioni Il 26 gennaio 1949 A.G. Segre e C. Ranieri (CSR) notarono il cunicolo d’ingresso; gli accompagnatori degli speleologi dichiararono che alcuni giorni prima la grotta non c’era, dal che si dedusse che si era aperta da pochi giorni per un improvviso sprofondamento dopo forti piogge. La cavità venne discesa da Ranieri, M. Rossi Marcelli e P. Pietromarchi fino al primo sifone. Lo SCR nei primi anni ‘60 (principalmente R. Ribacchi, G. Saiza e R. Trigila) riuscì a passare il sifone di fango diverse volte, arrivando fino al secondo sifone. In un’occasione Ribacchi e Saiza trovarono aperto il sifone ed avanzarono fino all’esaurimento del materiale fermandosi davanti ad un pozzo, situato in un punto imprecisato. All’inizio degli anni ‘90 lo SCR ha tentato più volte di forzare il sifone di fango, riuscendoci il 15 luglio 1990 (M. Mecchia, Marina Nuzzi e M. Polanschi), ma fermandosi per mancanza di materiale al P4 oltre il terzo sifone. Il 16 luglio 1995 M. Barbati, A. Benassi, Mecchia, L. Russo e F. Toso hanno percorso il meandro fino alla frana Cannibale. Benassi, S. Feri, Eleonora Prata e P. Turrini, tornati la settimana successiva, hanno superato la frana. Benassi, R. Hallgas e A. Carnevale (ASR’86) nell’ottobre 1995 hanno disceso parzialmente il P40. Negli anni successivi e fino al 2001 le esplorazioni sono proseguite ad opera dell’Associazione Ricerche e Studi Demo-etno-antropologici (Benassi, Turrin, Hallgass, Carnevale ed altri), raggiungendo l’attuale fondo

Bibliografia BENASSI, 1997; BENASSI, 2001; BENASSI, 2002; DOLCI, 1967; MANISCALCO, 1963; MECCHIA G. & PIRO, 1986; MECCHIA G. & PIRO, 1997A; ROSSI MARCELLI, 1950; SEGRE, 1949B; TRIGILA, 1965; TURRINI ET ALII, 2002.


Ouso di Valle dei Ladri Dati catastali 826 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Valle dei Ladri - quota: 1165 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°41’27”4 (13°08’35”8) - 41°35’53”9 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.365.240 - 4.606.930 dislivello: -30 m - sviluppo planimetrico: circa 150 m (105 m rilevati)

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada a destra che sale a Fonte Serena e termina dopo quasi 9 km con un piazzale posto all’inizio di Pian della Croce, dove si lascia la macchina. Dal piazzale si prende il sentiero che percorre la piana. Arrivati in fondo, nel punto più depresso (q. 1075), prima che inizi il bosco, si risale verso destra (NW), costeggiando il limitare del bosco per circa 200 m, passando vicino alla Fossa il Ferro, fino a raggiungere un sentiero. Si prosegue in salita verso sinistra (SW), passando davanti ad una sorgente che scaturisce da una fessura della roccia (il Formale) e dopo circa 1 km dalla Fossa il Ferro, si raggiunge un passo tra piccole cime (q. 1173). Da qui il sentiero cambia direzione (NW) e, dopo 600 m in quota, si raggiunge un altro passo (q. 1185). Si prosegue verso destra (NNE) in un sentiero sempre in quota, fino a raggiungere il primo canalone (500 m). Si abbandona il sentiero e si discende il canalone per circa 40 m di dislivello fino all’ingresso della grotta, spostato leggermente sulla sinistra orografica del canalone (circa 1 ora e 15 minuti di cammino).

Descrizione L’imbocco, in una dolinetta, è un foro triangolare largo 1,5 m che immette in un pozzetto di 3 m arrampicabile, alla base del quale tramite un basso passaggio si entra sulla volta di una sala ellittica di 15 x 20 m, nella quale si scende percorrendo un conoide di detriti e fango. Il tetto della sala, quasi orizzontale, presenta due camini, da uno dei quali un arrivo d’acqua origina un torrentello che incide i sedimenti del fondo. Il pavimento della sala è occupato quasi per intero dal conoide detritico. Una nicchia è riccamente concrezionata; notevole in particolare un’alta colonna. Si notano anche detriti cementati e rierosi lungo le pareti. La sala intercetta una galleria che è percorribile sia a monte che a valle. A monte (est) una bassa fessura di interstrato (punto E, strati inclinati di 15° verso sud) con il pavimento di fango, larga 3 m e alta 1 m, sbuca dopo pochi metri a metà di un pozzetto (punto G) che scende per circa 4 m, mentre in alto prosegue con un camino. Superato il pozzo mediante una cengia sulla destra, si entra in un ambiente di frana con un arrivo d’acqua laterale; qui (punto H) la grotta cambia direzione e continua con un meandro stretto e scomodo, alto 2 m, nel quale si passa solo a metà altezza, con lame di roccia sulle pareti e con il fondo coperto a tratti da un crostone calcitico; dopo una quarantina di metri si incontra una strettoia (punto R), oltre la quale (tratto non rilevato) il meandro si approfondisce e continua ancora con le stesse caratteristiche per una cinquantina di metri. Dalla sala iniziale (punto D) proseguendo invece a valle (SW) lungo lo stesso conoide detritico per altri 4 m, si entra (punto S) in una galleria larga 3 m e alta 2 m, lunga complessivamente circa 20 m. A pochi metri dall’inizio della galleria un camino risale facendo intravedere a 3 m di altezza un tratto di meandro fossile; su di esso si immette un meandrino che stringe fino a diventare impraticabile. Proseguendo nella galleria, un passaggio basso immette in un largo scivolo largo 5 m e alto 2 m, in ripida discesa; sulla destra si notano belle concrezioni. In fondo allo scivolo, sulla sinistra, tra i massi, si può scendere in uno stretto pozzetto di 3 m che porta ad una saletta chiusa posta su un livello più basso. Continuando nella galleria, in una saletta fangosa di 2 m di diametro alla base di un camino l’acqua di

stillicidio si perde fra i detriti del fondo (punto V). La galleria principale è percorsa da un ruscello con portata estiva quasi nulla, che si perde tra i massi delle salette di crollo. D’inverno una corrente d’aria proveniente dalla galleria a valle percorre la grotta.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1974, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Non sono segnalate alterazioni dell’ambiente ad eccezione dell’allargamento di un passaggio stretto.

Note tecniche Non occorrono attrezzature, infatti tutti gli scivoli ed i pozzetti sono arrampicabili.

Storia delle esplorazioni La prima esplorazione di cui si ha notizia è stata compiuta nel 1974 dallo SCR (nei pressi dell’imbocco, su un albero, si nota una scritta “CSR 1927”, ma non si hanno notizie certe su questa probabile prima visita). Le esplorazioni sono state riprese nell’aprile 1994 da parte del CSR, che ha allargato la strettoia del meandro a monte raggiungendo l’attuale fondo.

Bibliografia FELICI, 1978a; MONTELEONE, 1995a; NIZI, 1984a.

Pozzo della Macchia Dati catastali altro nome: Grotta Pasquetta 505 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Lestra Gigante quota: 1050 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°41’29”0 (13°08’37”4) - 41°35’30”7 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.365.280 - 4.606.210 dislivello: - 45 m - sviluppo planimetrico: ramo principale: 80 m; totale: 100 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada a destra che sale a Fonte Serena e termina dopo quasi 9 km con un piazzale posto all’inizio di Pian della Croce, dove si lascia la macchina. Dal piazzale si prende il sentiero che percorre tutta la piana. Arrivati in fondo, il sentiero scende leggermente e devia verso destra; si attraversa un boschetto di conifere. Si incontra così una valletta che si risale fino a raggiungere una casupola di pastori; dopo circa 500 m ci si sposta sulla sinistra e si entra in un’altra vallecola che porta alla dolina dove, in fondo tra i cespugli, è situato l’ingresso della grotta (30 minuti di cammino).

Descrizione (di Anna Pedicone Cioffi) L’ingresso è un cunicolo largo 60 cm e alto 80 cm, che dopo 3 m immette in un salto di 7 m, che può essere sceso in arrampicata. Il pozzetto è, fin dalla sommità, in comunicazione con il meandro sottostante che, nel punto dove si atterra (punto 4), ha una larghezza di circa 2,5 m. Verso monte si sviluppa un breve tratto dal fondo fangoso, lungo 7-8 m. Verso valle, invece, il pavimento è ingombro di sassi e molto inclinato. Dopo 20 m si giunge ad una strettoia (punto 8); il cunicolo, lungo 3-4 m, è piuttosto inclinato. All’uscita (punto 10) ci si trova in un altro tratto di meandro largo

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Monti Lepini orientali: doline a Pian della Croce (foto G. Mecchia)

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Grotta di Monte Fato: il fondo del secondo pozzo (foto A. Felici)

Monti Lepini orientali: il versante Sud-Ovest di Monte Salerio (le Canavine) (foto G. Mecchia)


1,5 e alto 2 m, immediatamente dopo si percorre un basso passaggio, dal pavimento fangoso, attraverso il quale si giunge alla saletta “delle Ossa” (punto 13). Questa è una sala di crollo (dimensioni 5x8 m, alta 5 m) sul cui fondo sono state rinvenute numerose ossa concrezionate; alcune concrezioni ornano anche parte delle pareti. Il passaggio successivo (punto 14) è fra i massi del pavimento e conduce di nuovo su un meandro alto 3 m e largo in media 1 m. Lo si percorre sul pavimento e dopo 15 m, sulla sinistra (punto 21), una colata calcitica segna lo sbocco di un arrivo laterale (chiude dopo pochi metri). Il meandro principale diventa più alto (6-7 m) e nella parte bassa tende a stringere; si procede quindi a mezza altezza per altri 15 m fino a giungere su un saltino di 3 m che si scende in arrampicata. In questo punto (24) c’è l’intersezione con un altro tratto di meandro, proveniente da destra, molto più stretto (60 cm), che si sviluppa per 15 m fino ad un ambiente con vistosi riempimenti di fango. Disceso il saltino nel meandro principale, si percorrono una decina di metri (larghezza 2 m, altezza circa 10 m) su un pavimento pianeggiante, con depositi di fango (sabbia di origine vulcanica ricca in pirosseni e miche) e con un solco di scorrimento dell’acqua ben evidente. Uno stretto passaggio immette nell’ultimo ambiente della grotta, alto 10 m, largo 1,50 m e lungo 3 m; qui una bianca concrezione nasconde i pochi metri di stretto meandrino che portano al buco (10 cm di diametro) che segna il termine della cavità (punto 29, -45). Durante l’esplorazione del 1994, effettuata nel corso di una intensa precipitazione primaverile, l’acqua, proveniente soprattutto dal meandrino laterale, si riversava abbondante nel foro al fondo. La corrente d’aria, nel foro finale, è lieve ma percettibile.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta alcuni decenni or sono, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Le uniche alterazioni ambientali si riferiscono agli interventi di disostruzione effettuati nella strettoia di metà grotta.

Note tecniche P7 (arrampicabile, ma è consigliabile la corda, 10 m, a causa del fango sulle pareti), P3 (arrampicabile, ma una corda da 10 m può comunque essere utile).

Storia delle esplorazioni Esplorata l’11 agosto 1976 dallo SCR (V. Battisti, P.L. Bianchetti, D. Lunghini) fino alla strettoia 20 m oltre la base del P7. La strettoia è stata disostruita nel marzo 1994 dal CSR (Letizia Argenti, M. Monteleone, Anna Pedicone Cioffi), raggiungendo l’attuale fondo.

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; FELICI, 1978a; MONTELEONE, 1995a.

Fossa il Ferro Dati catastali altro nome: Pozzo di Valle Serena 439 La - comune: Supino (FR) - località: Casale Scarana - quota: 1100 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°42’04”3 (13°09’12”7) - 41°35’40”2 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.366.090 - 4.606.500 dislivello: -58 m - sviluppo planimetrico: 50 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada a destra che sale a Fonte Serena e termina dopo quasi 9 km con un piazzale posto all’inizio di Pian della Croce, dove si lascia la macchina. Dal piazzale si prende il sentiero che percorre la piana. Arrivati in fondo, nel punto più depresso, prima che inizi il bosco, si risale verso destra (NW), costeggiando il limitare del bosco per un centinaio di metri. L’imbocco è sotto i primi alberi alla base di una collinetta (20 minuti di cammino).

Descrizione L’imbocco, una frattura lunga 7 m e larga 2 m, immette in un pozzo di 17 m che inizia con un ripido scivolo di 9 m e prosegue verticale scendendo in una sala di crollo di 10x6 m (punti C-D), alta una decina di metri. Sulla volta della sala si notano alcuni camini; una finestra, raggiunta con una risalita di 6 m, dà accesso ad un meandro stretto seguito da un pozzetto di 3 m, sotto il quale il ramo chiude in fessura. Nella sala principale, il cui fondo è occupato da un grande accumulo di massi, si apre (punto D) un secondo pozzo di 27 m, sulla verticale del primo. Il pozzo è un fusoide con un diametro di 5 m, con belle colate calcitiche sulle pareti; dopo una decina di metri di discesa, una finestra immette in un fuso laterale più piccolo, che non è stato risalito, ma sembra riportare al di sotto del pavimento della sala; da questo fuso scende acqua anche nelle stagioni asciutte. Successivamente i due fusi si riuniscono terminando su due cenge poste allo stesso livello, e confluendo in un ultimo tratto verticale di 4 m che porta al fondo del pozzo. Da qui (punto E) si può proseguire in due direzioni: verso destra un saltino di 4 m scende in una saletta di 4x3 m, con pavimento detritico, che chiude in strettoia (punto F). A sinistra si scende in una stretta diaclasi ortogonale alla frattura di ingresso, percorribile per una trentina di metri, con vari saltini arrampicabili; dopo aver superato una strettoia allargata artificialmente si esce su una saletta seguita da una nuova strettoia, da un’altra saletta, e infine da una fessura impraticabile (punto L, fondo, -58), oltre la quale si sente rumore d’acqua. Il fondo della diaclasi è percorso, anche in estate, da un rivolo d’acqua. Al fondo, in estate, è stata notata una sensibile corrente d’aria in entrata.

Stato dell’ambiente Il pozzo, esplorato a partire dal 1967, è stato scarsamente frequentato, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. La sala alla base del primo pozzo è ingombra di rifiuti di picnic gettati dall’imbocco. Non sono segnalate alterazioni morfologiche ad eccezione dell’allargamento di un passaggio stretto.

Note tecniche P17 d’ingresso+P27 (corda 60 m). Alla base, verso destra: P4, verso sinistra: saltini arrampicabili, fessura “terminale” (-58).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1967 dal CSR (A. Fiorentini e F. Pedone) fino alla strettoia.

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Da metà giugno ai primi di agosto 1994 si sono svolti i lavori di allargamento della strettoia finale che hanno portato il CSR all’attuale fondo.

Bibliografia DOLCI, 1968; MECCHIA G. & PIRO, 1984; MECCHIA G. & PIRO, 1986; MONTELEONE, 1995a; TROVATO, 1968a.

Ouso di Passo Pratiglio Dati catastali altro nome: Pozzo Muscutriglio 931 La - comune: Supino (FR) - località: dorsale Malaina-Semprevina - quota: 1353 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°42’25”2 (13°09’33”6) 41°36’23”4 carta CTR 1:10000: 389 140 Carpineto Romano - coordinate: 2.366.610 - 4.607.805 dislivello:-299 m - sviluppo planimetrico: 605 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada a destra che sale a Fonte Serena e termina dopo quasi 9 km con un piazzale posto all’inizio di Pian della Croce, dove si lascia la macchina. Dal piazzale si prende un sentiero che risale il versante meridionale della dorsale del Monte Malaina verso il bottino di presa della sorgente di Fonte Serena. Da qui si attraversa il fosso a sinistra e si sale obliquando fino a raggiungere il successivo fosso. Si risale il fosso fin quasi al passo, 15 m sotto il quale si apre l’ingresso della Grotta di Monte Fato. Da qui si prosegue verso sinistra (ovest) tenendosi in quota e dopo circa 300 m, 15 m più in basso si raggiunge l’imbocco. Sul passo, 20 m più in alto, si trova una grande dolina (50 minuti di cammino).

Descrizione

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La cavità ha andamento prevalentemente verticale per i primi 200 m di dislivello, con un continuo susseguirsi di pozzi fusiformi con un attivo regime idrico. Dopo le strettoie meandriformi di -191 si accede ad un livello in leggera discesa di 110 m di sviluppo. Segue poi una serie di pozzi fino alla profondità di 245 m. Da qui la grotta prosegue fino all’attuale fondo (-299) su un altro livello in lieve discesa percorso da un importante torrente.

DALL’INGRESSO AL MEANDRO DI -191 L’ingresso è un pozzo profondo 22 m, con imbocco largo 3x2 m; 5 m prima del fondo, chiuso da un accumulo di detriti, si trova una “finestra” (punto 3) che da’ comodamente accesso alla seconda verticale, un ampio pozzo profondo 25 m. Anche in questo pozzo non si deve raggiungere il fondo: 14 m sotto la partenza si raggiunge pendolando un comodo terrazzino (punti 5-6) da dove, superato un passaggio largo 40 cm, parte un pozzo profondo 50 m. Il P50 è un bel fuso con sezione circolare di diametro massimo di 5-6 m, senza cenge lungo la via di discesa; nei periodi piovosi il pozzo è battuto da stillicidio. Lungo il pozzo e alla sua base (dimensioni 4x3 m) è chiaramente visibile la faglia orientata N30-40°E, verticale, con la tipica presenza di cataclasite lungo il piano, con uno spessore di circa 30 cm. Qui (punto 8), dopo impegnativa opera di allargamento proprio nella cataclasite della faglia, la grotta prosegue con una fessura lunga 2 m e ora larga 30-40 cm, attraversata da una cospicua corrente d’aria. La fessura termina in un pozzo profondo 10 m. Alla base di questo un altro lavoro di ampliamento di un meandrino (punto 11) ha permesso l’accesso ad un P21, con pianta molto sviluppata sulla linea della frattura, che nei periodi piovosi è ancora più bagnato dei salti precedenti. Alla base di questo si prosegue infilandosi in un buco largo 1x1,5 m, da dove uno stretto passaggio dà accesso ad un pozzetto di 6 m. Subito sotto, ancora con partenza stretta, si apre un P12 che immette nei larghi ambienti della prima confluenza (-130). Con una risalita di 5 m si raggiunge una “finestra” (punto 21) e al di là di questa con un pozzo di 10 m si giunge alla base di una comoda sala, nella quale arriva dall’alto l’acqua di un pozzo fusiforme alto almeno 20 m. La portata idrica di questo affluente è maggiore di quella del ramo fin qui percorso. I due rami, così uniti, proseguono in un meandro lungo 7 m con una strettoia non difficile. Superata questa, ci si cala per 3 m fino ad una saletta incisa al centro dal meandro attivo, profondo alcuni metri. Poco oltre si raggiunge un altro fuso e da lì si scendono 7 m fino a tornare sul fondo attivo. Quindi, si risale facilmente uno scivolo di 5 m, e al termine di questo, in ambienti fossili, parte il P19 (pozzo “del Rinvio”). Questo ampio pozzo immette in una sala larga 9x5 m, nella quale un altro affluente si getta dall’alto, raddoppiando la portata idrica della grotta. Sulla parete opposta si apre una “finestra” che, raggiunta con 3 m di risalita, porta ad un altro ramo attivo parallelo (non rilevato), chiuso da una frana 30 m più in basso.

Proseguendo dalla base del P19, segue immediatamente un pozzo di 15 m che arriva in una sala larga 8x5 m. Da qui la grotta cambia morfologia, proseguendo con un meandro in direzione SE. Seguendo l’acqua si giunge dopo 20 m di percorso comodo ad un salto di 7 m. Alla base (punto 42, -191) abbondano i depositi fangosi.

DAL PRIMO MEANDRO (-191) FINO AL SECONDO MEANDRO (-245) Si prosegue con 40 m di meandro stretto (“vicolo delle Madonne”), con 3 strettoie, per sbucare in una comoda saletta (punto 52). Qui si nota un cambio litologico (faglia ?) con giacitura N60-70°W inclinato di 55° verso nord; il cunicolo sembra impostato lungo questo piano. Il calcare al di sotto del piano è bianco, pulito, levigato, mentre la roccia sopra il piano appare corrosa, fangosa, meno compatta. Si prosegue per altri 70 m sul fondo attivo del meandro, sempre scomodo ma senza strettoie selettive, e con una serie di affluenze d’acqua che raddoppiano complessivamente la portata idrica del ramo. Al termine del meandro (-208) la grotta continua con una successione di tre pozzi (12, 14 e 11 m). La base del P12 (punto 75), larga 9x4 m, è interamente battuta da acqua proveniente dalla volta. Si segue l’acqua in un passaggio largo 60 cm, che porta in un ambiente asciutto, proprio sopra la partenza del pozzo successivo. Per evitare l’acqua nel pozzo e la vasca alla base, scesi i primi metri del P14 si entra nella fessura e si scende in un ambiente asciutto. Alla base la grotta continua con un pozzo a fessura (frattura subverticale orientata N14°W, come nel pozzo precedente) larga mezzo metro; scendendo l’ambiente si allarga e dopo 5 m si trova un terrazzo; si evita l’acqua e la pozza alla base armando in avanti. Alla base del pozzo si percorre una breve galleria (meno di 10 m), impostata su una faglia subverticale orientata N75°E, con cataclasite, al termine della quale, con una curva brusca, quasi a 90°, si trova il primo lago quasi-sifonante della grotta (punto 86, -245). IL MEANDRO DELLE MURGE (DAL 1° LAGO AL FONDO) Questo meandro è lungo 350 m e porta da quota -245 a -299. E’ indispensabile l’uso delle mute; in particolare, il passaggio di 4 laghi richiede di immergersi fino al collo, dato l’esiguo spazio d’aria che rimane fra gli specchi d’acqua e la volta dei condotti. Anche nelle pozze più profonde si tocca sempre (almeno ai bordi). Il condotto è quasi ovunque facilmente percorribile, sempre sull’acqua, tranne in un paio di passaggi alti su frane; è largo generalmente da 50 a 100 cm, e si amplia fino a 3 m solo in corrispondenza di alcune grandi pozze d’acqua. Il meandro è alto da 1,5 a 3 m, raramente di più (e comunque mai oltre 5 m) e raramente di meno (in particolare in corrispondenza dei laghi). Ai tratti orizzontali, dove si trovano i laghi, fanno seguito condotte in leggera discesa, a volte interrotte da gradini rocciosi alti fino a 1 m, e raramente da saltini di oltre 2 m di altezza. Il letto del torrente è normalmente coperto da un sottile strato di fango bianco. Mancano quasi del tutto le concrezioni. La condotta è impostata su due sistemi di fratture, che si alternano: la principale è verso NW, la secondaria è verso SW. Il “1° lago” inizia in corrispondenza di un brusco cambio di direzione (verso SSW), è lungo 10 m, largo 1 m, l’altezza d’acqua raggiunge i 60 cm e lo spazio d’aria rimanente è di 40 cm. Appena superato il lago si trova un affluente di sinistra (punto 87), che quasi raddoppia la portata. Questo ramo è stato percorso per pochi metri, oltre i quali prosegue stretto. Si continua per una ventina di metri comodi, quindi si sale su una frana, per ridiscendere sull’acqua una decina di metri più avanti (punto 92). Dopo altri 30 m si sale nuovamente su alcuni massi di crollo (punto 99), per tornare poi subito sull’acqua. Da qui in avanti non si lascerà più il letto del torrente. Percorsi 50 m dalla seconda frana si supera un piccolo affluente di sinistra e si arriva davanti al “2° lago”. Questo è lungo 5 m, largo 1,30 m, profondo fino a 1,10 m, con uno spazio d’aria di 50 cm. Si avanza poi per una decina di metri fino alla “1a grande pozza” (larga 3 m), posta alla base di un saltino di 1,3 m. Si avanza ancora per una trentina di metri raggiungendo la sponda del “3° lago”. Questo è il più impegnativo (ci si immerge fino alle orecchie), con uno spazio d’aria minimo di appena 20 cm; il lago è lungo 6 m, largo 1,50 m e profondo fino a 1,20 m. Alla fine del lago il condotto curva a 90° (verso SW). Meno di 10 m più avanti si supera il 4° lago, lungo 5 m, largo 2,20 m, profondo fino a 80 cm e con uno spazio d’aria minimo di 30 cm. Da qui si prosegue scendendo nel meandro alcuni gradini fino ad un saltino profondo 2 m (corda), con alla base la “2a grande pozza”, larga 3 m. Dalla marmitta ci si abbassa per entrare nella condotta, che cambia bruscamente direzione (va verso NW). Si avanza quindi per circa 80 m nel meandro leggermente discendente fino ad un saltinocascata alto 2 m (corda); poco prima arriva da sinistra un cunicolo. Ancora una quarantina di metri e si arriva sull’orlo di una cascata più alta (6 m), spezzata a metà da un terrazzo e con alla base la “3a grande pozza” (diametro di 2 m). Ci si china per proseguire in una condotta che si allarga; la volta si abbassa, ci si immerge progressivamente sempre di più in questo “5° lago”, e dopo 20-30 m la volta arriva a sfiorare la superficie dell’acqua (rimangono due dita d’aria). Una forte corrente d’aria indica la sicura prosecuzione al di là di questo passaggio quasi completamente sommerso (fondo, -299).

NOTE IDROLOGICHE La portata del torrente al fondo è stata stimata di 10-15 L/s (21 dicembre 1996), alla fine di un periodo piovoso durato una decina di giorni. D’inverno solitamente molti pozzi sono battuti da stillicidio anche molto intenso. Nei periodi asciutti lo stillicidio nei pozzi non dà molto fastidio. Nel periodo invernale dall’imbocco e in tutta la grotta fino al fondo soffia una rilevante corrente d’aria diretta verso l’esterno (ovviamente, particolarmente sensibile nelle strettoie). D’estate il verso di circolazione si inverte.

Stato dell’ambiente La grotta è stata scoperta nel 1976; nel 1996 le esplorazioni speleologiche sono riprese con significativo approfondimento della cavità e incremento del numero delle visite. Comunque, il numero complessivo di visitatori non è probabilmente superiore a 200. La grotta appare pressoché integra, ad eccezione di modeste tracce del passaggio degli speleologi e degli ampliamenti necessari per consentire il passaggio dei punti più stretti, situati alla base del P50, del successivo P10 e a -140.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL MEANDRO “DELLE MURGE”: P22 d’ingresso (corda 30 m) ma 5 m sopra il fondo si pendola entrando nella finestra, P25 (corda 25 m) anche questo da scendere solo in parte, poi si pendola verso un terrazzo, P50 (corda 55 m), P10 (corda 15 m), P21 (corda 30 m), P6 (corda 10 m), P12 (corda 15 m), Risalita 5 (corda 10 m), P10 (corda 15 m), P3 (corda 5 m), P7 (corda 10 m), P19 (corda 25 m), P15 (corda 20 m), P7 (corda 10 m), “vicolo delle Madonne”, P12 (corda 20 m), P14 (corda 25 m), si pendola nel meandro sopra la cascata, 3 m di meandro, poi di nuovo in verticale P11 (corda 25 m) (-245).

MEANDRO “DELLE MURGE” FINO AL FONDO: Sono indispensabili la muta e le sacche stagne. P2 (corda 6 m), P2 (corda 6 m), P6 (corda 10 m), lago “terminale” (-299).

Storia delle esplorazioni I primi due pozzi vennero esplorati nei primi mesi del 1976 dalla sezione di Carpineto Romano dello SCR (V. Battisti e R. Campagna). La strettoia che immette sul P40 venne aperta, e il fondo a -81 raggiunto in due punte l’8 e 9 agosto 1976 dallo SCR (V. Battisti, C. Giudici, C. Graziosi, D. Lunghini, Giuliana Nardi, A. Rosa, A. Torrice, M. Zampighi). Il 10 marzo 1996 lo SCR (M. Barbati, G. Paris, A. Zambardino) ha allargato e superato la fessura finale. Nell’aprile-maggio ancora lo SCR (Barbati, F. Cappelli, S. Feri, Margherita Giuffrè, A. Lo Tenero, E. Lodovici, M. Mecchia, M. Michelini, V. Olivetti, Roberta Porena, F. Toso, P. Turrini, Zambardino) ha allargato alcune strettoie ed esplorato fino al Vicolo delle Madonne (-190), e quindi nel settembreottobre ha raggiunto quota -220. Il 9-10 novembre ’96 P. Suriano (Gruppo Puglia Grotte), Barbati, M. Mecchia, Lodovici, Porena e Zambardino hanno esplorato il meandro delle Murge fino al terzo sifone; il fondo è stato infine raggiunto dai primi tre il 21-22 dicembre ’96.

Bibliografia BARBATI E MECCHIA M., 1997; CECCARELLI, 1997; MECCHIA G. E PIRO, 1984; RUSCONI, 1990.

Grotta di Monte Fato Dati catastali altro nome: Fossa Pasqualetta 419 La - comune: Supino (FR) - località: dorsale Malaina-Semprevina - quota: 1367 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°42’35”0 (13°09’43”4) 41°36’27”9 carta CTR 1:10000: 389 140 Carpineto Romano - coordinate: 2.366.845 - 4.607.940 dislivello: -336 m - sviluppo planimetrico: 1615 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada a destra che sale a Fonte Serena e termina dopo quasi 9 km con un piazzale posto all’inizio di Pian della Croce, dove si lascia la macchina. Dal piazzale si prende un sentiero che risale il versante meridionale


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si risalgono 4 m fino ad un’angusta strettoia. Alla base del pozzo (punto 3) l’acqua, che comincia a trovarsi al fondo del pozzo “Stregattoâ€? e che è dovuta allo stillicidio, sparisce in una fessura. Per proseguire bisogna risalire uno scivolo fangoso di 7 m (corda fissa). Si prosegue per pochi metri su materiale di crollo e fango (a destra si nota un fuso con stillicidio) e si incrocia un meandro (punto 4). Il pozzetto che porterebbe in fondo, sull’acqua, si evita con una facile traversatina a sinistra (a valle) che consente di procedere presso la volta asciutta e terrosa del meandro (dal pozzetto, traversando a destra si entra nella parte a monte del meandro, impraticabile dopo un breve percorso). Il meandro “Smeagleâ€? è scomodo (largo 30-100 cm) e profondo (oltre 10 m). Percorsi una trentina di metri una recente disostruzione (1994) ha permesso di tagliare l’ultima e piĂš fastidiosa parte del meandro, scendendo un pozzo piuttosto articolato (P17), e arrivando alla base del meandro: un’ampia galleria, solcata da una fessura impraticabile che drena l’acqua. Si avanza per 45 m, salendo nel meandro su un piano inclinato, scavalcando, con una traversatina, un pozzetto di 7 m e riguadagnando la quota perduta nella precedente discesa, cioè raggiungendo di nuovo la volta in corrispondenza dell’intersezione a “Tâ€? (punto 5) con un nuovo meandro. A sinistra si segue la parte a monte del meandro, che dopo 30 m stretti sbuca (punto 6) in una sala (“della Scoresettaâ€?, 3x12 m), molto vicina al fondo della Grotta di Pozzo Pazzo (punto B). A destra si prosegue nel tratto a valle (il meandro “Smileâ€?), una

della dorsale del Monte Malaina verso il bottino di presa della sorgente di Fonte Serena. Da qui si attraversa il fosso a sinistra e si sale obliquando fino a raggiungere il successivo fosso. Si sale il fosso fin quasi al passo, 15 m sotto il quale si apre l’ingresso (40 minuti di cammino).

Descrizione DALL’INGRESSO AL FONDO SCR ‘84 L’ingresso è un pozzo profondo 27 m (“Fossa Pasqualettaâ€?), con imbocco di forma allungata di 2,5 m con una larghezza di 1 m. Il pozzo inizia con uno scivolo di 8 m, quindi si allarga e prosegue nel vuoto, interrotto da due terrazzi e un restringimento a pochi metri dal fondo. La base (punto 2) è una saletta di 3,5 m di diametro. A sinistra si prosegue con un saltino profondo 6 m, che, attraverso una fessura in discesa porta con un secondo salto di 6 m al fondo di questo ramo (ramo “CSR ‘67â€?, punto A, -45). Per proseguire, invece, verso il fondo della grotta, dalla saletta del punto 2 si effettua una risalita di 5 m (corda fissa) raggiungendo la volta di un pozzo parallelo. Il pozzo “Stregattoâ€? è un fuso quasi perfetto di 25 m, largo circa 3 m, con stillicidio che proviene da alcuni buchi sulla volta. Alcuni metri di meandro e ci si affaccia sul 3° pozzo (“del Follettoneâ€?). Questo si prende quasi dalla volta, è largo circa 3 m, profondo 31 m, ed è suddiviso a metĂ da un terrazzo e dopo altri 5 m da un secondo terrazzino. Pochi metri sotto l’orlo del pozzo si nota una evidente fessura, facilmente raggiungibile; dalla “finestraâ€? si può scendere un breve meandro che riporta nel pozzo, oppure .7

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fessura profonda almeno 25 m. Ma la via percorribile è ancora presso la volta, in interstrato suborizzontale; dopo 30 m un allargamento consente di scendere un salto di 3+12 m fino alla base di una sala. La sala di crollo è impostata su due fratture (quella del meandro “Smileâ€?, NW-SE, ed una ortogonale) e sul relitto di un meandro che gira intorno ad un grosso sperone roccioso. Dalla sala si scendono altri 7 m su massi di crollo (corda), percorrendo la base del meandro “Smileâ€? nel verso opposto a quello precedente, fin sotto una finestra posta a 3 m di altezza. Si risale facilmente (corda) e si scende dall’altra parte, in un pozzo profondo 25 m. Il pozzo inizia con uno scivolo franoso, largo 2-3 m e lungo una decina; alla fine dello scivolo si entra in un fuso un po’ piĂš ampio; di fronte si vede una cascatella che cade sul primo terrazzo e poi nel pozzo: è l’acqua del meandro “Smileâ€?. Si scendono quindi, a fianco dello stillicidio, gli ultimi 20 m di pozzo, fino al fondo della grande sala “dello Gnomoâ€?. Si risale un cono detritico fino a giungere nel punto piĂš alto. La sala si allunga per 20 m, con larghezza media di 5-6 m e altezza di 20-30 m che si perde in una fessura; la base è costituita da detrito e massi di crollo. La sala è formata dall’incontro di 4 fusi. Il fuso sud, quello dal quale si scende, raccoglie le acque del meandro “Smileâ€?. Il fuso est è praticamente asciutto, cosĂŹ come il fuso nord (quello con la base a quota piĂš alta). Il fuso sud-ovest è attivo, con una cascatella di una decina di metri, che alla base forma una pozzetta la cui acqua scompare subito nel detrito. La prosecuzione è un meandro piuttosto stretto che inizia (punto 8) quasi in fondo alla sala. Subito all’inizio è possibile scendere al suo fondo in una sala sottostante alla sala “dello Gnomoâ€?, separata da questa da una frana di blocchi incastrati. Il meandro “dell’Orchettoâ€? raccoglie le acque della sala e conduce al “fondo vecchioâ€?, con un percorso reale di circa 230 m. Il meandro, in leggera discesa, deve essere percorso presso la volta per i primi 160 m, fino ad un pozzo di 8 m. E’ scomodo e fangoso, le dimensioni sono simili a quelle dei meandri precedenti; la profondità è di una quindicina di metri fino al P8, quindi aumenta fino ad una trentina di metri presso il “fondo vecchioâ€?. A varie altezze il meandro si fa piĂš largo, come succede dopo una cinquantina di metri, quando si può scendere un saltino di 3 m. PiĂš avanti, sceso il P8, si atterra in una saletta larga 3 m. Poco sopra il pavimento della sala si imbocca nuovamente il meandro presso la volta (percorso preferito negli ultimi anni), strisciando nel fango per una trentina di metri, e quindi scendendo un saltino di 4 m e poi una serie articolata di saltini (complessivamente P25), che collegano livelli piĂš larghi del meandro fino alla base, dove si ritrova l’acqua. In alternativa, dalla saletta sotto il P8 si può scendere verso il rumore di una cascatella (sala “del Mugnaioâ€?) e percorrere il meandro alla base (due salti, rispettivamente di 7 e 4 m; percorso preferito durante le prime esplorazioni). Proseguendo verso valle si arriva in breve ad un saltino di 2 m (punto 11), che inghiotte l’acqua in un cunicolo alto mezzo metro che inverte di 180° il verso di percorrenza; dopo aver strisciato per 15-20 m nell’acqua, una curva piĂš stretta impedisce la prosecuzione (-181, “fondo SCR ‘84â€?).

DAL “FONDO SCR ‘84â€? AL FONDO ATTUALE Per proseguire verso il nuovo fondo è necessario, invece di scendere il saltino di 2 m, continuare dritto in un meandro fossile, molto fangoso, che dovrebbe rappresentare l’antica prosecuzione del meandro “dell’Orchettoâ€?, prima della cattura nel saltino di 2 m. Dopo una quindicina di metri, la frattura che forma il meandro è quasi interamente occlusa da un riempimento di fango, ad esclusione della parte piĂš bassa, dove il meandro si riduce ad un cunicolo alto 1,5 m, la cui volta è costituita da ciottoli cementati da fango. Un masso che ostruiva il passaggio è stato rimosso e si è potuto procedere per una decina di metri, fino ad uno slargo nel cunicolo (2x1,5 m), con guano sul pavimento. Fino al marzo ‘94 una frana chiudeva il passaggio, lasciando però filtrare una forte corrente d’aria.

Grotta di Monte Fato: il terzo pozzo (foto C. Germani)

La disostruzione della frana ha dato accesso ad un cunicolo in discesa. Superata una strettoia si intercetta una galleria di frana instabile che, risalita per 3-4 m, immette in una bella galleria: è la via al nuovo fondo. Scendendo un ripido pendio di massi e detrito (punto 12) si raggiunge la sala “Gollumâ€?; da un occhialone alcuni metri in alto arriva un torrentello d’acqua, probabilmente lo stesso lasciato al vecchio fondo. Si scende un salto di 4 m iniziando a percorrere un bel meandro, interrotto dopo meno di 60 m da un pozzo profondo 9 m, dopo altri 50 m da un saltino di 3 m che precede immediatamente un pozzo di 10 m. Dalla sala alla base (punto 13) si risale una frana instabile (corda, +3 m), con grandi blocchi pericolosamente incastrati fra le pareti, in bilico sopra il passaggio. Al di lĂ , superato un passaggio basso, si prosegue in un breve tratto di meandro, che con due salti (3 e 9 m) porta sopra un pozzo grande e bello, profondo 32 m (pozzo “Aragornâ€?). La fessura, larga 1,5 m, che costituisce il meandro che si getta nel pozzo “Aragornâ€? è parzialmente ostruita da un grande masso incastrato, che va oltrepassato fino all’attacco. Nel periodo secco il pozzo è battuto da un modesto stillicidio. Si atterra nel punto piĂš basso di una sala denominata “delle Pisolitiâ€?, presenti in alcune vaschette. La sala ha una larghezza media di una decina di metri, e sale con un pendio costituito da roccia viva, concrezione e detrito. Sul lato nord l’acqua prosegue il suo cammino in un meandro stretto e alto (punto 14). Da qui fino all’attuale sifone terminale della cavitĂ si segue questo meandro per 1 km, scendendo un dislivello di soli 70 m. Tuttavia il


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percorso non è così evidente come potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale del rilievo. E’ infatti necessario trovare la strada evitando strettoie e passaggi esposti non armati con corda; spesso è possibile percorrere livelli diversi per superare lo stesso tratto di meandro. Nel seguito viene descritto il percorso suddiviso in tratti caratteristici di meandro, seguendo il tracciato utilizzato nel corso del rilievo della cavità. Dalla sala “delle Pisoliti” si percorre un primo tratto di meandro lungo 120 m (tratto 14-15), largo 50-70 cm, scomodo e con continui sali-scendi, abbassandosi complessivamente di 15 m. Il meandro è attivo, comunque con portate modeste in periodo di magra (5 l/min). Tenendosi in alto, dopo una trentina di metri si scende con l’aiuto di una corda (P8) in una bella saletta concrezionata; il ricorso alla corda è evitabile scendendo in arrampicata una quindicina di metri prima. Poco più avanti si risale nel meandro superando una “finestrella” e riscendendo sull’acqua subito prima di una saletta. In questa saletta arriva uno stillicidio da un piccolo fuso (risalita di circa 10 m, da esplorare). Qui l’acqua entra in una bassa condottina, mentre noi proseguiamo per meno di 30 m in un meandro più comodo, asciutto, posto poco più in alto, alla fine del quale si ritrova l’acqua abbandonata precedentemente (poco in alto si può entrare in un meandro che risale e torna sull’acqua). Dopo circa 120 m dalla sala “delle Pisoliti” il meandro presso la base diviene impercorribile (punto 15), ed è necessario risalire arrampicando fino alla volta, oltre 20 m più in alto. Da qui (punto 16) si percorre presso la volta un tratto di meandro orizzontale (tratto 1617), lungo 80 m, asciutto, comodo, largo (60-150 cm) ma non alto. La quota del livello percorso è superiore a quella del fondo della sala “delle Pisoliti”. A metà del tratto è rimasta inesplorata una condottina. Alla fine del tratto una freccia in nerofumo segnala l’opportunità di scendere (punto 17). Si entra fra i massi arrampicando fino alla base del meandro, 15 m più in basso. Si accede così ad un tratto di meandro (punti 17-19) sospeso di pochi metri sul principale, e pertanto asciutto in periodo di magra. Sul fondo concrezionato del meandro è stato rinvenuto il teschio di un roditore. Dopo 10 m si scende un saltino di 3 m con pozza d’acqua alla base. L’acqua presente nei periodi piovosi segue una bassa condottina, mentre la prosecuzione accessibile è una galleria franosa ripida e larga, che sale una decina di metri fino alla volta di un meandro. Si cammina in piano presso la volta del meandro per 35 m, superando un passaggio basso sotto una frana e arrivando (punto 19) sopra un salto di 10 m: sotto si sente il fragore dell’acqua. Si atterra in corrispondenza della confluenza di due corsi d’acqua, di portata all’incirca uguale (meno di 0,5 L/s in magra). Quello che proviene dal condotto più grande (galleria larga 1,6 e alta 3 210 m) sembra essere il corso d’acqua abbandonato precedentemente, e può essere risalito per almeno 50 m. L’altro è un affluente di destra, proviene da un meandro stretto e con un saltino di mezzo metro confluisce nel condotto principale. Dalla “Confluenza” si segue (fino al punto 20) una bella condotta attiva, lunga 100 m, larga da 1,5 a 3 m e alta da 1,5 a 4 m. Le vasche d’acqua a volte sono aggirabili e a volte si superano con ampie spaccate. Una violenta corrente d’aria percorre la galleria. Circa a metà percorso si può accedere ad un tratto inattivo di galleria che si chiude a ferro di cavallo dopo l’ansa successiva. Verso la fine dei bei depositi fangosi variamente stratificati testimoniano una passata fase di riempimento del condotto. La condotta si stringe (punto 20) in un meandro stretto (40-80 cm) e scomodo. Poco prima di un passaggio basso seguito da una pozza profonda, si sale (punto 21) arrampicando fin sulla volta del meandro, 8 m più in alto. A questo livello il meandro è asciutto e comodo (largo 1,50 m). Dopo 40 dei 70 m complessivi di questo tratto (21-22), arriva da sinistra una grande galleria fossile, e subito dopo l’ambiente si allarga in una sala larga oltre 3 m, ingombra di massi di crollo e attraversata da un ampio sfondamento che raggiunge la base del meandro. Aggirato l’ostacolo si ridiscende progressivamente verso la base del meandro (punto 22). Il meandro ora (tratto 22-23) è percorribile sull’acqua per 70 m, stretto (50 cm) e alto, fino all’ingresso in un grande salone. Il salone “del Trivio” si estende per una quindicina di metri e ha un’altezza di 10-15 m. Dal meandro si risale un pendio di detrito e blocchi fino ad un valico oltre il quale ridiscende con un analogo pendio. Alle spalle si può risalire nella parte alta del salone dalla quale si può scendere nuovamente fino al meandro passando per un’altra via. Dal valico si nota un grosso foro che arriva nel salone da est, 5 m più in alto, ancora inesplorato. Il pendio oltre il valico scende fino ad incontrare nuovamente il torrente (punto 24). Da qui parte il meandro che porta al sifone, bello e comodo, lungo 410 m con un dislivello di 25 m, percorribili in un quarto d’ora. Il meandro può essere descritto in due parti. La prima parte (punti 24-25), lunga 210 m, è molto comoda, larga da 80 a 120 cm, alta almeno 7-8 m. Si rinvengono alcuni livelli caratteristici: un livello centimetrico di un ghiaietto calcareo cementato; un livello argilloso spesso 5-40 cm (che si incontra a più riprese in tutto il meandro a valle della sala “delle Pisoliti”, anche se non siamo certi che si tratti di un unico strato); un livello di calcare ricoperto da una caratteristica patina nera (ossidi di manganese?). La portata in magra è stata stimata in 2-3 l/s subito a valle del salone “del Trivio”. Si rinvengono modesti arrivi d’acqua da piccoli fusi che intersecano il meandro dopo 110 m e 150 m. Questo secondo arrivo è stato risalito, scoprendo nuovi

condotti che riportano nel meandro più a valle. La fine di questo tratto corrisponde ad un salto di 8 m (punto 25). Superata la pozza d’acqua alla base del salto, il meandro stringe leggermente, risultando comunque di comoda e bella percorribilità. Verso la fine di questo tratto una fessura orizzontale centimetrica (punto 26) contribuisce significativamente alla portata di magra del corso d’acqua. Dopo poche decine di metri, però, la portata sembra diminuire, anche se non è stato individuato il punto della possibile perdita. In questa zona la pendenza si riduce ulteriormente, il meandro si allarga (oltre 1 m), compaiono depositi di fango e infine la volta si abbassa e un sifone impedisce la prosecuzione (fondo, -336). Poco prima del sifone, però, è possibile salire in un grande salone sovrastante di una decina di metri. Nel salone, largo fino a 6-7 m, alto una decina e ingombro di massi di crollo e detrito, sono state tentate due risalite di una quindicina di metri, senza risultato.

CORRENTI D’ARIA L’imbocco noto agisce da ingresso alto. Nel periodo invernale la grotta è percorsa da una corrente d’aria in uscita, particolarmente violenta nella frana del “fondo SCR ‘84” e in molti tratti più a valle. Oltre il salone “del Trivio” la corrente appare più debole fino a scomparire in un punto non ben individuato.

Stato dell’ambiente La grotta è stata scoperta nel 1967 e successivamente è stata oggetto di due nuove fasi esplorative (iniziate rispettivamente nel 1984 e nel 1994) con approfondimento della cavità e notevole incremento del numero delle visite che ad oggi ammontano probabilmente a diverse centinaia. Nonostante ciò, la grotta appare pressoché integra, con modeste tracce del passaggio degli speleologi e con il misurato ampliamento di alcuni condotti.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL “FONDO SCR ‘84”: P27 d’ingresso (corda 40 m), Risalita 6 (corda 7 m), P25 (corda 30 m), P31 (corda 40 m), Risalita 7 (corda 15 m), Traverso 2 m, P17 (corda 30 m), Traverso 5 m, P3+12 alla fine del meandro “Smile”+P7 (corda 50 m), Risalita 3 (corda 3 m), P25 “dello Gnomo” (corda 35 m), P8 (corda 12 m), P3 (corda 4 m), P4, P25 (corda 40 m), si scavalca il salto di 2 m che inghiotte l’acqua (“Fondo SCR ’84”, -181).

TRATTO FINO ALLA SALA “DELLE PISOLITI”: P4, P9, P3+P10, Risalita 3 (su frana), P3, P9, P32, sala “delle Pisoliti” (-240). TRATTO CONCLUSIVO: P8 (evitabile, scendendo prima in arrampicata), P3 (corda 7 m), P10 (corda 15 m), “Confluenza”, P10 (corda 12 m), P8 (corda 12 m), sifone “terminale” (-336).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1967 dal CSR, che percorse soltanto un ramo che chiude a -45 m (ramo CSR’67). Il CRdS “riscoprì” la grotta, e iniziò una nuova serie di esplorazioni. L’8 luglio 1984 G. Sterbini, S. Bevilacqua, F. Donati, E. e T, Pietrosanti, A. Sterbini risalgono 6 m dalla base del pozzo d’ingresso, iniziando la discesa del ramo che porta al fondo (fino all’incrocio con il meandro Smeagle). Fra il 29 luglio e l’ottobre 1984 le esplorazioni, ad opera di G. Sterbini, O. Armeni, E. Pietrosanti, P. Ambrogi, M. Mecchia, Marina Nuzzi, S. Gozzano e P. Orsini, arrivano fino al vecchio fondo di -181 m. A dicembre O. Mancini, Anna Pedicone Cioffi e Andrea Felici tornano al fondo e avanzano qualche metro nel cunicolo attivo finale. Il 5-6 marzo 1994 le esplorazioni sono state riprese dallo SCR. Pedicone Cioffi, Felici e P. Turrini iniziano a scavare in una frana presso il fondo, aprendo un passaggio che poi viene oltrepassato dagli stessi più Mancini il 13 marzo, arrivando fin sopra il P10. Il 19-20 marzo Felici, S. Feri, M. Barbati, M. Re, Turrini esplorano fin sopra il P. Aragorn (-236 m). Il 23-24 aprile Pedicone Cioffi, S. Re, Turrini (SCR) e M. Baldoni (CSR) esplorano fino al salone del Trivio. Il 30 aprile-1 maggio Barbati, Mecchia, Turrini e S. Re raggiungono il sifone terminale. L’11-12 marzo 1995 Feri, S. Soro, A. Benassi e Turrini (SCR) esplorano il ramo Mappazza nei pressi del fondo..

Bibliografia DOLCI, 1968a; DONATI, 1988c; MECCHIA G. & PIRO, 1984; MECCHIA G. & PIRO, 1986; MECCHIA M., 1984; MECCHIA M., 1995b; STERBINI, 1993a; TROVATO, 1968a; TURRINI, 1995.

Pozzo Pazzo Dati catastali 1010 La - comune: Supino (FR) - località: dorsale Malaina-Semprevina - quota: 1373 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°42’41”4 (13°09’49”8) 41°36’26”8 carta CTR 1:10000: 389 150 Supino - coordinate: 2.366.995 - 4.607.905 dislivello: -72 m - sviluppo planimetrico: 90 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada a destra che sale a Fonte Serena e termina dopo quasi 9 km con un piazzale posto all’inizio di Pian della Croce, dove si lascia la macchina. Dal piazzale si prende un sentiero che risale il versante meridionale della dorsale del Monte Malaina verso il bottino di presa della sorgente di Fonte Serena. Da qui si attraversa il fosso a sinistra e si sale obliquando fino a raggiungere il successivo fosso. Si risale il fosso fin quasi al passo, 15 m sotto il quale si apre l’ingresso della Grotta di Monte Fato. Da qui si prosegue per 150 m verso destra in direzione 100°, risalendo di pochi metri (40 minuti di cammino).

Descrizione (di Lorenzo Grassi) L’ingresso è un foro stretto (50 cm di diametro) e franoso, che immette in un salto profondo 7 m. Dopo un piccolo ripiano, una prima strettoia dà accesso ad un secondo salto di 10 m. Al fondo si trova una saletta in parte ingombra di sassi, talvolta battuta da stillicidio. Tra i sassi si apre la seconda strettoia, cortissima e in discesa, che dà accesso ad un meandrino (punto B). Con una secca curva il meandro porta alla terza strettoia (allargata artificialmente) attraverso la quale si entra in una saletta, dalla quale parte un breve meandro. Sul pavimento del meandro (punto F), aperto dopo duri lavori di scavo, parte in strettoia un salto profondo 8 m. In ambiente franoso si giunge sull’orlo (punto H) di un pozzo profondo 35 m (pozzo “del Miracolo”), con un ripiano dopo 20 m di discesa (punto I). Allo stesso livello del fondo del pozzo si trova una saletta con arrivo d’acqua. Scendendo, invece, in arrampicata un camino franoso (punti K-L) si raggiunge il livello inferiore con una bella sala (sala “J.F. Kennedy”, punto N). Di fronte il meandro prosegue strettissimo, ma risalendo 5 m (corda fissa) si riesce ad entrare in una parte più larga. Il meandro prosegue una ventina di metri stretto, fino a diventare impraticabile. Appena prima della fine è possibile scendere un pozzetto profondo 7 m, che permette di tornare sul fondo del meandro (punto R, -72), e di percorrerlo ancora per qualche metro. D’inverno all’imbocco si avverte nettamente una corrente d’aria in uscita.

Stato dell’ambiente Il pozzo, il cui imbocco è stato aperto dagli speleologi nel 1986, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. A parte il moderato allargamento delle strettoie, non sono state prodotte alterazioni della morfologia della cavità, che appare integra.

Note tecniche P7 d’ingresso+P10 (corda 25 m), P8 (corda 15 m), P35 (corda 40 m), P5 (arrampicabile, corda 10 m), Risalita 5 (corda 10 m), P7 (corda 10 m), fessura impraticabile “terminale” (-72).

Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente, discendendo i primi due salti, il 7 dicembre 1986 dal GGR Niphargus (L. Grassi, G. Pineschi) e dal GS CAI Roma (Sonia Galassi e F. Mingolla). Fra il 3 gennaio e il 21 giugno 1987 in una serie di esplorazioni degli stessi gruppi, Grassi, G. e P. Pineschi, A. Giura Longo e F. Speranza, dopo aver forzato la prima strettoia sono discesi fino alla Sala Kennedy. Il 19 luglio 1987 Grassi, G. Pineschi (GGR Niphargus), M. Pappalardo (GSCAI Roma), O. Armeni, M. Mecchia e G. Sterbini (SCR) dopo una risalita di 5 m hanno percorso il meandro terminale.

Bibliografia GRASSI, 1988; MECCHIA G. & PIRO, 1986; RUSCONI, 1990; STERBINI, 1993a.


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Ouso della Donnicciola Dati catastali 230 La - comune: Supino (FR) - localitĂ : versante Sud Colle Piazza Marotta - quota: 595 m carta IGM 1:25000: 159 I NO Supino - coordinate: 0°45’31â€?6 (13°12’40â€?0) - 41°36’39â€?1 carta CTR 1:10000: 389 150 Supino - coordinate: 2.370.940 - 4.608.210 dislivello: -51 m - sviluppo planimetrico: 70 m.

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada a destra che sale a Fonte Serena. Dopo circa 3 km si lascia la macchina presso il primo tornante a sinistra (q. 623 m). Si scavalca il piccolo sperone, dietro il quale parte un sentiero non sempre ben individuabile, che a volte si perde nel bosco, e che taglia in quota il versante Sud di Colle Piazza Marotta. Lo si percorre per 20-30 minuti, fermandosi nei pressi di un tratto un po’ piĂš scoperto da 212 dove si vede in lontananza il Monte Caccume (in direzione 158°). Il pozzo si trova nel bosco, 10 m di dislivello piĂš in basso del sentiero (30 minuti di cammino).

Grotta del Pisciarello: discesa nel P15 (foto G. Mecchia)

Descrizione

Note tecniche

L’ingresso del pozzo, a pianta ellissoidale (3x1,5 m), si apre nel fitto bosco alla base di una paretina alta 3 m, all’incrocio fra due fratture (N60°E e N50°W). Il pozzo, profondo 35 m, è un fuso con pianta allungata in direzione NE e ampiezza massima di 8 m. Alla sua base (punto B) si scende un pendio detritico lungo oltre 30 m, largo fino a 10 m ed occupato nella parte centrale da grandi blocchi di crollo. Alla fine dello scivolo, in un ambiente riccamente concrezionato e bello, si trova un limpido laghetto profondo meno di 1 m, che costituisce il fondo della grotta (punto C, -51). A 18 m di profonditĂ sul P35 si trova una “finestraâ€? (punto D) raggiungibile in pendolata verso NW. Oltre il bordo della finestra, si scende (senza corda) uno scivolo di 12 m che immette in un’ampia e comoda sala (punti E-F), alta fino a 10 m e larga fino a 16 m. Proseguendo nella stessa direzione, superato un passaggio basso, si accede ad un ambiente concrezionato, alto fino a 1,50 m, dove il ramo termina (punto G, -31). Modesti rivoli d’acqua, che provengono dal soffitto della sala e scorrono su ripide colate calcitiche, si infilano tra i blocchi di crollo, coperti da croste di concrezione, situati sul fondo della sala. Gli strati hanno direzione N50°E e immersione 15°SE. Non sono apprezzabili correnti d’aria.

Pozzo profondo 35 m (corda 45 m). La finestra di -18 si raggiunge in pendolata con la corda di discesa.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1963, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a poche decine. Alla base del pozzo sono stati rinvenuti proiettili di mortaio inesplosi (gettati nella cavitĂ durante la seconda guerra mondiale e rimossi solo qualche anno fa) e ossa di animali. Ad eccezione di questi elementi, la grotta appare integra.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 10 febbraio 1963 dallo SCR (R. Ribacchi, Jolanda Mascia, R. Trigila, Maria Mazzei). Il 14 dicembre 1996 ancora lo SCR (M. Barbati, F. Cappelli e Giovanna Ricca) ha esplorato il ramo a -18.

Bibliografia SPELEO CLUB ROMA, 1964; DOLCI, 1967; TROVATO, 1968a.

Grotta del Pisciarello Dati catastali 438 La - comune: Supino (FR) - localitĂ : il Pisciarello - quota: 424 m carta IGM 1:25000: 159 I NO Supino - coordinate: 0°46’01â€?1 (13°13’09â€?5) - 41°36’03â€?6 carta CTR 1:10000: 389 150 Supino - coordinate: 2.371.600 - 4.607.090 dislivello: -97 m - sviluppo planimetrico: 190 m.

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello. Nello spiazzo della fonte si prende


la strada a sinistra guardando la fontana, e dopo un centinaio di metri si lascia la macchina in uno slargo. Si prosegue sulla strada che diventa sterrata, tralasciando la strada che sale a destra, si supera un tornante, si prosegue ancora sulla strada che diventa più ripida e, dopo 300 m, ad un bivio si prosegue a destra. La dolina di ingresso si apre 50 m più avanti (10 minuti di cammino).

Descrizione La dolina d’ingresso, a forma circolare con diametro di circa 40 m, è invasa da fitta vegetazione. Il punto più comodo per scendere (ripidamente) nella dolina è sul ciglio situato dalla parte opposta a quella della strada sterrata, cioè sul lato sud dell’ampia depressione. La dolina si apre in rocce di origine vulcanica, ma la grotta è fin dall’inizio scavata nei calcari; ciottoli tufacei si rinvengono frequentemente lungo la grotta. Sul fondo della dolina, un foro (punto 1) alto 1 m costituisce l’ingresso della grotta. Segue uno scivolo terroso, lungo meno di 5 m, ed il primo pozzo (punti 2-4), profondo 13 m, verticale nella prima metà con pianta ampia 5x1,5 m, e poi progressivamente inclinato con blocchi di crollo incastrati. Alla base si prosegue scendendo una ripida galleria (lunga 9 m, inclinata di 40°) che conduce alla partenza (punto 5) di un ampio pozzo profondo 15 m. La base del pozzo è una sala con pianta ampia 7x5 m, con blocchi di crollo sul pavimento e un soffitto su cui si vede un fuso proseguire verso l’alto. Un piccolo ramo affluente si immette nella sala poco sopra la sua base. Oltre la sala, si scende arrampicando tra blocchi di roccia in un altro ambiente (punti 6-7) con pianta quasi circolare del diametro di 5 m, seguito da un pozzetto di 4 m. Sette metri di meandro, largo 1 m e alto 6 m, con a metà un saltino arrampicabile di 2 m, conducono ad una ulteriore piccola verticale di 3 m, superabile in arrampicata. Alla base si trova una sala di 7x6 m, con un arrivo sul soffitto (meandro “dei Mentat”). Proseguendo verso il fondo, si scende in un pozzetto di 4 m, e poco dopo si giunge ad un altro allargamento (punti 10-11, diametro 8 m, altezza una decina di metri). Attraversata la sala, con pavimento quasi pianeggiante, si arriva sull’ultima verticale della grotta che richiede l’impiego di corda: si tratta di un pozzo di 9 m, sovrastato da blocchi di crollo incastrati fra le pareti e sospesi sul pozzo. Il P9 è impostato su una frattura orientata N40°W, lungo la quale si sviluppano anche i successivi 30 m di meandro, che si percorrono sul fondo (percorsi 10 m dalla base del P9, si scendono 4 m in arrampicata tra blocchi, poi seguono due salette). Si lascia la frattura imboccando, con una curva a 90° (punto 14), un meandro scomodo e basso, impostato sullo strato (inclinato di 30° verso 170°), e avanzando lungo la direzione dello strato. Superato questo tratto, si prosegue tenendosi in alto rispetto al fondo impercorribile del meandro. Si scendono 4 m in contrasto tra le pareti (punto 18) e si prosegue nella parte più larga, comunque scomoda, circa 4 m sopra la base sulla quale scorre l’acqua. Negli ultimi 20 m di meandro si raggiunge il pavimento e, con l’abbassamento della volta, un sifone fangoso che normalmente impedisce di proseguire (-91). Complessivamente, dalla base dell’ultimo pozzo (P9) fino al sifone si sono percorsi 80 m di meandro. In condizioni idriche favorevoli, è possibile oltrepassare il sifone, immergendosi nell’acqua con il corpo e lasciando fuori la testa. Dopo aver passato il sifone si accede ad un ambiente stretto e obliquo che continua con un passaggio a cunicolo, lungo circa 3 m, percorso dall’acqua e terminante con un pozzetto che dalla parte più bassa è alto circa 4 m. Il pozzetto può essere disceso in contrasto. Dopo aver sceso altri 2 m in arrampicata (fondo, -97) si apre una fessura alta 5 m ma con le pareti troppo vicine per permettere il passaggio. Al di là si intravede un piccolo ambiente e inizia un pozzetto a fenditura (il tratto successivo al sifone non è rilevato; le informazioni sono di Marco Topani). Per quanto riguarda il meandro “dei Mentat”, che inizia alla sommità di una paretina alta 8 m (fra i punti 8 e 9), si tratta di una galleria asciutta in salita, che conduce alla base di un più impegnativo dislivello di 5 m. Superato anche questo saltino si continua, camminando nel fango, fino ad un restringimento della galleria che non consente la prosecuzione. Lo sviluppo complessivo è di 80 m per 30 m di dislivello dalla sommità della

risalita (RICCI, 1977b).

NOTE IDROLOGICHE Mentre in estate non c’è scorrimento idrico, nella stagione piovosa la grotta è percorsa da un piccolo torrente. In caso di forti piogge l’acqua può creare problemi ai visitatori, in particolare sul P9.

Stato dell’ambiente A partire dal 1968, anno della scoperta, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Ad eccezione di pochi rifiuti trasportati dall’acqua e delle tracce di passaggio degli speleologi, non sono presenti alterazioni ambientali.

Note tecniche P13 presso l’ingresso+P15 (corda 45 m), P4 (corda 8 m), P4 (corda 8 m), P9 (corda 15 m + cordino lungo per armo naturale su blocchi), sifone fangoso (-91).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1968 dal CSR (A. Fiorentini, P. Ortensi, Pancrazi, F. Pansecchi, F. Pedone, F. Rusconi, A. Todisco). il 15 maggio 1977 il GS CAI Roma (M. Ricci e F. Ardito) ha esplorato il “Meandro del Mentat”. L’ASR (M. Topani e T. Bernabei) l’11 e 15 settembre 1977 ha esplorato il tratto dopo il sifone.

Bibliografia DOLCI, 1968a; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1978; RICCI, 1977b; TROVATO, 1968a.

Pozzo Frigorillo Dati catastali 747 La - comune: Supino (FR) - località: a NE del Colle di Trevi - quota: 660 m carta IGM 1:25000: 159 I NO Supino - coordinate: 0°45’49”8 (13°12’58”2) - 41°35’34”2 carta CTR 1:10000: 401 030 Patrica - coordinate: 2.371.315 4.606.170 dislivello: -87 m - sviluppo planimetrico: 68 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello. Nello spiazzo della fonte si prende la strada a destra guardando la fontana, e dopo meno di 50 m si devia su una strada sterrata in cattivo stato che sale a sinistra. Dopo 700 m si lascia la macchina in un piccolo spiazzo sulla sinistra (quota 425 m). Si prosegue a piedi e dopo una trentina di metri, ad un bivio, si prende la stradina che scende a sinistra. Dopo meno di 50 m di discesa la strada riprende a salire; si percorrono poco più di 100 m, fino ad un bivio, dove si lascia la sterrata per prendere una strada fangosa che sale a destra. In breve (10 minuti a piedi dalla macchina) si raggiunge un’ampia dolina a pozzo (pozzo dei Tre Cavalli). Da qui prosegue un sentiero che sale e in 10 minuti porta a dei piccoli piani terrazzati. Nei terrazzi ci si tiene a destra, e in corrispondenza di un’interruzione del filo spinato che li costeggia, si prende un sentierino che sale. In breve il sentiero scompare e, tenendosi sulla destra, si raggiunge il letto di un fosso, che va risalito su roccette (spesso scivolose) fino ad incontrare, a quota 655 m, un sentierino che sale lentamente verso sinistra (SE). Dopo 40 m, alla base di uno sperone roccioso, 5 m più in alto, si apre il piccolo imbocco del pozzo, poco visibile, che ha l’aspetto di una tana (45 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è un cunicolo terroso in leggera discesa, con imbocco a forma triangolare, alto 60 cm e largo 70 cm alla base, apparentemente

213


Stato dell’ambiente

fra massi appoggiati. Il cunicolo è lungo 3 m, poi si scende un gradino e si arriva (punto 3) sull’orlo terroso del primo salto, profondo 4 m. Si tratta di una fessura che alla sommità è larga 40 cm e lunga 2 m e che scendendo scampana, formando una saletta. Da qui si prosegue subito con il secondo salto (P7), entrando in un foro largo 50 cm. La base del salto (punto 6) è una sala a pianta triangolare, di 4-5 m di lato, che si affaccia direttamente sul pozzo successivo, con una bocca larga 2 m. Questo pozzo, profondo 10 m (pozzo “Tittiâ€?) sembra impostato su una frattura subverticale orientata N30°E, larga 1,80 m, che è stata percorsa in traversata, presso la sommitĂ , per una ventina di metri fino all’impraticabilitĂ (punto 25). Il P10 forma una ampia sala con pianta ellittica (8x4 m) e pavimento di detrito, costituito anche da ciottoli di tufo. Le pareti della sala sono tagliate da un piano di strato, orientato N70°W e inclinato di 30° verso SW. Ad una estremitĂ si trovano vaschette con poca acqua, dall’altra parte si scende in un piccolo foro (30-40 cm, punto 9) che immette nel salto successivo. Un piccolo solco raccoglie l’acqua e la convoglia nel salto. Da qui in avanti tutta la grotta è impostata su una frattura orientata N0-5°E, inclinata di 60-75° verso est. Si scende una successione di tre salti, profondi rispettivamente 5, 5 e 7 m, con imbocchi a fessura stretti (una quarantina di centimetri) che si ampliano verso il basso fino a 1-1,5 m di larghezza. Dalla base dell’ultimo dei saltini ci si affaccia (punto 15) in un bel pozzo, piĂš ampio (fino a 2-3 m) e profondo (13 m), che si allunga lungo la frattura. Un piccolo rigagnolo si getta nel pozzo nei periodi piovosi. La base del salto (punto 16) è una sala quasi circolare, del diametro di 5-6 m, con pavimento di roccia coperto da poco detrito. Da una parte si trova una piccola pozza d’acqua, dalla parte opposta la base è sfondata da un nuovo pozzo, che si apre in una breccia calcarea cementata. Qui le pareti sono abbondantemente coperte di fango. Il pozzo, con la parete a monte costituita dallo specchio di faglia, è profondo 11 m e battuto da stillicidio. Dalla base, larga 1,5-2 m, si sale 214 uno sperone e, mantenendosi presso la volta, si scendono in arrampicata dei saltini (in tutto 5 m di dislivello) che in breve portano (punto 21) alla sommitĂ dell’ultimo pozzo, profondo 13 m. La base è una saletta larga 2 m e lunga 6 m. All’estremitĂ , costituita dallo specchio di faglia, si possono scendere ancora un paio di metri in ambienti angusti, arrivando alla base della fessura, che prosegue impraticabile (-87, punto 24). L’attivitĂ idrica è limitata agli eventi piovosi piĂš intensi. Normalmente gli stillicidi alimentano un rivolo d’acqua che scende lungo i pozzi senza creare problemi per la discesa. Non è stata avvertita alcuna corrente d’aria.

3

Il pozzo, esplorato a partire dal 1978, è stato scarsamente frequentato, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Relativamente alle condizioni ambientali della grotta, si notano solo scarse tracce di passaggio degli speleologi.

Note tecniche P4+P7+P10+P5+P5+P7 (corda unica da 90 m), P13+P11 (corda 45 m), saltini arrampicabili+P13 (corda 35 m), fessura “terminale� (-87).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel maggio-giugno ’78 dal GS CAI Roma (F. Ardito, V. Gambini, G. Puletti, Federica Ricci, M. Ricci).

Bibliografia NIZI, 1984a; RICCI, 1978.

Pozzo del Faggeto Dati catastali 343 La - comune: Supino (FR) - localitĂ : a NE del Colle di Trevi - quota: 661 m carta IGM 1:25000: 159 I NO Supino - coordinate: 0°45’53â€?6 (13°13’02â€?0) - 41°35’32â€?2 carta CTR 1:10000: 401 030 Patrica - coordinate: 2.371.400 4.606.120 dislivello: -309 m - sviluppo planimetrico: 250 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello. Nello spiazzo della fonte si prende la strada a destra guardando la fontana, e dopo meno di 50 m si devia su una strada sterrata in cattivo stato che sale a sinistra. Dopo 700 m si lascia la macchina in un piccolo spiazzo sulla sinistra (quota 425 m). Si prosegue a piedi e dopo una trentina di metri, ad un bivio, si prende la stradina che scende a sinistra. Dopo meno di 50 m di discesa la strada riprende a salire; si percorrono poco piÚ di 100 m, fino ad un bivio, dove si lascia la sterrata per prendere una strada fangosa che sale a destra. In breve (10 minuti a piedi dalla macchina) si raggiunge un’ampia dolina a pozzo (pozzo dei Tre Cavalli). Da qui prosegue un sentiero che sale e in 10 minuti porta a dei piccoli

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piani terrazzati. Nei terrazzi ci si tiene a destra, e in corrispondenza di un’interruzione del filo spinato che li costeggia, si prende un sentierino che sale. In breve il sentiero scompare e, tenendosi sulla destra, si raggiunge il letto di un fosso roccioso, che va risalito fino ad incontrare, a quota 655 m, un sentierino che sale lentamente verso sinistra (SE). Dopo 40 m, alla base di uno sperone roccioso, 5 m piÚ in alto, si apre il piccolo imbocco del pozzo del Frigorillo, poco visibile, che ha l’aspetto di una tana. Dal Frigorillo, proseguendo verso est per 100 m, mantenendosi esattamente alla stessa quota, si raggiunge l’imbocco del pozzo del Faggeto, alla base di roccette (45 minuti di cammino). L’ingresso alto (Buca del Pungitopo) si apre a 16 m di distanza e 8 di dislivello dall’ingresso principale.

Descrizione La grotta ha due ingressi. L’ingresso superiore (Buca del Pungitopo) si apre con una stretta fessura verticale che immette in un ripido scivolo (P7), al termine del quale si apre una sala che intercetta un meandro che prosegue sia a monte che a valle. A monte un arrivo d’acqua risale fino quasi alla superficie. A valle il meandro scende dirigendosi verso il Pozzo del Faggeto. Sceso in arrampicata un piccolo salto, si arriva sull’orlo di un pozzo di 10 m; dalla base ci si immette nel P29 di ingresso del Pozzo del Faggeto, a 6 m dal fondo. L’ingresso basso e principale (Pozzo del Faggeto) è un pozzo profondo 29 m, con imbocco largo 1 m impostato su una frattura diretta N30°E, immergente 80° verso ESE. Il pozzo è largo 2-3 m; nella parte bassa si collega ad esso un fuso parallelo, dal quale durante i periodi piovosi proviene un intenso stillicidio, e che costituisce l’arrivo della Buca del Pungitopo. Alla base del pozzo, come in tutta la cavitĂ , si rinvengono massi e ciottoli vulcanici nerastri (brecce di esplosione), evidentemente trasportati dall’esterno ad opera dell’acqua. Il secondo pozzo, profondo 49 m, segue immediatamente il primo. L’imbocco è largo 1 m, ma il pozzo si amplia subito sotto l’orlo, fino ad assumere una sezione quasi circolare di 3 m di diametro alla base. Il vacuo appare impostato su due fratture, orientate rispettivamente ENE-WSW e SSW-NNE (con inclinazione di 70° verso est). Un intenso stillicidio batte il pozzo. Dalla base del pozzo (detritica e pianeggiante) si osserva, sulla parete opposta a quella di discesa, un foro 3-4 m piĂš in alto, che dĂ accesso ad un camino ascendente. Segue una rapida successione di pozzetti che appaiono impostati su una frattura orientata N30-40°E (12, 11, 15, 11 e 14 m). Dalla base del P49 si prosegue direttamente nel salto profondo 12 m, interrotto da un terrazzo dopo 3 m. Il P12 ha una sezione larga 1,5 m, allungata (5 m) sulla frattura. Il P11 successivo è un po’ piĂš stretto (imbocco 0,7x2 m) con alla base una saletta larga un paio di metri. Segue un P15 bagnato, con l’imbocco largo 60 cm e base 2x4 m; l’acqua si infiltra nel detrito che pavimenta la saletta e il successivo P11 è asciutto. Dalla fangosa saletta alla base del P11 ci si immette, tramite un pertugio largo meno di mezzo metro, in un pozzetto di 14 m. Il P14 sbuca all’estremitĂ di una sala alta 7-8 m, larga 3 m e allungata per una quindicina di metri in direzione 30°. Dalle due estremitĂ della sala arrivano due modesti rigagnoli d’acqua. La sala sembra impostata su due fratture, orientate rispettivamente N10°E e N80°E (le stesse del P49); gli strati sono inclinati di 30° verso SW. Dalla sala, tramite una “portaâ€? alta 1,3 m, si accede alla base di un camino ascendente, risalibile con facilitĂ per una ventina di metri fino ad un terrazzo, poi in artificiale per 15 m fino ad un terrazzo piĂš piccolo, poi per altri 5 m fino ad una sala abbastanza ampia, e quindi per una dozzina di metri fino ad una nicchia, oltre la quale il pozzo stringe in una fessura. Tornando nella sala, le acque che si raccolgono sul pavimento fangoso e detritico defluiscono in un cunicolo alto mezzo metro e largo 30 cm, allargato artificialmente nel corso delle esplorazioni del 1967, che costituisce la prosecuzione della grotta. Il cunicolo è lungo un paio di metri e si immette direttamente sulla volta di un grande pozzo, profondo 64 m.

Il P64 si amplia progressivamente fino ad assumere una sezione quasi circolare di 3 m di diametro; l’acqua che percorre il cunicolo si getta nel pozzo, frazionandosi in una pioggia che colpisce la linea di discesa. Ad una trentina di metri di profonditĂ un terrazzo spezza la calata; al di sotto la sezione si allarga (3x5 m) e, ad una quindicina di metri dal fondo, un pozzo parallelo si unisce al principale. A 7 m dal fondo del pozzo un terrazzo lungo (7-8 m) e stretto interrompe nuovamente la discesa. Da questo terrazzo è possibile raggiungere la base del pozzo parallelo, risalendo un saltino arrampicabile alto 2,5 m, dal quale proviene un modesto rigagnolo d’acqua. Il pozzo parallelo è stato risalito in artificiale per una cinquantina di metri; poco piĂš in alto la volta sembra stringersi in una fessura. Dalla base del P64 fino al fondo si succede una serie ininterrotta di pozzi (14, 4, 13, 16, 18, 9, 10, 6 e 6 m) tutti impostati su una frattura orientata circa E-W e immergente 70° verso nord, che costituisce sempre la parete strapiombante opposta a quella di discesa. In periodo di secca i pozzi possono essere quasi asciutti, ma generalmente una fastidiosa pioggia, cioè l’acqua che proviene dal P64 e dal suo pozzo parallelo, batte questo tratto di grotta. Dalla base del P64, larga 2,5 m, parte il pozzo profondo 14 m, con l’imbocco abbastanza ampio. La base del salto è larga quasi 4 m e termina con un cunicolo alto 60 cm, largo 40 cm e lungo 2 m, che immette in un saltino di 4 m. Seguono immediatamente il P13 e il P16. Il pozzo successivo, di 18 m, inizia stretto (0,50 m), per allargarsi poi fino a 4 m; segue, dopo un restringimento, un salto di 9 m. La base di quest’ultimo salto è una saletta fangosa larga 3 m che spezza la discesa finora descritta, la cui suddivisione nei singoli pozzi è alquanto arbitraria e di non facile riconoscimento, mancando elementi chiari di variazione sia dal punto di vista “morfogeneticoâ€? (stessa frattura), sia dal punto di vista tecnico (terrazzi). Nella saletta è necessario risalire 2 m per reimmettersi nella serie di pozzi, con un P10, che scende a scivolo fangoso, e un P6, che termina in una saletta circolare larga 2,5 m. Un ultimo saltino, arrampicabile, profondo 6 m, conduce ad una saletta ampia 1,5x2,5 m chiaramente impostata sulla frattura che ha generato il pozzo (E-W, immergente 70° verso nord), che all’estremitĂ est prosegue in una fessura oltre la quale si sente il rumore di una cascatella d’acqua. La fessura è alta quanto l’ultimo salto, è piĂš larga alla base (una ventina di cm) e prosegue rettilinea per 3-4 m, fino ad una svolta. La fessura è stata allargata e percorsa per pochi metri fino ad un ulteriore restringimento (fondo dell’abisso, -309); da qui è stato possibile risalire nella fessura per una cinquantina di metri di dislivello (tratto non rilevato). Durante il periodo estivo l’abisso è generalmente quasi asciutto. Nel periodo invernale l’acqua che percorre la cavitĂ , anche se di modesta portata (2-3 L/minuto nella discesa del 26/12/94), è sempre molto fastidiosa, data la difficoltĂ di evitarla. Nel corso di eventi piovosi la portata aumenta rapidamente e può rendere impossibile la risalita. La temperatura, misurata nella sala di quota -149, è di 9,3°C (SBORDONI & PEDONE, 1968). Durante l’inverno l’abisso è attraversato da una corrente d’aria, particolarmente sensibile nelle strettoie, che dall’ingresso del Pozzo del Faggeto fino all’uscita del cunicolo-strettoia di quota -149 si dirige verso l’interno. Dalla base del P64 si apprezza una brezza che sale, dirigendosi apparentemente verso il pozzo parallelo. A proposito della profonditĂ dell’abisso, misure effettuate con l’altimetro hanno indicato dislivelli inferiori a quelli rilevati (-139 m invece di -149 m nella sala a metĂ grotta; -286 m invece di -309 m al fondo).

Stato dell’ambiente La grotta è stata molto frequentata; a partire dall’anno della sua scoperta (1966), il numero complessivo di visite speleologiche è stimabile in oltre un migliaio, dimostrate da diverse tracce di passaggio. Modeste alterazioni morfologiche prodotte da azioni di scavo riguardano la condotta a –140 e quella sul fondo, ma nel complesso l’ambiente è da ritenere abbastanza integro.


215


Note tecniche DALL’INGRESSO BASSO ALLA SALA DI -149: P29 d’ingresso (corda 40 m), P12+P11+P15+P11+P14, sala (-149).

P49

(corda

65

m),

DALLA SALA DI -149 AL FONDO: Una strettoia immette direttamente nel P64+P14+P4+P13+P16+ P18+P9+P10+P6, P6 (arrampicabile), fessura “terminale” (-309).

Storia delle esplorazioni Esplorata fra il 20 marzo 1966 e il 28 aprile 1968 dal CSR (V. Sbordoni, G. Trovato, F. Pedone, A. Fiorentini, P. De Robert, F. Sclavo) in varie punte. Fra settembre e novembre ‘80 un numeroso gruppo di speleologi dello SCR (in particolare M. Mecchia, O. Armeni, C. Meucci) e del GS CAI Roma (F. Notari) ha proseguito la risalita a -140 m iniziata dal CSR durante le prime esplorazioni. Nel 1995-96 è stato realizzato un nuovo periodo di esplorazioni ad opera del CSR (S. Gambari, L. Latella, M. e F. Di Bernardo, M. Monteleone, M. Buttinelli), con V. Grassi e L. Grassi (GS CAI Roma) e Anna Pedicone Cioffi (SCR). La Buca del Pungitopo è stata trovata ed esplorata il 9 e 16 gennaio 2000 da Maria Grazia Lobba, F. e S. Nozzoli (GSG).

Bibliografia ASTORRI & MARZOLLA, 1968; DOLCI, 1967; MECCHIA M., 1980; MECCHIA M. & MECCHIA G., 1983; MONTELEONE, 1995a; SBORDONI & PEDONE, 1968; TROVATO, 1968a.

Abisso della Poiana 216

Dati catastali 1430 La - comune: Supino (FR) - località: poco sotto la cresta orientale di Monte Gemma - quota: 1295 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°44’21”5 (13°11’29”9) - 41°35’21”0 carta CTR 1:10000: 401 030 Patrica - coordinate: 2.369.280 4.605.820 dislivello: -166 m - sviluppo planimetrico: 50 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada a destra che sale a Fonte Serena e termina dopo quasi 9 km con un piazzale posto all’inizio di Pian della Croce, dove si lascia la macchina. Dal piazzale si attraversata la piana dirigendosi verso le pendici del Monte Salerio. Si sale nel bosco fino ad intercettare un sentiero segnato con vernice rossa, che sale verso sinistra, e che raggiunge la cresta. Arrivati in cresta, si prosegue in salita verso sinistra, raggiungendo la vetta di Monte Gemma, riconoscibile per una grande croce. Si scende quindi una stretta e ripida cresta lungo il versante sud per 150 m di dislivello; la cresta diventa quindi meno ripida, e dopo un centinaio di metri si apre l’ingresso, posto a pochi metri dalla stretta cresta rocciosa (circa 1 ora e 30 minuti di cammino).

Descrizione (di Francesco Nozzoli) L’ingresso della cavità è un cunicolo inclinato (diametro 50 cm) dal fondo terroso, interessato da una sensibile corrente d’aria in uscita nel periodo invernale. Mezzo metro sotto l’ingresso si incontra una strettoia, superata la quale, si accede al primo pozzo, profondo 13 m, alla base del quale (punto 3), uno stretto mandrino si getta nel secondo pozzo, di 25 m. Questo pozzo, impostato su una frattura orientata NW-SE, si presenta subito piuttosto

ampio; il fondo del pozzo è completamente occluso da un accumulo di massi, mentre la prosecuzione si trova una decina di metri sopra il fondo, in una piccola “finestra” (punto 6) soffiante nella parete SW. Superata la stretta “finestrella”, un saltino di 5 m porta alla base di un fuso parallelo al P25. In questa saletta, proseguendo sempre nella stessa direzione, si incontra un’altra “finestrella” (punto 7), che dà accesso al pozzo successivo, profondo 11 m. Alla base del P11, parte un meandro lungo una decina di metri che, dopo una brusca curva a destra in corrispondenza di uno slargo caratterizzato da una pozzetta di fango, sprofonda (punto 11) in un P8. In questo pozzo, la grotta sembra assumere dimensioni maggiori, tanto che la sua base (punto 12) si guadagna il nome di “il posto figo”; da qui in rapida sequenza, con due pozzi (7 e 20 m) si accede ad un ambiente piuttosto grande in cui la grotta si biforca (punto 16). In direzione NW, parte (punto 17) un ampio pozzo profondo 20 m, di cui si nota un’interessante possibile prosecuzione ascendente; alla base del P20, grandi blocchi sono ammassati all’imbocco di un pozzo successivo, in fessura (orientata NE-SW). Il pozzo in fessura, profondo 20 m, presenta, 8 m sotto la sua partenza, una cengia inclinata risalendo la quale, in direzione NE, si accede ad un pozzo parallelo più ampio. Entrambi i pozzi (piuttosto bagnati) si uniscono in un meandro, inclinato in direzione SW, che in breve diviene inaccessibile (notata corrente d’aria). Se dalla sopraccitata biforcazione (punto 16) si prosegue in direzione SE, si percorre un’alta galleria che segue la pendenza degli strati, si scendono due saltini nella galleria (7 e 5 m) e si giunge alla base (punto 25) di un fuso cilindrico molto grande. Sempre nella stessa direzione, attraversata la sala che costituisce la base dell’alto fuso, si imbocca un meandro; dopo pochi metri di progressione a mezza altezza, è necessario scendere alla base del meandro, caratterizzata da un piccolo rivolo d’acqua. Il meandro ed il rivolo si perdono poi in una minuscola fessura (punto 27), mentre la prosecuzione si trova 1 m più in alto a destra (punto 28) ed è caratterizzata da una strettoia che permette l’accesso ad una stanzetta e successivamente ad un lungo cunicolo che si getta (punto 30) in un ampio pozzo profondo 26 m. Dalla base del pozzo (punto 31) parte un largo meandro in discesa percorso dal ruscelletto, che si perde in una stretta fessura. Il pozzo successivo (7 m) si imbocca, invece, salendo un gradino alto 1,5 m. Subito dopo si giunge (punto 33) ad un P15, sul cui fondo una strettoia dà accesso ad un piccolo vano molto fangoso (punto 37); da tale piccolo ambiente, proseguendo nella direzione di arrivo si supera una strettoia che porta ad un successivo P5 che chiude in fessura (punto 39, fondo, -166). Se dal piccolo vano fangoso (punto 37) si imbocca un cunicolo diretto verso NW, si accede alla base (punto 38) di un grande fuso, che è stato risalito per 15 m senza trovare prosecuzioni percorribili.

Stato dell’ambiente La grotta è stata scoperta nel 2000 e il numero complessivo di visitatori probabilmente non è ancora superiore a qualche decina. Ad eccezione di modesti lavori di disostruzione per il necessario allargamento di alcuni passaggi, la grotta è integra.

Note tecniche P13, P25 (si scendono solo 15 m, poi si entra nella “finestrella”), P5, “finestrella”, P11, P8, P7+P20, biforcazione. Ramo per il fondo (galleria in discesa): P7, P5, strettoia, P26, si sale un gradino, P15, P5, fessura “terminale” (-166).

Storia delle esplorazioni Esplorata fra marzo e giugno 2000 da F. Nozzoli e D. Dalmiglio (GSG), M. Barbati, A. Zambardino, F. Rossi e Lucilla Lustri (SCR).

Bibliografia BARBATI & NOZZOLI F., 2001; NOZZOLI F., 2000.


Pozzo Dodarè Dati catastali altro nome: Pozzo VI di Monte Gemma 308 La - comune: Supino (FR) - località: poco sotto la cresta orientale di Monte Gemma - quota: 1276 m carta IGM 1:25000: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°44’23”4 (13°11’31”8) 41°35’19”9 carta CTR 1:10000: 401 030 Patrica - coordinate: 2.369.310 - 4.605.780 dislivello: -68 m

Itinerario Da Supino si prende la strada che porta a Fonte Pisciarello e quindi, ad un bivio, la strada che sale a Fonte Serena. La strada finisce dopo quasi 9 km con un piazzale posto all’inizio di Pian della Croce, dove si lascia la macchina. Dal piazzale si attraversata la piana dirigendosi verso le pendici del Monte Salerio. Si sale nel bosco fino ad intercettare un sentiero segnato con vernice rossa, che sale verso sinistra, e che raggiunge la cresta. Arrivati in cresta, si prosegue in salita verso sinistra, raggiungendo la vetta di Monte Gemma, riconoscibile per una grande croce. Si scende quindi una stretta e ripida cresta lungo il versante sud per 150 m di dislivello; la cresta diventa quindi meno ripida, e dopo un centinaio di metri si raggiunge l’Abisso della Poiana, a pochi metri dalla stretta cresta rocciosa. Procedendo per 60 m in direzione SE si raggiunge l’imbocco del pozzo, di difficile ubicazione, a causa della presenza di altri imbocchi nella zona (circa 1 ora e 30 minuti di cammino).

Descrizione

Bibliografia

Il pozzo ha una imboccatura ampia 1,5x3 m e profondità di 68 m; è impostato su due fratture, con sezione irregolare che nella parte iniziale è ampia 3x1 m. Gli strati sono inclinati di 50° verso SW. Le pareti scendono verticali per 30 m, poi si attraversa un tratto a colatoio largo 60 cm, e a -40 il pozzo si riallarga. A 10-15 m dal fondo il pozzo interseca un fuso minore. La base dei due fusi misura 8x2-3 m, è allungata in direzione NW-SE ed è divisa in due parti da un diaframma roccioso. La base del fuso principale è coperta di detrito e in leggera discesa. Sulla parete opposta al fuso minore, 3 m sopra la base del pozzo, si apre una “finestrella” facilmente raggiungibile, dalla quale spira un alito d’aria; al di là si vede uno stretto cunicolo che prosegue per almeno 2-3 m in basso e probabilmente anche in alto.

DOLCI, 1967; MANISCALCO, 1963; MECCHIA G. & PIRO, 1993; PIRO, 1991; TROVATO, 1968a.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata nel 1962, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. L’ambiente è integro.

Note tecniche Pozzo unico profondo 68 m (corda 80 m).

Storia delle esplorazioni Trovato e parzialmente sceso il 21 ottobre 1962 dallo SCR (G. Stampacchia, Locascio, L. Marchetti, M. Monaci, G. Saiza, T. Triolo). L’esplorazione è stata terminata il 9 dicembre 1962 durante una uscita di corso (Lila Matarazzo, G. Pasquini, G. Stampacchia e gli allievi G. Contivecchi, Olivia Monesi, T. Sacchi Ladispoto).

Grotta dei Folignati Dati catastali 1132 La - comune: Maenza (LT) - località: Versante sud Monte Gemma - quota: 1120 m carta IGM 1:25000: IGM: 159 IV NE Carpineto Romano - coordinate: 0°44’34”3 (13°11’42”7) 41°35’12”4 carta CTR 1:10000: 401 030 Patrica - coordinate: 2.369.560 - 4.605.550 dislivello: circa +20/-3 m - sviluppo planimetrico: 220 m (160 rilevati)

Itinerario Al bivio del km 34,500 della SS 609 Carpinetana, che da Priverno porta a Carpineto Romano, si prosegue verso destra (indicazione per Monte Acuto) fino ad arrivare ad un grande fontanile (circa 7 km). Si lascia la macchina e si risale a piedi la strada sterrata che con forte pendenza sale il versante sud di Monte Gemma per circa 50 m, poi si prende a sinistra un sentiero largo e ben tracciato, nel bosco, che con lieve pendenza e numerosi tornanti risale il versante fino a superare uno sperone poco fuori dal bosco. Quindi si taglia a destra (verso Est) in quota, superando un fosso. La grotta si apre circa 20 m oltre il fosso (1 ora di cammino).

Descrizione L’ingresso, alto 30 cm e largo 50 cm, è un foro fra gli strati (inclinati di 25° verso SSW) che si apre alla base di una paretina di 2 m. Il foro dà accesso ad una galleria in leggera salita, con il fondo coperto da detriti e massi di crollo, che inizialmente si allarga fino a circa 10 m con un ambiente laterale (alto 2 m), per stringere subito dopo abbassandosi fino a circa 1 m; la galleria (tratto A-C) è lunga circa 80 m ed ha andamento tortuoso. Poco dopo l’ingresso, una piccola diramazione sulla destra chiude in fessura. Ogni tanto si riesce a notare, sul pavimento della galleria, il vecchio solco del torrente; nella parte centrale la volta si abbassa e la morfologia del condotto testimonia la presenza di un tratto un 217 tempo sifonante. Questa galleria, che si percorre quasi tutta carponi, e sembra essere attraversata occasionalmente dall’acqua, termina (punto C) con uno scivolo seguito da un salto per complessivi 5 m; sopra lo scivolo la grotta si allarga in una sala circolare con stalattiti, mentre alla base dello scivolo si trova un punto di assorbimento non percorribile che costituisce il punto di quota più bassa della grotta (punto D, -3), al quale arrivano due condotti percorsi da torrentelli perenni ma di modesta portata. L’affluente di sinistra proviene da un cunicolo basso (circa 1x1 m), lungo 60 m, con il fondo a vaschette; in questo cunicolo bisogna quasi sempre strisciare nell’acqua. Dopo pochi metri si nota che l’aria arriva da due punti, uno dei quali intransitabile. Si notano depositi di fango ad una certa altezza sulle pareti. Si passano alcune strettoie e si arriva ad una saletta (punto G) dove il meandro continua a 2 m di altezza, inesplorato. L’affluente di destra proviene da una fessura larga al massimo 50 cm, nella quale si procede strisciando nell’unico livello transitabile, a metà altezza. L’affluente è stato percorso per una ventina di metri, disostruendo alcune strettoie, fino ad una saletta con laghetto formata da un pozzo-cascata (punto E) alto circa 6 m. Da qui in avanti manca il rilievo. Risalita la cascata, alla sommità della quale si deve superare una strettoia, si prosegue in una piccola galleria che dopo una decina di metri si abbassa formando una seconda strettoia (“della mazzetta GSF”), all’uscita della quale si può proseguire sia a destra che a sinistra. Verso destra si percorre un meandro alto (2-3 m) e stretto, che dopo un breve giro ritorna sopra il pozzo-cascata. Verso sinistra, dopo 5 m di meandro si arriva in una saletta di 5 m di diametro, si risale una cascatella di 5 m e si prosegue ancora nel meandro per qualche metro fino ad un nuovo bivio. A destra un breve condotto porta alla base di un pozzo, che è stato risalito per 10 m fino ad un restringimento impraticabile; verso sinistra il meandro termina dopo una decina di metri con una stretta fessura inesplorata, attraversata da una sensibile corrente d’aria. Nel periodo estivo dall’ingresso esce una forte corrente d’aria fredda, che si incontra lungo tutta la galleria principale e il ramo sinistro. D’inverno il verso della corrente si inverte.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1990, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Ad eccezione di modesti tentativi di scavo e delle tracce di calpestio degli speleologi la grotta non presenta segni di alterazione dello stato originario dell’ambiente.


Note tecniche Non è indispensabile l’attrezzatura, ma una corda lunga una decina di metri può essere utile nell’unico salto. Nei periodi di pioggia il ramo inferiore si allaga completamente.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1990 dal GSF (Annachiara Bartolini, Annapaola Bartolini, M. Bollati, P. Calamida e Rossana Metelli) fino a sopra la risalita di 6 m (strettoia della mazzetta GSF). Il ramo di sinistra è stato esplorato nel 1991-92 dallo SCR (G. Ceccarelli, A. Cerquetti, G. Mecchia e S. Re). Il 4 giugno 2000 Lucilla Lustri e M. Barbati (SCR) hanno superato la strettoia della mazzetta GSF e proseguito le esplorazioni. La risalita del pozzo da 10 m è stata compiuta nel 2000 da Barbati e F. Nozzoli (GSG) .

Bibliografia MECCHIA G., 1996; MECCHIA G. & PIRO, 1993; PIRO, 1991.

Grotta di Fontana le Mole Dati catastali altro nome: Risorgenza di Maenza 410 La - comune: Maenza (LT) - localitĂ : versante Sud di Monte Gemma - quota: 840 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°44’37â€? (13°11’45â€?4) - 41°34’59â€? carta CTR 1:10000: 401 030 Patrica - coordinate: 2.369.580 - 4.605.150 dislivello: +150 m - sviluppo planimetrico: 1160 m (rilevati 1030 m).

Itinerario Al bivio del km 34,500 della SS 609 Carpinetana, che da Priverno porta a Carpineto Romano, si prosegue verso destra (indicazione per Monte Acuto) fino ad arrivare ad un grande fontanile (circa 7 km). Si lascia la macchina e si risale a piedi la strada sterrata che con forte pendenza sale il versante sud di Monte Gemma e porta all’ingresso della grotta (15 minuti di cammino). Per l’accesso è necessario chiedere il permesso al Comune di Maenza; dato che la sorgente è captata per uso 218 potabile, tale permesso viene concesso soltanto per motivi di studio.

Descrizione La risorgenza è perenne; tuttavia nella stagione di magra le acque vengono interamente prelevate dall’acquedotto e quindi non si ha fuoriuscita dall’ingresso.

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RAMO DI “NORD-OVESTâ€? L’ingresso, modificato per i lavori di captazione, è alto 1,70 m e largo 1 m. Una porta metallica inclusa in una muratura chiude l’accesso. Nell’area di imbocco gli strati sono inclinati di 35-40° verso sud. Si accede ad una comoda galleria (in media alta 3 m e larga 2 m). Dopo 13 m, dal pavimento si dirama uno stretto cunicolo attivo, lungo una trentina di metri, che riporta all’esterno, uscendo con piccolo foro di 50 cm di diametro posto un paio di metri piĂš in basso dell’imbocco principale. Dopo un centinaio di metri di galleria quasi rettilinea, si arriva ad una curva ad “Sâ€? (punto 2); sul secondo gomito, a 2,5 m di altezza, parte una fessura alta 70 cm e larga 40, rettilinea per circa 30 m, quindi, dopo 2 curve con acqua sul fondo, la condotta termina con una strettoia. Dopo il secondo gomito, la galleria è interrotta da un salto di 6 m, che si risale in parte con una scala in ferro fissa. Al di sopra, la galleria continua con le caratteristiche precedenti al gomito (larga 1,5-2 m, alta da 2 a 5 m) e dopo una settantina di metri si arriva (punto 3) al “1° lago-sifoneâ€?. Fin qui la galleria è caratterizzata dalla presenza di diverse opere di presa e condutture che alimentano il locale acquedotto, attivo fin dal 1869 e da poco potenziato con una captazione diretta nelle acque del “1° sifoneâ€? (quota +30). Spesso si cammina sulla conduttura, che corre sul pavimento della galleria. Il “1° sifoneâ€? è lungo 100 m, ha una larghezza di 1-2,5 m, altezza compresa fra 0,6 e 1,5 m, profonditĂ di 5,2 m, acqua limpida, due campane d’aria all’inizio, due punti bassi. Il sifone “sbucaâ€? in aria (punto 4) in una galleria molto concrezionata e comoda (4x3 m), poi si supera un punto piĂš basso e piĂš avanti ancora la galleria diventa piĂš grande fino ad un vasto ambiente: la sala “Maenzaâ€? (punto 8, pianta ampia 20x15 m, altezza della volta 10 m, quota +43). Si tratta di una sala di crollo localizzata all’intersezione tra le due principali direttrici tettoniche del sistema carsico (NW-SE e NE-SW). Al centro della sala, salendo sopra i massi di crollo, una ampia galleria punta dritta verso NE, mentre, proseguendo avanti, il ramo “di Nord-Ovestâ€? si restringe molto e (punto 9) sifona di nuovo (“2° sifoneâ€?). Il “2° sifoneâ€? è lungo 30 m, ha sezione ellittica con l’asse maggiore orizzontale (larghezza 1-2 m, altezza 0,6-1,2 m), è profondo 3 m (acqua torbida al ritorno). Superato il “2° sifoneâ€? la galleria si fa gradatamente piĂš ampia e, in corrispondenza di una frattura trasversale, si arriva alla base di un pozzo-cascata alto 30 m (pozzo “Ruggenteâ€?). Risalito il pozzo (in artificiale) la grotta cambia decisamente aspetto: ora la prosecuzione è un sinuoso meandro, stretto e alto 7-8 m, alla cui base scorre il torrente. Avanzando nella parte piĂš alta (e asciutta) del canyon si arriva ad un saltino oltre il quale il meandro si allarga fino a 4-5 m per poi essere interrotto da un paio di cascate (alte 8 e 10 m) facilmente aggirabili. PiĂš avanti il meandro termina in una condotta che si stringe e si abbassa sempre di piĂš fino a “finireâ€? in uno stretto sifone (“sifone temporaneoâ€?). Con un po’ di fortuna è possibile trovare, nella bella stagione, un palmo d’aria per passare senza bombole. Siamo a 650 m dall’ingresso e, oltre questo sifone, una forte corrente d’aria ci guida verso una galleria di interstrato che a sua volta conduce ad una bella sala. Proseguendo, un alto (15 m) meandro interrotto da due piccole cascate sfocia alla base di un grande pozzo (punto 18, +128) che, a 750 m dall’ingresso, per ora rappresenta il limite dell’esplorazione di questo ramo. RAMO “DI NORD-ESTâ€? Questo ramo inizia nella sala “Maenzaâ€?. Il suo contributo idrico al sistema è modesto, in ogni caso si hanno variazioni notevoli della portata solo in caso di forti piogge ed il drenaggio è molto rapido. E’ costituito da un susseguirsi di grandi gallerie di interstrato (larghezza 8 m e altezza 7 m) e meandri stretti e alti (larghezza 0,50 m e altezza 15 m) che dopo 250 m conducono alla base (+103, punto 28; da qui in avanti la grotta non è stata rilevata) di un pozzo con pianta a forma di “8â€?, il pozzo “Thorâ€?, che, risalito in artificiale, è risultato alto 35 m. Alla sommitĂ il pozzo intercetta un altro meandro che in breve conduce ad una verticale, salita per 15 m (quota circa +150), senza però raggiungerne la cima.

PiĂš avanti la galleria si allarga in una bella condotta forzata che dopo pochi metri sprofonda in un ulteriore sifone (“6° sifoneâ€?) ancora da esplorare. Lo sviluppo complessivo è di circa 30 m (non rilevati).

NOTE IDROLOGICHE (informazioni di Marco Milizia) Il periodo di magra della risorgenza coincide con la fine di settembre, quando la portata è di circa 2,5 l/s. La portata massima si verifica nel periodo invernale. In occasione di periodi piovosi particolarmente intensi sono state osservate piene impressionanti, una delle quali ha provocato lo scardinamento del cancello in ferro che chiude l’accesso della grotta. In tale circostanza, pur non essendo stata misurata la portata, è stato valutato in alcune centinaia di L/s il flusso che ha alimentato per parecchi giorni il torrente nel canalone, quasi perennemente in secca. Speleologi presenti in grotta durante un intenso evento piovoso, hanno assistito ad un improvviso e consistente aumento della portata, potendo calcolare in circa 2 ore il tempo di risposta del flusso ipogeo all’evento piovoso.

Stato dell’ambiente La risorgenza è nota “da sempreâ€?. Il primo tratto, lungo 80 m e facilmente accessibile, era ben noto da lungo tempo, e nel 1869 vi fu realizzata la captazione delle acque. L’ingresso, oggi chiuso da un cancello, e la galleria fino al 1° sifone sono stati modificati durante i lavori di costruzione dell’acquedotto, e lungo il percorso si incontrano resti di opere di captazione e una condotta metallica ancora in uso. A partire dal 1989 gli speleosub hanno esplorato l’esteso sistema sotterraneo che si trova al di lĂ del 1° sifone (date le difficoltĂ esplorative il numero delle visite è stato fino ad oggi assai ridotto). Nella zona interna la grotta è praticamente integra.

Note tecniche Per percorrere il tratto precedente al primo sifone non sono necessarie attrezzature. Il passaggio dei sifoni richiede l’impiego di attrezzatura speleosubacquea. Nel tratto oltre il sifone, sono necessari gli attrezzi per risalire i pozzi (P30 “Ruggenteâ€?, P8+10 “le Cascateâ€?, nel ramo di “Nord-Ovestâ€?), armati con corde fisse ormai molto vecchie. In caso di piena è pericoloso anche il primo tratto.

Storia delle esplorazioni I primi 80 m della grotta, facilmente accessibili, erano conosciuti da sempre. Il comune di Maenza nel 1869 costruÏ un acquedotto per portare l’acqua al paese, realizzando opere di captazione nella grotta e chiudendola con una porta in ferro. Nei primi anni ’60 lo SCR risalÏ il salto da 6 m e raggiunse il primo sifone. Le esplorazioni subacquee sono interamente opera degli speleosubacquei del SSF (Annachiara Bartolini, M. Bollati, A. Dolci, G. Gambelli, A. Russo e G. Toni): nell’ottobre 1989 hanno superato il primo sifone ed esplorato il ramo di Nord-Est, nel luglio ’90 hanno superato il secondo sifone e nel febbraio ’91 hanno risalito il pozzo Ruggente arrivando al pozzo Speranza.

Bibliografia BOLLATI, 1994; BOLLATI & BAR TOLINI, 1991; DOLCI, 1968a; FILECCIA, 1996; MANISCALCO, 1963; MECCHIA G. & PIRO, 1993; MILIZIA, 1990; PIRO, 1991.

RAMO “DEL 3° SIFONEâ€? Inizia (punto 12) dal ramo “di Nord-Ovestâ€?, 55 m oltre il “2° sifoneâ€?, e costituisce l’unico apporto idrico costante anche in periodi siccitosi. Il ramo ha uno sviluppo di circa 100 m (non rilevati) dei quali 50 in un sifone (“3° sifoneâ€?) che ha larghezza variabile da 1 a 13 m e altezza compresa fra 0,5 e 1 m; la profondità è di 3,5 m (acqua torbida al ritorno, sifone basso). Il ramo termina con un ulteriore sifone (“4° sifoneâ€?), ancora da esplorare. RAMO “DEL 5° SIFONEâ€? Inizia (punto 13) nel ramo “di Nord-Ovestâ€?, 115 m a monte del “2° sifoneâ€?, fornisce un modestissimo apporto idrico ed è costituito da una bassa galleria interrotta da un breve sifone (“5° sifoneâ€?). Il “5° sifoneâ€? è lungo 3-4 m e largo 1,2 m (sifone facile, in caso di siccitĂ diventa un’ardita volta bagnata).

Grotta di Fontana le Mole: sala “Maenza� (foto M. Bollati)


219


Abisso Alien 3 Dati catastali 1340 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Ponte Retara - quota: 550 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°41’02”9 (13°08’11”3) - 41°34’17”0 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.364.630 - 4.603.950 dislivello: -175 m; sviluppo planimetrico: 280 m

Note tecniche P10 d’ingresso, P6+P24, sala “Lidenbrock”, P14, (-60), il “Sassone” (salto di 2 m), finestra+P3 (arrampicabile), il “Saliscendi”, P9 (imbocco stretto), P17 con imbocco in stretta fessura (“Passaggio Sneffel”), P15, (-108), P4 con la base allagata, condotta tubolare semi-allagata (“Speleonautilus”), P17, P30, “fessura terminale” (-175).

Storia delle esplorazioni Esplorata dall’ottobre 1988 all’ottobre 1995 dagli SR (P. Festa, S. e M. Ottalevi, S. Continenza, M. Strani, M. Spinelli, E. Centioli ed altri).

Itinerario

Bibliografia

Da Carpineto Romano si prende la strada per Maenza. Al km 29 si lascia la macchina dopo il 3° tornante, prima del Ponte Retara. La grotta si trova a 25 m dalla strada dentro il secondo cancello, partendo dal tornante, sotto il vecchio capanno per gli attrezzi che si vede oltre il cancello, alla base di un pinnacolo. Per accedere alla grotta, che si apre in terreno privato recintato, è opportuno chiedere il permesso al proprietario.

FESTA, 1995; FESTA, 2001.

Descrizione (di Pierriccardo Festa) La grotta inizia con un pozzo profondo 10 m, con imbocco a fessura di dimensioni 1x0,4 m. Dopo alcuni metri il pozzo si allarga consentendo una discesa agevole. Presso l’imbocco gli strati immergono di 20° verso 60°. Dalla base del salto, un breve passaggio stretto e un saltino di 2 m (da scendere in arrampicata) conducono ad un ambiente più largo. Da qui si scende un salto di 6 m seguito immediatamente da un pozzo profondo 24 m, che immette in una grande sala (“Lidenbrock”). Arrivati sul fondo (punto B), un’apertura fangosa a scivolo immette nel successivo P14, spesso bagnato e con stillicidio. Si atterra in una pozza d’acqua poco profonda. Si continua in discesa in un comodo meandro, largo da 1 a 3 m, si supera il “Sassone” con un salto di 2 m (lasciando a destra una vecchia corda che risale portando a piccoli ambienti) e si arriva in fondo al meandro; si svolta a sinistra e si sale fino ad una “finestra” dalla quale ci si affaccia su un nuovo meandro ad una altezza di 3 m. Si scende arrampicando sul pelo dell’acqua di un basso laghetto, lo si supera e con un “Saliscendi” di 5 m si supera un grosso masso che ostruisce il meandro. Si è ora in ambienti molto concrezionati dove alcune possibilità di risalita conducono a finestre 220 che affacciano su una stessa saletta. Si prosegue nel “Canyon” in un percorso non sempre ovvio, con alcuni passaggi stretti, fino ad un pozzo (P9) che inizia stretto ed in basso porta ad ambienti larghi (3-5 m) e alti (3-4 m). L’acqua si infiltra in una stretta forra nel pavimento, mentre per proseguire è necessario risalire brevemente fino a raggiungere una stretta fessura nel pavimento (“Passaggio Sneffel”), che rappresenta uno dei maggiori ostacoli all’esplorazione. Scesi 5-6 m, la fessura si allarga in un bel pozzo (complessivamente di 17 m), dalle pareti bianche, al cui fondo si atterra in un laghetto. Proseguendo nel canyon, un’altra apertura nel pavimento permette la discesa di un bel pozzo a campana (P15). Sul fondo, si lascia a destra un breve ramo laterale (ramo “delle Pisoliti”) e si prosegue nel meandro, si scende un P4, fino ad una saletta completamente allagata (è necessario indossare la muta prima della discesa, per il passaggio della condotta successiva). Dalla saletta, una piccola parte dell’acqua segue il percorso della condotta, mentre il resto prosegue per vie inaccessibili. La condotta “Speleonautilus” è un tubo semi-allagato di 50 cm di diametro nella roccia viva, lungo una decina di metri. Alla fine si entra in un ambiente particolarmente grande, la sala “Gemella dell’Arco Sospeso”, formata da due fusi separati da un arco naturale, con un arrivo d’acqua. Si prosegue in un meandro abbastanza comodo fino ad entrare lateralmente in un bel pozzo di 17 m. Dalla sala “Axel”, alla base del pozzo, si prosegue in un meandro con forte stillicidio. Si arriva ad una strettoia selettiva che immette in un pozzo profondo 30 m, sul cui fondo (sala “Saknussem”) si può proseguire per un meandro che in breve diviene impraticabile (-175), mentre l’acqua prosegue il suo viaggio.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1988, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. A parte alcuni lavori di disostruzione eseguiti per consentire il passaggio nei punti stretti, la grotta è integra.

Grotta di Fontana le Mole: il primo sifone (foto M. Bollati)


Pozzo delle Bombe Dati catastali altri nomi: Ouso della Retara; Ouso d’Andrea 381 La - comune: Carpineto Romano (RM) - località: Ponte Retara - quota: 540 m carta IGM 1:25000: 159 IV SE Roccagorga - coordinate: 0°41’08”3 (13°08’16”7) - 41°34’14”6 carta CTR 1:10000: 401 020 Monte Semprevisa - coordinate: 2.364.750 - 4.603.870 dislivello: -70 m; sviluppo planimetrico: 90 m

l’esplorazione del primo pozzo, dovette desistere a causa delle bombe sparse sul fondo della grotta. La settimana successiva L. Caviola, Felici e F. Stampacchia proseguirono l’esplorazione fin sopra l’ultimo pozzo. L’esplorazione venne conclusa l’11 novembre da Felici, G. Saiza e Maria Antonietta Sinibaldi.

Bibliografia DOLCI, 1968a; FELICI, 1978a; MANISCALCO, 1963; SPELEO CLUB ROMA, 1964.

Itinerario Da Carpineto Romano si prende la strada per Maenza. Al km 29 si lascia la macchina presso il Ponte Retara. Dal ponte si scende sulla destra orografica, per sentiero, fino alle sottostanti capanne; si procede oltre, traversando in diagonale un frutteto e scendendo verso una serie di punte rocciose carsificate; la fessura d’ingresso si apre ai piedi di un pinnacolo alto 2 m (meno di 10 minuti di cammino).

Descrizione (da FELICI, 1978a) L’ingresso è una fessura molto stretta (25x60 cm), che generalmente i pastori ostruiscono con due o tre massi. Presso l’imbocco gli strati immergono di 20° verso 60°. Attraverso lo stretto pertugio iniziale si accede ad un primo pozzo di 15 m, impostato su una frattura orientata circa NW-SE. Segue una serie di saltini franosi per complessivi 9 m di profondità (“2° pozzo”); superato un brusco abbassamento della volta, la cavità continua in fessura con un salto di 3 m (“3° pozzo”), fino ad un trivio (con due diramazioni fangose e cieche, in risalita). Il condotto principale cambia bruscamente direzione e scende, con una successione di altri due pozzi (15 e 18 m). Al fondo si trova una piccola sala, dal cui pavimento la galleria, a fessura molto stretta, si dirige in direzione E-W: il ramo a ovest è in salita e quasi subito impercorribile, mentre il ramo ad est è percorribile in discesa per una ventina di metri, fino ad una strettoia (punto 10, “fondo”, -70). Sempre sul fondo della saletta, a circa 3 m di altezza, si dirama un’altra fenditura in lieve salita, parallela al ramo superiore dei pozzi 4° e 5°. Dal 4° pozzo in avanti, la volta non è definibile (fessure altissime con restringimento progressivo). La cavità non risulta attiva fin oltre il 3° pozzo. Si trovano piccole pozze d’acqua sopra il 4° pozzo e un rivolo tra il 4° e il 5° pozzo. Il pavimento è coperto d’acqua sotto il 5° pozzo e la fessura terminale è allagata. Tutti i rami laterali ascendenti sono asciutti.

Stato dell’ambiente La cavità, scoperta nel 1962, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Caratteristica di questa grotta, comune a diverse cavità a sviluppo verticale, è la presenza di materiale bellico inesploso; nel corso dell’ultima guerra l’ambiente sotterraneo fu infatti percepito come luogo sicuro per sbarazzarsi di un materiale così pericoloso. Nel Pozzo delle Bombe gli ordigni inesplosi si rinvengono in vari punti del pozzo d’ingresso e sul pavimento.

Note tecniche All’ingresso P15 con imbocco in fessura stretta, P9 con gradoni franosi, P3, P15, P18, P3, fessura “terminale” (-70). E’ importante fare attenzione alle bombe inesplose, presenti in vari punti della grotta.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1962 dallo SCR. Il 7 ottobre solo Alberta Felici riuscì ad entrare a causa delle ridotte dimensioni dell’imbocco, ma, dopo

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IL MONTE CACCUME E IL MONTE SISERNO

Grotta degli Ausi: Ramo di Sinistra (foto G. Mecchia)

222

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 159 Frosinone 1 = Risorgenza la Rologa 2 = Pozzo l’Arcaro 3 = Grotta degli Ausi coordinate riquadro: angolo NW = 0°45’ - 41°36’ angolo SE = 0°57’ - 41°28’

Risorgenza la Rologa Dati catastali 279 La - comune: Giuliano di Roma (FR)- località: Rologa - quota: 525 m carta IGM 1:25000: 159 I SO Giuliano di Roma - coordinate: 0°47’25”0 (13°14’33”4) - 41°33’44”5 carta CTR 1:10000: 401 030 Patrica - coordinate: 2.373.480 4.602.760 dislivello: +14 m - sviluppo planimetrico: circa 600 m (rilevato: 320 m) Area protetta di riferimento: SIC IT6050021 “Monte Caccume”

Itinerario Al km 14 della S.S. 156 dei Monti Lepini, che va da Frosinone a Latina, si esce al bivio per Giuliano di Roma; si prende subito a destra, poi, prima di attraversare il ponte, a sinistra per Patrica (mancano indicazioni). Si segue la strada per circa 3,5 km fino ad un bivio con una strada bianca in forte salita; quindi si segue quest’ultima per 1,1 km fino ad una piccola cava, dove si lascia la macchina. Subito dopo la cava si prende a sinistra la strada in forte salita con fondo in cemento, che poi si trasforma in mulattiera, e la

si segue fino ad affacciarsi sulla valle. Si risale quindi la cresta seguendo sempre la mulattiera; ad un bivio si prende a sinistra un evidente sentiero che, scendendo dolcemente, costeggia un versante della valle, poi passa sul versante opposto in leggera salita. Lo si segue fino ad arrivare ad un fontanile, sopra il quale si apre la grotta (40 minuti di cammino).

Descrizione E’ una risorgenza perenne; il corso d’acqua che percorre la grotta in periodo di magra ha una portata di un paio di litri al secondo. L’imbocco, un portale largo circa 4 m e alto 2 m dal pelo dell’acqua, sbarrato in basso da una piccola diga, immette in una galleria che inizialmente, per i primi 100 m (tratto A-B), è occupata da un lago perenne profondo fino a 2 m. In questo tratto la galleria ha sezione ad “U” rovesciata ed è alta fino a 3 m dalla superficie dell’acqua. Superato il lago, la galleria prosegue in leggera salita e assume una sezione a forra, alta fino a 10 m e con il fondo scavato nella roccia viva e percorso da un torrente. Si percorrono complessivamente altri 300 m nella galleria ad andamento meandreggiante, con pareti lisce, con scallops e con un crostone di concrezione che copre a tratti il piano di calpestio. A 240 m dall’ingresso (punto C) confluisce una breve galleria da sinistra, dalla quale proviene una colata calcitica. In un tratto successivo il corso d’acqua ha abbandonato la galleria principale scavando un breve condotto laterale non transitabile. Proseguendo nella galleria principale, dopo un piccolo scivolo di 1,5 m in salita si sbuca in una sala circolare di 7 m di diametro (punto D) occupata da un lago poco profondo; l’acqua proviene con una cascatella da una galleria posta a 4 m di altezza. Risalita la parete, si percorrono ancora 20 m di galleria a forra con acqua sul fondo, quindi lateralmente si apre una

sala di crollo con un lago-sifone (da qui in poi manca il rilievo). Il sifone è stato percorso da uno speleosub e risulta lungo 180 m, con una profondità massima di 7 m. La galleria sommersa procede con andamento tortuoso mantenendo un diametro costante di circa 3 m; sul fondo si trova un deposito di fango compatto che, facendo attenzione nella progressione, non viene sollevato dai subacquei. Si riemerge in una galleria con sezione alta da 1 a 1,5 m e larga 3 m, con depositi di fango sulle pareti, molto inclinate e scivolose, e 10-20 cm d’acqua sul fondo. Questa galleria è stata percorsa per un centinaio di metri senza raggiungerne la fine (informazioni sul sifone di Claudio Giudici).

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre” ai pastori che, decenni or sono, hanno realizzato in corrispondenza dell’imbocco un basso sbarramento finalizzato alla regolazione dell’afflusso dell’acqua al fontanile, costruito immediatamente davanti all’antro di ingresso. La presenza di questa diga ha dato origine al lago iniziale, che altrimenti non sarebbe esistito. Le esplorazioni speleologiche del 1953 hanno portato alla conoscenza dell’intera galleria subaerea, lungo la quale non sono da segnalare altre significative alterazioni. Recentemente le immersioni speleosubacquee hanno rivelato un nuovo tratto interamente sommerso dove, ovviamente, permangono integralmente le condizioni originarie.

Note tecniche Per superare il primo lago è comodo il canotto, in alternativa si può utilizzare la muta. In fondo alla galleria si risalgono 4 m (necessaria la corda). L’immersione nel sifone è, evidentemente, riservato agli speleosub.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 25 aprile 1953 dal CSR (L. Zileri, F. Di Guisa e E. Pietromarchi) fino al sifone. Il 13 gennaio 1964 Massimo Monaci (SCR) effettuò un tentativo di esplorazione subacquea che fallì dopo una quindicina di metri. Lo SCR nel

Risorgenza la Rologa: la galleria alla fine del lago (foto A. Cerquetti)


maggio-luglio 1988 (principalmente Andrea Felici, G. Mecchia, M. Mecchia, Marina Nuzzi, Maria Piro, G. Polletti, G. Sterbini) ha ripreso le esplorazioni cercando di svuotare il sifone: con tubi rigidi di 10 cm di diametro è stato abbassato il livello dell’acqua di circa 5 m, riuscendo ad esplorare una cinquantina di metri fino ad un ulteriore sifonamento. Il 26 gennaio 1992 C. Giudici (SCR) ha superato il sifone con le bombole. Il 24 agosto 1996 Giudici ha superato nuovamente il sifone con le bombole ed iniziato l’esplorazione della galleria.

Bibliografia DOLCI, 1967; FILECCIA, 1996; GIUDICI E RUSSO, 1993; MANISCALCO, 1963; SPELEO CLUB ROMA, 1964; STERBINI, 1989a; TROVATO, 1969.

Pozzo l’Arcaro Dati catastali altri nomi: Grotta di Collealto; Grotta di Ceccano 340 La - comune: Ceccano (FR) - località: Colle Pesci - quota ingresso inferiore: 345 m carta IGM 1:25000: 159 I SO Giuliano di Roma - coordinate ingresso inferiore: 0°50’48”3 (13°17’56”4) - 41°33’01”2 carta CTR 1:10000: 401 040 Ceccano Ovest - coordinate ingresso inferiore: 2.378.140 - 4.601.230 dislivello dall’ingresso superiore: -52 m - sviluppo planimetrico: 340 m

Itinerario Da Ceccano si raggiunge la Badia dei Padri Passionisti (circa 4 km); da qui si prende la strada a destra (via S. Paolo della Croce), e la si segue svoltando a destra ai due bivi successivi; ad un terzo bivio, dopo 1,7 km, si svolta a sinistra in via di Fontana del Gatto; dopo 1,4 km, costeggiati dei capannoni, ad un incrocio si prende la strada sterrata a destra che termina dopo 100 m presso una fontana, dove si lascia la macchina. Si imbocca la traccia di sentiero che parte sopra la fontana e risale i prati verso la montagna, raggiungendo dopo una cinquantina di metri uno sperone alla cui base si trova una captazione. Si entra in un groviglio di erbe alte e rovi dove il sentiero si intuisce, e dopo una cinquantina di metri si sbuca in una mulattiera che costeggia la base del Monte Siserno. Si prosegue verso destra (NW); la mulattiera ormai in disuso è in molti tratti completamente invasa da rovi. Dopo un centinaio di metri si arriva ad una recinzione: la si costeggia per 180 m tenendosi sempre sulla mulattiera. La grotta si trova alla base di una paretina sulla sinistra, ad una ventina di metri dalla recinzione (20 minuti di cammino).

Descrizione (di Pierriccardo Festa) L’ingresso inferiore (punto A’), impostato su una frattura subverticale orientata N-S, è alla base di una parete alta una decina di metri; in basso la frattura si allarga in un antro a sezione triangolare, alto 2 m e largo 1,8 m alla base. Una breve galleria (5 m), forse artificiale, porta ad un foro (alto 1 m e largo 70 cm) sulla parete interna della grotta, che, con un salto di 6 m, si affaccia in una spaccatura. Una forte corrente d’aria attraversa l’ingresso. La spaccatura, come tutta la grotta, si sviluppa lungo fratture parallele orientate N40°W e immergenti di 75° verso NE. Gli strati immergono di 20° verso SW. Verso l’alto la spaccatura è in comunicazione con l’esterno (P19, ingresso naturale, punto A). Sceso il salto di 6 m, si atterra nei pressi della sommità di uno scivolo detritico nella spaccatura, che qui è larga un paio di metri. Risalendo si raggiunge dopo una ventina di metri il termine della galleria. Scendendo, invece, il ripido pendio, dopo una ventina di metri si trova un primo bivio (punto B): a sinistra si può proseguire verso il vecchio fondo senza l’ausilio della corda, a destra è consigliabile il suo uso su un salto di 7 m. Continuando il percorso di sinistra, si raggiunge il fondo dello scivolo dopo una ventina di metri (punto C). Qui si imbocca sulla destra un basso cunicolo in salita, che dopo una decina di metri porta in una saletta con cristalli (punto M). La saletta è impostata su una frattura parallela a quella dello scivolo, ed è raggiungibile anche scendendo il pozzetto da 7 m precedentemente nominato. Dalla saletta si prosegue verso SE, scendendo un pozzo profondo 8 m. Dalla base (punto L) si prosegue per una serie di saliscendi lunga una cinquantina di metri (“fondo vecchio”, -52). Da qui (punto I) con una risalita di 15 m si arriva nei “rami nuovi superiori”. Ancora una risalita di 6 m porta alla sala “delle Allieve” (punto E). Per arrivare nello stesso

posto si può, nella galleria d’ingresso (punto C), risalire la spaccatura per 4 m, quindi con una seconda risalita di 14 m ed una lunga ed esposta traversata verso sinistra, si raggiunge la sommità di uno stretto P20 (punto D). Sceso il pozzo si percorre un tratto di meandro lungo una trentina di metri, e ci si trova alla base della risalita da 6 m. Dalla sala “delle Allieve” si può proseguire per il ramo “di Brass” (Punto H) lungo 60 m (molto belle una saletta ed alcune concrezioni laterali), oppure salire verso la sala “delle Radici”. Per quest’ultimo itinerario si passa attraverso uno stretto pertugio verticale, raggiungendo una sala che comunica in basso con quella “delle Allieve”. Ancora una risalita di 11 m porta alla sala “delle Radici” (alla stessa quota dell’ingresso superiore) e da qui nella diaclasi laterale (“Piano 2° Superiore”; punto G); scendendo in quest’ultima (P13) si possono osservare belle formazioni calcitiche sia sotto forma di cristalli che di altre concrezioni (particolarmente interessanti sono le stalattiti e le stalagmiti non in asse, che sembrano indicare un dinamismo in atto nella cavità).

Risalita 15 (dal punto I), Risalita 6, sala “delle Allieve”, Risalita 11, sala “delle Radici”, P13, saletta del punto G.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 27 settembre 1952 dal CSR fino al vecchio fondo. Dal 1991 gli SR (P. Festa, L. Ciocca, Patricia Amodeo, M. Ottalevi, Sandra De Martinis, M. Strani, T. Bernabei) con una serie di risalite hanno esplorato i rami nuovi superiori.

Bibliografia AGOSTINI, 1980; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1973b; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1974; CERRUTI, 1954; DOLCI, 1967; FESTA, 1997.

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre” e, con la sua relativa facilità di accesso, è stata probabilmente frequentata nel passato. Lo scivolo d’ingresso è cosparso di rifiuti anche ingombranti. Più all’interno, nella saletta “dei Cristalli”, sono state asportate molte stalattiti e stalagmiti i cui monconi si rinvengono ancora in posto. La scoperta, nel 1991, di nuovi rami di difficile raggiungimento, ha permesso di conoscere una zona nuova che conserva ancora intatti i caratteri originari.

Note tecniche DALL’INGRESSO INFERIORE AL “FONDO VECCHIO”: P6 d’ingresso, P8, “vecchio fondo” (-37).

RAMI SUPERIORI:

Grotta degli Ausi Dati catastali comune: Prossedi (LT) - località: Colle Fornaro carta IGM 1:25000: 159 I SO Giuliano di Roma carta CTR 1:10000: 401 080 Giuliano di Roma GROTTA DEGLI AUSI (342 La) - quota: 55 m coordinate 1:25.000: 0°49’19”2 (13°16’27”6) - 41°30’33”3 coordinate 1:10.000: 2.375.980 - 4.596.790

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Grotta degli Ausi: il ramo di destra (foto E. Cappa)

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Pozzo l’Arcaro: galleria interna (foto A. Cerquetti) 7 -ADONNA DEGLI !NGELI

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Itinerario Al km 21 della S.S. 156 dei Monti Lepini, che va da Frosinone a Latina, si esce al bivio per Pisterzo. Percorsi un paio di chilometri, appena prima di imboccare il ponte sul fiume Amaseno si prende una strada bianca a sinistra e la si segue per 1 km, superando un torrente e fermandosi vicino al ponte su un secondo torrente, dove si lascia la macchina. Per la risorgenza si costeggia a piedi il torrente, fino a raggiungere l’ingresso della grotta (5 minuti di cammino).


Per gli inghiottitoi si prosegue sulla strada bianca per altri 400 m, superando una ripida salita; quindi si taglia attraverso i campi in direzione Nord per 350 m, fino all’evidente dolina che inghiotte tutte le acque della valle chiusa. All’interno della dolina si trovano gli ingressi dei due inghiottitoi (20 minuti di cammino).

Descrizione Il complesso delle grotte di Colle Fornaro è un traforo idrogeologico costituito da due inghiottitoi (uno dei quali attivo) e una risorgenza, percorso da un torrente perenne che dall’inghiottitoio affluisce al ramo destro della grotta, ed esce a giorno 28 m più in basso, ad una distanza di 250 m in linea d’aria, andando infine a confluire nel Fiume Amaseno. Gli inghiottitoi 1° e 2° di Colle Fornaro si aprono in un grande bacino chiuso posto alla sommità di un rilievo a valle del paese di Villa Santo Stefano. Il bacino di raccolta delle acque è di circa 8 km2. L’alimentazione idrica delle grotte è dovuta in gran parte all’acqua raccolta in questo bacino chiuso; tuttavia è probabile l’esistenza di altri apporti idrici interni alla grotta. La risorgenza (Grotta degli Ausi), costituita da due rami che confluiscono pochi metri prima dell’uscita, si apre dalla parte opposta dello stesso rilievo, lungo un gradino morfologico originato da una faglia N-S trasversale al fondovalle. Per la visita è consigliabile l’entrata dalla risorgenza. Nel seguito sono descritti separatamente tre itinerari.

DAGLI INGHIOTTITOI AL RAMO “DEL LAGO” L’acqua raccolta dal bacino chiuso di Colle Fornaro arriva sul fondo di una grande dolina fra massi di crollo e sparisce dopo alcuni metri in una stretta fessura discendente (Inghiottitoio 2° di Colle Fornaro); non è conveniente utilizzare questo ingresso. A 50 m di distanza dall’inghiottitoio attivo, alla base di una gradino alto un paio di metri, si apre l’inghiottitoio fossile (Inghiottitoio 1° di Colle Fornaro), costituito da una spaccatura larga 1 m. Dopo uno scivolo fangoso ed un pozzetto di 9 m, si intercetta (punto F) una galleria a forra con uno scorrimento idrico normalmente assente, dato che l’acqua utilizza questo percorso principalmente in caso di piena. Procedendo verso SE, superata una frana che funziona da spartiacque ed uno pseudosifone, si incontra di nuovo l’acqua dell’imbocco attivo, che poco dopo si infila in una serie di strette diaclasi, che chiudono in fessure impraticabili (punto J) dopo un percorso di un centinaio di metri dall’Inghiottitoio 1°. Dalla base del P9 (punto F) la galleria a forra prosegue verso NW e dopo una ventina di metri si arriva ad una sala allagata; due stretti pseudosifoni, nei quali bisogna strisciare con l’acqua fino al collo, permettono di entrare in un lago (ramo “del Lago”, punto D). DALLA RISORGENZA AL RAMO “DEL LAGO” L’ingresso della risorgenza (Grotta degli Ausi) è un antro largo 2 m ed alto 8 m, preceduto da un gradino roccioso alto un paio di metri lungo il quale scorre una cascatella che si getta in un profondo laghetto. A 3 m dall’ingresso un foro rettangolare nella volta di 0,8x1,5 m sbuca all’esterno nel costone roccioso. A 10 m dall’ingresso si arriva ad un bivio fra due grandi gallerie: da destra arriva il corso d’acqua più importante; a sinistra parte una galleria raramente attiva. Il “Ramo Sinistro” d’estate è privo di scorrimento, ma il fondo è occupato per tutta la sua larghezza da laghetti profondi anche 1 m e da grandi vaschette concrezionali. La galleria, larga generalmente circa 1,5 m ed alta da 3 a 7 m, ha un andamento a meandri con sezioni a forra. Il primo tratto ha come tetto una superficie di strato, ed è solo scarsamente concrezionato. Dopo 40 m una faglia determina un cambiamento di direzione della galleria; da questo punto in poi le concrezioni sono abbondanti, spesso con colorazione rossastra. A 340 m dal bivio (punto B), si può proseguire in basso o risalire un facile saltino di 3 m. Proseguendo in basso si percorre il ramo “del Fango”, lungo 130 m, percorso dall’acqua e occupato da depositi fangosi. Il condotto inizialmente ha

una sezione piuttosto bassa, poi prosegue con un’ampia galleria (larga oltre 2 m e alta fino a 5 m) che termina in una sala dalla volta molto alta. Il ramo chiude con un passaggio basso da cui saltuariamente emerge un torrentello (punto C). Risalendo il saltino del punto B si percorre invece il ramo “del Lago”, che prosegue per 170 m fino allo pseudosifone (punto D), che costituisce il passaggio verso gli inghiottitoi di Colle Fornaro. La galleria è larga un paio di metri ed alta fino a 3-4 m, in parte occupata da un lungo lago. Immediatamente prima dello “pseudosifone”, sulla sinistra, si nota un ramo affluente in forte salita e fangoso (verso il punto E).

DALLA RISORGENZA LUNGO IL RAMO DESTRO Il ramo destro è lungo 530 m (dal bivio alla cascata, punto L) ed è percorso interamente da un torrente perenne. Inizia con una galleria larga 2 m ed alta 4 m. Il torrente scorre in leggera pendenza su roccia viva molto levigata e forma piccole rapide; vi sono depositi di sabbia e ghiaia con ciottoli arrotondati di varia natura, sia calcarei che vulcanici. Dopo circa 40 m la galleria si allarga, mentre il soffitto si abbassa fino a 2 m ed è completamente concrezionato. Questo tratto di galleria ha un andamento quasi rettilineo, il fondo diventa pianeggiante e coperto da spessi depositi di argilla. A 160 m dal bivio (punto K) la galleria assume un andamento a meandri molto marcati, con la sezione quasi costantemente a forra; la larghezza raggiunge i 3 m e l’altezza varia da 3 a oltre 5 m. La parte attiva termina dopo circa 300 m con un laghetto piuttosto profondo alla base di una piccola cascata (punto L), dalla quale ha origine il torrente; l’acqua della cascata proviene da fessure impraticabili sicuramente collegate alle strettoie terminali dell’inghiottitoio attivo (punto J), distanti solo una quarantina di metri. Al di là del laghetto partono due gallerie fossili (verso i punti N e M) con depositi fangosi sul fondo, che si estendono complessivamente per 110 m; il ramo di destra (punto M) chiude in frana.

Stato dell’ambiente La risorgenza è nota “da sempre”; le visite speleologiche, iniziate nel 1953, hanno determinato una numerosa frequentazione della cavità. Il torrente sotterraneo risulta a volte visibilmente inquinato da schiume che si accumulano nelle strette fessure a monte dell’inghiottitoio attivo. Di conseguenza l’ambiente, pur presentando i tipici elementi estetici di interesse attesi da una grotta, nei periodi di scarico più accentuato vede diminuito il piacere della visita.

Note tecniche Dalla Risorgenza degli Ausi, per inoltrarsi nel “Ramo Destro” bastano un paio di stivali (passando i numerosi laghetti nei punti meno profondi), mentre il laghetto terminale si può aggirare con una traversata in arrampicata, ma solo se la cascata è in magra, altrimenti, come per tutto il “Ramo Sinistro”, occorre la muta. L’inghiottitoio fossile (Inghiottitoio 1° di Colle Fornaro) presenta un pozzetto iniziale di 9 m da attrezzare con corda; dalla base in poi occorre la muta, e per effettuare la traversata completa si devono superare due strettoie semi-allagate. Una delle due si può bypassare tramite uno stretto passaggio in alto. Nei periodi di pioggia è impossibile compiere la traversata.

Storia delle esplorazioni I tre imbocchi delle grotta erano conosciuti da molto tempo, ma come cavità distinte: la risorgenza è stata esplorata il 1 aprile 1953 dal CSR (L. Zileri, A. Osti, G.A. Bizzarri, E. Pietromarchi); i due inghiottitoi sovrastanti sono stati scoperti ed esplorati il 17 luglio 1977 ancora dal CSR (L. Nizi, L.W.S., J. Viglietti, S. Mattias, A. Trotta). Il collegamento fra l’inghiottitoio principale e la risorgenza è stato realizzato da L. Grassi e P. Pineschi (GS CAI Roma) il 19 giugno 1988.

Bibliografia ARDITO F., 1988; CERRUTI, 1954; DOLCI, 1967; GOBETTI, 1991; MANISCALCO, 1963; MECCHIA G. & PIRO, 1989c; MECCHIA M., 2000; NOTARI, 1987; PIRO & MECCHIA G., 1990.

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(legenda a pag. 86)


I Monti Ausoni sono separati dai Monti Lepini, a Nord, tramite la valle dell’Amaseno; il bordo Ovest s’immerge sotto la Pianura Pontina mentre a Sud il massiccio arriva a toccare la costa tirrenica con la falesia di Terracina, poi il bordo del massiccio prosegue costeggiando la Piana di Fondi. Il limite orientale, dalla zona di Falvaterra che si affaccia nella Valle Latina, passa lungo una linea convenzionale che separa i Monti Aurunci; il confine fra i due gruppi, alquanto incerto, è individuato nella serie di depressioni che si snodano tra Pastena e Campodimele, attraversate da faglie orientate N-S. I Monti Ausoni sono interamente rappresentati da affioramenti carbonatici del Mesozoico che coprono un’estensione di circa 440 km2. Quest’area è stata suddivisa in tre Sotto-Zone: orientale, Nord-occidentale e Sud-occidentale. La faglia trascorrente orientata N-S che taglia la catena fra Castro dei Volsci e Fondi divide la Sotto-Zona orientale da quelle occidentali. Il fenomeno carsico ipogeo è ben sviluppato, con 175 grotte conosciute e fra queste alcune di grande estensione.

I MONTI AUSONI NORD-OCCIDENTALI Corrispondono al bacino idrografico dell’alto Amaseno compreso fra i paesi di Amaseno, Roccasecca dei Volsci e Sonnino, fino all’ingresso nella Pianura Pontina. Dalla Piana di Amaseno verso Sud il versante sale gradualmente di quota e il reticolo idrografico si ramifica, formando un grande anfiteatro che raggiunge lo spartiacque idrologico sulla linea di cresta che collega M. Alto (823 m), M. delle Fate (1090 m) e M. Calvo (1038 m), racchiudendo alcune depressioni e campi chiusi quali Campo Lucerna, Campolungo e Campo d’Aceto. Alla base del versante, nella piana, si trovano numerose sorgenti, una delle quali, Capo d’Acqua, emerge da un condotto carsico esplorato in immersione per uno sviluppo di 197 m. All’interno dell’anfiteatro del bacino dell’Amaseno, alcune centinaia di metri più in alto della piana, si trovano alcune interessanti risorgenze carsiche (Grotta di San Benedetto, sviluppo 450 m; Risorgenza di Fontana di Burano, sviluppo 187 m; Grotta di Fontana Longana, sviluppo 35 m) e numerosi pozzi, i più importanti dei quali sono il Pozzo Colvento (-70), la Chiavica 1a Senza Fondo (-82) e la Ciauca della Lontra (-54). Nei pressi del Pozzo Colvento si trovano anche diversi pozzi minori, e fra questi la Chiavica 2a di Monte Rotondo (-32) e, non lontano, la Chiavica 2a della Costa di Monte Alto (-40). Scesi nel piano di Lucerna si rinviene la chiavica omonima (-35). A Ovest della cresta di M. Alto scende la valle di Rio Carpineto; in alto sul versante si trovano il Pozzo Colardella o dei Marocchini (-32) e vicino il Pozzo della Ciauca (-34). Poco più a Sud si stendono i campi carsici del Piano della Selva e del Piano San Salvatore, separati dal Colle Innamorato, sul quale si apre la chiavica omonima (-31). Scendendo dai piani carsici verso Ovest si entra nella valle del Rio Sassa, piccolo affluente del T. Amaseno; su questo versante si apre la Chiavica delle Camminate (-31). Risalendo dal fondovalle, si supera una sella raggiungendo la grande voragine del Catauso di Sonnino (-136, sviluppo 310 m) nella quale scompare il Fosso del Carpano. Deflusso sotterraneo Numerose sorgenti alimentano il Torrente Amaseno lungo i bordi della piana alluvionale di Amaseno (gruppo Capo d’Acqua-Schiavone, q. 90 m, portata complessiva 650 L/s; BONI ET ALII, 1988). A Sud della piana, l’area di ricarica si estende almeno fino al piano di Lucerna, come ha dimostrato anche una prova di colorazione che ha accertato il collegamento fra uno degli inghiottitoi di Valle Lucerna e la Risorgenza di Capo d’Acqua d’Amaseno (TROVATO, 1973). Poche centinaia di metri a Sud del suddetto inghiottitoio e 2 km a SW della risorgenza, si apre Pozzo Colvento, che con tutta probabilità rientra nello stesso bacino idrogeologico (il dislivello fra l’imbocco del pozzo e la risorgenza è di quasi 500 m). All’interno del massiccio carbonatico, nell’anfiteatro calcareo compreso fra M. Alto, M. delle Fate e M. Calvo, sono presenti numerose sorgenti, localizzate in tre intervalli di quote: circa 620 m (Grotta di Fontana Longana), 500-518 m (sorgente Casa Altobelli, Grotta di S. Benedetto e Risorgenza di Fontana di Burano) e 328-350 m (Fontana delle Cutine e Fontana di Tartarosi). In realtà, le acque sotterranee che percorrono le grotte di Fontana di Burano e di San Benedetto riemergono dagli imbocchi delle cavità solo occasionalmente, mentre un flusso perenne sgorga da scaturigini impercorribili ubicate lungo il fosso, una cinquantina di metri più in basso rispetto agli imbocchi delle grotte. Le due risorgenze drenano aree molto localizzate, con condotti che si sviluppano sospesi molto al di sopra della falda basale, le cui quote piezometriche localmente sono inferiori a 100 m (BONI ET ALII, 1988). Ad una distanza di 4,5 km verso SSE dal gruppo sorgentizio Capo d’Acqua-Schiavone si trova la Chiavica 1a Senza Fondo. Questo settore dovrebbe però essere drenato dalle lontane sorgenti del gruppo Feronia (circa 17 km verso SW, q. 2 m, portata media 2600 L/s; CELICO, 1983), oppure il drenaggio potrebbe dirigersi dalla zona della grotta verso la Piana di Fondi (sorgenti di Villa S. Vito o di S. Magno, distanti 6,5-8 km, a quote di 18-20 m; BONI ET ALII, 1988). Per quanto riguarda il Catauso di Sonnino, le sue acque tornano alla luce forse alla sorgente Bagnoli (SEGRE, 1948a) (q. 23 m, portata media intorno ai 200 L/s) situata a 3,4 km in direzione WNW dall’ingresso dell’inghiottitoio, 47 m più in basso del suo fondo. Tuttavia è da segnalare che, nel

breve tratto conosciuto, la grotta si sviluppa complessivamente verso SE, andando, quindi, dalla parte opposta a quella della sorgente Bagnoli e all’inclinazione degli strati.

I MONTI AUSONI SUD-OCCIDENTALI In questo settore la dorsale di M. Giusto (676 m) si affaccia a picco sul mare, a Terracina. Un conoide di falda occupato da detrito separa la dorsale da un crinale parallelo situato a NW e dominato da M. Leano (676 m). Tutta l’area è sede di numerose grotte. Sulla dorsale che da M. Giusto arriva al mare si trovano, in particolare nel tratto che scende dal M. Croce, la Chiavica della Nebbia (-63), il Pozzo del Cimitero (-59) e la Grotta della Sabina (-75), descritte in questo libro. Oltre a queste, si possono ricordare alcune delle cavità minori, come il Pozzo di M. Giusto (-32), presso la cima omonima, e alcune grotte che si aprono ai piedi della montagna: la Grotta della Delibera (sviluppo 60 m, a Ovest della falesia del tempio di Giove Anxur), la Grotta di Val Marino (grande caverna di una cinquantina di metri di sviluppo, scavata nel banco di conglomerato addossato al versante calcareo a Est della falesia) e le grotte 1a e 2a di Torre del Pesce (30-40 m di sviluppo ciascuna, situate ai piedi del versante che poi raggiunge il Lago di Fondi). Sul pendio SE della dorsale parallela, di M. Leano, si trova la curiosa Grotta di San Silviano (-63) e, fra le numerose cavità minori, il Pozzo Pietre Strette (-45), situato lungo il versante che da M. Leano prosegue verso l’interno del massiccio. Nel settore più interno dei M. Ausoni Sud-occidentali, ai piedi di M. Romano (863 m), vaste aree ribassate rispetto alla catena principale sono occupate da piani carsici e valli chiuse, come Campo Soriano, Campo Cafolla e Campo dell’Ova, con splendidi paesaggi carsici, con doline e campi solcati; notevole è la “città di roccia” di Campo Soriano, il migliore esempio nel Lazio di questo tipo di morfologia carsica. In quest’area si trovano le verticali della Chiavica 1a (-110) e 2a (-120) di Zì Checca, oltre a numerose cavità minori, fra le quali ricordiamo il Pozzo delle Nottole (-37) e il Pozzo Stalingrado (-32). Deflusso sotterraneo Tutto il perimetro dei M. Ausoni Sud-occidentali è zona di emergenza delle acque del circuito carsico, distribuite sia lungo il bordo della Piana di Fondi sia in quello della Pianura Pontina. Sorgenti localizzate fra Terracina e il Lago di Fondi Nell’area di Terracina, alla base delle pareti che chiudono a SW il massiccio calcareo, entro pochi metri dalla costa, si trovano diversi gruppi di sorgenti (Acqua Minerale, Bunker, Torre Gregoriana, Baffone, e soprattutto Spiaggia Privata, Mola Bisleti, Mola di Stefano) a quote comprese fra il livello del mare e +2 m, con portata media complessiva di oltre 800 L/s e con salinità elevata; un’altra parte del deflusso termina direttamente in mare. Nel Lago di Fondi sono presenti sorgenti subacquee con portate medie di circa 2 m3/s (BONI ET ALII, 1988). Le grotte situate sui rilievi che sovrastano Terracina alimentano senz’altro qualcuna di queste sorgenti. Dalla Grotta della Sabina (q. fondo 60 m) le sorgenti subaeree si trovano a distanze comprese fra 200 e 600 m, mentre dalla Chiavica della Nebbia (fondo a q. 262 m) e dal pozzo del Cimitero (fondo a q. 106 m) distano circa 700 m. Sorgenti localizzate lungo il bordo con la Pianura Pontina Il fondo della Grotta di San Silviano, sul M. Leano si trova a q. 21 m, molto vicino alla falda, che probabilmente emerge dal gruppo di sorgenti Feronia-Mola III e IV, a distanza di 1-1,5 km verso S o SW (q. 2 m, con portata media complessiva 2600 L/s e mineralizzazione elevata; BONI ET ALII, 1988). Nell’entroterra del massiccio carbonatico, SEGRE (1948a) ha segnalato la via di drenaggio intercettata durante i lavori di scavo della galleria di Montorso, a q. 55 m e alla progressiva 3380 m da Sonnino, con portata variabile fra 7 e 22 L/s. La “sorgente” (captata) dista circa 2,7 km verso NNE dai pozzi Zì Checca (cioè dall’area Campo Soriano-Campo Cafolla); il dislivello fra il fondo della Chiavica 1a di Zì Checca e la sorgente è di circa 220 m. Comunque, sembra più probabile che il deflusso sotterraneo si diriga verso l’allineamento di sorgenti distribuite a quote comprese fra 14 e 2 m sul limite occidentale del massiccio calcareo (portata complessiva di oltre 3 m3/s dal gruppo sorgivo Ponticelli al gruppo Linea, BONI ET ALII, 1986); le distanze dalle grotte sono comprese fra 5 e 7 km in direzione Ovest o SW. MONTI AUSONI ORIENTALI Il Monte Calvilli (1116 m), cima principale del gruppo montuoso degli Ausoni, si innalza presso il bordo NE del massiccio, al culmine dei ripidi versanti che salgono dalla Valle Latina. Nel “blocco calcareo” di M. Calvilli-M. Caruso-M. Sant’Angelo si aprono due importanti pozzi: l’Abisso La Vettica (-360) e il Buco dell’Acero (-85); fra le grotte minori di quest’area si ricorda l’Ouso di Scrima Piana (-30). A Est del “blocco” di M. Calvilli si trova una fascia ininterrotta di ampie depressioni carsiche drenate da inghiottitoi: i bacini di Pastena, la conca endoreica di Lenola, il campo carsico di M. Appiolo, il bacino di Valle Fosca, il bacino di La Taverna a Nord di Campodimele e la Valle Chiusa di Campodimele. Fra gli inghiottitoi che drenano questi bacini chiusi, i più importanti, cioè quelli in cui le esplorazioni speleologiche si sono spinte più all’interno, sono la Grotta di Pastena (sviluppo 3427 m), interamente percorribile fino alla Risorgenza dell’Obbuco, e l’Inghiottitoio di Pozzavello (sviluppo 300 m). Fra le

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Grotta di Pastena: uno speleologo si sposta lungo una “teleferica” per superare un salto durante le esplorazioni del Ramo Attivo (foto archivio V. Castellani)

grotte minori, ricordiamo l’Inghiottitoio La Taverna (-29, nel quale si convogliano le acque del bacino omonimo), l’Abisso el Niño (pozzo profondo 54 m, situato presso la sommità di M. Lamia, sul bordo del bacino di Pastena) e la Chiavica Mancini (-30) presso Falvaterra. Infine, si può menzionare, lungo il “confine” con il settore occidentale dei M. Ausoni, nei pressi di Vallecorsa, il Pozzo Suddiano (-32).

Deflusso sotterraneo Il traforo idrogeologico Grotta di Pastena-Risorgenza dell’Obbuco raccoglie le acque del grande polje di Pastena e di altre conche endoreiche minori che lo circondano; la portata del torrente che esce dalla risorgenza appare sensibilmente maggiore di quella in entrata, ed è in media di 310 L/s, arrivando ad un massimo di 5 m3/s (CELICO, 1983; PASQUINI, 1963a). Il contiguo “blocco” calcareo di M. Calvilli è drenato da numerose sorgenti poste per lo più sul fronte di accavallamento a Nord, come la sorgente Monte (q. 142 m, portata media 30 L/s, BONI ET ALII, 1988) ubicata sotto il paese di Castro dei Volsci, e la Fontana del Fico, sotto M. Nero. Tuttavia, le acque che percorrono l’Abisso della Vettica si dirigono più probabilmente verso la Fontana dell’Acqua Bianca, a q. 150 m, 2,5 km a NNE della grotta, ai piedi del versante Nord di M. Caruso nella valle che lo separa da M. Nero; il dislivello fra il fondo della Vettica e la sorgente è di 175 m. Per quanto riguarda il sistema di campi chiusi del Pantano e di Pozzavello, sembra improbabile il deflusso ipotizzato da SEGRE (1948a) verso la Risorgenza dell’Arnale (q. 124 m), peraltro generalmente asciutta. La falda basale localmente dovrebbe trovarsi a quota inferiore a 100 m e recapitare il flusso verso due gruppi di sorgenti: Sette Cannelle-Fontana Nuova-Capo d’Acqua (q. 9 m, portata media 670 L/s) e Vitruvio-Botticella (q. 12 m, portata media 110 L/s; BONI ET ALII, 1988), distanti dalla grotta circa 5 km verso SW.


altro nome: Voragine Catausa 30 La - comune: Sonnino (LT) - localitĂ : Lagone - quota: 206 m carta IGM 1:25000: 159 II NO Roccasecca dei Volsci - coordinate: 0°47’55â€? (13°15’13â€?4) - 41°25’15â€? carta CTR 1:10000: 401 160 Monte Sparago - coordinate: 2.373.840 - 4.587.025 dislivello: -136 m - sviluppo planimetrico: 310 m

Cercando di evitare i rifiuti si avanza nel meandro, e dopo pochi metri si arriva sopra un salto profondo 10 m. Si prosegue fino ad una successione di tre saltini (3, 3 e 4 m) per scendere i quali è opportuna la corda. L’ultimo di questi si getta in una profonda pozza d’acqua, non aggirabile. Oltrepassata la pozza (punto 14) si trova un bivio, che dĂ luogo alla diffluenza del corso d’acqua. La galleria di destra si sviluppa orizzontalmente per 40 m e, superato un lago, termina su un pozzo profondo 36 m. Dalla base del pozzo, la grotta inverte la direzione e termina poco dopo con un lago (“fondoâ€?, -136). Dal bivio (punto 14), la galleria di sinistra prosegue con una serie di saltini (4, 3 e 3 m) che portano su un pozzo di 13 m. Dalla base si raggiunge in breve il lago-sifone “terminaleâ€? di questo ramo (-129).

Itinerario

Stato dell’ambiente

I MONTI AUSONI NORD-OCCIDENTALI

Catauso di Sonnino Dati catastali

Appena entrati nel paese di Sonnino, si incontra un bivio con una statua della Madonna. Si prende la strada secondaria che scende a sinistra. Dopo 800 m, ad un incrocio con un crocefisso, si prosegue a destra. Dopo 400 m si arriva ad un nuovo bivio con una piccola statua della Madonna e si imbocca la strada di destra. Dopo 200 m si supera un poco evidente ponticello e si lascia la macchina. L’inghiottitoio raccoglie le acque che passano sotto il ponticello; l’ingresso è recintato e nascosto dalla vegetazione. Superato il recinto si scende nel fosso e dopo una cinquantina di metri si arriva alla voragine.

Descrizione

228 Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 159 Frosinone 1 = Catauso di Sonnino 2 = Pozzo Colvento 3 = Risorgenza di Capo d’Acqua 4 = Grotta di San Benedetto 5 = Risorgenza di Fontana Burano 6 = Chiavica 1a Senza Fondo 7 = Ciauca della Lontra

coordinate riquadro: angolo NW = 0°44’ - 41°30’ angolo SE = 0°57’ - 41°23’

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La grotta è l’inghiottitoio di un bacino chiuso esteso 19 km2. L’ingresso è un grande pozzo, con diametro di circa 8 m, nel quale si gettano due fossi, fra i quali si interpone un rilievo. Il fosso principale (quello del ponticello nominato nell’itinerario) proviene da ovest, l’altro da sud; la parete del pozzo di fronte allo sbocco dei fossi si alza per una decina di metri dal piano campagna. La stratificazione appare ben visibile, con orientazione N20°W e immersione circa 40°W. In corrispondenza del fosso che proviene da sud (secondario) il ciglio del pozzo è piĂš basso di 3 m. Dall’orlo del fosso principale (punto 1) il pozzo (“Abisso del Lagoneâ€?) è profondo 25 m fino ad un primo terrazzo (punto 2), prosegue poi con una serie di gradoni e infine con un salto di 7 m (complessivamente 40 m). L’ambiente è imponente, con vasche d’acqua, colate calcitiche, grandi tronchi incastrati fra le pareti. Alla base, ingombra di grandi massi arrotondati, la volta si abbassa fino a 5-8 m di altezza e la sala termina, con camini che risalgono nel buio, dai quali scendono belle colate calcitiche. Un saltino arrampicabile di 4 m introduce in un’ampia (3 m) galleria, subito interrotta da un pozzo profondo 18 m (“Abisso del Laghettoâ€?). Sopra il salto è ben visibile uno specchio di faglia orientato N50°W e immergente 55°SW, lungo il quale appare impostata la galleria. Alla base del P18 una grande vasca, quasi asciutta in estate, è aggirabile lungo la parete; la galleria prosegue alta e larga per una ventina di metri fino ad una curva (punto 7) con salto profondo 5 m. Alla base di questo salto si supera una profonda vasca arrampicando lungo la parete. Da qui inizia la galleria a meandri che caratterizza la parte profonda della grotta, alta in genere da 3 a 7 m, larga mediamente intorno a 1-1,5 m. Nel periodo estivo la corrente idrica è praticamente nulla, ma durante l’inverno l’inghiottitoio si attiva e durante le piene le acque lo percorrono violentissime, come testimoniano i tronchi incastrati anche ad altezze di una decina di metri sopra il fondo del meandro. Secondo SEGRE (1948 a), durante le piene invernali il Catauso è totalmente sommerso. Negli anni ’80 trovammo la scocca di una “cinquecentoâ€? sotto il pozzo d’ingresso; oggi la violenza delle acque l’ha frantumata e di tanto in tanto lungo il meandro se ne trova qualche pezzo. Finora abbiamo taciuto sull’ignobile stato di inquinamento presente nella grotta, e in particolare nel meandro, dove sui tronchi incastrati a diverse altezze si sono fermate montagne di rifiuti di ogni tipo: carcasse di vacche, lavatrici, tostapane, tubi, contenitori di plastica, bombole del gas e brandelli di rifiuti di origine ormai irriconoscibile che pendono dalle pareti.

L’imponente voragine di ingresso è ovviamente nota fin dai tempi piĂš remoti. Come giĂ ampiamente esposto nella descrizione, la grotta versa in uno stato di deplorevole degrado. L’espressione “lo vado a buttare nel Catausoâ€?, comune nel recente passato, spiega efficacemente la scarsa sensibilitĂ ambientale che ha portato nel tempo al degrado attuale della grotta. Negli ultimi anni la realizzazione di una recinzione intorno alla zona d’ingresso ha per lo meno limitato lo scarico diretto nella voragine. L’effetto degli eventi di piena, capaci di mobilitare oggetti di dimensioni molto rilevanti, è duplice: se da un lato è positivo per l’allontanamento delle sostanze inquinanti presenti in soluzione (inghiottite dall’esterno ed espulse dal sistema sotterraneo in tempi brevi) dall’altro il trasporto per rotolamento dei materiali di dimensioni maggiori ha come risultato il loro accumulo in condotti piĂš o meno interni alla grotta. Al termine dell’evento di piena, con il conseguente ritorno delle acque all’interno dell’alveo sotterraneo, molti materiali di origine sia naturale sia antropica rimangono incastrati a varie altezze sulle pareti e nelle fessure della galleria, alterando lo stato ambientale del percorso sotterraneo e diminuendo notevolmente il piacere della visita. Nonostante ciò a partire dal 1928, anno della prima discesa speleologica, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite.

Note tecniche Si entra dal P40 del fosso principale; la discesa è interrotta da un terrazzo a –25, poi si scendono i gradoni, anche senza corda, fino all’ultimo tratto verticale di 7 m (corda 60 m). P18 (corda 25 m), alla base si traversa la pozza d’acqua lungo la parete. P5 (corda 10 m), alla base si traversa una profonda pozza. P10 (corda 15 m). P3 (arrampicabile, eventuale corda 5 m). P3. P2, alla base si evita facilmente una pozza e si arriva sull’orlo del successivo P4 (corda unica 20 m). Biforcazione. Ramo di destra: P36, fondo (–136). Ramo di sinistra: P4, P3, P3, P13, fondo (–129).

Storia delle esplorazioni Rappresentata nelle carte di G. Astolfi fin dal 1765, è ricordata anche da altri autori (MAROCCO, CALINDRI, PALMIERI). Si narra che l’apertura del Catauso sia avvenuta in epoca storica, tanto che questo fatto viene ancora oggi tramandato. Le esplorazioni sono iniziate il 24 giugno 1928 e condotte dal CSR (C. Franchetti, E. Jannetta, Bertocci, F. Botti) senza però arrivare al fondo. Il 19 luglio 1931 C. Franchetti, C. Zileri dal Verme, A. Datti si fermarono sopra l’ultimo pozzo di entrambi i rami. L’8 giugno 1956 venne raggiunto il fondo ed effettuato il rilievo (E. Callori, Marcello Chimenti, De Cosa, M. Franchetti, G. Lepri, F. Pansecchi, L. Pietromarchi, E. Spicaglia, F. Schirò, G. Van den Steen).

Bibliografia ABBATE, 1894; ASTOLFI, 1765; CALINDRI, 1829; CELICO, 1983; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958a; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958b; DOLCI, 1965; MANCINI, 1997; MAROCCO, 1883; MECCHIA G. & PIRO, 1997b; MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, 1934; PALMIERI, 1863; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1951a; SEGRE, 1956.


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Catauso di Sonnino: lo speleologo si appresta a scendere il pozzo iniziale; è evidente il solco del torrente che entra nella grotta

(foto G. Pintus)

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Catauso di Sonnino: la discesa del P18 (foto P. Fanesi)

Catauso di Sonnino: un traverso nel meandro (foto

P. Fanesi) .7

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Pozzo Colvento

41°27’47”9 carta CTR 1:10000: 401 120 Pisterzo - coordinate: 2.377.960 – 4.591.670 dislivello: - 27 m - sviluppo planimetrico rilevato 197 m.

Dati catastali

Itinerario

259 La - comune: Amaseno (FR) - località: versante nord di Monte delle Salere - quota: 653 m carta IGM 1:25000: 159 II NO Roccasecca dei Volsci - coordinate: 0°49’39”2 (13°16’47”6) 41°27’04”5 carta CTR 1:10000: 401 120 Pisterzo - coordinate: 2.376.320 - 4.590.360 dislivello: - 70 m - sviluppo planimetrico 26 m.

Da Amaseno si seguono le indicazioni per Capo d’Acqua. La sorgente si trova a 20 m dalla strada, dietro i resti di vecchie opere di presa e di regolazione delle acque.

Itinerario Da Roccasecca dei Volsci si prende la strada panoramica che passa vicino al cimitero. Dopo 5 Km ad un bivio si svolta a sinistra, poi dopo 2,7 Km si scende a sinistra, attraversando Case Cipolla, per una strada che poco dopo diviene sterrata; e dopo 1 Km dal bivio si supera un fontanile, quindi si prosegue sul fondovalle per 1.6 Km, fino ad un nuovo bivio: si imbocca a destra una strada in salita e sconnessa. Si continua per 0,5 Km fino ad un bivio dove si lascia la macchina (quota circa 530 m). Si risale quindi il versante nord di Monte delle Salere, tagliando in diagonale attraverso campi terrazzati (direzione 180°) fino a raggiungere una casa abbandonata a quota 637 m. La grotta si trova nel bosco, sulla stessa dorsale della casa, recintato da filo spinato e nascosto tra gli alberi, a 120 m in direzione 220°, 16 m più in alto (20 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso del pozzo, profondo 64 m, è un imbuto di grandi dimensioni (5,5x 6,5 m), allungato lungo la frattura orientata N60°E. Il primo tratto, dall’ingresso fino al ripido scivolo detritico a –20 (punti 2-3), è illuminato dalla luce solare. Questo scivolo, lungo 5 m ed in forte pendenza, immette in una spaccatura alta 8 m che dà accesso ad una verticale di 45 m. In questo tratto il pozzo è molto ampio (dimensioni medie di 10x6 m). Sulle pareti sono in bella evidenza gli strati calcarei con spessori maggiori di 1 m, orientati N15°W con immersione 20°E. Due finestre a -38 e -54 sembrano immettere in un pozzo parallelo non esplorato. Il fondo del pozzo è una sala (in pianta 12x7 m) che ha come pavimento un piano fangoso parzialmente coperto da un conoide detritico. Dal fondo, tramite un breve e basso cunicolo (punto 6) impostato sulla stessa frattura del pozzo, si accede alla base di un fuso parallelo ampia 4x3 m; nel punto più basso (-70) una fessura scende impraticabile. Il pozzo (risalita “di Jacob”) è stato risalito per 35 m fino ad un piccolo condotto terminante in fessura. Le concrezioni sono limitate a crostoni sulle pareti. Lo stillicidio è scarso durante il periodo estivo.

Stato dell’ambiente Il pozzo, noto ai pastori ed esplorato dagli speleologi nel 1958, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Non si rinvengono rifiuti alla base del pozzo e la grotta appare integra.

Note tecniche Pozzo unico profondo 64 m (corda 85 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente il 26 aprile 1958 dal CSR (A. Angelucci, A. Assorgia, B. Camponeschi, Marcello Chimenti, G. Costa, G. Marzolla, F. Pansecchi, G. Pasquini, C. Premoli, F. Volpini). L’esplorazione è stata completata il 22 maggio 1960 dallo SCR (G. Pasquini, R. Trigila, R. Kraicsovits). Nel 1997 P. Festa e A. Bonucci (SR) hanno compiuto la risalita “di Jacob”.

Bibliografia CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO 1958D; DOLCI 1967; FESTA, 2000; MANISCALCO 1963; MECCHIA G. & PIRO, 1997b; PASQUINI, 1960c.

Risorgenza di Capo d’Acqua Dati catastali altro nome: Risorgenza di Casa Giudici 1279 La - comune: Amaseno - località: Capo d’Acqua - quota: 90 m carta IGM 1:25000: 159 II NO Roccasecca dei Volsci - coordinate: 0°50’48”8 (13°17’57”2) -

Descrizione (informazioni da Claudio Giudici, Edoardo Malatesta e Giorgio Caramanna) La risorgenza si trova nella piana del fiume Amaseno, ed è stata posta in relazione con gli inghiottitoi presenti in quota, a circa 500 m, nel campo chiuso di valle Lucerna. La grotta è allagata fin dall’ingresso, e quindi può essere percorsa solo in immersione con attrezzature subacquee. Le acque emergono da un laghetto alla base di una parete calcarea ed alimentano un torrente che confluisce nel Fiume Amaseno. Iniziata l’immersione, si trova un angusto passaggio a circa 3 m di profondità, fra la parete e il fondo ghiaioso del laghetto, che dà accesso alla galleria. Superato il diaframma di roccia, il soffitto si rialza e la galleria continua per 3-4 m con diametro di 3 m. Un gradino di un paio di metri scende in una sala larga 10 m e lunga 12-15 m, con il pavimento coperto di fango. Dalla sala inizia un breve condotto molto inclinato, che scende per pochi metri fino ad un passaggio basso (punto B). Superato il passaggio, si risale in una nuova condotta inclinata lunga una ventina di metri, e poco dopo si riemerge dall’acqua sotto la volta di una saletta, in una “bolla d’aria” (punto C). Si riprende quindi a scendere in una condotta fortemente inclinata con tratti verticali, fino

alla profondità di 27 m (punto D). In questo tratto gli ambienti sono larghi e le pareti sono ricoperte da scallops taglienti. Da qui si prosegue in un condotto piuttosto basso, lungo una ventina di metri, che sbuca in un tratto dalle caratteristiche diverse (punti E-G), caratterizzato da una successione di grandi ambienti di crollo con la volta molto alta (fino a 10 m). Non si rilevano evidenti prosecuzioni o diramazioni; soltanto un portale a metà del tratto E-F conduce ad un ramo laterale che chiude dopo circa 15 m. Dopo circa 80 m (punto G) nell’ultima sala si imbocca un bellissimo laminatoio-condotta, lungo una ventina di metri, oltre il quale (punto H) gli ambienti stringono troppo per consentire la prosecuzione; sul fondo sono presenti depositi argillosi con intercalazioni di sabbia fine scura. Sulle pareti del condotto, che sembra essere impostato su una faglia orientata E-W, si rinvengono lame e pilastri di roccia mentre dalla volta salgono alcuni camini. Il concrezionamento è assente, ad eccezione di una colata calcitica in un tratto asciutto di un camino verticale. La risorgenza è uno dei più importanti punti di emissione della falda idrica della piana dell’Amaseno. La portata media annua dell’intero gruppo sorgentizio dell’area di Capo d’Acqua è di 3 0,8 m /s. La temperatura dell’acqua, misurata nell’autunno 2001, era di 12-14°C.

Stato dell’ambiente La grotta subacquea, percorsa in immersione per la prima volta nel 1995, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente interno è integro. All’esterno sono presenti vasche e opere di canalizzazione delle acque non più in uso.

Note tecniche Sifone, da affrontare con attrezzatura speleosubacquea.

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Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente da C. Giudici e L. Russo nel 1995; l’esplorazione completa è stata realizzata fra luglio e settembre 2001 da E. Malatesta e M. Giordani, con il supporto di G. Caramanna, R. Malatesta, G. Spaziani, A. Sera, R. Donati, C. Bonuccelli.

Bibliografia CARAMANNA, 2003; CELICO, 1983; MALATESTA, 2002; MECCHIA G., 1996; MECCHIA G. & PIRO, 1997b; VIOLA, 1897; ZACCHEO, 1979.

Monti Ausoni nordoccidentali: il bacino chiuso di Campo San Salvatore a Roccasecca dei Volsci (foto G. Mecchia)

Grotta di San Benedetto: l’imbocco in periodo di piena (foto G. Mecchia)

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Grotta di San Benedetto Dati catastali 477 La - comune: Amaseno - località: San Benedetto - quota: 505 m carta IGM 1:25000: 159 II NO Roccasecca dei Volsci - coordinate: 0°49’49”5 (13°16’57”9) 41°26’17”2 carta CTR 1:10000: 401 160 Monte Sparago - coordinate: 2.376.530 - 4.588.900 dislivello: +20/-3 m - sviluppo planimetrico: 450 m

Itinerario Da Amaseno si prende la strada per San Benedetto, e dopo circa 5 km ad un bivio si svolta a destra (cartello indicatore per San Benedetto). Dopo altri 4,3 km ad un bivio si imbocca una strada sterrata a destra e la si percorre per un centinaio di metri fino ad uno spiazzo, dove si lascia la macchina. Si scende per tracce di sentiero a fianco di un fosso per una cinquantina di metri, finchè il fosso compie un salto che si deve aggirare. La grotta si apre alla base del salto (10 minuti di cammino).

l’acqua esce dall’ingresso e già il primo salto, dopo 14 m, è sifonante. Nel resto del periodo invernale la grotta sifona solo nel tratto più basso. L’accesso a tutti i tratti esplorati è possibile nei periodi di secca. Una sorgente perenne posta una cinquantina di metri più a valle presenta una portata che in regime di secca corrisponde all’incirca a quella del corso d’acqua che alimenta il laghetto posto alla quota più bassa nella grotta (punto G).

l’esplorazione fino a 200 m dall’ingresso. Infine, sette giorni più tardi, sempre lo SCR (R. Bellatreccia, A. Benassi, A.Cerquetti, G. Pintus) ha raggiunto il sifone terminale.

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; CONTI, 1973; MECCHIA G. & PIRO, 1997b; PARBONI, 1972.

Stato dell’ambiente Conosciuta “da sempre” dagli abitanti del luogo, viene utilizzata dai pastori per l’approvvigionamento idrico del fontanile tramite un tubo di plastica che si inoltra nella grotta fin nei pressi di un piccolo sifone perenne. Il primo ingresso di speleologi è segnalato nel 1969, mentre la parte più interna della cavità è stata esplorata solo nel 1994 ed è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. La grotta non presenta situazioni di degrado ambientale.

Risorgenza di Fontana di Burano Dati catastali

Le brevi verticali (P3, Risalita 3, Risalita 4) possono essere scese e salite senza corda. Per percorrere il tratto mediano è consigliabile l’uso della muta (il condotto è troppo stretto per il canotto).

602 La - comune: Amaseno - località: Fontana di Burano - quota: 510 m carta IGM 1:25000: 159 II NO Roccasecca dei Volsci - coordinate: 0°51’57”3 (13°19’05”7) 41°25’20”1 carta CTR 1:10000: 401 160 Monte Sparago - coordinate: 2.379.460 - 4.587.080 dislivello: -6 m - sviluppo planimetrico: 187 m

Descrizione

Storia delle esplorazioni

Itinerario

L’imbocco si trova a circa 1,5 m di altezza su una paretina di 5 m ed è un foro tondeggiante di 1 m di diametro. Il primo tratto di galleria è una condotta forzata di dimensioni costanti con diametro di circa 1,2 m, dall’andamento rettilineo verso sud per una decina di metri; sul pavimento e sulle pareti sono presenti scallops. La condotta è impostata sugli strati inclinati di 8° verso 70°. Successivamente, in corrispondenza di una evidente frattura, la grotta compie una curva a “S” riprendendo poi la direzione iniziale. La condotta è ora alta poco più di 1 m e larga un paio di metri. Dopo circa 5 m la galleria sprofonda in una marmitta circolare di 3 m di altezza (punto C). Da qui la grotta continua a dirigersi verso sud con una condotta quasi circolare, alta mediamente 1 m e larga 1,5-2 m, a saliscendi. Dopo aver percorso una settantina di metri si arriva ad un laghetto (punto G), che costituisce un sifone temporaneo, ed è altimetricamente il punto più basso della grotta (-3); in esso affluisce l’acqua che proviene dal ramo “a forra” della grotta e che viene smaltita dal fondo del laghetto stesso, alimentando probabilmente la sorgente a valle. Il pavimento della galleria prima e dopo il laghetto è ricoperto di microvaschette. Poco dopo la grotta cambia bruscamente direzione, da N-S a E-W. La galleria risale per circa 25 m, con la stessa morfologia; poi da sinistra (punto H) confluisce un piccolo laminatoio di circa 15 m, che presto diventa impraticabile. La galleria assume una sezione gravitazionale, alta 3 m e larga meno di 50 cm. Dopo circa 20 m, in un sifoncino perenne (punto J) si immerge il tubo proveniente dall’esterno; in regime di secca questo sifone alimenta il torrentello che scompare nel laghetto del punto G. Dopo altri 5 m si arriva in una sala di crollo sul cui soffitto corre un meandro di volta. Risalito un salto di 3 m (punto L), si riprende la galleria gravitazionale, più stretta (larghezza media 30 cm), alta circa 2,5 m. Percorsi una ventina di metri, a sinistra (punto M) una condotta forzata fossile di 50 cm di diametro porta, dopo 10 m, ad una saletta, base di due fusi, oltre la quale parte una fessura bassa e più stretta di quelle precedenti, che è stata percorsa per qualche metro. Riprendendo la galleria principale, dopo una ventina di metri si sbuca in una sala (punto P) lunga 5 m, larga 3 e alta 6, con la base occupata da un conoide di frana. Una frattura laterale larga in partenza 3 m e che salendo tende a stringersi fino a 30-40 cm è stata risalita per circa 8 m. Sulla bianca parete si nota la presenza di fango fresco. Superata la sala, la galleria gravitazionale continua con l’acqua alta 1,2 m a causa dello sbarramento causato dal conoide; è lunga circa 40 m, larga 80 cm e alta 3 m, meandriforme, con numerose curve a gomito, e sezione classica a forma di toppa. Dopo i primi 30 m si trova una saletta laterale più alta del fondo della galleria, con un camino. La galleria termina con una saletta allagata (punto Q); ad 1 m d’altezza parte un meandro stretto sulla cui volta a tratti si intravedono attraverso fessure ambienti non raggiungibili. Dopo 50 m si incontra una sala (punto R) larga 6x4 m e alta oltre 5 m, col fondo occupato da un laghetto e da una spiaggetta fangosa. Una risalita di 4 m dà accesso ad un ulteriore meandro gravitazionale, piuttosto stretto, lungo 15 m; a questo punto siamo alla confluenza con una condotta superiore che proviene dalla stessa direzione del meandro già percorso, è lunga circa 20 m, concrezionata, e chiude in frana (punto S). Alla confluenza si notano stalattiti eccentriche. Il meandro principale continua per 25 m, fino ad una saletta di crollo (punto T) da cui parte un camino. A sinistra due cunicoli portano ad un’altra piccola sala laterale e ad un breve tratto di galleria. Il meandro continua, inizialmente con pozze d’acqua sul fondo, inverte la sua direzione, e dopo 40 m (punto V) la direzione si inverte di nuovo, la galleria scende decisamente, e dopo 6 m si raggiunge la superficie di un lago-sifone (punto Z). Il sifone è stato ispezionato e sembra continuare con la stessa pendenza e le stesse dimensioni (circa 2 m di diametro). Le pareti di quasi tutta la grotta presentano una colorazione scura dovuta probabilmente ad ossidi di manganese; nell’ultimo tratto sono ricoperte da scallops. Nel periodo caldo (ottobre 1994) è stata notata una leggera corrente d’aria in uscita. Dal punto di vista idrologico la grotta funziona come condotta di troppo pieno. Durante le piene

Conosciuta da sempre dagli abitanti del luogo, in quanto sorgente temporanea. Venne esplorata speleologicamente il 9 dicembre 1969 dal CSR (N. Di Domenico, Gemma Gresele, F. Rusconi, A. Todisco, G. Trovato) per i primi 95 m, fino ad un sifone. Successivamente gli abitanti di San Benedetto hanno posato il tubo sopra citato, superando il limite dell’esplorazione del CSR e inoltrandosi fino a 150 m dall’ingresso. Il 2 ottobre 1994 lo SCR (E. Mazzieri, G. Mecchia e V. Ruggieri) ha proseguito

Da Amaseno si prende la strada per la frazione di Buranello, che si raggiunge dopo circa 7 km; passati in mezzo al paese, dopo 2 km di strada sterrata si arriva alla Fontana di Burano, dove si lascia la macchina. Da qui si vede in alto sulla destra, in mezzo al bosco, la parete in cui si apre la grotta. Per raggiungerla si può salire direttamente nell’alveo del torrente che passa a destra della fontana; dopo una ripida salita (50 m di dislivello) su un ghiaione (pericolosa per i massi instabili) si piega a

Note tecniche

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La piana di Amaseno: sullo sfondo a sinistra i Monti Lepini, a destra il Monte Siserno (foto G. Mecchia)

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destra seguendo un affluente del torrente principale, che esce dalla grotta. In alternativa si può prendere il sentiero che sale subito a sinistra della fontana e taglia diagonalmente il versante; lo si segue finchĂŠ non arriva ad una larga pista sassosa. La pista arriva dopo circa 50 m ad una traccia di sterrata impraticabile con le auto, fiancheggiata a monte da una paretina; la si segue verso destra, e quando finisce si continua su un sentiero in piano per circa 30 m, superando un ghiaione. La grotta si apre alla base dell’alta parete ben visibile di fronte, che si raggiunge seguendo l’alveo del torrente subito dopo il ghiaione (15 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso, alto 2 m e largo 1 m, parzialmente ostruito da un grosso masso, si apre alla base di una parete alta oltre 30 m. Superato il masso, uno scivolo di 4 m porta ad un sifone temporaneo (punto 2); al di lĂ di questo punto basso, si risale arrivando in un tratto di galleria piana lungo 10 m, il cui soffitto è un letto di strato; questa particolaritĂ si ritrova poi in quasi tutta la grotta. A metĂ della galleria (punto 3) si incontra un camino che stringe progressivamente. Si arriva quindi ad un saltino di 2 m, con le

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KM

pareti ricoperte da uno spesso deposito di fango, che da qui in poi occupa costantemente il fondo della galleria. Alla base del saltino si prosegue per una galleria piuttosto alta e non molto larga (mediamente meno di 1 m) con andamento meandreggiante; il fondo è fangoso, a tratti si trovano pozze d’acqua. Sceso il saltino e percorsi 25 m, si apre sulla destra (punto 4) un grande camino del diametro di circa 4 m, alto probabilmente oltre 10 m, con le pareti ricoperte da colate e crostoni di concrezione. La galleria conduce, con un andamento irregolare del fondo, ad un passaggio basso diviso in due da un pilastro, oltre il quale si percorre un tratto alto 1-1,5 m, quasi rettilineo, lungo circa 30 m, con il fondo piatto ricoperto da profonde vaschette (asciutte all’epoca dell’esplorazione, nell’ottobre 1994). Dal soffitto (letto di strato) partono numerose piccole stalattiti. In fondo a questo tratto rettilineo si arriva, con un saltino fangoso di 1,5 m (punto 6), ad un nuovo tratto di galleria a forra, alta almeno 3 m, col fondo fangoso e con pozze d’acqua. Dopo altri 40 m circa, superata una breve diramazione sulla destra (punto 7), uno scivolo sassoso di 5 m porta ad un lago (punto 9) che all’epoca dell’esplorazione era profondo 80 cm, mentre a volte costituisce la sommitĂ del sifone terminale. Attraversato il lago, si


scendono un nuovo scivolo ed un saltino di 3 m; dopo altri 5 m di galleria la volta si abbassa su un sifone col fondo ghiaioso (“fondo”, -6). Durante i periodi piovosi l’acqua può uscire dall’imbocco della grotta. Nei periodi di secca non è stato osservato scorrimento idrico in grotta. Non sono state notate correnti d’aria.

Stato dell’ambiente La risorgenza è conosciuta da sempre dagli abitanti del luogo, essendo utilizzata per approvvigionamento idrico; attualmente un tubo di plastica è steso fino nei pressi del lago “terminale”. La galleria interna, nota agli speleologi dal 1972, non presenta modificazioni antropiche se non modeste tracce di passaggio.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

alterazione morfologica conseguente ai lavori di disostruzione effettuati dagli speleologi alla partenza del P12.

Note tecniche P58 d’ingresso (corda 80 m), P5 (arrampicabile), strettoia che immette nel P12 (corda 25 m), fondo (-82).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 30 aprile 1972 dal CSR (P. Agnoletti, Battirelli, M. Di Rao, Gemma Gresele, F. Pansecchi, Piera, Properzi, Rambaldi, G. Trovato) fino alla strettoia, superata poi con un lungo lavoro di disostruzione il 17 giugno 1976, sempre dal CSR (L. Brogli, C. Castiglione, A. Fratoddi, R. Gambari, A. Mechelli, M. Monteleone, F. Rusconi, G. Rusconi e M. Zapparoli) che ha raggiunto il P12 finale.

Bibliografia GAMBARI, 1980b; MECCHIA G. & PIRO, 1997b; PANSECCHI & TROVATO, 1975.

Storia delle esplorazioni Conosciuta da sempre dagli abitanti del luogo , è stata esplorata speleologicamente per i primi 40 m il 23 aprile 1972: dal CSR (Gemma Gresele e G. Trovato); l’esplorazione è stata completata il 9 ottobre 1994 dallo SCR (C. N. EL Idrissi, S. Pianella, Maria Piro e B. Sgamma).

Ciauca della Lontra

Bibliografia MECCHIA G. & PIRO, 1997b; PANSECCHI & TROVATO, 1975.

Dati catastali

Chiavica 1a senza fondo

983 La - comune: Amaseno - località: Lontra - quota: 715 m carta IGM 1:25000: 159 II SE Fondi - coordinate: 0°54’06” (13°21’14”4) - 41°24’43” carta CTR 1:10000: 402 130 Vallecorsa - 2.382.450 - 4.585.880 dislivello: -54 m - sviluppo planimetrico: 12 m

Itinerario Dati catastali 603 La - comune: Amaseno - località: Burano - quota: 535 m carta IGM 1:25000: 159 II NE Vallecorsa - coordinate: 0°52’48”3 (13°19’56”7) - 41°25’28”0 carta CTR 1:10000: 401 160 Monte Sparago - coordinate: 2.380.650 - 4.587.300 dislivello: -82 m - sviluppo planimetrico: 29 m

Itinerario Da Amaseno si prende la strada per la frazione di Buranello; 300 m prima del paese, all’ultimo bivio presso una casa isolata, si svolta a sinistra in direzione Burano (mancano le indicazioni) e si lascia la macchina dopo 200 m presso una piccola cava sulla destra della strada. Di fronte alla cava parte un evidente sentiero che scende leggermente a mezza costa proseguendo nella stessa direzione della strada asfaltata. Dopo alcune centinaia di metri si giunge ad un fosso; il sentiero curva bruscamente a sinistra prendendo a salire moderatamente. Lo si segue ancora fino ad incontrare un basso muretto a secco che si deve seguire per 40 m lungo il lato a monte; quindi a destra si nota una radura su una larga cresta sassosa ascendente. Si risale la cresta per circa 100 m e, prima che ricominci la macchia, si volta a sinistra per tracce di sentiero percorrendo circa 200 m in quota; quindi si sale in diagonale verso destra, entrando nel bosco dove in breve si intercetta un sentiero, il più alto di quel versante, che sale a mezza costa tra gli alberi; ai vari bivi si deve seguire sempre la traccia più evidente. Dopo aver percorso 300/350 m nel bosco si giunge ad un piccolo spiazzo senza alberi. L’ingresso, un piccolo foro di 50 cm, si trova subito in basso a sinistra, a 2 m dal sentiero (30 minuti di cammino).

Descrizione La grotta si è originata lungo una frattura orientata N10°E ed inclinata di circa 80° verso est, che ne caratterizza la forma in tutto il suo sviluppo, sub-verticale e con sezioni orizzontali tipicamente allungate lungo la direzione della frattura. La roccia si presenta compatta in alti banchi calcarei. La grotta inizia con un pozzo profondo 58 m, il cui imbocco è un piccolo foro di 50 cm di diametro. Nei primi 30 m il pozzo ha un’ampiezza media di 8x4 m poi, dopo una ripida cengia (punto 3) e fino al fondo, si fa meno ampio. Alla base la fessura si stringe ulteriormente (punto 7). Si prosegue scendendo una breve e ripida china detritica a cui segue la prosecuzione verticale della frattura (punto 9), larga 40-50 cm. Quindi, scesi circa 5 m nella fessura senza necessità di corda, si deve superare una strettoia, a cui segue un pozzo di 12 m chiuso sul fondo da un accumulo di detriti (-82). Nei mesi piovosi lo scorrimento idrico è limitato ad uno stillicidio nella zona del fondo. D’inverno è stata notata una debole corrente d’aria in uscita.

Stato dell’ambiente La grotta, discesa per la prima volta nel 1972, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. E’ da segnalare unicamente la modesta

Da Vallecorsa si imbocca la strada per il campo sportivo, che scende nella valle sottostante il paese. Superato il campo sportivo si svolta a destra; dopo 100 m, ad un quadrivio, si supera un ponticello e si svolta subito a sinistra. Si prosegue lungo la strada, che successivamente diventa sterrata, per almeno 6 km, superando la forcella Buana e proseguendo ancora fino al passo, dove la strada è interrotta da un cumulo di massi. Si prosegue scendendo a piedi lungo la strada, svoltando a destra ai due successivi bivi; poi la strada costeggia la testata di una valle che scende verso Amaseno. La grotta non è stata reperita perchè probabilmente l’imbocco è stato ostruito con massi; si trova, probabilmente, sul versante destro orografico della valle, alla base di una serie di evidenti pareti parallele. (circa 20 minuti di cammino).

Descrizione Pozzo verticale profondo 50 m, largo da 1 a 2 m, con scivolo detritico sul fondo, impostato su una faglia orientata SW-NE.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1972, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina.

Note tecniche Pozzo unico profondo 50 m.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 7 e 14 maggio 1972 dall’ASR (Michela Armoni, R. Borghesi, C. Cannoletta, C. Carnevali, F. Gagliardini, P. Monti, M. Moriconi, P. Nuti, M. Tomarelli, C. Valanzuolo).

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1973b; RUSCONI, 1990.

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I MONTI AUSONI SUD-OCCIDENTALI

Chiavica 1a di ZĂŹ Checca

Storia delle esplorazioni Esplorata il 20, 25 e 26 giugno 1957 dal GS Anxur e da G. Silvestri (CSR).

Bibliografia Dati catastali

CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958c; DOLCI, 1967; GUADAGNOLI, 1963; MANISCALCO, 1963.

280 La - comune: Terracina (LT) - localitĂ : Campo Cafolla - quota: 384 m carta IGM 1:25000: 159 II SO Sonnino - coordinate: 0°47’33â€?2 (13°14’41â€?6) - 41°21’07â€?4 carta CTR 1:10000: 414 030 Capocroce - coordinate: 2.373.190 - 4.579.430 dislivello: -110 m - sviluppo planimetrico: 20 m Area protetta di riferimento: Monumento Naturale di Campo Soriano

Chiavica 2a di ZĂŹ Checca

Itinerario Da Terracina si prende la strada per Campo Soriano (indicazioni per il santuario di Madonna della Delibera); dopo circa 10 km si arriva in un grande piano carsico, davanti ad un caratteristico torrione calcareo alto circa 15 m denominato “cattedrale di San Domenicoâ€? o “il carciofoâ€?. Qui si prende la strada asfaltata a sinistra, che sale; dopo circa 600 m si lascia la macchina in corrispondenza di una curva a destra, a fianco di una villa. Da qui si attraversano i campi solcati in direzione Est per 100 m, scendendo una dozzina di metri. Il piccolo ingresso è di non facile reperimento (meno di 10 minuti di cammino).

Dati catastali

Descrizione

Da Terracina si prende la strada per Campo Soriano (indicazioni per il santuario di Madonna della Delibera); dopo circa 10 km si arriva in un grande piano carsico, davanti ad un caratteristico torrione calcareo alto circa 15 m denominato “cattedrale di San Domenicoâ€? o “il carciofoâ€?. Qui si prende la strada asfaltata a sinistra, che sale; dopo circa 600 m si lascia la macchina in corrispondenza di una curva a destra, a fianco di una villa. Da qui si prosegue a piedi lungo la strada sterrata in forte salita che inizia in corrispondenza della curva. Dopo un centinaio di metri si lascia la strada entrando nel campo a sinistra. La grande dolina d’ingresso è situata pochi metri piĂš in basso (10 minuti di cammino).

L’imbocco è costituito da una “portaâ€? alta 1,5 m e larga mezzo metro, che immette direttamente in un pozzo profondo 30 m impostato su una frattura orientata NW-SE. Il pozzo, largo 2-3 m, è interrotto da un terrazzino a -23, sotto il quale il fuso sbuca in una sala. Dalla verticale del pozzo si scende un gradone di roccia e si arriva su un pavimento pianeggiante, fangoso. La sala (punti 2-3) è formata da un ambiente principale largo 3,50 m, lungo 7 m e alto 4-5 m. Dal lato opposto al gradone roccioso partono 2 brevi fratture, una delle quali (orientata N70-90°E e immergente di 45° verso sud) con un piano che costituisce il tetto della sala. L’ambiente è molto concrezionato, ma gli speleotemi sono generalmente ricoperti da fango; in particolare, spicca una caratteristica stalagmite alta (3 m) e sottile (10-15 cm). Un piccolo foro sul pavimento (punto 2), largo circa 30 cm, immette nel secondo pozzo. Superata la strettoia verticale si scende il P8 fino alla base, affacciandosi su un nuovo pozzo profondo 11 m, inizialmente largo 1 m, allungato su una frattura orientata N45-60°E immergente 70-80° verso NW. Alla base del pozzo si prosegue scendendo un gradone, senza necessitĂ di corda, e si giunge subito ad affacciarsi su un pozzo profondo una trentina di metri (il rilievo, che riporta una profonditĂ maggiore, è da ritenere errato), a forma di fuso ampio 3-4 m. Nella prima metĂ si scende lontano dalle pareti poi ci si accosta alla parete fino ad arrivare ad un restringimento, e dopo alcuni metri si giunge alla base, in una saletta. Da qui una fessura immette nell’ultimo salto, profondo 5 m, che termina con una saletta di 3 m di diametro, con molto fango sul fondo. In condizioni meteorologiche normali l’attivitĂ idrica è limitata allo stillicidio. Non si avvertono correnti d’aria.

236

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 159 Frosinone e F. 170 Terracina 1 = Chiavica 1a di ZÏ Checca 2 = Chiavica 2 a di ZÏ Checca 3 = Grotta di San Silviano 4 = Chiavica della Nebbia 5 = Pozzo del Cimitero 6 = Grotta della Sabina

Stato dell’ambiente A partire dal 1957, anno della scoperta, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Lo stato ambientale della grotta può essere definito buono, nonostante le frequenti tracce di polvere di carburo esausto.

coordinate riquadro: angolo NW = 0°44’ - 41°24’ angolo SE = 0°52’ - 41°16’

Note tecniche P30 d’ingresso (corda 40 m), P8+11 (corda 25 m), P30? (corda 40 m ?), P5 (corda 10 m), fondo (-110).

491 La - comune: Terracina (LT) - localitĂ : Campo Cafolla - quota: 401 m carta IGM 1:25000: 159 II SO Sonnino - coordinate: 0°47’30â€?8 (13°14’38â€?9) - 41°21’04â€?8 carta CTR 1:10000: 414 030 Capocroce - coordinate: 2.373.130 - 4.579.340 dislivello: -120 m - sviluppo planimetrico: 60 m Area protetta di riferimento: Monumento Naturale di Campo Soriano

Itinerario

Descrizione La cavitĂ si è originata su frattura in roccia molto compatta con piani di stratificazione di difficile individuazione o assenti. Si entra nella grande voragine (dolina 45x20 m) ancorando la corda ad un albero posto in prossimitĂ del punto a quota piĂš bassa lungo il bordo della dolina (punto 1) e si scende un salto di 4 m seguito da uno scivolo inclinato di 40°, ingombro di vegetazione, che termina (punto 2) con un salto verticale di 5 m. Alla sua base, invertendo la direzione, si accede ad una galleria larga 2 m ed alta 3 m, che dopo circa 10 m di ripida discesa tra massi e blocchi conduce (punto 4) alla prima verticale di 40 m. Poco piĂš in basso dell’attacco, il pozzo è costituito da una spaccatura larga 40-60 cm; si passa in un restringimento in corrispondenza di una piccola frana sospesa, oltre la quale, circa 7 m piĂš in basso ed alla destra di alcuni blocchi incastrati tra le pareti, si raggiunge la piccola cengia (punto 5) su cui è possibile sostare dividendo cosĂŹ il pozzo in una tratta da 10 m e una da 30. Qui l’ambiente diventa sensibilmente piĂš ampio. Il pozzo prosegue quindi con la verticale di 30 m originata lungo una frattura orientata N60°E, lunga 8-10 m e larga mediamente 3 m. Alla base di questa verticale si trova una sala (10x5 m) dove sono evidenti i resti di un antico riempimento di fango. Ad un’estremitĂ della sala è possibile risalire circa 4 m ed accedere ad un fuso interessato da un arrivo d’acqua; esattamente dalla parte opposta, oltre una soglia alta 1,5 m di roccia in posto (punto 7), si apre l’ultimo pozzo, morfologicamente simile al precedente e impostato sulla stessa frattura, ma con dimensioni maggiori (10-15 x 2-4 m), profondo 40 m. Dal fondo del pozzo, un piano quasi orizzontale di detrito (punto 9), parte uno stretto cunicolo in discesa che chiude dopo circa 10 m con una pozza d’acqua (-120). Il concrezionamento è limitato a crostoni sulle pareti. Il regime idrico è scarso per la maggior parte dell’anno. Non sono state osservate correnti d’aria.

Stato dell’ambiente: 37

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Note tecniche

P4+scivolo d’ingresso nella dolina+P5 (corda 30 m), P40 (corda 60 m), P40 (corda 55 m), fondo (-120).

Storia delle esplorazioni

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La grande dolina d’accesso è stata ovviamente nota alla popolazione locale e utilizzata anche in tempi recenti come occasionale punto di scarico di rifiuti. La grotta è piuttosto sporca; in particolare la discesa avviene fra grandi fogli di plastica incastrati nelle pareti. L’interno, esplorato a partire dal 1967, è stato scarsamente frequentato, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200.

Esplorata nel settembre 1967 dallo SCR.

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971.


237


di vario tipo, ma anche con alcune belle e grandi colonne e stalagmiti. La parete Sud è in brecce con elementi calcarei del diametro di 10-30 cm. Verso ovest la sala, larga oltre 20 m, scende ripidamente e dopo circa 50 m è sbarrata da blocchi. Lo strettissimo imbocco di un pozzetto (punto 11), che appare la più logica delle prosecuzioni, non consente di proseguire ma, poco sulla destra, tramite un labirinto di passaggi nel caos dei massi, si riesce a superare l’ostacolo. Si prosegue con un pozzetto (punto 12) fino ad una sala con laghetto (punto 13) dove la grotta termina nel suo punto più profondo (-63); questa parte della grotta è bella e ricca di concrezioni bianche. In questo tratto sono stati rinvenuti, nel 1954, i resti di una daga, che gli esperti presumono saracena. A metà circa della sala (punto 8), una galleria lunga 25 m passa sotto l’ingresso; da strette fessure si intravede la luce del pozzo che scende nel ramo Sud. Ritornando all’ingresso, la sala termina verso Nord con un saltino che chiude in detrito, mentre verso Est una ripida discesa porta (punto 2) ad un salto (dimensioni dell’imbocco 5x2 m) di circa 12 m. Si atterra su uno scivolo a forte pendenza (la prosecuzione del conoide verso Sud) largo 30-40 m e lungo circa 10 m planimetrici, il cui punto più profondo (punto 5) è a quota -50 dall’ingresso. Alla base del P12 si osserva la faglia orientata N80°W inclinata di 50° verso Sud lungo la quale sembra impostata la grotta.

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre”, ed è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi lontani, come testimoniano le scoperte archeologiche avvenute negli anni ’50. Nel corso del XX secolo la grotta è stata visitata numerosissime volte; a partire dal 1954 il numero di speleologi che hanno percorso la grotta è stimabile in alcune migliaia, e numerosa è forse stata anche la frequentazione della gente del luogo. La cavità è un caos di massi secco e polveroso, ed essendo stata utilizzata come locale punto di scarico di rifiuti, è attualmente in uno stato di notevole degrado ambientale.

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Monti Ausoni Sud-occidentali: “la Cattedrale” a Campo Soriano (foto M. Piro)

Grotta di San Silviano Dati catastali 245 La - comune: Terracina (LT) - località: versante S di Monte Leano - quota: 85 m carta IGM 1:25000: 170 I NO Terracina - coordinate: 0°46’09”0 (13°13’17”4) - 41°18’51”3 carta CTR 1:10000: 414 070 Borgo Hermada - coordinate: 2.371.130 - 4.575.250 dislivello: -63 m - sviluppo planimetrico: 165 m

Itinerario Dalla stazione ferroviaria di Terracina si prosegue verso NW lungo la strada che costeggia la ferrovia (via Appia Antica) per 2,5 km, quindi si svolta a destra superando un passaggio a livello e si prosegue per 1,3 km tenendosi a destra ai vari bivi. Superata una forte salita si lascia la macchina all’incrocio con due strade bianche. La grotta si apre subito a monte del muretto di contenimento della strada.

Descrizione L’ingresso a pozzo, con pianta di forma trapezoidale lunga circa 10 m e larga 3-4 m, immette tramite un salto di 5 m al culmine di un conoide detritico, che si allarga in tutte le direzioni in un salone vasto una quarantina di metri. Il foro d’ingresso perfora un banco di brecce inclinato di 20-25° verso valle (SE). Il salone, come tutta la grotta, è un caos di massi secco e polveroso, ingombro di immondizie

Note tecniche P5 d’ingresso (corda 10 m), P12 nel “ramo Sud” (corda 20 m). Occorrono 10 m di corda per raggiungere la saletta terminale del “ramo Ovest”.

Storia delle esplorazioni Conosciuta da sempre dagli abitanti del luogo per le grandi dimensioni dell’imbocco. Venne esplorata il 21 dicembre 1954 dal CSR (F. Consolini, G. Meo Colombo, G. Silvestri e D. Tramonti).

Bibliografia CONSOLINI, 1954; DOLCI, 1967; MANISCALCO, 1963.


Chiavica 1a di Zì Checca: la strettoia all’ingresso del 2° pozzo (foto C. Germani)

Chiavica della Nebbia Dati catastali 488 La - comune: Terracina (LT) - località: a sud della vetta del Monte Croce - quota: 320 m carta IGM 1:25000: 170 I NO Terracina- coordinate: 0°49’02”9 (13°16’11”3) - 41°18’13”4 carta CTR 1:10000: 414 080 Monte Giusto - coordinate: 2.375.140 4.574.000 dislivello: -63 m - sviluppo planimetrico: 20 m

Itinerario Da Terracina si prende la strada per il Tempio di Giove Anxur, quindi si prosegue per il cimitero e infine si svolta a destra in una strada asfaltata per la località “la Ciana”, che parte dall’angolo sud del cimitero. Si segue la strada, che sale lungo il versante sud del Monte Croce con alcuni tornanti, fino al passo, dove si lascia la macchina. Si sale a sinistra (Ovest) per un comodo sentiero per 150 m, attraverso la macchia, fino ad una cisterna. Da qui si avanza per 160 m in direzione circa 256°, scendendo di 10 m di dislivello (20 minuti di cammino).

Descrizione La grotta ha un andamento sub-verticale, impostato su una frattura diretta N15-25°W con immersione di 80° verso W. L’imbocco è una spaccatura larga 70 cm e lunga quasi 4 m, dei quali però solo 1,5 m si aprono nel pozzo d’ingresso. Il pozzo è profondo 23 m, allungato nella direzione della frattura per circa 3 m e largo circa 1 m con ampliamento verso il basso fino a 1,60 m alla base (punto 2). Da qui uno scivolo detritico, con un imbuto 0,7x1,2 m, si getta in una seconda verticale, di 12 m. Dalla base di questa (punto 3) è possibile proseguire lungo la frattura per due vie non comunicanti. Per raggiungere il fondo della grotta si sale su

un masso nella parte più stretta (50 cm) accedendo ad un salto di 30 m. Si striscia sopra un masso incastrato e si entra (punto 6) nella parte più larga della fessura (80-120 cm), che si allunga sulla frattura per una decina di metri percorribili. La base del pozzo è ampia 1-1,4x10 m ed è pavimentata da detrito e fango (-63). Da sopra il P30 (punto 3) proseguendo sul pendio detritico si può accedere (punto 4) ad un altro pozzo indipendente, profondo 10 m, alla cui base (-45) è presente una piccola fessura non percorribile. La grotta è caratterizzata da abbondante concrezionamento, però quasi completamente inattivo, alterato e fangoso. Non sono state osservate correnti d’aria.

Stato dell’ambiente Il pozzo, scoperto nel 1968, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Lo stato dell’ambiente non ha subito alterazioni.

Note tecniche P23 d’ingresso+P12, dalla base per proseguire verso il fondo si entra nella fessura in alto, P30, fondo di –63 (tutta la discesa può essere effettuata con un’unica corda da 90 m). Diramazione sotto il P12: P10, fondo di –45.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 1° maggio 1968 dall’ASR.

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969b.

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Monti Ausoni Sud-occidentali: il promontorio di Terracina dall’imbocco della Chiavica della Nebbia (foto G. Mecchia)

Pozzo del Cimitero

Grotta della Sabina

Franco Consolini, disegnato nel 1957.

Stato dell’ambiente Dati catastali altro nome: Pozzo del Cacciatore 243 La - comune: Terracina (LT) - localitĂ : cimitero di Terracina - quota: 165 m carta IGM 1:25000: 170 I NO Terracina- coordinate: 0°48’37â€?4 (13°15’45â€?8) - 41°18’04â€?3 carta CTR 1:10000: 414 080 Monte Giusto - coordinate: 2.374.550 4.573.730 dislivello: -59 m - sviluppo planimetrico: 9 m

Itinerario Da Terracina si prende la strada per il Tempio di Giove Anxur, quindi si prosegue per il cimitero e infine si svolta a destra in una strada asfaltata che costeggia il lato sud del cimitero, poi a sinistra nella strada che costeggia il lato ovest. La grotta si trova 20 m oltre la fine del muro 10 m piĂš in alto della strada. L’ingresso è stato completamente ostruito da massi, rendendo la cavitĂ inaccessibile.

Descrizione L’ingresso è un buco largo circa 1 m, attualmente ostruito da massi e usato come discarica. Il pozzo scende verticale per i primi 20 m, largo 1,5 m, fino ad un primo terrazzino. Da qui uno scivolo di una decina di metri porta ad un secondo ripiano, dal quale si scende in una piccola sala concrezionata, situata 5 m piĂš in basso (punto 3). Dalla saletta inizia l’ultima verticale di 25 m che termina su un fondo detritico largo un paio di metri. Non essendo la grotta accessibile, la descrizione si basa sul rilievo di

L’ingresso, situato subito all’esterno del cimitero, negli ultimi decenni è stato ostruito con massi e l’area dell’imbocco utilizzata dai locali come discarica. Di conseguenza il pozzo, disceso per la prima volta nel 1955, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina.

Note tecniche Pozzo profondo 59 m, suddiviso da tre terrazzi.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 13 febbraio 1955 dal CSR (Mario Chimenti, F. Consolini, M. Dolci, Garzarelli, G. Silvestri, E. Spicaglia).

Bibliografia CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958a; DOLCI, 1967; MANISCALCO, 1963.

Monti Ausoni Sud-occidentali: la falesia del tempio di Giove Anxur a Terracina, nella quale si apre la grotta della Sabina (foto G. Mecchia)

visibile dal basso, di fronte al Pisco Montano (20 minuti di cammino).

Descrizione Dati catastali altro nome: Grotta di Sant’Angelo 7 La - comune: Terracina (LT) - localitĂ : sotto il tempio di Giove Anxur - quota: 135 m carta IGM 1:25000: 170 I NO Terracina - coordinate: 0°48’23â€?2 (13°15’31â€?6) - 41°17’19â€?3 carta CTR 1:10000: 414 120 Terracina - coordinate: 2.374.180 4.572.350 dislivello: -75 m - sviluppo planimetrico: 186 m Aree protette di riferimento: SIC IT6040009 “Monte Sant’Angeloâ€?; Monumento Naturale “Tempio di Giove Anxurâ€?

Itinerario Dalla stazione ferroviaria di Terracina si prende la strada che porta Tempio di Giove Anxur. Dopo circa 2 km si lascia la macchina nei pressi di un tornante a sinistra dal quale parte, a destra, un tratto di strada sterrata che si trasforma subito in sentiero. Si segue il sentiero, tenendosi sempre sulla destra ai bivi e procedendo inizialmente in quota, quindi si svolta a sinistra salendo a fianco del filo spinato messo a protezione lungo il bordo delle pareti che dal tempio scendono verso il mare; poco prima che il bordo superiore delle pareti si allontani dal sentiero si supera il filo spinato a destra (attenzione! la parete è alta una cinquantina di metri); seguendo una traccia di sentiero, e scendendo tra roccette si raggiunge il piccolo terrazzino davanti all’ingresso, che si apre sulla parete in un canalone ben

L’ingresso, ad antro alto 1,5 m e largo 4, dĂ accesso ad una galleria in forte discesa (tratto 1-6), di grandi dimensioni (larga da 5 a 8 m e alta 3-4 m, con un passaggio piĂš basso), con sezione irregolare e interrotta verso il fondo da colonne stalagmitiche. La galleria, condizionata da fenomeni di crollo, ha andamento meandreggiante e si allarga in vari ambienti laterali di interstrato. La discesa avviene con gradoni inclinati che seguono l’andamento delle bancate calcaree (strati immergenti di 15-20° verso NNW) e anche il soffitto è quasi sempre una superficie di strato. A 20 m dall’ingresso (punto 2) la galleria si divide in due rami che si ricongiungono; quello di destra scende ripido verso una frana, superabile tramite una strettoia; quello principale scende ancora per 50 m (ricollegandosi al ramo secondario) fino ad una grande sala (punto 6), di 12 m di diametro, con il fondo coperto da massi e detrito, e con grandi colonne stalattitiche e concrezioni di vario tipo. Lungo tutta la galleria principale sono visibili tracce di una scalinata artificiale, in parte intagliata ed in parte costituita da massi squadrati, che porta alla grande sala. Buona parte di questa scalinata è attualmente ricoperta da sedimenti argillosi. Nel punto piĂš basso della sala, a sinistra, una serie di cunicoli consente di superare la frana di fondo (tratto 7-8) e di sbucare in un’altra galleria con caratteristiche simili alla precedente, lunga 12 m. Al termine di questo tratto iniziano alcuni cunicoli discendenti (tratto 9-13) intervallati da salette fra massi di frana, che si sviluppano per circa 50 m complessivi, chiudendo tutti in frana. In inverno è stata notata una leggera corrente d’aria che filtra fra i massi. Lo stillicidio è scarso.


Stato dell’ambiente La cavità è nota “da sempre”, ed è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi lontani; ne è testimonianza la presenza di gradini intagliati nella roccia forse a scopo di culto già in epoca romana. Nonostante la facilità di percorrenza, la grotta non presenta tracce di rifiuti e lo stato ambientale può essere definito buono.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature. Una corda, però, può essere utile per facilitare l’uscita dalle strettoie.

Storia delle esplorazioni L’ingresso venne scoperto nel 1841 da un minatore in cerca di cave per massi da scogliera. SEGRE (1948a) ritiene che i gradini siano stati realizzati dai briganti che utilizzavano la grotta come rifugio. E’ possibile però che la frequentazione della grotta sia molto più antica, in relazione alla vicinanza del tempio di Giove Anxur, e che i gradini siano stati realizzati per sfruttare la grotta a scopo di culto. La grotta venne esplorata da L. Mollari nel 1850, da Capponi, Legge e R. Remiddi nel 1875, ed infine il 13 marzo 1925 dal CSR. Nel 1963 F. Guadagnoli annunciò che il GS Anxur aveva trovato la prosecuzione tra i massi della grande sala.

Bibliografia DATTI, 1926a; DOLCI, 1965; GUADAGNOLI, 1963; MANCINI, 1997; REMIDDI, 1876; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c; SEGRE, 1951a.

241


I MONTI AUSONI ORIENTALI

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 159 Frosinone e F. 160 Cassino 1 = Buco dell’Acero 3 = Grotta di Pastena 2 = Abisso la Vettica 4 = Risorgenza dell’Obbuco 5 = Inghiottitoio di Pozzavello

coordinate riquadro: angolo NW = 0°56’ - 41°31’30â€? angolo SE = 1°07’ - 41°23’

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Grotta di Pastena: la galleria a valle del “Tunnel Sospeso� (foto L. Ferri Ricchi; tratta dal libro “OLTRE L’AVVENTURA� di Lamberto Ferri Ricchi, edizioni IRECO - http://www.istitutoireco.org)


Buco dell’Acero Dati catastali 1274 La - comune: Castro dei Volsci (FR) - località: versante nord Monte Beverarello - quota: 450 m carta IGM 1:25000: 159 II NE Vallecorsa - coordinate: 0°59’45”6 (13°26’54”)- 41°29’46”0 carta CTR 1:10000: 402 100 Pastena - coordinate: 2.390.480 4.595.070 dislivello: -85 m - sviluppo planimetrico: 35 m Area protetta di riferimento: SIC IT6050024 “Monte Calvo e Monte Calvilli”

Itinerario Da Vallecorsa si prende la SS 637 verso Ceccano; dopo circa 8 km si svolta per Pastena. Si prosegue per 5,1 km, fino ad un bivio con una strada asfaltata che sale a destra. Si segue quest’ultima strada svoltando ancora a destra dopo 800 m, al primo bivio; percorsi 300 m si raggiunge una fontanella (località Mandrone, quota 220 m) dove si lascia la macchina. Si prosegue a destra su una brutta strada non asfaltata (percorribile solo con un fuoristrada) che risale il versante con ripidi tornanti; nei vari bivi si deve prendere sempre la strada a sinistra, che comunque è la più evidente. A circa 3 km dalla strada asfaltata, su un tornante a destra, parte un sentiero in piano che bisogna seguire per circa 200 m. Il pozzo è 20 m sotto il sentiero, poco prima di entrare nella macchia. (5 minuti di cammino dalla strada sterrata oppure circa 40 minuti di cammino dalla strada asfaltata, dislivello 230 m).

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1993, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Ad eccezione delle modeste modificazioni morfologiche prodotte dall’allargamento dell’ingresso e della finestra di –39, non sono rilevabili tracce di alterazione ambientale.

Note tecniche Il P45 d’ingresso va sceso fino a 5 m dal fondo, fino alla finestrella (corda 55 m). Dalla finestrella: P10+P4+P12+P14+P4 (quest’ultimo arrampicabile, ma la corda è comoda; si può scendere l’intera serie di pozzi con un’unica corda da 80 m).

Storia delle esplorazioni L’ingresso è stato aperto il 18 luglio 1993 dallo SCR (M. Barbati, G. Mecchia, Maria Piro, A. Sbardella). Le esplorazioni dello SCR sono proseguite con la partecipazione di M. Barbati, G. Ceccarelli, I. Jelinic, M. Mecchia, G. Paris, S. Pianella, A. Sbardella, S. Soro, F. Toso ed altri, finché il 19 giugno 1995 M. Mecchia, S. Pianella, F. Toso e Stefania Militello (quest’ultima della ASR86) hanno terminato l’allargamento della fessura di -39, esplorando fino al fondo.

Bibliografia BARBATI & MECCHIA M., 1995; MECCHIA G., 1995b; MECCHIA G., 1996.

Abisso la Vettica

Descrizione L’ingresso è un pozzetto di 3 m, con imbocco (disostruito) largo 1x1,5 m. Sul fondo un basso passaggio dà accesso ad un breve scivolo terroso (2 m) che è la partenza dell’ampio pozzo profondo 45 m. Il P45, impostato almeno in parte su una frattura orientata N5065°W immergente 65° verso NE, è perfettamente verticale, ha forma di fuso, più largo nella parte centrale (5 m di diametro). Le pareti sono abbondantemente concrezionate, la roccia è compatta con strati inclinati di 5° verso N. Sull’asse della stessa frattura è impostato anche un fuso parallelo al P45 visibile tramite due finestre poste a 22 e 6 m dal fondo del pozzo. Il fondo del fuso (punto 5), occupato da massi di crollo, ha dimensioni di 4,5x1,5 m. Una disostruzione nella parte più bassa dell’accumulo detritico ha permesso la discesa di uno stretto pozzo di 6 m che chiude con un altro pavimento di detrito (punto 6). Nei periodi piovosi, in questo pozzetto scorre un rivolo d’acqua, ma non è stata notata alcuna corrente d’aria, che è invece sensibile all’ingresso della grotta (soffia in estate) e presso le due finestre comunicanti col fuso parallelo. Sei metri sopra la base del P45 si apre una finestrella (punto 7), originariamente impercorribile, ora, dopo un impegnativo ampliamento, alta 1 m e larga 30 cm, impostata lungo la frattura principale. La finestrella affaccia su un salto profondo 10 m, largo 50 cm all’imbocco e 1 m alla base (punto 9), dove arriva una bella colata calcitica (“il missile”). Questo pozzo, e i salti successivi, sono impostati su una frattura circa ortogonale alla principale del P45, diretta N50°E immergente verso NW. Segue immediatamente un saltino di 4 m, che immette, tramite un foro largo meno di mezzo metro, in un pozzo profondo 12 m. Dalla base, larga 1 m, una “porta” alta 1,6 m, immette in un pozzo di 14 m. La base è allungata 4 m in direzione della frattura, larga fino a 1,4 m. Una finestrella ad altezza del viso fa vedere la base di un pozzo parallelo (raggiungibile da un foro disostruito, qualche metro più in alto). Dalla base del P14 si scende un passaggio stretto a scivolo affacciandosi su un saltino di 4 m, arrampicabile. La saletta alla base del salto costituisce il fondo della grotta (-85).

Dati catastali altri nomi: Lu Sprefunno; Pozzo di Fontana della Croce 168 La - comune: Castro dei Volsci (FR)- località: Fontana della Croce - quota: 685 m carta IGM 1:25000: 159 II NE Vallecorsa - coordinate: 0°59’48”6 (13°26’57”)- 41°29’12”0 carta CTR 1:10000: 402 100 Pastena - coordinate: 2.390.530 4.594.020 dislivello: -360 m - sviluppo planimetrico: 90 m Area protetta di riferimento: SIC IT6050024 “Monte Calvo e Monte Calvilli”

Itinerario Da Vallecorsa si prende la SS 637 verso Ceccano; dopo circa 8 km si svolta per Pastena. Si prosegue per 5,1 km, fino ad un bivio con una strada asfaltata che sale a destra. Si segue quest’ultima strada svoltando ancora a destra dopo 800 m, al primo bivio; percorsi 300 m si raggiunge una fontanella (località Mandrone, quota 220 m) dove si lascia la macchina. Si prosegue a destra su una brutta strada non asfaltata (percorribile solo con un fuoristrada) che risale il versante con ripidi tornanti; nei vari bivi si deve prendere sempre la strada a sinistra, che comunque è la più evidente. Si prosegue fino alla fine della strada, dove sulla destra si nota un casotto della presa dell’acquedotto, che è anche il secondo ingresso della grotta. Il pozzo, evidentissimo, si apre sul bordo della strada subito dopo il casotto (circa 45 minuti di cammino dalla strada asfaltata, dislivello 465 m).

Descrizione VECCHIO FONDO La grotta si apre con un maestoso pozzo profondo 142 m. La sezione orizzontale d’imbocco è ampia 7x4 m, con asse maggiore lungo la faglia orientata NW-SE. Dal versante a monte l’imbuto d’ingresso scende con forte pendenza, mentre sul versante a valle l’accesso al pozzo è un comodo “parapetto”, alto mezzo metro. Un secondo ingresso si apre 2 m più in alto, a 10 m di distanza dal primo, in direzione NW (lungo la faglia). Attualmente il secondo ingresso, di

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circa 2 m di diametro, è chiuso da un bottino di presa; infatti, negli anni ‘80 il torrentello che affluiva nel grande pozzo pochi metri sotto la superficie esterna è stato captato in un acquedotto per il locale approvvigionamento idrico. Scendendo nel pozzo principale (P142), a 26 m dal “parapetto” si raggiunge un primo terrazzo (punto 2, la sezione è di circa 10x7 m). A 45 m di profondità i fusi provenienti dai due ingressi confluiscono, originando una sezione a forma di 8 con asse maggiore di circa 25 m, e assi minori di circa 7 e 13 m. Proseguendo la discesa la sezione tende a ridursi e a divenire circolare. A 95 m dall’ingresso si atterra su un secondo terrazzo (punto 4), grande e inclinato. Dal bordo del terrazzo si scende per una quarantina di metri in una spaccatura estesa oltre 40 m in orizzontale e relativamente stretta (3-5 m), fino alla base del pozzo (punto 46). Negli ultimi 30 m il pozzo si allarga in direzione SE. La base del pozzo è ampia una decina di metri e pianeggiante, con un cono detritico appena accennato. Sul lato sud si scende un ripido pendio di detrito instabile che immette in una verticale profonda 25 m, anch’essa impostata sulla stessa frattura. Pochi metri sopra l’orlo del pozzo (punto 47) un grande masso è incastrato fra le pareti, a 5 m da terra. Al fondo del salto la sala ha una forma allungata con sezione 2x8 m, alta circa 20 m (“vecchio fondo”, -175). Il pavimento è costituito da detrito e materiale vegetale in decomposizione, nel quale si può scendere ancora per un paio di metri in un angusto e tortuoso cunicolo. All’estremità meridionale della sala si apre una fessura impraticabile, profonda almeno 5 m.

RAMO NUOVO Lungo il P142 è stata raggiunta, con un impegnativo “pendolo”, una grande finestra (punto 7), con base a 115 m di profondità, alta circa 8 m e larga 1,5 m. Da qui ha inizio il ramo “nuovo” che, superando il “vecchio fondo”, raggiunge la profondità di 360 m con una rapida successione di pozzi. Raggiunta la “finestra” si entra in una sala (punto 8) che affaccia immediatamente su un pozzo parallelo, profondo 64 m. Sul lato sud della sala si apre un corto meandro (tratto 43-45), che conduce ad una sala di frana sospesa sul grande pozzo iniziale (la volta della sala chiude a tetto questa parte del pozzo). Il pozzo di 64 m, che verso l’alto prosegue nel buio, è un fuso con sezione ampia 6x5 m alla partenza. Dopo 20 m di discesa si passa un leggero restringimento (5x2 m) oltre il quale il pozzo si allarga nuovamente. Alla profondità di 54 m si può accedere, tramite un terrazzino ed entrando in una piccola “finestra” (tratto 12-14), ad un pozzo parallelo, che da questo punto è profondo 20 m. Su ripiani posti a diverse profondità lungo il P64 sono accatastati tronchi e rami provenienti, 244 presumibilmente, dal secondo ingresso attraverso un collegamento diretto non ancora individuato. Alla base del P20, ampio 2-3 m e collegato al P64 anche tramite altre “finestre”, si apre un salto profondo 17 m, che inizia con una fessura un po’ stretta (1 m) per sbucare poi improvvisamente sulla volta di una sala. La sala (punto 17) ha dimensioni in pianta di 20x5 m e un’altezza di 7-8 m, il fondo è movimentato e costituito da massi di crollo; sono presenti alcune vaschette scavate nella roccia e nel fango. La prosecuzione è un cunicolo al quale si accede fra i massi di crollo (punto 18). In breve il cunicolo intercetta uno specchio di faglia, diretto circa N30°E, con immersione di 70° verso SE. La faglia ha generato una serie di salti, intervallati da piccoli terrazzi, che approfondiscono di 150 m l’abisso, quasi verticalmente. I pozzi (28, 9, 7 e 100 m) hanno in genere imbocchi relativamente stretti e si allargano poi fino ad un paio di metri. Il P100 è più ampio, in genere 3-5 m, e presenta dei piccoli terrazzini a -16, -38 e -68 m. La discesa termina su un lago ad una profondità di 360 m dall’ingresso alto. Un pozzo parallelo, impostato sulla stessa faglia e intercomunicante verso nord con quello sopra descritto, è accessibile quasi dalla sommità dello specchio di faglia tramite un breve meandro inizialmente ascendente (punto 22), che porta ad una serie di salti analoghi a quelli già descritti (13, 18 e 8 m), che si allargano infine in un grande pozzo, anch’esso profondo 100 m. I due P100 paralleli comunicano tramite due grandi finestre, alte ognuna una decina di metri, con basi a -20 e -70, e infine anche sul fondo. Nei tratti intercomunicanti la sezione si allunga per una ventina di metri, con una tipica forma a 8; alle estremità laterali il pozzo chiude in fessure millimetriche. Il fondo è costituito dato da due laghi, uno sotto ciascuno dei due pozzi. Sotto il pozzo di normale discesa, lo specchio d’acqua misura 12x4 m ed è profondo alcuni metri; il deflusso delle acque sembra utilizzare un sifone posto in un breve cunicolo all’estremità nord. Il lago del secondo pozzo misura 6x3 m, è raggiungibile dal primo scavalcando una “sella”, ed è attraversabile in canotto. Al di là si possono salire un paio di metri per poi scendere in un cunicolo che porta nuovamente sull’acqua.

quando, con l’utilizzo delle tecniche attuali, è stata possibile la scoperta della prosecuzione che ha approfondito significativamente la grotta; di conseguenza anche l’afflusso speleologico è divenuto più rilevante (complessivamente la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite). All’interno non si osservano significative alterazioni ambientali; unica nota negativa è la presenza di tracce di polvere di carburo esausto in alcuni punti della grotta.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL “VECCHIO FONDO”: P142 d’ingresso, con cenge a -28 e -90 (corda 170 m). P25 (corda 40 m), “vecchio fondo” (-172).

DALL’INGRESSO ALLA SALA DI -207: Si scende il P142 fino a -115 (ultimo frazionamento del pozzo), dove con un impegnativo pendolo si raggiunge la grande finestra (corda 140 m). P64 fino 10 m dal fondo, poi si entra in una finestra (corda 70 m) che porta sul P20 (corda 25 m), P17 (corda 25 m), sala (-207). DALLA SALA DI -207 AL LAGO-SIFONE TERMINALE: P4 (corda 6 m), P28 (corda 35 m), P9 (corda 15 m), P7 (corda 12 m), P100 (corda 120 m) si atterra sulla riva del lago-sifone terminale (-360). 2A

VIA PER IL LAGO-SIFONE TERMINALE, DA SOPRA IL

P28: P13, P18, P8, P101 (parallelo al P100), la base del pozzo è completamente occupata dall’acqua del lago-sifone terminale (-360).

Abisso la Vettica: traverso sul P142 (foto M. Barbati)

Storia delle esplorazioni La discesa del grande pozzo iniziale (142 m) venne tentata prima nel 1927 e poi nel 1930 da A. Datti, C. Franchetti e P. Pietromarchi del CSR. L’esplorazione del “fondo vecchio” dell’abisso risale al 25-26 agosto 1953, ad opera del CSR (E. Spicaglia, M. Astorri, A. Baldieri, I. Bertolani, E. Callori, M. Cerruti, C. Franchetti, G. Lepri, F. Patrizi, S. Patrizi, G. Pighetti, V. Rossi Marcelli, F. Zanera). La discesa venne effettuata con l’argano, con cavo d’acciaio di assicurazione, e con le normali scale di corda. Nel 1971 il CNSASS intervenne per recuperare il corpo di un uomo che si era suicidato gettandosi nel pozzo. Il 21 marzo 1992 ha avuto inizio una serie di esplorazioni dello SCR. E’ stata raggiunta da S. Re, M. Barbati, Dalma Pereszleny, S. Soro, P. Turrini la finestra sul P142 e sceso il P64. L’11-12 luglio 1992 Barbati, G. Ceccarelli, I. Jelinic, Re, Soro, Turrini hanno disceso il P100 fino a 30 m dal fondo. Il 9-10 gennaio 1993 Barbati, M. Mecchia, L. Nolasco, Jelinic, Re, Soro hanno raggiunto il nuovo fondo. Il 5-6 giugno 1993 Barbati, Jelinic e Soro hanno scoperto e parzialmente disceso una nuova serie di pozzi che conducono alla sommità del P101 parallelo. Infine il 19-20 giugno 1993 Barbati, H. Korais, Mecchia, Re, Soro, Turrini hanno terminato la discesa del P 101.

Stato dell’ambiente Le due bocche d’ingresso al grande pozzo sono note da lungo tempo. Negli anni ‘80 è stata realizzata la captazione del torrentello che affluiva nel pozzo più piccolo pochi metri sotto la superficie esterna, costruendo un bottino di presa che ne chiude completamente l’imbocco. A tal fine è stata anche costruita una strada sterrata che risale il versante giungendo fino all’abisso. La prima esplorazione completa del pozzo d’ingresso, risale al 1953; le difficoltà tecniche di discesa hanno limitato la presenza speleologica ad un numero ridottissimo di visite fino al 1992,

Bibliografia

Abisso la Vettica: il P28 (foto M. Barbati)

ABBATE 1894; BARBATI, 1995; CAMPONESCHI 1963; CIRCOLO SPELEOLOGICO ESPERIANO, 1982; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO 1954a; DOLCI 1967; FERRI RICCHI, 2001; MANCINI, 1997; MANISCALCO 1963; MECCHIA M. & MECCHIA G., 1983; SEGRE 1948a; SEGRE 1948d; SEGRE, 1956; SPICAGLIA, 1954.


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Grotta di Pastena Dati catastali altri nomi: Pertuso di Pastena; Grotta di San Cataldo; Chiavica dell’Acqua

GROTTA DI PASTENA

Grotta di Pastena: la “Medusa� (foto L. Ferri Ricchi; tratta dal libro “OLTRE L’AVVENTURA� di Lamberto Ferri Ricchi, edizioni IRECO - http://www.istitutoireco.org)

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28 La - comune: Pastena (FR) - localitĂ : versante sud Monte Lamia - quota: 170 m carta IGM 1:25000: 160 III NO Pico - coordinate: 1°02’15â€?7 (13°29’24â€?1)41°29’45â€?9 carta CTR 1:10000: 402 100 Pastena - coordinate: 2.393.960 4.595.015 RISORGENZA DELL’OBBUCO (INGRESSO ARTIFICIALE) 17 La - comune: Falvaterra (FR) - localitĂ : versante nord Monte Lamia - quota: 120 m carta IGM 1:25000: 160 IV SO Ceprano - coordinate: 1°02’35â€?4 (13°29’43â€?8)- 41°30’32â€?5 carta CTR 1:10000: 402 060 Cresparsa - coordinate: 2.394.440 4.596.440 dislivello: +30/-70 m - sviluppo planimetrico: 3480 m Area protetta di riferimento: SIC IT6050022 “Grotta di Pastenaâ€?

Itinerario Dal paese di Pastena si seguono le indicazioni turistiche e dopo 5 km si arriva all’accesso turistico dell’inghiottitoio. Per raggiungere la risorgenza, da Pastena si prende la strada per Ceprano; superata Falvaterra, dopo 3 km si prende la strada a sinistra che porta a Castro dei Volsci. A 3,2 km dal bivio si lascia la macchina nei pressi di una curva a destra. Si segue il sentiero che parte dalla curva, sulla sinistra della strada. Il sentiero si dirige verso le pareti, e dopo 400 m giunge sul letto del torrente che esce dalla risorgenza (10 minuti di cammino). Per accedere alla zona non turistica partendo dalla parte attrezzata per le visite, occorre chiedere l’autorizzazione ai gestori della grotta; non ci sono limitazioni per l’accesso dalla risorgenza.

Descrizione (informazioni di Augusto Carè) La grotta di Pastena è una grotta di attraversamento completamente percorribile, dall’inghiottitoio alla risorgenza, nella quale si gettano le acque del fosso Mastro. Oltre al ramo attivo è stato esplorata una lunga diramazione fossile, descritta separatamente nel seguito. Grotta di Pastena: la cascata (punto 42) (foto A. Carè)

RAMO ATTIVO La traversata del ramo attivo è possibile sia partendo dall’inghiottitoio

che dalla risorgenza, mancando salti verticali. Nel seguito si descrive il percorso nel verso di scorrimento dell’acqua ed in condizioni di secca. Nei periodi di piena la grotta non è percorribile. Si accede alla grotta tramite un imponente portale, alto 20 m e largo 12 m; lateralmente, sulla destra, un secondo ingresso piĂš piccolo immette in un passaggio che viene utilizzato dal percorso turistico. Si entra quindi in un grandioso salone di forma circa rettangolare, lungo 70 m e largo 25 m. Sul fondo, fra accumuli di ghiaia, scorre il corso d’acqua con andamento meandreggiante; si notano vari paleo-livelli di scorrimento a 3-4 m di altezza; sulla destra in alto si vede l’imbocco, modificato artificialmente, del ramo superiore. Al termine del salone, sul lato del quale corre la passerella, una diga artificiale forma una cascatella di 3 m. Il torrente si inforra quindi in un canyon alto e stretto, per arrivare subito dopo ad una seconda cascata alta circa 10 m, che scende su un lago che occupa per intero una sala circolare di 30 m di diametro (lago “Bleuâ€?, punto 12). Questo lago, alimentato anche da altre venute d’acqua a livello del fondo, è presente anche nelle stagioni secche, quando dall’ingresso non entra il torrente. Dal lago si passa nella sala “dei Misteriâ€? (punto 14), un salone parzialmente allagato e occupato lateralmente da un imponente deposito argilloso, dove termina il percorso turistico del ramo attivo; da qui in poi occorre procedere con canotto o a nuoto. La sala “dei Misteriâ€? costituisce l’inizio di una galleria con il fondo allagato, dove l’acqua in vari punti è piĂš alta di 2 m, che procede per 180 m mantenendo sempre dimensioni molto ampie (larga 5 m e alta 5-10 m) e termina nella sala “dell’Occhialoneâ€?, il cui pavimento è in parte occupato da una spiaggia sabbiosa. In questo primo tratto si nota una grande quantitĂ di concrezioni di grandi dimensioni, pendenti dal soffitto o dalle pareti, con forme arrotondate e coperte di fango. Si arriva quindi ad un tratto di galleria (punti 20-21) artificiale lunga un’ottantina di metri, del diametro di 5 m, scavata per bypassare i due sifoni sottostanti, ostruiti dal materiale di risulta. Al di lĂ , la galleria riprende le caratteristiche precedenti, ed ha andamento quasi rettilineo per un centinaio di metri; quindi due grandi colate convergenti (strettoia “delle Vaschetteâ€?, punto 23) delimitano un passaggio con la volta molto bassa sull’acqua (normalmente è necessario sdraiarsi sul canotto). La galleria assume un andamento sinuoso e dopo altri 200 m si incontra un nuovo passaggio in cui la volta si abbassa notevolmente (punto 24), con le caratteristiche di uno pseudosifone che a volte può anche essere chiuso. Superato il passaggio basso, la volta si rialza e la galleria torna alle caratteristiche precedenti. Nel punto 26 si incontra un piccolo ramo da destra, e per un breve tratto il pavimento della galleria non è completamente occupato dall’acqua. Dopo 350 m dal punto 24 si arriva al 3° sifone (l’unico che ancora mantiene le caratteristiche originarie; punto


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punti 41-44) interrotta a metĂ da una cascata alta 4 m (punto 42; comoda una corda). Sulla destra si apre un terzo ramo fossile con le caratteristiche dei “Meandri Abbandonatiâ€?, ma con il fondo fangoso. Questo tratto termina con una rapida, al centro della quale c’è un foro molto profondo (attenzione!). Dal punto 44 iniziava una serie di tre sifoni (il 4°, il 5° e il 6°) che terminavano nel punto 46; ormai non sono piĂš percorribili perchè interrati e sostituiti da una grande galleria artificiale (dal punto 44 all’uscita della grotta), larga 3 e alta 5 m, invasa dal torrente per tutta la sua larghezza, lunga un centinaio di metri, interrotta da una saletta naturale (punto 46). Da questo punto parte sulla sinistra un breve ramo, colmato da depositi di fango liquido (attenzione!), che faceva parte del 6° sifone, e che termina con un pozzo in discesa di 6 m, alla cui base inizia il 7° sifone. Quest’ultimo, forse ancora attivo in caso di piena, lungo 58 m e profondo 20 m, termina all’esterno in un laghetto una quindicina di metri a valle dell’uscita artificiale della risorgenza, sulla sinistra (punto 49). L’ingresso attuale della risorgenza è completamente artificiale, scavato alla base di una parete alta una quindicina di metri. Qui gli strati hanno giacitura N5°E, 50°S.

Risorgenza dell’Obbuco: lo scavo dell’ingresso artificiale (foto L. Ferri Ricchi; tratta dal libro “OLTRE L’AVVENTURA�

di Lamberto Ferri Ricchi, edizioni IRECO - http://www.istitutoireco.org)

248 27). Il sifone è superabile anche senza attrezzatura subacquea tramite un condotto laterale artificiale (largo 1 m e alto 1,5 m) che si apre una decina di metri prima, sul lato sinistro, e sbuca 3-4 m oltre il sifone. Poi la volta si rialza progressivamente mentre la larghezza è sempre tra i 3 e i 5 m. Dopo 150 m (punto 29) l’ambiente si allarga in una serie di sale di crollo (punti 29-32) alte fino a 15 m. In questo tratto si deve lasciare il canotto in quanto il corso d’acqua scorre lateralmente e si cammina sul pavimento ingombro di grandi massi (sono stati osservati crolli anche negli ultimi anni). Nell’ansa successiva al punto 31, sulla sinistra, a seguito di un crollo avvenuto a metĂ degli anni ’90 è venuto alla luce il ramo “del Seccoâ€? (non rilevato), una condotta di interstrato lunga una cinquantina di metri, alta al massimo 1 m e larga 2-3 m, che chiude per l’abbassamento della volta. Nell’ansa successiva si incontra una grande formazione concrezionaria, “la Medusaâ€?, sopra la quale inizia il ramo “della Lunaâ€? (non rilevato), una galleria lunga circa 200 m e che in alcuni punti raggiunge il diametro di 5 m, mentre in altri le concrezioni occludono quasi completamente la sezione; il ramo è chiuso da un sifone di fango. La galleria riprende la direzione verso NE e si percorre per 400 m camminando lateralmente al torrente (punti 32-35). Nel punto 33 si nota in alto un tratto residuo di un ramo fossile superiore, abbondantemente concrezionato; nei tratti immediatamente precedente e successivo il setto di separazione tra i due rami è crollato e quindi la volta della galleria è molto alta. Nel tratto 34-35 (“le Forreâ€?) la galleria stringe fino a 3 m e il soffitto si alza ulteriormente; le pareti sono subverticali e prive di concrezioni. Si entra quindi nella zona dei “Meandri Abbandonatiâ€? (punti 35-38). Mentre la galleria mantiene la sezione a forra, sul lato destro del torrente si aprono due diramazioni che ritornano poco dopo sulla galleria principale; le diramazioni si aprono all’altezza di 5 m, sono sempre fossili a parte le acque di stillicidio, ben concrezionate, e raggiungono il diametro di 5 m. Procedendo nella galleria si raggiunge uno dei tratti piĂš belli della grotta, la zona dei “Lampadariâ€? (punti 38-39), cosĂŹ chiamata per l’abbondante concrezionamento stalattitico; qui la galleria si allarga in un laghetto a forma circolare. Segue un tratto di larga galleria con una spiaggia di ghiaia, poi si incontra un grande accumulo di frana (punto 40), la galleria, di sezione ellittica, supera i 10 m di larghezza e 8 di altezza. Dal punto 41 la grotta riprende la sezione a forra, alta fino a 20 m (“Canyon delle Cascatelleâ€?,

RAMO SUPERIORE Il ramo superiore, percorribile quasi per intero con il camminamento turistico, si apre nel salone iniziale, presso la volta. Dopo essere risaliti di circa 15 m con una scala fissa, si percorre una grande galleria meandreggiante (galleria “Vallecchiâ€?), a sezione tondeggiante o ogivale, in leggera discesa, lunga circa 150 m, ricchissima di concrezioni di grandi dimensioni; la galleria termina con un laghetto fangoso (punto 6) oggi prosciugato. Poco prima del laghetto, un passaggio allargato artificialmente immette in un tratto di galleria stretta, meandriforme e poco concrezionata, che si segue per circa 80 m risalendo decisamente. Questo tratto (galleria “Cossillaâ€?) era in origine un angusto cunicolo che si percorreva strisciando. Si sbuca quindi in un’ampia galleria con sezione triangolare, lunga una settantina di metri, alta 5-8 m e larga fino a 10 (galleria “delle Meraviglieâ€?) con una gran quantitĂ di concrezioni, cortine e stalattiti pendenti dal soffitto o dalle pareti, e varie tracce di paleo-livelli dell’acqua segnalate da cornici di concrezione. All’inizio della galleria a destra, dopo una breve rampa, si supera una cortina di concrezioni raggiungendo un grande salone (sala “dei Pipistrelliâ€?) occupato per intero da uno scivolo detritico che scende ripido per una ventina di metri e si dirama inferiormente in tre gallerie. Quella intermedia, lunga 50 m, sale fino ad un ambiente dove si percepisce il rumore di una cascata; quella di destra conduce ad un laghetto, superato il quale stringe progressivamente, ed è in comunicazione con il laghetto del punto 6. Quella di sinistra, infine, con una serie di gradini scende, percorsa dal torrente proveniente dalla galleria di destra, fino ad una saletta concrezionata dove le acque si perdono. Si torna nella galleria “delle Meraviglieâ€?, in fondo alla quale ci si immette in una frattura stretta e inclinata che dopo 30 m sbuca in un vasto salone circolare di 25 m di diametro, in cui si procede fra gruppi di colonne stalagmitiche (sala “delle Colonneâ€?); segue immediatamente, dopo un restringimento, un nuovo salone di circa 45x30 m (sala “del Calvarioâ€?; punto 1), occupato da un grande accumulo di detriti e guano che arriva quasi al soffitto, con belle colonne poggianti sul detrito. Qui termina il percorso turistico. Sulla volta della sala sbuca un condotto di aerazione perforato a partire dalla superficie esterna. Risalendo l’accumulo detritico si nota, in basso, un’ampia prosecuzione divisa in due da una colonna stalattitica, che immette nella sala “dell’Aquilaâ€?, un imbuto detritico in forte discesa, al fondo del quale si apre una serie di piccoli ambienti che chiudono in fessura.

Inghiottitoio di Pozzavello: le schiume nel torrente all’ingresso della grotta (foto G. Mecchia)

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NOTE IDROLOGICHE La grotta drena il bacino chiuso di Piana della Madonna delle Macchie, esteso per circa 15 km2, che riceve anche gli apporti di altri bacini chiusi adiacenti (Piana dell’Ovizzo, Piana della Fossa e Piana della Starza). La portata del torrente che esce dalla risorgenza dell’Obbuco appare sensibilmente maggiore di quella in entrata, e si aggira in media intorno a 0,3 m3/sec, arrivando ad un massimo di 5 m3/sec (CELICO, 1983). Prima della realizzazione dei tunnel all’interno della grotta, nei periodi di maggiore piovositĂ la piana di Madonna delle Macchie si allagava, anche per il rigurgito simultaneo delle acque dai vari pozzi, per lo piĂš adattati dai locali su “sprofondiâ€? naturali (PASQUINI, 1963b). SEGRE (1948a) segnala che il ramo superiore in casi eccezionali veniva inondato. La sistemazione idraulica dell’alveo di Fosso Mastro, avvenuta nei primi anni ’70, ha comportato un’accentuarsi dei fenomeni di allagamento. I lavori di scavo in grotta hanno poi contribuito a regolare la portata del condotto sotterraneo, evitando il verificarsi di allagamenti disastrosi nel bacino chiuso a monte dell’inghiottitoio. I tempi di corrivazione del bacino idrologico sono molto rapidi (probabilmente intorno a 1 ora) mentre il flusso si attenua nel giro di qualche giorno. Attualmente nel corso delle piene il condotto artificiale di uscita della Risorgenza dell’Obbuco si può riempire completamente; in alcune occasioni anche il livello dell’acqua nell’inghiottitoio può salire fino a formare un lago che copre il portale di ingresso.

piĂš vari sono numerose. L’interno è stato esplorato dagli speleologi a partire giĂ dal 1926. Nel 1927 furono realizzate le prime opere per la fruizione turistica del primo tratto della grotta, attraverso l’allargamento di strettoie, la costruzione di camminamenti, la realizzazione di scale in cemento, il posizionamento di passerelle in griglia metallica e, naturalmente, la messa in opera dell’impianto di illuminazione. Fino a qualche decennio fa, in occasione delle piene piĂš abbondanti, l’ostruzione dei condotti sotterranei dava origine a un lago che temporaneamente sommergeva parte della Piana della Madonna delle Macchie. Negli anni fra il 1976 e il 1983 furono eseguite opere di scavo lungo il ramo attivo per eliminare i sifoni, collegando con un grande passaggio attraversabile dall’uomo le gallerie finali dell’inghiottitoio alla risorgenza. Ciò è avvenuto abbattendo con mine e demolitori 2.500 m3 di roccia, con effetti evidenti sulla morfologia dei luoghi. I tunnel (cosĂŹ come il pozzo di aerazione perforato dalla superficie esterna fino al “ramo superioreâ€?) hanno anche attivato flussi d’aria, modificando sensibilmente la circolazione preesistente. Il flusso turistico che interessa il tratto iniziale della grotta ormai da diversi decenni, è decisamente rilevante. Oltre all’impatto determinato sull’ambiente dalla turisticizzazione, un ulteriore elemento di alterazione è costituto dai materiali trasportati all’interno della grotta dal corso d’acqua durante gli eventi di piena: nelle anse del torrente o incastrati in alto presso il soffitto (nel tratto dall’ingresso dell’inghiottitoio fino allo “pseudosifoneâ€?) sono stati rinvenuti alcuni rifiuti anche di grandi dimensioni (frigoriferi, bidoni, travi, ‌).

Stato dell’ambiente

Note tecniche

La risorgenza e, soprattutto, l’inghiottitoio sono conosciuti “da sempre� dalla popolazione locale, e da sempre considerati collegati. Le testimonianze di utilizzo del grande antro d’ingresso per gli scopi

Non sono presenti verticali da attrezzare con corda, ad eccezione dello scivolo della sala “dei Pipistrelli� nel “ramo superiore�, arrampicabile ma scivoloso (comoda la corda). Per superare i laghi della


parte attiva occorrono la muta o il canotto. E’ utile una corda per scendere la cascata al punto 42.

Storia delle esplorazioni Sia l’inghiottitoio che la risorgenza erano conosciuti da sempre dagli abitanti del luogo, locali, e da sempre considerati collegati, come tramandato in leggende locali, anche perché, a causa delle piene a cui l’inghiottitoio andava soggetto e che la risorgenza non riusciva a smaltire, si formava un lago che sommergeva parte della piana. Nel 1868 l’androne d’ingresso fu teatro dell’eccidio degli ultimi seguaci del brigante Andreozzi che vi si erano rifugiati, inseguiti dai gendarmi. Costretti ad arrendersi per fame, furono fucilati, mentre un seminarista da essi trattenuto in ostaggio moriva di spavento. La prima citazione sulla grotta è di E. Abbate nella Guida alla Provincia di Roma (1894). L’inghiottitoio fu esplorato dal CSR il 24 aprile 1926 (C. Franchetti, A. Datti, P. Pietromarchi, C. Zileri dal Verme, G. Dusmet, Cossilla) fino al primo sifone; venne inoltre trovato ed esplorato il ramo superiore. La risorgenza venne esplorata da G. Dusmet, C. Franchetti e P. Pietromarchi nel 1927. Su proposta del CSR e con l’aiuto delle autorità locali, la grotta venne immediatamente resa turistica (inaugurazione del 30 maggio 1927). Durante il secondo conflitto mondiale vi trovarono rifugio migliaia di profughi, fuggiti dai paesi circostanti. Le esplorazioni speleologiche ripartirono nel 1963, quando L. Ferri Ricchi e gli speleosubacquei dell’URRI (V. Castellani, C. De Gregorio, C. La Padula, M. Ranieri) riuscirono con vari tentativi (1963-68) a collegare le due grotte superando i sifoni, partendo sia dall’inghiottitoio che dalla risorgenza. Per far defluire meglio le acque ed evitare il ripetersi delle inondazioni, conoscendo ormai l’intero percorso sotterraneo del torrente, a partire dal 1976 i tratti sifonanti furono allargati, e fu realizzata un’uscita artificiale presso l’imbocco dell’Obbuco, tanto che oggi si può attraversare completamente la grotta anche senza l’ausilio delle bombole. La grotta turistica venne riaperta nel 1983. Nel corso di due punte esplorative (agosto 1995 e agosto 1996) quattro speleologi di Falvaterra (A. Carè del GSC, M. Chiaro, G. Cristofari e D. Russo) hanno esplorato il ramo “della Luna”. Nel 1997 il GSC (A. Carè, R. Sarra, P. Sellari ed altri) ha percorso il ramo “del Secco”.

Bibliografia ABBATE, 1894; AGOSTINI & FOR TI, 1979; BENELLI, 1982; CATULLO, 1981; CELICO, 1983; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1928; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954a; DOLCI, 1965; FERRI RICCHI, 1965; FERRI RICCHI, 1968; FERRI RICCHI, 2001; FERRI RICCHI & CASTELLANI, 1968; FILECCIA, 1996; FOR TE, 1985; GOBETTI, 1991; GUARESCHI & MORANDINI, 1943; MANCINI, 1997; MASSANO, 1931; MECCHIA G., 1997; MECCHIA M., 2000; NOZZOLI S., 1999; PASQUINI, 1963b; RANIERI E FERRI RICCHI, 1965; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c; SEGRE, 1948d; SEGRE, 1956; VEROLE BOZZELLO, 1970; ZILERI DAL VERME, 1926b.

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Inghiottitoio di Pozzavello Dati catastali Altro nome: Inghiottitoio di Lenola 9 La - comune: Lenola (LT) - località: Piano Pozzavelli - quota: 330 m carta IGM 1:25000: 160 III SO Lenola - coordinate: 1°00’43” (13°27’51”4)- 41°24’44” carta CTR 1:10000: 415 020 Lenola - coordinate: 2.391.595 - 4.583.885 dislivello: -50 m circa - sviluppo planimetrico: 300 m circa Da Lenola si prende la SS 637 in direzione di Fondi. Circa 300 m dopo il bivio per Pico, si prende una strada sulla sinistra che porta al depuratore. Aggirato il depuratore sulla destra, si scende verso il letto del torrente che entra nella grotta. L’imbocco si trova alla base di una depressione semicircolare sistemata e consolidata con opere in muratura, nella quale si getta il torrente dopo aver superato un salto artificiale.

confluiscono vari rami: da sinistra la galleria del ramo “Misto”; da destra un ramo fossile superiore (ramo “Bello”, punto 7). Alla base del P5 confluisce una galleria sottostante il ramo “Misto” ed un condotto attivo dal quale, secondo Segre, affluirebbe l’acqua dell’Inghiottitoio del Pantano (19 La/LT). Da qui la grotta prosegue ancora con uno stretto “meandro” per circa 25 m, che scende con saltini e marmitte fino a sbucare in un altro pozzo di 6 m alla cui base si notano, lateralmente, un sifone ed una breve diramazione fangosa. Si prosegue in un breve tratto di “meandro”, poi la grotta intercetta un’altra frattura trasversale (punto 10): a monte prosegue con una galleria in salita, il ramo “dei Saltini”, mentre a valle scende con due salti di 7 e 6 m in una sala molto alta (punto 12). Alla base il meandro continua fino ad un ulteriore saltino di 3 m seguito da un pozzo di cui non si conosce la profondità. Sembra che alla base del pozzo la grotta continui con una galleria con il fondo allagato lunga 80 m e sifonante; di quest’ultimo tratto non esiste rilievo.

Descrizione

Stato dell’ambiente

Le acque di un bacino chiuso esteso circa 9 km2 vengono convogliate nell’inghiottitoio, il cui ingresso è una fessura d’interstrato bassa (meno di 1 m) e larga (1,5-2 m). Caratteristica della grotta è l’alternanza di gallerie di interstrato (inclinato di 15°-20° verso 200°) strette e quasi prive di concrezioni con pozzi cilindrici ampi e con pareti lisce, che si allargano in salette. Dopo un breve tratto di galleria piuttosto ampia, un saltino di 3 m immette in una condotta meandreggiante piuttosto bassa e scomoda, lunga circa 50 m che sbuca su un salto di 2 m seguito da un salto di 5 m. Al di sopra del P2 probabilmente per l’intersezione con una frattura trasversale,

L’inghiottitoio del campo chiuso è ovviamente noto “da sempre”. Le esplorazioni interne sono iniziate nel 1927; da allora la grotta è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Da alcuni anni l’inghiottitoio è impraticabile poiché l’imbocco è il recapito dello scarico del depuratore comunale. Si può quindi facilmente immaginare che l’inquinamento degli ambienti interni sia della massima rilevanza.

Itinerario

Note tecniche P3, P2, P5, P6, P7, P6, P3, dal meandro alla base (-50) segue un pozzo di profondità non nota.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel giugno 1927 dal CSR (A. Datti, C. Franchetti, P. Pietromarchi).

Bibliografia DOLCI, 1965; MANCINI, 1997; PIRO, 1994a; SEGRE, 1948a.


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(legenda a pag. 86)


I Monti Aurunci, che costituiscono il proseguimento verso SE della catena dei Monti Ausoni, sono suddivisi in tre unità geologiche (Sotto-Zone): occidentale, centrale e orientale, isolate anche dal punto di vista idrogeologico. Il limite fra i Monti Aurunci e i Monti Ausoni è convenzionale e segue la serie di bacini chiusi situati sull’allineamento tettonico Pastena-Campodimele-Itri. L’area complessiva degli affioramenti carbonatici è di circa 360 km2, sui quali il fenomeno carsico ipogeo è ben sviluppato e rappresentato da un centinaio di grotte, alcune delle quali di estensione notevole. I Monti Aurunci occidentali costituiscono un’unità separata dal settore centrale per mezzo di una linea tettonica orientata NW-SE che passa nei pressi del paese di Itri. Il settore orientale (M. Maio) è separato dai Monti Aurunci centrali tramite la profonda e ampia valle dell’Ausente, orientata in direzione N-S; la valle, costituita da depositi terrigeni fliscioidi, è il risultato della diversa storia geologica dei due settori, coinvolti in tempi diversi nell’edificazione della catena appenninica (le montagne orientali sono più recenti).

I MONTI AURUNCI OCCIDENTALI Questa area montuosa è caratterizzata da rilievi di modesta elevazione, che culminano nel M. Cefalo (543 m). Nell’area interna del massiccio sono conosciute poche grotte e tutte di modeste dimensioni. Fra queste ricordiamo il grande ambiente della Grotta di Monte Cristo (sviluppo 80 m), fra M. Cefalo e M. Marano, e la Grotta di M. Dragone (sviluppo 50 m), nelle vicinanze della cima omonima. All’estremità NW del bordo della struttura aurunca, verso la sommità del colle che sovrasta il Lago San Puoto, si apre la spaccatura dell’abisso omonimo (-58). Il bordo Sud-occidentale dei Monti Aurunci costituisce la costa tirrenica per tutto il tratto compreso fra Sperlonga e Gaeta, con falesie calcaree alte fino a 140 m alternate a spiagge sabbiose. Sulla linea di costa si osservano numerose nicchie, antri e qualche grotta vera e propria. Interessante, dal punto di vista storico-archeologico, è la Grotta di Tiberio, situata al piede di una falesia vicino Sperlonga. Fra Torre Viola e lo scoglio La Nave, ormai alla periferia di Gaeta, si trova il Pozzo del Diavolo, enigmatica voragine in comunicazione con il mare. Un nutrito gruppo di cavità si rinviene sul promontorio di Gaeta. Fra queste le più interessanti sono la Grotta di Polifemo (sviluppo 75 m) e la Grotta delle Calegne (sviluppo 44 m), situate verso l’interno, in località Cappuccini, e alcune grotte nel Promontorio di Monte Orlando (o Montagna Spaccata) come la celebre Grotta del Turco, turistica, e altre con ingresso subacqueo, la più estesa delle quali è la Grotta 2a della Spaccatura sotto il Convento della Montagna Spaccata (sviluppo di un centinaio di metri). Deflusso sotterraneo L’unità M. Cefalo-M. Lauzo (M. Aurunci occidentali) appare idrogeologicamente isolata dal settore centrale dei Monti Aurunci. La più importante emergenza dell’idrostruttura è il gruppo Vetere (q. 14-8 m, portata media 1,2 m3/s) sul bordo settentrionale del massiccio al limitare della Piana di Fondi; numerose sorgenti minori sono localizzate lungo la costa. Nel Lago S. Puoto (lo specchio d’acqua è a q. 4 m, il fondo dell’abisso omonimo si trova una trentina di metri più in alto), si hanno consistenti emergenze (portata media 360 L/s; BONI ET ALII, 1988) con mineralizzazione abbastanza elevata, anch’esse appartenenti alla falda basale. Nei pressi della Grotta di Tiberio, a pochi metri dalla battigia, sgorgano due sorgenti semisepolte dalla sabbia e sommerse dall’alta marea; anche il fondo della grotta è coperto da acqua dolce proveniente da una piccola sorgente interna. Le sorgenti Acqua di Tiberio (q. 0,6 m, elevata salinità, portata media 60 L/s; BONI ET ALII, 1988) dovrebbero drenare un piccolo settore della falda basale. Nel tratto di costa circostante il promontorio di Gaeta, fra la spiaggia dell’Arenauta e Vindicio (in questa fascia si apre il Pozzo del Diavolo), sono presenti alcune sorgenti subaeree di piccola portata, ma la parte più rilevante del deflusso sotterraneo scaturisce direttamente in mare, con portata media complessiva stimata in alcuni m3/s. MONTI AURUNCI CENTRALI La vasta area dei Monti Aurunci centrali è articolata in sistemi di piani carsici di alta quota, separati da dorsali e da profondi valloni, che formano una sorta di altopiano dal quale emergono numerose vette, che raggiungono l’elevazione massima nel Monte Petrella (1533 m), in posizione dominante sulla costa tirrenica; qui i versanti scendono bruscamente fino quasi al mare, con un dislivello di circa 1200 m nei pressi di Formia. Sul bordo orientale del massiccio le possenti pareti del M. Fammera (1168 m) delimitano la valle dell’Ausente. Le strade di accesso all’interno della catena individuano 4 aree principali di esplorazione, con passaggio attraverso i centri abitati di Formia-Maranola a Sud, Spigno Saturnia a Est, Esperia a Nord e Campodimele a NW. Da Formia-Maranola si raggiunge, con ripide strade sterrate, il crinale montuoso meridionale, lungo il quale si individuano due aree in cui il carsismo è particolarmente sviluppato, con diversi campi chiusi in superficie e numerose grotte in profondità: Il M. Ruazzo a Ovest e il M. Petrella a Est.

Ai piedi del M. Ruazzo (1314 m) sono note le notevoli grotte verticali dell’Abisso della Ciauchella (-296) e della Ciauca del Monaco (-147). Più in alto si aprono la Ciauca degli Spagnoli (-90) e, sul M. Ferrazzano (1078 m), la risorgenza temporanea della Voloca (sviluppo 110 m). Fra le altre grotte presenti in quest’area si ricorda la Risorgenza del Formale (sviluppo circa 100 m) e la Ciauca di Masto Marco (-45). Spostandosi a Est, nell’area intorno alla sommità di M. Petrella, si trovano l’Abisso Shish Mahal (-315), la Ciauca di Cese gliu Vicciu (-80), la Ciaveca della Cimmerotta (-60), l’Abisso del Vallaroce (401, sviluppo 505 m), la Ciauca di Monte Vate Rutto (-140) e, fra le grotte minori, la Stazza di Canale (-40), il Pozzo delle Orbitoline (-50) e la Ciavoca di Monte degli Acini (-32). Dal paese di Spigno Saturnia si salgono le pendici orientali del M. Petrella in un’area priva di grandi grotte, ma comunque ricca di fenomeni carsici ipogei, i più importanti dei quali sono la Ciauca Santilli (-50), la Ciaveca la Ciaia (-50), la Voragine della Palommella (-55), l’Inghiottitoio il Meandro (sviluppo circa 200 m) e la Ciauca delle Crocelle (-36). Il settore più interno, Nord-orientale, è raggiungibile attraversando Esperia e risalendo su stradine; è caratterizzato da numerosi campi chiusi, all’interno dei quali si aprono quasi tutte le grotte conosciute in quest’area. Salendo la strada del Rio Polleca si trova prima il campo chiuso “il Lago”, drenato dall’Inghiottitoio del Lago (-37), poi quello di Polleca, dominato a Est da Serra Capriolo (1340 m) (sulla quale si aprono la Chiavica del Confine, -36, e la Ciauca di Canale Martini, -45) e a Ovest da M. Revole (1283 m) (su questo monte si trova la Ciauca del Fàleca, -65). Fra le tante grotte che si aprono all’interno del bacino chiuso di Polleca si trova la maggiore e più estesa di tutti i M. Aurunci, la Grava dei Serini (-262, sviluppo 2240 m); l’ingresso più alto di questo sistema (Grotta Sarà Serini) si trova sul bordo del sovrastante Campo di Venza. Nel piano carsico di alta quota Morroncelli la grotta più estesa è l’Abisso dei Tre (-70). In un altro piano carsico in quota, “il Faggeto” situato ai piedi di M. Forte (1321 m), si trovano numerose cavità e fra queste l’Abisso del Ciavarreto (-120) e la Chiavica la Faggeta (-52). Sulla cresta M. Acquara Pellegrini-M. Fammera si apre l’Abisso Scorpion (-60). Al settore Nord-occidentale si giunge dalla strada per Campodimele. Presso la cresta M. Faggeto (1256 m)-Morrone del Saracino (906 m), che segna il confine amministrativo fra le province di Latina e Frosinone, si aprono i due pozzi della Ciauca dei Lontani Ricordi (-40) e della Ciavoca la Riccetta (30); più in basso, quasi sul fondo della valle chiusa di Campodimele, che segna il limite convenzionale con i Monti Ausoni, sgorga saltuariamente l’acqua della Grotta di Vallangiola (sviluppo 190 m).

Deflusso sotterraneo La falda di base dei M. Aurunci centrali defluisce principalmente verso il bordo meridionale del massiccio carbonatico, dove una faglia diretta mette in contatto i carbonati con puddinghe e depositi detritici e alluvionali. L’affioramento della falda avviene tramite due principali gruppi sorgentizi dai quali sgorgano acque bicarbonato-calciche tipiche dei circuiti carsici: 1) il gruppo sorgivo Mazzoccolo (q. 17 m, portata media 600 L/s), le cui acque vengono a giorno nella coltre plio-quaternaria all’interno della cittadina di Formia, provenendo probabilmente dal settore di M. Ruazzo; questo gruppo di sorgenti è localizzato 6 km a Sud dell’Abisso della Ciauchella e 7 km dalla Ciauca degli Spagnoli; 2) la sorgente Capo d’Acqua di Spigno (q. 52 m, portata media 1100 L/s), ai piedi di M. La Civita, probabilmente drena il settore di M. Altino-M. Petrella (la sorgente dista 5-6 km dagli ingressi dell’Abisso Vallaroce, dell’Abisso Shish Mahal e della Ciauca di Monte Vate Rutto, in direzione ESE o SE) e il settore di M. Rotunno-M. La Civita (la Ciauca della Palommella si trova 3,5 km verso NW). La quota della falda basale all’interno dell’area carsica dovrebbe essere ovunque compresa fra 50 e 100 m (BONI ET ALII, 1988). Alcune sorgenti minori sgorgano a q. 200-320 m fra Formia e Castellonorato, lungo la faglia che borda a Sud il massiccio carbonatico. Scaturigini sottomarine sono presenti nel settore di costa fra Vindicio e Formia (CELICO, 1983). Per quanto riguarda il deflusso delle acque sotterranee nella zona di percolazione sovrastante la falda basale, il livello a Orbitolina, che nei Fogli Gaeta e Cassino della Carta Geologica d’Italia è utilizzato come limite stratigrafico fra le formazioni carbonatiche C6-4 (Cenomaniano-Aptiano) e C4-1 (Aptiano-Neocomiano), sembra costituire un livello impermeabile localmente importante. Le sorgenti cartografate in corrispondenza di questo livello sono numerose: Fontana di Canale (q. 1276 m sul versante Ovest di Monte Petrella), sorgente di S. Michele (q. circa 1100 m sul versante Ovest di M. Redentore), sorgente di q. circa 1000 m sul versante Nord della Pontumella di M. Mesole e sorgente di q. 987 m sul versante Sud dello stesso monte; Fontana Acquaviva (q. circa 820 m, sul versante Est di M. Ruazzo). Tuttavia, i condotti carsici che alimentano queste sorgive non sono penetrabili dall’uomo. In alta quota, le uniche risorgenze carsiche percorribili sono quelle della Voloca e del Formale, quest’ultima impostata nei calcari del Senoniano-Turoniano (C10-7) situati stratigraficamente almeno 300 m più in alto del livello a Orbitolina. Fra le grotte conosciute, nessuna attraversa il livello a Orbitolina. In base alla cartografia geologica disponibile, sembra che i condotti dell’Abisso Vallaroce siano sviluppati poco sopra il livello,

approfondendosi poi lungo una faglia fino a raggiungere nuovamente lo strato argilloso-marnoso al fondo della grotta; si può ipotizzare che le acque di questo abisso seguano poi il livello a Orbitolina fino alla faglia “del Redentore”, orientata NW-SE. Nei calcari dell’Aptiano-Neocomiano (C4-1) sono presenti spaccature tettoniche profondissime (Abisso Shish Mahal: -315, Ciauca di Monte Vate Rutto: -140), che sembrano interrompersi all’ingresso nei sottostanti calcari del Neocomiano inf.-Lias sup. (C1-G5); inoltre, su tutta l’area di affioramento di questa formazione sono noti solo alcuni modesti pozzi. Sembrerebbe quindi che la carsificabilità di questi calcari sia minore, con conseguenze anche sull’efficacia del deflusso sotterraneo verso la falda di base.

I MONTI AURUNCI ORIENTALI Sono costituiti da tre monoclinali orientate circa NW-SE, culminanti rispettivamente nel M. Maio (940 m), nel M. Fuga (667 m) e nel Colle Arso (488 m). Solo nella prima di queste dorsali sono conosciute grotte, 9 in tutto, la più importante delle quali è il Labirinto di San Lorenzo (sviluppo 150 m). Deflusso sotterraneo La struttura dei Monti Aurunci orientali è circondata da depositi fliscioidi a bassa permeabilità che la isolano dalle altre strutture carbonatiche presenti nella regione. Le acque sotterranee del settore situato a settentrione delle cime di M. Maio e M. Pennino defluiscono verso Nord, alimentando la sorgente Lago di San Giorgio presso il Fiume Liri. Nella porzione meridionale dei M. Aurunci orientali è contenuta una falda basale che defluisce verso il bordo SE della struttura fino a numerose emergenze, anche termali, situate in alveo o nei pressi del Fiume Liri, a quote di circa 10 m. Il Labirinto di San Lorenzo si apre presso il bordo occidentale di questa parte della struttura; le zone più profonde della grotta sono situate intorno a q. 43 m e quindi (considerando un gradiente idraulico medio) dovrebbero trovarsi 10-20 m al di sopra della locale superficie piezometrica.

251


I MONTI AURUNCI OCCIDENTALI

252 Pozzo del Diavolo: la risalita (foto G. Mecchia)

Monti Aurunci occidentali: la Grotta del Turco nella Montagna Spaccata di

Gaeta (foto G. Mecchia) Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 170 Terracina e F. 171 Gaeta 1 = Abisso di Lago San Puoto 2 = Grotta di Tiberio 3 = Pozzo del Diavolo

coordinate riquadro: angolo NW = 0°57’ - 41°20’ angolo SE = 1°09’ - 41°12’

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Abisso di Lago San Puoto Dati catastali 303 La - comune: Sperlonga (LT)- località: versante SW di q.134 (Monte Rotondo) - quota: 90 m carta IGM 1:25000: 170 I NE Sperlonga - coordinate: 0°57’35”5 (13°24’43”9)- 41°17’15”9 carta CTR 1:10000: 415 090 Rio Claro - coordinate: 2.387.040 4.572.000 dislivello: circa -58 m - sviluppo planimetrico: 55 m

Itinerario Da Terracina si segue la via Flacca (SS 213) in direzione Sperlonga; al km 11, appena superato il Lago San Puoto, si prende la strada a sinistra che costeggia il lago e la si segue per 1,0 km fino all’inizio di un nucleo abitato; si lascia la macchina in corrispondenza di una stradina sterrata che sale a sinistra, e che porta ad uno sbancamento occupato da una cisterna. Da qui si risale il versante in linea retta fino ad arrivare ad una traccia di sentiero (a quota 80 m circa). Si prosegue quindi in quota a sinistra fino alla prima grande macchia di alberi poco sotto il sentiero. La dolina d’ingresso, di non facile reperimento, è fra gli alberi (30 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è una grande dolina (18x12 m), con una parete verticale sul lato a monte e con alcuni alberi di alto fusto all’interno. Entrati nella dolina dalla parte a valle (punto 1) e svoltando a destra, si trova un foro (punto 4) alto 1 m e largo 3 m, con un pilastro a metà, che dà accesso ad uno scivolo sassoso e franoso lungo una quindicina di metri. Alla base dello scivolo (punto 6) si entra in un caos di massi fra i quali si arrampica

in discesa, cercando il passaggio (non sempre evidente) per complessivi 45 m di dislivello; in pratica si tratta di un unico ambiente impostato su una faglia con direzione N55°E, inclinata di 70° verso SE, colmato da grandi blocchi incastrati a varie altezze e da detriti. La grotta chiude in frana (punto 17’, -58). Nella parete opposta della dolina si aprono due buchi: il primo, sulla destra (punto 19), è un cunicolo che dopo pochi metri chiude con una strettissima fessura verticale. Il secondo, a sinistra (punto 22), con un basso ingresso fra i massi, dà accesso ad un ripido scivolo sassoso lungo una decina di metri, alla base del quale (punto 24) si scende in un saltino di 4 m arrivando in una sala di crollo con pianta di 8x7 m, anch’essa in forte discesa. In fondo alla sala un altro saltino di 3 m immette in un cunicolo e quindi in una strettoia (punto 27) fra terra e frana (-19 m). Dalla sala partono anche alcuni diverticoli ciechi.

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre” come dimostrano i frammenti di ceramica e laterizi di epoca romana rinvenuti nella dolina d’ingresso. Percorsa dagli speleologi fin dal 1959, è tuttavia raramente meta di escursioni. L’ambiente interno, un caos polveroso di massi di crollo privo di concrezioni e poco sensibile ad eventuali azioni di modificazione antropica, non presenta alterazioni morfologiche evidenti né tracce di rifiuti.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature, anche se è utile una corda per superare piccoli salti. Tutta la grotta presenta accumuli di frana instabili.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 6 settembre 1959 dal GS Anxur.

Bibliografia DOLCI, 1967; GUADAGNOLI, 1963.

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Abisso di Lago San Puoto: il versante dove si apre l’ingresso della grotta (foto G. Mecchia)


Grotta di Tiberio: l’ingresso con l’antica peschiera invasa dalle acque marine (foto G. Mecchia)

Pozzo del Diavolo: vista dal bordo sul lato del mare (foto G. Mecchia)

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Grotta di Tiberio: Sperlonga vista dall’interno della grotta (foto G. Mecchia)

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Grotta di Tiberio

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Dati catastali

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205 La - comune: Sperlonga (LT) - localitĂ : Villa di Tiberio - quota: 1 m carta IGM 1:25000: 170 I NE Sperlonga - coordinate: 0°59’52â€?6 (13°26’61â€?)- 41°14’58â€?7 carta CTR 1:10000: 415 100 Torre Capovento - coordinate: 2.390.150 - 4.567.710 sviluppo planimetrico: 35 m Area protetta di riferimento: M. N. Promontorio Villa di Tiberio e costa Torre Capovento - Punta Cetarola SIC IT6040022 “Costa rocciosa tra Sperlonga e Gaetaâ€?

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Itinerario Da Sperlonga si segue la via Flacca (SS 213) in direzione Gaeta; al km 16,2 un segnale turistico indica l’area archeologica della villa di Tiberio, all’interno della quale si trova la grotta.

Descrizione KM

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E’ un’ampia caverna che si apre alla base di una falesia calcarea; mostra segni dell’azione del mare che l’ha allargata fino alle attuali dimensioni, anche se attualmente si trova a 30 m dalla riva. L’ingresso, preceduto da basse strutture murarie semisommerse di etĂ romana, è alto 10 m e largo 20 m. La grotta consisteva originariamente in un grande salone lungo oltre 25 m, largo circa 10


m, con due ampie diramazioni sul fondo; scarse le concrezioni. A sinistra dell’imbocco un diaframma roccioso separa una piccola nicchia ellittica dal salone principale. A pochi metri dalla battigia sgorgano due sorgenti semisepolte nella sabbia e sommerse durante l’alta marea; anche il fondo della grotta è coperto da acqua dolce proveniente da una piccola sorgente situata all’interno. La grotta faceva parte del complesso architettonico della villa dell’imperatore Tiberio. All’interno vi sono un bacino rettangolare con un isolotto e una grande vasca circolare. La diramazione di destra era adibita a ninfeo, con giochi d’acqua e cascatelle alimentate dalla sorgente citata, incanalata in un breve cunicolo artificiale. Lungo il perimetro della sala si trovano nicchie artificiali, sedili e banchine in muratura. “Svetonio e Tacito ricordano che, durante un banchetto in una grotta di Sperlonga inclusa nella villa imperiale, Tiberio venne salvato dal tempestivo intervento di Seiano (che per questo ebbe in seguito ricchezze e favori da Tiberio) il quale, facendo scudo con il proprio corpo, impedì che massi caduti dalla volta della grotta colpissero l’imperatore” (DE ROSSI G.M., 1980). All’esterno sono stati identificati i resti di vasche per piscicoltura e di vari edifici e terrazzamenti facenti parte della villa imperiale. Nella grotta sono stati ritrovati circa 7000 frammenti di gruppi scultorei di età ellenistica, eseguiti da scultori celebri e raccolti nella collezione d’arte dell’imperatore Tiberio; molti dei gruppi scultorei sono riferiti alle vicende omeriche di Odisseo. I più famosi sono quello dell’accecamento di Polifemo (la cui figura gigantesca sviluppa, distesa, ben 5 m) e quello di Scilla. Le ricostruzioni sono esposte nel museo annesso all’area archeologica. Uno sgrottamento posto poco a nord della grotta, lungo la falesia, venne trasformato in cappella nel 1736.

Stato dell’ambiente La grotta è conosciuta fin dai tempi più remoti e prende il nome dell’imperatore romano che la inglobò nella sua villa. L’interno della cavità è stato in gran parte modificato artificialmente rendendolo del tutto simile ad un ambiente architettonico epigeo. Attualmente la grotta è visitabile turisticamente.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni L’interno è rappresentato in un famoso disegno di Luigi Rossini (1935). Venne studiata nel 1947 da A. C. Blanc, dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, il quale, alla ricerca di giacimenti tirreniani e paleolitici del tratto di costa tra Sperlonga e Gaeta (BLANC E SEGRE, 1947; SEGRE, 1948 a), non approfondì le ricerche sulle murature romane presenti all’interno della grotta. Queste appassionarono invece Erno Bellante, direttore dei lavori della strada panoramica tra Sperlonga e Gaeta. Per sua iniziativa personale, dal 6 settembre 1957 vennero estratti in pochi giorni 400 frammenti marmorei, alcuni dei quali firmati da celebri scultori di Rodi: Athanodoros, Hagesandros e Polydoros (BLANC, 1957).

Pozzo del Diavolo Dati catastali altro nome: Pozzo delle Aiate 294 La - comune: Gaeta - località: Fontania - quota: 29 m carta IGM 1:25000: 171 IV SO Gaeta - coordinate: 1°05’48”5 (13°32’56”9) - 41°12’25”5 carta CTR 1:10000: 415.150 Gaeta - coordinate: 2.398.340 - 4.562.850 dislivello: -29 m Area protetta di riferimento: SIC IT6040022 “Costa rocciosa tra Sperlonga e Gaeta”

Itinerario Da Sperlonga si segue la via Flacca (SS 213) in direzione Gaeta; all’entrata del centro abitato si prende la strada che porta a Serapo (via Fontania). Dopo 300 m, all’altezza di Villa Rais, si imbocca una strada privata sulla destra e la si percorre per un centinaio di metri fino a raggiungere uno slargo laterale chiuso da una catena; da qui parte un sentierino che va verso il mare. Il pozzo si trova ad una ventina di metri dalla strada asfaltata, circondato da un muretto a secco. Si può entrare anche via mare con un’imbarcazione molto piccola (barchetta, pattino), da evitare se il mare è mosso. La grotta si apre all’interno di un terreno privato.

Descrizione Il pozzo si apre sulla sommità di un promontorio calcareo. L’ingresso è di forma circolare, ha un diametro di 15 m ed è circondato in parte da un muretto a secco. Alla base il pozzo, largo circa 20 m, è in comunicazione con il mare per mezzo di un passaggio alto 10 m (di cui 2 m al di sopra del livello dell’acqua) e largo 10 m, percorribile con la barca durante la bassa marea. Il pozzo è impostato su due fratture orientate N60°E ed E-W. Il lato nord (punto 1) del pozzo scende con una parete verticale per 35 m fino ad incontrare l’acqua, e continua in profondità per circa 8 m (SEGRE, 1948a); sul lato sud (punto 2) invece il bordo è tagliato da una stretta spaccatura, con abbondanti residui di concrezioni, che permette di affacciarsi sul pozzo circa 6 m più in basso del bordo superiore. Sulla stessa spaccatura (direzione N60°E) è impostato anche il condotto che comunica con il mare.

Stato dell’ambiente Il pozzo è situato in un promontorio fortemente antropizzato, posto alla periferia della cittadina di Gaeta. L’area immediatamente circostante la voragine è molto frequentata, con abbondanza di rifiuti di vario tipo. All’interno non sono evidenti alterazioni ambientali.

Note tecniche La discesa è più semplice partendo dal lato più alto, scendendo una verticale di 35 m fino al pelo dell’acqua (corda 40 m). Il passaggio “via mare” è percorribile con la barca durante la bassa marea.

Bibliografia

Storia delle esplorazioni

BLANC & SEGRE, 1947; BLANC, 1957; DE ROSSI G.M., 1980; DOLCI, 1967; MINISTERO DEI LAVORI PUBBLICI, 1934; RADMILLI, 1978; SEGRE, 1948a; SVETONIO, II SEC.D.C.; TACITO, II SEC. D.C.; TOZZI, 1970.

Il pozzo è conosciuto da sempre. Il nome originario è “Pozzo delle Chiate”, dal nome di una specie di pesce che vive nel luogo, alterato poi in “Puzze de le Chiave”, ma nelle carte topografiche è riportato come “Pozzo del Diavolo” (SALEMME, 1938). Non si hanno notizie sulla prima discesa del pozzo, che comunque è stato certamente visitato da tempi remoti, probabilmente passando dal mare.

Bibliografia CASTALDI, 1935; DOLCI, 1967; GIORDANO & ROSSETTI, 1976; SALEMME, 1938; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c.

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I MONTI AURUNCI CENTRALI

Grotta di Vallangiola: l’ingresso (foto G. Mecchia)

Monti Aurunci centrali: il bacino chiuso di Campodimele visto da Monte

Faggeto (foto G. Mecchia)

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 160 Cassino e F. 171 Gaeta 1 = Grotta di Vallangiola 2 = Risorgenza la Voloca 3 = Ciauca degli Spagnoli 4 = Abisso della Ciauchella 5 = Ciauca del Monaco

6 = Ciauca del Faleca 7 = Grava dei Serini (ingresso superiore) 8 = Abisso dei Tre 9 = Abisso Scorpion 10 = Chiavica la Faggeta

11 = Abisso del Ciavarreto 12 = Ciauca di Cesa gliu Vicciu 13 = Abisso Shish Mahal 14 = Ciaveca della Cimmerotta 15 = Voragine del Vallaroce

16 = Ciauca di Monte Vate Rutto 17 = Voragine della Palommella 18 = Ciauca Santilli 19 = Ciauca della Ciaia

coordinate riquadro: angolo NW = 1°04’ - 41°24’ angolo SE = 1°17’ - 41°14’30â€? -ONTE 3 &ERRAZZANO

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Ciauca del Faleca: pipistrello alla base del pozzo d’ingresso (foto M. Mecchia)

Grotta di Vallangiola: la galleria nel punto 41 (foto P. Fanesi)


Grotta di Vallangiola Dati catastali altri nomi: Grotta di Vallefosca; Risorgenza di Campodimele 172 La - comune: Campodimele (LT) - località: Vallangiola - quota: 406 carta IGM 1:25000: 160 III SO Lenola - coordinate: 1°04’35”0 (13°31’43”4) - 41°22’14”0 carta CTR 1:10000: 415 030 Campodimele coordinate: 2.396.950 - 4.581.020 dislivello: -10 m - sviluppo planimetrico: 190 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Storia delle esplorazioni

Itinerario

La grotta è conosciuta da sempre; è stata percorsa per secoli dai contadini che andavano a prendere l’acqua alla sorgente che si trova a metà della cavità. Citata da SEGRE (1948a) come “caverna ampia con un laghetto”; è stata successivamente esplorata il 15 novembre 1969 dallo SCF (E. Minelli, M. Cecchi, A. Di Russo, F. Longo, S. Ciccolella) per i primi 125 m. Delle probabili esplorazioni successive non si hanno notizie. L’unica esplorazione completa documentata è stata realizzata il 14 settembre 2002 dallo SCR (R. Ciotola, S. De Santis, Paola Fanesi, G. Mecchia, G. Pintus, Maria Piro).

Da Itri si prende la strada per Campodimele. Dopo 10,8 km si svolta a destra per una strada asfaltata di fronte alla chiesa di San Nicola e, dopo 100 m, si prende una strada bianca a destra. La si percorre per circa 6 km fino a discendere in una valle chiusa (Valle Torre) con al centro un’antica cisterna ancora in uso, nei cui pressi si lascia la macchina. Dalla cisterna si può seguire il tracciato di un tubo nero metallico che termina all’ingresso della grotta.(5 minuti di cammino). La grotta si apre in un terreno privato; per l’accesso è opportuno chiedere l’autorizzazione al proprietario.

Bibliografia

Descrizione (di Giulio De Meo)

ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1973b; DOLCI, 1967; SEGRE, 1948a; SPELEO CLUB FORMIA, 1970.

Itinerario Da Pico si prende la SS 85 per Itri. Arrivati al bivio per Campodimele (q. 442 m) si prosegue verso Itri per 50 m fino al bivio con una stradina sterrata sulla destra. Lasciata la macchina nei pressi del bivio, si discende il versante per tracce di sentieri attraversando vari terrazzamenti. Arrivati sopra l’ultimo evidente terrazzamento prima del fondovalle, si piega a destra costeggiando i resti di una vecchia casetta diroccata, fino ad arrivare al fosso che nasce dalla risorgenza (5 minuti di cammino).

Descrizione La grotta è una risorgenza temporanea che emette acqua in corrispondenza di periodi piovosi. La percorribilità della grotta dipende dal livello dell’acqua nella galleria sotterranea. L’ingresso è un piccolo antro, alto 70 cm e largo 1,8 m, che dà accesso ad una galleria in leggera discesa con il fondo ciottoloso, alta mediamente 1,5 m e larga 60 cm, con andamento tortuoso, che dopo circa 10 m si allarga in una saletta (punto 4) di 2x3 m; subito dopo sulla destra si nota un camino ascendente alto 5 m, non risalito. Da questo punto in poi la grotta spesso risulta allagata nei periodi piovosi, e comunque anche nei periodi secchi si può trovare acqua sul fondo. Oltre la saletta la galleria prosegue mantenendo una forma tondeggiante, con diametro medio di 1,3 m. La volta si abbassa e l’andamento è ancora tortuoso; in questo tratto, lungo una ventina di metri, il fondo scende leggermente per poi risalire di nuovo. Da qui (punto 11) la sezione diventa più alta, raggiungendo anche i 5 m, dato che il pavimento della galleria scende, e la sezione assume una caratteristica forma “a toppa”, con larghezza variabile da 60 cm a 1 m; dalle pareti pendono quinte e cortine di concrezioni. Dopo una trentina di metri sempre con andamento a meandro e con numerose curve, in corrispondenza di uno slargo (punto 19) la galleria cambia morfologia, e prosegue per una quarantina di metri con una serie di tratti rettilinei raccordati da curve a 90°; la sezione è rettangolare, alta circa 2 m e larga 50–80 cm. In questo tratto (punti 19-26) vi sono alcuni camini affluenti, uno dei quali è un fuso (punto 22) alto una decina di metri, di dimensioni 2x2,5 m. Nell’ultimo tratto una grande concrezione mammellonare restringe la sezione. Al termine di questo tratto (punto 26), la sezione rimane alta e stretta, e il fondo scende leggermente con pendenza costante; sulle pareti vi sono svariate concrezioni, generalmente coperte di fango. Dopo una ventina di metri, e dopo aver superato un camino laterale alto circa 8 m, sulla destra (punto 35) si trova una piccola marmitta circolare piena di acqua limpida, alimentata da una venuta d’acqua laterale. Intorno sono stati trovati numerosi frammenti di ceramica probabilmente riferibili a recipienti per raccogliere acqua, che testimoniano un antico utilizzo della sorgente che alimenta la vasca naturale. Da questo punto la galleria prosegue con andamento quasi rettilineo, di nuovo con sezione a toppa, alta circa 2 m e larga circa 1 m, con la parte superiore ampia e tondeggiante; sul pavimento si trovano spessi depositi di fango. Il fondo è in costante e leggera discesa; dopo circa 80 m (punto 46) la volta si abbassa sull’acqua impedendo la prosecuzione. Nella zona di imbocco gli strati sono diretti N70°W con immersione di 10° verso nord, mentre in prossimità del fondo della grotta è stata misurata una giacitura di N15°W con inclinazione di 12° verso est. Non vi sono apprezzabili correnti d’aria.

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre” e le acque al suo interno sono state nel passato attinte dai locali, come dimostrano i numerosi frammenti di anfore che si trovano nel tratto fra la sorgente interna e l’uscita. Comunque la grotta, che viene interamente sommersa durante gli eventi di piena quando le acque fuoriescono dal suo ingresso, gode dei positivi effetti dilavanti che derivano da tale regime idrico, ed è sostanzialmente integra.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature

Risorgenza la Vòloca Dati catastali 445 La - comune: Itri (LT) - località: Campello - quota: 795 m carta IGM 1:25000: 171 IV NO Itri - coordinate: 1°07’26”6 (13°34’35”) - 41°19’51”2 carta CTR 1:10000: 415 070 Santuario Madonna della Civita - coordinate: 2.400.870 - 4.576.550 dislivello: circa -40 m (rilevato –20) - sviluppo planimetrico: circa 110 m (rilevato 85) Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

La grotta è una risorgenza temporanea che si attiva solo dopo forti temporali o allo scioglimento delle nevi. L’imbocco è un antro largo 1,5 m ed alto 2 m che si apre alla base di una paretina. Si entra attraverso un cunicolo in discesa stretto e basso, con diametro di 1 m per i primi 5 m, poi alto anche 3 m fino ad arrivare ad un ulteriore punto basso (che può essere trovato chiuso da un sifone) con un laghetto (punto 3), ad una dozzina di metri dall’ingresso. Da qui la galleria continua per una decina di metri in leggera salita fino ad una saletta (punto 4) ed all’orlo di un salto (P7). Sulla volta della sala si notano un paio di stretti camini. Il pozzo di 7 m termina su uno scivolo ghiaioso, la volta si abbassa (meno di 1 m) per poi rialzarsi subito, ed in breve si arriva ad un secondo laghetto (punti 6-7); si risale poi il conoide formatosi alla base di un camino. Segue uno scivolo in discesa che dopo 25 m porta al terzo lago (punto 12), con acqua alta 1,8 m, terminante con una fessura triangolare di ridotte dimensioni, superata la quale si entra in una sala (punti 13-14) alta una decina di metri, oltre la quale si trova un lago-sifone perenne (punti 14-15).

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Monti Aurunci centrali: il bacino chiuso di Campello (foto M. Piro)

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Risorgenza la Voloca: l’imbocco (foto M. Piro)


Da qui le esplorazioni sono proseguite svuotando il sifone con una pompa (tratto non rilevato). Superata una breve lama di roccia, si prosegue con andamento a “S” per una ventina di metri e si esce in una “bolla d’aria” (punto 16); segue un nuovo lago-sifone che è stato svuotato per un dislivello di 17 m; il condotto scende prima inclinato, poi verticale. Le operazioni di svuotamento sono state interrotte a 17 m di profondità, dove il pozzo ha un diametro di 2 m e continua allagato, con uno scivolo molto inclinato. Sia il pavimento che le pareti della grotta sono coperti da uno spesso strato di fango.

Stato dell’ambiente La risorgenza è nota “da sempre”; l’acqua del sifone interno viene ancora prelevata con una pompa sommersa che la recapita alla cisterna esterna per mezzo di un tubo, che si fiancheggia lungo tutto il percorso della cavità. Non sono segnalati evidenti segni di alterazione dello stato ambientale.

Note tecniche Fino al sifone perenne (-20) è necessaria l’attrezzatura unicamente per scendere un P7.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 28 maggio 1967 dallo SCR (A. Moretti, F. Saiza, G. Ciotta, L. Maiello) fino al lago-sifone. Il 3 agosto 1968 Moretti (ASR) percorse un breve tratto del sifone in apnea. Dal 1984 il Tri.Ma. (F. Cardillo, G. De Meo, P. De Meo, L.. Filosa, F. Filosa, P. Minutillo, E. Pelliccia, A. Petrone) in una serie di uscite ha svuotato con una pompa il sifone fino al limite attuale.

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969b; MORETTI, 1967a.

dopo circa 400 m si entra in una zona di doline. Sul fianco di una di queste (100 m prima di affacciarsi nel campo carsico di Fosso di Fabio), in un rado bosco, si apre il pozzo (circa 1 ora e 20 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è ubicato sul fianco di un’ampia dolina. Il pozzo ha una sezione d’imbocco larga circa 1,5 m e una profondità totale di 90 m. Nel primo tratto, fino a 13 m di profondità, il pozzo si allarga fino a 2 m, scendendo con un ripido scivolo, prima roccioso e nell’ultimo tratto detritico, fino a gettarsi (punto 3) in una tratta verticale, che inizia con una sezione circolare larga 1,5 m. Dopo altri 6-7 m di discesa il pozzo si allarga assumendo una bella sezione circolare di 3 m di diametro, che mantiene fino alla profondità di 60 m. Due piccoli terrazzini a scivolo, separati da una paretina alta meno di 3 m, immettono (punto 6) nell’ultima tratta verticale. La sezione d’imbocco è di 1,5 m, poi il pozzo si amplia (2,5x3,5 m). Al fuso principale si collega un pozzo parallelo, e alla profondità di 90 m la discesa termina su un pavimento detritico (punto 7), coperto da diversi tronchi e con resti di animali caduti dall’esterno. La base del pozzo ha una sezione di 6x2,5 m, è pianeggiante e allungata nella direzione della evidente frattura (N30°E) sulla quale si è originato l’intero pozzo. La stratificazione ha giacitura N30°E e immersione 30°SE. Non è stata avvertita alcuna corrente d’aria. L’attività idrica sembra limitata allo stillicidio anche dopo intense piogge. Il concrezionamento è praticamente nullo.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata negli anni ‘60, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Alla base del pozzo si rinvengono solo pochi rifiuti (barattoli gettati dall’esterno) e alcune carogne di animali, unici elementi di alterazione dello stato ambientale.

Note tecniche

Ciauca degli Spagnoli

Pozzo unico profondo 90 m, con cenge a –13 e –63 (corda 110 m).

Storia delle esplorazioni Dati catastali 996 La - comune: Formia (LT)- località: Valle Zammuca - quota: 1055 m carta IGM 1:25000: 171 IV NE Formia - coordinate: 1°08’10”9 (13°35’19”3) - 41°19’00”0 carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.401.870 4.574.950 dislivello: -90 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Formia si raggiunge Maranola, quindi si attraversa il paese prendendo la strada che sale al Monte Redentore. Dalle ultime case del paese si prosegue su una stradina asfaltata che sale rapidamente, e dopo circa 6 km, in corrispondenza di un’evidente curva nella quale confluiscono più strade, si lascia la strada asfaltata, proseguendo dritto in una strada bianca; al bivio che appare dopo una trentina di metri, posto sulla sella tra M. Campone e M. Lapillo (q. 752), si continua a sinistra. Si percorre la strada sterrata principale costeggiata da un grande muro di sostegno in cemento armato. Ai successivi bivi si svolta a sinistra. Si arriva dopo 2 km presso la fontana Acquaviva, davanti ad un rifugio abbandonato (q. 825) prima attraversando un piano carsico, poi salendo un breve tratto di strada ripida e sconnessa. Si lascia la macchina alla fontana. Dietro al rifugio della forestale presso la fontana Acquaviva (815 m) parte il sentiero (mal riconoscibile) che taglia il versante sud di monte Ruazzo, raggiungendo dopo circa 1 km la cima di Monte Mesole (1061 m). Da qui si scende fino al fosso sottostante, si risale il versante opposto e

Esplorata in data imprecisata, ma certamente prima del 1967 dal GS Anxur; il 15 ottobre 1967 venne ridiscesa dallo SCR (G. e P.Befani, A. Moretti, Aurelia Mohrhoff, M. Rampini). Esiste una leggenda circa degli spagnoli che vi si sarebbero gettati, dopo essere stati derubati di una ingente somma e non avendo il coraggio di presentarsi al destinatario della stessa; ciò sarebbe accaduto nel 1600 (A. Moretti l’ha raccolta dalla voce di pastori).

Bibliografia MORETTI, 1967b; RUSCONI, 1990.

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sinistra, utilizzata per l’ancoraggio della corda. Da qui si scende per circa 45 m fino ad una cengia a scivolo; a destra si trova una sella in parete (battuta da un forte stillicidio) che divide il fuso principale da un pozzo parallelo profondo 20 m. Questo pozzo parallelo. separato in alcuni punti da un diaframma, accompagna il fuso principale fino ad una decina di metri dal fondo, e termina con un ripido scivolo concrezionato; una finestra lo mette nuovamente in comunicazione con il P85. L’ampia base del P85 (8x4 m) ha il pavimento ricoperto da un crostone stalagmitico ed è battuta da un forte stillicidio. In fondo al pozzo si trova una profonda vasca d’acqua a pianta rettangolare (2x3 m). Dalla base del pozzo iniziano un cunicolo stretto e tortuoso che scende circa 15 m (fino al fondo di quota -287) e il pozzo “Terminaleâ€?, profondo 23 m, con l’inizio a scivolo un po’ stretto. Alla base dell’ultimo pozzo (fondo, -296) si trova uno stretto cunicolo impraticabile. Per quanto detto sopra, si ritiene che la profonditĂ effettiva della grotta sia di almeno una ventina di metri inferiore a quanto riportato nel rilievo del 1967 e in questo testo.

Storia delle esplorazioni La cavitĂ , sicuramente conosciuta dal GS Anxur nel 1963, venne parzialmente esplorata il 31 agosto 1964 dallo SCR (Laura Deffenu, G. Pasquini, L. Valerio), che discese il primo pozzo. Le esplorazioni dello SCR ripresero il 3 settembre 1967, fino a -163 alla base del P54 (L. Maiello, A. Moretti, R. Testa, R. Trigila). La settimana successiva venne raggiunto il fondo di un pozzo chiuso (P15) a -253 (G. Befani, P. Befani, Myriam Davidovich, L. Maiello, A. Moretti, T. Novari, R. Testa). Il 17 settembre 1967 fu completata la discesa del P85 e del Pozzo Terminale di 23 m, a -296 di profonditĂ (P. Befani, G. Laurenti, A. Moretti, G. Silvestri, R. Testa) con il GS Anxur (F. Guadagnoli e M. Tramonti).

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; MECCHIA M. & MECCHIA G., 1983; MORETTI, 1967a; PASQUINI, 1964M.

Stato dell’ambiente

Abisso della Ciauchella Dati catastali 494 La - comune: Formia (LT) - localitĂ : Ciauchella, versante orientale Monte Ruazzo - quota: 865 m carta IGM 1:25000: 171 IV NE Formia - coordinate: 1°08’28â€?0 (13°35’36â€?4) - 41°18’20â€?7 carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.402.260 4.573.735 dislivello: -296 m - sviluppo planimetrico: 125 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; 260 ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunciâ€?

Itinerario Da Formia si raggiunge Maranola, quindi si attraversa il paese prendendo la strada che sale al Monte Redentore. Dalle ultime case del paese si prosegue su una stradina asfaltata che sale rapidamente, e dopo circa 6 km, in corrispondenza di un’evidente curva nella quale confluiscono piÚ strade, si lascia la strada asfaltata, proseguendo dritto in una strada bianca; al bivio che appare dopo una trentina di metri, posto sulla sella tra M. Campone e M. Lapillo (q. 752), si continua a sinistra. Si percorre la strada sterrata principale costeggiata da un grande muro di sostegno in cemento armato. Ai successivi bivi si svolta a sinistra. Si arriva dopo 2 km presso la fontana Acquaviva, davanti ad un rifugio abbandonato (q. 825) prima attraversando un piano carsico, poi salendo un breve tratto di strada ripida e sconnessa. Si lascia la macchina alla fontana. Da qui si prende un sentierino che prosegue nella stessa direzione (nord) dell’ultimo tratto di strada salendo leggermente verso sinistra. Dopo circa 300 m si raggiunge un prato terrazzato piÚ grande dei precedenti. A metà del prato nel lato a monte (sinistra), si prende una traccia di sentiero (segni rossi) che sale nel bosco e dopo un centinaio di metri porta alla grotta, a 450 m di distanza dalla fontana e 50 m piÚ in alto (15 minuti di cammino).

Descrizione Il pozzo d’ingresso (pozzo “Verdeâ€?) è profondo 20 m; l’imbocco misura 8x5 m e ha una forma di imbuto diviso a metĂ da un ponte di roccia. Alla base un ripido scivolo terroso, interrotto da un saltino di 2 m, è seguito da un altro ripido accumulo detritico che occupa una spaziosa rientranza dell’ambiente e che si immette direttamente sulla partenza del pozzo successivo, profondo 80 m, che quindi riceve le possibili scariche di sassi. I primi 8 m del P80 (pozzo “del Nicchioneâ€?) si scendono in un camino verticale tra due pareti distanti 0,5-1 m. Anche qui sono presenti piccoli accumuli di detrito mobile. Superata questa prima parte, si accede al grande

fuso del P80, totalmente verticale, con diametro di 6 m a metĂ altezza. Le pareti, molto regolari e lisciate dallo scorrimento delle acque, sono in parte ricoperte di patine di concrezione. Il fondo del pozzo ha pianta quasi circolare (7x5 m) e presenta per metĂ un accumulo detritico poco inclinato a cui segue un piano orizzontale concrezionato, con all’estremitĂ opposta una vasca d’acqua limpida. Durante la stagione piovosa l’intera superficie del fondo è battuta da uno stillicidio diffuso. Subito a sinistra si apre un pozzetto di 6 m, alla cui base uno stretto cunicolo conduce alla partenza di un grande pozzo profondo circa 130140 m. Il pozzo è una via di discesa alternativa a quella comunemente usata, che, invece, tramite pozzi paralleli, ritorna su questo pozzo circa alla sua metĂ , proseguendo quindi da lĂŹ per raggiungere il fondo della grotta. Se, invece, alla base del P80, si traversa sopra il pozzetto di 6 m, senza scenderlo, si accede ad un breve (5 m) meandro che sfonda direttamente su un pozzo di 30 m. Una ulteriore alternativa, molto piĂš scomoda consiste nel risalire a destra, prima del meandro, 4 m in arrampicata fino ad una piacevole saletta, base di un altro fuso, con una grande vasca d’acqua profonda piĂš di 1 m. Accanto alla vasca, una risalita di 6 m raggiunge una “finestraâ€? che immette in un pozzo di 16 m, alla cui base si supera una strettoia e ci si ritrova sul P30, una decina di metri sotto l’attacco. Il P30 (pozzo “Testaâ€?) è ampio alcuni metri. Alla base ci sono due diverse possibilitĂ di discesa. Per prendere la via migliore (segnata con vernice rossa) si entra, dalla parte opposta, nel finestrone sormontato da un arco di roccia. Si traversa il pozzo al di lĂ della finestra raggiungendo una comoda e spaziosa cengia. Alla base della parete opposta alla finestra si apre lo stretto imbocco di una verticale di 23 m. Il pozzo si allarga e, sceso, porta su una cengia. Da qui, spalle alla parete, si traversa costeggiando un arco naturale e ci si affaccia sul P85. Alla base del P30 è possibile seguire una seconda via di discesa. Evitando la traversata, si prosegue la discesa con una verticale di 10 m, a cui segue un pozzo che conduce anch’esso alla partenza del P85. Come si può osservare, il rilievo (effettuato nel 1967 e mai piĂš ripetuto) del tratto compreso fra la base del P80 e la sommitĂ del P85 non corrisponde a quanto riscontrato in grotta; si nota infatti che la profonditĂ di questo tratto supera di una ventina di metri la profonditĂ effettiva. Effettuata la traversata sopra l’arco naturale, si sbuca a metĂ di un grande pozzo che in questo punto ha una forma tondeggiante e un diametro di circa 7 m, che va gradatamente allargandosi verso il basso. Da questo terrazzo il pozzo risulta profondo 85 m, mentre verso l’alto sale per una cinquantina di metri (come detto sopra, la sommitĂ del pozzo può essere raggiunta dal cunicolo che parte al di sotto del P80). Si scendono circa 8 m fino ad arrivare ad una grossa clessidra sulla

A partire dal 1964, anno della scoperta, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Ad eccezione di modeste tracce del passaggio degli speleologi, l’abisso non presenta elementi di alterazione dello stato dell’ambiente.

Note tecniche P20 d’ingresso (corda 30 m), P80 (corda 100 m), P30 fino a un terrazzo (corda 45 m), P23 raggiungibile traversando un pozzo oltre il finestrone sormontato da un arco di roccia, P85 (corda 100 m) con grande clessidra poco sotto la partenza, poi, a circa -50, è possibile pendolare 5 m per evitare l’acqua. Dalla base, P23 conclusivo, fondo (-296).

Ciauca del Monaco: il Pozzo “Aldo� (foto A. Zambardino)

Ciauca del Monaco: risalendo dal fondo (foto A. Zambardino)


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Ciauca del Faleca: l’ingresso (foto M. Mecchia)

Ciauca del Faleca: l’ultimo pozzo (foto M. Mecchia)

Ciauca del Faleca: discesa del pozzo d’ingresso (foto M. Mecchia)


Ciauca del Monaco

L’imbocco della grotta è stato disostruito dal Tri.Ma. nel 2000. La grotta è stata esplorata nel maggio 2002 dallo SCR (A. Zambardino, A. Sbardella, M. Zampetti), dal Tri.Ma. (V. Forte, P. Minutillo) e da M.A. Remacci.

Dati catastali 1452 La - comune: Formia (LT) - località: Ciauchella, versante orientale Monte Ruazzo - quota: 855 carta IGM 1:25000: -171 IV NE Formia - coordinate: 1°08’30”2 (13°35’38”6) - 41°18’20”9 carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.402.300 - 4.573.740 dislivello: -147 m - sviluppo planimetrico: 95 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Formia si raggiunge Maranola, quindi si attraversa il paese prendendo la strada che sale al Monte Redentore. Dalle ultime case del paese si prosegue su una stradina asfaltata che sale rapidamente, e dopo circa 6 km, in corrispondenza di un’evidente curva nella quale confluiscono più strade, si lascia la strada asfaltata, proseguendo dritto in una strada bianca; al bivio che appare dopo una trentina di metri, posto sulla sella tra M. Campone e M. Lapillo (q. 752), si continua a sinistra. Si percorre la strada sterrata principale costeggiata da un grande muro di sostegno in cemento armato. Ai successivi bivi si svolta a sinistra. Si arriva dopo 2 km presso la fontana Acquaviva, davanti ad un rifugio abbandonato (q. 825) prima attraversando un piano carsico, poi salendo un breve tratto di strada ripida e sconnessa. Si lascia la macchina alla fontana. Da qui si prende un sentierino che prosegue nella stessa direzione (nord) dell’ultimo tratto di strada salendo leggermente verso sinistra. Dopo circa 300 m si raggiunge un prato terrazzato più grande dei precedenti. A metà del prato nel lato a monte (sinistra), si prende una traccia di sentiero (segni rossi) che sale nel bosco e dopo un centinaio di metri porta all’imbocco dell’Abisso della Ciauchella, a 450 m di distanza dalla fontana e 50 m più in alto. La grotta si trova a 40 m di distanza dall’imbocco della Ciauchella, in direzione 81° (15 minuti di cammino).

Descrizione (di Aldo Zambardino) La grotta inizia con un salto verticale di 10 m (pozzo “Monaco”), con imbocco ovoidale, largo circa 80 cm, al quale segue un ripido scivolo che dopo circa 3 m si allarga in una sala anch’essa in ripida discesa (sala “Sbardyana”), che verso l’alto si alza fino ad un camino parallelo al pozzo di ingresso. Nel punto più basso della sala uno stretto passaggio terroso immette in una saletta sottostante, dalla quale, attraverso una fessura discendente lunga 2 m, si accede ad un’altra saletta che costituisce la partenza del successivo P9 (pozzo “Marcello”). Il pozzo ha l’imbocco molto stretto, successivamente si allarga ed alla base partono tre cunicoli che chiudono quasi subito fra massi di frana. Dal fondo del P9, risalendo di un metro si supera un diaframma, dopo il quale si apre una saletta che intercetta un nuovo pozzo (pozzo “Paolo”). Si entra in questo pozzo lateralmente e si scende per 14 m; il pozzo, ampio e di forma circolare, si allarga verso il fondo, che è occupato da un accumulo di frana. Dal fondo del P14 si supera una risalita di 3 m e quindi si scende un pozzetto in fessura profondo 6 m (pozzo “Netta”), che immette in una saletta (punto 12), nella quale una fessura sul fondo costituiva il limite della prima esplorazione. La fessura è stata successivamente forzata, con un duro lavoro di disostruzione, dando accesso ad uno stretto cunicolo che immette direttamente in un bel pozzo di 74 m (pozzo “Aldo”), interrotto a 54 m da una cengia; anche questo pozzo ha una sezione molto ampia (circa 4x6 m), e lungo le pareti si notano alcune “finestre”, per ora inesplorate. Dalla base del P74, che prosegue in basso con una fessura impraticabile, una “finestra” ad 1 m di altezza permette di intercettare un pozzo parallelo (pozzo “Vincenzo”), che scende per 28 m e prosegue verso l’alto probabilmente per altri 30 m circa. Alla base del pozzo un passaggio molto stretto, allargato artificialmente, consente di vedere un piccolo ambiente allagato che raccoglie l’acqua proveniente dal P28 ed impedisce ulteriori prosecuzioni (-147). Da notare che molte fessure presenti sulle pareti del P74 e del P28 presentano una discreta corrente d’aria.

Stato dell’ambiente La grotta è stata “aperta” nel 2000 ed è stata oggetto di un numero molto ridotto di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Ad eccezione dell’allargamento di alcune strettoie, l’ambiente sotterraneo si presenta integro.

Note tecniche P10 d’ingresso, P9 con imbocco stretto, P14, Risalita 3, P6, strettoia allargata che immette nel P74, P28, strettoia terminale (-147).

Storia delle esplorazioni

Ciauca del Fàleca Dati catastali 1339 La - comune: Esperia (FR) - località: Fàleca - quota: 1075 m carta IGM 1:25000: 160 III SE Esperia - coordinate: 1°09’21”1 (13°36’29”5) - 41°20’34”2 carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.403.550 - 4.577.830 dislivello: -65 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Itri si prende la strada per Campodimele. Dopo 10,8 km si svolta a destra per una stradina asfaltata di fronte alla chiesa di San Nicola. Dopo circa 1,5 km la stradina prosegue sterrata, e dopo altri 7 km (sempre seguendo la traccia principale) si lascia la macchina ad un bivio (q. 820 circa), poco prima di una casa. Si continua a piedi prendendo la stradina che scende a sinistra e, sempre a sinistra, attraversa il fondovalle pianeggiante. Dopo circa 500 m il piano termina e la stradina attraversa un fosso. Si lascia la strada e si sale a sinistra (Est), prendendo nel bosco un impluvio poco marcato che porta verso la sella che si intuisce fra M. Fragoloso e M. Rèvole. Senza sentiero, si sale fino alla sella, a quota 1037. Dalla sella si prende un sentierino che taglia in quota il versante di destra; dopo 30 minuti di cammino si svolta una costa e ci si affaccia in un’altra valletta. Raggiunto il fosso, lo si risale per poche decine di metri, fino all’imbocco, a quota 1075 (1 ora e 20 minuti di cammino).

Descrizione Il pozzo d’ingresso è profondo 26 m e impostato su una frattura principale orientata N50°W, immergente di 65-80° verso NE. L’imbocco è a pianta circolare con diametro di 4 m, e con pareti quasi verticali che vanno leggermente a stringere fino a -4. Da qui il pozzo assume una forma a spaccatura, lunga 5 m e larga 1,5 m. Si atterra sulla sommità di un pendio di tronchi e detrito (punto 3), in una breve galleria che scende per 7-8 m; i detriti chiudono ogni prosecuzione (punto 4). A 2 m di altezza, però, una “finestra” (punto 5) larga un paio di metri e alta quasi altrettanto, mette in comunicazione il pozzo d’ingresso con un secondo pozzo. Risalita con facilità la paretina, ci si affaccia da un “parapetto” roccioso nel P19. Il pozzo, che appare impostato su una frattura allineata nella stessa direzione del pozzo d’ingresso ma con immersione opposta (80°SW), alla sommità è largo 3 m, e prosegue più in basso inclinato lungo la frattura, con sezione orizzontale lunga 4 m e larga meno di 1,5 m. Si giunge così alla sommità di un piccolo cumulo detritico (punto 7) in una saletta lunga 7 m e larga meno di 2 m. Qui ci si infila in uno stretto buco presso il pavimento (alto 30 cm e largo 60 cm), che permette di scendere per 5 m fino ad una saletta (punto 9) con diametro di 1,5 m. Una stretta fessura (50-80 cm, per 2-3 m di lunghezza), impostata su una frattura con giacitura identica a quella del pozzo d’ingresso, scende per 16 m fino a diventare impraticabile (punto 10, -65). Poco più in basso si intravede un pavimento detritico. L’attività idrica è limitata allo stillicidio. In inverno è avvertibile una corrente d’aria, apparentemente diretta verso l’interno della grotta.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1968, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Lo stato dell’ambiente risulta integro.

Note tecniche P26 d’ingresso, dalla base finestra a 2 m d’altezza, P19, P5, P16 (corda unica per tutta la grotta, 100 m), fessura “terminale” (-65).

Storia delle esplorazioni Esplorata nell’agosto 1968 dal GS Anxur e dallo SCR (G. Pasquini).

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Grava dei Serini Dati catastali 587 La - comune: Esperia (FR) carta IGM 1:25000: 160 III SE Esperia carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole INGRESSO “INFERIORE” - quota: 778 m - località: Costa Serini coordinate 1:25.000: 1°11’18”7 (13°38’27”1) - 41°20’42”9 coordinate 1:10.000: 2.406.295 - 4.578.075 INGRESSO “SUPERIORE” - quota: 913 m - località: Costa Serini coordinate 1:25.000: 1°11’24”9 (13°38’33”3) - 41°20’46”9 coordinate 1:10.000: 2.406.445 - 4.578.190 GROTTA SARÀ SERINI - quota: 1075 m - località: Campo di Venza coordinate 1:25.000: 1°11’52”4 (13°39’00”8) - 41°20’47” coordinate 1:10.000: 2.407.070 - 4.578.170 dislivello: -262m - sviluppo planimetrico: 2240 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Esperia si prende la strada che esce dal paese dirigendosi verso la località Polleca; dopo 7,2 km dall’ultima casa di Esperia ad un bivio, subito dopo aver superato una cisterna sulla destra, si imbocca una strada sterrata a sinistra, che sale verso Costa Serini. Si segue la sterrata, in cattive condizioni, per 1,1 km fino ad una sbarra (q. 715 m). Lasciata la macchina nei pressi, si prosegue lungo la strada che risale la valle, diventando un sentiero, per 300 m, fino ad un serbatoio d’acqua interrato (q. 735). Quindi si risale per 150 m l’alveo del torrente (asciutto d’estate) a sinistra (ENE) fino all’ingresso basso della cavità (q. 778; 20 minuti di cammino). Per arrivare all’ingresso superiore (q. 883) si deve risalire il versante in direzione NE (52°) per 135 m di dislivello (altri 20 minuti di cammino). Per arrivare alla Grotta Sarà Serini (q. 1075) si continua a risalire il versante di Costa Serini 264 per 150 m di dislivello, raggiungendo la dorsale che delimita a sud-ovest il piano carsico di Campo di Venza; quindi si piega a destra verso le pendici di Monte Coculo, prendendo come punto di riferimento una grande ed evidente dolina sulla sommità della dorsale (visibile anche sulla cartografia IGM al 25.000); raggiunta la dolina, si procede in direzione E-SE per circa 100 m, dapprima su un prato pianeggiante, quindi lungo il pendio roccioso; l’ingresso si trova in una zona dove è molto evidente la stratificazione delle bancate di calcare. (altri 20 minuti di cammino).

Descrizione La grotta è accessibile tramite tre imbocchi. L’ingresso “Inferiore” è una risorgenza attiva stagionalmente (sifonante in inverno), e permette la visita del solo ramo “Attivo inferiore”. L’ingresso “Superiore”, che dopo le recentissime esplorazioni non è quello di quota più elevata del sistema sotterraneo, permette di effettuare una bella traversata fino all’ingresso “Inferiore” e consente l’accesso a tutti i rami superiori. L’ingresso più alto è ora la Grotta Sarà Serini che tuttavia comunica con il resto del complesso tramite una breve fessura non ancora percorribile. L’ingresso “Superiore” (punto E) è un foro del diametro di 2,5 m. Si scendono un paio di metri entrando in una breve galleria discendente, larga 2 m, interrotta, dopo soli 15 m, da un saltino di 3 m. D’estate una corrente d’aria soffia verso l’esterno. Alla base del saltino (punto D) si può continuare nella galleria impostata sulla stessa faglia (ramo “fossile orizzontale”), oppure si può proseguire la discesa nel salto che si apre immediatamente sotto, imboccando la successione di pozzi che porta verso l’uscita bassa (“Traversata”). La “Traversata” e il tratto iniziale del ramo “fossile orizzontale” sono impostati lungo una faglia orientata N60°E e immergente 70-75°SE. Lo scostamento rilevabile in pianta fra il ramo “fossile orizzontale” e il ramo “attivo inferiore” conferma i valori di inclinazione della faglia, misurati in diversi punti della grotta.

e profondità di 15 m. Si atterra in una saletta ampia 1,3x4 m. Da qui si scendono 3 m in verticale in uno scomodo meandrino con concrezioni a cavolfiore sulle pareti, arrivando subito sopra un nuovo pozzo. Il P30 inizia stretto (30-40 cm) ma si amplia progressivamente verso il fondo, largo 3,5 m. In questo bel pozzo, impostato sulla faglia, la discesa si effettua lungo l’estremità NE della fessura, con alcuni piccoli gradoni e belle colate calcitiche. Dalla base, lunga una decina di metri, si arriva immediatamente sopra il salto successivo, passando a lato di un enorme masso a forma di lama, che divide in due parti la galleria. Il pozzo, profondo 12 m e largo 4 m, è sempre impostato sulla faglia; alla base si stringe in una fessura e prosegue direttamente in un salto di 7 m, con una pozza d’acqua alla base, larga 1,3 m. Segue subito un saltino di 2 m, arrampicabile, con imbocco largo 40 cm e pozza alla base. Si scende ancora uno stretto saltino alto un paio di metri, nella fessura, e dopo qualche metro si arriva su un salto di 5 m, sempre a fessura stretta. La base del salto è una saletta larga 2 m e lunga 5 m, con colate calcitiche. Da qui, invece di scendere nelle parti più strette a fessura, è conveniente salire (3 m) dove l’ambiente è ampio. Si arriva in una saletta sfondata dalla fessura, per scendere quindi alla sua base con un pozzo profondo 11 m. Si atterra presso una vasca d’acqua, e si prosegue per qualche metro arrivando in un’ampia (4x10 m) e bella sala, ricca di colate calcitiche; anche qui è evidente lo specchio di faglia. Si scende nella sala per risalire dalla parte opposta, dove un’ampia “porta” immette in un pozzo profondo una quindicina di metri. Si atterra su vaschette calcitiche (asciutte d’estate) in una galleria larga 1,5 m. Dopo pochi metri si devono scendere in arrampicata due saltini profondi 2-3 m con pozze alla base, asciutti d’estate ma percorsi da un torrente nei periodi piovosi. Si arriva così nel mezzo di una galleria (punto C), il ramo “Attivo inferiore”, percorsa da un torrente solo nel periodo invernale. La galleria, pavimentata da vaschette calcitiche, prosegue a monte e a valle, impostata sempre sulla faglia. A monte (NE) si può procedere per una trentina di metri fino (punto B) alla base di un pozzo alto una decina di metri, con la volta a stretta fessura, da cui, nei periodi di attività, proviene il torrente del ramo “attivo superiore”. Alla sommità del pozzo con un traverso si raggiunge un meandro che porta ad un’ampia sala ben concrezionata. Un saltino di pochi metri in salita permette di accedere ad un nuovo tratto di meandro che prosegue in salita, e dopo un ulteriore pozzetto in risalita stringe fino ad impedire la prosecuzione (punto V). Per raggiungere la risorgenza, dal punto C bisogna invece percorrere il ramo “attivo inferiore” verso SW, con un percorso rettilineo e sub-orizzontale lungo circa 150 m. E’ preferibile risalire nella fessura (3 m) fino agli ambienti più larghi, percorrendo la galleria in spaccata (a tratti esposta). Dopo 30-40 m è necessario scendere per circa 5 m fino alla base della fessura. Si percorre, quindi, il fondo della spaccatura, a tratti un po’ stretta. Alla fine, il condotto assume una sezione tondeggiante, con la parte inferiore coperta da uno spesso accumulo di fango che immette in un cunicolo (punto A) breve e stretto (30-40 cm), che permette l’uscita all’acqua (sifone, nei mesi invernali) o agli speleologi, d’estate, quando il condotto è asciutto e una corrente d’aria violenta e fredda esce dallo stretto imbocco. Lo scorrimento idrico nei rami attivi normalmente inizia in seguito alle prime forti piogge autunnali e termina in maggio-giugno, mentre nei rami “fossili” l’acqua, effettivamente, non scorre mai. Nei periodi piovosi l’onda di piena alla risorgenza segue di sole 2-3 ore l’inizio della pioggia.

“TRAVERSATA” La “Traversata” ingresso alto - risorgenza (tratto D-A) ha un dislivello di 135 m, che viene superato con un tratto quasi verticale costituito da una serie di pozzi, seguito da un tratto orizzontale (ramo “attivo inferiore”) non sempre completamente percorribile (sifone stagionale all’uscita). La profondità di alcuni pozzi riportata sul rilievo appare superiore al valore effettivo, tuttavia, mancando una verifica sulle misure, nel seguito vengono indicate le profondità desunte dal rilievo CSR. Per proseguire verso l’ingresso basso, dal punto D si scende il pozzo, con imbocco largo 50 cm Grava dei Serini: il salone “Federico Donati” (foto M. Izzo)

Grava dei Serini: il ramo “Attivo superiore” (foto C. Germani)

Il sifone della risorgenza generalmente si apre a maggio-giugno, ma durante le annate più piovose può rimanere chiuso anche tutto l’anno. Verso la fine dell’estate si ha la massima secca ed è assente qualsiasi circolazione d’acqua. (AGNOLETTI ET ALII, 1973).

RAMO “FOSSILE ORIZZONTALE” Il ramo fossile (punti D-F), a partire dalla base del saltino iniziale di 3 m (punto D), è lungo quasi 150 m, si sviluppa a saliscendi (complessivamente sub-orizzontale), con larghezza generalmente di 1,5 m (con passaggi più stretti, fino a 40 cm) e altezze molto variabili; nel ramo si incontrano un salto di 8 m, un saltino di 2 m in risalita e un P3. Tutta la galleria è bagnata da acqua di stillicidio che forma piccoli rivoli sul fondo. Il tracciato è rettilineo, lungo la faglia che caratterizza questa parte della grotta; il tratto finale è uno scivolo in discesa (seguendo l’immersione della faglia), lungo una ventina di metri. NUOVI RAMI SUPERIORI (DI MARIA GRAZIA LOBBA) RAMO “ATTIVO SUPERIORE” Costituisce la prosecuzione, senza discontinuità visibili, del ramo fossile orizzontale; si raggiunge un torrentello (asciutto d’estate), che proviene dalla parte più interna e scompare in una fessura impraticabile (punto F), per ricomparire più in basso, nel ramo “attivo inferiore” (punto V). Seguito il torrentello per una ventina di metri in piano (punto G) si giunge ad una stretta e alta fessura percorribile per una decina di metri, che termina con una cascata dalla quale proviene l’acqua, cadendo da una fessura impraticabile; andando verso destra, invece, si sale uno scivolo fangoso (corda) che aggira la cascata e consente di percorrere l’alta galleria in ambienti più comodi (larghezza circa 1 m); il corso d’acqua scorre sul fondo della fessura, alcuni metri più in basso. Dopo una settantina di metri si arriva ad un nuovo bivio (punto I). La prosecuzione meno evidente, a destra, inizia tra fessure, sale con andamento articolato sviluppandosi per un centinaio di metri, con alcuni salti arrampicabili (punto J). Dal punto I la prosecuzione più evidente, a sinistra, è una galleria in salita lunga una cinquantina di metri, molto concrezionata, che si allarga a tratti in alcune sale (verso i nuovi rami superiori) e chiude in frana (punto Z; AGNOLETTI ET ALII, 1973). Poco prima della fine di quest’ultimo ramo si risalgono due pozzi in successione per 30 m complessivi (corda fissa) arrivando alla base del salone “Federico Donati”. Questo è lungo 100 m e largo 25 m. Il fondo, in ripida salita (dislivello di 30 m), è costituito da massi ricoperti da colate calcitiche con vaschette, un tempo contenenti pisoliti. Alla fine della sala si scende uno scivolo di 2 m a fianco del quale, sulla destra, un pozzo di 25 m permette di accedere ad un ramo sottostante (meandro “delle Stelle Cadenti”). Evitando di scendere lo scivolo si prosegue nel ramo superiore risalendo una colata (corda 5 m) che porta alla saletta “degli Spuntini”, dalla quale si risale un saltino di 2 m. Il ramo prosegue molto concrezionato; sulla destra si può risalire ad una diramazione superiore (“Miss Italia Nera”) che riporta sulla cima del salone “Donati”; da alcuni indizi (terra, chioccioline) sembra che la diramazione sia in comunicazione pressoché diretta con l’esterno. Proseguendo invece nel ramo principale si percorre in spaccata una forra (“No Panic”), fino ad arrivare sulla cima della sottostante galleria “Fangosa” (punto M). Scesi con un salto di 10 m nella galleria “Fangosa” (una condotta semicircolare alta circa 10 m


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concrezionato che, a valle, passa sotto il salone e chiude con frana (corrispondente, presumibilmente, a quella che concludeva le vecchie esplorazioni del ramo attivo superiore, punto Z); a monte, invece, una colata impedisce l’accesso al meandro “Sportivo�.

MEANDRO “SPOR TIVOâ€? Dal fondo della saletta “degli Spuntiniâ€? uno scivolo in discesa conduce al sottostante meandro “Sportivoâ€?, che percorre sia a valle che a monte lo stesso itinerario del ramo principale, infatti, si può accedere al meandro “Sportivoâ€? anche scendendo un pozzo che si apre piĂš avanti lungo il ramo superiore; il meandro è ben concrezionato ma di difficile percorrenza, da ciò deriva il nome. RISALITA E MEANDRO “DEI SOSPIRIâ€? Dopo 10 m dall’inizio del canyon che segue l’â€?Angusto Meandroâ€? (punto N), si risale una colata che porta ad una serie di salti in risalita per circa 40 m, attraversati da una consistente corrente d’aria. Alla sommitĂ dei salti ci si immette in uno scivolo discendente terminante con una fessura (punto P), il cui collegamento con la Grotta SarĂ Serini è stato, fino ad ora, soltanto vocale. Lungo il percorso della risalita sulla sinistra si diparte il meandro “dei Sospiriâ€?, bellissima condotta circolare che finisce in un lago sospeso (punto O). GROTTA SARĂ€ SERINI (DI PAOLO DALMIGLIO) Si entra nella grotta attraverso un foro del diametro di circa 1 m, scendendo un pozzetto di 3 m arrampicabile, alla base del quale si incontra la prima delle 16 strettoie che caratterizzano la cavitĂ sino all’attuale limite esplorativo (punto X). Superato questo angusto passaggio si accede ad una comoda saletta dove, sulla sinistra, uno scivolo terroso conduce sull’orlo di un pozzo di 11 m: questa verticale si presenta stretta e scomoda lungo il primo tratto, quindi, in corrispondenza di una finestra su un pozzo parallelo cieco, si allarga leggermente per poi restringersi nuovamente poco piĂš in basso e ritornare ampia solo alla sua base. Dal fondo di questo primo pozzo una risalita di 5 m permette di guadagnare l’imbocco di un tratto di grotta particolarmente angusto, caratterizzato da un susseguirsi di stretti cunicoli e piccoli ambienti. Segue un saltino arrampicabile di 2 m, alla base del quale si atterra sul pavimento di una saletta dalle dimensioni leggermente piĂš ampie, quindi, un’ennesima strettoia in discesa conduce ad una seconda saletta piĂš piccola della precedente. La progressione diviene ora particolarmente scomoda: si deve affrontare, infatti, una lunga strettoia a forma di elle (“il sepolcro di Cristoâ€?) che immette direttamente alla sommitĂ di un pozzetto di 4 m. Alla sua base uno scomodo cunicolo permette di raggiungere una stretta “buca da lettereâ€? attraverso la quale si scende in un piccolo ambiente, da dove una strettoia sul pavimento sfonda sul primo pozzo ampio della grotta: il “Pozzo degli Sherpaâ€?, profondo 15 m. Alla base della verticale è possibile

266 Monti Aurunci centrali: il Campo di Venza, bacino chiuso sovrastante la Grava dei Serini (foto M. Merlo)

con fondo fangoso, ma molto bella), si prosegue per altri 100 m, fino ad arrivare ad un canyon stretto e spigoloso. La grotta ora cambia completamente morfologia, e si presenta attiva, il canyon, infatti, è percorso quasi sempre da un ruscello con molte perdite, che nei periodi piĂš piovosi può sifonare. Il canyon prosegue stretto (“Angusto Meandroâ€?), intervallato da alcune strettoie, laghetti e piccole condotte forzate, in alcuni punti basso e talvolta sifonante, fino ad un bivio (punto Q); sulla sinistra, si risale fino alla base di uno stretto pozzetto di 10 m (pozzo “Sottilettaâ€?) che è la via di accesso a due diverse prosecuzioni (rami “by Solaâ€? e meandro “di Notteâ€?). Dal punto Q sulla destra inizia un ramo in risalita ancora in corso di esplorazione.

RAMI “BY SOLAâ€? Dalla sommitĂ del pozzetto “Sottilettaâ€? si risale sulla destra per circa 10 m fino ad arrivare all’ingresso di una bella condotta che si sovrappone al ramo principale sottostante. La condotta diventa presto un canyon stretto, tortuoso e ben concrezionato, che, discesi due pozzetti, conduce ad un cunicolo che chiude con una strettoia di fango. All’inizio del ramo “by Solaâ€? sono state condotte diverse risalite, alcune ancora in corso di esplorazione. MEANDRO “DI NOTTEâ€? Dalla base del pozzetto “Sottilettaâ€? andando dritto si supera uno scomodo passaggio in contrasto sopra una pozza d’acqua per arrivare alla base di un bel pozzo di circa 20 m, in cima al quale si raggiunge il fondo di un secondo pozzo, molto ampio (una bella condotta alle spalle della risalita riporta ai rami “by Solaâ€?). Proseguendo si percorre un comodo meandro per un centinaio di metri, fino ad una saletta; da qui si sale in contrasto superando uno stretto passaggio, per raggiungere un ampio ambiente da risalire lungo una colata, che immette sul fondo (punto U) di un pozzo di circa 20 m (parzialmente risalito). SALA “GROTTAFERRATAâ€? Dal punto G del ramo “attivo superioreâ€? (prima della cascata) si risale verso destra un ripido

scivolo fangoso, si traversa il canyon sottostante fino ad arrivare alla base di una colata calcitica (punto H) che si può risalire per 25 m. Alla sommitĂ , superato uno stretto passaggio in frana, si raggiunge l’â€?antisalaâ€? dalla quale con un saltino di circa 3 m (corda) si scende nella sala “Grottaferrataâ€?. La sala, con pianta di circa 25x20 m, è ben concrezionata; sulla base della parte destra si apre un pozzo che conduce al canyon sottostante; risalendo, invece, lungo la colata sulla sinistra a fianco del pozzo, si arriva alla base di una risalita alta circa 10 m, che porta alla cima di un pozzo da 30 m, traversato il quale (“Traverso Shockâ€?) si arriva alla base del salone “Donatiâ€?. La parte appena descritta è quella che ha portato alla scoperta dei nuovi rami superiori. Adesso, per accedere alle parti nuove è piĂš conveniente, provenendo dal canyon, risalire il P30 arrivando direttamente al salone “Donatiâ€?.

MEANDRO “DELLE STELLE CADENTIâ€? Dalla sommitĂ del salone “Donatiâ€?, un ripido scivolo di 25 m sulla destra immette in un meandro 3

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Grava dei Serini: vaschette nel ramo “Miss Italia Nera� (foto M.G. Lobba)


continuare a scendere in un ulteriore approfondimento attivo di 10 m, così da raggiungere un meandro subito impercorribile sia a monte che a valle; proseguendo invece verso ovest, un passaggio in frana dà accesso a due salette separate da un’ennesima strettoia e caratterizzate da cospicui depositi fangosi. Dal secondo di questi ambienti è necessario superare un laminatoio per affacciarsi sul successivo salto di 5 m; in questa zona la cavità si presenta più attiva, con uno stillicidio apprezzabile anche nelle stagioni meno piovose e con fenomeni di concrezionamento che iniziano ad assumere una certa consistenza. Alla base del salto si incontra un trivio: in basso un approfondimento meandriforme cattura la poca acqua che si raccoglie in questo tratto di grotta e stringe inesorabilmente dopo pochi metri; procedendo in orizzontale si imbocca una condotta fangosa in leggera salita, che in breve conduce ad una comoda saletta da dove, attraverso un passaggio alto tra massi, è possibile procedere per pochi metri ancora in angusti ambienti; ad 1 m d’altezza invece uno stretto meandro fossile con forte corrente d’aria conduce, dopo due strette curve a gomito, sul soffitto di una saletta con il pavimento 4 m più in basso. Superato il dislivello si procede comodamente in orizzontale per raggiungere un secondo ambiente riccamente concrezionato; più avanti il soffitto si abbassa progressivamente sino ad una strettoia (punto X) non ancora superata, che dà accesso ad un saltino stimato 3 o 4 m. Da qui è stato effettuato il contatto acustico con la zona più alta della risalita “dei Sospiri”; allo stato attuale delle esplorazioni mancano ormai pochi metri al congiungimento delle due cavità, e “Sarà Serini” può essere considerata a tutti gli effetti il terzo ingresso (il più alto) di questo sistema carsico.

Risalita 10 (pozzo “Sottiletta”), Risalita 20, punto U.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1970 dal CSR nel corso di varie uscite. Il 1° maggio A. Todisco, Gemma Gresele, F. Rusconi, F. Pansecchi esplorarono parzialmente il ramo fossile superiore, mentre l’ingresso inferiore risultava siifonante. La settimana successiva l’ingresso inferiore venne trovato asciutto, e il CSR procedette all’esplorazione del ramo attivo inferiore fino ad una strettoia insuperabile. Il 10 maggio vennero discesi alcuni pozzi del tratto verticale. Il 17 maggio venne completata la discesa del ramo fossile verticale ed effettuata la congiunzione con il ramo attivo inferiore, uscendo dalla risorgenza. Il 1° maggio 1971 venne completata l’esplorazione del ramo attivo superiore. Nell’estate 1996 Maria Grazia Lobba, F. e S. Nozzoli (GSG) con la risalita del P25 hanno raggiunto la sala Grottaferrata. Iniziano così le esplorazioni dei “nuovi rami superiori”, condotte principalmente nei mesi estivi, che continuano tuttora. Dal 16 agosto 1998 il GSG ha iniziato l’esplorazione della Grotta Sarà Serini, che ha comportato un gran numero di giornate di lavoro; il collegamento vocale fra le due grotte è stato realizzato nel febbraio 2003.

Bibliografia AGNOLETTI ET ALII, 1973; COR TESE & SCHUTZMANN, 2000; GOBETTI, 1991; LOBBA, 1997a; LOBBA, 1997c; LOBBA, 2000; LOBBA & DALMIGLIO P., 1998b; LOBBA ET AL., 1999; PANSECCHI & TROVATO, 1975; POR TARO & ALOIA, 1981.

Stato dell’ambiente La traversata della grotta lungo il percorso classico, esplorato nel 1970, ha visto un numero complessivo di visite stimabile in oltre un migliaio. In questo tratto sono evidenti le tracce di polvere di carburo esausto. Sebbene sia noto l’utilizzo dell’ingresso “superiore” come rifugio durante la seconda guerra mondiale, l’antro di ingresso non presenta evidenze di alterazione. Dal 1996 la scoperta dei rami nuovi, che ha notevolmente esteso il sistema sotterraneo conosciuto, ha attirato un numero maggiore di speleologi, senza tuttavia comportare una frequentazione particolarmente significativa. Nello stesso periodo la Grotta Sarà Serini è stata oggetto di interventi di allargamento delle strettoie.

Note tecniche TRAVERSATA INGRESSO “SUPERIORE” – INGRESSO “INFERIORE”: Prima di entrare per effettuare la “traversata” è necessario verificare se l’ingresso basso è accessibile, ed è opportuno valutare le condizioni meteorologiche. Dall’ingresso “superiore”: P5+15 (corda 20 m), P30 (corda 35 m), P12 (corda 15 m), P7 (corda 10 m), P2 (arrampicabile), P5, P11 (corda 15 m), sala, P15 (corda 20 m), 2 saltini in arrampicata con pozze alla base, galleria del “ramo attivo inferiore” fino all’uscita dall’ingresso inferiore (-135).

Abisso dei Tre Dati catastali 990 La - comune: Esperia (FR) - località: Morroncelli, versante sud Monte Coculo - quota: 1070 m carta IGM 1:25000: 160 III SE Esperia - coordinate: 1°12’08”9 (13°39’17”3) - 41°20’34”2 carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.407.450 4.577.770 dislivello: -70 m - sviluppo planimetrico: 117 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Esperia si prende la strada che esce dal paese dirigendosi verso la località Polleca; dopo 7,2 km dall’ultima casa di Esperia ad un bivio, subito dopo aver superato una cisterna sulla destra, si imbocca una strada sterrata a sinistra, che sale verso Costa Serini. Si segue la sterrata, in cattive condizioni, per 1,1 km fino ad una sbarra (q. 715). Lasciata la macchina nei pressi, si prosegue lungo la strada che risale la valle, diventando un sentiero, fino alla sella tra il Monte Coculo e i Marroncelli (q. 1048). Dalla sella si sale verso l’ingresso del Pozzetto EV1 che si trova sul versante sud del Monte Coculo ad una ventina di metri di dislivello dalla sella. Dal pozzetto EV1 (frattura lunga 3,5 m, larga 0,5 m e profonda 5 m) si cammina per 70 m in direzione 335°, risalendo il versante obliquamente verso sinistra, per 15 m di dislivello (1 ora e 15 minuti di cammino).

RAMO FOSSILE ORIZZONTALE E RAMO ATTIVO SUPERIORE (DI FRANCESCO NOZZOLI): Dall’ingresso “superiore”: P5 (corda 15 m), traverso su concrezioni a sinistra, traverso su colata (corda 15 m), P8 (corda 15 m), Risalita 2 (arrampicabile), P3 (corda 10 m), scivolo “Monumento ai caduti” (arrampicabile, eventualmente corda 20 m), “Salita Fangosa” di 25 m (corde 15 e 25 m), traverso di 10 m (corda 15 m), traverso 30 m, P2 (arrampicabile).

Descrizione

NUOVI RAMI SUPERIORI: Dalla risalita al salone “Donati” alla galleria “Fangosa” (punto N): Risalita 30 (corda 40 m), traverso 10 m, Risalita 15 alla fine del salone “Donati”, Risalita 5+traverso 10 m, Risalita 4 (corda 8 m), traverso “No Panic” (corda 15 m), P10 per scendere alla galleria “Fangosa” (corda 15 m). Risalita “dei Sospiri”: punto N, 12+3+8+6+6, punto P. Dal termine della galleria “Fangosa” (punto N) al “Meandro di Notte”:

L’imbocco è un foro largo 70 cm, aperto con disostruzione e generalmente ostruito dai pastori con qualche masso. Tutta la grotta è formata da una spaccatura che non raggiunge quasi mai la larghezza di 1 m (mediamente è larga 40-60 cm). La spaccatura è impostata quasi per intero su una frattura verticale un po’ sinuosa, con orientazione N80°W. Il pavimento della spaccatura è sempre formato da detrito e massi di crollo. La stratificazione ha direzione N10°E e immersione 40°NW.

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Si scende lo scomodo pozzetto di ingresso, profondo 7 m, a cui segue immediatamente un pozzo di 26 m, che inizia con uno scivolo terroso inclinato a 45° che dopo 7 m (punto 3) immette nella verticale di discesa, larga circa 50 cm. Dalla base del P26 (punto 6) verso ovest la spaccatura chiude (punto 32) dopo una quindicina di metri. Verso est, invece, si scende arrampicando un saltino di 2 m e dopo una decina di metri si arriva alla sommitĂ (punto 10) di un salto profondo 10 m. Alla base del salto una frana blocca il cammino. La prosecuzione si trova a metĂ pozzetto (punto 12), dove la spaccatura prosegue per una decina di metri fino ad una biforcazione (punto 15): proseguendo in avanti la frattura stringe (punto 29); scendendo, cioè tornando indietro nella spaccatura, ma piĂš in basso, si arriva dopo una quindicina di metri sopra (punto 17) un saltino di 8 m (arrampicabile), in mezzo a blocchi di crollo. Da qui si inverte nuovamente la direzione di progressione e, infilandosi in un punto un po’ piĂš stretto della spaccatura, si possono scendere ancora 8 m (corda). Ora siamo al fondo della spaccatura (punto 22, -70). Proseguendo verso est, risalendo, si possono percorrere ancora una trentina di metri fino al definitivo restringimento (punto 27). Nel periodo estivo la grotta è percorsa da una corrente d’aria diretta verso l’ingresso. La grotta non sembra interessata da un consistente scorrimento idrico, che normalmente si limita a stillicidi.

Stato dell’ambiente Il pozzo, il cui imbocco è stato disostruito nel 1984, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Non sono presenti significative alterazioni dell’ambiente, ad eccezione del modesto allargamento dei passaggi piĂš stretti. Per evitare cadute accidentali del bestiame, l’imbocco viene generalmente ostruito dai pastori con alcuni blocchi di pietra.

Note tecniche P7 d’ingresso (corda 10 m), P26 (corda 40 m), P2 (in arrampicata), P10 solo per i primi 5 m (corda 10 m) poi si prosegue nella spaccatura fino ad una biforcazione. Scendendo, si raggiunge un P8 (arrampicabile, eventuale corda 10 m) poi un P3 (corda 5 m) e il fondo (-70).


Storia delle esplorazioni La cavità fu trovata il 10 maggio 1984 da S. Graniero, P. Maiolati e P. Cipollone del CSE, che ne disostruirono l’ingresso. In una serie di uscite di quell’anno e dell’anno successivo il CSE (Cipollone, Graniero, Maiolati, T. Piacentini, C. Vallone, ed altri) riuscì a raggiungere il fondo.

Todisco, F. Nozzoli, P. Baldassarre, A. Gagliardi) e GS CAI Esperia (Antonella Di Costanzo).

Bibliografia NOZZOLI F. & LOBBA, 1998.

Bibliografia GRANIERO, 1985b; RUSCONI, 1990.

Chiavica la Faggeta Abisso Scorpion Dati catastali 1349 La - comune: Esperia (FR) - località: Monte Acquara Pellegrini quota: 1085 m carta IGM 1:25000: 160 III SE Esperia - coordinate: 1°14’42”8 (13°41’51”2) - 41°21’39”5 carta CTR 1:10000: 416 010 Esperia - coordinate: 2.411.050 4.579.720 dislivello: -60 m - sviluppo planimetrico: 80 m

Itinerario Da Esperia si prende la strada che porta al castello e si prosegue sulla strada asfaltata che percorre la valle. Dopo 2,1 km si arriva ad un bivio; e si prosegue per la strada principale (sinistra). Dopo altri 1,7 km si lascia la macchina presso la sella che immette in Valle Gaetano. Da qui si sale, verso sinistra (Nord), il ripido pendio del Monte Acquara Pellegrini. Arrivati in cresta (quota 1100 m circa) si trovano delle doline. Il piccolo ingresso della grotta, di difficile localizzazione, si trova vicino alla dolina più accentuata, verso la valletta che scende fino ad Esperia (30 minuti di cammino).

Descrizione (di Francesco Nozzoli) L’ingresso, allargato dagli esploratori, è un piccolo buco largo 35 cm e lungo 1 m, che immette in un pozzo profondo 15 m. D’inverno dall’ingresso fuoriesce una corrente d’aria calda. Alla base del P15 un breve scivolo porta ad un P5 che immette subito in un pozzo di 20 m, che, con uno scivolo, porta all’ambiente terminale della grotta. Dalla base dello scivolo (punto 7), nella direzione opposta, si imbocca una stretta fessura che dopo pochi metri (punto 10) sfocia in un pozzo profondo 10 m, la cui base, coperta di fango e sassi, segna il fondo della cavità (punto 11, -60). Sempre dall’ambiente terminale, si dipartono tra i massi di frana, due strette prosecuzioni (punti 8 e 9) da cui fluisce parte della notevole corrente d’aria presente all’ingresso. La cavità è impostata su una frattura orientata N36°E che ne caratterizza la morfologia. In alcuni punti l’ambiente è piuttosto franoso, cosa che impone cautela nella progressione.

Dati catastali 418 La - comune: Esperia (FR) - località: Faggeto - quota: 1055 m carta IGM 1:25000: 160 III SE Esperia - coordinate: 1°14’02”1 (13°41’10”5) - 41°20’45”4 carta CTR 1:10000: 416 050 Spigno Saturnia - coordinate: 2.410.080 - 4.578.070 dislivello: -52 m - sviluppo planimetrico: 30 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Esperia si prende la strada che porta al castello e che prosegue percorrendo la valle. Dopo 2,1 km si arriva ad un bivio; qui si imbocca una strada sterrata che porta alla località Tasso; la strada scende a destra, supera il fosso e risale il fondovalle per alcune centinaia di metri; si lascia la macchina in uno slargo presso una catena che chiude la strada. Si prosegue sulla strada, che sale a tornanti fino a diventare un sentiero che percorre sul fondo una valletta boscosa. Si passa tra castagni monumentali e dopo circa 350 m di dislivello si esce dal bosco su un pianoro erboso. Si va subito a sinistra (verso Est) percorrendo il sentiero lungo la vallata pianeggiante. Dopo meno di 1 km si supera una cisterna posta nella parte destra del pianoro, si prosegue sul sentiero tenendosi a destra per 350 m, fino a raggiungere l’ampio ingresso della Chiavica la Faggeta, sotto gli alberi e vicino ad una croce in metallo piantata su una roccia (1 ora e 20 minuti di cammino).

Descrizione (di Stefano Feri) L’imbocco principale del pozzo ha un diametro di 6 m. Una seconda apertura, del diametro di 80 cm, si ricollega al pozzo poco più in basso. Il pozzo, profondo 44 m, aumenta di diametro man mano che si scende. Si atterra (punto 6) in una grande sala (12x5 m) con pavimento detritico inclinato. Risaliti fino al punto più alto della sala (punto 14) parte una risalita di 8 m (in artificiale) che finisce in una fessura (punto 16) dalla quale si entra in un secondo ambiente, con un salto di 8 m chiuso alla base (punto 18). La profondità massima della grotta (punto 9, -52) è in una sala secondaria dalla parte opposta della risalita. Le concrezioni sono quasi del tutto assenti così come l’acqua, presente solo alla base del P8 sceso dopo la risalita.

Stato dell’ambiente

Stato dell’ambiente

La grotta, aperta nel 1997 in seguito ad un intervento di disostruzione, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore alla decina. All’interno non si segnalano alterazioni dello stato dell’ambiente.

Il pozzo, che si apre con una dolina certamente nota “da sempre” ai pastori, è stato esplorato nel 1964; scarsamente frequentato, ha visto un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. L’interno si presenta integro.

Note tecniche

Note tecniche

P15 d’ingresso+P5+P20 (corda unica di 60 m), P10 (corda 15 m), fondo (-60).

Pozzo profondo 44 m (corda 60 m). Dalla base si può raggiungere un pozzo parallelo con una risalita di 8 m (corda 15 m) fino ad una fessura, al di là della quale si scende un P8 (corda 10 m) con fondo in fessura.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 9 marzo 1997 dal GSG (Maria Grazia Lobba, Valentina

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Itinerario

Storia delle esplorazioni

Da Formia si raggiunge Maranola, quindi si attraversa il paese prendendo la strada che sale al Monte Redentore. Dalle ultime case del paese si prosegue su una stradina asfaltata che sale rapidamente. Seguendo la strada principale, che ad un certo punto diventa sterrata, dopo circa 11 km una sbarra impedisce di proseguire; si lascia la macchina e si continua sulla strada per 500 m raggiungendo Fontana Canali. Da qui un comodo sentiero che parte sulla destra della fontana porta al M. S. Angelo; dalla sella prima della vetta, si risale in direzione Nord la cresta che raggiunge prima il M. Campetelle e poi il M. Petrella. Dalla cima del M. Petrella si scende per 150 m di dislivello, seguendo la cresta NE. La grotta si trova sulla cresta, nel punto evidente in cui questa cambia pendenza e diventa una sella (1 ora e 10 minuti).

Esplorata in due riprese (giugno 1982 e giugno 1983) dal Tri.Ma. (M. Aniballe, A. Cardillo, F. Cardillo, G. De Meo, A. Forte, D. Forte, P. Filosa). Nel 2001 - 2002 nuove esplorazioni dello SCR (A. Zambardino, G. Belligno, G.Colone, F. De Lorenzo), con la disostruzione di una fessura sotto il P5, hanno raggiunto l’attuale fondo.

Bibliografia CARDILLO, 1984; DE MEO, 1984.

Abisso Shish Mahal

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Descrizione (informazioni di Aldo Zambardino)

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Storia delle esplorazioni Esplorata il 6 settembre 1964 dallo SCR (A. Maniscalco, Maria Mazzei, Maria Tullia Sears, R. Trigila). Il 5 giugno 1983 il CSE e il Tri.Ma. hanno risalito una finestra trovando il pozzo parallelo.

Bibliografia AGNOLETTI ET ALII, 1973; DOLCI, 1968a; MANISCALCO, 1963; MANISCALCO, 1964.

Abisso del Ciavarreto 270 Dati catastali 991 La - comune: Esperia (FR) - localitĂ : Faggeto, versante NE di Monte Forte - quota: 1100 m carta IGM 1:25000: 160 III SE Esperia - coordinate: 1°14’03â€?2 (13°41’11â€?6) - 41°20’40â€?5 carta CTR 1:10000: 416 050 Spigno Saturnia - coordinate: 2.410.110 - 4.577.920 dislivello: -120 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunciâ€?

Itinerario Da Esperia si prende la strada che porta al castello e che prosegue percorrendo la valle. Dopo 2,1 km si arriva ad un bivio; qui si imbocca una strada sterrata che porta alla localitĂ Tasso; la strada scende a destra, supera il fosso e risale il fondovalle per alcune centinaia di metri; si lascia la macchina in uno slargo presso una catena che chiude la strada. Si prosegue sulla strada, che sale a tornanti fino a diventare un sentiero che percorre sul fondo una valletta boscosa. Si passa tra castagni monumentali e dopo circa 350 m di dislivello si esce dal bosco su un pianoro erboso. Si va subito a sinistra (verso Est) percorrendo il sentiero lungo la vallata pianeggiante. Dopo meno di 1 km si supera una cisterna posta nella parte destra del pianoro, si prosegue sul sentiero tenendosi a destra per 350 m, fino a raggiungere l’ampio ingresso della Chiavica la Faggeta, sotto gli alberi e vicino ad una croce in metallo piantata su una roccia Da qui si risale nel bosco per 150 m in direzione 170°. L’ingresso del Ciavarreto è una grande dolina rocciosa nel bosco. (1 ora e 30 minuti di cammino).

Descrizione Il grande pozzo è originato lungo una frattura orientata N10°W, che

giace esattamente in linea con la Chiavica la Faggeta. Nell’ampia dolina con pareti in roccia si aprono i tre ingressi della grotta. Il piĂš comodo è quello basso (punto 1), che si raggiunge scendendo nella dolina e percorrendo 5 m di meandro sotto grandi blocchi di frana. Il pozzo è profondo 113 m. L’attacco è da un terrazzino; qui il pozzo ha sezione orizzontale di 5x1,5 m. PiĂš sotto l’ambiente si allarga e la pianta assume la forma di una pera; si scendono i primi 70 m nella parte piĂš stretta, tra pareti distanti 1-2 m. A 75 m di profonditĂ (sotto il punto 9) il pozzo si fa piĂš ampio e circolare, assumendo la tipica forma di fuso che scampana, con bell’effetto visivo. Si scendono, quindi, gli ultimi 40 m con una calata unica fino al fondo, costituito da un piano detritico orizzontale (punto 10, -120).

Stato dell’ambiente Il pozzo, scoperto nel 1983 è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’interno è integro.

Note tecniche Pozzo unico profondo 113 m (corda 140 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 13 agosto 1983 dal CSE.

Bibliografia GRANIERO, 1985a; RUSCONI, 1990.

Ciauca di Cesa gliu Vicciu Dati catastali 1334 La - comune: Spigno Saturnia (LT) - localitĂ : Cima dello Stretto quota:1380 carta IGM 1:25000: -171 IV NE Formia - coordinate: 1°13’04â€? (13°40’12â€?4) - 41°19’24â€? carta CTR 1:10000: 416 050 Spigno Saturnia - coordinate: 2.408.710 - 4.575.600 dislivello: -80 m - sviluppo planimetrico: 60 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; SIC IT6040026 “Monte Petrella (area sommitale)â€?; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunciâ€?

Il pozzo d’ingresso, che si apre all’interno di una dolina circolare di 5 m di diametro, ha un imbocco di 4x1,5 m ed è profondo 55 m. La parte superiore del pozzo è fusiforme; verso il basso il pozzo si allarga progressivamente fino ad avere un’ampiezza di 6x8 m a -20. Dopo i 30 m di profonditĂ , il pozzo assume la morfologia di imponente diaclasi (frattura N30°E) con un’estensione orizzontale di oltre 40 m. La diaclasi si allarga, scendendo, fino ad avere una larghezza massima di 6 m al fondo del pozzo (punto 5). Al fondo, la parte piĂš larga della diaclasi (tratto 5-7) forma una sala lunga 24 m ingombra di massi di crollo e detriti. In direzione 30° la diaclasi prosegue con una fessura lunga una dozzina di metri e larga inizialmente 1 m, poi sempre piĂš stretta e con il pavimento formato da un piano fangoso orizzontale. Dalla parte opposta della sala si risale prima un accumulo di frana, poi una paretina di 8 m e infine, a destra, di nuovo dei blocchi (complessivamente 16 m dal fondo del P55), raggiungendo la sommitĂ (punto 10) di un pozzo di 32 m. Proseguendo oltre l’imbocco del P32, tra i massi, si raggiunge (punto 20) la sommitĂ di un pozzo di 25 m (attualmente in esplorazione). La partenza del P32 è tra grandi blocchi di roccia incastrati. Il pozzo è largo 5x3 m e diventa un po’ piĂš stretto verso la metĂ , in prossimitĂ di una cengia franosa. Il pozzo è impostato sulla stessa frattura del P55. Al fondo si supera una strettoia (allargata artificialmente, punto 14) oltre la quale si scende in uno stretto passaggio tra blocchi di frana (pozzetto profondo 5 m) e si arriva al termine delle esplorazioni del 1982 (punto 18, -80): una saletta ampia 3x4 m con tracce di riempimenti di fango. Qui inizia una stretta fessura verticale (P3) forzata recentemente (tratto non rilevato con strumentazione). La fessura immette in un saltino di 5 m seguito da uno di 8 m, entrambi con il soffitto inclinato di circa 45°. Alla base del P8 l’acqua si incanala in una nuova fessura, ma, tramite un foro (anch’esso disostruito), poco piĂš alto del fondo si entra in un altro ambiente costituito da un camino dal quale arriva un nuovo rivolo d’acqua. I due torrentelli spariscono in una fessura impraticabile sul pavimento, che pone termine alla grotta (punto 19, circa -105). In inverno dalla fessura soffia una corrente d’aria.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1982, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente è integro.

Note tecniche P55 d’ingresso con cenge inclinate e franose (corda 70 m), Risalita 8 (corda 15 m), P32 (corda 40 m, attenzione alle scariche di sassi), P5 (corda 8 m), P3+P5+P8, P3, fessura “terminale� (-80).

Dati catastali altro nome: Abisso di Monte Petrella 1330 La - comune: Spigno Saturnia (LT) - localitĂ : versante NO Monte Petrella - quota: 1465 m carta IGM 1:25000: 171 IV NE Formia - coordinate: 1°12’40â€?6 (13°39’49â€?) - 41°19’18â€?4 carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.408.150 4.575.420 dislivello: circa -315 m - sviluppo planimetrico: circa 250 m (95 m rilevati) Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; SIC IT6040026 “Monte Petrella (area sommitale)â€?; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunciâ€?

Itinerario Da Formia si raggiunge Maranola, quindi si attraversa il paese prendendo la strada che sale al Monte Redentore. Dalle ultime case del paese si prosegue su una stradina asfaltata che sale rapidamente. Seguendo la strada principale, che ad un certo punto diventa sterrata, dopo circa 11 km una sbarra impedisce di proseguire; si lascia la macchina e si continua sulla strada per 500 m raggiungendo Fontana Canali. Da qui un comodo sentiero che parte sulla destra della fontana porta al M. S. Angelo; dalla sella prima della vetta si risale in direzione Nord la cresta che raggiunge prima il M. Campetelle e poi il M. Petrella. Dalla cima del M. Petrella si scende nel bosco in direzione N, seguendo un piccolo fosso sulla sinistra, per circa 80 m di dislivello. La grotta si apre con un piccolo foro tra le rocce a 40 m dal fosso e a 200 m dalla vetta; è di difficile reperimento (1 ora e 10 minuti di cammino).

Descrizione La grotta ha uno sviluppo prevalentemente verticale ed è impostata su una lunga frattura orientata N38°E che, a partire da circa 120 m di profonditĂ , assume la forma di estesa diaclasi con uno sviluppo verticale di quasi 180 m ed un’estensione orizzontale di circa 150 m esplorati, percorribili su piĂš livelli. Dall’ingresso fino alla sala di -180 la grotta presenta una serie di pozzi intervallati da brevissimi tratti di meandro, oppure da strettoie. Nella prima parte, fino a -120, i pozzi hanno la comune forma a fuso, mentre di seguito, e fino al fondo, gli ambienti presentano la tipica forma stretta e allungata delle diaclasi.

DALL’INGRESSO ALLA STRETTOIA “WEIGHT WATCHERSâ€? (-120) L’ingresso è un buco di 50 cm di altezza e 80 cm di larghezza (talvolta viene ostruito con un masso dai pastori). Dall’ingresso si entra in un salto di 4 m che arriva sulla sella di un conoide terroso; rivolti verso l’ingresso, si scende verso destra, con uno scivolo che in breve conduce ad un passaggio basso e ad una strettoia (“l’Accettazioneâ€?). Dal conoide terroso scendendo dall’altra parte si arriva alla base di un pozzo profondo una ventina di metri, chiuso (non rilevato). La strettoia “dell’Accettazioneâ€? immette direttamente in un pozzo


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profondo 16 m. A metà pozzo si pendola verso una sella rocciosa (punto 6), oltre la quale si apre un pozzo profondo 31 m, largo 9x4 m. Dalla base si percorrono 5 m di meandro che portano direttamente ad un pozzo di 9 m, con sezione orizzontale tondeggiante. Ancora uno stretto meandro lungo 5 m è seguito da un salto di 4 m. Immediatamente davanti si apre un ampio (7x5 m) pozzo di 33 m, sotto il quale parte subito un nuovo pozzo, dall’imbocco stretto, profondo 17 m. Alla base del pozzo (-120 m) si trova una strettoia ad “S”.

DALLA STRETTOIA “WEIGHT WATCHERS” (-120) ALLA SALA DI -180 La strettoia ad “S” (“Weight Watchers”) termina con una impegnativa uscita direttamente sul pozzo successivo. Si scende il P15, a sezione circolare nella parte alta, poi nella diaclasi che caratterizza tutta la parte bassa della grotta. Dalla base si scende arrampicando per una decina di metri con stretti passaggi in frana, fino a raggiungere la sommità di un P17, stretto e scomodo. Si prosegue immediatamente sotto con uno stretto pozzo profondo 22 m; a metà altezza (punto 24) si pendola a destra fino ad uno scivolo lungo 4 m, su blocchi, subito seguito da un salto da 6 m. Alla base si trova una sala di crollo (punti 27-28), sospesa su una diaclasi (-180). DALLA SALA DI -180 AL FONDO (-315) Dalla sala di crollo è possibile continuare la discesa oppure proseguire in orizzontale nella lunga diaclasi, per circa 150 m (non rilevata), con impegnativi traversi sospesi nel vuoto, pendoli e frane sospese, con un percorso a sali-scendi, peraltro di non facile individuazione. Alla chiusura della diaclasi, una piccola apertura sulla parete di sinistra dà accesso ad un fuso ascendente, percorso da un rivolo d’acqua che scende dall’alto. Dalla sala di crollo è possibile, risalendo dei blocchi, affacciarsi su un pozzo profondo 65 m. Il pozzo, allungato sulla frattura (in orizzontale non si riesce a vederne la fine), è largo da 2 a 4 m. Alla base, un ambiente allungato costituito da blocchi e detrito, una fessura (punto 31) immette nell’ultimo pozzo, profondo circa 70 m. Da qui al fondo, un complicato caos di massi, non è stato eseguito il rilievo. Comunque, la profondità totale dell’abisso dovrebbe essere di circa 315 m. CORRENTI D’ARIA E NOTE IDROLOGICHE La grotta si comporta da ingresso alto (d’estate aspira, d’inverno soffia). Nelle stagioni piovose i pozzi della prima parte sono battuti dall’acqua, che però difficilmente 272 crea problemi per la discesa. La parte profonda è probabilmente sempre asciutta.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata soprattutto nel periodo 1991-93, è stata oggetto di un numero ridotto di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Per evitare cadute accidentali del bestiame, l’imbocco viene generalmente chiuso dai pastori mediante il collocamento di un masso. Ad eccezione dell’allargamento di alcune strettoie e di modeste tracce del passaggio degli speleologi, l’ambiente sotterraneo si presenta integro.

Note tecniche DALL’INGRESSO ALLA STRETTOIA “WEIGHT WATCHERS”: P4 d’ingresso (corda 15 m), P16 (corda 20 m, a metà si pendola verso la sella), P31 (corda 40 m), P9 (corda 15 m), P4 (corda 8 m), P33 (corda 40 m), P17 (corda 25 m), strettoia “Weight Watchers” (-120).

DALLA STRETTOIA “WEIGHT WATCHERS” ALLA SALA DI –180: La strettoia immette in un P15 (corda 20 m), discesa in arrampicata di 10 m, P17 (corda 25 m), P22 da scendere solo fino a metà poi si pendola verso lo scivolo (corda 30 m), P6 (con la stessa corda del P22), sala (-180).

Ciaveca della Cimmerotta Dati catastali altro nome: Ciaveca di Valle Cemmarota 504 La - comune: Spigno Saturnia (LT) - località: Valle Cemmarota - quota: 1370 m carta IGM 1:25000: 171 IV NE Formia - coordinate: 1°12’43” (13°39’51”4) - 41°19’01” carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.408.200 - 4.574.890 dislivello: -60 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; SIC IT6040026 “Monte Petrella (area sommitale)”; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Formia si raggiunge Maranola, quindi si attraversa il paese prendendo la strada che sale al Monte Redentore. Dalle ultime case del paese si prosegue su una stradina asfaltata che sale rapidamente. Seguendo la strada principale, che ad un certo punto diventa sterrata, dopo circa 11 km una sbarra impedisce di proseguire; si lascia la macchina e si continua sulla strada per 500 m raggiungendo Fontana Canali. Da qui un comodo sentiero che parte sulla destra della fontana porta al M. S. Angelo; dalla sella prima della vetta, si risale in direzione Nord la cresta che raggiunge prima il M. Campetelle e poi il M. Petrella. Arrivati al passo poco prima della cima del Petrella, invece di affrontare il pendio che sale alla vetta si scende in un largo canalone verso S per circa 80 m di dislivello (400 m di distanza). La grotta si trova sul canalone ed è recintata con filo spinato (1 ora di cammino).

Descrizione E’ un pozzo profondo 57 m, diviso a metà da un ripido scivolo. L’ingresso, di forma triangolare, con dimensioni di 2,5x1,5 m, immette direttamente nel primo tratto di 25 m, un fusoide impostato su una evidente frattura con direzione N20°W. A 15 m di profondità il pozzo comincia a diventare più ampio (3x5 m) e continua ad allargarsi fino a 25 m di profondità, dove un ripido scivolo terroso lungo 12 m si getta direttamente (punto 4) in un fuso adiacente che proviene dall’alto, impostato su una frattura parallela alla precedente. In questo secondo fusoide si scende una verticale di 25 m; la sezione orizzontale è irregolare, con larghezza media di 5-6 m. Si atterra infine su un conoide detritico inclinato, alla base del quale vi è un passaggio verticale impraticabile (punto 6, -60). Nella grotta è presente costantemente un intenso stillicidio. Non sono state notate correnti d’aria.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1970, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente è integro.

Note tecniche Pozzo profondo 57 m con ripido scivolo e passaggio sotto ponte di roccia a –32 (corda 80 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 15 febbraio 1970 da CSR e SCF (A. Fiorentini, F. Pedone ed altri).

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971.

Abisso del Vallaroce

DALLA SALA DI -180 AL FONDO: P65 con traverso di 3 m alla partenza (corda 80 m), P70 (corda 90 m), fondo (-315).

Storia delle esplorazioni

Dati catastali

Esplorata parzialmente nel 1983 dal Tri.Ma. fino alla base del pozzo cieco (-25 m). Il 19 maggio 1991 sono iniziate le esplorazioni in comune fra il Tri.Ma. e il GS CAI Latina. G. Landolfi superava la strettoia dell’Accettazione. Fra il 26 maggio e il 15 agosto 1991 le esplorazioni sono proseguite ad opera dello stesso gruppo, con G. De Meo, D. Filosa, Landolfi e altri; superando varie strettoie e pozzi si giungeva fino a -180 m. Il 19 settembre 1992 M. Milizia ha percorso la diaclasi orizzontale a -180 discendendo un pozzo cieco di 50 m. Il 9 aprile 1993 De Meo e Milizia hanno completato l’esplorazione della diaclasi.

1000 La - comune: Formia (LT) - località: Passo della Croce, versante NE di Monte Rusco - quota: 1255 m carta IGM 1:25000: 171 IV NE Formia - coordinate: 1°11’49”7 (13°38’58”1) - 41°18’49”4 carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.406.930 - 4.574.540 dislivello: -401 m - sviluppo planimetrico: 505 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Bibliografia MILIZIA, 1995.

Itinerario Da Formia si raggiunge Maranola, quindi si attraversa il paese prendendo la strada che sale


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Monti Aurunci centrali: panorama verso Monte Altino (foto G. Mecchia)

Monti Aurunci centrali: la zona dell’abisso Vallaroce; sullo sfondo il Monte Petrella (foto G. Mecchia)

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al Monte Redentore. Dalle ultime case del paese si prosegue su una stradina asfaltata che sale rapidamente. Seguendo la strada principale, che ad un certo punto diventa sterrata, dopo circa 11 km una sbarra impedisce di proseguire; si lascia la macchina e si attraversano i prati a destra (in direzione sud) fino ad arrivare sul ciglio del ripido versante che scende verso il mare (100 m). Si segue questo ciglio in direzione ovest per un centinaio di metri fino ad arrivare nei pressi di una collinetta spoglia tra doline. L’ingresso dell’abisso è sulla collinetta (10 minuti di cammino).

Descrizione La grotta si sviluppa con un primo tratto quasi verticale fino a –175, poi un meandro orizzontale lungo 70 m porta alla sala “dell’Ometto�. Da qui un meandro in leggera discesa, lungo 80 m, porta al “Laghetto� (-210). La grotta poi si approfondisce verticalmente, con una serie di salti intervallati da brevi tratti di meandro fino al fondo (-401).

DALL’INGRESSO FINO ALLA SALA “DELL’OMETTOâ€? (-180) La grotta inizia con un pozzo profondo 10 m, impostato su una frattura orientata N60°W; l’imbocco misura 50x80 cm, poi il pozzo si amplia progressivamente e alla base, di forma irregolare, ha dimensioni 2x3 m. Si prosegue con un passaggio basso che intercetta un salto profondo 3 m. Da qui si percorre una frattura orientata verso 250° per giungere immediatamente sopra un pozzo profondo 10 m; l’attacco è un po’ stretto, il soffitto è uno strato inclinato di 10-15° verso 250°. La base è un terrazzo che si affaccia direttamente sul pozzo successivo, profondo 17 m, con sezione ellittica 2x5 m, allungata

Abisso del Vallaroce: il meandro prima della sala “dell’Ometto� (foto M. Re)

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KM

lungo la frattura N35°E, inclinata di 75° verso SE. Dalla base (punto 5) si riprende la frattura orientata verso 250°, arrivando dopo alcuni metri sopra l’imbocco di un pozzo profondo 23 m, che inizia con una fessura larga mezzo metro; si traversa raggiungendo un fuso piĂš ampio (2x5 m), sempre impostato sulla stessa frattura. Dalla base (punto 6) si prosegue scendendo un breve scivolo (corda), poi con una brusca curva (punto 11) si svolta a sinistra (verso 300°), e dopo 2-3 m si arriva ad un pozzo di 22 m. Il tratto 6-11 si sviluppa nella stessa direzione del tratto 1-6, ma piĂš in basso e nel verso opposto. Il P22 ha l’imbocco tipicamente stretto (30-40 cm) e si allarga subito sotto fino a 2 m; un paio di metri sopra il fondo c’è un terrazzo. Dalla base, larga 0,8 m e lunga 3-4 m, si prosegue su fessura orientata 60°, e con un passaggio lungo 3-4 m (alto 1 m e largo 0,4 m) si arriva subito alla sommitĂ di un P21. Piccoli livelli argillosi sono frequenti in tutto questo primo tratto. L’imbocco del P21 ha una partenza in fessura (frattura orientata a 60°) ma è piĂš largo dei precedenti; sulla destra parte una fessura (ramo “a monteâ€?). Scendendo, il P21 si allarga molto; nei periodi piovosi la via di discesa è battuta da un intenso stillicidio. Subito oltre alcuni massi di crollo parte il successivo pozzo, di 25 m (pozzo “Parsifalâ€?), allungato per 7-8 m nella direzione della frattura. Dalla base (-150) la grotta cambia bruscamente direzione (andando mediamente verso NNW) ed inizia il tratto di meandro piĂš faticoso della grotta, lungo 100 m fino alla sala “dell’Omettoâ€? (-180). Si inizia a percorrere il meandro nella parte alta, dove è piĂš largo, per alcuni metri, poi si scende per 3 m in contrasto tra le pareti e si giunge alla scomoda e stretta partenza di un P7, con il frazionamento spostato in avanti, al di lĂ di uno spigolo roccioso; alla base c’è una pozza d’acqua.

Segue subito un P5 con partenza stretta; quindi si percorrono in alto alcuni metri di meandro e si scende in fessura (freccia in nerofumo), affrontando una strettoia verticale e arrivando alla sommitĂ di un P8, anch’essa stretta. Alla base si nota un arrivo d’acqua da un buco inesplorato sulla sinistra (2-3 m piĂš in alto), con una portata idrica simile a quella del ramo fin qui percorso; l’arrivo sembra impostato sulla stessa frattura del meandro, ma proviene dal verso opposto (cioè da 250°). Subito dopo si scende un salto di 4 m, con a lato una bella e alta colata calcitica che scende dal soffitto. Riprende quindi il meandro stretto, nel quale si passa intuitivamente negli unici passaggi che lo permettono e si giunge in breve ad una strettoia orizzontale a fessura, lunga 4 m, fastidiosa soprattutto per il trasporto dei sacchi. Dopo altri 10 m di meandro stretto, si supera una caratteristica curva a gomito e si scende sul fondo del meandro, dove scorre l’acqua. Si prosegue per 15 m di meandro, da percorrere 3-4 m sopra il fondo, quindi si supera in alto una breve frana e, ridiscesi oltre, si entra a destra in un passaggio che conduce alla sala “dell’Omettoâ€?. La sala, ampia 15x5 m e alta 8-10 m, è ingombra di massi di crollo e detriti ed è completamente asciutta. Anche in questa sala è evidente la frattura orientata N70°E, sulla quale sono impostate sia una breve fessura sulla destra, sia la continuazione della grotta, a sinistra.

DALLA SALA “DELL’OMETTOâ€? (-180) AL FONDO (-401) Dalla sala per 80 m, fino al “Laghettoâ€? (tratto 57-71), si segue la solita frattura diretta verso 250°, in leggera discesa. Oltre la sala si scende un salto di 5 m formato da massi, poi si percorre una galleria di frana inclinata, fino a giungere sul fondo del meandro, dove si ritrova l’acqua (alcuni litri al secondo nel periodo piovoso dell’aprile ‘98, quasi asciutto in estate). Si supera una sala con un alto camino (punto 63) e dopo una decina di metri si giunge su un saltino di 3 m, da scendere in arrampicata. Poco dopo parte un P7, oltre il quale si nota un incrocio di fratture, si entra a destra in un altro ambiente occupato da una grande pozza d’acqua (“il Laghettoâ€?, punto 71), da superare in spaccata; dal fuso in alto arriva acqua. Qui si ha un nuovo cambiamento di direzione della grotta, che ora assume una direzione complessiva verso WNW per una sessantina di metri, sviluppandosi su fratture con la solita orientazione e su fratture ortogonali, e approfondendosi con brevi pozzi, fino a -245. Superata una seconda pozza, si percorrono ampi ambienti di crollo fino a giungere sopra un pozzo di 6 m, nel quale si getta a cascata l’acqua del torrente. Segue immediatamente un P7,


con l’armo spostato in avanti per evitare il getto dell’acqua, come nel precedente. Dalla base del pozzo si supera una fessura lunga 3 m, poi si scende un pozzo profondo 8 m che arriva in una sala di crollo. Si prosegue seguendo l’acqua sul fondo del meandro, che diventa più stretto e più basso, occupato a varie altezze da blocchi di crollo che obbligano a qualche passaggio basso e scomodo. Superato questo tratto, lungo una quindicina di metri, si incontra un salto di 5 m. Sceso il salto, si sale una frana (-245). Da qui (punto 89) la grotta cambia ancora direzione, andando verso 70° fino al fondo. Dalla sommità della frana si ridiscende in verticale per 2 m (corda) e dopo 5 m si arriva sopra un P13. Oltrepassati i blocchi che costituiscono il fondo del pozzetto, si percorre per meno di 10 m un meandro largo 50 cm, nel quale è necessario superare in contrasto un passaggio esposto tra lisce pareti sopra la successiva verticale di 7 m. Il P7 arriva su una limpida e profonda pozza d’acqua, oltre la quale si intercetta un ampio pozzo a pianta ovoidale (5 x 7 m) profondo 42 m, che si scende dividendolo in tre tratte: Si scendono 15 m e si pendola in avanti atterrando su un comodo e largo ponte di roccia; (punto 96) si prosegue la discesa al di là del ponte per altri 15 m di verticale e si pendola verso un evidente “finestra” oltre la quale si scendono gli ultimi 12 m. Alla base si arriva in un’ampia sala. Qui si perde l’acqua del torrente, che scompare tra i massi. La sala è a forma triangolare di 10 m di lato ed è occupata da un ripido conoide detritico. Si sale per alcuni metri il conoide e quindi si traversa nettamente a sinistra arrivando ad una fessura, larga 40 cm e profonda 4 m. Scesa la fessura in contrasto, si percorrono alcuni metri di meandro, ingombro di massi di crollo, fino ad affacciarsi su un enorme ambiente, il più grande dell’intera grotta, largo almeno 8 m, del quale non si vede la fine ne’ in altezza ne’ in lunghezza. Da un terrazzino si inizia la discesa del P30 su blocchi di crollo che portano sulla verticale nella parte più ampia, mentre l’acqua percorre una fessura nascosta alla vista, larga mezzo metro. La grande sala alla base del P30 misura 8x30 m ed è interamente occupata da grandi blocchi di crollo. Si scende tra i massi tenendosi sulla sinistra, trovando su questo lato la prosecuzione più comoda, ovvero un passaggio tra i blocchi che si apre a metà sala, dove questa è meno larga; più avanti la sala si allarga, la pendenza diminuisce e si nota sulla parete opposta un abbondante arrivo d’acqua dall’alto, che si getta nel successivo P51 tramite un’apertura larga 1-2 m nella roccia viva. Dal passaggio tra blocchi inizia il P51. Si scendono circa 20 m tra grandi blocchi incastrati, spostandosi verso la parte più ampia, fino ad un piccolo ma comodo terrazzino (punto 110), da dove il pozzo assume grandi dimensioni e si scende la verticale finale di 30 m. Il fondo del pozzo è costituto da una sala ampia 15x10 m, con il pavimento quasi orizzontale costituito da detrito fine e accumuli di fango, inciso dal torrentello che attraversa la sala da parte a parte fino a scomparire in una fessura impraticabile (punto 112, fondo, -401), nella quale non si avvertono correnti d’aria; la fessura è orientata verso 70°. Sulla parete della sala, poco sopra la base, si osserva un livello argilloso spesso 20-30 cm; l’inclinazione degli strati è di 25-30° verso 260°.

RAMO “A MONTE” Questo ramo inizia a –102 (punto 15), esattamente sopra il P21, con una stretta fessura diretta verso 170° (inclinata 55° verso E). Dopo una decina di metri angusti, in orizzontale, si scende in una piccola saletta. La prosecuzione, però, è ancora in alto, allo stesso livello del primo tratto, e ancora stretta. Dopo un’altra decina di metri nella stessa direzione si raggiunge una frattura perpendicolare (punto 114) e dopo 10 m si arriva in una saletta. Tramite uno stretto passaggio, si intercetta (punto 116) una fessura che può essere percorsa sia a destra che a sinistra, ma da entrambe le parti in breve stringe. In particolare, verso destra si raggiunge un rivolo d’acqua che scompare immediatamente in una fessura.

NOTE IDROLOGICHE Alla base del secondo salto (P3) si incontra un primo scorrimento d’acqua, che sembra raccogliere le acque delle doline sovrastanti. Nel tratto iniziale la grotta è interessata da stillicidio che si raccoglie in un rivolo che dopo forti precipitazioni può anche rendere impraticabile la grotta. A circa -170, tra il P8 e il P4, un affluente da sinistra raddoppia la portata del torrentello (molto variabile, da 1 l/s nel periodo piovoso primaverile a quasi nulla nel periodo estivo). A -210, confluisce nel “Laghetto” un piccolo arrivo dall’alto. Lungo i tre pozzi finali alcuni arrivi d’acqua aumentano la portata del torrentello, che scompare nella fessura terminale.

Stato dell’ambiente A partire dal 1977, anno della scoperta, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Nonostante qualche traccia di polvere di carburo esausto, alcuni rifiuti abbandonati (in particolare nella sala “dell’Ometto”) e i modesti interventi di disostruzione nelle strettoie del primo tratto della grotta, lo stato dell’ambiente è buono.

Note tecniche DALL’INGRESSO FINO ALLA SALA “DELL’OMETTO”: P10 d’ingresso, P3, P10+P17, P23, Scivolo 5, P22 con imbocco stretto (-102). P21 (corda 30 m), P25, P7 con partenza stretta (corda 15 m), P5 con partenza stretta, strettoia verticale, P8 con partenza stretta (corda 15 m), P4 (corda 10 m), meandro stretto, sala “dell’Ometto” (180).

DALLA SALA “DELL’OMETTO” AL FONDO: P5 (corda 10 m), P3 (in arrampicata), P7 (corda 10 m), il “Laghetto”, P6 (corda 15 m), P7 (corda 10 m), P8, P5 (corda 10 m), P2 (corda 10 m), P13, P7 (corda 15 m), P42 diviso in tre tratti (15 m poi pendolo fino a ponte di roccia, 15 m poi pendolo fino a finestra, 12 m fino alla base, corda 70 m), P4 (in arrampicata), P30 (corda 40 m), P51 (corda 70 m), fondo (-401).

Storia delle esplorazioni Esplorata negli anni 1977-81 dal Tri.Ma. (A. Forte, G. De Meo, A. Petrone, D. Filosa, P. Minutillo, A. Filosa, M. Annibale, F. Cardillo, P. De Meo, G. Caso, L. Filosa).

Bibliografia BERNABEI, 1989; DE MEO, 1982; RUSCONI, 1990.

Ciauca di Monte Vate Rutto Dati catastali 866 La - comune: Formia (LT) - località: Monte Vate Rutto - quota: 920 m carta IGM 1:25000: 171 IV NE Formia - coordinate: 1°11’36”3 (13°38’44”7) - 41°18’03”4 carta CTR 1:10000: 415 080 Monte Revole - coordinate: 2.406.620 4.573.130 dislivello: -140 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; SIC IT6049027 “Monte Redentore (versante Sud)”; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Formia si raggiunge Maranola, quindi si attraversa il paese prendendo la strada che sale al Monte Redentore. Dalle ultime case del paese si prosegue su una stradina asfaltata che sale rapidamente. Seguendo la strada principale, che ad un certo punto diventa sterrata, dopo

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circa 11 km si lascia la macchina in località Valliera e si raggiunge in breve con un sentiero la larga sella che conduce al Monte Redentore. Si segue brevemente la cresta verso il Monte Redentore (SW); quindi si scende il ripido versante verso il mare, obliquando su un pendio sassoso, passando sotto la cima, fino a raggiungere il sentiero sulla cresta opposta, che scende ripida dal Monte Redentore fino al Monte Vate Rutto. Discesa tutta la cresta, si aggira sulla destra il gendarme roccioso del Monte Vate Rutto, oltre il quale la cresta diviene piana e appare il ripido versante Sud che scende verso Maranola. Si discende il pendio in direzione SE per circa 120 m di dislivello. L’imbocco del pozzo, a destra di una poco accennata costola rocciosa, è di difficile individuazione e quasi completamente ostruito da grossi massi collocati dai pastori (1 ora di cammino).

Descrizione L’ingresso della cavità è un “crepaccio” lungo circa 8 m e largo mediamente 80 cm, che si sviluppa lungo la linea di massima pendenza del versante. Il passaggio fra i blocchi che dà accesso alla cavità si trova all’estremità superiore della frattura (punto 1). Tutta la cavità si presenta con la tipica morfologia di una frattura orientata N4°W, le cui compatte pareti verticali lungo la via di discesa distano fra loro da 50 cm a 1,5 m. E’ visibile un’estensione laterale della diaclasi di almeno 20 m sia a metà pozzo che al fondo. Le uniche soluzioni di continuità sono alcuni blocchi di frana sospesi che costringono, nel tratto iniziale (da -8 a -25) e negli ultimi 30 m, a spostarsi dalla verticale, pendolando sulla corda. Sono questi gli unici punti dove è possibile una sosta: due angusti ripiani seguiti da gradini detritici instabili, pericolosi per le scariche di sassi. Le pareti si presentano compatte e ricoperte in gran parte da patine di concrezione, in alcuni tratti dura e cristallina, in altri di debole consistenza. Si nota la stratificazione, in banchi suborizzontali. La cavità termina a 140 m di profondità, dopo uno scivolo detritico lungo 10 m, con un cunicolo impercorribile dove è stata notata una debole corrente d’aria e dove si perde l’acqua che si accumula al fondo in una piccola pozza fangosa. Superato questo punto, una bianca colata di calcite permette di risalire tra le strette pareti per alcuni metri.

Descrizione Il pozzo d’ingresso ha un’imboccatura larga 3x1,2 m. Si tratta di un grande fuso profondo 42 m, impostato su una frattura orientata NW-SE, con pianta quasi circolare e larghezza massima di 12x9 m. Gli strati calcarei sono inclinati di 5° verso 315°. Alla base (punto 2), un conoide detritico scende ripidamente in direzione NW, scaricando sassi in un pozzetto di 3 m che è l’accesso ad una saletta franosa (punto 4) che si sviluppa sotto il conoide. Per andare verso il fondo della grotta, è necessario oltrepassare l’imbocco del P3, senza scenderlo, e proseguire per l’evidente apertura (punto 5) alta 2 m. Si accede, quindi, al secondo grande ambiente della grotta (sala “Verde”), posto alla base di un fuso ascendente impostato lungo la stessa frattura del pozzo d’ingresso. Si scende, senza necessità di corda, uno scivolo di concrezione lungo 10 m fino al fondo (punto 7, -55), costituito da un limpido laghetto profondo circa 3 m e largo 4-5 m. Dentro e intorno al laghetto sono presenti grandi stalagmiti e crostoni di concrezione. Sopra il laghetto, il fuso prosegue verso l’alto fino ad un foro situato a circa 20 m di altezza, da dove proviene acqua (intenso stillicidio osservato nel mese di marzo).

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1970, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Non sono segnalate alterazioni dello stato dell’ambiente.

Note tecniche Pozzo profondo 42 m. Per raggiungere la sala “Verde” si scavalca il salto di 3 m.

Storia delle esplorazioni Esplorata l’8 febbraio 1970 dallo SCF (E. Minelli, M. Cecchi, F. Longo, A. Ciacciarelli) e dal CSR. Il 23 maggio 1982, A. Petrone (Tri.Ma.) si immergeva nel lago senza trovare prosecuzioni.

Stato dell’ambiente

Bibliografia

La grotta, scoperta nel 1970, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina anche a causa delle asperità che caratterizzano il percorso di avvicinamento. L’ambiente è integro.

CARDILLO, 1984; DE MEO, 1983; FILOSA ET AL., 1984; SPELEO CLUB FORMIA, 1970.

Note tecniche Pozzo profondo 140 m (corda 170 m).

Ciauca Santilli

Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente ) il 7 agosto 1970 dallo SCF (M. Cecchi, F. Longo, E. Minelli) e dal G.S.Nottoloni di Macerata (S. Polzinetti, M. Squadroni, Mauro e Giovanni. Dal 15 al 18 agosto 1971 lo SCF (Minelli) e l’ASR (A. Moretti, G. Saiza) continuarono l’esplorazione. Il 18 agosto 1971 venne raggiunto il fondo da Moretti assicurato da Minelli.

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1971a; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1971b; NIZI, 1984a; SPELEO CLUB FORMIA, 1970.

Dati catastali 1332 La - comune: Spigno Saturnia (LT) - località: Le Castagne - quota: 495 m carta IGM 1:25000: -171 IV NE Formia - coordinate: 1°14’44”9 (13°41’53”3) - 41°18’37”3 carta CTR 1:10000: 416 050 Spigno Saturnia - coordinate: 2.411.030 - 4.574.090 dislivello: - 50 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario

Voragine della Palommella Dati catastali 1333 La - comune: Spigno Saturnia (LT) - località: Vernaccito - quota: 710 m carta IGM 1:25000: -171 IV NE Formia - coordinate: 1°14’05”6 (13°41’14”) - 41°19’04”4 carta CTR 1:10000: 416 050 Spigno Saturnia - coordinate: 2.410.120 - 4.574.960 dislivello: -55 m - sviluppo planimetrico: 45 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Aurunci; ZPS IT6040043 “Parco Naturale dei Monti Aurunci”

Itinerario Da Spigno Saturnia Superiore si prende la strada per il cimitero. Dopo 500 m, ad un bivio, si volta a destra per la strada che porta alla Valle, e la si segue per circa 4,8 km fino al terzo tornante a sinistra, presso il quale si lascia la macchina (quota 715). Si segue il sentiero che parte dal tornante in direzione Sud per 1 km; circa a metà strada si supera l’evidente Canale dello Stretto. Appena usciti dal fitto bosco si deve cercare un poco riconoscibile bivio a sinistra con un sentiero che scende il versante. Si percorre quest’ultimo per 180 m fino all’imbocco del pozzo, che si trova sul sentiero in un boschetto di lecci ed è circondato da filo spinato (25 minuti di cammino).

Da Spigno Saturnia Superiore si prende la strada per il cimitero. Lo si supera e si continua sulla strada, oltrepassando un gruppo di case e una ripida salita, quindi si lascia la macchina al bivio con una stradina sterrata sulla destra, chiusa da una sbarra (400 m dal cimitero). Si prosegue a piedi sulla stradina risalendo per 100 m, superando un rudere sulla destra e una salita con due curve. Alla seconda curva si lascia la strada, entrando nel sottobosco a destra. L’ingresso del pozzo si trova a meno di 10 m di distanza dalla strada (5 minuti di cammino). La grotta si trova in terreno privato recintato; per l’accesso è opportuno chiedere l’autorizzazione al proprietario.

Descrizione Il pozzo d’ingresso, profondo 18 m, si apre tra alcuni massi (punto 1), con un’imboccatura di 60 cm. Il pozzo inizia con un saltino di 3 m e prosegue con un breve scivolo terroso a forte inclinazione, che immette (punto 2) in un tratto più verticale piuttosto articolato, largo 1-1,50 m, impostato su una frattura inclinata di 65° verso 230°. Si atterra, infine, in una saletta (punto 5) larga 1,80 m, dove si notano gli strati, inclinati di 38° verso est. Sul pavimento della saletta si aprono due pozzi; quello più ampio (60 cm), con un ponte di roccia (punto 6), è profondo 19 m, molto articolato, largo circa 1 m e impostato sulla frattura inclinata di 60° verso sud. Si giunge in una sala (punti 11-16) con pianta larga 5x2 m e altezza di 5-6 m. Dal punto di arrivo (quota -37) si può proseguire la discesa scendendo un pozzetto di 6 m, che inizia stretto (60 cm), per allargarsi poi fino alla base (1,6 m). In basso prosegue una stretta fessura, ma 2 m sopra la

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Ciauca Santilli: la partenza di uno dei pozzi (foto M. Mecchia)

Concrezioni (di M. Chiariotti)


base del salto (punto 12) si trova un cunicolo che, sceso in arrampicata per 8 m, porta al fondo della grotta (punto 15, -50). Il fondo è una saletta di 2x1,6 m, alta 2 m, con il pavimento e le pareti coperte di fango e con una pozzetta d’acqua. La saletta di quota –37 (punti 11-16) è impostata su una frattura orientata N30-50°E, inclinata di 60° verso SE. Attraversandola fino all’estremità opposta a quella di arrivo si può accedere ad una breve fessura (punto 17) con le pareti coperte di fango (come in gran parte della grotta) depositato sopra una poltiglia di gesso. In fondo alla fessura si può proseguire in basso (saltino di 5 m), mentre in alto si vede sia la fessura che continua che un camino che sale. In estate si avverte una debole corrente d’aria in uscita. L’abbondanza di fango fa pensare che la parte bassa della grotta possa occasionalmente essere invasa da acqua in risalita.

Ciaveca la Ciaia Dati catastali altro nome: Ciaveca del Castello 511 La - comune: Spigno Saturnia (LT) - località: la Ciaia - quota: 320 m carta IGM 1:25000: 171 I NO Minturno - coordinate: 1°15’33”9 (13°42’42”3) - 41°18’57”6 carta CTR 1:10000: 416 050 Spigno Saturnia - coordinate: 2.412.170 - 4.574.720 dislivello: -50 m - sviluppo planimetrico: 37 m

Itinerario

Note tecniche

Dalla piazza di Spigno Saturnia Superiore si raggiunge lo spiazzo dal quale si parte per andare al castello; qui si lascia la macchina. Si segue l’indicazione per il “Tratturo della Ciaia”, un antico largo sentiero che porta alle rovine di una chiesetta più in basso. Al primo tornante, si lascia il comodo sentiero e si taglia il versante per circa 200 m, restando in quota. Il pozzo si trova a metà versante sotto l’unico albero della zona, un leccio (10 minuti di cammino).

P18 d’ingresso, P19, P6 (corda unica da 60 m, con numerosi cordini per gli attacchi, tutti naturali), fondo (-50).

Descrizione

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1983, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Lo stato dell’ambiente appare intatto.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1979 dal Tri.Ma. (L. Filosa, A. Filosa, F. Cardillo, G. De Meo, A. Petrone).

Bibliografia CARDILLO, 1984.

L’ingresso, un foro largo 1,5x2 m, dà accesso al primo pozzo, una verticale di 40 m impostata su una evidente frattura orientata N20°E. La sezione del pozzo si allarga fino a 20 m di profondità (10x2,5 m), dove si atterra alla base di un ripido scivolo detritico. Da qui (punto 2) ci si affaccia su una seconda tratta di 20 m, in cui la sezione orizzontale assume una forma tondeggiante di dimensioni più ridotte (3x4 m). Dalla base del pozzo una fessura, seguita (punto 3) da una discesa di 3 m superabile in arrampicata, immette in un ambiente di crollo originatosi all’intersezione della frattura principale (tratto 3-8) con un’altra orientata E-W (tratto 5-7). Da questa sala vi sono due possibili vie: un pozzetto fangoso di 6 m che chiude subito (punto 7, fondo, -50), oppure una risalita di 2 m verso una diaclasi impostata sulla stessa frattura del pozzo principale, dove si può proseguire per una dozzina di metri fino (punto 8) ad un nuovo saltino cieco di 3 m. Non sono state avvertite correnti d’aria.

Stato dell’ambiente Il pozzo, scoperto nel 1970, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente è integro.

Note tecniche Pozzo profondo 40 m (corda 50 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 25 gennaio 1970dal CSR (A. Fiorentini e F. Pedone).

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; CARDILLO, 1984; SPELEO CLUB TRI.MA., 1980.

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I MONTI AURUNCI ORIENTALI

Labirinto di San Lorenzo Dati catastali 1338 La - comune: S.S. Cosma e Damiano (LT) - localitĂ : Terramontana - quota: 55 m carta IGM 1:25000: 171 I NO Minturno - coordinate: 1°21’10â€?3 (13°39’18â€?7) - 41°16’43â€?8 carta CTR 1:10000: 416 100 Grunuovo - coordinate: 2.419.935 - 4.570.480 dislivello: +9/-12; sviluppo planimetrico rilevato: 150 m

Itinerario Da Formia si prende la SS 7 quater in direzione di Napoli, e si esce allo svincolo per Minturno. Dopo circa 500 m si svolta a destra in direzione Castelforte. Si percorrono 6,1 km fino alla frazione di Grunuovo, quindi si imbocca una strada a sinistra (via Ruosi) che porta alla frazione di Terramontana (non segnalata). Dopo 150 m si lascia la macchina nei pressi di una rampa sulla destra, che sale verso un edificio, davanti al quale si apre una cava abbandonata; si prende il sentierino a destra della cava e si arriva davanti ad una seconda cava abbandonata, piĂš piccola. L’ingresso è sulla parete di quest’ultima cava, a 80 m di distanza dalla strada (meno di 5 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso, sulla parete della cava abbandonata, è un antro alto 5 m e largo altrettanto. Attraverso un basso passaggio che si apre sul pavimento, si entra in una diramazione indipendente (non rilevata). La galleria iniziale, in salita, si riduce rapidamente di dimensioni e dopo 20 m termina (punto 3) con un foro alto 40 cm e largo 50 cm. Questo foro immette direttamente in una sala a pianta quadrata, larga 6-7 m, con il pavimento in salita e la volta costituita da uno strato inclinato di 25-30° verso 220-240°. Attraversata la sala, un passaggio basso (punto 4), simile al precedente, porta sopra uno scivolo discendente; è questo il punto a quota piĂš elevata della grotta (+9). Lo scivolo, arrampicabile, è profondo 7 m, e alla base si apre un secondo salto (corda), profondo 6 m, che porta ad una breve diramazione inferiore. Per accedere alla parte piĂš interessante della grotta, però, si aggira il salto, giungendo ad un terzo pozzetto (che sotto comunica con il secondo). Anche questo salto non viene disceso, ma si traversa entrando in una “finestrellaâ€? (punto 8) alta 80 cm e larga 40 cm. Tutto questo tratto è impostato sulla frattura principale, orientata N40-50°E, circa verticale. Si sbuca in una sala di crollo a pianta quadrata, lunga una decina di metri, con il pavimento articolato e il soffitto costituito da uno strato. Dalla sommitĂ della sala si scende per 15 m fra massi, con passaggi piĂš o meno scomodi, fino ad una saletta (punto 16). Superato un altro passaggio stretto si entra in un’altra saletta (punto 18), proseguendo poi in leggera discesa in uno scomodo condotto fino ad un passaggio stretto complicato da una stalagmite (punto 21). Da qui si salgono 6 m, arrampicando su concrezione, fino ad una “finestrellaâ€? (punto 23) alta 40 cm che permette l’accesso ad una sala (6x2 m), con il pavimento terroso e con radici. A sinistra si sale in uno slargo alla base di un piccolo camino; proseguendo, invece, in discesa, si entra in un condotto lungo un paio di metri, impostato su frattura orientata N70°W, che porta in una bella saletta

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia in scala 1:100.000, F. 160 Cassino e F. 171 Gaeta 1 = Labirinto di San Lorenzo

coordinate riquadro: angolo NW = 1°16’ - 41°26’ angolo SE = 1°27’ - 41°15’

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(sala “del Pianto”), riccamente concrezionata. E’ la zona più profonda della grotta (-12). La saletta è lunga una decina di metri con il soffitto basso, costituito da una superficie di strato, dal quale pendono belle stalattiti a spaghetto. Attraverso due diversi brevi cunicoli si accede alla sala finale (sala “del Totem”). Belle stalattiti e stalagmiti ornano questo ambiente, lungo una decina di metri e alto altrettanto. Risalendo la parete si arriva, circa 15 m più in alto, ad un buco ostruito da sassi, dove sono stati rinvenuti foglie, ossa e gusci d’uova: la superficie esterna deve essere vicina. Nella grotta la temperatura sembra piuttosto elevata, non c’è scorrimento d’acqua, a parte un limitatissimo stillicidio, e non si avvertono correnti d’aria.

Stato dell’ambiente L’ingresso della grotta è stato aperto nel corso degli scavi per l’attività estrattiva. La cava, dismessa ormai da lungo tempo, è completamente invasa da vegetazione spontanea. Il tratto ipogeo iniziale, fino alla “finestrella” è stato frequentato da visitatori occasionali e da “tagliatori di stalattiti” che hanno privato quasi interamente questo tratto di grotta del corredo concrezionale originario. Superata la “finestrella” si entra in una zona ancora integra in cui le uniche tracce di alterazione sono date da polvere di carburo esausto e dai segni del calpestio.

Note tecniche Per percorrere il ramo principale non sono necessarie attrezzature. Per scendere il P6 che porta alla breve diramazione inferiore occorre la corda.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1980 dal Tri.Ma.

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MONTE CIRCEO Il Monte Circeo è un rilievo isolato di forma allungata, che si eleva con grande stacco morfologico lungo la costa tirrenica. I versanti settentrionali, piuttosto ripidi, salgono dalla Pianura Pontina fino ad una linea di displuvio orientata in senso ESE-WNW, che culmina nella vetta principale di Monte Circeo (541 m). Il versante meridionale scende scosceso con pareti anche verticali fino al mare. Lungo l’asse della dorsale il promontorio si estende per circa 5 km, con larghezza di circa 2 km. L’acclivitĂ dei versanti non permette la formazione di apprezzabili corsi d’acqua; i pendii sono solcati da canaloni profondamente incisi che scendono verso la Pianura Pontina o affluiscono direttamente in mare. Quasi tutte le 34 grotte conosciute sul promontorio si aprono nelle falesie lungo la costa; si tratta in parte di grottoni e ripari sottoroccia dovuti all’abrasione marina, ma vi sono anche grotte di origine carsica, spesso risorgenze fossili o attive (come la Grotta delle Corvine, con ingresso sottomarino, sviluppo 100 m) modificate in seguito dall’azione erosiva del mare. Alcune di esse presentano ambienti di dimensioni significative, come la Grotta delle Capre (sviluppo 65 m), la Grotta Spaccata di Torre Paola (sviluppo 90 m) e la Grotta della Maga Circe (grande ambiente alto una quarantina di metri). Le cavitĂ sono distribuite a varie altezze, sia sopra sia sotto l’attuale livello marino, fra le quote di +10 m e -10 m. Alcune grotte del Circeo rivestono notevole importanza sotto l’aspetto paleontologico e paletnologico e sono state studiate con attenzione dalla fine degli anni ’30. In particolare sono da segnalare i reperti trovati nella Grotta Guattari, nella Grotta del Fossellone (sviluppo 68 m), nel Riparo Blanc e nella Grotta Barbara. All’interno del massiccio, invece, i fenomeni carsici ipogei mancano quasi del tutto, cosĂŹ come le morfologie carsiche di superficie; lungo i versanti è conosciuta soltanto una grotta, modesta, a sviluppo verticale.

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 170 Terracina 1 = Grotta delle Corvine 2 = Grotta Guattari

coordinate riquadro: angolo NW = 0°32’ - 41°16’ angolo SE = 0°43’ - 41°12’

Grotta delle Corvine: l’ingresso si trova a 7 m di profondità nei pressi dello scoglio (foto G. Mecchia)

Deflusso sotterraneo

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Le acque che s’infiltrano nel sottosuolo del M. Circeo emergono quasi esclusivamente da sorgenti sottomarine con portate complessive inferiori a 100 L/s (BONI ET ALII, 1988). Il deflusso si realizza probabilmente attraverso numerosi condotti carsici, come la Grotta delle Corvine, dove si riscontrano differenze di temperatura fino a 6-7°C fra le acque del mare e quelle della sala interna, imputabili a venute d’acqua sorgiva (ANTONIOLI, 1994). Lungo uno dei fronti di accavallamento dei calcari sui flysch, orientato circa N-S immediatamente a Ovest di S. Felice Circeo, scaturiscono alcune piccole sorgenti (Fontana Capelli, q. circa 20 m). La Grotta Guattari è scavata in un “bloccoâ€? calcareo isolato di piccola estensione (600x200 m). Negli studi idrogeologici che hanno preso in esame il Circeo non sono segnalate sorgenti in questo “bloccoâ€?, nel quale, comunque, i volumi d’acqua che s’infiltrano nel sottosuolo sono modestissimi.

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Monte Circeo: la grotta delle Capre (foto G. Mecchia)


Grotta delle Corvine Dati catastali altro nome: Grotta sommersa di Cala dell’Alabastro 1195 La - comune: San Felice Circeo (LT) - località: Cala dell’Alabastro - quota: 7 m sotto il livello del mare carta IGM 1:25000: 170 IV SO Monte Circeo - coordinate: 0°35’30”3 (13°02’38”7) - 41°13’42”3 carta CTR 1:10000: 414.130 Monte Circeo - coordinate: 2.356.040 - 4.566.040 dislivello: +15 m - sviluppo planimetrico: 100 m Aree protette di riferimento: Parco Nazionale del Monte Circeo; ZPS IT6040015 “Promontorio del Circeo”

Itinerario Da San Felice Circeo si prende la strada per l’Hotel Punta Rossa, presso il quale si lascia la macchina. Si prosegue a piedi verso NW fino ad arrivare per comodo sentiero a Cala dell’Alabastro. La grotta si trova alla base della falesia di fronte ad un caratteristico scoglio a forma di sigaro (10 minuti a piedi senza attrezzature).

Descrizione (da ANTONIOLI, 1995) L’ingresso alla grotta è costituito da una serie di cunicoli convergenti verso la sala centrale. L’unico cunicolo attualmente accessibile (punto 1), benché l’ingresso sia in parte ingombrato da una duna, è lungo circa 20 m ed ha la base alla profondità di 7 m; sul lato interno è presente una seconda duna con cresta fin quasi sotto la volta. Gli altri cunicoli risultano occlusi da sedimenti limo-sabbiosi, ma la loro percorribilità varia stagionalmente. La sala centrale è caratterizzata da una bolla d’aria grossolanamente ellittica, ad asse E-W, emersa sul lato settentrionale. Il fondale di questa sala è occupato da una spessa coltre di sedimento limo-sabbioso, con ripple marks molto ravvicinati; verso l’interno sono presenti grossi massi di crollo smussati. La parte emersa della sala è occupata da un conoide di brecce cementate a matrice fine rossastra. La presenza di radici nella volta induce a ritenere che il diaframma rispetto alla superficie topografica sia di pochi metri. La sala, a sezione campaniforme, è intagliata sia nel substrato carbonatico mesozoico che in un deposito breccioso, che si rinviene fino a circa 12 m di altezza, nella parte più alta della volta. Un diaframma calcareo, strutturato su faglie dirette E-W, divide sul lato orientale la sala in due subambienti, collegati da un breve sifone profondo 2,5 m.

Stato dell’ambiente La grotta, accessibile solo in immersione, è conosciuta da molti anni dai subacquei che frequentano il Circeo. Non sono disponibili informazioni sulla stato dell’ambiente.

Note tecniche Il sifone richiede, naturalmente, l’attrezzatura speleosubacquea. Dato l’ambiente marino, la visita da parte di subacquei inesperti dell’immersione in grotta può comportare il rischio di rimanere bloccati, anche per la carenza di attrezzature specifiche (per es., illuminazione).

Storia delle esplorazioni Conosciuta e percorsa da molti anni dai subacquei che frequentano il Circeo; il nome deriva dai branchi di corvine che spesso vi si trovano.

Bibliografia ANTONIOLI, 1995; ANTONIOLI & FERRANTI, 1994; ANTONIOLI & ROSSI, 1991; MECCHIA G., 1996.

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Grotta Guattari Dati catastali 203 La - comune: San Felice Circeo (LT) - località: nel giardino dell’Hotel Neandertal - quota: 6 m carta IGM 1:25000: 170 IV SE San Felice Circeo - coordinate: 0°38’41” (13°05’49”4)- 41°13’53” carta CTR 1:10000: 414 140 San Felice Circeo - coordinate: 2.360.520 - 4.566.290 sviluppo: 28 m Aree protette di riferimento: Parco Nazionale del Monte Circeo; ZPS IT6040015 “Promontorio del Circeo”

Itinerario

si trova un laghetto di stillicidio ed alcune stalagmiti, a destra vi è una sala di 4x5,5 m, alta 1,8 m. In questa sala fu rinvenuto il cranio di Homo neandertalensis (quello attualmente visibile è una copia, mentre l’originale si trova all’Istituto di Antropologia dell’Università di Roma “La Sapienza”). Il pavimento era ricoperto da ossa di animali rivestite di concrezione; gli scavi misero in luce industrie paleolitiche e altre ossa umane. L’ambiente conserva un raro esempio di paleosuolo del Musteriano.

Stato dell’ambiente La grotta, aperta accidentalmente nel 1939 durante lavori di sistemazione agricola, a causa delle ingenti testimonianze storiche rinvenute al suo interno fu sconvolta dagli scavi archeologici e dalla costruzione del camminamento e delle ringhiere realizzati per consentirne la fruizione turistica. L’accesso regolamentato protegge la grotta da ulteriori stravolgimenti dello stato ambientale.

La grotta è situata sul lungomare di San Felice Circeo all’interno del giardino dell’Hotel Neandertal. Per visitarla è necessario farsi accompagnare dal personale dell’albergo.

Note tecniche

Descrizione

Scoperta casualmente durante i lavori di sistemazione campestre che venivano eseguiti nel parco dell’albergo di proprietà del signor Guattari. Venne trovata da un operaio (V. Ceci) e parzialmente esplorata da Guattari il 24 febbraio 1939. Il giorno dopo Guattari e l’elettricista D. Bevilacqua trovarono il cranio umano. C.A. Blanc, avvertito da Guattari, visitò la grotta quello stesso giorno. Nel 1950 è stato aperto il secondo, più comodo, ingresso.

Si tratta di un’antica grotta litoranea che, come tante altre che si aprono lungo la ripida costa del Circeo, ha subito le conseguenze delle oscillazioni del livello del mare nel Quaternario. All’epoca dell’apertura artificiale dell’ingresso, la grotta risultava in parte colmata da riempimenti fossili; l’apertura originaria, probabilmente a forma di antro, è stata ostruita in epoca storica da una frana, che ha salvato le testimonianze della frequentazione preistorica. Con i lavori di scavo del 1939, successivi alla scoperta della cavità, venne realizzato uno stretto cunicolo lungo 5 m. L’attuale ingresso turistico, scavato nel deposito detritico antistante la grotta, è una breve galleria artificiale chiusa da un cancello, che si affaccia su una prima sala di 284 dimensioni 8,5x6,5 m e altezza al centro di 3,5 m, mentre ai lati il soffitto si abbassa notevolmente. Il percorso turistico transennato non consente la libera circolazione nelle sale. Sulla sinistra, attraverso un passaggio ad arco nel quale bisogna chinarsi, si passa nel secondo vano della grotta (“Antro dell’Uomo”). Si tratta di una sala di forma allungata: a sinistra, in una piccola saletta,

Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni

Bibliografia ARDITO & MINERVA, 1995; BINI, 1986; BLANC, 1939a; BLANC, 1939b; BLANC, 1939c; BLANC, 1939d; BLANC, 1939e; BLANC, 1939f; BLANC, 1940; CAPASSO, 1978a; CAPASSO, 1978b; CARDINI, 1977; CUSCANI POLITI, 1978; DE ROSSI, 1980; DOLCI, 1967; LANZUISI, 1996; MANCINI, 1997; MUSSI, 1986; RADMILLI, 1961; RADMILLI, 1978; SEGRE, 1948a; SOLINAS, 1971; TOZZI, 1970; ZEI, 1986.

Grotta Guattari: una sala lungo il percorso turistico (foto G. Mecchia)


Il corso dello Speleo Club Roma del 1968

in alto: F. Carosone, M. Sagnotti, M. Monaci, G. Pasquini, uno speleologo, C. Giudici, P.L. Bianchetti, I. Bertolani, G. Dente; seconda fila: F. Gammarelli, A. Mariani, A. Felici, A.M. Latini, M. Taroldo; terza fila: A. Antonelli, una speleologa, R. Testa, S. Marinucci in basso: R. Trigila e F. Chiarantini (foto archivio M. Sagnotti)

Inghiottitoio di Val di Varri: G. Carioti, P. Langosco, G. Pasquini, A.M. Stampacchia, G. Stampacchia (foto G. Carioti, 1966)

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Matese 1993: G. Mecchia, M. Piro, A. Sbardella, M. Barbati, M. Mecchia, I. Jelinic, A. Pucci, G. Paris, G. Polletti (foto G. Mecchia)

Lo Speleo Club Roma al “Campo Aurunci 1996” (dall’alto in basso, da sinistra a destra): F. Toso, M. Milizia (GS CAI Latina), F. Conti, M. Re, D. Piovesan (GS CAI Latina), F. Cappelli, M. Barbati, M. Giuffrè, D. Conti, A. Lo Tenero, M. Fierli, F. Ruggieri (GS CAI Latina), F. Girella, A. Zambardino, S. Mecchia, M. Piro, G. Mecchia e, sdraiato, A. Sbardella (foto O. Valigi)


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(legenda a pag. 86)


Il massiccio carsico dei Monti Simbruini, situato al confine fra Lazio e Abruzzo, è costituito da una serie di dorsali parallele che si sviluppano con direzione appenninica per lunghezze massime di 30 km; valloni e campi carsici separano le singole dorsali. All’estremità NW il massiccio termina nella Piana del Cavaliere. A NE una serie di bacini chiusi, allineati in direzione NW-SE parallelamente ad un grande disturbo tettonico (sovrascorrimento della Val Roveto), divide i Monti Simbruini dai Monti Carseolani; superato il valico di Cappadocia si trovano le sorgenti del Liri, fiume che scorre nella Val Roveto scendendo verso SE. Il limite geografico meridionale dei Monti Simbruini è rappresentato dal Fiume Aniene, che nasce nel territorio di Filettino e scorre in una profonda incisione; in sinistra idrografica si sviluppano i Monti Ernici. Nel tratto iniziale, da Filettino, il corso d’acqua scorre verso WSW poi, nei pressi di Trevi nel Lazio, piega a NW e poco dopo (a Comunacque) riceve il contributo del T. Simbrivio. All’uscita dall’area carbonatica, a Subiaco, la valle dell’Aniene si allarga e lascia in sinistra idrografica una serie di rilievi che raccordano la valle con la “barriera” costituita dalla faglia Olèvano-Antrodoco, che segna il limite orientale del dominio di bacino. Nel percorso verso NW la valle dell’Aniene costeggia i Monti Simbruini (destra idrografica) e le dorsali di Canterano e dei Monti Ruffi (in sinistra), poi taglia un lembo simbruino isolando lo sperone di Marano Equo, quindi esce dall’area simbruina per dirigersi verso Tivoli, dopo un brusco gomito. Nell’area carbonatica dei Monti Simbruini sono note 90 grotte su un’estensione complessiva di circa 420 km2; le cavità carsiche sono distribuite su tutto il territorio, ma con un particolare addensamento nel cosiddetto Altopiano Sublacense, formato dall’insieme di diversi piani carsici sviluppati nel settore centrale del massiccio, in un intervallo di quote compreso fra 1300 e 1550 m. Sono state individuate 3 Sotto-Zone: la dorsale di Monte Midia e la Catena della Renga; le valli dell’alto Aniene e del Simbrivio; i Monti Simbruini centrali. Dal punto di vista idrogeologico, il tratto di catena appenninica che comprende i Monti Simbruini, i Monti Ernici e il Monte Cairo costituisce un’unica unità, isolata dalle cataclasiti ricche di argilla che sigillano le superfici di sovrascorrimento (a SE quelle delle catene dei Volsci sulla Valle Latina e della Sabina, a NE quella della Val Roveto) e soprattutto dai grandi spessori di flysch impermeabili sui quali le unità tettoniche sono sovrascorse. Il massiccio carbonatico dei Monti Simbruini è suddiviso in tre settori idrogeologici principali, che approssimativamente corrispondono alle Sotto-Zone: settore Nord-orientale, con drenaggio verso la Val Roveto; settore meridionale, drenato da sorgenti localizzate nelle valli del Simbrivio e dell’Alto Aniene; settore centrale e Nord-occidentale, drenato principalmente dalla sorgente di Agosta.

LA DORSALE DI MONTE MIDIA E LA CATENA DELLA RENGA Il settore Nord-orientale dei Monti Simbruini è costituito da un gruppo di dorsali parallele che isolano una serie di campi carsici chiusi. Caratteristica di questa Sotto-Zona è anche l’affioramento su vaste aree delle brecce calcaree “della Renga”, in grado di ospitare fenomeni carsici ipogei non trascurabili. Nella Sotto-Zona sono note 13 grotte. La dorsale più esterna, M. Cesalarga-M. Padiglione (1825 m)-M. Camiciola, sovrasta direttamente i bacini chiusi dei M. Carseolani meridionali. Lungo il ripido fianco Nord-orientale si trovano l’interessante Grotta di Malattate (-30, sviluppo 150 m) e, alla base della stessa parete, la Grotta della Sorgente del Liri (sviluppo 60 m), dalla quale sgorga parte delle acque del F. Liri. Sempre in posizione esterna, ma più a NW, corre il crinale della dorsale M. Midia (1738 m)-M. Fontecellese (1626), che scende poi nell’area del paese di Carsoli immergendosi sotto i depositi della valle. Verso il termine della dorsale, nell’area di Pereto, sono note due piccole grotte e la dolina di crollo del Merulo. Più interna al massiccio è la dorsale che, salendo dalla Piana del Cavaliere, forma il lungo crinale del M. Serra Secca (nell’area di S. Maria dei Bisognosi sono note 4 piccole grotte) e culmina nella Cima di Vallevona (1818 m), presso la quale si apre la Grotta Picinara (-64, sviluppo 100 m) e ai cui piedi si stende la depressione carsica di Campolungo; nel deposito di brecce che forma questo campo chiuso si apre la Grotta a Damiano (sviluppo 500 m). A SE la dorsale prosegue nella Catena della Renga (Monna Rosa, 1781 m - M. Viperella, 1836 m), che termina in corrispondenza di un solco oltre il quale si innalza il massiccio di M. Viglio (M. Ernici). Sul versante orientale di M. Viperella si trova la Grotta del km 16 (sviluppo 90 m). Deflusso sotterraneo Lungo il bordo del massiccio carbonatico delimitato dai bacini chiusi carseolani e dalla Val Roveto le acque sotterranee emergono da diverse sorgenti. Le principali, da NW verso SE, sono la sorgente di Verrecchie (q. 1020 m, portata media 200 L/s), le sorgenti del Liri (q. 950 m, portata media 1000 L/s), la sorgente di Rio Sonno (q. 900 m, portata media 150 L/s) e la sorgente Sponga (q. 830 m, portata media 400 L/s). Le acque della Grotta a Damiano defluiscono probabilmente verso la sorgente di Verrecchie (dove nasce il Fiume Imele), distante 4,4 km verso ENE (dislivello imbocco grotta-sorgente: 285 m). In alternativa, si può immaginare che le acque possano dirigersi verso la sorgente del Liri, distante 7

km verso ESE (dislivello di 355 m). La Grotta di Malattate è una risorgenza di troppo pieno del Fiume Liri. Nel corso delle piene più importanti (forse in media una volta l’anno) l’acqua risale il forte dislivello (115 m) e fuoriesce da questa grotta e da altre emergenze, come la Grotta della Dama, posta nelle vicinanze, poco più in basso. All’interno della Grotta di Malattate una fessura, dalla quale proviene un forte rombo, è stata sondata per una profondità di 45 m, forse fino ad un corso d’acqua. Il Liri sotterraneo emerge ad una distanza planimetrica di circa 150 m dall’imbocco della Grotta di Malattate, in parte attraverso una risorgenza percorribile per un breve tratto (Grotta della Sorgente del Liri).

LE VALLI DELL’ALTO ANIENE E DEL SIMBRIVIO L’area a SE di Monte Autore (1853 m) è caratterizzata da due grandi conche a forma di imbuto, ricche di acque sorgive che scorrono in superficie su dolomie poco permeabili: si tratta della conca di Vallepietra, nella quale si origina il Torrente Simbrivio, e della conca di Fiumata, dove nasce il Fiume Aniene. Nella conca di Vallepietra, sovrastata dalla cerchia di monti che culmina in Monte Autore (1853 m), M. Assalonne (1513 m) e M. Tarinello (1846 m), si conoscono 7 grotte: nella parte alta si trovano il Pozzo della Morra Rossa (-64) e il Pozzo Cornetto (-55), più in basso la risorgenza captata denominata Gronda A (+80, sviluppo 224 m); altre modeste cavità sono note nell’area di cresta che circonda la conca. Anche nella valle del T. Simbrivio a monte della confluenza con l’Aniene sono state esplorate alcune piccole grotte. Nella conca di Fiumata, dominata da M. Tarino (1961 m) e, a SE, da M. Cotento (2014 m) non sono noti fenomeni ipogei; solo nei pressi di Filettino, lungo la strada che sale a Campo Staffi, si conoscono 2 cavità, la più profonda delle quali è la Grotta delle Morette (-40). Dalla conca di Fiumata il corso dell’Aniene aumenta progressivamente di portata scendendo verso Subiaco; le sorgenti, situate in alveo o nei suoi dintorni, fuoriescono da condotti talvolta percorribili, come quelli della Grotta del Pertuso (sviluppo 885 m) e della Grotta di Coceraso (sviluppo 129 m), entrambi a monte di Comunacque dove il T. Simbrivio confluisce nell’Aniene. Deflusso sotterraneo La conca di Vallepietra La conca di Vallepietra è sede di numerose sorgenti, con una dozzina di scaturigini principali che complessivamente erogano una portata di circa 0,8 m3/s. Questa abbondanza d’acqua a quote elevate, comprese fra 830-1130 m, si spiega con l’affioramento delle dolomie del Trias sup.-Giurassico inf., poco carsificabili, analogamente a quanto descritto per le sorgenti di alta quota dei Monti Ernici settentrionali e dei Monti del Parco. Delle numerose sorgenti presenti nella conca, l’unica in cui è possibile accedere ai condotti carsici di alimentazione è la Gronda A (q. 995 m), risorgenza attiva perenne con portata di magra di circa 5 L/s. Per quanto riguarda il destino delle acque che si infiltrano nelle grotte situate nella parte alta della conca, si possono avanzare delle ipotesi. La probabile risorgenza delle acque che gocciolano nel Pozzo Cornetto è la sorgente omonima (q. 887 m, dislivello di 338 m dall’imbocco del pozzo), localizzata 2 km verso SE lungo la faglia su cui sembra svilupparsi la grotta, all’intersezione con la faglia N-S della valle del Simbrivio; la sorgente, captata, ha una portata media di 130 L/s. Possibile risorgenza del Pozzo di Morra Rossa è la Fonte del Vallone, localizzata a q. 1025 m (140 m sotto l’ingresso del pozzo e a 130 m di distanza verso NNW), la cui portata media è di 100 L/s. Le valli dell’alto Aniene e del Simbrivio Lungo l’alveo dell’Aniene da Filettino fino a Subiaco sgorgano, attraverso numerose sorgenti anche di tipo lineare, circa 7,5 m3/s, ai quali si aggiungono circa 0,8 m3/s provenienti dalla conca di Vallepietra, 1,9 m3/s drenati lungo la valle del Simbrivio, circa 300 L/s provenienti dalla conca di Fiumata e 110 L/s della sorgente Capo d’Acqua lungo Fosso Campo (M. Ernici) (BONI ET ALII, 1988). La più importante sorgente dell’alto Aniene emerge da un condotto carsico percorribile per alcune centinaia di metri. Si tratta della Grotta del Pertuso, a q. 698 m, con portata media di 1600 L/s, captata per alimentare la centrale elettrica di Comunacqua. Considerando un’infiltrazione di 2528 L/s per km2, valore medio per i calcari di piattaforma (BONI ET ALII, 1986), l’estensione del bacino dovrebbe essere di circa 57-64 km2. Questa vasta area si deve sviluppare prevalentemente nei M. Simbruini Sud-orientali (con spartiacque in corrispondenza di Campo Staffi) e in piccola parte nei M. Ernici settentrionali (M. Cantari, versante sinistro della valle dell’Aniene). Poco più a valle, lungo l’Aniene, scaturiscono le acque della Grotta di Coceraso. All’interno di questa cavità scorre un piccolo corso d’acqua attivo solo nei periodi piovosi; poco prima dell’uscita dalla grotta, l’acqua sparisce fra i massi del fondo, percorrendo un livello sottostante che si intravede attraverso una fessura nel pavimento, e viene a giorno lungo l’alveo dell’Aniene dal conoide detritico che si trova sotto l’antro d’ingresso. Ancora più a valle (M. Simbruini centrali) si trova la Risorgenza dell’Inferniglio, la cui sorgente effettiva scaturisce presso l’alveo dell’Aniene a q. 493 m con una portata media di circa 500 L/s.

Utilizzando i valori di infiltrazione tipici precedentemente descritti, l’estensione del bacino idrogeologico è calcolabile in 19-22 km2. L’area di ricarica si svilupperebbe soprattutto verso Nord nei M. Simbruini, forse comprendendo le zone del Pozzo della Creta Rossa e della Fossa 3a di Jenne. Il Pozzo di Creta Rossa scende quasi verticalmente fino all’attuale fondo, oltre il quale l’acqua potrebbe proseguire ancora all’incirca lungo la verticale fino a raggiungere il livello a Orbitolina, forse intorno a q. 900 m (cioè alla profondità di quasi 500 m); in quest’area la superficie piezometrica dovrebbe trovarsi intorno a q. 600 m. Il recapito finale delle acque è incerto; segnaliamo 3 possibilità: 1) Risorgenza dell’Inferniglio (3,8 km verso SW); 2) sorgenti dell’Acqua Marcia (15,5 km verso WNW); 3) alveo dell’Aniene o anche alveo del T. Simbrivio a valle di q. 600 m. Le acque di infiltrazione della zona in cui si apre la Fossa 3a di Jenne potrebbero riemergere nell’alveo del T. Simbrivio a valle di Vallepietra, cioè sotto q. 690 m; in alternativa potrebbero avere un destino analogo a quelle dell’area del Pozzo della Creta Rossa.

I MONTI SIMBRUINI CENTRALI L’area situata a Ovest di M. Autore è caratterizzata da un antico reticolo di valli, sollevato tettonicamente e disattivato per lo sviluppo di condotti carsici drenanti (grotte), che hanno determinato la formazione di numerosi campi carsici chiusi, ricchi di doline, separati fra loro da profondi valloni e da lunghi crinali montuosi generalmente orientati in direzione appenninica (Altopiano Sublacense). All’estremità Nord-occidentale di una delle dorsali (M. S. Fabrizio, 1015 m) si apre la voragine della Chiavica di Arsoli (-100), proprio di fronte al paese omonimo (tuttavia quest’area è stata inserita nella Sotto-Zona della Media Valle dell’Aniene). Nel piano carsico di Camposecco si aprono diverse grotte, e fra queste l’Inghiottitoio di Camposecco (-415, sviluppo 590 m) e il Pozzo 1° di Camposecco (-40). Subito al di la’ della cresta che a Sud separa il campo carsico dalla Valle Maiura si apre l’Abisso Nessuno (-222, sviluppo 230 m). Superata la valle, dirigendosi verso SW, si entra nel piano di Campobuffone dove si trovano una decina di grotte, e, scavalcati alcuni dossi in direzione NW, si raggiunge il piano di Campaegli, nel quale sono note 4 grotte, la più importante delle quali è la Grotta Stoccolma (-62). A SW l’Altopiano Sublacense termina con un ripido versante che lo raccorda con la valle dell’Aniene. Nella lunga fascia che delimita i M. Simbruini su questo lato si trovano alcune grotte e le grandi forme di superficie (“doline di crollo”) del Catino di Cervara, situato nei pressi del paese omonimo, e della Fossa di Agosta, un po’ più in basso. Poco a Sud di Cervara, sul versante che guarda l’Aniene si apre la Buca dell’Acqua (-40). Costeggiando il pendio verso SE si giunge al piano di Livata e, poco dopo, a Colle Rotoli (1430 m); nell’area intorno alla sua sommità si trova l’Abisso Petrini (- 287 115). Una lunga strada sterrata si snoda da Campo Livata attraversando aree costellate di doline per collegarsi, infine, al paese di Jenne; sui rilievi situati nell’altopiano intorno alla carrozzabile si apre la Fossa 3a di Jenne (sviluppo 140 m) e poco più avanti, quasi sul ciglio della strada, il Pozzo della Creta Rossa (-117). Dal paese di Jenne il versante scende ripidissimo per un dislivello di alcune centinaia di metri verso la stretta incisione del Fiume Aniene, dove, pochi metri sopra l’alveo fluviale, si apre l’importante risorgenza della Grotta dell’Inferniglio (sviluppo 1370 m). Scendendo poi lungo l’Aniene si osservano diversi concrezionamenti e piccoli depositi di travertino; arrivati a Subiaco il fiume, uscendo dall’affioramento carbonatico, ha depositato un banco di travertino più grande in cui è scavata la Grotta degli Animaletti (sviluppo 110 m). Deflusso sotterraneo Il settore dei grandi campi chiusi a Ovest di M. Autore è presumibilmente drenato dalla sorgente dell’Acqua Marcia ad Agosta (q. 330 m, portata media 5400 L/s), lontana 10 km dagli abissi di Camposecco e Nessuno, 8 km dalla Grotta Stoccolma. Sulla verticale degli ingressi la superficie piezometrica si troverebbe intorno a q. 500 m (BONI ET ALII, 1988). Queste grotte si sviluppano interamente al di sopra del livello a Orbitolina, con spostamenti sul piano orizzontale complessivamente brevi. Per quanto riguarda le grotte di Camposecco e Nessuno, il livello a Orbitolina è molto profondo, probabilmente al di sotto della superficie piezometrica. In corrispondenza della Grotta Stoccolma il livello potrebbe essere raggiunto intorno a q. 900 m (profondità della grotta di quasi -500), da qui i condotti carsici potrebbero iniziare a scendere lungo la modesta pendenza determinata dall’intersezione fra le fratture e il livello, analogamente a quanto riscontrato in altri massicci. A valle dell’Abisso Petrini (che si sviluppa verticalmente, forse attraversando il livello a Orbitolina poco sotto l’imbocco) si trova la piccola sorgente S. Donato (q. 928 m, portata 0,1 L/s); altri possibili recapiti delle acque dell’abisso sono il gruppo sorgentizio Acqua Marcia, la sorgente Polveriera (q. 510 m, portata media 70 L/s) situata 3,3 km verso Sud, o le scaturigini nell’alveo dell’Aniene.


LA DORSALE DI MONTE MIDIA E LA CATENA DELLA RENGA

Grotta di Malattate: l’antro di ingresso (foto G. Mecchia)

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Grotta di Malattate: il cunicolo verso il punto 3 (foto G. Mecchia)

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia, alla scala 1:100.000, F. 145 Avezzano e F. 151 Alatri 1 = Grotta di Malattate 2 = Grotta a Damiano 3 = Grotta Picinara

coordinate riquadro: angolo NW = 0°42’ - 42°04’ angolo SE = 0°53’ - 41°57’

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Monti Simbruini Nord-orientali: il bacino chiuso di Pian della Dogana (foto G. Mecchia)

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Grotta di Malattate Dati catastali 153 A - comune: Cappadocia (AQ) - località: Sorgenti del Liri - quota: 1065 m carta IGM 1:25000: 145 II SO Tagliacozzo - coordinate: 0°49’51” (13°16’59”4) - 42°00’01” carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 160 Cappadocia - coordinate: 2.377.800 - 4.651.320 dislivello: -30 m - sviluppo planimetrico: 150 m

Itinerario Da Cappadocia, subito dopo la piazza si prende a destra la strada per Camporotondo. Dopo 100 metri si imbocca una strada in discesa a sinistra, e dopo 200 metri a destra una strada bianca. La si percorre per 0,8 km, quindi si lascia la macchina e si imbocca un sentiero che discende il versante; dopo circa 200 metri si incontra il letto asciutto di un torrente. L’imbocco è un evidente sgrottamento sotto una paretina alla testata del torrente (10 minuti di cammino).

Descrizione (informazioni di Bruno Chiarelli) L’ingresso è una risorgenza di troppo pieno del fiume Liri, che si attiva solo in seguito a piogge eccezionali. Da esso parte un evidente alveo torrentizio che scende ripidamente lungo il versante esterno superando un primo gradino verticale. L’imbocco è un buco alla base di una paretina, largo 1 m ed alto 50 cm, che immette in un cunicolo in ripida discesa (30°), lungo 8 m; superato un passaggio più basso si entra in una sala (punto 2) allungata perpendicolarmente al cunicolo di accesso. La sala è impostata su una frattura principale diretta N30°W con forte immersione verso NE, e su un sistema di fratture subverticali orientate N70°E. Tutta la grotta è scavata nelle brecce della Renga, costituite da elementi e cemento calcarei. Dalla sala partono due prosecuzioni. La prima si apre sul pavimento con una strettoia, è impostato sulla stessa frattura della sala e porta ad un cunicolo ampliato dalle mine degli operai negli anni ‘30, durante i lavori di ricerca delle acque del Liri. Dopo circa 5 m (larghezza 1 m, altezza 1,5 m) la galleria inverte la direzione e continua a scendere fino a che la fessura diviene impraticabile (punto 4, posto 5 m sotto l’accesso del ramo). Entrando nella galleria, in lontananza si sente (in alcuni periodi dell’anno) un rumore che via via cresce con l’avanzare fino ad esplodere in un forte rombo, unito ad una decisa corrente d’aria, che fuoriescono da una fenditura verticale (punto 4), larga 10-20 cm. La fessura è stata sondata per una profondità di 45 m. Il rumore dovrebbe essere prodotto dal corso sotterraneo del fiume Liri o da un suo affluente. Dalla sala iniziale parte anche una galleria più evidente, impostata nell’interstrato, immergente 30° verso SW, che scende ripidamente col fondo detritico per una decina di metri fino ad un passaggio stretto, che immette in un altro ambiente più grande che si allarga notevolmente verso il basso (punto 6). In questo ramo, largo mediamente 2-3 m e alto 2 m, sono ancora evidenti le opere di contenimento del detrito instabile in legno e reti, realizzate nel corso dei lavori effettuati negli anni ‘30. Nel periodo invernale o primaverile non è possibile andare oltre a causa dell’acqua che allaga completamente questo ambiente, creando un sifone. In estate avanzata, invece, è possibile superare questo primo sifone fangoso, che si presenta come un passaggio basso, e risalire in verticale una grande lama rocciosa (punto 10); si scende per circa 3 m dall’altro lato della lama fino ad imboccare il secondo sifone fangoso, che, superato, porta in un ambiente di notevoli dimensioni (punto 11) il cui pavimento è completamente coperto di fango. A sinistra si risale per una ventina di metri fino ad un caos di blocchi di roccia e fango che chiude la galleria (punto 12), mentre di fronte, un pozzetto in risalita porta in un ambiente caotico e fangoso (punto 13) che risulta essere il fondo di un pozzo che è stato

risalito per oltre 20 m. A destra del primo sifone fangoso (punto 6) inizia un angusto passaggio impostato sulla faglia principale che porta dopo alcune strettoie in una sala (punti 7-9) lunga una ventina di metri in ripida salita, interamente cosparsa di un finissimo fango di colore grigio. Poco prima del primo sifone (punto 6) a sinistra parte un ramo che scende 5-6 m sotto il livello del sifone (fondo della grotta, -30). Dal punto di vista idrologico la grotta ha un comportamento interessante: infatti, ipotizzando che il rumore dell’acqua che si sente all’interno sia attribuibile al corso sotterraneo del Liri (che emerge un centinaio di metri più in basso ad una distanza planimetrica di circa 150 m), nel corso delle piene più imponenti (forse una volta l’anno in media) l’acqua risale il notevole dislivello emergendo dalla grotta e da altre emergenze, come la Grotta della Dama, posta nelle vicinanze poco più in basso.

Stato dell’ambiente La grotta è nota da lungo tempo così come le sue relazioni con la sottostante sorgente del Liri. Infatti, nel fallito tentativo di raggiungere le acque sotterranee, negli anni ‘30 fu impiantato un cantiere all’interno della grotta le cui tracce, consistenti in muretti di tavole per il contenimento delle frane ed opere di risalita dei pozzi oltre i sifoni, sono ancora evidenti. Nell’ultimo ventennio gli speleologi hanno ripreso la ricerca del fiume sotterraneo con limitati interventi di disostruzione, che non hanno però ancora avuto esiti positivi.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni L’esplorazione completa della cavità fu realizzata negli anni ’30, nel corso dei lavori eseguiti da una Società per la ricerca delle acque sotterranee del Liri; gli operai che vi lavoravano ampliarono alcuni passaggi mediante l’uso di esplosivi, e percorsero tutta la grotta sondando anche una fenditura verticale profonda 45 m. L’ASR ha rivisitato la grotta nel 1970, trovando chiuso il primo sifone. Nel 1990-’91 il GSA ha ripreso le esplorazioni (B. Chiarelli, M. Panzanaro, S. Gilioli, D. Bandini, P. Muti, G. Tresca, V. Pulsoni), riaprendo il cunicolo che porta alla fessura sopra il fiume sotterraneo (nel frattempo franato) e iniziandone la disostruzione.

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1971B; NIZI, 1979.

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Grotta a Damiano: la galleria asciutta (foto M.G. Lobba)

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Monti Simbruini Nord-orientali: Fosso Fioio (foto G. Mecchia)


Grotta a Damiano Dati catastali non catastata - comune: Cappadocia - località: Campolungo - quota: 1305 m carta IGM 1:25000: 145 III SE Pereto - coordinate: 0°44’48” (13°11’56”4) - 42°00’54” carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 150 Monte Dogana - coordinate: 2.370.850 - 4.653.090 dislivello: -30 m - sviluppo planimetrico: 500 m

Itinerario Da Pereto si prende la strada che sale verso il Castello, indicata da un segnale turistico. Dopo 1,6 km si svolta a destra verso la montagna; la strada dopo 600 m diventa sterrata e prosegue a mezza costa sul versante SW del monte per 8,3 km, superando la Fonte Marmorata, con due bottini di raccolta delle acque. Subito dopo la fonte si esce nella piana di Campolungo; percorsi 1,7 km dal bottino, si imbocca sulla sinistra una traccia di sterrata che scende tra i prati verso il fondo della valle. Dopo 500 m ad una biforcazione si svolta a sinistra e si prosegue ancora per meno di 100 m sino a che non si incontra, sempre sulla sinistra, una grande dolina (la maggiore del piano, 30x40 m). L’imbocco della grotta è situato sul lato SW della dolina stessa.

Descrizione (del Gruppo Speleologico Grottaferrata) L’ingresso, impostato su una frattura orientata verso 240°, è un foro largo 40 cm e alto 60 cm, posto alla base di una paretina di 2 m, e 3 m sopra il fondo della dolina. La grotta si apre nelle brecce della Renga, stratificate, con immersione di 25° verso 20°. Il cunicolo iniziale dopo 1 m sfonda in un pozzo profondo 8 m. Dal fondo si prosegue per un altro stretto meandro che dopo 3 m porta alla partenza in strettoia di un P3; da qui, sceso un ulteriore saltino di 2 m, si raggiunge il pavimento detritico di una saletta. Tralasciando la diramazione di destra, si prosegue attraverso una piccola galleria, che in breve assume l’aspetto di un meandrino, con due brusche curve a gomito e con numerose vaschette che ne coprono il pavimento. All’uscita del meandrino si arriva in una saletta concrezionata e, pochi metri dopo, all’ingresso di un condotto stagionalmente sifonante (il “Bucatino”, punto B), caratterizzato da notevoli depositi fangosi e da una serie di strettoie selettive, per una lunghezza di circa 20 m. Superato il sifone si sale fino ad un vasto ambiente (sala “della Stazione”); si riprende a scendere percorrendo una galleria a sezione subcircolare, per raggiungere un altro ambiente (punto C) dove, da sinistra, un grande arrivo meandriforme costituisce un importante affluente della cavità. Per procedere è necessario compiere una risalita di 4 m che immette in una galleria asciutta lunga 70 m (tratto C-D). Al termine della galleria si scende un saltino di 4 m. Da qui in avanti si percorre una serie di condotte stagionalmente sifonanti caratterizzate da spessi depositi fangosi, lunga circa 200 m (tratto D-E) a piccoli sali-scendi che mantengono la quota intorno a –20 (la “Cloaca Maxima”). A metà di questo percorso si supera un lago lungo 6 m con acqua alla vita, un successivo lago di fango (il “Budino”) da superare strisciandovi dentro, e un’ennesima strettoia. Si giunge infine (punto E) sull’orlo di un P3 seguito immediatamente da un salto di 5 m. Dalla base del pozzo (punto G, 30) la grotta prosegue con uno stretto meandro, nel quale sono attualmente ferme le esplorazioni (punto H). Da sopra il P3 (punto E) parte anche un’altra galleria suborizzontale in corso di esplorazione (tratto E-F). Sono state notate correnti d’aria in uscita d’estate e in entrata d’inverno.

Stato dell’ambiente La grotta, il cui ingresso è stato aperto con un lavoro di disostruzione nel 1994, è stata scarsamente frequentata; le difficoltà di percorrenza, infatti, hanno inevitabilmente limitato il numero dei visitatori, probabilmente fino ad oggi non superiore a 200. Lo stato dell’ambiente interno non ha subito modificazioni di rilievo.

Note tecniche P8 d’ingresso (corda 10 m), P3 (corda 6 m), P2 (corda 3 m), condotta stagionalmente sifonante (“il Bucatino”), R4 (corda 5 m), P4 (corda 5 m), serie di condotte stagionalmente sifonanti (nel periodo più asciutto: lago lungo 6 m con acqua alla vita, lago di fango “il Budino”, strettoia), punto E, P3+P5 (corda 15 m), meandro “terminale” (-30). E’ consigliabile l’uso della muta, ma solo per il lago e il “Budino”, dove ci si bagna e infanga completamente. In caso di forti piogge alcuni tratti possono diventare sifonanti anche nella stagione “secca”.

Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente nell’aprile 1994 dal GSG (D. Dalmiglio, P. Dalmiglio e A. Peccerillo). Le successive esplorazioni, di P: Dalmiglio e A. Peccerillo, si sono svolte in tre fasi, il 25 maggio 1994, 5 giugno 1994 e giugno 1995.

Bibliografia DALMIGLIO P., 1998, GRUPPO SPELEOLOGICO GROTTAFERRATA, 1997.

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LE VALLI DELL’ALTO ANIENE E DEL SIMBRIVIO

Grotta Picinara Dati catastali 37 A - comune: Rocca di Botte (AQ) - località: versante sud Cima di Vallevona q. 1560 m carta IGM 1:25000: 145 III SE Pereto - coordinate: 0°43’18”9 (13°10’27”3) - 42°00’17”6 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 150 Monte Dogana – coordinate: 2.368.800 – 4.652.010 dislivello: -64 m - sviluppo planimetrico: 100 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110077 “Serra Secca - Cima Vallevona”

Itinerario Da Cappadocia, subito dopo la piazza si prende a destra la strada per Camporotondo; quindi ad un incrocio con più strade si imbocca una sterrata a destra, che poco dopo giunge sul Piano della Dogana e lo costeggia. A metà del piano, ad un bivio si imbocca la strada a sinistra; poco dopo, ad un nuovo bivio con un grande crocefisso, si imbocca la strada a destra, molto sconnessa, che sale con una serie di tornanti. Dopo 1,8 km, superato un rifugio, si imbocca una stradina a sinistra in discesa; dopo ancora 1 km, ad un bivio si prosegue dritto e dopo 3,5 km si lascia la macchina al termine di una ripida salita. Si attraversa una grande dolina sulla sinistra della strada, spostandosi in diagonale verso destra e raggiungendo la sommità del ripido versante che si affaccia sulla valle del Fosso Fioio. Si scende per pochi metri fino ad intercettare una traccia di sentiero: la si percorre verso destra, scendendo lungo una piccola cresta. Arrivati al bordo delle pareti, si prende un sentiero verso sinistra, continuando a scendere, fino ad arrivare all’imbocco, di difficile reperimento e poco evidente, posto poco più in alto del sentiero, alla base di una paretina di roccia in un ripido versante erboso con radi alberi, a circa 80 m di dislivello dal bordo della dolina (15 minuti di cammino).

Grotta Picinara: il fondo della sala iniziale (foto G. Mecchia)

Descrizione L’imbocco, di forma ovoidale, largo circa 2 m, si apre alla base di una paretina di roccia, e dà accesso direttamente ad un grande ambiente di frana, con il fondo costituito da un ripido scivolo di terriccio e massi di crollo, che scende per circa 20 m di dislivello. La volta è una cupola che raggiunge i 15 m di altezza, ornata da grandi stalattiti. Percorrendo lo scivolo lungo la massima pendenza e piegando verso sinistra si raggiunge il fondo di questo primo grande ambiente (punto 4), un salone di 292 forma all’incirca triangolare, con lati di 30-40 m. In quest’ultimo tratto del salone la volta è costituita da superfici di strato fortemente inclinate, con inclinazione di 30° verso 10°. Poco prima di raggiungere il fondo del salone, procedendo verso destra fra massi di crollo, ci si immette nella prosecuzione della grotta (punto 3). Si scende ora fra grandi massi di crollo, con ripida pendenza, per oltre 20 m di dislivello (tratto 3-5), in un ambiente di interstrato largo fino a 15 m e più basso del salone iniziale (3-4 m al massimo), con zone molto concrezionate da belle colate bianche e stalattiti; al termine, un passaggio basso (1 m) immette (punto 6) in un nuovo salone, nel quale si scende superando un saltino di pochi metri. Il salone, che ha dimensioni di 25x30 m, ha il soffitto che supera i 10 m di altezza, costituito, anche qui, da evidenti banchi calcarei sporgenti. Sul fondo, fra i massi di frana, si aprono due piccole prosecuzioni verticali che chiudono dopo 4-5 m. Quest’ultimo ambiente è riccamente concrezionato, con grande quantità di speleotemi di vario tipo, colate e concrezioni parietali; nel punto più basso (punto 8), caratterizzato da forte stillicidio, si trova un piccolo laghetto.

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 151 Alatri 1 = Pozzo della Morra Rossa 2 = Pozzo Cornetto 3 = Gronda A 4 = Grotta del Pertuso 5 = Grotta di Coceraso

coordinate riquadro: Grotta Picinara: la galleria (foto G. Mecchia)

Stato dell’ambiente La grotta è nota e frequentata da lungo tempo, soprattutto da pastori. Nonostante ciò l’ambiente interno risulta integro, a differenza di quanto normalmente si riscontra in situazioni simili.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1951 dal CSR.

Bibliografia CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954b; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b.

Grotta Picinara: la sala terminale (foto G. Mecchia)

angolo NW = 0°43’ - 41°58’ angolo SE = 0°53’ - 41°51’


Pozzo della Morra Rossa

alcune centinaia di metri, a q. 1165, in prossimità di rocce e su terreno ripido; l’ingresso è di difficile reperimento (1 ora di cammino).

Descrizione Dati catastali altro nome: Pozzo di Valle Muralli 663 La - comune: Vallepietra (RM) - località: versante Est della Morra Rossa - quota: 1165 m carta IGM 1:25000: 151 IV NE Subiaco - coordinate: 0°44’44”7 (13°11’53”1) - 41°56’06”4 carta CTR 1:10000: 376 070 Vallepietra - coordinate: 2.370.610 - 4.644.230 dislivello: -64 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; SIC IT6030040 “Monte Autore e Monti Simbruini Centrali”; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Jenne si prende la strada per Monte Livata. Al segnale del km 10, si prende una strada sterrata in discesa a destra, che percorre un grande campo chiuso. Dopo 1,4 km si arriva ad un passo, si prosegue ancora per 400 m e si lascia la macchina. Si scende lungo la prosecuzione della strada, in pessime condizioni, per 200 m poi, ad un bivio, si prende la traccia di strada a sinistra che taglia il versante nel bosco mantenendosi in quota. Quando la strada termina si prende il sentiero sulla destra, che si mantiene in quota e in breve conduce ad un colle erboso (Piana Tozzi; 1 km dalla macchina). Si scavalca il colle percorrendo circa metà della cresta e poi si piega a sinistra e si scende in un fosso boscoso, all’inizio poco evidente, in direzione N 5°E; scendendo si intercetta un sentiero che segue sulla sinistra il fosso, adesso più ampio. In seguito il sentiero scende a tornanti sul fondo del fosso. A q. 1200 si abbandona il sentiero e ci si dirige in direzione 70° scendendo leggermente nel bosco senza sentiero. La grotta si trova dopo

Si tratta di un pozzo profondo 64 m, composto da due fusi comunicanti, impostati su una frattura orientata N40°W. L’imbocco del pozzo ha un’apertura di 2x1,5 m, poi l’ambiente si allarga progressivamente. A 30 m di profondità si arriva su un accumulo di blocchi, che separa il pozzo in due parti. Si prosegue nel fuso più ampio (SE) in ambienti più stretti, lungo scivoli franosi per una quindicina di metri (tratto 3-6). L’ultima parte del pozzo è di nuovo ampia e verticale. La base del pozzo (punto 7) è ampia 4,5x1,8 m, allungata nella direzione della frattura. All’epoca della prima esplorazione (18/10/64) un lago profondo più di 1 m occupava interamente la base del pozzo. Durante una recente discesa (7/9/97) mancava qualsiasi stillicidio e il fondo risultava completamente asciutto. In estate una corrente d’aria fuoriesce dal piccolo arrivo fangoso situato 1 m sopra il fondo della cavità.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1964, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente è integro.

Note tecniche Pozzo profondo 64 m (corda 90 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata fino a -20 il 5 aprile 1964 dallo SCR (G. Befani, G. Bersani, F. Burragato, Anna Maria Ferro Luzzi, Giovanna Romualdi). Venne discesa completamente il 18 ottobre 1964, sempre dallo SCR (L. Valerio, L. Capuani, L. Marchetti, A. Mariani e M. Rampini)

Bibliografia BEFANI, 1964; CANNATA, 1992; PANSECCHI & TROVATO, 1975; VALERIO, 1964b.

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La valle del Simbrivio vista dalla Grotta di San Matteo (foto G. Mecchia)


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Gronda “A”: il torrente nel tratto E-F (foto A. Bonucci)

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Pozzo Cornetto

Gronda “A”

Dati catastali

Dati catastali:

509 La - comune: Vallepietra (RM) - località: Cornetto - quota: 1225 m carta IGM 1:25000: 151 I NO Vallepietra - coordinate: 0°45’43”8 (13°12’52”2) - 41°56’53”9 carta CTR 1:10000: 376 030 Monte Autore coordinate: 2.371.965 - 4.645.680 dislivello: -55 m - sviluppo planimetrico: 60 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; SIC IT6030040 “Monte Autore e Monti Simbruini Centrali”; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

altri nomi: Grotta di Morecchie Zillano 928 La - comune: Vallepietra (RM) - località: Fonte del Pantano (Morecchie Zillano) - quota: 995 m carta IGM 1:25000: 151 I NO Vallepietra - coordinate: 0°47’14”2 (13°14’22”6) - 41°57’00”2 carta CTR 1:10000: 376 030 Monte Autore - coordinate: 2.374.064 - 4.645.818 dislivello: +80 m – sviluppo planimetrico: 224 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; SIC IT6030040 “Monte Autore e Monti Simbruini Centrali”; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Dalla strada provinciale per Vallepietra, poco prima di arrivare al centro abitato si supera il bivio per il Santuario della Trinità prendendo la strada a sinistra verso il paese; dopo circa 200 m si svolta di nuovo a sinistra per una strada stretta e in forte discesa, che passa presso Fonte della Regina e raggiunge il cimitero. Si prosegue, passando a sinistra di quest’ultimo, sulla strada che poi diventa sterrata; dopo circa 3,8 km si lascia la macchina ad un bivio (q. 825) presso un gruppo di stalle. Si sale per la strada bianca a sinistra, e poco dopo, ad un bivio, si prende la strada a destra, che quasi subito diventa un largo sentiero. Arrivati a quota 915 si incontra un altro bivio con una cappella; si prende il sentiero di sinistra e lo si segue risalendo sempre il corso del fosso, superando le sorgenti Cornetto (q. 940) fino ad arrivare ad una casa diroccata in un ripiano erboso (q. 1090, 40 minuti di cammino). Si continua a salire per tracce di sentieri in direzione W costeggiando sempre un fosso, fino ad arrivare all’ultimo terrazzamento (q. 1200) che si incontra nel fondovalle prima di entrare nel bosco. A questo punto si svolta a sinistra traversando il fosso e si taglia obliquamente il versante procedendo in direzione 200° per circa 100 m. L’imbocco, di non facile reperimento, si trova fra roccette (1 ora e 15 minuti di cammino).

Itinerario Dalla strada provinciale per Vallepietra, poco prima di arrivare al centro abitato si supera il bivio per il Santuario della Trinità prendendo la strada a sinistra verso il paese; dopo circa 200 m si svolta di nuovo a sinistra per una strada stretta e in forte discesa, che passa presso Fonte della Regina e raggiunge il cimitero. Si prosegue, passando a sinistra di quest’ultimo, sulla strada che poi diventa sterrata; dopo circa 2,6 km dal cimitero si arriva al cancello dell’area di captazione delle sorgenti di Pantano, all’interno della quale si apre la grotta. Per l’accesso è necessario chiedere il permesso al Consorzio Acquedotto del Simbrivio; dato che la sorgente è captata per uso potabile, tale permesso viene concesso soltanto per motivi di studio. Oltrepassato il cancello, si prosegue fino al termine della strada (500 m, q. 950), quindi si imbocca un sentiero che in circa 300 m giunge all’ingresso (10 minuti di cammino).

Descrizione (di Andrea Bonucci) La grotta è una risorgenza attiva perenne, con portata di magra di circa 5 l/s. L’accesso è protetto da una porta metallica, che immette in un tunnel artificiale largo 2 m e alto 2 m, lungo circa 10 m. Immediatamente dopo la porta d’ingresso è scavato un bacino di raccolta dell’acqua, che funge da chiusa: aprendolo, l’acqua può defluire all’esterno, altrimenti un canale la convoglia verso l’acquedotto. Dopo questo tunnel inizia una galleria alta fra i 10 e i 20 m e larga complessivamente 8-10 m. La parte inferiore della galleria, percorsa dall’acqua, era in origine sensibilmente più stretta; è stata allargata artificialmente, a costituire un passaggio di circa 1x2 m, lungo una sessantina di metri. In questo passaggio, che si dirige verso 10° salendo una leggera pendenza, l’acqua scorre a livello di calpestio. Sulla sinistra è comunque accessibile a circa 3 m di altezza, immediatamente dopo l’ingresso e più avanti in vari punti, un “ballatoio” che consente di percorrere la parte alta della galleria, fortemente concrezionata. Seguendo il percorso inferiore per circa 70 m, si arriva alla base (punto D) della “1a Cascata”, un salto di 6 m. Qualche metro prima (punto C) è possibile salire in arrampicata sulla sinistra per una decina di metri lungo una colata di concrezioni (è opportuno lasciare una corda per facilitare la discesa). La risalita porta lungo la diaclasi ad un camminamento concrezionato qualche metro sopra il livello di scorrimento dell’acqua, che si mantiene nella parte più stretta, sulla destra. Inizia quindi una galleria diretta verso 345°, sempre inclinata, tra +5° e +10°, riccamente concrezionata, con evidente presenza di massi di crollo, coperti da un velo di concrezione. Dopo meno di 40 m dalla risalita si raggiunge una cascatella (punto E), causata da un saltino di 3 m superabile in arrampicata.

Descrizione Il pozzo d’ingresso, profondo 32 m, inizia con un imbuto che si stringe rapidamente fino a 1,6 m di diametro. Più in basso la sezione orizzontale è di 1,3x2,5 m, e si allarga progressivamente aprendosi infine in un’ampia sala. Il pozzo risulta impostato su una frattura orientata N40°W, immergente 80°SW. Si atterra (punto 3) nei pressi della sommità di un conoide di fango, detrito e massi. La sala ha dimensioni di 12x18 m; grandi crolli hanno lasciato lo spazio per la discesa in tre pozzi paralleli e indipendenti. Sulle pareti si osservano i piani di stratificazione, con giacitura N60°E e immersione 22°NW. Il primo e più evidente pozzo, che inizia sul bordo del conoide, è largo 4-5 m. Si scende per 10 m in un pozzo a scivolo (faglia N50°W, immergente 65°NE), poi si prosegue su un ripido pendio di detrito e fango fino alla fine della breve galleria (punto 17, fondo, -55). Il secondo pozzo, girando in senso antiorario nella sala, è impostato sulla stessa frattura del pozzo d’ingresso, profondo 8 m e largo 1,6 m. Dalla base si scendono pochi metri fino alla fine della galleria (punto 14). Il terzo pozzo, proseguendo nella sala in senso antiorario, è accessibile infilandosi in un buco sotto un grande masso incastrato. Si scende il pozzo di 8 m appoggiandosi ad un grande blocco. Alla base si scendono pochi metri fino ad una strettoia che immette in un piccolo ambiente chiuso (punto 20). L’attività idrica della grotta sembra limitata allo stillicidio; non sono stati osservati ne’ scorrimento d’acqua, ne’ pozze stagnanti. Non sono state avvertite correnti d’aria.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1964, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente appare praticamente integro.

Note tecniche P32 d’ingresso+P10 (corda 60 m), fondo (–55). Con la stessa corda è possibile scendere anche le altre due diramazioni (pozzi profondi 8 m) situate alla base del P32.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1964 dallo SCR nel corso di due punte esplorative, il 1° marzo (Maria Antonietta Sinibaldi, Jolanda Mascia, Olivia Monesi, Anna Carotti) e il 15 marzo (Anna Maria Marcheggiani, Manuela Martinelli, Jolanda Mascia, M. Rampini, L. Valerio).

Bibliografia AGNOLETTI & TROVATO, 1971; CANNATA, 1992; SINIBALDI, 1964; VALERIO, 1964a.

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A questo punto la galleria assume una sezione circolare, con diametro di circa 2 m, e aumenta la pendenza (+20°). Percorsi 20 m (punto F) si nota l’arrivo, sulla sinistra, di un camino. Proseguendo, dopo altri 15 m si sbocca in una sala piĂš vasta, con pianta ampia circa 8x6 m, generata dall’arrivo della “2a Cascataâ€?, che forma un salto di 12 m. In condizioni di magra la cascata può essere risalita in arrampicata (in ogni caso, è necessario attrezzare una corda per la discesa). Dalla sommitĂ (punto G) della cascata (spalle all’ingresso) è possibile arrampicare, in sicura, lungo il bordo sinistro della sala, fino a raggiungere, sulla parete opposta, cioè a sud, un ponte di roccia (punto X) che separa questa risalita dal camino incontrato prima piĂš in basso. Questo è il luogo con le concrezioni piĂš spettacolari della grotta. Proseguendo invece dalla sommitĂ della cascata (punto G) in direzione nord si percorre, lungo il ruscello, un tratto di galleria molto concrezionato, fino a raggiungere in breve una zona dove aumenta sensibilmente l’inclinazione verso l’alto, in una diaclasi scabra, tra massi di frana nudi. A sinistra è nettamente visibile il piano di faglia. Qui si lascia l’acqua, che proviene da sotto la frana. La grotta ha cambiato aspetto: ci si trova in una galleria, come detto, fortemente inclinata (tra +20° e +30°), con massi e pareti piĂš nude, dove la frana, non piĂš concrezionata, ha aspetto apparentemente piĂš recente. Ad una cinquantina di metri dalla “2a Cascataâ€? la galleria termina in un “cul di saccoâ€? chiuso dalla frana (punto H). Una quindicina di metri piĂš in alto è visibile di nuovo la galleria, raggiungibile arrampicando lungo la parete destra (lasciare una corda). Percorso un declivio inclinato +30° su massi di frana, dove la galleria è alta tra 5 e 8 m e larga tra 8 e 10 m, dopo 40 m si raggiunge una saletta di 5x5 m, alta 1,5-2 m, dove la cavitĂ chiude definitivamente in frana (punto L, +80).

Storia delle esplorazioni La cavità è venuta alla luce in seguito all’apertura di una galleria artificiale realizzata dall’Ente Acquedotto del Simbrivio a scopo di captazione, ed è stata esplorata il 16 febbraio 1964 da SCR (G. Pasquini, Maria Antonietta Sinibaldi, Petroncelli e A. Todeschini) e GS CAI Lucca (M. Pesi)..

Bibliografia BONUCCI, 2001; MARIANO S., 2001; PASQUINI, 1964a; RUSCONI, 1990.

Descrizione

Note tecniche Risalita 6 (“1a Cascata�, arrampicabile, corda per la discesa 15 m), Risalita 3 (arrampicabile), Risalita 12 (“2a Cascata�, arrampicabile, corda per la discesa 20 m), Risalita 15 (arrampicabile, corda per la discesa 20 m).

Gronda “A�: la galleria nel punto B (foto A. Bonucci)

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100 La - comune: Filettino (FR) - localitĂ : Pantano - quota: 698 m carta IGM 1:25000: 151 I SO Trevi nel Lazio - coordinate: 0°49’46â€?6 (13°16’55â€?) - 41°52’13â€?8 carta CTR 1:10000: 376 120 Filettino - coordinate: 2.377.420 - 4.636.910 dislivello: +16/-5 m – sviluppo planimetrico: 885 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; SIC IT6050005 “Alta Valle del Fiume Anieneâ€?; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Erniciâ€? Da Trevi nel Lazio si prende la strada per Filettino. Dopo circa 4 km, sulla destra, una strada asfaltata chiusa da una sbarra porta al lago artificiale sull’Aniene, presso il quale si trova la grotta. Per l’accesso all’area e alla grotta è necessario chiedere il permesso all’ENEL, che gestisce l’impianto idroelettrico. Percorsa la strada fino al bordo del lago, lo si costeggia per 150 m verso monte, fino ad un ponticello chiuso da un cancello. Con un sentierino, che supera anche un secondo ponticello e diverse porte, si arriva all’antro d’ingresso.

Il condotto sotterraneo è stato intercettato durante lo scavo della galleria realizzata per la captazione della sorgente. Per accedere alla grotta si percorre, quindi, un condotto artificiale. Nel primo tratto della successiva galleria naturale è stata scavata una trincea per migliorare lo scorrimento dell’acqua ai fini della captazione. L’esplorazione speleologica fu condotta nel 1964; l’utilizzo a fini potabili dell’intero gruppo sorgentizio del Simbrivio, ha comportato un’estrema limitazione del numero di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Di conseguenza, e anche a causa della difficoltĂ di percorrenza della grotta da parte di persone prive di una preparazione speleologica, l’ambiente ipogeo presenta ottime caratteristiche di integritĂ .

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Dati catastali

Itinerario

Stato dell’ambiente

296

Grotta del Pertuso

La grotta è formata da due rami principali quasi ortogonali fra loro: il ramo “Fossileâ€? e il ramo “Attivoâ€?. Il ramo “Fossileâ€?, che si sviluppa in direzione ENE-WSW con andamento circa orizzontale, probabilmente un tempo ospitava un corso d’acqua che confluiva nell’Aniene piĂš a valle, poco oltre la “Frana Terminaleâ€?. Si tratta di un’unica grande galleria in parte occupata da materiali di crollo e riccamente ornata da concrezioni che obliterano in parte la morfologia originaria. Il ramo “Attivoâ€? ha orientamento NNW-SSE e andamento in leggera salita, anche se il percorso da seguire è a sali-scendi, bypassando alcuni tratti sifonanti; anche questo ramo è costituito da una grande galleria con andamento tortuoso e da brevi diramazioni. Dall’ingresso, costituito da un tunnel artificiale ampio 1 m e alto 2 m (chiuso da un cancello in ferro), si accede ad un camminamento che passa lateralmente all’impetuoso corso d’acqua (portata media annua di 1,6 m3/s; Celico, 1983); dopo circa 30 m si raggiunge la biforcazione (punto 4) fra il sentiero che percorre in parte il ramo “Fossileâ€? e quello che giunge al sifone del ramo “Attivoâ€?. Svoltando a sinistra e risalendo una scaletta in cemento si entra nel ramo “Fossileâ€?, che si presenta subito (punto 5) riccamente concrezionato ed occupato da grandi colonne, alcune delle quali spezzate, e da massi di crollo. Si procede seguendo il sentiero per una quarantina di metri, si supera con un’altra scaletta (punto 7) una grande frana trasversale, poi si procede per 150 m, o sul fondo, fra massi di crollo, oppure lateralmente ad una certa altezza negli ambienti secondari creati all’interno della grande galleria dai massi di frana, che con la loro disposizione caotica determinano apparentemente allargamenti dell’ambiente principale (saloni) e restringimenti (cunicoli e strettoie) rendendo molto vario il percorso. Il vero fondo della galleria non è sempre visibile e la sua larghezza media è di circa 10 m. A circa 130 m dalla biforcazione, sul fondo della galleria si trova, nel punto piĂš basso raggiungibile fra i blocchi, un laghetto temporaneo (punto 17) il cui livello risulta variabile in stretta relazione con quello dell’invaso esterno. Verso la fine la galleria cambia direzione, volgendo verso sud (punto 29), e si frammenta in numerosi piccoli ambienti, salette, cunicoli e diaclasi. Termina dopo 50 m immettendosi nel vecchio tunnel artificiale (punto 35), oggi murato, che sbucava presso l’attuale casa del custode. Da notare, come giĂ detto, la straordinaria varietĂ di concrezioni di ogni tipo e dimensione (stalattiti, stalagmiti, colonne, vaschette, colate e crostoni di concrezione) alcune delle quali spezzate e ricoperte da nuova concrezione, e il sottile deposito di fango che si trova praticamente ovunque. Per raggiungere il ramo “Attivoâ€?, si prosegue invece dal bivio iniziale (punto 4) verso destra per 15 m, fino a raggiungere il “1° lago-sifoneâ€?, limpidissimo, dal quale sgorga il torrente che, diviso in due rami, si dirige in parte verso l’ingresso artificiale e in parte verso una seconda bocca sifonante, naturale, situata sotto la parete esterna. In alto, alla sinistra del lago, si notano due fori di 1 m di diametro, attraverso i quali è stato scoperto il by-pass che permette di sorpassare il sifone. I due fori danno accesso ad un cunicolo che continua con una fessura alta e stretta, alla fine della quale (dopo 7 m) si arriva al lago al di lĂ del sifone. Questo lago (sala “degli Abbagliatiâ€?) è superabile a guado nei periodi di secca. In alternativa si risale la fessura, raggiungendo una condotta che esce su una sponda del lago stesso, a 3 m di altezza; con un traverso e una discesa di 3 m si raggiunge una spiaggetta al di lĂ del lago. Il lago e il sifone sono alimentati da acqua che arriva filtrando attraverso una frana, che deve essere superata per accedere alla galleria; oltre la frana si ritrova l’acqua sul fondo. Nella galleria, che ha sezione irregolare larga circa 7 m e altezza massima di 10 m, si può procedere sia in basso che


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Grotta del Pertuso: concrezioni nel ramo fossile (foto G. Mecchia)

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Grotta del Pertuso: concrezioni nel ramo fossile (foto G. Mecchia)


sui livelli superiori formati dall’accumulo di massi di crollo. Il fiume scorre al disotto di essi, mentre la parte alta è fossile e ricca di concrezioni. Arrivati dopo circa 30 m ad un bivio, si nota che l’acqua proviene dal ramo di sinistra, che prosegue con le stesse caratteristiche della galleria già percorsa, fino ad un “2° sifone” (punto 44). Il ramo di destra, invece, è fossile e ornato da splendide concrezioni (punto 40, sala “delle Canne”), e termina dopo 15 m con una parete trasversale, nella quale, però, vari passaggi con andamento labirintico creano una serie di piccoli ambienti (questa zona è denominata “il Giro di Peppe”). Uno di questi passaggi, che sembra sbarrato da una cortina di stalagmiti, prosegue con fessure fino ad uscire (punto 47) a monte dello stesso sifone incontrato al termine del ramo attivo di sinistra. Quindi si incontra di nuovo il corso d’acqua, che si può seguire a valle fino al “2° sifone”, o a monte, dove la galleria di crollo è interrotta da una frana che si supera con passaggi alti in strettoia. Il ramo termina dopo 30 m con un tratto di galleria col fondo allagato, completamente libero da massi di crollo, alla fine del quale un “3° lago-sifone” ha posto termine alle esplorazioni (punto 53, +10).

Stato dell’ambiente La galleria sotterranea è venuta alla luce a causa degli scavi effettuati per la derivazione dell’acqua della sorgente operati dall’ACEA a fini idroelettrici. Nel 1949 gli speleologi esplorarono il “ramo fossile” uscendo da una seconda bocca che venne successivamente murata. L’ingresso è costituito da una galleria artificiale in cui sono presenti le opere di derivazione della sorgente. Il primo tratto della galleria fossile (circa 60 m) è attrezzato con gradini di cemento realizzati negli anni ’40 durante i lavori di sistemazione dell’impianto. Pur trovandosi all’interno della zona di rispetto della sorgente ed essendo efficacemente chiusa da cancelli, la grotta è stata molto frequentata soprattutto da “turisti” occasionali; si ha notizia di notevoli asportazioni di concrezioni nel ramo fossile avvenute soprattutto negli anni ‘70 (BRUNO, 1975). Nel 1992 è stato scoperto un by-pass del sifone che ha permesso l’esplorazione del ramo attivo; la frequentazione di questo ramo, difficile in assenza di preparazione speleologica, è stata fino ad oggi molto limitata; lo stato originario dell’ambiente è preservato pressoché integralmente.

Itinerario Da Altipiani di Arcinazzo si prende la strada per Trevi nel Lazio. Oltrepassato il ponte sull’Aniene, dopo 600 m si svolta a sinistra verso Jenne. Si percorrono 2 km fino a vedere un ponte pedonale sull’Aniene, su cui passa anche l’acquedotto; qui si lascia la macchina. Si attraversa il ponte e si costeggia l’Aniene verso monte per circa 700 m fino all’evidente imbocco della grotta, situato 8 m più in alto del letto fluviale (15 minuti di cammino).

Descrizione La risorgenza si apre 8 m sopra l’alveo dell’Aniene. L’imbocco è un antro alto 6 m e largo 4 m, che tuttavia si attiva probabilmente solo in occasione di piene importanti. Infatti, all’interno l’acqua sparisce fra i massi del fondo poco a monte dell’ingresso, percorrendo un livello sottostante che si intravede attraverso una fessura nel pavimento, e nei periodi piovosi viene a giorno lungo l’alveo dell’Aniene dal conoide detritico che si trova sotto l’antro d’ingresso. La grotta è percorsa da un piccolo corso d’acqua attivo solo nei periodi piovosi. L’erosione del corso d’acqua ha eliminato il primo tratto di cavità, di cui si vede un relitto nell’andamento dell’antro iniziale. La grotta è costituita da un’ampia galleria in salita, che a tratti presenta abbassamenti della volta, impostata su evidenti fratture N-S ed E-W. Dopo un lungo (80 m) tratto di galleria (punti 1-10) piuttosto alta (3-4 m) e larga un paio di metri, con il fondo spesso occupato da grandi massi, un brusco abbassamento (80 cm) introduce in un passaggio che un tempo doveva essere un sifone; al di là si trovano i primi depositi fangosi. La galleria si alza di nuovo, e poco dopo il pavimento è occupato totalmente da un’enorme frana. Si risale

per alcuni metri fino ad un foro tra i massi (punto 13) che ci consente di scendere fino al letto del corso d’acqua. Continuando invece a salire la frana, dopo un paio di metri (punto 14) si può scendere nuovamente verso sinistra fino alla base della galleria, che però è subito chiusa da una parete (punto 20), al di sopra della quale si nota un arrivo d’acqua da un’alta fessura impercorribile. Dal punto 14, continuando a salire la frana, si entra in un grande ambiente (punti 14-19) con una serie di camini sulla volta, il cui pavimento, in forte salita, è costituito da un accumulo di grandi blocchi e detrito ed è talvolta percorso da due rivoli d’acqua.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1968, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Non sono state riscontrate significative alterazioni dell’ambiente.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 14 gennaio 1968 dallo SCR (R. Tatasciore, Letizia Prandi, R. Prandi).

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1973b; FUMANTI et alii, 1983; MECCHIA G. & PIRO, 1989b; RUSCONI, 1990; TATASCIORE, 1968

Note tecniche Per la visita del ramo “Fossile” non sono necessarie attrezzature. La discesa oltre il primo sifone del ramo “Attivo” richiede l’impiego di corda (15 m), ma solo in caso di acqua alta.

Storia delle esplorazioni La cavità venne alla luce in seguito ai lavori dell’ACEA per realizzare una derivazione di acqua sorgiva per impianti idroelettrici. Il 13 novembre 1949 il CSR (C. Franchetti, P. Pietromarchi e C. Ranieri) percorse il ramo fossile della risorgenza uscendo da una galleria artificiale (attualmente chiusa) che sbucava presso la casa del custode. Nel 1966 L. Ferri Ricchi e V. Castellani (URRI) superarono il sifone del ramo attivo senza individuare prosecuzioni. Il 26 gennaio 1992 lo SCR (Dalma Pereszlenyi, G. Mecchia, M. Mecchia, G. Polletti, S. Re, A. Sbardella) con M. Monteleone (CSR) hanno scoperto il by-pass che consente di superare il sifone, esplorando quindi il primo tratto del ramo attivo; il 1° marzo 1992 l’esplorazione è stata completata da SCR (Marina Nuzzi e Anna Pedicone Cioffi) e CSR (M. Monteleone).

Bibliografia BRUNO, 1975; CANNATA, 1992; CAPPA E. ET ALII, 1997a; CAPPA G., 1993; CAPPA G. ET. ALII, 1996; CELICO, 1983; DOLCI, 1966; FERRI RICCHI & CASTELLANI, 1968; MECCHIA M., 2000; MINISTERO AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO, 1891; MONTELEONE, 1995a; PIRO & MECCHIA, 1995; RANIERI, 1950; SEGRE, 1956; TERRAGNI, 1995a.

Grotta di Coceraso Dati catastali altro nome: Grotta Oscura, Risorgenza di Trevi 929 La - comune: Trevi nel Lazio (FR) - località: Coceraso, riva sinistra Fiume Aniene - quota: 585 m carta IGM 1:25000: 151 I SO Trevi nel Lazio - coordinate: 0°45’25”5 (13°12’33”9) - 41°51’20”0 carta CTR 1:10000: 376 110 Jenne - coordinate: 2.371.320 - 4.635.370 dislivello: +34 m - sviluppo planimetrico: 129 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; SIC IT6050005 “Alta Valle del Fiume Aniene”; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

299


I MONTI SIMBRUINI CENTRALI

Inghiottitoio di Camposecco Dati catastali 311 La - comune: Camerata Nuova (RM) - località: Camposecco - quota: 1315 m carta IGM 1:25000: 151 IV NE Subiaco - coordinate: 0°41’30”8 (13°08’39”2) - 41°59’22”5 carta CTR 1:10000: 376 020 Monte Calvo - coordinate: 2.366.270 4.650.370 dislivello: -415 m - sviluppo planimetrico: 590 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Camerata Nuova si prende la strada sterrata che sale a Camerata Vecchia e al piano di Camposecco, seguendo la sinistra orografica del fosso Luisa. Al primo bivio a quota 1300 circa si prende la strada a sinistra, che risale una valletta che immette nel pianoro di Camposecco. Entrati nel pianoro si lascia la macchina, e si raggiunge il volubro (invaso artificiale) che si trova a circa 350 m in direzione Nord. La grotta si trova ad Ovest del volubro, fra i primi evidenti spuntoni calcarei (5 minuti di cammino).

Descrizione DALL’INGRESSO ALLA STRETTOIA ALLARGATA DI -100 L’ingresso è una dolina rocciosa lunga circa 4 m; un ponte di roccia la divide in due parti. Con un salto di 4 m in roccia liscia, si raggiunge la base della dolina, colmata da un accumulo di ossa di animali che testimonia l’abitudine dei pastori di gettare le carcasse nel pozzo. Un breve cunicolo orizzontale porta sull’orlo di un pozzo profondo 6 m. Dalla cameretta alla base si percorrono alcuni metri in ambienti comodi e quindi si scende in arrampicata per una decina di metri fino a raggiungere il fondo del meandro. Si percorre quindi una galleria bassa e larga che scende seguendo l’inclinazione degli strati. Al termine della galleria si prosegue scendendo in arrampicata, in ambienti comodi, alcuni saltini: 4, 2, 4 e 5 m (eventuale corda per l’ultimo salto). Un breve e comodo corridoio porta alla sommità di un ampio pozzo profondo 22 m. Il P22 è un pozzo a fusoide con diametro di 4-5 m alla base e concrezionamento molto attivo. Dalla base (punto 3) si prosegue per una stretta ed alta fessura attraversando due salette simili, con il soffitto a cupola ricoperto in parte da residui fangosi, e divise da un saltino di 2 m. Si percorre poi un basso passaggio seguito da un meandro largo 0,5-1,5 m con vari saltini da 1-2 m e pozze d’acqua. Si arriva così alla partenza del P10, spezzato da una comoda cengia a metà. Subito dopo il P10 c’è un pozzetto da 4 m. Si prosegue ancora nel meandro scendendo vari saltini in arrampicata per una trentina di metri, fino ad arrivare alla strettoia che per molti anni ha segnato il fondo di questa grotta (-100).

300

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 145 Avezzano e F. 151 Alatri 1 = Inghiottitoio di Camposecco 2 = Abisso Nessuno 3 = Grotta Stoccolma 4 = Abisso Peppino Petrini 5 = Fossa 3a di Jenne 6 = Pozzo della Creta Rossa 7 = Grotta dell’Inferniglio

coordinate riquadro: angolo NW = 0°35’ - 42°02’ angolo SE = 0°46’ - 41°50’30”

DALLA STRETTOIA ALLARGATA AL SIFONE TEMPORANEO (-237) La strettoia, ora allargata, è tra due colate di concrezione; dopo averla superata, il fondo del meandro è 2 m più in basso. Percorsi alcuni metri si incontra un secondo passaggio stretto e basso, sopra una pozza d’acqua profonda 50 cm. Si continua sul fondo del meandro per via evidente, scendendo alcuni saltini in arrampicata. Un altro breve restringimento, costituito da una fessura obliqua larga 35-40 cm, poi si scendono 4 m arrampicando e si giunge sull’orlo del P60. L’imbocco del P60 è stretto, la sezione del pozzo non è molto regolare e la pianta si sviluppa nel senso della frattura (circa N-S) larga 2-3 m con restringimenti ed allargamenti. A circa 15 m dal fondo, con un pendolo si raggiunge un terrazzino, da cui parte un traverso che porta alla base di un pozzo risalito per 35 m (non rilevato) fino ad un meandro, che conduce ad un altro pozzo ancora da risalire. Da questo ramo arriva un importante apporto idrico, che si

getta dopo pochi metri nel successivo P48. Dalla base del P60 (punto 6) si può salire in una larga galleria con marmitte che chiude dopo 25 m, oppure scendere il pozzo da 48 m, che si apre immediatamente sotto. Il pozzo è un bellissimo fuso circolare con spessi banchi di calcare immergenti 35°N. La discesa del pozzo può essere resa fastidiosa o impossibile dall’acqua che vi cade. Dalla base (punto 7), interamente battuta da stillicidio, parte una larga galleria impostata sugli strati ed incisa al centro da un solco. Dopo 15 m di galleria ed un pozzo di 5 m, una strettoia a 237 m di profondità, che costituisce un sifone temporaneo, ha sbarrato la strada ai primi esploratori ed è stata successivamente superata in periodo di secca.

DAL SIFONE TEMPORANEO AL “LAGHETTO” (-415) Superato il sifone, che si rivela essere formato da uno sbarramento di concrezione, inizia uno stretto meandro (tratto 8-13) da percorrere cercando i punti più confortevoli. Il meandro, lungo circa 160 m, è interrotto da pozzi larghi e comodi (15, 10, 5, 20, 12, 11 m). Subito prima del P10 è da citare il passaggio “Monica Lewinski”, dove, in corrispondenza di un restringimento alla base del meandro, si è costretti a salire sulla volta e scivolare in una condotta freatica molto stretta. Superata questa prima zona di alternanza tra meandri e pozzi, si arriva ad un tratto di meandro (punti 13-16) lungo 120 m, caratterizzato da una sezione particolarmente regolare, con la volta non molto alta (circa 2 m) e larghezza inferiore ad 1 m. L’acqua ha abbandonato la galleria e scorre in condotti inferiori non transitabili. A metà di questo tratto si scende un salto di 5 m. Si arriva infine ad una sala interamente coperta da colate calcitiche, con un grande arrivo da sinistra dal quale scende un intenso stillicidio. Si traversa la saletta sulla destra fino ad arrivare ad uno sfondamento di 60 cm di diametro che dà accesso ad un pozzo profondo 28 m. Dalla base del P28 (punto 16) il meandro assume nuovamente le morfologie del tratto 8-13. Dopo un percorso di 120 m interrotto solo da due salti (4 e 11 m), si arriva sul bordo del “Laghetto” (punto 19) lungo 15 m, terminante con un sifone (informazioni di Massimiliano e Simone Re). NOTE IDROLOGICHE E CORRENTI D’ARIA In primavera inoltrata (1997) una corrente d’aria non forte attraversava la grotta dall’ingresso verso il fondo. La grotta è percorsa tutto l’anno da un modesto corso d’acqua (portata stimata di 0,3 L/s al sifone temporaneo, primavera 1997). Tuttavia in caso di temporali la discesa nella grotta è sconsigliabile. La violenza delle piene è testimoniata dalla presenza di ossa di animali distribuite in molti punti della grotta, fino al fondo. Il 31 ottobre 1965 è stata misurata una temperatura dell’acqua (pozze) di 8°C e dell’aria di 7,6°C (Sbordoni, 1966).

Stato dell’ambiente La dolina d’ingresso ospita saltuariamente resti di animali, gettati da pastori. Per un certo tempo dopo tali “operazioni” non è consigliabile tentare di superare l’ostacolo per accedere al sistema sotterraneo. Alla base della dolina, quindi, è presente un notevole accumulo di ossa di animali. Durante gli eventi di piena, le acque trascinano e distribuiscono nei meandri i resti animali così come altri rifiuti, parte dei quali si rinviene incastrata a varie altezze nelle fessure. A partire dal 1965, anno della prima esplorazione, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Negli ultimi 15 anni le esplorazioni, consentite prima dalla forzatura della strettoia a –100 e poi dal superamento del sifone a –237, hanno ampliato notevolmente il sistema ipogeo conosciuto; è, ovviamente, cresciuto anche il numero delle visite, frenato, però, dalle difficoltà tecniche della progressione, soprattutto nella zona profonda. Non si riscontrano significative alterazioni morfologiche del tratto profondo.


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Note tecniche DALL’INGRESSO ALLA STRETTOIA DI -100: Si scende in arrampicata fino alla base della dolina d’ingresso. Nella prima parte della grotta, fin sopra il P60, sono presenti molte brevi verticali facilmente arrampicabili. Pozzi da attrezzare con corda: P6, P22, P10, P4; strettoia (-100).

DALLA STRETTOIA DI -100 AL SIFONE TEMPORANEO: P60, P48 (spesso battuto dall’acqua, necessario armo spostato in avanti), P5, strettoia-sifone temporaneo (-237). DAL SIFONE TEMPORANEO AL FONDO: P15, condotta stretta (passaggio “Monica Lewinski�), P10, P5, P20, P12, P11, P5, P28, P4, P11, il “Laghetto� (fondo, -415).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 31 ottobre 1965 dal CSR (A. Becchetti, A. Fiorentini, Maria Guiducci, F. Pedone, V. Sbordoni, G. Trovato) sino alla strettoia a -100 m. Il 20 agosto 1987 il CSR ha allargato la strettoia per permettere il passaggio ad una persona; Anna Pedicone Cioffi (SCR) riusciva a passare, esplorando cosĂŹ il meandro che segue fino ad un salto di 4 m. Il 26 giugno 1988 è stato realizzato un ulteriore allargamento della strettoia, permettendo a M. Monteleone (CSR) e Pedicone Cioffi, di oltrepassarla e di discendere il P60 per 25 m. Il 3 luglio 1988 la strettoia è stata ulteriormente allargata; Pedicone Cioffi, Monteleone, S. Gambari, M. Topani e R. Hallgass (CSR) hanno raggiunto uno stretto sifone a -237. La risalita sul P60 è opera di S. Re (SCR) e Monteleone nel 1990. Nell’agosto 1998 l’ASR’86 ha ripreso le esplorazioni: S. Re e A. Santini hanno superato il sifone di quota -237, fermandosi sopra il P15. Nelle settimane successive, alcune esplorazioni (D. Andrej, S. Feri, S. Re, S. Soro, M. Taverniti, L. Zannotti, M. Re, A. Zambardino) hanno consentito di raggiungere l’attuale fondo.

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Bibliografia CANNATA, 1992; CAPPA E. ET ALII, 1997a; DOLCI, 1967; GAMBARI, 1990; MECCHIA G., 1993b; MONTELEONE, 1995a; SBORDONI, 1966.

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1327 La - comune: Camerata Nuova (RM) - localitĂ : Pozzo della Neve - quota: 1464 m carta IGM 1:25000: 151 IV NE Subiaco - coordinate: 0°42’15â€?3 (13°09’23â€?7) - 41°58’22â€?1 carta CTR 1:10000: 376 020 Monte Calvo - coordinate: 2.367.260 4.648.490 dislivello: -222 m - sviluppo planimetrico: 230 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Erniciâ€?

Itinerario (da PROCACCIANTI & CAPPA E., 1996) Da Subiaco si prende la strada per Monte Livata, da dove si prosegue per Campo dell’Osso. Superato il grande piazzale di Campo dell’Osso, si volta a sinistra per una strada bianca che scende lungo la Valle Maiura; il fondo stradale, buono all’inizio, peggiora man mano che si avanza fino a diventare adatto solo ai fuoristrada; dopo circa 3 km si lascia la macchina e si prosegue a piedi, prima in dolce salita, poi in discesa e infine lungo un tratto quasi in piano. Si va verso Nord per 1250 m, seguendo un sentiero segnato solo in alcuni tratti con vernice gialla, in mezzo ad una successione di doline di tutte le dimensioni, in un alternarsi di boschi e radure; l’imbocco, di difficile reperimento, si apre in un bosco rado di faggi secolari, sul fianco Nord di una grande dolina nella quale è evidente uno sfondamento recente del prato, che può fare da riferimento (20 minuti di cammino).

Il pozzo d’ingresso ha una sezione di 1,5x1 m. Dopo una discesa in verticale di 10 m, si atterra su un conoide di detriti minuti e vegetali, molto scosceso, formatosi a seguito del crollo che ha determinato l’apertura del pozzo; ci troviamo in una sala lunga 10 m e larga non piĂš di 4 m, impostata su una frattura WNW: a sinistra un’apertura sul fianco del conoide permette di raggiungere uno stretto meandrino che chiude (punto 2) dopo una decina di metri. Scendendo invece l’altro piano del conoide, quello piĂš scosceso, incomincia una zona caratterizzata da notevoli fenomeni di crollo, con massi dell’ordine di alcuni metri cubi, che devono essere aggirati per proseguire. Sono possibili due vie: una segue la parete destra della sala, l’altra risale la frana e scende poi per un pozzetto di 5 m, completamente ricoperto da una crosta concrezionale color marrone. Questa seconda via, anche se piĂš comoda, è sconsigliabile a causa dell’instabilitĂ della roccia; quindi seguiamo la prima: superata una strettoia tra i massi e la parete di roccia, sbocchiamo (punto 3) circa a 3/4 di altezza dalla base di un meandro alto almeno 15 m e largo 40-60 cm: si scendono su corda 7 m per raggiungere un livello facilmente percorribile mentre, sotto i piedi, il meandro sprofonda ancora, stretto e intasato di clasti. Dodici metri piĂš avanti si giunge nella zona che è stata denominata “il Bicchiereâ€? e si scendono su corda (punti 4 e 5) altri 8 m, molto stretti. In questo tratto si incontrano i primi caratteristici livelli del meandro, costituiti da un pavimento liscio percorso da una fenditura beante: notiamo che il pavimento è inclinato, in contropendenza rispetto al nostro avanzamento nella grotta e, all’estremitĂ piĂš bassa, termina sempre con una pozza d’acqua. La base del P8 è costituita da uno di questi livelli;

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Dati catastali

Descrizione (da PROCACCIANTI & CAPPA E., 1996) DALL’INGRESSO ALLA BASE DEL P58 (-130)

Inghiottitoio di Camposecco: gli scivoli iniziali (foto C. Germani)

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seguendolo ci infiliamo in un passaggio meandreggiante, largo 30-40 cm, in leggera salita, dove si procede carponi o su un fianco, finchĂŠ la fessura sotto i piedi si allarga (punto 6) e ci permette di scendere su corda una verticale di 28 m, atterrando su un nuovo pavimento, largo 1,5 m e lungo oltre 20 m, anch’esso percorso da una fessura beante che si allarga progressivamente. Questo pavimento può essere raggiunto anche continuando a percorrere il livello di meandro in cima al P28 che, dopo 20 facili metri in leggera salita, in cui si cammina in piedi (la fessura in basso è chiusa da concrezione), termina (punto 7) con uno splendido P34 largo alla partenza 2 m, tutto in libera. Al fondo la grotta prosegue per 15 m, sempre larga, con il soffitto una quarantina di metri sopra la nostra testa e, sotto i piedi, la solita stretta fessura beante nella quale si inabissa l’acqua, che ritroveremo piĂš avanti. Giunti in una zona larga 5 m, dove il pavimento è costituito da massi di crollo, la volta si abbassa bruscamente ed il meandro torna a stringersi; la roccia cambia aspetto: gli strati si fanno molto sottili e fratturati, mentre notiamo i primi consistenti depositi di fango sulle pareti di un altro meandro proveniente da destra, che interseca ad “Yâ€? quello che stiamo percorrendo. In corrispondenza di un secondo arrivo da sinistra, la fessura tra i piedi si allarga consentendo di scendere per 4 m per incontrare ... un altro pavimento con sotto una fessura beante, stretta ed intasata da clasti. Ora, se procediamo verso ovest, dove il pavimento scompare ma rimane la fessura tra i piedi, si raggiunge quasi subito (punto 8) la partenza di un grande pozzo: è il P58, chiamato “LulĂšâ€?; se si segue invece il pavimento discendente si arriva di nuovo ad un bivio ad “Yâ€? che è nient’altro che il precedente, visto però 10 m piĂš in basso. Il meandro ora è largo 2 m e scende con un’inclinazione di 30°. Ovviamente i due rami terminano con una pozza d’acqua ciascuno e l’acqua scende in una fessura beante. A questo punto uno si chiede dove porti mai la spaccatura che continua ad aprirsi tra i piedi. Per rispondere alla domanda occorre molto senso dell’orientamento e scendere i primi 13 m del P58: si incontra infatti un nuovo livello, largo 1,5 m, che pure scende a 30° con una fessura beante tra i piedi per terminare, dopo un bivio ad “Yâ€?, con due pozze d’acqua. In corrispondenza del bivio l’acqua fa un salto di 15 m e si infila in un pozzo profondo circa 40 m, che una sella di roccia separa dal P58 e che si può scendere solo in stagione molto secca ... ma è fatica sprecata perchĂŠ in fondo stringe fino a diventare impraticabile per noi, non per l’acqua. Il P58 è all’incontro di numerose fratture: sembra essersi principalmente sviluppato lungo quella orientata SW da cui giungiamo noi dall’alto. Alla partenza la fessura è larga solo 50 cm ma subito sotto si scende in un ambiente assai vasto e meandriforme, largo 1,5-2 m dalla parte NE e forse piĂš di 5 m verso SW. Dal frazionamento a -10 si può accedere ad un livello inferiore del meandro precedentemente descritto, mentre un altro spit 3 m piĂš in basso permette di iniziare la discesa dei rimanenti 45 m nel vuoto. Si atterra su un pavimento di clasti cementati, sotto i quali il pozzo

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prosegue la sua discesa per altri 6-7 m: siamo cioè su un tappo pensile, prodotto da massi caduti dall’alto e incastrati tra loro. Il fondo del P58 è non solo ampio ma anche alquanto articolato: pianta ad “Yâ€?, lunga 25 m e larga da 3 a 10 m, con un pilastro di roccia viva, quasi al centro, che separa una parte piĂš bassa dall’altra che si innalza per oltre 60 m; il suolo è coperto da un enorme riempimento di detriti, da clasti decimetrici a grandi macigni. Dalla base del pozzo parte una nuova fessura meandriforme orientata a nord, larga 50 cm, che percorriamo a metĂ altezza finchĂŠ non si allarga (punto 9): a tal punto si scende su corda un salto di 15 m. Se invece di scendere ci lanciamo in un aereo traverso, incontriamo un livello superiore dove la fenditura prosegue: è il ramo “dei Pipistrelliâ€? (non rilevato).

LA VIA DEL FONDO (DA -130 A -222) Sceso il P15 atterriamo su un pavimento in forte risalita (pendenza media 30°), con fessura beante. Si supera un breve by-pass e, dopo essere scesi di altri 4 m, poggiamo i piedi su un pavimento con fessura beante che è inclinato come il precedente. Invece di percorrere questo ennesimo livello di meandro, ci si infila subito (punto 10) nella fessura in basso e si scende il successivo P30; dalla sua base parte di nuovo un tipico livello in risalita: unica differenza è che la fessura in mezzo al pavimento è larga 50 cm come minimo. Per la prima volta dall’inizio della grotta è quindi possibile scendere fianco a fianco con l’acqua: percorriamo dunque in sequenza due P5 ed un P22. Dal fondo di quest’ultimo il percorso si fa ampio e pianeggiante, salvo brevi restringimenti: l’aspetto della grotta ci appare ora quello di una forra larga mediamente 5 m ed alta forse piĂš di 60 m. Si risale una frana di 5 m e, mentre gradatamente le pareti si avvicinano, il soffitto si abbassa bruscamente. L’acqua passa tra i macigni e percorre la parte stretta del meandro, sotto i nostri piedi. Il soffitto si abbassa ulteriormente e siamo costretti (punto 14) a scendere un P12, dalla partenza molto angusta; alla sua base è la sala “della Distorsioneâ€?, che prosegue con un meandro largo piĂš di 2 m; poco dopo però, esso si restringe, in un ambiente particolarmente fangoso. Quando questo cessa, incomincia un’impegnativa strettoia: un meandro alto 3-4 m in cui si passa soltanto scegliendo la quota piĂš conveniente per avanzare. Si prosegue con difficoltĂ per una decina di metri; oltre, l’abisso continua, sempre stretto. Le esplorazioni sono ferme su una nuova strettoia da allargare (-222). IL RAMO “DEI PIPISTRELLIâ€? Con un’esposta traversata in cima al P15 (punto 9) si raggiunge il livello di un meandro che sembra non avere a che fare con il resto della grotta. Anch’esso è stretto e scomodo, ma diffusamente ricoperto da concrezioni coralloidi; è altresĂŹ disseminato da guano di pipistrello. Dopo una ventina di metri, molto tortuosi, si scende un saltino di circa 10 m e ci si trova in un salone di crollo. Il meandro prosegue retrovertendo, sempre


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troppo stretto ed ora anche fangoso. Ne percorriamo la cima finchĂŠ un allargamento permette di scendere per altri 10 m; subito sotto c’è un altro pozzo di circa 20 m: una sua parete è interamente percorsa da una colata concrezionale bianchissima. Al fondo la fessura prosegue ancora scendendo. Questo ramo non è rilevato.

NOTE IDROLOGICHE Il primo flusso d’acqua viene incontrato sotto “il Bicchiereâ€? ma, anche dopo piogge intense, la portata resta molto modesta; essa si fa piĂš considerevole dopo l’arrivo di destra, tanto che scendere il pozzo parallelo al P58 è molto fastidioso in periodi secchi ed impossibile in quelli piovosi. Questa acqua, probabilmente, riemerge da una fessura sopra il P30 (portata 2 L/s nel settembre ‘95). Nei periodi piovosi, le parti profonde della grotta sono percorse da una quantitĂ d’acqua notevole.

Grotta Stoccolma Dati catastali 913 La - comune: Cervara di Roma (RM) - localitĂ : Campaegli - quota: 1375 m carta IGM 1:25000: 151 IV NE Subiaco - coordinate: 0°40’16â€?8 (13°07’25â€?2) - 41°57’42â€?7 carta CTR 1:10000: 376 020 Monte Calvo - coordinate: 2.364.500 4.647.335 dislivello: -62 - sviluppo planimetrico: 70 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Erniciâ€?

Itinerario

La grotta, esplorata a partire dal 1994, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Ad eccezione del necessario allargamento di alcune strettoie, la grotta non ha subito modificazioni morfologiche e lo stato ambientale è pressochÊ integro.

Da Arsoli si prende la strada per Cervara di Roma, e subito prima dell’abitato ad un bivio si svolta a destra verso la località di Campaegli. Raggiunto l’insediamento turistico, lo si attraversa, e ad un bivio presso un laghetto (Km 8,7 da Cervara) si prende a destra per una strada sterrata. Dopo 1,2 Km, ad un bivio si svolta a sinistra proseguendo per 200 m, poi si lascia la macchina e si traversa a piedi nel prato verso S (a destra) per 40 m fino alla prima grande dolina, nella quale si apre la grotta.

Note tecniche RAMO PRINCIPALE FINO AL FONDO:

Descrizione

Stato dell’ambiente

P10 d’ingresso, P7, P4+P4, P28 (o P34, poco piĂš avanti nel meandro), P58, P15, P30, P5+P5+P22, P12, strettoia “terminaleâ€? (-222).

RAMO DEI PIPISTRELLI, DA SOPRA IL P15: Traversata 10 m, P10, P20.

Storia delle esplorazioni L’ingresso sembra essersi aperto solo molto recentemente, probabilmente nel 1994, ed è stato rinvenuto dall’escursionista D. Ciucci. 304 I primi metri sono stati discesi il 20 agosto 1994 da D. Romani (SZC). La cavità è stata esplorata fra i mesi di agosto e ottobre 1994, in una serie di spedizioni, con l’allargamento di numerose strettoie, dallo SZC (M. Cignitti, E. Mariano, L. Pomponi, L. Potenza, A. Procaccianti E. Procaccianti, D. Romani) affiancati in alcune occasioni da P. Ricciotti (GSC) e F. Bufalieri, (GSGM). Il 23 settembre ‘95 le esplorazioni sono state riprese dallo SZC (Mariano, F. Proietti) con E. Cappa (SCR) e T. Verdecchia (GSC); scendendo il pozzo parallelo al P58 è stato scoperto ed esplorato il “ramo dei pipistrelliâ€?.

Bibliografia CAPPA E., 1997c; CAPPA E. ET ALII, 1997a; PROCACCIANTI, 1994; PROCACCIANTI & CAPPA E., 1996.

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L’imbocco è una dolina a pozzo. Il pozzo ha sezione irregolare, larghezza di 4-5 m, ed è profondo 12 m; a metĂ altezza un masso incastrato interrompe la discesa. L’intera grotta è impostata su una frattura diretta N70-85°W, immergente 70-80° verso nord. Dalla base del pozzo (punto 3) si scendono pochi metri fra blocchi e si giunge alla sommitĂ di un salto di 8 m, dall’imbocco piccolo. Alla base del salto si apre una sala larga quasi 7 m e alta 3 m. Si prosegue lungo la frattura, in una galleria ampia 1,3-2 m e alta da 4 a 8 m, in ripida discesa, prima arrampicando fra blocchi poi, dopo una ventina di metri, la pendenza aumenta (punto 11) e diviene necessario l’uso della corda per superare un dislivello di 9 m. Alla base di questo salto (punto 13) si apre sulla destra, ortogonalmente alla frattura principale, un pozzo di 16 m, mentre continuando dritto si scavalca una soglia alta 2 m e, attraversata una strettoia, si scende in un pozzo profondo anch’esso 16 m, a gradoni formati da colate a mammelloni. Alla base l’acqua defluisce in uno stretto foro concrezionato (punto 17, -62). Dal punto 13, sulla destra, con una “portaâ€? ampia mezzo metro e alta 2 m si accede all’altro pozzo di 16 m. Scendendo, la sezione si allarga (circa 1,5 m) e un paio di terrazzini spezzano la calata. Nella parte bassa della parete l’erosione ha reinciso depositi piĂš antichi, che si mostrano sezionati in alternanze di livelli fangosi e livelli detritici, con inglobati resti ossei. Sul fondo (punto 15), ampio un paio di metri, un piccolo pertugio

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Dati catastali altro nome: Pozzo di Colle Rotoli 1328 La - comune: Subiaco (RM)- localitĂ : Colle Rotoli - quota: 1350 m carta IGM 1:25000: 151 IV NE Subiaco - coordinate: 0°41’38â€?2 (13°08’46â€?6) - 41°55’41â€?4 carta CTR 1:10000: 376 060 Subiaco - coordinate: 2.366.300 4.643.550 dislivello: -115 m - sviluppo planimetrico: 40 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Erniciâ€?

Stato dell’ambiente Il piano carsico di Campaegli è meta di turisti domenicali che, inevitabilmente attratti dalla curiosa presenza delle doline a pozzo, non si trattengono dal gettarci i consueti rifiuti del picnic. Lungo il percorso sotterraneo se ne osservano i resti trascinati dalle acque che occasionalmente percorrono la grotta. All’interno sono anche stati rinvenuti materiali di dimensioni piĂš grandi, per esempio i rottami di un furgoncino. A partire dal 1980, anno della prima discesa speleologica, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite.

Itinerario

P12 d’ingresso (corda 20 m), P8 (corda 12 m), scivolo su massi (in arrampicata), P9 (corda 15 m), P16 (corda 22 m), fondo (punto 15, -62).

Da Subiaco si prende la strada che porta a Monte Livata; 700 m prima di raggiungere questa località si prende a destra una strada sterrata in salita. Si segue la strada fino al termine, uno slargo posto nei pressi di un ripetitore; qui si lasciano le macchine. Si attraversano i prati verso sinistra costeggiando una staccionata e una recinzione di filo spinato; dopo circa 600 m si arriva all’imbocco, posto sul costone che guarda verso la valle dell’Aniene (10 minuti di cammino).

Storia delle esplorazioni

Descrizione

Esplorata il 4 maggio 1980 dall’ASR (G. Pintus, Margherita Kurschinski, F. Donati, A. Vellei) fino al vecchio fondo a -54; l’11 maggio 1980, notata la finestra che dà adito al P 30, Antonella Sagone ne ha raggiunto il fondo. Nel 1988 l’ASR’86 (L. Zannotti) ha trovato aperto l’imbocco del P 16 finale e lo ha disceso.

L’imbocco è una stretta fessura (40 cm), che immette in un salto di 4 m, che si scende in arrampicata. Segue un breve tratto orizzontale molto stretto e un secondo pozzetto che sbuca alla sommitĂ di un meandro alto circa 10 m, largo 3-4 m nella parte alta e circa 1 m alla base. Le pareti del meandro sono ricoperte da belle concrezioni. Si scende su corda (P9, punti 7-8) fino alla base del meandro percorso da un rivolo d’acqua e, attraverso una stretta fessura, si scende un salto di 3 m. Alla base del salto si attraversa una disagevole strettoia (“passaggio Kâ€?), seguita da un breve tratto orizzontale e da un ulteriore pozzetto (3 m) stretto e fangoso. Poco sotto il “passaggio Kâ€? (aperto con disostruzione), verso la profonditĂ di -50, la cavitĂ prende un andamento decisamente verticale: infatti, dopo il pozzetto di 3 m, prosegue con quattro salti in rapida successione (6, 22, 29 e 13 m). Questo tratto è impostato su una frattura che a -75 è dislocata di qualche metro da una faglia inclinata di 65°. La discesa di questi salti è resa difficoltosa dalla presenza di uno stillicidio molto intenso. La base del P29 termina in fessura impraticabile. Attraverso un foro posto sulla parete, a circa 2 m dal fondo, si possono scendere altri 13 m in un pozzetto stretto, fino ad una nuova fessura impraticabile (punto 26, -115). Al fondo, la frattura lungo la quale si sviluppano i pozzi incontra

Note tecniche

Bibliografia CANNATA, 1992; DONATI, 1988C; NIZI, 1984a; PIRO, 1982.

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intransitabile si apre nel punto piĂš basso (-62). In seguito ad un periodo di forti piogge, nel 1987-88, questo pozzo, che precedentemente era profondo 8 m (come risulta dalle informazioni delle prime esplorazioni), si è approfondito per l’asportazione del tappo detritico che lo ostruiva. Attualmente (2003) una frana ha ostruito l’ambiente alla base del P12 iniziale, impedendo l’accesso al resto della cavitĂ . L’attivitĂ idrica normalmente è limitata allo stillicidio. Tuttavia, in base agli indizi osservati, l’azione dell’acqua può essere significativa.

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Monti Simbruini centrali: doline in località Fondi di Jenne (foto G. Mecchia)

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Fossa 3a di Jenne: il lago di fango (foto C. Germani)

Pozzo della Creta Rossa: il P33 (foto G. Copponi)

Pozzo della Creta Rossa: la base di un pozzo (foto C. Germani)

Fossa 3a di Jenne: la sala Bianca (foto C. Germani)


probabilmente una seconda faglia parallela alla prima. La circolazione d’aria è diretta verso l’interno in inverno; l’imbocco sembra dunque agire come ingresso basso.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1994, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Alcuni passaggi stretti sono stati necessariamente allargati e costituiscono le uniche modificazioni morfologiche.

Note tecniche P4 d’ingresso (in arrampicata), P9, fessura P3, strettoia (passaggio “K”), P6+P22+P29+P13, fessura “terminale” (-115).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel dicembre 1994 dal SZC (M. Cignetti, E. Mariano, L. Pomponi, L. Potenza, A. Procaccianti, M. Procaccianti, E. Cappa, P. Ricciotti e T. Verdecchia) su indicazione di alcuni pastori, che ne avevano ostruito l’ingresso con grosse pietre.

Bibliografia

una pozza d’acqua e poi defluisce in un basso condotto che sbuca in una saletta (punto 10) dopo 5 m; l’acqua imbocca un cunicolo che presto diviene impraticabile. Dalla saletta del punto 10 (ampia 3x6 m) si sale in arrampicata per 3 m, entrando in un’altra saletta che, tramite fessure, riporta sopra il lago “di Fango”. Tornati alla saletta del punto 9, sulla verticale del basso condotto, 7 m più in alto, con facile arrampicata, si entra in un meandro, alto 2 m e largo 0,5 m, talvolta percorso da un rigagnolo, che si sviluppa per 35 m finché il progressivo abbassamento della volta rende il passaggio impraticabile (punto 11). Dal portale (punto 4) si può anche scendere nella depressione a destra (punto 6), con un pendio meno ripido dei precedenti. Due alte fessure sulla parete sono percorribili per alcuni metri. In fondo alla depressione si possono salire 3 m entrando in una piccola sala di frana. La grotta è percorsa da una corrente d’aria la cui direzione non è chiara. La cavità normalmente non presenta scorrimenti d’acqua, ma durante le forti piogge molti condotti si attivano.

Stato dell’ambiente La grotta è nota agli speleologi dal 1977 ed è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Rifiuti di modesta entità si trovano alla base del pozzetto di accesso, mentre la parte restante appare integra.

Note tecniche

CAPPA G., 1997c; MARIANO ET ALII, 2001.

P8 d’ingresso (corda 20 m), poi non occorre attrezzatura.

Storia delle esplorazioni a

Fossa 3 di Jenne

Esplorata il 6 novembre 1977da GS CAI Roma (C. Germani, M. Ricci), e SCR (A. Pica), su indicazione di un pastore. Il 7 settembre 1997, l’ASR’86 (Germani) e lo SCR (G. Mecchia) hanno

Grotta Stoccolma: l’ingresso (foto M. Piro)

Dati catastali 981 La - comune: Jenne (RM) - località: Campitelli - quota: 1413 m carta IGM 1:25000: 151 IV NE Subiaco - coordinate: 0°44’40”9 (13°11’49”3) - 41°55’17”9 carta CTR 1:10000: 376 070 Vallepietra - coordinate: 2.370.490 - 4.642.730 dislivello: -40 m - sviluppo planimetrico: 140 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Jenne si prende la strada per Monte Livata. Al segnale del km 10 si prende una strada sterrata in discesa a destra, che percorre un grande campo chiuso. Dopo 1,4 km si arriva ad un passo, e si lascia la macchina. Si imbocca il comodo sentiero a destra (SE), che segue la cresta. Dopo 600 m in leggera salita si arriva alla cima del Colle della Colubretta. Da qui si scende lungo una cresta in direzione 110°, e dopo circa 800 m si esce dal bosco nella grande radura di Campitelli, a forma di “L”. L’ingresso della cavità si trova nell’angolo della “L” a sinistra; è un buco nel prato, mascherato da rami posti dai pastori (30 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è un buco nel prato, di 2 m di diametro. Il pozzetto, profondo 8 m, dalle pareti franose, termina su un conoide detritico. Appena atterrati si scende il pendio, superando un passaggio basso (1 m) oltre il quale si entra in una galleria perpendicolare. Si continua a scendere per una quindicina di metri (inclinazione 30°) su detrito, fino ad una sala (punto 2) alta 4 m. Da sinistra arriva una galleria, che può essere risalita per una decina di metri e che termina con una frana. Dalla sala si prosegue nella galleria principale per 5 m fino ad un portale (punto 4) che immette nel punto più elevato di una grande sala. Qui il soffitto si alza fino ad una quindicina di metri ed è orizzontale. Dato il modesto spessore di roccia della volta, la grotta è destinata a divenire un grande pozzo a cielo aperto. La sala “Grande” è larga 35x15 m. La parte centrale è occupata da un grande conoide detritico, che forma una cresta: ai lati si scende lungo pendii detritici entrando in ambienti fra loro isolati, con la volta in comune. Dal portale (punto 4) andando a sinistra (est) un versante molto ripido scende fino al lago “di Fango”, 15 m più in basso. Il lago è il punto più profondo della grotta (–40); in realtà si tratta di un deposito di fango con superficie pianeggiante ampia 12x9 m, chiaramente lasciato dal lago che stagionalmente si forma. Una cresta rocciosa lungo il versante detritico separa il lago da una grande marmitta asciutta. A lato del lago si sale con facile arrampicata fino alla sala “Bianca” (punto 8), di 10 m di diametro, con belle stalagmiti. Dal portale (punto 4) seguendo la cresta (tratto 4-5) fino in fondo, si scende in una saletta (punto 9). Da una fessura in alto a destra, nei periodi piovosi, arriva un piccolo affluente che forma

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esplorato il meandrino.

Bibliografia CANNATA, 1992; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1977; PICA, 1977; RUSCONI, 1990.

Pozzo della Creta Rossa Dati catastali 282 La - comune: Jenne (RM)- localitĂ : Cese Colevacca - quota: 1373 m carta IGM 1:25000: 151 IV SE Affile - coordinate: 0°44’20â€?2 (13°11’28â€?6) - 41°54’45â€?6 carta CTR 1:10000: 376 070 Vallepietra - coordinate: 2.369.960 - 4.641.760 dislivello: -117 m - sviluppo planimetrico: 110 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Erniciâ€?

Itinerario Da Jenne si prende la strada per Monte Livata. Al segnale del km 9, si prende una stradina sterrata che scende a sinistra. Dopo 120 m si lascia la macchina davanti alla recinzione entro la quale è racchiuso il pozzo d’ingresso.

Descrizione La grotta inizia con un pozzo profondo 45 m. L’imbocco è un imbuto largo 5x9 m sull’orlo esterno; alcuni grandi alberi si affacciano sul pozzo. Dal bordo a valle si scendono 4 m a scivolo, fino a raggiungere la verticale; qui il pozzo ha sezione circolare con diametro di 1,8 m. Scesi 3 m, nel pozzo si immette un altro fuso, e quindi la sezione si allarga fino a 3 m, per poi ampliarsi ulteriormente verso il basso. Le pareti sono coperte da colate calcitiche e latte di monte. Un leggero stillicidio batte il pozzo nei periodi piovosi. A -30 (punto 3) un terrazzo inclinato interrompe la discesa. A destra si vede una

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Pozzo della Creta Rossa: dalla base del P33 (foto C. Germani)

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Grotta dell’Inferniglio: la galleria dopo il primo lago (foto A. Cerquetti)


grande “finestra” (via alternativa di discesa). Verso il basso il pozzo prosegue per una quindicina di metri. Nella sala alla base, in discesa, attraverso un foro largo mezzo metro si scende ancora per 4 m. Ma la prosecuzione è una “finestra” (punto 21) larga 80 cm e alta 2,5 m, che si raggiunge facilmente salendo un paio di metri. Al di là si apre subito un pozzo profondo 23 m, con in fondo un ulteriore saltino di 5 m. Si evita di scendere il saltino e si avanza nella galleria di frattura, arrivando subito sotto un saltino alto 4 m, arrampicabile. Risalito il salto, si è su una sella (punto 8): verso l’alto sale un’alta spaccatura, è il P33, cioè la via alternativa di discesa. Tuttavia, a causa delle carogne di animali che spesso si rinvengono sul fondo del P45, è in genere consigliabile seguire la via alternativa, che si imbocca dal terrazzo di -30 del pozzo d’ingresso, dal quale si può facilmente entrare in una grande “finestra” (larga 1,8 m, alta 6 m), che immette (punto 5) in un pozzo parallelo, profondo 33 m. Il collegamento è costituito da una breve (5 m) e larga (1,8 m) galleria, ricca di colate calcitiche e latte di monte; sceso un mammellone calcitico, si entra nel P33. Questo ambiente, come tutta la grotta, si è formato lungo una frattura orientata N5-10°E, con immersione media di 85° verso ovest. Gli strati sono orientati N30°E e immergono 7-8° verso NW. All’attacco, la spaccatura del P33 si allunga per una decina di metri sulla frattura, con una larghezza massima di 2,5 m. Scendendo, la sezione diviene più piccola e a forma di “8”, con il restringimento centrale largo 0,5-1 m, e i due allargamenti ampi circa 1,5 m. Si atterra sulla sella (punto 8), larga 1 m, dove si congiungono le due vie di discesa. A sinistra (nord) si trova il saltino di 4 m che riporta sotto il P23 (descritto in precedenza). A destra (sud) si prosegue verso il fondo, scendendo su mammelloni calcitici e infilandosi in un cunicolo verticale con le pareti completamente bianche di latte di monte. Il cunicolo scende 7 m fino ad una saletta larga 1,5 m, con un foro di 60 cm sul pavimento, che immette, con un salto di 4 m, in una seconda saletta (punto 12), dalle caratteristiche simili (saletta “della Bionda”). In fondo a questa saletta si apre una piccola fessura, larga 30 cm, che immette in un pozzo di 27 m. Superato lo scomodo imbocco si entra in un fuso largo 1,5 m, che poi si collega ad un secondo fuso, allargandosi. A 17 m dall’imbocco del pozzo un terrazzino (punto 14) interrompe la discesa, che riprende attraverso un foro del diametro di 1 m, sul pavimento. Dalla base del pozzo, larga 1,5 m, si prosegue la discesa lungo la frattura, entrando in una “porta” (punto 16) alta 1,5 m, per affacciarsi dopo qualche metro su un ultimo salto, profondo 11 m. Il P11, con le pareti fangose di latte di monte, termina direttamente su un laghetto, che costituisce il fondo della grotta (punto 18, -117). L’ambiente è una saletta larga 4 m, con il fondo completamente allagato, tranne un piccolo spazio sul bordo. Caratteristica della grotta è la presenza quasi costante di latte di monte sulle pareti. La grotta è asciutta nei periodi secchi, mentre nei periodi piovosi lo stillicidio è abbondante, in particolare sull’ultimo pozzo. Non sono state avvertite correnti d’aria.

Stato dell’ambiente La dolina a pozzo è nota da sempre ai pastori che la hanno saltuariamente utilizzata come “discarica” di carogne di animali o di altro (in fondo al P45 d’ingresso è stata rinvenuta la scocca di un fuoristrada e una cucina). A partire dal 1958, anno della prima discesa, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite di speleologi. All’interno si trovano le modeste tracce della deprecabile e ormai superata abitudine degli speleologi consistenti nell’abbandonare la polvere di carburo esausto e nelle scritte sulle pareti.

Note tecniche VIA DI DISCESA PASSANDO PER LA “FINESTRA” DI –28: P45 d’ingresso fino alla finestra di –28 (corda 50 m), P33 (con

ancoraggi naturali, corda 45 m), P4 (corda 7 m), saletta “della Bionda”, P27 (con ancoraggi naturali, corda 35 m), P11 (corda 15 m), saletta di fondo (-117).

Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente nel 1958 dal CSR nel corso di due punte esplorative, il 5 gennaio (M. Dolci, F. Pansecchi, C. Premoli) e il 12 gennaio (A. Angelucci, M. Dolci, C. Premoli con S. Iovine e L. Mario alpinisti del CAI). Il fondo è stato raggiunto il 24 aprile 1960 dallo SCR (B. Camponeschi, Manuela Martinelli, M. Monaci, G. Pasquini, A. Russi, F.P. Sarno, G. Stampacchia, R. Trigila).

Bibliografia CAMPONESCHI, 1960; CANNATA, 1992; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958d; DOLCI, 1967; GIUDICI & RUSSO, 1993.

Grotta dell’Inferniglio Dati catastali comune: Jenne (RM)- località: Mola Vecchia carta IGM 1:25000: 151 IV SE Affile carta CTR 1:10000: 376 100 Affile INFERNIGLIO (21 La) - quota: m 510 coordinate IGM: 0°42’13”2 (13°09’21”6) - 41°53’26”1 coordinate CTR: 2.367.010 - 4.639.350 PICCOLO INFERNIGLIO O GROTTA DI SANTA MARIA (59 La) - quota: 525 m coordinate IGM: 0°42’13”5 (13°09’21”9) - 41°53’25”1 coordinate CTR: 2.367.000 - 4.639.310 dislivello: +15/-25 m - sviluppo planimetrico rilevato: 1370 m Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; SIC IT6003050 “Grotta dell’Inferniglio, Alta Valle del Fiume Aniene”; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Subiaco si prende la strada per Arcinazzo e si svolta subito a sinistra al bivio per Jenne. Dopo 400 m, appena superata l’area archeologica della Villa di Nerone, si prende una strada asfaltata a destra (indicazioni per la centrale idroelettrica ENEL). Dopo 2 km la strada prosegue sterrata, e dopo 3,9 km, appena superate le vasche dell’incubatoio ittico provinciale, si lascia la macchina in corrispondenza di un fosso che scende da sinistra. Si risale il fosso per 50 m arrivando all’evidente antro d’ingresso dell’Inferniglio. Per raggiungere il Piccolo Inferniglio, dalla macchina si risale sulla destra del fosso (sinistra orografica) per un centinaio di metri superando un dislivello di 25 m (5 minuti di cammino per entrambi gli ingressi).

Descrizione L’imbocco della grotta dell’Inferniglio è una risorgenza che si attiva solo in occasione di piene, mentre la sorgente perenne delle acque che percorrono la cavità è localizzata presso le vasche dell’allevamento ittico, a quota 493 m. L’ingresso, situato al termine di una breve forra, è un grande antro alla base di una parete alta una ventina di metri. La caverna di ingresso, alta 8 m e larga 10 m, si abbassa immediatamente fino ad 1,5 m. Superato il punto basso si entra in una sala (punto C), alta fino a 5 m, larga 8 m e lunga una dozzina di metri. Sulla destra, sotto una colonna, ad una decina di metri dall’ingresso, un piccolo e ventoso buco in parete, presso il pavimento, è il collegamento con la Grotta del Piccolo Inferniglio. Il pavimento della sala, ingombro di massi di crollo e mammelloni concrezionali, scende rapidamente, la volta si abbassa bruscamente e occorre chinarsi, poi, subito dopo, si rialza e ci si trova in una galleria sulla

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Grotta dell’Inferniglio: la galleria dopo il primo lago (foto A. Cerquetti)

riva di un primo profondo lago. La galleria è larga 4,5 m; il soffitto è una superficie di strato (orientata E-W, con immersione di 20-30° verso sud) ed è alto al massimo 2 m. La percorribilità della grotta, da qui in poi, è determinata dal livello 310 dell’acqua, molto variabile in dipendenza della piovosità.

GROTTA DELL’INFERNIGLIO: LE GALLERIE INIZIALI (di Giulio Cappa) Si può superare il lago tenendosi accostati alla sponda sinistra, con cautela: a seconda del livello dell’acqua il passaggio può essere più o meno facile. Al termine del lago si risale nella parte centrale una grande colata concrezionale. A sinistra, poco sopra il lago, si trova un cunicolo stretto e basso, pianeggiante, che ritorna nella galleria principale poco più avanti (non rilevato). A destra invece parte una galleria orizzontale, semiallagata, che poi sifona; più avanti essa volta a sinistra ad angolo retto per sboccare nuovamente nella galleria principale con un cunicolo stretto, pieno di lame di roccia, in risalita. In cima alla grande colata si prosegue nella galleria principale, raggiungendo un tratto piano con grandi vaschette concrezionali piene d’acqua, con profondità generalmente di 0,5-1,5 m (la più profonda, quasi 2 m, viene superata grazie ad una tavola di legno lasciata sul posto). Si scende quindi leggermente in un ambiente con grandi massi di crollo, ricco di concrezioni varie tra le quali spicca sulla sinistra una splendida colata stalagmitica di colore marrone-arancio intenso. Per proseguire si passa a destra del setto di roccia che divide in due parti la galleria; la parte sinistra è occupata da un laghetto. Più avanti la galleria continua in lieve discesa con varie piccole pozze, splendida stalattite in centro che scende fino a mezzo metro dall’acqua. A destra arriva il cunicolo terminale del by-pass sifonante di destra. Segue poi un’altra colonna stalagmitica quindi una grande stalagmite. Sul pavimento si notano scallops decimetrici. La volta, in parte coperta da piccole concrezioni, è per lo più un letto di strato, inciso da tratti di canali di volta; presenta inoltre qua e là “roof pendants”, forme residuali per allargamento dei canali di volta o dei cunicoletti freatici sovrastanti. Si giunge quindi al secondo lago che va superato sulla destra.

L’acqua è un po’ meno profonda del primo lago ed è possibile passare all’asciutto per buona parte della sua lunghezza. In questo tratto sono presenti depositi di fango sul pavimento. Segue una galleria piana poco più larga che alta. A sinistra parte una diramazione stretta e tortuosa (punto D) che diviene subito parallela alla galleria. Sulla volta si osservano ancora i “roof pendants” e i canali di volta; molte evorsioni interessano le pareti e parte del pavimento roccioso, che presenta anche numerose basse e irregolari vaschette, in buona parte asciutte. La galleria giunge in riva al terzo lago, posto a 170 m dall’ingresso. Subito prima sulla sinistra si nota una splendida stalagmite conica con base larga circa quanto l’altezza, poggiata sopra un crostone sotto al quale è possibile passare strisciando. La presenza di questo crostone ora sospeso conferma la passata esistenza di un periodo di totale (o quasi) assenza di piene fuoriuscenti. Il terzo lago è rettilineo, più lungo, fangoso, con fango anche sulle pareti e sulla volta; lo si passa sul lato destro. Al di là del lago la galleria prosegue ancora ampia e larga, con due laghetti poco profondi; dopo due brusche curve giunge (punto E, a 280 m dall’ingresso) davanti al “2° lago-sifone”, che si presenta sulla destra come un profondissimo e quieto specchio d’acqua trasparente. Sulla sinistra, una piccola galleria allagata, rapidamente sommersa, costituisce il “1° sifone” (perenne) che sottopassa il “2° sifone” e arriva, 148 m dopo, all’inizio del “3° sifone”. Le dimensioni strette e il fango che si solleva al passaggio dei sub sconsigliano di utilizzarlo come via di esplorazione. Questi specchi d’acqua si trovano generalmente alla quota di -14 m rispetto all’ingresso, e rappresentano la superficie della falda acquifera. Il livello dell’acqua nel “2° sifone” in stagione secca si abbassa fino a disattivarlo, e il lago che si forma può essere superato a nuoto. Al di là si percorre un altro tratto di galleria asciutta che conduce all’inizio del “3° sifone”. Un insieme di gallerie superiori si intreccia sopra il “2° sifone”.

I SIFONI DELL’INFERNIGLIO (da LOCATELLI, 1994) Il “3° sifone” inizia con un lago ampio e trasparente. Il condotto sommerso si sviluppa quasi rettilineo e con sezione sempre ampia,

raggiungendo una profondità massima di una decina di metri rispetto alla superficie del lago. Dopo 200 m (punto H) si arriva all’intersezione con una diaclasi lungo la quale la galleria sommersa prosegue, cambiando nettamente direzione. Il sifone termina definitivamente contro una seconda diaclasi dopo 364 m (punto J); l’acqua proviene da condotti impenetrabili. Si sale sulla parte superiore della diaclasi, scalando dei massi. Segue una piccola saletta alla quale si accede in arrampicata. La saletta si può superare sia risalendo la diaclasi che seguendo una piccola galleria inferiore, libera in condizioni di acque basse. La galleria riprende dimensioni notevoli ed in breve porta (punto K) al “4° sifone”, lungo 30 m. Poco prima dell’uscita del sifone, sulla sinistra, parte una galleria sommersa che chiude rapidamente. L’uscita del “4° sifone” è su una piccola cascata; si prosegue in un’alta diaclasi allagata per metà. Dopo 30 m una condotta forzata sale sulla sinistra, e termina su un sifone non superabile. Di fronte la galleria, più ampia, risale rapidamente di qualche metro (da affrontare in arrampicata) e arriva in breve all’attacco del “5° sifone” (punto L), che si raggiunge in discesa con una nuova arrampicata. Il “5° sifone” scende subito a 5 m di profondità, ma risale altrettanto rapidamente 20 m dopo, e sbocca in una bella sala. Una galleria sulla destra è rimasta parzialmente inesplorata (non rilevata). Sulla sinistra si trova la galleria principale, che di tanto in tanto si allaga per la risalita del livello del fiume; l’acqua sparisce in un ramo sulla destra che sifona dopo 40 m (punto M). La galleria arriva infine ad una grande sala (sala “della SDNO”) di 30 m di lunghezza, 20 m di larghezza e 30 m di altezza. L’acqua costeggia il lato destro della sala e scompare nel punto N. Una galleria fossile, difficilmente raggiungibile, occhieggia dal soffitto. Alla fine della sala la diaclasi si restringe su una vasca nella quale precipita una cascata alta 4 m. Al di sopra di questa, un laghetto è la partenza del “6° sifone” (punto O). Dopo il “6° sifone” la grotta prosegue con un’ampia galleria che raggiunge il “7° sifone”. Seguono altri due sifoni intervallati da tratti di galleria parzialmente allagata, fino ad un decimo sifone, per ora inesplorato (tratto non rilevato).

GROTTA DEL PICCOLO INFERNIGLIO Si tratta di un condotto lungo una settantina di metri che si collega con la Grotta dell’Inferniglio nella sala d’ingresso (punto C). L’ingresso della Grotta del Piccolo Inferniglio (punto B) si trova 15 m più in alto della risorgenza, alla base di una paretina, ed è un piccolo antro, largo 2,5 m e alto 1,2 m. Da qui si scende una breve galleria (20 m) in forte pendenza, molto fangosa (o terrosa a seconda della stagione), che termina in un punto stretto. Strisciando si entra in una galleria lunga una ventina di metri, con una grande vasca. Al di là si risalgono 2 m (quindi questo tratto è potenzialmente un sifone), si supera una strettoia e ci si immette in uno scivolo (corda) lungo una dozzina di metri, al cui termine ci si affaccia su un saltino di 3 m. Dalla base si entra in un passaggio basso oltre il quale si scende un passaggio in arrampicata arrivando in una saletta. Da qui una condotta, che progressivamente si abbassa e stringe, porta, dopo una decina di metri, al collegamento con la grotta dell’Inferniglio. Strisciando in fondo alla fessura è possibile vedere i piedi di una persona che eventualmente si trovi nella sala d’ingresso dell’Inferniglio; tuttavia il passaggio non è praticabile. NOTE IDROLOGICHE Secondo le misure di portata effettuate nel 1994 dall’Università di Roma, alla sorgente perenne, la portata media annuale è stata di 495 l/s, nel periodo di magra la portata è scesa fino a circa 150 l/s, mentre il picco stimato di piena (nel mese di maggio) è stato di 14500 l/s. Il livello dell’acqua nei sifoni perenni all’interno della grotta si trova a quote variabili. Durante le esplorazioni effettuate dalle squadre francesi nell’agosto 1991 il “2° sifone” risultava completamente allagato, mentre nell’agosto 1993 il livello risultava più basso di 4 m, e quindi il sifone era disinnescato e costituiva solo una profonda vasca.

Stato dell’ambiente Il breve tratto iniziale che conduce ai condotti perennemente sommersi è stato percorso numerosissime volte a partire dal 1926, anno della scoperta speleologica, da un numero di visitatori stimabile in alcune migliaia. A partire dal 1983 le esplorazioni subacquee hanno notevolmente ampliato le conoscenze del sistema sotterraneo; comunque, l’immersione nei sifoni, richiedendo preparazione e attrezzatura specifica, costituisce un’attività svolta da pochi.

Note tecniche GROTTA DELL’INFERNIGLIO: Per visitare il primo tratto, fino al secondo lago, non occorre attrezzatura. Per raggiungere il 1° sifone, è quasi sempre necessaria la muta o il canotto. Dal lago-sifone in poi la grotta è percorribile solo con tecniche speleosubacquee.

GROTTA DEL PICCOLO INFERNIGLIO: Scivolo d’ingresso (arrampicabile, comoda però una corda di 20 m), Scivolo+P3 (corda 20 m); il collegamento con il salone iniziale della Grotta dell’Inferniglio non è transitabile.

Storia delle esplorazioni La grotta era conosciuta da sempre; viene citata in particolare dal Gori. Fu esplorata fino al primo sifone il 9 aprile 1926 dal CSR (C. Franchetti, G. Dusmet e L. Tosti di Valminuta); di una probabile esplorazione precedente, sempre del CSR, non si hanno notizie certe. L’11 settembre 1948 alcuni giovani di Subiaco, trovando aperto il primo sifone, raggiunsero il secondo sifone con un rudimentale galleggiante formato con pneumatici di automobile, precedendo S. Patrizi e M. Cerruti (CSR) che nella stessa giornata ripeterono il tragitto. Nel ramo fossile, comunque, vennero rinvenute scritte sulle pareti datate 1935. Il 29 giugno 1955 il CSR (Marcello Chimenti, Mario Chimenti, F. Consolini, C. Franchetti e M. Franchetti) esplorò un primo tratto del Piccolo Inferniglio. Alla fine del 1977 il GS CAI Roma (F. Ardito, V. Gambini, M. Ricci) disostruiva una strettoia realizzando un collegamento (non praticabile) fra le due cavità. Dal 1983 al 1987 L. Ciocca e M. Diana hanno realizzato una serie di immersioni nel secondo sifone, percorrendolo per 350 m, senza però riuscire a raggiungerne l’uscita. All’inizio del 1991, J.J. Bolanz e L. Casati, aiutati da numerosi portatori locali, si sono immersi nel secondo sifone con grosse bombole e propulsori riemergendo dopo 370 m, 20 m oltre il punto dove si erano fermati i due subacquei romani. Nell’estate 1991 Bolanz e la Société des Naturalistes d’Oyonnax, Section Speleo (SDNO) hanno organizzato una spedizione, nel corso della quale il subacqueo superava il quarto sifone dopo 20 m di immersione. Nell’estate 1993, durante la spedizione organizzata ancora dalla SDNO e dall’Association Spéléo Saint Claude (ASSC - subacquei: P. Buiré, B. Maurice, M. Beltrami, C. Locatelli, V. Durand) è stato superato il 5° sifone e raggiunto il sesto. Nel 1997, dopo alcuni tentativi infruttuosi, J. Bottazzi ha superato il sesto sifone e raggiunto il settimo. Nell’estate 1998 una nuova spedizione della SDNO e di altri gruppi francesi con l’intervento di alcuni speleosubacquei dell’URRI, ha proseguito le esplorazioni raggiungendo il decimo sifone (M. Bruno e V. Durand), per ora non esplorato.

Bibliografia ABBATE, 1894; AGOSTINI & TERRAGNI, 1984; BOEGAN, 1928; CANNATA, 1992; CAPPA E. ET ALII, 1997a; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1926; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1958a; DE ANGELIS D’OSSAT, 1898; DOLCI, 1965; DOLCI, 1966; FERRI RICCHI & CASTELLANI, 1968; FRANCHETTI, 1926; GAMBARI, 1975; GAMBARI, 1980a; GAMBINI, 1976; GIOVANNOLI, 1950; GORI, 1855; GORI, 1864; GRASSI, 1993; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1977; LOCATELLI, 1994; MALATESTA, 2000; MANCINI, 1997; MECCHIA M., 2000; MINISTERO AGRICOLTURA, INDUSTRIA E COMMERCIO, 1891; PATRIZI, 1950b; PIRO & MECCHIA, 1993; PONZI, 1862; SEGRE, 1945; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c; SEGRE, 1948f; SEGRE, 1951a.


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(legenda a pag. 86)


I Monti Ernici costituiscono una vasta e articolata regione che rappresenta la naturale prosecuzione meridionale dei Monti Simbruini, dai quali sono separati tramite la profonda incisione della valle dell’Aniene. A SW i colli carbonatici s’immergono sotto i terreni fliscioidi della Valle Latina che li separa dai Monti Lepini; nei piccoli rilievi calcarei che spuntano in questa grande valle è conosciuta una sola grotta, mentre nei grandi affioramenti travertinosi, pur se carsificabili, non sono noti fenomeni carsici ipogei. A Sud, attraversata l’incisione del F. Liri e un’area collinare costituita dei depositi di conglomerati della zona di Arpino, la catena prosegue con il Monte Cairo. A NE il massiccio ernico si accavalla tettonicamente sulla Val Roveto, che lo separa dai monti della Marsica. L’estensione areale complessiva dei Monti Ernici è di circa 550 km2 (relativamente ai soli affioramenti carbonatici); le grotte conosciute sono 134. In questa regione si riconoscono due grandi settori morfologici: a NE un’area montuosa di alta quota con versanti acclivi e con diverse cime superiori a 2000 m (M. Viglio, M. del Passeggio, Pizzo Deta), a SW rilievi più modesti e colline che progressivamente si raccordano alla Valle Latina. Lo stacco morfologico è determinato dalla grande faglia Guarcino-Sora che ha ribassato di 1000-2000 m il settore Sud-occidentale. A NW la faglia è ben riconoscibile almeno fino alla sorgente Trovalle, presso Guarcino, e sembra proseguire nei Monti Simbruini dividendoli dalla Valle dell’Aniene. Ai fini della descrizione del carsismo ipogeo, i Monti Ernici sono stati suddivisi in 6 Sotto-Zone: - nel settore geologico Nord-orientale: Monti Ernici settentrionali, Pizzo Deta; - nel settore geologico Sud-occidentale: Montagna di Roiate, Monti Ernici meridionali, conca di Fiuggi, Monte Trave. Nei Monti Ernici Nord-orientali si individuano due spartiacque sotterranei principali che separano tre settori, drenati rispettivamente dall’alto corso del Fiume Aniene a Nord, dai gruppi sorgentizi del bacino del Fiume Cosa a Sud e da sorgenti distribuite lungo il margine della Val Roveto. I M. Ernici Sud-occidentali sono drenati in piccola parte (versante N dei M. Affilani) dal F. Aniene a Nord, verso SE da sorgenti situate fra Ferentino e Anagni, e, soprattutto, verso Sud, dove le acque di infiltrazione confluiscono nella falda basale di Monte Cairo che viene a giorno alle sorgenti del Fiume Gari a Cassino.

I MONTI ERNICI SETTENTRIONALI SETTORE SETTENTRIONALE All’angolo NE del settore settentrionale si trova l’area montuosa dominata dalla cima più alta dei M. Ernici, il Monte Viglio (2156 m), caratterizzata dalla presenza di morfologie glaciali in quota. Le uniche due grotte conosciute si trovano sui versanti settentrionali e sono la Grotta della Neve (-30) e il Pozzo Cervone (-40), quest’ultimo situato in Valle Maiura presso Filettino. In posizione più interna corre una lunga linea di cresta di alta quota che da M. Agnello (1912 m, a NW) giunge a La Monna (1952 m, a SE). In corrispondenza del crinale si rinvengono due campi carsici sommitali (Campo Catino e Campovano), modellati anche dal glacialismo quaternario, con testimonianze di un paleo-carsismo cancellato dai cicli morfologici successivi: piccole cavità relitte molto concrezionate, crostoni calcitici di ambiente ipogeo messi allo scoperto, detrito di falda contenente frammenti di concrezioni. A Nord di M. Agnello si trova la Valle S. Onofrio-Obaco, lungo la quale sono state esplorate una decina di cavità, le più significative delle quali sono la Grotta dei Silenzi (-25), il Pozzo dello Stretto (-41) e, poco più in alto del fondovalle, la Grotta di Giacobbe (sviluppo 67 m). La valle prosegue nel Fosso Campo che raccoglie le acque della sorgente di Capo d’Acqua e della Grotta della Foce (sviluppo 600 m), prima di confluire nell’Aniene. Poco al di sotto della vetta di M. Agnello e appena al di fuori sia della linea di displuvio di Campo Catino, si trovano la Grotta degli Urli (-610, sviluppo 3620 m) e il vicino Pozzo Antipasto (-31). Deflusso sotterraneo Il bacino idrogeologico dell’alto Aniene è limitato a Sud da uno spartiacque sotterraneo che passa presumibilmente per Campo Catino, e che potrebbe essere costituito dalla fascia di intensa deformazione ben visibile al rifugio ENAL e seguibile per alcuni chilometri, all’interno della quale gli strati risultano ripetutamente piegati e fagliati. Le acque sotterranee di questo bacino idrogeologico raggiungono principalmente la sorgente Capo d’Acqua nel Fosso Campo (q. 750 m, portata media 110 L/s) e le sorgenti del Fiume Aniene: Grotta del Pertuso (q. 698 m, portata media 1600 L/s), sorgente Mola (q. 600 m, portata media 430 L/s), sorgente Ceraso (q. 570 m portata media 600 L/s) e altre scaturigini minori (BONI ET ALII, 1988). Nella parte più alta del bacino è compresa la Grotta degli Urli, le cui acque, come ha dimostrato una prova con tracciante, proseguono fino alla Grotta della Foce (q. 650 m) nel Fosso Campo, circa 7 km a Ovest del fondo della grotta e a -1123 dal suo imbocco, e verso la sorgente Ceraso (circa 2 km più lontana). Dal punto di immissione (torrente sotterraneo a -400), la fluoresceina ha impiegato 83 ore per emergere da entrambe le sorgenti (velocità media di 90-120 m/ora). Le sorgenti dell’Aniene a monte di Ponte delle Tartare (Grotta del Pertuso) sono risultate negative, così come la sorgente Capo d’Acqua (Fosso Campo), mentre incerto è il risultato della sorgente la Mola (TERRAGNI, 1995a).

Nel settore settentrionale dei M. Ernici affiorano estesamente i calcari del Cretacico sup. e sembra essere importante il ruolo idrogeologico del livello a Orbitolina (che in questo tratto di catena è costituito da calcari marnosi e marne) e forse anche di altri orizzonti poco permeabili dell’Aptiano. Questi orizzonti dovrebbero costituire superfici di carsificazione preferenziale sufficientemente continue da influenzare il deflusso sotterraneo in aree abbastanza vaste. I condotti della Grotta degli Urli sembrano seguire uno di questi strati; è probabile che oltre il sifone “terminale” il torrente sotterraneo prosegua sul livello fino a intercettare una faglia orientata trasversalmente, attraverso la quale le acque raggiungerebbero le sorgenti. Il brevissimo tempo impiegato sembra indicare un percorso sotterraneo sviluppato interamente nella zona vadosa, senza le diluizioni e i rallentamenti tipici delle acque di falda.

SETTORE MERIDIONALE All’interno dei ripidi impluvi che caratterizzano i versanti a Sud della linea di cresta che da M. Vermicano (1948 m) si spinge fino a La Monna sono conosciute diverse grotte, alcune delle quali di notevole interesse. Nella parte alta del versante si aprono i tre imbocchi del sistema sotterraneo di Monte Vermicano (-439, sviluppo 2600 m); nei pressi è noto anche il Pozzo Ernico (-51). Scesi nel Fosso Vermicano si giunge alle sorgenti del Cosa. Nell’anfiteatro racchiuso tra Campovano e La Monna, sono localizzati il Pozzo di Valle dell’Agnello (-62) e, più in basso, la Grotta Verdecchia (sviluppo 280 m). Proseguendo la discesa e superata la confluenza con Fosso Vermicano, si raggiungono la Grotta del Risorghiotto (sviluppo 190 m) e la Grotta di San Luca (-45, sviluppo 103 m) entrambe poste sulle pareti qualche decina di metri più in alto della ripida incisione torrentizia. Spostandosi nell’area intorno al paese di Guarcino, a Est di Campo Catino e ormai al di la’ della linea tettonica Guarcino-Sora (quindi nel settore geologicamente appartenente ai Monti Ernici Sudoccidentali), si trovano diverse grotte, la più importante delle quali è il Pozzo di Petra (sviluppo 90 m), situato nei pressi della sorgente Trovalle. Deflusso sotterraneo Il settore meridionale di questa Sotto-Zona sembra essere limitato a Nord dallo spartiacque sotterraneo che passa per Campo Catino proseguendo a SE verso il M. del Passeggio. Questo settore è drenato da due gruppi di risorgenze: 1) sorgenti dell’alto Cosa, nell’anfiteatro roccioso di M. Vermicano-La Monna; 2) sorgenti della Valle del Fiume, situate ai piedi del versante meridionale di M. Rotonaria. Nell’area intorno a Campo Catino affiora il livello a Orbitolina, che produce alcune piccole sorgenti di alta quota (sorgente Vermicano, sorgente Ascendella). Più in basso la disposizione a reggipoggio degli strati determina l’affioramento di calcari dolomitici alternati a dolomie del Giurassico. A differenza dei sovrastanti calcari, ben stratificati, le bancate di dolomie sono generalmente massive, la fessurazione non è mai molto marcata e le fratture aperte sono rare, inoltre “la tessitura saccaroide degli strati e banchi dolomitici influenza negativamente lo sviluppo della permeabilità secondaria perché la degradazione di questi materiali produce l’accumulo di una sabbia finissima a solubilità relativamente bassa che va ad ostruire le fessure apertesi durante le fasi tettoniche” (BONI, 1969). Infatti, si riscontra ruscellamento di superficie, anche se modesto, solo dove affiorano i calcari dolomitici, mai nei calcari puri. L’affioramento dei calcari dolomitici sul versante Sud di M. Vermicano determina la fuoriuscita delle acque sotterranee nelle sorgenti di Capo Cosa (q. 1170 m, portata media 50 L/s) e di Caporelle (q. 864 m, portata media 350 L/s, BONI ET ALII, 1988). Un test con fluoresceina è stato effettuato dal CSR il 1 giugno 1991 immettendo il tracciante nel torrente sotterraneo che scorre presso il fondo dell’Abisso Vermicano; sono risultate positive le sorgenti alte del gruppo di Caporelle (quasi 2 km verso SW dal fondo dell’abisso, -745 dall’imbocco Gresele), mentre non risultano collegate al sistema carsico le più vicine sorgenti di Capo Cosa (che sgorgano ad una quota solo una decina di metri più bassa del fondo del Vermicano, a 500 m di distanza verso SW). La velocità media di transito delle acque è di circa 200 m/ora (TERRAGNI, 1995). Per quanto riguarda le acque che si infiltrano nell’area di ingresso del Pozzo di Valle dell’Agnello, è possibile che il deflusso sotterraneo le porti verso le sorgenti di Capo Cosa o, in alternativa, verso quelle localizzate a SSE e SE ai piedi del versante Sud di M. Rotonaria (a quote comprese fra 706 e 850 m, portata media complessiva 470 L/s). sorgente di Capo Fiume Galleria (q. 706 m, portata media 420 L/s), sorgente San Domenico (q. 850 m, portata media 25 L/s), sorgente Capo Rio (q. 804 m, portata media 25 L/s) SETTORE ORIENTALE Questo settore della Sotto-Zona è delimitato a Ovest dalla linea di cresta che collega M. Crepacuore (1997 m), M. Pozzotello (1995 m) e M. Ortara (1913 m), costituendo il confine amministrativo fra Lazio e Abruzzo. In quest’area si conoscono poche cavità ipogee, tutte però di un certo interesse. Nella valle che scende da M. Ortara verso Nord si trova l’Abisso della Liscia (-140). Sul versante che dal M. Crepacuore scende verso Est si aprono la Grotta di Collalto (-72) e la Grotta di Collalto 2 (-50). Tutto il settore compreso nel crinale descritto converge verso l’area di Zompo Lo Schioppo, ricca di sorgenti.

Di grande rilevanza paesaggistica è la cascata formata dalle acque che saltuariamente escono da un condotto carsico tagliato dalla parete verticale: la Grotta di Zompo lo Schioppo.

Deflusso sotterraneo Nell’area a oriente della linea di cresta M. Crepacuore-M. Ortara, l’esteso affioramento di calcari dolomitici e dolomie del Giurassico, a scarsa permeabilità, sembra costituire uno spartiacque sotterraneo. Solo le acque che si infiltrano nei calcari stratificati del Cretacico, che compaiono a Est dell’affioramento di calcari dolomitici, andrebbero ad alimentare il gruppo sorgentizio Pantanecce (q. 780 m, portata media 1600 L/s), situato ai piedi della parete di Zompo lo Schioppo (BONI, 1969). La Grotta di Zompo lo Schioppo (q. 950 m) è una sorgente carsica a regime intermittente che nel periodo piovoso invernale-primaverile può emettere portate anche di alcuni m3/s, mentre in estate è completamente asciutta. E’ presumibile che la risorgenza sia alimentata da una rete di condotti carsici che si sviluppa ben al di sopra della falda basale, localmente rappresentata dalla sorgente Pantanecce (BONI, 1969). Le acque che si infiltrano nei calcari dolomitici giurassici (ad esempio nella Grotta di Collalto) andrebbero, invece, ad alimentare sorgenti più lontane, ma l’effettivo recapito finale è incerto.

IL PIZZO DETA A SE della dorsale M. Agnello-La Monna, separato dalla Valle dell’Inferno-Valle del Fiume, si snoda un altro tratto della catena ernica di alta quota, che culmina nel M. del Passeggio (2062 m) e nel Pizzo Deta (2037 m). I versanti orientali scendono ripidi verso la valle del Liri; sul versante occidentale, delimitata da due dorsali trasversali all’asse della catena, si sviluppa la vasta conca carsica del Prato di Campoli. All’estremità Sud-orientale, ai piedi della montagna, è ubicata la cittadina di Sora. In tutta quest’area montuosa sono note solo 9 grotte, la più importante delle quali è l’Abisso di Pizzo Deta (-130), localizzato sul versante orientale del monte omonimo. Deflusso sotterraneo Le acque del versante orientale di Pizzo Deta defluiscono, probabilmente, verso la Val Roveto e in particolare verso le sorgenti di Mainome (q. 882 m) e Pietrestrette (q. 910 m), legate alla frattura del Vallone del Rio, presso Rendinara. Queste sorgenti distano circa 5 km dall’Abisso di Pizzo Deta, in direzione NW; il dislivello fra l’imbocco della grotta e le scaturigini è di circa 570 m. Le portate sorgive sono modeste e il regime irregolare, nettamente influenzato dall’andamento delle precipitazioni (portate medie mensili: Mainome: minima a agosto 3,5 L/s, massima a gennaio 11 L/s; Pietrestrette: minima a settembre 4 L/s, massima a dicembre-febbraio 22 L/s; BONI, 1969). 313 LA MONTAGNA DI ROIATE La Montagna di Roiate, lunga circa 3 km in direzione appenninica e larga fino a 1 km, con quota massima a S. Maria della Serra (829 m), è la propaggine Nord-occidentale della dorsale di M. Scalambra (1419 m). Questo tratto della dorsale è caratterizzato da due grandi grotte: il Pertuso di Roiate (sviluppo 240 m), che attraversa da parte a parte un rilievo, e la famosa Grotta dell’Arco (sviluppo 1216 m). In tutta la parte restante della dorsale di Monte Scalambra, che complessivamente si sviluppa per 10 km fino alla Montagna di S. Michele, sono riportate nel catasto grotte solo 3 piccole cavità e la Grotta la Cava (sviluppo 70 m), situata presso il bordo meridionale della montagna. A NE del Monte Scalambra, separata da una valle che ospita il paese di Affile, si trova la dorsale parallela dei Monti Affilani, con caratteristiche simili alla prima e con massima elevazione nel M. delle Pianezze (1332 m). Situati fra le due dorsali si trovano gli Altopiani di Arcinazzo, depressione strutturale ampiamente modellata dal carsismo. Nei Monti Affilani e negli Altopiani di Arcinazzo si conoscono circa 20 grotte; fra queste meritano di essere ricordate la Buca del Frulicchio (sviluppo circa 100 m), la Grotta di Piava Bella (-35) e il Pozzo di San Già (-36). I MONTI ERNICI MERIDIONALI Con questa denominazione si intende descrivere l’area collinare che dall’estremità meridionale dei Monti Ernici sul Fiume Liri si estende verso NW, costeggiando da Sora a Guarcino la linea tettonica che innalza i Monti Ernici Nord-orientali. Nell’area centrale di questa Sotto-Zona si elevano il M. Tre Confini (1117 m) e il M. Tesoro (1135 m), separati da una valle; il territorio circostante è caratterizzato da morfologie complessivamente dolci, con ampie valli coperte da depositi limosi e sabbiosi dai quali spuntano colli calcarei. Nella Sotto-Zona sono compresi centri abitati quali Veroli, Collepardo e Vico nel Lazio; le grotte riportate nel catasto sono una decina. Nei pressi di Collepardo si aprono la grande voragine del Pozzo Santullo (-43, asse maggiore 140 m) e, nella gola del Torrente Fiume, la Grotta di Collepardo (sviluppo 130 m). Sui rilievi a Sud della gola si trovano le grandi doline imbutiformi della Fossa della Volpe (asse maggiore 250 m) e di Cappezzoi (asse maggiore 120 m). Sul Monte Tesoro è localizzato il pozzo omonimo (-45); spostandosi più a Sud nello stesso gruppo montuoso, si rinviene la Grotta Imbroglita (sviluppo 97 m). Deflusso sotterraneo Il deflusso principale della falda basale contenuta nei calcari dei M. Ernici meridionali è diretto


a SE verso le lontane sorgenti del Gari, a Cassino, e altre sorgenti minori (Bucone, Capo d’Acqua d’Aquino), tutte situate nella struttura di M. Cairo. Per quanto riguarda l’area di Collepardo, poichÊ non sembra che il Torrente Cosa abbia un ruolo drenante, le acque di infiltrazione dovrebbero rapidamente raggiungere la falda basale e poi defluire lentamente, forse verso la lontana sorgente Bucone (q. 141 m, portata media 2000 L/s), distante dal Pozzo Santullo 23 km verso SE e circa 480 m piÚ in basso. Le acque della Grotta Imbroglita sembrano, invece, avere un percorso sotterraneo molto localizzato, dirigendosi probabilmente a Est verso la vicina sorgente Capodacqua (q. 652 m, portata media 80 L/s); in base al rilievo della grotta, la sorgente risulta situata solo 3 m piÚ in basso e a circa 500 m di distanza dal fondo della grotta.

LA CONCA DI FIUGGI Il bordo SW dei Monti Ernici è costituito da una fascia di bacini chiusi, il cui drenaggio è assicurato soltanto da inghiottitoi carsici. Il bacino idrografico piĂš grande è quello di Canterno, che si estende su un’area di circa 70 km2; nel punto di quota piĂš bassa si trova il Lago di Canterno, il cui livello è controllato artificialmente. Sul fondo del Lago si sviluppa l’Inghiottitoio del Pertuso di Canterno, attualmente inaccessibile. Altri quattro bacini, separati da lievi ondulazioni della superficie topografica, sono situati a oriente della conca di Canterno, nell’area di Trivigliano, tutti drenati da inghiottitoi impercorribili dopo pochi metri (Bocca dei Petuni, Bocca del Puzziglio, Inghiottitoio Bocca della Parata) o occupati da pantani (Laghi Lattanzi). Deflusso sotterraneo Nel settore dei M. Ernici Sud-occidentali costituito dalla conca di Fiuggi le acque sotterranee sfuggono al percorso profondo verso la sorgente del Gari, alimentando invece la sorgente Tufano (q. 284 m, portata media di 0,7 m3/s), posta al contatto fra i calcari e la grande placca travertinosa situata fra Anagni e Ferentino (CELICO, 1983). Verso questa scaturigine si dirigono le acque del Pertuso di 314 Canterno, localizzato 4 km verso ENE lungo la faglia posta a Sud del bacino lacustre; la sorgente è situata 230 m piĂš in basso dell’imbocco subacqueo della grotta. SEGRE (1948a) riferisce che nel settembre 1925 si ebbe l’eccezionale prosciugamento del Lago di Canterno; l’erogazione della sorgente terminò nell’ottobre seguente e riprese in dicembre, essendosi riempito il lago nel mese precedente. Occorse, quindi, un mese per mettere in carico la rete dei canali sotterranei e altrettanto per il loro drenaggio. Da diversi decenni, comunque, le acque del lago sono derivate in una galleria artificiale che passa sotto Monte Maino e sbuca al di lĂ del massiccio calcareo, a SSW dell’inghiottitoio, raggiungendo una centrale idroelettrica appositamente realizzata. IL MONTE TRAVE In posizione isolata nella Valle Latina si trova il rilievo calcareo di Monte Trave (326 m), costeggiato alla base dal Fiume Sacco; si tratta di una piccola dorsale (circa 5 km2 di affioramenti carbonatici) allungata in direzione appenninica, nella quale si apre una sola cavitĂ , di dimensioni notevoli, la Voragine di Monte Trave (-84). Probabile recapito delle acque della “spinaâ€? carbonatica sono 3 piccole sorgenti localizzate ai bordi dei modesti affioramenti travertinosi all’estremitĂ SE della dorsale, a q. 150-170 m. Le sorgenti distano 1,5-2 km dalla Voragine di Monte Trave, verso SE; il fondo della grotta, a q. 186 m, è quindi prossimo alla superficie piezometrica.

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Grotta dell’Arco Dati catastali

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 151 Alatri 1 = Grotta dell’Arco 2 = Pertuso di Roiate

coordinate riquadro: angolo NW = 0°33’ - 41°55’ angolo SE = 0°40’ - 41°49’â€?

5 La - comune: Bellegra (RM) - localitĂ : versante Nord di Colle della Grotta - quota: 420 carta IGM 1:25000: 151 IV SO Olevano Romano - coordinate: 0°35’45â€?0 (13°12’21â€?6) - 41°53’25â€?5 carta CTR 1:10000: 376 090 Olevano Romano - coordinate: 2.358.065 - 4.639.530 dislivello: +23 m - sviluppo planimetrico: 1216 m Area protetta di riferimento: SIC IT6030036 “Grotta dell’Arco - Bellegraâ€?

Itinerario Da Olevano Romano si prende la strada per Bellegra, e poco prima di raggiungerla si svolta a destra al bivio per Roiate. Percorsi 2,8 km dal bivio si prende una strada a sinistra, segnalata da un cartello turistico, e la si percorre per 650 m fino ad uno slargo, dove un altro cartello turistico indica sulla sinistra il viottolo che scende all’antro d’ingresso, ben visibile dalla strada. La grotta è attrezzata per le visite turistiche, e per l’accesso è necessario chiedere il permesso al Comune di Bellegra.

Descrizione La Grotta dell’Arco è la risorgenza del bacino chiuso “Pantano di Roiateâ€? (esteso circa 4 km2), oggi prosciugato. La grotta è costituita da una grande galleria in leggera discesa, percorsa da un torrente per oltre 1 km, con un dislivello del letto del torrente di +14 m. Nel periodo invernale la portata del ruscello che esce dall’imbocco è in genere di alcuni (3-4) litri al secondo.

LA GALLERIA PRINCIPALE L’ingresso è un bel portale quasi semicircolare largo 8 m e alto 6-7 m; la superficie topografica si trova 5-6 m sopra la volta del portale. Circa 70 m a valle dell’ingresso si trova un arco naturale, da cui la grotta prende il nome, che rappresenta il relitto della prima parte della cavitĂ , la cui volta è crollata. Qui gli strati sono inclinati di 30° verso Ovest. Si entra in una grande galleria dove dopo una trentina di metri, in corrispondenza di un leggero restringimento (largo 4 m e alto 5 m), si trova una cancellata in ferro posta dal comune. Nei primi 200 m la galleria è quasi orizzontale e rettilinea, larga generalmente 5-6 m, alta da 5 a 8 m (con un abbassamento della volta fino a 3,50 m a 90 m dall’ingresso), ed è caratterizzata da un pavimento interamente coperto da uno spessore di fango molle, nel quale si può sprofondare fino al ginocchio, rendendo fastidioso il cammino (in questo tratto alla fine degli anni ’90 è stata realizzata una passerella in cemento che percorre la galleria fangosa fino alla “Forraâ€?). Il banco di fango, con spessore di oltre 2 m, è stato depositato dalle acque per colmata contro

la piccola diga in muratura (alta 3 m) realizzata nel passato all’imbocco della grotta. Lo sbarramento servĂŹ a trattenere una raccolta d’acqua, la cui energia era utilizzata per un mulino. In seguito all’apertura di fori sotto la diga per l’uscita delle acque, si è prodotto un terrazzamento per riescavazione dei fanghi (CSR, 1932). Attualmente non rimangono tracce del muretto. Dopo 200 m la sezione si restringe (punto C) in una forra stretta (70 cm) nella quale il livello dell’acqua si alza fino a poco piĂš di 1 m. Superato il passaggio, lungo un paio di metri, si prosegue per una ventina di metri in ambienti piĂš larghi, per entrare poi in una bella forra che per una ventina di metri è larga 1 m e alta una decina di metri, col pavimento interamente occupato dal torrente, con acqua alta una ventina di centimetri. Gli ambienti poi si allargano e si avanza comodamente in una grande e bella galleria; le anse del torrente sono occupate da grandi accumuli di sabbia e fango, mentre sulla volta e sulle pareti si osservano stalattiti e incrostazioni calcitiche. Intorno alla progressiva 400 m (poco prima del punto E) si passa in un “tunnelâ€? alto 1,50 m, con la volta interamente costituita da arenaria. Qui cominciano ad abbondare i resti degli accumuli di sabbia, in parte trasportata in grotta dall’acqua, che ha lasciato depositi sabbiosi qua e lĂ sulle pareti e ai lati della galleria. Poco piĂš avanti, intorno alla progressiva 500 m, si entra nel “Salone Ciclopicoâ€?, un grande ambiente alto una ventina di metri e largo altrettanto, seguito, dopo una curva, da un secondo grande salone (Salone “Titanicoâ€?), di proporzioni analoghe, con un enorme accumulo di sabbia sulla sinistra e grandi massi crollati dalla volta. L’insieme dei due saloni è lungo circa 130 m, poi, intorno alla progressiva 600 m, le pareti si avvicinano fino a 4 m, per riallargarsi subito dopo in nuovi grandi ambienti (sala “del Duomoâ€?). Intorno alla progressiva 660 m si percorre un tratto con la volta piĂš bassa (2,5 m) e poco dopo si entra in passaggi angusti, larghi 60 cm, che si abbassano anche fino a 1,3 m, nei quali si procede a sali-scendi su roccette; in breve la galleria si riallarga, la volta si alza e si entra in una grande sala (progressiva 800 m). Qui, da sinistra proviene una colata calcitica che conduce al ramo “delle Vaschetteâ€?. Continuando a camminare nella galleria si giunge, poco dopo, ad un restringimento (“la Strettoiaâ€?): si sale in una fessura larga meno di 1 m (punto N) e dopo una decina di metri l’ambiente si allarga, mentre il torrente percorre una via sotterranea sconosciuta. In breve la galleria, larga 4-5 m e alta 7 m, termina in corrispondenza di una bella colata calcitica, con vaschette, che può essere risalita per alcuni metri. Questo punto ha rappresentato fino al 1996 il limite delle esplorazioni (progressiva 950, q. +23).

IL RAMO NUOVO L’allargamento di una fessura presso la parete di sinistra (finestra “Fine del Mondoâ€?), quasi alla sommitĂ della colata, ha permesso l’esplorazione di un ulteriore tratto, lungo 160 m. Si entra nella fessura


315


orizzontale lunga 2 m alta 1 m e larga 40 cm, arrivando sopra un cunicolo quasi verticale in discesa, anch’esso piuttosto stretto (fino a 40 cm), dove è consigliabile l’aiuto di una corda. Si scendono 3 m arrivando in una piccola saletta (larga 2 m e alta 2,3 m), dove si ritrova l’acqua del torrente. Verso valle il torrente può essere seguito per soli 4-5 m, fino ad un sifone. Si va invece verso monte, chinandosi per strisciare in un passaggio alto mezzo metro (“Passaggio Lobbaâ€?) poi, superati alcuni tratti bassi non attivi, la volta si alza e si torna sull’acqua. In questo meandro si cammina sempre comodamente, ma gli ambienti non sono piĂš vasti come quelli della parte “vecchiaâ€?. Si segue l’acqua, che sale senza salti, in leggera salita. Il condotto è generalmente largo 1-2 m, rare volte meno, mentre il soffitto è alto dai 2 ai 4 m, ma in qualche punto si abbassa fino a 80 cm. Frequentemente, in questa galleria ancora integra (a differenza della parte “vecchiaâ€?) si possono osservare belle vermicolazioni di fango (“pelli di leopardoâ€?) sulle pareti e sulle stalattiti. Dopo 150 m dalla strettoia si arriva al sifone terminale, situato 14 m piĂš in alto rispetto all’ingresso della grotta e dopo aver percorso 1100 m. A destra del sifone si può ancora avanzare per qualche metro, superare un passaggio basso nel fango ed entrare in una saletta chiusa, larga 4 m.

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IL RAMO “DELLE VASCHETTEâ€? Dalla sala alla progressiva 800 m, si salgono facilmente le scivolose colate calcitiche sulla sinistra che portano, una decina di metri piĂš in alto, ad una prima grande sala a pianta arrotondata, larga 10 m, alta 7-8 m, con pavimento piatto e fangoso. Superato un passaggio largo 60 cm si entra subito nella seconda sala, un po’ piĂš piccola della prima (larga 6 m) e con le stesse caratteristiche. Alla fine della sala una breve galleria, larga 3 m e alta 6-7 m, è interamente pavimentata da belle vasche calcitiche, purtroppo molto rovinate dal passaggio. Le ultime vasche, comunque, sono ancora ben conservate e precedono un pozzo di una decina di metri, che riporta nella galleria principale.

Pertuso di Roiate Dati catastali 42 La - comune: Affile (RM) - localitĂ : Ponte Pertuso carta IGM 1:25000: 151 IV SO Olevano Romano carta CTR 1:10000: 376 090 Olevano Romano INGHIOTTITOIO - quota: 480 m coordinate IGM: 0°36’20â€?5 (13°13’28â€?9) - 41°53’21â€?0 coordinate CTR: 2.358.920 - 4.639.385 RISORGENZA - quota 465 m coordinate IGM: 0°36’15â€?0 (13°13’23â€?4) - 41°53’18â€?5 coordinate CTR: 2.358.760 - 4.639.320 dislivello: +8/-15 m - sviluppo planimetrico: 240 m

Stato dell’ambiente Si tratta di una delle grotte piĂš frequentate del Lazio, da speleologi, scout, escursionisti, abitanti del luogo .... Si può stimare che nel solo XX secolo le visite alla grotta abbiano abbondantemente superato le 10.000 presenze. Le tracce del passaggio di migliaia di persone sono evidenti, tuttavia non si rinvengono particolari resti di materiali abbandonati; abbondano le scritte sulle pareti e sono state senz’altro asportate moltissime concrezioni. Nonostante ciò, l’abbondanza di fango e la tipologia della grotta minimizzano l’impatto, rendendo la visita sempre molto interessante. Il tratto piĂš interno, 316 forzato nel 1996, è invece ancora praticamente integro. Il pavimento di tutto il primo tratto della grande galleria è invaso da un potente riempimento di fango, che si è prodotto in epoche passate a causa dello sbarramento artificiale realizzato con un muretto presso l’imbocco al fine di convogliare le acque in un mulino; sebbene attualmente non si rinvengano tracce nĂŠ del muretto nĂŠ del mulino, la presenza del deposito di fango costituisce elemento di alterazione della morfologia originaria del sito. Inoltre, il regime idrico della cavità è stato completamente modificato dagli interventi di bonifica eseguiti all’inizio del XX secolo consistenti nella deviazione in una galleria artificiale delle acque che, precedentemente, defluivano dal sovrastante pantano nella Grotta dell’Arco. Nei primi anni ’90, il comune di Bellegra ha collocato un grande cancello 30 m all’interno della galleria al fine di preservare l’ambiente ipogeo senza deturpare il bell’antro d’ingresso. Pochi anni dopo la prima parte della grotta (fino alla “Forraâ€?) è stata attrezzata per le visite turistiche con passerelle in cemento, e illuminazione fino al restringimento che precede il punto N del rilievo (quasi fino al vecchio fondo). La parte nuova, invece, non è stata interessata dai lavori.

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-ARCIANI

Pantano di Roiate, bacino chiuso nel quale un lago prosciugato all’inizio del XX secolo, alimentava la Grotta dell’Arco (foto G. Mecchia)

Note tecniche Non occorrono materiali, se non uno spezzone di corda (5 m) per facilitare la discesa del salto di 3 m all’inizio della parte nuova (non sono necessari gli attrezzi).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 19 giugno 1925 dal CSR (C. Franchetti, L. Tosti di Valminuta, A. Datti, C. Zileri dal Verme). Il 4 aprile 1996 il GSG, dopo un lungo lavoro di disostruzione, ha superato la strettoia finale del CSR arrivando all’attuale fondo.

Bibliografia AGOSTINI, 1989; ARDITO F., 1988; BOEGAN, 1928; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1932; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954a; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954b; DOLCI, 1965; GOBETTI, 1991; LOBBA, 1997b; MANCINI, 1997; NOZZOLI F., 1997; PIETROMARCHI, 1925; SEGRE, 1945; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948d; ZILERI DAL VERME, 1926a.

Grotta dell’Arco: la galleria nel tratto intermedio (foto G. Cappa) Pertuso di Roiate: la forra sotterranea prima dell’ultima curva (foto G. Mecchia)


Itinerario Da Olevano Romano si prende la strada per Bellegra, e poco prima di raggiungerla si svolta a destra al bivio per Roiate. Percorsi dopo 3,2 km, ad un nuovo bivio si prende la strada per Affile e Subiaco. Per raggiungere l’inghiottitoio: dopo 1,1 km dal bivio, appena superato un ponticello, si prende una stradina non asfaltata a sinistra, la si percorre per 300 m, poi si lascia la macchina e si prosegue scendendo nel campo sottostante e costeggiando il torrente che dopo 100 m si getta nell’inghiottitoio. Per raggiungere la risorgenza: dopo 600 m dal bivio si lascia la macchina presso un passo e si scende sulla sinistra seguendo un sentiero appena accennato. Percorsi un centinaio di metri, si discende il ripido versante terroso fino al letto del torrente; poi si risale il torrente, tra grandi massi e vasche d’acqua, fino all’ingresso. Quando la grotta emette acqua può essere difficile risalire le cascatelle nel letto del torrente.

Descrizione E’ un tipico traforo naturale, scavato dalle acque del Fosso Rio che alla sezione di imbocco convoglia le acque di un bacino di circa 50 km2. Nei periodi di secca non c’è scorrimento d’acqua nel fosso e nella grotta, dove rimangono solo alcune pozze, anche profonde. Le piene sono violente, come dimostrano i tronchi e i rifiuti incastrati sulle volte dei condotti. L’antro di ingresso dell’inghiottitoio, situato alla base di pareti alte 20-30 m, è alto 3 m e largo 2 m, impostato su una frattura verticale orientata E-W; le sue dimensioni originarie sono state notevolmente ridotte dalla costruzione di una diga in cemento. Sulla parete alla sinistra dell’ingresso si trova un tratto di galleria delle stesse dimensioni dell’ingresso, interrata dopo alcuni metri, dalla quale forse anticamente proveniva un affluente sotterraneo. Si scende subito il salto di 2 m creato dalla diga, fino alla base delle murature a secco che costituiscono le rovine di una diga più vecchia, sulle sponde di un profondo laghetto, aggirabile tenendosi sulla destra. Qui si trova una grande nicchia, anch’essa chiusa da muratura a secco; qui gli strati risultano inclinati di 12° verso 300°-310°. Sulla verticale dello specchio d’acqua si nota l’ingresso superiore a pozzo, che si apre a 8 m d’altezza, largo 4x3 m. Proseguendo al di là del lago nella grande galleria iniziale, sulla destra si incontra subito una diramazione con il pavimento terroso, dapprima in forte salita poi pianeggiante, lunga una ventina di metri, larga 4 m e con altezza che diminuisce da 7 m fino a 1 m in fondo (punto 3). La galleria iniziale, con il fondo coperto da massi e ciottoli (ma anche da rifiuti), prosegue rettilinea dall’ingresso per una cinquantina di metri, larga 5 m ed alta 8 m, fino ad un cambio repentino di direzione (SSW, punto 4). Qui la sezione diviene più piccola (larghezza 2,5 m, altezza 4 m), si scende un saltino di 1 m, seguito da una marmitta piena d’acqua facilmente aggirabile in regime di secca (canotto in inverno), e dopo una decina di metri la grotta compie un’ampia curva e (punto 6) torna ad avere le dimensioni iniziali. Si cammina tra grandi sassi levigati dalle acque. Quasi alla fine di questo tratto un salto alto meno di 2 m (punto 11) immette in un’altra marmitta. D’estate, se l’acqua è alta, si può passare in alto sulla sinistra, dove due brevi diramazioni chiudono con sedimenti terrosi, mentre d’inverno per superare il lago che si forma può essere necessario il canotto. Si arriva quindi ad un’ampia curva a destra che forma un ambiente alto una quindicina di metri (Sala “dei Pipistrelli”); un grande pilastro che raggiunge il soffitto è completamente ricoperto da colate inattive. Sulla destra si può risalire una diramazione asciutta dal pavimento terroso, che sale ripidamente per arrivare ad un terrazzo pianeggiante (punto 13) seguito da un paio di salette. Dalla sala “dei Pipistrelli” la galleria segue la frattura diretta verso 310°, la sezione si stringe, il soffitto si mantiene orizzontale (altezza 10-12 m), mentre il pavimento si inforra nella roccia viva e forma un gradino roccioso seguito da un profondo laghetto (d’inverno superabile con il canotto o in traversata su corda). In fondo alla galleria si intravede la luce esterna che penetra dalla risorgenza. Alla fine di questo tratto rettilineo (punto 18) la galleria prosegue più ampia lungo un’altra frattura, quasi perpendicolare (orientata verso 215°), per 30 m fino all’uscita. In questo tratto si succedono brevi salti con alla base piccoli laghi, evitabili sfruttando un piano inclinato (strato inclinato di 40° verso 230°) che scende ripido verso l’uscita formando una nicchia obliqua nella parete. L’imbocco della risorgenza è una bella spaccatura alta una quindicina di metri e larga 2-3 m, situata alla base di una parete. Usciti all’esterno, si superano un toboga e qualche pozza, raggiungendo la sponda sinistra del torrente. Per tornare all’ingresso dell’inghiottitoio, si sale il ripido versante di sinistra fino a raggiungere la strada asfaltata, poche decine di metri più in alto.

Stato dell’ambiente Il traforo naturale è inevitabilmente conosciuto da sempre dalla popolazione locale. La prima

testimonianza scritta del completo attraversamento della cavità risale al 1849. L’arco d’ingresso è stato modificato dall’uomo; sono infatti visibili uno sbarramento in cemento e i resti in rovina di un più antico sbarramento in pietra. Nel primo ambiente della grotta, in una breve diramazione sulla destra, si nota una muratura a secco larga 5 m ed alta altrettanto, forse costruita allo scopo di chiudere un secondo ingresso. Questo serviva probabilmente a diminuire la sezione d’ingresso per aumentare la velocità della corrente, che doveva essere sfruttata da un mulino di cui però non rimangono tracce. La acque del torrente esterno trasportano in grotta una notevole quantità di rifiuti, anche di grandi dimensioni, provenienti da discariche abusive che si trovano nel bacino a monte della cavità.

Note tecniche La percorribilità della grotta varia a seconda della portata del torrente. In assenza di scorrimento d’acqua sono sufficienti 2 corde da 25 m per superare le profonde marmitte allagate del tratto finale (traversata con spit sulla parete di destra). Se, invece, il torrente percorre la grotta in condizioni idriche ordinarie è necessario anche il canotto (sconsigliabile la muta a causa dei rifiuti trasportati delle acque). Ovviamente, in condizioni di piena la visita della grotta non è opportuna.

Storia delle esplorazioni Venne esplorata nel 1849 da F. Gori, ed è citata in varie pubblicazioni del XIX secolo. Il 19 giugno 1925 (nello stesso giorno dell’esplorazione della Grotta dell’Arco) fu ripercorsa dal CSR (C. Franchetti, C. Zileri dal Verme, L. Tosti di Valminuta).

Grotta dell’Arco: l’arco e sullo sfondo l’antro d’ingresso (foto da CSR 1932)

Bibliografia ABBATE, 1894; AGOSTINI, 1989; BOEGAN, 1928; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1932; DE ANGELIS D’OSSAT, 1898; DOLCI, 1965; GOBETTI, 1991; GORI, 1855; GORI, 1864; MANCINI, 1997; PALMIERI, 1863; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1951a; SEGRE, 1956; ZILERI DAL VERME, 1926a

317


I MONTI ERNICI SETTENTRIONALI

Grotta degli Urli Dati catastali 1030 La - comune: Guarcino (FR) - localitĂ : Campocatino, testata del Fosso dell’Obaco - quota: 1773 m carta IGM 1:25000: 151 I SE Civitella Roveto - coordinate: 0°52’49â€?3 (13°19’57â€?7) - 41°50’07â€?9 carta CTR 1:10000: 377 130 Campocatino - coordinate: 2.381.555 4.632.940 dislivello: -610 m - sviluppo planimetrico: 3620 m (3472 rilevati) Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Erniciâ€?

Itinerario Da Guarcino si prende la strada che porta, in 18 km, a Campocatino. Si lascia la macchina nel piazzale antistante la conca, presso gli alberghi, quindi si risale la cresta occidentale che delimita Campocatino fino al primo passo. Da qui si scende a sinistra, seguendo un sentiero che percorre il versante destro del fosso per circa 200 m. Sulla sinistra un sentierino tra i ginepri segnato dal passaggio degli speleologi porta in 20 m all’ingresso (15 minuti di cammino).

Descrizione CUNICOLI INIZIALI E GALLERIA “DEI LEGIONARI�

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 151 Alatri 1 = Grotta degli Urli 2 = Grotta della Foce 3 = Grotta di Collalto 4 = Grotta di Zompo lo Schioppo 5 = Pozzo Ernico 6 = Abisso di Monte Vermicano

7 = Abisso della Liscia 8 = Pozzo di Valle Agnello 9 = Grotta Verdecchia 10 = Grotta del Risorghiotto 11 = Grotta di San Luca

coordinate riquadro: angolo NW = 0°46’ - 41°53’ angolo SE = 0°59’ - 41°46’

.7

VERSANTE 37 DI -ONTE !GNELLO

#AMPO #ATINO

'ROTTA DEGLI 52,) IL 0OZZO

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L’ingresso è un foro di circa 1 m di diametro che si apre sul pendio, mimetizzato fra i ginepri. Nella stagione invernale dal foro fuoriesce una forte corrente d’aria calda, mentre d’estate il flusso si dirige verso l’interno della cavitĂ . Il foro immette in un saltino di 5 m; dalla saletta alla base del salto si scendono un paio di metri e si entra in uno stretto, breve cunicolo che si getta in un pozzo di 7 m. Percorsi ancora una decina di metri di stretti cunicoli si arriva sull’orlo di un ampio pozzo di 23 m (pozzo “del Canaponeâ€?). Invece di scendere il pozzo si può entrare in una sala a destra o, traversando 7-8 m in parete (corda), in una sala a sinistra; proseguendo ancora nella traversata si entra in un ramo discendente che in breve chiude in frana. La direzione generale dei cunicoli è verso NE. Dalla base del P23 si percorre una galleria fossile discendente (galleria “dei Legionariâ€?), ingombra di massi di crollo, larga intorno ai 5 m e molto alta; dopo una quarantina di metri in direzione NE si supera una frana fra i massi, si avanza per altri 15 m fino a una seconda frana oltre la quale si entra in una grande sala. Un passaggio parallelo, dall’imbocco stretto e con un salto di 5 m, passa parallelo all’ultimo tratto della galleria (ramo “del Teschiettoâ€?).

GALLERIA PRINCIPALE, 1° TRONCONE: LA GALLERIA “ANDREA DORIAâ€? Dalla sala iniziale (-69, punto A) parte un’ampia galleria in discesa, generalmente asciutta, diretta verso NW, che costituisce l’elemento morfologico piĂš importante della grotta e che verrĂ descritta suddividendola in tre tronconi: galleria “Andrea Doriaâ€? (fino al salone “del Trentennaleâ€?, 230), galleria “Lontano da Quiâ€? (raccordata alla precedente tramite il “By Passâ€? e chiusa in frana a -490) e il “Terzo Tronconeâ€? (esplorato per altra via e lungo poco piĂš di 100 m, che risale da -513 a -486). Dalla sala iniziale (punto A) parte la galleria “Andrea Doriaâ€?, in discesa, ingombra di detrito e massi di crollo, alta alcuni metri; il soffitto è in genere costituito da superfici di strato e a tratti è attraversato da fratture; un caratteristico livello marnoso di colore grigio-verdastro è tagliato dalle pareti e può essere seguito per un lungo tratto. Nel complesso la galleria scende un dislivello di 160 m su un percorso planimetrico di 530 m. Il tratto iniziale è normalmente asciutto. Dopo circa 90 m una grande galleria affluisce da destra (“l’Affluenteâ€?) apportando un rigagnolo d’acqua non perenne.

Dopo altri 160 m la galleria si stringe in un breve meandrino ventoso, al di lĂ del quale prosegue ancora per circa 200 m, con vari “affluentiâ€? tutti di sinistra (ramo “dell’Acquaâ€?, sala “del Furgoneâ€?), fino ad un grande salone di crollo (salone “del Trentennaleâ€?) lungo 70 m, largo 10-15 m e alto fino a 25 m, con un ripido ghiaione che porta fino al fondo dell’ambiente (-230). L’acqua, che percorre la galleria con portate sempre ridotte e fortemente influenzate dalle condizioni ambientali esterne, si perde in un passaggio basso che precede di poco il salone. Un passaggio aperto nella frana in fondo al salone “del Trentennaleâ€? ha permesso l’esplorazione delle sale sottostanti, del ramo “dei Carbonariâ€? e infine del “By Passâ€?.

“BY PASSâ€? Questo tratto (che bypassa il “ramo dei Carbonariâ€? esplorato precedentemente) raccorda il primo troncone della galleria (“Andrea Doriaâ€?) al secondo (“Lontano da Quiâ€?). Al fondo del salone “del Trentennaleâ€? (-230) una breve disostruzione ha consentito di scendere in ambienti sottostanti, tutti chiusi da frane. L’apertura di un passaggio nella frana ha portato alla scoperta di un’altra saletta (“Santabarbaraâ€?). Da qui parte uno stretto cunicolo che, dopo lungo lavoro di disostruzione, ha permesso l’accesso alla successiva sequenza di pozzi; il cunicolo è suborizzontale, lungo 9 m, con una curva e uno scalino dopo 6 m, largo a dimensione minima per il passaggio umano, termina con un salto di 3 m che forma una piccola saletta alla base. Si prosegue con uno stretto passaggio, scendendo poi un breve cunicolo che porta sull’orlo di un pozzo (“Postalmarketâ€?) profondo 26 m, particolarmente franoso. Dalla sala alla base del pozzo si può risalire una breve galleria che torna sotto il salone “del Trentennaleâ€? e chiude in frana, oppure si può scendere in un cunicolo affacciandosi poco dopo su un pozzo di 15 m (“Solstizio d’Invernoâ€?). Dall’ampia sala alla base un saltino di 3 m consente l’accesso a un comodo meandro, lungo una trentina di metri fino ad un largo pozzo: si tratta del pozzo “Mauna Keaâ€?, raggiunto un anno prima della scoperta del “By Passâ€?, passando per il ramo “dei Carbonariâ€?. Il meandro interseca questo pozzo, impostato su una faglia orientata NNWSSE, a 16 m dal fondo, mentre verso l’alto la volta è nascosta dal buio. Comunque, dalla base del pozzo “Postalmarketâ€? un altro meandro porta al pozzo “Mauna Keaâ€?, proseguendo anche oltre con piĂš condotti ancora parzialmente esplorati (non riportato nel rilievo). GALLERIA PRINCIPALE, 2° TRONCONE: LA GALLERIA “LONTANO DA QUIâ€? Dalla sala “Mauna Keaâ€? (-334) si percorre una galleria fossile che sembra rappresentare la prosecuzione della galleria “Andrea Doriaâ€?, con morfologie analoghe, pendenza media e direzione simili. Nei primi 100 m il condotto è in genere piĂš stretto del solito; si superano alcuni saltini, dei quali sono stati attrezzati con corda una risalita di 5 m e un pozzetto di 5 m. Dopo poco piĂš di 100 m da “Mauna Keaâ€?, disceso un tratto di galleria piĂš largo, si passa sotto una corda (che porta al ramo “Follia Puraâ€?) e subito dopo il condotto si stringe; tramite un passaggio basso si sbuca con un P11 su un grande ambiente: il salone “Kilaueaâ€?. Si tratta di una galleria in discesa, ingombra di blocchi di crollo, larga oltre 10 m e alta circa 6 m. Dalla sinistra affluisce un’altra grande galleria che si sviluppa al di sotto dei rami del “Cimitero Indianoâ€? e “dei Carbonariâ€? e che chiude in frana. Piccoli rigagnoli d’acqua, attivi tutto l’anno, sono presenti sia in questa galleria che alla base del P11. Sulla destra della galleria principale si apre un pozzetto chiuso in frana. Nel punto piĂš depresso della sala (-410) è stato posto il campo base per le esplorazioni delle zone profonde. Proseguendo nella galleria si entra in un condotto piĂš stretto nel quale si sente il rumore di una cascata; da qui si può scendere nel torrente sottostante (“Rio Negroâ€?), oppure risalire (5 m, corda) una frana instabile e proseguire nella galleria fossile. Effettuata la risalita, la galleria riprende le dimensioni consuete, e si raggiunge un importante nodo: “Diritto di Scioperoâ€?. In questo punto è stato risalito un pozzo che ha portato


319


all’esplorazione dei rami “di Disneyland”, fino al pozzo “Nautilus”. Sotto il grande pozzo “Diritto di Sciopero”, un saltino di 6 m può essere disceso, fermandosi poi in un meandro troppo stretto. Continuando invece nella galleria principale l’ambiente si allarga e assume dimensioni analoghe a quelle del salone “Kilauea”: è un nuovo grande salone (“Mauna Loa”), sbarrato in fondo da una parete che può essere aggirata inoltrandosi in un condotto basso che termina su un salto di 6 m, con alla base una sala. In questa zona sono stati esplorati alcuni cunicoli sia sovrastanti che sottostanti la sala. Una “finestra” poco più in alto del fondo della sala consente il superamento di una nuova frana, ma dopo circa 40 m il condotto si interrompe in corrispondenza di una frattura. Un piccolo buco sul fondo del meandro è stato allargato consentendo l’accesso ad una nuova sala, che chiude inesorabilmente in frana. Uno stretto cunicolo, fra soffitto e blocchi, consente di scendere ancora qualche metro (-490).

Monti Ernici settentrionali: Campo Catino (foto G. Mecchia)

MEANDRO ATTIVO, 1A PAR TE: IL “RIO NEGRO” Dalla galleria fossile “Lontano da Qui” si scende fino al torrente tramite uno stretto pozzo di 8 m o, meglio, attraverso un passaggio in frana aperto pochi metri a monte, che evita il ricorso alla corda. Il tratto a monte del torrente è stato percorso fino a una sala chiusa in frana. Il meandro a valle è subito interrotto da una cascatella (P8), poi scende senza importanti verticali, largo mediamente meno di 1 m, alto alcuni metri, senza vere strettoie. Si avanza in genere sul fondo, dove il torrente ha una portata di qualche litro al secondo (tutto l’anno, senza grandi variazioni), con numerosi saliscendi, per evitare restringimenti impercorribili. Dopo una cinquantina di metri la portata aumenta per l’affluenza di alcuni piccoli arrivi d’acqua da destra. La direzione complessiva è verso NNW, leggermente divergente dalla galleria “Lontano da Qui”. Dopo circa 250 m (“Passo Apache”) si intercetta la galleria “Fangosa”, un condotto fossile diretto E-W. Il meandro attivo prosegue per un breve tratto, stringendo fino all’impercorribilità (-520). LA GALLERIA “FANGOSA” E’ un condotto fossile suborizzontale; arrivando dal meandro di “Rio Negro” può essere percorsa verso destra (SE) per una cinquantina di metri, o verso sinistra (ovest) per circa 100 m. Dal ramo occidentale parte il meandro che riporta sul torrente (ora “Rio Bravo”) che conduce al sifone di -567. Al termine del ramo sud-orientale si incontra un secondo torrente e si interseca nuovamente la galleria fossile principale (“Terzo Troncone”).

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Grotta degli Urli: la galleria “Andrea Doria” (foto Andrea Felici)

Grotta della Foce: il soffitto e le pareti concrezionate del primo tratto della risorgenza (foto G. Cappa)

MEANDRO ATTIVO, 2A PAR TE: IL “RIO BRAVO” FINO AI SIFONI TERMINALI Dal ramo orientale della galleria “Fangosa” si entra in un meandro fossile che si sviluppa serpeggiando fino a un cunicolo anch’esso fossile, ma un tempo sifonante, nel quale si è formata una pozzetta di bianchi cristalli di calcite (sifone “dei Cristalli”). Risalendo il ramo ascendente del paleo-sifone si arriva su un pozzetto di 7 m. Alla base si è formata una bella sala concrezionata (sala “Rossa”), dalla quale si esce con un breve meandro che, dopo un salto di 8 m, intercetta un torrente (“Rio Bravo”). Lo stretto meandro a monte del torrente è stato percorso per una decina di metri, oltre i quali si potrebbe proseguire con l’acqua all’altezza della vita (-523). È probabile che l’acqua sia la stessa del “Rio Negro”, forse con l’aggiunta di un affluente (perché sembra avere portata maggiore), mentre sembra escluso che possa confluirvi anche il torrente incontrato al termine del “Terzo Troncone” della galleria principale. A valle del P8 il torrente forma un largo meandro, interrotto prima da un pozzo di 17 m e poi da un salto di 7 m, che formano delle belle cascate. Dalla sala alla base del P7 l’acqua si perde in un lago-sifone (-567); lo specchio d’acqua è lungo 3-4 m e largo circa 1 m; una piccola condottina sale dal sifone stringendosi però inesorabilmente. Il sifone “Fiocco di Latte” è stato superato in immersione ed è risultato lungo circa 30 m, con una profondità massima di 3 m. Dal sifone in avanti non è stato effettuato un rilievo strumentale. Al di là del sifone si percorre una galleria orizzontale di circa 30 m, di dimensioni modeste, sul fondo della quale scorre il torrente. Seguono poi due brevi saltini (scesi in arrampicata) che fanno perdere una decina di metri di dislivello, poi un pozzo di 16 m. Alla base si trova un laghetto, si percorrono ancora una dozzina di metri di galleria freatica del diametro di 3 m fino ad un secondo sifone. L’immersione non dura più di 20 m, con profondità di 3 m. Oltre si ritrova la condotta freatica, che prima sale lievemente e poi scende perdendo 6-7 m di quota fra il 2° e il 3° specchio d’acqua. Il torrente fra questi due sifoni percorre uno stretto meandrino non transitabile. Un terzo sifone sbarra il cammino; l’immersione non ha portato all’individuazione della via di deflusso dell’acqua, che, probabilmente, prosegue in una fessura impraticabile (-610). Rimanendo sulla volta di questo condotto sifonante, dopo 10 m si emerge in uno stretto meandrino che conduce tra il 2° e il 3° sifone (informazioni di Gianni Guidotti). RAMO “DEI NUOVI CAVALIERI” Dal punto più alto della sala iniziale della galleria “Andrea Doria” (punto A), si entra, tramite un foro aperto fra parete e frana, in uno stretto meandro che per circa 200 m corre quasi perfettamente parallelo alla galleria principale (nella parte finale ne ripete anche le curve), scendendo un dislivello

di quasi 100 m. Cinque salti sono stati armati con corda (5, 7, 6, 5 e 4 m). Nel mese di luglio ‘89 un piccolo rigagnolo d’acqua era presente nella parte terminale del meandro. L’esplorazione è ferma davanti ad un passaggio un po’ troppo stretto (-156), distante in pianta 15 m dalla galleria “Andrea Doria” e 10 m più in basso.

“L’AFFLUENTE” E’ una galleria di crollo che confluisce nella galleria “Andrea Doria” da sinistra a quota –114, molto alta, ampia mediamente intorno ai 3 m, è quasi sempre percorsa da un piccolo rigagnolo d’acqua e segue una direzione all’incirca ortogonale rispetto a quella della galleria principale (NE-SW). Questa galleria inclinata può essere risalita per 60 m di dislivello su una lunghezza planimetrica di 100 m. RAMO “DEI CARBONARI” Questo ramo inizia dal fondo del salone “del Trentennale” (-230). Entrati nel passaggio aperto nella frana, invece di scendere nella sala sottostante si imbocca un piccolo cunicolo orizzontale. Percorsi una decina di metri in direzione SW, il condotto devia verso NW per circa 80 m, diviene un po’ più largo e inizia a scendere. Ancora una brusca curva e il condotto si imposta su una frattura NE-SW per circa 30 m, fino a un salto di 4+8 m (“Marco Point”), arrampicabile. Poco sotto una saletta precede un pozzo profondo 10 m. Dalla base del salto si percorre il condotto in discesa, ora più largo, per una quarantina di metri fino ad una frattura che taglia perpendicolarmente il meandro. La prosecuzione è una angusta condotta alta 25-40 cm, lunga 17 m (“Stappabibò”); dopo i primi 2 m orizzontali, i più stretti, il condotto curva a sinistra e sale, con il fondo costituito da ghiaia fine e fanghiglia. Questo riempimento ha parzialmente occluso il condotto, che doveva avere sezione circolare e costituire un sifone, disinnescato poi dall’apertura della frattura. Usciti dallo “Stappabibò” si avanza per una quindicina di metri in un comodo meandro suborizzontale fino ad un pozzo di 11 m che intercetta un meandro impostato su una frattura orientata N-S. Dopo circa 80 m in leggera discesa, superati un salto di 3 m e uno stretto cunicolo con lame, la grotta si approfondisce e dopo un saltino arrampicabile si giunge sull’orlo di un pozzo di 17 m (pozzo “del Brindisi”), subito seguito da un salto di 4 m. Nella piccola saletta alla base scorre tutto l’anno un piccolo rigagnolo d’acqua, di portata minima. Si prosegue in un cunicolo orizzontale che sbuca con un saltino in una saletta; il meandro prosegue ancora verso NNW e, dopo un paio di strettoie, una fessura per ora impraticabile impedisce il passaggio. RAMO “DEL CIMITERO INDIANO” Alcuni metri prima della conclusione del meandro “dei Carbonari” si può scendere in un piccolo foro ellittico profondo 2 m, in fondo al quale si supera uno stretto passaggio e si intercetta un cunicolo. Verso valle si scende per una decina di metri fino a una saletta seguita da fessura impraticabile (strettoia “della Mazzetta Persa”, -368). Verso monte si entra in uno stretto cunicolo che dopo una decina di metri si allarga leggermente e dopo altri 20 m forma una saletta. Superato in risalita un salto di 6 m si percorre un meandro in salita, un po’ più largo, che dopo circa 40 m si immette in una galleria (“Follia Pura”), a quota -345. La direzione generale del ramo “del Cimitero Indiano” è verso SE, circa parallela al ramo “dei Carbonari”. RAMO “FOLLIA PURA” E’ un condotto diretto NNW-SSE, largo mediamente 1-2 m e alto oltre 3 m. A monte (SSE) si percorrono una decina di metri fino ad una sala, dalla quale uno stretto meandro porta su un P20, inesplorato. A valle si scende una sequenza di salti (5, 7, 3 e 7 m). Con l’ultimo di questi salti si intercetta una galleria più grande: siamo infatti sbucati nella galleria “Lontano da Qui”, poco sopra il salone “Kilauea”. RAMI “DI DISNEYLAND” Si tratta delle più importanti risalite effettuate nella grotta degli Urli (190 m complessivi). “Disneyland” è formato da due rami principali, entrambi con inizio nella galleria “Lontano da Qui”: il primo parte a quota -438 con il grande pozzo che risale “Diritto di Sciopero” (P32), il secondo inizia una trentina di metri più a valle, con una risalita (P8) nel salone “Mauna Loa”. Il pozzo “Diritto di Sciopero” si risale per 32 m fino a raggiungere l’inizio di un meandrino che dopo una quindicina di metri arriva in una saletta (-404). Da qui partono due meandri: risalendo un saltino di 3 m si va verso il pozzo “Roger Rabbit”, mentre traversando un pozzetto si prosegue nel tratto a monte del meandro. Il pozzo “Roger Rabbit” si raggiunge dopo una ventina di metri di meandro; si tratta di un bel pozzo risalito per una quindicina di metri (continua) e disceso per 10 m. Dalla base si scende un altro salto di 4 m, per poi avanzare ancora per 30 m in meandro, fino ad una strettoia nella quale scompare il torrentello. La quota è -433, l’andamento è parallelo a quello del torrente principale (“Rio Negro”), però 30 m più in alto.


Stato dell’ambiente Scoperta nel 1987, negli ultimi anni questa grotta è stata forse la più frequentata dagli speleologi del Lazio con un numero complessivo di visite stimabile in alcune migliaia. Il tratto “classico” usualmente percorso va dall’ingresso fino al salone “del Trentennale”. Lungo questa galleria si rinvengono le tracce del passaggio degli speleologi, con un sentiero nel detrito e l’allargamento di un paio di passaggi stretti. Tuttavia, trattandosi per lo più gallerie pavimentate da materiali di crollo le alterazioni sono poco percettibili. A salvaguardia della grotta stanno le strettoie iniziali, fino ad oggi risparmiate da qualsiasi allargamento. Oltre il salone “del Trentennale” e fino al salone “Kilauea” (-400) la frequentazione, pur essendo ancora molto significativa, si riduce drasticamente (si rinvengono tracce di passaggio, qualche “scarburata”, rare scritte sulle pareti). Nel salone “Kilauea”, luogo scelto come campo base, è spesso presente un limitato accumulo di rifiuti, saltuariamente rimosso con operazioni di ripulitura. Nella zona più profonda e nelle diramazioni secondarie la frequentazione è ancora minore e lo stato ambientale pressoché integro. Nell’insieme, le modificazioni prodotte all’ambiente sotterraneo sono estremamente limitate e la discesa nella grotta è di notevole fascino.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL SALONE “DEL TRENTENNALE”: P5 d’ingresso, P7, P23, Galleria “Andrea Doria” fino al salone “del Trentennale” (-230). Grotta degli Urli: la galleria “Andrea Doria” (foto G. Mecchia)

Dal bivio della saletta di -404 si traversa in spaccata un pozzetto proseguendo in un meandro con qualche punto stretto e con un saltino in risalita di 5 m, e dopo 100 m si arriva alla base di un pozzetto bagnato (pozzo “Acquaman”). Si risale (7 m) e si prosegue in meandro per una cinquantina di metri, risalendo un P5 e arrivando alla base di un nuovo salto. Si risale il pozzo, alto 10 m, e si sbuca nella sala “Limone” (3x8 m), a quota -320. Si tratta di un importante nodo, nel quale confluisce il secondo ramo di “Disneyland”. Questo secondo ramo inizia con una risalita di 8 m nella parte a monte del grande salone “Mauna Loa”, a quota -436. Dalla sommità del salto inizia uno scomodo meandro e dopo una quindicina di metri si arriva alla base di un P9. In cima al pozzo si supera una strettoia e si risale in meandro più ampio (che passa una quindicina di metri sotto il primo ramo di “Disneyland”) per circa 110 m, superando in artificiale un salto di 4 m e arrivando alla base di un nuovo salto di 5 m. I dati di rilievo dicono che la quota è -373 e che questo punto è vicinissimo (praticamente corrispondente) al punto più profondo del ramo “del Cimitero Indiano” (strettoia “della Mazzetta Persa”, quota -368 secondo il rilievo, esplorazione interrotta nel 1988 per perdita della mazzetta). Risalito il salto di 5 m si prosegue in un largo meandro per 15 m fino alla base di un pozzo grande e bello. Dalla sommità del P22 (pozzo “Argonauta”) si avanza ancora in meandro e dopo 30 m si arriva in una sala ampia 6 m posta alla base di due fusi di 13 m che sbucano nella sala “Limone”. Dalla sala “Limone” (-320) si risale un P7 inclinato (“la Lavagna”) si procede ancora per 30 m (un ulteriore ramo in discesa non è stato esplorato) fino alla base del più grande pozzo di tutta la grotta degli Urli: il pozzo “Nautilus”, alto 50 m. Costituito da 2 fusi principali, il più grande dei quali largo una decina di metri, il pozzo è stato risalito fino alla sommità, costituita da uno strato orizzontale che sbarra il cammino (quota -245). L’acqua, che piomba abbondante nel pozzo, arriva da un meandrino ostruito da una frana raggiunta con traverso sulla volta del pozzo. Date le grandi dimensioni del pozzo, si presentano diverse possibilità esplorative, alcune delle quali già verificate.

GALLERIA PRINCIPALE, 3° TRONCONE: LA GALLERIA “TERZO TRONCONE” Il ramo sud-orientale della galleria “Fangosa” raggiunge e termina in una grande galleria che si sviluppa in direzione ortogonale: il “Terzo Troncone”. Questo tratto di galleria può essere risalito per un centinaio di metri camminando in ambienti simili a quelli delle gallerie “Andrea Doria” e “Lontano da Qui”, fino ad una frana che impedisce il collegamento con l’estremità della galleria “Lontano da Qui”. Secondo i risultati del rilievo solo pochi metri, cioè una sola frana, separano i due tratti di galleria. La galleria “Fangosa” si immette nella galleria “del Terzo Troncone” proprio in corrispondenza della sua brusca fine. In questo punto una fessura sul pavimento permette di avanzare anche verso valle, percorrendo un meandro stretto interrotto da un salto di 9 m, che si approfondisce fino a raggiungere un nuovo torrente perenne. Dopo un breve percorso l’acqua scompare percorrendo una fessura troppo stretta per consentire il passaggio (-525). Un secondo cunicolo, che parte dalla galleria “Fangosa”, si collega al primo chiudendo un percorso “ad anello”. Un terzo cunicolo riporta anch’esso in prossimità dell’acqua.

IL “BY-PASS”: P4 (passaggio nella frana alla base “del Trentennale”, arrampicabile), cunicolo “Santabarbara” con uscita direttamente su P3, P26 “Postalmarket”, P15, P3, P16, sala “Mauna Kea” (-334). GALLERIA “LONTANO DA QUI” FINO AL SALONE “KILAUEA”: Risalita 5, P5, P11, salone “Kilauea” (-410). RIO BRAVO, FINO AL 1° SIFONE: P8 (evitabile scendendo in arrampicata un passaggio in frana alcuni metri prima), si atterra nel torrente perenne (“Rio Bravo”), P8, meandro, biforcazione asciutta (“Passo Apache”), si prosegue a destra e dopo pochi metri a sinistra, sifone asciutto “dei Cristalli”, P7, sala “Rossa”, P8, si torna sul torrente (“Rio Bravo”), P17, P7, 1° lago-sifone (-567). I SIFONI TERMINALI: Da qui in avanti sono indispensabili le attrezzature speleosubacquee. 1° sifone perenne, P16, 2° sifone, 3° sifone (-610).

Storia delle esplorazioni E’ stata scoperta negli anni ‘80 da due ragazzi di Guarcino che, armati di una semplice corda di canapa, discesero il P23 fermandosi davanti ad una frana. Successivamente è stata riscoperta dallo SCR ed esplorata nel corso di alcuni anni. Nel giugno 1987 Andrea Felici, M. Mecchia e R. Mazza scendevano nella grotta, fermandosi sull’orlo del P23. Il 28 agosto 1987 Felici, M. Mecchia e G. Polletti scavavano la frana ed esploravano la galleria Andrea Doria fino a -235. Le successive esplorazioni, ad opera dello SCR (F. Ardito, Felici, Maria Fierli, Marina Nuzzi, S. Gozzano, O. Mancini, G. Mecchia, M. Mecchia, G. Polletti, Anna Pedicone Cioffi) con M. Monteleone (CSR), sono proseguite fino al dicembre 1988, comprendendo anche alcuni rami paralleli al principale. Il 20 novembre 1988 è stato trovato il passaggio che supera le frane terminali del vecchio fondo di -235, dando accesso al resto del sistema, ad opera di M. Mecchia, Polletti, Nuzzi (SCR), A. Gulli e 4 allievi del corso. Le successive esplorazioni, proseguite fino al dicembre 1989, sono state condotte da numerosi speleologi dello SCR (A. Felici, S. Feri S. Gozzano Mancini, R, Mazza, M. Mecchia, Marina Nuzzi, Anna Pedicone Cioffi, G. Polletti, S. Re, F. Sinibaldi, G. Sterbini), affiancati da vari speleologi di altri gruppi: CSR (E. D’Alessandro, S. Gambari e C. Norza), Jesi (D. Moretti), GSCAI Roma (A. Gulli e A. Giura Longo), GSA Versiliese (M. Marantonio, Daniela e Sabina Frati), e R. Arena. Nel corso dell’anno 1989 è stata completata l’esplorazione dei numerosi rami del complesso, fino al fondo di –525, e disostruita la “Santabarbara”. Il 7-8 ottobre 1989 è stato raggiunto il sifone di -567 da SCR (Sterbini, Mecchia, Mazza), e CSR (D’Alessandro, A. Bucciano). Il 26-27 ottobre 1991, col poderoso supporto di un gruppo misto SCR e CSR, Letizia Argenti (CSR) ha superato il primo sifone a –567. Nel 1992 e 1993 sono state effettuate alcune risalite ad opera di S. Re, Pedicone Cioffi, P. Turrini, Dalma Pereszlenyi (SCR), e N. Russo (GS Matese). Il 30 marzo e il 15 maggio 1997 G. Guidotti (GS Fiorentino) e M. Baroni (GS Livornese) hanno esplorato i sifoni terminali.

Bibliografia ARGENTI, 1993; ARGENTI, 1995; BARONI, 1997; FELICI ANDREA, 1987; GAMBARI, 1995; GOZZANO ET ALII, 1989; MANCINI, 1987; MECCHIA G., 1987; MECCHIA G. & PIRO, 1989a; MECCHIA M., 1997a; MECCHIA M., 1989; MECCHIA M., 1997; MONTELEONE, 1995a; MONTELEONE, 1995b; PIRO, 1987; RE, 1993a; RUSCONI, 1990; STERBINI, 1989b; TERRAGNI, 1995a.

Grotta degli Urli: la galleria “Andrea Doria” (foto G. Mecchia)

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Grotta della Foce: l’ingresso in condizioni di secca e completamente allagato (foto G. Cappa)

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Grotta della Foce: la galleria iniziale (foto A. Cerquetti)

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Grotta della Foce Dati catastali altro nome: Grotta di Fosso Campo 865 La - comune: Trevi nel Lazio (FR) - località: la Foce, sotto Case Vignali - quota: 650 m carta IGM 1:25000: 151 I SO Trevi nel Lazio - coordinate: 0°47’02” (13°14’10”4) - 41°51’07” carta CTR 1:10000: 376 110 Jenne - coordinate: 2.373.580 - 4.634.920 dislivello: circa -50 m - sviluppo planimetrico: circa 600 m (346 m rilevati) Aree protette di riferimento: Parco Naturale Regionale dei Monti Simbruini; SIC IT6050005 “Alta Valle del Fiume Aniene”; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Piani di Arcinazzo si prende la strada per Trevi nel Lazio. Dopo 2,8 km dal bivio, in un grande tornante, parte sulla destra una strada bianca che conduce alla sorgente di Capodacqua. Percorso circa 1,1 km, alla prima evidente salita si lascia la macchina. Attraversato il prato a valle della strada, si raggiunge un sentiero che scende al fondovalle. Quindi si segue in discesa l’alveo del torrente per 200 m fino ad un affluente sulla destra: seguendolo, dopo 30 m si incontra il portale d’ingresso (15 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è un grande portale alto 4 m e largo circa 7 m. La grotta nel suo complesso ha uno sviluppo suborizzontale e corre quasi parallela al torrente esterno in un tratto caratterizzato da forte incisione lineare e reincisione dei terrazzi alluvionali. La grotta inizia con una lunga galleria a sezione molto alta (da 4 a 7 m) con un canale di volta; a tratti livelli di concrezione abbassano la volta, creando passaggi alti sopra la galleria principale. La galleria, con il fondo occupato da uno spesso deposito di argilla stratificata con livelletti di sabbia nera, prosegue fino ad un lago. La riva del lago può essere raggiunta dopo una distanza variabile in funzione dell’andamento della piovosità. Nel periodo di massima secca finora riscontrato (febbraio 1989) la riva del lago è stata trovata a 150 m dall’ingresso (punto 12). Pochi metri oltre questo punto, sulla parete destra della galleria parte un condotto quasi sempre sifonante o comunque quasi interamente allagato, con sezione tondeggiante di circa 3 m di diametro. Dopo 30 m (percorsi a nuoto) si incontra, sulla sinistra, una marmitta occupata da un lago (punto 15). Dal punto 12, proseguendo invece per la galleria principale, si sale in arrampicata un salto di 4 m (punto 13 bis) al di sopra del quale la galleria, concrezionata, riporta dopo 25 m, sul lago-marmitta descritto in precedenza (punto 15). Da questo lago la sezione si amplia leggermente, sul fondo pianeggiante si trovano profonde marmitte, e dopo un centinaio di metri il soffitto si abbassa di nuovo e la sezione diventa subcircolare, a “condotta forzata” (poco dopo il punto 19). Segue un tratto lungo una ventina di metri nel quale, in periodo di massima secca, l’acqua sfiora la volta ed è possibile nuotare con la testa fuori dall’acqua. Poi la galleria progressivamente si allarga, il soffitto si alza, e si nuota in un ambiente allagato, lungo 50 m e molto profondo. In fondo si sale una soglia che forma una cascata di portata notevole (è l’acqua del corso d’acqua ipogeo). Sopra la cascata (punto 20) vi è un lago-sifone che è stato percorso dai subacquei per una profondità di 50 m ed una distanza di almeno 200 m. Durante l’esplorazione è stata notata una galleria a circa 30 m di profondità, che smaltisce gran parte dell’acqua, che emerge all’esterno in una sorgente non individuata, più a valle. La parte terminale (dal punto 19 in poi) è stata rilevata in modo non strumentale. La grotta frequentemente emette acqua dall’imbocco, dando un

rilevante contributo alla portata complessiva di Fosso Campo. Nei periodi piovosi la grotta si allaga completamente, come dimostra la copertura di fango sulle pareti fino all’altezza di circa 5 m e come è stato osservato dopo 3-4 giorni di piogge intense o nel periodo del disgelo. Non si escludono tuttavia scambi idrici a due sensi con il Fosso Campo; in tal caso la grotta potrebbe funzionare come inghiottitoio quando il fosso è in piena, come è dimostrato dal dislivello negativo fra il fosso e l’ingresso e dalla presenza di scallops adirezionali sulle pareti del primo tratto di galleria. E’ stato, infatti, accertato che la piena del fosso può essere indipendente da quella della grotta. Oltre alla galleria nel sifone terminale, sono stati individuati altri due probabili punti di smaltimento delle acque, uno nel primo tratto di galleria (fra i punti 3 e 4), e il secondo nel tratto fra la cascata finale e il primo lago perenne (tra i punti 15 e 19), dato che nel lago la corrente è assente, mentre la cascata ha una portata notevole. Un’esperienza di colorazione ha rivelato che la Grotta della Foce è una delle emergenze delle acque che scorrono nella Grotta degli Urli (TERRAGNI, 1995a).

Stato dell’ambiente La grotta, parzialmente esplorata già nel 1855, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200 e con scarsissime alterazioni dello stato ambientale originario.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature, ma per percorrere il tratto oltre il lago (in alcuni punti a nuoto) e fino al lago-sifone perenne occorre la muta. La grotta è soggetta a piene improvvise ed è quindi sconsigliabile in condizioni meteorologiche sfavorevoli. Il sifone “terminale” è esplorabile con tecniche speleosubacquee.

Storia delle esplorazioni La prima esplorazione nota è di F. Gori, che nel suo libro del 1855 racconta di aver percorso “1/4 di miglio ... nell’acqua fredda”. E’ stata riscoperta il 21 dicembre 1969 dallo SCR (R. Tatasciore e P. Prandi) ed esplorata per 150 m, fino al lago. Nel gennaio-febbraio 1989 lo SCR (in particolare G. Mecchia, Maria Piro, G. Polletti, A. Sbardella e G. Sterbini) ha esplorato il tratto dal lago al sifone terminale. Nel 2001 alcuni speleosub (M. Giordani, E. Malatesta e G. Spaziani) hanno esplorato il sifone terminale, trovando le tracce (sagole lasciate in posto) di precedenti esplorazioni, probabilmente di speleosub francesi, che in un periodo imprecisato hanno percorso il sifone terminale.

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1971b; GORI 1855; GORI 1864; LUPIA PALMIERI & ZUPPI, 1977; MECCHIA G. & PIRO, 1989b; NIZI 1984a; PIRO & MECCHIA G., 1993; SEGRE 1948a; SEGRE 1956; TATASCIORE, 1969; TERRAGNI, 1995a.

Grotta di Collalto Dati catastali 512 A - comune: Morino (AQ) - località: Collalto – quota (molto approssimata): 1350 m carta IGM 1:25000: 151 I SE Civitella Roveto – coordinate (molto approssimate): 0°55’56” (13°23’04”4)- 41°51’04” carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 377 090 Monte Viglio (molto approssimate): 2.385.900 - 4.634.580 dislivello totale: -72 m; rilevato: -62 m - sviluppo planimetrico totale: 170 m; rilevato: 155 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale “Zompo lo Schioppo”; SIC IT7110080 “Monte Viglio - Zompo Lo Schioppo - Pizzo Deta”

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Dal punto 3 verso la parte opposta (sud) si entra in una galleria in discesa lunga pochi metri e si raggiunge un grande ambiente con accumuli di frana, lungo una trentina di metri, largo 6-7 m ed alto fino a 5 m, col fondo in ripida discesa (punto 4); da qui in piĂš punti, attraverso i blocchi della frana, si accede ad una galleria piĂš bassa, lunga una trentina di metri e alta fino a 3 m; sono state esplorate due prosecuzioni. Una strettoia verticale nel pavimento della galleria comunica con un salto profondo 7 m, al termine del quale un breve scivolo immette su un pozzo profondo 15 m che alla base intercetta una frattura, al momento non transitabile (punto 6, fondo, -72), nella quale transita una forte corrente d’aria (in uscita in estate). Nel tratto di galleria verso NW una strettoia allargata (punto 5), alta 40 cm, immette in un imponente canyon (non rilevato) alto fino a 20 m e lungo una ventina, con il pavimento in roccia viva e con scallops orientati verso l’uscita, che sembrano indicare un passato flusso in risalita delle acque. Nella grotta, ad esclusione della galleria finale, sono ovunque molto frequenti gli accumuli detritici, mentre il concrezionamento è assente.

Itinerario Da Civitella Roveto si imbocca una stradina di montagna che, oltrepassata la frazione di Meta, continua fino a divenire molto stretta (sconsigliata la percorrenza in macchina nel periodo invernale e subito dopo la brutta stagione o dopo violenti temporali). Si supera un primo rifugio e, dopo un valico seguito da una discesa, un secondo rifugio. Si prosegue ancora per circa 1 km ignorando i due bivi sulla destra; un minuscolo spiazzo sempre sulla destra, posto 150 m prima di un tornante, permette di parcheggiare la macchina. A questo punto bisogna percorrere per qualche minuto, finchè quasi non sparisce, il leggero avvallamento che risale il colle. L’ingresso, di difficile reperimento, è nei dintorni, ma mancano altri punti di riferimento.

Descrizione (di Danilo Bandini) L’ingresso è una piccola dolina di 3 m di diametro che sprofonda in un pozzetto di 3 m, con alla base una saletta dal fondo inclinato. L’ingresso è parzialmente occluso da tronchi e terriccio di dilavamento. Un passaggio basso immette direttamente su uno scivolo molto franoso lungo 5 m, alto 2 m e largo 3 m, che porta direttamente sul bordo di un pozzo circolare, largo circa 3 m e profondo 15 m. Si atterra su un cono detritico (punto 3); da qui si può proseguire in due direzioni. Verso NW si entra in una sala in discesa lunga circa 7 m ed alta 5-6 m, che porta alla sommitĂ (punto 7) di un pozzo di 20 m in diaclasi con dimensioni 1x3 m, seguito da uno scivolo molto inclinato lungo circa 25 m; questo ramo, che ha un dislivello totale di 30 m, termina in strettoia soffiante (punto 8, -62).

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1972, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Per cause naturali, attualmente la bocca Pozzo Ernico: il P13 (foto M. Cirinei)

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del pozzo di accesso si sta ostruendo, mentre all’interno una galleria laterale non è più percorribile. Le modeste tracce del passaggio degli speleologi non hanno alterato lo stato dell’ambiente.

Note tecniche P3 d’ingresso (corda 6 m), Scivolo 5 (corda 10 m), P15 (corda 20 m), biforcazione. Verso NW: Scivolo 7 (corda 8 m), P20 (corda 20 m), Scivolo 25, strettoia “terminale” (-62). Verso Sud: galleria discendente, sala (punto 4), galleria, P7 (corda 10 m), P15 (corda 17 m), fessura “terminale” (-72). Attenzione alla sistemazione degli attacchi su roccia friabile!

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1972 dal GSA. In tempi più recenti gli SR (A. Bonucci e M. Topani) hanno disostruito una strettoia e disceso i pozzi da 7 e 15 m. Nel 1997 il GSA ha esplorato il “canyon”.

Grotta di Zompo lo Schioppo Dati catastali 39 A - comune: Morino (AQ) - località: Zompo lo Schioppo - quota: 950 m carta IGM 1:25000: 151 I SE Civitella Roveto - coordinate: 0°56’54”5 (13°24’02”9) - 41°51’01”0 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 377 090 Monte Viglio - 2.387.240 4.634.470 sviluppo planimetrico: 10 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale “Zompo lo Schioppo”; SIC IT7110080 “Monte Viglio - Zompo Lo Schioppo - Pizzo Deta”

sorgenti, le cui acque vanno a confluire nel torrente dello Schioppo e da qui vengono derivate in buona parte in un canale che serve un serbatoio artificiale ad uso idroelettrico. L’ingresso del condotto carsico è stretto e ha una forma irregolare (alta 2 m e larga 50 cm). Il condotto, in leggera salita, dopo 2 m si divide in due cunicoli: quello di destra (inferiore) stringe dopo un paio di metri, quello di sinistra (superiore), a sezione quasi circolare e sempre stretto, è concrezionato e percorribile per quasi 10 m fino ad una strettoia impraticabile. Questo condotto, ovviamente, è impercorribile nei periodi di attività idrica. Un secondo foro, più grande (alto 1,5 m e largo 0,5 m), si apre 3-4 m più in alto del condotto principale; il cunicolo scende inclinato per 7-8 m fino ad un passaggio allagato con due dita d’aria presso il soffitto. Questo condotto è generalmente inattivo anche in inverno.

Stato dell’ambiente La cascata prodotta dalle acque che escono dal condotto carsico costituisce uno dei più rimarchevoli ambienti paesaggistici di tutto l’Appennino. La breve e stretta condotta freatica che costituisce la grotta è stata esplorata nel 1955 ed è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Lo stato originario è perfettamente preservato.

Note tecniche Per raggiungere l’ingresso è necessaria una calata in parete con 40 m di corda.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel maggio 1955 dal CSR (I. Bertolani e G. Pasquini).

Bibliografia ABBATE, 1903; BALDIERI, 1958; ACCORDI ET ALII, 1969; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b; NIZI, 1981; SEGRE, 1948a.

Itinerario (di Pier Leonida Orsini) Da Morino si prende la strada in direzione delle località La Grancia e Acqualozzi. Si continua per 5 km seguendo i cartelli per l’Oasi Naturalistica di “Zompo lo Schioppo”; la strada termina al piazzale dello Schioppo (quota 735 m). Circa 1 km prima del piazzale, sulla destra, si incontra una fontanella con una piccola, vecchia centrale elettrica. Si prende la strada che sale a tornanti e dopo un altro chilometro si incontra un laghetto (ENEL). Dopo il laghetto si prende il bivio sulla destra, e dopo circa 20 m si piega a sinistra proseguendo fino al termine della strada carrozzabile, dove si lascia la macchina. Si prosegue a piedi per quasi un’ora seguendo un comodo sentiero che arriva a costeggiare delle paretine rocciose sulla destra. Poco prima di uno sgrottamento, ci si trova in corrispondenza della verticale dell’imbocco, che si apre circa 80 m più in basso. Si discende il pendio camminando fin dove possibile, quindi si ancora la corda ad un albero e si scende obliquando a sinistra verso l’imbocco. Dopo circa 50 m di pendio terroso si arriva all’ingresso della risorgenza dello Schioppo. Per arrivare a vedere la cascata bisogna scendere la forra con una corda fino ad affacciarsi sulla parete, dopo una trentina di metri (1 ora di cammino).

Descrizione E’ una sorgente carsica a regime intermittente; nei mesi invernali e primaverili può raggiungere portate di alcuni metri cubi al secondo, mentre va in completa secca tutti gli anni nei mesi estivi e autunnali (ACCORDI ET ALII, 1969). L’acqua esce da un condotto che si apre quasi alla base di una parete. Non si tratta, tuttavia, della parete esterna visibile dalla valle. Infatti, le acque che sgorgano dalla risorgenza percorrono una forra larga una decina di metri e lunga 50 m, scendendo su gradoni rocciosi coperti di muschio, fino all’orlo della parete, gettandosi quindi nel vuoto con una spettacolare cascata alta circa 50 m. Alla base della parete e dalla falda detritica emergono numerose

Pozzo Ernico Dati catastali 1382 La - comune: Guarcino (FR) - località: Terra Muta - quota: 1485 m carta IGM 1:25000: 151 II NE Vico nel Lazio - coordinate: 0°53’21” 41°49’33”5 carta CTR 1:10000: 377 130 Campocatino - coordinate: 2.382.280 4.631.860 dislivello: -51 m - sviluppo planimetrico: 43 m Area protetta di riferimento: ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Guarcino si prende la strada che porta a Campo Catino, e si lascia la macchina al km 12,800, sul piazzale davanti all’osservatorio astronomico, in località Colle Pannunzio. Si prende la strada sterrata sulla destra, chiusa da una sbarra, percorribile in auto soltanto previa autorizzazione del Comune di Guarcino. Si segue la strada in piano, percorrendo circa 1 km, e incontrando tre canaloni in rapida successione. Percorsi altri 200 m si raggiunge un altro canalone molto meno evidente dei precedenti. In questo punto, a 1,2 km dall’osservatorio, sul taglio della strada, è evidentissimo il piccolo ingresso discendente siglato GSG (15 minuti di cammino dalla sbarra).

Descrizione (di Paolo Dalmiglio) L’ingresso è uno stretto cunicolo in forte pendenza. Alla sua base (punto 2) uno slargo in basso permette di assumere una posizione eretta

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Abisso di Monte Vermicano Dati catastali comune: Guarcino (FR) - localitĂ : Fosso Vermicano carta IGM 1:25000: 151 II NE Vico nel Lazio carta CTR 1:10000: 377 130 Campocatino ABISSO GEMMA GRESELE (1400 La) - quota: 1609 m coordinate IGM : 0°53’56â€?9 (13°21’05â€?3) - 41°49’37â€?0 coordinate CTR: 2.383.095 - 4.631.960 ABISSO VERMICANO (616 La) - quota: 1559 m coordinate IGM: 0°54’00â€?2 (13°21’08â€?6) - 41°49’32â€?8 coordinate CTR: 2.383.160 - 4.631.830 TANA DEGLI ERETICI (1401 La) - quota: 1513 m coordinate IGM: 0°53’56â€?8 (13°21’05â€?2) - 41°49’31â€?8 coordinate CTR: 2.383.090 - 4.631.800 dislivello: -439 m - sviluppo planimetrico: oltre 2600 m Area protetta di riferimento: ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Erniciâ€?

Itinerario

Descrizione

Strettoia, P13, strettoia che immette direttamente nel P19, strette fessure fino al fondo (-51).

Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente il 22 febbraio 1998 dal GSG (A. Peccerillo e B. Mario). Le esplorazioni successive sono state condotte prevalentemente da P. Dalmiglio, Peccerillo, E. Pavoni e Manuela Merlo.

Bibliografia DALMIGLIO D., 2000; DALMIGLIO P., 2000; GRUPPO SPELEOLOGICO GROTTAFERRATA, 1998a.

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Il complesso sotterraneo di Monte Vermicano è accessibile tramite tre ingressi, l’Abisso Gemma Gresele (ingresso alto), Abisso Vermicano (50 m piĂš in basso) e la Tana degli Eretici (96 m sotto l’ingresso alto). La Tana degli Eretici è di recente esplorazione e il rilievo non è ancora disponibile. Gli abissi Vermicano e Gresele attualmente si collegano solo a -297. Attrezzando uno dei due abissi fino alla “Congiunzioneâ€?, è possibile poi effettuare una bella e lunga traversata.

ABISSO VERMICANO, FINO ALLA “CONGIUNZIONEâ€? (-247 DA QUESTO INGRESSO) L’Abisso Vermicano inizia con un grande pozzo, profondo 112 m. L’imbocco è un piccolo buco, alto 40 cm e largo 60 cm. Questo pozzo e il successivo P28 sono impostati su una frattura, orientata N10-35°W, quasi verticale. Superato il primo metro, il P112 si allarga in un fuso di 2 m di diametro, fino al piccolo terrazzo di -19, dove si immette in un secondo fuso un po’ piĂš largo. Si scende il fuso fino a -55, arrivando su un terrazzo inclinato largo quasi 3 m, coperto in parte da detrito (attenzione a non

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PROFILO 0OZZO %RNICO

Note tecniche

Stato dell’ambiente

Abisso di Monte Vermicano: il secondo pozzo (P28) dell’Abisso Vermicano (foto M. Zampighi)

PROFILO 'ROTTA 6ERDECCHIA

La grotta, scoperta nel 1998, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Interventi di allargamento hanno necessariamente interessato i numerosi passaggi stretti.

Da Guarcino si prende la strada che porta a Campocatino e si lascia la macchina al km 12,800, sul piazzale davanti all’osservatorio astronomico, in localitĂ Colle Pannunzio. Si prende la strada sterrata sulla destra, chiusa da una sbarra, percorribile in auto soltanto previa autorizzazione del Comune di Guarcino. Si segue la strada in piano, percorrendo circa 2 km fino ad un bivio con un’altra strada sterrata che sale ripida (20 minuti di cammino dalla sbarra). Per l’Abisso Gemma Gresele: al bivio si lascia la strada sterrata principale (ed eventualmente la macchina), e si sale per la ripida sterrata a sinistra. Dopo circa 500 m la strada finisce in uno spiazzo dove si trovano le opere di presa della sorgente Vermicano. L’ingresso è una fessura larga 50 cm e alta 70 cm sulla scarpata della strada, all’inizio dello spiazzo (10 minuti di cammino dal bivio). Per la Tana degli Eretici: dal bivio si prosegue sulla strada principale, in piano, si supera un fosso mediante un ponte, e poco prima di un secondo ponte che attraversa un fosso con pareti ripide, sulla sinistra della strada si apre l’ingresso (5 minuti di cammino dal bivio). Per l’Abisso Vermicano: dal bivio si prosegue sulla strada principale, in piano, si superano due fossi mediante ponti e, dopo circa 500 m, si lascia eventualmente l’auto, se la strada è stata percorsa in macchina, subito prima del terzo ponte, che 50 m dopo il precedente, attraversa un fosso piĂš piccolo. Si risale il versante tra i due fossi per circa 50 m di dislivello, nel bosco, fino a raggiungere un piccolo avvallamento dove si apre l’ingresso (10 minuti di cammino dal bivio).

PROFILO DEL 2ISORGHIOTTO

prima di affrontare la seconda strettoia oltre la quale si accede al primo ambiente comodo della grotta. Alzando lo sguardo è possibile osservare una frattura che sale quasi verticale stringendo progressivamente. Proseguendo invece verso il basso è necessario superare un passaggio stretto per guadagnare l’orlo del P13; per accedere alla verticale si impone il superamento di una scomoda strettoia, che in fase esplorativa ha costretto ad una impegnativa disostruzione. Superata la strettoia, il pozzo presenta una bella morfologia, con pareti lisce e compatte lungo tutta la verticale e sezioni orizzontali circolari, dapprima di diametro ridotto, poi, man mano che si scende, con dimensioni sempre piĂš ampie. Alla base (punto 3) le pareti si stringono nuovamente incanalando le acque in un ripido scivolo che subito sfonda nel secondo pozzo (P19). Anche la partenza di questa verticale è caratterizzata da una strettoia, costituita da un’angusta fessura larga poco piĂš di 20 cm. Sceso il primo metro le pareti si allargano nuovamente e poco piĂš in basso si atterra su un terrazzino. Da questo punto in poi la roccia cambia aspetto, divenendo piĂš frastagliata, e gli strati, ora evidenti, scendono inclinati verso NE; il pozzo è impostato lungo una frattura con orientamento NE-SW e la morfologia degli ambienti presenta la caratteristica forma allungata. A metĂ altezza, in corrispondenza di un importante arrivo sulla destra, la verticale si divide in due pozzi paralleli (entrambi impostati lungo la stessa frattura) che alla base (punto 4) entrano nuovamente in comunicazione, generando un ambiente stretto e lungo. Numerosi blocchi di medie e piccole dimensioni ingombrano il pavimento. La progressione si fa ora piĂš difficoltosa; è infatti necessario scivolare dentro uno stretto laminatoio (nel quale è quasi indispensabile togliersi gli attrezzi) fortemente inclinato e lungo circa 2 m. Superata la fessura si accede ad un comodo ambiente (punto 5) impostato lungo un’evidente faglia. Le pareti sono inclinate, lisce e parallele, il pavimento è coperto 326 di ciottoli; in questo punto è evidente il passaggio di acqua nelle stagioni piovose o durante il disgelo. Pochi metri piĂš avanti si imbocca un condotto denominato “la Miniera dei Sette Naniâ€?, si tratta infatti di un cunicolo in parte artificiale, lungo circa 15 m, assolutamente impraticabile al momento della prima esplorazione e reso percorribile solo a seguito di un prolungato lavoro di disostruzione. Le esplorazioni sono attualmente ferme su uno stretto laminatoio verticale (punto 6, -51).

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KM


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Abisso Gemma Gresele: P55, la "risalita" (foto archivio M. Monteleone)

Abisso Gemma Gresele: l’ingresso (foto M. Monteleone, 1980)

Abisso Vermicano: il meandro (foto M. Monteleone)

Abisso Gemma Gresele: P55, "il catoblepa"

Abisso Vermicano: base P115 (foto M. Monteleone)

(foto M. Monteleone)

Abisso Vermicano: base P19 (foto M. Monteleone)

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Abisso Vermicano: la colorazione del 1991

Abisso Vermicano: l’ingresso (foto M. Monteleone)

(foto M. Monteleone)

Abisso Gemma Gresele: il canyon (foto M.

Abisso Gemma Gresele: i "rami nuovi" (foto M.

Monteleone)

Monteleone)

Tana degli Eretici: l’ingresso (foto archivio M. Monteleone)

Congiunzione Abisso Gemma Gresele - Tana degli Eretici:

S. Gambari, V. Sbordoni, A. Pedicone Cioffi, M. Monteleone, M. Di Bernardo, A. Righi, P. Ricciotti, L. Latella (foto M. Monteleone) Tana degli Eretici: il P20 (foto M. Monteleone)

Abisso Vermicano: il meandro (foto M. Monteleone)

Abisso Gemma Gresele: la “risalita di Cristiano"

Fosso Vermicano: il "4° ingresso" (foto M.

(foto M. Monteleone)

Monteleone, 2001)


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9 m (vedi Abisso Gresele). Siamo quindi giunti alla “Congiunzione”, a -247 dall’ingresso dell’Abisso Vermicano.

Abisso di Monte Vermicano: l’ingresso dell’Abisso Gemma Gresele (foto A. Cerquetti)

scaricare sassi). Qui il pozzo si allarga in un ambiente più grande, allungato sulla frattura per circa 10 m, con una larghezza massima di 3 m. Il pozzo d’estate è generalmente asciutto, mentre nei periodi piovosi è battuto da forti stillicidi. La base del P112 è un ambiente di dimensioni 2x12 m, allungato lungo la frattura, con un pavimento di massi e detrito che lascia un passaggio presso l’estremità opposta a quella di discesa. 330 Si entra nel P28 scendendo in un cunicolo nel caos di blocchi; qualche metro sotto si raggiungono le pareti di roccia, qui distanti 60 cm. Dall’estremità Nord della frattura proviene un rigagnolo d’acqua perenne; d’estate la linea di discesa è praticamente asciutta. Le pareti si allontanano progressivamente, e alla base del pozzo formano un ambiente largo 3 m che si allunga per una decina di metri sulla solita frattura. Il pozzo non deve essere sceso fino in fondo, ma è necessario proseguire sulla evidente galleria a 5 m dalla base. Dopo una dozzina di metri si arriva sopra lo stretto imbocco del P19. Da qui fino al salone “del Risucchio” la grotta sembra essere impostata lungo una faglia orientata N35-45°W inclinata da 70° (sul P19) a 40° (nel cunicolo sopra il Risucchio) verso SW. La faglia costituisce la volta o la parete superiore dei condotti. L’ingresso del P19 è un foro, allargato artificialmente, del diametro di 40 cm. Subito sotto il pozzo si allarga, e a 5 m dal fondo è interrotto da un terrazzo. La pozza d’acqua alla base defluisce attraverso una stretta fessura. Per proseguire lontano dall’acqua e in ambienti più comodi, si salgono 3 m fino a raggiungere la volta della fessura, per ridiscendere poi con un salto di 5 m. Alla base, mentre una condotta molto stretta porta via l’acqua, si prosegue scendendo un condotto asciutto, spigoloso e angusto, che porta sopra un pozzo profondo 11 m. Il P11 ha un imbocco stretto, anche se allargato artificialmente, e scende in modo articolato. Dalla base, larga 2,5 m, si tralascia sia la prosecuzione verso il basso che quella in alto verso ambienti più larghi, imboccando invece il cunicolo che si apre davanti. Il cunicolo è stretto e scomodo (si avanza strisciando o carponi), lungo una ventina di metri, e termina con un saltino di 3 m. Sceso il saltino, si evita lo scivolo sottostante entrando nella parte alta del salone “del Risucchio”. A sinistra si nota un fuso che sale (“Pussy Galore”) e che con una successione di saltini riporta, 80 m più in alto, nel mezzo del P28. La parte alta del salone è interrotta da un salto profondo 8 m, formato da un grande masso. Alla base del P8, larga 5 m, si evita di scendere il pozzo a destra (che sbuca nelle parti note poco più in basso) e il buco a sinistra, e superando un grande blocco si entra nella parte bassa del salone “del Risucchio”. Qui l’ambiente si allarga fino a 10 m, è alto fino a 6-7 m, e scende con un caos di massi di crollo. La parete a monte è costituita dall’evidente piano di faglia orientato N10°W con immersione 70°, mentre la volta nella parte bassa del salone è impostata sugli strati (N80°E con immersione 45°N). Dal salone si può accedere anche ad alcuni condotti secondari. In fondo al salone si scende per 3-4 m in un buco fra i blocchi, arrivando davanti a una finestrella larga meno di 1 m, sulla volta di un pozzo profondo 30 m. Più sotto, il P30 si rivela una spaccatura ampia fino a 3 m. Alla base la galleria, qui larga 1,5-2 m, è percorsa da un torrente, che raccoglie le acque dell’Abisso Vermicano e dell’Abisso Gresele. Queste ultime provengono da una cascata alta

ABISSO GRESELE, FINO ALLA “CONGIUNZIONE” (-297 DA QUESTO INGRESSO) L’imbocco (largo 50 cm e alto 70 cm) è una fessura impostata su una frattura orientata N45°W e immergente 55°SW, venuta alla luce durante lo scavo della strada. Il cunicolo è lungo 4 m e termina in un salto di 8 m. Nonostante i ripetuti lavori di allargamento, il superamento della strettoia è comunque molto scomodo, anche per l’uscita direttamente nel salto. Il P8 è un piccolo fuso, che si allarga fino alla saletta alla base (1,7x3,5 m). Ad una estremità della saletta si apre, con un piccolo buco (0,3x1 m) fra i massi e la parete, un bel pozzo profondo 55 m (il “Catoblepa”). Nella parte superiore il P55 si allarga fino a 2-3 m, poi, verso metà, si collega ad un altro fuso in un ambiente che si allunga per 15 m (la cui risalita è terminata in un piccolo meandro chiuso in frana, non lontano dalla superficie esterna). A 4 m dal fondo del pozzo un terrazzo interrompe la discesa. D’estate solo un leggero stillicidio cade nel pozzo, mentre d’inverno è spesso tanto violento da sconsigliare la calata. Dalla base parte una galleria discendente, che in breve si stringe (40 cm); si prosegue in basso (in alto si vede una corda che sale verso il “Ramo Nuovo”), poi il condotto si allarga di nuovo e si scendono alcuni gradoni in arrampicata, arrivando sopra un pozzo profondo 12 m, interrotto dopo 7 m da un terrazzo. Alla base, una sala ampia 4-5 m e lunga 8 m, si trovano una piccola pozza, alimentata anche d’estate dagli stillicidi della parte superiore della grotta, e belle colate bianche di latte di monte. Sulla volta si osserva il piano di faglia con orientazione N45°W e immersione 40-50°S, lungo il quale è impostata la prima parte della grotta, fino al P30. Dopo pochi metri di galleria si arriva sopra un pozzo profondo 19 m (“l’Albiola”), con imbocco comodo (largo 50 cm) e volta costituita dal piano di faglia. Subito sotto, il pozzo si allarga. La bella sala alla base è larga 2-4 m e lunga una decina di metri. Alle due estremità arrivano due fusi, uno alto 6 m e praticamente asciutto d’estate, e l’altro (quello da cui si arriva) con un rigagnolo perenne. Per proseguire è opportuno risalire un paio di metri ed entrare in un passaggio interstrato (gli strati sono orientati N75°E e immergono 50°N) e, sempre tenendosi presso la volta, dopo 40 m la fessura si apre in un pozzo profondo 30 m (“A Bao A Qu”). Scavalcando lo sfondamento si entra in un salone con massi di crollo dal quale si accede a due importanti rami secondari: il ramo “dei Presentatori” e il ramo “Yogurt e Nutella”. Dal P30 attualmente parte un cavo telefonico che raggiunge la “Congiunzione”, e che, quindi, facilita l’individuazione del percorso da seguire. Il pozzo è largo circa 3 m, e d’estate è battuto da un leggero stillicidio. Si evita di scendere fino in fondo, imboccando 2 m più in alto la stretta (0,4 m) fessura (orientata N20°E con immersione 80°E) lungo la quale è anche impostato il pozzo. Si scende nella fessura, tenendosi in basso, e dopo una ventina di metri si arriva sopra un salto dall’imbocco stretto, profondo 5 m. Si scende nella saletta alla base, larga 1,7 m e alta 4 m, si prosegue nel meandro, prima in alto poi, dopo una ventina di metri, si scende fino all’acqua, per continuare poi nuovamente in alto presso la volta, fino ad una strettoia. La strettoia, obliqua e in discesa, comunque è costituita da un unico punto stretto (20 cm e alto 50 cm). Superato l’ostacolo, si prosegue in basso (mentre in avanti si raggiunge il “Ramo Attivo” e il ramo “della Cordella Rossa”), scendendo un passaggio stretto e continuando la discesa in ambienti più larghi, con una successione di 4 saltini profondi al massimo 3 m, da scendere in arrampicata; si raggiunge l’ampio (2 m) imbocco di un pozzo profondo 9 m, seguito, subito sotto, da un salto di 5 m, mentre in avanti si nota una galleria che prosegue in direzione 40° (“Ramo Attivo”). Alla base del pozzo (larga 2,5 e lunga 5 m) l’acqua proveniente dal “Ramo Attivo” con una stretta cascatella alta 3 m, forma una pozza d’acqua. Si prosegue seguendo l’acqua, scendendo subito un saltino alto 1,5 m, che precede un pozzo profondo 20 m (“l’Anfesibena”), con bocca larga 1,5 m, nel quale si getta il torrentello perenne. Si evita la discesa completa del pozzo, fermandosi dopo una dozzina di metri su un terrazzo in una galleria larga 2,5 m, denominata “il Canyon”. Nel primo tratto del “Canyon” si avanza tenendosi in alto nella spaccatura diretta verso 160°, per scendere più avanti con passaggi in arrampicata. Si prosegue ancora lungo la frattura, tenendosi in alto, dove la galleria è più ampia (1-2 m), poi, dopo quasi 50 m dalla “Anfesibena”, si devia bruscamente in una frattura diretta verso 265°, larga meno di 1 m. Lungo questa frattura si avanza per 50 m tenendosi in alto, con passaggi esposti, fino ad una svolta che immette in una frattura verticale diretta verso 235°, nella quale si cammina in piano, nella più comoda parte alta, per una decina di metri fino all’intersezione con un’altra frattura. Invece di proseguire in alto (si raggiungerebbe la base della “risalita di Cristiano”), è conveniente scendere in fondo al meandro, con un pozzo di 15 m (fine del “Canyon”). La base del pozzo è una bella sala, impostata all’incrocio delle due fratture, con pianta circolare di 3 m di diametro, dove si ritrova il torrentello che scorreva in fondo al meandro, che forma una bella pozza d’acqua. Si prosegue seguendo l’acqua, che scorre pigramente quasi in piano nella frattura diretta verso 157°, larga meno di 1 m. Dopo una ventina di metri si nota un arrivo d’acqua da destra; seguendolo, dopo una risalita di 5 m e superati alcuni passaggi stretti, si arriva alla base della risalita

Abisso di Monte Vermicano: la colorazione del torrente interno con fluorescina il 12 aprile 2003; le acque sono tornate alla luce 12 ore dopo alla sorgente Caporelle (foto A. Zambardino)

“di Cristiano”. Ignorando il piccolo arrivo d’acqua e proseguendo nella galleria, si avanza per un’altra decina di metri fino ad un passaggio in arrampicata (corda) seguito da un salto di 3 m, dalla cui base (larga 2,5 m) parte immediatamente un bel pozzo di 10 m, in estate battuto da leggero stillicidio. Dalla saletta alla base, larga 1,5-2 m, ci si immette in una frattura orientata E-W con immersione 45°S, scendendo un salto di 6 m. Si avanza poi in una frattura a meandro un po’ stretto e dopo circa 40 m si arriva sopra un pozzo profondo 12 m, interrotto a metà da un terrazzo. Dalla base, larga 2 m, si prosegue lungo la frattura (N20°W con immersione 75°SW) scendendo subito un saltino di 2 m, in arrampicata (corda). Si avanza in ambienti più larghi per una ventina di metri arrivando sopra un pozzo profondo 9 m (entrare nella fessura in basso). Il P9 immette in una galleria larga un paio di metri, dove si conclude la discesa dell’Abisso Gemma Gresele, che qui si collega al Vermicano, ad una profondità di 297 m. Qualche metro più avanti si vede (se c’è) la corda del P30 che sale al salone “del Risucchio”.

DALLA “CONGIUNZIONE” (-297) AL FONDO (-439) Si tratta di una galleria a meandro molto bella, lunga 800 m fino al fondo, sempre attiva a partire dalla confluenza con il “Grande Corso d’Acqua Perenne”. Il tracciato sotterraneo sembra in buona parte ricalcare quello del fosso esterno, dirigendosi, quindi, verso SW. Dalla “Congiunzione” si avanza in una comoda galleria a meandro e dopo 40 m si scendono due piccoli salti (P5 e P7). Subito dopo ci si abbassa in un breve pseudo-sifone, la cui volta è costituita dai blocchi di un grande crollo; pochi metri più avanti è possibile, salendo una decina di metri, sbucare in un grande salone (10x30 m) sopra l’accumulo di crollo. Si prosegue, invece, in basso, sull’acqua, in una galleria orizzontale larga 1-2 m, e 90 m dopo lo pseudo-sifone si arriva alla confluenza con una grande galleria proveniente da sinistra. Il “Grande Corso d’Acqua Perenne”, come è stato chiamato questo ramo, è il collettore del sistema sotterraneo. La portata del torrente, misurata il 27 gennaio 1991, era di circa 30 L/s, mentre l’apporto del meandro Gresele-Vermicano era di soli 0,5 L/s (Gambari, 1995). Si prosegue, quindi, in una galleria larga 1-2 m, alta 5 m, scendendo con corda 2 salti profondi 3 e 4 m e traversando una cascata alta 3 m, per giungere, dopo 100 m, sopra la “Grande Cascata”, alta 12 m. Questa si evita salendo 3 m verso una finestrella che immette in una sala, larga 4-5 m, con vaschette un tempo colme di grandi pisoliti (sala “delle Pisoliti”). Da qui si scende un breve ramo asciutto, con un primo salto di 3 m seguito subito da un altro salto a gradoni profondo 14 m, ritornando nella galleria attiva principale, a valle di una piccola cascata. Si avanza ancora nella bella galleria che scende lentamente, e dopo 50 m si arriva in una zona in cui una breve successione di saltini alti fino a 3 m formano piccole cascatelle (un paio sono da scendere con corda). Superata questa zona, dopo una trentina di metri si nota un piccolo affluente di sinistra (ramo “Brioschi”). Questo ramo, che inizia salendo un gradone e un salto di 4 m, prosegue con una


impegnativa strettoia oltre la quale si arriva in una piccola saletta, attuale limite dell’esplorazione. Proseguendo nella galleria principale, alta 10-15 m e larga 1-1,5 m, dopo 130 m quasi in piano si nota un secondo arrivo perenne da sinistra (ramo “delle Foglie”). Alla base della risalita di 5 m che immette nel ramo, si osservano foglie di faggio e si avverte una sensibile corrente d’aria che d’estate soffia verso un probabile ingresso basso. Il meandro è stato esplorato per alcune decine di metri, fino ad una ostruzione. Continuando la discesa della galleria principale, in ambienti simili a quelli precedenti, in parte camminando sull’acqua, in parte alzandosi nel meandro con passaggi a volte esposti, dopo 200 m c’è un ultimo tratto più verticale. Passata una cascata si scende, dalla volta del meandro, un pozzo profondo 8 m, e subito dopo si arriva sopra l’ultimo pozzo, profondo una decina di metri; è conveniente scendere entrando nel buco e calandosi all’asciutto dall’altra parte. L’ultimo tratto di meandro, fino al sifone terminale, è lungo 70 m. Si scende prima seguendo il fiume, poi risalendo in alto, per superare quindi una piccola cascatella in arrampicata e giungere davanti ad un improvviso abbassamento della volta. L’acqua scompare in un piccolo e basso cunicolo, che sifona poco più avanti (-389 dall’ingresso Vermicano, -439 dall’ingresso Gresele).

LA TANA DEGLI ERETICI (di Aldo Zambardino) L’ingresso è un foro di 50 cm di diametro, allargato artificialmente, che, tramite un saltino di 1,5 m, dà adito ad una saletta di dimensioni 4x2 m, alta 3 m. Segue una strettoia selettiva e poi una seconda strettoia a gomito, che immette nel primo pozzo, profondo 7-8 m. Alla base si trova una sala concrezionata di 6 m di diametro; si continua scendendo uno scivolo di 15 m con latte di monte. Si arriva quindi ad un masso incastrato nella fessura, e dopo averlo superato si scende nel terzo pozzo, profondo 8-9 m. Alla base si risale 1 m su massi concrezionati e si entra nel quarto pozzo, profondo 10 m; 1 m sopra la base del pozzo, tramite un buco, si entra in un cunicolo che immette in una saletta, e si arriva alla partenza del quinto pozzo, profondo 23 m. La base è un terrazzo stretto (2 m) e lungo (4 m) dove si effettua un traverso (corda) per arrivare sulla verticale del sesto pozzo, profondo 30 m. Dopo una quindicina di metri di discesa si atterra presso una sala concrezionata; il pozzo continua con uno scivolo lungo 7 m, seguito da un ultimo tratto verticale di 10 m. Si continua scendendo in un cunicolo lungo 5 m, arrivando sopra il settimo pozzo, profondo 12 m, largo e bello. Alla base si apre la fessura che immette nell’ottavo pozzo, profondo 15 m. Effettuata la discesa si prosegue in un meandro lungo 4 m che intercetta una fessura a sinistra (allargata artificialmente); quest’ultima immette in un meandrino che con un passaggio molto stretto si affaccia sul nono pozzo, profondo 30-35 m, battuto dall’acqua. Si atterra così nelle gallerie dell’Abisso Gemma Gresele, nel tratto immediatamente a valle della risalita “di Cristiano”. ALTRI RAMI NELL’ABISSO GEMMA GRESELE (di Stefano Gambari)

4 m, e, dopo una strettoia, 10 m. La diramazione è caratterizzata da una retroversione nella prima parte, ed è visibilmente impostata su ben marcate fratture. Andamento complessivo SSW. Il ramo, con sviluppo planimetrico di 130 m, ha termine con una occlusione di fango nel meandro 115 m più in basso del bivio.

RAMO “YOGUR T E NUTELLA” Il ramo, che ha uno sviluppo planimetrico di 300 m, è così denominato per la presenza di cospicui depositi di fango e di latte di monte. Inizia con un P20 cui fa seguito un pozzo profondo una decina di metri. L’andamento principale di questo primo tratto è N-S. Dopo circa 30 m un passaggio inclinato, basso, conduce sull’orlo di un P8. Dopo altri 50 m si raggiunge un sifone di fango. Superatolo, e discesi 5 m, si giunge in una saletta. Continuando per altri 30 m si guadagna l’orlo di un P15 e di un successivo P25. In questa zona sono presenti numerose diramazioni. In particolare è ben visibile quella da cui proviene l’acqua durante i periodi di piena. L’intero ramo, da questo punto, acquista la direzione NE-SW. Alla base dell’ultimo pozzo una strettoia immette nel meandro che si può seguire per altri 70 m di sviluppo sino ad uno stretto, basso e frastagliato laminatoio (-277). RAMO “ATTIVO” E RAMO “DELLA CORDELLA ROSSA” Superata la strettoia di -160, si procede in aventi per circa 15 m sino a notare sul pavimento due distinti punti di cattura del corso d’acqua che si incontra. Più a monte si giunge a un bivio. A sinistra si va al ramo della “Cordella Rossa” (breve ramo attivo, lungo 60 m, dislivello +30 m), a destra un più consistente ramo attivo continua per altri 30 m con una piccola galleria a fondo fangoso e allagato che conduce ad una sala. L’acqua esce dalla frana che impedisce la progressione. A pochi metri dal pavimento della sala una finestra immette in un breve ramo. RISALITA “DI CRISTIANO” (INFORMAZIONI DI MAURIZIO MONTELEONE) Una serie di salti in risalita per un totale di circa 80 m conduce ad uno stretto passaggio, oltre il quale è possibile accedere a un’ulteriore serie di salti in discesa che, con un dislivello di 50 m, intercettano la diramazione “Yogurt e nutella” all’altezza del P25. Al di sopra della risalita le esplorazioni sono ancora in corso. ALTRI RAMI NEL TRATTO COMPRESO FRA LA “CONGIUNZIONE” E IL FONDO RESEAU DEI CAVALIERI DEL CORAGGIO Passata la “Congiunzione” e percorso un breve tratto di meandro si arriva alla base di una cascatella alta 10 m (-307). Si può risalire nel meandro in arrampicata per una decina di metri, ed entrare nella diramazione. Poco più avanti si risale in una micidiale fessura obliqua (“la fessa”) e in breve si giunge in una sala (“Piazza Re di Roma”). Da qui inizia una successione di salti risaliti con impegnative arrampicate, che chiude in una stretta fessura a circa +115 m dalla partenza nel meandro. Si tratta di un affluente di destra, con portata modesta, impostato su una frattura orientata N80°W.

RAMO “NUOVO” Dalla base del P55 (“il Catoblepa”), scendendo verso il meandro, si osserva in alto sulla sinistra un arrivo che forma una colata calcitica sulla parete. Risalendo e traversando (corda), si imbocca un passaggio franoso che forma subito una sella. Discendendo dalla sella lungo un meandro, si giunge ad un trivio: un passaggio riporta indietro, un condotto sulla sinistra termina in frana dopo una ventina di metri, mentre sulla destra il meandro prosegue invece in discesa. Superato un passaggio stretto il meandro si allarga e discende a gradoni con forma ad U e soffitto costituito dal piano di strato, fortemente inclinato. Superato un P15 (stillicidio dall’alto), si giunge ad una zona di confluenza, percorsa da un piccolo apporto d’acqua. Dalla confluenza è possibile proseguire in due direzioni: verso il fondo del ramo e a monte. Proseguendo verso il fondo, dopo un salto di 7 m ed un passaggio tra massi di crollo si raggiunge un ambiente di frana. Sulla destra si può risalire di pochi metri per poi discendere in un ramo su cui si incontrerà nuovamente il piccolo rivolo d’acqua. Frana fangosa a valle, stretto a monte. Superando invece la frana nel punto più basso, e discendendo tra massi di crollo e stretti passaggi, ci si affaccia su un P12, in un ambiente più largo. Alla base del salto un breve tratto immette in uno stretto meandro che si percorre a mezz’altezza per una ventina di metri, sino a divenire impraticabile. La direzione del ramo dall’ambiente di frana è N-S. Per proseguire verso monte, dalla confluenza si risale un grosso masso di crollo arrivando alla base di un salto di 4 m, risalito il quale il meandro si fa più largo, ma solo per pochi metri. Dopo un nuovo tratto stretto, si raggiunge uno slargo e si risale il meandro in arrampicata. In breve, a +35 m di dislivello dalla confluenza e dopo circa 70 m, la progressione è interrotta da una frana.

RAMO DEL “GRANDE CORSO D’ACQUA PERENNE” Sviluppo planimetrico: 170 m. Dislivello parziale dalla confluenza: +110 m. Si tratta del corso d’acqua principale del sistema sotterraneo. Proviene da sinistra, da una galleria, che si allarga fino a 5-8 m e alta non oltre 10 m, lunga un centinaio di metri. Il ramo è inizialmente impostato su una frattura inclinata; dopo circa 50 m, risaliti dei blocchi di roccia, si accede alla parte più ampia della galleria che presenta, al suo termine, una frana. Dopo aver superato la frana (passaggio basso), si accede ad una sala con due diramazioni. Quella di destra (DONATI, 1987, 1988b) conduce in breve ad una strettoia semi-sifonante, da cui proviene l’acqua. Quella di sinistra porta ad un ramo (“Full PVC Jacket”), che si risale per un dislivello di circa 90 m e che presenta una successione di pozzi collegati da tratti di meandro (8, 25, 20, 13 m) e che termina in fessura. Un ramo parallelo porta, attraverso una serie di strettoie, dalla base del P25 all’orlo del P20 (GAMBARI, 1995).

RAMO “DEI PRESENTATORI” Scavalcando il P30 (“A Bao A Qu”) si entra in un salone con massi di crollo che costituisce il bivio tra due importanti rami secondari: il ramo “dei Presentatori” e il ramo “Yogurt e Nutella”. Nel ramo “dei Presentatori” sono presenti, in successione, le seguenti verticali: 10, 15, 3, 2, 5, 4, 13, 4, 12,

Stato dell’ambiente

NOTE IDROLOGICHE E CORRENTI D’ARIA Una colorazione effettuata il 1° giugno 1991, immettendo fluoresceina nel torrente a valle del “Grande Corso d’Acqua Perenne”, ha evidenziato il collegamento con le sorgenti di Caporelle (q. 864), con il picco positivo 12 ore dopo l’immissione (distanza circa 2 km). Le acque dell’Abisso di Monte Vermicano non sembrano avere, invece, alcun collegamento con le più vicine sorgenti di Capo Cosa (q. 1170) (TERRAGNI, 1995b). Durante l’inverno l’ingresso Gresele emette una forte corrente d’aria calda, che fonde la neve eventualmente presente all’imbocco. L’ingresso del Vermicano, invece, aspira l’aria, ma in modo meno deciso. D’estate il verso di circolazione si inverte. A partire dal 1972, anno della scoperta del primo dei suoi imbocchi, la grotta è stata molto frequentata con un numero complessivo di visite stimabile in oltre un migliaio. I rami più frequentati sono quelli del Vermicano e del Gresele fino alla loro confluenza; lungo questo percorso si rinvengono

anche alcuni resti del massiccio intervento di soccorso effettuato nel 1982. Il salone “del Risucchio” è stato utilizzato come campo base per le esplorazioni nell’Abisso Vermicano. Operazioni di disostruzione necessarie per consentire il passaggio sono state effettuate in diversi punti del sistema sotterraneo. L’ingresso della Tana degli Eretici è stato aperto con scavo, così come alcuni passaggi all’interno; la sua frequentazione è già abbastanza numerosa, nonostante la data recente dell’esplorazione (1996). Comunque, le tracce di passaggio nell’intero sistema carsico sono nell’insieme poco percettibili e la discesa nel sistema sotterraneo conserva intatto il suo fascino. Nel 1991-’92 il CSR, in collaborazione con la USL di Frosinone, ha effettuato un monitoraggio microbiologico delle acque sorgive e sotterranee dell’Alta Valle del Fiume Cosa, rilevando la contaminazione da microrganismi sia delle sorgenti sia delle acque sotterranee del Gresele-Vermicano, probabilmente dovuta agli scarichi del sovrastante insediamento turistico di Campo Catino.

Note tecniche ABISSO VERMICANO, FINO ALLA “CONGIUNZIONE”: P112 d’ingresso con cenge a –20 e –50 (corda 135 m), P28 (corda 35 m), P19 (corda 30 metri), P5 (corda 8 m), P11 (corda 15 m), P3 (arrampicabile, eventuale corda 5 m), P7 (corda 12 m), salone “del Risucchio”, P30 (corda 40 m), congiunzione con l’Abisso Gresele (-247 dall’ingresso Vermicano).

ABISSO GRESELE, FINO ALLA “CONGIUNZIONE”: Ingresso con cunicolo stretto che immette direttamente nel P8 (corda 10 m), P55 (corda 65 m), P7+5 (corda 25 m), P19 (corda 25 m), P30 da scendere fino a 2 m dal fondo (corda 35 m; sopra questo pozzo iniziano il ramo “dei Presentatori” e il ramo “Yogurt e Nutella”); da qui parte un cavo telefonico che facilita l’individuazione del percorso successivo. P5 (corda 10 m), strettoia, P9 (corda 15 m), P5, corda 10 m), P20 da scendere solo per una decina di metri (corda 12 m), P15 (corda 20 m), P3 (corda 15 m ), P10 (corda 20 m), P6 (corda 10 m), P12 (corda 20 m), P2 (arrampicabile), P9 (corda 15 m), congiunzione con l’Abisso Vermicano (-297 dall’ingresso Gresele). DALLA “CONGIUNZIONE” (-297) AL FONDO: P5, P7, confluenza con il “Grande Corso d’Acqua Perenne”, P3, P4, traverso su cascata di 3 m, si evita un’alta cascata risalendo 3 m in arrampicata fino a una “finestrella”, sala “delle Pisoliti”, P3+P14 a gradoni (corda 25 m), si torna sul torrente, P3 (corda), P3 (corda), si superano i bivi per le risalite ai rami “Brioschi” e “delle Foglie”, P5 (arrampicabile), traverso arrampicabile (eventuale 331 corda di sicura: 10 m), P8 (corda 15 m), P10 (corda 20 m), procedendo lungo il fiume (deviazione in alto, seguendo la freccia) si supera una cascatella di 2,5 m e si giunge al fondo (-439).

Storia delle esplorazioni L’Abisso Vermicano fu esplorato parzialmente il 10 settembre 1972, su segnalazione di due locali, da soci dello SCR (A. Antonelli, V. Colaluca e Virginia Mura) che discesero i primi 50 m del grande pozzo d’ingresso, fino ad esaurimento delle scale: la domenica successiva D. Lunghini concluse la discesa del P112. Le esplorazioni vennero proseguite dallo SCR fra il settembre e il dicembre 1972 (Lunghini, P. Bianchetti, Antonelli, M. Sagnotti). Nel 1973 lo SCR riprese le esplorazioni, e l’11-12 agosto la squadra di punta (Bianchetti, Sagnotti e Cristina Semorile) raggiunse il fondo. Il 9 settembre 1979 S. Gambari (CSR), nel corso di una ricognizione esterna, tentò con successo il passaggio in una impegnativa fessura, affacciandosi sopra un salto: era l’inizio delle esplorazioni nell’Abisso Gemma Gresele. Le esplorazioni, ad opera del CSR (M. Monteleone, S. Gambari, F. Cingolani, C. Rocchi, M. Moriconi), proseguirono fino a quando, l’8 dicembre 1979, Monteleone, Cingolani e Gambari riuscirono a collegare l’Abisso Gemma Gresele all’Abisso Vermicano. I tentativi di esplorazione di altri rami sono stati numerosi, e, ovviamente, spesso senza successo. Di seguito sono riportate le esplorazioni più fortunate nei rami secondari. Fra il 1993 e il 1987 lo SCR (S. Gozzano, M. Mecchia, C. Fortunato, Andrea Felici, G. Sterbini e altri) ha esplorato il “Reseau dei Cavalieri del Coraggio” e “Pussy Galore”. Nel 1983-84 il CSR (Monteleone, M. Buttinelli, R. Umetelli, Ornella Sattalini, Mecchia, P. Terranova, M. Topani, C. De Monte) ha esplorato il ramo “dei Presentatori”. Negli anni fra il 1982 e il 1987 il CSR (Monteleone, A. Bucciano, Gambari, V. Sbordoni, F. Rusconi, Fortunato e E. D’Alessandro) con M. Mecchia e Anna Pedicone Cioffi, (SCR) ha esplorato “Yogurt e Nutella”. La frana in fondo al “Grande Corso d’Acqua Perenne” è stata superata da Monteleone (CSR) nel settembre 1981; l’esplorazione è stata poi proseguita nel 1988, in risalita nel ramo “Full PVC Jacket”, dall’ASR ‘86 (F. Donati, L. Zannotti e E. Pietrosanti). La risalita “di Cristiano” è stata iniziata nel il 1982 dal CSR (Buttinelli, Monteleone) e proseguita nel 1993 (S. Re) e 1998 (M. Di Bernardo). Il “ramo nuovo” è stato raggiunto in risalita il 7 novembre 1992 da S. Re, che lo ha esplorato con CSR (Monteleone, Gambari, Buttinelli, F. Sirtori) e SCR (M. Mecchia, Pedicone Cioffi e Dalma Pereszlenyi). Il 3-4 maggio 1997 il CSR (Letizia Argenti, M. Baldoni, A. Bucciano, Buttinelli, D’Alessandro, F. e M. Di Bernardo, Gambari, Monteleone, C. Norza, Pedicone Cioffi, Sbordoni, Sirtori, M. Stancanelli


Pozzo di Valle dell’Agnello Dati catastali 1068 La - comune: Vico nel Lazio (FR) - località: Valle dell’Agnello - quota: 1665 m carta IGM 1:25000: 151 II NE Vico nel Lazio - coordinate: 0°55’15”7 (13°22’24”1) - 41°48’38”2 carta CTR 1:10000: 377 130 Campocatino - coordinate: 2.384.880 - 4.630.110 dislivello: -62 m - sviluppo planimetrico: 120 m Aree protette di riferimento: SIC IT6050016 “Monte Ortara e Monte La Monna; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario

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Monti Ernici settentrionali: il Fosso della Liscia visto da Monte Ortara (foto G. Mecchia)

Monti Ernici settentrionali: il bacino chiuso di Campovano (foto G. Mecchia)

e Sterbini) e il GSC (P. Ricciotti, R. Sarra e T. Verdecchia) hanno aperto l’ingresso della Tana degli Eretici e sceso i primi pozzi; il 7-8 giugno viene raggiunto il fondo a -100 (Baldoni, Bucciano, V. Cenni, Roberta De Cristofaro, S. Demofonte, Gambari, F. Iacoacci, Monteleone, Norza, Pedicone Cioffi, Sirtori, A. Bastianon, Pagliarulo G., Vicario, Giorgiantoni e Gangemi); dopo aver allargato la strettoia a -100, il 26-27 luglio 1997 la grotta è stata congiunta con l’Abisso Gresele ad opera del CSR (Bastianon, Cenni, De Cristofaro, Demofonte, F. e M. Di Bernardo, Gambari, Iacoacci, L. Latella, Monteleone, Pedicone Cioffi, Righi, Sattalini, Sbordoni).

Descrizione (di Sergio Gilioli)

Bibliografia AGOSTINI & ROSSI, 1983; AGOSTINI, 1995; ANTONELLI, 1972; ANTONELLI, 1973; ANTONELLI & FELICI, 1974; ARDITO, 1988; DI RUSSO ET AL., 2002; DI RUSSO & SIMONELLI, 1996; DONATI, 1987; DONATI, 1988b; GAMBARI, 1983; GAMBARI, 1995; GAMBARI ET ALII, 1980; GOZZANO & MECCHIA M., 1984; MECCHIA G., 1987; MECCHIA M., 1987; MECCHIA M. & MECCHIA G., 1983; MONTELEONE, 1995a; MONTELEONE, 1995b; PANSECCHI & TROVATO, 1975; PIRO, 1987; TERRAGNI, 1995b.

Abisso della Liscia Dati catastali altro nome: Abisso Dan-One non catastata - comune: Morino (AQ) - località: Fosso della Liscia - quota: 1440 m carta IGM 1:25000: 151 II NE Vico nel Lazio - coordinate: 0°56’03’2 (13°23’11”6) - 41°49’38”3 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 377 130 Monte Rotondo - coordinate: 2386010 - 4631940 dislivello: -140 m - sviluppo planimetrico: 75 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale “Zompo lo Schioppo”; SIC IT7110080 “Monte Viglio - Zompo Lo Schioppo - Pizzo Deta”

Itinerario Da Morino si prende la strada in direzione della frazione La Grancia. Superato il paese, dopo 3,3 km si svolta a sinistra seguendo i cartelli per l’Oasi Naturalistica di “Zompo lo Schioppo”. Dopo 800 m si svolta ancora a sinistra passando davanti al parco giochi “La Fossa”. Dopo altri 600 m la strada diventa sterrata e in cattive condizioni; si prosegue con numerosi tornanti fino al rifugio della Liscia, a quota 1414. Dal rifugio si imbocca un sentiero che attraversa il torrente e lo si percorre per circa 200 m, quindi si scende a valle per altri 50 m. Si consiglia di procedere con cautela in prossimità del pozzo iniziale essendo questo non immediatamente visibile ed individuabile, quindi pericoloso (10 minuti di cammino).

L’ingresso è un pozzo di circa 2 m di diametro, profondo 12 m. Alla base si trovano due brevi diramazioni laterali cieche, mentre la grotta prosegue in basso con un P3; poi si scende un breve scivolo alla cui base una strettoia immette direttamente in un saltino di 3 m (punto B), seguito da un ampio pozzo di 16 m interrotto a metà da un ponte di roccia (punto C). Alla base del pozzo, uno stretto cunicolo orizzontale largo 30-40 cm si immette sul pozzo successivo, profondo 15 m (punto D), alla cui base parte il pozzo “delle Lame”. L’armo di questo pozzo, profondo 44 m, parte da un terrazzo che si raggiunge risalendo una paretina per circa 1,5 m, facendo attenzione ad alcuni buchi che danno direttamente sul salto. In realtà il pozzo “delle Lame” è costituito da un tratto iniziale ampio, che poi viene diviso in due da un diaframma di roccia realizzando un P44 (punto F) e un P34 (punto G) paralleli. Sceso il P44 la grotta prosegue con un salto di 8 m che porta ad una fessura impercorribile. Per raggiungere il lago “Vivo” (fondo della grotta) è necessario, invece, scendere la verticale del P34. Si prosegue poi direttamente in un pozzo di 19 m (punto H). Alla base del P19 un basso e scomodo passaggio permette di accedere ad un nuovo pozzo di 20 m (punto I), alla base del quale uno scivolo immette in un ambiente impostato su frattura. Si tratta di un pozzo (punto J) che è stato disceso in periodo di secca per 14 m fino al fondo della grotta (-140), con depositi di detriti e fango. In alcune occasioni questo ambiente è stato trovato allagato per almeno 9 m di profondità (lago “Vivo”). Nella cavità non sono presenti concrezioni, mentre le pareti sono interessate da discreti scorrimenti d’acqua; la roccia è fortemente lavorata, e presenta scallops e lame che possono sporgere dalle pareti anche alcuni metri. Da alcuni cunicoli laterali sgorgano apporti idrici che alimentano il laghetto terminale. Sono state osservate circolazioni d’aria che variano repentinamente di direzione e portata.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata nel 1999, è stata scarsamente frequentata, anche per l’impossibilità, per buona parte dell’anno, di percorrere in auto la lunga strada di avvicinamento. L’ambiente interno risulta integro.

Note tecniche P12 d’ingresso, P3, strettoia che immette direttamente in un P3, P16 con ponte di roccia a metà discesa, P15, alla base si risale paretina di 1,5 m fino al terrazzo di partenza del P44. Questo pozzo è diviso in due parti da diaframma di roccia; per raggiungere il fondo della grotta di scende dalla parte meno profonda (P34). P19, P20, P14 (saltuariamente allagato, fondo, -140).

Storia delle esplorazioni Esplorata dal Gruppo Grotte e Forre “F. De Marchi” CAI L’Aquila, nel 1999. Le esplorazioni sono ancora in corso nel 2002.

Da Guarcino si prende la strada che porta a Campocatino, e si lascia la macchina al km 12,800, sul piazzale davanti all’osservatorio astronomico, in località Colle Pannunzio. Si prende la strada sterrata sulla destra, chiusa da una sbarra, percorribile in auto soltanto previa autorizzazione del Comune di Guarcino. Si segue la strada in piano, percorrendo circa 2 km fino ad un bivio con un’altra strada sterrata che sale ripida (20 minuti di cammino dalla sbarra). Dal bivio si prosegue sulla strada principale, in piano, si supera il largo letto del Fosso del Renato, si costeggia un traliccio elettrico e si prosegue per altri 200 m finché sulla sinistra si trova un sentiero poco evidente (altri 30 minuti di cammino). Qui si lascia l’auto se la strada è stata percorsa in macchina. Si prosegue quindi sul sentiero che si dirige verso SE restando più o meno in quota. Dopo 500 m si raggiunge una grande radura (400x100 m) con pochi grandi alberi secolari, dove si incontra un sentiero segnato (n. 11; segni gialli e rossi) che viene da Guarcino e che porta alla vetta della Monna. Lo si risale per circa 1 km fino ad incontrare una piccola forra che si evita passando sulla destra, sempre seguendo il sentiero; subito dopo essere risaliti al disopra delle paretine della forra si incontra l’ingresso del pozzo, che intercetta il sentiero (1 ora e 20 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è in una spaccatura nella quale si aprono due buchi: quello a monte è profondo 3 m e chiuso alla base, quello a valle (punto 1) è largo 1,5 m e immette in un pozzo profondo 62 m. Dopo pochi metri di discesa il pozzo si allarga in una grande spaccatura d’interstrato orientata N50°W e inclinata 80°NE. Il pozzo è interrotto da due terrazzi, a 18 m e a 48 m di profondità. Dal primo terrazzo, traversando verso destra (est) si entra in una spaccatura alta una decina di metri e larga un paio di metri. Dopo pochi metri, sulla parete destra (punto 2) è stato aperto un “oblò” che intercetta a metà un pozzo parallelo, profondo una quindicina di metri e chiuso alla base; dall’alto scende acqua. Passando davanti all’”oblò” e proseguendo oltre, la spaccatura si stringe e si abbassa, si superano un paio di strettoie, si percorre una condotta in discesa a scivolo fino (punto 3) ad uno stretto pozzo. Il pozzo è profondo 20 m e può essere sceso in arrampicata. Alla base, tramite una strettoia si entra in un ambiente con vari diverticoli che chiudono (-35). Sul P62, a 35 m di profondità si può entrare in una “finestra” (punto 5) in parete e percorrere una galleria a scivolo in forte discesa che termina in frana (punto 8, -62). Una forte corrente d’aria percorre la grotta. E’ stata misurata una temperatura di 3,2°C (GAMBARI, 1995).

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1979, è stata nel complesso scarsamente frequentata dagli speleologi; le visite sono state quasi esclusivamente finalizzate alla ricerca di prosecuzioni con interventi di disostruzione.

Note tecniche Spaccatura profonda 62 m con terrazzi a –18 e –48 (corda 80 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata fino al fondo il 14 ottobre 1979 dal CSR (S. Gambari, A. Mechelli, M. Moriconi, V. Sbordoni e Carmen Specchia). In tre punte nell’agosto 1991 il CSR (M. Buttinelli, S. Gambari, D. Giammei, M. Monteleone, F. Rusconi, Ornella Sattalini), e lo SCR (Marina Nuzzi, Anna Pedicone Cioffi e G. Sterbini) hanno esplorato i rami laterali.

Bibliografia GAMBARI, 1995; MONTELEONE, 1995a; MONTELEONE, 1995b; RUSCONI, 1990.


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Grotta Verdecchia

Bibliografia GAMBARI, 1995; MECCHIA G., 1996; MONTELEONE, 1995b; RICCIOTTI & SARRA, 1997.

Dati catastali 1170 La - comune: Guarcino (FR) - località: Innola - quota: 1245 m carta IGM 1:25000: 151 II NE Vico nel Lazio - coordinate: 0°53’50” (13°20’58”4) - 41°49’07” carta CTR 1:10000: 377 130 Campocatino - coordinate: 2.382.940 - 4.631.040 dislivello: +2/-4 m - sviluppo planimetrico: 280 m Area protetta di riferimento: ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Guarcino si prende la strada per Campocatino. Al km 10,500, lungo un tornante a sinistra (quota 1345 m) si lascia la macchina e si imbocca un sentiero sulla destra, che scende alle sorgenti del Fiume Cosa (circa 1 km, 200 m di dislivello). Dalle sorgenti si risale un fosso fino alla confluenza tra il Fosso Vermicano, a sinistra, e il Fosso di Valle Agnello, a destra. Si risale quest’ultimo proseguendo per circa 250 m. L’ingresso della grotta è sulla destra orografica del fosso (30 minuti di cammino). In alternativa, si lascia la macchina al km 12,800, sul piazzale davanti all’osservatorio astronomico, in località Colle Pannunzio. Si prende la strada sterrata sulla destra, chiusa da una sbarra, percorribile in auto soltanto previa autorizzazione del Comune di Guarcino. Si segue la strada in piano, percorrendo circa 4,5 km. Subito dopo una ripida discesa si lascia l’auto (se la strada è stata percorsa in macchina) presso il largo canalone di Valle dell’Agnello, a quota 1380 (1 ora di cammino dalla sbarra). Si discende quindi il canalone per un centinaio di metri di dislivello finchè, in una zona in cui il torrente compie dei piccoli salti, sulla destra in alto si apre la grotta (1 ora e 15 minuti di cammino).

Grotta del Risorghiotto Dati catastali 1033 La - comune: Guarcino (FR) - località: Fiume Cosa - quota: 1040 m carta IGM 1:25000: 151 II NE Vico nel Lazio - coordinate: 0°53’03” (13°20’11”4) - 41°48’50” carta CTR 1:10000: 377 130 Campocatino - coordinate: 2.381.860 - 4.630.530 dislivello: -18 m - sviluppo planimetrico: 190 m Area protetta di riferimento: ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Guarcino si prende la strada per Campocatino. Al km 10,500, lungo un tornante a sinistra (quota 1345 m) si lascia la macchina e si imbocca un sentiero sulla destra, che scende alle sorgenti del Fiume Cosa (circa 1 km, 200 m di dislivello). Dalle sorgenti si discende lungo il fosso per circa 800 m e 120 m di dislivello. L’ingresso della grotta è in alto sulla destra orografica del fosso (45 minuti di cammino).

Descrizione (da GAMBARI, 1995) La grotta agisce da risorgenza di troppo pieno, lo scorrimento idrico, infatti, si attiva solo in seguito a forti piogge. L’ingresso è un grande antro seguito da una strettoia e quindi da un breve sifone perenne, il cui svuotamento (con pompa) ha permesso di accedere ad una galleria freatica esplorata per circa 200 m. Superato il 1° sifone (ridotto ad una pozza d’acqua dopo lo svuotamento), si avanza per un centinaio di metri nella condotta con un andamento a sali-scendi, che crea una successione di sifoni svuotabili con pompa dall’esterno, fino a raggiungere lo specchio d’acqua (punto 5) del sifone terminale, nel quale la quota durante le esplorazioni era di 5 m più bassa rispetto a quello dell’imbocco. Questo sifone è stato esplorato in immersione con le bombole per una lunghezza di circa 80 m, senza riscontrare alcun tratto emerso; in questo tratto il condotto continua a mantenere il tipico andamento a sali-scendi. Misure effettuate a 54 m dall’ingresso hanno rivelato una temperatura dell’aria di 8°C mentre quella dell’acqua risultava di 7°C.

Stato dell’ambiente L’ingresso della grotta è stato disostruito nel 1989. Scarsamente frequentata per la presenza del sifone, ha visto un numero complessivo di visitatori fino ad oggi probabilmente inferiore a 200. Analisi di laboratorio effettuate sulle acque hanno evidenziato un inquinamento microbiologico (DI RUSSO & SIMONELLI, 1996).

Descrizione (informazioni di Roberto Sarra) Si tratta di una risorgenza temporanea che inizia con una galleria diretta verso ESE, alta circa 2 m e larga altrettanto, a cui segue un breve cunicolo con notevoli depositi di latte di monte. Dall’inizio del cunicolo si scende progressivamente fino al sifone (punto 6, è il punto di quota più bassa di tutta la grotta, -4), a 60 m dall’ingresso. Nei periodi di magra il sifone può facilmente essere superato in apnea. Oltre il sifone il cunicolo si restringe, risale ed assume l’aspetto di un vero e proprio condotto freatico. Quindi (punto 7) cambia direzione (da 120° a 30°) e si restringe ulteriormente fino ad un primo laghetto (punto 8) dove la galleria riprende l’andamento prevalente ESE. Segue uno scivolo fangoso e un secondo laghetto (tratto 10-11) con la volta molto bassa nella parte centrale. Prima del laghetto, sulla destra si può risalire per circa 3 m fino ad una sala con un foro perfettamente circolare sul pavimento, troppo stretto per essere sceso. Dopo il secondo laghetto la cavità assume di nuovo l’aspetto di interstrato fino ad intercettare (punto 12) una linea di frattura molto evidente; si passa sotto una lama di roccia e si risale per circa 3 m. Bisogna superare una strettoia e salire un paio di metri per accedere alla parte più ampia della grotta, la sala “delle Cannule” (tratto 13-14); si tratta di un lungo salone (circa 40 m di lunghezza, fino a 10 m di larghezza e 6-7 m di altezza) ingombro di massi di crollo, con presenza di numerose concrezioni. In questa zona è stata osservata la mancanza di scorrimento idrico, mentre un intenso stillicidio proviene da un pozzo in risalita (non esplorato). L’acqua sparisce tra i massi di crollo sulla sinistra della sala. La cavità prosegue ancora per circa 60 m con un basso e stretto cunicolo fino ad una strettoia non superabile (punto 17, +2). L’esplorazione della grotta è stata effettuata con una presenza di acqua estremamente limitata, se si esclude il sifone, alcuni laghetti e l’intenso stillicidio proveniente dalla volta nella parte iniziale della sala “delle Cannule”. Nei periodi molto piovosi, invece (per es. Natale ‘95 e Pasqua ’96), la grotta è andata rapidamente in piena, con portate di circa 30 l/s all’emergenza. Altrettanto rapidamente la risorgenza è poi tornata in secca; il livello del sifone però si riduce molto lentamente.

Stato dell’ambiente La risorgenza, esplorata a partire dal 1995, è stata scarsamente frequentata soprattutto a causa della presenza di sifoni, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Le condizioni ambientali originarie risultano inalterate.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature; è conveniente indossare la muta.

Storia delle esplorazioni Esplorata fra il 30 agosto e il 28 ottobre ‘95 dal GSC (T. Verdecchia, P. Ricciotti, G. Spaziani e A. Liburdi) e dallo SZC (A. Procaccianti e E. Mariano).

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Note tecniche

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Storia delle esplorazioni L’ingresso è stato disostruito il 18 giugno 1989 dal CSR (P. Bongianni, A. Bucciano, F. Iacoacci, F. Rusconi e F. Terragni) e in quell’occasione è stato raggiunto il secondo sifone. Quest’ultimo è stato svuotato dal CSR il 9 luglio 1989 (Bongianni, Bucciano, A. Fratoddi, Iacoacci, M. Monteleone, F. Pedone, F. e G. Rusconi, Ornella Sattalini, G. Spinello, Terragni); l’esplorazione si è poi fermata davanti al terzo sifone. Il 7 e 8 agosto 1991 Letizia Argenti, accompagnata da una squadra di appoggio del CSR (M. Buttinelli, E. D’Alessandro, R. Ferrante, Monteleone, Pedone, F. Rusconi, Sattalini e Terragni), ha percorso con le bombole 81 m del terzo sifone.

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La grotta può essere percorsa o in immersione con attrezzature speleosubacquee o svuotando i primi 3 sifoni con pompa (tratto a sali-scendi) fino al 4° sifone “terminaleâ€?; in questo caso è necessaria la muta per superare le pozze che rimangono allagate.

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Bibliografia

ARGENTI, 1995; DI RUSSO & SIMONELLI, 1996; GAMBARI, 1995; MECCHIA G. & PIRO, 1989a; MONTELEONE, 1995a; MONTELEONE, 1995b; RUSCONI, 1990; TERRAGNI, 1995b.

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Grotta di San Luca Dati catastali 13 La - comune: Guarcino (FR) - località: sulla parete sotto il convento di San Luca - quota: 720 m carta IGM 1:25000: 151 II NO Fiuggi - coordinate: 0°52’27”5 (13°19’35”9) - 41°48’17” carta CTR 1:10000: 376 160 Monte Colonna - coordinate: 2.380.980 - 4.629.550 dislivello: -45 m - sviluppo planimetrico: 103 m - sviluppo spaziale: 125 m Area protetta di riferimento: ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Guarcino si prende la strada che porta al Convento di San Luca. Attraversato il convento, si scende verso il Fiume Cosa sul ripido sentiero che parte dalla cisterna d’acqua del convento, scendendo verso il fondovalle. Dopo poche decine di metri il sentiero passa a fianco dell’imbocco (5 minuti di cammino).

Descrizione L’imbocco ha una sezione tondeggiante del diametro di circa 1 m e immette in una galleria discendente, di interstrato, con inclinazione uniforme di 30° verso ovest, lungo l’immersione degli strati. Lo sviluppo è di 120 m fino ad un abbassamento della volta (punto 6, -45). Il condotto nella parte iniziale è largo 5 m e alto 1,5 m. Più avanti presenta vari restringimenti e abbassamenti, pur mantenendo nel complesso caratteristiche costanti. Il pavimento è quasi ovunque coperto da un crostone stalagmitico e in vari punti si rinvengono stalattiti o formazioni colonnari. Nel periodo invernale nella parte centrale della grotta lo stillicidio si raccoglie in un rivolo d’acqua, che scendendo diviene progressivamente più consistente, e che si infiltra tra il detrito al fondo della grotta.

Grotta di San Luca: passaggi tra concrezioni (foto M. Zampighi)

Stato dell’ambiente Esplorata già nel 1855, la grotta presenta alterazioni evidenti riferibili solo a poche stalattiti danneggiate nella parte iniziale.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni Venne esplorata da Fabio Gori, che ne parla nella sua opera del 1855, e rivisitata da Camillo Crema, che la descrive in un suo articolo del 1921.

Bibliografia ANTONELLI & FELICI, 1974; BOEGAN, 1928; BOTTI, 1925; CREMA, 1921; DOLCI, 1965; GAMBARI, 1995; GORI, 1855; GORI, 1864; LUPIA PALMIERI & ZUPPI, 1977; MANCINI, 1997; MECCHIA G. & PIRO, 1989a; MONTELEONE, 1995b; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c.

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IL MONTE PIZZO DETA

Abisso di Pizzo Deta Dati catastali 139 A - comune: San Vincenzo Valle Roveto (AQ) - localitĂ : versante N di Pizzo Deta - quota: 1465 m carta IGM 1:25000: 152 III NO Balsorano - coordinate: 1°03’25â€? (13°30’33â€?4) - 41°48’25â€? carta CTR 1:10.000 (Abruzzo): 377 150 Balsorano - 2.396.170 - 4.629.520 dislivello: -130 m circa (rilevato -116) Area protetta di riferimento: SIC IT7110080 “Monte Viglio - Zompo Lo Schioppo - Pizzo Detaâ€?

Itinerario (di Lorenzo Grassi) Da Balsorano si raggiunge la frazione di Roccavivi; dalla piazza principale di quest’ultima, ad un trivio si prende la strada a sinistra che, poco dopo, diventa sterrata. La si segue per 3,5 km in salita fino ad una fonte (Colle Pratella). Si prosegue per altri 2 km, tagliando in quota il versante NE di Pizzo Deta, fino a giungere al termine della strada nei pressi di alcuni stazzi e legnaie, dove si lascia la macchina. Per traccia di sentiero si sale ai ruderi soprastanti, ben visibili dalla strada. Qui si incontra un sentiero segnato con bolli gialli e rossi sbiaditi che prosegue con lungo percorso, non sempre evidente, sino al Vallone di Peschiomacello; per raggiungere l’abisso basta seguirlo per un brevissimo tratto, deviando poi a sinistra (appena prima di un fusto di plastica utilizzato per la raccolta dell’acqua) su un sentiero segnato con cerchi rossi. Il sentiero risale fino alla base dell’evidente canalone che scende verticale dalla vetta della montagna. Con percorso intuitivo, diretto e faticoso, si risale il canalone, superando un evidente restringimento. Raggiunta la quota della grotta (1465 m), si lascia il letto del canalone e si traversa a destra in orizzontale. Dopo circa 150 m si raggiunge l’imbocco del pozzo, che si trova sul bordo di una larga radura (2 ore e 30 minuti di cammino).

Stato dell’ambiente Il pozzo, scoperto nel 1959, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina, a causa del lungo e impervio percorso di avvicinamento. Non sono segnalati danneggiamenti e alterazioni dello stato ambientale.

Note tecniche P112 d’ingresso con cenge a –25 e –50, strettoia in frana, P15, fondo (-130).

Storia delle esplorazioni Il pozzo iniziale è stato esplorato il 28 novembre 1959, da una spedizione dell’URRI; è stato disceso dallo spagnolo A. Eraso Romero, mentre G. Pantanella (URRI) si fermava alla cengia di -50 m e un altro spagnolo F. Ruiz de Arcaute e G. Pasquini (SCR) effettuavano le sicure esterne. Nel maggio 1988 il GS CAI Roma (Maria Luisa Battiato, M. Chiariotti, Sonia Galassi, L. Lascala e F. Mingolla) ha ridisceso il pozzo iniziale ed esplorato il P15.

Bibliografia GRASSI, 1989a; NIZI, 1981; PASQUINI, 1959c; TROVATO & GRESELE, 1973a; URRI, 1959.

Descrizione (Informazioni di Fabio Mingolla)

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 152 Sora 1 = Abisso di Pizzo Deta

Si apre con un grande pozzo profondo 112 m, con imbocco di 5x4 m. Il pozzo si è originato dalla coalescenza di tre fusi adiacenti impostati su una frattura orientata N20°W. Pochi metri sotto l’imbocco si nota la presenza di un nido di gracchi. A 25 m di profonditĂ si atterra su una cengia di 4x5 m, che costituisce un setto fra i due fusi principali. Qui, infatti, una fessura larga 1-1,5 m e alta 4-5 m, che però dopo 5 m stringe, permette di accedere lateralmente al fuso parallelo che proviene dalla superficie, e quindi si collega di nuovo con il pozzo principale. Sotto la cengia (punto 2) il pozzo scampana progressivamente, con dimensioni che aumentano

coordinate riquadro:

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da 4x2 m a 20x8 m alla base. A -50 (punto 3) si trova la cengia “Pantanellaâ€?. A circa 100 m di profonditĂ si nota una “finestraâ€?, alta 1-1,5 m e larga 40 cm (inesplorata). La base del pozzo è costituita da un grande accumulo detritico in discesa, all’estremitĂ del quale (punto 5, -116) è stato aperto uno stretto passaggio nella frana, oltre il quale (tratto non rilevato) si apre un pozzo profondo una quindicina di metri, con imbocco di 1 m di diametro, che termina in una saletta di 4 m di diametro da cui partono alcuni diverticoli (fondo, circa -130).

angolo NW = 1°00’ - 41°51’ angolo SE = 1°09’ - 41°45’

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Abisso di Pizzo Deta: l’imbocco del pozzo (foto M. Chiariotti)


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I MONTI ERNICI MERIDIONALI

Pozzo Santullo (foto M. Piro)

Grotta di Collepardo: il salone (foto A. Carè)

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 151 Alatri 1 = Pozzo Santullo 2 = Grotta di Collepardo 3 = Grotta Imbroglita

coordinate riquadro: angolo NW = 0°52’ - 41°47’ angolo SE = 1°00’ - 41°40’

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La Valle del Fiume; si nota l’ingresso triangolare della Grotta di Collepardo (foto inedita di E.A. Martel, 1903)

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Pozzo Santullo Dati catastali altro nome: Pozzo d’Antullo 23 La - comune: Collepardo (FR) - località: Pozzo Santullo - quota: 660 m carta IGM 1:25000: 151 II NE Vico nel Lazio - coordinate: 0°54’58” (13°22’06”4) - 41°46’12” carta CTR 1:10000: 390 010 Vico nel Lazio - coordinate: 2.384.400 - 4.625.600 dislivello: -43 - asse maggiore: 155 m - asse minore: 135 m Area protetta di riferimento: ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Bibliografia ABBATE, 1886; ABBATE, 1894; AGOSTINI, 1981; ANTONELLI & FELICI, 1974; APOLLONI,1887; BROCCHI, 1825; CAPPELLI, 1922; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954a; DE NAPOLI, 1928; DOLCI, 1965; FERRI RICCHI, 2001; GAMBARI, 1995; GORI, 1855; GORI, 1864; GREGOROVIUS, 1877; IMPERI, 1930; MANCINI, 1997; MAROCCO, 1883; MAR TEL, 1928; MONTELEONE, 1995b; PALMIERI, 1863; PONZI, 1853; SANTUCCI, 1845; SEGRE, 1945; SEGRE, 1947g; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c; SEGRE, 1948d; SEGRE, 1951a; SEGRE, 1956; SPADONI, 1802; STEFANI, 1854; VIOLA, 1897.

Grotta di Collepardo

Itinerario Da Collepardo si prende la strada per il cimitero. Dopo 1 km si raggiunge la recinzione del pozzo, posta sulla destra, individuabile grazie ai cartelli turistici. La recinzione, realizzata per regolamentare l’afflusso turistico, impedisce l’accesso diretto alla voragine.

Descrizione Si tratta di una grande voragine con pianta a forma quadrilatera, con diagonali di 135 m e 110 m (orlo esterno), e pareti strapiombanti lungo tutto il perimetro; è probabile che originariamente questo ambiente costituisse un grande salone a volta. Dal punto classico di discesa, si scende una verticale di 38 m (la parte alta del grande pozzo è costituita da una breccia cementata, poi si entra nei calcari del Cretacico) e si atterra presso la sommità di un conoide di detrito. Dal punto di discesa seguendo il bordo della parete verso sinistra (guardando la parete), si può raggiungere il punto più depresso della cavità (-43), dove, fra grandi massi franati, le acque scompaiono in un cunicolo impraticabile. La parete sovrastante (sud) è uno specchio di faglia diretto N60°W e con immersione di 70° verso SW. Dal fondo si può risalire verso la parete opposta, raggiungendo il punto della base del pozzo a quota più elevata (-34). La base del pozzo è leggermente più larga dell’imbocco, infatti gli assi misurano 150 e 140 m, ed è coperta da cumuli di detrito e massi, e da una folta vegetazione, con alberi alti fino a 20 m. All’interno della voragine il crollo della volta ha lasciato sulle pareti strapiombanti numerose stalattiti, dovute a percolazione di acque meteoriche attraverso fratture nella volta e ormai molto degradate. Ancora adesso, comunque, esiste un certo stillicidio e durante le forti precipitazioni si formano cascatelle provenienti da vari punti delle pareti.

Stato dell’ambiente La gigantesca cavità è ovviamente nota da sempre; sembra che nel passato la grotta sia stata utilizzata anche dai pastori (che evidentemente vi si calavano per mezzo di funi) come ricovero stagionale degli animali. Attualmente sul fondo sono presenti molti rifiuti gettati dall’alto. Negli ultimi anni è stata realizzata una recinzione sia per prevenire cadute accidentali sia per regolamentare a fini turistici la visione dell’antro.

Note tecniche Dal punto “classico” di discesa la verticale è di 42 m (corda 55 m).

Storia delle esplorazioni Conosciuta da sempre; secondo leggende locali la voragine si sarebbe aperta il giorno di Ferragosto nell’aia in cui alcuni agricoltori lavoravano. Fu discesa per la prima volta nel 1800 dal geologo marchigiano Paolo Spadoni, in compagnia di due contadini del luogo, in occasione della visita alla vicina Grotta dei Bambocci. Nel 1903 E.A. Martel dopo una visita alla grotta formulò l’ipotesi di un collegamento sotterraneo fra il Pozzo e la Grotta di Collepardo, ipotesi che si ritrova anche in leggende locali, ma che non è suffragata dai fatti.

Dati catastali altri nomi: Grotta della Regina Margherita; Grotta dei Bambocci 22 La - comune: Collepardo (FR) - località: Torrente Cosa - quota: 490 m carta IGM 1:25000: 151 II NE Vico nel Lazio - coordinate: 0°54’47”4 (13°21’55”8) - 41°45’28”6 carta CTR 1:10000: 390 010 Vico nel Lazio – coordinate: 2.384.115 - 4.624.275 dislivello: +26/-11 m - sviluppo planimetrico: 130 m Aree protette di riferimento: SIC IT6005006 “Grotta dei Bambocci di Collepardo; ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Collepardo si prende la strada verso l’Abbazia di Trisulti; dopo 800 m si imbocca una strada in discesa a destra, e dopo 3 km si lascia la macchina nel parcheggio. Da qui una scalinata porta al piazzale d’ingresso che dà accesso al percorso turistico. La grotta si apre circa 30 m al disopra del letto del fiume Cosa, che in quel punto scorre in una stretta gola.

Descrizione Anche se non si nota immediatamente, la Grotta di Collepardo consiste di un unico grande ambiente esteso in lunghezza per oltre 90 m e largo da 30 a 60 m, con la volta alta fino a 20 m, diviso in tre settori tramite sbarramenti naturali formati da colonne stalagmitiche. Queste ultime risultano allineate secondo le direzioni delle principali faglie, i cui piani sono ben visibili all’interno sotto forma di pareti lisce e verticali. Un grande ingresso triangolare chiuso da un cancello, largo alla base 11 m e alto 7 m, immette in un vasto (30x25 m) ambiente in discesa, ingombro di massi di crollo; sul suo fondo, nel punto più basso (punto 2), un tempo esisteva un lago che raccoglieva le acque di rivoli sotterranei. Da qui l’andamento del fondo della grotta è in netta salita, soprattutto nell’ultima parte, dove i cumuli di massi di crollo sono ricoperti da crostoni di concrezione, vaschette, stalagmiti, e soprattutto colonne, di ogni tipo e dimensione. Anche la volta è mascherata da concrezioni e cortine stalattitiche. Sulla destra, superata la depressione iniziale, si trova la sola diramazione che si stacca dall’ambiente principale: procedendo per 20 m in una stretta ed alta frattura si giunge (punto 6) ad una sala allungata (25 m di lunghezza) abitata da una colonia di pipistrelli. Anche se la grotta non è più attraversata dai rivoli d’acqua, lo stillicidio è ancora notevole.

Stato dell’ambiente La grotta è nota da sempre e attrezzata per la fruizione turistica dal 1982. Gli interventi di adeguamento alla nuova destinazione d’uso hanno comportato la realizzazione di camminamenti di cemento con ringhiere metalliche, e la modifica di alcuni tratti con escavazione di gradini nella roccia. Molte concrezioni sono annerite, forse per il fumo delle torce utilizzate nel secolo scorso, o forse per percolazione di sostanze inquinanti in tempi più recenti.

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Grotta Imbroglita: una sala (foto G. Mecchia)

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Grotta Imbroglita: una sala (foto G. Mecchia)


Non è stata osservata alcuna corrente d’aria.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni Le prime notizie scritte della grotta si trovano nell’opera del geologo marchigiano Paolo Spadoni (1802). Tra il 1817 e il 1822 la Grotta di Collepardo fu visitata dal geologo Giovan Battista Brocchi che la paragonò alla Grotta di Antiparos, considerata all’epoca la più bella grotta conosciuta. Nel 1824 fu esplorata dall’abate e letterato Domenico Santucci, accompagnato dall’architetto Rossini e dagli incisori Cottafavi, Bossi e Parboni, inviati dal principe Baldassarre Boncompagni. Il Santucci pubblicò a Parigi un opuscolo di 131 pagine (La grotta di Collepardo, Parigi 1845) con una minuziosa descrizione della grotta; una delle figure mostra la pianta e la sezione della grotta di Collepardo, ed è da considerare il primo rilievo speleologico conosciuto nella regione. Il nome “Grotta dei Bambocci” deriva dal fatto che così furono chiamate nella fantasia popolare le grandi colonne stalagmitiche che la adornano. Il nome “Grotta della regina Margherita” fu dato in occasione di una visita della regina avvenuta nel 1904.

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre” ed è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi lontani, come testimoniano i frammenti di ceramica e le ossa umane della probabile età del bronzo rinvenuti nella parte terminale della grotta. Sul pavimento d’ingresso si trovano numerose ossa di animali; la sala seguente ha subito ingenti danni da una frequentazione vandalica che ha portato all’intero danneggiamento della notevole dotazione di speleotemi, spezzati ovunque. Più in basso un piccolo dislivello verticale ha limitato l’azione distruttiva, quasi assente nella zona più profonda.

Note tecniche Sul saltino iniziale è consigliabile uno spezzone di corda da 3 m. P5 alla fine della prima sala, corda 10 m

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1940 da A.G. Segre e A. Alonzi.

Bibliografia ABBATE, 1886; ABBATE, 1894; AGOSTINI, 1981; AGOSTINI & FOR TI, 1979; ANTONELLI & FELICI, 1974; APOLLONI, 1887; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA 1973a; BROCCHI, 1825; CAPPELLI, 1922; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954a; DE NAPOLI, 1927; DOLCI, 1965; GAMBARI, 1995; GOBETTI, 1991; GORI, 1855; GORI, 1864; GREGOROVIUS, 1877; IMPERI, 1930; JERVIS, 1874; MANCINI, 1997; MAROCCO, 1883; MAR TEL, 1928; MONTELEONE, 1995b; PALMIERI, 1863; PIRO & MECCHIA, 1993; PONZI, 1848; PONZI, 1853; SANTUCCI, 1845; SEGRE, 1945; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948d; SEGRE, 1951a; SEGRE, 1956; SPADONI, 1802; STEFANI, 1854.

Bibliografia ANTONELLI & FELICI, 1974; DOLCI, 1966; DOLCI, 1967; GAMBARI, 1995; MANCINI, 1997; MONTELEONE, 1995b; SARRA, 2000b; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948c; SEGRE, 1956.

Grotta Imbroglita Dati catastali altro nome: Grotta del Caùto 219 La - comune: Veroli (FR) - località: Capodacqua - quota: 690 m carta IGM 1:25000: 151 II SE Alatri - coordinate: 0°59’26”5 (13°26’34”9) - 41°44’31” carta CTR 1:10000: 390 060 Santa Francesca - coordinate: 2.390.530 - 4.622.375 dislivello: -35 m - sviluppo planimetrico: 97 m Area protetta di riferimento: ZPS IT6050008 “Monti Simbruini ed Ernici”

Itinerario Da Veroli si prende la strada che porta a Prato di Campoli. Superata Santa Maria Amaseno (circa 7 km) e il primo ponte sul torrente Amaseno (Ponte dei Cementi) si ferma la macchina alla prima curva, 200 m dopo il ponte, nei pressi di un bivio con una strada sterrata a sinistra (q. 618). Si risale il versante S del monte Il Parco fino ad arrivare sotto una paretina, prima di entrare nel bosco. L’ingresso si apre alla base della paretina (5 minuti di cammino).

Descrizione L’imbocco, con sezione triangolare larga 1,5 m, è un saltino profondo 2 m che immette in una galleria impostata su una evidente frattura. Il pavimento è detritico e vi si trovano numerose ossa di animali; il soffitto si abbassa per rialzarsi dopo pochi metri in una larga (20x8 m) sala in discesa (punto 2), alta fino a 7 m. Quest’ultima, posta all’incrocio tra la frattura iniziale ed una faglia ad essa perpendicolare, con evidenti segni dei crolli che la hanno formata, ha il pavimento quasi interamente ricoperto da crostoni stalagmitici e stalattiti spezzate. Lo stillicidio è quasi assente. Una colonia di pipistrelli popola la sala, che termina su una parete con un evidente specchio di faglia, orientato circa N-S. La prosecuzione è un salto di circa 5 m formato da un enorme masso. Alla base si trova un ambiente, lungo una quindicina di metri e anche questo in discesa, con il pavimento formato da un accumulo di frana dell’altezza di almeno 3-4 m; vi si trova qualche vaschetta di acqua limpida. Qui sono stati trovati frammenti di ceramica e ossa umane della probabile età del bronzo. Segue uno scivolo che porta all’ultima sala (fra i punti 3 e 5), la più grande (30x10 m), allungata in direzione NE-SW. Il soffitto, un letto di strato, è interamente ricoperto di piccole stalattiti, mentre sul pavimento sono presenti depositi di fango e di guano. Nei periodi piovosi al centro dell’ambiente si forma un laghetto. La sala è molto concrezionata, con numerose colonne, stalattiti e stalagmiti ancora attive, e sulle pareti colate calcitiche. Verso est parte (punto 5) una galleria tondeggiante del diametro di circa 4 m, che man mano si abbassa e si stringe fino ad una bassa strettoia, per poi rialzarsi in una cameretta (punto 6) dove, tra strati, arriva una vena d’acqua che scompare in un limpido laghetto con il fondo detritico. La galleria è chiaramente attiva, non concrezionata e con scallops sulle pareti.

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LA CONCA DI FIUGGI

Pertuso di Canterno: l’ingresso è situato alla base della torre, sul fondo del lago (foto G. Mecchia)

Pertuso di Canterno Dati catastali

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 151 Alatri

altro nome: Inghiottitoio del Lago di Canterno 105 La - comune: Fumone (FR) - localitĂ : Lago di Canterno - quota: 515 m carta IGM 1:25000: 151 II SO Ferentino - coordinate: 0°47’56â€? (13°15’04â€?4) - 41°44’40â€? carta CTR 1:10000: 389 080 Fumone - coordinate: 2.374.600 - 4.623.000 Area protetta di riferimento: Riserva Naturale del Lago di Canterno

1 = Pertuso di Canterno

Itinerario

coordinate riquadro:

Da Fiuggi si raggiunge il Lago di Canterno, ben segnalato da cartelli turistici. La grotta si apre sul fondo del lago a 25 m di profonditĂ .

angolo NW = 0°43’ - 41°48’ angolo SE = 0°53’ - 41°41’

Descrizione

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L’ingresso è sul fondo del Lago di Canterno, ed è situato all’interno della torre che emerge dallo specchio d’acqua. La grotta quindi non è piĂš percorribile. SEGRE (1948a) riporta la seguente nota sulla storia della formazione del lago: “Ai primi dell’800 al posto dell’attuale lago esisteva una pianura coltivata, traversata da una fossa profonda che metteva capo ad un inghiottitoio detto il Pertuso (quota 515). PiĂš a settentrione a sinistra del M. Corniano, i due fossi del Diluvio e delle Cese confluivano ad un’altra voragine (quota 531) della Bocca di Muro o Sgolfo. CosĂŹ stavano le cose fino al 1821 allorchĂŠ la Bocca di Muro cominciò ad essere ostruita da materiali fluitati fino a cessare la propria funzione qualche anno dopo. Le acque dei fossi Cese e Diluvio si incanalarono allora per la fossa del Pertuso. Questo cominciò ad ostruirsi per i materiali convogliati dal crescente afflusso, onde ebbe origine una raccolta di acque nella parte piĂš bassa della conca, inizio dell’attuale lago. Per quanto artificialmente abbiano tentato di liberare il Pertuso, sempre rapidamente si riempiva in modo da impedire il drenaggio delle acque ... L’inghiottitoio funzionava un poco anche quando era ostruito .... Le scomparse del lago sono state circa 12, dalla sua origine ad oggi, delle quali le piĂš recenti nel 1892, 1913, 1918 e 1923.â€? La grotta, di cui non esiste rilievo, fu percorsa nel 1913 da Crema, che la descrive come “un grande imbuto asimmetrico, sul fondo del quale un solco scavato fra pareti di calcare miocenico conduceva ad un ingresso a portale, alto 2,5 m e largo 1,5 m. Una galleria in leggera pendenza con direzione E-W portava ad una saletta occupata da depositi fangosi, sul fondo della quale l’acqua spariva all’interno immettendosi probabilmente in una cascata, di discreta altezzaâ€? (CREMA, 1921). Negli anni ‘40 il lago è stato sistemato per alimentare una centrale elettrica, realizzando una galleria sotto il Monte Maino lunga 2 km, per convogliare le acque sul fianco esterno dell’altopiano delle Carceri, dove inizia la condotta forzata. Risulta che siano stati eseguiti anche lavori di allargamento interni alla grotta per regolarizzare il drenaggio. Attualmente la torre controlla il deflusso delle acque all’interno della cavitĂ mantenendo costante il livello dell’acqua nel lago.


Stato dell’ambiente Il lago si è formato per cause naturali. Sull’ingresso della cavità sono state costruite le opere per la regolarizzazione del drenaggio, mentre all’interno sono stati effettuati importanti scavi di allargamento, sempre allo stesso scopo.

Storia delle esplorazioni L’unica esplorazione speleologica risulta essere quella di C. Crema, avvenuta nel settembre del 1913, in occasione dello svuotamento del lago di Canterno, dovuto ad una apertura temporanea della grotta stessa, che funge da emissario sotterraneo. L’esplorazione si fermò alla sommità di un pozzo cascata nel quale si gettava il rivolo d’acqua proveniente dal fondo del lago. Di probabili esplorazioni successive, che potrebbero essere avvenute in concomitanza con i lavori di sistemazione negli anni ’40, non si hanno notizie.

Bibliografia ANTONELLI & FELICI, 1974; CREMA, 1921; DE AGOSTINI, 1897; DOLCI, 1966; MANCINI, 1997; RICCARDI, 1925; SEGRE, 1945; SEGRE, 1946a; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1956; SPAZIANI, 1995; TUCCIMEI, 1914a; TUCCIMEI, 1914b.

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Grotta Stoccolma: la discesa di un pozzo (foto G. Pintus)


IL MONTE TRAVE

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000, F. 389 Anagni 1 = Voragine di Monte Trave

coordinate riquadro:

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angolo NW = 0°42’ - 41°42’ angolo SE = 0°47’30â€? - 41°39’

Voragine di Monte Trave: il pozzo visto dal bordo d’ingresso (foto A. Cerquetti)

Voragine di Monte Trave: il pozzo visto dal fondo (foto A. Cerquetti)

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Voragine di Monte Trave Dati catastali 110 La - comune: Ferentino (FR) - località: 400 m a NW della cima di monte Trave - quota: 270 m carta IGM 1:25000: 151 II SO Ferentino - coordinate: 0°45’25”9 (13°12’34”3) - 41°40’02”8 carta CTR 1:10000: 389 110 Morolo Scalo - coordinate: 2.370.930 - 4.614.490 dislivello: -84 m - sviluppo planimetrico: 87 m

Itinerario

Storia delle esplorazioni Esplorata parzialmente nel 1927 dal CSR (F. Botti, A. Datti e Greppi), e discesa completamente il 16 gennaio 1949, ancora dal CSR (C. Ranieri, F. Zanera, E. Spicaglia, R. Rossi Marcelli e A.G. Segre). All’esplorazione assistette “numeroso pubblico giunto di buon ora dai dintorni, alcuni armati di schioppo contro i demonii che si assicurava dimorassero nel sotterraneo e che, molestati, sarebbero sortiti dalla loro tana.” (ROSSI MARCELLI & SEGRE, 1949).

Bibliografia ANTONELLI & FELICI, 1974; DOLCI, 1966; GRASSI, 1996; ROSSI MARCELLI & SEGRE, 1949; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1949b.

Dall’uscita di Frosinone dell’autostrada Roma-Napoli, si prende la S.S. 156 per Latina. Al bivio dopo 1,6 km si prosegue a destra per Supino. Dopo 5,9 km, all’incrocio, si prosegue dritti verso Morolo; dopo altri 3,7 km si svolta a destra verso Anagni. Dopo altri 0,6 km si prosegue a sinistra per la stazione di Morolo. Dopo 2,8 km, appena superato il passaggio a livello, ad un bivio si gira a destra verso Ferentino. Dopo 1,9 km, ad un passo, si prende la strada a destra. Dopo 300 m si evita il cavalcavia e si prosegue per 50 m lasciando la macchina nei pressi di un bivio con una stradina sterrata a destra. Si percorre la stradina per 70 m, poi al bivio si gira a sinistra, si procede per altri 70 m dove parte un sentiero a destra che risale il versante, nel bosco. Percorsi 350 m, superato un cippo di travertino si gira a destra e dopo 50 m si arriva all’evidente dolina di ingresso (20 minuti di cammino).

Descrizione La voragine è costituita da un unico ambiente, le cui dimensioni sono fra le maggiori conosciute nel Lazio (volume di circa 110.000 m3). L’ingresso è una dolina sfondata che forma un pozzo profondo 50 m. Il perimetro esterno della dolina ha forma ellittica con asse maggiore lungo 50-60 m. Un solco attraversa la dolina da NE a SW. La parte superiore della dolina scende dolcemente fino ad una brusca rottura di pendenza, che dà inizio all’imbuto del pozzo. La discesa può essere convenientemente iniziata dalla parte nord (punto 1), evitando la discesa dal lato ovest, più comoda ma con roccia scadente al frazionamento. Si scende con corda il ripido scivolo (60°) profondo una decina di metri e coperto da terra e fogliame, fino alla fine dell’imbuto (punto 2). Qui, nel punto più stretto del pozzo, la sezione è irregolare e ampia almeno 6 m. La parete di discesa scende quasi verticale, leggermente strapiombante, per altri 40 m, mentre alle spalle si apre il grande salone, con alla base un gigantesco conoide detritico. Si atterra alla sommità del conoide (punto 3). Il salone raggiunge la larghezza massima di 70 m per una lunghezza anch’essa di circa 70 m. La volta è a cupola, con un’altezza media intorno ai 40 m. Il lato NW sembra impostato sulla stessa frattura che ha generato il solco che attraversa la dolina (NE-SW), mentre il lato NE è probabilmente determinato da una frattura perpendicolare alla prima. La stratificazione ha giacitura N70-80°W con immersione di 45-65°N. Il grande conoide detritico che inizia sotto la verticale del pozzo scende con un’inclinazione di 30-35° e ha un andamento complessivamente regolare, con piccoli avallamenti e dorsali. In superficie appare costituito da detrito, fango e più raramente massi. In fondo al salone il cono detritico termina bruscamente in un piano melmoso. Questa superficie melmosa, quasi orizzontale, è probabilmente dovuta al ristagno di acque in alcuni periodi dell’anno, o anche più saltuariamente. Sulle pareti tutto intorno al pavimento fangoso si osserva una variazione di colore che marca un antico livello delle acque, 30 cm sopra il piano. La superficie è ampia una decina di metri e attraversata da alcuni piccoli solchi che raccolgono parte delle poche acque che alimentano la grotta per stillicidio, e le portano al contatto con la parete dove si infiltrano. In un punto sul fondo del salone (punto 12, -84) il pavimento sta cedendo, e ha formato nel fango una tipica piccola scarpatina semicircolare di rottura. Nei punti di caduta delle acque di stillicidio sono presenti piccole vaschette di concrezione; rare stalattiti non più attive pendono dalla volta in prossimità del fondo del salone, mentre rare piccole stalagmiti si sono impiantate sul fango. L’attività idrica sembra normalmente limitata a un modesto stillicidio, ma probabilmente uno stagno si forma in fondo alla grotta in condizioni di particolare piovosità. Non sono state osservate correnti d’aria.

Stato dell’ambiente La voragine, esplorata nel 1927, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Sia il bosco circostante l’imbocco che la cavità sono in buono stato ambientale; sul fondo sono presenti solo pochi oggetti gettati dall’alto.

Note tecniche Iniziando la discesa dal ciglio Nord il pozzo è profondo 50 m (corda 65 m).

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(legenda a pag. 86)


In questa Zona sono compresi il Monte Cairo, i Monti di Venafro e la fascia circostante, colmata da conglomerati, da depositi lacustri limosi e da travertini, limitatamente al territorio compreso entro i confini regionali. A Ovest tutta l’area è circondata dal Fiume Liri, che lascia in destra idrografica i Monti Ernici, Ausoni e Aurunci. A settentrione i Monti di Venafro sono separati dalle Mainarde lungo la valle di San Biagio Saracinisco, mentre i colli conglomeratici che bordano a Nord il Monte Cairo si arrestano davanti ai Monti del Parco, presso il paese di Fibreno. L’area carbonatica, costituita da calcari, calcari dolomitici e dolomie, affiora su un’estensione complessiva di circa 370 km2, mentre il vasto deposito di conglomerati della zona di Arpino occupa una superficie di un centinaio di km2. I travertini costituiscono tre piastre principali: a cavallo del F. Liri fra Fontana Liri e San Giovanni Campano, ad Aquino (a Sud di M. Cairo) e presso Casalvieri (a Nord), coprendo un’estensione complessiva di circa 45 km2. Nei terreni carbonatici sono conosciute 19 grotte, 17 delle quali sul Monte Cairo e 2 sui colli intorno a Fontana Liri; nei conglomerati sono state esplorate 5 grotte. Non sono note cavità ipogee sui Monti di Venafro dell’area laziale, così come mancano negli affioramenti travertinosi. L’area è stata quindi suddivisa in due Sotto-Zone: il Monte Cairo e la zona di Arpino.

IL MONTE CAIRO Il massiccio termina a Nord e NW sui bordi della piastra di travertino di Casalvieri e dell’affioramento di depositi conglomeratici della zona di Arpino; in quest’area il Fiume Melfa taglia i calcari formando una profonda gola. Il versante SW di M. Cairo s’immerge sotto i depositi limosi e sabbiosi della Valle del Liri. Sulla punta meridionale del massiccio si erge la città di Cassino, dove sgorgano ricche sorgenti che danno vita al Fiume Gari, nel quale confluisce il Fiume Rapido. A Est l’incisione tettonica Atina-S. Elia Fiumerapido divide il massiccio dai Monti di Venafro. Quest’area ha una superficie di circa 190 km2. Nel settore meridionale si trova la cima principale, il Monte Cairo (1669 m), la quota più bassa è la sorgente del Gari (35 m). I versanti che contornano il massiccio sono molto ripidi. Il rilievo è molto frammentato al suo interno da una serie di valli profondamente incise, quali il Vallone delle Sette Are e il Vallone Campo del Popolo, che delimitano una serie di dorsali allungate prevalentemente in senso E-W, con versanti acclivi e interrotte da varie cime superiori ai 1300 m. Alle alte quote si trovano alcune

larghe valli chiuse a fondo pianeggiante. All’interno del massiccio mancano corsi d’acqua perenni. Il fenomeno carsico non si manifesta con evidenti morfologie superficiali; oltre alle conche chiuse di alta quota, si trovano alcune grandi doline di versante alle quote più basse. Relativamente al carsismo ipogeo, fra le 17 grotte conosciute sono da ricordare il Pozzo Valentina (-51) sul bordo della valle Atina–Belmonte Castello, la Grotta La Fossa (-32, sviluppo 65 m) nei pressi del paese di Villa Santa Lucia e la Grotta Catarina (sviluppo 66 m) vicino a Roccasecca.

Deflusso sotterraneo La falda basale che satura parte delle dorsali dei Monti Ernici e il Monte Cairo viene a giorno principalmente dall’importante gruppo di sorgenti del Fiume Gari a Cassino (q. 35 m, portata media 18 m3/s); tuttavia una parte del flusso sembra proseguire il percorso sotterraneo verso Sud passando in un acquifero imprigionato fino ad emergere ai piedi di M. Camino dalle sorgenti del Fiume Peccia (fuori carta, q. 27 m, portata media 5,5 m3/s, BONI ET ALII, 1988). Anche le acque che scendono nel Pozzo Valentina dovrebbero dirigersi verso le sorgenti del Gari, con un percorso di 10-11 km verso Sud (dislivello imbocco grotta-sorgenti: 395 m). Sembra invece da escludere il collegamento con la sorgente Grotta (portata media 50 L/s), localizzata 1 km ad Est del pozzo, a q. 368 m (3 m più in basso del fondo del pozzo), improbabile considerando l’assetto geologico dell’area. A Est del M. Cairo si erge il massiccio dei Monti di Venafro, separato dal lineamento tettonico Atina-S. Elia Fiumerapido che mette in contatto i calcari della successione di piattaforma con una successione calcarea di mare più profondo. Il substrato della successione calcarea dei Monti di Venafro è costituito da dolomie allo stato farinoso, a permeabilità limitata, simili a quelle dei vicini Monti della Meta; il loro affioramento a q. 900-1100 m determina la posizione dello spartiacque sotterraneo e scorrimenti d’acqua ad alta quota. In particolare, la maggior parte delle acque di falda del settore laziale del massiccio si dirige verso le numerose sorgenti che scaturiscono lungo il Fiume Rapido fra le quote 100 e 300 m (portata complessiva circa 1,5 m3/s, BONI ET ALII, 1986).

LA ZONA DI ARPINO E’ costituita da una successione di rilievi ondulati delimitati a Ovest dal Fiume Liri e addossati al Monte Cairo a SE; la larghezza massima in direzione E-W è di 14 km. La superficie, che si sviluppa

prevalentemente a quote comprese fra 400 e 800 m, è costituita da un complesso conglomeratico, dal quale spuntano numerosi poggi calcarei appartenenti al substrato collegato con Monte Cairo. Queste alture calcaree formano, in particolare, una fascia collinare che si affaccia sul Fiume Liri, sulla cui sommità sorgono i paesi di Rocca d’Arce e Fontana Liri; più all’interno si trova il colle calcareo sul quale è fondato il paese di Arpino. L’area è delimitata da versanti anche ripidi che scendono verso i corsi d’acqua principali, mentre all’interno ha una morfologia caratterizzata da ondulazioni e basse colline, ed è solcato dalle incisioni di alcuni torrenti. Il carsismo epigeo nei conglomerati si manifesta con una gran quantità di doline, concentrate prevalentemente nell’area tra Arpino e il Montecoccioli, denominata “Faeta”. In quest’area si rinvengono anche le 5 grotte catastabili fino ad oggi esplorate in questi conglomerati, fra le quali le 3 cavità descritte in questo libro: il Buco Marcello (-56, sviluppo 690 m), la Risorgenza di Zompa Lo Zoppo (sviluppo 470 m) e la Grotta delle Fate (sviluppo 82 m). Il carsismo ipogeo, oltre che nell’area delle Faeta, si manifesta lungo i bordi dell’altopiano con ripari, utilizzati anche a scopo di culto, e piccole grotte a sviluppo verticale. Per quanto riguarda il fenomeno carsico nei rilievi calcarei, sono conosciute 3 grotte, fra cui la Fossa del Monte (-86) sul Colle le Cese, presso Fontana Liri.

Deflusso sotterraneo I conglomerati che formano l’ondulato altopiano non sono saturi e una frazione delle acque di infiltrazione prosegue il suo cammino nei sottostanti calcari. La falda basale, nei calcari, dovrebbe essere localizzata generalmente a quote intorno a 150 m, per emergere almeno in parte dalla sorgente Bucone (q. 141 m, portata media 2 m3/s, BONI ET ALII, 1988), situata presso Fontana Liri Inferiore al limitare dell’affioramento calcareo, non lontano dal Fiume Liri. Sul colle sovrastante la sorgente si apre la Fossa del Monte, il cui fondo è situato un centinaio di metri più in alto della scaturigine. In ogni caso, nei conglomerati sono presenti falde piccole e discontinue che originano modeste sorgenti, come la Grotta delle Fate e la Risorgenza di Zompa Lo Zoppo. Quest’ultima dovrebbe raccogliere le acque che scorrono nel Buco Marcello, infatti, la distanza fra i sifoni estremi delle due grotte è di soli 280 m per un dislivello di 37 m.

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Risorgenza di Zompa lo Zoppo: la galleria oltre il secondo sifone (foto F. Bufalieri)

Risorgenza di Zompa lo Zoppo: l’uso di pompe sommerse ha consentito lo svuotamento dei sifoni e l’esplorazione della cavità (foto F. Bufalieri)


LA ZONA D’ARPINO

Fossa del Monte Dati catastali 690 La - comune: Fontana Liri (FR) - localitĂ : Colle le Cese - quota: 330 m carta IGM 1:25000: 160 IV NO Arce - coordinate: 1°06’28â€? (13°33’36â€?4) - 41°36’33â€? carta CTR 1:10000: 390 150 Monte San Giovanni Campano - coordinate: 2.400.020 - 4.607.470 dislivello: -86 m - sviluppo planimetrico: 144 m

Itinerario (di Roberto Sarra) Da Fontana Liri Inferiore si prosegue verso Fontana Liri Superiore. Appena prima del paese, sulla destra, si svolta per la frazione di Santa Lucia. Dopo un centinaio di metri ad un bivio si prende la strada a destra; dopo altri 700 m si svolta in una stradina sulla destra costeggiata da un muretto a secco, dapprima asfaltata, poi sterrata. Si lascia la macchina alla fine della stradina, dopo 500 m, vicino ad un fienile; per proseguire oltre si entra in terreni privati, ed è opportuno avvertire il proprietario, che abita la casa attigua. Si sale sul piccolo colle a destra della casa per poi scendere lungo il ripido versante che guarda verso Fontana Liri Inferiore. L’ingresso della grotta è ben visibile, poichè è circondato dagli unici alberi della zona (10 minuti di cammino).

Descrizione (informazioni di Roberto Sarra)

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 160 Cassino 1 = Fossa del Monte 2 = Grotta delle Fate 3 = Buco Marcello 4 = Risorgenza di Zompa lo Zoppo 37

coordinate riqadro: angolo NW = 1°05’ - 41°40’ angolo SE = 1°18’ - 41°33’

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L’ingresso è un grande pozzo con bocca di circa 15 m di diametro. Iniziando la discesa dal punto piĂš a valle lungo il bordo del pozzo, si atterra 20 m piĂš in basso sul pendio del grande accumulo detritico che occupa la base del salto, in un ambiente largo una trentina di metri e folto di vegetazione. Da qui, salendo verso est, si raggiunge dopo una quarantina di metri l’estremitĂ della galleria (punto 2), situata allo stesso livello dell’orlo del pozzo (guardando verso l’imbocco è possibile intravedere i paesi situati nella parte alta della valle del Liri). Questa zona della cavitĂ sembra essere stata, prima del crollo con venuta a giorno della grotta, una grande galleria riccamente concrezionata, larga una ventina di metri, con un alto soffitto ancora oggi tappezzato da stalattiti ormai fortemente degradate, e con resti di stalagmiti e colonne spezzate alla base. Ritornando al punto di calata, si prosegue nella direzione opposta, scendendo nel grande ambiente fino a giungere ad un enorme masso da cui inizia il tratto piĂš ripido dello scivolo. La volta si abbassa progressivamente fino a 2,5 m (punto 3), mentre le pareti laterali si avvicinano fino a 15 m. Il pavimento, coperto di fango, concrezioni e detrito, senza affioramenti di roccia in posto, è piuttosto infido. Dopo una ventina di metri (sulla destra si aprono alcuni brevi condotti), si supera il “restringimentoâ€?, la volta si alza (impostata a tratti sugli strati, inclinati di 20° verso 160°-170°) e lo scivolo prosegue entrando in una vasta sala, non molto concrezionata, ma spettacolare per le sue dimensioni: in pianta

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Grotta delle Fate: il secondo ingresso (foto G. Mecchia)


misura 60x40 m, mentre il soffitto, a cupola, raggiunge una trentina di metri di altezza. Colonie di migliaia di pipistrelli popolano stagionalmente la volta; la loro localizzazione si individua anche dal guano nerastro che ricopre il pavimento a chiazze distribuite in vari punti della grotta. Lo scivolo, complessivamente lungo un centinaio di metri, termina (punto 4) su un piccolo spazio pianeggiante (-86), largo appena 3 m, dove la parete si inoltra nel pavimento detritico precludendo ogni prosecuzione. Lo scorrimento idrico è sempre limitato allo stillicidio, più o meno modesto a seconda della stagione. Non si avvertono correnti d’aria.

Stato dell’ambiente Date le notevoli dimensioni dell’imbocco e la facilità della sua localizzazione la grotta deve essere stata conosciuta fin da tempi remoti. Il materiale bellico rinvenuto alla base del salto iniziale è stato recentemente rimosso. Le visite speleologiche sono iniziate solo a partire dal 1974, e con scarsa frequentazione (numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200).

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre”, ed è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi lontani. All’esterno, nella fontana situata presso l’imbocco, è stata incanalata l’acqua proveniente dall’ingresso più basso utilizzata per abbeverare il bestiame. Nell’antro di ingresso della risorgenza sono presenti i resti abbandonati di una canalizzazione scavata nella roccia. L’interno non presenta segni di alterazione.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni La grotta era ben conosciuta dagli abitanti del luogo; è stata esplorata il 29 aprile 1990 dallo SCR (G. Crini, Annarita Fulgenzi, G. Mecchia, S. Mecchia, Maria Piro, A. Sbardella).

Bibliografia MECCHIA G., 1996.

Note tecniche Pozzo d’ingresso profondo 20 m (corda 30 m). La discesa dello scivolo successivo può, eventualmente, essere facilitata con 100 m di corda.

Storia delle esplorazioni La grotta viene citata per la prima volta da G.B. Cacciamali, che nel 1889 scrisse una breve nota su questa cavità, nella quale però non discese. La grotta è stata esplorata il 13 ottobre 1974 dal CSR (P. Agnoletti, F. Trovato, A. Todisco, Gemma Gresele, M.P. Gasparini, M. Monteleone, L. Werther, M. Cesarini, A. Caputo, R. e S. Gambari).

Buco Marcello Dati catastali altro nome: Grotta della Volpe 1076 La - comune: Arpino (FR) - località: Faete - quota: 750 m carta IGM 1:25000: 160 IV NE Arpino - coordinate: 1°12’31”5 (13°39’39”9) - 41°38’09”1 carta CTR 1:10000: 390 160 Arpino - coordinate: 2.408.480 – 4.610.300 dislivello: -56 m - sviluppo planimetrico: 740 m

Itinerario Da Arpino si prende la strada che sale ai ruderi della Civitavecchia, dai quali si prosegue per 1 km fino alla cappella Madonna dell’Addolorata. Qui si gira a destra in una strada stretta, asfaltata, in salita; dopo 1,2 km si giunge a Capo Croce, da cui si diramano diverse strade. Si prosegue dritto e dopo un centinaio di metri, al bivio, si gira a destra; quindi si percorre la strada per 1,8 km svoltando a sinistra nei due successivi bivi; si raggiunge un altro bivio, dove si lascia la macchina. A sinistra scende una carrareccia che conduce ad una cabina ENEL, e che subito dopo si biforca: si prende a sinistra per una stradina sterrata che sale e poi prosegue in piano, costeggiata a sinistra da un muro a secco di grossi blocchi e a destra da un’ampia conca. La grotta si apre dopo 250 m sul margine sinistro del viottolo, poco oltre il termine del muro a secco e ai piedi di una parete verticale di conglomerati (5 minuti di cammino).

Bibliografia CACCIAMALI, 1889a; NIZI, 1984a; SARRA, 2000.

Grotta delle Fate Dati catastali 1110 La - comune: Arpino (FR) - località: Faete - quota: 737 m carta IGM 1:25000: 160 IV NE Arpino - coordinate: 1°11’58”0 (13°39’06”4) - 41°38’33”5 carta CTR 1:10000: 390 160 Arpino - coordinate: 2.407.710 - 4.611.060 dislivello: +4/-2 m - sviluppo planimetrico: 82 m

Itinerario Da Arpino si prende la strada che sale ai ruderi della Civitavecchia, dai quali si prosegue per 1 km fino alla cappella Madonna dell’Addolorata. Qui si gira a destra in una strada stretta, asfaltata, in salita; dopo 1,2 km si giunge a Capo Croce, da cui si diramano diverse strade. Prendendo la prima a sinistra (carrareccia fangosa sconsigliabile con autovetture) che scende leggermente, dopo 800 m si raggiunge un grande prato circondato da bosco e scarpate in salita. Si percorre il prato fino al suo estremo superiore dove si trova, ai piedi della scarpata, la sorgente, con vasca-abbeveratoio; subito sopra ed a sinistra della sorgente si apre la grotta (10 minuti di cammino).

Descrizione La grotta si sviluppa in un banco di conglomerato calcareo. Nell’antro di ingresso, tipico di risorgenza (alto 2,5 m e largo 3 m), si notano i resti di una canalizzazione artificiale, scavata nella roccia, ormai inutilizzata perché questo tratto di grotta non è più percorso abitualmente dall’acqua. Dopo una decina di metri la cavità si biforca (punto 8). A sinistra la galleria continua piuttosto larga (2,5 m) e alta un paio di metri, fino ad una risalita di 2 m. Al di sotto di questa si nota un punto di probabile emissione di acqua. Sopra la risalita (punto 3) la galleria si abbassa (meno di 1 m) e diventa molto fangosa chiudendo in una bassa fessura orizzontale (punto 7) dopo 20 m. A destra (punto 8) parte un meandro tortuoso e piuttosto stretto (largo mediamente 50 cm e alto un paio di metri) a metà del quale (punto 12) si incontra un saltino di un paio di metri nel quale scende l’acqua, che proviene dalla parte a monte del condotto. Oltrepassato il saltino, il meandro continua verso monte abbassandosi progressivamente fino a terminare (punto 14) con una bassa fessura da cui esce l’acqua. Il saltino scende in una saletta da cui parte un cunicolo basso, stretto e parzialmente allagato (punto 15), che dopo una trentina di metri esce all’esterno in prossimità della fontana presso l’imbocco principale della grotta. Per percorrere questo tratto si deve strisciare nell’acqua.

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Descrizione La grotta si sviluppa interamente in conglomerati calcarei. L’ingresso è un piccolo portale alto 1,3 m e largo alla base 1,8 m, che si apre in una paretina poco sopra il sentiero. Appena entrati si deve superare un basso passaggio a destra (alto 30 cm e largo 50) che immette in un meandrino stretto che dopo 5 m giunge ad una bassa saletta, da cui parte un pozzo profondo 10 m. Questo inizia con uno scivolo ghiaioso e a circa metà altezza scampana. Alla base del pozzo si intercetta una galleria alta 5 m e larga 8 m che a monte continua in leggera salita per 10 m terminando con una saletta concrezionata. A valle la galleria continua in discesa in direzione nord. In alcuni punti, i crolli nella galleria hanno determinato accumuli di massi che formano una caratteristica sezione a V, mentre in alto si notano gli allargamenti dovuti al distacco dei massi. Le pareti sono spesso coperte da argilla e il soffitto è un letto di strato ben visibile. La galleria è percorsa da un torrente stagionale. Dopo 40 m si risale un saltino di 3 m e dopo una decina di metri si sale un secondo saltino, alto 5 m. Ci si avvicina così al soffitto della galleria, che qui è alta 2 m e larga 4 m. Si scende quindi in una depressione circolare oltre il bordo della quale parte un pozzo di 12 m che immette in una galleria inferiore. Dalla base del pozzo è stata effettuata la risalita di una parete di sabbie cementate alta 10 m. Al di sopra sono stati trovati altri ambienti per uno sviluppo complessivo di 150 m, con una grande sala ben concrezionata, due condotti semi-attivi e un’ampia galleria ostruita completamente dalle sabbie (notizie del Gruppo Speleologico Guidonia Montecelio). La galleria inferiore prosegue per 10 m verso monte esattamente al disotto della galleria superiore, fino ad una saletta con un piccolo arrivo d’acqua. A valle, dopo pochi metri la volta si abbassa bruscamente a 3 m e la galleria comincia a scendere con un ripido scivolo lungo una decina di metri, largo 10 m, che termina intercettando una nuova galleria di dimensioni più piccole (alta 2,5 m e larga 3 m). Questa galleria è percorsa da un torrentello, è concrezionata e in vari punti si nota un canale di volta; sulle pareti sono presenti strati di fango rierosi e colate bianche. A monte la si può seguire per 15 m fino ad un restringimento, oltre il quale si aprono due salette; a valle si scende lungo la galleria che progressivamente si abbassa e stringe fino ad un passaggio quasi chiuso da concrezioni. Superata la strettoia, la galleria si allarga di nuovo e continua a scendere fino a divenire quasi verticale nei pressi della sala “della Cattedrale”, a cui si accede con un salto di 3 m (arrampicabile). La parete nord di questa sala è alta circa 12 m, tappezzata da bellissime concrezioni, enormi stalattiti alte fino a 7 m e colonne con colori che vanno dal bianco candido al rossiccio. Sul pavimento della sala parte un pozzo di 6 m alla base del quale si entra nella zona chiamata “le Catacombe”, un tratto labirintico in cui per proseguire conviene andare verso ovest salendo un saltino, entrando in un passaggio basso (circa 1 m) e traversando sulla volta un pozzetto; si scende quindi il passaggio successivo, una piccola galleria in discesa molto fangosa che dopo una decina di metri porta ad un meandro alto 3 m e largo 1 m. Lo si discende fino ad una sala; risalendo poi sulla destra si entra in un cunicolo che dopo pochi metri intercetta (“Confluenza”) una galleria trasversale orientata in direzione NW-SE. Dalla “Confluenza”, un meandro prosegue a valle per 230 m, interrotto da varie salette di crollo e con il fondo allagato (in alcuni tratti occorre procedere in opposizione per evitare di bagnarsi). La galleria termina (-56) con un sifone, preceduto da un tratto basso e da una saletta. In questo tratto di meandro spesso si notano sulla volta sbocchi di piccole gallerie fossili e vi si trovano numerosi ciottoli di colore nero o rossiccio, probabilmente dovuto ad ossidi di ferro e manganese. Dalla “Confluenza” la galleria prosegue anche a monte, ben concrezionata, per circa 200 m; in vari tratti si nota anche qui un canale di volta. Dopo pochi metri si arriva ad una risalita di 5 m che immette in un ramo asciutto; dalla base della risalita un arrivo d’acqua alimenta il torrente che percorre la galleria a valle. La galleria risale complessivamente di altri 9 m fino ad un abbassamento della volta che la rende impraticabile (-38). In questo tratto il fondo è coperto da notevoli depositi di fango.

Stato dell’ambiente La grotta è stata scoperta nel 1985, e da allora è stata oggetto di diverse centinaia di visite. A parte i modesti interventi di disostruzione e alcune concrezioni danneggiate, non si segnalano alterazioni dello stato dell’ambiente.

Note tecniche P10 (corda 15 m), Risalita 3+Risalita 5 (corda 25 m), P12 (corda 15 m), P3 (arrampicabile, eventuale corda 5 m), sala “della Cattedrale”, P6 (corda 15 m), “Confluenza” con la galleria saltuariamente attiva. Verso valle: non sono necessarie attrezzature. Verso monte: Risalita 5 m. A causa della friabilità della roccia conglomeratica, gli ancoraggi sono poco affidabili; per scendere alcuni pozzi sono stati piantati dei paletti di ferro.

Storia delle esplorazioni Esplorata dal Groupe de Recherches Speleologiques de Comblain-au-Pont (Belgio) nel corso di due spedizioni, alla fine del 1985 (M. Iafrate e D. Sirault) e nel luglio 1988 (Iafrate, Sirault, A. Popow, P. Xhaard), con un tentativo di superamento del sifone terminale (P. Moya del Club Speleo de Saint Marcel

D’Ardeche). Nel 1999 il GSGM (F. Bufalieri, F. Ciocci, ed altri) con la collaborazione dello SZC (E. Cappa) ha esplorato un nuovo ramo superiore.

al termine della strada. Si continua a scendere per un ripido sentierino fra gli alberi fino ad arrivare al fosso che esce dalla grotta (20 minuti di cammino).

Bibliografia

Descrizione

BUFALIERI, 2000; RUSCONI, 1990; XHAARD, 1989; XHAARD, 1990.

La risorgenza è perenne, con portate che variano da qualche litro al minuto fino a circa 600 L/min stimati nei periodi di piena (CIOCCI, 2001). Prima del recente allargamento la bocca dell’emergenza era un foro alto mezzo metro e largo 2 m, posto alla base di una parete leggermente strapiombante alta 5 m. Per facilitare l’esplorazione è stato demolito (scavando una trincea alta 2,5 e larga 0,5 m) parte dello sbarramento naturale che costituiva l’ingresso e impediva il deflusso delle acque dalla grotta. Attualmente, la galleria percorribile fino al sifone è lunga una quindicina di metri. Per procedere oltre è necessario immergersi nel sifone oppure svuotarlo mediante pompe (la descrizione che segue si riferisce alla progressione dopo svuotamento). La galleria è completamente scavata in un conglomerato calcareo molto compatto, stratificato (all’ingresso è stata misurata una inclinazione di 15°-20° verso 330°). Nel primo tratto la galleria è in leggera discesa, larga da 1 a 2 m, alta da 1 a 3 m con la volta tondeggiante; le pareti e il soffitto sono scolpiti da scallops, mentre il pavimento è costituito da una serie continua di vasche riempite da sedimenti fangosi con spessori a volte superiori a mezzo metro, che rendono l’avanzamento faticoso. Si percorre la galleria, che continua con sezione quasi costante e senza grandi cambiamenti morfologici per un centinaio di metri. In questo tratto (“1° sifone”) la volta della galleria si trova al massimo ad una quota inferiore di circa 2 m rispetto a quella di emergenza. Poi, dopo un tratto interessato da una serie di fratture verticali dirette prevalentemente N-S e occasionalmente verso 300°, la galleria continua risalendo di qualche metro, tornando alla quota dell’ingresso (punto B); un

Risorgenza di Zompa lo Zoppo Dati catastali 1379 La - comune: Arpino (FR) - località: Colle lo Zoppo - quota: 648 m carta IGM 1:25000: 160 IV NE Arpino - coordinate: 1°13’01”0 (13°40’09”4) - 41°38’10”2 carta CTR 1:10000: 391 130 Casalvieri - coordinate: 2.409.160 - 4.610.320 dislivello: +9 m - sviluppo planimetrico: 470 m

Itinerario Da Arpino si prende la strada che sale ai ruderi della Civitavecchia, dai quali si prosegue per 1 km fino alla cappella Madonna dell’Addolorata. Qui si gira a destra in una strada stretta, asfaltata, in salita; dopo 1,2 km si giunge a Capo Croce, da cui si diramano diverse strade. Si prosegue dritto e dopo un centinaio di metri, al bivio, si gira a sinistra; si prosegue per 2,2 km fino ad un bivio con una stradina a destra in discesa, percorribile solo con fuoristrada. Si lascia la macchina e si scende a piedi per la ripida stradina per 600 m; al bivio al termine dei tornanti si prende a destra e si prosegue fino

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crollo ha formato una seconda diga (oltre a quella ormai demolita presso l’ingresso) che pochi metri piĂš avanti causa un “2° sifoneâ€? (punto C). In quest’ultimo tratto si nota anche una grande colata calcitica, proprio presso l’ingresso del 2° sifone, e qualche concrezione. Alcune di queste, e piĂš precisamente delle piccole “fette di prosciuttoâ€?, sono state rierose dall’acqua. Nel tratto B-C alcuni passaggi consentono di salire al salone superiore, parallelo alla galleria. Il salone, lungo 30-50 m e largo 15-20 m, alto circa 4 m, è posto circa 3 m sopra la galleria attiva. E’ impostato su una frattura verticale diretta verso 172°. Durante i periodi piovosi vi scorre un torrentello proveniente da sotto una frana e affluente di quello principale. Non si sono notati segni di piena. Un grande crollo sul lato settentrionale del salone permette di notare la successione degli strati: al di sopra del conglomerato su cui si sviluppa tutto il ramo attivo si trovano alternanze di strati arenacei spessi circa 1 m e di conglomerati dello spessore di circa 30 cm. Nel salone sono presenti alcune grandi colate calcitiche, raggruppamenti di “capelli d’angeloâ€?, vaschette di corrosione scavate anche nei massi di arenaria, massi di crollo e un laghetto asciutto con il pavimento di fango. Oltre il 2° sifone, lungo una quarantina di metri e anch’esso svuotato con pompa, la volta si alza e inizia un largo meandro in leggera salita sgombro da sedimenti fini sabbiosi, raggiungendo, dopo altri 230 m, un terzo passaggio sifonante (punto G). Prima di raggiungerlo si incontrano prima un grande ambiente (punto E) che si apre sulla volta del meandro a circa 5 m di altezza e ad esso trasversale, poi una stretta diramazione sulla sinistra (punti F-H), in corso di esplorazione.

IL MONTE CAIRO

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata nel 1999, è stata nel complesso scarsamente frequentata dagli speleologi, date le difficoltĂ di svuotamento del sifone d’ingresso; si stima un numero di visite inferiore al centinaio fino al 2° 352 sifone, e pochissime visite oltre questo punto. Per allargare l’accesso e posizionare le pompe è stata abbassata una diga naturale che sbarrava l’ingresso e scavata una trincea alta 2,5 m e larga 0,5 m.

Note tecniche Il tratto iniziale della risorgenza (1° sifone) e il tratto completamente allagato piÚ interno (2° sifone) possono essere attraversati in immersione speleosubacquea o dopo svuotamento con pompe. In questo secondo caso è comunque consigliabile indossare la muta. Non sono necessarie corde e attrezzi.

Monte Cairo: le gole del Melfa (foto G. Mecchia)

Storia delle esplorazioni Esplorata dal GSGM nel 1999 fino al primo sifone. Successivamente G. Spaziani (GSC) ha percorso il sifone, stimandone la lunghezza; sono quindi iniziate le operazioni di svuotamento del primo sifone e di quelli successivi, mediante l’uso di varie pompe e con l’appoggio del Comune di Arpino. Le esplorazioni sono proseguite ad opera del GSGM (F. Bufalieri, A. Pucci, L. Castaldi, F. Ciocci, Isabella Triolo) con la collaborazione di speleologi di diversi gruppi: SZC (E. Cappa, G. Cappa, A. Procaccianti), GSC, SR, La Stalattite Eccentrica, GS Angioino “Le Talpe�.

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 160 Cassino 1 = Pozzo Valentina

coordinate riquadro:

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angolo NW = 1°12’ - 41°38’ angolo SE = 1°23’30â€? - 41°28’

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Bibliografia CIOCCI, 2001; PUCCI, 2000.

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Pozzo Valentina Dati catastali 874 La - comune: Belmonte Castello (FR) - località: Collemarone - quota: 430 m carta IGM 1:25000: 160 I NO Atina - coordinate: 1°21’08”8 (13°48’17”2) - 41°35’01”5 carta CTR 1:10000: 403 020 Terelle - coordinate: 2.420.360 - 4.604.340 dislivello: -59 m

Itinerario Da Cassino si prende la S.S. 509 verso Sora. Dopo circa 9 km si esce in direzione di Belmonte Castello; dopo 3 km, superato il bivio per il paese, si lascia la macchina presso due cave adiacenti sul lato sinistro della strada. La grotta si trova sopra la seconda cava (venendo da Belmonte Castello), ad una quindicina di metri dal bordo, e si raggiunge aggirando la prima cava e seguendo il bordo della seconda fino a superare una recinzione in filo di ferro, proseguendo ancora per 25 m di distanza (10 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso è un piccolo foro (diametro 40 cm) che si apre in piano, riparato da un grande masso. La grotta inizia con un pozzo profondo 49 m, impostato principalmente su fratture orientate N30-40°W. Dal buco di ingresso si scende un cunicolo quasi verticale (tratto 1-2), ampio circa 60 cm, terroso, che sbuca dopo 10 m in un ampio fuso. Da qui il pozzo scende con sezione quasi circolare larga 3-4 m fino ad un terrazzo alla profondità di 24 m. Dal terrazzo si prosegue la discesa del pozzo in una fessura larga inizialmente 80 cm, che si allarga progressivamente verso il fondo; le pareti sono spesso concrezionate. Gli strati hanno giacitura N40°W, immersione 10°NE. La base del pozzo è larga 4x6 m, costituita da detrito e massi di crollo che scendono verso il punto più basso; si nota anche una bella colata calcitica. Lungo il bordo della sala è stata aperta, togliendo un masso, una stretta fessura (punto 8) nella quale si discende con un saltino di 3 m; si continua poi nella fessura discendente passando fra massi incastrati fra le pareti, per una decina di metri. Raggiunto il punto più basso (punto 10, -59), il pavimento comincia a risalire ma la fessura stringe e chiude in frana; a sinistra si può percorrere un breve meandrino discendente per alcuni metri, finché non chiude in fessura. L’attività idrica è normalmente limitata allo stillicidio. Non sono state riscontrate correnti d’aria.

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Stato dell’ambiente Aperta accidentalmente durante piccoli lavori di scavo, la grotta è stata discesa per la prima volta nel 1975 e successivamente è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. L’ambiente esterno è irrimediabilmente compromesso dai fronti di cava abbandonati senza interventi di ripristino ambientale. L’interno del pozzo si presenta inalterato ad eccezione dell’accumulo di numerose ossa animali.

Note tecniche P49 con terrazzo a –24 (corda 65 m).

Storia delle esplorazioni E’ stata scoperta per caso negli anni ‘40, da un contadino che cercava di allargare la nicchia iniziale per farne un porcile; il crollo del pavimento portò alla luce il pozzo. La prima discesa è stata realizzata nel giugno 1975 dall’URRI (W. Dragoni, M. Segatori). Nel 1998 lo SCR (A. Sbardella e A. Zambardino) ha aperto una stretta fessura alla base del P49 raggiungendo il fondo attuale.

Bibliografia NIZI, 1984a.

Pozzo Valentina: l’ingresso (foto G. Mecchia)


354

(legenda a pag. 86)


I massicci di M. Giano, M. Nuria e M. Velino coprono una vasta area a cavallo fra il confine Nordoccidentale del Lazio con l’Abruzzo, per complessivi circa 590 km2 di affioramenti carbonatici. Lungo grandi faglie, estese per circa 40 km, s’innalzano le pareti che delimitano a SW i massicci del Velino e del Nuria sovrastando la valle del Fiume Salto, con alcune interruzioni costituite da profondissime incisioni come la Val di Teve. A Sud il brullo massiccio del M. Velino domina la Piana del Fucino con la sua cima principale (2487 m) e numerose altre vette di quota elevata (M. Cafornia, 2424 m; M. della Magnola, 2223 m). A Est, sul versante abruzzese, il massiccio guarda verso il Monte Sirente e verso i Monti d’Ocre. A Nord la pila carbonatica sfuma nei depositi di bacino, carbonatici e terrigeni, che coprono l’area di Tornimparte. Il limite fra il massiccio del Velino e quello del Nuria può essere individuato nella Valle di Malito, che scende dall’area intorno a Tornimparte, a Nord, fino alla Valle del Salto, a Sud. Dalla Valle del Salto il massiccio del Nuria si eleva rapidamente di quota fino a raggiungere le vette dei Monti Nuria (1992 m) e Nurietta (1888 m), oltre le quali si trova una serie di dorsali parallele con cime arrotondate, che delimitano ampi piani carsici d’alta quota, fra i quali quelli di Rascino e di Cornino, caratterizzati dalla presenza di laghetti perenni. A Nord i massicci di M. Nuria e M. Giano terminano nella valle del Fiume Velino, nel tratto compreso fra Posta e Cittaducale, espressione del sovrascorrimento della successione del dominio di bacino umbro-marchigiano (a NW) su quella della piattaforma carbonatica laziale-abruzzese che costituisce i Monti Nuria e Giano (linea tettonica Olèvano-Antrodoco-M. Sibillini). Il M. Nuria entra in contatto, a NE, con il M. Giano in corrispondenza delle Gole di Antrodoco, che risalgono verso il valico di Sella di Corno. Il massiccio di M. Giano (1826 m), articolato con diverse cime indipendenti (M. Calvo, 1901 m; M. Gabbia, 1497 m) e piani di alta quota, a sua volta si sovrappone verso NE sul bordo della catena del Gran Sasso. In tutta l’area dei massicci dei Monti Velino, Nuria e Giano sono conosciute solo 16 grotte. Di notevole sviluppo sono tre risorgenze temporanee (Grotta di Vaccamorta, sviluppo 1090 m; Risorgenza di Fonte La Rocca, sviluppo 186 m; Risorgenza di Cul di Vacca, sviluppo 460 m) situate sul versante settentrionale di M. San Rocco (massiccio del Velino). Fra le altre cavità, l’unica di una certa estensione è la Grotta Oscura (sviluppo 70 m) che si apre sulla destra idrografica del F. Velino in un affioramento che però fa parte, dal punto di vista geologico, della struttura di M. Giano. Si devono, inoltre, menzionare le Terme di Cotilia e la Piana di San Vittorino, poste nella valle del Fiume Velino, che separa i Monti Reatini dal massiccio del Monte Nuria. In quest’area si trovano numerose depressioni di origine carsica nei travertini e in altri terreni di copertura, alcune delle quali, di formazione recente, ospitano laghetti con acqua termale; fra queste si ricorda il Lago di Paterno.

Monte Nuria: lago di Rascino (foto G. Mecchia)

355

Deflusso sotterraneo L’insieme dei massicci montuosi che culmina nei monti Velino, Nuria e Giano costituisce una grande unità idrogeologica, isolata dalle strutture carbonatiche circostanti tramite importanti linee tettoniche e dall’interposizione di elevati spessori di depositi terrigeni, caratterizzati da bassa permeabilità. Dal limite SE dell’idrostruttura (massiccio di M. Velino) la vasta falda basale defluisce verso NW per venire alla luce, dopo molti anni, nella Valle del Fiume Velino sul bordo settentrionale del massiccio del Monte Nuria, attraverso alcune sorgenti fra le più importanti dell’Appennino, come il Peschiera, che forniscono una portata media complessiva di oltre 30 m3/s (BONI ET ALII, 1995). Per quanto riguarda l’unica area in cui attualmente sono note grotte importanti, vale a dire il versante settentrionale di Monte San Rocco; questo è costituito da calcari con sottili livelli argillosi intercalati nella successione, depositati in una zona nella quale si realizzava, nel Cretacico, il passaggio dall’ambiente di piattaforma carbonatica a quello di bacino di mare aperto. Questo settore dista circa 28 km in direzione SE dalle sorgenti del Peschiera; la superficie piezometrica della falda basale localmente si deve trovare intorno a q. 650 m (BONI ET ALII, 1988). Le più importanti grotte dell’area sono le tre risorgenze sopra indicate, che si aprono a quote comprese fra 1115 e 1254 m. Si tratta, quindi, di sorgenti (a regime temporaneo, con aree di ricarica poco estese) sospese molto al di sopra della falda basale, probabilmente dovute alla presenza localizzata dei suddetti livelli argillosi, che hanno determinato l’interruzione della discesa verticale delle acque di infiltrazione, favorendo la formazione di condotti carsici lungo la modesta pendenza degli strati. Oltre ai condotti attivi già esplorati, nell’area sono presenti anche altre sorgenti con le stesse caratteristiche, sicuramente alimentate da condotti carsici analoghi a quelli noti. Monte Nuria: le gole di Tornimparte (foto G. Mecchia)


IL MONTE SAN ROCCO

Grotta di Vaccamorta Dati catastali 82 A - comune: Tornimparte (AQ) - località: Vallone del Puzzillo - quota: 1254 m carta IGM 1:25000: 145 I SO Borgocollefegato – coordinate: 0°52’20”3 (13°19’28”7) 42°14’26”5 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 358 160 Monte San Rocco – coordinate: 2.381.740 - 4.677.970 dislivello: + 89 m - sviluppo planimetrico: 1090 m (rilevati 870 m) Area protetta di riferimento: SIC IT7110062 “Bosco Cerasolo - Monte Puzzillo”

Itinerario Dal casello di Tornimparte dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila si imbocca la strada verso sinistra, che porta a Tornimparte. Passati sotto il viadotto autostradale e superato il rifugio dell’ANA, si gira a sinistra in una strada sterrata in salita, in condizioni non buone. Dopo 1,6 km, ad un bivio posto dopo due tornanti si prende la strada di sinistra, in discesa; dopo altri 150 m ad un altro bivio si prende la strada di destra. Infine, a 1,9 km dalla strada asfaltata, la strada termina e si lascia la macchina. Si imbocca un sentiero che scende per pochi metri fino al torrente Raio, lo si attraversa e si prosegue sul sentiero in salita. Dopo poche decine di metri si prende una traccia di sentiero che sale a destra, passando accanto ad un casale; dopo una breve salita fiancheggiando il fosso si raggiunge un profondo taglio nella roccia, sul cui fondo si apre il basso ingresso della risorgenza (meno di 10 minuti di cammino).

Descrizione

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 145 Avezzano

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1 = Grotta di Vaccamorta 2 = Risorgenza di Cul di Vacca 3 = Risorgenza di Fonte la Rocca

coordinate riquadro: angolo NW = 0°49’ - 42°18’ angolo SE = 0°56’ - 42°12’

Si tratta di una risorgenza attiva tutto l’anno ad esclusione, normalmente, del periodo estivo. L’ingresso, posto alla base di una parete alta una quindicina di metri, è un basso (30-50 cm) passaggio, largo 1,20 m, tra i giunti di stratificazione (inclinati di 10-15° verso 300°). Nei periodi piovosi il livello dell’acqua all’imbocco può salire fino a rendere intransitabile il passaggio. D’inverno per entrare nella grotta è necessario strisciare per alcuni metri nel torrentello di acqua gelida, mentre d’estate, quando il flusso si ferma, anche se il passaggio è più agevole, bisogna comunque bagnarsi nelle pozze d’acqua, investiti da una forte corrente d’aria fredda in uscita. Dopo 3 m il cunicolo intercetta una bassa (1 m) galleria, che prosegue con una curva a sinistra e dopo una quindicina di metri, con una nuova curva a destra, il condotto si immette in un alto meandro (punto 5). Percorsi una ventina di metri, passando anche sotto un ponte di roccia, si supera facilmente un salto alto 2 m. Il soffitto è ormai ad una decina di metri d’altezza. Dopo una decina di metri si passa a sinistra in un breve tratto di meandro attivo (punto 9), mentre una galleria fossile taglia la curva 2,5 m più in alto (tratto 8-11). La galleria prosegue, sempre ampia, e dopo pochi metri (punto 12) cambia direzione seguendo l’andamento di una frattura. La galleria ha ora dimensioni grandiose: è larga 5-7 m e alta una quindicina. Sui massi crollati sul pavimento, dove d’inverno scorre il torrente, si sono formate numerose belle stalagmiti; sulle pareti (qui come in molti altri tratti della grotta) si notano diversi livelli argillosi rossastri e nerastri in affioramento con spessori fino a 30 cm. Dopo 40 m, sulla sinistra (punto 14) si può percorrere un ramo ascendente lungo una dozzina di metri che risale per 25 m (punto 131). La morfologia della galleria principale intanto cambia nettamente: ci troviamo ora in un meandro con acqua sul fondo, alto da 2 a 4 m e largo 0,5-1,5 m, interrotto da salette. In questo tratto (punti da 14 a 28), lungo 70 m, si possono notare il lavorio delle acque che hanno scelto strade diverse durante l’approfondimento del meandro e la presenza di scallops sulle pareti e sul soffitto e di cunicoli a varie altezze. A circa metà del tratto (punto 20) tramite una risalita di 3 m si può accedere ad un ramo superiore (non rilevato) che più avanti si ricollega alla galleria principale (punto 39). Rimanendo nella galleria principale, invece, superato un salto di 2,5 m per evitare un passaggio stretto e bagnato, si sale in uno stretto cunicolo (allargato artificialmente) e si esce in una bella sala di 4-5 m di diametro, riccamente concrezionata (punto 28). A sinistra, a 6 m di altezza, occhieggia una stretta ed alta fessura mentre di fronte si apre un meandro fossile. Proseguendo nel meandro attivo, situato al di sotto del tratto fossile, si risale un salto di 2,5 m continuando poi per 60 m fino al punto 39. Qui la morfologia della grotta cambia: al meandro si sostituisce una larga (2-4 m) e alta (4-8 m) galleria concrezionata, lunga 160 m, sul cui soffitto di tanto in tanto si intravede un accenno del meandro originario. Percorrendola bisogna superare un salto di 2,5 m, aiutati da una corda in posto, e successivamente uno da 1,5 m. Poi sulla sinistra si può risalire in una grande sala superiore (punto 51). Al termine della galleria (punto 54), sulla sinistra si può salire in un grande ambiente concrezionato, forse il più bello di tutta la grotta, che a sua volta si riaffaccia sul ramo attivo dopo 40 m occhieggiando nella sala “del Lago” (punto 135). Ridiscesi alla galleria (punto 54), si prosegue risalendo il torrente in un tratto di una ventina di

metri interstrato (alto 80 cm e largo 7 m), fino a sbucare nella grande sala “del Lago”. L’inclinazione degli strati da qui in avanti ha generalmente valori di 10-15° verso 240°. La sala “del Lago” (punto 57) è un ambiente alto 20-25 m, largo fino a una decina di metri e lungo una trentina di metri, interamente occupato dal lago. In alto si notano 2 grandi finestre: una è quella della sala concrezionata sopra descritta (punto 135), mentre la seconda (non rilevata) è l’inizio di una grande galleria che si sviluppa nella direzione opposta per una settantina di metri in leggera salita. Il livello massimo dell’acqua del lago è determinato dalla soglia di tracimazione; in questo caso la profondità massima è di un paio di metri. Il superamento dello specchio d’acqua, caratterizzato da un fondo melmoso, richiede l’impiego di mute o del canotto. Nel periodo estivo il livello si abbassa anche di oltre 1 m, disinnescando il torrente a valle del lago, che, almeno d’estate, riceve solo l’apporto di alcuni stillicidi. Anche d’estate, comunque, per proseguire oltre il lago è consigliabile indossare almeno i pantaloni della muta. Superato il lago tramite un portale alto 2 m e largo 1,5 m, si accede ad una galleria nella quale la profondità dell’acqua dipende dal livello del lago, e può superare i 2 m. Nella parte superiore della galleria si trova un grande ambiente (la prosecuzione della sala “del Lago”). Percorsi 35 m (punto 63) si entra in una forra alta (15 m) e stretta (0,5-1 m), lunga 80 m (fino al punto 71), condizionata da una frattura, percorribile sia sul fondo che presso il soffitto, e lungo la quale sono presenti alcune diramazioni a diverse altezze. La galleria prosegue cambiando direzione, ma mantenendo le stesse caratteristiche ancora per 35 m. Da qui al fondo si percorre per 200 m il meandro attivo, sopra il quale si aprono alcuni grandi saloni di crollo, che si allargano sempre verso sinistra. La grotta termina con un basso cunicolo impraticabile da cui arriva l’acqua (punto 119). Poco sopra alcuni passaggi in una frana consentono di salire al punto di quota più alta della grotta (+89, punto 126); d’estate, dalla frana filtra una notevole corrente d’aria.

Stato dell’ambiente L’imbocco è venuto alla luce durante lo scavo della profonda trincea realizzata per la captazione della sorgente (1966). Durante l’esplorazione sono stati effettuati alcuni modesti allargamenti di condotti. La grotta è stata molto frequentata, con un numero complessivo di visite stimabile in oltre un migliaio. La possibilità di accedere alla grotta senza un’attrezzatura specifica facilita la frequentazione di un’utenza non specialistica, forse non sempre consapevole della fragilità dell’ambiente ipogeo. Comunque, le già modeste tracce di passaggio sono rese meno evidenti dall’azione dilavante del torrente sotterraneo, e la visita della grotta è di grande fascino.

Note tecniche I brevi saltini che si incontrano lungo il percorso, alti non più di 2,5 m, si superano senza necessità di corda, anche se nella risalita di 2,5 m a circa 250 m dall’ingresso (punto 43) la corda è di aiuto. Può, quindi, essere utile una corda da 15 m per “fare sicura” ove questo si renda necessario. Dalla sala “del Lago” in avanti è consigliabile indossare la muta.

Storia delle esplorazioni L’ingresso venne aperto nel corso dei lavori per la captazione della sorgente, commissionati dal comune di Tornimparte, anche se il progetto di utilizzare l’acqua per il locale acquedotto non ebbe seguito. Il primo tratto della grotta venne percorso da alcuni abitanti del posto, che quindi avvisarono il GSA. Nel 1966 B. Chiarelli, A. Lucrezi e F. Villani (GSA) nella prima punta esplorarono fino alla strettoia. Nel corso di alcune punte successive l’esplorazione è stata completata dagli stessi, con G. Mandolini e G. Scaramella.

Bibliografia CHIARELLI, 1981; DOLCI, 1968; FESTA, 2000; GRASSI, 1989b; NIZI, 1969; VILLANI, 1980.


357


7.7

Risorgenza di Cul di Vacca

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Dati catastali M SLM

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non catastata - comune: Tornimparte (AQ) - localitĂ : Torrente Raio - quota: 1125 m carta IGM 1:25000: 145 I SO Borgocollefegato - coordinate: 0°52’12â€?4 (13°19’20â€?8) 42°14’49â€?8 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 358 160 Monte San Rocco - coordinate: 2.381.660 - 4.678.680 dislivello: +67 m - sviluppo planimetrico rilevato: 460 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110062 “Bosco Cerasolo - Monte Puzzilloâ€?

Itinerario Dal casello di Tornimparte dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila si imbocca la strada verso sinistra, che porta a Tornimparte. Passati sotto il viadotto autostradale e superato il rifugio dell’ANA, si gira a sinistra in una strada sterrata in salita, in condizioni non buone. Dopo 700 m si raggiunge il rudere di un vecchio fontanile, situato alla stessa quota dell’autostrada, e si lascia la macchina. Si prende il sentierino che inizia subito a monte del fontanile e che scavalca il tunnel autostradale di Monte San Rocco. Superato il tunnel si raggiunge il torrente Raio e lo si risale per circa 50 m, quindi si risale per 5 m un piccolo affluente sulla sinistra e si raggiunge l’ingresso (meno di 10 minuti di cammino).

Descrizione (di Aldo Zambardino)

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Grotta di Vaccamorta: la strettoia (foto A. Cerquetti)

Risorgenza di Cul di Vacca: un tratto del meandro “dei Dolori Fisici� (foto A. Zambardino)

L’ingresso è un foro circolare di interstrato con diametro di 50 cm. La prima parte della grotta è impostata fra i due strati visibili all’ingresso. Si entra in una bassa e stretta condotta per un paio di metri, fino a giungere ad un restringimento reso praticabile in seguito a disostruzione, un passaggio a gomito in salita seguito da una strettoia lunga 1,5 m (condotta “Aracnofobicaâ€?) che permette di accedere ad una galleria a sezione circolare larga circa 50 cm e lunga 5 m, che termina immettendosi in un meandro alto almeno 2 m. Sulla destra una piccola diramazione alta porta ad una saletta dove si notano numerose radici (punto 10). Riprendendo la via principale, per una ventina di metri la presenza di concrezioni rende difficoltoso l’avanzamento nella parte bassa del meandro, quindi in alcuni punti si deve salire in alto (superando due restringimenti della sezione). Il meandro termina con una saletta, dalla quale tramite una fessura verticale (l’â€?Oblòâ€?) si intercetta un meandro (“by-passâ€?) piĂš largo del precedente, alto anche 3 m, ma che si deve percorrere in alto (in basso il passaggio è troppo stretto) lungo piccole cenge sempre ben visibili sulle pareti. Al termine del by-pass si entra in una forra alta e stretta (inizialmente “Meandro dei dolori fisiciâ€?) che prosegue per circa 150 m (punti 20-54), alta fino ad 8 m, in costante e decisa salita, con andamento rettilineo interrotto da alcune curve ad U (punti 24-28 e 38-45) che riprendono, dopo un breve giro, la direzione iniziale, come si nota in particolare nel tratto detto “Le Vaschetteâ€? che sale a gradini. Poco dopo un allargamento (sala “Intermediaâ€?) interrompe la forra. Si notano in vari punti fratture e scollamenti della roccia, e lungo le pareti compaiono fino a tre livelli; un arrivo d’acqua proviene dalla volta. Il meandro, dopo un restringimento di circa 40 cm, nel tratto finale piĂš ampio e comodo prende il nome di “Meandro della Retromarciaâ€?, e termina nel “Salone Avanzatoâ€?, al quale si accede scendendo un saltino di 5 m; qui le pareti si allargano fino a 7 m e la volta si innalza fino a 15 m. Dopo questo allargamento il meandro continua, percorribile sia in alto che in basso, mentre il tratto intermedio è ostruito da detriti e massi. Procedendo nella parte bassa (punto 61), il meandro continua con la stessa morfologia del tratto precedente, alto circa 6 m, per 50 m. Da qui (punto 80) la galleria assume una forma rotondeggiante, con il fondo coperto da fango e detriti, e prosegue per circa 70 m, in discesa, sbucando in una bassa e ampia saletta (3x3m). Qui parte un cunicolo stretto, in salita, che è stato percorso per circa 25 m e che probabilmente è un affluente. Oltre la saletta la galleria prosegue in piano lungo una fessura piuttosto stretta, e dopo 10 m sul pavimento si trova un punto di assorbimento, che sembra inghiottire l’acqua proveniente dal tratto a monte. Proseguendo, la condotta risale lentamente, e dopo 70 m (punto 118) si arriva alla base di un saltino (+43, esplorazione in corso). Tornando al “Salone Avanzatoâ€? (punto 55) invece di imboccare il meandro nella parte bassa (punto 61) si può salire in alto nella fessura, e dopo una quindicina di metri si entra in una condotta indipendente da quella inferiore. Si percorre per altri 30 m una condotta con le pareti levigate dall’acqua (“Canna di Fucileâ€?) e con numerose concrezioni che ne restringono la sezione. Al termine (punto 65), una serie di 3 saltini in risalita superano un dislivello complessivo di 20 m, permettendo di entrare in una condotta in salita, che diventa impercorribile dopo 5 m (questo è il punto di quota piĂš elevata della grotta, +67); dalla volta pendono radici. La grotta presenta una forte corrente d’aria in uscita (ottobre 2001).


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Grotta di Vaccamorta: l’ingresso (foto A. Cerquetti)

Risorgenza di Cul di Vacca: la condotta nel punto 91 (foto A. Zambardino)

Grotta di Vaccamorta: il ponte di roccia al punto 9 della galleria (foto A. Cerquetti)

Risorgenza di Fonte la Rocca: un’ansa della galleria nel punto 9 (foto S. Bevilacqua)

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Nella stagione invernale di solito la grotta risulta impraticabile a causa dell’acqua già dopo 20 m. La grotta è percorsa da un torrente temporaneo che in genere rende possibile la visita solo da luglio a novembre. Le acque della risorgenza confluiscono nel torrente Raio, che scorre 5 m più in basso, dopo un percorso di una decina di metri.

Stato dell’ambiente L’ingresso della cavità è stato allargato artificialmente dagli esploratori; altri modesti allargamenti sono stati effettuati nel tratto iniziale. La grotta, scoperta nel 2001 e ancora in esplorazione, è stata finora frequentata poco e soltanto da speleologi, con un numero complessivo di visite stimabile in poche decine. Il tratto interno, dilavato dal corso d’acqua stagionale, è integro.

Note tecniche Il saltino di 5 m che immette nel “salone Avanzato” e la successiva risalita si possono superare in arrampicata aiutandosi con una corda fissa annodata.

Storia delle esplorazioni Esplorata il 29 settembre e 13 ottobre 2001 dallo SCR (A. Zambardino, G. Belligno, F. Cappelli e G. Colone). Le esplorazioni sono ancora in corso.

Risorgenza di Fonte la Rocca

altimetrico irregolare. Al punto 17, a 100 m dall’ingresso, si possono notare in alto, ai lati del condotto principale lungo la superficie di strato, le tracce di piccole condotte abbandonate dall’acqua. In questo punto da sinistra arriva un modesto affluente, che si sviluppa lungo lo strato (inclinato di 8° verso 315°), transitabile solo per pochi metri. Procedendo verso il fondo, la galleria si allarga, anche se la volta resta bassa costringendo a camminare carponi; da qui in poi aumentano i depositi fangosi e in alcuni passaggi bassi si trovano pozze d’acqua che bisogna superare strisciando e bagnandosi. Dopo circa 50 metri (punto 29), il pavimento comincia a scendere; al punto 32 si immette dalla volta un camino impraticabile dopo circa 4 m, dal quale proviene (nella stagione secca) tutta l’aria che percorre la grotta in direzione dell’ingresso. Da questo punto la galleria progressivamente si allarga (fino a 3 m) e si alza (3 m); dopo una quindicina di metri si giunge in un ambiente la cui parte più bassa è occupata da un lago-sifone (“fondo”, -6) di circa 2 m di diametro, con il fondo fangoso, che si immerge con pareti quasi verticali coperte di fango. Nel periodo di massima siccità si è notato solamente un modesto abbassamento del livello del lago-sifone. Quando la risorgenza è attiva la grotta è allagata fin dall’ingresso. Immediatamente a valle della risorgenza l’acqua che esce dalla grotta forma una piccola cascata alta 3 m, quindi confluisce nel torrente Raio dopo una decina di metri.

estivo della sorgente, consentendo, a partire dal 1975, l’esplorazione della condotta. La limitatezza temporale del periodo di accesso comporta una scarsa frequentazione della grotta, con un numero complessivo di visitatori fino ad oggi probabilmente non superiore a 200. Lo stato ambientale, riferito alle nuove condizioni idriche della sorgente, non ha subito modificazioni significative, anche per la periodica azione dilavante delle acque in pressione lungo l’intero condotto.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni Fino agli anni ‘70 la grotta era impraticabile, a causa di una captazione realizzata chiudendo completamente l’ingresso con un muretto dal quale fuoriuscivano due tubi che permettevano lo sfogo delle acque. Con lo sfondamento del muretto venne alla luce il basso cunicolo allagato d’ingresso. Nel 1975, in seguito al prosciugamento della risorgenza a causa dei lavori autostradali, il GSA (B. Chiarelli, E. Del Grosso, U. Vacca e F. Visca) ha esplorato completamente la grotta.

Bibliografia CHIARELLI, 1980.

Stato dell’ambiente Il regime idrico della risorgenza sembra essere stato totalmente alterato dallo scavo della galleria autostradale di Monte San Rocco. Tale opera avrebbe, infatti, comportato il prosciugamento

Dati catastali 509 A - comune: Tornimparte (AQ) - località: Fonte la Rocca - quota: 1115 m carta IGM 1:25000: 145 I SO Borgocollefegato - coordinate: 0°52’08”3 (13°19’16”7) - 42°14’51” carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 358 160 Monte San Rocco – coordinate: 2.381.610 - 4.678.690 dislivello: +5/-6 m - sviluppo planimetrico: 186 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110062 “Bosco Cerasolo - Monte Puzzillo”

Itinerario Dal casello di Tornimparte dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila si imbocca la strada verso sinistra, che porta a Tornimparte. Passati sotto il viadotto autostradale e superato il rifugio dell’ANA, si gira a sinistra in una strada sterrata in salita, in condizioni non buone. Dopo 700 m si raggiunge il rudere di un vecchio fontanile, situato alla stessa quota dell’autostrada, e si lascia la macchina. Si prende il sentierino che inizia subito a monte del fontanile e che scavalca il tunnel autostradale di Monte San Rocco. Superato il tunnel, pochi metri prima di raggiungere il torrente Raio si imbocca una traccia di sentiero addossata alla parete di destra; dopo meno di 10 m si raggiunge l’ingresso della risorgenza (5 minuti di cammino).

Descrizione L’ingresso della risorgenza, al di sopra di un gradino di roccia, è un piccolo antro che immette in una saletta lunga 4 m, che in alto si apre all’esterno con un pozzetto alto 4 m e largo 1,50 m. In fondo alla saletta si entra in un passaggio basso, largo 1,70 m e alto 1 m, con il soffitto costituito da uno strato, mentre sul pavimento si trova un piccolo sbarramento in cemento, alto 20 cm (punto 2). Al termine del passaggio si supera un foro con diametro di 40 cm, aperto nel muro di mattoni che in origine costituiva lo sbarramento; si accede così ad una bassa galleria rettilinea con sezione triangolare, alta al centro 30-40 cm, con il pavimento e il soffitto di roccia compatta levigata dall’acqua, che si sviluppa tra i giunti di stratificazione inclinati di 10° verso 290°. Dopo circa 15 m in direzione SW, la galleria piega verso destra (punto 3) e scende leggermente, mentre la volta si abbassa fino a 25-30 cm al centro; il pavimento è cosparso di grossi ciottoli. Dopo 8 m in lieve discesa, si giunge in un punto basso che costituisce un sifone temporaneo (punto 4); superato questo punto, si entra in una saletta allungata, alta 3 m, con grandi massi sul pavimento, fra i quali anche nella stagione secca scorre un rigagnolo d’acqua, e con radici che pendono dalla volta. Si continua oltre la saletta nella galleria, che riprende la direzione SW; in questo tratto la galleria, che è alta 3 m circa, larga circa 1,5 m, e in alcuni punti stringe fino a 60 cm, prosegue in lieve salita e con andamento meandriforme per circa 10 m; quindi il pavimento risale decisamente con un ripido scivolo, mentre il soffitto è costituito sempre dal letto dello stesso strato, quindi (punto 8) la volta si abbassa. In questo tratto le pareti sono ricoperte a tratti da crostoni di concrezione e, a tratti, da scallops delle dimensioni di qualche centimetro. Da questo punto in avanti la galleria prosegue sempre molto bassa (tanto che si deve procedere carponi o strisciando) e con sezione subcircolare o ellittica, con a tratti un solco scavato sul pavimento e per tetto uno strato leggermente inclinato. Il fondo sale e scende leggermente, con andamento

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(legenda a pag. 86)


In questa Zona sono comprese le strutture dei Monti Carseolani, dal M. Piano a Capistrello, e la dorsale M. Val di Varri-M. Faito nel Cicolano. I Monti Carseolani sono costituiti da una dorsale calcarea, con struttura ad anticlinale, lunga 35 km sull’asse orientato in senso appenninico e larga solo circa 3 km; l’estensione areale degli affioramenti carbonatici è di circa 70 km2, sui quali sono note 26 grotte. A NW un affioramento di depositi terrigeni li divide dal M. Cervia (appartenente, dal punto di vista geologico, alla Sabina), mentre il lato SW è separato dai Monti Simbruini tramite il sistema di valli che porta a Carsoli (settore settentrionale), da una serie di campi chiusi (settore centrale) e dall’alta valle del Fiume Liri (settore meridionale). Sul lato NE la dorsale carseolana è delimitata dalla Val di Varri (settore settentrionale) e dalla valle del Fiume Imele (settore meridionale). In questo volume i Monti Carseolani sono stati suddivisi in due Sotto-Zone: il Monte Guardia d’Orlando (che comprende le tre unità geologiche settentrionali, cioè M. Piano, Tufo Basso-Pietrasecca e M. Guardia d’Orlando-Roccacerro) e il Monte Arunzo (che comprende le due unità meridionali, vale a dire Tagliacozzo-M. Valminiera e M. Arunzo-M. Girifalco). A Est dei Monti Carseolani si presenta una serie di dorsali parallele con orientazione appenninica, costituente parte del territorio del Cicolano, con estensione degli affioramenti carbonatici di circa 80 km2, nei quali sono state esplorate 11 grotte. Nel mezzo delle dorsali scorre il Fiume Salto, che raccoglie le acque del Fiume Imele e di altri torrenti, dirigendosi poi verso NW fino alla Piana di Rieti. Di particolare interesse per il carsismo è l’area rappresentata dalla Sotto-Zona del Monte Val di Varri. Il Monte Guardia d’Orlando All’estremità settentrionale dei Monti Carseolani si innalza il Monte Piano (1128 m), l’unico settore di questi monti compreso nel territorio della regione Lazio. Su questo rilievo sono conosciute una decina di grotte, tutte di dimensioni modeste. Le più estese sono la Grotta di Pozzo Grande (sviluppo di circa 80 m, compreso il tratto sifonante conclusivo esplorato in immersione) e la Grotta della Portella (sviluppo 50 m). Nel tratto di questa Sotto-Zona a Sud di M. Piano sono conosciute solo 8 grotte, quasi tutte, però, di grande importanza. In prossimità del paese di Tufo si segnala la Grotta dell’Acqua Nera (sviluppo 125 m), risorgenza ormai quasi completamente disattivata. Nell’area intorno al paese di Pietrasecca si trovano le notissime cavità dell’Ovito di Pietrasecca (sviluppo 1370 m) e della Grotta Grande dei Cervi (-113, sviluppo 1875 m), nonché la Risorgenza di Vena Cionca (sviluppo 130 m). Poco più a Sud, ai piedi del versante NE del M. Guardia d’Orlando (1333 m), si apre l’altro grande inghiottitoio carseolano, la Grotta di Luppa (-170, sviluppo 2020 m). Questi inghiottitoi, e le relative risorgenze, sono una caratteristica che contraddistingue i Monti Carseolani; in essi si convogliano i torrenti allogenici di bacini chiusi più o meno vasti, estesi su rocce non calcaree. Dalla Grotta di Luppa salendo verso la cima della dorsale si raggiungono aree spianate ricche di doline; nella discesa sul versante SW si trova la paleo-risorgenza della Grotta del Secchio (sviluppo 254 m).

Deflusso sotterraneo La dorsale carbonatica carseolana è sede di un acquifero carsico collegato con la struttura più occidentale della Marsica (Monte Cornacchia). La falda basale del sistema M. Carseolani-M. Cornacchia alimenta il gruppo di sorgenti localizzate sul margine meridionale del Fucino (q. 650-660 m, portata media circa 6 m3/s) e le sorgenti Carpello-Posta Fibreno (q. 290 m, portata media 9,8 m3/s), queste ultime situate nel punto di quota più bassa lungo il perimetro dell’idrostruttura carbonatica. Nello schema proposto da BONO & CAPELLI (1994), la superficie piezometrica della falda basale si troverebbe alcune decine di metri al di sotto della quota dei sifoni “terminali” dell’Ovito di Pietrasecca, della Grotta dei Cervi e della Grotta di Luppa, nonché delle sezioni di uscita dalla dorsale carbonatica dei Fossi di Tufo e Ricetto (Monte Piano). I torrenti allogenici, quindi, scorrerebbero sospesi nella zona vadosa (in superficie o in grotte di attraversamento) tagliando l’asse dell’anticlinale. Le modalità di ricarica dell’acquifero della struttura carseolana sono particolari nel contesto appenninico. Infatti, gli apporti allogenici (acque che si raccolgono nei bacini terrigeni impermeabili, poi convogliate verso i rilievi calcarei dove vengono inghiottite) forniscono un contributo superiore a quello delle piogge che s’infiltrano nei calcari della dorsale carseolana. Infatti, nel settore settentrionale (M. Piano-Pietrasecca-M. Guardia d’Orlando) gli apporti allogenici hanno una portata media di 190 L/s, mentre nella stessa area gli afflussi meteorici che s’infiltrano sono stimati in circa 90 L/s (BONO & CAPELLI, 1994). Le portate allogeniche rilevate all’ingresso della grotta di attraversamento dell’Ovito di Pietrasecca (valori compresi fra 10 e 95 L/s) sono praticamente coincidenti con i valori riscontrati nel Rio San Martino a valle della Risorgenza di Vena Cionca, tenendo conto anche del probabile flusso di subalveo nei depositi di fondovalle (BONO & CAPELLI, 1994). Lungo questa grotta, quindi, non si avrebbero né rilevanti perdite verso la falda basale, né contributi significativi di acque di infiltrazione. Le acque della Grotta di Luppa, percorsa da un torrente non perenne, probabilmente confluiscono nella falda basale in regime sia ordinario sia di magra. Solo in occasione delle piene potrebbero attivarsi le sorgenti di “troppo pieno” individuate sul versante opposto della dorsale, nella

Valle Impuni. Riassumendo, la maggior parte delle acque allogeniche che vengono inghiottite nella dorsale carseolana percorrono grandi gallerie attive situate nella zona vadosa e perpendicolari all’asse dell’anticlinale, e riemergono da sorgenti carsiche situate dalla parte opposta della struttura. La gran parte delle acque piovane che s’infiltrano nei calcari percolano, invece, fino a raggiungere la falda basale e da lì proseguono in condotti carsici freatici (ancora del tutto sconosciuti) situati a quote più basse rispetto a quelli noti, per riemergere dopo molto tempo in sorgenti lontanissime. Il Monte Arunzo Superata la valle di Tagliacozzo, la dorsale dei Monti Carseolani prosegue verso SE culminando nelle cime di M. La Difesa (1051 m), M. Forte (1154 m), M. Valminiera (1307 m), M. Arunzo (1455 m), M. Girifalco (1275 m) e M. Arezzo (1214 m), per scendere infine nella valle che taglia il paese di Capistrello e che costituisce il confine con i Monti della Marsica occidentale. Al bordo SW dei M. Carseolani meridionali si estende un secondo sistema di bacini chiusi (Prati di Roccacerro, Imele, Rio Ovido), con la porzione centrale costituita da terreni impermeabili, mentre lungo i bordi SW e NE si ergono i rilievi calcarei rispettivamente dei M. Simbruini e dei M. Carseolani (dorsale di M. La Difesa-M. Valminiera). Le acque che s’infiltrano a quote elevate nel settore NE dei M. Simbruini riemergono lungo il bordo di questi bacini chiusi. Per esempio, il Torrente Imele nasce da alcune sorgenti che sgorgano dai calcari a monte del paese di Verrecchie, alla base della dorsale M. Padiglione–M. Cesalarga. La sorgente principale (quella più a monte) è situata a q. 1078 m sotto una paretina rocciosa nascosta dalle opere di captazione dell’acquedotto di Verrecchie, che serve Tagliacozzo ed altre località; la portata media del gruppo di sorgenti è di 200 L/s (BONI ET ALII, 1986). Dopo un percorso subaereo di circa 2 km, e dopo aver raccolto altri piccoli corsi d’acqua non perenni, il torrente s’inabissa nell’Inghiottitoio dell’Imele (sviluppo 150 m), situato sul versante SW di Monte Forte, a q. 944 m. Una situazione analoga si riscontra nel bacino chiuso situato poco più a Sud, alimentato dalla sorgente Capequa (q. 1080 m), le cui acque si dirigono verso l’Ovito di Petrella (-96, sviluppo 160 m). Subito al di sopra di questo inghiottitoio si trova la Grotta Beatrice Cenci (sviluppo 200 m). Ancora più a Sud, nei pressi del paese di Petrella Liri, è nota la Grotta Cola (sviluppo 275 m). Complessivamente, le grotte conosciute in questa Sotto-Zona sono 11.

Deflusso sotterraneo Nelle unità meridionali dei M. Carseolani si dovrebbero verificare condizioni di deflusso sotterraneo analoghe a quelle descritte per le unità settentrionali; i condotti carsici conosciuti, quindi, si svilupperebbero (attualmente) nella zona vadosa, sospesi al di sopra della superficie piezometrica della falda basale. Per l’Inghiottitoio dell’Imele è stato ipotizzato, al di là del sifone terminale, un percorso di circa 2,7 km verso Nord che conduce alla sorgente Capacqua (q. circa 800 m) a Tagliacozzo (SEGRE, 1948a). Le acque dell’Ovito di Petrella potrebbero, invece, attraversare il nucleo dell’anticlinale fino ad emergere sul fianco opposto della dorsale da una sorgente perenne, situata poche decine di metri più a valle della Risorgenza la Ommeta (sviluppo 140 m), che fungerebbe da sorgente di “troppo pieno”; la distanza inghiottitoio-risorgenza è di circa 2 km verso NE e il dislivello di 304 m.

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La dorsale di Monte Val di Varri La dorsale carbonatica M. Val di Varri (1371 m)-M. Faito (1455 m) si estende per circa 26 km, racchiusa a SW, Sud e NE dal Fiume Imele-Fiume Salto. Le grotte più importanti sono l’Inghiottitoio di Val di Varri (-120, sviluppo 2235 m) e la Risorgenza di Civitella (sviluppo 895 m), probabilmente comunicanti per vie non ancora esplorate. Fra le altre grotte conosciute nel Cicolano è da ricordare la Grotta Ricanali (-23, sviluppo 73 m), risorgenza temporanea che si apre in prossimità di Pescorocchiano.

Deflusso sotterraneo La dorsale di M. Val di Varri è probabilmente collegata con l’idrostruttura M. Velino-M. Nuria; la falda basale contenuta nelle rocce carbonatiche della dorsale defluirebbe, quindi, verso Nord fino alle grandi sorgenti della Valle del Fiume Velino (Peschiera). Nell’Inghiottitoio di Val di Varri si convoglia il torrente allogenico alimentato dalle piogge che affluiscono nel bacino chiuso della valle omonima. E’ presumibile che in condizioni di magra il torrente sotterraneo “perda” attraverso fessure, filtrando fino alla falda basale, la cui superficie freatica dovrebbe trovarsi a quote di pochi metri superiori a 600 m (BONI ET ALII, 1988), mentre il sifone “terminale” della grotta è a q. 705 m. Saltuariamente, le acque della Val di Varri dovrebbero emergere dalla risorgenza temporanea di Civitella (“troppo pieno” della falda basale?), che si apre a q. 639 m. Il tratto di congiunzione fra le due grotte, ancora da scoprire, ha una lunghezza in linea d’aria di 2,5 km in direzione ENE e dovrebbe superare un dislivello di 55-60 m.

Grotta di Luppa: il sifone “Dolci”; lo speleologo sta per superarlo in apnea (foto G. Costa)


LA DORSALE DI MONTE VAL DI VARRI

Inghiottitoio di Val di Varri Dati catastali 288 La - comune: Pescorocchiano (RI) - localitĂ : Casa Damiani - quota: 825 m carta IGM 1:25000: 145 IV SE Pescorocchiano - coordinate: 0°41’10â€? (13°08’18â€?4) - 42°11’28â€? carta CTR 1:10000: 367 020 Leofreni - coordinate: 2.366.290 4.672.750 dislivello: -120 m - sviluppo planimetrico: 2235 m Area protetta di riferimento: SIC IT 6002022 “Inghiottitoio di Val di Varriâ€?

Itinerario Dall’uscita di Tagliacozzo dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila (solo da e per Roma; chi arriva dall’Abruzzo deve uscire a Carsoli) si percorrono 1,8 km fino a raggiungere la S.S. Tiburtina: si prosegue a destra verso Carsoli, e dopo circa 1 km si prende la strada a destra che, attraversando i paesi di Pietrasecca e Tufo, raggiunge Leofreni (10 km). Poco prima del paese si prende la strada a destra, che scende nella valle (cartello turistico). Dopo circa 1 km, una stradina asfaltata sulla sinistra porta al torrente. Si lascia la macchina e si percorre il sentiero turistico che porta all’ingresso. Attualmente (2003) la cavitĂ non è accessibile a causa dei lavori di realizzazione del percorso turistico, ancora in corso.

Descrizione

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 145 Avezzano 1 = Inghiottitoio di Val di Varri 2 = Risorgenza di Civitella

coordinate riquadro: angolo NW = 0°38’ - 42°16’ angolo SE = 0°48’ - 42°08’

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Il tratto iniziale della grotta è stato interessato dai lavori per lo sfruttamento turistico della cavitĂ , avviati nel 1992. Nel testo che segue si descrivono gli ambienti sotterranei cosĂŹ come erano precedentemente alle opere, che hanno modificato l’originaria morfologia dei luoghi e hanno creato nuovi percorsi di visita. Il corso d’acqua della Val di Varri raccoglie le acque di un bacino chiuso esteso circa 23 km2, e dopo aver attraversato una breve forra alla base del versante meridionale di Monte S. Angelo scompare in un maestoso inghiottitoio. Nei mesi estivi la portata del torrente di superficie può praticamente annullarsi. L’ingresso è localizzato alla base di una parete calcarea. La grandiosa nicchia, creata per crolli successivi, è uno strapiombo alto circa 30 m e largo altrettanto. Alla base della parete, il letto del torrente, ingombro di grossi massi di crollo, è bruscamente interrotto da una bella cascata di 12 m, quindi le acque si inoltrano nella grande galleria dell’inghiottitoio (larga 6-7 m e alta 6-10 m). Sulla parete di fronte alla cascata è visibile l’ingresso di un’ampia caverna (“Grotta Superioreâ€?), ora fossile, poco al di sotto del ciglio della cascata (percorso turistico). Dalla base della cascata, le acque percorrono uno scivolo lungo circa 40 m, impostato sugli strati orientati N40°E con immersione 30°NW. La grotta arriva ad una sala ingombra di blocchi che termina in un lago (“dei Rospiâ€?). Le acque del lago defluiscono tramite un sifone. Salendo una ripida e ampia (10 m) galleria a sinistra, è possibile raggiungere la Grotta Superiore. A destra della cascata d’ingresso, si entra in una nicchia piĂš piccola e, tramite un basso passaggio (punto 8), si entra in una sala (15x15 m), con alcune concrezioni e con un pavimento in discesa ingombro di massi ricoperti di concrezione. Sul lato opposto all’ingresso nella sala, attraverso una fessura larga 1 m, si scende un salto profondo 11 m, a mammelloni stalagmitici, giungendo alla sommitĂ di una grande galleria, inizialmente larga una dozzina di metri, alta 6-8 m, che scende ingombra di grandi massi di crollo. Dopo un tratto di circa 70 m la pendenza aumenta e con una scarpata ripidissima si giunge al letto di un corso d’acqua. Su questa scarpata confluisce da destra una seconda ed ampia galleria, sempre in forte pendenza, determinando una larghezza totale dell’ambiente di 30 m, con un’altezza della volta di 20 m. Arrivati in fondo alla galleria, ci si trova alla base di una cascata alta 7 m, e sopra una cascata alta 3 m.

La cascata superiore è aggirabile evitando di scendere completamente la galleria principale ed entrando, a sinistra, in quella secondaria, a monte del salto (punto 27). Questa galleria (ramo “delle Rapideâ€?) può essere risalita per una cinquantina di metri, superando alcune modeste rapide e piccole cascate, fino ad un lago di risorgenza (“dei Giriniâ€?). La direzione di questo ramo lascia supporre che le acque qui sgorganti provengano dal lago “dei Rospiâ€?. In base al rilievo, il lago “dei Rospiâ€? e quello “dei Giriniâ€?, risulterebbero separati da un tratto lungo 30 m con un dislivello di 8 m. Proseguendo, invece, dal fondo della galleria principale nel senso della corrente, il corso d’acqua scende due cascate, alte 3 e 5 m, gettandosi in un lago (“del Bottinoâ€?). Una grande galleria, larga 5 m, con alcune rapide, porta dopo una cinquantina di metri su un salto di 5 m, con alla base il lago “della Lampadaâ€?. Da qui al fondo la cavitĂ non presenta piĂš brusche rotture di pendenza e il corso normale delle acque è interrotto solo da modesti scivoli e gradini di lago in lago, scendendo un dislivello di 23 m su un percorso di circa 650 m. La galleria, che avanza complessivamente da ovest verso est, presenta una planimetria spezzata secondo le direzioni appenninica (NW-SE) ed antiappenninica (NE-SW). Le sezioni trasversali della galleria sono condizionate dalla pendenza degli strati verso nord, con inclinazione di circa 30°, che ha anche favorito lo spostamento del corso d’acqua sul lato sinistro della galleria stessa. Dal lago “della Lampadaâ€? dopo 80 m di galleria si raggiunge un nuovo grande lago (“della Bussolaâ€?). A metĂ di questo tratto si supera un ponte di roccia, che sovrasta un piccolo saltino. In corrispondenza del lago della Bussola, lungo 25 m, la volta si abbassa fino a 50 cm dalla superficie dell’acqua. Poco prima di questo lago, sulla destra, parte un ramo secondario (punto 41), che si sviluppa per circa 200 m, con una strettoia nel tratto iniziale, oltre la quale si raggiunge una sala (punto 130). Da qui una risalita di 20 m (punto 131) porta ad un ramo superiore. Dopo il lago della Bussola si entra in un’ampia sala e, sceso un salto di 4 m, l’acqua si infila in un condotto basso e largo (punto 50). La prosecuzione piĂš comoda è una grande galleria fossile (larga quasi 20 m e alta 4 m), a cui segue la galleria “delle Vaschetteâ€?, per complessivi 100 m, fino a raggiungere nuovamente il corso d’acqua (punto 57). L’acqua proviene da un condotto percorribile per una sessantina di metri fino ad un sifone (punto 58). Dal punto 57 di incontro delle due gallerie si prosegue verso NE nella “Grande Galleria Pianaâ€?, dove il soffitto si alza fino a 8 m, e dopo 70 m, con una brusca curva verso SE, si entra nella galleria “Ogivaleâ€?, alta 3 m. Percorsi 60 m si giunge sulle rive del lago “della Diramazioneâ€? (dal lago, una ramo lungo un centinaio di metri confluisce dalla destra). Da questo specchio d’acqua fino al lago successivo (“del Gomitoâ€?), si percorre per 150 m l’ampia galleria, superando anche una piccola rapida; una breve diramazione (50 m) si lascia a sinistra. Si procede ancora per un centinaio di metri, sempre in una grande galleria, e si arriva al lago-sifone “terminaleâ€? (-120). A metĂ di quest’ultimo tratto (punto 88) si sale uno scivolo che porta in un ramo asciutto, grande e ben concrezionato. Percorsi 120 m in leggera salita si arriva ad una biforcazione (punto 101). Proseguendo verso destra, dopo 50 m si arriva (punto 105) sopra un pozzo profondo una decina di metri che, con pareti verticali, si getta in un lago chiuso. La quota di questo lago dovrebbe corrispondere alla quota del lago-sifone terminale, anche se il rilievo mostra una differenza di 10 m. Se, invece, dal punto 101 ci si inoltra verso sinistra, il ramo (“dell’Acqua Fermaâ€?) prosegue in piano per un centinaio di metri. Poco prima dell’ultimo lago di questa diramazione, si risale sulla sinistra una colata calcitica (punto 110) in cima alla quale una strettoia dĂ accesso ad una galleria lunga circa 150 m che, con un passaggio basso, immette nel grandioso salone “Giulio Verneâ€?, molto alto, lungo circa 120 m e largo una trentina di metri, molto concrezionato, con colonne stalagmitiche. Nel


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Inghiottitoio di Val di Varri: l’ingresso prima dei lavori di turisticizzazione (foto C. Germani)

Inghiottitoio di Val di Varri: una fase degli interventi per la turisticizzazione della grotta; il ponte è stato poi

Inghiottitoio di Val di Varri: operazioni di monitoraggio ambientale nel grande scivolo (foto G. Mecchia)

demolito (foto M. Piro)

salone si trova anche un pozzo profondo una ventina di metri, che termina in una saletta chiusa. Vicino all’ingresso del salone, a destra, strisciando sotto delle fragili concrezioni, parte il ramo “Ibiza” lungo circa 90 m, che chiude con un laghetto (punto 119).

Stato dell’ambiente Il grande antro che inghiotte il torrente della Val di Varri è noto “da sempre”, come dimostrano anche i ritrovamenti di ceramica eneolitica nella “Grotta Superiore”. Tuttavia, il 2° ingresso, che permette di visitare tutta la grotta al di là del lago-sifone “dei Rospi”, è stato scoperto “solo” nel 1959. Da allora la grotta è stata percorsa numerosissime volte, da speleologi ma anche da escursionisti, almeno per il primo tratto. Fino alla fine degli anni ’80 il numero di visitatori è stimabile in alcune migliaia. Nel 1985, promossi dalla VII Comunità Montana del Salto-Cicolano, hanno avuto inizio i lavori esterni per lo sfruttamento turistico della grotta con conseguenti ingenti modificazioni della zona d’ingresso. I lavori interni (realizzazione di passerelle in griglia metallica e cemento e necessari lavori di scavo e consolidamento, scavo di due tunnel artificiali, installazione dell’impianto di illuminazione, ecc.) hanno interessato tutto il ramo “sinistro” (fin sopra il lago “dei Rospi”) e il primo tratto del ramo “destro” (fino alla “grande caverna”); tali lavori non sono ancora terminati. Il progetto ha acceso un aspro dibattito sia all’interno del mondo speleologico sia fra questo e la Comunità Montana. Il risultato più rilevante è consistito nella realizzazione, da parte della Società Speleologica Italiana e della Federazione Speleologica del Lazio, del monitoraggio, esteso al periodo di un anno, di CO2 e di temperatura in diversi punti del ramo “di destra”. I risultati dell’indagine hanno dimostrato che, almeno per quanto riguarda questi due importanti parametri, la parziale apertura della grotta al turismo potrebbe comportare un basso impatto ambientale (FOR TI & MECCHIA, 2000). Dall’inizio degli anni ’90 ad oggi la grotta non è stata più accessibile per le visite speleologiche nel suo tratto profondo, che a tutt’oggi può considerarsi pressoché integro.

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Note tecniche Si entra dalla porta del ramo turistico, a destra del grande inghiottitoio. I tunnel scavati per lo sfruttamento turistico della prima parte della grotta bypassano il P11 della 1a sala. Dalla fine del camminamento di cemento nella grande caverna si scende uno scivolo (corda 40 m) e alla base P3, P5 con sotto il lago “del Bottino”, P5 con alla base il lago “della Lampada”. Poi, fino al “lago terminale” (-120) la galleria è interrotta unicamente da scivoli e gradini di lago in lago: necessario solo il canotto o la muta.

Storia delle esplorazioni

Risorgenza di Civitella: il ramo “Fossile” (foto G. Costa)

La grotta è conosciuta da sempre. Venne esplorata nel novembre 1929 dal CSR (C. Franchetti, M. Leva, P. Pietromarchi, A. Datti), fino al lago dei Rospi; durante questa esplorazione nella Grotta Superiore fu raccolta abbondante ceramica eneolitica intorno a residui di focolari. Nel 1959 il belga Guy Van den Steen (CSR) allargò un passaggio nella nicchia a destra dell’ingresso, scoprendo l’altro ramo della grotta. Il CSR raggiunse quindi con alcune uscite il sifone terminale ed esplorò la galleria fossile presso il fondo. Il 10 marzo 1985, lo SCR (Andrea Felici, F. Ferrazzoli, Paola Maldacea, O. Mancini, M. Mecchia,


P.L. Orsini) con C. Fortunato (CSR) con una risalita nella sala della diramazione prossima al Lago della Bussola, hanno scoperto i condotti superiori. Il 5 e 12 luglio 1987 il GGR Niphargus (L. Grassi e P. Pineschi) ha esplorato il ramo del salone Giulio Verne.

Bibliografia AGOSTINI & ROSSI, 1993; ANTONIELLI, 1929; BERNABEI, 1988b; CAPPA G., 1994; DELL’OCA, 1962; DOLCI, 1967; FOR TI P. & MECCHIA M., 2000; GOBETTI, 1991; GUARESCHI & MORANDINI, 1943; GULLER & SEGRE, 1948; LEVA, 1931; MANCINI, 1997; MANISCALCO, 1963; MECCHIA M., 2000; MECCHIA M., 2001; MECCHIA M. & STERBINI, 1986; PASQUINI 1965a; PASQUINI 1965b; PASQUINI, 1999; PIGHETTI, 1962; PINESCHI G. 1986; PINESCHI G., 1988; PINESCHI P., 1988; PIRO, 1993; PIRO, 1994b; PIRO, 1994c; RADMILLI, 1978; SEGRE, 1946b; SEGRE, 1947a; SEGRE, 1947b; SEGRE, 1948a; SEGRE, 1948d; STEFANINI, 1994.

rotte, al termine del quale una galleria larga 4-5 m con acqua sul fondo prosegue per circa 80 m fino al ricongiungimento dei due rami, e da qui ancora per 60 m fino a un lago-sifone di 10x5 m (sifone “Valerio”). Il sifone, superato in immersione con le bombole, è lungo circa 30 m e piuttosto fangoso. Oltre il sifone è stata percorsa dagli esploratori una galleria lunga una trentina di metri che termina con un nuovo sifone ancora più fangoso.

Stato dell’ambiente

galleria oltre il sifone. Nel 1989 P. Giaffei e L. Russo (GS CAI Roma) con una risalita hanno scoperto il “Ramo alto”. L. Russo nel 1991 ha superato nuovamente il “Sifone Valerio” e si è fermato davanti ad un altro sifone, per ora inesplorato.

Bibliografia BOLLATI, 1994; DELL’OCA, 1962; DOLCI, 1967; MANCINI, 1997; MECCHIA G., 1989; MECCHIA G., 1993B; MECCHIA M., 2000; PASQUINI, 1999, SEGRE, 1948a.

La grotta, esplorata a partire dal 1929, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. L’accesso risulta raramente possibile per la presenza di un sifone iniziale quasi perenne. La scarsa frequentazione e l’azione dilavante del corso d’acqua fanno sì che la cavità sia pressoché integra.

Note tecniche

Risorgenza di Civitella Dati catastali 222 La - comune: Pescorocchiano (RI) - località: Casale Ciocci - quota: 639 carta IGM 1:25000: 145 IV SE Pescorocchiano - coordinate: 0°43’39”5 (13°10’47”9) 42°12’09”4 carta CTR 1:10000: 358 150 Torre di Taglio - coordinate: 2.369.750 - 4.673.970 sviluppo planimetrico: 895 m (rilevati 835 m)

Il lago-sifone all’ingresso diventa transitabile solo in occasione di siccità eccezionali. In alternativa, può essere superato con immersione speleosubacquea o svuotato con pompa. In questo caso, per superare i primi due laghi è necessario il canotto o la muta. Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni Venne scoperta nel novembre 1929 dal CSR (C. Franchetti, M. Leva, P. Pietromarchi), e percorsa per soli 8 m. Le esplorazioni del CSR ripresero nell’estate del 1961 in coincidenza dell’esplorazione del “Ramo Van den Steen” alla Grotta di Val di Varri. Il 24 settembre, dopo un lungo lavoro di svuotamento mediante pompa, M. Attisani, G. Van den Steen, Angel, M. Astorri, M. Franchetti, R. Trani, E. Bochicchio, P. Migliaccio proseguirono fino all’ultimo sifone. Il 15 ottobre 1961 L. Valerio (SCR) riuscì a superare con le bombole il sifone che prende il suo nome, tornando però subito indietro senza proseguire nella

Itinerario Dall’uscita di Valle del Salto dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila, si raggiunge il paese di Civitella (frazione di Pescorocchiano) e si lascia la macchina presso la curva davanti all’ultima casa. Sul lato a valle della strada si prende un sentiero ben segnato che dalla curva scende dritto verso il fondovalle. Ignorando i vari bivi si giunge in breve alla sponda del torrente Laoleana, e la si segue verso destra risalendo il corso d’acqua per circa 100 m, seguendo tracce di sentiero. Si lascia sulla destra un’evidente forra che scende dalla strada sovrastante, e poco dopo si incontra una paretina rocciosa trasversale al fondovalle. Gli ingressi della grotta si trovano alla base della paretina, al di là del letto del torrentello stagionale formato dall’acqua che esce dalla cavità. (10 minuti di cammino)

Descrizione La grotta è una risorgenza attiva le cui acque si gettano, dopo un percorso esterno di pochi metri, nel fosso Laoleana, affluente del Fiume Turano. Le acque che scorrono in questa grotta sono forse le stesse che attraversano l’inghiottitoio di Val di Varri. La portata del torrente sotterraneo è estremamente variabile; solo in periodi molto piovosi si ha una forte e improvvisa emissione di acqua dall’ingresso. La grotta ha due imbocchi, a 8 m di distanza l’uno dall’altro. Quello di sinistra è una stretta fessura quasi sempre allagata; quello di destra, mascherato da un accumulo di grossi massi, è un antro basso (1,5 m) e largo (3 m) occupato da un lago-sifone perenne che si svuota parzialmente solo in occasione di siccità eccezionali. I due ingressi conducono, tramite cunicoli che si collegano dopo 15 m, ad una sala circolare di 7 m di diametro, occupata da un profondo lago. Si risale un saltino di 2 m e si trova un altro profondo lago lungo 25 m, superato il quale si scende su una spiaggia sabbiosa. Da qui la grotta si sviluppa con una grande galleria orizzontale dall’andamento tortuoso, larga in genere una decina di metri. Dopo un tratto con il fondo a vaschette, una brusca curva porta ad una sala con il fondo fangoso (punto 5); quindi si procede in un ambiente con il fondo irregolare, a tratti sabbioso con uno strato superficiale argilloso, a tratti sassoso e con grossi massi di crollo. Il fondo è occupato da vari laghetti profondi circa 1 m. Una nuova brusca curva porta al lago “del Dragone”, lungo una trentina di metri, al termine del quale, risalendo un saltino di 2 m si trova un nuovo lago di una dozzina di metri di diametro. Salendo ancora un saltino di 1 m e uno scivolo si raggiunge una galleria con il fondo sabbioso che continua con ampie curve; dopo 80 m dall’ultimo lago, una risalita laterale alta 4 m permette di accedere ad un ramo superiore suborizzontale (“Ramo Alto”). Questo ramo è costituito da una galleria meandriforme lunga circa 80 m, che passa al di sopra della galleria principale e termina con uno scivolo lungo una quindicina di metri che scende fino ad uno stretto lago sifone. La galleria principale prosegue ancora per una ventina di metri, giungendo ad un bivio. A sinistra parte il “Ramo Fossile”, una galleria ampia e rettilinea, con il fondo irregolare e coperto da fine sabbia bianca, molto concrezionata, lunga 120 m, che termina congiungendosi nuovamente con il “Ramo Attivo” che invece compie un’ampia curva. Il “Ramo Attivo” prosegue con un ampio salone (“dei Massi Crollati”) largo circa 15 m e lungo un’ottantina, con massi di crollo e stalagmiti inclinate e

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Grotta dell’Acqua Nera: la galleria (foto C. Germani)

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 145 Avezzano 1 = Grotta dell’Acqua Nera 2 = Grotta Grande dei Cervi 3 = Ovito di Pietrasecca 4 = Risorgenza di Vena Cionca 5 = Grotta di Luppa 6 = Grotta del Secchio

coordinate riquadro: angolo NW = 0°35 - 42°12’ angolo SE = 0°45 - 42°04’

Grotta Grande dei Cervi: La galleria “delle Vaschette� (foto M. Chiariotti)

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Grotta dell’Acqua Nera

Grotta Grande dei Cervi

Dati catastali

Dati catastali

altro nome: Grotta Inferiore di Tufo 35 A - comune: Carsoli (AQ) - località: Tufo Basso - quota: 778 m carta IGM 1:25000: 145 III NE Carsoli - coordinate: 0°39’33”9 (13°06’42”3) - 42°09’02”6 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 020 Tufo - coordinate: 2.363.980 - 4.668.320 dislivello: +1 m - sviluppo: 125 m

altro nome: Ovito dei Quattordici 185 A - comune: Carsoli (AQ) - località: 350 m a NO dell’Ovito di Pietrasecca - quota: 862 m carta IGM 1:25000: 145 III NE Carsoli - coordinate: 0°40’47”5 (13°07’55”9) - 42°08’21”9 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 060 Pietrasecca - coordinate: 2.365.640 - 4.667.030 dislivello: +6/-113 m - sviluppo: 1875 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale Speciale delle Grotte di Pietrasecca; SIC IT7110089 “Grotte di Pietrasecca”

Itinerario Dall’uscita di Tagliacozzo dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila (solo da e per Roma; chi arriva dall’Abruzzo deve uscire a Carsoli) si percorrono 1,8 km fino a raggiungere la S.S. Tiburtina: si prosegue a destra verso Carsoli, e dopo 1 km si prende la strada a destra che attraversa i paesi di Pietrasecca e Tufo. Si prosegue per 3,3 km fino alla frazione Tufo, dove si gira a sinistra dopo il monumento ai caduti. Dopo 400 m, alla fine del paese, si svolta a destra, e dopo altri 200 m, presso la prima curva a sinistra, si lascia la macchina. L’ingresso è sulla destra della strada, a 40 m dalla curva.

Descrizione La grotta è stata la risorgenza delle acque provenienti dalla Grotta Superiore di Tufo, che inghiottiva le acque dell’antico bacino chiuso di Tufo, allungato per 4,2 km. L’inghiottitoio passava sotto all’abitato di Tufo. In seguito ad una frana il flusso sotterraneo fu interrotto e il torrente deviò più a Sud. La grotta rimase quindi divisa in due parti: la più piccola (antico ingresso del torrente) è larga circa m 1,5 ed alta, all’ingresso, 2 m; ha fondo detritico ed è in gran parte colmata (SEGRE, 1948a). La Grotta dell’Acqua Nera si apre con un suggestivo antro, largo 5 m e alto fino a 3 m, che subito si allarga fino a 10 m in una sala lunga 25 m, interamente occupata da un lago melmoso e poco profondo. Nella zona d’ingresso gli strati sono inclinati di 50° verso 210°. Sul fondo della sala parte una galleria orizzontale concrezionata, ampia 2-3 m e alta 2,5-3,5 m; il primo tratto, lungo 45 m è orientato a SE, quindi con una brusca curva il condotto si dirige verso ENE per 30 m, per poi riprendere la direzione iniziale negli ultimi 20 m. Nella galleria si incontrano due piccole sorgenti interne, dalle quali emergono acque inquinate. Verso la fine della grotta (punto 12) si trova una breve diramazione in alto ed un piccolo sifone collegato probabilmente alla Grotta Superiore di Tufo. Lasciando il sifone sulla sinistra, la galleria prosegue per una decina di metri e stringe fino a divenire un cunicolo chiuso da materiale di frana, nel quale si notano tracce del lavoro compiuto nell’inutile tentativo di ripristinare il funzionamento dell’inghiottitoio (GERMANI, 1984).

Stato dell’ambiente La risorgenza è situata subito a valle dell’abitato di Tufo Basso. L’antro di ingresso è noto da sempre e, anche grazie alla facilità di accesso, la grotta è stata frequentata dalla popolazione locale fin da tempi lontani; l’esplorazione speleologica è avvenuta per la prima volta nel 1929. Attualmente la grotta è un collettore di liquami e rifiuti vari, presumibilmente provenienti in parte dal sovrastante abitato di Tufo Basso e in parte depositati nel lago all’ingresso. Il deprecabile stato ambientale rende sconsigliabile la visita.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni La grotta è conosciuta da sempre. Venne esplorata nell’agosto 1929 dal CSR.

Bibliografia BURRI, 2002; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b; GERMANI, 1984d; NIZI, 1981; SEGRE, 1948a.

Itinerario Dall’uscita di Tagliacozzo dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila (solo da e per Roma; chi arriva dall’Abruzzo deve uscire a Carsoli) si percorrono 1,8 km fino a raggiungere la S.S. Tiburtina: si prosegue a destra verso Carsoli, e dopo 1 km si svolta a destra entrando nella frazione di Pietrasecca. Dopo 500 m, superato il paese, si lascia la macchina in uno slargo sulla destra. Si imbocca un sentiero sulla destra che procede prima in leggera salita, poi in discesa verso la valle dell’Ovito di Pietrasecca, fino all’ingresso, posto nei pressi del sentiero alla base di una paretina e chiuso con una porta in ferro, che si individua facilmente grazie ad un cartello turistico (10 minuti di cammino). La grotta attualmente è accessibile solo per motivi di studio, previa autorizzazione.

Descrizione (da GERMANI, 1984d) L’ingresso è stato aperto con uno scavo in corrispondenza della volta di una grande galleria ostruita completamente da una frana. Il cunicolo iniziale è attualmente chiuso da una porta di ferro. Oltre la porta si scendeva uno scivolo di fango e detriti che iniziava con un passaggio basso (50 cm, ora allargato) e che porta ad una prima sala (punto 3) di una ventina di metri di larghezza, sontuosamente concrezionata, da cui ha inizio la grande galleria che costituisce la prima parte della grotta (fino alla “Strettoia”, punto 14) e le cui dimensioni sono decisamente notevoli: infatti è lunga circa 400 m, larga da 2 a 30 m ed ha un’altezza variabile tra 4 e 15 m. In alcuni punti la galleria si allarga e forma dei veri e propri saloni, il più grande dei quali è la “Sala degli Antenati” a circa 100 m dall’ingresso, larga fino a 30 m e lunga circa 60 m. In questa sala sono state scoperte numerose monete del IV-V secolo d.C., una moneta della Zecca di Chieti (XV secolo) (AGOSTINI & GIZZI, 1994) e, poco più avanti, reperti paleontologici di orso, di pantera e di cervo (AGOSTINI, 1994b), che hanno dato il nome alla grotta. Nella sala si apre l’unica diramazione della zona, il “Ramo delle Meraviglie”. Per raggiungerlo, occorre risalire per 10 m una grande colata calcitica sulla sinistra, nella quale si aprono tre pozzetti chiusi sul fondo (il più profondo è di 9 m) ed alcuni ambienti minori molto concrezionati. In questo ramo, lungo 70 m, alcune frane ci ricordano che siamo a pochissimi metri dall’esterno. Superata la Sala degli Antenati si incontrano alcuni accumuli di frana parzialmente concrezionati, poi la galleria si allarga e si presenta con un pavimento bianco e cristallino, ora nascosto da fango di calpestio, fittamente coperto di piccole vaschette asciutte; qua e là si notano grandi “castelli” di stalagmiti.

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Dopo un tratto più stretto, a 350 m dall’ingresso si apre un nuovo bellissimo salone detto “delle Vaschette” (punto 13), il cui pavimento è interamente coperto da queste belle concrezioni, qui di grandi dimensioni, profonde fino a 50-60 cm e colme d’acqua. Al termine del salone una breve galleria in lieve discesa sulla destra porta alla “Strettoia” (in realtà il passaggio non è particolarmente stretto). Oltre la Strettoia, una galleria fangosa lunga qualche decina di metri ed ingombra di massi di crollo porta ad un salto, che si affaccia su un torrente che scorre una decina di metri più in basso. Alla base del salto si trova una galleria che può essere salita (ramo “della Medusa”) o discesa. Per accedere al ramo “della Medusa” è però conveniente tenersi sulla destra senza scendere il P10, passando sul fondo finché è possibile, poi occorrono alcuni metri di corda per scendere dal bivio (punto 16) al livello dell’acqua. Questo ramo è lungo circa 150 m ed è occupato per circa la metà da un grande lago (punti 18-19) oltre il quale si risalgono 2-3 m e si arriva ad una fessura fangosa dalla quale sgorga il torrente. Dalla base del salto da 10 m (punto 17) si prosegue nel ramo di sinistra (“Ramo della Luna”), che da’ accesso alla parte più importante della grotta, molto complessa e lunga circa 1 km. I primi 200 m sono rappresentati da una forra diretta a SW, larga un paio di metri e alta una decina, che può essere percorsa senza difficoltà a mezza altezza o sul fondo fino ad una sala di crollo, oltre la quale inizia il “Fiume di Fango”. Si tratta di una galleria tortuosa, larga da 2 a 6 m e lunga circa 200 m, interamente allagata da fango molto fluido profondo 1-1,5 m (in qualche punto forse di più) che costituisce un fastidioso passaggio obbligato. La parte superiore di questa galleria è riccamente concrezionata e contrasta nettamente con la parte bassa dove si avanza faticosamente nella melma. Alcune brevi diramazioni sono note in questa zona. Il fiume termina nella “Sala del By-pass” dove una soglia rocciosa argina il fango, dal quale emerge nuovamente il torrente che, dopo essere 370 sparito tra i massi della sala di crollo ed essersi disperso nel fango, scorre di nuovo tra i massi. Il torrente può essere seguito per un centinaio di metri fino ad un pozzo sulla sinistra, profondo 30 m, nel quale si getta con una cascata (punto 35). Il fondo del pozzo è interamente occupato da un lago-sifone. Passando a fianco dell’imbocco del pozzo, la galleria prosegue ininterrotta. Circa 10 m più avanti si sale in un’evidente galleria sulla sinistra e dopo una cinquantina di metri si arriva nel “salone Angeletta”, un grande ambiente concrezionato e dall’alto soffitto, largo una quindicina di metri. Da qui una breve galleria con vaschette e in lieve discesa porta a sinistra ad un piccolo sifone e a destra poco dopo, al “Fiume del Silenzio”. Proseguendo, invece, lungo la galleria principale, ora in lieve salita, si giunge ben presto ad una strettoia impraticabile che segna la fine di questa parte della cavità (punto 46). Il Fiume del Silenzio (punti 47-54), un bel meandro largo in media un paio di metri, lungo circa 250 m e con prevalente direzione sud, si raggiunge scendendo 35 m dopo il salone Angeletta con una serie di saltini (P10, P3). E’ il collettore delle acque di questa parte di grotta, che probabilmente riceve le acque scomparse nel lago-sifone alla base del P30. Le acque del Fiume del Silenzio provengono prevalentemente da una stretta diramazione, percorsa per 50-60 m (“Alcatraz”), proveniente da nord, nonché dagli stillicidi del Salone Angeletta e delle zone adiacenti. Al termine del Fiume del Silenzio un salto di 13 m porta ad una saletta con un lago-sifone, che rappresenta il fondo della grotta (-113). Anche durante l’estate la galleria oltre la strettoia è percorsa da un rivolo d’acqua. Presso l’imbocco è sensibile la corrente d’aria diretta verso l’uscita (osservazione del maggio-giugno).

rinvenute tracce di frequentazione antica sia animale che umana. A partire dall’anno della sua scoperta la cavità è stata molto frequentata; il numero complessivo di visite è stimabile in oltre un migliaio. Poco dopo la scoperta l’imbocco è stato chiuso con un cancello dalla Soprintendenza Archeologica di Chieti. Tuttavia la scarsa efficacia strutturale del cancello e la ridotta selettività del numero di accessi autorizzati non hanno consentito di effettuare efficacemente l’azione di tutela, prevista anche dalla Legge Regionale Abruzzese 10 marzo 1992, n. 19 che ha istituito la Riserva Naturale Speciale delle Grotte di Pietrasecca comprendente anche la cavità in oggetto. Dal 1997 una porta in ferro chiude più efficacemente l’ingresso del sistema carsico. Il primo tratto fino alla “Strettoia” era originariamente di concrezione bianca brillante (particolarmente delicata), ma ormai è quasi ovunque coperto dal fango inevitabilmente prodotto dal calpestio e il bianco fantastico visibile nelle prime esplorazioni è solo un lontano ricordo. Con ciò non si intende descrivere una condizione di particolare degrado; infatti la visita di questa grotta rimane una delle più belle fra quelle possibili nell’Appennino. Superate le gallerie iniziali, le zone più interne della grotta sono state poco battute, conservando interamente lo stato originario.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL LAGO-SIFONE TERMINALE DEL “FIUME DEL SILENZIO”: I primi 400 m, fino ad oltre la “Strettoia”, non richiedono l’utilizzo di attrezzatura (per visitare la diramazione della galleria “delle Meraviglie” si risalgono 10 m, utilizzando 20 m di corda). Oltre la “Strettoia”: P10 per scendere sul torrente al bivio con il ramo “della Medusa” (corda 15 m), Ramo “della Luna”, “Fiume di Fango”, si passa a fianco del P30, salone “Angeletta”, biforcazione (si scende), P10, P3, “Fiume del Silenzio”, P13, lago-sifone (-113).

Grotta Grande dei Cervi: la galleria “degli Antenati” (foto C. Germani)

Storia delle esplorazioni Esplorata nel marzo del 1984 dal GS CAI Roma, in seguito all’individuazione, da parte di P. Giaffei, di una nicchia nella roccia, in gran parte occupata da una frana. Un lungo lavoro di scavo ha consentito, dopo due giorni, di aprire il cunicolo d’ingresso (G. Albamonte, Francesca Arcioni, Luana Belli, Elisabetta Bianchi, G. Fronterotta, Maura Gambini, V. Gambini, C. Germani, Giaffei, C. Josso, M. Re, Federica Ricci, L. Russo e un quattordicesimo di cui non si ricorda il nome). Nelle settimane successive è stata completata l’esplorazione (in particolare da C. Germani, M. Re, C. Fortunato, M. Gambini e P. Giaffei). Poco dopo la scoperta, la grotta è stata chiusa con un cancello dalla Soprintendenza Archeologica di Chieti. Nel 1992-93 il Gruppo Nazionale Geografia Fisica e Geomorfologia, sezione Carsologia, ha realizzato uno studio multidisciplinare sull’area carsica di Pietrasecca, pubblicato nel 1994. La Grotta Grande dei Cervi è la grotta naturale italiana in cui maggiormente sono stati sviluppati gli studi di sismotettonica e paleosismica, grazie ad un insieme di caratteristiche che la rendono ideale per questi scopi.

Bibliografia AGOSTINI, 1994b; AGOSTINI & GIZZI, 1994; AGOSTINI & PICCINI, 1994; BELLI & RANDOLI, 1986; BURRI, 2002; BURRI & FOR TI, 1995; GERMANI, 1984a; GERMANI, 1984d; GERMANI, 1985; GERMANI, 1986.

Stato dell’ambiente La grotta è stata aperta nel 1984 grazie all’opera di rimozione del detrito di frana che ne occludeva l’imbocco. Nel tratto iniziale sono stati

Grotta Grande dei Cervi: la galleria “delle Vaschette” (foto G. Mecchia)


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Ovito di Pietrasecca Dati catastali 1 A - comune: Carsoli (AQ) - localitĂ : sotto l’abitato di Pietrasecca - quota: 806 m carta IGM 1:25000: 145 III NE Carsoli - coordinate: 0°41’00â€?4 (13°08’08â€?8) - 42°08’16â€?1 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 060 Pietrasecca - coordinate: 2.365.980 - 4.666.850 dislivello: +14/-40 m - sviluppo spaziale: 1370 m Aree protette di riferimento: Riserva Naturale Speciale delle Grotte di Pietrasecca; SIC IT7110089 “Grotte di Pietraseccaâ€?

Itinerario Dall’uscita di Tagliacozzo dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila (solo da e per Roma; chi arriva dall’Abruzzo deve uscire a Carsoli) si percorrono 1,8 km fino a raggiungere la S.S. Tiburtina: si prosegue a destra verso Carsoli, e dopo 700 m, poco prima del bivio per la frazione di Pietrasecca, si imbocca una strada in discesa sulla destra (cartello turistico per l’Ovito di Pietrasecca) e si lascia la macchina alla fine della strada asfaltata. Si segue una strada sterrata a sinistra che in breve conduce ad un torrente (che scompare inghiottito poche centinaia di metri piÚ avanti nell’Ovito di Pietrasecca). Si costeggia il torrente che porta direttamente all’imbocco dell’inghiottitoio (10 minuti di cammino).

Descrizione (da GERMANI, 1984d) L’Ovito inizia con un ampio doppio portale, largo 10 m ed alto una ventina di metri, la soglia di cemento di un idrometro, costruito negli anni ‘50 ed ora fuori uso, sbarra in parte l’imbocco. L’ingresso inghiotte un corso d’acqua attivo quasi tutto l’anno, che drena un bacino di circa 13 km2. La prima parte della cavitĂ fino al “Gomito del Contattoâ€? è costituita da un’ampia galleria suborizzontale lunga 250 m, larga mediamente 8 m e alta 15-20 m, orientata a WSW (strati inclinati di 20° verso NE all’ingresso; l’inclinazione diminuisce progressivamente fino all’orizzontale nei pressi della “Caverna dei Gigantiâ€?). In essa il torrente forma una suggestiva serie di laghi e piccole rapide, tutte superabili senza difficoltĂ particolari. In questo tratto si incontrano due diramazioni: la prima, a sinistra 80 372 m dopo l’ingresso, porta ad una saletta (sala dell’Osso) da cui partono due cunicoli di cui quello a sinistra chiude dopo pochi metri, mentre l’altro è lungo una ventina di metri e termina con un sifone impraticabile. Questa parte di grotta si comporta da inghiottitoio interno temporaneo ed è spesso ingombra di materiali fluitati. Di fronte, sulla destra, si trova la galleria “delle Vaschetteâ€?, lunga 50-60 m e diretta a nord. Questa diramazione è ben concrezionata ed il fondo è a vaschette; la galleria termina su un sifone (punto 10) che, quando il livello dell’acqua è basso, può essere percorso per una trentina di metri e si dirige decisamente verso l’esterno. Sopra il sifone alcuni ambienti proseguono verso l’alto per qualche decina di metri. Durante le piene, la galleria “delle Vaschetteâ€? si comporta da affluente. Nel ramo principale, superate le due diramazioni, si raggiunge la sala “dei Massi Crollatiâ€?, larga 20 m. Dopo un restringimento, la galleria si allarga di nuovo nella sala “dei tre Archiâ€?. Ancora una cinquantina di metri, poi il corso d’acqua occupa l’intera sezione, larga 4-5 m. Proseguendo per altri

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Grotta Grande dei Cervi: la galleria “degli Antenati� (foto C. Germani)

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Ovito di Pietrasecca: La traversata dal “gomito del Contatto� alla “Caverna dei Giganti� (foto C. Germani)

50 m si giunge ad una brusca svolta a destra (“Gomito del Contattoâ€?) che porta ad un saltino di 2 m superabile con un traverso sulla sinistra (corda). Ben visibile, sul lago sotto il saltino, il contatto fra il calcare miocenico (color nocciola chiaro) e quello sottostante cretacico (compatto, organogeno, stratificato e biancastro), da non confondere con le tracce delle piene. Subito dopo la galleria stringe (1 m), volta prima a sinistra e poi di nuovo a destra, ed inizia il tratto detto il “Canyonâ€? (punti 24-28), una successione di rapide, laghi piĂš o meno profondi e cascate, lunga circa 50 m, tortuosa ma ampia e priva di diramazioni. Questa parte di grotta, di prevalente direzione NW, è molto suggestiva e presenta qualche difficoltĂ , specie nel periodo invernale ed in caso di piena; in queste occasioni può diventare decisamente pericolosa. Se l’acqua è alta, numerosi attacchi consentono di stendere un corrimano lungo tutto il Canyon. Il primo lago (lago “Manuelaâ€?) si supera salendo 5-6 m sulla sinistra fino ad un terrazzino, da cui ci si cala (P8) raggiungendo l’altra sponda con un pendolo. Seguono una cascatella (P3) ed una marmitta che si superano con una tecnica analoga alla precedente. Si incontrano subito dopo uno scivolo molto viscido da scendere con corda (P5) ed una grande marmitta in corrispondenza della quale la grotta volta a destra in direzione SW. Dal bordo della grande marmitta si scende ancora (2 m) fino ad un terrazzino dal quale si arma la discesa di un salto di 8 m fino al lago sottostante (il “Lagoneâ€?, largo 15 m e profondo fino a 2,7 m), lungo il bordo del quale una cengia semisommersa consente di uscire senza bagnarsi troppo. Il salone in cui termina il “Canyonâ€? (“Caverna dei Gigantiâ€?) è un vasto ambiente (lungo 80 m, largo da 10 a 30 m, alto fino a 25 m) in parte occupato dal “Lagoneâ€?, alimentato dal torrente che vi precipita con una cascata bellissima, specie d’inverno, alta in tutto 10 m. Sulla destra della sala una serie di vaschette porta ad un piccolo sifone probabilmente in collegamento con il ramo “dei Laghiâ€?. Proseguendo lungo il torrente si incontrano delle rapide tra massi scivolosi e, alla fine del salone, è evidente sulla destra (punti 32-34) una grande galleria in salita che porta ad alcuni ambienti secondari e alla galleria “dei Massiâ€?. Oltre il salone (punto 34) la galleria prosegue per altri 80 m a sud verso i laghi terminali; è interessante notare che il sifone terminale non è l’ultimo lago ma il penultimo, infatti in estate si osserva l’acqua fluire dall’ultimo lago verso il sifone. Il lago terminale (-41) è profondo 5,7 m. In cima alla galleria inclinata molto concrezionata di cui si è detto precedentemente (punto 33),


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alla sommità di una risalita di 9 m, si apre la galleria “dei Massi”, lunga 130 m e larga fino a 20 m, diretta a nord ed ingombra di grandi massi instabili crollati dalla volta (alta da 4 a 10 m e priva di concrezioni). All’incirca alla metà di questa galleria (punto A), sulla destra, si apre la diramazione “dei Laghi”, un piccolo labirinto di gallerie semiattive parallele alla grande galleria “dei Massi” ma a quota più bassa. Dopo altri 20 m sulla sinistra si apre una saletta circolare (del “Lago”) poco concrezionata e fangosa. La galleria “dei Massi” termina in una zona molto ben concrezionata detta “il Bivio”, qui in inverno si incontra un ruscello, risalendo il quale si giunge, dopo altri 60 m di galleria ampia e fangosa verso NE, al grande “Salone Concrezionato” che, come lascia intuire il nome, è di gran lunga l’ambiente più bello della grotta, sontuosamente ornato di stalattiti e stalagmiti, anche eccentriche. A metà sala, in alto a destra, dopo una serie di candide vaschette e limpidi laghetti, una cascatella alimenta il torrentello; poi in fondo una breve galleria chiude in una frana (punto K). Due diramazioni, una a destra e una a sinistra, si perdono dopo poche decine di metri in nuove frane. Se dal “Bivio” si segue il ruscello si entra nella condotta “delle Eccentriche” nella cui saletta terminale, ad una quarantina di metri dal “Bivio” ed in comunicazione con il ramo “dei Laghi”, due pozzi paralleli di 12 m (punto F) portano ad una galleria semiallagata sottostante. Una galleria affluente con vaschette sul pavimento si apre a metà del primo dei P12 e termina in una fessura di fango (punto G). Ovito di Pietrasecca: Ramo “delle Vaschette” (foto G. Mecchia)

Stato dell’ambiente

Itinerario Dall’uscita di Tagliacozzo dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila (solo da e per Roma; chi arriva dall’Abruzzo deve uscire a Carsoli) si percorrono 1,8 km fino a raggiungere la S.S. Tiburtina: si prosegue a destra verso Carsoli, e dopo 3,2 km si parcheggia la macchina in un grande spiazzo a sinistra subito prima di un ponte. Sulla sinistra del ponte parte un sentierino in forte discesa che passa sotto il ponte stesso, attraversa un roveto e termina all’ingresso della grotta, posta alla testata di una marcata incisione torrentizia (5 minuti di cammino).

Descrizione (da GERMANI, 1984d)

Storia delle esplorazioni

Stato dell’ambiente

La grotta è conosciuta da sempre. Venne esplorata parzialmente il 5 aprile 1925 dal CSR (C. Franchetti e A. Datti). Gli esploratori entrarono nell’inghiottitoio e ne percorsero un primo tratto, arrestandosi al Gomito del Contatto. Nel 1928 e nel 1929 il CSR tornò nella zona e rientrò nell’Ovito; ma non si hanno notizie sull’esito dell’esplorazione. Nell’agosto 1942 A.G. Segre, C. Guareschi e I. Mosca esplorarono la cavità fino a sopra il P8 dopo il Lago Manuela, come risulta dal rilievo pubblicato da GUARESCHI E MORANDINI (1943). Nel settembre 1946 il CSR, appena rifondato, in collaborazione con la Società Svizzera di Speleologia, completò l’esplorazione del ramo attivo, come risulta dal rilievo di A.G. Segre, A. Guller, C. Ranieri (SEGRE, 1948a). Con una serie di punte nei primi mesi del 1959 lo SCR riesplorò la grotta, elaborando il rilievo ancora oggi in uso, ed effettuando studi geologici (ANGELUCCI ET ALII 1959; DERIU & NEGRETTI, 1961); oltre il lago terminale è stata scoperto un breve cunicolo fangoso che permetteva di accedere a una seconda sala chiusa da un sifone. L’11 febbraio 1984 il GS CAI Roma (C. Fortunato, G. Albamonte, Luana Belli e G. Fronterotta) effettuando una risalita nella Caverna dei Giganti, ha scoperto il Ramo Fossile. L’esplorazione di questa zona è stata completata nei mesi successivi dal GS CAI Roma. Nel 1992-93 il Gruppo Nazionale Geografia Fisica e Geomorfologia, sezione Carsologia, ha realizzato uno studio multidisciplinare sull’area carsica di Pietrasecca, pubblicato nel 1994.

La risorgenza, nota da sempre e le cui zone più interne sono state esplorate nel 1959, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina, sia per la limitazione di accesso imposta dal regime idrico, sia a causa del forte inquinamento delle acque. Quelle che raggiungono la cavità infatti, raccolgono reflui provenienti dal paese sovrastante, ed in estate tutta la cavità, ma soprattutto il lago terminale, risulta decisamente malsana e maleodorante. Questo fatto sconsiglia in genere la visita della grotta.

Con una corda lunga 120 m e numerosi attacchi si attrezza completamente la galleria dal “Gomito del Contatto” fino al “Lagone” (vedi descrizione). E’ consigliabile la muta per chi arma; a traverso attrezzato si passa all’asciutto.

Bibliografia AGOSTINI & PICCINI, 1994; ANGELUCCI, 1962; ANGELUCCI ET AL., 1959; BURRI, 2002; BURRI & FOR TI P., 1995; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b; DATTI & FRANCHETTI, 1926a; DERIU & NEGRETTI, 1961; FOR TUNATO & GERMANI, 1984; GERMANI, 1984a; GERMANI, 1984b; GERMANI, 1984d; GERMANI, 1986; GUARESCHI & MORANDINI, 1943; GULLER & SEGRE, 1948; MORANDINI, 1942; NIZI, 1981; PASQUINI, 1959a; PASQUINI, 1999; SEGRE, 1946b; SEGRE, 1947a; SEGRE, 1947b; SEGRE, 1948a. Ovito di Pietrasecca: il salone “Concrezionato” (foto A. Cerquetti)

Altro nome: Risorgenza Inferiore di Pietrasecca 33 A - comune: Carsoli (AQ) - località: Vena Cionca - quota: 755 m carta IGM 1:25000: 145 III NE Carsoli - coordinate: 0°40’13”3 (13°07’21”7) - 42°07’56”8 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 060 Pietrasecca - coordinate: 2.364.840 - 4.666.270 sviluppo planimetrico: 130 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110089 “Grotte di Pietrasecca”

GALLERIA “DEI MASSI” (RAMO FOSSILE): La risalita di 9 m + scivolo per accedere alla galleria “dei Massi” richiede 20 m di corda.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL SIFONE “TERMINALE”:

Ovito di Pietrasecca: il salone “Concrezionato” (foto M. Chiariotti)

Dati catastali

E’ la risorgenza di troppo pieno delle acque dell’Ovito e della Grotta Grande dei Cervi. La sorgente perenne è situata più in basso nell’alveo del torrente, è sempre attiva e sgorga da un buco di pochi centimetri di diametro. L’ingresso è un antro largo 5 m e alto 2 m, completamente sommerso durante tutto l’anno ad eccezione di alcuni periodi durante l’estate, quando il livello si abbassa e permette di entrare. In queste occasioni, entrati nell’antro si incontra subito una ampia galleria semi-allagata, larga 3-4 m, che si dirige verso est e che, dopo 20 m (punto 2), si allarga e riceve un affluente da una diramazione a sinistra. Questa diramazione può essere percorsa per 40 m in lieve salita fino ad un sifone perenne (punto 5). Proseguendo lungo la galleria principale, che si mantiene ampia e quasi con la stessa orientazione del tratto d’ingresso, tra i banchi di fango si incontra subito un muretto; infine, dopo 70 m, si giunge al lago-sifone terminale. La quota del fondo della Grotta Grande dei Cervi risulta 6 m più bassa dell’imbocco della risorgenza, mentre quella del sifone terminale dell’Ovito di Pietrasecca si trova 10 m più in alto. Comunque, data la scarsa precisione sia dei rilievi interni che del posizionamento degli imbocchi, è azzardato trarre conclusioni da queste misure.

La grotta è ovviamente nota da sempre ed è stata oggetto di assidua frequentazione, stimabile in molte migliaia di visite, probabilmente oltre 10.000, nel corso del secolo appena concluso. Nell’ampio portale di ingresso è stato realizzato negli anni ‘50 uno stramazzo in cemento per la misura della portata. Poiché la grotta funziona da inghiottitoio, le acque fluenti possono occasionalmente risultare inquinate anche se la periodica vigorosità della portata effettua un’efficace azione di pulizia. Nonostante l’assidua frequentazione quindi, la galleria attiva non presenta evidenti segni di alterazione. Il “ramo fossile”, scoperto nel 1984, non presenta significative alterazioni ad eccezione dell’inevitabile segno di calpestio sui pavimenti.

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Risorgenza di Vena Cionca

Note tecniche Non occorrono attrezzature, ma è necessario indossare la muta.

Storia delle esplorazioni Ben conosciuta dai locali come sorgente temporanea, fu visitata nel luglio 1928 dal CSR, che ne percorse i primi 10 m; il 15 gennaio 1959 il CSR proseguì l’esplorazione. Nei primi anni ’60 lo SCR tentò di svuotare il sifone di sinistra mediante tubi, abbassando il livello dell’acqua e scoprendo una nuova sala.

Bibliografia BURRI, 2002; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b; GERMANI, 1984d; PASQUINI, 1959b; PASQUINI, 1961; SEGRE, 1948a; NIZI, 1981.


Grotta di Luppa Dati catastali 32 A - comune: Sante Marie (AQ) - località: Valle di Luppa - quota: 896 m carta IGM 1:25000: 145 III NE Carsoli - coordinate: 0°42’17”5 (13°09’25”9) - 42°07’12”6 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 060 Pietrasecca - coordinate: 2.367.670 - 4.664.880 dislivello: -178 m - sviluppo planimetrico: 2020 m.

Itinerario Dall’uscita di Tagliacozzo dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila (solo da e per Roma; chi arriva dall’Abruzzo deve uscire a Carsoli) si percorrono 1,8 km fino a raggiungere la S.S. Tiburtina: si prosegue a sinistra verso Tagliacozzo. Dopo 1,7 km si lascia sulla destra della strada, la macchina presso un cartello turistico che indica l’inghiottitoio. Seguendo tracce di sentiero si attraversano i prati sulla destra della strada e si raggiunge il fosso e l’ampio portale d’accesso (5 minuti di cammino).

Descrizione E’ l’inghiottitoio di un bacino chiuso esteso 9,5 km2. L’ingresso è un grande portale, alto 20 m e largo 15. La grotta, che procede complessivamente verso SW, è impostata su fratture orientate NE-SW e NW-SE, eccetto due brevi tratti a direzione E-W e N-S. Nell’ampio androne di ingresso si trovano, sulla sinistra, due fori circolari che immettono nel ramo “dei Tricotteri”, che si sviluppa a quote più basse rispetto alla galleria principale e con ambienti molto più angusti. Appena entrati nel ramo, si apre un pozzo di 12 m, superato il quale si prosegue carponi. Il condotto, con fondo ciottoloso e fangoso, è ingombro d’arbusti trasportati dalle acque, che d’estate ristagnano in piccole pozze. Dopo 65 m si supera una strettoia, talvolta ostruita dai materiali trasportati nelle piene. Più oltre il ramo scende allargandosi; un saltino conduce a una stretta galleria inferiore. Dopo alcune vaschette e un ambiente largo una decina di metri, il ramo termina con un pozzo (punto 41), dopo un percorso complessivo di 200 m (SEGRE, 1948a). Ripartendo dall’imbocco della grotta, in fondo all’androne di ingresso, sulla destra, si trova una breve (50 m) diramazione in salita, asciutta e ricca di concrezioni. Dall’androne di ingresso il ramo principale prosegue in una galleria larga 2 m, che scende rapidamente con alcuni piccoli salti determinati da massi di crollo incastrati fra le pareti. Passato un punto un po’ più stretto, si entra in un vano nel quale l’acqua si getta a cascata, con un primo salto di 4 m (punto 3), seguito da uno scivolo di 3 m che si getta in una grande marmitta (il “bicchiere”), traversata la quale (punto 4) si scende un ulteriore salto di 3 m. Poco più avanti un piccolo affluente da Nord (destra della cavità) ha causato la formazione di vaschette tra la parete e un massiccio pilastro centrale, al fianco del quale un modesto lago convoglia le acque al ciglio di una cascata di 9 m (punto 5). Il pozzo termina su un grande lago (10x15 m), in un ambiente alto una ventina di metri. Si prosegue in una galleria alta più di 20 m, larga 80 cm nella sezione più stretta dove l’acqua è profonda 1,7 m e il fondo è melmoso. In alto alcune linee sulle pareti testimoniano quattro antichi livelli delle acque, evidenziati nella galleria successiva da brecce cementate pensili, residui di riempimenti successivamente asportati. Interessante in alto un fascio di stalattiti che pende dalla parete di destra (le “canne d’organo”). Dopo 120 m dal salto si osserva una colata di mammelloni su base fangosa (scivolo “di Carlo”), alimentata da un affluente di destra. Qui il corso d’acqua fa una brusca curva a sinistra, sottopassa due ponti di roccia con resti di brecce a circa 4 m di altezza, e sfocia in un lago profondo 1,4 m con fondo melmoso, sotto una volta distante dal pelo dell’acqua da 1 m a 10 cm (pseudosifone, punto 9), che in periodi di piena può chiudersi.

La cavità riprende l’andamento verso SW in prolungamento di un affluente di sinistra, che, data la cospicua portata e il regime delle acque, presumibilmente è lo sbocco del ramo “dei Tricotteri”. Una serie di laghi a fondo roccioso, di cui uno profondo 2,2 m e uno 2,7 m intervallati da gradini rocciosi alti 1-2 m e da spiaggette a ciottoli arrotondati portano il corso d’acqua, dopo 160 m dallo pseudosifone, sull’orlo (punto 10) della più grande cascata della grotta, alta 22 m (il “Gran Salto”). In questo tratto, nel punto dove l’andamento della galleria assume la direzione E-W, si notano le prime ippuriti, segno che si è passati dalla formazione miocenica a quella cretacica (PASQUINI, 1963b). Sotto la grande cascata (sala “Marinotti”) si trova un vasto lago non sondato, ma sicuramente più profondo di 1,5 m. Una spaccatura porta da questo ambiente domiforme ad una larga (3-4 m) galleria meandriforme, che scende tra blocchi di crollo che formano alcuni gradini e un salto profondo 5 m (punto 12). Sono visibili alcune faglie con brecce di frizione, in corrispondenza delle quali gli ambienti sono più vasti. Poi la grande galleria si stringe a 1,52 m ed assume l’aspetto di un canyon a marmitte sfondate, che formano una prima successione di tre salti (di 2, 2 e 6 m), intervallati da laghi, poi, dopo un breve tratto, una seconda serie di saltini (4, 5 e 2 m), sempre con profonde pozze alla base. La galleria prosegue alta una trentina di metri. In un grande blocco caduto dalla volta (punto 19) si vedono bellissimi coralli; nei pressi si osservano anche ippuriti di grandi dimensioni. Si arriva, a 350 m dal “Gran Salto”, superando alcuni gradini, ad un ultimo salto di 8 m (punto 22), sceso il quale si avanza in una galleria ingombra di massi e di ciottoli, con due laghi, che dopo 50 m termina in una saletta circolare occupata da un lago-sifone. Le acque defluiscono nel sifone profondo circa 1,5 m e lungo circa 1 m (sifone “Dolci”). Superato in immersione il piccolo sifone, vi sono due piccole sale con volta alta circa 2-3 m, lunghe in complesso una quindicina di metri, che immettono in un grandioso salone intitolato alla memoria di Carlo 375 Franchetti, primo esploratore della grotta. Il salone, largo 20 m e lungo quasi 100 m, è parzialmente alluvionato da depositi fangosi e sabbiosi riescavati dal corso d’acqua, che però ha una portata molto ridotta rispetto a quella che aveva all’ingresso del sifone, probabilmente perché buona parte di essa filtra sotto i sedimenti. Questo vasto ambiente scende dolcemente e dà adito a due prosecuzioni. La prima, a sinistra, raccoglie le acque in una stretta galleria che immette, con un salto di un paio di metri, in un lago-sifone (punto 24), con materiale fluitato che galleggia sullo specchio d’acqua, mentre l’acqua defluisce in una condotta sommersa. Sulla parete opposta, un foro del diametro di 1,5 m immette in una condotta che in breve porta ad un secondo lago-sifone a pareti chiuse (punto 25). Dall’ingresso si raggiunge questo lago “terminale” avendo percorso circa 1000 m di gallerie sotterranee. E’ necessario evidenziare che del ramo principale di questa grotta esistono due rilievi entrambi realizzati nel 1959. Il primo, elaborato dallo SCR e scelto per la pubblicazione di questo lavoro, fornisce una profondità del sifone terminale di 170 m; il secondo rilievo, realizzato dal CSR, pur molto simile nell’andamento in pianta riporta per lo stesso punto una profondità di 145 m. Dal salone “Franchetti”, la seconda prosecuzione sulla destra è una salita franosa lunga 100 m su crostoni che hanno cementato ciottoli arrotondati; arrivati in cima (punto 26, dislivello di 40 m) si può scendere in una galleria con limpidissime vaschette, e affacciarsi (punto 27) su un salto di 8 m, oltre il quale un lago porta sull’orlo di un pozzo di 45 m, terminante in un profondo lago-sifone (punto 28, -178), dal quale l’acqua prosegue il suo cammino seguendo una via interamente sommersa. Dalla colata alla sommità della salita franosa (punto 26) si percorrono verso destra una decina di metri fino ad una risalita (6 m) alla cui sommità (punto 29) si scopre di essere saliti sul bordo di una grande vasca; bisogna


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Dati catastali M SLM

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non catastata - comune: Carsoli (AQ) - localitĂ : Valle Impuni - quota: 750 m carta IGM 1:25000: 145 III NO Carsoli – coordinate (approssimate): 0°40’57â€? (13°08’05â€?4) 42°06’36â€?5 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 060 Pietrasecca - coordinate (approssimate): 2.365.790 4.663.770 dislivello: +10/-3 m - sviluppo planimetrico: 254 m

Itinerario Da Carsoli si prende la SS 5 Tiburtina Valeria in direzione Tagliacozzo. Dopo circa 8 km si prende una stradina che scende a sinistra e porta al cimitero del paese di Colli di Monte Bove, presso il quale si lascia la macchina. Si prosegue lungo la sterrata (percorribile con i fuoristrada) che scende costeggiando il versante del Monte Guardia d’Orlando. Tralasciando i bivi con altre sterrate a sinistra, si segue sempre la strada principale. Dopo circa 1 km, arrivati ad uno slargo in corrispondenza di una biforcazione, si imbocca il sentiero sulla sinistra. Quando quest’ultimo entra nel bosco, si prosegue per circa 100 m scendendo verso sinistra. L’ingresso, di difficile reperimento, si trova fra gli alberi lungo il versante (20 minuti di cammino).

Descrizione quindi ridiscendere subito lo stesso dislivello appena superato. Segue una breve galleria (15 m) che termina sotto una cascata verticale alta 14 m. Effettuata la risalita (punto 30), dopo un paio di metri si supera una strettoia (allargata artificialmente), oltre la quale c’è una saletta, seguita da un meandro (punti 30-34), stretto e interrotto da alcuni saltini in salita. Dalla “Sala Grandeâ€? (punto 34), partono due diramazioni: quella di destra è una grande galleria concrezionata lunga 65 m e larga in media 8 m, che sale e termina con una sala occupata in parte da un lago; quella di sinistra si sviluppa invece in discesa per 240 m, larga in media 2-3 m, fino al punto 37. Verso la fine, una diramazione di destra, anch’essa discendente, chiude con una sala dopo un’ottantina di metri (punto 38).

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Note idrologiche La grotta è percorsa da un torrente, asciutto solo nel periodo di magra estiva, tra giugno e settembre. Tra settembre e novembre, in conseguenza delle prime piogge autunnali, si verificano pericolosi fenomeni di piena. All’inizio di questa stagione precipitazioni regolari della durata di tre giorni consecutivi non danno luogo a scorrimento superficiale d’acqua. A questo punto un’ulteriore minima precipitazione è sufficiente per provocare una piena improvvisa, essendosi raggiunta l’impermeabilizzazione del suolo per saturazione. Nei mesi invernali si mantiene un certo equilibrio nei livelli idrometrici. Da marzo a maggio si raggiunge una punta di massima portata in coincidenza con le precipitazioni primaverili e con il disgelo (CSR, 1963a).

Stato dell’ambiente L’inghiottitoio rappresenta un punto di riferimento paesaggistico all’interno dei Monti Carseolani ed è pertanto stato conosciuto fin da tempi remoti. A partire dal 1929 la grotta è stata oggetto di esplorazioni speleologiche e percorsa numerosissime volte da un numero di visitatori complessivamente stimabile in alcune migliaia. All’interno si osservano resti di materiale speleologico utilizzato nel corso delle prime esplorazioni. Il loro valore documentale li rende in un certo senso meno “estraneiâ€? all’ambiente sotterraneo. Al di lĂ della presenza di tracce “inevitabiliâ€? di una frequentazione assidua, la grotta conserva pienamente il fascino originario anche grazie alla presenza di un corso d’acqua con portate periodicamente molto elevate. Sono da considerare praticamente integri i rami esplorati nel corso degli ultimi anni.

Note tecniche DALL’INGRESSO AL PRIMO LAGO: P4, Scivolo 3, traversata di 4 m sopra “il Bicchiere�, P3 (tutti con una sola corda da 25 m), P9 con lago alla base.

DAL PRIMO LAGO AL SIFONE “DOLCIâ€?: Dal primo lago la galleria può essere percorsa con il canotto (solo alcuni specchi d’acqua sono aggirabili arrampicando lungo le pareti, senza bagnarsi) o, piĂš velocemente, con la muta. P22 “Gran Saltoâ€? (corda 25 m), alla base si traversa a lato del lago, P5 (corda 10 m), P2 a scivolo terminante in un lago, si supera un altro lago (canotto), P6 (corda 10 m), P4 terminante direttamente in una profonda marmitta piena d’acqua cui seguono in rapida successione P5+P2 (si può usare un’unica corda da 30 m per i tre salti), seguono alcuni laghi (canotto), P8, due laghi (canotto) e si giunge al sifone “Dolciâ€?.

TRATTO CONCLUSIVO: Il sifone “Dolciâ€? è superabile con attrezzatura speleosubacquea o anche in apnea. Al di lĂ si prosegue fino ad un nuovo sifone o si risale raggiungendo poi, con due pozzi (P8+P45), un ulteriore lago-sifone (-178).

Storia delle esplorazioni L’inghiottitoio è riportato in diverse carte geografiche antiche (REVILLAS, 1735; RIZZI-ZANONI, 17941808). GAVINI E VOLTAN (1892), del CAI di Roma, sono stati i primi a descrivere la caverna di ingresso dell’inghiottitoio. Le esplorazioni speleologiche vennero effettuate dal CSR: la prima il 3 settembre 1929 da C. Franchetti, A. Datti, P. Pietromarchi, M. Leva, che oltrepassarono di poco lo pseudosifone ed esplorarono il ramo dei Tricotteri. Nel 1942 e nel 1946 il CSR percorse nuovamente le parti note della grotta effettuando un rilevamento di parametri fisici e chimici. Nel luglio 1955 I. Bertolani e G. Pasquini raggiunsero il Gran Salto, senza discenderlo. Il 21 luglio 1957 Pasquini e C. Premoli riuscirono a discendere il pozzo, proseguendo fino a un salto, che fu disceso 4 giorni piĂš tardi da M. Dolci, G. Marzolla e Premoli. Il 1° novembre 1957 Dolci, Pasquini e F. Volpini arrivarono al sifone, che fu oltrepassato da Dolci. Il 4-5 ottobre 1958 Marzolla e Pasquini esplorarono il ramo attivo fino al sifone e la galleria in salita. Le esplorazioni nell’inghiottitoio di Luppa furono causa di contrasti fra i soci del CSR, determinando l’uscita di una decina di soci dal Circolo e la fondazione dello SCR. L’esplorazione dell’ultimo pozzo (P45) dell’inghiottitoio di Luppa si svolse in competizione fra i due gruppi. Il 17-18 settembre 1959 lo SCR (A. Angelucci, B. Camponeschi, Pasquini) discese quest’ultimo pozzo. Nel 1984 il GG CAI Teramo (A. Degli Esposti, P. Di Marcantonio, A. Monti e N. Polidori) ha effettuato una risalita a metĂ del Ramo Pasquini, fermandosi a metĂ di una seconda. Le esplorazioni del GG CAI Teramo sono state riprese dieci anni piĂš tardi, quando, nell’agosto 1994, la risalita è stata completata, ed il ramo esplorato nel corso di diverse uscite (Degli Esposti, Monti, D. Bandini, G. Giovannucci ed altri).

L’imbocco è un piccolo antro (largo 1,5 m e alto 1 m) dall’aspetto di tana, nel quale, infatti, a volte si può incontrare un istrice. Si accede subito ad uno scivolo terroso lungo 6 m, che stringe progressivamente fino ad un passaggio molto basso e stretto, lungo 3 m, a volte ostruito da detrito; in alcuni casi bisogna scavare per riaprirsi la strada. Al di lĂ del passaggio si risale carponi in una galleria con il fondo terroso, lunga una ventina di metri, con direzione NW-SE. Superato un secondo passaggio basso, meno stretto del precedente, la grotta (punto 13) compie una curva a “Sâ€? e si dirige poi verso nord; si entra in una galleria a meandri, pianeggiante, alta fino a 3 m e con la sezione in parte occupata da una grande quantitĂ di concrezioni e colonne stalagmitiche che riducono il passaggio percorribile fino a 40 cm. Dopo una quarantina di metri la galleria si allarga fino a 5 m (punto 24) e assume una sezione piĂš tondeggiante. Da questo punto si notano paleolivelli a varie altezze e le concrezioni sono sempre molto abbondanti e varie (colate, stalattiti, stalagmiti, eccentriche, colonne, generalmente bianche); il pavimento è a tratti fangoso e a tratti coperto da un crostone stalagmitico, con numerosi massi di crollo. La galleria procede con ampie curve in direzione SW-NE, andamento che manterrĂ fino al fondo. Dopo una trentina di metri (punto 29), sulla destra, si può risalire una colata calcitica per circa 8 m, per scendere poi dalla parte opposta un pozzetto cieco che ritorna (punto 63) al livello del pavimento della galleria principale. Dopo un’altra trentina di metri si giunge (punto 33) in una sala di crollo allungata in direzione trasversale alla galleria, lunga 15 m e larga 4, alta circa 8 m. Da questa sala partono due rami: il primo, in basso (punto 46), sulla prosecuzione della galleria principale, è lungo 45 m, molto

Bibliografia ABBATE, 1903; BER TOLANI, 1999; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963a; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954a; COSTA, 1960; DATTI & FRANCHETTI, 1926b; DOLCI, 1960; FERRI, 1970; GAVINI & VOLTAN, 1892; GUARESCHI & MORANDINI, 1943; GULLER, 1947; MONTI, 1995; NIZI, 1981; PASQUINI, 1963b; PASQUINI, 1999; REVILLAS, 1739; RIZZI-ZANONI, 1807; SEGRE, 1946a; SEGRE, 1946b; SEGRE, 1947a; SEGRE, 1947b; SEGRE, 1947c; SEGRE, 1947d; SEGRE, 1947e; SEGRE, 1947f; SEGRE, 1948a.

Grotta di Luppa: una saletta nei rami “dei Teramani� (foto A. Degli Esposti)


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basso (da 1 m a 30 cm), ornato da numerose piccole stalattiti, ed ha il pavimento fangoso con pozze d’acqua; chiude in fessura (punto 62) dalla quale arrivano una corrente d’aria e un rivolo d’acqua. Il secondo ramo che parte dalla sala si raggiunge risalendo per comodi gradini sulla sinistra (punto 34): si entra così nella parte più spettacolare della grotta, una galleria meandriforme concrezionatissima, lunga una cinquantina di metri, a sezione arrotondata con diametro di circa 2 m. Un tratto di questa galleria è attraversato da una fessura longitudinale ben visibile, larga pochi millimetri, apparentemente molto recente. La galleria termina con una sala di 6x3 m (punto 42). Sulla destra, una colata è stata risalita per una decina di metri, fino ad entrare in un cunicolo lungo pochi metri; in fondo alla sala, un breve e basso scivolo fangoso termina con una pozza d’acqua (punto 45, +2).

Storia delle esplorazioni

LA DORSALE DI MONTE ARUNZO

Esplorata nel 1994 dal GS CAI Roma (U. Randoli ed altri) dopo un lungo lavoro di disostruzione dell’ingresso.

Bibliografia GRUPPO SPELEOLOGICO CAI ROMA, 1995a.

Stato dell’ambiente A partire dal 1994, anno in cui la grotta è stata aperta con interventi di scavo, sono state presumibilmente effettuate diverse centinaia di visite. Ad eccezione del primissimo cunicolo stretto, il resto della grotta non presenta segni di alterazione, al di là del calpestio. Ciò è dovuto alla concomitanza di alcuni fattori quali la difficile localizzazione dell’accesso, i pochi anni trascorsi dalla scoperta e, soprattutto, la forte coscienza ambientale maturata nel mondo speleologico, elementi che hanno permesso la salvaguardia di un ambiente ipogeo di rara bellezza. Probabilmente sarebbe utile una efficace azione di tutela per prevenire l’ingresso incontrollato nella grotta.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature. Possono essere utili attrezzi da scavo per riaprire la prima strettoia eventualmente ostruita da terra.

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 145 Avezzano

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1 = Inghiottitoio dell’Imele 2 = Ovito di Petrella 3 = Grotta Beatrice Cenci 4 = Risorgenza la Ommeta 5 = Grotta Cola

coordinate riquadro: angolo NW = 0°45 - 42°06’ angolo SE = 0°56 - 42°00’


Inghiottitoio dell’Imele Dati catastali altro nome: L’Otre 28 A - comune: Cappadocia (AQ) - località: le Piane - quota: 944 m carta IGM 1:25000: 145 II SO Tagliacozzo - coordinate: 0°48’03”0 (13°15’11”4) - 42°02’28”5 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 160 Cappadocia - coordinate: 2.375.420 - 4.655.920 dislivello: circa -30 - sviluppo planimetrico 150 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110091 “Monte Arunzo e Monte Arezzo”

Itinerario Da Tagliacozzo si prende la strada per Cappadocia; dopo circa 6 km si svolta a destra al bivio per Verrecchie. Dopo 1,1 Km si imbocca una strada bianca a destra, e la si percorre per 0,8 Km fino all’evidente ingresso dell’inghiottitoio, a destra della strada.

Descrizione Il fiume Imele, che raccoglie le acque di un gruppo di sorgenti ai piedi dei Monti Simbruini, con una portata media annua di 200 L/s, scompare nell’inghiottitoio omonimo dopo un percorso subaereo di circa 2 km. Prima della costruzione dell’acquedotto che capta parte dell’acqua delle sorgenti, nei periodi di piena l’acqua rigurgitava all’esterno dell’inghiottitoio, allagando le campagne circostanti, con notevole danno per l’agricoltura locale. L’antro di ingresso è preceduto da un anfiteatro roccioso formatosi per successivi crolli della volta e conseguente arretramento dell’ingresso. L’antro, largo una quindicina di metri e alto circa cinque, si stringe quasi subito in un portale alto 3 m dove il fiume entra a tutta larghezza (1,5 m) formando delle rapide alte 50 cm lungo il primo tratto del percorso (tratto 1-2). In questo tratto, quando il letto non è percorribile, si può procedere sfruttando una cengia sulla parete di sinistra (aiutandosi anche con una corda). Dopo aver percorso una ventina di metri, la galleria, fino a questo momento orientata verso NE, piega bruscamente verso NW e, mentre il soffitto resta il letto di strato iniziale (inclinato di 15° verso 195°), l’acqua (punto 2) scende con un salto di 2,5 m seguito da un saltino alto 1 m. Proseguendo sempre sulla sinistra, si supera un laghetto, peraltro basso come i precedenti, tutti con guadi inferiori al metro, e si arriva sull’orlo di un salto di 4 m, seguito dopo pochi metri da un salto di 7 m. Ancora un breve tratto di meandro e, subito dopo un saltino alto 1 m, l’acqua si versa in un laghetto (punto 5) e la galleria riprende la direzione iniziale (NE). Nel tratto appena percorso (punti 2-4) la parte bassa della galleria è stretta (fino a mezzo metro), mentre in alto in alcuni punti raggiunge i 4 m di larghezza. Questo tratto non è percorribile lungo il letto a causa della quantità e della violenza dell’acqua; per superarlo, bisogna sfruttare una serie di cenge e piccoli ambienti che si trovano sulla parete sinistra della galleria, con un traverso che parte dal punto 2 e scende leggermente, per poi calarsi verticalmente per una decina di metri in corrispondenze del punto 4. Sulla sinistra del laghetto si trova una spiaggetta coperta di sterpi, foglie marce e sabbia. In alto si notano i segni delle piene, che raggiungono almeno i 15 m d’altezza. Superato con la muta o con il canotto il laghetto (lungo una decina di metri e profondo circa 3 m), si continua in una galleria larga 1-1,5 m e alta 4-5 m. La corrente, a causa della minore pendenza del fondo, è fortemente diminuita. Dopo pochi metri si incontra un secondo laghetto, lungo una decina di metri e profondo 2-3 m. Passato questo specchio d’acqua la volta si abbassa, costringendo chi passa a curvarsi un poco. Dopo un salto di 1 m, la galleria piega verso est e si arriva ad una nuova serie di rapide lunga una decina di metri, evitabile strisciando in una cengia tra gli strati sulla destra. Al termine (punto 7) si intercetta una galleria di direzione NNW-SSE. A sinistra si apre una breve diramazione da cui proviene l’acqua catturata a circa metà dell’ultima rapida. A destra la volta della galleria si abbassa gradatamente fino a 1 m sopra il lago-sifone “terminale” (punto 8, -30), dopo 15 m con morfologia da condotta forzata. Le acque scompaiono in una fessura verticale larga 20 cm e alta 1 m, quasi interamente sommersa.

Stato dell’ambiente La grotta è ovviamente conosciuta “da sempre”. Il condotto interno, esplorato a partire già dal 1925, è stato però scarsamente frequentato, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Infatti nel Fiume Imele vengono scaricati gli effluenti del paese di Verrecchie. In passato le acque inghiottite risultavano putride e la visita della grotta era particolarmente sconsigliabile nel periodo di magra. Pochi anni fa è stato realizzato un impianto di depurazione a monte dell’inghiottitoio che dovrebbe aver ridotto il carico inquinante scaricato nelle acque, che però ancora oggi risultano, almeno saltuariamente, fortemente inquinate.

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Nel 1998 l’accesso all’inghiottitoio è stato ripulito dai rovi e sistemato con parapetti in legno e gradini.

Note tecniche La prima parte della grotta è attrezzata con circa 50 m di traversi su corda, che si concludono con un P15. Per proseguire fino al lago-sifone (-30) può essere necessaria la muta o il canotto.

Storia delle esplorazioni La grotta era conosciuta da sempre come inghiottitoio del fiume Imele, che costituisce il tratto superiore del F. Salto; viene indicata nella carta topografica di Didacus De Revillas (1739) con la dicitura “Salto F: che s’asconde sotto Terra e rinasce ‘a Tagliacozzo”. GAVINI E VOLTAN (1892), due escursionisti della sezione CAI di Roma, riferiscono che l’Imele riemerge a Capacqua presso Tagliacozzo e che “corre voce nel paese che l’acqua impieghi circa 24 ore ad attraversare il monte; ed a convalidar ciò, si dice di un certo esperimento fatto gettando nel fiume non so quali materie coloranti”. Si tratta quindi di una delle prime colorazioni di cui abbiamo notizia. Un primo tratto dell’inghiottitoio venne esplorato il 26 luglio 1925 dal CSR (A. Datti, C. Franchetti, P. Pietromarchi, L. Tosti di Valminuta). Gli esploratori furono costretti a ripiegare a causa della quantità dell’acqua. Da allora diversi tentativi si fermarono per lo stesso motivo, finchè il 30 luglio 1959, avanzando non sul fondo della grotta ma sulle pareti, esploratori dell’URRI (V. Castellani, A. De Angelis, F. Fabrizi e A. Ranieri) riuscirono a raggiungere lo specchio d’acqua terminale.

Bibliografia: ABBATE, 1903; BER TARELLI, 1927; BURRI & LUCREZI, 1993; CASTELLANI, 1995; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1954a; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b; DATTI, 1925; DE REVILLAS, 1739; FABRIZI, 1959; GAVINI & VOLTAN, 1892; NIZI, 1981; RANIERI, 1962; SEGRE, 1948a; URRI, 1958; URRI, 1959.

Inghiottitoio dell’Imele: la partenza del primo pozzo (foto archivio V. Castellani)


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Ovito di Petrella Dati catastali altro nome: Inghiottitoio dell’Ovito 3 A - comune: Cappadocia (AQ) - localitĂ : Ovito - quota: 1045 m (pozzo); 1030 (inghiottitoio) carta IGM 1:25000: 145 II SO Tagliacozzo - coordinate: 0°48’54â€?0 (13°16’02â€?4) - 42°01’42â€?4 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 160 Cappadocia - coordinate: 2.376.540 - 4.654.460 dislivello: -96 m - sviluppo planimetrico: 160 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110091 “Monte Arunzo e Monte Arezzoâ€?

Itinerario Da Cappadocia si prende la strada per Tagliacozzo. Dopo 2,7 km si svolta a sinistra ad un bivio segnalato da un’indicazione turistica: la strada scende per 700 m fino al piazzale da cui parte il sentiero di accesso, che percorre il fondovalle per 300 m, raggiungendo il cancello di ingresso. La grotta è turistica, ma attrezzata solo nel primo tratto con passerelle metalliche (5 minuti di cammino).

Descrizione L’Ovito di Petrella è un inghiottitoio nel quale si riversano le acque del campo chiuso omonimo, di 6 km2 di estensione. L’imbocco (punto 1) è costituito da una spaccatura larga un paio di metri e alta alcuni metri lungo l’interstrato che immerge di 50° verso NW. Con uno scivolo alto quasi 10 m il torrente si getta in un lago (lago Ovito di Petrella: il secondo salto (foto C. Germani)


“Marcello”) esteso 10x8 m e profondo un paio di metri. Dall’altra parte della superficie d’acqua lo sfioro è costituito da una finestra che affaccia in un ampio pozzo illuminato dall’alto attraverso una grande apertura esterna (P48). Dall’ingresso a inghiottitoio, invece di scendere fino al lago, è però più conveniente percorrere la comoda galleria “delle Firme”, dal 1993 attrezzata per la visita con passerelle in acciaio. Alta da 4 a 8 m, larga 1,5-2 m e lunga una quarantina di metri, la galleria è impostata sui due sistemi di frattura che determinano l’andamento dell’intera grotta: circa E-W, superando un terzo ingresso (piccolo camino) e fino a un gomito, e circa NW-SE, fino a sbucare (punto 5) nel P48, 5 m più in alto rispetto alla finestra del lago “Marcello”. Il P48, con imbocco largo una quindicina di metri, si apre sul versante compreso fra la strada Tagliacozzo-Petrella Liri e il fondovalle. Inserendosi nel P48 dalla galleria “delle Firme” rimangono da scendere 22 m. Dal parapetto della passerella (punto 5) la calata nel pozzo è spettacolare, con di fronte la cascata formata dalle acque uscenti dal lago “Marcello”. L’ampia base del pozzo affaccia direttamente su un secondo pozzo: il “Grande Scivolo”, profondo 25 m. L’imbocco è ampio (6-7 m), l’acqua scende a scivolo nella parte centrale, mentre ai lati il salto è a gradoni. Il pozzo termina in una grande e bella sala (15x25 m, alta 20 m), la cui base è ingombra di detrito e massi. Sul lato opposto al “Grande Scivolo” scende una colata calcitica, alla sommità della quale parte uno stretto cunicolo. Si procede seguendo l’acqua che scorre in una bella galleria, larga 3 m. Dopo una quindicina di metri si scende uno scivolo con una pozza d’acqua alla base, quindi si avanza ancora in galleria per una dozzina di metri fino all’orlo di un salto. L’acqua si getta a cascata nel salto, profondo 10 m, con belle colate calcitiche. Per superare il salto è conveniente passare a destra in un condotto largo un metro e mezzo, aggirandolo e scendendo dalla parte opposta alla cascata. Alla base, ampia 2,5 m, è presente una vasca d’acqua. La grotta continua in una galleria che si stringe progressivamente fino a 1,5 m, con la volta “a botte” alta solo 1,3 m. Dopo meno di 30 m, superata una curva, il condotto, ora largo solo 70 cm, sbuca nella sala terminale (punto 21), larga 3,5 m, dove un lago-sifone preclude la prosecuzione (-96). Non è stata osservata alcuna corrente d’aria. La portata del torrente è molto variabile: mentre alla fine dell’estate normalmente l’acqua ristagna, durante l’inverno le piene possono essere molto violente.

Stato dell’ambiente La grotta è nota “da sempre”; negli anni ’20 e nel 1959 sono state condotte le esplorazioni della grotta, il cui tratto interno fino ad oggi è stato oggetto di diverse centinaia di visite. Il corso d’acqua inghiottito nell’Ovito, scorrendo in zone antropizzate, ha presumibilmente scadenti caratteristiche di qualità. Non si segnalano alterazioni ambientali significative nelle gallerie interne della grotta. Nel 1993 è stato realizzato un intelligente percorso turistico che, impiegando passerelle in griglia metallica posizionate nella galleria naturale “delle Firme” arriva ad affacciarsi sul grande pozzo con cascata assecondando la naturale morfologia dei luoghi. A questo si aggiunge la possibile agevole rimovibilità delle strutture e l’assenza di illuminazione artificiale, peraltro inutile in un sito naturalmente esposto alla luce.

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Grotta Beatrice Cenci

Note tecniche Dall’ingresso si seguono le passerelle in acciaio fino al pozzo iniziale, che dal parapetto è profondo 22 m (corda 25 m). Scivolo 25 (corda 40 m), traverso su laghetto (corda 15 m), P10 aggirato in parte con condotta in alto e discesa dalla parte opposta alla cascata (corda 10 m), lagosifone (-96).

Storia delle esplorazioni La grotta viene citata da SEGRE (1948a) che accenna a quattro tentativi di discesa avvenuti negli anni 1924-26 da parte del CSR (P. Pietromarchi, C. Franchetti, A. Datti, L. Tosti di Valminuta): gli esploratori arrivarono alla sala alla base del “Grande scivolo”. Il 5 luglio 1959, lo SCR (F. Burragato, M. Chimenti, S. Mainella, G.C. Negretti, R. Pastina e A. Todeschini) raggiunse il fondo.

Bibliografia ABBATE, 1903; ARGENTI, 1995; BOEGAN, 1928; CHIMENTI, 1959; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b; DATTI, 1926b; DATTI, 1926d; NIZI, 1981; SEGRE, 1948a.

Dati catastali altro nome: Grotta di Verrecchie 2 A - comune: Cappadocia (AQ) - località: Ovito - quota: 1060 m carta IGM 1:25000: 145 II SO Tagliacozzo - coordinate: 0°48’57” (13°16’05”4) - 42°01’37”5 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 160 Cappadocia - coordinate: 2.376.620 - 4.654.320 dislivello: -22 m - sviluppo planimetrico: 200 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110091 “Monte Arunzo e Monte Arezzo”

Itinerario Da Cappadocia si prende la strada per Tagliacozzo. Dopo 2,7 km si svolta a sinistra ad un bivio segnalato da un’indicazione turistica: la strada scende per 700 m fino al piazzale da cui parte il sentiero di accesso, che dopo una breve salita raggiunge il cancello di ingresso. La grotta è turistica, ma non presenta percorsi attrezzati (5 minuti di cammino).

Descrizione L’accesso alla cavità avviene attraverso un grande cancello che chiude completamente l’ingresso, che ha forma triangolare con base di 4,5 m e altezza di 10 m. Una scala metallica permette di superare la galleria discendente iniziale, impostata in una evidente frattura SW-NE lunga circa 50 m e alta 5-6 m; la galleria è molto concrezionata, ha sezione triangolare e presenta un marcato canale di volta. Si sbuca in un vasto salone dalla pianta ellittica (60x25 m), alto 20 m, con imponenti massi di crollo, e con il fondo attraversato da un corso d’acqua di modesta portata, con l’alveo scavato nei

sedimenti. Il salone piega decisamente a destra, seguendo una frattura orientata NW-SE, immettendo in un grande scivolo, anch’esso ingombro di grandi massi di crollo, con numerose stalagmiti, stalattiti, colate e vaschette, nel quale l’acqua si perde fra i massi; lo scivolo termina in un altro grande salone pianeggiante (100x30 m, alto 15 m) con il fondo coperto da sedimenti che nascondono in buona parte un crostone stalagmitico con vaschette fossili; qui si ritrova il solco del torrente interno. La seconda metà di questo salone, al di là di un diaframma che restringe la sezione (punto 16), è occupata da un lago profondo non oltre 50 cm, soggetto a variazioni stagionali. In fondo al salone di aprono due ambienti laterali in salita piuttosto concrezionati e una sala (21x9m) che si sviluppa al disotto di uno dei due, anch’essa occupata da un lago, separato dal precedente solo da un diaframma di roccia. E’ stato osservato un notevole stillicidio che alimenta i due laghi. Durante le stagioni piovose il salone terminale è spesso allagato. Si presume che la grotta fosse l’antico inghiottitoio della valle che oggi è drenata dal vicino Ovido di Petrella. La portata del corso d’acqua interno è stata misurata in un periodo piovoso (novembre 1974) intorno a 0,7 l/min. Negli stessi giorni furono effettuate misure anemometriche, che rilevarono una corrente d’aria fredda in entrata lungo il suolo mentre una corrente d’aria calda usciva percorrendo la volta del corridoio iniziale (TODISCO & TROVATO, 1975).

Stato dell’ambiente La grotta è stata utilizzata come ovile fin dall’epoca del bronzo ed esplorata e descritta già nel XIX secolo. Tracce di questa assidua frequentazione sono evidenti sulle pareti, annerite a tratti dal fumo di torce improvvisate. Resti di manufatti antichi in legno e ferro sono stati trovati e rimossi prima dei lavori per lo sfruttamento turistico. Negli anni ‘90 la cavità è stata chiusa con un cancello di imponenti dimensioni e attrezzata per le visite turistiche con passerelle in griglia metallica e con opere che hanno modificato l’ambiente


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di imbocco. All’interno il solco torrentizio nel primo salone è stato approfondito artificialmente per assicurare il drenaggio.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni La grotta era conosciuta da sempre; vi sono stati ritrovati frammenti di ceramiche dell’etĂ del Bronzo. Venne identificata erroneamente con la grotta in cui sarebbe stato imprigionato dai briganti nel 1598 Francesco Cenci, poi liberato dalla figlia Beatrice; in realtĂ la rocca dei Cenci non si trova presso Petrella Liri, ma a Petrella Salto (Rieti). La grotta fu esplorata e descritta, nel 1892, da I.C. Gavini e G. Voltan, escursionisti della sezione CAI di Roma. L’11 maggio 1905 è stata meta della prima escursione dell’appena fondato CSR (CORA, 1905).

Bibliografia

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ABBATE, 1903; BER TARELLI, 1927; CIRCOLO SPELEOLOGICO ROMANO, 1963b; CORA, 1905; DATTI, 1925; DATTI, 1926d; GAVINI & VOLTAN, 1891; NIZI, 1981; SEGRE, 1948a; TODISCO & TROVATO, 1975.

Risorgenza la Ommeta Dati catastali altro nome: Risorgenza la Vomita o la Vommeca 107 A - comune: Tagliacozzo (AQ) - localitĂ : Vomita - quota: 726 m carta IGM 1:25000: 145 II SO Tagliacozzo - coordinate: 0°50’05â€?6 (13°17’14â€?) - 42°02’24â€?0 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 160 Cappadocia - coordinate: 2.378.230 - 4.655.720 dislivello: +4/-28 - sviluppo planimetrico: 140 m

Itinerario Da Tagliacozzo si prende la SS 5 Tiburtina Valeria in direzione Pescara. Al bivio del km 102,500 si prende la strada a destra che raggiunge, dopo 2,4 km, Villa San Sebastiano Vecchia. Arrivati al paese, si imbocca la strada asfaltata a destra che costeggia la base del versante in direzione NW. Dopo 1,4 km ad un bivio si prende la strada non asfaltata che prosegue dritta per circa 1 km, man mano sempre piÚ sconnessa, e che termina nei pressi di una polla sorgiva. Lasciata la macchina, si risale un solco torrentizio per 100 m fino alla grotta, il cui antro è molto evidente.

Descrizione (da ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969a) L’ingresso principale (punto 1), ad antro (largo 2 m e alto 1,5 m), si apre sulla sinistra idrografica del torrente, alla base di una parete alta una quindicina di metri e al disopra di una soglia rocciosa di 1,7 m. Sulla parete sono ben evidenti gli strati inclinati di 15-20° verso NNE. Un secondo ingresso si apre 4 m piĂš in alto sulla destra in parete. Si scende in una diaclasi inclinata che immette in un primo lago (punti 2-3) lungo 10 m e largo in media 1,5 m, con volta bassa sull’acqua anche in periodo di magra (“Pseudosifoneâ€?). Dopo una galleria di una decina di metri si giunge ad un nuovo specchio d’acqua di 4x1,5 m, che immette nel primo sifone; qui (punto 5) la volta si alza a 7 m ed un camino sale per circa 10 m. Il primo sifone in

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periodo di magra ha un percorso subacqueo di 7 m e profonditĂ di circa 3 m; il passaggio è alquanto angusto. Si esce su un lago di forma allungata, con volta concrezionata che si abbassa fino a lambire l’acqua per poi risalire assieme al fondo. La sala fra il primo ed il secondo sifone (punti 7-8) è larga circa 4 m e nella volta si aprono tre camini alti da 6 a 10 metri. Il secondo sifone è costituito da un corridoio allungato che piega ad angolo retto verso ovest, profondo 4 m in tempo di magra, e con un percorso subacqueo di 16 m; il lago di uscita (punti 10-11) è sabbioso, di forma quasi circolare, con diametro di 4 m. Segue un salone con uno scivolo argilloso lungo 20 m, inclinato di 45°. In fondo un lago circolare (punti 12-13) immette nel terzo sifone. Questo ha il fondo in ripida discesa e stringe a

Grotta Cola: il versante in cui si apre l’imbocco (foto G. Mecchia)


imbuto. Il sifone è stato percorso per una trentina di metri. A detta dei pastori locali, l’acqua fuoriesce dalla cavità solo durante forti piogge, accompagnata da grandi masse d’aria compressa, simili ad esplosioni, che rendono l’emissione intermittente. Ad un centinaio di metri di distanza dall’imbocco in direzione NE si trova una polla con portata valutata di 10 l/s, che si mantiene costante per parecchi giorni dopo i temporali o allo scioglimento delle nevi.

Stato dell’ambiente: La grotta è stata esplorata a partire dagli anni ’60. Ad eccezione della zona d’ingresso, il resto della galleria è sommersa ed è quindi stata oggetto di un numero ridottissimo di visite speleosubacquee (fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina).

Note tecniche Fino al 1° sifone non sono necessarie attrezzature. Per andare oltre è indispensabile l’attrezzatura speleosubacquea.

Storia delle esplorazioni La grotta è citata da SEGRE (1948a) come risorgenza dell’Ovido di Petrella, con il nome di Risorgenza delle Pavoncelle, ma collocata dall’Autore a metà versante (in località Pavoncelle) e a quota molto superiore a quella reale (870 m). Questo fa pensare che il Segre, pur conoscendo l’esistenza della cavità, non l’avesse trovata. La grotta venne esplorata il 1 aprile 1962 dallo SCR (Alberta Felici, G. Stampacchia, G. Pasquini, Maria Antonietta Sinibaldi, M. Polidori) fino allo pseudosifone. Dal 2 al 24 settembre 1967, lo SCR condusse una nuova serie di esplorazioni. Per mezzo di una pompa vennero svuotati sia il laghetto dello pseudosifone che quello del primo sifone, e le esplorazioni proseguirono fino al secondo sifone (Alberta Felici, M. Sagnotti, D. De Stefano, N. Ferri, E. Valesi-Penso, E. Coffari R. Ribacchi, F. Sagnotti). Dal 5 ottobre al 9 novembre 1969, l’ASR (G. Befani, D. De Stefano, A. Moretti, G. Saiza) esplorò, superando tutti i sifoni con attrezzature speleosubacquee, anche il secondo sifone. G. Befani e A. Moretti si immersero anche nel Lago Terminale ma “ben presto l’acqua si intorbida e l’unico passaggio si rivela troppo stretto” (ASR, 1969). Con esplorazioni del 6, 23 e 30 agosto 1988, gli speleosubacquei del GSF hanno riesplorato interamente la cavità con le bombole. E. Ruffini ha superato il precedente limite esplorativo, percorrendo il sifone per una cinquantina di metri e incontrando un paio di camini che però non avevano prosecuzioni. (Notizia da Massimo Bollati 15/5/96)

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969a; ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969b; FERRI, 1967a; FERRI, 1967b; NIZI, 1981; PASQUINI, 1962; SAGNOTTI, 1967a; SAGNOTTI, 1967b; SEGRE, 1948a; TROVATO & GRESELE, 1973a.

Grotta Cola Dati catastali altro nome: Grotta di Petrella 5 A - comune: Cappadocia (AQ) - località: versante SW della cresta M. Valminiera-M. Arunzo - quota: 1200 m carta IGM 1:25000: 145 II SO Tagliacozzo - coordinate: 0°50’12” (13°17’20”4) - 42°01’01” carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 367 160 Cappadocia - coordinate: 2.378.320 - 4.653.190 dislivello: +37/-18 m - sviluppo: 275 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110091 “Monte Arunzo e Monte Arezzo”

Itinerario (da ARDITO, 1987) “Da Petrella Liri si scende sulla strada per Castellafiume fino alle ultime case del paese, dove una freccia gialla indica l’inizio (q. 1034 m) del sentiero per la grotta. Si sale brevemente fino ad un abbeveratoio, dal quale si piega a destra. Si lascia la sterrata che ridiscende all’asfalto, si sale passando accanto ad una casa abbandonata, e si continua per un buon sentiero orizzontale ai piedi di una parete di roccia compattissima. Quando la parete si interrompe il sentiero inizia a salire rapidamente, e poi si perde: una breve salita diretta porta all’imbocco della Grotta Cola, proprio ai piedi di una seconda bastionata di rocce. L’ingresso della grotta (1200 m, 30 minuti) è un po’ nascosto dalla vegetazione”.

Descrizione

Stato dell’ambiente

L’ingresso è costituito da due aperture, quella di sinistra è larga 4 m ed alta 2,5 m mentre quella di destra è larga 4,5 ed alta 1,8 m; un pilastro di roccia largo 4,5 m separa le due aperture. Le testate degli strati formano all’ingresso una tettoia a riparo. Le due entrate immettono in una galleria molto larga (circa 20 m), alta fino a 5 m, che sale con inclinazione media di 20° per una lunghezza di una cinquantina di metri. Nella parte inferiore sono numerosi i fenomeni di crollo, mentre in quella superiore abbondano i fenomeni concrezionali. Verso la fine della galleria sulla sinistra, si entra in un ramo discendente (punti B-F), a tratti molto concrezionato. Occorre superare un passaggio basso, scendendo poi lungo una galleria inclinata di 20°-30° e arrivando in una saletta ricca di vasche e notevolmente concrezionata. Da qui si scende una condotta con pendenza di circa 40°; con un saltino di 4 m si raggiunge il fondo di questo ramo (punto F). Tornati nella parte finale della galleria principale (punto B) ci si dirige verso destra, tenendo presente, come punto di riferimento, una stalagmite bianca a forma di ometto (punto C), che segnala l’ingresso agli altri due rami ascendenti della grotta. Il ramo a sinistra della stalagmite, si raggiunge arrampicando su colate. Attraverso un pertugio si entra in un salone largo 10 m, lungo 30 m ed alto fino a 7 m, che costituisce la parte più suggestiva della grotta (e di quota più elevata, punto D, +33). Sulla destra della stalagmite bianca di riferimento (punto C), si arriva ad un altro salone di crollo, abitato da chirotteri nella stagione autunnale. Dopo un breve cunicolo in leggera salita, questo ramo termina (punto E). D’inverno lo stillicidio è molto intenso.

Conosciuta “da sempre” dalla popolazione locale ed esplorata e descritta nel XIX secolo, nel tratto iniziale la grotta risulta del tutto priva di concrezioni, probabilmente asportate nei primi anni dell’800 in concomitanza con l’attività di estrazione del guano depositato all’interno. Dalla cavità i contadini estraevano anche la sabbia originariamente presente sul pavimento. Numerosi scavi vennero effettuati in seguito al rinvenimento di ossa di orso speleo (NICOLUCCI, 1877).

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni La grotta era conosciuta da sempre. “Raccontano in Petrella che da quel baratro (il pozzetto che si apre a sinistra, ad una ventina di metri dall’ingresso) riuscisse vivo un cane che fu gittato in una vicina voragine dello stesso Monte Arunzo che chiamano Corcamino”. (NICOLUCCI, 1877) A 4 m di distanza dall’imbocco della grotta, nel 1866 alcuni contadini trovarono, scavando per estrarre sabbia, due teschi di orso speleo con altri ossami ridotti in frantumi. Successivamente Nicolucci vi condusse degli scavi paleo-paletnologici e raccolse altri teschi e ossa ricoperti da concrezione. A.M. Radmilli e G. Tempesti nel 1956 effettuarono degli scavi e rinvennero resti dell’età del bronzo, oggi conservati nel Museo di Chieti.

Bibliografia ARDITO S., 1987; BER TARELLI, 1927; BOEGAN, 1928; DATTI, 1926c; DATTI, 1926D; GAVINI & VOLTAN, 1891; NICOLUCCI, 1867; NICOLUCCI, 1877; NIZI, 1981; RADMILLI, 1978; SEGRE, 1948a.

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(legenda a pag. 86)


Questa Zona è compresa per gran parte nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (come è stato da pochi anni ridenominato) e costituisce una vasta regione montuosa con affioramenti carbonatici estesi su circa 630 km2. Un’importante linea di sovrascorrimento traccia parte del suo contorno, seguendo la Val Roveto a Ovest (che la stacca dai Monti Ernici) e la valle di San Biagio Saracinisco a Sud (lungo la linea di accavallamento dei Monti di Venafro sulle Mainarde). L’area settentrionale è divisa dai Monti Carseolani dall’incisione di Capistrello, poi un’affilata dorsale s’insinua fino al bordo della valle del Fiume Imele-Salto e costeggia la grande conca del Fucino. A Est l’area della Marsica considerata in questo volume si interrompe lungo l’alta valle del Fiume Sangro; questo corso d’acqua attraversa il paese di Pescasseroli e si getta poi nel Lago di Barrea, isolando a Sud il massiccio della Meta. Queste montagne, giustamente famose perché ospitano il Parco Nazionale che ne ha preservato l’ambiente con rigorose misure di salvaguardia, sono le più incontaminate del nostro Appennino, ricche di fauna e ricoperte di fitti boschi, grazie anche alla presenza di corsi d’acqua perenni alle alte quote. Le caratteristiche geologiche variano profondamente dal settore della Marsica occidentale (Sotto-Zona del Monte Marcolano) a quello Sud-orientale (Sotto-Zona dei Monti della Meta); la piccola dorsale calcarea di M. Castelnuovo è geograficamente e geologicamente separata dai Monti della Meta-Mainarde e costituisce una Sotto-Zona distinta. Complessivamente sono note almeno 35 grotte nelle formazioni carbonatiche e una nelle brecce di Campoli Appennino.

IL MONTE MARCOLANO Il rilievo che comprende il Monte Marcolano (1950 m) è costituito da una lunga linea di cresta che verso SE piega raggiungendo il M. di Valle Caprara (1998 m), mentre a NW prosegue rettilinea collegando le cime di M. Prato Maiuri (1899 m), M. Fontecchia (1943 m) e Monna della Rapanella (1891 m), per scendere infine alla conca del Fucino. Il versante SW è ripido, mentre il versante NE è un pendio impostato sugli strati disposti a franapoggio della grande monoclinale, che scende fino ai piedi di M. Turchio e verso la valle dell’alto Sangro. Il carsismo di superficie è rappresentato da estesi campi solcati, numerose doline e polje. Relativamente ai fenomeni ipogei, su quest’area si ha notizia di 9 grotte, prevalentemente pozzi di dimensioni notevoli: il Pozzo d’Amino (-79) sulla Monna della Rapanella, l’Inghiottitoio di Coppo del Lepre (-81) e l’Abisso del Tratturello (-92) sulle pendici di M. Fontecchia; nei pressi di quest’ultimo pozzo si trova anche la Nevera del Tratturello (-30), in cui è presente un compatto nevaio perenne che pavimenta il fondo della galleria. La presenza di neve e ghiaccio è una caratteristica comune a diverse grotte presenti nei Monti del Parco e nota e sfruttata da secoli: testimonianze del XVI secolo indicano che in estate il ghiaccio veniva portato a Roma e a Napoli per “rinfrescare” (ASSORGIA ET ALII, 1965); fra le cavità con ghiaccio ricordiamo la Nevera di Val Mugone (-31 m) e, più in alto, la Nevera Cusaro. A quote inferiori lungo la monoclinale si rinvengono la Grotta di Mandrilli (sviluppo 250 m) e la Grotta di Valle delle Vacche (-68, sviluppo 200 m). Una profonda valle separa la dorsale di Monte Marcolano da quella parallela e situata ad occidente che culmina con il Monte Cornacchia (2003 m) e si estende in direzione appenninica per oltre 30 km da Capistrello a Campoli Appennino. La conoscenza del carsismo ipogeo su questa montagna è ancora molto scarsa, con sole 6 grotte segnalate nel catasto abruzzese. Una di queste è situata presso la sommità del M. Breccioso (1974 m), due nella parte alta del versante SW di Serra Lunga, e tre verso l’estremità settentrionale della struttura, nella stretta dorsale di M. Cimarani (1106 m). A Sud della dorsale di M. Cornacchia, si trova un’area collinare ribassata, culminante nel Colle Terelle (1056 m), nella quale non sono noti fenomeni carsici ipogei ma si rinvengono imponenti forme di superficie, costituite da macrodoline imbutiformi, la più grande delle quali è Fossa Maiura (diametro medio di circa 500 m). Altre grandiose forme di superficie interessano il vertice NW di quest’area, occupato da brecce calcaree; qui, sul bordo della macrodolina maggiore, “il Tomolo” (asse maggiore 630 m), è costruito il paese di Campoli Appennino, mentre in un’altra macrodolina si trova l’unica cavità sotterranea catastabile, la Grotta Treo (sviluppo 65 m). L’estensione totale di questa Sotto-Zona (area di M. Marcolano-M. Cornacchia-Colle Terelle), il cui limite SE con i Monti della Meta è mal definito ed è stato fatto coincidere con il passaggio a formazioni geologiche carbonatiche di margine di piattaforma (M. Pietroso, 1876 m – Rio Malafede), è di circa 430 km2. Deflusso sotterraneo Le acque di infiltrazione della struttura di M. Cornacchia scendono attraverso la pila di depositi carbonatici fino a raggiungere la falda basale (nella quale confluiscono anche le acque profonde della struttura carseolana, provenienti da NW); le acque di falda defluiscono a SE verso le grandi sorgenti di Posta Fibreno (q. 290 m, portata media 9,8 m3/s). Gran parte delle acque sotterranee della falda basale della struttura di M. Marcolano defluisce, invece, verso Nord fino alla conca del Fucino. Presso il bordo dalla piana, a q. 650-660 m, sono presenti le sorgenti del gruppo Ortucchio (portata media 0,4 m3/s) e incrementi di portata in alveo

nella rete di bonifica del Fucino, che nel solo settore meridionale assommano in media a ben 5,5 m3/s (BONI ET ALII, 1986). Le grotte della parte alta della monoclinale di M. Marcolano descritte in questo libro (Pozzo d’Amino, Inghiottitoio di Coppo del Lepre, ecc.) sono localizzate a S o SSE delle sorgenti, a distanze comprese fra 8 e 12 km; il dislivello imbocco delle grotte–sorgenti è compreso fra 1075 e 810 m. Per quanto riguarda la Grotta di Valle delle Vacche, è stata ipotizzata la venuta a giorno delle sue acque da una piccola risorgenza carsica localizzata a q. 1425 m nel Vallone di Lecce Vecchia, 1,1 km verso NW dall’imbocco della grotta (ASSORGIA ET ALII, 1965). La Grotta di Mandrilli è una piccola risorgenza perenne, le cui acque sono convogliate in un abbeveratoio. Il condotto carsico, di interstrato, è stato intercettato dalla superficie topografica per erosione, formando una sorgente sospesa, infatti la falda basale è probabilmente localizzata circa 600 m più in basso.

LA CATENA DELLA META-MAINARDE La catena della Meta e, più a Sud, delle Mainarde, è un’area montuosa selvaggia, con alcune cime che svettano sopra i 2000 m. Presso il margine orientale si innalzano il M. Petroso (2249 m) e il Monte della Meta (2242 m), i cui versanti scendono ripidi verso Est e verso Ovest (Val Canneto). Scendendo il crinale a Sud del Monte Meta, si perviene, all’interno di un’incisione, all’Abisso Yoghi (-90). Verso NW alcune valli e la Costa Camosciara separano la cresta Petroso-Meta dal M. Amaro di Opi (1862 m), che verso Nord scende ripidissimo nella valle del Sangro. A pochi metri dalla cima della montagna, sul versante meridionale, si aprono il Pozzo 1° (-40) e il Pozzo 2° di Monte Amaro (–65). Le valli Fondillo e Fredda separano a Ovest il M. Amaro dall’area meno impervia di Forca d’Acero (1530 m), valico stradale di collegamento fra l’Abruzzo a Nord e il Lazio a Sud; prima di raggiungere il passo, nell’area a Ovest della strada che sale da Opi si trovano alcuni grandi campi carsici (Macchiarvana, Coppi della Madonna, Campo Rotondo, Campolungo) perforati da alcune cavità, la più importante delle quali è la Callarella di Macchiarvana (-57). Superato il valico, si possono raggiungere la Chiatra del Re, cavità di modesto sviluppo ma con all’interno un nevaio perenne il cui ghiaccio era utilizzato alla corte del Re di Napoli, e la Chiavica di Rosoli (-40), entrambe localizzate sulle pendici di Serra Traversa (1865 m). Risalendo, invece, a piedi la Val Fondillo, dal F. Sangro fino alla testata, si oltrepassa il Valico delle Gravare (confine amministrativo fra Abruzzo e Lazio) e si trovano una decina di cavità, fra le quali i pozzi della Chiatra di Cardito (-37), della Chiatra 2a del Bosco Fondillo (-63) e della Chiatra delle Ciaule (-53). Complessivamente, nella Sotto-Zona dei Monti della Meta si conoscono 19 grotte in un’area carbonatica che si estende per circa 200 km2. Deflusso sotterraneo La catena della Meta–Mainarde rappresenta un’area del margine della piattaforma carbonatica, in cui tipicamente si riscontrano marcate differenze sia litologiche sia di spessori tra i sedimenti carbonatici di piattaforma ed i sedimenti bacinali. Questo determina una complessa articolazione anche dal punto di vista idrogeologico. La struttura della catena è costituita da un’anticlinale calcarea con asse N-S, sovrascorsa verso N (M. Amaro) e NE (M. Marrone) sui sedimenti fliscioidi dell’Alta Val di Sangro e dell’Alta Valle del Volturno. Al nucleo della anticlinale, che affiora nella Val Fondillo-Val Canneto, sono presenti le dolomie massive del Giurassico inf., di notevole spessore, caratterizzate da permeabilità ridotta e di tipo prevalentemente interstiziale, sensibilmente diversa da quella che si riscontra tipicamente nei calcari dell’Appennino. Per questo motivo, le dolomie contengono una falda con gradiente idraulico maggiore del 2%, affiorante in sorgenti di alta quota che alimentano corsi d’acqua perenni a quote anche superiori a 1000 m, insoliti nell’Appennino centrale (BONI ET ALII, 1986). Probabile recapito finale delle acque dell’area a Ovest di Forca d’Acero (Macchiarvana) è il gruppo sorgentizio di Fibreno (q. 290 m), dove confluiscono anche le acque dell’idrostruttura M. Cornacchia-M. Carseolani e parte delle acque della dorsale di M. Marcolano. Il dislivello fra la Callarella di Macchiarvana e la sorgente è di oltre 1100 m su un percorso in linea d’aria di 12 km in direzione SW. Sul Monte Amaro di Opi i calcari poggiano direttamente sulle dolomie massive a bassa permeabilità. Questo settore dovrebbe essere drenato dal Torrente Fondillo, dove, fra le q. 1300 e 1000 m, è stato misurato incremento medio della portata in alveo di 0,3 m3/s (BONI ET ALII, 1986); in particolare, il gruppo sorgenti Tornareccio, a q. 1070 m, ha una portata di magra di 0,16 m3/s (CELICO, 1983). La distanza dalle sorgenti del Pozzo 2° di Monte Amaro è di circa 1,8 km in direzione WNW; poiché l’ingresso del pozzo è a q. 1775 m, la profondità massima della grotta potrebbe essere di circa 700 m. Più a Sud, nell’area dominata da Colle Nero in cui si aprono la Chiatra delle Ciaule e la Chiatra 2a del Bosco Fondillo, la direzione del deflusso sotterraneo è incerta. In Val Fischia, circa 2 km a Sud della Chiatra 2a del Bosco Fondillo è nota una modesta sorgente (San Cataldo), a q. circa 1200 m. Possibili recapiti della falda basale sono la grande sorgente del Fibreno (distante dalle grotte circa 14

km in direzione Ovest) o le sorgenti della Val Canneto (gruppo di Madonna di Canneto: sorgenti Melfa, Le Ferriere e Le Ferriere Bassa, a quote comprese fra 1010 e 966 m, portata media complessiva di 1,2 m3/s; BONI ET ALII, 1988) distanti dalle grotte circa 7 km verso SE e approssimativamente 800 m più in basso degli imbocchi delle cavità. Le acque che si infiltrano nell’area di ingresso dell’Abisso Yoghi, situato a Est della Val Canneto e a Sud della cima di M. Meta, sono probabilmente drenate dalle sorgenti della Val Canneto; Madonna di Canneto dista 3,5 km in direzione Ovest, circa 750 m più in basso dell’imbocco dell’abisso.

LA DORSALE DI MONTE CASTELNUOVO A Est delle Mainarde si trovano 3 piccole dorsali parallele, la più vicina delle quali culmina con la cresta orientata NNW-SSE M. S. Angelo (1184 m)-M. S. Michele (1176 m)-M. Castelnuovo (1251 m), interessando una superficie carbonatica di circa 5 km2. Il versante orientale scende ripido verso l’alta valle del Volturno, mentre il versante occidentale, meno acclive, digrada verso la Valle di Mezzo, che separa la dorsale dalle Mainarde. Nell’area è conosciuta una sola cavità, il Caùto di Pezziaratte (-84). Morfologie superficiali, rappresentate essenzialmente da doline, si osservano in prevalenza lungo i versanti della Valle di Mezzo. Deflusso sotterraneo La piccola struttura calcarea di Monte Castelnuovo è collegata idrogeologicamente verso Nord con quella del massiccio del Monte Greco. Le acque sotterranee del M. Greco si dirigono verso Sud, passano al di sotto di depositi terrigeni, confluiscono nella falda di Monte Castelnuovo e, proseguendo verso SE, emergono dalle grandi sorgenti di Capo Volturno (q. 570 m, portata media 6,6 m3/s), situate ai piedi della “spina” carbonatica di M. della Rocchetta. Importanti linee tettoniche dirette NW-SE costringono il deflusso sotterraneo in questo stretto corridoio; in particolare, non esiste collegamento con i Monti della Meta-Mainarde, isolati dai depositi impermeabili del complesso arenaceo-marnoso sui quali si sovrappongono (CELICO, 1983). Le acque che si infiltrano nel Caùto di Pezziaratte dovrebbero, quindi, andare ad alimentare la sorgente di Capo Volturno, distante 5 km verso SE e 465 m più in basso dell’imbocco della grotta.

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IL MONTE MARCOLANO

Pozzo d’Amino Dati catastali: 59 A - comune: Lecce nei Marsi (AQ) - localitĂ : versante NE di Monna della Rapanella - quota: 1470 m carta IGM 1:25000: 152 IV SE Collelongo - coordinate: 1°13’13â€?9 (13°40’22â€?3) - 41°53’06â€?8 carta CTR 1:10.000 (Abruzzo): 377 120 Villavallelonga - coordinate: 2.409.890 - 4.637.970 dislivello: -79 m Area protetta di riferimento: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

Itinerario Da Lecce dei Marsi si prende la strada, lunga 10,5 km, che sale al Rifugio la Guardia (q. 1424). Lasciata la macchina presso il rifugio, si prende il sentiero in direzione NW, che porta ad una grande caverna denominata “la Grottaâ€? (q. 1370). Prima di arrivarci, dopo aver percorso circa 500 metri in leggera discesa, appena il fitto bosco si dirada, si incontra un bivio. Si segue il sentiero a sinistra che sale verso SW, segnato con cerchi di vernice azzurra. L’ingresso della voragine si trova una ventina di metri a sinistra del sentiero, 50 m prima che questo intercetti una strada sterrata; nei pressi dell’ingresso, su un grosso masso visibile dal sentiero è stata posta l’erronea scritta “Inghiottitoio del Giardinettoâ€? (25 minuti di cammino). L’accesso alla grotta è regolamentato da apposite normative dell’Ente Parco.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1964, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Ad eccezione di pochi resti di ossa animali che si rinvengono sul cono detritico alla base del pozzo, lo stato dell’ambiente è integro. La localizzazione della grotta all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ha senz’altro contribuito a preservare l’ambiente esterno e, di conseguenza, anche la cavitĂ , dagli effetti derivanti dall’utilizzo antropico dell’ambiente.

Note tecniche Pozzo unico profondo 71 m (corda 80 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata l’11 agosto 1964 dal GS “Vampiro� CAI Faenza-ENAL.

Bibliografia ASSORGIA ET AL., 1965; DOLCI, 1968b; NIZI, 1981.

Descrizione

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Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 152 Sora 1 = Pozzo d’Amino 2 = Grotta di Mandrilli 3 = Grotta di Valle delle Vacche 4 = Nevera di Val Mugone 5 = Abisso del Tratturello 6 = Inghiottitoio di Coppo del Lepre

coordinate riquadro: angolo NW = 1°10’ - 41°57’ angolo SE = 1°20’ - 41°49’

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L’imbocco del pozzo, che ha una verticale di discesa di 71 m, è una grande spaccatura (15x2,5 m) allungata su una frattura orientata N35°E, inclinata di 85° verso NW. All’intersezione con la superficie topografica, le pareti della spaccatura scendono parallele e verticali, poi la sezione si riduce, con uno scivolo molto inclinato che scende da SW, quindi ad una decina di metri di profonditĂ (punto 2) la sezione assume una tipica forma ellittica di 8 m di lunghezza per 2 di larghezza. Cominciando la discesa del pozzo dall’estremitĂ NE (punto 1), si arriva alla profonditĂ di 25 m su un breve e ripido scivolo franoso che mette in comunicazione il pozzo con un fuso impostato su una frattura parallela (punto 3). Ripresa la discesa, la sezione del pozzo a metĂ tratta misura 3x8 m, sempre allungata lungo le fratture, quindi aumenta fino al fondo. Si atterra alla sommitĂ di un cono detritico (punto 5) quasi interamente coperto da foglie e rami. La pianta dell’ambiente è ellittica con assi di 15 e 10 m. Verso SW lungo l’asse maggiore la sala comunica, attraverso un grande portale con la volta alta 3 m costituita da una superficie di strato (inclinato di 15° verso 30°-40°), con un altro vano (punto 6), largo una decina di metri, che risulta essere la base di un camino ascendente e che verso l’alto si perde nel buio. Dall’estremitĂ di questo vano scende una colata calcitica, alimentata da uno sgocciolio d’acqua proveniente da una bassa fessura. Alla base del vano si trova una vaschetta asciutta. Una soglia di detrito separa questo ambiente dalla sala maggiore. Tornati alla sommitĂ del cono detritico alla base del P71, si può scendere il pendio dalla parte opposta, verso NE, raggiungendo l’inizio di una galleria discendente (punto 7), larga un paio di metri e alta 8 m. La galleria, però, termina dopo soli 5 m (punto 8); da qui si può proseguire strisciando in basso, ma diventa troppo stretto dopo solo qualche metro, oppure risalendo in arrampicata per 2 m fino alla prosecuzione della galleria. Anche questo tratto, largo 1,50 m, in discesa e pavimentato da sfasciume, termina dopo meno di 10 m con una strettoia fra concrezioni (punto 10, fondo, -79). L’attivitĂ idrica della grotta sembra limitata ad uno scarso stillicidio. Non sono state notate correnti d’aria.

Pozzo di Amino: vista dalla base; si intravede la luce proveniente dall’esterno

(foto M. Mecchia)


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Grotta di Mandrilli Dati catastali 61 A - comune: Lecce nei Marsi (AQ) - localitĂ : Mandrilli - quota: 1312 m carta IGM 1:25000: 152 IV SE Collelongo - coordinate: 1°14’44â€? (13°41’52â€?4) - 41°53’01â€? carta CTR 1:10.000 (Abruzzo): 378 090 Monte Fontecchia - coordinate: 2.411.945 - 4.637.785 dislivello: +10 m - sviluppo planimetrico: 250 m (150 rilevati) Area protetta di riferimento: SIC IT7110044 “Gola Macrana, Monte Turchio e Vallone di Lecceâ€?

Itinerario Da Lecce dei Marsi si prende la strada, lunga 10,5 km, che sale al Rifugio la Guardia (q. 1424) passando per i ruderi dell’antica Lecce dei Marsi (q. 1278), paese abbandonato nel 1816 per la rigidità del clima e riedificato piÚ a valle. Dopo 9 km, subito dopo i ruderi, si lascia la macchina alla sella di quota 1250 m, al bivio con una sterrata a sinistra, chiusa quasi subito da una sbarra. Si prosegue a piedi sulla sterrata, che risale il Vallone di Lecce Vecchia; dopo circa 10 minuti, superato un solco torrentizio, ad un bivio si prende la strada di destra che costeggia il corso del torrente, fino ad un fontanile le cui acque provengono dalla grotta. Una breve forra (10 m) sopra il fontanile conduce ai due ingressi della cavità (25 minuti di cammino).

Descrizione La risorgenza, percorsa da un ruscello perenne, si apre in una zona ricca di numerose piccole sorgenti. L’ingresso attivo (punto 2) si apre in fondo alla forra ed è un piccolo antro squadrato, alto circa 2 m e largo altrettanto, che subito si abbassa in una volta alta 80 cm, che poi scende ulteriormente su un laghetto, lasciando solo un basso (40 cm) passaggio orizzontale, praticabile solo in periodo di secca. Percorrendo la forra esterna, 3 m prima di raggiungere l’ingresso attivo e a circa 1,5 m di altezza sulla parete di sinistra, si apre il secondo ingresso (punto 1) comunemente usato per la visita della grotta, un foro tondeggiante che immette in un basso cunicolo (alto 60 cm e largo 40, con il fondo Grotta di Mandrilli: la forra d’ingresso (foto G. Mecchia)

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Grotta di Valle delle Vacche: il pozzo d’ingresso (foto G. Mecchia)

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Grotta di Mandrilli: la condotta (foto M. Piro)

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Nevera di Val Mugone: lo scivolo di ghiaccio visto dall’interno, coperto da foglie e tronchi (foto G. Mecchia)

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Nevera di Val Mugone: l’inizio della diranmazione alla base dello scivolo di

ghiaccio (foto G. Mecchia)


sassoso) che dopo 10 m conduce al laghetto dell’ingresso attivo (punto 5), al di là del passaggio basso. Pochi metri più avanti (punto 6) una seconda bassa fessura riporta anch’essa nell’antro di ingresso. Le acque del ruscello che percorre la grotta terminano nel laghetto iniziale (portata stimata di 1 l/s nel giugno 1998) dove vengono assorbite in un foro verticale sul fondo del laghetto per riemergere presumibilmente 5 m più in basso nel torrente distante 25 m dall’ingresso. Con un tubo che pesca nel laghetto viene alimentato il fontanile. Solo in occasione di forti piogge o allo scioglimento delle nevi un torrente esce dall’ingresso. Si entra così nella galleria attiva, nella quale in alcuni tratti si cammina su un pavimento di concrezione, con piccoli sfondamenti che raggiungono il livello dell’acqua, ma per la maggior parte del percorso si procede nel letto del torrente, che occupa tutta la sezione della galleria. Quest’ultima (fino al punto 36) ha generalmente dimensioni di 1,2-2,5 m di altezza e 50 cm di larghezza; il soffitto è un letto di strato a debole inclinazione (3° verso nord), e la galleria si sviluppa verticalmente nel pacco di tre strati sottostanti, che si seguono con continuità per tutto il percorso. Le pareti sono lisce e generalmente coperte di scallops nel tratto iniziale, più concrezionate in quello interno, con alcune belle colate; la superficie di strato che costituisce il soffitto è coperta da piccole stalattiti tubolari o da concrezione. A tratti piccoli cunicoli freatici del diametro di circa 20 cm sbucano presso il soffitto della galleria. A 40 m dall’ingresso (punto 14) un piccolo apporto d’acqua proviene da un foro sul soffitto. Dopo altri 100 m (punto 32) alcune colate calcitiche provocano il restringimento della sezione. Superata la strettoia si trova un primo bivio (punto 33); si prosegue sulla destra nella galleria che si stringe (fino a meno di 30 cm) per ricollegarsi con l’altro ramo dopo 15 m (punto 36). In questo punto si trova una seconda biforcazione (la descrizione che segue è tratta da ASSORGIA ET AL., 1965). Il ramo di destra è attivo e prosegue in direzione Sud, ma dopo una quarantina di metri (punto A) non è più percorribile per il progressivo restringimento del condotto dovuto alla colate calcitiche. Il ramo di sinistra non è più attivo; si apre a 1,20 m sul letto del ruscello ed ha dimensioni molto ridotte (larghezza 50 cm, altezza 80 cm). Va notato che funge da letto il tetto del medesimo strato del ramo attivo. Questo cunicolo punta per i primi 15 m a SSE, poi volge decisamente a Sud e mantiene tale direzione fino a ricongiungersi, dopo altri 30 m circa, col ramo attivo (punto B). Il percorso è reso estremamente disagevole a causa delle abbondantissime concrezioni che pendono dal soffitto, formano spesse colate cristalline sulle pareti e tappezzano letteralmente il pavimento, causando talora un riempimento di notevole potenza. Ciò conferisce però al cunicolo un aspetto meraviglioso; in special modo sono degni di nota i cristalli romboedrici di calcite sui quali si è costretti ad avanzare. Come già detto, il ramo asciutto si ricollega dopo circa 45 m a quello attivo, che qui è leggermente più ampio rispetto al tratto iniziale e che, dopo circa 40 m con andamento a meandri, termina alla base di un largo pozzo ascendente (punto C, sala “della Cascata”), la cui altezza è stata valutata a circa 20 m. Una stretta e bassa fessura si apre alla base del pozzo. A partire da questo punto sembra sia stata percorsa (relazioni ASR 1972-73) una serie di cunicoli e strettoie; tuttavia in assenza di un rilievo e di informazioni certe non è possibile fornire una descrizione di questo tratto finale.

Stato dell’ambiente A partire dal 1964, anno dell’esplorazione speleologica, la grotta è stata oggetto di diverse centinaia di visite. Lo stato dell’ambiente interno è integro.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature.

Storia delle esplorazioni Conosciuta probabilmente da sempre, in quanto sorgente perenne. La prima esplorazione di cui si ha notizia è stata realizzata il 12 agosto 1964 dal GS “Vampiro” CAI Faenza-ENAL. Nel 197273 l’ASR (F. Saiza, D. Aigotti, A. Capone, V. Martorelli) ha superato la fessura nella sala della Cascata, percorrendo nuovi ambienti.

Bibliografia ASSORGIA ET ALII, 1965; 1738; DOLCI, 1968b; NIZI, 1981.

Grotta di Valle delle Vacche Dati catastali altro nome: Pozzo degli Scheletri 67 A - comune: Lecce nei Marsi (AQ) - località: Valle delle Vacche - quota: 1510 m carta IGM 1:25000: 152 I SO Gioia Vecchio - coordinate: 1°15’23”9 (13°42’32”3) - 41°52’11”3 carta CTR 1:10.000 (Abruzzo): 378 090 Monte Fontecchia - coordinate: 2.412.860 - 4.636.210 dislivello: -68 m - sviluppo planimetrico: 200 m Area protetta di riferimento: SIC IT7110044 “Gola Macrana, Monte Turchio e Vallone di Lecce”

Itinerario Da Pescasseroli si prende la strada per Gioia dei Marsi. Dopo circa 9 km si raggiunge il Passo del Diavolo. Subito prima del passo sulla sinistra parte una strada bianca che si segue per 1 Km fino ad una sbarra (q. 1360 m). Si lascia la macchina e si prosegue lungo la strada fino a raggiungere dopo un paio di chilometri un grande campo carsico (q. 1470 m, 30 minuti). Si prosegue sulla strada di fondovalle per quasi 1,5 km fino ad arrivare ad una piccola cava sulla destra: si lascia la strada, che prosegue verso il “Rifugio” la Prata (200 m più avanti), e si scende a sinistra, tagliando il prato in direzione 240°. Dopo 180 m si raggiunge un grande cerchio di pietre (70 m), che va attraversato; dall’accenno di strada dalla parte opposta, si sale il prato verso destra (300°) per una settantina di metri, raggiungendo il bosco. Si taglia il bosco per una decina di metri arrivando subito ad una radura, che si attraversa in direzione 280°, e dopo 120 m si sale verso destra (320°) raggiungendo il limite del bosco, dove, sulla sommità di un dosso, si apre l’ingresso (1 ora di cammino, meno di 10 minuti dalla strada).

Descrizione L’ingresso è un pozzo con sezione di imbocco quasi rettangolare (8x4 m), divisa in due parti da un diaframma di roccia largo circa 1 m. Il pozzo d’ingresso, profondo 25 m, è impostato su una frattura orientata N50-60°E, inclinata di 80° verso NW. Nel primo tratto, scavato nel calcare miocenico, il pozzo ha la forma di una spaccatura; verso metà altezza la sezione diviene più stretta e quasi circolare. Questo secondo tratto è scavato nel calcare del Cretacico superiore e sbuca in una grande sala. Si atterra alla sommità di un pendio detritico-terroso sul bordo della caverna (punto 2). La grande sala è a pianta ellittica con asse maggiore di 30 m, coincidente con la frattura che ha generato il pozzo d’ingresso. Il soffitto è costituito da una superficie di strato a debole pendenza (7-8° verso 70°); si tratta del primo strato depositato nel Cretacico superiore, a diretto contatto con una sottostante grande lente di bauxite. Il pavimento costituisce una depressione con la geometria di una dolina, interamente scavata nella bauxite, che ne impermeabilizza il fondo. La bauxite si presenta terrosa, di colore da giallastro a rossastro, anche se quasi ovunque è ricoperta da una patina di deposito calcitico biancastro. Nella stagione piovosa un grande lago, profondo 4-5 m e con diametro di oltre 10 m, occupa l’avvallamento centrale della “dolina” interna, mentre in estate essa è generalmente asciutta. Dal fondo della “dolina” il soffitto della sala si trova ad oltre 10 m di altezza. Tronchi d’albero impregnati d’acqua e in disfacimento sono sparsi sul fondo. Dal punto di atterraggio del pozzo d’ingresso si può accedere direttamente ad un breve tratto di galleria situata a monte del lago (verso SW), oppure si può costeggiare il lago e proseguire verso il fondo della grotta. La galleria a monte (punto 3), in leggera salita, è impostata sempre al contatto calcare-bauxite lungo le stesse fratture, si sviluppa per una trentina di metri e ha una larghezza di una decina di metri. Dopo le piogge si attiva un rigagnolo d’acqua (che entra dal detrito che pavimenta la galleria,

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per terminare immettendosi nel lago). Il soffitto è tappezzato da belle concrezioni calcitiche bianche. Il lago-â€?dolinaâ€? può essere agevolmente costeggiato, raggiungendo all’estremitĂ della grande sala una “sellaâ€? che lo mette in comunicazione con un altro ambiente con caratteristiche simili. Si tratta di una galleria che quasi subito diventa un grande imbuto (quasi 15 m di diametro) nelle bauxiti, che però qui (punto 5) è sfondato alla base da un grande pozzo che si addentra nei calcari del Cretacico inferiore. Tenendosi presso la volta, costeggiando a sinistra l’imbuto, si raggiunge un diaframma costituito da bauxiti e, tramite una finestra larga 5 m e alta 1 m (punto 11), ci si affaccia in un’altra sala (punto 12), nella quale si scende con un ripido e infido scivolo. La sala, di una decina di metri di diametro, ha le stesse caratteristiche delle precedenti (strato calcareo al soffitto, pavimento di bauxite, a imbuto) e termina ad un’estremitĂ con un piccolo salto (punto 13). Tornati al secondo pozzo (punto 5), la sua bocca d’ingresso è divisa in due parti da un grande masso. Traversando oltre il masso si scavalca il pozzo e si può raggiungere la parete opposta della sala, dove parte una breve diramazione che porta poi con un salto di 3 m ad un piccolo vano (punto 8). Questo vano può essere raggiunto anche dal punto 13, tramite una stretta fessura profonda 5 m. Tornati ancora al 2° pozzo (punto 5), se ne inizia discesa nelle bauxiti, che rendono incerto l’attacco; scesi sotto il grande masso, si può finalmente osservare il bel pozzo nei calcari, profondo 20 m (dall’attacco) e con sezione ellittica di 13x11 m. La base, dove appare evidente che il pozzo è costituito da due fusi, misura 3x10 m e scende con un pendio detritico che porta all’inizio di un meandro. Il condotto è percorribile per una trentina di metri, che approfondiscono la grotta di 14 m, fino ad un restringimento insuperabile (“fondoâ€?, punto 390 10, -68). Questo tratto si sviluppa al di sotto della “dolinaâ€? interna; quando c’è il lago lo stillicidio nel meandro è abbondante (probabilmente si tratta delle acque che il lago perde attraverso fratture). Non sono state notate correnti d’aria (primavera 2000). La grotta è di particolare interesse geologico, perchĂŠ attraversa la successione stratigrafica dei terreni depositatisi dal Miocene al Cretacico inferiore, permettendo di osservare il passaggio fra le diverse formazioni calcaree, e la giacitura della lente di bauxite.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata a partire dal 1961, è stata scarsamente frequentata, con un numero complessivo di visitatori probabilmente non superiore a 200. Al suo interno si rinvengono numerose ossa animali, alcune delle quali concrezionate nel detrito sotto il pozzo d’ingresso. La grotta è integra.

Note tecniche P25 d’ingresso, P20 con partenza nelle bauxiti (difficoltà di attacco).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1961 e 1963 dal GS CAI Chieti fino alla base del secondo pozzo. Il cunicolo fino al fondo è stato esplorato il 15 agosto 1963 dal GS “Vampiroâ€? CAI Faenza-ENAL.

Bibliografia ASSORGIA ET ALII, 1965; ASSORGIA ET ALII, 1968; BENTINI, 1965; DOLCI, 1968B; GRUPPO SPELEOLOGICO CAI CHIETI, 1965; NIZI, 1981.

Nevera di Val Mugone

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Dati catastali 63 A - comune: Lecce nei Marsi (AQ) - localitĂ : Val Mugone - quota: 1615 m carta IGM 1:25000: 152 IV SE Collelongo - coordinate: 1°14’48â€?4 (13°41’56â€?8) - 41°51’50â€?1 carta CTR 1:10.000 (Abruzzo): 378 090 Monte Fontecchia - coordinate: 2.412.030 – 4.635.570 dislivello: -31 m - sviluppo planimetrico: 55 m

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Descrizione E’ una maestosa “grotta a neveâ€? che si apre nel bosco con una grande dolina, a sezione circa ellittica allungata in direzione NE-SW (asse maggiore 20 m, asse minore 11 m). Il bordo SW è una parete quasi verticale mentre dalla parte opposta la dolina scende con uno scivolo inclinato di 40°, inizialmente incassato fra pareti molto inclinate. Da questa parte, quindi, si può scendere facilmente a piedi, anche se il pavimento dello scivolo è rivestito da uno strato di ghiaccio coperto di foglie. Diversi grandi tronchi crollati sono disseminati sul fondo. Dopo aver attraversato tutto il fondo della dolina (punto 5), lo scivolo si inoltra nel buio tramite un portale alto 3 m e largo quasi 10 m. Arrivati alla fine dello scivolo (lungo in tutto quasi 50 m), che nella parte terminale diminuisce di pendenza, si è al fondo di un salone (alto 7-8 m e largo fino a 11 m), con il ghiaccio in parte coperto da foglie, tronchi marci, terra e con blocchi che spuntano dal fondo. La parete di sinistra, cosĂŹ come altre morfologie, è impostata su una frattura verticale orientata N65°E, mentre sono bene evidenti gli strati che si immergono con pendenza opposta a quella dello scivolo (inclinati di 20-25° verso 50-55°). Sulla parete di destra (punto 14) si nota una grande “portaâ€?, alta 5 m e larga 3 m, che costituisce l’accesso ad una galleria discendente non invasa dal ghiaccio. Dopo soli 3-4 m si raggiunge il punto piĂš profondo della grotta (-31), largo 1,6 m e con il pavimento di blocchi e detrito. Da qui la galleria si stringe e prosegue in salita lungo la frattura. Superato subito un punto basso (1 m) ci si trova alla base di un alto camino, con una “finestraâ€? facilmente raggiungibile a 3 m di altezza; la finestra, larga 60 cm, si riaffaccia sul salone precedente. Dalla base del camino si prosegue nella galleria in salita, ora larga 1,5 m e alta 7-8 m. Dopo una decina di metri, però, la galleria chiude in un breve cunicolo con la volta costituita da grandi blocchi e il pavimento di fango e detrito (punto 17). Non sono state notate correnti d’aria. Una misura della temperatura dell’aria nella sala effettuata alle ore 15.30 del 10 agosto 1964 ha fornito un valore di +1,5°C, mentre all’esterno venivano registrati +19°C (ASSORGIA ET ALII, 1965). L’attivitĂ idrica è limitata ad un modestissimo stillicidio.

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Itinerario Da Pescasseroli si prende la strada per Gioia dei Marsi. Dopo circa 9 km si raggiunge il Passo del Diavolo. Poco prima del passo sulla sinistra parte una strada bianca che si segue per 1 Km fino ad una sbarra (q. 1360 m). Si lascia la macchina e si prosegue lungo la strada fino a raggiungere un grande campo carsico (q. 1470 m, 35 minuti). Si prosegue lungo la strada fino ad un bivio con una strada a sinistra che risale il versante. La si segue fino alla prima curva (15 minuti) poi si scende per prati in direzione 260° e si arriva in un anfiteatro boscoso. Un sentiero (segnato ogni tanto da linee gialle o rosse) inizia sulla sinistra e continua evidente fino ad una grande dolina disboscata: la si aggira sulla sinistra fino a ritrovare il sentiero, che poco piÚ avanti raggiunge una strada (40 minuti). Si attraversa la strada e si prosegue nel bosco in direzione NW per circa 800 m complessivamente in piano dove, tra le varie grandi doline cieche, si apre la voragine. In alternativa si può raggiungere la Grotta dei Mandrilli (v. itinerario) e proseguire sulla strada di destra che dopo 2,5 km arriva al sentiero segnato sopra descritto.

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Stato dell’ambiente La grotta, un suggestivo antro noto “da sempre�, non presenta i segni tipici derivanti dalla frequentazione.

Note tecniche Non sono necessarie attrezzature, ma attenzione al ghiaccio coperto da foglie e detriti.

Storia delle esplorazioni La grotta è ben conosciuta dai locali, dato che vi si trova un nevaio perenne. La prima visita nota di un gruppo speleologico è del 10 agosto 1964 (GS “Vampiroâ€? CAI Faenza-ENAL).

Bibliografia ASSORGIA ET AL., 1965; DOLCI, 1968b; NIZI, 1981.

Abisso del Tratturello Dati catastali 65 A o 150 A - comune: Lecce nei Marsi (AQ) - localitĂ : Tratturello quota: 1630 m carta IGM 1:25000: 152 IV SE Collelongo - coordinate: 1°14’55â€?5 (13°42’03â€?9) - 41°51’42â€? carta CTR 1:10.000 (Abruzzo): 378 090 Monte Fontecchia - coordinate: 2.412.190 - 4.635.310 dislivello: -92 m

Itinerario Da Pescasseroli si prende la strada per Gioia dei Marsi. Dopo circa 9 km si raggiunge il Passo del Diavolo. Subito prima del passo sulla sinistra parte una strada bianca che si segue per 1 Km fino ad una sbarra (q. 1360 m). Si lascia la macchina e si prosegue lungo la strada fino a raggiungere dopo un paio di chilometri un grande campo carsico (q. 1470 m, 30 minuti). Si prosegue lungo la strada fino ad un bivio con una strada a sinistra che risale il versante. La si segue fino alla prima curva, poi si scende per prati in direzione 260° e si arriva in un anfiteatro boscoso. Un sentiero (segnato ogni tanto da linee gialle o rosse) inizia sulla sinistra e continua evidente fino ad una grande dolina disboscata: la si aggira sulla sinistra fino a ritrovare il sentiero, che poco piĂš avanti raggiunge una strada. La si segue in discesa a destra per 350 m, poi si piega a destra per 60 m in direzione 280° dove ci si trova sul bordo di una dolina sul fondo della quale si apre l’inghiottitoio (1 ora e mezza di cammino, 40 minuti dalla strada). In alternativa si può raggiungere la Grotta dei Mandrilli (v. itinerario) e proseguire sulla strada di destra che dopo 2 km circa si lascia, piegando a sinistra per 60 m come nel precedente itinerario.

Descrizione (da ASSORGIA ET ALII, 1965) Si apre in un’ampia dolina dalla forma ellittica (circa 30x35 m), profonda sui 15 m, i cui fianchi scendono con ripida pendenza; a nord, alla base di un salto di 3 m, è situata l’imboccatura della grotta. Quest’ultima non si apre sul fondo della dolina, ma quasi sul ciglio. Inizia con una fessura larga 2 m e lunga una decina di metri che scende perpendicolarmente ed è caratterizzata da uno stretto ponte naturale di roccia che la divide in due parti. Dal lato Sud si può scendere per pochi metri lungo uno scivolo inclinatissimo (punto B) che porta quasi sotto l’arco. Di qui un salto di 20 m a strapiombo adduce ad un piccolissimo e scomodo pianerottolo (punto C), esposto alle abbondanti cadute di sassi. In questo primo tratto le pareti Est e Ovest si mantengono quasi parallele e distano tra loro circa 6 m, ma si ha una strozzatura in corrispondenza della piazzola. La roccia è abbondantemente brecciata e si verificano perciò frequenti distacchi di schegge e ciottoli. Il pozzo continua con un salto di 32 m fino ad un secondo pianerottolo (punto D) leggermente piĂš spazioso di quello precedente. Le pareti sono piĂš distanti tra di loro (8 m) e tendono ad allargarsi ulteriormente verso il basso La roccia è piĂš compatta e levigata. Circa 6 m prima della piazzola, nella parete opposta (Est), si ha un brusco allargamento della fessura, determinato dall’innestarsi, dal basso, di un ampio vano fusiforme la cui cuspide (punto E) termina circa 10 m al di sopra della piazzola stessa. Un terzo salto di 30 m conduce alla sommitĂ di un cono detritico (punto F), che ha una pendenza di 40°; la sua base coincide col fondo della voragine (punto G), che ha una profonditĂ totale di 92 m. In quest’ultima parte del pozzo le pareti si allargano a campana sino a distare tra loro, sul fondo, 15 m. BenchĂŠ nella descrizione si sia suddivisa la grotta in tre parti, essa è in sostanza un’unica fenditura verticale. Non si è notato alcuno stillicidio durante l’esplorazione effettuata il 10 agosto 1964. Gli strati sono inclinati di 10° verso 50°.

Stato dell’ambiente Il pozzo, scoperto nel 1961, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Lo stato ambientale del pozzo si presenta completamente integro.

Note tecniche Pozzo unico di 85 m.

Storia delle esplorazioni Parzialmente esplorato nel 1961 dal GS CAI Chieti. L’esplorazione è stata completata il 10 agosto 1964 dal GS “Vampiroâ€? CAI Faenza-ENAL.


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Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1971b; ASSORGIA ET ALII, 1965; DOLCI, 1968b; NIZI, 1981.

Inghiottitoio di Coppo del Lepre Dati catastali 66 A - comune: Lecce nei Marsi (AQ) - località: Coppo del Lepre - quota: 1725 m carta IGM 1:25000: 152 IV SE Collelongo - coordinate: 1°14’45” (13°41’53”4) - 41°51’32”5 carta CTR 1:10.000 (Abruzzo): 378 090 Monte Fontecchia - coordinate: 2.411.940 - 4.635.030 dislivello: -81 m - sviluppo planimetrico: 100 m Area protetta di riferimento: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

Itinerario Da Pescasseroli si prende la strada per Gioia dei Marsi. Dopo circa 9 km si raggiunge il Passo del Diavolo. Subito prima del passo sulla sinistra parte una strada bianca che si segue per 1 Km fino ad una sbarra (q. 1360 m). Si lascia la macchina e si prosegue lungo la strada fino a raggiungere dopo un paio di chilometri un grande campo carsico (q. 1470 m, 30 minuti). Si prosegue lungo la strada fino ad un bivio con una strada a sinistra che risale il versante. La si segue fino alla prima curva, poi si scende per prati in direzione 260° e si arriva in un anfiteatro boscoso. Un sentiero (segnato ogni tanto da linee gialle o rosse) inizia sulla sinistra e continua evidente fino ad una grande dolina disboscata: la si aggira sulla sinistra fino a ritrovare il sentiero. Poco più avanti sulla sinistra del sentiero 392 si apre evidentissimo l’Abisso (1 ora e mezza di cammino, 40 minuti dalla strada). In alternativa si può raggiungere la Grotta dei Mandrilli (v. itinerario) e proseguire sulla strada di destra che dopo 2,5 km arriva al termine dello stesso sentiero segnato sopra descritto. Si risale il sentiero per un centinaio di metri fino all’Abisso. L’accesso alla grotta è regolamentato da apposite normative dell’Ente Parco.

Descrizione (da ASSORGIA et alii, 1965) Si apre sul fondo di una dolina imbutiforme profonda 10 m. La grotta inizia con un pozzo di 15 m (punto A) che si allarga a campana, alla base del quale è un cono detritico molto ripido, alto una decina di metri, con ghiaccio e neve parzialmente ricoperti di fogliame. Qui la temperatura dell’aria alle ore 17 del 7 agosto 1964, risultò di +3°C, mentre all’esterno era di +15°C. Il pozzo ha origine da un’ampia diaclasi le cui pareti distano tra loro in media 3-4 m; alla base è diviso in due rami dal cono detritico di cui sopra. Uno dei essi adduce, scendendo con ripida pendenza in direzione SW, ad una cameretta con enormi massi in frana, l’altro punta a NE ed attraverso un breve e basso cunicolo porta alla sommità di un secondo pozzo (punto B). Pochi metri prima di quest’ultimo si nota, sulla sinistra, una stretta fessura verticale, che inizia nella sovrastante dolina. Tale fessura sembra originata da una litoclasi quasi perpendicolare a quella da cui si è formato il pozzo iniziale. Il secondo pozzo, di 18 m, presenta inizialmente una parete molto accidentata, mentre verso il fondo è a perpendicolo. Ha una sezione ellittica, di notevole ampiezza (14x8 m) ed in alto è delimitato da un soffitto pressoché orizzontale (punto B). Il fondo invece è in forte pendenza e nel punto più basso (punto C), a nord, sono stati notati evidenti livelli d’acqua, che deve ristagnarvi a lungo durante il disgelo. La temperatura dell’aria risultò qui +3°C (7 agosto

1964, ore 16,10). Dalla parte più alta della base del pozzo, situata a sud, si accede, mediante una stretta fessura, ad un terzo salto di 22 m, originato da una litoclasi modellata dall’erosione; tale salto si allarga notevolmente sul fondo, raggiungendo un’ampiezza di 6x12 m, in corrispondenza del termine della grotta (punto D), a 81 m di profondità. Sulle pareti vi sono le uniche concrezioni della cavità. Verso il fondo si notano i livelli, molto alti, di acque stagnanti; in piena estate resta invece soltanto un piccolo lago in una saletta laterale posta a NW (punto E). Nella volta di quest’ultima si apre uno stretto cunicolo e le pareti sono più che altrove ricoperte di latte di monte, dello spessore di circa 4 cm. Qui fu riscontrata una temperatura dell’aria di +6°C (7 agosto 1964, ore 15,15). Dalla base del terzo pozzo si può risalire per un breve tratto un ripido scivolo orientato a sud, che si perde in uno stretto camino. Risalendo verso la superficie, alla base del P18 è stato scoperto un cunicolo che immette in una cavernetta laterale (punto F) tramite uno scivolo assai inclinato ed un salto di 2 m. Dalla cavernetta si diparte verso l’alto un cunicolo in forte pendenza, che non è stato possibile risalire. Sotto di esso si trova uno stretto budello, quasi completamente colmo d’acqua, profonda oltre 1 m. La grotta in esame, da quanto osservato, è interessata da una notevole circolazione idrica, come risulta dalle acque stagnanti in vari punti a quote diverse, particolarmente verso il fondo, dove si notano le tracce dei più alti livelli.

I MONTI DELLA META

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata nel 1964, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. La localizzazione della grotta all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ha senz’altro contribuito a preservare l’ambiente esterno e, di conseguenza, anche la cavità, dagli effetti derivanti dall’utilizzo antropico dell’ambiente.

Note tecniche P15 d’ingresso, P18, P22, fondo (-81).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 7 agosto 1964 dal GS “Vampiro” CAI Faenza-ENAL.

Bibliografia ASSORGIA ET ALII, 1965; DOLCI, 1968b; NIZI, 1981.

Stralcio dalla Carta Geologica d’Italia alla scala 1:100.000, F. 152 Sora 1 = Callarella di Macchia Arvana 2 = Pozzo 2° di Monte Amaro 3 = Chiatra 2a del Bosco Fondillo 4 = Chiatra delle Ciaule 5 = Abisso Yoghi

coordinate riquadro: angolo NW = 1°17’ - 41°48’ angolo SE = 1°30’ - 41°40’


Callarella di Macchia Arvana

Pozzo 2° di Monte Amaro

Dati catastali

Dati catastali

72 A - comune: Pescasseroli (AQ) - località: Macchia Palombo - quota: 1468 m carta IGM 1:25000: 152 II NO Pescasseroli - coordinate: 1°21’10”8 (13°48’19”2) - 41°45’25”4 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 391 020 Opi - coordinate: 2.420.680 - 4.623.575 dislivello: -57 m - sviluppo planimetrico: 30 m Area protetta di riferimento: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

101 A - comune: Opi (AQ) - località: Monte Amaro - quota: 1775 m carta IGM 1:25000: 152 II NE Villetta Barrea - coordinate: 1°25’41”7 (13°52’50”1) - 41°45’55”5 carta CTR 1:10000 (Abruzzo): 391 030 Valle Fondillo - coordinate: 2.426.950 - 4.624.420 dislivello: -56 m Aree protette di riferimento: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; SIC IT7110057 “Val Fondillo - Monte Amaro - Monte Dubbio”

Itinerario Da Opi (AQ) si prende la strada che porta al passo di Forca d’Acero. Dopo 8 km si lascia la macchina al bivio con una strada bianca a destra, chiusa da una sbarra. Si segue la strada bianca per circa 1,5 km fino ad un nuovo bivio: si prende la strada meno evidente, a sinistra, e dopo 300 m si lascia la strada e si risale il versante a sinistra (verso sud) per una distanza di 100 m e 15 m di dislivello (30 minuti di cammino). L’accesso alla grotta è regolamentato da apposite normative dell’Ente Parco.

Descrizione L’ingresso è un pozzo impostato su una frattura orientata N80°W inclinata di almeno 80° verso nord. La bocca del pozzo è allungata per circa 15 m lungo la direzione della frattura ed è larga fino a 6-8 m. La parete sud (lato a monte) è verticale, mentre sul lato a valle la parete scende ad imbuto fino ad un restringimento (2x7-8 m) situato a 15 m di profondità. Il pozzo, profondo 42 m, prosegue quasi verticalmente lungo la frattura fino al cono detritico posto alla base. Scendendo, la sezione progressivamente diminuisce (2x3 m) ma a 5 m dal fondo il pozzo sbuca in una grande caverna. Si atterra all’estremità di quota più elevata della sala. Il pavimento della caverna è uno scivolo lungo 25 m e largo una dozzina di metri, coperto da massi, tronchi d’albero e resti vegetali caduti dal pozzo d’ingresso; la pendenza inizialmente è intorno a 45°, poi diminuisce progressivamente. La presenza della vegetazione in decomposizione produce colorazioni nerastre in bel contrasto con le candide pareti calcaree. La sala è alta una decina di metri; nella parte centrale una spaccatura ampia fino ad un paio di metri attraversa la volta salendo nel buio (punto A). Al fondo della sala (punto 6, -57) l’accumulo detritico non dà adito a prosecuzioni. Nella visita effettuata nel luglio 1994 non è stata osservata alcuna corrente d’aria. Nel periodo estivo e’ presente solo un modesto stillicidio in alcuni punti della caverna.

Stato dell’ambiente La grotta, esplorata nel 1964, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Lo stato dell’ambiente risulta integro anche a causa della localizzazione della grotta all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, che ha senz’altro contribuito a preservare l’ambiente esterno e, di conseguenza, anche la cavità, dagli effetti derivanti dall’utilizzo antropico dell’ambiente.

Note tecniche P42 d’ingresso (corda 60 m), attenzione ai grossi tronchi in decomposizione incastrati nel pozzo

Storia delle esplorazioni Esplorata il 14 agosto 1964 dal GS “Vampiro” CAI Faenza-ENAL.

Bibliografia ASSOCIAZIONE SPELEOLOGICA ROMANA, 1969b; ASSORGIA ET ALII, 1965; DOLCI, 1968b; NIZI, 1981.

Itinerario Da Opi si prende la strada per Villetta Barrea. All’altezza del km 51,5 della S.S. Marsicana, si imbocca la strada sterrata a destra per la Val Fondillo. Superato il ponte sul fiume Sangro, si lascia la macchina in un grande spiazzo. Si prosegue a piedi seguendo la carrareccia che si inoltra nella Val Fondillo. Dopo poco più di 1 km, giunti ad un ponticello sulla sinistra (quota 1077), si supera il torrente per imboccare verso sinistra il sentiero che costeggia la valle inoltrandosi nel bosco. Percorse alcune centinaia di metri, in corrispondenza di un bivio poco visibile, si prende il sentiero a destra che sale ripidamente. Si raggiunge la sella di quota 1690, si prosegue fino all’anticima di Monte Amaro di Opi (q. 1850) si scende un dislivello di 60 m fino alla sella che la separa dalla cima principale. Da qui si lascia il sentiero e si scende per roccette sul versante di destra (Sud) tenendosi sulla sinistra del canale. L’imbocco della grotta si trova 10 m sotto la sella, ed è spesso segnalato dalla presenza di gracchi che nidificano nel pozzo (2 ore e 45 minuti di cammino). L’accesso alla grotta è regolamentato da apposite normative dell’Ente Parco. Inoltre, il sentiero che porta alla vetta di Monte Amaro nel periodo metà giugno - metà settembre è attualmente vietato agli escursionisti non accompagnati dalle guide del Parco.

Descrizione L’imbocco è costituito da 3 piccole aperture comprese in meno di 3 m, impostate sulla stessa frattura. L’apertura più comoda per accedere alla grotta è una fessura verticale larga 30 cm e alta 70 cm, tramite la quale ci si affaccia nel pozzo, profondo 48 m. Dopo mezzo metro la fessura si allarga, il piatto soffitto è bucato da 2 piccole aperture tramite le quali la luce esterna raggiunge il fondo del pozzo. La fessura d’ingresso è lunga 3,5 m, e le sue pareti, distanti fino a 1,20 m, sono impostate su piani diretti N10°W e inclinati di 80° verso S, sui quali si è originato tutto il pozzo. Scesi 4 m, un terrazzino costringe al frazionamento. Ripresa la discesa, la sezione assume una forma quasi circolare di 2 m di diametro. A 22 m di profondità si atterra su un secondo terrazzino inclinato (punto 4). Qui la sezione del pozzo è costituita da una spaccatura impostata sulla frattura e da un allargamento centrale lungo la linea di caduta dell’acqua (terrazzino). Nella spaccatura nidificano i gracchi. Dal 2° terrazzino al fondo il pozzo è verticale e la sezione è chiaramente influenzata dalla frattura; nella parte bassa, battuta da un leggero stillicidio, le pareti sono coperte da fango e si osservano concrezionamenti calcitici mammellonari. Il pozzo è attraversato da piani inclinati di 40° verso Sud (strati?), che non sembrano aver influenzato lo sviluppo della grotta. La base del pozzo (punto 6) ha forma quasi circolare di 3-4 m di diametro. Il pavimento, ricoperto di blocchi, detrito, rami e guano di gracchio, scende verso una “porta” triangolare, larga 1,40 m e alta 2,50 m, oltre la quale ci si può calare in un piccolo ambiente sottostante oppure si può proseguire in una frattura fino ad un punto molto stretto (vecchio fondo, -52). Un recente allargamento (punto 8) di dimensioni 20x50 cm ha permesso la discesa di un saltino di 4 m (-56). Non si avvertono correnti d’aria.

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Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1965, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. La localizzazione della grotta all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ha senz’altro contribuito a preservare l’ambiente esterno e, di conseguenza, anche la cavitĂ , dagli effetti derivanti dall’utilizzo antropico dell’ambiente. L’unica alterazione morfologica è rappresentata dal tentativo di allargamento della fessura a –52.

Note tecniche P48 con terrazzini a –4 e –22 (corda 60 m), P4 (corda), fondo (-56).

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1965 dal GS CAI Perugia (F. Salvatori e Melis).

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Bibliografia DOLCI, 1968b; NIZI, 1981; SALVATORI, 1967.

Monti della Meta: vista dalla cresta del Monte Amaro di Opi verso la piana di Pescasseroli (foto G. Mecchia)

Monti della Meta: campo carsico in localitĂ Macchia Arvana (foto G. Mecchia)

Monti della Meta: verso la cima di Monte Amaro di Opi (foto G. Mecchia)

Callarella di Macchia Arvana: l’imbocco (foto G. Mecchia)


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Monti della Meta: località Aganello sul versante SW della Metuccia (foto G. Mecchia)

Chiatra 2a del Bosco Fondillo Dati catastali 435 La - comune: Settefrati (FR) - località: Bosco di Fondillo - quota: 1790 m carta IGM 1:25000: 152 II SE Settefrati - coordinate: 1°24’05” (13°51’13”4) - 41°43’16” carta CTR 1:10000: 391 070 Colle Nero - coordinate: 2.424.650 - 4.619.520 dislivello: -63 m 396 Area protetta di riferimento: ZPS IT6050019 “Monti della Meta”

Itinerario (da LANDI VITTORJ, 1989) Da Settefrati si prende la strada che porta nella Val di Canneto; questa, dopo circa 1 km, entra nella Val Canari e compie una grande curva a gomito (quota 892 m). Si lascia la strada e si imbocca una stradina forestale molto stretta, che sale per la costa nuda del Colle S. Bernardo. Si prosegue verso N aggirando e tagliando numerosi fossi e costoni, e dopo un ultimo tratto boscoso si entra nella Valle Fischia, dove la strada termina in un piccolo slargo (quota 1160 m circa, 5 km da Settefrati) dove si lascia la macchina. Si discende sul ripido versante della valle fino alla fonte S. Cataldo (quota 1148 m), si traversa il fosso e si segue il suo lato sinistro, percorso da una buona mulattiera che si interna in un magnifico bosco di faggi. Giunti ad una radura alla testata della valle, il sentiero sbuca sulla cresta (quota 1645 m, 1 ora e 40 minuti dalla macchina). Si lascia il sentiero e si sale a sinistra verso Ovest lungo la cresta per un centinaio di metri di dislivello, per poi tagliare verso NW in leggera salita per mezzo chilometro. La grotta si trova all’interno del bosco di Fondillo a quota 1825, ed è difficilmente reperibile (circa 2 ore e 30 minuti di cammino).

Descrizione (da SALVATORI, 1967) E’ costituita da un unico pozzo, profondo 63 m, di forma tronco conica: all’imbocco ha un diametro di 2 m circa, alla base di circa 10 m.

Stato dell’ambiente La grotta, scoperta nel 1966, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina.

Note tecniche Pozzo unico profondo 60 m.

Storia delle esplorazioni Esplorata nell’aprile 1966 dal GS CAI Perugia (F. Salvatori, G.C. Viviani e L. Passeri).

Bibliografia DOLCI, 1968a; LANDI VITTORJ, 1989; SALVATORI, 1967; VILLANI, 1973.


Chiatra delle Ciaule Dati catastali 437 La - comune: Settefrati (FR) - località: Mandra delle Vacche - quota: 1775 m carta IGM 1:25000: 152 II SE Settefrati - coordinate: 1°25’16” (13°52’24”4) - 41°43’15” carta CTR 1:10000: 391 070 Colle Nero - coordinate: 2.426.290 4.619.480 dislivello: -53 m Area protetta di riferimento: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise

Itinerario (da LANDI VITTORJ, 1989, modificato) Da Settefrati si prende la strada che dopo 9 km porta al santuario della Madonna di Canneto (quota 1021 m). Si lascia la macchina e si prende la mulattiera carrabile che si svolge nel bosco sul lato destro (orografico) della valle. Dopo circa 5 km (1 ora di cammino) si raggiunge la fonte Acquanera (quota 1326 m), prossima all’omonimo rifugio forestale. Da qui, quasi in piano, si arriva alla confluenza con la boscosa valle Mandra delle Vacche, che scende da sinistra (NW) dall’Anito delle Viarelle. Si prende il sentiero che risale questa valle fino a quota 1775 m; nelle vicinanze si apre la grotta (circa 1 ora e 30 minuti di cammino). L’accesso alla grotta è regolamentato da apposite normative dell’Ente Parco.

Itinerario Da Picinisco si prende la strada che sale al Prato di Mezzo (12,2 km). Si lascia la macchina nel piazzale antistante il rifugio denominato “il Baraccone” (quota 1438), e si prende la strada sterrata che attraversa il prato (in direzione Est); si risale quindi un tratto di pista da sci, e al termine di quest’ultimo (quota 1510) si svolta a sinistra nella valle che corre tra la Costa dell’Asino e la Costa della Cicogna. Si segue la valle, il cui fondo forma una forra profonda 5-6 m, fino a raggiungere la quota 1600, alla confluenza tra due canaloni molto incisi. Si risale quello di sinistra, verso NE, e dopo 300 m (quota 1670) il canalone si divide ancora in due; si risale quello di sinistra (Nord) fino a quota 1765 m. L’imbocco è nel canalone (circa 1 ora di cammino). L’accesso alla grotta è regolamentato da apposite normative dell’Ente Parco.

Descrizione (informazioni di Marco Genovesi)

La grotta, scoperta nel 1965, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. La localizzazione della grotta all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ha senz’altro contribuito a preservare l’ambiente esterno e, presumibilmente (pur non disponendo di informazioni recenti), anche la cavità è stata risparmiata dagli effetti derivanti dall’utilizzo antropico dell’ambiente.

L’ingresso, un foro verticale largo circa 1,2 m, immette in un pozzo di 15 m piuttosto franoso che alla base scampana formando una saletta con il fondo detritico. All’interno del pozzo è presente nella maggioranza delle estati un tappo di ghiaccio che impedisce l’accesso. A 2 m dal fondo del pozzo si apre un meandrino che conduce ad una bassa saletta (punto 3), quindi ad una fessura verticale; comincia qui una serie di salti fangosi (P9, P15, P13) intervallati da strettoie e passaggi piuttosto scomodi, a volte fra massi instabili, tramite i quali si scende fino a una saletta (punto 9): una fessura laterale molto stretta sembra essere la partenza di un pozzo di circa 15 m, non sceso. Proseguendo invece per la via praticabile, una galleria lunga circa 20 m in forte discesa, ingombra di blocchi di frana sotto i quali a volte è necessario passare, si arriva all’orlo di un salto di 7 m (punto 11), disceso il quale ci si trova in una nuova sala franosa (impostata su una diaclasi verticale, lunga circa 10 m). Ad un lato della sala (punto 12) si può scendere nella stessa diaclasi un pozzo di circa 15 m; fra i numerosi blocchi di roccia incastrati fra le pareti alla base del pozzo (punto 13) sono state individuate prosecuzioni, non percorse per l’estrema franosità (-90). D’estate la grotta emette una corrente d’aria fredda. Dalla fessura che immette nel pozzo da 15 m non sceso (punto 9) d’estate esce una discreta corrente d’aria; la temperatura interna è stata valutata in circa 3°C.

Note tecniche

Stato dell’ambiente

Descrizione Si tratta di un pozzo di grandi dimensioni, profondo 53 m.

Stato dell’ambiente

Pozzo unico profondo 53 m.

Storia delle esplorazioni Esplorata nel 1965 dal GS CAI Perugia (F. Salvatori e Melis).

Bibliografia DOLCI, 1968a; LANDI VITTORJ, 1989; SALVATORI, 1967; VILLANI, 1973.

La grotta, scoperta nel 1983, è stata oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina. Ciò è dovuto anche alla presenza quasi perenne di un tappo di neve che ostruisce completamente il foro d’ingresso. La localizzazione della grotta all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, ha senz’altro contribuito a preservare l’ambiente esterno e costituisce un ulteriore elemento di tutela della cavità.

Note tecniche

Abisso Yoghi Dati catastali 1360 La - comune: Picinisco (FR) - località: Aganello - quota: 1765 m carta IGM 1:25000: 152 II SE Settefrati - coordinate: 1°29’47”5 (13°56’55”9) - 41°40’00”8 carta CTR 1:10000: 391 120 La Meta - coordinate: 2.432.485 4.613.405 dislivello: -90 m Aree protette di riferimento: Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise; SIC IT6050018 “Cime del Massiccio della Meta”; ZPS IT6050019 “Monti della Meta”

P15 d’ingresso con tappo di neve che occupa completamente l’ambiente, quasi sempre presente dopo pochi metri di discesa. P9+P15+P13, galleria franosa molto inclinata, P7, P15, frana “terminale” (-90). La discesa richiede molta attenzione per la franosità degli ambienti.

Storia delle esplorazioni Esplorata nell’agosto 1983 da GS Pisano CAI, GS Lucchese CAI, GS Apuane e GS CAI Viterbo.

Bibliografia GRUPPO SPELEOLOGICO LUCCHESE CAI, 1984.

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Stralcio dalla Carta Geologica del Parco Nazionale d’Abruzzo alla scala 1:50.000 1 = Cauto di Pezziaratte


Caùto di Pezziaratte Dati catastali altro nome: Abisso di Pizzone 128 MO - comune: Pizzone (IS) - località: versante Est Monte Sant’Angelo - quota: 1035 m carta IGM 1:25000: 161 IV NO Castel San Vincenzo - coordinate: 1°34’07”1 (14°01’15”5) - 41°39’54”7 carta CTR 1:5000 (Molise): 392 093 Pizzone - coordinate: 2.438.495 - 4.613.150 dislivello: -84 m

Itinerario Da Pizzone (IS) si prende la strada per Vallefiorita. Appena usciti dal paese, nella frazione di Omero, prima di arrivare ad alcuni tornanti, si lascia la macchina al bivio con una strada bianca (q. 750, sentiero siglato M5) che scende a sinistra. La si percorre per 200 m, poi ad un bivio si svolta a destra e si passa accanto ad una stalla e ad alcune case diroccate (q. 775). Si risale il ripido versante nel fitto bosco, in direzione 255°, seguendo vaghe tracce di sentiero, fino a raggiungere il bottino di un acquedotto (q. 960, 40 minuti di cammino). Si continua a salire spostandosi leggermente a sinistra fino a q. 1035 dove, dietro una piccola cresta, fra gli alberi, circondato da rocce, si apre il pozzo (10-15 minuti di cammino dal bottino, circa 1 ora in totale).

Stato dell’ambiente Il pozzo, scoperto nel 1964, è stato oggetto di un numero ridottissimo di visite, fino ad oggi probabilmente non superiore a qualche decina, anche per la difficoltà di individuazione dell’imbocco situato in un bosco che nel corso degli anni è andato sempre più infittendosi. L’ambiente è praticamente integro.

Note tecniche Il lato più comodo da cui iniziare la discesa è quello più in alto, da dove il pozzo è profondo 84 m (corda 100 m).

Storia delle esplorazioni Esplorata il 26 aprile e il 7 maggio 1964 dall’URRI (V. Castellani, C. Cerasomma, M. Ranieri ed altri).

Bibliografia NIZI, 1981; TROVATO & GRESELE, 1973a; URRI, 1965.

Descrizione L’imbocco del profondo pozzo è impostato lungo piani (strati) orientati N50-60°E e inclinati di 70-75° verso NE, parallelamente alla paretine esterne. La sezione d’imbocco è ampia circa 2x4 m, a forma irregolare. Sul lato di accesso più comodo (nord) il pozzo inizia con un ripido scivolo (punti 1-2). Sul lato a valle il ciglio del pozzo è circa 4 m più basso, ma l’accesso è meno agevole. Nella parte iniziale del pozzo nidificano uccelli (taccole) che rientrano nel pozzo al tramonto; gli escrementi di questi uccelli, impestano le parti a scivolo e la base del pozzo. Il pozzo, profondo 80 m (dal ciglio basso), è impostato lungo i piani di strato e scende quindi con forte inclinazione. La sezione orizzontale è quasi sempre ampia (fra 3 e 6 m) e squadrata. Ad una ventina di metri di profondità si intravede, oltre un restringimento dalla parte opposta a quella di discesa, un fuso parallelo (punti 4-5) che verso il basso sembra raccordarsi a quello principale. A -50 la verticale è interrotta da un ripido scivolo coperto di fango e guano (punto 6). La base del pozzo è ampia 8-10 m ed è occupata da un piccolo cono fangoso. Le pareti SW e NE sono costituite da piani di strato. Dalla parete SW della sala parte una spaccatura (punti 10-11), impostata su una frattura orientata NE-SW, larga meno di 1 m, che chiude dopo pochi metri. Sulla parete NW un diaframma di roccia separa la sala da un fuso ascendente. La parete SE si abbassa fin quasi a terra consentendo però l’accesso ad una saletta chiusa da detrito (punto 12, “fondo”, -84). Lungo il pozzo ed alla base sono presenti rare piccole stalattiti e colate calcitiche fangose. Non sono stati osservati né stillicidio né corrente d’aria.

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Grotta di Luppa: una vaschetta con cristalli di calcite nei rami “dei Teramani� (foto A. Degli Esposti)


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