Finanziamento dei partiti politici

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FINANZIAMENTO DEI PARTITI POLITICI

Finanziamento ai partiti/La proposta di Del Pennino e Compagna I parlamentari Del Pennino (Pri) e Compagna (Udc) hanno presentato un disegno di legge che prevede la riduzione del finanziamento pubblico e l'incentivazione dei contributi privati. Questa iniziativa è stata presa mentre continua il dibattito al Senato sulla leggina che ha aumentato di 125 milioni di euro l'anno i rimborsi elettorali e che è stata licenziata dalla Camera la scorsa settimana. "Per ora – come scrive Lorenzo Fuccaro sul Corriere della Sera del 18 luglio - l'unico contrario alla leggina è il repubblicano Antonio Del Pennino. Assieme a Luigi Compagna dell'Udc ieri ha presentato un articolatissimo disegno di legge che punta ad attuare l'articolo 49 della Costituzione. Il loro progetto introduce il riconoscimento giuridico dei partiti e prevede la creazione di una commissione di garanzia che controlli statuti e finanziamenti". "Il Sole 24 Ore" del 18 luglio 2002 commenta: Partiti, finanziamento su base volontaria Dotare i partiti politici di personalità giuridica e delineare una nuova disciplina dei finanziamenti privati e delle detrazioni. Lo prevede il ddl dei senatori Luigi Compagna (Udc) e Antonio Del Pennino (Pri), che introduce una Commissione di garanzia degli statuti e dei finanziamenti ai partiti, con il compito di vigilare sulla democrazia interna ai gruppi politici e sulla legalità delle erogazioni affidate in prevalenza a libere elargizioni detassabili. Le spese elettorali saranno sottoposte a limiti ben definiti, mentre per i rimborsi è prevista la restituzione di un euro per ogni voto ricevuto nella quota proporzionale e di 0,25 euro nei collegi uninominali. "Riteniamo che i partiti politici siano il naturale tramite per l'esercizio della sovranità popolare, come diceva Giovanni Spadolini", hanno sottolineato all'unisono i due senatori. Ma occorre che i partiti superino lo status attuale di associazioni non riconosciute "per consentire un finanziamento volontario della politica, riducendo di conseguenza gli oneri per la finanza pubblica". Lu. Va. Pubblichiamo l'articolo di fondo di Maurizio Marchesi su "Il Giornale" dedicato alla proposta dei senatori Antonio Del Pennino e Luigi Compagna sulla regolamentazione giuridica dei partiti "Eccesso di rimborso" La democrazia ha un costo. E' dunque corretto che le forze politiche vengano finanziate anche con denaro pubblico. Tuttavia, considerati anche i pronunciamenti referendari più recenti sul tema, risulta quantomeno stravagante che ci siano partiti i quali, in base alla legge che aumenta gli stanziamenti, finirebbero con l'ottenere – lo denuncia Mf – un rimborso 81 volte superiore alle spese sostenute per la campagna elettorale. E' il caso dei Ds, che hanno denunciato oneri legati alla campagna elettorale per circa 600.000 euro, e dovrebbero incassare invece, da qui alla fine della legislatura, quasi 50 milioni di euro, cento miliardi circa della vecchie lire. Qualcosa dunque, anzi moltissimo, non torna. E proprio questa evidente contraddizione segnala l'importanza della proposta di legge avanzata in questi giorni da Luigi Compagna e Antonio Del Pennino, che hanno chiesto a tutti i loro colleghi di riflettere sull'opportunità di subordinare


una nuova normativa sul finanziamento pubblico, all'introduzione di norme che finalmente definiscano il ruolo dei partiti politici nel nostro ordinamento, le garanzie da dare agli associati per quanto riguarda il rispetto della democrazia interna e della trasparenza della gestione delle risorse e i criteri, infine, in base ai quali scegliere le candidature nelle diverse tornate elettorali. Ovvero, introducendo elezioni primarie a tutti i livelli. Il tema è quanto mai attuale. La mancanza di uno status giuridico dei partiti, sulla cui opportunità si discusse sin dai tempi della Costituente, sta diventando un'emergenza istituzionale e democratica. E forse lo è sempre stata. Se ci fossero state norme certe su come un partito deve garantire la trasparenza della gestione delle risorse e la correttezza del funzionamento della democrazia al proprio interno, probabilmente si sarebbe evitato il collasso della Prima Repubblica. E se queste norme fossero state adottate dopo quel collasso, non ci troveremmo oggi ad interrogarci sul perché un partito dichiara di spendere un miliardo per la campagna elettorale e si prepara a incassarne cento che dovrebbero essere giustificati come rimborsi elettorali nei bilanci. Bilanci che nella proposta di Del Pennino e Compagna dovrebbero essere rigorosamente verificati da un'autorità indipendente dotata di effettivi poteri. A garanzia degli iscritti dei partiti, che devono sapere come vengono utilizzati tanti denari. E a garanzia, anche, di tutti i cittadini che per il funzionamento dei partiti saranno chiamati a versare mille miliardi delle vecchie lire da qui al 2006. La questione di fondo ancora irrisolta, e che viene prima a nostro avviso del dovere che abbiamo come cittadini (e meglio sarebbe se attraverso contribuzioni volontarie) di concorrere alle spese per il funzionamento della democrazia, resta quella delle garanzie sulla trasparenza dei meccanismi che regolano la vita dei partiti, la scelta delle candidature, la gestione dei fondi pubblici e privati di cui dispongono e soprattutto la definizione di norme che stabiliscano in che modo le forze politiche devono assolvere alla loro funzione di tramite dell'esercizio della sovranità popolare. Una funzione inderogabile, ma a cinquant'anni dall'entrata in vigore della Costituzione repubblicana non ancora regolata da norme di legge, nonostante i molti tentativi fatti nel corso dei decenni. A partire dalla proposta fatta da Luigi Sturzo nel 1958, che chiedeva per i partiti uno status giuridico "per moralizzare la vita pubblica e togliere la grave accusa diretta ai partiti e ai candidati dell'uso indebito del denaro per la campagna elettorale". Fu il vecchio Pci a dare sempre muro contro questa impostazione, sin dai tempi della Costituente, quando Palmiro Togliatti stroncò due ipotesi di regolamentazione per legge dei partiti avanzate da due parlamentari della sinistra, Pietro Mancini e Lelio Basso, con l'argomento che in questo modo sarebbe stato consumato un attentato alla libertà. Lo stesso argomento che fu usato trent'anni dopo da Nilde Iotti, allora presidente della Camera, per respingere al mittente la richiesta del Partito Radicale di garantire controlli più severi sui conti finanziari e sugli assetti patrimoniali dei partiti. E si capisce perché. Poi è finita come è finita. Sarebbe il caso di evitare una replica. 19 luglio 2002

Tutti, ma proprio tutti, non tollerano che l'attuale meccanismo di finanziamento dei partiti politici resti com'è. Sul sito del Corriere campeggia il contatore qui sopra, nelle code alla cassa dei supermarket non si parla di altro, persino Bruno Vespa ha sposato la causa.


In realtà in un sistema democratico evoluto i partiti politici vanno in qualche modo finanziati, o perlomeno rimborsati per alcune voci di spesa. C'è chi non la pensa così, come il vate Grillo. Ma Beppe vuole uscire anche dall'Euro, invita a non pagare le tasse, ormai spesso delira, purtroppo. Un meccanismo equo e trasparente di finanziamento pubblico della politica non sarebbe difficile da progettare. Basterebbero un paio di punti fermi ispirati dall'erogazione dei finanziamenti ai progetti approvati dalla Commissione Europea. Primo: le spese elettorali si rimborsano a rendicontazione, cioè sulla base di quanto effettivamente speso. Sarà necessario definire un tetto prestabilito e, proprio come fa quasi sempre la Commissione di Bruxelles, rimborsare non l'importo totale ma buona parte delle spese sostenute, diciamo il 75-80%. Questo garantirebbe la responsabilità dei partiti, che devono integrare il finanziamento con fondi propri. I fondi dei partiti possono provenire da sottoscrizioni, ricavi di manifestazioni, merchandising, libere donazioni. Secondo: L"attività dei partiti al di fuori delle campagne elettorali viene sostenuta con finanziamenti pubblici calcolati sulla base dei voti ottenuti (anche in ambito regionale e locale) e della rappresentanza parlamentare. Le quantità e i coefficienti sono da definire, ma certo dovranno essere inferiori alle attuali. Ogni anno una agenzia indipendente individuata con gara pubblica fa un audit ai bilanci di tutti i partiti. Preferisco una società privata che vince una gara alla creazione di una ennessima Autorità pubblica di controllo. L'audit, i cui risultati dovranno essere pubblicati, verifica che i fondi assegnati siano stati tutti spesi o impegnati e che il loro utilizzo sia per finalità ammissibili all'attività politica, anche qui sul modello dei progetti europei. Chi non li spende o ci compra diamanti e lingotti li deve restituire e l'anno successivo vede decurtata la quota impropriamente utilizzata dai fondi assegnati. Semplice, no? E annamo!

L'Europa reintroduce il finanziamento pubblico dei partiti che, dopo gli scandali, l'Italia ha abolito con un referendum. Nella bozza del nuovo Trattato sul tavolo del Consiglio Europeo di Nizza e' infatti previsto che i partiti politici europei siano finanziati ricorrendo al bilancio comunitario. Finora erano i partiti nazionali a spesare le attivita' dei gruppi parlamentari che siedono a Strasburgo. Dopo aver spinto per la nascita dei partiti europei, che ha portato alla costituzione del Ppe, del Pse, dei liberaldemocratici dell'Eldr e dei Verdi, ora potrebbero arrivare anche i soldi per il loro funzionamento.

Le regole per definire lo statuto dei partiti transnazionali e del loro finanziamento, secondo il nuovo articolo 191 del Trattato, saranno stabilite in un secondo momento dai ministri degli Esteri della Ue. I capi di Stato e di governo si sono limitati ad affermare il principio e a definire i "paletti". Le nuove disposizioni, si legge, "non implicano alcun trasferimento di competenze alla Comunita' Europea e non incidono sull'applicazione delle regole costituzionali nazionali". E soprattutto si e' chiarito che i "finanziamenti offerti ai partiti europei dal bilancio della Comunita' non potranno in alcun modo essere utilizzati per il finanziamento diretto o indiretto dei partiti nazionali".


Finanziamo liberamente la politica e chiediamo trasparenza, garantendo doverosamente una quota minima di risorse per tutti. Se non si prende atto della inevitabilitĂ del costo della politica e si agisce opportunamente riformando il sistema, si continuerĂ a pagare il prezzo salato della tangente. In questo secondo caso, smettiamola di fingere stupore e indignarci ipocritamente. Non servono effluvi di moralitĂ . Servono riforme.


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