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Sartorious Cottura per induzione su basalto lavico
Francesco Aloisio
Abadir Accademia di Design e Arti Visive Triennio in Design e Comunicazione Visiva A. A. 2015-16 Sessione straordinaria 18 Febbraio 2017 Allievo: Francesco Aloisio Relatore: Vittorio Venezia
Sartorious Cottura per induzione su basalto lavico
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Introduzione
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1. Meccanismi
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1.1 1.2 1.3 1.4
11 11 15 21
Reazioni di Imbrunimento Trasmissione del calore Tecniche di cottura Cottura a induzione
2. Strumenti
23
2.1 2.2 2.3 2.4 2.5 2.6 2.7 2.8
23 24 24 25 26 27 30 30
Caldaro o caldaio Paiolo Marmitta Pentola Casseruole Padella Brasiera, rostiera e pesciera Griglia
3. Materiali
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3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7
33 33 37 39 39 45 50
Alluminio Rame Ferro (Acciaio al carbonio e Ghisa) Acciaio Inossidabile Ceramica e vetro Pietra Ollare Basalto Lavico
INDICE
4. Pre-progetto
53
4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6
Forma Tecnologia del calore ManovrabilitĂ Fissaggio Sicurezza e salute Assemblaggio
53 53 53 55 55 55
Bibliografia
56
Ringraziamenti
63
Progetto Riferimenti Schizzi Modelli di studio Disegni tecnici Processi produttivi Foto del prodotto Analisi termografica Conclusioni
5 6 8 10 16 45 61 63
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Introduzione
Negli spazi televisivi, tra gli scaffali dei supermercati e nei mercatini rionali, gli strumenti da cottura rivestiti in pietra si moltiplicano. Nonostante l’unica caratteristica in comune con la pietra reale sia l’aspetto superficiale, la presenza nel mercato di queste comunissime padelle in alluminio smaltato non sembra diminuire negli anni. Promettono una cottura priva di grassi, la resistenza a qualsiasi tipo di abrasione e una perfetta distribuzione del calore ma il buon senso e un po’ di conoscenza dei materiali svelano l’inganno. Partendo da questo tradimento e utilizzando gli strumenti della progettazione, è possibile arrivare a un oggetto che mantenga, almeno in parte, queste promesse? Questa tesi culminerà, alla fine di un percorso di approfondimento e ricerca, con la progettazione di uno strumento per la cottura di alimenti a induzione. Si utilizzerà un materiale antico, disponibile in grandi quantità e lavorabile con tecniche moderne: il basalto lavico. Gli argomenti trattati all’interno di questo documento sono organizzati per capitoli, ciascuno dei quali tenterà di far luce su diversi elementi, più o meno noti, che si manifestano all’interno di un processo di cottura. Si vedrà in che modo tali elementi siano indissolubilmente legati tra loro e quanto la loro comprensione sia fondamentale per la buona riuscita del progetto. Nei diversi capitoli ci occuperemo dei modi in cui il calore si propaga; esploreremo le modalità attraverso le quali il cibo viene cotto; vedremo quali sono gli strumenti attualmente in uso e i materiali di cui questi sono fatti, per poi mettere a fuoco gli aspetti principali del basalto lavico, dalla sua composizione alle tecniche con cui può essere lavorato.
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Fig.1: Cottura su piano ad induzione. | fonte: pexels.com
1. Meccanismi «Credo sia una triste riflessione sulla nostra civiltà che si sappia misurare la temperatura dell’atmosfera di Venere e non si sappia cosa avvenga all’interno di un soufflé.»[1]
Questa frase, pronunciata da Nicholas Kurti nel 1969 durante un ciclo di presentazioni intitolate The Physicist in the Kitchen, esprime molto bene la distanza tra scienza e cucina che il fisico ungherese doveva percepire. A partire dai suoi sforzi e dalla collaborazione con il chimico francese Hervé This, vengono gettate le basi della disciplina che avvicinerà i due ambiti e che prende il nome di gastronomia molecolare, cioè «quella sottodisciplina della scienza alimentare che studia le trasformazioni chimiche e fisiche che avvengono negli alimenti durante la loro preparazione, ed ha quindi fra i suoi obiettivi quello di trasformare la cucina da una disciplina empirica ad una vera e propria scienza»[2]. In assenza di questi stimoli, probabilmente Harold McGee non avrebbe mai scritto On Food And Cooking: The Science And Lore Of The Kitchen, un libro rivelatosi fondamentale per l’organizzazione e la stesura dei contenuti di questo documento e in particolar modo di questo capitolo, il cui tentativo è quello di spiegare alcuni dei meccanismi e dei metodi alla base dei processi di cottura.
1.1 Reazioni di Imbrunimento Un importante processo di trasformazione, che influisce notevolmente su aspetto e aroma degli alimenti sottoposti a un qualsiasi processo di cottura ad alta temperatura, è rappresentato dalle reazioni di imbrunimento. La più semplice di queste reazioni è detta caramellizzazione, ed è osservabile riscaldando dello zucchero.
1. McGee H. (2016) 2. Wikipedia (2016)
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MECCANISMI
Fig.2: Caramellizzazione dello zucchero.
Lo zucchero si scioglie dapprima in uno sciroppo denso, poi cambia lentamente colore passando a un giallo chiaro e progressivamente a tonalità sempre più brune e scure. Allo stesso tempo il suo sapore inizialmente dolce e privo di odori, sviluppa acidità, una lieve amarezza e un aroma sempre più ricco… Si tratta di una trasformazione profonda, e felice: se innumerevoli dolciumi e caramelle sono così piacevoli, è in gran parte merito della caramellizzazione[3].
Questo processo, a cui prendono parte soltanto le molecole degli zuccheri, inizia quando si supera il punto di fusione relativo alla tipologia di zucchero utilizzato: 110 °C per il fruttosio; 160 °C per galattosio, glucosio saccarosio; 180 °C per il maltosio. Più complesse e interessanti sono le reazioni di Maillard, scoperte dal chimico da cui prendono il nome, Louis Camille Maillard. Queste reazioni sono costituite da una serie di complessi fenomeni provocati dall’interazione tra gli zuccheri e gli amminoacidi delle proteine durante la cottura a elevate temperature (140-180 °C), durante la quale si formano nuovi composti che influenzano il sapore e l’odore di molte pietanze, come nei casi del pane appena sfornato, del caffè tostato, della doratura nel fritto o della crosticina di una bistecca.
1.2 Trasmissione del calore Qualunque tecnica si utilizzi per trasferire energia dalla fonte di calore al cibo sfrutterà uno o più dei seguenti meccanismi di trasmissione del calore: conduzione, convezione, irraggiamento.
1.2.1 Conduzione Il più semplice dei meccanismi di trasmissione del calore è detto conduzione e avviene quando due corpi a temperature diverse entrano in contatto fra loro. Le particelle del corpo a temperatura maggiore, che possiedono un’energia cinetica più elevata, urtandosi con le particelle del corpo a temperatura minore, che possiedono un’energia cinetica più bassa, trasferiscono loro una parte della loro energia cinetica. Nella conduzione il calore si propaga attraverso gli urti tra le particelle. La conseguenza è un
3. McGee H. (2016)
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Convezione
Conduzione
Irraggiamento
Fig. 3: Metodi di trasmissione del calore.
Luce Visibile
Onde Radio
Frequenza (Hz)
Microonde
10.9
10.10
Infrarossi
10.11
10.12
10.13
Fig. 4: Spettro elettromagnetico.
12
Ultravioletto
10.14
10.15
10.16
Raggi X
10.17
Raggi Gamma
10.18
10.19
MECCANISMI aumento della temperatura del corpo più freddo e una diminuzione della temperatura del corpo più caldo[4].
Questo tipo di trasmissione del calore avviene nelle cotture a secco: un tipico caso è quello di una padella calda che trasmette il proprio calore ai cibi, cuocendoli. Un ruolo importante all’interno di questo meccanismo è svolto dalla conducibilità termica dei materiali di cottura e dei cibi. Il rame, per esempio, ha una conducibilità maggiore rispetto all’acciaio o alla terracotta, così come il pomodoro conduce meglio il calore rispetto al riso, e così via.
1.2.2 Convezione Quando almeno uno dei due corpi è un fluido, liquido (come l’acqua) o gassoso (aria e vapore) il meccanismo di scambio è detto convezione. Tale fenomeno avviene comunemente durante l’ebollizione dell’acqua. Riscaldando una pentola d’acqua su un fornello, per esempio, la parte di acqua a contatto con la superficie inferiore della pentola si riscalda prima, viene sospinta verso l’alto a causa della sua minore densità (dovuta alla maggiore temperatura), mentre l’acqua più fredda viene sospinta verso il basso: le correnti che si creano trasportano il calore da un punto all’altro della massa d’acqua, riscaldando in breve tutto il fluido[5].
Un altro esempio di convezione è la cottura in forno ventilato per mezzo dell’aria. In questo caso interviene anche un altro meccanismo: l’irraggiamento.
1.2.3 Irraggiamento L’irraggiamento è il meccanismo di trasmissione del calore che agisce quando tra i due corpi non c’è contatto. L’esempio classico è quello del sole che riscalda la terra propagando il calore nel vuoto. Lo spazio interplanetario si può considerare prevalentemente vuoto, poiché la densità di materia al suo interno è molto bassa. Eppure la Terra è riscaldata dal Sole. I corpi caldi,
4. sapere.it. (n.d.) 5. sapere.it. (n.d.)
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come il Sole, la cui superficie è a circa 6.000 K, emettono radiazione elettromagnetica, costituita da onde generate da campi elettrici e magnetici, che si propagano nello spazio vuoto alla velocità della luce (circa 300.000 km/s). La radiazione elettromagnetica trasporta energia (energia elettromagnetica), che quando investe un corpo si trasferisce alle sue particelle, provocandone un aumento dell’energia cinetica[6].
Questo meccanismo di trasmissione del calore è poco efficace in un forno, dove il calore si diffonde principalmente tramite convezione dell’aria e solo in minima parte per irraggiamento dalle pareti, mentre è più efficace in una brace, dove la fonte di calore raggiunge l’incandescenza ed emette radiazioni infrarosse, radiazioni termiche di lunghezza d’onda maggiore rispetto allo spettro visibile. Un altro esempio di trasmissione del calore per irraggiamento è rappresentato dalle microonde, che possiedono abbastanza energia da fare entrare in vibrazione molecole polari come quelle dell’acqua (il termine “microonde” si riferisce al fatto che la loro lunghezza d’onda è più breve di quella delle onde radio). Dal momento che la maggior parte dei cibi è composta da molecole di acqua, la radiazione a microonde è un efficace metodo di cottura[7] .
1.3 Tecniche di cottura Sottoponendo un alimento ai meccanismi di trasferimento del calore modifichiamo le sue proprietà organolettiche (colore, odore, consistenza, forma, dimensione) e nutrizionali, rendendolo commestibile, facilmente digeribile e più saporito. Per avere il controllo su queste trasformazioni possiamo adottare tecniche di cottura diverse, raggruppabili all’interno di tre categorie: cotture per concentrazione, cotture per espansione e cotture miste.
1.3.1 Cottura per concentrazione La cottura per concentrazione permette di trattenere la maggior parte dei succhi nutritivi, concentrandoli all’interno degli alimenti attraverso l’evaporazione dell’acqua contenuta. Di seguito alcune tecniche che sfruttano tale processo. 6. sapere.it 7. McGee H. (2016)
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MECCANISMI
Fig.5: Diffusione del calore per irraggiamento da una brace. | Foto di Luke Porter
Grigliare (Griglia/Grill). È una tecnica di cottura che avviene tramite irraggiamento delle radiazioni infrarosse generate da una fonte di calore generalmente posta in basso, nel caso di un fuoco vivo, o in alto, nel caso del grill di un forno (in questo caso coadiuvata in piccola parte dalla convezione dell’aria). Le alte temperature raggiunte dalla fonte di calore sono responsabili della rosolatura esterna che favorisce le reazioni di Maillard e protegge i succhi dell’alimento, il quale viene cotto internamente tramite conduzione. L’inconveniente è che tali temperature, se non regolate con un’adeguata distanza dalla pietanza, rischiano di carbonizzarla. Arrostire (al forno). Confinato in uno spazio chiuso, l’alimento cotto attraverso questa tecnica riceve il calore per convezione dell’aria e per irraggiamento (in parte minima) dalle pareti del forno. Nonostante le temperature siano molto più alte (250 °C) rispetto a un processo di bollitura (100 °C), questo metodo risulta meno efficace. «L’aria ha una densità che è circa un millesimo di quella dell’acqua, perciò le collisioni tra le molecole calde e il cibo sono molto meno frequenti nel forno che in una pentola (ed è per questo che possiamo mettere una mano in un forno senza ustionarla immediatamente)»[88]. Questa tecnica favorisce le reazioni di Maillard e l’emanazione di profumi intensi ma causa disidratazione, richiedendo quindi l’aggiunta di grassi qualora l’alimento ne sia privo. Friggere a immersione. La frittura è una tecnica di cottura abbastanza peculiare, in quanto consente di cuocere i cibi per convezione in un fluido allo stato liquido a temperature superiori ai 100 °C. Il grasso, infatti, a differenza dell’acqua, può oltrepassare la temperatura di ebollizione senza evaporare. È un metodo di cottura a secco, perché l’escursione termica tra l’alimento e il grasso di cottura favorisce la fuoriuscita di vapore, che si trasforma rapidamente in barriera e previene l’assorbimento di liquidi. Affinché questa tecnica sia eseguita correttamente è necessario mantenere alta la temperatura del grasso di cottura ma sempre al di sotto del punto di fumo, che varia a seconda della tipologia di grasso utilizzato. I vantaggi della frittura sono, come per gli altri metodi, le reazioni di imbrunimento e la croccantezza. 8. McGee (2016)
MECCANISMI Soffriggere e saltare. La differenza sostanziale con l’altro metodo di frittura è che in questo caso la trasmissione del calore avviene principalmente per conduzione. Il grasso in cui l’alimento viene parzialmente immerso è contenuto in un recipiente basso e svolge diverse funzioni: «porta la superficie irregolare del cibo a contatto uniforme con la sorgente di calore, lubrifica il cibo impedendogli di attaccarsi sul fondo e fornisce un po’ di sapore»[9]. Bollire o affogare (partendo da un liquido caldo) Questo tipo di cottura avviene immergendo un alimento all’interno di un liquido in ebollizione che per effetto della convezione riscalda l’alimento. Essendo 100 °C la massima temperatura che l’acqua può raggiungere (sul livello del mare), con questa tecnica non è possibile ottenere reazioni di imbrunimento; tuttavia, l’escursione termica contribuisce alla coagulazione delle proteine e delle albumine superficiali, che limitano la fuoriuscita di succhi nutritivi dall’alimento ai liquidi. Affogatura. Si parla di affogatura, invece, quando il livello del liquido di cottura ricopre parzialmente l’alimento e la temperatura si mantiene sotto il punto di ebollizione (70-80 °C). A vapore. Attraverso questa tecnica il calore viene trasmesso dalle molecole del vapore alla superficie dell’alimento per convezione. Non essendoci un contatto diretto, il cibo mantiene quasi «intatto il proprio patrimonio vitaminico e salino e non necessita quindi di salatura»[10]. Lo svantaggio di questo metodo è dato dalle temperature limitate che non favoriscono lo sviluppo delle reazioni di Maillard. Sbianchire. Lo sbianchimento è una tecnica adoperata per mantenere vivo il colore e il gusto delle verdure, sgrassare le carni e pre-cuocere gli alimenti. A seconda dei casi, può avvenire in acqua fredda, in acqua calda oppure in olio caldo. Per le verdure si procede immergendole per un breve tempo in acqua bollente e poi in un liquido freddo, provocando così un brusco raffreddamento che interrompe il processo di cottura. «Pezzi di carne e frattaglie vanno immersi in acqua fredda perché possano venire ben sgrassati. Patate e pesci vanno immersi in olio caldo a 150 °C»[11]. 9. McGee (2016) 10. Medaglioni E. Valli C. G. (2004) 11. Medaglioni E. Valli C. G. (2004)
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1.3.2 Cottura per espansione Sono detti metodi di cottura per espansione tutte quelle tecniche che favoriscono lo scambio degli aromi e dei principi nutritivi tra gli alimenti e i liquidi in cui sono contenuti, per effetto dell’osmosi. Bollire o affogare (partendo da un liquido freddo). Per motivi opposti a quelli spiegati in precedenza (vedi bollitura partendo da acqua calda), questa tecnica favorisce il rilascio delle proprietà dell’alimento (vitamine, sali minerali, proteine) nel liquido in cui è contenuto. Quando l’acqua è in una quantità tale da ricoprire parzialmente i cibi, la tecnica prende il nome di affogatura. Entrambe le tecniche sfruttano la convezione e sono utili quando l’obiettivo è ottenere pietanze brodose (brodi, minestre, zuppe, etc.). Bagnomaria. La cottura a bagnomaria è un tipo di cottura indiretta che avviene collocando un contenitore dentro un altro recipiente dove si fa riscaldare dell’acqua: il contenitore interno riceve il calore dall’acqua per convezione e lo trasmette ai cibi per conduzione. È una tecnica particolarmente indicata per preparazioni delicate i cui ingredienti temono le alte temperature.
1.3.3 Cottura Mista La tecnica che sfrutta entrambi i metodi (per concentrazione ed espansione) è chiamata cottura mista. L’alimento viene inizialmente cotto a secco per preservarlo dalla fuoriuscita dei succhi nutritivi, i quali verranno rilasciati in un secondo momento nel liquido di cottura per effetto dell’osmosi. Brasare. In questo tipo di cottura gli alimenti (carni rosse, selvaggina, pesci) tagliati a pezzi grossi o interi vengono inizialmente rosolati in una sostanza grassa con aromi e verdure, e poi sfumati con vino, aggiungendo un fondo che manterrà la pietanza umida durante la lenta cottura in un recipiente coperto. Glassare. È una tecnica analoga alla brasatura che si presta per le carni bianche e le verdure ricche di zucchero, grazie al quale i cibi svilupperanno una velatura lucida simile alla glassa, da cui deriva il nome della tecnica.
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MECCANISMI
Fig.6: Un esempio di cottura per affogatura. | Foto di Zamani Sahudi
MECCANISMI
Fig.7: Piano ad induzione. | Fonte: Electrolux
Stufare. Anche in questo caso, i passaggi iniziali sono simili alle due tecniche precedenti ma stavolta in assenza di vino e con materia prima tagliata a pezzi piccoli. Questa tecnica si presta anche per cuocere verdure e funghi.
1.4 Cottura a induzione La trasmissione del calore tramite radiazioni elettromagnetiche non è una scoperta recente: esistono brevetti depositati agli inizi del ‘900 e tentativi di produzione seriale negli anni 70; tuttavia, è soltanto negli ultimi vent’anni che i piani di cottura a induzione sono diventati un fenomeno di massa. A incidere su questa diffusione hanno contribuito diversi fattori: l’abbassamento dei prezzi; i vantaggi che offrono sui consumi; la sicurezza; la velocità di riscaldamento; la possibilità di regolare la potenza con precisione; la comodità con cui il piano può essere igienizzato. Il meccanismo di funzionamento può essere spiegato nel seguente modo: una bobina di fili di rame collocata sotto un pannello di vetroceramica viene attraversata da corrente elettrica alternata ad alta velocità, creando così un campo magnetico; quest’ultimo genera nell’oggetto ferromagnetico, collocato al di sopra entro una certa distanza, delle correnti che trasformano in calore l’energia magnetica indotta. Essendo il calore trasferito direttamente sul materiale senza disperdersi nell’ambiente, questo metodo risulta molto più efficiente dei tradizionali sistemi a gas o elettrici. Questo sistema non è esente da difetti: è necessario un pentolame con fondo o intera superficie in materiale ferritico (acciaio al carbonio, acciaio corten, ghisa, acciaio serie 400) e quindi una tradizionale batteria di pentole potrebbe essere inutilizzabile; è richiesta una potenza piuttosto elevata, con conseguente adeguamento della fornitura elettrica (in Italia gli impianti classici sono da 3 kW, un piano a induzione può richiedere fino a 7 kW); manca un riferimento tangibile come la fiamma e l’emanazione di calore dei piani elettrici tradizionali, dunque si sarà costretti a cambiare radicalmente il proprio approccio in cucina.
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Fig.8: Caldari irraggiati dal calore del fuco. | Foto di Tikkho Maciel
2. Strumenti Per strumento di cottura intendiamo un qualsiasi veicolo di mediazione interposto tra una fonte di calore e il materiale da cuocere. Nell’ambito culinario, la più antica ed elementare forma di questo dispositivo può forse essere considerata la pietra che, adagiata su una brace, diventa griglia. Le tappe evolutive di questi strumenti sono indissolubilmente legate all’avanzamento delle tecniche e tecnologie di cui l’uomo può disporre. La comune pentola a cui noi tutti oggi siamo abituati non è il risultato di una fortuita coincidenza, ma la conseguenza di una serie di scelte che il progettista o l’artigiano ha dovuto fare per raggiungere il suo scopo con quello che ha a disposizione e nel modo più efficiente, cioè utilizzando le strumentazioni più adatte, riducendo gli sprechi e facendo il minor sforzo nel minor tempo possibile. In questo capitolo vedremo in dettaglio alcuni di questi strumenti e proveremo a comprenderne meglio forma, scopo e funzionamento.
2.1 Caldaro o caldaio
Fig.9: Illustrazione tratta dal volume Opera di Bartolomeo Scappi.
Recipiente metallico di grandi dimensioni la cui altezza è uguale alla larghezza, utilizzato per la bollitura. Può avere manico mobile ad arco collegato al corpo dell’oggetto ed essere quindi appeso, oppure può essere manovrato mediante due maniglie (anse). Il fondo può essere piatto o bombato. È forse il più antico antenato della pentola.
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Fig.10: Tradizionale Paiolo in rame. | Pentole Agnelli
Fig.11: Tradizionale Paiolo in rame | Pentole Agnelli
2.2 Paiolo «(Letter. paiuòlo) s. m. [lat. *pariolum, voce di origine celtica]»[12]. È un recipiente metallico con bordo superiore, più largo del fondo, ispessito dal ripiegamento della lamina. Ha un manico ad arco mobile che ruota attorno a due anelli ancorati all’oggetto. La forma conica consente alle pale o altri utensili di raggiungere agevolmente le parti interne; inoltre, fa sì che il paiolo possa essere inserito all’interno di uno stativo con alloggio circolare e che non sprofondi, evitando in tal modo che riceva troppo calore dalla fonte. Il paiolo in rame è particolarmente usato nell’Italia settentrionale per la preparazione della polenta.
2.3 Marmitta «La voce proviene dal francese marmite che significa “falso”, “ipocrita” perché questo recipiente quando è chiuso dal coperchio nasconde il suo contenuto»[13]. È un recipiente voluminoso dalla forma cilindrica, con due manici e i fianchi spesso prominenti. Questa variazione di diametro permette (come abbiamo visto per il
12. Treccani.it (n.d) 13. Medaglioni E. Valli C. G. (2004)
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STRUMENTI paiolo) di regolare la quantità di calore ricevuta: le cucine a legna hanno alloggi amovibili; cambiando il diametro dell’alloggio, si può aumentare o ridurre la distanza del fondo dalla fonte di calore, impedendo alla marmitta di sprofondare. La bombatura inoltre favorisce la ricondensazione del vapore che, per effetto del peso, cade sugli alimenti, permettendo così di utilizzare una minore quantità di acqua. Questi strumenti ancora oggi trovano largo impiego nelle cucine da campo o là dove è necessario cuocere grandi volumi di cibo.
2.4 Pentola
Fig.12: Pentola alta con coperchio | Pentole Agnelli
L’elevato numero di proverbi associati a questo strumento è indice di quanto sia radicato nell’immaginario di tutti. La forma perfettamente cilindrica la rende più adatta per la cottura sui piani moderni (a gas o energia elettrica); questa forma è stata resa possibile dalla diffusione di torni industriali in grado di lavorare le lamine metalliche con le quali si sono prodotte pareti perfettamente perpendicolari al fondo. È dotata di due maniglie e di un coperchio, e viene usata quasi esclusivamente per portare a ebollizione i liquidi. Cambiando il rapporto tra diametro e altezza (purché quest’ultima non sia inferiore alla prima) o aggiungendo accorgimenti tecnici si ottengono variazioni con funzioni e nomi diversi, come per esempio: cuoci asparagi o asparagera, recipiente stretto e lungo per la cottura degli asparagi o degli spaghetti; pentola a pressione, con coperchio a tenuta stagna e valvola di sicurezza per cotture rapide a temperature superiori ai 100 °C; pentola con rubinetto, un modello ormai desueto che permetteva di spillare il contenuto.
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2.5 Casseruole
Fig.13: tre tipologie di casseruole: alta a due maniglie; mezza fonda con manico; bassa a due maniglie | Pentole Agnelli
«Casseruòla (o casseròla; anche cazzer[u]òla o cazzar[u]òla) s. f. [dal fr. casserole, der. merid. del provenz. cassa cassa, che continua il lat. tardo cattia: v. cazza]»[14] . È il recipiente da cui prendono il nome diverse preparazioni regionali, dalla tradizionale cassoeule lombarda ai cassoulets bretoni. Il più versatile degli strumenti da cottura (proprio per questo i francesi la chiamano faitout), questo recipiente cilindrico può avere due maniglie o un manico lungo ed essere di diverse profondità e forme (purché l’altezza sia superiore al raggio). Di seguito verranno descritte alcune delle tipologie più diffuse. Casseruola alta a due maniglie. Viene usata per la “sbianchitura” (o “precottura”), per la “brasatura” e per tutti gli altri processi che richiedono cotture lente a espansione. È disponibile in molti formati con «diametro che varia da 16 a 50 cm»[15]. Casseruola mezza fonda a due maniglie. Con profondità uguale al raggio, viene preferita per le tecniche di “affogatura” e di “glassatura” professionali. Casseruola bassa a due maniglie. Ha un’altezza inferiore al raggio e si presta per quei processi nei quali si richiede un’evaporazione rapida dell’acqua, come risotti, cotture al salto, stufature e arrostiture in forno.
14. Treccani.it (n.d) 15. Medaglioni E. Valli C. G. (2004)
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STRUMENTI Altre casseruole. Esistono anche altre configurazioni di questo strumento aventi lo scopo di agevolare determinati tipi di cottura: la casseruola ovale (per la cottura di pollame e selvaggina di piuma); la risottiera (strumento tradizionale in rame per la preparazione del risotto alla milanese); la sauteuse à degré, la sauteuse évasée e la plat à sauter, la differenza delle quali rispetto a quelle già descritte risiede nella conformazione del profilo.
2.6 Padelle
Fig.15: Tegame in ferro | Pentole Agnelli
Fig.14: Padella alla lionese in ferro. | Pentole Agnelli
«Il suo nome deriva dal latino patella (piatto tondo) diminutivo di pàtera (coppa); dopo differenti varianti […] il termine si fissa in Francia col nome di poele (1636) mentre padella appare già nei testi rinascimentali di cucina»[16]. La padella è un recipiente di forma circolare, poco profondo, con manico lungo più o meno quanto il diametro e parete dritta o arrotondata a seconda della funzione. Padella alla lionese. Ha manico di lunghezza uguale al diametro e una sponda molto arrotondata (e di conseguenza il fondo stretto). Originariamente utilizzata per friggere, dal XX secolo il suo utilizzo si è esteso a tutti i tipi di cottura. È forse la padella più diffusa in Italia. Padella per omelette. Ha una sponda molto bassa e fondo largo per facilitare l’inserimento delle spatole sotto i preparati a base di uova sbattute, come omelette, frittate e tortillas.
16. Medaglioni E. Valli C. G. (2004)
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Fig.16. Pietre per grigliatura degli alimenti con metodo ishiyaki. | Foto di Derrick Tan Fig.17 Dolsot, Recipiente per cottura koreano. | fonte: themlife.kr
Altre padelle. Come per le casseruole, esistono alcune varianti di questo strumento: padella o tegame per pesce, dalla forma ovale; padella per uova, con più alloggi interni circolari; tegame, padella con due manici; wok, padella capiente dai bordi curvi molto ampi molto utilizzata nella cucina orientale.
2.7 Brasiera, rostiera e pesciera
Fig.18: Brasiera con coperchio. | Pentole Agnelli
Fig.19: Pesciera | Pentole Agnelli
Anticamente, questi recipienti scatolari venivano utilizzati come forni sfruttando il calore delle braci posizionate sopra e sotto (il nome “brasiera”, infatti, fa esplicito riferimento a questo utilizzo). Possono avere pareti medie (brasiera) o basse (rostiera) e una griglia interna, utilizzata originariamente per separare le ceneri calde mentre oggi per distanziare gli alimenti dal contatto diretto con il fondo (pesciera). Sono tutti utilizzabili per cotture su piano o in forno e, per questo, i manici sono progettati per resistere alle alte temperature. Appartengono alla stessa famiglia altri modelli di svariate forme: giamboniera, per cucinare prosciutti interi; turbotière o romboniera, per pesci piatti come il rombo chiodato, la passera, la coda di rospo etc.
2.8 Griglia «Grìglia s. f. [dal fr. grille, che è il lat. craticŭla (v. graticola); in alcune accezioni, ha
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STRUMENTI acquisito anche i sign. e gli usi del fr. gril (che ha lo stesso etimo)]».[17] Probabilmente il più elementare tra gli strumenti, la griglia è un telaio con una serie di barre metalliche posizionate parallelamente o a incrocio che consente l’irraggiamento del calore diretto attraverso gli spazi vuoti. Può essere mobile, con manico o maniglie, oppure fissa, collocata direttamente sopra un sostegno contenitivo elettrico o a legna. Viene utilizzata principalmente per l’arrostitura degli alimenti.
Fig.20: Griglia a barre metalliche parallele | Pentole Agnelli
17. Treccani.it (n.d)
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Fig.21: Selezione di materiali.
3. Materiali Se volessimo progettare il materiale perfetto per uno strumento da cottura, questo dovrebbe essere: leggero; capace di diffondere il calore uniformemente e altamente conduttivo termicamente; chimicamente stabile; impermeabile, antiaderente e in grado di accumulare, trattenere e rilasciare calore in modo controllato. Nonostante siano passati più di ventimila anni dai tempi delle prime pietre calde usate per bollire a quelli del silicone per gli stampi da forno, non è stata ancora trovata una soluzione che risponda perfettamente a tutti questi requisiti. Nei paragrafi successivi passerò in rassegna i materiali più utilizzati in quest’ambito, elencandone pregi e difetti e aggiungendo qualche riferimento storico.
3.1 Alluminio L’alluminio è il metallo maggiormente presente nella crosta terrestre. Nonostante l’abbondante disponibilità, si trova raramente in forma pura e per questo, in passato, era considerato un metallo prezioso. La diffusione dell’alluminio nei processi industriali ha una storia abbastanza recente e coincide con la messa a punto di una tecnica (tuttora l’unica in uso) che permette di separare l’alluminio dal minerale in cui è contenuto (processo di Hall-Héroult, 1886). L’alluminio è molto utilizzato nella produzione di utensili da cucina per via dei suoi molteplici pregi: è un eccellente conduttore termico, igienico, resistente, leggero, riciclabile all’infinito e ha un costo relativamente basso. Pur essendo un ottimo materiale, l’alluminio non è esente da difetti: infatti, in assenza di un rivestimento antiaderente o anodizzato può provocare un’alterazione del colore in alcuni cibi dal colore chiaro. Può, inoltre, rilasciare metallo nell’alimento dopo contatto prolungato (oltre le 24 ore) e a temperatura non controllata.
3.2 Rame Il rame è un metallo disponibile in natura allo stato metallico (metallo nativo). Partendo dalla sua forma grezza è possibile lavorarlo meccanicamente con tecniche elementari di taglio, martellatura, piegatura e foratura, senza ricorrere alla metallurgia. Probabilmente questo è il motivo per cui è il metallo che 33
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Fig.23: Superficie in rame martellato tipica in alcuni strumenti da cucina | fonte: texturex.com Fig.24: Lastra di acciaio al carbonio ossidata
l’uomo utilizza da più tempo (si stima dal 10000 a.C.). Il rame è il miglior conduttore termico dopo l’argento ma, sebbene questa caratteristica lo renda un’eccellente materiale per la produzione di strumenti per la cottura (si surriscalda con poca energia e in modo uniforme), presenta anche diversi svantaggi: è difficile da tenere pulito perché a contatto con l’aria forma una patina verdastra di ossido di rame, il cosiddetto “verderame”; è molto costoso e soprattutto può essere nocivo per la salute se a contatto diretto con gli alimenti. Proprio per questo, è preferibile utilizzare i dispositivi in rame con un rivestimento di stagno o acciaio.
3.3 Ferro (acciaio al carbonio e ghisa) Se consideriamo anche gli strati sottostanti la crosta terrestre, il ferro è il metallo di cui il nostro pianeta è più ricco. In natura non è possibile trovarlo allo stato metallico, fatta eccezione per il ferro meteoritico (una lega di ferro e nichel, quasi sempre con tracce di cobalto, iridio e altri metalli), che veniva già utilizzato in epoche antecedenti l’età del ferro (1200 a.C.) per la produzione di punte di lancia e di monili (alcuni ritrovamenti risalgono al 3000 a.C.). Spesso per convenzione si utilizza la parola “ferro” per riferirsi a oggetti in metallo di cui non si conosce la composizione. In realtà gli oggetti in ferro puro non esistono. Quando parliamo di ferro, il più delle volte facciamo riferimento a una lega di ferro e carbonio in percentuale variabile. Maggiore è la quantità di carbonio, maggiori saranno la durezza e il peso. Si parla di “acciaio al carbonio” quando quest’ultimo è presente in una quantità inferiore all’1,5% e di “ghisa” quando la percentuale è compresa tra l’1,9% e il 5,5%. Tra i punti di forza dell’acciaio al carbonio e della ghisa, nell’uso in cucina, ci sono la resistenza, il basso costo e la sicurezza dal punto di vista alimentare. Inoltre, il ferro che viene rilasciato agli alimenti è facilmente assimilabile dall’organismo e l’eccesso viene smaltito; nei casi in cui c’è carenza di questo elemento, alcuni soggetti possono addirittura trarne giovamento. Gli inconvenienti presentati da questi metalli sono la scarsa conduttività termica, che influisce sui consumi energetici (vedremo però in seguito come questa possa anche essere un vantaggio); la necessità di cure eccessive (per preservare gli oggetti dalla corrosione è necessario proteggerli con uno strato d’olio dopo ogni utilizzo); l’elevato peso specifico e, nel caso della ghisa, la suscettibilità agli shock termici; come per l’alluminio, la reattività chimica, che può avere come conseguenza un’alterazione del colore dei cibi.
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Fig.22: Lingotti di allumino, SAG Lend, Salzburg | fonte: Wikipedia Commons
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Fig. 25: Barre tonde in acciaio inox | fonte: shutterstock.com
3.4 Acciaio inossidabile Per risolvere il problema della corrosione tipico degli acciai al carbonio, si è dovuto attendere fino agli inizi del Novecento, quando le sperimentazioni con leghe a base di cromo e nichel hanno portato alla scoperta di un acciaio resistente agli acidi e alla corrosione, l’acciaio inox (dal francese inoxydable). La resistenza meccanica, la brillantezza e la facilità con cui è possibile igienizzarlo lo rendono il materiale più utilizzato per la produzione di pentolame. Alcuni dei suoi limiti sono la scarsissima conduttività termica, che non consente una distribuzione del calore omogenea[18]; il prezzo elevato e la presenza di cromo e nichel: nonostante l’elevata stabilità chimica, si può infatti rilevare in presenza di determinate condizioni (durante la cottura di cibi molto acidi e ad alte temperature) il rilascio di modeste quantità dei due metalli, che in soggetti particolarmente sensibili possono causare problemi di salute.
3.5 Ceramica e vetro Il termine ceramica deriva dal greco antico κέραμοςς, ‘kéramos’, che significa “argilla”, “terra da vasaio”[]. I materiali ceramici sono composti inorganici non metallici costituiti da diverse misture, soprattutto ossidi di silicio, alluminio e magnesio. I ritrovamenti più antichi di contenitori ceramici per la cottura, contenti tracce di cibo, risalgono a un periodo compreso tra il 10000 a.C. e il 18000 a.C. (dalle tracce dei grassi rintracciate sui frammenti si presume che questi contenitori fossero utilizzati per la cottura di specie marine attraverso ebollizione). Modificando le composizioni e le tecniche di lavorazione è possibile ottenere diverse varietà di ceramica: la terracotta, ottenuta con argilla comune cotta a temperature tra 980- 990 °C, la cui tipica colorazione rossiccia è dovuta alla presenza di ossidi di ferro; il grès, un composto meno poroso, più compatto e resistente, cotto ad altissime temperature (1.200-1.300 °C); e la porcellana, una ceramica bianca traslucida, principalmente composta da caolino (un’argilla molto chiara) e feldspato, cotta la prima volta a 800-900 °C e poi fra i 1.300 e i 1.400 °C. 18. Qualità che viene migliorata da uno strato di alluminio o rame collocato sul fondo dei modelli migliori.
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Fig.26: Profili di vasi in terracotta Fig.27: Teglia in vetro borosilicato | Fonte: pyrex.co.uk Fig.28: Stampi in silicone Baldassarree agnelli.
Un altro materiale da affiancare alla famiglia delle ceramiche è il vetro borosilicato, un materiale robusto, resistente agli sbalzi termici e dal basso coefficiente di dilatazione. Fu scoperto da Friedrich Otto Schott tra il 1887 e il 1893 per utilizzi tecnici e in seguito, grazie a un’intuizione di Jesse T. Littleton, fu utilizzato per la produzione di pirofile con il nome di Pyrex®. Essendo i materiali ceramici e i vetri molto stabili chimicamente, il primo vantaggio è che non cedono sostanze agli alimenti (fatta eccezione per i recipienti con smalti a base di piombo o altre sostanze non idonee per l’uso alimentare); inoltre, un altro aspetto positivo è la capacità di assorbire, trattenere e rilasciare calore lentamente, cosa che li rende particolarmente indicati nelle lunghe cotture a fuoco lento (escluso il Pyrex®, utilizzabile solo per cotture in forno). La fragilità e l’inferiore capacità di condurre il calore rendono però questi materiali poco efficienti dal punto di vista dei consumi.
3.6 Polimeri Utilizzati per le coperture antiaderenti delle padelle e negli stampi da forno, anche le plastiche trovano il proprio spazio tra gli utensili per la cottura. Il politetrafluoroetilene (PTFE) fu scoperto casualmente nel 1938 dal chimico Roy J. Plunkett nel tentativo di produrre un fluido refrigerante alternativo al freon per conto della DuPont. Commercialmente noto come Teflon®, il politetrafluoroetilene fu utilizzato per la prima volta come materiale antiaderente per tegami e padelle dall’azienda Tefal nel 1956. Tefal, infatti, è la contrazione delle parole “teflon” e “alluminio”. Questi rivestimenti inerti, dalla consistenza liscia e scivolosa, permettono di cucinare utilizzando meno olio, burro o altri grassi. Tuttavia, se riscaldati oltre una certa temperatura (250 °C) o in presenza di abrasioni, possono rilasciare sostanze tossiche dannose per la salute. Un’altra plastica che non teme fonti di calore, entrata da qualche anno nelle nostre cucine, è il silicone. Principalmente utilizzato per la produzione di tappetini antiaderenti e stampi da forno, i primi due brevetti risalgono al 1977 (Silla Patterson - Cooking utensil) e 1978 (Baker Perkins Holdings Limited - Apparatus for moulding confectionery). In modo analogo, anche il silicone, grazie alla propria struttura molecolare e alla flessibilità, permette il distacco dei cibi dallo stampo in modo molto efficace, a condizione che la temperatura rimanga sotto i 250 °C. Oltre questa temperatura, infatti, il silicone inizia a decomporsi.
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3.7 Pietra ollare Non siamo in grado di risalire al preciso momento in cui l’uomo per la prima volta utilizzò la roccia come materiale per la cottura. Tuttavia, considerando la ricerca di Manne, T. H., Stiner, M. C., & Bicho, N. F. (2005), è possibile affermare che intorno alla fine del Paleolitico l’uomo era in grado in qualche modo di sfruttarne le potenzialità, surriscaldando le pietre e immergendole nell’acqua per bollire i cibi, contenuti in recipienti ottenuti da pelli di animali. Un utilizzo più avanzato della pietra ebbe inizio con l’introduzione dei primi recipienti in pietra ollare (steatite) che potevano essere usati a contatto diretto con il fuoco. I paragrafi successivi dal volume New approaches to old stones: recent studies of ground stone artifacts di Rowan, Y. M., & Ebeling, J. R. (2008) forniscono una breve panoramica storica e tecnica su questo materiale: The use of steatite for cooking vessels is a global phenomenon that spans ancient through modern times (e.g. Ritimeyer 1924 for the Alpine region during the Roman and medieval periods, Kohl et al. 1979 for ancient Mesopotamia and Persia, Adams 1992 and Truncer 1999 for ancient North America, Ziolkowski 2001 for ancient Arabia, and Storemyr and Heldal 2002 for medieval Norway). There are four reasons for this rock’s popularity. First, it is soft due to abundant talc (which, with a Mohs hardness of 1, can be scratched by a fingernail), and so is easy to quarry and carve. Second, although soft when quarried, especially if kept moist, steatite hardens (through dehydration) when heated over a fire and so becomes more durable with use. Third, the rock warms up slowly and distributes the heat evenly throughout the vessel, and so is good for foods that require long, slow cooking. And fourth, steatite is slow to cool once heated, and so the cooking vessels can also be used for serving foods that need to be kept warm. [19] 19. Traduzione personale del testo originale: L’utilizzo della steatite per gli strumenti da cottura è stato un fenomeno globale che si è protratto dall’antichità fino a epoche moderne (vedi Ritimeyer, 1924, per la regione alpina in epoca romana e medievale; Kohl e altri, 1979, per Mesopotamia e Persia, Adams, 1992, e Truncer, 1999, per l’antico Nord America; Ziolkowski, 2001, per la penisola araba in epoca preislamica; Storemyr e Heldal, 2002, per la Norvegia in epoca medievale). Ci sono quattro ragioni all’origine di questa popolarità. Primo, è una pietra soffice grazie all’abbondante presenza di talco (nella scala di Mohs viene classificata con durezza 1, cioè si scalfisce con un’unghia) e quindi è facile da estrarre e intagliare. Secondo, sebbene sia soffice allo stato estrattivo, specialmente se mantenuta idratata, la steatite indurisce (per disidratazione) quando viene riscaldata sul fuoco, e diventa così più resistente con l’uso. Terzo, la roccia si riscalda lentamente e distribuisce il calore in modo omogeneo su tutta la superficie, quindi si presta particolarmente a tutti quei cibi che richiedono cotture lunghe e lente. Quarto, i contenitori in steatite si raffreddano lentamente dopo il loro utilizzo, quindi consentono di servire il cibo mantenendolo caldo.
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MATERIALI
Fig.29: Blocchi di pietra ollare torniti. | Fonte: pietraollare.com
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Fig.31: Sezione di un blocco di basalto lavico. Fig.32: Cava di basalto, Nicolosi Etna.
Anche se limitata a un ambito artigianale ristretto, la produzione di pentole in pietra ollare continua a esistere in diverse parti del globo. In Valchiavenna, ad esempio, un artigiano locale, Roberto Lucchinetti, ha ripristinato la tradizionale produzione dei lavezzi* utilizzando le tecniche manuali ormai desuete. 3.8 Basalto Lavico I basalti appartengono alla famiglia delle rocce ignee (o magmatiche), nello specifico il basalto lavico è un tipo di roccia effusiva, ovvero una roccia che si forma dalla solidificazione della lava che emerge dalla superficie terrestre. «I minerali fondamentali che definiscono la sua composizione media sono il plagioclasio, ricco di calcio, il pirosseno, che oltre al calcio presenta ferro e magnesio, e l’olivina, più ricca di ferro e magnesio»20. Spostandoci dall’ambito della cottura ma rimanendo sempre in quello della cucina, un impiego molto antico del basalto lavico è quello del mano y metate[21], una coppia di utensili per la macinazione che funziona per sfregamento: un cilindro di pietra (mano) viene fatto rotolare sopra i semi adagiati su un piano di pietra concavo (metate) affinché questi siano ridotti in polvere. Nonostante il basalto lavico sia poco utilizzato dall’industria del settore, è possibile trovare in commercio piastre da preriscaldare in forno per cuocere carne e pesce e per presentare i cibi in tavola mantenendoli caldi. Come già anticipato dai paragrafi del libro di Rowan, Y. M., & Ebeling, J. R. i vantaggi di entrambi i materiali sono l’eccellente capacità di diffondere il calore in modo omogeneo e rilasciarlo lentamente, l’inerzia chimica e le naturali proprietà antiaderenti. Per contro, questi supporti non sono buoni conduttori termici e assorbono molta energia, oltre al fatto che sono fragili e pesanti.
20. treccani.it (n.d) 21. Snodgrass, M. E. (2004).
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MATERIALI
Fig.30: R, Lucchinetti al tornio manuale mentre lavora blocchi di pietra ollare | fonte: pietraollare.com
MATERIALI Tabella 1: Proprietà dei materiali da cottura.
Materiale
Conducibilità (W/m°K)
Densità (kg/dm³)
Durezza (scala di Mohs)
Punto di fusione (°C)
Argento
460
10,50
2,5-3
961,8
Rame
390
8,89 - 8,93
2,5-3
1085
Oro
320
19,3
2,2-3
1064
Alluminio
290
2,60
2,5-3
659,7
Ottone
111
8,40 - 8,70
n/d
907
Acciaio al carbonio
46-60
7,85
1,5
1370-1530
Acciaio Inox
15-17
7,98
4-4,5
1370-1530
Stagno
64
7,28
1,5
231,9
Ghisa
50
7,10
N.D
1370-1530
Vetro da fuoco
0,95
2,40 - 2,70
5,5
--
Terracotta
0,80
2,2
6-8
--
Steatite
2,7
2,8-2,9
1
--
Basalto
1,27 - 3,5
2,9-3,1
6
1,400
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Pre-progetto In questo progetto, come anticipato, si è scelto di utilizzare la pietra come soluzione a una serie di problemi che, per questioni fisiche e chimiche, una padella in alluminio non può risolvere. Le proprietà antiaderenti, la capacità di mantenere a lungo il calore e la stabilità chimica sono proprietà intrinseche della pietra che una semplice smaltatura imitativa non può aggiungere a un metallo. Nell’ultima parte di questo documento di ricerca che precede il volume di progetto, si tenterà di mettere a fuoco i limiti e le possibilità che questo materiale offre nello specifico ambito progettuale.
4.1 Forma Nonostante esistano tecnologie in grado di rendere il basalto un materiale plastico, tali tecnologie rimangono confinate a un ambito industriale. Per questo, si sfrutteranno soltanto i processi meccanici sottrattivi manuali e semi-automatizzati con i quali è possibile, da un grande blocco di materiale grezzo, arrivare a una forma che non esponga l’oggetto a eccessivo rischio di rottura: il basalto, infatti, pur essendo più leggero della maggior parte dei metalli, può anche rompersi più facilmente, ed è dunque necessario garantire uno spessore minimo di una certa consistenza, con conseguente peso elevato dell’oggetto finito e limitazione nella forma raggiungibile.
4.2 Tecnologia del calore Poiché il basalto impiega molto tempo per riscaldarsi, si è deciso di ricorrere all’induzione per accelerarne il processo; tuttavia, non essendo un materiale ferromagnetico, il basalto non può funzionare su un piano a induzione. Dunque, sarà necessario aggiungere un componente in metallo ferritico che trasformi l’energia magnetica indotta in calore e, per conduzione, trasferisca quest’ultimo alla pietra. L’acciaio ferritico AISI 430, pur essendo inossidabile, è ferromagnetico e compatibile con il contatto con gli alimenti.
4.3 Manovrabilità Una piastra di pietra, da sola, non può essere considerata uno strumento 53
PRE-PROGETTO di cottura senza che sia completata da un supporto con cui l’operatore può manovrarla. Questo supporto deve essere bilanciato rispetto al peso dell’oggetto, oltre a garantire una buona presa e una certa distanza dalla fonte di calore.
4.4 Fissaggio L’aggiunta di un componente che funzioni per induzione e di un supporto per la manovrabilità richiede l’intervento di uno o più sistemi di fissaggio che consentano di tenere insieme le parti: i materiali utilizzati per questi sistemi dovranno tenere conto delle elevate temperature, della fragilità e rigidità del materiale principale (basalto), e del contatto con gli alimenti, senza compromettere la stabilità del sistema. Non è possibile utilizzare ancoranti chimici o supporti che a contatto con il calore sprigionino sostanze tossiche.
4.5 Sicurezza e salute Per garantire un livello di sicurezza adeguato, i singoli componenti del sistema dovranno essere atossici, resistenti al calore e igienizzabili.
4.6 Assemblaggio Occorrerà progettare lo strumento come un insieme di parti che possano essere agevolmente immagazzinate, trasportate, assemblate e sostituite singolarmente in caso di rottura.
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Tutte le immagini utilizzate in questa tesi sono distribuita con licenza d’uso creative commons CC0 o autorizzate dai legittimi proprietari, là dove è stata omessa la fonte le immagini sono state prodotte dall’autore di questo documento.
Eventuali correzioni i modifiche verranno integrate nelle pagine dove è possibile seguire l’avanzamento del progetto: www.francescoaloisio.com/sartorius
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Ringraziamenti Il doppio delle pagine della lunghezza totale di questo documento non sarebbe sufficiente per ringraziare tutte le persone che direttamente o indirettamente hanno contribuito alla concretizzazione di questa tesi. Primo tra tutti Vittorio Venezia che con direzioni chiare, entusiasmo e grande umanità ha guidato la tappa finale di questo percorso accademico. Il mio grazie va anche ad abadir e tutto il corpo docenti che in questi tre anni mi ha permesso di guardare il mondo con uno sguardo nuovo. Desidero ringraziare particolarmente tutti gli artigiani, imprenditori ed esperti che con pazienza oltre ogni limite hanno ascoltato tutte le mie richieste condividendo con passione la propria esperienza, suggerendo percorsi alternativi al progetto rivelatisi fondamentali, nello specifico sono infinitamente grato alla “Progetto Inox Snc” di Andrea Guccione e Michele Ruggieri per la parte relativa alla costruzione metallica; la “Masano Marmi” per la produzione dei dischi in pietra; “Rapisarda tornitori” per i manici in legno; Antonio Di Guardo e Giovanni Amoruso per le consulenze sui legni e la preparazione delle dime per la costruzione e assemblaggio dei pezzi; Biagio Amurì della “Frama mosaici srl” per le informazioni sui rivestimenti prodotti dal basalto fuso; Rosa Anna Corsaro dell’Istituto di vulcanologia per le consulenze sull’aspetto geologico della pietra; la professoressa Giuseppa Di Bella dell’università di Messina per le consulenze ed i testi di approfondimento sulle questioni legate alla chimica degli alimenti; Alfio Trovato per le visite alle cave di estrazione del basalto sull’Etna; Renato Caudullo e il ristorante Acido Lattico per l’utilizzo dei locali e della cucina per le riprese; L’azienda Baldassarre Agnelli per le immagini degli strumenti da cottura; Mauro Corrao e Mariangela Licitra per le riprese fotografiche termografiche; Jacopo Saccà per le consulenze video ed Alessia Fisichella per le correzioni di questo documento. Infine assumendomi il rischio di sembrare patetico desidero ringraziare mia madre per avermi incoraggiato e sostenuto dagli anni in cui distruggevo i giochi per capire come erano fatti fino ad oggi; mio padre ed i miei fratelli per il loro esempio e Giuliana al quale dedico il risultato di questo sforzo, impossibile senza il suo amorevole sostegno.
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