Il nostro non è un viaggio virtuale: dal 10 al 14 maggio saremo realmente a Torino, in occasione del Salone Internazionale del libro, dopo un articolato percorso all’interno delle attività del Presidio del Libro Cartesio, coordinato dalla prof.ssa Santoro. Avremo così modo di essere protagonisti della grande kermesse torinese che celebra l’artefatto culturale per eccellenza: il libro. Tuttavia il nostro è anche un viaggio digitale, perché, nella logica del web 2.0, lo abbiamo preceduto con un percorso di preparazione ed approfondimento condotto attraverso l’uso delle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione. I materiali che abbiamo reperito sul web e raccolto in questo opuscolo e nel CD allegato sono disponibili anche sul sito http://www.viaggiodigitale.fan-club.it/, dal quale, nella sezione download, è possibile scaricare il testo sia in formato pdf che in formato e-pub. Ogni tappa del nostro percorso, infatti, è corredata da materiale multimediale che abbiamo condiviso prima
e selezionato poi
all’interno di un gruppo chiuso di Facebook. Una sorta di “tube-storming” ci ha permesso di selezionare i video tratti da youtube che compongono la nostra “video-gita” e che sono fruibili direttamente sul sito e nell’e-book ma anche in questa versione cartacea, attraverso i QR code in calce ad ogni capitolo. Per la redazione collaborativa dei testi abbiamo utilizzato le funzionalità di Google documenti, in particolare il file sharing. Il web 2.0 ci ha permesso di prepararci in modo diverso e più coinvolgente all’ormai imminente viaggio d’istruzione, da protagonisti, non solo fruitori ma anche produttori dei contenuti, come testimoniato dal nostro lavoro. Buon viaggio diGITAle a tutti!
Si ha notizia di insediamenti nell'area dell'attuale Torino a partire dal III secolo a.C., riferita a uno o più villaggi di un popolo CeltoLigure conosciuto con il nome di Taurini. L'origine storica della città può essere comunque fatta risalire al castrum costruito durante le guerre galliche di Giulio Cesare. Nel 28 a.C. fu eretta a colonia con il nome di Julia Augusta Taurinorum, da cui deriverà poi il nome moderno. Dopo la caduta dell'Impero Romano Torino passò sotto il controllo degli Ostrogoti, dei Longobardi e dei Franchi di Carlo Magno (773). Dopo alterne vicende che videro nei secoli seguenti anche l'elezione della città a libero Comune, Torino venne inglobata definitivamente nei possedimenti dei Savoia. Nel 1559, dopo la Pace di Cateau-Cambrésis, la città divenne capitale del ducato di Savoia, che precedentemente aveva gravitato su Chambéry, e venne dotata di mura moderne e di una cittadella. Nel 1706 avvenne l'Assedio di Torino da parte delle truppe franco-spagnole. La città e l'esercito piemontese resistettero per centodiciassette giorni e respinsero così l'assedio. Nel 1713 i duchi di Savoia ottennero il titolo di re, prima di Sicilia e poi di Sardegna. Torino divenne de facto la capitale del regno con poco più di sedicimila abitanti. Il Congresso di Vienna e la Restaurazione diedero al Piemonte Genova e tutta la Liguria (allora Repubblica di Genova) gettando così, anche se involontariamente, le basi del processo che porterà in poco più di cinquant'anni all'Unità d'Italia. Torino fu la prima capitale del nuovo Stato unitario dal 1861 al 1865, dopodiché la capitale divenne Firenze e, dal 1870, Roma.
L'entrata in guerra dell'Italia nella prima guerra mondiale (1915-18) segnò pesantemente la popolazione. Nel 1919-20 si acuirono i conflitti sociali (il cosiddetto Biennio rosso), sulla spinta di un forte aumento dei prezzi. Molte fabbriche, in primis la FIAT, vennero occupate dagli operai. Durante il secondo conflitto mondiale, Torino, fondamentale polo industriale, venne ripetutamente bombardata dagli Alleati e, dopo l'8 settembre, venne occupata dalle truppe naziste e repubblichine che si macchiarono di numerosi eccidi, come quello del Pian del Lot, esecuzioni e deportazioni. Furono altresì attive in città le formazioni partigiane dei Gruppi di Azione Patriottica (G.A.P.). Il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale proclamò l'ordine di insurrezione generale e con esso i Partigiani presero il controllo della città ponendo fine all'occupazione nazifascista. Alcuni giorni dopo, il 3 maggio, giunsero anche le prime truppe alleate. Dopo il secondo dopoguerra Torino fu il simbolo della crescita economica dell'Italia, tanto che riuscì ad attirare centinaia di migliaia di emigranti dal Sud dell'Italia per via delle richieste di manodopera negli stabilimenti automobilistici (circa mezzo milione nel ventennio 1951-1971). Nel 1974 la città raggiunse gli 1,2 milioni di abitanti. Il numero di immigrati fu tanto consistente che l'allora sindaco Diego Novelli definì Torino "la terza città meridionale d'Italia per popolazione dopo Napoli e Palermo". Nel febbraio del 2006 la città ha ospitato i XX Giochi Olimpici Invernali. In quell'occasione è stata inaugurata la prima linea della metropolitana di Torino. In occasione delle celebrazione per i centocinquant’anni dell’ Unità d’Italia, nel 2011, Torino ha rappresentato uno dei fulcri della manifestazione, essendo stata la prima capitale del regno d’Italia.
Il Parco del Valentino è un famoso parco pubblico cittadino di Torino, situato lungo le rive del Po.
È sicuramente il parco
cittadino più conosciuto del capoluogo piemontese ed è stato assunto a simbolo della città al pari della Mole Antonelliana. Ha un’estensione pari a 421.000 metri quadrati. Le sue origini si possono far risalire ad epoca assai remota: fin dal Medioevo, infatti, era in uso in zona il toponimo "Valentino", di incerta origine, che dal '600 venne ad indicare il castello dei Savoia (Castello del Valentino, una delle Residenze Reali dei Savoia) e l'area limitrofa. Sin dal XIX secolo, il Parco ha ospitato numerose mostre ed esibizioni, alcune delle quali si sono protratte fino all’ultimo decennio dello scorso secolo. Tra queste è sicuramente degna di nota la FLOR 61, celebrata in occasione del Centenario dell’Unità d’Italia, di cui sopravvive ancora oggi il giardino roccioso come testimonianza.
Il Borgo Medievale di Torino, inaugurato nel 1884 in occasione dell'Esposizione Generale Italiana, costituisce un esempio di ricostruzione di edifici e decorazioni tardo-medievali condotta con rigorosi criteri filologici. Situato nel Parco del Valentino, costituisce un complesso di indubbio richiamo per un vasto pubblico in ogni stagione dell'anno. Nel Borgo sono ricostruite vie, piazze, fontane, fortificazioni, decorazioni e affreschi, case vere e proprie e botteghe artigiane, dove è possibile assistere alla lavorazione dei metalli e della carta ed acquistare manufatti di vario tipo. La Rocca, o castello, costituisce il fulcro del percorso all'interno del Borgo. È una dimora signorile fortificata, con stanze sontuose ricche di mobili, suppellettili, tessuti in grado di mostrare gli stili di vita della nobiltà del Quattrocento in Piemonte. La costruzione del borgo e della rocca è stata diretta dall’architetto portoghese Alfredo d’Andrade, le cui influenze piemontesi e valdostane sono facilmente riconoscibili.
Il Duomo di Torino, dedicato a San Giovanni Battista, sorge nella piazza anch’essa intitolata al santo, nei pressi del Palazzo e del Giardino Reale e a pochi passi dal Teatro Romano dell'antica Augusta Taurinorum, quindi in pieno centro storico. L’edificio, voluto fortemente dai Savoia e dal vescovo Domenico della Rovere, fu costruito tra il 1491 e il 1498 ad opera di Amedeo de Francisco di Settignano detto anche Meo del Caprino. Nel corso del Seicento il Duomo è stato ampliato per permettere di conservare al meglio la Sindone, che, nel frattempo, era stata portata a Torino dalla famiglia Savoia. L’opera dell’ampliamento venne iniziata nel 1649 da Bernardino Quadri e conclusa da Guarino Guarini, il quale aveva già lavorato alla Real Chiesa di San Lorenzo, che occupò della costruzione della cupola. I lavori durarono ben ventotto anni, dal 1666 al 1694. Per volere di re Carlo Alberto il duomo venne ulteriormente impreziosito da una copia dell'Ultima Cena di Leonardo da Vinci, realizzata
da Luigi Cagna nel 1835. La Cappella della Sacra Sindone, a pianta interna circolare, opera del Guarini, fu commissionata da Emanuele Filiberto di Savoia per conservare il sacro lenzuolo. Al centro della Cappella sorge l’altare, di fattura barocca come quest’ultima ed opera di Antonio Bertola. Conserva al suo interno, in una teca di vetro e argento, la Sindone. All’esterno del Duomo si può notare il campanile, costruito nel 1468, e che nei lavori di ampliamento nel Seicento non venne toccato. Voluto dal
vescovo Giovanni di Compeys, il campanile, a tre ordini e munito di cella campanaria, ha subito alcune modifiche, soprattutto in altezza, durante il regno di Vittorio Amedeo II. La facciata e gli interni del Duomo furono restaurati dopo l’incendio avvenuto nella notte tra l’11 e il 12 Aprile del 1997 che ne aveva distrutto una buona parte. In quella occasione la Sindone fu salvata dal lavoro dei vigili del fuoco; ricordiamo tutti le immagini della teca portata fuori dall’edificio ancora fumante. Proprio a seguito di quell’incendio si è provveduto a sistemare il lenzuolo in una nuova teca. Secondo le disposizioni date una commissione scientifica nominata dall’arcivescovo di Torino, il Cardinal Giovanni Saldarini, la Sindone è disposta in posizione distesa, piana ed orizzontale. Inoltre la teca è in vetro antiproiettile, a tenuta stagne, in assenza di aria e con un gas inerte, protetta dalla luce a dagli altri agenti atmosferici. Guarino Guarini (1624 - 1683) entrò nell'ordine dei Teatini nel 1639 e lo stesso anno si trasferì a Roma per studiare teologia, filosofia, matematica e architettura. Qui conobbe i lavori di Francesco Borromini che influenzeranno profondamente la sua opera. Ordinato sacerdote e nominato insegnante di filosofia, nel 1666 si trasferì a Torino dove rimase fino al 1681 come ingegnere e matematico di Carlo Emanuele di Savoia. Realizza, oltre alla Cappella della Santa Sindone e altri edifici minori, Palazzo Carignano, la Chiesa teatina di San Lorenzo e la chiesa di San Filippo Neri.
La Sindone è un lenzuolo di lino della misura di 4,37 metri di lunghezza e 1, 11 di larghezza. Tessuto a spina di pesce in un unico pezzo, presenta una doppia immagine, frontale e dorsale, di un corpo umano che ha subito torture e lesioni varie, e ferite al polso sinistro, ai piedi e al costato destro. È dunque un lenzuolo funebre, non particolarmente conosciuto nelle tradizioni di sepolture degli ebrei e di altri popoli antichi. L’immagine riporta due impronte di corpo umano, disteso supino, rispettivamente quella anteriore e quella posteriore, accostate l'una all'altra dalla parte del capo. Sono di due diversi colori: le impronte color seppia, debolmente sfumate e senza contorni netti, riproducono le parti corporee; quelle color rosa invece, sono dovute alla presenza di sangue sul lenzuolo. L’impronta anteriore mostra la testa e il volto di un uomo, alto più di 1,70 m, dai capelli lunghi, con baffi e barba bipartita. A sinistra, la massa dei capelli più marcata suggerisce una inclinazione del capo verso quel lato. Sui capelli e sul viso si scorgono macchie rosa, la più caratteristica delle quali è situata al centro della fronte e ha forma simile a quella di un 3 rovesciato. I tratti del volto suggeriscono l'esistenza di numerose lesioni: deviazione della cartilagine nasale, tumefazioni al di sotto dell'occhio, sulla guancia destra, sul labbro superiore e sulla mandibola. Recenti studi, compiuti con l'aiuto dell’elaboratore elettronico, hanno rivelato, in corrispondenza di entrambi gli occhi, impronte circolari, dovute probabilmente a monetine. Sul lato destro del torace spicca l’immagine di una ferita da taglio di 4,5 per 1,5 centimetri, dalla quale è fuoriuscita un'ampia chiazza di sangue. Degli arti superiori sono visibili i due avambracci e le mani incrociate, la sinistra sovrapposta al polso destro, a livello del pube. In corrispondenza del polso sinistro e di entrambi gli avambracci sono evidenti impronte di sangue. L’impronta posteriore mostra la nuca sulla quale si notano numerose colature di sangue. Dalle spalle fino alle caviglie si contano moltissime lesioni da flagellazione. In corrispondenza della regione
lombare vi è una colatura trasversale di sangue. L’impronta posteriore rivela ancora, in modo evidente, i piedi, soprattutto il destro, sul quale, nella parte centrale, spicca un’area più scura corrispondente alla ferita del chiodo. Dalla ferita si dipartono due diverse colature di sangue dirette rispettivarnente attraverso la punta del piede e verso il calcagno.
Sul tavolo del medico legale Sul volto dell'uomo della Sindone sono state rilevate ecchimosi ed escoriazioni, soprattutto nella parte destra. Una delle lesioni facciali più conosciute è l’immagine triangolare sotto l'occhio destro che si congiunge con un'altra impronta analoga in corrispondenza del dorso del naso, dovuta probabilmente a un colpo di flagello. Altre immagini di lesioni dello stesso tipo, vengono rilevate in corrispondenza del dorso e delle ginocchia. Sull'impronta dorsale, all'altezza delle scapole, si vedono due larghe escoriazioni. Gli esperti ritengono che tali impronte corrispondano alle escoriazioni provocate dal palo trasversale della croce posto dietro le spalle: il "patibulum" che, a volte, il condannato doveva trasportare. Alle possibili cadute sotto il peso del "patibulum", sono presumibilmente dovute le contusioni in corrispondenza delle ginocchia. Sia sull'impronta facciale, sia su quella dorsale dell'uomo della Sindone, si osservano numerose ferite lacero-contuse. Su tutta la superficie posteriore del corpo (e a volte anche su quella anteriore) si osserva la presenza di oltre 120 lesioni che, per il loro aspetto, ricordano le estremità metalliche dei flagelli romani. Sulla fronte e sulla nuca si rileva la presenza di una trentina di ferite sanguinanti. Si ritiene che siano tutte dovute a un "casco" spinoso posto sulla testa del condannato.
Il “museo delle antichità egizie” di Torino , è come quello del Cairo, dedicato esclusivamente all’arte e alla cultura dell’Egitto antico. Molti studiosi di fama internazionale, a partire dal decifratore dei geroglifici egizi, Jean-François Champollion, si dedicano da allora allo studio delle sue collezioni, confermando così quanto scrisse Champollion: «La strada per Menfi e Tebe passa da Torino». Il Museo Egizio (Museo delle Jean-François Champollion nel Antichità Egizie) è costituito da un 1822 presentò all'Accademia delle iscrizioni e belle lettere di Pariinsieme di collezioni che si sono sogi la tavola di corrispondenza tra i vrapposte nel tempo, alle quali si desegni delle scritture geroglifica, vono aggiungere i ritrovamenti efieratica e demotica. Riuscì a dimofettuati a seguito degli scavi constrare di saper tradurre i nomi di dotti in Egitto dalla Missione ArRamses e Thutmose. Nel 1823 iniziò la pubblicazione del Pancheologica Italiana tra il 1900 e il theon egiziano. Nel 1824 presentò 1935. In quell’epoca vigeva il criterio il suo Resoconto del sistema gerosecondo cui i reperti archeologici glifico degli antichi Egizi, aprendo erano ripartiti fra l’Egitto e le misle porte all'egittologia scientifica. sioni archeologiche. Il criterio atEspose l'organizzazione di insieme della scrittura egizia in segni fotuale prevede che i reperti rimanganetici e ideografici: i segni foneno all’Egitto. tici sono i venticinque segni che Il primo oggetto giunto a indicano una consonante, a cui si Torino è la Mensa Isiaca, una tavola aggiungono i segni per i gruppi di due o tre consonanti; i segni ideod’altare in stile egizittizzante, reagrafici invece designano direttalizzata probabilmente a Roma nel I mente l'oggetto o sono determinasecolo d.C. per un tempio di Iside e tivi per distinguere parole formaacquistata da Carlo Emanuele I di te dalle stesse consonanti ma di Savoia nel 1630. Nel 1724 Vittorio diverso significato. Nel 1826 fu nominato direttore della sezione Amedeo II di Savoia fonda il Museo egiziana del Museo del Louvre e si della Regia Università di Torino, occupò della classificazione degli presso il palazzo dell’Università in oggetti riportati in Francia dalla Via Po, cui dona una piccola collezione spedizione di Napoleone in Egitto. di antichità provenienti dal Piemonte.
Nel 1757, Carlo Emanuele III di Savoia, per arricchire il Museo dell’Università, incarica Vitaliano Donati, professore di botanica, di compiere un viaggio in Oriente e di acquistare in Egitto oggetti antichi, mummie e manoscritti che potessero illustrare il significato della tavola stessa. Gli oggetti raccolti dal Donati, tra cui tre grandi statue, giungono a Torino nel 1759 e sono esposti nel Museo della Regia Università, dove dal 1755 è collocata anche la Mensa Isiaca. Il Regio Museo delle Antichità Egizie è formalmente fondato nel 1824, con l’acquisizione da parte di Carlo Felice di Savoia di un’ampia collezione di opere riunita in Egitto da Bernardino Drovetti. Questi, di origini piemontesi, aveva seguito Napoleone Bonaparte durante alcune delle sue campagne militari e per i suoi meriti l’Imperatore lo aveva nominato Console di Francia in Egitto. Drovetti, grazie alla sua amicizia con il viceré d’Egitto, Mohamed Alì, riuscì a trasportare in Europa gli oggetti raccolti. La collezione venduta dal Drovetti al sovrano Carlo Felice è costituita da 5.268 oggetti (100 statue, 170 papiri, stele, sarcofagi, mummie, bronzi, amuleti e oggetti della vita quotidiana). Giunta a Torino, è depositata presso il palazzo dell’Accademia delle Scienze (dove si trova tuttora) progettato nel XVII secolo dall’architetto Guarino Guarini come scuola gesuita. L’ultima acquisizione importante del Museo è il tempietto di Ellesija, donato all’Italia dalla Repubblica Araba d’Egitto nel 1970, per il significativo supporto tecnico e scientifico fornito durante la campagna di salvataggio dei monumenti nubiani, minacciati dalla costruzione della grande diga di Assuan. Nelle sale del Museo delle Antichità Egizie sono oggi esposti circa 6.500 oggetti. Più di 26.000 reperti sono depositati nei magazzini, in alcuni casi per necessità conservative, in altri perché rivestono un interesse unicamente scientifico (vasellame, statue frammentarie, ceste, stele, papiri) e sono oggetto di studi i cui esiti sono regolarmente pubblicati.
Il museo nazionale del Cinema di Torino nasce nel 1941 da un progetto di Maria Adriana Prolo, collezionista e storica. Nel settembre del 1956, dopo essere faticosamente riuscita ad ottenere l'appoggio di enti pubblici e privati, la Prolo vide realizzarsi il suo sogno: il museo aprì i battenti nelle sale di palazzo Chiablese, accanto a palazzo Reale, mettendo finalmente a disposizione di studiosi e visitatori le preziose collezioni già da lei raccolte. Oggi la sede del museo nazionale del Cinema è nella Mole Antonelliana: inaugurato nel luglio 2000, lo spettacolare allestimento dell'architetto François Confino, ha trasformato il La Mole Antonelliana è monumento simbolo della il monumento simbolo città in un museo allestito della città di Torino. in verticale unico al monSituata nel centro storico di Torino, a ridosso do. Dal 1953 il museo è del quartiere Vanchiglia, membro della Fédération prende il nome dall'arInternationale des Archichitetto che la coves du Film (fiaf) e nel struì, Alessandro Anto1992 diviene Fondazione nelli. Raggiunge un'algrazie al sostegno della tezza di 167 metri, perciò è attualmente Regione Piemonte, del Col'edificio più elevato di Torino ed è stata mune di Torino, della Proper lungo tempo la struttura in muratura vincia di Torino, della Caspiù alta d'Europa. Nel secolo scorso però importanti ristrutturazioni hanno rinforzasa di Risparmio di Torino e to il tamburo con molti pilastri di cemento dell'Associazione Museo armato, mentre la guglia, in seguito al Nazionale del Cinema. crollo del 23 maggio 1953, è stata rinforI documenti conserzata con travi di acciaio, per cui la Mole vati rappresentano un'imAntonelliana non può più considerarsi una portante fonte di studio struttura esclusivamente in muratura. per far luce sulla storia del Museo e delle sue attività e, soprattutto, per ricostruire i percorsi che hanno portato alla formazione di collezioni considerate uniche nel panorama internazionale. Lungo
il percorso espositivo di 3200 metri quadrati distribuiti su cinque piani si visitano alcuni spazi dedicati alle figure principali che contribuiscono a realizzare un film. Nella sala principale, costruita nella sala del tempio della Mole, una serie di cappelle è dedicata a vari generi cinematografici. Le collezioni più cospicue riguardano l'attività delle case cinematografiche torinesi operanti dalla nascita del cinema muto sino agli esordi del cinema sonoro. L'Archivio conserva inoltre un'importante raccolta di Sceneggiature che testimonia l'attività di soggettisti e sceneggiatori del cinema italiano dalle origini a tempi più recenti; una collezione di manifesti cinematografici, una collezione di pellicole ed una biblioteca, in costante ampliamento: comprende attualmente 20.000 apparecchi, dipinti e stampe, oltre 80.000 documenti fotografici, oltre 300.000 manifesti, 12.000 film e 26.000 volumi (febbraio 2006). Una sala cinematografica poco lontana dal museo, all'interno del cinema Massimo, è riservata esclusivamente alle retrospettive e alle altre attività del museo. Il Museo Nazionale del Cinema ospita numerosi festival, il più importante e prestigioso dei quali è il Torino Film Festival. All'interno del museo si trova anche un ascensore panoramico (inaugurato nel 2000), con pareti in cristallo trasparente, che effettua la sua corsa in 59 secondi, in una sola campata a cielo aperto senza piani intermedi, dai 10 metri della quota di partenza agli 85 metri del "tempietto" dal quale si può vedere il panorama della città. Si tratta del museo con la maggiore estensione in altezza del mondo. Nel 2008, con 532.196 visitatori, si è collocato al tredicesimo posto tra i musei più visitati d'Italia.
La Basilica di Superga, nota anche come Real Basilica di Superga, sorge sull'omonimo colle ad est di Torino. Fu fatta costruire dal re Vittorio Amedeo II come ringraziamento alla Vergine Maria, dopo aver sconfitto i francesi che assediavano Torino nel 1706. Si narra che il duca di Savoia Vittorio Amedeo II e il principe di Carignano Eugenio di Savoia salirono sul colle per osservare Torino assediata dai franco-spagnoli. Vittorio Amedeo, inginocchiatosi dinanzi ad un vecchio pilone, giurò che, in caso di vittoria, avrebbe edificato un monumento alla Madonna. Le dimensioni della chiesa risultano imponenti e la basilica risulta perciò visibile anche da distanze elevate: dal colle si ha un vasto panorama della città e delle Alpi. La costruzione della Basilica si deve a Filippo Juvarra, architetto messinese di Casa Savoia. Il suo interno è arricchito da sei cappelle e da quattro altari, oltre l’Altare Maggiore, con statue e monumenti in marmo di Carrara. Di particolare interesse sono le numerose tele d’altare e la cupola, ispirata alle opere romane di Francesco Borromini. Nella Cappella del Voto, all’interno della Basilica, è conservata la Statua in legno della Madonna delle Grazie del Seicento, la stessa a cui si rivolse Vittorio Amedeo II per vincere la battaglia. Entrando nella Basilica si può notare che la cupola poggia su una maestosa struttura divisa in due ordini, uno dei quali è costituito da otto colonne scanalate di marmo grigio. Nonostante le nove sezioni in cui sono divise, queste colonne non perdono la loro eleganza: la loro altezza, dal piedistallo di base ai capitelli corinzi, è di 20 metri e 30 centimetri.
Il secondo ordine è costituito dalla balaustra in legno scuro e dal tamburo, diviso da otto finestroni ritmati da otto colonne di marmo di Gassino o da altre otto di marmo di Brossasco. L’intensità della luce che filtra dai finestroni e dalle lunette proietta una luminosità eccezionale. Percorrendo lo spazio sottostante alla cupola si arriva alla balaustra di marmo scuro di Frabosa, la si sorpassa per mezzo di un cancello in ferro battuto e si arriva al presbiterio. A destra si trova la sacrestia a forma di cupola, rivestita da armadi in legno di noce; a sinistra, invece, si trova una cappella modesta, con tre finestre rettangolari e una lunetta. La cappella era stata costruita per i convittori da coro invernale ma, in seguito, venne utilizzata per accoglieLa formazione di Filippo Juvarra re la statua della Madonna avvenne nella città natale di Messina, dodel voto, su di un altare in ve studiò architettura sui trattati, e lavorò come scenografo e argentiere. Già legno appositamente costruinel 1714 Juvarra era divenuto l'architetto. to di fiducia di Vittorio Amedeo II di La cripta è a forma di Savoia, che per un breve periodo aveva croce latina, con ai lati del ottenuto anche la corona del regno di braccio trasversale due capSicilia e che lo richiamò a Messina per pelle sottostanti, una il lato progetti non eseguiti. della sacrestia e l’altra il lato Scambiata la corona di Sicilia con della cappella del voto. Alla quella di Sardegna, il re si stabilì nuovacripta si accede percorrendo, mente a Torino e impiegò Juvarra in un prima, un maestoso scalone di grandioso progetto di riqualificazione marmo, poi un ampio corriurbana per la capitale del nuovo regno. doio. Il vano semicircolare al Moltissime furono le opere di quegli anni. termine dello scalone è abbelTra quelle di architettura religiosa si segnalano la facciata della chiesa di S. lito da una scultura di marmo Cristina in piazza San Carlo e la Basilica di Carrara che raffigura S. di Superga, uno dei suoi capolavori. Michele Arcangelo che sconfigge il demonio.
Nessuna squadra al mondo ha mai rappresentato per il calcio tutto ciò che è riuscito al Grande Torino.
L'Italia in quegli anni era reduce da una
guerra perduta, avevamo poca credibilitĂ internazionale e furono le gesta dei nostri campioni a rimetterci all'onore del mondo: Bartali, Coppi, il discobolo Consolini, le macchine della Ferrari e appunto il Grande Torino.
Ore 17:03 ultimo messaggio: "Ok. Arriviamo".
Ore 16:45, campo di volo dell'Aeronautica. La pioggia che ha provocato danni in tutto il Piemonte scende con raffiche violente, le nubi incombono basse, cupe. Nella cabina della stazione radio un silenzio angosciato: si aspettano messaggi da parte dell'aereo del Torino atteso per le 17:00. Finalmente un tichettio dell'apparecchio. Il tasto batte: "Siamo sopra Savona. Voliamo di sotto delle nubi, 2000 metri, fra 20 minuti saremo a Torino". La notizia giunge al bar vicino, dove tutti brindano. Il tasto riprende a battere: "__.__..__" Vuole il rilevamento radiogonometrico. È un'operazione semplice. Piton ci mette pochi secondi "QSM 280°". Alle 17:02 la richiesta del bollettino metereologico: "Nebulosità intensa, raffiche di pioggia, visibilità scarsa, nubi 500 metri". Ore 17:03. L'aereo trasmette: "Ricevuto, sta bene, grazie mille". È l'ultimo messaggio
4 maggio 1949 notte - nebbia, pioggia, vento, silenzio laddove 6 ore fa si è sfracellato l'aeroplano che riportava a Torino la più bella squadra di calcio d'Italia. Un pallido, rossastro riverbero illumina ancora palpitando le muraglie della Basilica di Superga. Un pneumatico
dell'apparec-
chio sta ancora bruciando, ma la fiamma cede, tra poco sarà completamente buio. Lo spaventoso disastro è successo alle 17:05. Superga era avvolta in una fitta nebbia. A 30 metri non si vedeva niente. Nella sua stanza al primo piano della basilica il cappellano del tempio, prof. Don Tancredi Ricca stava leggendo.
La palazzina di caccia di Stupinigi venne realizzata per ordine di Vittorio Amedeo II di Savoia come casino di caccia. La progettazione e la realizzazione dell'edificio e delle sue decorazioni vennero affidate a Filippo Juvarra che trasformò il casino di caccia originale in una vera e propria reggia di rappresentanza. I lavori di realizzazione dell'impianto centrale, iniziati nel 1729, si conclusero nel giro di un paio di anni e l'edificio venne inaugurato nel 1731. Ciò nonostante, l'abbellimento e l'ampliamento del complesso di protrassero per tutto il XVIII secolo vedendo, tra l'altro, la realizzazione delle due ali laterali. Il salone centrale del palazzo è indubbiamente l'area che lo qualifica per la sua magnificenza. Di pianta ovale il salone è alto tre piani ed è abbellito da una cupola coperta in rame e da maestose vetrate. All'esterno la cupola è decorata con una scultura di un cervo opera di Francesco Ladatte. Questa opera, come altri dipinti, affreschi e statue, avevano il compito di simboleggiare la funzione originale dell'edificio. La Palazzina di Caccia di Stupinigi, fu spettatrice delle sorti alterne della monarchia italiana. Sede di feste e ritrovi della aristocrazia piemontese, fu trasformata da Napoleone in residenza di campagna, durante il suo regno, e, a partire dal 1803, ospitò anche Paolina Bonaparte. Nel 1842 fu sede del matrimonio tra Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide
Oggetto della tutela sono i seguenti monumenti: il Palazzo Reale, il Palazzo Madama, il Palazzo Carignano, il Castello del Valentino e la Villa della Regina, a Torino; la la Palazzina di Caccia di Stupinigi, la Reggia di Venaria Reale, il Castello de la Mandria, il Castello di Rivoli, il Castello Ducale di Agliè, il Castello di Moncalieri, il Castello di Racconigi, il Castello di Pollenzo, il Castello di Govone e la Reggia di Valcasotto, situati in altre località in Piemonte. Quando nel ‘500 i Savoia trasferirono la capitale da Chambery a Torino, vollero trasformare il loro regno nella prova tangibile della loro forza, al pari delle altre grandi monarchie assolute in Europa. A Torino e nei centri di campagna vicini furono costruite ville, residenze, casini delle delizie, da architetti di grande prestigio come Filippo Juvarra, Pelagio Pelagi e Guarino Guarini. Le Reggie sono delle architetture di grandissimo pregio ed eleganza, scrigno di preziose opere d’arte, immerse in sontuosi giardini. Il comitato UNESCO ha deciso di iscrivere tale bene nel patrimonio dell’umanità con la seguente motivazione: Le residenze di casa Savoia situate a Torino ed in altri luoghi offrono un panorama completo dell'architettura monumentale europea del XVII e XVIII secolo, utilizzano lo stile, le dimensioni e lo spazio per illustrare in modo straordinario in termini materiali la dottrina predominante della monarchia assoluta.
di Lorena, mentre nel periodo compreso tra il 1900 e il 1919 venne utilizzata come residenza estiva da parte della regina Margherita. Attualmente l'edificio, dichiarato dall'Unesco "patrimonio dell'Umanità", è arredato con i mobili originali dell'epoca e ospita il Museo di Arte e di Ammobiliamento.
Come si sentirebbe un bambino di dieci anni dopo essere stato abbandonato dalla propria madre alla tenera età di 10 anni? Perso, solo, indifeso. Queste sensazioni sono state provate sulla pelle di molti bambini e ragazzi afgani, di uno in particolare ne è stata raccontata la sconcertante storia: Enaiatollah Akbari. Lasciato con tre sole raccomandazioni, non usare mai il coltello, non toccare mai la droga e non usare il fucile, Ena ha affrontato tantissime avventure e gran parte delle quali sono racchiuse nel libro di Fabio Geda, “Nel mare ci sono i coccodrilli”. Il 24 settembre abbiamo incontrato il protagonista di questo libro, Enaiatollah in persona. Con il volto cupo e segnato dai i ricordi, ci ha raccontato le vicende che poi l’hanno portato qui in Italia. Dall’Afghanistan al Pakistan, dall’Iran alla Turchia, dalla Grecia finalmente in Italia con in testa tre semplici raccomandazioni lasciatigli dalla madre: non usare mai il coltello, non toccare mai la droga e non usare il fucile. Con le tasche vuote e l’assenza di una presenza adulta nella sua vita, Ena cerca subito un lavoro per sfamarsi, per sopravvivere e così diventa subito un venditore di merendine e oggetti vari: aveva anche creato un metodo per poter vendere sfruttando l’ingenuità dei bimbi più piccoli che golosi afferravano la merendina senza indugi ignari del fatto che la loro mamma dovesse pagarla. Continua imperterrito a lavorare. Lavorava anche durante l’11
settembre 2001, giorno della tragedia che colpì gli Stati Uniti e in particolar modo le Torri Gemelle. “Guardavo le immagini di una piccola televisione, sembravano quelle di un film” ricorda, ma la sua corsa non finì lì. Quando arrivò in Grecia, Enaiatollah notò persone che giacevano sedute, erano morte. Erano tutte quelle persone che avevano il sogno incompiuto di una vita migliore. “Nel mare non c’erano coccodrilli. In Grecia il mare era vuoto.” Un altro dei tanti particolari notati dal giovane che per la prima volta solcava il mediterraneo. Adesso, Enaiatollah, vive, accolto da una famiglia a Torino dove studia da più di 5 anni. Una cosa è certa: non scorderà mai il viaggio che l’ha portato a diventare l’uomo che è oggi. “Dobbiamo avere gli occhi grandi come il mare.” – Enaiatollah Akbari.
“DOVE ERAVATE TUTTI”: un atto di accusa, una domanda o un'affermazione... diretta ai lettori. Questo il titolo del libro scritto da Paolo Di Paolo in cui Italo Tramontana è il protagonista. Durante l'incontro a Capurso, il 7 novembre 2011,in cui Paolo Di Paolo è stato ospite del 'Presidio Cartesio', si è discusso sulla storia d'Italia degli ultimi vent'anni. Italo ricostruisce i suoi primi vent'anni di vita con l'atteggiamento di chi vuol capire l'intreccio tra la storia collettiva italiana e mondiale con la storia familiare. Sul piano personale emerge il protagonista che ripercorre con la memoria i maggiori eventi della recente storia d'Italia dalla caduta di Bettino Craxi fino ai giorni nostri incorociando, a livello mondiale, l'attentato alle torri gemelle e l'elezione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Di Paolo illustra l'azione degli storici che ricostruiscono gli avvenimenti secondo il rapporto CAUSA → CONSEGUENZA ma trascurano tutto ciò che sta fra quste due azioini, tutto ciò che è stato comunque storia.
L'autore ci trasmette che la “storia” non è solo quella dei grandi avvenimenti, delle cronache sui giornali, ma anche quella dei singoli individui che vengono quotidianamente ignorati dagli storici: individui i quali formano la storia del presente e nessuno citerà mai. Perciò sorge un interrogativo: dove siamo tutti? «“Dove eravate tutti” significa anche dov’era Scirocco. La ragazza del passato che il mio protagonista, Italo Tramontana, cerca per sfuggire ai suoi problemi famigliari del presente. Che ha fatto lei in tanti anni? Averla conosciuta da bambina è servito o il passato è inutile? Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. Nel 2003 entra in finale al Premio Italo Calvino per l'inedito, con i racconti Nuovi cieli, nuove carte. Ha pubblicato libri-intervista con scrittori italiani come Antonio Debenedetti, Raffaele La Capria e Dacia Maraini. È autore di Ogni viaggio è un romanzo. Libri, partenze, arrivi (2007) e di Raccontami la notte in cui sono nato (2008). Ha lavorato anche per la televisione e per il teatro: Il respiro leggero dell'Abruzzo (2001), scritto per Franca Valeri; L'innocenza dei postini, messo in scena al Napoli Teatro Festival Italia 2010. Dove eravate tutti è del 2011 (Feltrinelli).
Italo
se
lo
domanda
mentre prova a finire la sua tesi su Berlusconi. Ma ha difficoltà nello storicizzare il personaggio e l’unica per fare chiarezza gli sembra collegare momenti della sua vita a ritagli di giornale accumulati. Così si rende conto che Scirocco, vista l’ultima volta nel 1993, è il suo ricordo più dolce. Falcone e Borsellino prima di Berlusconi. Per questo il titolo è “Dove eravate tutti” e non solo “Dove era lei”».
«Dalla gente ho imparato l’amore per il mare e la solidarietà per chi di mare vive. Da costoro ho appreso soprattutto l’innata propensione a immedesimarsi nelle necessità degli altri». Mons. Domenico Mogavero, vescovo della diocesi di Mazara del Vallo, è Commissario della Cei per l’immigrazione. In precedenza, ha ricoperto, sempre all’interno della Cei, la carica di Presidente del Consiglio per gli Affari Giuridici, ruolo per cui è più volte intervenuto nell’ambito di questioni politiche di portata nazionale. Durante l'incontro del 14 dicembre 2011, svoltosi a Cellamare, si è discusso sull'immigrazione: una realtà non più trascurabile e con
cui ogni giorno è necessario convivere.
'La Chiesa che non tace' è il titolo del libro scritto da Mons. Mogavero con Giacomo Galeazzi: un'intervista al vescovo in cui viene sollevato un grido di protesta contro l'intollerabile situazione dei migranti, abbandonati sulle coste italiane in condizione di tragica miseria. Mogavero spiega che la gente di mare può essere seguita come modello cristiano: la legge del mare dice che se qualcuno si trova in difficoltà deve essere aiutato. È una legge al di sopra di tutte le leggi definite in base ai confini territoriali, è una legge viva da secoli, perché nasce dalla parte più intima di ogni uomo: è
una legge di vita. Mons. Mogavero guida una diocesi in cui il 50% dei cittadini sono cattolici e l’altra metà islamici, la sua è davvero un'esperienza “di frontiera”, in un Mediterraneo bisognoso di ponti culturali da costruire. Raccontando la propria esperienza di vita e testimoniando la propria missione catalizza l'attenzione del pubblico riuscendo nell'intento di dare
voce a chi non ha voce.
«Questo incontro – spiega Rosella Santoro – si inquadra nel dibattito sull’intercultura, tema portante del progetto di inviti alla lettura costruito in dieci anni di attività e di promozione. Monsignor Mogavero dimostra ogni giorno sul campo la sua visione della tragedia immigrazione, considerata anche in prospettiva culturale. Interessante l'idea di realizzare nella sua diocesi una biblioteca per ragazzi con testi in italiano e arabo. Non si è parlato solo di immigrazione e integrazione, ma anche dei rapporti tra Stato e Chiesa, del futuro dell’Italia ».
«Il bene comune è molto più della somma del bene delle singole parti» (Per un Paese solidale, n.1), ma costituisce un punto di vista diverso e più alto, in cui si va oltre il gioco delle parti e si punta sulla realizzazione di quel “tutto” che è «la buona vita», cioè la realizzazione integrale, della persona umana, per quanto essa dipende dalla collettività. Nella logica del bene comune, non solo gli individui, ma tutte le forze e le pretese parziali – come quella di un Nord e un Sud chiusi in se stessi e contrapposti - vengono ricondotte a un orizzonte più ampio, che però non rinnega la loro unilateralità se non per compiere il loro più vero dinamismo e dare risposta alle loro esigenze profonde. È nella prospettiva “cattolica” del bene comune che il documento dei vescovi può parlare del Mezzogiorno senza rinunziare a riproporre – anzi per riproporre, attraverso questo tema – il valore dell’unità nazionale. (prof.
Giuseppe Savagnone, 46a settimana sociale dei cattolici Italiani, Reggio Calabria 14-17 ottobre 2010)
Gioco.
Idee.
Competenze.
Ribellione. Creatività.
Curiosità. Volontà, e necessità, di pensare al di fuori degli schemi. Thinking outside the box […] al di là delle regole.”
Così
Giovanni Ziccardi, professore di informatica giuridica all’università di Milano, comincia il suo libro “Hacker. Il richiamo della libertà”. L'ospite del 'Presidio Cartesio' durante l'incontro tenutosi a Capurso il 18 gennaio 2012 ha illustrato la figura dell'hacker, spesso mal definita. Il termine hacker deriva dall'inglese to hack, verbo con diversi significati fra cui quello di “tagliare con l'accetta” oppure anche “giocare”. Quando si definirono tali, i primi hacker degli anni '60, il termine sembrava opportuno: infatti l'hacker è una persona scherzosa e creativa a cui piace scoprire le cose nella sua parte più intima (da qui “tagliare e scoprire dall'interno”).
Un vero hacker è chi non si ferma davanti
all'apparenza e supera gli ostacoli che gli si presentano davanti, perciò superare le barriere informatiche imposte dalle autorità e aggirare i vincoli con cui si è messi a confronto. Molti hacker sono i primi a ritenere che “essere hacker” sia un concetto applicabile a ogni aspetto della vita e non strettamente legato al mondo della tecnologia: un modo di pensare e di agire riferibile a tutte quelle situazioni in cui si manifesti la volontà di aggirare le regole, di voler scoprire qualcosa e di non fermarsi davanti ai primi risultati o davanti alle prime difficoltà. Nell'in-
contro si ribalta la visione che si ha degli hacker nell'immaginario collettivo: da pericolosi pirati dell'informatica a ricercatori di libertĂ che si battono quotidianamente con le loro armi (neuroni, mouse, schermo e tastiera) per migliorare l'umanitĂ .
“Legalità è giustizia ?”La legge è spesso la codificazione di costumi condivisi e perciò è anche il frutto di impostazioni ideologiche e culturali di una società o di un organo legiferante più o meno rappresentativo di una comunità. Domenico Gallo, magistrato del Tribunale di Cassazione, studioso da anni di questioni attinenti il diritto internazionale e i diritti dell’uomo, è stato ospite il 16 febbraio 2012 del 'Presidio Cartesio' presso l'auditorium “Ronchi” della scuola media di Cellamare. Tema dell'incontro: “Legalità è giustizia ?”. Gallo si è soffermato sul rapporto tra legge e giustizia, cercando di spiegare ai ragazzi se i codici siano di per sé fonte e garanzia di giustizia. “La legalità è fatta dalle leggi. Oggi una legge è un comando politico obbligatorio per tutti, adottato attraverso una procedura costituzionale e quindi basato su principi fondamentali del nostro Paese. La Costituzione della Repubblica Italiana è l'anello di giunzione tra la legalità e la giustizia, in quanto fondata sui diritti fondamentali dell'uomo. La tragica esperienza umana della seconda guerra mondiale ha lasciato un segno indelebile nella storia e ad essa “l'umanità” ha reagito individuando diritti umani ineludibili e inalienabili che ogni Stato e ogni Costituzione dovrebbe tutelare. Ogni individuo, infatti, prima di essere cittadino, è persona e, in quanto tale, è titolare di diritti inviolabili che connotano la sua dignità”. L'ex senatore a tal proposito ha fortemente sottolineato l'importanza delle organizzazioni e dei documenti internazionali, in particolare della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, frutto di un dibattito democratico allargato oltre i confini di un singolo stato, che propone la Giustizia come ciò che dà senso alla legalità.
APPROFONDIMENTO Edipo si è accecato ed è stato esiliato dalla città di Tebe allorché ha appreso di aver commesso incesto e parricidio. Suo figlio più giovane, Eteocle, briga per avere il potere ed esilia il fratello maggiore Polinice. Questi attacca Tebe con un potente esercito, ma né l'uno né l'altro l'hanno vinta perché entrambi cadono in battaglia. Il nuovo re di Tebe, Creonte, dichiara che Eteocle sarà sepolto e onorato come eroe, mentre il corpo di Polinice resterà insepolto a decomporsi e preda dei cani, nel disonore. La pena per chiunque proverà a seppellirne il corpo è la morte. Apprendendo questa notizia, un' infuriata Antigone - sorella di Polinice -, nonostante il consiglio prudente dell'altra sorella, più giovane, Ismene, si ostina a pretendere che il corpo del fratello venga sepolto al fine che il suo spirito possa riposare in pace. Antigone contravvenendo al divieto va dunque al campo di battaglia davanti a Tebe, copre di sabbia il corpo di Polinice ed effettua i riti di sepoltura. Si lascia quindi docilmente arrestare da una guardia uscita da Tebe ed insospettita dal sollevarsi della polvere. Una fiera Antigone è portata davanti a Creonte.
C: Di' tu, che il capo chini al suol: confessi d'aver compiuta l'opera, o lo neghi? A: L'ho compiuta: confesso, e non lo nego. C: E in breve tu di', senza ambagi: il bando che vietava di far ciò che facesti, era a te noto? A: Certo. E come ignorarlo? Esso era pubblico. C: E pur la legge vïolare osasti? A: Non Giove a me lanciò simile bando, né la Giustizia, che dimora insieme coi Dèmoni d'Averno, onde altre leggi furono imposte agli uomini; e i tuoi bandi io non credei che tanta forza avessero da far sì che le leggi dei Celesti, non scritte, ed incrollabili, potesse soverchiare un mortal: ché non adesso furon sancite, o ieri: eterne vivono esse; e niuno conosce il dí che nacquero. E vïolarle e renderne ragione ai Numi, non potevo io, per timore d'alcun superbo. Ch'io morir dovessi, ben lo sapevo, e come no?, pur senza l'annuncio tuo. Ma se prima del tempo morrò, guadagno questo io lo considero: per chi vive, com'io vivo, fra tante pene, un guadagno non sarà la morte? Per me, dunque, affrontar tale destino, doglia è da nulla. Ma se l'uomo nato dalla mia madre abbandonato avessi, salma insepolta, allor sì, mi sarei accorata: del resto non m'accoro. Tu dirai che da folle io mi comporto; ma forse di follia m'accusa un folle.
«Voglio dare voce a chi non ha voce, alle nuove schiave che vengono nel nostro Paese pensando di trovare un futuro migliore: è per loro e per tutte noi che faccio appello perché sia riconosciuta la dignità della donna. Di queste schiave siamo sorelle e madri; per noi e per loro dobbiamo dire basta a questo indegno mercato del mondo femminile, a quei diritti umani fondamentali che sono negati». Queste le parole di suor Eugenia Bonetti che dal palco di piazza del Popolo a Roma risuonarono pesanti quando in tutta Italia e nel mondo si tennero un anno fa i cortei di protesta delle donne ‘Se non ora quando?’ per rivendicare la propria dignità. Da allora suor Bonetti è diventata uno dei simboli della società che reclama il diritto alla dignità e al rispetto dei ruoli senza scadere nel torbido giochetto della donna ‘usa e getta’. Per affrontare questo attualissimo tema in un contesto sociale fortemente condizionato dal mito dell’immagine e della bellezza femminile, considerata strumento di piacere, consumo e guadagno, suor Eugenia Bonetti è intervenuta, per la presentazione del libro ‘Spezzare le catene’, mercoledì 7 marzo alle 18.30 nell’auditorium dei Licei Cartesio di Triggiano nell’ambito degli incontri organizzati dal Presidio Cartesio coordinati dalla professoressa Rosella Santoro. Missionaria della Consolata, per ventiquattro anni in Africa, poi alla Caritas di Torino e ora responsabile dell’ufficio “Tratta donne e minori” dell’Unione delle superiore maggiori d’Italia, suor Eugenia Bonetti ha dato modo ai ragazzi intervenuti di riflettere sulla rivoluzione sessuale e sull’evoluzione dei costumi, sul cambiamento del concetto di “comune senso del pudore” e sull’importanza della consapevolezza dei propri meriti
e delle proprie capacità per avere un posto nella società con dignità e rispetto. All’incontro sono intervenuti il sindaco di Triggiano Vincenzo Denicolò ed il sindaco di Valenzano, prof. Luigi Lampignano. Ha Moderato la giornalista della ‘La Gazzetta del Mezzogiorno’ Carmela Formicola.
“Siamo tutti responsabili del disagio umano e sociale che lacera il nostro Paese” e suor Eugenia Bonetti l’ha imparato lottando in prima linea. Viaggiando sulle rotte della prostituzione, dall’Africa all’Italia, ha conosciuto il mondo della notte e ha combattuto contro la legge della strada. Oggi l’assalto alla dignità femminile non si consuma più solo sui marciapiedi: è entrato nei palazzi del potere, nei media e nell’opinione pubblica. Ha nascosto prostitute nei conventi per salvarle dalla strada. Ha parlato all’Onu in qualità di esperta di traffico delle donne. Ha superato un posto di blocco di soldati nigeriani offrendo rosari benedetti dal Papa. Ha collaborato con le
forze di polizia italiane per salvare decine di giovani rapite e vendute e porta ogni settimana aiuto e conforto a quelle recluse nel Cie di Ponte Galeria. Da via Salaria a Roma al quartiere a luci rosse di Amsterdam, si è inoltrata nei luoghi più sordidi del mercato dei corpi. E nel febbraio 2011 ha infiammato Piazza del popolo con il suo discorso alla manifestazione “Se non ora, quando?”. Con Spezzare le catene lancia un appello rivolto a tutti, non solo alle donne: ribelliamoci, riprendiamoci una dignità calpestata dagli scandali, dalla volgarità dei media, dal traffico di esseri umani. La nostra società si sta impoverendo di giorno in giorno: salviamola, e salviamoci.
Il 2 aprile scorso a Capurso, presso la Biblioteca Comunale si è svolto il penultimo incontro organizzato dal Presidio del Libro Cartesio. All’incontro è intervenuto l’autore de “I numeri ribelli”, Pfilibert Schogt, la prof.ssa Santoro, coordinatrice del Presidio, la prof.ssa Nanna, nelle vesti di traduttrice ed il Sindaco di Capurso, Francesco Crudele, per fare gli onori di casa. Claudia Coga, responsabile editoriale della casa editrice Dedalo, ha presentato l’autore. L’incontro è stato molto interessante, come interessante è la trama del libro, il cui protagonista, Isaac Swift, è un matematico. A trentacinque anni non ha ancora sfondato e teme di aver perso ogni possibilità di farcela. L’inutile ricerca di un risultato che lo renda famoso ha finito per mandare in rovina anche la sua vita sentimentale, e la sua esistenza scorre stancamente tra le lezioni e i pochi amici. Le cose cambiano improvvisamente quando Isaac pensa di aver trovato la soluzione a un celebre problema che da quasi due secoli attende una risposta: il problema dei numeri ribelli di Beauregard. Ma, nel momento in cui il successo tanto desiderato sembra finalmente a portata di mano, il suo sogno si trasforma in incubo: Leonard Vale, un ex-insegnante mentalmente instabile che frequenta i suoi corsi, lo accusa di avergli rubato la soluzione. Le ossessioni del suo persecutore porteranno Isaac a fare i conti con le proprie e ad abbracciare finalmente una nuova vita.
Alex vive a Milano. Jenny vive a Melbourne. Hanno sedici anni. Un filo sottile unisce da sempre le loro vite: un dialogo telepatico che permette loro di scambiarsi poche parole e che si verifica senza preavviso, in uno stato di incoscienza. Durante uno di questi attacchi i due ragazzi riescono a darsi un appuntamento. Alex scappa di casa, arriva a Melbourne, sul molo di Altona Beach, il luogo stabilito. Ma Jenny non c’è. I due ragazzi non riescono a trovarsi perché vivono in dimensioni parallele. Nella dimensione in cui vive Jenny, Alex è un altro ragazzo. Nella dimensione in cui vive Alex, Jenny è morta all’età di sei anni. Il Multiverso minaccia di implodere, scomparire. Ma Jenny e Alex devono incontrarsi, attraversare il labirinto delle infinite possibilità. Solo il loro amore può cambiare un destino che si è già avverato. La trama avvincente del romanzo di esordio di Leonardo Patrignani, “Multiversum”, edito da Mondadori, prende le mosse dalla teoria del Multiverso che si contrappone a quello dell’Universo. Il giovane autore ha incontrato la comunità scolastica del Liceo Cartesio il 3 maggio 2012, presentato da tre alunne della classe II D.
Presentazione .................................................................................................3 PARTE PRIMA: VIAGGIO DIGITALE A TORINO Torino: cenni storici ...................................................................................... 4 Borgo medievale ............................................................................................. 6 Il Duomo...........................................................................................................8 La Sindone .......................................................................................................10 Museo Egizio ...................................................................................................12 Museo del Cinema........................................................................................... 14 La Basilica di Superga ................................................................................... 16 Il grande Torino ............................................................................................. 18 Stupinigi ...........................................................................................................20 PARTE SECONDA: LE TAPPE DEL PRESIDIO DEL LIBRO Enaiatollah Akbari ......................................................................................... 24 Paolo di Paolo ...................................................................................................26 Domenico Mogavero ....................................................................................... 28 Giovanni Ziccardi............................................................................................ 30 Domenico Gallo ............................................................................................... 32 Eugenia Bonetti ............................................................................................. 34 Philibert Schogt ............................................................................................. 36 Leonardo Patrignani ....................................................................................... 37