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architettura | edilizia | design | ar redo
L’ANTENATO SPIAGGIATO
Un’opera d’arte lunga 100 metri GATE SALERNO
GeniusLoci | Architettura |Territorio LE JARDIN
Una torre ritrovata VILLA LYSIS
Le stanze dell’oppio
COVERSTORY
THIS IS KNOLL OFFICE
Novembre 2014 - Numero 3
www.arkeda.it
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sommario editoriale 10
COVERSTORY
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STRITTVIEW di Simo Capecchi
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L’ANTENATO SPIAGGIATO di Giulia Bonelli
20 LA PAMPA di Donatella Bernabò Silorata
28 SUDESIGN di Mirella Armiero
34 L’IKEA di Roberto D’Alessandro
38 LE JARDIN di Daniele Abbrunzo
44 FOCUS. IL DESIGN SI TINGE DI BLU 45 VILLA LYSIS di Andrea Nastri
52 IL GIARDINO DEI RICORDI di Giorgia Borrelli
56 FOCUS. MATERIALI & DESIGN 58 ABITARE SOSTENIBILE di Maria Grazia Esposito
62 GATE SALERNO di Luigi Centola
66 FOCUS. LO SPAZIO DEL LAVORO 68 UN INTERNO PARTENOPEO di Viviana Carbonelli
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IL TEMPO INTERIORE di Rosy Rox di Eugenio Viola
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ARKEDA, LA FIERA E IL MAGAZINE (SPECIALE DI 12 PAGINE)
90 SITE-MAP di Sergio Stenti
92 NAPOLI STREET di Gennaro Galario
94 HANNO COLLABORATO… 97
DISTRIBUZIONE
98 IL SERRAGLIO DEL VOMERO VECCHIO di Mauro Giancaspro
Ero in una grande città del Nord Europa e non riuscivo a trovare la strada per la stazione, così ho chiesto informazioni a un anziano signore che, accigliato, mi ha risposto: Smile! Come? Smile! ha ripetuto per la seconda volta. Cosa? Smile! Ha urlato. Pur senza capire – controvoglia – ho sorriso, lui mi ha dato tutte le indicazioni richieste con gentilezza e precisione. Poi sono andato via, scuotendo la testa, strabiliato da quel modo di fare insolente. Però dopo, ripensandoci, mi sono reso conto che tutti, in quella città del Nord Europa, si sorridono: si sorridono se chiedono e se danno informazioni, si sorridono da entrambi i lati di uno sportello cittadino, si sorridono se comprano e se vendono… Non perché siano tutti felici – anzi, magari è vero il contrario – ma perché sorridere è una forma di educazione, di cultura, e forse anche di intelligenza. Nella mia città, Napoli, la città del sorriso, non si sorride: negli uffici pubblici gli impiegati ti guardano con profondo disprezzo. Perfino nei negozi ti sopportano, senza sorriso, come se comprare, proprio lì, arrecasse gran disturbo al commesso e al proprietario. Nel sud dell’Europa non esiste la cultura del sorriso, non perché gli uomini siano meno felici di quelli del nord, però non sanno sorridere, non hanno questa piccola forma di educazione, non gli è stato insegnato: ridono in privato. Si tratta di una cosa da poco conto? Non credo: il sorriso ha ricadute sull'economia di un paese perché incoraggia le relazioni, quindi gli scambi, e perciò stimola idee e crescita. Il sorriso ha anche un valore economico: se valesse appena pochi centesimi, quanti milioni sprechiamo ogni giorno? Ho parlato di sorriso, non a caso. Siamo molto contenti in Arkeda: torna per il secondo anno la più importante fiera d’architettura e design di Napoli, alla Mostra d’Oltremare dal 28 al 30 novembre 2014, Arkeda. Il programma verterà sull’Eccellenza nel Design e anche quest’anno l’evento sarà incentrato su una serie di dibattiti e workshop. Inoltre saranno rilasciati crediti formativi per gli architetti che vi parteciperanno. Un grande evento economico e culturale per Napoli. Smile! Diego Lama ARKEDAMAGAZINE
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Napoli
Venite tutti a Nisida… Fotografia di Massimo Lama
L’isola di Nisida (dal greco, piccola isola) non è accessibile al pubblico. È occupata da un presidio militare e da un carcere minorile aperto nel 1934. Nel 2005 è stato inaugurato dall’Amatori Napoli Rugby un progetto di reinserimento sociale e di rieducazione di detenuti nel carcere minorile. Quattro ex detenuti oggi giocano in club campani.
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Napoli
Sulle tracce di Maradona Fotografie di Cristina Ferraiuolo
30 anni fa iniziava la storia d’amore tra Napoli e Diego Armando Maradona, ancora oggi un’icona e un simbolo per tutta la città .
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Napoli
Port’Alba senza libri Fotografia di Massimo Lama
“Fallimento 77/2013. Lettura srl via Port’Alba 19”. Dopo la chiusura della sede del Vomero, dopo la chiusura di Treves e Loffredo, a settembre scompare anche la storica libreria Guida di Port’Alba, dichiarata bene culturale dello Stato per l’attività libraria ed editoriale. Napoli non è una città per i libri.
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COVERSTORY
This is Knoll office K
noll è stata fondata nel 1938 quando un giovane ed ambizioso emigrante tedesco di nome Hans G.Knoll, applicò sulla porta di una stanza che aveva affittato al secondo piano di un edificio a New York un’insegna che denominava lo spazio come ‘Stabilimento Nr1’. Hans G.Knoll portava con se i concetti e la filosofia Bauhaus per il design degli arredi, un equilibrio visionario tra arte ed industria, l’elevazione creativa della produzione industriale e la fusione tra arte e tecnologia promossa dai maestri del design e dell’architettura del ventesimo secolo, quali Walter Gropius, Marcel Breuer e Ludwig Mies Van Der Rohe. Ma per molti versi è stato grazie a Florence Knoll , che Hans incontrò nel 1941 e sposò nel 1946, che i prodotti di Knoll hanno acquisito uno stile unico ed internazionale, con design di eccellenza, innovazione tecnologica e produzione industriale all’avanguardia. Florence Knoll dirigeva la celeberrima ‘Planning Unit’, progettava gli showroom, creava i tessuti Knoll, riempiva con i suoi modelli i cataloghi, seduceva i clienti con il suo stile progettuale e portò alla Knoll un gruppo di talenti semplicemente ineguagliabile. L’elenco rimane tutt’ora strabiliante: Harry Bertoia, Niels Diffrient, Ralph Rapson, Eero Saarinen, Richard Schultz, Marianne Strengell, Ludwig Mies Van Der Rohe. Ancora oggi le collezioni Knoll rappresentano un albo d’oro del movimento moderno, e tutto è cominciato praticamente con Florence Knoll e i suoi amici. Mies fu suo Maestro ed amico all’Illinois Institute of Technology. Saarinen era il suo ‘fratello maggiore’ a Cranbrook, dove era cresciuta ed aveva studiato con Bertoia, Diffrient, Rapson, Strengell e Charles e Ray Eames.Knoll è oggi riconosciuta come produttore globale di arredi per ufficio e residenziali, orientato al design di eccellenza, la cui vocazione è la realizzazione di ambienti – di lavoro e/o abitativi – esclusivi, innovativi, fuori dalle mode, ‘everlasting’ e senza obsolescenza. Il concetto di Planning Unit, che per prima Florence Knoll adottò come modello organizzativo aziendale caratterizza tutt’oggi la qualità progettuale delle soluzioni d’arredo proposte dalla Knoll. La promessa fatta dalla Planning Unit ai clienti, oggi come allora, non riguarda la sola qualità del progetto ma anche del servizio. Ai propri Clienti Knoll mette a disposizione la propria struttura produttiva ed organizzativa in modo da soddisfare le esigenze in ogni fase del processo di definizione del progetto: dal primo lay out, alla scelta delle finiture, dei materiali, delle soluzioni su misura dei tempi e modi di istallazione e tutti i servizi di assistenza successivi, incluse consulenze di ergonomia, manutenzione e riconfigurazione. “Pensiamo a tutto noi” diceva il giovane Hans Knoll ai propri clienti, anticipando così il moderno concetto di servizio e consulenza. Riconosciuta in tutto il mondo come leader del design, Knoll è orgogliosa di avere più di 30 prodotti,
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inclusi nella collezione del design, al MOMA di New York, oltre alle centinaia di premi per il design, e riconoscimenti nei maggiori musei d’arte del mondo. Knoll è stata la prima maggior industria manifatturiera del settore ufficio ad ottenere la certificazione del Sistema Qualità ISO9000 e Ambientale ISO14001 registrata in tutto il mondo. Knoll è inoltre certificata LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). L’attenzione dell’Azienda verso le problematiche ambientali si è poi ovviamente tradotta in un coerente sviluppo dei prodotti. La Knoll è così stata la prima azienda al mondo a certificare una sua seduta – la Generation – SMaRT Platinum sustainable. Andrew Cogan, attuale CEO della Knoll, indirizza l’azienda verso tre precisi focus nell’area ambientale: i cambiamenti ambientali, le certificazioni di Enti specializzati ed il design per l’ambiente. Queste sono le linee guida che caratterizzano lo sviluppo di tutti i nuovi prodotti. La seduta ‘Generation’ ne è un esempio evidente. Dopo lunghe e dettagliate ricerche svolte sul campo, analizzando il modo con cui le persone lavorano, Knoll e Formway Design giunsero a considerare che era necessario sviluppare una seduta in grado di assecondare tutte le diverse posture assunte nel corso della giornata (seduta, distesa, inclinata, ruotata). Queste posture giovano non solo a mantenere un’efficienza fisica ma sono anche assunte per comunicare meglio con gli altri colleghi. Per contro i soliti meccanismi presenti in una seduta per ufficio o non venivano utilizzati o non erano sufficienti a garantire tutte le diverse posture. Dopo anni di ricerca Formaway è arrivato ad una soluzione innovativa di design. Un nuovo materiale rivoluzionario. Un elastomero con cui è prodotto lo schienale della sedia che permette, attraverso la flessibilità del materiale stesso di assecondare e sostenere una molteplicità di posizioni sedute in modo istintivo e assolutamente naturale. Generation, inoltre, è certificata: Greenguard, riduzione materiali (pesa solo 16,8kg), riciclo materiali (oltre il 46% di materiale riciclato), e riciclabile (oltre il 54%), SMART Platinum sustainable. La Knoll raggiunge oggi un fatturato di circa 1.300 milioni di dollari dei quali l’80% deriva dalla vendita di sistemi di arredo per ufficio e contract. Le unità produttive della Knoll sono 6 in tutto il Mondo di cui due presenti in Italia (le altre in Nord America) ed organizzate per servire l’intera area Europea. La fabbrica di Graffignana (ca 7.500mq), vicino Lodi, è specializzata nella produzione di contenitori, parti metalliche ed in alluminio, mentre la fabbrica di Foligno (ca 20.000mq), in provincia di Perugia, è specializzata nelle lavorazioni delle parti legnose, tappezzeria, sedute e poltrone. Entrambe le fabbriche abbinano, in maniera unica, la capacità artigianale e creativa del personale con una produzione industriale in grado di soddisfare clienti nazionali ed internazionali. Durante la creazione e lo svilupparsi del lavoro con il dipartimento ‘Planning Unit’, Florence Knoll affermò: ‘Good Design is Good Business’. Noi continuiamo ad affermare ed a credere che Good Design sia Good Business.
Knoll International Spa Piazza Bertarelli, 2 20122 Milano Tel. +39 02 72222924 www.knoll-int.com Agenzia Knoll Campania Sig. Mario Bancale Mob. 335 8235801 mariobancale@libero.it ARKEDAMAGAZINE
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STRITTVIEW di Simo Capecchi
Principe Azzurro Cercasi S
i accede al vicolo attraverso un sottopassaggio, con una scalinata stretta tra le pareti di tufo che scende di circa tre piani, tanto è il dislivello con la strada di sopra. Ci arrivo assieme a un’amica una mattina, alla ricerca di vedute verticali nel quartiere Stella a Napoli. Una bambina è incuriosita da noi ma sembra troppo occupata con un fratellino per venire a vedere chi siamo e perchè stiamo disegnando. Alla fine si avvicina, mentre il bambino la chiama da dentro il basso. Le chiediamo il nome della via ma non lo sa. Poi ci accorgiamo che sta scritto sopra di noi e che lei non sa leggere. Avrà circa otto anni. Indossa una maglietta rosa con una grande scritta a paillettes gialle: AAA cercasi principe azzurro, no perditempo, chiamare ore pasti. In mano tiene il ciuccio del bambino che nel frattempo continua a chiamarla disperatamente. In effetti è suo nipote, dice, ed è molto legato a lei. “Non sono andata a scuola perchè ho perso il pulmandino. E meno male che siete artiste, mi credevo che eravate le assistenti sociali!” Tornata a casa scopro che la strada è intitolata a Bernardo Celentano, pittore napoletano dell’Ottocento, un esponente del verismo. www.inviaggiocoltaccuino.com
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L’antenato spiaggiato Conversazione con Sergio Fermariello di Giulia Bonelli Fotografie: Antonio Mele (drone)
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L
a conversazione è stata itinerante: Sergio Fermariello ha descritto, prodigo di storie, i paesaggi di cui si compone il suo immaginario. L’infanzia, la famiglia, gli affetti, i demoni, i luoghi, le suggestioni: persone, luoghi, ossessioni attraverso le quali si è andato costruendo il suo personalissimo abaco da cui estrapola segni e tracce che trasforma in progetti di arte. Un abaco da cui prende forma anche l’opera che ha appena allestito sulla riva del mare. Tra le parole che usa per raccontarsi le più ricorrenti sono vita, moltitudine, vittoria, padre, tempo, morte. E parla anche di futuro, delle opere su cui sta lavorando e dei suoi studi, appassionatissimi, su Vincent Van Gogh. La conversazione è itinerante: dopo la tappa all’interno al suo studio, spazio abitato da pennelli, colori, prototipi di sculture, ritagli di giornale, foto di famiglia e arredi difficilmente collocabili in un preciso arco temporale, squarcia la vista il panorama di Napoli con il suo mare. Li, fuori dalla porta, sta un lussureggiante giardino sospeso: camminando tra le aiuole, dove lui è cresciuto e continua a crescere ci siamo trovati davanti ad una porta semiaperta. La sensazione è stata un po’ quella provata da Alice: “La buca della conigliera sfilava diritta come una galleria di tunnel, e poi s'inabissava tanto rapidamente che Alice non ebbe un solo istante per considerare se avesse potuto fermarsi, poiché si sentiva cader giù rotoloni in qualche precipizio che rassomigliava a un pozzo profondissimo”. (Lewis Carroll, 1865) Varcata la soglia della casa di Tullia Matania, famosa artista napoletana, ci inabissiamo nel suo appartamento dove busti, marmi, acquerelli e reti di metallo riempiono lo spazio con odori e colori che ti trasportano in un tempo lontanissimo. Denso, acre, polveroso, a tratti buio quello spazio è il teatro momentaneo dei racconti di Fermariello – che quegli spazi vive e frequenta quotidianamente – e lungo il tragitto lui parla dei guerrieri – simbolo della sua produzione artistica – mettendoli a confronto con la sua ultima opera. Un antenato spiaggiato sul litorale di Ischitella simulacro della condizione umana. Una figura elegantissima in un ARKEDAMAGAZINE
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paesaggio deturpato: un monito alla bellezza ma anche un richiamo alla solitudine. Un Landmark itinerante che Fermariello trasporterà su altri litorali, sorta di migrante alla ricerca di una casa, almeno per un po’. Un corpo la cui sinuosità si legge solo da una prospettiva precisa, dall’alto. Volando. Passano le ore e cerco di mettere in ordine le immagini che mi sono passate davanti e di ripensare a tutti i racconti ascoltati in silenzio. Ritorniamo nelle stanze del suo studio. Seduti ad un tavolo. Non ho fatto l’intervista. Non ho posto domande. Mi soffermo poi su alcune frasi dell’artista e vi scorgo un qualche legame con il mio lavoro. Io sono un architetto: gli sottopongo tre temi come fossero un campo comune su cui incontrarci. Eccoli. 16
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G.B.: Il committente. (Hai dei committenti? Qual è il tuo committente ideale. O anche lavori senza avere un committente?) S.F.: Il committente per un artista, in generale, è la galleria, a cui dei collezionisti privati si rivolgono e dove sanno di trovare il lavoro dell’artista. A volte, a commissionare l’opera è un ente pubblico, e spesso sono stato coinvolto direttamente, senza la mediazione della galleria. Inoltre, collaboro con diversi studi d’architettura per soluzioni d’arredo urbano e d’interni. Di fatto, l’essere chiamati a lavorare per la ‘polis’ e per un vasto pubblico , è la committenza che preferisco. Questo non toglie che spesso porto avanti dei progetti di mia iniziativa, sponsorizzato dalle mie stesse persecuzioni. G.B.: L’opera. (Il progetto d’arte: dall’idea alla costruzione) S.F.: Nello specifico, per quanto riguarda il lavoro dell’Antenato, il progetto parte da molto lontano, si è andato modifi-
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cando nel tempo, ma nella sostanza, l’idea è rimasta quella: immettere nell’ordine del discorso, un elemento ‘vecchio’, anacronistico ed esagerato, un ‘ready made’ dell’immaginario archetipico, nel bel mezzo della comunicazione liquida e globale, fatta di rimozione e di ostentato presente, intollerante ad elaborare il ‘lutto’ del suo stesso passato. Insomma, un’installazione come ‘ingombro’ e ‘monito’, da lasciare spiaggiata tra le dune erose, dalla schiuma di un mare senza memoria. Una volta che il progetto è risultato maturo, la realizzazione poi, è venuta da sé. G.B.: La comunicazione. (Una volta realizzata un’opera inizia la sua divulgazione, il suo viaggio verso pubblico e critica.) S.F: Di solito, in questi casi, come per l’installazione dell’Antenato, ci si rivolge ad un buon ufficio stampa, ed è inevitabile un certo ritorno di pubblico e critica. Occorre pertanto realizzare un buon numero di servizi fotografici e video per eventuali pubblicazioni che registrino l’evento e ne conservino la memoria. Ma il vero successo di un’operazione simbolica e mediatica come questa, si potrà misurare solo con il tempo, e solo con il tempo, una volta essiccato ogni pregiudizio, si potrà tentare di raccogliere il ‘sale’, dalla terra ormai espugnata. 18
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Antenato Installazione di Sergio Fermariello Settembre 2014 Campania, Litorale Domizio Lunghezza: mt 100 Larghezza: mt 12 Materiali: Telaio in ferro e teli di cotone
In queste pagine: Sergio Fermariello al lavoro su un’opera; L’Antenato fotografato dal drone; Fasi di montaggio dell’Antenato sulla spiaggia del Litorale Domizio.
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La Pampa Una country house a Melizzano di Donatella Bernabò Silorata Fotografie: courtesy La Pampa
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n paese la chiamavano la “casa del pittore”, era un rudere come tanti nel verde di Melizzano, borgo felice nella campagna beneventana a circa un’ora di auto da Napoli. Difficile non innamorarsene accoccolato come era tra il verde e il placido scorrere di un torrente. La ristrutturazione è stata radicale e con un progetto preciso: rispettare il luogo, non alterare il paesaggio intatto. Orientarsi sulla bio-architettura e su soluzioni eco-sostenibili è stata dunque la scelta naturale, non la più scontata, né la più facile. Ci sono voluti due anni di lavori, di scelte ragionate.
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Dalla selezioni dei materiali ai tagli architettonici, tutto è stato pensato in armonia col contesto a cominciare dal viale di ingresso fatto con pietre incastrate senza cemento. Le piante creano i sentieri che accompagnano alla casa e introducono le scelte naturali fatte nella ristrutturazione. Gli intonaci sono minerali di finitura in pasta composta da grassello di calce stagionato ventiquattro mesi, proveniente da calcare calcico cotto a legna. Il colore è dato da pigmenti coloranti di terre naturali e ossidi, aggregati di polvere di marmo selezionata. Tutti i pavimenti sono in legno intarsiato da stuoie di cocco e gli arredi provengono da materiali di cantiere riciclati. L’etica del recupero e del riutilizzo ha guidato le scelte decorative e di arredo: ecco allora che tavole di ponte, coppi di argilla, vasi di terracotta, banchi da lavoro, pallets, vecchi remi, cornici senza quadri, vecchie valigie, sacchi di caffè diventano sedie, tavoli, lavandini, applique. I rami secchi intrecciati con corda vegetale completano l’arredo bagno, diventano copri termosifoni e armadi. Il tutto in un’armonia cromatica che riposa gli occhi e la testa. Dalle ampie vetrate della zona living prorompe il verde del prato in un continuo rimando tra il dentro 22
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e il fuori. La casa è immersa in una tenuta di quattordici ettari coltivati ad orto, frutteto, una piccola vigna e un laghetto. Legno sia grezzo che sbiancato, lino, canapa e corda predominano ovunque anche nel patio esterno dove le sedute sono composte da vecchi pallet sbiancanti. Artefice dell’intero progetto e del concept è la Izzo Interiors, società prestigiosa che collabora con studi internazionali di architettura e design, specializzata nella progettazione e arredo nel settore dei trasporti del Paese: dalle navi per Fincantieri ai nuovi treni Freccia Rossa ETR 1000. La Pampa, questo il nome della casa, è oggi anche una country house aperta ad un pubblico raffinato di viaggiatori consapevoli: dall’architettura agli orti della tenuta, tutto segue i principi della sostenibilità ambientale. Gli orti che circondano la casa sono stati piantati seguendo i dettami dell’agricoltura sinergica senza uso di diserbanti e agenti chimici e recuperano antiche colture del territorio. 24
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La Pampa Relais & Taste è una country house nel cuore dell’antico Sannio beneventano, alle pendici del Monte Taburno, in un’area naturale protetta. È anche un’azienda agricola biologica dove si promuove una cucina sostenibile, semplice, senza sprechi, ispirata ai principi di Regina Tchelly e della sua favela organica in Brasile. Un grande appezzamento di terreno, coltivato secondo il principio degli orti sinergici, a pochi passi dalla casa e dalle cucine, offre la possibilità di conoscere le biodiversità del territorio e i tempi dell’agricoltura non intensiva. Dall’orto alla tavola, questa è la filosofia. Le camere per gli ospiti sono 7, tutte con bagno privato e diverse nelle finiture. L’accoglienza a La Pampa prevede weekend benessere, itinerari alla scoperta del territorio, passeggiate naturalistiche a piedi o a cavallo (nella tenuta dimorano 4 cavalli allevati secondo il metodo Parelli della doma dolce), pacchetti di remise en forme con consulenza nutrizionale, weekend relax con massaggi ayurvedici e risveglio muscolare al mattino; weekend tematici anche per le famiglie dedicate alla scoperta dell’orto. Tra i servizi anche piscina e centro benessere.
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In queste pagina Consolle Aurea. Nella pagina accanto Tavolo Furore.
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SuDesign Design industriale targato Napoli
di Mirella Armiero Fotografie: Andrea Iandoli
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elle case di Napoli, quelle dove la modernità è arrivata da tempo (e ce ne sono), c’è spazio per il design. In molti salotti, tra una gouache ottocentesca e una console del Settecento, occhieggiano i segni del contemporaneo. Magari i classici del Novecento, lampade divani librerie dall’identità già forte e riconoscibile. In alcuni appartamenti, poi, il design anche più nuovo ed estremo è padrone assoluto del territorio, senza alcuna concessione alla tradizione. Un esempio tra tanti, la Casaforte, loft ricavato in una fabbrica dismessa dei Quartieri spagnoli. Una bella conquista, che si rafforza di anno in anno. E soprattutto una conquista non scontata vista la distanza dalla incontrastata capitale del design, Milano, e la mentalità diffusa nel Mezzogiorno, così spesso resistente alle innovazioni e ancorata alla solidità del passato. Per tutto questo, sono particolarmente valorosi gli alfieri meridionali del design,
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da Alison a Dalisi. Sul loro solco, si muovono le nuove leve, i progettisti giovani ma già affermati che hanno saputo conquistarsi con originalità un proprio pubblico. È il caso di Andrea Jandoli e Paola Pisapia, i due architetti di SuDesign, una realtà tutta napoletana che ha ormai consolidato la propria presenza sul mercato nazionale. Ammirando il loro catalogo, per prima cosa mi chiedo da dove venga questo nome. Dall’appartenenza al territorio? Sud design? Eppure nelle loro forme lineari, essenziali, ipermoderne, non mi sembra di rintracciare nessun particolare filone sudista. Nei nomi dei prodotti, forse. C’è il tavolino Furore, la console Atrani… omaggi casuali alla costiera amalfitana? In realtà non è proprio così. Quello slancio delle forme può ricordare effettivamente l’ardita architettura naturale del fiordo di Furore, amato da Rossellini. Dunque il nesso esiste, non è un capriccio dei progettisti. Ma è anche nei materiali che si rinnova la presenza del territorio meridionale. Per esempio nell’uso insistito di piastre in ferro os30
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In questa pagina: Tavolo Furore. Nella pagina accanto: Tavolino Camaleonte ed il suo schizzo.
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sidato che si completano di volta in volta con vetro, pietra o legno. C’è un calore, c’è una storia in questi elementi che è difficile ignorare. Ma dopo aver sfogliato le pagine di presentazione del sito di SuDesign, scopro qualcosa in più. SuDesign è anche una sorta di parafrasi di su misura. Perché alla base del lavoro di questi due caparbi e ambiziosi professionisti c’è tutta una filosofia. In pratica c’è l’idea di conciliare la perizia e minuziosità artigianali con la produzione industriale. SuDesign ha numerosi clienti e per interni via via diversi ha inventato soluzioni che sono parse poi proponibili in altri casi. Da un lavoro fatto su misura ne è nato uno successivo e seriale, che conserva però l’unicità del pezzo fatto su richiesta del cliente. Ma come è possibile che nel deserto campano, dove l’architettura arranca, dove l’industria non decolla e quasi mai dà risultati interessanti, una coppia di giovani progettisti si affermi e porti avanti un progetto imprenditoriale di alto livello? La risposta, credo, è proprio in queste due ultime parole. Alto livello. Solo con questo obiettivo è possibile avere un esito positivo. Alto livello nella progettazione, nella ricerca, nei materiali, nella produzione. A questo punto sfoglio ancora il catalogo in cerca di conferme. I tavoli, i complementi e le eleganti luci appaiono oggetti capaci di durare nel tempo e questa qualità è quella che chiediamo a un oggetto di design. Gli interni arredati da SuDesign sono funzionali e belli, apparentati con altri interni di Pechino, New York, Berlino. Ma a ben guardare le foto, la luce è quella calda e mediterranea e inequivocabilmente napoletani sembrano alcuni accostamenti e certi squarci di esterni. Non c’è dubbio, siamo a Napoli, in quella parte di Napoli che aspira a entrare nel Ventunesimo secolo. In questa pagina:Lampada da terra Emanu; Mobile Madia. SuDesign Progetto e coordinamento: Paola Pisapia Design e produzione: Andrea Jandoli
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L’Ikea La fine del Postmoderno e il pesce congelato di Roberto D’Alessandro Fotografie: Massimo Lama
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rano gli anni ’80 e il Postmoderno per me non aveva segreti. Mi ero appena laureato, avevo seguito corsi, letto libri, e guardavo tutti quelli che volevano affrontare il discorso con disinvoltura, superiorità, indifferenza. Peggio trattavo quei dinosauri conservatori impregnati di cultura modernista o pseudo illuminista. Come potevano saperne più di me? Avevano mai letto qualcosa di Derrida o Lyothard? E di Jean Baudrillard ne avevano mai sentito parlare? Non credo. Andavano in giro dicendo che non si può giudicare un libro dalla sua copertina. Che cosa assurda! È fin troppo ovvio che la copertina ha la sua importanza. Quanto meno deve contribuire a convincermi a comprare il libro. A chiunque vivesse in questo mondo oscuro, mi divertivo a portargli luce. Gli spiegavo che se volevano scoprire cose nuove, dovevano abbracciare la nuova filosofia del decennio: il Postmoderno, che ci insegna a guardare il mondo con occhi diversi. Non c’è più differenza fra forma e contenuto, fra apparire ed essere, perché anche nella forma e nell’apparire c’è una complessità ed una profondità che contribuisce alla produzione di senso, di significato. Erano gli anni ’80 e ci avvicinavamo alla cultura liquida, dove le forme di comunicazione iniziavano a sciogliersi e a confondersi fra loro. Lo schermo del televisore si faceva sottile e somigliava sempre più al cinema. Il vinile cedeva il passo alla registrazione digitale. La radio e i Juke Box perdevano alla grande il confronto con i flussi di video musicali. Di lì a poco, con l’avvento di internet, dei telefonini e dei social network ci sarebbe stata una vera e propria rivoluzione culturale. E il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Il mio programma preferito era Mister Fantasy, con Carlo Massarini. Quando passava il video degli ABC The look of the love mi venivano i brividi lungo la schiena. Chiudevo gli occhi e sognavo di confondermi nei locali alla moda di Londra, The Marquee, Carnaby Street, Muji… Ikea! Una volta chiusi gli occhi più forte del solito e quando li riaprii, con grande sorpresa, o forse per un inter rail compratomi da mio padre, mi ritrovai a Londra, sul serio. Erano passati pochi mesi quando nei pressi di Piccadilly 34
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m’imbattei in una singolare mostra d’arte. Alle pareti, in bella mostra non c’erano quadri o sculture, ma schermi piatti, e su ognuno di essi scorreva senza interruzione un video musicale. C’era Thriller di Michael Jackson, qualcosa di Bowie (naturalmente), i Spandau Ballet... e tante persone che si fermavano e osservavano rapiti come se si trovassero di fronte la Madonna di Botticelli o quella di Filippino Lippi e non Veronica Ciccone. Che soddisfazione. Era la dimostrazione che stavo nel solco giusto. Avevo capito dove stavamo andando. La cultura si stava liberando dei vecchi modelli del passato e ne proponeva di nuovi. Finalmente, anche i modi di esprimersi che, fino ad allora, venivano ignobilmente considerati di bassa lega, iniziarono ad assumere una loro dignità. Il mondo era bello, ricco e ‘contaminato’. Mentre osservavo ammirato un monitor con Simon le Bon che si agitava su una barca, un giovane uomo, forse più giovane di me, si avvicinò e mi chiese cosa ne pensassi. Nel mio inglese balbettante, gli scaricai addosso tutto l’entusiasmo possibile. Si chiamava Mark, era l’ideatore della mostra. Mi offri da bere, mentre si sorbiva il mio incomprensibile inglese. Poi toccò a me sorbirmi il suo inglese. Io annuivo con la testa. Non capivo una parola di quello che diceva, ma sono sicuro che aveva ragione. Del resto mi è sempre piaciuta Girls on film dei Duran Duran, ma chi lo capiva il testo? Erano gli anni ’80, vivevo a Londra e lavoravo con Maurizio in un negozio di abbigliamento su Regent Street. Dopo il lavoro ci facevamo sempre una birra al pub di Brewer Street, che adesso non c’è più. Ma solo di venerdì, perché non potevamo permettercelo tutti i giorni. È lì che gli dissi della mostra e della discussione con Mark, l’ideatore. Maurizio tirò giù l’angolo sinistro della bocca, ironico. Era sicuro che il tipo mi aveva riempito di improperi per tutta la sera mentre io, ignaro, come un cretino, annuivo. Era sempre così, io che straripavo di infantile entusiasmo, e lui che smontava tutti i miei ragionamenti con quel sorriso da ebete, e un lieve tic che gli faceva scattare leggermente la testa verso l’alto. Come faceva ogni volta che doveva riARKEDAMAGAZINE
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porre qualcosa di pesante sui deboli scaffali che Stephen (il proprietario del negozio) aveva orgogliosamente comprato all’Ikea. “Un giorno o l’altro cadrà tutto e il capo se la prenderà con noi”. Erano gli anni in cui i negozi Ikea invadevano il mondo occidentale. E Maurizio odiava Ikea. Diceva che rappresentava l’epoca dell’illusione. L’epoca dove il ‘mio’ postmoderno ci aveva rudemente scaricato dentro. Ci illudeva che tutti potevamo essere degli arredatori, di avere case moderne con un design semplice ed economico. “Come dite voi postmederni? Less is more. Vi sbagliate. Less is even less.” Io lo guardavo con sufficienza. Che voleva capire lui? Io e Mark, noi sì che eravamo sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda. Una sintonia che non aveva bisogno di nessuna traduzione. Una sintonia intellettuale. Maurizio continuava a ridere. Per lui l’unica sintonia che poteva intuire in quella sala era quella dei televisori. Quei monitor che per lui erano tutta fuffa. E me lo dimostrò con una domanda che al momento mi lasciò senza risposta: che cosa avrebbe causato più danni all’umanità, una bomba alla galleria degli Uffizi, o in quella mostra di video? E poi chiosò: la copertina è una cosa, il libro è un’altra, non si possono confondere. Io lasciai perdere. Amareggiato. Inutile discutere con uno così all’antica e poco adattabile. Sarà lasciato indietro dalla selezione naturale. Ma purtroppo, quella discussione mi instillò un piccolo tarlo, che, di lì a poco, iniziò a insidiare le mie convinzioni sulle interpretazioni postmoderne della vita. Eravamo su Soho Street quando vediamo due ragazze. Non belle. Bellissime. Di una bellezza aliena. Bionde, magre, alte, camminavano con stile. E per me anche mezzo metro da terra. Il tempo da quel momento avanzò come in slow motion. Attiravano lo sguardo come una calamita. Come dei mostri di bellezza. Dei Frankenstein all’incontrario. Ma che nondimeno incutevano timore, come solo le cose sacre e incomprensibili possono fare. Io resto completamente stordito dalla visione. Maurizio che, al contrario di me, è uno che non si lascia mai sfuggire una parolina quando in36
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crocia una bella ragazza, quella volta riuscì solo a dire da perfetto romano qual è ‘Ammazza!’ Io trascinato dalla visione mistica, quasi mi metto in ginocchio e mormoro: “sono Claudia Shiffer e Elle MacPherson, Dio grazie per avermi donato questo momento”. Non so quante volte le avevo viste in tv o sui giornali di moda. Ma dal vivo era tutto un’altra cosa. Come la notte col giorno. Una settimana dopo, quando finalmente ci rendemmo conto di essere di nuovo atterrati sul pianeta terra, Maurizio m’attacca un’altra volta la sua solita pippa sulla differenza fra le cose vere e i surrogati. La MacPherson sui giornali era bella, bellissima, ma dal vivo… E mi parla di suo zio e di come gli diceva sempre che piuttosto che mangiare il pesce congelato, preferisce quasi quasi guardare gli altri mangiare quello fresco. Forse è per questo che odiava i mobili di Ikea, la sua uniformità, i cassetti che non si chiudono, gli scaffali che si piegano, i compensati che si macerano. Sono come il postmoderno: creano un’illusione, mescolano materie che fra loro non legano, facilmente riproducibili, tutto costruito per essere consumato in fretta, e all’instante. A distanza di tanti anni, devo dare ragione a Maurizio. E a suo zio. C’è un valore, una genialità nell’autenticità delle cose che nessuna alchimia combinatoria riesce a dare. Una libreria vera, non s’affossa come un vecchio materasso. Il pesce fresco non è come quello congelato, è semplicemente un’altra cosa. Come Pizza Express rispetto alla pizza napoletana verace. Del resto lo dicevano anche gli ABC in The Look of the Love : “If you judge a book by the cover / Then you judge the look by the lover / I hope you’ll soon recover / Me, I go from one extreme to another”. Se avessi saputo bene l’inglese l’avrei mandato ‘affanculo molto prima l’Ikea, il postmoderno e il pesce congelato.
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Le Jardin La torre ritrovata
di Daniele Abbrunzo Fotografie: Daniele D’Ari
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a torre di Babele esiste per davvero. Si trova a Napoli, di fianco il Castel Sant’Elmo. La torre versione 3.0, a differenza di quella originale, è fatta da tanti giovani italiani e francesi (a dire il vero nel gruppo c’è anche uno scozzese) che sono in grado di comunicare in sei lingue diverse (qualcuno anche a gesti): alcuni sono architetti altri no, alcuni sono operai altri no, alcuni sono operai-architetti altri no. Quest’umanità, tutta (o quasi) rigorosamente under30, ha vinto con il progetto ‘Le Jardin’ il concorso ‘Un’opera per il castello’ 2014, curato dalla direttrice di Castel Sant’Elmo Angela Tecce. Il riconoscimento (di 10mila euro) premia il gruppo o il singolo, tra i 21 e i 36 anni, che realizza il miglior progetto per il complesso monumentale di Sant’Elmo (l’ultima edizione è stata vinta in ex aequo da due opere, l’altra è di Gian Maria Tosatti e si chiama ‘My dreams, they’ll never surrender’): il premio rientra in un’ottica di valorizzazione dell’area che la Soprintendenza Speciale per il P.S.A.E. e il
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polo museale della città di Napoli e della Reggia di Caserta – al momento ricoperta da Fabrizio Vona – cerca di portare avanti da alcuni anni. Le Jardin è un lavoro del collettivo italo-francese composto da Giulia Beretta, Francesca Borrelli, Francesco Cianciulli, Romain Conduzorgues, Baptiste Furic, Silvia Lacatena, Jule Messau e Carolina Rossi. Un’idea articolata sia per le professionalità impiegate (videomaker e fotografi che hanno documentato la costruzione, un grafico che ne ha curato il sito, una curatrice che si è occupata di recuperare i materiali e organizzare gli eventi, i giardinieri che hanno potato le erbacce e così via), sia perché è frutto di un’architettura ‘relazionale’ che mette al centro lo ‘scambio-incontro’ con l’altro. Le Jardin è una struttura fatta in legno, una scala, che consente l’accesso a un giardino sulla cima di un’antica torretta di guardia. Uno spazio lasciato a se stesso, abbandonato da decine di anni. “Uno spazio affascinante perché inaccessibile”, devono aver pensato i giovani architetti Francesca e Baptiste la prima volta che l’hanno intravisto, lo scorso novembre dalla terrazza di san Martino. I due (che si erano conosciuti a Londra nel 2013 per collaborare ad alcuni progetti di architettura) rappresentano l’anello di congiunzione tra le due parti del progetto, quella francese e quella italiana. Quel giorno d’autunno, infatti, è nato ‘Il giardino’, sebbene allora avesse un aspetto ancora del tutto embrionale. L’ideazione è stata allargata a 8 autori (vedi i nomi dei vincitori), tutti colleghi e amici di Francesca e Baptiste: questa fase è 40
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proseguita via Skype con ore di telefonate da Londra a Madrid, da Madrid a Lisbona, da Lisbona a Parigi e da qui fino a Napoli, per cercare di dare un disegno comune all’idea. Un concetto, quello di ‘comunità’, presente anche nella fase di costruzione. “Qui siamo tutti operai e architetti allo stesso tempo – spiega Baptiste – Crediamo in un tipo di architettura sociale, relazionale”. Il francese è uno dei fondatori del collettivo ‘Bellastock’: l’associazione mette insieme giovani architetti, provenienti da varie parti del mondo, che oltre ad essere ideatori dei loro progetti, sono anche realizzatori (nella fase di costruzione i francesi di Bellastock presenti a Napoli erano una decina). “Per noi l’architetto deve saper creare con le proprie mani – aggiunge il 30enne, mentre una delle componenti del gruppo traduce le sue risposte dal portoghese all’italiano – Solo un professionista che sa come si fanno praticamente le cose, potrà essere un bravo architetto perché disegnerà progetti realizzabili, avendo cura dei suoi operai”. Nella fase di lavorazione si sono aggiunte anche altre persone: gli attrezzisti per il cinema e il teatro Nicola e Francesco del progetto ‘K-t serve’, il fotografo Daniele D’Ari, oltre a Giulia Angrisani e Salvatore Landi che insieme hanno realizzato un video dei lavori. Sul cantiere c’è stato anche lo scozzese Stuart Malcom: architetto del paesaggio ed ex giardiniere in Toscana, a lui è toccato tagliare le erbacce e sistemare il giardino. L’opera si presenta come un simbolo, un prodotto effimero: una struttura destinata a non durare per sempre, ma per
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un tempo determinato. “È una prefigurazione”, spiega Francesca Borrelli. “Rivela le potenzialità di un luogo che è emblematico perché non rappresenta soltanto se stesso, ma cela le potenzialità di ogni angolo abbandonato della città”. “In più questa scala non può essere percorsa sempre, non è neanche fatta per questo – osserva Francesca – È qui che la scala cessa di essere un semplice oggetto e si trasforma in opera d’arte”. Il tema delle (latenti) possibilità ricorre anche nel pensiero del direttore di Castel Sant’Elmo, Angela Tecce: “L’opera ci costringerà soprattutto a ripensare che viviamo in un territorio molto più complesso e colmo di potenzialità di quanto non ci sia apparso finora”. La scala e il giardino sono stati inaugurati il 27 settembre e aperti per 3 weekend consecutivi tra i mesi di settembre e ottobre. “Qui abbiamo organizzato workshop gratuiti di giardinaggio, disegno e meditazione. Attività, per le quali è stato necessario registrarsi online, che sono state tenute da professionisti, rivelando la vera vocazione de Le Jardin – ricorda Francesca – È un posto che si presta a essere utilizzato, da circa 25-30 persone, per laboratori”. È la relazionalità, la vera potenza di questo progetto. Un concetto che ben si adatta alla generazione under30, che non conosce limiti che non possano essere superati online. “Sul cantiere siamo stati tutti volontari: i soldi son serviti a pagare il vitto, l’alloggio e i trasporti dei membri dell’equipe. A unirci è stata la volontà di realizzare qualcosa insieme – conclude Francesca – Ho passato anni andando in giro per il mondo per partecipare a progetti internazionali. Quello che ho appreso è che in giro impari la tecnica, ma il senso di quel che stai facendo emerge solo a casa tua. Il mio senso l’ho trovato a Napoli, con ‘Le Jardin’”.
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il design si tinge di b Credenza Everyone di Former Design Roberto Lazzeroni. Everyone seguendo il solido motivo dei piedini conici in massello di noce canaletto o di noce ‘Smoke’, si schiude grazie ad ante scorrevoli indipendenti strutturalmente e per laccatura di colore, mai uguale sui due lati. www.former.it
Yard di Emu
Kensho di Kastel
Design Stefan Diez. Yard è una famiglia di arredi completa composta da sedia, poltroncina, tavoli fissi ed estensibili, poltrone relax e tavoli bassi. La struttura è in alluminio verniciato, leggera e maneggevole, mentre seduta e schienale sono realizzate con cinghie elastiche bicromatiche. I tavoli in alluminio verniciato, eleganti e minimal, sono disponibili nelle versioni con piano in grès porcellanato (tono su tono) e alluminio (naturale). www.me.emu.it
Design Franco Driusso. La nuova collezione di sgabelli, pouf e tavolini gioca sulla freschezza del colore e la fantasia di forme, per creare situazioni sempre nuove e variabili. Colorati e performanti tessuti arricchiscono ulteriormente l’ampia gamma finiture Kastel. www.kastel.com
Windmill Seating Island di La Cividina Design Constance Guisset. Tanti spicchi colorati compongono un’ideale ruota di mulino a vento che cattura diverse cromie, mano a mano che gira nell’aria. Proposta in 9 varianti di colore tone sur tone e in 5 versioni rainbow, multicromatiche. Disponibile in tre diametri: 110 cm con 12 spicchi, 60 cm con 8 spicchi e un modello maxi da 180 cm con 16 spicchi. www.lacividina.com
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di blu Axel di Crassevig Poltroncina disegnata da Franzolini nel 2004 e poi rivisitata in forme e proporzioni diverse che le danno un carattere moderno e vintage allo stesso tempo. Axel è ideale sia per la casa, nella zona living o nello studio, sia negli spazi contract. www.crassevig.com
Ak_04 di Arrital
Robo di Habimat
Design Franco Driusso. Il cuore del sistema Ak_04 è il telaio brevettato in alluminio estruso: leggero, invisibile e solido, permette di ottenere spessori ridotti ed una migliore finitura delle ante; è inoltre progettato per essere integrato a diversi materiali quali legno, Corian®, PaperStone®, Fenix NTM®, vetro e laccati. www.arritalcucine.com
Un’esclusiva degli showroom habiMat - è un oggetto d’arredo elegante, pratico e versatile in legno e cemento: sgabello, piano d’appoggio o comodino, si adatta creativamente a qualsiasi ambiente della casa. www.habimat.it/robo
Letto Toffee di Former Design Marzia e Leonardo Dainelli. Due elementi semplici si incontrano dando vita a Toffee. Due pietre primitive ed elementari addolcite da una contrastante leggerezza. La particolarità della forma è esaltata dalla cura di materiali e dettagli. www.former.it
Baraonda di MyYour Design Moredesign. Bancone per eventi speciali e spazi direzionali che crea atmosfere di fascino attraverso un’onda sinuosa che si compone in svariate forme e colori creando fantasiosi effetti cromatici e luminosi. www.myyour.eu
Serie 50_W di La Cividina Design Antonio Rodriguez. La collezione di divani e poltrone di ispirazione Fifties disegnata da Antonio Rodriguez evolve con nuove soluzioni rinnovate nell’estetica e nei materiali impiegati. Serie 50_w porta con sé tutta la bellezza e il calore del legno, ed è proposta con piede in legno, disponibile in frassino naturale, oppure tinto moka o grafite. www.lacividina.com
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Villa Lysis Le stanze dell’oppio di Andrea Nastri Fotografie: Giuliana Vespere
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è una casa a Capri che è nata con l’ambizioso intento di rivaleggiare con i resti e la memoria della villa imperiale di Tiberio: è Villa Lysis, la solenne e fascinosa dimora che il nobile scrittore francese Jacques d’Adelsward Fersen volle costruire per sé in uno dei punti più inaccessibili dell’isola.
Il prospetto principale della villa. In alto una veduta d’epoca dalla villa verso Marina Grande.
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Il salone oggi e in un’immagine d’epoca
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Nato a Parigi nel 1880, svedese d’origine, Fersen si era innamorato di Capri fin dalla sua prima visita, a soli 18 anni. Ma fu la terza volta che Fersen giunse sull’isola a rivelarsi quella decisiva. Il barone fuggiva dalla Francia in cerca di un luogo dove ricominciare dopo lo scandalo che lo aveva travolto; nel luglio del 1903, infatti, era stato arrestato con l’accusa di oltraggio alla morale e corruzione di minorenni e quindi condannato a sei mesi di reclusione. Appena fu rimesso in libertà decise di ritirarsi a Capri, dove prese in affitto la bellissima Villa La Certosella a via Tragara e cominciò a frequentare alcuni degli esponenti della piccola colonia di artisti e scrittori stranieri residenti sull’isola. Si legò in modo particolare allo scrittore austro-scozzese Norman Douglas, alla contessa di origini greche Ephy Lovatelli ed alle americane Kate Perry e Saidee Wolcott, proprietarie della suggestiva Villa Torricella a Marina Grande. In poco tempo Fersen divenne punto di riferimento e animatore delle serate mondane di tutta la stravagante compagnia e decise, come avevano già fatto molti dei suoi nuovi sodali, di costruire una villa per sé. Il terreno acquistato da Fersen – per altri versi svantaggioso, di difficile accesso, esposto a nord e poco soleggiato – aveva l’impareggiabile pregio di trovarsi su un poggio nei pressi della sommità del monte che ospita le rovine di
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Villa Jovis, consentendogli di avverare il suo sogno: progettare e realizzare una villa che facesse da contrappunto a quella di Tiberio. La costruzione fu affidata, come per tutte le ville eclettiche isolane del tempo, alle abili maestranze locali, sotto la guida di mastro Vito, così come caprese era anche il giardiniere, Mimì Ruggiero. A lui Fersen affidò il compito di circondare la villa con un rigoglioso giardino ricercatamente romantico, che voleva non fosse mai curato durante le sue lunghe assenze dall’isola, lasciando che si trasformasse in una vera e propria selva. Il giardino ospitava piante di alloro e mirto, narcisi, camelie e orchidee, oltre a numerose statue in bronzo ed un tempietto senza copertura, a mo’ di falso rudere archeologico. Nell’attesa che terminassero i lavori di costruzione della dimora, durante una vacanza romana Fersen conobbe il ragazzo di cui si sarebbe invaghito e che divenne assoluto protagonista della vita di Villa Lysis: Nino Cesarini, muratore e gestore, insieme ai fratelli, di un chiosco di giornali nella Capitale. Fu proprio Nino, nel luglio del 1905, a porre l’ultima pietra, recante l’iscrizione: “Nell’anno MCMV questa villa fu terminata dal conte Jacques d’Adelsward Fersen e dedicata alla giovinezza d’amore”. Alla festa di inaugurazione parteciparono tutti i membri della colonia straniera caprese. La villa, inizialmente denominata La Gloriette, ma presto ribattezzata Lysis in onore di Liside, discepolo di Socrate, è declinata in uno stile Luigi XVI con espliciti riferimenti al neoclassicismo e al simbolismo, non disdegnando alcuni accenti liberty, soprattutto nella scala e nelle balaustre interne. L’edificio è riccamente decorato sia all’esterno che nelle sale interne ed è caratterizzato dalla lunga scalinata e dal pronao d’ingresso con quattro colonne corinzie scanalate arricchite da mosaici dorati. Il progetto porta la firma dello stesso proprietario, affiancato dallo scenografo e illustratore Edouard Chimot, anche se in seguito Fersen rivendicherà tutta per sé la paternità dell’opera, relegando in secondo piano il lavoro di Chimot. A suo dire lo scenografo avrebbe voluto optare per uno stile caprese più tradizionale, ma in realtà il contributo di Chimot sembra certo, quantomeno nella veste di consulente artistico per le citazioni classiciste. Al pianterreno c’è l’ombreggiata sala da fumo, la cosiddetta stanza cinese. Qui il barone usava consumare la sua passione per l’oppio, scoperto durante un viaggio in estremo oriente, che negli ultimi anni di vita iniziò ad alternare alla cocaina, un cocktail che presto lo condusse alla morte. Molti racconti del tempo narrano di un Fersen via via più assente, provato e sofferente, finché, il 5 novembre del 1923, dopo aver cenato in compagnia di Nino e del suo nuovo compagno Manfredo, scese nella stanza cinese per fumare l’ultima volta il suo amato oppio e quindi si suicidò versando una dose mortale di cocaina nella sua coppa di champagne. Dopo anni di abbandono, la villa è stata recentemente oggetto di un accurato restauro a cura del Comune di Capri ed è aperta al pubblico per una visita che, come in una macchina del tempo, riporta a quegli anni mitici e pionieristici in cui l’isola era un luogo semplice e appartato, visitato e animato solo da pochi, appassionati, eccentrici e colti viaggiatori.
Il tempietto collocato nel giardino della villa. In basso La sala da fumo.
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Scorcio del giardino della villa L’atrio della villa con lo scalone.
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Il giardino dei ricordi La villa Gay-Odin a via Nicotera di Giorgia Borrelli Fotografie: Giorgia Borrelli
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i sa, a Napoli esistono un’infinità di ville con giardini interni nascosti dal trambusto della città, ma quello di villa Decker è particolare: unico per la sua storia, per la collocazione e per la passione che il proprietario mette nel manutenere questo angolo di paradiso. Salendo via Nicotera, nel cuore del centro storico di Napoli, all’interno di un palazzo che affaccia sulla strada, con una cortina continua tra antichi edifici e vetrine di vecchi bar, si apre un atrio. Al suo interno un cancello lascia intravedere un bosco
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incantato, svelato solo a pochi fortunati. Il padrone di casa ci accompagna alla scoperta di questo luogo segreto. Lui, Franco Decker, è il discendente della famosa famiglia piemontese Odin che a Napoli ha segnato la storia della cioccolateria artigianale. Il nonno di Franco, Isidoro Odin (sposato con Onorina Gay, da qui il nome dell’azienda Gay – Odin) arrivò a Napoli dal Piemonte alla fine del 1800 facendo fortuna nel settore della pasticceria. Nel 1890 comprò la villa e il giardino di via Nicotera portando alla luce il bellissimo spazio
In primo piano una Strelitzia reginae mentre sullo sfondo una Cocos spumosa. Nella pagina accanto: tronco in primo piano Ficus magnoloides all’interno della fontana Ninfee spp.
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Da sinistra: Berceau ricoperto da Gelsomino; Magnolia grandiflora; Cocos spumosa, Strelitzia reginae.
verde che fino ad allora era adibito a deposito di carrozze. Ma la storia di questo giardino segreto è molto più antica. Risale al 1600 quando era parte di palazzo Cellammare e costituiva un pezzo degli orti superiori dell’immenso giardino che si sviluppava alle sue spalle e che inglobava anche le odierne Rampe Brancaccio e la Piazzetta Mondragone: un “giardino esotico” con coltivazioni di ananas. All’acquisto della villa la famiglia Odin non trovò nulla di quel giardino esotico del 1600. Isidoro Odin riportò il giardino agli antichi splendori che però, dopo la sua morte, cadde in abbandono fino a quando Franco Decker, che lo ricevette in eredità dal nonno, non lo ridisegnò secondo i suoi ricordi di bambino. Si nota ancora oggi una commistione tra lo stile settecentesco nelle grandi mura in tufo perimetrali e uno stile neoclassico della fine dell’ottocento nelle aiuole centrali circolari. I grandi alberi secolari sono sopravvissuti (un bellissimo Ginko biloba, una Canfora e un Ficus magnolioides dalle possenti radici aeree all’ingresso e più all’interno del giardino una Damra robusta della Nuova Zelanda e una Araucaria magnoloide dalle enormi pigne) come dei monumenti dei secoli passati. Ma è il sottobosco quello che rende tutto l’insieme armonioso e lussureggiante e, però, ciò che più ha bisogno 54
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di cure costanti e manutenzione attenta. Ad Agapanthus e cespugli di Ortensie si aggiungono Camelie, Kenthie e Cycas. In fondo al giardino, nella parte più protetta e meno esposta si trova anche una piccola nursery di talee prese dai grandi alberi e che pian piano stanno crescendo quasi a mantenimento di quella biodiversità raggiunta con tanti sacrifici. Ne è fiero Franco quando ne parla. Gli ridono gli occhi al pensiero del suo pezzo di storia familiare legato a doppio filo a quei vialetti, a quegli alberi; una storia che non cadrà mai nell’ombra finché il giardino vivrà perché ne racconta le vicende, i momenti di vita spensierata e quelli più tristi che Franco racconta senza risparmiarsi, con un temperamento da “calvinista napoletano” come lui stesso si definisce. Il tesoro prezioso di questa città è formato dalla rete di persone disponibili a tramandare le loro vicende (che poi sono quelle di tutta la città), di luoghi inaspettati che raccontano pezzi di storia e che rimandano a tempi lontani in cui Napoli era un centro culturale di grande importanza, alla pari di Londra, Parigi e Vienna. Il giardino di via Nicotera rappresenta a pieno tutto ciò, un luogo di ricordi, vissuto e pervaso da un grande fascino inatteso e da una bellezza sfacciata proprio come la città che lo ospita. ARKEDAMAGAZINE
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materiali & design Auckland Bree e Onda di Riva 1920 Design Passon e Savorgnani. Top in legno di Kauri, legno millenario delle Nuova Zelanda e base realizzata in tubolare di metallo (ferro naturale rivestita di resina oppure laccata nei vari colori). I due elementi naturali, legno e ferro, si fondono insieme in un movimento armonico e sinuoso che ricorda le onde del mare. www.riva1920.it
Grace di Emu Design Samuel Wilkinson. La struttura delle sedute è realizzata con tubi elettrosaldati, con seduta e schienale in alluminio pressofuso, mentre Il tavolo ha un piano abbattibile, con struttura e piano sempre in alluminio. www.me.emu.it
Tavolino di Plèilu Design Michelantonio Rizzi, linea Karn di Del Fabbro. Plèilu (lingua friulana,“piegalo”) è realizzato in frassino massello e si piega su se stesso con una semplice mossa per raggiungere uno spessore di soli 4 cm. Raffinato e ideale per spazi ridotti è realizzato rigorosamente a mano, in Italia ed è finito con olio essenziale ottenuto dalla spremitura degli agrumi. Disponibile in diverse misure e nella versione destra o sinistra, con piano a trapezio. www.karnkarn.it - www.delfabbro.org
Tavolo Hermitage di Former Design Francesco Bettoni. La collezione Hermitage si fregia di un tavolo nel contempo importante, per lo spessore del piano in legno e l’imponenza del disegno, e leggero grazie alla particolare configurazione delle proprie gambe in metallo. www.former.it
Peak di Riva 1920 Design Claudio Bellini. Tavolo tondo con top in vetro temperato, sorretto da una struttura in legno di cedro lavorato grazie a macchinari ad alta tecnologia a 5 assi.Leggerezza e trasparenza del vetro si contrappongono elegantemente alla solidità e alla consistenza della struttura in legno. www.riva1920.it
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Zinco Spazzolato di Ikona Per il suggestivo loft metropolitano, dominato dal contrasto tra la cromia decisa del parquet testa di moro e il bianco luminoso degli arredi e dei serramenti, è stata scelta una scala Ikona Materials, con cosciale in acciaio verniciato bianco, pedate in cristallo trasparente e moduli decorativi in zinco spazzolato. www.ikonascale.it
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Divani di Kaleido Design Franco Driusso della Driusso Associati Architects. Kaleido è un programma componibile ideale per spazi di attesa, conversazioni e incontri, ma anche per una casa originale e moderna. Struttura in acciaio, con sovra-iniezione di resina poliuretanica ignifuga con molleggio mediante cinghie elastiche. Rivestimenti in tessuto o ecopelle ignifugo, oppure in vera pelle. Formato da vari moduli per soluzioni angolari, con o senza schienali, o lineari nelle versioni di rivestimento mono o bicolore. www.kastel.it
Ak_04 di Arrital Design Franco Driusso. Il sistema Ak_04 si veste di Fenix Ntm®: materiale rivoluzionario vellutato al tatto, opaco, anti-impronta ma soprattutto capace di “guarire” da micrograffi ed abrasioni solo con l’aiuto del calore di un ferro da stiro. L’azienda si distingue inoltre per aver applicato questo materiale in sottili pannelli di spessore 6 mm al telaio brevettato in alluminio estruso. www.arritalcucine.com
Shine di Emu Design Arik Levy. Realizzata interamente in alluminio e quindi molto funzionale e resistente. Poltrone, sedie e lounge, impilabili, sono dotate di braccioli in teak, i tavoli vengono forniti con top in teak o HPL (quest’ultimo solo nella versione bianca). Tutti gli elementi della collezione Shine sono proposti in nuovi e originali colori. www.me.emu.it
Palafitte di Cleto Munari Disegnato e realizzato da Cleto Munari nel 2008 quale omaggio alla città di Venezia e già presentato alla scorsa biennale. Le 7 gambe riprendono idealmente l’immagine delle palafitte sulle quali la città di Venezia è sostenuta. Prodotto in 3 misure con lunghezze di da 300, 260 e 220 cm. Piano in cristallo temperato extrachiaro e gambe laccate lucide. www.cletomunari.com
Ruggine di Siviglia di Ikona Appartenente alla collezione Ikona Materials, realizzata con inediti materiali che creano svariati effetti tattili e visivi, questa struttura presenta moduli decorativi e cosciali in Ruggine di Siviglia. Le pedate sono in cristallo trasparente temperato a triplo strato. www.ikonascale.it
Credenza Hermitage di Former Design Francesco Bettoni. La collezione di credenze Hermitage è caratterizzata dal cavalletto a traliccio in metallo (finitura bronzo o piombo ossidato) che sostiene e valorizza la parte in legno (rovere, noce canaletto o noce smoke) del contenitore. www.former.it
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Abitare sostenibile Un edificio innovativo ai Camaldoli di Maria Grazia Esposito Fotografie: Od’A
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ll’interno di una grande area verde di circa 45 mila mq ubicata tra via Pigna e via Camaldolilli, è in corso di realizzazione un innovativo progetto di riqualificazione urbanistica e ambientale. Un complesso residenziale, isolato in una macchia di verde, al centro del Vomero, vicino all’uscita Camaldoli della Tangenziale e alla stazione Quattro Giornate della linea 1 della Metropolitana, che ben rappresenta una nuova concezione dell’abitare sostenibile a Napoli. Il primo intervento, in corso di ultimazione, prevede la realizzazione di 23 unità immobiliari, di classe energetica A, antisismiche, dotata ciascuna di terrazzi o giardini privati, box auto, verde condominiale e parcheggi comuni, palestra. ARKEDAMAGAZINE
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Il progetto, così come previsto dal PUA approvato dal comune di Napoli nel 2009, sarà completato con la realizzazione di un piccolo parco pubblico, annesso alla scuola materna/elementare De Curtis, di un’area adibita al gioco dei bambini e per gli anziani, orti urbani e un’attrezzatura sportiva (una piscina e un campo da tennis, in attesa di approvazione da parte del Comune). Per la restante parte dell’area è stata avanzata la proposta di un Parco agricolo a iniziativa privata. A completare il progetto di riqualificazione urbana e ambientale il rifacimento del primo tratto di via Camaldolilli. L’intervento è stato promosso dal gruppo Letizia e progettata dallo studio Od’A Officina d’Architettura (Bruno Discepolo, Alessandra Fasanaro e Giovanni Aurino architetti) in collaborazione con l’ing. Camillo Alfonso Guerra (strutture) e lo studio Rasulo (impianti).
“La presentazione del complesso residenziale di via Camaldolilli, a cura del gruppo Letizia e su progetto dello studio Od’A Officina d’Architettura in collaborazione con l’ing. Camillo Guerra (strutture) e lo studio Rasulo (impianti) è un segnale importante che dimostra, nonostante il momento di criticità che vive il comparto delle costruzioni a Napoli, come sia possibile realizzare interventi di qualità e innovazione, cogliendo anche le opportunità fornite dagli strumenti urbanistici vigenti. L’intervento, infatti, rappresenta l’attuazione di un PUA, cui seguiranno le attrezzature di standard e ulteriori opere di riqualificazione dell’area, a conferma che questa è la strada da percorrere per rigenerare la città e rilanciare gli investimenti”. Francesco Tuccillo
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Gate Salerno GeniusLoci | Architettura | Territorio | Economia di Luigi Centola
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n cosa si differenzia un evento di Architettura dagli oltre 2000 festival dedicati alla Musica, al Cinema e allo Spettacolo che ogni anno si realizzano in Italia? Gli architetti realizzano edifici e spazi pubblici per offrire servizi ai cittadini e migliorare la qualità della vita, dunque un Festival di Architettura non può essere soltanto un evento effimero, deve lasciare in eredità alla comunità strategie, progetti e opere per lo sviluppo e l’economia del territorio. Il Festival GATE GeniusLoci|Architettura|Territorio|Economia se da un lato è un’occasione per incontrare e confrontarsi con alcuni tra i più autorevoli esperti del settore, allo stesso tempo si pone l’obiettivo di costruire un patrimonio di idee, progetti e realizzazioni per Salerno, Ravello, la costiera Amalfitana e la Provincia. Per questo motivo i fondi disponibili (POR Campania FESR 2007-2013) sono utilizzati non solo per attività immateriali ma anche per completare il restauro del complesso S. Sofia nel centro storico di Salerno, per elaborare un laboratorio progetti e per bandire 2 importanti concorsi internazionali.
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Il primo concorso, bandito dal Comune di Salerno e coordinato da NewItalianBlood: ‘Parco del Colle Bellaria e Antenna Telecomunicazioni’ (1° Premio 12.500 Euro) ha l’obiettivo di restituire il Parco panoramico alla comunità sostituendo gli inquinanti e impattanti tralicci metallici esistenti con un nuovo Landmark urbano dal minimo impatto visivo, ambientale ed elettromagnetico. Il secondo concorso, coordinato da Effetti Collaterali: ‘Ombre d’Artista’ (1° Premio 2.500 Euro) promuove installazioni temporanee sperimentali per gli spazi pubblici. Una terza consultazione online aperta ai cittadini, agli studenti e ai giovanissimi, #GateSiamoNoi, offrirà l’opportunità di far emergere dal basso suggerimenti e proposte da sviluppare durante e dopo il festival; facebook sarà utilizzato
come laboratorio per esplorare il potenziale progettuale collettivo dei social media. Dopo tre mesi dedicati alle competizioni il contributo concreto di GATE: saranno svelati i progettisti vincitori e le nuove opere per Salerno. Dal 5 al 15 novembre, presso la Chiesa dell’Addolorata, GATE offrirà a tutti l’opportunità di seguire workshop, lezioni, laboratori, mostre e conferenze. Nello stesso periodo sarà possibile visitare la Stazione Marittima, il fluido guscio in cemento e vetro progettato da Zaha Hadid, opera nata da un concorso internazionale e divenuta il simbolo e la porta della città dal mare. Insieme ai capolavori della Costiera Amalfitana – l’Auditorium Oscar Niemeyer a Ravello e la fabbrica di ceramiche Solimene di Paolo Soleri a Vietri
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sul Mare – la Stazione Marittima, oltre ad incentivare il turismo accogliendo i crocieristi, catalizza attenzione, curiosità e visitatori da tutto il mondo. Nei workshop in programma si approfondiranno: il recupero/riuso dei ‘Buchi Neri’ ovvero il rammendo delle periferie attraverso il lavoro del gruppo G124 promosso dal Senatore a vita Renzo Piano con la presenza dei coordinatori Mario Cucinella, Massimo Alvisi e Maurizio Milan che terranno anche conferenze sui loro ultimi lavori; i ‘Padiglioni Temporanei’ per realizzare architetture sostenibili con il contributo e le conferenze di Benedetta Tagliabue, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo e Rodolfo Tisnado di Architecture Studio, autore tra l’altro della sede del Parlamento Europeo a Strasburgo. Parteciperanno do-
centi e studenti delle facoltà di Ingegneria/Architettura di Salerno e Napoli. Infine si allestiranno quattro mostre: ‘Premio NIB Under36’ con i migliori giovani architetti e paesaggisti italiani che presenteranno i loro progetti in anteprima a Salerno; ‘Extreme Wood’ sugli utilizzi innovativi delle strutture in legno; ‘Ombre d’Artista’, sulle installazioni artistiche per gli spazi pubblici di Salerno e ‘Patrimonio Cilento’ sul genius loci del Parco nazionale. I concorsi, le mostre, i laboratori e le conferenze saranno aperti e completamente gratuiti. Sito web e pagina facebook di GATE www.gatesalerno.it e www.facebook.com/gatesalerno offriranno notizie e aggiornamenti in tempo reale.
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FOCUS
lo spazio del lavoro Infinity di Modulo Pareti Infinity è un sistema di pareti di nuova generazione, completamente integrato, capace quindi di rendere invisibili i collegamenti tra i diversi sottoprodotti. Il sistema è costituito di elementi strutturali che ne permettano la personalizzazione in fase di progettazione ed in fase di modifica del layout durante le attività di installazione.
Blumohito Installazione water wall custom con pannellature Smart Acoustic Green, colore Lime. www.blumohito.com
Flags di Forsit Design Orlandini. Flags risponde perfettamente alla necessità, sempre più sentita di definire, all’interno di grandi spazi aperti, sub-ambienti raccolti ed intimi in cui poter discutere di lavoro, usare il computer e poter leggere in tranquillità. www.forsit.it
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Audia Italia È un’azienda giovane produttrice di poltrone per collettività, teatri, auditorium, sale conferenze/congressi, aule, ecc. Offre prodotti di serie ma è il leader nella realizzazione di prodotti su misura. www.audiaitalia.it
Sthreep di Universal Selecta Eleganza, flessibilità, prestazioni identificano il nuovo sistema di porte e pareti divisorie. La struttura di alluminio è predisposta per accogliere da una a tre lastre (vetrate o cieche), garantendo semplicità di progettazione, installazione e riconfigurazione degli ambienti. www.universal-selecta.it
FONOSTILE® Sistema per la correzione acustica del Gruppo Sogimi (distributore Artec SpA), si inserisce con facilità anche in ambienti allestiti, risolvendo il problema del riverbero (rimbombo). Personalizzabile, la posa dei pannelli non richiede opere di muratura. www.artec-spa.com
Tavoli riunione di I-Meet Linee e finiture di prestigio, forme e dimensioni modulabili, facilitano la collaborazione e il contatto visivo; connessioni elettriche, wire management capiente e facilmente accessibile, rende I-Meet l’ambiente perfetto per i tuoi incontri, funzionali ed altamente rappresentativi. www.las.it
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Un interno partenopeo LinearitĂ e semplicitĂ a strapiombo sul mare
di Viviana Carbonelli Fotografie: Marco Rambaldi
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pochi passi dallo storico palazzo Donn’Anna c’è questa splendida dimora. Gli architetti Antonio Martiniello e Titti Rinaldi hanno lavorato in tandem con i giovani proprietari: occorreva coniugare esigenze versatili e contrapposte, generando un equo compromesso. Antonio ha saputo dividere gli spazi e ha creato un unico grande livingsalone-cucina, ispirandosi ai loft newyorkesi. I giovani acquirenti avevano idee chiare, soprattutto tempi serrati per la ristrutturazione. Le linee guida: la linearità e la semplicità, ma soprattutto la bellezza di un panorama unico al mondo. La luce, caratteristica principale di tutta l’abitazione. ARKEDAMAGAZINE
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Il progetto nasce da una sinergia tra luce del mare e costa tufacea che abbraccia l’appartamento. La scelta dei materiali è stata minuziosa e anche qui il lavoro di squadra è stato determinante, perché ha permesso di riconsiderare il pavimento preesistente stimolando l’inventiva, la voglia di esprimersi e la capacità di essere audaci. La libreria che divide il salone dalla cucina è stato realizzato con fili d’acciaio e mensole sospese che contengono una grande quantità di collezioni, libri d’arte, mappamondi, soldatini di piombo e foto. Lo sguardo dello spettatore è diretto verso l’esterno e la mente può spaziare verso la sua grande immensità.
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Arte e spazi pubblici
Il tempo interiore di Rosy Rox di Eugenio Viola
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n sottile gioco di rimandi ha portato nel corso degli anni Rosy Rox ad alternare sapientemente nel suo percorso l’immissione narcisistica del proprio corpo all’ostensione dei suoi simulacri per poi estendersi, progressivamente, ai simboli e alle metafore ad esso legati. La sua poetica sottende un universo frammentato e straniante, sospeso tra immaginario e simbolico, abitato da opere ammalianti e pericolose, attrattive e repulsive, accattivanti nel loro aspetto vagamente glamour e prezioso ma allo stesso tempo minacciose, che giocano sullo stereotipo della seduzione femminile ‘fatale’ e si caricano di messaggi ambivalenti. Il rimando a un immaginario feticista, come pure il sadomasochismo sfacciatamente esibito, rivelano al tempo stesso una fragilità disarmante e non di rado un’innocenza che spiazza per la contraddittorietà del messaggio, arricchendosi di senso nello iato che si crea tra forma e sostanza, tra essere e apparire. Erotismo e tenerezza, irruenza e timidezza, lascivia e pudicizia, sacro e profano diventano in questo modo le cifre stilistiche distintive di un percorso introspettivo che tappa dopo tappa schiude i percorsi labirintici dell’universo femminino. Mi soffermerò in particolare su un aspetto specifico della ricerca dell’artista napoletana: la dimensione pubblica. L’antecedente diretto di Tempo Interiore è Lancia, opera vincitrice di un concorso a Portici nel 2010 per la realizzazione di un’opera permanente. Entrambi i lavori, oltre la dimensione straniante, sono accomunati da un approccio metatemporale al susseguirsi delle varie epoche, trattate come
Lancia 2009/2010 Cm 700 x 200 x 200 acciaio, cristallo, cemento, ferro, resina. Permanent project in public space, Progetto vincitore assessorato urbanistica & lavori pubblici comune di Portici, piazza gravina Napoli, Italia. Foto di Gennaro Navarra
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un palinsesto dove il tempo, questo grande scultore (M. Yourcenar) non è inteso come una progressione lineare di fatti, gesta, protagonisti, testimonianze. L’artista, al pari della scrittrice, lo sovverte, estrinseca una dislocazione temporale, suggerisce una traiettoria immaginaria e incongrua che cortocircuita passato e presente, a Portici formalizzata nella linearità di una lancia conficcata nel bel mezzo di una piazza del centro storico cittadino e qui espressa da lame-lancette che animano un orologio della piazza d’armi di Castel Sant’Elmo un tempo funzionante e da tempo dismesso. Lame/lancette che procedono anarchiche a scandire un tempo non convenzionale: il tempo presente dell’opera che si scontra con un tempo passato e immaginario che sottende a sua volta una dimensione intimista, interiore per l’appunto, corrispondente al vissuto emotivo dell’artista. Lancia come Tempo Interiore sono due opere che rispondono alla vocazione di cogliere l’uomo nel divenire della storia e di riallacciare i fili della memoria collettiva, muovendo attraverso i labirinti del tempo.
Tempo interiore 2012/13 Lame in alluminio, componenti elettromeccanici. Diametro cm 200. Progetto vincitore Un opera per il castello 2012, Castel S’Elmo, Napoli. Foto di Spaziocentoundici
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La sostenibilità prima di tutto Sostenibilità non è una parola come tante altre, perché definisce un pensiero e una visione che si realizzano con stili di vita e lavoro responsabili, per costruire l’unico futuro possibile. Sikkens fa parte di AkzoNobel, un grande gruppo mondiale leader nel settore della chimica e dei prodotti vernicianti presente in Italia dal 1958
L’
impegno di Sikkens per la sostenibilità si concretizza ogni giorno nella realizzazione di prodotti vernicianti a basso impatto ambientale (in linea con i più stringenti parametri internazionali in materia di Composti Organici Volatili) che garantiscono una lunga durata nel tempo, alla riduzione di rifiuti, all’utilizzo di fonti energetiche alternative per il ciclo produttivo degli stabilimenti, fino all’adozione di politiche in materia di sicurezza per i dipendenti e fornitori presenti in tutte le sedi dell’azienda. Un impegno e una passione che ha permesso ad AkzoNobel di raggiungere i primi posti nel Dow Jones Sustainability Index (l’indice per la responsabilità sociale di impresa) e di migliorare sensibilmente l’offerta di prodotti a basso impatto ambientale come la gamma di prodotti Ecosure di Sikkens e il sistema di isolamento termico a cappotto Sikkens Renovatherm con la collaborazione di Eni Versalis. Dal 2014 AkzoNobel è socio ordinario dell’associazione Green Building Council Italia, che promuove il sistema di certificazione indipendente LEED®, un segnale importante dell’impegno di AkzoNobel e di Sikkens nell’offrire strumenti di lavoro, prodotti e servizi di consulenza tecnica sempre più efficaci e innovativi. “Sostenibilità prima di tutto” significa anche fornire servizi di consulenza a tutti i professionisti e progettisti del settore, proponendo anche una serie di corsi di formazione professionale per applicatori, progettisti e distributori attraverso il Technical Center di AkzoNobel, centro di eccellenza con sedi a Roma e Castelletto Ticino (NO). Attenta alle problematiche del decoro urbano, Sikkens risponde efficacemente alle esigenze di studio e di ricerca di tutti coloro che si adoperano per il recupero di zone periferiche abbandonate o in stato di evidente degrado, e la valorizzazione del patrimonio storico-architettonico. Parte della multinazionale AkzoNobel, Sikkens aderisce alla campagna internazionale Human Cities di AkzoNobel, un manifesto in 6 punti lanciato lo scorso giugno alla Biennale di Venezia, per affrontare il fenomeno dell’urbanizzazione in maniera sostenibile e innovativa. Inoltre Sikkens opera a livello territoriale con il programma Let’s Colour; una serie di iniziative di Responsabilità Sociale di Impresa rivolte alle comunità locali. Per migliorare, attraverso l’uso del colore, gli spazi di vita delle persone o recuperare luoghi in disuso, grazie anche alla collaborazione di associazioni, all’impegno di artisti, giovani volontari e progettisti. www.sikkens.it/prodotti/sviluppo_sostenibile 74
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a ricognizione delle eccellenze si attua riconoscendo i parametri fondamentali, che concorrono alla creazione di un prodotto con caratteristiche formali e prestazionali di altissima qualità. Le aziende mirano a questa produzione formalizzano un know-how che privilegia gli elementi del ‘sistema azienda’ in grado di garantirne la crescita e lo sviluppo della stessa. Il Capitale umano gioca un ruolo fondamentale e va distribuito nei vari settori aziendali, creando cosi varie unità specializzate che, in sincronia concorrono alla ricerca della perfezione. L’innovazione tecnologica crea il giusto ambiente in cui far nascere un progetto vincente, si attua nella filiera produttiva e soprattutto all’oggetto finale, favorendo così la produzione ed, in particolare, la creazione di un prodotto ineguagliabile ed efficiente. Gli obbiettivi fondamentali dell’industria contemporanea sono: l’ecosostenibilità, la riconoscibilità, e la reperibilità nella più ampia fetta di mercato. Gli scenari contemporanei necessitano di oggetti carichi di infinite prestazioni, la smaterializzazione ci suggerisce di sostituire i prodotti con i servizi e questo implica che un solo prodotto debba avere più funzioni e inevitabilmente debba interagire con il fruitore e con altri oggetti. La ricerca sui materiali va analizzata a più scale, da quella formale a quella molecolare, in questo modo da assicura la giusta attitudine del materiale usato allo scopo preposto, questo significa che gli ‘Smart material’ non solo ci danno la possibilità di sperimentare nuove risposte alle domande che ci poniamo, ma in primo luogo possono caricarsi di quelle peculiarità che avvantaggiano sia l’oggetto stesso quanto tutta la filiera produttiva e di distribuzione.
Futuro Presente
Il trasferimento tecnologico da un settore produttivo all’altro aumenta la gamma di innovazioni a disposizione, come le microtecnologie e i polimeri intelligenti creando valore aggiunto al crescente sistema produttivo. La Domotica è una realtà con cui ci siamo relazionati gia dagli anni ottanta, ma adesso grazie alle nuove tecnologie ed alla sperimentazione, è diventato uno scenario sociale di elevatissimo interesse. La rete domotica si espanderà sempre di più inglobando qualsiasi elemento in essa, dal cellulare all’automobile all’intera casa, scuola o ufficio. Potremo gestire la luce elettrica nel migliore dei modi, e agendo sui materiali potremo gestire anche la luce solare, tutto questo nel maggior risparmio energetico e di risorse. Come ci si comporta davanti alle eccellenze? Loro manifestano una particolare attitudine a soddisfare le nostre esigenze, l’eccellenza è futuro, il futuro è già tra un ora, e va conquistato con la sperimentazione e la determinazione, pretendendo di ottenere sempre di più da ciò che creiamo per soddisfare le nostre aspettative. Le eccellenze provengono dalla nostra nazione e fanno parte della storia del nostro paese, con un incredibile varietà di casi che precedono di gran lunga i tempi della rivoluzione industriale. Le nuove potenze mondiali hanno l’opportunità di investire molte più risorse nei campi della ricerca e dello sviluppo, ma le eccellenze nascono soprattutto da idee eccellenti, dalle abilità maturate nelle individuali mansioni e soprattutto dall’amore e la dedizione verso il proprio lavoro. 76
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speciale arkeda mostra convegno approfondimenti
NAPOLI 28/29/30 NOVEMBRE 2014 MOSTRA D’OLTREMARE
Convegno Arkeda 2014 - Relazione Introduttiva:
Sulla FORMAZIONE attraverso l’INFORMAZIONE La ricerca dell’eccellenza in Architettura e nel Design vuol dire cercare nell’enorme panorama globale di proposte i migliori, coloro che si distinguono per un altissima qualità, e che determinano innovazione e progresso nel proprio ambito. Ma questa ricerca è offuscata dalla enorme e variegata offerta di proposte, tutte accattivanti, di gusto attuale, che creano confusione e indecisione. Gli strumenti di lettura allora dovranno, a maggior ragione essere codificati o quanto meno essere enunciati, per poi poter essere approfonditi, con lo studio e l’approfondimento. Quindi dopo la piattaforma culturale generata dalle lauree Accademiche, lo strumento dell’approfondimento culturale e pratico apportato dai nuovi crediti professionali possono essere un valido strumento di crescita professionale, in quanto in ogni professione, la ricerca di riferirsi a dei modelli e a dei maestri è stata sempre a strada principale da seguire. Ora, dal gennaio 2014, questa necessità è arrivata anche per la classe professionale degli architetti, degli ingegneri ecc, la cui crescita professionale invece, sembrava potesse farne a meno. In queste sessioni, e in questi incontri, che ARKEDA organizza a Napoli da 28 al 30 novembre ala Mostra D’oltremare, parleremo di temi che serviranno ad individuare un codice di lettura per l’individuazione delle eccellenze, che soprattutto ai giovani professionisti faccia volgere lo sguardo e l’attenzione verso modelli di riferimento ed autori eccellenti, che portano al proprio ambito crescita positiva e modelli di sviluppo in sintonia con i bisogni della società. A questa lettura il ruolo della critica diventa indispensabile: una critica attenta e preparata che non abbia paura di schierarsi e prendere posizione, che non pensi solo a mantenere relazioni con tutti, ma che invece aiuti noi professionisti a capire i cambiamenti della società, dei nuovi bisogni e delle risposte da dover dare nei nostri incarichi. Infine un fenomeno che nel mondo del design ha caratterizzato l’organizzazione produttiva ed ha aiutato a generare eccellenze, l’aggregazione in aree geografiche di specifiche tradizioni e culture di settore. Analizzeremo alcuni esempi che aiutano anche a individuare eccellenze italiane invidiateci in tutto il mondo. Arch. Roberto Cappelli 78
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Fabrizio Mautone
Design per l’accoglienza
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a ristrutturazione, o il progetto, di un albergo è diventato un tema di grande attualità. Per lunghi anni il World Tourism Organization ha emanato studi e ricerche sullo sviluppo del turismo mondiale, con previsioni (decisamente ottimistiche) di crescita prevista al 4% annuo fino al 2020. Si programmava la creazione di 400.000 camere in Nord America, e circa 180.000 in Europa. Ovviamente la crisi iniziata a metà del 2008, ha frenato di molto questa tendenza riducendo, la maggior parte degli interventi, a veri e propri ‘restyling’.Tutto ciò ha comportato un brusco cambiamento nella progettualità stessa che deve tendere sempre ad un prodotto di livello (a prescindere dalla categoria), mai trascurando il budget a disposizione. Ecco che sempre più frequentemente all’acquisto di prodotti di Design dai costi elevati si sostituisce la progettualità dei singoli arredi, che vengono poi prodotti da piccole aziende o da artigiani. E su questo punto la correlazione progettista-azienda diviene di estremo interesse, fondendo funzionalità ad estetica. In una struttura turistico-ricettiva l’elemento ‘mutevole’ è il Cliente stesso. L’ospite, sia esso business o leisure, viaggiatore o turista, tende sempre più ad interloquire con strutture che tengano in considerazione le mutevoli esigenze. La creazione di spazi flessibili, la necessità di realizzare aree per il tempo libero (Wellness e Fitness), di luoghi per la ristorazione accoglienti e pronti a soddisfare dal banchetto congressuale, all’intimità auspicata dal cliente leisure (da qui la necessità di progettare spazi scomponibili), fino ad arrivare al nuovo concept di HALL o LOUNGE, che volge a destinazione di spazio ‘aperto’ alla città e pronto a divenire luogo di incontro tra stranieri ed autoctoni, spazi volti anche all’esposizione di mostre temporanee o permanenti di artisti contemporanei e non diviene, in tal modo, l’imperativo progettuale. Le stesse camere devono offrire non più una immagine standardizzata e dall’aspetto comune, bensì devono garantire una diversità sia nelle ‘canoniche’ differenziazioni dimensionali (Suite, Junior suite, Classic, Executive etc.), che in merito a quelle soluzioni arredative, cromatiche e mate-
riche e di molteplicità di utilizzo. Il tema affronta, quindi, svariati settori dall’evoluzione storica, ai complessi criteri che spaziano dal Metaprogetto, al Concept, dal Marketing, alle varie classificazioni tra Luxury, Business, Cocoon hotel, Green Hotel sino agli attualissimi Design Hotel. La struttura ricettiva può diventare, in quanto ‘sistema per l’abitare temporaneo’, tra i temi progettuali in grado di approfondire aspetti legati all’interiorità dello spazio, al colore, ai materiali, all’atmosfera, alle forme, e non ultima alla giusta illuminazione degli ambienti.
Fabrizio Mautone, architetto ed interior designer, ha insegnato Storia dell’Architettura Contemporanea presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II. È docente di Design dell’Ospitalità e dell’Accoglienza e di Storia dell’Arredamento e del Design presso l’Istituto Superiore di Design di Napoli. Si interessa di progettazione, arredo e design per strutture alberghiere, abitazioni, wellness, negozi, show-room ed allestimenti museali. Collabora, in qualità di designer, con alcune aziende specializzate in arredo di interni.
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speciale arkeda mostra convegno approfondimenti Agostino Bossi
La qualità dell’oggetto di design
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l discorso sulla qualità del design non può prescindere dalla ricerca che, in questo campo, si è svolta in Italia nei decenni del secondo dopoguerra. Da quella straordinaria esperienza creativa abbiamo ereditato un patrimonio di esperienze, di metodologie e di opere che, sul piano della memoria e della cultura progettuale, rappresentano un riferimento ineludibile. È da quella fondamentale lezione che bisogna ripartire, per affrontare in modo intellettualmente serio e scientificamente rigoroso gli interrogativi legati all’ideazione e alla produzione dei manufatti destinati ad entrare nello spazio della nostra dimora e a rendere più densa di significato l’esperienza che facciamo al suo interno. La forza innovativa, la persistente qualità estetico-formale e tecnico-produttiva dei prodotti concepiti durante quella feconda stagione da maestri quali Ponti, Castiglioni, Pesce, Bellini (foto 1, 2, 3) per citarne solo alcuni, ha avuto le sue basi in un impegno capace di far interagire in modo critico e dinamico la conoscenza dei valori storici, antropologici, artistici, artigianali e tecnici, con i fattori del cambiamento operanti in profondità nella società, nel gusto, nell’economia, nella produzione e negli stili di vita. Questo fecondo processo di ricerca ha subito un rallentamento quando il campo del design ha iniziato a subire la pervasiva contaminazione delle griffes e dei criteri produttivi dettati dalla moda e dalle sue esigenze. La progettazione si è allora rivolta più alla ricerca degli effetti fascinatori degli oggetti che non a quella della coerenza degli esiti estetici e formali con le scelte tecnico-produttive e con gli obiettivi connessi alla funzione, all’utilizzazione e alla vocazione dei manufatti a durare nel tempo. Contemporaneamente si è anche assistito al lento e inesorabile processo di disgregazione di quella realtà produttiva, fatta di piccole e medie aziende, che, nella nostra penisola, aveva svolto un ruolo guida nel design e nella produzione di oggetti di altissima qualità. Un tessuto produttivo strettamente
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2 legato alla secolare tradizione artigianale, trasmessa di generazione in generazione e che fino agli anni settanta-ottanta ha cercato di resistere sul mercato, per essere poi soppiantata dall’irrompere di sistemi che hanno spersonalizzato il processo produttivo, sottoponendolo a logiche puramente econometriche, che sono in tendenziale conflitto con le ragioni profonde della cultura progettuale, della dedizione artigianale e dell’appassionata ricerca della bellezza. Erano ancora, quelli, gli anni in cui molte di quelle ditte mantenevano in piedi, nelle maggiori città, le loro strutture espositive, i loro showroom, molti dei quali progressivamente sono stati chiusi, fiere di poter mostrare al mondo gli esiti quasi sempre eccezionali della loro ricerca e della loro produzione. Essendosi progressivamente venuta a perdere la qualità culturale del progetto, la sua originaria attitudine a guardare con lungimiranza al passato e al futuro e ad analizzare in profondità il presente, facilmente la produzione per fini consumistici ha potuto ridurre alle sue logiche l’immagine ormai completamente depotenziata e snaturata del design, facendo passare come appropriati prodotti che, come dimostra irrompere dello ‘stile Ikea’, sono invece totalmente
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inattendibili sul piano della qualità materiale, tecnica ed estetica. In questo scenario culturale e produttivo, così compromesso dalle mistificazioni consumistiche, dall’obsolescenza pianificata, dalla perdita della memoria storica e dalla diseducazione del senso estetico, non è facile perorare la causa del design e delle ragioni che ne segnarono l’origine. Fortunatamente nella nostra penisola la lezione dei grandi Maestri (foto 4) non è andata del tutto smarrita e continua tuttora a materializzarsi in prodotti il cui notevole profilo qualitativo nasce sempre dall’interazione di cultura progettuale, consapevolezza storica, rigore metodologico, approfondimento teorico-critico, legame con la tradizione artigianale, innovazione, sperimentazione, attenzione ai valori umani ed etico-civili dei quali l’opera deve, al tempo stesso, essere espressione e farsi promotrice.
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Foto 1: Gio Ponti, portafiori. Eseguito da Paolo De Poli in rame smaltato con foglie d’argento. Padova 1956. Foto 2: Achille e Piergiacomo Castiglioni, lampada Arco. Prod. Flos. Milano 1962. Mario Bellini, sedia 412 Cab. Cuoio su struttura tubolare in acciaio. Prod. Cassina. Meda 1977 Foto 3: Gaetano Pesce, poltrona Feltri. Feltro e resine. Prod. Cassina. Meda 1987. Foto 4: centro ricerca e sviluppo Cassina (Meda). Filippo Alison studia la realizzazione della midway Gardens Armchair (1914) di F. Ll. Wright. Collezione ‘I Maestri’.
Agostino Bossi (Pola, 1941) Dottore in Architettura, è stato, fino al 2012, Professore ordinario di Arredamento, Presidente del corso di laurea in Arredamento, Interno architettonico e Design, Coordinatore del Dottorato di ricerca in Filosofia dell’Interno Architettonico (2009-2011), presso l’Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’, Docente nel Dottorato di ricerca in Architettura degli Interni e Allestimento-Politecnico di Milano.
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speciale arkeda mostra convegno approfondimenti Lorenzo Capobianco
Indoor/Outdoor La caduta del confine
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el contemporaneo come nel corso della storia, nei principi di costituzione dello spazio architettonico così come nella definizione dei domini dell’interno e dell’esterno, è da sempre rintracciabile una condizione antipolare e dicotomica tra lo stare e l’attraversare. Nella mitologia greca Hestia, primogenita di Kronos e di Rhea, è la divinità del ‘focolare domestico’, figurazione dello stare e del fermarsi, mentre Ermes, figlio di Zeus e della Pleiade Maia, messaggero degli dei e dio del viaggio, è simbolo dell’attraversamento e della scoperta. Nell’incontro immaginario tra queste due divinità, tra la contemplazione e la scoperta, potremmo esser tentati di individuare la nascita del modo di esplorare lo spazio proprio dell’uomo attribuendo allo ‘stare’ la condizione propria dello spazio interno (indoor) mentre all’attraversare, quella dello spazio esterno (outdoor). Così, il muro, nel recintare uno spazio, diviene il primo attore nella costruzione di parti
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escluse e delimitate che, nel sottrarre alla vastità della natura la dimensione della minaccia, mette in forma quella sensazione di ‘protezione’ che uno spazio interno recintato e concluso è in grado di trasmettere. Nella casa come nella città, tuttavia, la modernità, e la contemporaneità in misura ancora maggiore, ha progressivamente affiancato, fino ad equipararne o a ribaltarne i pesi, all’esigenza della tutela e della protezione di se stessi quella della socialità e della vita di comunità. Ecco che, in anni tutto sommato ancora recenti, il passaggio da interno ad esterno, l’azione del movimento e del transito, nell’affievolirsi dei legami con condizioni di necessità, si riferisce con frequenza sempre maggiore alla dimensione ludica piuttosto che a quella del lusso. Se, nella storia della casa e della città moderna, i patii, gli atri, le pensiline e i portici, erano tutti elementi di mediazione tra spazio interno e spazio esterno, immaginati per la facilitazione degli
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scambi fisici e della vita di relazione, il corredo tipologico trasmesso dalla contemporaneità è sostanzialmente diverso e fondato sull’aula e sul pan de verre. Ed è proprio questa ‘caduta del confine’, questa reinvenzione del rapporto tra Hestia ed Ermes, ad essere alla base di un nuovo racconto che vede le case e le città non più come luoghi generati da una serie di stanze che si mediano e rincorrono tra di loro ma, piuttosto, come spazi generati da una continua mutevolezza, dall’inseguirsi solo apparente di spot e immagini. In questa condizione sembra delinearsi una precisa direzione di ricerca e di sperimentazione progettuale rivolta alla ‘costruzione’ di un nuovo ‘senso domestico’ non solo nello studio degli elementi che unificano, rendendo riconoscibili e unitari, gli spazi interni ed esterni della casa, ma anche nello spazio della città attraverso il disegno dei suoi luoghi di relazione arredati come interni, dando vita, così, ad un nuovo senso dell’appartenenza al luogo.
In alto: fra interno ed esterno, spazi di transito: Il portico di San Luca a Bologna. Foto di Giorgio Minguzzi. Nella pagina accanto: La città domestica, progetto per la riqualificazione di spazi pubblici a San Giovanni a Teduccio (NA). Lorenzo Capobianco, 2007.
Lorenzo Capobianco (Napoli, 1972) Ricercatore in progettazione architettonica alla Seconda Università di Napoli, svolge ricerche sui temi della città contemporanea e dell’architettura sostenibile. Pubblica articoli, saggi, e libri a firma individuale; partecipa a concorsi di progettazione in cui riceve segnalazioni e premi.
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speciale arkeda mostra convegno approfondimenti Dal Design per l’industria al Design industrioso
Nuovi modi di progettare, produrre, distribuire impatto del Global sul Local sta rivoluzionando le gerarchie nei sistemi economici, politici e sociali. Oggi la nuova Glocalizzazione interviene anche nel campo del design modificando equilibri tra progetto, impresa, marketing e comunicazione, e proponendo nuovi scenari per il suo futuro. Nell’agosto 2012, l’editoriale de ‘The Economist’ affermava che la Terza Rivoluzione Industriale avrebbe cambiato i modi di progettare e di produrre. La riflessione di Rifkin sui nuovi regimi energetici veniva rielaborata analizzando positivamente i mutamenti in atto nel mondo della produzione che – dopo la delocalizzazione considerata per decenni l’unico metodo per ridurre i costi – avrebbe trovato soluzione alla sua crisi nelle nuove ICT. Nuovi network transmediali e sociali stavano facilitando l’accesso al sapere ed avrebbero modificato anche il modo di progettare. La crescente affermazione di una nuova fabbricazione digitale stava rivoluzionando la produzione, ed attraverso innovative modalità di miniaturizzazione, personalizzazione, integrazione, flessibilità, reticolarizzazione ed interconnessione, avrebbe notevolmente inciso anche su distribuzione e fruizione del design. In questo contesto, durante gli ultimi anni, anche la formazione di massa di nuovi designer, ha avuto un ruolo determinante, facendo crescere in modo spropositato l’offerta di idee e di progetti rispetto alla domanda proveniente dell’industria. Il mercato del design si è ritrovato dunque in una condizione di surplus di conoscenze ed operatività che ha innescato processi di formazione di iniziative individuali come i nuovi designer-impresa di prodotti e servizi. Ma anche altri aspetti non propriamente economici alimentano questo fenomeno. Il designer-impresa aspira infatti anche a riaffermare la funzione sociale del progetto ed il ruolo intellettuale del progettista, sensibilmente mortificato dalla crisi delle aziende di produzione che da ‘propositore culturale’ lo ha relegato a mero prestatore d’opera occasionale. L’iniziativa di autoproduzione del designer, oltre a rappresentare uno strumento di realizzazione concreta di un progetto, diventa dunque anche opportunità di emancipazione dalla condizione subalterna alle logiche di profitto dell’industria. Il designer-impresa non lavora più ‘per l’industria’ ma ‘si industria’ per realizzare il suo progetto a cui conferisce anche un valore sociale. Egli si assume in prima persona il rischio di un’idea investendo proprie risorse ma non necessariamente impiega il proprio lavoro manuale. Organizza comun-
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que tutte le fasi del processo produttivo ed interagisce con reti collaborative – locali e globali – di fabbricazione e distribuzione del prodotto, difendendo l’originalità della sua cultura locale dall’appiattimento della globalizzazione, ma aspirando al tempo stesso ad assumere una rilevanza transnazionale, secondo il motto ‘think global, act local’. “Questa nuova generazione di progettisti-produttori è in grado di innescare processi temporanei di sviluppo di singoli prodotti-servizi, creando dei community market personali. Adottando il modello dell’autogestione questi designer interagiscono personalmente con gli utenti finali, con contatti diretti e controllo personale in tutti i processi. Inoltre l’‘indie innovator’1 anziché essere esecutore o interprete di proTango, appendiabiti, design Roberto Monte, produzione Contatto Design
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Lampada a sospensione, design Sergio Catalano, produzione join-lamp.com
getto innovativo altrui, rappresenta il proprio. È all’avanguardia del processo di innovazione perché è in grado di realizzarlo in termini concreti e tangibili”2. In conclusione, se è vero che oggi non è possibile prevedere se e quando questo nuovo design ‘industrioso’ sostituirà quello ‘per l’industria’, occorre riconoscerne il crescente e determinato inserimento nel mercato ed il ruolo di valida prospettiva per future condizioni di indipendenza e redistribuzione delle opportunità per il mondo del design. 1 Definizione derivata da ‘indie capitalist’ in Nussbaum B., 4 Reasons why the future of capitalism is homegrown, smallscale, and independent in co.design, novembre, 2011 2 Bianchini M. e Maffei S., Could design leadership be personal? Forecast-ing new forms of indie capitalism, in ‘Design Management Journal’, 29, 2012
Brett Ryder, The third industrial devolution, immagine di copertina de “The Economist”, agosto 2012
Sergio Catalano – www.sergiocatalano.it
Architetto designer, ADI-BEDA member, vive e lavora a Scafati. Ha insegnato Design per l’Abitare presso la SUN e ricevuto numerosi premi a concorsi di architettura e design. Suoi lavori sono stati pubblicati ed esposti in Italia e all’estero. Col proprio brand join-lamp.com, produce lampade sfruttando un suo brevetto internazionale.
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speciale arkeda mostra convegno approfondimenti Spray Design
Il Design Responsabile Diffuso: una risorsa per le imprese
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l design italiano si è caratterizzato nel tempo per essere una sintesi di valori economici strategici e di significati culturali portatori di emancipazione. In questo senso il design non è il ‘tatuaggio di bellezza’ sugli oggetti d’uso, ma un processo di ideazione, realizzazione e diffusione dei prodotti che, se è pervaso di innovazione tecnologica e di uso, se è portatore di significati culturali ed etici, se è rispettoso dell’ambiente ed espressione di autentiche capacità intellettuali e pratiche, produce un business sano ed è un significativo fattore di sviluppo economico e sociale. In questa visione si inserisce l’azione dell’ADI, Associazione per il Disegno Industriale, che opera attraverso azioni di dibattito culturale, intervento presso le istituzioni, fornitura di servizi, promozione delle capacità creative e manifatturiere dei territori. L’associazione si articola in Delegazioni regionali e riunisce progettisti, imprenditori, distributori e ‘operatori culturali’ (scuole, musei, docenti, critici, giornalisti). L’ADI organizza anche il ‘Compasso d’Oro’, il premio di design più prestigioso al mondo, assegnato da una giuria internazionale che, con le delegazioni regionali, seleziona dal 1954 i migliori prodotti italiani per stimolare la produzione di qualità e avvicinare i progettisti e gli imprenditori. Negli stessi anni le regioni del Nord hanno sviluppato la maggior parte delle proposte produttive, mentre Napoli e la Campania sono diventate il luogo della ‘riflessione’ sul design e, forse, il declino industriale del Sud ha favorito una originale creatività e un approfondimento di taglio critico e storico del fenomeno design. Basti pensare alle spiazzanti intuizioni creative
LEGUMIERA ‘SATURNO’ Il piatto complesso rilegge in chiave contemporanea il consumo delle proteine vegetali e consente la stratificazione in verticale del contenuto. Il prodotto nasce in un progetto di Fabbrica delle Arti, con la Direzione del Real Bosco di Capodimonte e Slow Food, per la tutela del tessuto sociale e l’uso di tecniche accurate e abilità senza tempo unite a nuovi linguaggi.
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di Roberto Mango, Riccardo Dalisi e Filippo Alison e ai contributi teorici di Renato De Fusco e di Filiberto Menna. Allo stesso modo la formazione superiore del design trova un centro di eccellenza nella Seconda Università di Napoli e l’unica rivista nazionale non milanese è la preziosa e prestigiosa ‘Op. cit.’, pubblicazione ideata a Posillipo da Renato De Fusco che alimenta, esattamente da cinquant’anni, il dibattito culturale. Oggi, all’epilogo di una perdurante stagnazione economica, disegnare il lusso o concentrarsi sull’appeal di un prodotto, appare intempestivo, mentre il progetto responsabile è diventato impellente per riuscire a declinare con grazia le nuove tecnologie per facilitare l’uso di apparecchi complessi e di cose semplici, rendendo più friendly e gradevole l’approccio agli oggetti, migliorandone la funzionalità e la durata nel rispetto di una estetica aggiornata e di una compatibilità ambientale matura, che rispecchi anche i bisogni delle componenti più svantaggiate della società e che impegni una spesa ragionevole. Se diffuso in ogni settore produttivo e nebulizzato in ogni attività, anziché riguardare una élite di prodotti, il design può proporsi come una specie di ‘neo-umanesimo post-industriale’ in grado di rifondare il paesaggio in cui viviamo, tanto quello domestico quanto quello di lavoro e urbano. Salvatore Cozzolino presidente ADI Campania
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LAMPADARIO ‘HOPE’ Leggerissimo e scomponibile, l’apparecchio, prodotto nel 2009 da Luceplan, ripropone la magia dei lampadari della tradizione, interpretandola però con sofisticate tecnologie e materiali contemporanei.
Salvatore Cozzolino Laureato a Napoli e Master alla Domus Academy, architetto e designer, progetta edifici pubblici, macchine elettroniche, parchi e arredo urbano. Dal 1996 insegna progettazione alla Seconda Università di Napoli ed è presidente dell’ADI Associazione per il Disegno Industriale Campania. Ha scritto diversi saggi sul rapporto tra tecnologie innovative e processo inventivo etico e responsabile.
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SITE-MAP di Sergio Stenti
Un gioiello sconosciuto
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i ho passato alcuni mesi del 1973, come aviere coscritto. Il posto era attraente come lo può essere un’isola irraggiungibile e tale è rimasto: quasi sconosciuto ai napoletani. Per molti era un luogo nemico per altri un mito; ma pochi sanno che l’ex sede Nato di Bagnoli, da oltre un anno, è in cerca di un destino. Nonostante le parole intrise di retorica del sindaco di Napoli che ne vorrebbe fare “una cittadella smart ecosostenibile per i giovani ” il futuro di questo luogo unico difficilmente sarà un futuro pubblico con un ruolo di riqualificazione dell’area che non ha avuto Bagnolifutura. Potrebbe verificarsi di nuovo, infatti, una particolare privatizzazione simile a quella che, oltre cinquant’anni fa, escluse l’ex Collegio Costanzo Ciano dalla rigenerazione urbana del dopoguerra. Il proprietario della sede Nato, ex Collegio Costanzo Ciano, è la Fondazione Banco di Napoli – assistenza per l’infanzia – che è alla ricerca di un soggetto pubblico o privato in grado di rilevare in parte o in tutto il complesso del Collegio per continuare a investire i ricavi nella meritoria opera di assistenza all’infanzia bisognosa della Campania. Realizzato nel 1939 insieme alla Mostra d’Oltremare come collegio per formare la gioventù fascista, il Collegio Ciano, è stato dotato di tutte le attrezzature per svolgere le funzioni didattiche e recettive proprie di un vero college per migliaia di giovani con aule, dormitori, chiesa, teatro, parco sportivo, piscina club, ecc. Un vero campus che la trasformazione terziaria, come comando militare, fatta dalla Nato nel dopoguerra, ha perfettamente utilizzato fino all’anno scorso senza eccessive manomissioni. La tanto attesa liberazione della sede Nato da scopi militari riconsegna quindi ad usi civili un bene prezioso, un complesso architettonico ed urbanistico di invidiabile qualità, fortunatamente giunto a noi quasi intatto. Il Collegio Ciano, la Mostra d’Oltremare, il viale Augusto e il viale Giochi del Mediterraneo costituiscono in realtà un unitario complesso urbano del primo novecento italiano che la città politica e culturale non deve disperdere ma anzi impegnarsi a riqualificare. Oltre al Collegio anche il viale Giochi del Mediterraneo ha urgente bisogno di una chiara funzione e di leggera riqualificazione che ne metta in ri-
salto la qualità paesistica del progetto previsto fin dal Piano di Risanamento del 1937. Sosteneva Giuseppe Pagano nel 1940, che il viale anelava a raggiungere il mare, aprendo cosi l’area oltre l’Ilva-Italsider, verso il golfo. Troppo tempo è passato da allora ma certe opportunità forse non sono del tutto perse. L’Ilva-Italsider non c’è più, e un collegamento con Bagnoli non è impossibile; intanto, nell’immediato, si potrebbe ridisegnare il viale, liberandolo da occupazioni edilizie abusive e togliendo gli orribili cancelli della Nato che l’hanno troncato di netto. Un reinserimento a pieno titolo del complesso nello spazio pubblico della città richiederà anche nuove destinazioni d’uso e adeguamenti degli edifici e dello spazio verde che toccherà alla Soprintendenza valutare nelle compatibilità architettoniche perché il bene è vincolato essendo stato realizzato più di settant’anni or sono. Ma è sulle compatibilità o incompatibilità funzionali che si vuole insistere ora perché le scelte funzionali in corso oggi determineranno conseguenze di cui poi non sarà facile maneggiare o ridurre l’impatto. L’autore del progetto, l’ing. Francesco Silvestri, l’aveva pensato come un campus residenziale attrezzato, dove studiare e vivere, caratterizzato da grande adattabilità come dimostra l’uso terziario fatto con facilità dalla Nato. Si potrebbe pensare quindi a destinazioni d’uso come complesso universitario, sede regionale, o addirittura come outlet commerciale. In sostanza a destinazioni che sembrano adatte a conservare questa severa e ordinata cittadella del novecento, senza incorrere in negativi smembramenti. Tra le tante ipotesi che si possono mettere in campo per il futuro di questo complesso, quella di una sede di un importante Ente pubblico mi sembra la più adatta. In alcune regioni d’Italia, come in Piemonte e Lombardia, sono in costruzione sedi regionali in nuovi grattacieli in periferia. Napoli potrebbe marcare una differenza, scegliendo l’ex collegio come sede della Regione: riqualificherebbe un’area urbana senza costruire nulla e valorizzerebbe la qualità di un modello orizzontale anziché di uno verticale.
Ex sede Nato, Bagnoli, Collegio Costanzo Ciano
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NAPOLI STREET 5 STRADE DI NAPOLI di Gennaro Galario Via, vico, largo Banchi Nuovi, prendono il nome dai banchi o logge dei mercanti che qui operavano, il largo anticamente detto ‘dei segatori’ per le botteghe di falegname che vi operavano. Il nome Banchi Nuovi è dovuto allorché nel 1569 una pioggia torrenziale della durata di circa due giorni creò un’alluvione con una massa d’acqua che arrivava dalle strade in pendenza che rovinò e abbattè molte case in quel largo; il terreno malridotto fu acquistato dai mercanti che vi avevano in esso i banchi e che si occuparono di ristrutturarlo ponendovi i nuovi. Da allora il posto fu detto ‘dei banchi nuovi’ e il toponimo rimase anche dopo che il mercato fu soppresso e l’area fu acquistata dal marchese Alfonso Sances di Grottola, che a sua volta lo vendette alla compagnia dei barbieri, che vi fecero costruire la loro chiesa congregale dedicata ai Santissimi Cosma e Damiano… Salita del Petraio (gradini, discesa, salita, largo, rampe, vicolo).Da via Morghen al corso Vittorio Emanuele, suddividendosi nelle varie toponomastiche; la salita dal corso Vittorio Emanuele al largo Petraio, il largo tra la salita Petraio e i gradini Petraio; i gradini dal largo Petraio a via A. Caccavello-via Morghen; la discesa dal largo Petraio senza uscita; il vico dal largo Petraio senza uscita; le rampe al termine della salita Petraio. È il toponimo che ha più aggettivi (largo, ecc) ed è quello che appartiene a più quartieri di Napoli: ben tre, ossia Chiaia, Montecalvario, Vomero. Il toponimo delle strade, ma soprattutto del borgo deriva dalla struttura sassosa del luogo ma anche da un luogo dove le piogge alluvionali depositano i ciottoli. Il tracciato della salita ricalca il tracciato di uno dei tanti alvei alluvionali del Vomero, poi si cominciò a costruirvi edifici realizzando il borgo. La zona è servita dalla stazione Petraio-via Palizzi (Salita del Petraio e via Filippo Palizzi) della Funicolare Centrale… Viale Calascione, quartiere S. Ferdinando, da via Monte di Dio a rampa Caprioli. Tralasciando la derivazione del toponimo, che taluni collegano a cognome di persona e altri allo strumento musicale, o forse dovuto alla residenza del Maestro Thalberg, compositore austriaco. In questa strada ebbe la prima sede l’Istituto Italiano degli Studi Filosofici e cioè presso l’abitazione di Gerardo Marotta, per poi essere trasferito all’attuale sede nel Palazzo Serra di Cassano a via Monte di Dio. Viale Calascione era anticamente conosciuto come ‘o dujie centesime, dalla entità del dazio da pagare per attraversarlo nel punto di congiungimento alla rampa Caprioli che sbocca in via S. Maria a Cappella vecchia e giunge rapidamente a piazza dei Martiri e al mare di via Caracciolo… Via, strada dell’Anticaglia, nel quartiere S. Lorenzo, da via S. Paolo all’incrocio con via S. Giovanni in Porta e vico Giganti, è una delle strade più antiche di Napoli che sta sul tracciato che in origine era la Summa Plateia della città greca e più tardi il ‘Decumano Superiore’ della città romana. L’Anticaglia prende il nome da due archi di epoca romana che attraversavano in due punti la strada e che servirono a contenere le spinte del muro esterno del teatro romano, che con il vicino ‘Odeion’ coperto, si trovava lungo il percorso del maggiore decumano. Successive costruzioni incorporarono la cavea e le strutture dei due teatri, così che i due archi sembrano sostenere soltanto i muri esterni dei palazzi. Nella zona, altre murazioni di epoca romana affiorano lungo i muri ma anche negli scantinati delle botteghe e dei bassi che incorporano opus reticulatum o quadratum di epoca romana parte integrante della costruzione… Via Foria, la strada inizia con l’attuale Museo Archeologico, si articola in Porta San Gennaro, si impreziosisce con la Caserma Garibaldi, con l’Orto Botanico e si conclude a piazza Carlo III con il maestoso edificio dell’Albergo dei Poveri a sinistra e a destra con l’antica stazione dell’Alifana. La strada fu voluta e creata dai Borboni per avvicinare la capitale agli opifici e alle fabbriche che si erano sviluppate in Terra di Lavoro ed era la strada utilizzata per le parate militari e, sfociando nella salita della Doganella (allora via del Campo) era, coerentemente con i fini per i quali era stata ideata, la via di comunicazione più moderna e funzionale per raggiungere la Reggia di Caserta e i setifici e le fabbriche di San Leucio. Il toponimo che indica la strada è derivazione da Fiorino. La strada prima di essere una strada cittadina era un lungo e profondo canalone nel quale convergevano acque pluviali e non che scendevano dalle circostanti alture oggi dette di S. Potito, Santa Teresa, e della Stella. A sud era chiusa dalle mura della città, che correndo lungo l’attuale via degli Incurabili giungevano alla Porta di San Gennaro, allora arretrata rispetto alla attuale collocazione…
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hanno collaborato i nostri autori Daniela Abbrunzo Giornalista praticante della scuola di giornalismo di Napoli. Nel 2011 prende la laurea magistrale in “Editoria multimediale” a La Sapienza di Roma. È stata in stage a La Repubblica, Radio 24 e Matrix di Canale 5. Ha lavorato come redattrice per Rai Due e nell’ufficio stampa del Ravello Festival. Ha iniziato a scrivere nel 2007 per Napolipi. Mirella Armiero Responsabile della pagina culturale del Corriere del Mezzogiorno, edizione campana del Corriere della Sera. Cura l’inchiesta finale del master della scuola di giornalismo del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato al Manifesto, Io Donna, Alias. Ha curato un numero monografico della rivista Ventre. Donatella Bernabò Silorata Giornalista free lance, scrive per lo più di costume, turismo e life-style. Dal 2000 collabora assiduamente con La Repubblica e con il mensile Dove. Nel 2008 ha pubblicato il libro Le case di Napoli (Iredon Edizioni) seguito da un secondo volume nel 2010, in cui svela interni partenopei e nuovi stili dell’abitare contemporaneo sotto il Vesuvio. Giulia Bonelli Architetto, è Dottore di Ricerca, Post-doc e dal 2006 al 2010 docente a contratto presso l’Università degli studi Federico II di Napoli. Nel 2008- 09 tiene due workshop al Naba-Nuova accademia Belle Arti di Milano. Ha pubblicato alcune monografie ed è contributor per le riviste Industria delle Costruzioni, d’A, Modulo, Domus, Compasses, Boundaries. Nel 2011 realizza Green Frame dando forma alla sua teoria sullo sviluppo urbano a partire dall’uso delle rinnovabili. Giorgia Borrelli Architetto laureata nel 2009 all’università Federico II di Napoli ha conseguito il master ‘Territorio ed architettura sostenibile’ al Politecnico di Milano. Dopo 3 anni di esperienza nello studio LAND di Andreas Kipar torna a Napoli dove si occupa di progettazione urbana e paesaggistica. Simonetta Capecchi Si è laureata in Architettura a Venezia e vive a Napoli dal 1993. Lavora come illustratrice e tiene workshop di disegno in Italia e all’estero. Ha esposto e pubblicato pagine dai suoi taccuini di viaggio in occasione di numerose mostre collettive. Fa parte di “Urban Sketchers”, associazione internazionale dedicata a promuovere il valore narrativo del disegno come reportage urbano. www.inviaggiocoltaccuino.com - www.urbansketchers.org
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Veronica Viviana Carbonelli Vive a Napoli dove ha conseguito il master in mediazione familiare sistema relazionale. È esperta di pittura dell’800, ha collaborato con Casa Mia Decor. Luigi Centola Editore del portale interattivo newitalianblood.com con il quale ha realizzato 15 concorsi internazionali e dal 2013 organizza a Salerno gli Incontri Internazionali NIB ARCTEC Architettura|Territorio|Economia. Roberto D’Alessandro Nato a Napoli, è appassionato di tecniche del linguaggio televisivo e dei nuovi media, ha lavorato come giornalista ed è stato fra i primi autori di Un Posto al Sole. Oggi continua a scrivere sceneggiature per la televisione e per i videogame. Mauro Giancaspro Nato a Napoli. Bibliotecario dal 1977, ha diretto la Biblioteca Nazionale di Cosenza dal 1986 al 1995. Dal 1995 dirige la Biblioteca Nazionale di Napoli; ha diretto ad interim la Biblioteca Nazionale di Bari. Da giugno del 2012 è anche direttore della Biblioteca dei Girolamini. Alcuni sui libri: Leggere Nuoce gravemente alla salute e Il morbo di Gutenberg (L’Ancora del Mediterraneo), E l’ottavo giorno creò il libro (Cargo), L’importanza di essere un libro (Liberilibri), L’odore dei libri e Un libro per piacere (Grimaldi). Diego Lama Architetto, è autore di Cemento Romano (2010, Clean Edizioni), Storie di cemento (2007, Clean Edizioni). Ha fondato e diretto la rivista nazionale di architettura Ventre (2004, Cronopio Edizioni), è editorialista per il Corriere del Mezzogiorno, è autore del blog Byte di Cemento, è corrispondente dalla Campania per il Giornale dell’Architettura (Allemandi). Andrea Nastri Architetto, giornalista e studioso dell’architettura contemporanea, collabora con diverse riviste di settore. Ha pubblicato i saggi Edwin Cerio e la casa caprese (Clean, 2008), La Chiesa di S. Michele ad Anacapri (con M. F. Cretella, Arte’m, 2010), CapriGuida (Clean, 2011) e Reima Pietila. Dallo schizzo all’architettura (Aracne, 2012). Sergio Stenti Insegna architettura alla Università di Napoli. Studioso della città moderna ha pubblicato su Napoli: Napoli Guida, itinerari di architettura moderna, Clean, 2010.
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distribuzione Dove trovare la rivista Arkeda Altedo Sud via Torre della Catena 225, Benevento | Anhelo Caffè Bistrot via Bisignano 3, Napoli | Arredamenti Galotti viale Michelangelo 83c, Napoli | Arredamenti Lo Stile via Winspeare 4, Napoli - via Filangieri 16, Napoli | Bar Di Lorenzo via Pasquale Scura 3, Napoli | Bar Seccia via Monteoliveto 29, Napoli | BEN via dei Mulini, Benevento | Bordese Design via Torrione 145, Salerno | Bottega Ferrante via Ferrante 26, Caserta | Cap’Alice via Bausan 28, Napoli | Circolo Nazionale dell’Unione Napoli, via San Carlo 99, Napoli | Colorado Design via Carlo Poerio, 18/A, Napoli | Concessionarie Autorally via Gianturco, 109, Napoli; via Reggia di Portici 49, Napoli | Cuccaro Contract
ARKEDA Trimestrale di architettura, edilizia, design e arredo Numero 3 • novembre 2014 Registrazione presso il Tribunale di Napoli autorizzazione n° 68 del 5/11/2013
Cisterna dell’Olio 5, Napoli | Grimaldi via Capitano Salvatore Rampone 32,
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Redazione: Mirella Armiero, Donatella Bernabò Silorata, Salvatore Carbone, Luigi Centola, Giuseppe Guida, Andrea Nastri Si ringrazia per le immagini: Massimo Lama, Cristina Ferraiuolo, Antonio Mele, Daniele D’Ari, Giuliana Vespere, Marco Rambaldi Progetto editoriale e redazione grafica Progecta srl: Giuliana Gargano gargano@progecta.org Simona Postelli postelli@progecta.org Stampa: Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. Via Cisterna dell’Olio n. 6/B - 80134 Napoli www.gianninispa.it direzione@gianninispa.it Pubblicità Progecta srl: Natalia Frangipane frangipane@progecta.org
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di Mauro Giancaspro
Il serraglio del Vomero vecchio
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essuno dei miei coetanei vomeresi ultrasessantenni lo ricorda. Al Vomero fino alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso c’era un Serraglio. I riferimenti che si trovano nell’esigua letteratura sull’argomento sono scarni, vaghi, e collegati a fantasiose ipotesi di destinazione del posto a zoo di transito per ospitare animali destinati al parco della non lontana Floridiana. Era quasi un’insula, posta tra Via Belvedere, l’inizio di Via Aniello Falcone e il Vicoletto Belvedere, costituita da una serie di case senza soluzione di continuità che formavano un blocco di forma ellittica: un anello chiuso sul quale si apriva un solo varco, un androne posto sulla Via Belvedere quasi all’incrocio con Via Aniello Falcone e Via Annella di Massimo (come si chiamava allora). Su una pianta topografica del Comune di Napoli redatta tra il 1872 e il 1880 quest’insula è visibilissima, com’è rintracciabile su quella parte della pianta del Duca di Noja che ritrae il Casale del Vomero. Le grandi opere realizzate a Napoli tra il 1925 e il 1930 descritte nel volume Le opere del Regime, dal settembre 1925 al giugno 1930, pubblicata nel 1930 dall’editore Giannini, investono anche la zona Vomero-Arenella-Belvedere. Vi si prevedono, tra l’altro, gli interventi per congiungere la nuova Via Scarlatti con l’antica Via Belvedere, in qualche mondo gettando le basi della nascita del famoso prolungamento di Via Scarlatti (la futura Via Cilea); ma non si fa cenno alcuno al blocco del Serraglio. Il Serraglio del Vomero venne fatto a pezzi dalla mannaia edilizia della fine degli anni cinquanta: letteralmente tagliato. Se riuscite a percorrere a piedi Via Belvedere, tra automobili ferme e in movimento, cassonetti e motociclette, vedrete ancora evidentissimi, i dei due tagli sui due lati corti del Serraglio: nel mezzo dei due superstiti corpi di fabbrica, un’area di ordinario disordine chiusa da un fabbricatone pieno di appartamenti e ai lati la muratura cieca di quel che resta del vecchio Serraglio. I benpensanti del quartiere, compresi i miei genitori, ritenevano il Serraglio luogo malfamato, una sorta di enclave etnica, dove un ragazzino di buona famiglia non poteva entrare. Passando con mia madre davanti all’androne di accesso, la mia curiosità si infiammava; mia madre, ovviamente, mi avrebbe impedito di entrarvi. Ma anche quando capitava, tornando da scuola, di passarci da solo, il timore di infilarmi in un posto vietato annientava la curiosità. Posto per lavatoi e lavandaie, ha ipotizzato qualcuno. Certamente posto per gente che ci viveva e sopravviveva. La scuola elementare ubicata in uno degli edifici prospicienti l’ingresso della vicinissima Villa Belvedere, inospitale e tetra, raccoglieva ra98
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gazzini del Vomero vecchio di diversissima estrazione sociale ed economica di un quartiere che andava trasformandosi da popolare e quasi rurale in residenziale. Proprio nella mia classe, ce ne era uno, indimenticabile, simpatico e vivacissimo, che – Dio santo! – veniva proprio dal Serraglio. Che per la scuola pubblica di quegli anni non poteva che essere un delinquente in erba; che non poteva non essere ripetutamente castigato e alla fine espulso e bocciato Così si usava allora. Probabilmente furono castigati ed espulsi anche quelli che nel Serraglio ci abitavano, sbattuti chi sa dove da chi stava mettendo le mani sulla città, Vomero compreso. NB. Le foto di Via Belvedere sono di S. Höbel e sono tratte da: Cadelo/Höbel. Una zona in obsolescenza, il Belvedere al Vomero. Napoli, Polisud, sd
Disegno di Mauro Giancaspro
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L’ANTENATO SPIAGGIATO
Un’opera d’arte lunga 100 metri GATE SALERNO
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Una torre ritrovata VILLA LYSIS
Le stanze dell’oppio
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