Progetto urbano strategico e competitività delle aree metropolitane

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Francesco Vescovi

PROGETTO URBANO STRATEGICO E COMPETITIVITà DELLE AREE METROPOLITANE

POLITECNICO DI MILANO


Quaderno n° 12 del Dottorato in Architettura, Urbanistica, Conservazione dei luoghi dell’abitare e del paesaggio. Politecnico di Milano Questa pubblicazione presenta una rielaborazione della tesi di Francesco Vescovi svolta all’interno del Dottorato del XVII ciclo, a.a. 2002-2005. ISBN 88-7090-865-8

Collegio dei Docenti: Maria Grazia Folli, coordinatrice Luigia Binda, Maurizio Boriani, Giancarlo Consonni, Pietro Derossi, Marco Dezzi Bardeschi, Massimo Fortis, Cesare Macchi Cassia, Chiara Molina, Vincenzo Petrini, Graziella Tonon, Federico Bucci, Cesare Pellegrini, Mariacristina Giambruno, Orsina Simona Pierini, Lionella Scazzosi, Maria Alessandra Secchi, Matilde Baffa, Giulio Barazzetta, Marco Pozzo, Silvano Tintori.

Progetto grafico: Federico Bucci, Camillo Magni © Copyright dell'Autore Finito di stampare nel mese di giugno 2006 da DigitalPrint Service via Torricelli, 9 – 20090 Segrate (Mi)

Pubblicato a cura di: Libreria CLUP Soc. Coop. Via Ampère 20 20131 Milano tel. 02.70.63.48.28 fax 02.7063.48.33 e-mail: clup@galactica.it Sede legale e amm.va: c.so di P.ta Vittoria 28, 20122 Milano


a mio padre


Ringraziamenti

Vorrei approfittare delle poche righe che seguono per ringraziare tutti coloro, compagni di dottorato, docenti e amici, che mi hanno accompagnato nella stesura della presente ricerca, attraverso preziosi apporti intellettuali e materiali. La mia più profonda gratitudine è naturalmente rivolta al professor Giancarlo Consonni, senza le indicazioni, i suggerimenti e la fiducia del quale difficilmente sarei approdato al presente risultato, i cui tanti limiti e difetti sono evidentemente da ascrivere unicamente al sottoscritto. Sono inoltre molto grato alla professoressa Maria Grazia Folli per aver resa possibile la pubblicazione di questo lavoro e al professor Giulio Rizzo per la sua cortese disponibilità e la sua curiosità verso di esso. Un ringraziamento particolare va anche a Bipin Chapaneri, Amanda Reynolds, Silvia Lazzerini e al resto dello staff della sezione urbanistica della Llewelyn-Davies di Londra per avermi ospitato presso lo studio e assistito con impeccabile diligenza nella ricerca e nella consultazione del vasto materiale di lavoro. Ringrazio anche Elanor Warwick della Cabe per la disponibilità e per le utili pubblicazioni donatemi durante il nostro breve incontro. Ringrazio infinitamente mia madre e Daniela: la prima per avermi permesso, negli anni, di giungere a questo importante traguardo; la seconda per averne sopportate le conseguenze con tutta la pazienza possibile. Ringrazio mio fratello Alessandro per tutto il supporto tecnico e la disponibilità di tempo che è sempre stato pronto a mettermi a disposizione. Ringrazio infine mio padre, che si era generosamente offerto di rileggere i miei scritti per addolcirne i sordi tecnicismi e addomesticarne il lessico, logorato ultimamente da troppe letture in lingua inglese. A lui, imperfetto dei saggi e preziosi miglioramenti che non ha potuto consigliarmi, e però costantemente ispirato ai suoi insegnamenti, è dedicato con amore immenso il mio umile lavoro.

F.V.


Prefazione di Giancarlo Consonni

In Italia la crisi del piano regolatore non è riconducibile solo all’affermarsi del «piano per progetti» o, più in generale, al liberismo sovvertitore di ogni regola in economia come nella trasformazione del territorio e dei luoghi. C’è anche un limite culturale per cui questo strumento cardine della pianificazione urbanistica è diventato inadeguato ai nuovi compiti di governo del territorio. Il piano regolatore consisteva essenzialmente nella messa a punto di un supporto infrastrutturale e nella conseguente definizione della destinazione funzionale delle aree (zoning) e dei rispettivi indici volumetrici. Questa impostazione, di matrice taylorista-fordista, oggi meno che mai offre alla pubblica amministrazione gli strumenti atti a contrastare lo sfarsi delle città e il degrado dei paesaggi. Non solo perché, di fronte all’aumento dell’aggressione alla città e al territorio, l’azione meramente vincolistica si è dimostrata incapace di fare da argine, ma anche perché vale la formula per cui la miglior difesa è l’attacco: occorre che la pubblica amministrazione assuma un ruolo attivo nella conservazione e nella trasformazione perseguendo strategie complesse volte alla difesa e al rilancio della città e alla valorizzazione delle potenzialità dei contesti territoriali. Si sa: il marketing urbano suscita entusiasmi non meno che ripulse. Si tratta di risposte emotive, entrambe fuori luogo. Se una disciplina giovane come questa fosse intesa essenzialmente come quell’insieme di saperi, di tecniche e di pratiche volte ad attrezzare la pubblica amministrazione e i soggetti correlati alla difesa e al rilancio della città come modo essenziale e irrinunciabile della convivenza civile, le prese di posizione si decanterebbero e si eviterebbero molti fraintendimenti. Certo: a portare alla ribalta il marketing urbano è la questione della com-


petizione fra contesti territoriali. Ma anche su questo è bene intendersi. Oggi il pianeta è un campo di forze dominato da un sistema di metropoli mondiali, gerarchicamente strutturato. La competizione che un tempo era fra città, adesso è fra metropoli. Ma con una differenza sostanziale. Mentre la competizione fra città è stata un motore della civilizzazione, quella fra metropoli appare in un certo senso fine a se stessa. Ogni città era impegnata a primeggiare non solo nel campo dell’economia e della produzione ma anche, se non soprattutto, in termini di civiltà e di bellezza. Le città erano spinte a dimostrare il proprio valore facendosi scrigno di opere d’arte e opere d’arte esse stesse. La competizione fra le metropoli sembra invece porsi eminentemente sul terreno dell’economia. Contano, oltre all’efficace combinazione dei fattori economici, innovazione ed efficienza; ma non meno decisivi sono il dominio dei mercati finanziari e la capacità di attrarre i centri di decisione delle grandi holding che governano i flussi produttivi e i rapporti con i mercati finali. Non mancano però esperienze di ben altro respiro che dimostrano come investire sulla qualità urbana dei luoghi offra potenzialità ulteriori anche sul piano economico. Sono esperienze di tale rilevanza che per l’Europa negli ultimi trent’anni è possibile parlare di un vero e proprio Rinascimento urbano. A fare da apripista è stata Barcellona, seguita da diverse altre città del centro e del nord Europa. In queste esperienze si rivalutano obiettivi non immediatamente riconducibili al campo economico: la qualità della vita, la vivacità culturale, la qualità degli spazi aperti pubblici, l’urbanità. Assistiamo in definitiva a un movimento che tende a riportare in equilibrio città e metropoli. La ricerca di Francesco Vescovi si muove con intelligenza e senso dell’orientamento in questa materia complessa, a partire dalla trattazione di casi studio particolarmente significativi. Lo scopo che egli si è prefisso è di importare nel campo dell’urbanistica, del disegno urbano e dello stesso progetto architettonico questioni e strumenti che non appartengono alla loro tradizione ma che sono indispensabili per attrezzare il progetto dell’ambiente fisico a far fronte alla forza disarticolante della metropoli contemporanea e per ritrovare un futuro all’urbanità. I risultati sono più che confortanti.


Indice

9 Premessa 21 Capitolo 1. Strategie di riqualificazione 1. Lo spazio pubblico come strumento di riqualificazione 2. Principali effetti economici del progetto degli spazi pubblici 3. Alcuni metodi di analisi integrata 4. Modalità di intervento e principi progettuali 5. Altri elementi del progetto e politiche integrate 85 Capitolo 2. Strategie di trasformazione 1. Introduzione: i casi di Birmingham e Bilbao 2. Birmingham: la qualità urbana e architettonica come strategia di rigenerazione 3. Brindleyplace, Birmingham: gli spazi pubblici come strumento di marketing urbano 4. Birmingham e Brindleyplace: conclusioni 5. Bilbao: una strategia a scala regionale e metropolitana 6. Bilbao Ría 2000: dall’area metropolitana al quartiere 7. Bilbao: conclusioni 149 Capitolo 3. Aspetti spaziali delle strategie urbane in chiave competitiva 1. Analogie e particolarità dei metodi di intervento 2. Il progetto reticolare e flessibile: alcuni principi progettuali 3. Marketing urbano e marketing turistico 201 Capitolo 4. Conclusioni: limiti e risorse del progetto urbano strategico 1. Competitività metropolitana e qualità del disegno urbano: un binomio possibile? 2. Elementi di disegno strategico adottati dalle città imprenditoriali 3. L’approccio strategico al progetto: nuove responsabilità e competenze per l’architetto 215 Glossario 221 Bibliografia



Premessa

«Abbiamo avuto la città postfascista e postnazista; abbiamo avuto la città postcomunista. In futuro avremo la città postcapitalista, in cui le esigenze degli uomini prevarranno sulle leggi di mercato» Lewis Mumford

Il celebre saggio di Hans Bernoulli (1951) La città e il suolo urbano si apre, nella sua premessa, con l’amara constatazione della distanza esistente tra le teorie architettoniche più famose, seducenti e diffuse presso le accademie europee, e lo stato di fatto, culturale e normativo, che nella realtà ne mina alla radice ogni concretezza. A tarpare le ali all’anelito riformista e innovatore degli studenti di architettura era allora la condizione legislativa del regime fondiario urbano. Oggi si può riscontrare uno scollamento analogo tra la ricerca urbanistica e architettonica da un lato e la corrente pratica edilizia e di trasformazione urbana dall’altro, il cui orizzonte operativo è segnato in modo particolare da un paio di questioni fondamentali. Si assiste quasi ovunque alla sempre minore partecipazione di finanziamenti pubblici nelle opere di trasformazione ed espansione delle aree urbane, con la conseguente esigenza di chiari strumenti di mediazione tra gli interessi collettivi espressi dalle istituzioni e le regole del mercato che presiedono all’operato dei grandi investitori privati. Allo stesso tempo si avverte la necessità, attraverso nuove trasformazioni – in modo particolare tramite episodi di rigenerazione urbana –, di un’armatura economica sostenibile, aggiornata e competitiva non solo rispetto al contesto metropolitano, regionale o nazionale ma anche, e in maggiore misura, nei confronti di ambiti territoriali esteri. Questi due punti, che sollevano questioni specifiche, sono in realtà intimamente correlati: l’assimilazione dei luoghi a prodotti da promuovere o vendere sulla piazza internazionale è molto spesso dettata dal tentativo di catturare l’interesse degli investitori privati, i cui capitali, a fronte di un impegno minimo di quelli pubblici, risultano ormai indispensabili per qualsiasi politica


di sviluppo locale, o anche solo di mantenimento. Tale dinamica costituisce così in diversi casi il motore principale di ingenti opere di ammodernamento del tessuto urbano (nelle sue componenti economiche, sociali e fisiche), di cui è però necessario fissare con estrema chiarezza gli obiettivi e le modalità attuative affinché le necessità strutturali e funzionali ad esse correlate non vadano a detrimento dell’identità dei luoghi e della qualità dell’abitare, ma contribuiscano, al contrario, al loro innalzamento. L’osservazione di questi importanti processi di trasformazione urbana dal punto di vista del disegno architettonico e urbanistico risulta molto spesso frammentata in una miriade di pubblicazioni e di articoli riguardanti singole realizzazioni e progetti specifici. L’analisi del quadro d’insieme di queste operazioni sembra per lo più appannaggio di discipline economiche, sociali o, più recentemente, legate alla pianificazione urbana1. Il fatto è da imputare anche al ritardo con cui l’Italia ha reagito, rispetto ad altri paesi come Francia e Inghilterra, alle nuove sfide della competizione interterritoriale e ai fenomeni della dismissione industriale, istituendo strumenti di intervento incompleti e approssimati che in diversi casi hanno rese possibili e incentivato speculazioni immobiliari prive di qualsiasi prospettiva strategica, quando non apportatrici di danni irreparabili. A questo si aggiunge anche una certa diffidenza e ostilità – sicuramente non priva di motivazioni – di una parte del mondo accademico verso le dinamiche del mercato immobiliare. Anche da questi motivi deriva l’inerzia del dibattito circa la necessità e l’efficacia di indirizzare una parte della ricerca relativa al progetto architettonico e urbano verso le istanze di competitività dettate dal panorama produttivo internazionale e locale e dal mercato immobiliare. Poiché la programmazione degli interventi di trasformazione del territorio è sempre più affidata a nuove metodologie, come quelle derivate dal marketing aziendale, le discipline tradizionalmente deputate al disegno dei luoghi sono poste di fronte al problema di verificare il grado di attualità e di efficacia dei propri strumenti e il livello di autorevolezza di cui dispongono o potrebbero disporre in seno ai processi decisionali. La presente ricerca è stata motivata dalla convinzione che le modalità di definizione spaziale e architettonica dei luoghi non solo costituiscano una parte integrante delle strategie dirette alla competitività ma che anzi assicu10


rino anche un differenziale importante in termini qualitativi e un contributo alla valorizzazione e alla migliore distribuzione dei vantaggi ricercati anche all’interno di un sistema economico basato sul libero mercato. Più che la restituzione di un quadro complessivo della disciplina del marketing urbano – ancora oggi soggetta a diversi tipi di interpretazione connessi alla relativa novità e varietà degli argomenti che la compongono –, lo studio è stato inteso innanzitutto come un tentativo di porre in luce, in un territorio di ricerca ancora scarsamente esplorato, le principali connessioni esistenti tra gli aspetti di ordine economico e pianificatorio e quelli progettuali più propriamente urbanistici e architettonici. Si è ritenuto di distinguere e studiare questi ultimi secondo due categorie di intervento: quelli operanti prevalentemente tramite la riqualificazione – o «qualificazione»2 – dei distretti commerciali urbani, e quelli che agiscono soprattutto trasformando e convertendo parti dismesse delle città. I due differenti approcci, seppure non siano da considerarsi alternativi ma si fondino anzi molto spesso nell’ambito di una stessa strategia, sollevano problemi progettuali piuttosto specifici e generalmente coinvolgono attori, modalità di gestione e apporti disciplinari diversi. Si è scelto inoltre di prendere in considerazione prevalentemente la dimensione urbana del marketing territoriale, ritenuta più interessante per affrontare alcuni nodi importanti del disegno dei luoghi dell’abitare contemporaneo. I casi studio sono stati così selezionati sulla base di alcuni requisiti principali: – la non dipendenza delle realizzazioni da eventi e finanziamenti eccezionali come Expo, giochi olimpici o altre ricorrenze specifiche di caratura nazionale e internazionale; – l’esemplarità delle soluzioni e degli strumenti progettuali secondo condizioni ambientali e scale diverse di riferimento; – la minore celebrità di alcuni aspetti progettuali; – la reperibilità della documentazione (soprattutto in lingua italiana o inglese). Mentre alcuni esempi, ritenuti più significativi, sono stati studiati a tutto tondo, altri sono stati considerati in modo parziale, ponendo in rilievo principalmente gli aspetti più utili alla verifica delle ipotesi preliminari. La scelta di non considerare episodi di marketing urbano legati a manifesta11


zioni internazionali di enorme portata finanziaria e mediatica – i cosiddetti hallmark events – è stata dettata dalla volontà di affrontare il tema della competitività secondo un principio di generalità, privilegiando situazioni più feconde per le implicazioni generali e per la loro esemplarità. Sul ruolo delle aree urbane nella competizione per l’attrazione di nuove risorse, in particolare gli investimenti diretti esteri, è stato scritto molto. Non esiste studio sui temi del marketing urbano e territoriale o di economia urbana che non sia introdotto da un quadro della nuova economia di mercato mondiale nel quale si muovono gli interessi delle aree urbane3. L’internazionalizzazione dei processi e dei sistemi economici e la crescente integrazione tra i diversi Paesi in seno a vasti organismi di coordinamento e vigilanza di ordine superiore, come l’Unione Europea, hanno portato a un forte ridimensionamento del controllo nazionale nella gestione delle strutture produttive del territorio e, soprattutto, del loro mercato di riferimento. In tale mutato contesto, le regioni, e in particolare i capoluoghi metropolitani, si sono così ritrovati a dover governare con elevati margini di autonomia il proprio sviluppo economico e sociale nell’arena del mercato mondiale. La competizione spinge le pubbliche amministrazioni a rivedere il proprio ruolo, trasformandolo da regolatore e gestionale a imprenditoriale. Anzi, si potrebbe affermare che lo stesso concetto di «imprenditorialismo urbano» (Urban Entrepreneurialism) descritto da David Harvey (1989) e da Tim Hall e Phil Hubbard (1998), coincida con la filosofia stessa del marketing territoriale, ovvero di quella prospettiva “proattiva” sollecitata in modo particolare dal nuovo corso del governo britannico. Kevin Cox (1993, 1995) definisce invece tale approccio «Nuova Politica Urbana» (New Urban Politics), ove alle città sono prospettate due strategie complementari: il perseguimento di una attrattività di tipo economico finanziario e/o un programma di riqualificazione della forma urbanistica e architettonica (Gospodini, 2003; Boyle e Rogerson, 2001). Il nuovo ruolo richiede il coordinamento, in vista di un’efficienza complessiva e di razionalizzazione dei costi, dei settori amministrativi e degli enti preposti al governo del territorio. Svolgendo una ricognizione delle principali politiche territoriali di alcune città europee, si possono riscontrare numerosi fattori comuni e, seppu12


re nella specificità e diversità dei soggetti coinvolti, si nota una sostanziale convergenza di intenti e metodi verso modelli di sviluppo che sembrano meglio rispondere alle opportunità fornite dal nuovo quadro economico globale. Questo, nel contesto occidentale ed europeo, comporta il consolidamento o lo sviluppo di un’economia industriale di massa principalmente basata sulla erogazione di servizi, mentre la selezione darwiniana operata dalle leggi del nuovo mercato globale ha premiato i comparti produttivi a più alto contenuto di innovazione tecnologica – più difficilmente esportabili nei paesi meno ricchi per via degli ingenti finanziamenti coinvolti e dell’alto livello di qualificazione (con relativo potere contrattuale) della forza lavoro impiegata –, o caratterizzati da un’estrema flessibilità dei processi produttivi e da snelle strutture gestionali. Nonostante il passaggio a un’economia di tipo postfordista abbia in molti casi lasciato sul terreno vaste aree dismesse di luoghi del lavoro ormai obsoleti, la struttura e l’infrastruttura metropolitana del territorio che si sono consolidate nel dopoguerra costituiscono tuttora lo scheletro e il sistema di accessibilità imprescindibili dei nuovi apparati produttivi. La nuova intensità degli scambi di informazione non solo ha fatto di molte importanti aree urbane i nodi principali di una rete economica di tipo internazionale e transnazionale (Sassen, 1997), rendendole il fulcro di più ampi sistemi regionali e transregionali (Parkinson et al., 2004), ma ha anche permesso a nodi che fino a qualche decennio fa erano di scarsa importanza di acquisire posizioni di rilievo nella gerarchia internazionale. Le trasformazioni delle aree urbane a cui possiamo assistere negli ultimi due decenni fanno dunque principalmente riferimento a tre livelli: locale, metropolitano e globale. Nonostante la predominanza dell’ultimo di essi come principale motore e principio di selezione dei processi in atto, risulta ancora evidente la forte dimensione locale di molte trasformazioni. Per quanto le forze in campo e l’orizzonte di riferimento non possano che essere, come appena accennato, di tipo metropolitano, i cambiamenti analizzati e maggiormente riscontrabili sotto il profilo progettuale sono spesso riferiti al cuore urbano e primigenio dell’area metropolitana. Anche il mercato immobiliare europeo si caratterizza per una crescente attenzione da parte degli operatori verso le occasioni che si prospettano al di fuori dei propri confini nazionali. La presenza di grandi capitali 13


in cerca di investimenti solidi, come ad esempio i fondi pensionistici, sviluppa una vastissima offerta da parte di molte aree urbane metropolitane4, le quali, svincolate dal controllo nazionale e proiettate così all’interno di un mercato internazionale fortemente competitivo, sono soggette su larga scala a dinamiche molto simili a quelle osservabili solitamente nei mercati fondiari urbani. Si viene pertanto a configurare, a livello continentale, una gerarchia di città in relazione alle prospettive di sviluppo dei mercati e dei sistemi economici locali. Un rapporto della commissione europea del 1992 (CEC, 1992) distingue, all’interno del vecchio continente, tra «città dell’antica area centrale», «città del nuovo centro in espansione» e «città periferiche» (Gospodini, 2002). Così, proprio come in un mercato fondiario urbano, mentre alcune metropoli, come per esempio Milano, possono avvantaggiarsi di una rendita di posizione derivante loro dalla maggiore solidità della propria condizione economica e infrastrutturale, altre aree urbane marginali o in prospettiva di declino, come nel caso torinese, si ritrovano costrette a elaborare strategie di riposizionamento e di attrazione di nuove risorse. La «città attrattiva» (Van der Berg L., van der Meer J. e Otgaar A., 1999) agisce su tre fronti principali: 1. l’attrattività come luogo dell’abitare, attraverso la qualità e accessibilità dei servizi, della vita sociale e culturale e dell’ambiente naturale; 2. l’attrattività come sede di attività economiche, attraverso la qualità della forza lavoro, dei servizi all’impresa, delle infrastrutture e della posizione rispetto ai principali centri del mercato internazionale; 3. l’attrattività nei confronti di visitatori e turisti, attraverso il numero e la qualità degli elementi turistici primari (musei, monumenti, eventi, ecc.) e secondari (alberghi, aree commerciali, centri congressi, ecc.). In questo nuovo contesto anche le strategie di valorizzazione turistica, considerate a diverse scale di riferimento, sembrano costituire un modello per l’approccio progettuale in chiave di marketing. I piani strategici e le opere di riconversione urbanistica infatti, elaborati dalle città con l’obiettivo primario di attrarre, consolidare o incrementare finanziamenti e posti di lavoro, agiscono con una prospettiva e una metodologia analoghe a quelle con cui la pianificazione e la progettazione in chiave turistica intendono attrarre, consolidare o incrementare il numero di visitatori. 14


In questo caso l’osservazione di Franco Corsico (1994: 60) circa la minore ricchezza del termine “utente” rispetto al concetto di “cittadino”, per altri versi assolutamente condivisibile, non pare tuttavia essere particolarmente adeguata a definire la vasta gamma di quanti – cittadini, city user, turisti, flâneurs 5 – vivono e frequentano la città contemporanea e a cui è indirizzata l’offerta urbana dei nuovi interventi. Questi infatti sono rivolti sempre meno ai bisogni del “cittadino” in senso stretto e della comunità locale, che ne fruiscono semmai di riflesso o comunque in quanto sottoinsieme di una comunità più vasta e di profilo internazionale. Quest’ultima costituisce – o si pretende/auspica che costituisca – la vera domanda di riferimento. Per quanto costantemente minata dalla effimera superficialità tipica del mercato di consumo di massa, l’ospitalità dei luoghi (Consonni, 1994), annoverabile tra i principali fattori che condizionano le nuove scelte localizzative di aziende e persone (Van der Berg L., van der Meer J. e Otgaar A., 1999), sembra essere diventata un principio progettuale prioritario anche nelle strategie di marketing territoriale. Uno dei principali pericoli di questo tipo di visione è che il progetto dei luoghi possa venire interpretato e agire come un filtro economico in favore della comunità mondiale a più alto reddito a cui idealmente si rivolge e che la qualità, sempre indicata come elemento indispensabile nella letteratura specializzata, divenga in realtà prerogativa unicamente di chi se la può permettere. A tale conclusione giunge il gruppo di ricerca dell’Urspic6, attraverso l’approfondimento di diversi casi studio europei. Le città in cerca di un nuovo posizionamento nella gerarchia interregionale o di un nuovo sistema produttivo di riferimento si trovano infatti a fronteggiare una forbice crescente fra le trasformazioni fisiche e strutturali del corpo della città (plasmato in risposta ai requisiti di competitività imposti dal mercato e dai capitali internazionali) e l’inerzia di vasti strati della cittadinanza ancora legati, per cultura e competenze, al vecchio sistema in via di smantellamento. Questo in genere si traduce in politiche operanti su due livelli: uno incentrato sull’innovazione e il potenziamento dei sistemi economici locali, l’altro sul recupero, la formazione e l’aggiornamento professionale della popolazione attiva. Talvolta vengono anche intraprese delle politiche di tipo perequativo, miranti cioè a ridistribuire in modo più equo e capillare i vantaggi con15


centrati nei punti di maggiore investimento da parte di istituzioni e privati. Ma il processo incontra difficoltà a causa del divario temporale che si apre inevitabilmente tra le politiche di trasformazione fisica del territorio, solitamente di più lenta realizzazione, e quelle di natura socioeconomica, attuabili e riscontrabili generalmente in minor tempo. Il ritmo da seguire è dettato, su entrambi i fronti, dall’andamento accelerato e alquanto imprevedibile del mercato globale. In quest’ottica, fra le definizioni di competitività, la più pregnante è parsa a chi scrive quella fornita dallo studio Competitive European Cities: Where do the Core Cities Stand? (Parkinson et al., 2004), a proposito della situazione delle aree urbane inglesi nella gerarchia delle città europee7, dove la competitività urbana viene definita, rifacendosi a Micheal Storper (1997), come l’abilità di un’economia di attrarre e conservare aziende con quote di mercato stabili o in crescita mantenendo nel contempo invariato, oppure aumentando, lo standard di vita di coloro che vi partecipano. Questa prospettiva, arricchita da una considerazione sulla sostenibilità del sistema, sembra in effetti maggiormente completa e moderna di quella più classica, di matrice aziendale, che ne limita la portata. Nella definizione di competitività di quest’ultima, in maniera quasi autoreferenziale, viene infatti considerata solamente la capacità di acquisire e potenziare risorse per il continuo sviluppo dell’impresa (Caroli, 1999: 29), assumendo implicitamente che tale prosperità economica sia un bene di per sé a prescindere dalla misura e dal modo in cui i vantaggi o le ricadute negative – le economie e diseconomie esterne – si riverberano nel contesto sociale e ambientale8. Stabiliti attraverso analisi e confronti con operazioni di benchmarking i fattori di successo delle aree urbane, di tipo tangibile e intangibile, la metodologia del marketing urbano prosegue quindi analizzando la situazione di fatto e quella potenziale delle città in esame. Così, ricorrendo molto spesso a una matrice di tipo Swot (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats: punti di forza e di debolezza, opportunità e rischi), vengono identificati strumenti e obiettivi specifici e locali in funzione dei quali sarà poi possibile progettare e attuare le operazioni necessarie a modificare o conformare l’«offerta territoriale». In genere le politiche così attuate si distinguono in due tipi prevalen16


ti: le azioni di marketing interno e le azioni di marketing esterno (Valdani e Ancarani, 2000). Le prime sono rivolte primariamente a trattenere le risorse già attive sul territorio rafforzando la fiducia degli operatori economici, evitando che lo abbandonino, come le tecnologie e i vantaggi economici connessi al mercato globale consentono oggi di fare con una relativa semplicità; le seconde invece hanno lo scopo di attrarre nuove risorse, assicurando le condizioni che ne permettano non solo la dislocazione ma anche, e soprattutto, la migliore connessione possibile con il sistema economico locale così da favorirne lo sviluppo (Caroli, 1999). A questo scopo le numerose azioni in programma vengono coordinate generalmente da agenzie territoriali appositamente costituite. Italo Talia (1998) individua nel processo attuativo quattro assi strategici principali ricorrenti: l’«image marketing»; la valorizzazione delle attrazioni; le infrastrutture; le persone (il milieu locale9). Leo Van der Berg, Jans van der Meer e Alexander Otgaar (1999) hanno identificato i seguenti sette fattori di successo comuni ai migliori esempi europei di politiche di rigenerazione urbana mirate all’attrazione di risorse: 1. la qualità degli interventi, specialmente degli spazi pubblici; 2. la varietà delle funzioni, in particolare di quella residenziale all’interno di nuovi interventi a carattere terziario; 3. le infrastrutture di trasporto, per assicurare l’accessibilità a diverse scale, dentro e tra le città (soprattutto nel caso di uno sviluppo inteso in modo policentrico); 4. strategia e vision, fattori fondamentali per il perseguimento di un obiettivo chiaro e condiviso, indispensabili per formare un piano che sia al tempo stesso sicuro e flessibile (la flessibilità è permessa dalla sicurezza di tempi e obiettivi mentre la sicurezza è garantita dalla flessibilità del piano rispetto alle contingenze del mercato); 5. la concertazione tra gli attori coinvolti, pubblici e privati; 6. il supporto politico e finanziario da parte dei vari livelli della programmazione e pianificazione; 7. la leadership della classe politica per assicurare la continuità del piano. Gli ultimi quattro fattori, in particolare, contribuiscono in maniera decisiva a formare la «capacità organizzativa» (Organizing Capacity: OC) delle 17


metropoli, vale a dire l’abilità di riuscire a compendiare in una visione concreta, unitaria e condivisa, attraverso processi di partecipazione e sintesi, le esigenze e gli obiettivi variegati ed eterogenei dei numerosi attori che agiscono nel territorio (Van den Berg, Braun, van der Meer, 1997). L’incremento delle capacità competitive di una città implica l’adeguamento dell’assetto fisico e della struttura socioeconomica alla domanda dei nuovi settori produttivi e dei sistemi finanziari. Naturalmente la ricaduta in termini spaziali delle politiche di marketing urbano intraprese dalle varie città è proporzionale al grado di partecipazione di queste ultime alle dinamiche del mercato globale. Tuttavia anche in aree urbane di dimensioni minori, come nel caso di diverse cittadine inglesi, si notano delle azioni volte all’incremento dell’attrattività dei luoghi. Rispetto alle politiche di intervento sui cosiddetti beni tangibili dell’offerta urbana è possibile identificare due categorie di progetti urbani strategici, sebbene il confine reciproco sia in realtà alquanto sfumato e non si debbano considerare necessariamente in alternativa: – quelli indirizzati soprattutto alla riqualificazione e alla valorizzazione dei centri commerciali urbani (altrimenti anche detti di «urbanistica commerciale»10); – quelli diretti alla trasformazione (anche tramite riqualificazione) di ampi settori urbani in base alla politica scelta per il loro «riposizionamento». Le strategie più consuete in questo senso sono quelle miranti a «porre la città sulla mappa» attraverso grandi interventi di forte impatto mediatico, nei quali il formalismo architettonico si sposa all’ostentazione delle potenzialità della tecnologia ed è utilizzato come scorciatoia per il conseguimento del successo economico. Entrambi i casi richiedono comunque l’osservanza di particolari accorgimenti e principi progettuali in grado di integrarsi con altri saperi disciplinari. La dimensione gestionale del processo attuativo condiziona infatti alla radice molte soluzioni spaziali e rende quindi necessario un gran numero di competenze diverse per gestire i vari aspetti che condizionano le scelte di piano. In particolare l’analisi di diversi casi studio europei evidenzia il carattere “reticolare” di molte strategie. Il progetto complessivo viene cioè condotto in modo flessibile per punti o per cluster tra loro connessi in funzione delle necessità e possibilità finanziarie e dei diversi obiettivi di svilup18


po. Così nella definizione progettuale a carattere strategico rientrano anche considerazioni imprescindibili rispetto ai tempi, alle priorità e alle responsabilità di attuazione. Un tale approccio, se non attentamente controllato da una vigile e sapiente pratica progettuale, ha come conseguenza l’erosione del carattere dei luoghi e la loro frammentazione: viene meno la concertazione degli strumenti, con i solisti incapaci di suonare la sinfonia della città (Tonon, 1998).

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Si vedano ad esempio le ricerche curate da Corinna Morandi (1994; 1998, con Paola Pucci), e da alcuni ricercatori torinesi, come Gastone Ave, che hanno portato il marketing urbano all’attenzione delle discipline urbanistiche. Rispetto all'approccio più strettamente pianificatorio costituiscono un'eccezione, nel nostro contesto nazionale, gli studi condotti sulla riqualificazione dei centri storici da Igino Rossi, del Politecnico di Milano fino alla recentissima istituzione, da parte del professor Gianfranco Moras, di un Laboratorio di progettazione urbanistica prevalentemente incentrato su questi temi. 2 Il termine, proposto da Gianfranco Moras, Giovanna Codato ed Elena Franco (2004: 15), pone particolare risalto al potenziale qualitativo già presente nei luoghi di intervento. 3 È il caso per esempio delle diverse pubblicazioni curate da Leo Van der Berg (1997; 1999). Si vedano inoltre, tra i molti, Jensen-Butler, Shachar e Van Weesep (1997); Sassen (1997; 1997a) e anche Lever e Bailly (1996). 4 È indicativa a questo proposito l’istituzione a Milano della fiera sulla città, giunta ormai (2005) alla sua terza edizione e, ancora più significativa la sostituzione, nell’organizzazione dell’impianto espositivo fieristico, della sezione «Urbanistica» (prima edizione 2001) con quella del «Marketing Territoriale» (seconda edizione 2003). 5

Per una definizione e un approfondimento di queste categorie si rimanda al saggio di Giampaolo Nuvolati (2002). 6 Urspic: Urban Restructuring and Social Polarization in the City. Si tratta di un progetto di ricerca socioeconomica promosso dalla Comunità Europea nella seconda metà degli anni Novanta (Moulaert, Rodríguez e Swyngedouw, 2003). 7 Le classifiche delle città, come quelle redatte annualmente dalla Cushman & Wakefield Healey & Baker e da Legambiente, se un tempo erano considerate indicative di un quadro generale, anche perché non sufficientemente scientifiche nell’approccio o comunque parziali rispetto a una serie di altre possibili metodologie analitiche (Nuvolati, 1998), oggi riscuotono sempre maggiore attenzione suscitando dibattiti molto accesi sul concetto di competitività, sempre attuale, e di qualità e di sostenibilità ambientale. In realtà sembrerebbe che per certi versi i due aspetti comincino a convergere verso un modello di sintesi (cfr. anche Costa e Van der Borg, 2002). 8 Anche nell'interpretazione del concetto di competitività derivato da Storper, tuttavia, la metodologia proposta dal documento inglese delle Core Cities per il controllo del livello di competitività rimane comunque impostata intorno ai medesimi principi derivati dal marketing aziendale. Lo studio, sulla base di un sondaggio effettuato a cura di Eurocities presso ricercatori e policy maker di trenta città europee, giunge a distinguere due tipi di fattori: – Fattori critici, la cui presenza si è dimostrata in tutti i casi un elemento ricorrente e in-

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dispensabile: innovazione di aziende e organizzazioni; forza lavoro competente; connessione interna ed esterna; diversità della base economica; capacità di formulare decisioni strategiche. – Fattori ambigui, la cui presenza non ha portato a conclusioni certe circa l’effettiva determinazione di vantaggi competitivi: strutture fieristiche; un centro cittadino di rilievo; infrastrutture culturali; residenza di qualità; incentivi fiscali; politiche nazionali; una eccellente reputazione per l’attenzione all’ambiente; una reputazione per l’efficienza dei servizi e della governance. Viene infine operata una selezione e una sintesi dei due gruppi enucleandone i seguenti fattori finali: diversità economica; forza lavoro competente; connessione interna ed esterna; capacità strategica di mobilitare e attuare strategie di sviluppo a lungo termine; innovazione di aziende e organizzazioni; qualità della vita sotto l’aspetto sociale, culturale e ambientale. 9 Espressione mutuata da Giuseppe Dematteis (cfr. Dematteis, 1994). 10 Un’altra definizione interessante per le operazioni di riqualificazione dei centri storici è quella offerta da Franco Mellano (Mellano et al., 2000: 95): «rinnovo urbano strategico».


Capitolo 1 Strategie di riqualificazione

1.1 Lo spazio pubblico come strumento di riqualificazione La principale differenza che si riscontra sovente nella saggistica e nella manualistica intorno al progetto degli spazi pubblici prodotta in Italia rispetto a quanto proviene da altri paesi come Inghilterra, Germania o Stati Uniti consiste nella carenza di una visione allargata ed “extra–architettonica” del tema1, spesso ridotto a mera descrizione delle opere progettuali più diffuse internazionalmente al di fuori di qualsiasi considerazione generale circa il loro ruolo e la loro portata in un quadro strategico complessivo. Mentre ad esempio i vantaggi anche economici della totale o parziale chiusura al traffico di strade o aree urbane sono stati ampiamente analizzati e dimostrati da diversi studi internazionali2, in Italia si stenta ancora a considerare la pedonalizzazione e la riqualificazione degli spazi pubblici come uno strumento fondamentale per la rivitalizzazione del tessuto fisico, sociale ed economico delle città. La grave carenza di ricerche e rilevazioni in questo senso mette spesso sotto scacco le pubbliche amministrazioni rispetto alle proteste e ai timori espressi quasi immancabilmente dagli esercenti delle zone interessate dai progetti di riqualificazione. È paradossale che a opporsi a tali iniziative siano le categorie che generalmente ne sono le maggiori beneficiarie. Si tratta probabilmente di una questione culturale, derivante soprattutto per quanto riguarda l’Italia dal peso politico e dalla tendenza conservatrice della categoria (Pellegrini, 2001), e dalla mancanza di informazione – e di formazione – rispetto al tema. Ogni cambiamento potenzialmente nocivo, se non accompagnato dalle necessarie garanzie di strumenti adeguati al suo controllo, incontra inevitabili resistenze. 21


Analogamente è assai raro che venga prodotta qualche seria azione di verifica nei luoghi trasformati da progetti di disegno urbano per sondare in quale misura abbiano saputo rispondere alle attese in termini di qualità ambientale, possibilità dei modi d'uso o di incremento delle attività economiche. Il successo o l’insuccesso di una strada o di una piazza sottoposte a progetti di riqualificazione sono in Italia molto spesso misurati, quando ciò avviene, attraverso gli apprezzamenti o le proteste raccolte dalla stampa tra negozianti, cittadini ed esperti, nel dubbio, quasi sempre, che ogni giudizio non possa che essere comunque partigiano, limitato e soggettivo. Del resto, come già trent’anni fa constatavano Roberto Brambilla e Gianni Longo (1977), la pedonalizzazione delle strade in Europa è stata praticata maggiormente in funzione della mobilità, della qualità ambientale e della conservazione del patrimonio storico–artistico dei centri storici piuttosto che come strumento di rivitalizzazione economica. Al contrario, negli Stati Uniti, dove i primi due aspetti hanno una portata evidentemente minore, risulta prioritaria la reazione al decadimento delle attività commerciali, terziarie e produttive nelle aree urbane centrali – nonché della base imponibile che queste comportano – dovuta alla concorrenza dei centri commerciali e dei Business Park suburbani (Smith, Joncas e Parrish,1996: 1-2). La diffusione di modelli di sviluppo analoghi anche nel nostro continente ha spinto però diverse nazioni europee già da più di un ventennio ad affrontare gli stessi effetti negativi sperimentati in terra statunitense e ad adottare strategie di risposta consone3. Le considerazioni economiche, va detto, non sempre costituiscono la leva principale delle azioni e degli indirizzi delle pubbliche amministrazioni, che, si sa, sono fortemente condizionate dalla ricerca di un immediato consenso politico. Ad esempio, in un paese come l’Italia, con il tasso di motorizzazione pro capite tra i più alti d’Europa4, spesso è anzi più facile indurre all’assuefazione e alla resa coloro che vorrebbero una qualità urbana superiore piuttosto che rischiare politiche della mobilità impopolari presso gli automobilisti. In termini di marketing tale assuefazione, con una terminologia in questo caso più che mai appropriata, viene definita «il sacrificio del cliente» (Pine e Gilmore, 2000: 92-95). La pedonalizzazione degli spazi pubblici – è superfluo richiamarlo – va intesa sin dalla fase progettuale non tanto come il prodotto finale ed esclusivo della rivitalizzazione bensì piuttosto come uno degli strumenti per 22


conseguirla (Roberts, 1990: 47). Va peraltro ricordato come, nella maggioranza dei casi, soprattutto negli Stati Uniti e nel Canada, l’incremento dell’accessibilità pedonale assicurata dai Pedestrian Mall sia assunto come un prerequisito essenziale e primario per lo sviluppo di qualsiasi piano di riqualificazione. Allo stesso modo il potenziamento della struttura del commercio non deve essere considerato il fine degli interventi di marketing, bensì un elemento, senza dubbio di grande rilevanza, per la valorizzazione della città come sistema urbano complesso. In sintesi si può affermare che l’esistenza di una solida struttura commerciale è un requisito importante per la valorizzazione dei luoghi pubblici della città recuperati alla loro dimensione pedonale. Quasi tutti gli studi di marketing urbano dei centri storici e di urbanistica commerciale considerano tale attività come la chiave di volta per la valorizzazione delle città: gli spazi pubblici e le attività di vendita al dettaglio che vi si affacciano sono da considerarsi assolutamente complementari. Va infine tenuto presente anche il valore sociale rivestito dalle attività artigianali e di vendita al dettaglio, le quali oltre a costituire, con i relativi indotti, una branca economica sempre più rilevante dell’economia urbana (Brown, 1992: 7-8), sono considerate ormai anche a livello istituzionale, soprattutto per i comuni più piccoli, come un vero e proprio servizio reso alla collettività (Moras, Codato e Franco, 2004: 25).

1.2 Principali effetti economici della riqualificazione degli spazi pubblici La ricerca sul rapporto tra fattori economici e qualità degli spazi pubblici è in Italia ancora ai primi passi; un tale approccio è assai raramente considerato non solo dal progetto architettonico e urbanistico ma anche, contrariamente a quanto forse ci si potrebbe aspettare, da parte della stessa finanza immobiliare. Legambiente nel 1997 ha pubblicato, con la consulenza di Serico Srl– Gruppo Cresme (1998)5, quella che è forse la prima ricerca a scala nazionale sugli effetti economici della chiusura del traffico in alcune aree urbane di quattro grandi centri urbani. Questo studio, ancora oggi assai raro nel suo genere in Italia, si fonda sui risultati di sondaggi effettuati presso agenti 23


immobiliari e commercianti operanti in aree soggette a restrizioni totali o parziali del traffico veicolare privato nei comuni di Milano, Roma, Napoli e Catania. Non si tratta pertanto di una rigorosa analisi scientifica di dati oggettivi, ma piuttosto di un’indagine sulla percezione delle prestazioni economiche di immobili e negozi da parte degli operatori, tanto più che le variazioni di valori non sono confrontate con l’andamento medio del mercato cittadino. Manca inoltre qualsiasi descrizione delle variabili che possono avere influito sugli scostamenti di valore rilevati. Dalle interviste effettuate risulta che il 72% degli agenti immobiliari e il 55% dei negozianti riteneva che gli introiti degli esercenti delle aree pedonalizzate avessero registrato in genere un incremento pari al 10-20%. L’11,7% dei commercianti denunciava invece una perdita di profitti rispetto al periodo precedente alla pedonalizzazione. Rispetto ai valori immobiliari circa un terzo degli agenti consultati dichiarava un incremento fino al 20% nel settore residenziale e commerciale. Per il resto, a parte una piccola percentuale (il 3% nel caso del settore residenziale e il 6,4% per quello commerciale) che dichiarava perdite della rendita, si riteneva nel complesso che i valori avessero tenuto o che comunque non avessero subito variazioni discordi da quelle di altre aree urbane. Infine, sebbene molti non avessero ancora elementi sufficienti per rispondere, poco meno di un terzo dei negozianti dichiarò un aumento degli affitti superiore anche al 20%. A livello europeo, nei periodi immediatamente successivi alle opere di pedonalizzazione e di riqualificazione degli spazi pubblici, si sono in genere rilevati incrementi dei volumi di affari mediamente simili a quelli indicati da Legambiente, con picchi stagionali in alcuni casi pari addirittura al 100%6 (Hall e Hass-Klau, 1985: 116; Brambilla e Longo, 1977: 96; Colombo, 1974: 38-44; Robertson, 1994: 23; Roberts, 1990: 42-43): il periodo di assestamento dei valori è stimato essere di circa un anno o due (Hass-Klau, Crampton, Dowland e Nold, 1999: 113; Hall e Hass-Klau, 1985: 85; HassKlau, 1993). Alcune ricerche ritengono invece non sufficientemente dimostrata una relazione diretta tra opere di pedonalizzazione, o di traffic calming, e incremento degli affitti delle unità immobiliari (Atcm, 1997: 20; Roberts, 1990: 44), sebbene altre indagini, soprattutto statunitensi7, tendano a supportare assai chiaramente questa tesi. Ad ogni modo la maggior parte degli esperti 24


vede proprio in quest’ultimo fenomeno uno dei limiti maggiori delle opere di riqualificazione urbana. Carmen Hass-Klau (Hall e Hass-Klau, 1985: 109-25), studiando una vasta messe di dati tedeschi e inglesi, individua infatti due tipi di conseguenze principali: – positive e dirette: si registra, nel biennio successivo agli interventi, un aumento del flusso pedonale, dei redditi immobiliari e degli introiti del commercio al dettaglio8; – negative e indirette: l’incremento dei valori immobiliari e del prezzo di affitto opera una selezione della attività presenti nell’area pedonale espellendo quelle a reddito più basso, quali piccoli ristoranti, caffé, usi non commerciali e simili. Pur ammettendo la difficoltà esistente nel discernere gli effetti di queste politiche da quelli derivanti dall’andamento generale del mercato e dalle trasformazioni del commercio al dettaglio, in uno studio successivo del 1993 (cit. in Sactra, 1999: 131-32), la ricercatrice tedesca giunge ancora ad alcune precise conclusioni. Innanzitutto le aree pedonali, se ben progettate, possono portare a un incremento del flusso pedonale compreso tra il 20 e il 40%. Inoltre mentre nel periodo immediatamente successivo alle restrizioni del traffico i guadagni dei commercianti possono subire anche alcuni cali (con fluttuazioni generalmente tendenti al rialzo registrabili per circa un anno di tempo), gli incrementi alla fine del periodo di assestamento sono superiori ad altre aree comparabili che non hanno subito alcun intervento. Non tutti i benefici economici che si registrano sono però a vantaggio dei commercianti. Infatti i più alti profitti di questi ultimi, quando anche non siano compensati da eventuali tasse per miglioria (Hass-Klau, Crampton, Dowland e Nold, 1999: 113), possono venire erosi dall’incremento parallelo degli affitti. Comunque, una volta terminato il periodo di assestamento, non si sono quasi mai verificate proteste da parte dei negozianti. La pedonalizzazione di spazi pubblici caratterizzati da una forte presenza di commercio al dettaglio sembra comportare inevitabilmente, assieme all’incremento dei flussi pedonali, un impoverimento della varietà dell’offerta commerciale – il retail mix – attraverso l’allontanamento delle attività a basso reddito o a minore valore aggiunto. I piccoli commercianti “tradizionali” sono spesso i primi a farne le spese. In realtà questo fenomeno non parrebbe legato strettamente all'opera di riqualificazione, ma derivereb25


be piuttosto da un processo diffuso e graduale – già chiaramente constatato e studiato in paesi come l’Inghilterra (Conisbee, Kjell, Oram, BridgesPalmer, Simms e Taylor, 2004) – di sostituzione della base economica locale con catene di negozi appartenenti a società multinazionali. L’innalzamento dei valori fondiari e degli affitti conseguenti alla riqualificazione urbana funzionerebbe semplicemente da accelerante di un processo già in corso, il cui controllo è questione eminentemente politica e legislativa (Oram, Conisbee e Simms, 2003: 34-36). In media i negozi che prosperano nelle aree pedonali sono legati ai generi non alimentari (soprattutto vestiario), piuttosto specializzati e caratterizzati da un forte ricambio della merce sulla base delle mode (Hall e HassKlau, 1985: 119-20). Si assiste in alcuni casi a un incremento dei valori medi delle superfici di vendita con una diminuzione del numero delle unità locali, mentre anche i grandi magazzini tendono a scomparire o a ridimensionarsi (Robertson, 1994: 64). In altri casi, come per esempio a Modena (Ferrari, 2002), le dimensioni medie dei negozi tendono piuttosto a restringersi, anche a causa dei crescenti costi degli affitti. È dunque difficile riscontrare una tendenza univoca, essendo gli effetti condizionati da fattori economici, sociali e politici sia di tipo nazionale che locale. La situazione modenese rispecchia la polverizzazione tipica della struttura commerciale italiana (Pellegrini, 2001), mentre in Inghilterra, come in altri Paesi del nord Europa, vi è una presenza maggiore di imprese di dimensioni superiori e una maggiore diffusione della formula del franchising (Rossi, 1998: 157). Un effetto analogo – di specializzazione in connessione con la lievitazione dei prezzi immobiliari e dei canoni di locazione – si riscontra per le funzioni residenziali, laddove la tendenza registrata è la progressiva terziarizzazione e la gentrification dell’area. Il rischio di omologazione delle aree commerciali pedonali tra città diverse è sensibile, sia nella composizione dell'offerta merceologica, come visto, sia rispetto alle caratteristiche del disegno urbano, se è innegabile, come ha rilevato Rolf Monheim (1990: 251), che molti progetti tendono ad assomigliarsi tra loro sull’onda della moda architettonica del momento. Inoltre la predominanza delle catene contribuisce, a causa della codificazione internazionale della loro immagine, anche all’omologazione dei fronti stradali (Conisbee, Kjell, Oram, Bridges-Palmer, Simms e Taylor, 2004: 2). 26


In alcuni casi, specialmente negli Stati Uniti (Robertson, 1994: 40), la gentrification o la povertà delle idee progettuali hanno finito addirittura col determinare effetti opposti a quelli previsti, avendo portato a specializzare l’offerta funzionale e commerciale per un’utenza e un reddito monoclasse e determinando la disaffezione della maggioranza dei cittadini. Il crollo della presenza pedonale che ne è derivata ha alimentato una cattiva percezione dell’area, innescando un circolo vizioso tendente all’abbandono degli spazi pubblici e al loro conseguente degrado. Questo fenomeno di specializzazione può in realtà essere ricondotto a un errore progettuale, vale a dire a una concezione monofunzionale dello spazio pubblico, inteso unicamente come un «corridoio per consumatori» (consumer corridor) (Berdichevsky, 1984), che ne mina l’identità e il senso di luogo. È la conferma del fallimento di un approccio massimalista nel progetto degli spazi pubblici: la scelta di trasformare la strada da asse meramente viario ad asse meramente commerciale, rinunciando a recuperarne la dimensione esperienziale e complessa che possedeva in passato (Consonni, 1989: 63-94), si è dimostrata miope e controproducente rispetto agli stessi obiettivi di prosperità economica che l'hanno determinata. Negli Stati Uniti, dove questa concezione ristretta dei Pedestrian Mall ha condizionato pesantemente le prime opere realizzate tra gli anni cinquanta e sessanta, gli amministratori, i cittadini e i progettisti hanno iniziato ben presto – complici tra gli altri gli scritti di studiosi del calibro di Jane Jacobs – a comprendere il valore sociale e civico fondante degli spazi pubblici e a promuoverli come luoghi ospitali per lo scambio e l’incontro. Tra gli anni settanta e novanta, anche in virtù della crescente competizione interurbana, gli spazi pubblici si sono inoltre confermati una cornice ideale per eventi e manifestazioni di forte richiamo e come un importante medium per l’immagine della città, esaltata attraverso la qualità architettonica e del disegno urbano (Robertson, 1994: 26). Paradossalmente alcuni processi di tipo economico, che in altri contesti hanno invece fortemente compromesso la qualità delle aree urbane, hanno potuto contribuire a rivalutare la complessità e la ricchezza dei modi d’uso degli spazi collettivi urbani: la volontà–necessità di rispondere in maniera competitiva alla domanda sempre più sofisticata di un’utenza variegata, soprattutto rispetto alla crescente importanza dell’«economia delle esperienze» (Pine e Gilmore, 2000), ha portato il proget27


to a misurarsi con lo spessore e la complessità dei modi d’uso possibili degli spazi pubblici. Per il caso italiano è interessante a questo proposito citare un’indagine recente commissionata da Indicod a Eurisko (2003) e riguardante le attese dei cittadini nei confronti dei centri urbani. Rispetto all'offerta commerciale si conferma una certa omogeneità della domanda, orientata maggiormente su «beni di confronto» (comparison goods) di editoria, moda e musica; evidentemente la selezione dei negozi in certi contesti non è quindi riconducibile solamente all’incremento degli affitti, ma è anche indotta, secondo logiche di mercato, da una domanda composta da aspettative e modalità di acquisto diverse, proprie di certe aree urbane a forte componente commerciale. Ma il dato forse più interessante messo in luce dalla ricerca è la fortissima domanda, ampiamente insoddisfatta, di fattori di «esperienza di apprendimento e di vita» (Eurisko, 2003: 30): qualità ambientale (spazi verdi, igiene e strutture per i pedoni) e luoghi per la cultura e il tempo libero (ristoranti, teatri, cinema, musei, concerti, ecc.). Anche le statistiche tedesche di Rolf Monheim (Hall e Hass-Klau, 1985: 111) indicavano come i frequentatori dell’area pedonale dediti esclusivamente agli acquisti fossero in realtà poco meno di un terzo. Una politica attenta alla qualità e alla complessità degli spazi pubblici e alle possibilità di fruizione che ne possono derivare permette dunque di conseguire indubbi vantaggi economici anche nel campo del commercio al dettaglio. Il progetto deve tuttavia porre grande attenzione non solamente ai fulcri principali delle aree commerciali, ma anche al contesto più allargato delle aree limitrofe. Qui è possibile rilevare un incremento del traffico automobilistico – con conseguente peggioramento delle condizioni ambientali – e una diminuzione del passaggio di pedoni, canalizzati direttamente nelle aree ad essi specificamente dedicate, a danno dei luoghi e delle attività presenti al perimetro (Hall e Hass-Klau, 1985: 109-25; Monheim, 1990: 250-51; Colombo, 1971: 40; Desideri, 1979: 17). Si tratta evidentemente di un effetto di “retro” urbano (cfr. Robertson, 1994: 65) di difficile misurazione e previsione, strettamente connesso alla configurazione spaziale e alla composizione funzionale dell’area urbana e dunque non generalizzabile; alcune ricerche hanno mostrato infatti anche risultati opposti9 o comunque inconcludenti rispetto a questa ipotesi. Ad ogni modo la previsione–proget28


tazione dei flussi pedonali risulta in questi casi di fondamentale importanza per non lasciare che si determinino zone “d’ombra” nel tessuto urbano10. Il rischio di un forte disequilibrio anche nelle ripercussioni sulle attività economiche si estende però a varie scale. A livello di quartiere, lungo una stessa strada pedonalizzata, si possono infatti rilevare sensibili differenze di rendimento tra le attività centrali, più avvantaggiate, e quelle poste alle estremità (MacLaran, 2004: 39). Carmen Hass-Klau (1985: 125) ritiene, in generale, che, a causa di un bacino di utenza cittadino solo marginalmente variabile, l’effetto economico di queste politiche sia “a somma zero” o quasi, e che dunque l’incremento degli affari nelle zone pedonalizzate avvenga molto spesso a scapito di altre aree della città e del suo hinterland. La soluzione di questi conflitti, peraltro arginabili anche con gli strumenti della pianificazione, è dunque principalmente nelle mani del progettista–urbanista, chiamato ad armonizzare gli interventi in due modi: a livello spaziale, così da distribuire più equamente sul territorio le occasioni di rivitalizzazione economica secondo una logica di sistema; a livello temporale, in modo da evitare il consolidamento anticipato di alcune aree a svantaggio di altre in via di riqualificazione. Purtroppo però su questo specifico argomento, sebbene siano abbastanza chiari i nodi principali della questione, non esistono quasi ricerche (CB Hillier Parker, 2000). Ricapitolando, si può dunque individuare nella espulsione di determinate attività commerciali la principale ripercussione negativa, documentata a livello internazionale, delle opere di pedonalizzazione e riqualificazione degli spazi pubblici. Le cause specifiche di tale selezione sono riconducibili a due, i cui effetti e le cui possibili soluzioni hanno però valenze affatto diverse: – Incremento dei canoni di affitto: le attività a basso reddito e a minore valore aggiunto risultano le più colpite, in qualche caso con riflessioni negative sulla composizione delle attività commerciali e sulla competitività complessiva dell’area a causa della perdita di carattere e identità che ne può derivare. Il fenomeno tuttavia, come si è visto, risulta solo parzialmente dipendente dalle opere di riqualificazione, le quali, più che da motore, agiscono da acceleranti di un processo legato alla globalizzazione dei mercati e, in parte, da una applicazione incontrollata e spregiudicata dei principi liberali; 29


– Incompatibilità con le nuove condizioni di accesso e di fruizione: la scomparsa dei negozi dei «beni di consumo» (convenience goods) dalle aree pedonalizzate, sebbene possa parzialmente contribuire alla perdita di carattere del luogo, non dovrebbe essere fonte di particolare allarme, essendo tali attività legate a criteri di accessibilità o di fruibilità difficilmente conciliabili con la qualità ambientale perseguita. L’inevitabilità della modificazione della struttura commerciale non può tuttavia portare il progetto a disinteressarsi totalmente della questione, tanto più che i negozi di beni di consumo costituiscono l’armatura portante dei cosiddetti «esercizi di vicinato»11, indispensabile complemento della funzione residenziale, che è altrettanto necessario salvaguardare. Dovrebbe dunque essere predisposta l’individuazione di aree alternative idonee alla rilocalizzazione delle attività espulse dai settori pedonalizzati, in modo da rendere la strategia di riqualificazione ampiamente condivisa – e non «a somma zero» – ed evitare la perdita definitiva di posti di lavoro, abitanti e fonti di reddito12. L’attenzione progettuale nei confronti del perimetro non deve pertanto essere inferiore a quella rivolta al cuore dell’area. L’area commerciale sottoposta a riqualificazione deve essere considerata come parte di un sistema complesso la cui estensione, a seconda delle specificità del contesto, può coinvolgere scale diverse: da quella urbana a quella metropolitana, provinciale o regionale. Qualcuno (Hass-Klau, Crampton, Dowland e Nold, 1999: 113) suggerisce che durante il primo anno di assestamento il piano strategico dovrebbe prevedere dei sussidi in appoggio a quelle attività più vulnerabili che nei primi mesi corrono i maggiori rischi di chiusura, ma che sono ritenute in qualche modo caratterizzanti l’identità del luogo o importanti per la sua vitalità (ciò riguarda in particolare i pubblici esercizi, fondamentali per l’economia serale e notturna, e gli esercizi di vicinato al servizio dei residenti). Una volta che la situazione si è stabilizzata, con il conseguente auspicato incremento dei profitti, i negozianti avrebbero successivamente la possibilità di ripagare il proprio debito. Ciò permetterebbe di prevenire in parte le posizioni fortemente critiche, se non apertamente ostruzionistiche, assunte immancabilmente, nei primi tempi, dai commercianti più colpiti dall’iniziativa. Lo stesso principio potrebbe essere applicato agli esercizi commerciali nelle zone di margine, oppure, secondo una logica perequativa, a quelle 30


aree, incluse dalla strategia in un sistema policentrico o reticolare, nelle quali il processo di rivitalizzazione è più lento. Diventano a questo punto fondamentali, nelle prime fasi di tale strategia, le operazioni di marketing e di promozione delle aree di modo da ridurre quanto più possibile una rischiosa flessione degli utili.

1.3 Alcuni Metodi di analisi integrata Riferimenti inglesi: le indicazioni governative della Planning Policy Guidance 6 Tra le indicazioni più interessanti e stimolanti rispetto all’analisi delle aree urbane a carattere commerciale spiccano quelle introdotte dal governo inglese attraverso la Planning Policy Guidance 6 (1996)13. Si tratta di linee guida normative che affrontano la questione sia secondo criteri di definizione tipologica e topologica sia attraverso una valutazione parametrica delle condizioni fisiche ed economiche delle aree in esame. L’analisi territoriale, intesa come un controllo dello «stato di salute» (Health Check), è affrontata a due scale: regionale e locale. Nella prima vengono indicate quattro tipologie di centri urbani14, connotati gerarchicamente dal bacino di utenza esistente o potenziale rispetto a specifiche funzioni. Quello che interessa rilevare è la valutazione in chiave tassonomica dei centri abitati e il riconoscimento della struttura territoriale15 quale presupposto per una valutazione corretta degli apporti quantitativi e qualitativi necessari al progetto. In quest’ottica assumono particolare rilevanza i parametri sull’accessibilità (isocrone; presenza, orari e frequenza dei mezzi di trasporto) e sulla dotazione pro capite di servizi e beni commerciali di base. A scala locale invece le indicazioni normative suggeriscono di classificare le strade della cosiddetta «area commerciale primaria» (Primary Shopping Area) in base alle caratteristiche delle destinazioni d’uso, definendo «fronti primari» quelli che presentano una predominanza di negozi in sede fissa e «fronti secondari» quelli connotati da un maggiore commistione funzionale. A livello intermedio, riferito alla dimensione urbana, la classificazione del territorio procede identificando degli ambiti omogenei (il «centro cittadino», la «fascia centrale di margine», la periferia e l’ambito extraurbano16) considerati in rapporto allo specifico contesto urbano e funzionali per l’ap31


plicazione dell’«approccio sequenziale» (Sequential Approach). Questo principio infatti, cardine delle nuove indicazioni governative per la pianificazione dei centri urbani, prevede che gli insediamenti commerciali, come anche altre importanti funzioni cittadine17, possano collocarsi nelle aree esterne o periferiche delle città unicamente nel caso che ne venga dimostrata l’assoluta irrealizzabilità nelle zone centrali, seconda una logica centripeta L’analisi parametrica, svolta parallelamente a quella territoriale, è invece preposta alla stima della vitalità dei contesti e del quadro economico e si rifà a una vasta gamma di fonti e di metodi di misurazione riconducibili a tre principali ambiti omogenei. Il primo ambito è quello urbanistico, in cui si misurano la varietà ed evoluzione delle funzioni (superfici per classi d’uso); il livello di accessibilità (qualità, quantità e tipologia di parcheggio, frequenza e qualità del trasporto pubblico, estensione del bacino di utenza servito, qualità delle infrastrutture pedonali e ciclistiche); i flussi pedonali18 (numero e movimento delle persone in particolari punti delle strade in differenti orari e giorni) e la qualità ambientale (elementi detrattori e positivi del paesaggio urbano). Il secondo ambito parametrico è quello economico. In esso vengono prese in considerazione le presenze commerciali e le tendenze insediative (propensione a trasferirsi nell’area in analisi o a uscire da essa, in particolare da parte delle attività di maggiore richiamo); l’evoluzione dei canoni di affitto nell’area commerciale primaria; gli spazi sfitti ai piani terra (vacancy rate)19; le tipologie e merceologie delle superfici di vendita; le opinioni e i comportamenti degli avventori (sondaggi sia tra gli utenti che i non utenti delle aree urbane); il rendimento (yield) degli immobili non residenziali20; e, infine, i canoni di locazione dei negozi21. Il terzo e ultimo ambito di parametri è di tipo demografico e sociale e ha l’obiettivo di delineare la percezione della sicurezza presso i frequentatori effettivi e potenziali nonché le dinamiche demografiche (dati sul benessere economico e sui consumi dei cittadini). Nell’insieme si tratta di un largo ventaglio di misurazioni tese a ricomporre i metri di valutazione delle diverse componenti della scena urbana in un quadro unitario, per quanto complesso, e comparabile con quelli di altri centri. Proprio questa eterogeneità però, se da un lato costituisce il maggiore contributo per una comprensione approfondita della complessità dello spa32


zio urbano inteso come sistema spaziale e temporale, economico e sociale, dall’altro rende il monitoraggio particolarmente difficoltoso. Da una verifica condotta nel 2000 dal National Retail Planning Forum (Nrpf) è infatti risultato che poche città inglesi, tra quelle interpellate, hanno effettivamente condotto in modo completo e ortodosso le analisi indicate dal governo, essendo i dati richiesti né facilmente né economicamente accessibili (Cox, Thurstain-Goodwin e Tomalin, 2000: 20-21). Inoltre, tanto le pubbliche amministrazioni quanto le società immobiliari intervistate hanno ridotto il numero dei parametri significativi e ne hanno introdotti di nuovi, come ad esempio il ricavato annuo dei negozi o la consistenza di strutture e servizi per il tempo libero. Il suggerimento del Nrpf è di pervenire a dei fattori quantitativi sintetici e confrontabili rispetto al profilo commerciale ed economico – quali i canoni di affitto, il vacancy rate22, le presenze commerciali, i flussi pedonali e il profitto medio dei negozi – e invece di lasciare la misura qualitativa della vitalità a dati più specifici e contestuali. Al fine di trasformare l’analisi in strumento di progetto appare più interessante e utile quanto indicato dallo studio Vital and Viable Town Centres (DoE, 1996) e riconosciuto da molte ricerche come un metodo di valutazione adeguato. La pubblicazione, redatta dall'allora Ministero dell’Ambiente, è intesa come una sorta di specificazione e razionalizzazione, ad uso agli enti locali, di quanto espresso nella Planning Policy Guidance 6. La struttura analitica, estremamente chiara, è in questo caso immediatamente correlata all’azione progettuale, sulla base della quale sono selezionati i contenuti ritenuti più determinanti. Lo sforzo di sintesi è un tentativo di fornire un quadro d’insieme completo, comparabile ed estremamente operativo della principale gamma di azioni (non solo di tipo architettonico o urbanistico) che possono concorrere in maniera integrata a innalzare la qualità e la prosperità economica di centri urbani. Il modello delle prestazioni urbane proposto da questa sorta di manuale riconduce progettualmente a quattro aree di intervento (dette delle quattro “A”): attrazioni (attractions), accessibilità (accessibility), piacevolezza (amenity), azione (action). Le attrazioni dipendono principalmente dalla diversità e varietà di scelta di abitazioni, luoghi del lavoro, negozi, servizi e attività, in particolare quelle legate alla cultura e al tempo libero. Oltre a valutare la densità spaziale e tem33


porale e la qualità di tali elementi, occorre stabilire se il loro livello di visibilità sia adeguato. Quest’ultimo dipende in alcuni casi dalla concentrazione funzionale: esiste infatti, oltre una certa soglia, una massa critica indispensabile per trasformare un semplice agglomerato di varie destinazioni d’uso in un’attrazione, per esempio nel caso di esercizi pubblici o di beni di confronto. L’accessibilità è data sia da fattori quantitativi (tipo, numero e frequenza dei mezzi di trasporto; tempo di viaggio) che da fattori qualitativi (aspetto e architettura dei punti di accesso e delle connessioni; facilità di orientamento; esistenza ed efficacia della segnaletica). La presenza e l’architettura dei parcheggi è per i centri minori una questione cruciale per la competitività; nonostante l’impegno verso politiche per la mobilità orientate al trasporto pubblico non viene tuttavia considerato realistico, in contesti a maggiore dispersione insediativa, che un centro urbano possa sopravvivere alla capacità di attrazione dei Mall suburbani o dei nuclei urbani di ordine superiore se non adeguatamente attrezzato rispetto all’accessibilità automobilistica. Il requisito dell’accessibilità va esaminato rispetto a tutti i modi di trasporto, compresa la mobilità ciclistica, quella di servizio per la consegna delle merci ai negozi e quella delle persone con ridotte capacità motorie23. La piacevolezza, oltre alla pulizia, all’ordine e alla sicurezza, è legata a quegli interventi (anche di piccola scala) che conferiscono al luogo un senso di identità e che dunque contribuiscono a renderne la fruizione e la sosta più piacevole. Rientrano pertanto in questa categoria anche quei servizi e quelle strutture rivolte ai pedoni e ai visitatori e che hanno il compito di rendere il soggiorno negli spazi pubblici il più gradevole e continuato possibile. In quest’area di intervento rientra, a cavallo con quella delle attrazioni, la presenza di animazioni, di attività ed eventi culturali. L’azione dipende strettamente dalle capacità organizzative di chi gestisce gli spazi pubblici. In genere il reperimento di fondi è subordinato alla volontà politica e alla capacità gestionale di saper dare corso agli interventi programmati. I giudizi di valore rispetto agli elementi afferenti alle quattro aree di intervento, verificati con cadenza biennale e basati tanto su considerazioni quantitative–oggettive quanto su valutazioni soggettive, permettono quindi di identificare, attraverso un’analisi Swot, gli ambiti di azione per calibrare specifiche strategie di intervento24. 34


Riferimenti italiani: gli esempi di Reggo Emilia, Napoli e Torino Il criterio appena esaminato nel caso inglese presenta alcune analogie con quello proposto da Igino Rossi e da lui sperimentato a Reggio Emilia (1998: 189-195). I dati quantitativi sono però qui focalizzati quasi esclusivamente sull’analisi dell’assetto commerciale e si riferiscono alla densità delle attività miste (numero di unità locali per metro lineare), al numero di attività dismesse, alla superficie media dei negozi, alla destinazione funzionale e agli ambiti merceologici. L’analisi quantitativa serve come cornice di riferimento per quella qualitativa, che, attraverso il rilievo fotografico, misura il livello di qualità25 e di attrazione degli spazi urbani. Il rapporto tra questi due attributi, riferiti a specifici ambiti urbani omogenei debitamente individuati, definisce, in forma di matrice, il grado di vitalità dell’area e la strategia di intervento più consona tra quattro possibili: tutela (alta qualità e alta attrazione); riqualificazione (alta attrazione e bassa qualità); valorizzazione (alta qualità e bassa attrazione); trasformazione (bassa qualità e bassa attrazione). Gli indirizzi strategici non suggeriscono perciò deduttivamente anche gli strumenti di intervento, come nel caso inglese, ma solo l’orizzonte progettuale. Quest’ultimo si sostanzia alla luce di altre valutazioni condotte sulle caratteristiche spaziali specifiche del sistema urbano esaminato (ad es. porte del centro storico, anello dei viali e i sottosistemi urbani) e su particolari ambiti tematici (mercato sulle aree pubbliche, gallerie e corti, estensione dello spazio privato, insegne e vetrine, comunicazione, segnaletica e identità dei luoghi, arredo urbano, attività miste, città in notturna). Spicca tra gli altri l’accento posto sulla valenza progettuale dell’analisi soggettiva qualitativa, con un approccio scientificamente supportato dal riferimento a studi tedeschi e americani sulla percezione; viene pertanto abbandonata quella pretesa di oggettività perseguita dalla manualistica e letteratura anglosassoni in nome della capacità creativa del progettista nella interpretazione del contesto. Un’altra indicazione molto interessante è quella relativa alla differenziazione dell’area urbana in ambiti omogenei, individuati sulla base di caratteri utili all’orientamento del progetto. Non solo risulta più efficace nella definizione di strategie specificamente mirate, ma, come rileva anche Aldo Capasso (2001: 286), diviene uno strumento prezioso per la valorizzazione della varietà. 35


A Torino il lavoro condotto dall’Assessorato all’Arredo Urbano alla fine degli anni ottanta (Job e Ronchetta, 1990) presenta sotto questo aspetto una metodologia analitica molto interessante ed efficace: la formulazione di linee guida per il controllo del paesaggio urbano attraverso il disegno delle devanture, per conciliare la massima generalità della norma con le specificità del contesto urbanistico e architettonico. La definizione del pacchetto di regole è introdotta da un’analisi dettagliata della città secondo quattro tematiche: funzioni; ambiente-architettura; arredo urbano; trasporti/viabilità. Lo studio ha permesso di individuare sette categorie di aree commerciali omogenee26 rispetto alle quali sono state formulate altrettante indicazioni di intervento. Anche nel caso della città di Napoli l’approccio analitico alla riqualificazione di strade e piazze si è caratterizzato per la grande attenzione agli aspetti architettonici, prevedendo, quale presupposto indispensabile per la gestione strategica degli interventi, l’individuazione degli elementi di iden-

1. Torino: legenda delle analisi condotte per la normazione degli interventi di urbanistica commerciale [Job e Ronchetta, 1990].

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2. Torino: analisi dei «caratteri ambientali» [Job e Ronchetta, 1990].

tità storica, formale e funzionale degli spazi pubblici. Nel caso delle piazze, lo studio proposto (Capasso, 2001) ha proceduto a una definizione di tipologie funzionali e di requisiti prestazionali utili per una schedatura secondo classi omogenee di intervento progettuale. In particolare l’attenzione è stata appuntata sulla piazza commerciale, identificata in base ad alcuni caratteri ricorrenti, prevalentemente di tipo morfologico e tipologico27. Rispetto invece alle strade commerciali (Capasso e Losasso, 1999) la divisione della città secondo due famiglie di ambiti omogenei principali (aree sottoposte a tutela e aree di formazione più recente) ha consentito la redazione di linee guida per il disegno delle devanture in grado di coniugare semplicità delle indicazioni progettuali e specificità dei contesti urbani. L’analisi metodologica per il marketing urbano descritta invece da Guido Gili, Giancarla Pesci e Igino Rossi (1994), articolata in quattro fasi, è incentrata prevalentemente sull’aspetto commerciale: lo scopo è quello di valutare le caratteristiche della domanda e dell’offerta per potere approntare la strategia più adeguata al «riposizionamento» del distretto commerciale. L’offerta è indagata nelle prime tre fasi tramite rilievi e questionari nei diversi aspetti qualitativi e quantitativi: il sistema economico e la struttura 37


3. Napoli: schemi delle componenti architettoniche delle devanture [Capasso e Losasso, 1999].

dell’armatura commerciale, la conformazione fisica dei luoghi del commercio e gli elementi più significativi del contesto urbano28. La quarta fase analitica relativa alla domanda consiste di due tipi di rilievi: i flussi pedonali, contati nei nodi dell’area ritenuti strategici, e le interviste per determinare l’identità, i comportamenti d’acquisto29, le aspettative e le percezioni dei frequentatori dell’area. 38


Le quattro fasi analitiche sopra riportate sono inoltre inserite in un quadro conoscitivo più ampio (il «macroambiente» e il più specifico «microambiente») del contesto normativo ed economico, delle dinamiche demografiche (numero di abitanti e classi di età, dimensioni dei nuclei, reddito medio, popolazione attiva, ecc.), delle tendenza socioculturali e degli stili di vita (soprattutto, naturalmente, le abitudini di acquisto). I dati ritenuti importanti per le azioni di marketing sono, come si può constatare, abbastanza simili a quelli sin qui visti: alcuni tendono tuttavia a essere più specifici (per esempio rispetto ai parcheggi) mentre altri sono totalmente trascurati (per esempio il guadagno medio dei negozianti). La grande attenzione posta ai caratteri dell’offerta commerciale non viene tuttavia trasformata in un’indicazione di metodo per giungere a una sintesi progettuale, sicché l’approfondimento analitico risulta in alcuni casi eccessivamente puntiglioso rispetto a finalità non chiaramente esplicitate. È invece interessante, a complemento dell’analisi soggettiva proposta da Igino Rossi, il ricorso a metodi di misurazione della percezione dei caratteri dell’area commerciale30 come contributo alla definizione delle priorità di intervento. Oltre a favorire il confronto tra ambiti diversi, questo metodo permette di sondare la distanza tra le valutazioni espresse dai fruitori dell’area e quelle degli esercenti, così da ridimensionare talvolta il peso, spesso eccessivo, che il giudizio di questi ultimi assume nella determinazione delle scelte progettuali. Riferimenti statunitensi: il Main Street Program e altri manuali Di notevole interesse è in particolare l’approccio integrato del Main Street Program (Smith, Joncas e Parrish, 1996), il cui corpo analitico non è unitario e mirante a un quadro complessivo ma si presenta all’opposto fortemente articolato e caratterizzato da un taglio estremamente pragmatico, in relazione alle singole aree di intervento. Nella programmazione delle opere pubbliche di miglioria (Public Improvement) l’analisi è basata sull’osservazione empirica diretta, diacronica e scrupolosa dei caratteri degli spazi pubblici, allo scopo di comprenderne le disfunzioni e di definire eventuali linee di intervento prioritarie per garantirne la migliore fruizione e percezione. È prevista la redazione preliminare di un inventario estremamente dettagliato di tutti gli elemen39


ti che compongono il paesaggio urbano degli spazi pubblici, a prescindere dalla loro funzione specifica31. Tutti gli elementi vengono quindi sottoposti a valutazioni circa la condizione manutentiva e la correttezza del posizionamento, non senza trascurare eventuali problemi legati ai cambiamenti meteorologici. È inoltre previsto che l’inventario, arricchito tramite altri studi e rilievi di settore (uso dei parcheggi, misura del traffico pedonale o veicolare), sia ripetuto in diversi momenti dell’anno, così da controllare le condizioni e la modalità di fruizione dei luoghi pubblici in relazione a fasi temporali diverse. L’analisi mira a evidenziare le situazioni conflittuali, gli elementi che abbisognano di migliorie e quelli che funzionano correttamente. Anche per la pianificazione e la gestione del sistema dei parcheggi è richiesta un’analisi molto approfondita, condotta in questo caso sia attraverso rilievi diretti sia attraverso interviste. Il rilievo non si limita alla localizzazione e agli aspetti quantitativi (misure e quantità di stalli) ma è chiaramente improntato a una dimensione gestionale32. Il Main Street Program prescrive anche una ricerca storiografica e iconografica degli edifici e delle attività nell’area oggetto di intervento: uno studio considerato utile per le strategie di comunicazione e marketing e per formulare ipotesi sui possibili sviluppi del contesto. Per le attività di promozione è prescritta inoltre l’elaborazione di altre informazioni. Attraverso focus group e interviste si cercano di inquadrate le principali caratteristiche di qualità tangibili e intangibili possedute dall’area. La domanda esistente e potenziale è invece analizzata, anche in modo diacronico, attraverso il ricorso ai consueti metodi statistici di analisi demografica, alle interviste in situ e telefoniche33. Rispetto alle attività di comunicazione vengono indicati alcuni dati utili per la rendicontazione delle azioni in atto: gli edifici ristrutturati; le nuove costruzioni; le nuove attività avviate; i posti di lavoro creati; l’incremento dei flussi di traffico pedonale; l’incremento delle vendite al dettaglio. Viene inoltre suggerito un monitoraggio annuale del rapporto tra costo degli affitti e incrementi delle vendite dei negozianti, per verificare che il processo di riqualificazione proceda in modo bilanciato. È prevista anche la creazione di un database degli edifici dell’area34, in modo da comprenderne le potenzialità nel processo di riqualificazione e riuscire a promuoverli a 40


possibili investitori. L’economia del centro è posta sotto continuo controllo attraverso il rilievo del livello delle vendite35, la crescita complessiva del volume di affari e il tasso di reinvestimento. Infine viene introdotto un indice volto a misurare il posizionamento dell’area rispetto alla struttura della rete commerciale: la «emorragia delle vendite» (sales leakage). L’indice consiste nel valutare la differenza tra il volume teorico di vendita dei settori di spesa, ricavato su base statistica, e il ricavo effettivamente ottenuto. Naturalmente il parametro fotografa in maniera approssimativa una condizione alla quale solo altre analisi potranno trovare spiegazioni utili a definire la migliore strategia di posizionamento o di consolidamento. Oltre alle metodologie appena esaminate, che affrontano la riqualificazione dei centri commerciali urbani secondo un’ottica integrata, vi sono altri approcci rivolti specificamente al progetto dei Pedestrian Mall. Roberto Brambilla e Gianni Longo (1977), tra i primi architetti che si sono misurati con questo ordine di questioni con un taglio interdisciplinare, indicano principalmente tre ambiti di raccolta e interpretazione dei dati: ambientale, sociale, economico. I dati descritti sono molto simili a quelli visti nelle interpretazioni precedenti36, sebbene siano molto meno incentrati sugli obiettivi di rivitalizzazione commerciale e vi si distingua semmai un’attenzione più approfondita rispetto alle questioni urbanistiche e architettoniche. In particolare vi è una certa sensibilità nei confronti di temi progettuali indicati da Jan Gehl, preso esplicitamente a riferimento soprattutto per quanto riguarda due aspetti: le condizioni climatiche e le peculiarità meteorologiche da un lato; il tipo, la durata e l’intensità delle attività dall'altro. Anche le analisi di fattibilità proposte da Harvey M. Rubenstein (1992) sono divise in ambiti diversi, attinenti a una gamma di fattori: naturali, socioeconomici, culturali, politici, finanziari e legali. Mentre i primi due non presentano particolari novità rispetto a quanto già esaminato37, gli ultimi tre hanno lo scopo di inquadrare chiaramente all’interno del progetto gli attori e i detrattori del processo, le fonti di finanziamento disponibili e potenziali e gli eventuali vincoli legali (principalmente attinenti alle competenze territoriali) connessi alla realizzazione delle opere. È però soprattutto rispetto ai cosiddetti «fattori culturali» (Cultural Factors) che Rubenstein introduce un paio di elementi che vale la pena 41


4. Ithaca Commons: individuazione dei nodi primari e secondari.

5. Ithaca Commons: percorsi dei mezzi pubblici e punti di accesso.

rilevare. Il primo, per la verità di natura piuttosto tecnica, è il rilievo delle modalità di consegna delle merci, i percorsi, gli spazi e i tempi utilizzati. Il secondo invece è il rilievo della mobilità pedonale attraverso l’identificazione della tipologia degli spostamenti e dei nodi. Gli spostamenti sono classificati in tre tipologie: 1. percorsi terminali: hanno come origine o meta i principali punti di interscambio modale (parcheggi, stazioni, fermate dei mezzi pubblici); 2. percorsi funzionali: sono legati a scopi particolari (per esempio commissioni o acquisti); 3. percorsi ricreativi: sono legati al tempo libero e a eventi pubblici. 42


6. Ithaca Commons: analisi delle modifiche da effettutare in facciata.

7. Ithaca Commons: pianta del progetto [Rubenstein, 1992].

I nodi sono invece di due tipi: 1. nodi primari, ovvero i punti principali di interscambio con il mezzo pubblico o privato dove terminano o iniziano i percorsi pedonali; 2. nodi secondari, ovvero i punti di attrazione dei percorsi provenienti dai nodi primari o da altri nodi secondari. In tutti i casi riportati va sottolineato che oltre ai metodi di analisi chiaramente individuati ed espressi, si deve ovviamente tenere conto che ogniqualvolta siano fornite indicazioni progettuali ritenute efficaci rispetto agli obiettivi di riqualificazione urbana è sempre possibile condurre valutazioni qualitative e quantitative in merito allo scarto tra lo stato di fatto e la situa43


zione ideale di progetto. La conclusione di questo excursus è per certi versi scontata: la quantità e la profondità euristica dei metodi di analisi è da considerare primariamente in funzione degli obiettivi. Molti dati richiesti dalle varie impostazioni tendono a coincidere, sebbene poi la reale utilità per la conoscenza del contesto, alla luce soprattutto della facilità, dei tempi e dei costi necessari a reperirli, non è affatto dimostrata. I dati qualitativi si sono confermati in molti casi più importanti per il progetto di quelli quantitativi, tendenti più che altro a mettere a fuoco le caratteristiche del contesto secondo esigenze di confrontabilità tra luoghi e tempi diversi. Il criterio più interessante che emerge da questo panorama è però l’uso sintetico, secondo matrici di valutazione di tipo Swot, dei parametri analitici per la definizione delle strategie più adeguate. È soprattutto importante che vengano definiti con chiarezza gli ambiti di intervento, le loro modalità di interazione e il peso specifico di ciascuno nella definizione dell’orizzonte progettuale.

1.4 Modalità di intervento e principi progettuali In una strategia integrata di riqualificazione di un ambito urbano, il progetto della struttura dei luoghi e il controllo formale del paesaggio costituiscono un elemento fondamentale per il conseguimento degli obiettivi di rigenerazione38. Tuttavia anche il progetto urbanisticamente e architettonicamente più appropriato si rivelerebbe piuttosto effimero e inconsistente se concepito e condotto in modo indipendente dagli altri saperi disciplinari e dalle prassi politiche che concorrono a comprendere e governare tutte le variabili del processo. Tra i vari intenti del progetto strategico, il miglioramento dell'assetto economico complessivo dell’area fa leva primariamente sul commercio e sui valori degli immobili. In quest’ultimo caso l’innalzamento del valore, dipendente da una maggiore appetibilità del bene, è dato tanto da opere di riqualificazione dei singoli edifici quanto del loro contesto: il progetto degli spazi pubblici può quindi presentare, tra gli altri, anche questo aspetto. Se ciò, come si è visto, da un lato può condizionare i tipi di attività che vi si svolgono, dall’altro permette però di innescare dei circoli virtuosi risvegliando l'interesse di potenziali investitori nei confronti di un'area degradata e biso44


gnosa di un nuovo impulso economico. Il Main Street Program riconosce apertamente il valore economico degli spazi pubblici e considera gli sforzi tesi alla rivitalizzazione un giusto investimento per la conservazione di tale ricchezza (Smith, Joncas e Parrish, 1996: 1). L’attenzione progettuale deve dunque essere rivolta a connotare la qualità urbana governandone la complessità in vista di fini chiaramente identificati e condivisi, arricchendo e superando un approccio che, pur inseguendo medesimi obiettivi, agisce all’opposto attraverso la banalizzazione dell’esperienza urbana. Se un tempo l’approccio progettuale per la rigenerazione urbana aveva preso a modello proprio il suo antagonista – il centro commerciale – ricalcandone la tipologia in maniera ottusa e pedissequa sin nei minimi dettagli formali (Smith, Joncas e Parrish, 1996) e ottenendo effetti del tutto opposti a quelli perseguiti, è apparso infine evidente come fosse in realtà più efficace valorizzare l’identità e le qualità urbane dei luoghi. I principi progettuali dei centri commerciali sono infatti elaborati sottraendo dal modello urbano di riferimento ogni fattore non strettamente funzionale alla vendita e razionalizzando l’insieme degli elementi essenziali rimanenti in modo da massimizzarne il profitto generato. Il progetto di riqualificazione non deve dunque ricalcare il modello tipologico del centro commerciale, rispetto al quale risulterebbe peraltro strutturalmente inadeguato, bensì ridare visibilità e vigore alla incomparabile ricchezza del contesto in cui opera: gli spazi pubblici e la loro capacità di esprimere e di creare relazioni, di diventare teatro dell’esperienza, costituiscono la forza e la chiave di volta del progetto strategico39. La possibilità di valutare i luoghi pubblici in risposta a requisiti identificati sulla base di specifici modi d’uso e obiettivi prestazionali (Bellomo, 2001) si potrebbe ricondurre, in questa prospettiva, ai nuovi criteri di ricerca sulla valorizzazione economica di beni e servizi incentrati non più sulla qualità del prodotto in sé bensì sulle «situazioni» che ne connotano l’utilizzo da parte del fruitore (Pine e Gilmore, 2000: 18-22). In termini urbanistici e architettonici questo significa spostare l’attenzione progettuale da questioni meramente morfologiche o quantitative verso la soddisfazione di domande di esperienze.

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Il controllo dei flussi pedonali La quantità di pedoni che frequenteranno l’area da riqualificare ha ricadute importanti tanto sul piano della definizione spaziale del progetto quanto su quello della attrattività finanziaria che lo rende possibile. Il disegno urbano ha dunque anche il compito di predisporre la quantità, la densità e la direzione dei flussi pedonali per assicurare una presenza di persone il più duratura e densa possibile. La direzione dipende dalla dislocazione dei nodi primari e secondari, per cui i punti di interscambio modale con il mezzo pubblico e privato non dovrebbero essere stabiliti solamente in funzione del controllo del traffico ma anche in relazione ai percorsi pedonali che possono generare. Se è importante altresì evitare «punti morti» (Gili, Pesci e Rossi, 1994: 70) lungo il percorso40 è altrettanto indispensabile predisporre dei «punti di quiete» per lo sguardo, il corpo, i sentimenti (Consonni, 1994: 38). Infatti l'idea di ridurre la frequentazione degli spazi pubblici a una mera pratica commerciale secondo il motto «compra o vattene, ma non restare» (shop or leave, but do not stay), che ha improntato gli interventi statunitensi dei primi anni settanta (Robertson, 1994: 26), costituisce un grossolano svilimento del valore e della portata sociale degli spazi pubblici: tale mistificazione, non a caso, si è peraltro rivelata fallace e controproducente proprio in quei luoghi dove è stata applicata in maniera radicale. Tra i diversi modi e le varie occasioni di frequentazione degli spazi pubblici, le motivazioni dei viaggi per acquisti sono scomposte da alcuni studi in leisure shopping (acquisti legati al tempo libero) e purposeful shopping (acquisti finalizzati), le quali inducono comportamenti diversi da parte degli avventori: lunghi stazionamenti e alta frequentazione di un gran numero di negozi nel primo caso e breve visite con percorsi razionalizzati fino al minimo sforzo e impiego di tempo nel secondo caso (Schiller, 1999; Brown, 1992). La progettazione degli spazi pubblici anche in funzione di questo aspetto potrebbe così avvalersi del piano di merchandising (Gili, Pesci e Rossi, 1994: 69-70) – analizzato in maniera estesa più avanti – poiché la disposizione delle attività commerciali di maggior richiamo nei nodi secondari, ad esempio, è funzione tanto della tipologia selezionata quanto della conformazione dell’area urbana. A sua volta il piano di merchandising deve tenere in considerazione 46


8. Belfast: variazione dei percorsi pedonali derivanti dalla nuova fermata nel centro storico nel 1983 [Brown, 1992].

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dinamiche gestionali e promozionali contingenti e da esso potenzialmente divergenti, sicché esiste sempre la possibilità di uno scollamento tra quanto prefigurato in sede di piano e quanto realizzabile di fatto. In questo caso però risulta utile l’indicazione del Main Street Program di non ipotecare eventuali vantaggi duraturi di lungo termine per conseguire risultati immediati ma di scarso valore strategico, se non addirittura controproducenti al conseguimento degli obiettivi inizialmente prefigurati. Il progetto è investito dal difficile compito di valorizzare le specificità fisiche e ambientali del contesto alla luce di una struttura ideale di riferimento, la cui disposizione richiede al tempo stesso vincoli e criteri di flessibilità. L’individuazione dell’orizzonte temporale della strategia e delle priorità da rispettare nella valutazione delle occasioni che si presentano sono da considerare parte integrante della definizione progettuale. Il modello spaziale monofunzionale del centro commerciale, per quanto attentamente pianificato, risulta rispetto ai nuovi modi di consumo inevitabilmente stucchevole; questo punto debole ha portato a nuove simbiosi con i centri per il divertimento, i multiplex e i megaplex suburbani. Se da una lato le nuove strategie commerciali e immobiliari costituiscono una grave banalizzazione del modello urbano assunto a riferimento, dall'altro possono servire come monito e indicazione rispetto alla necessità di dotare gli spazi urbani di una variegata ricchezza di funzioni e modi d'uso. Ken Robertson, sintetizzando le indicazioni di diversi autori (1994: 8), osserva come il monofunzionalismo sia incompatibile con il processo di rigenerazione urbana in relazione a tre aspetti principali: 1. il mix funzionale comporta la presenza di attività durante una fascia oraria giornaliera più estesa; 2. il mix funzionale rende l’esperienza del camminare più varia anche dal punto di vista del paesaggio urbano; 3. il mix funzionale contribuisce a ridurre la necessità di parcheggi, spesso inseriti a detrimento dell’estetica dell’area e della sua estensione. Harvey Rubenstein (1992: 225) a sua volta sottolinea, anche in riferimento ad alcuni casi statunitensi, come la presenza di funzioni residenziali e lavorative – presenti entro un’isocrona di nove minuti, la distanza massima individuata per gli spostamenti pedonali durante le pause pranzo – assicuri al commercio e all’artigianato locali sufficiente domanda per sostener48


li economicamente, oltre che assicurare una presenza continua nell’arco della giornata. Nel caso di diversi Festival Marketplace americani, come quello bostoniano e di Baltimora, il successo del centro commerciale è stato reso possibile anche dal legame con le aree limitrofe della città ospitanti il Central Business District, vale a dire il cuore finanziario dell’area. Infatti, come giustamente rileva Robert Gibbs (1992), i corrispettivi urbani delle principali attività commerciali negli shopping Mall non devono essere necessariamente ipermercati: la localizzazione con funzione di traino, meglio dunque se alle estremità dei percorsi, è più importante della specifica destinazione d’uso. Naturalmente sarebbe riduttivo considerare come punti di attrazione importanti contenitori architettonici: anche le piazze – come ovvio – possono costituire, per il loro valore artistico, culturale e sociale e per la loro funzione di cluster di attività, validi nodi urbani. Comunque si operi, non bisogna trascurare la compatibilità tra la funzione che si intende introdurre e i caratteri del tessuto edilizio, i quali devono essere attentamente considerati quando si intenda incrementare la vitalità dello spazio pubblico41. Quello che va valutato, oltre al ruolo di nodo secondario in relazione all’assetto spaziale del contesto, è però soprattutto il bacino di riferimento del magnete urbano – espresso in isocrone – strettamente connesso a sua volta al grado di accessibilità. La quantità dei pedoni è un parametro fondamentale per la definizione della tipologia del Mall maggiormente rispondente alle finalità prefissate: la scelta di optare per il Full Mall (strada completamente pedonale) piuttosto che per il Semimall (strada carrabile con larga prevalenza di superfici pedonali) o il Transit Mall (strada pedonale attraversata dal trasporto pubblico)42, in una logica di marketing urbano, dovrebbe essere effettuata in funzione del numero di persone che si prevede frequenteranno l’area. Naturalmente tale quantità dipenderà a sua volta dal livello di accessibilità, dal numero e dalla portata delle funzioni principali presenti, dal numero dei fruitori effettivo e potenziale, dalla densità e dalle caratteristiche demografiche del bacino di riferimento. In particolare la configurazione ideale del Mall è quella che riesce a conciliare il massimo livello di accessibilità con il più alto grado di attrattività pedonale. Così mentre nei centri urbani maggiori il potenziamento del tra49


9. Esempio di distribuzione dei flussi nei centri commerciali in relazione ai punti di accesso e alla posizione dei principali «magneti» [Brown, 1992].

sporto pubblico può supplire più facilmente alla drastica riduzione o totale rimozione di strade carrabili e parcheggi derivante dal Full Mall, nelle località minori, caratterizzate in genere da una maggiore dispersione insediativa e da una mobilità di conseguenza meno polarizzata, i proibitivi costi di esercizio di un trasporto collettivo altrettanto efficiente non consentono di sostenere la pedonalizzazione integrale ad ogni costo (Rossi, 1998: 167). In questo caso il progetto del Mall deve puntare all’equilibrio di tre fattori interconnessi: il massimo contributo delle attività commerciali alla qualità e vitalità del luogo; l’accesso della quantità di avventori necessaria per sostenere il commercio locale; il numero di frequentatori attirati dal livello di vitalità dei luoghi. Al venir meno di uno dei tre elementi si innesca molto spesso una spirale negativa che porta al progressivo degrado dell’area. è quanto avvenuto negli Stati Uniti dove molti Full Mall sono stati convertiti in Semimall o sono stati addirittura completamente smantellati (Rubenstein, 1992: 228; Gibbs, 1992). D’altra parte non è sempre necessario intervenire primariamente sul fattore dell’accessibilità per aumentare la vitalità e la frequentazione di un’area; si può in alternativa fare leva sui fattori di qualità del disegno dello spazio pubblico o sull’inserimento di nuovi magneti o sul potenziamento di quelli già presenti (Paumier et al., 1988: 75). Naturalmente la soluzione migliore sarà scelta in base al contesto e alle possibilità finanziarie 50


di chi gestisce la trasformazione. La densità pedonale è da considerarsi sia in termini spaziali che temporali. Poiché le persone tendono a frequentare soprattutto luoghi sufficientemente affollati da renderli vitali, sicuri e interessanti, il controllo della densità attraverso il disegno delle superfici pedonali diviene un principio progettuale molto importante (Gehl, 1987: 24), tanto che Cyril Paumier (1988: 76), qualora il flusso pedonale previsto fosse abbastanza esiguo, consiglia di optare per il Semimall anche in funzione della maggiore densità percepita che questa soluzione riesce a garantire. Il traffico automobilistico inoltre, al di sotto di certi livelli, non sembra essere eccessivamente percepito come un disturbo (Hass-Klau, Crampton, Dowland e Nold, 1999: 125). Naturalmente esiste anche una densità legata allo stare, e non solo alla vischiosità del flusso pedonale: la progettazione dei luoghi di sosta, il loro posizionamento e il loro assetto fisico, deve tenere conto della ricchezza di relazioni che nasce dal rapporto tra moto e quiete. Il posizionamento

10. Esempio di distribuzione dei flussi nei centri commerciali in relazione alle tipologie merceologiche [Brown, 1992].

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11. Alcuni esempi di possibili configurazioni dei mercati [Brown, 1992].

e il disegno dei dehors degli esercizi pubblici o un’accorta disposizione delle sedute possono rappresentare in questo senso una componente del progetto, ma è assolutamente fondamentale, più in generale, la predisposizione degli spazi aperti alla trama degli sguardi, recuperandone il valore teatrale costitutivo (Consonni, 1994: 47-48; 1998). Anche la densità temporale richiede la massima attenzione progettuale, in sintonia con le politiche programmate per gli orari dei negozi. Se la vitalità data a uno spazio pubblico dalle attività che lo circondano scema a fine giornata con la loro cessazione, allora il progetto deve verificare che la configurazione dei nodi secondari attivi anche nelle ore serali e notturne, se esistenti o previsti, garantisca un flusso minimo di persone tale da fare percepi52


re l’area sufficientemente frequentata. Così per esempio la previsione di un gruppo di esercizi pubblici in posizione mediana, sull’esempio della «food court» presente nei centri commerciali (Rossi, 1998: 57), che sia anche poco distante dai nodi primari, potrebbe contribuire a mantenere l’area utilizzata anche dopo l’orario di chiusura dei negozi. Oltre al controllo dei nodi, il progetto degli spazi fisici richiede anche che venga attentamente disegnata la soglia tra spazi pubblici e negozi. Si tratta, come rileva Igino Rossi (1998: 138-146), di un luogo «fluido», di un confine indefinito tra interno ed esterno, tra pubblico e privato: un luogo dove si sommano e alternano diverse percezioni sensoriali. Se i nodi primari e secondari generano e determinano la quantità dei flussi pedonali, lo spazio «fluido» dà loro il ritmo e ne sostiene la tensione lungo i fronti delle strade e delle piazze. Il progetto urbano, scendendo al dettaglio, deve quindi trovare un giusto equilibrio tra la valorizzazione dei caratteri locali, l’arricchimento delle possibilità esperienziali e la progettazione degli spazi pubblici intesi anche nelle loro possibilità di comunicazione (Gili, Pesci e Rossi, 1994: 77). In alcuni contesti la comunicazione è ostacolata dall’eccesso caotico di segnali, urlati e sovrapposti in una crescente competizione per la visibilità; in altri posti, viceversa, specie nei quartieri dell’edilizia del dopoguerra, i fronti stradali soffrono della «carenza di immagine» derivante da caratteri edilizi più uniformi e standardizzati (Job e Ronchetta, 1990: 88). In entrambi i casi, sebbene con modalità opposte, il progetto deve indicare il livello di impatto visivo più consono alla qualità specifica del paesaggio urbano locale. L’Assessorato all’Arredo Urbano di Torino (Job e Ronchetta,1990) e la Camera di Commercio di Napoli (Capasso e Losasso, 1999), sul modello – tra gli altri – delle Supplementary Planning Guidance inglesi, hanno svolto a questo proposito un lavoro esemplare per la valorizzazione, la riqualificazione e il recupero della secolare tradizione del commercio urbano locale. Attraverso il lungo lavoro di ricognizione dei caratteri dei luoghi pubblici, delle caratteristiche architettoniche degli edifici con il piede a destinazione commerciale e del disegno delle devanture tradizionali di fine Ottocento e inizio Novecento, di cui si è dato conto sinteticamente più sopra, i gruppi di lavoro hanno approntato un manuale di linee guida per il recupero e il trattamento dei fronti dei negozi nel rispetto del contesto ambientale e archi53


tettonico. Il manuale non ha valore cogente ma intende fornire coordinate e riferimenti precisi e coerenti per coloro che intervengono nel progetto dei negozi. La convinzione alla base del lavoro è che la valorizzazione dell’identità dei luoghi operata attraverso un inserimento armonico dell’architettura del negozio nell’edificio che lo ospita e un maggiore controllo del rapporto con gli spazi pubblici, contribuisca sensibilmente anche all’incremento del guadagno commerciale (Job e Ronchetta, 1990: 58). Infatti anche nei centri commerciali la gestione, il controllo e il coordinamento delle insegne e delle immagini di negozi e vetrine costituiscono un elemento importante di progetto (Beltramini e Taylor, 1993: 156). Questo accorgimento consegue inoltre una maggiore efficacia nei progetti di riqualificazione se si inserisce in un’operazione complessiva di disegno del paesaggio urbano che mira a recuperare a strade e piazze i ritmi propri del viandante. Infatti le superfetazioni dei negozi che si possono riscon-

12. Napoli: esempio di recupero dell’edilizia storica attraverso la riqualificazione delle devanture [Capasso e Losasso, 1999].

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13. Torino: schema compositivo della via per assi verticali e orizzontali [Job e Ronchetta, 1990].

trare in diversi casi lungo le principali strade commerciali carrabili a Napoli come a Milano o Torino, sono deformazioni imposte alle cortine edilizie, oltre che dall’alta concentrazione delle insegne, anche dalla necessità di adeguare le percezioni alla velocità dell’automobile. In realtà, come si è visto, l’esperienza percettiva del pedone è molto più appropriata al «leisure shopping», mentre al contrario il traffico automobilistico costituisce in questo senso un forte elemento detrattore. Appare dunque quasi paradossale che laddove ci siano dei reali (e non posticci) valori ambientali e architettonici si consenta che la libera iniziativa del singolo comprometta il perseguimento di evidenti vantaggi competitivi per la collettività dei commercianti stessi e dei cittadini. Il controllo dell’accessibilità Rispetto all’accessibilità, tra le indicazioni più complete e interessanti si distinguono quelle contenute nel volume Going to Town (Nrpf, 2002), un altro manuale inglese di integrazione alla già menzionata PPG6. L’accesso è da intendere progettualmente non solo come la possibilità di raggiungere un luogo e fruirne, ma anche come il punto e il modo di ingresso alla città, la cui qualità contribuisce in modo determinante all’attrattività dell’intera area urbana. Vengono suggerite dal manuale quattordici strategie diverse, non 55


14. Luton: proposta di riqualificazione dell’asse di collegamento con la stazione [Nrpf, 2000].

tra loro alternative, per incrementare l’accessibilità e legare il punto di arrivo con l’area di destinazione (il centro cittadino). Le varie soluzioni naturalmente non devono essere disgiunte da un progetto complessivo di gestione dei parcheggi e dei trasporti pubblici. Le proprietà che dovrebbero caratterizzare i percorsi di qualità sono, secondo il testo inglese, cinque: 1. connessione: devono collegare i principali luoghi destinatari dei flussi pedonali; 2. convenienza: devono seguire le «linee di desiderio» dei tracciati pedonali, permettendo facili attraversamenti; 3. comodità: devono essere sufficientemente larghi, ben mantenuti e sgombri da ostacoli; 4. gradevolezza: devono essere puliti e percepiti come sicuri e vari; 5. leggibilità: devono consentire un facile orientamento, essere chiaramente identificabili e propriamente segnalati. Le strategie di riqualificazione proposte sono invece riconducibili, in sintesi, a tre ambiti di intervento: progetto degli spazi aperti, design/comunicazione visiva, trasporti. Rispetto a quanto proposto all’interno del primo ambito le indicazioni più valide riguardano la cura progettuale verso la zona «frammentata» (shatter zone) di aree dismesse attorno al centro cittadino che è in diversi casi attraversata dai percorsi diretti in città dai principali punti di accesso. Si 56


ritiene che l’intervento di rigenerazione debba confrontarsi con questo enorme potenziale per assicurare qualità alle connessioni tra interno ed esterno. L’adozione di un adeguato sistema di segnaletica, integrato con il paesaggio urbano, è un altro sistema per migliorare la fruibilità dell’area urbana e dei percorsi tra i principali nodi di attrazione e i nodi primari di arrivo. Viene posta inoltre molta attenzione alla prossimità dei punti di arrivo – fermate del trasporto pubblico e parcheggi – nei confronti delle principali aree di destinazione. Altre indicazioni di fondo: la pianificazione, il progetto e la gestione del sistema dei parcheggi costituiscono un argomento di fondamentale importanza all’interno di qualsiasi politica di rigenerazione urbana in chiave commerciale. Il problema dei parcheggi sembrerebbe essere però inversamente proporzionale alla dimensione dell’area urbana servita e strettamente correlata inve-

Spostare il punto di arrivo

Migliorare il collegamento

Espandere il centro

Migliorare la segnaletica

Connettere il collegamento alla rete di strade

Collegare tramite navette

Ridurre le barriere

Legenda

15. Diagrammi di alcune strategie di accesso al centro cittadino [Nrpf, 2000].

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16. Lione: piano dei parcheggi del centro storico [Machule, Fulda, Kรถster, Usadel, 2003].

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ce alla sua vocazione funzionale. Per esempio nel caso delle aree urbane che presentino un’offerta commerciale maggiormente orientata ai beni di consumo la facilità di accesso automobilistico, a causa delle modalità di acquisto di tali merceologie, può risultare un fattore determinante, contrariamente a quei centri caratterizzati da piani di merchandising basati sui beni di confronto (DoE, 1994: 83). Poiché l’accessibilità garantita dai mezzi pubblici rende la questione dei parcheggi meno pressante, gli sforzi finanziari e progettuali devono puntare primariamente alla creazione o al miglioramento del servizio di trasporto collettivo (Hall e Hass-Klau, 1985). John Roberts (1990: 42), rifacendosi ai dati forniti da uno studio tedesco del 1988 condotto su un campione di dieci città, dimostra come non sussista una connessione diretta tra l’incremento della dotazione unitaria di posti auto e maggiori proventi del commercio43. Un riscontro viene da un caso milanese. Nella città ambrosiana, agli inizi degli anni novanta, la Rinascente trovò economicamente più vantaggioso convertire a spazi commerciali una parte consistente del parcheggio costruito trent’anni prima (Rossi, 1998: 28). Ma ci sono anche casi opposti. La città di Lione ha investito molte risorse nell’incremento dei posti auto al servizio del centro storico e del suo principale asse commerciale (Rue de la République), nonostante fosse già servito da una linea metropolitana; ma in questo caso il progetto dell’accessibilità si è integrato strettamente con quello della riqualificazione degli spazi pubblici e del riassetto complessivo della mobilità (Mellano et al., 2000: 95-133). Nel caso di centri urbani minori, il cui eventuale servizio di trasporto pubblico molto spesso risulta per orari, percorsi, frequenze e capillarità inferiore ai vantaggi consentiti dall’utilizzo dell’automobile privata, non è realisticamente possibile confrontarsi con la capacità di attrazione dei centri urbani maggiori e dei centri commerciali suburbani senza un’adeguata presenza di parcheggi, tanto più che l’utilizzo intensivo dell’automobile caratterizza molto spesso lo stile di vita di coloro a cui si rivolge primariamente l’offerta commerciale (DoE, 1994: 64). La distanza tra gli spazi per la sosta e l’area servita dovrebbe essere compresa in un raggio di 200÷300 metri, sebbene in realtà anche la chiarezza delle segnalazioni e la facilità di orientamento siano da considerare criteri importanti per assicurare la percezione della prossimità. I parcheggi dei centri commerciali suburbani infatti pre59


sentano talvolta distanze anche superiori, ma la studiata visibilità del punto di accesso e dei percorsi attutiscono la percezione di lontananza (Paumier et al., 1988: 84). Una ricerca tedesca citata da Carmen Hass-Klau (Hall e Hass-Klau, 1985: 112-115) ha inoltre potuto rilevare come le distanze percorse dai pedoni siano mediamente molto superiori rispetto a quanto previsto dai pianificatori, sebbene in effetti i tragitti degli avventori automobilisti presentassero valori tendenzialmente più bassi. Nella valutazione bisogna dunque tenere in conto anche il grado di «ospitalità» dell’area pedonale e la qualità dei percorsi tra i punti di sosta automobilistica e le principali destinazioni. In particolare dovrebbe prevalere il principio progettuale dell’«one-stop activity center» (Paumier et al., 1988: 84), vale a dire la creazione di un’area ad alta concentrazione di funzioni e servizi e una rete pedonale dei principali nodi secondari di attrazione in modo da ridurre quanto più possibile gli spostamenti effettuati in automobile. La disposizione dei parcheggi, quali nodi primari, rispetto all’area servita è, come accennato, uno strumento progettuale importante per guidare i flussi pedonali e assicurare una costante presenza di persone anche nella fascia perimetrica (Rossi, 1998: 153). Nel caso poi che si intendesse sviluppare o rinforzare attività serali e notturne, la gratuità della sosta in queste fasce orarie potrebbe servire da incentivo, specialmente laddove gli orari e la frequenza del trasporto pubblico sono legati ai ritmi pendolari diurni, per mantenere vitali più a lungo le aree interessate. Il regime d’uso dovrebbe così privilegiare le soste brevi, inibendone l’uso da parte di altre categorie con tempi di permanenza più alti attraverso un’adeguata politica dei prezzi, la quale, oltretutto, può essere concordata in chiave promozionale attraverso particolari offerte da parte degli esercizi commerciali. In una logica di project financing la programmazione del regime tariffario in funzione della struttura della rete di parcheggi, oltre a consentire una sorta di politica perequativa dei costi della mobilità, permette di finanziare le opere intraprese per la manutenzione e la nuova costruzione di autoparchi (Brambilla e Cusmano, 2002: 295-321). Il ricorso al project financing nel piano parcheggi per il centro storico di Lione – la prima esperienza francese di questo tipo – ha consentito di finanziare opere di alta qualità architettonica: gli autosili sotterranei, ricavati sotto le principali piazze del cuore urbano lionese, sono stati concepiti estetica60


17. Lione: parcheggio sotterraneo di Place de Celestins [www.lyon-parc-auto.com, 2005].

mente come una continuazione dei luoghi pubblici alla superficie, progettati da architetti in collaborazione con ingegneri, artisti ed esperti in comunicazione. Il risultato è tale da trasformare potenziali non-luoghi in vere e proprie attrazioni turistiche e di fare della Société d’Économie Mixte che se ne occupa, la Lyon Parc Auto (LPA), un esempio e punto di riferimento nei confronti di molte altre cittadine francesi per le quali svolge infatti anche attività di consulenza. 61


18. Reggio Emilia: proposta di ubicazione dei parcheggi del centro storico e relativi percorsi di accesso [Rossi, 1998].

La determinazione della quantità di parcheggi necessaria per sostenere le attività dei negozi deve tenere in considerazione diverse variabili: il livello complessivo di accessibilità; il piano di merchandising e le tipologie del tenant mix; le modalità di gestione delle aree di sosta e il tasso di turnover; i comportamenti di acquisto dei frequentatori dell’area e, infine, la capacità attrattiva rispetto a strutture concorrenziali. Appare dunque riduttiva un’interpretazione analitica e progettuale della questione che, analogamente a quanto viene fatto per i centri commerciali44, associ il livello di competitività di un’area esclusivamente al rapporto tra superfici di vendita e di sosta. La strategia della localizzazione dei parcheggi, se intesi come elementi qualificanti, diviene uno strumento rilevante nella progettazione coordinata delle fasce periferiche e dell’area centrale. Infatti, come già si è avuto modo di accennare, gli interventi per la valorizzazione delle aree urbane e delle zone commerciali primarie non devono andare a discapito delle altre zone perimetrali: l’effetto di «cono d’ombra» deve essere mitigato attraverso una strategia che le consideri entrambe. La corona di accesso all’area centra62


le, sebbene differente per caratteri e funzioni, deve essere sottoposta a una progettazione non meno scrupolosa: anziché essere considerata come un «retro» deve infatti essere interpretata piuttosto come il «biglietto da visita» del cuore urbano. Il disegno degli spazi pubblici Vi sono, infine, da parte di quasi tutte le pubblicazioni, diverse indicazioni sul modo migliore per disegnare gli spazi pubblici del Pedestrian Mall. La maggiore parte di esse si rifà a testi di Jane Jacobs, Christopher Alexander, William Whyte, Jan Gehl e Kevin Lynch. Nel caso di Carmen Hass-Klau (Hass-Klau, Crampton, Dowland e Nold, 1999: 129) sono interessanti le verifiche di tali teorie effettuate dalla studiosa sulla base dell’osservazione empirica di aree campione in diverse città d’Europa. Ne sono derivati suggerimenti preziosi su vari aspetti; in particolare la scelta dei materiali in considerazione della loro resistenza nel tempo, l’utilizzo degli elementi del paesaggio urbano e della disposizione delle sedute in funzione delle viste, soprattutto in funzione dell’attività più praticata: l’osservazione degli altri. In sintesi le varie prescrizioni invitano il progettista a tenere conto dei seguenti aspetti, ritenuti essenziali per il successo degli spazi pubblici: – il rispetto e la valorizzazione dei caratteri identitari dei luoghi; – la qualità complessiva del disegno e dei materiali adottati, ritenuti sempre un investimento sicuro, anche se determinano costi iniziali più alti; – il controllo dettagliato degli elementi formali, percettivi e sensoriali del paesaggio urbano in una prospettiva temporale: dai fattori che determinano l’immagine mentale della città alle componenti architettoniche e di design degli spazi aperti; – il controllo degli elementi che contribuiscono alla mitigazione delle condizioni meteorologiche e climatiche: pensiline, alberature, dehors, passaggi coperti, portici, elementi d’acqua; – la qualità, la gerarchia, la leggibilità e l’interconnessione della rete dei percorsi; – la provvisione e la qualità di piazze e, in generale, di luoghi per la sosta, in particolare in presenza di locali per il ristoro; – la densità, varietà, flessibilità e integrazione delle destinazioni funzionali presenti nell’area e delle attività possibili negli spazi pubblici aperti; 63


– la riduzione dei conflitti potenziali tra le diverse utenze degli spazi pubblici. Il disegno strategico degli spazi pubblici deve inoltre sapere incorporare tra i principi progettuali anche la dimensione flessibile e incrementale necessaria alla ottimizzazione delle risorse e dei tempi. Il progetto deve cioè essere concepito secondo una logica processuale. Gli obiettivi da conseguire attraverso tale strategia sono principalmente due: arginare quanto più possibile il disagio, soprattutto in termini economici, procurato dai cantieri; predisporre il progetto in modo che ogni fase renda quella successiva maggiormente condivisa e/o realizzabile finanziariamente ma, al tempo stesso, non strettamente dipendente dal completamento di quella precedente. Si tratta evidentemente di istanze difficili da soddisfare pienamente e devono essere considerate piuttosto come requisiti progettuali ideali, passibili di equilibri e compromessi. A questo proposito risultano molto chiari due esempi riportati da Roberto Brambilla e Gianni Longo (1977: 96 e 123). Il primo è tratto dall’esperienza francese della città di Rouen, in cui la pedonalizzazione della Rue de Gros Horloge è stata intrapresa per fasi successive: la pavimentazione di una carreggiata, poi dell’altra e infine il completamento del disegno attraverso elementi di arredo urbano e la costituzione della fascia «fluida», descritta precedentemente, attraverso l’apertura verso agli spazi pubblici delle cortine edilizie. Il secondo riguarda invece la realizzazione del Pedestrian Mall di Kalamazoo, in Michigan. La strategia del suo ideatore, Victor Gruen, ha previsto di sviluppare in parallelo il livello di accessibilità dell’area e le sue qualità ambientali. Così in una prima fase di realizzazione è stato creato un anello a senso unico intorno al centro urbano per deviarne parte del traffico mentre al suo interno veniva realizzata l’area pedonale con i relativi parcheggi. Nella seconda fase invece la sezione stradale dell’anello venne espansa, come anche la superficie del Pedestrian Mall al suo interno. Nella terza fase, infine, si è proceduto al completamento del sistema della mobilità, si sono realizzate nuove edificazioni nella aree perimetrali e si è riqualificato il paesaggio urbano complessivo.

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19. Rouen: la pedonalizzazione per fasi della Rue de Gros Horloge [Brambilla e Longo, 1977].

1.5 Altri elementi del progetto e politiche integrate Il progetto di riqualificazione di un’area urbana è un’operazione complessa, che trascende le mere questioni del disegno urbano, pur fondamentali, e la cui realizzazione dipende strettamente dalla integrazione di politiche settoriali. Per molti aspetti i distretti commerciali urbani possono essere considerati simili ai centri commerciali suburbani, ad essi peraltro apertamente ispirati: in modo reciproco l’analisi, il progetto e la gestione della aree urbane può prendere a modello, pur con le sue innegabili specificità, il proprio surrogato suburbano. Il controllo centralizzato di quest’ultimo si traduce, nel caso urbano, in una gestione attuata attraverso politiche integrate di cui il progettista deve tenere inevitabilmente conto, essendo tali componenti 65


attive del progetto non meno essenziali della struttura tangibile del luogo nell'ambito della maggior parte dei piani strategici. Uno dei metodi di intervento più completi, da questo punto di vista, è quello proposto dal già citato Main Street Program, il quale si fonda sulla stretta correlazione di quattro linee di intervento: 1. progetto dell’ambiente urbano; 2. costruzione di una struttura organizzativa fondata sul consenso e sulla cooperazione; 3. promozione; 4. ristrutturazione economica. Inoltre vengono indicati otto principi guida: 1. integrare gli ambiti di intervento; 2. perseguire una strategia incrementale; 3. sostenere il programma prevalentemente attraverso l’impegno degli attori locali; 4. istituzione di partnership tra pubblico e privato; 5. identificare i caratteri unici del luogo e investire in essi; 6. esaltare la qualità del programma in ogni ambito; 7. modificare le aspettative e gli atteggiamenti detrattori portando, col tempo, a una solida fiducia nel programma; 8. attuare una strategia che sappia conseguire e mostrare risultati anche nel breve periodo. La presenza di un ente centrale di coordinamento e controllo risulta evidentemente necessaria per la gestione di qualsiasi approccio di tipo integrato. Questo implica che gli enti locali, eventualmente con la partecipazione dei privati, si devono organizzare per costituire un organismo unitario, sebbene internamente specializzato, che abbia un mandato preciso e chiaramente identificato rispetto agli interventi programmati. L’individuazione di competenze, responsabilità e di un’agenda condivisa costituisce un prerequisito irrinunciabile per la riuscita del piano, così come la predisposizione di un programma di aggiornamento continuo dei risultati ottenuti negli ambiti di intervento. Le analisi effettuate preventivamente per ciascuno dei quattro ambiti dovrebbe consentire, grazie a una sintesi di tipo Swot, di definire obiettivi e strumenti più specifici, articolati, in alcuni casi, in risposta ai particolari 66


caratteri sociali, economici e fisici delle aree di progetto. La completa realizzazione del programma di intervento non solo non può prescindere da ciascuno di questi ambiti, ma dipende ancora più dal loro coordinamento in fase di attuazione. Ecco perché questa strategia integrata non può che fondarsi su di una logica incrementale, la quale, in contrapposizione con quella basata su grandi progetti catalizzatori (Paumier et al., 1988: 45), risulta l’ideale per un contesto economicamente debole, in cui il clima di fiducia dei diversi attori in campo deve essere consolidato nel tempo e in cui l’azione di riqualificazione richiede una distribuzione equilibrata delle risorse tra le diverse politiche settoriali. Rispetto all’obiettivo di creare una fiducia crescente verso le possibilità di successo dell’intervento è altresì importante predisporre politiche a breve termine, con effetti immediati, e politiche di tipo strutturale a medio–lungo termine. La solidità delle azioni intraprese rischia infatti di indebolirsi se non è supportata dal consenso generato dalla constatazione dei risultati. Simmetricamente si deve evitare che gli esiti conseguiti a breve termine ostacolino la corretta realizzazione della strategia complessiva. Così, per esempio, l’abbassamento del vacancy rate dei negozi derivante da nuovi insediamenti commerciali non deve porre in secondo piano la coerenza rispetto al tenant mix programmato. Nel lungo periodo il mancato rispetto del piano di merchandising porterebbe inevitabilmente le vendite e gli affitti al livello di partenza, vanificando ogni sforzo intrapreso. Il controllo del tenant mix Come già accennato, la configurazione del tenant mix è considerata dalla letteratura del settore un fattore cruciale per la competitività dei centri commerciali (Anikeeff, 1996; Downie Fisher e Williamson, 2002; Sirmans, Gatzlaff e Diskin, 1996). Infatti la crescente competizione tra i diversi centri non permette più, come un tempo, di lasciare la selezione dei commercianti alla naturale evoluzione del mercato; la solidità dei progetti immobiliari dipende sempre di più dalla capacità di controllare e sviluppare anche i più risicati margini di guadagno. Il cambiamento delle caratteristiche del mercato – tanto sul fronte della domanda quanto su quello dell’offerta – ha portato gli studiosi del settore, per lo più statunitensi, ad abbandonare le teorie ormai datate della «localizzazione centrale»45 e basate su un modello gerarchico e specialistico dei bacini di acquisto in favore di modelli di gravitazio67


ne incentrati sulla capacità di attrazione derivante, più che dalla prossimità, dalle dimensioni, dalle caratteristiche merceologiche e dalla capacità di dare identità (o almeno una parvenza di essa) all’offerta commerciale attraverso un opportuno piano di merchandising (Eppli e Shilling, 1996; Rossi, 1998: 95). La predisposizione cioè delle caratteristiche spaziali, qualitative e quantitative del tenant mix. Mary Lou Downie, Peter Fisher e Cheryl Williamson (2002: 6-7) articolano il tenant mix nei seguenti elementi: – Beni di consumo (Convenience Goods): sono i prodotti acquistati più frequentemente per il fabbisogno quotidiano e settimanale; – Beni di confronto (Comparison Goods): si tratta di prodotti «…acquistati a intervalli irregolari, per un utilizzo a lungo termine, per i quali convenienza, qualità, prezzo e stile costituiscono importanti fattori di scelta» (Downie, Fisher e Williamson, 2002: 6); la concentrazione e la prossimità dei negozi costituisce per questi beni un’importante economia di scala. A loro volta i beni di confronto sono divisibili, a seconda della qualità e del pezzo, in shopping goods (a maggior consumo, come per esempio cravatte o magliette) e speciality goods (per esempio vestiario di moda) (Prizzon, 1995: 50-51). Il loro raggruppamento non costituisce generalmente una destinazione sufficientemente forte da renderli un elemento trainante, ma risultano fondamentali per la valenza denotativa e il loro valore di complementarietà rispetto agli anchor tenant; – Anchor Tenants: costituiscono le principali destinazioni dei flussi all’interno del centro commerciale. Sono il presupposto imprescindibile per la creazione di un centro commerciale; – Main Space Users (MSU): sono negozi di taglia inferiore agli Anchor Tenants ma possono avere sufficiente attrattività da funzionare anche essi come destinazioni. In alternativa possono essere integrati dentro raggruppamenti di beni di confronto. La scelta della strategia di posizionamento e l’elaborazione del piano di merchandising richiedono una conoscenza approfondita delle dinamiche demografiche e dei modelli di consumo secondo quei parametri ampiamente indicati precedentemente. Così per esempio la presenza di nuclei famigliari a doppio reddito, ma generalmente con poca disponibilità di tempo da dedicare agli acquisti, può orientare l’offerta maggiormente verso la quali68


20. Esempio di piano di merchandising in un centro commerciale [Brown, 1992].

tà del servizio in modo da rendere piÚ gradevoli le poche ore dedicate alla spesa settimanale. Il rilievo costante delle rendite dei negozi e i sondaggi presso gli avventori sono i metodi utilizzati per la valutazione e la correzione del tenant mix. Gli eventuali aggiustamenti sono resi possibili dal sistema degli affitti, il quale, mentre assicura condizioni di favore agli anchor tenants in cambio di contratti a lungo termine, garantisce un controllo serrato dei negozi piÚ piccoli attraverso contratti a breve scadenza. Come si vede, le teorie anglosassoni sulla composizione dell’offerta per i centri commerciali, basate sul principio del cluster di beni di confronto, e le aspettative italiane della domanda per le aree commerciali urbane, cosÏ come 69


21. Reading: mappa degli usi commerciali dei piani terra [Reading Borough Council, 2005].

appaiono dal citato sondaggio della Indicod, tendono a convergere verso uno stesso modello, molto simile a un ibrido tra quelli che Stephen Brown definisce di tipo «geografico» e «compositivo» (1992: 229-234): i beni di confronto raggruppati lungo le aree a maggiore frequentazione pedonale, caratterizzate da un ritmo più blando e da viaggi cosiddetti “multiscopo”, e i beni di consumo e alcuni tipi di servizi, che richiedono una fruizione più rapida e generalmente “a scopo unico”, dispersi verso le aree esterne prossime ai parcheggi. Naturalmente la struttura gestionale del centro commerciale non è trasferibile tout court al caso dell’area urbana. Anche una volta che venisse istituito un organismo di controllo centrale di tipo pubblico–privato, il frazionamento della proprietà di negozi e botteghe e la variegata situazione contrattuale in vigore renderebbero assai problematica una gestione altrettanto dinamica degli spazi commerciali. Il piano di merchandising tuttavia, pur non essendo fondamentale nel contesto urbano quanto lo è per gli edifici-scatola suburbani, può contribuire al processo di riqualificazione commerciale orientando la (ri)localizzazione degli esercenti. Il raggruppamento di particolari attività secondo criteri di omogeneità rispetto alle destinazioni finali o ai prezzi di acquisto o alle particolari caratteristiche di urbanità dell’area può costituire un importante elemento del progetto. 70


Il progetto di comunicazione A livello centrale dovrebbero essere intraprese soprattutto azioni di promozione e di orchestrazione di eventi: il progetto degli spazi pubblici deve prendere in considerazione anche questo aspetto per attribuire ai luoghi la possibilità di ospitare assembramenti in occasione di spettacoli, di poter funzionare come scenografia. Il Main Street Program indica in proposito tre tipologie di promozione: 1. promozioni legate all’offerta commerciale: si basa principalmente su sconti, attività di animazione particolare e offerte speciali; 2. promozioni tramite eventi speciali: si tratta di feste e di manifestazioni pubbliche a tema a carattere non commerciale; 3. attività di image building: ha il compito di migliorare la percezione dell’area urbana presso i vari attori che vi gravitano valorizzandone gli aspetti positivi o ridimensionandone quelli negativi. Esiste poi un’attività pubblicitaria rivolta a far conoscere e apprezzare il programma di riqualificazione stesso attraverso eventi, cerimonie, pubblicazioni monografiche e comunicazioni periodiche (newsletter) dello stato di avanzamento dei lavori e dei risultati prodotti46. Anche la predisposizione di una politica degli orari rivolta a intercettare una domanda più vasta fornisce un importante contributo alla promozione del Mall e alla definizione delle sue caratteristiche spaziali. La frequentazione di particolari magneti (per esempio cinema, teatri o locali notturni) e di esercizi pubblici aperti fino a tardi (ristoranti e bar), e la loro sussistenza economica, è funzione, tra gli altri, della percezione di vitalità presente negli spazi urbani anche durante le ore tardo–pomeridiane, serali o notturne. In Inghilterra la politica della «24 Hour City» si basa prevalentemente su di una regolamentazione attenta ma sufficientemente flessibile degli orari. Naturalmente le soluzioni intraprese devono prevedere anche un’adeguata pubblicità presso le fasce di popolazione a cui si rivolgono, né possono prescindere, come ovvio, dalle specificità della città, dalla consistenza e dalle esigenze dei potenziali fruitori, dal livello di accessibilità e dal conflitto con le funzioni residenziali. In alcuni casi si ritiene che le attuali dinamiche sociali e lavorative richiedano comunque un adeguamento delle politiche degli orari dei negozi, a prescindere dal loro eventuale ruolo sotto la luce del marketing o di presidio 71


degli spazi pubblici, ma semplicemente in quanto servizi rivolti a una cittadinanza i cui modi e ritmi di vita sono cambiati profondamente negli ultimi vent’anni (Abbisogno, 2001: 66). Se il governo delle attività serali comporta primariamente politiche e regolamenti per la gestione degli eventuali conflitti che possono determinarsi in presenza di altre funzioni (in particolar modo quelle residenziali), alcune soluzioni possono essere facilitate già a livello spaziale attraverso un’opportuna zonizzazione delle attività a maggiore impatto acustico. La logistica Un altro esempio significativo dei vantaggi conseguibili attraverso un approccio centralizzato è costituito dai progetti pilota europei per la pianificazione della logistica urbana denominati Merope47. Si tratta di piani di logistica promossi e cofinanziati dalla Comunità Europea che permettono un migliore incontro tra domanda e offerta, l’abbassamento dei costi e la riduzione dell’impatto negativo e invasivo della distribuzione delle merci nei centri storici. Quest’ultima è diventata negli ultimi anni sempre più problematica per la tendenza a ridurre gli spazi di stoccaggio nei negozi in favore delle superfici per l’esposizione, affidando a consegne sempre più assidue e ridotte il rifornimento costante della merce. Nel caso di Genova, una delle dieci città italiane che hanno aderito al programma, è stato avviato nel 2003 il progetto M.E.R.CI48, nell’ambito del quale sono stati istituiti un centro logistico centrale (Hub o Transit Point), dove afferiscono le spedizioni dei grossisti, e una flotta di mezzi di piccolo cabotaggio a bassa o nulla emissione, particolarmente adatti per le consegne nei vicoli del tessuto urbano di antica formazione. Un sistema di questo tipo, progettato sulla base della situazione descritta dal rilievo di luoghi, tempi, orari e tecnologie di consegna, è stato reso possibile unicamente grazie all'informatizzazione della movimentazione dei colli49, specificamente finanziato dal progetto Merope, che consente la gestione centrale del magazzino e il coordinamento e l’ottimizzazione dei percorsi e dei tempi delle consegne nelle aree urbane. L’Urban Distribution Centre (UDC o anche City Terminal: cfr. Secondini, 2003) così configurato, con alcuni adeguamenti, può operare però anche all’inverso, fornendo un servizio centralizzato per la consegna a domicilio di particolari prodotti, i cui costi di trasporto resi così più bassi 72


hub

Area demo Centro storico

22. Genova: posizione dell'hub e perimetro dell'area servita dal progetto sperimentale di logistica centralizzata Genova M.E.R.CI [elaborazione da Google Earth: earth.google.com, 2005]

possono permettere di rendere il servizio gratuito, o quasi, per il cliente. In alternativa il transit point può servire come punto esterno centralizzato di ritiro della merce da parte degli avventori, lasciando al negozio esclusivamente il compito di esposizione dei prodotti e di servizio alla clientela. Anche l’organizzazione e l’inserimento dei transit point nel tessuto urbano periferico o al margine della fascia centrale, a seconda della migliore disposizione in rapporto al sistema di regolamentazione del traffico e della mobilità locali, diviene un’importante occasione di progetto. Questo sistema consente di conseguire il duplice vantaggio di ridurre negli avventori la percezione degli svantaggi derivanti da una diminuzione dell’accesso del trasporto privato e di arricchire la varietà e l’identità del tenant mix mantenendo anche quelle offerte commerciali che dipendono in maniera preponderante dalla facilità di trasporto della merce (come per esempio nel caso di negozi di arredamento o antiquariato). La centralizzazione della logistica urbana consente di conseguire maggiori libertà nella progettazione degli spazi del Mall. Il vantaggio più evidente è quello legato alla progettazione delle aree e dei percorsi per il carico e lo scarico al servizio dei negozi: le ridotte dimensioni dei mezzi e la loro 73


maggiore manovrabilità consentono di ridurre gli spazi ad essi specificamente dedicati integrandoli più facilmente nel disegno complessivo dell’area. Un secondo vantaggio evidente è la riduzione dei fattori di inquinamento (acustico, estetico e atmosferico) e di disturbo per i frequentatori del Mall; inoltre la diminuzione del traffico che ne deriva contribuisce ad arginare l’effetto entropico che, come si è detto, si determina molto spesso nella fascia perimetrica dell’area pedonale. Un terzo vantaggio infine, meno immediato ma non meno importante, è quello di poter investire in una maggiore qualità dei materiali e del disegno quello che viene risparmiato da questo tipo di servizio. La promozione di programmi integrati di riqualificazione commerciale L’apporto di capitali esterni, come nel caso genovese appena richiamato, risulta spesso determinante per intraprendere azioni di riqualificazione e di trasformazione della aree commerciali. In Italia la riforma del commercio del 199850 ha introdotto, a livello regionale, la possibilità di redigere “programmi di qualificazione della rete commerciale” promovendo finanziariamente modalità integrate di intervento. Così, sul modello di altri esempi internazionali – soprattutto statunitensi, inglesi, portoghesi e francesi (Moras, Codato, Franco, 2004) – sono stati creati strumenti attuativi e finanziari di iniziativa pubblica (ma destinati anche a organismi di partenariato pubblico–privato) per un approccio di tipo integrato, come i Piani Locali di Intervento (PLI) lombardi o i Programmi di Qualificazione Urbana (PQU) e i Piani Intergrati di Rivatilizzazione (PIR) in Piemonte. Rispetto però ai modelli internazionali di riferimento si può riscontrare in Italia un forte ritardo della ricerca e della disciplina urbanistica e architettonica nel trattare le questioni inerenti la progettazione integrata in chiave commerciale. Così per esempio diversi progetti comunali finanziati dalla prima edizione dei PLI della Lombardia, pur sviluppando alcuni dei requisiti incentivati dai criteri di selezione (come il partenariato tra pubblico e privato e la diversità delle azioni da intraprendere), in mancanza di un adeguato appoggio professionale hanno interpretato l’occasione del finanziamento come un sussidio economico estemporaneo, privo di qualsiasi orizzonte strategico. Infatti mentre più della metà dei progetti ammessi sono legati a investimenti programmati dai privati, solamente il 6% delle domande pre74


23. Mandello del Lario: progetto «Demo» del bando dei Programmi Locali di Intervento della Regione Lombardia [www.osscom.regione.lombardia.it, 2005]

sentate hanno coinvolto nel progetto, tra gli attori, associazioni di categoria o gruppi simili, vale a dire quegli enti che più facilmente promuovono studi e iniziative di marketing e che possono contribuire al coordinamento delle politiche di intervento. Inoltre associazioni e unioni di categoria hanno finanziato appena lo 0,4% dei progetti51. Nel caso portoghese l'omologo programma Urbcom ha previsto, sebbene solo come opzione facoltativa, il finanziamento di Unità di Accompagnamento e Coordinamento, vale a dire di organismi misti preposti alla gestione delle misure di riqualificazione commerciale (Bianchi, 2003: 37). Con tutta probabilità l’introduzione fortemente incentivata di strutture simili anche in Lombardia contribuirebbe a rendere più solidi e duraturi i risultati promossi attraverso gli investimenti regionali a fondo perduto. Nei Business Improvement District (BID) americani e inglesi il finanziamento dei programmi è promosso e coperto interamente attraverso l’autotassazione dei privati che ne beneficiano (Reilly, 2004: 207-208; Balsas, Kotval e Mullin, 2004: 211-213). Inoltre in alcuni casi europei come a Monaco (Hall e Hass-Klau, 1985: 126-127) o in diverse città americane (Rubenstein, 1992: 142) i costi delle opere di progettazione e realizzazione dei Pedestrian Mall sono stati sostenuti anche dai negozianti e dai proprietari degli immobili avvantaggiati dall’intervento52. 75


24. Birmingham: aree di applicazione del BID di Broad Street con l'indicazione del doppio regime fiscale commisurato alla proporzione dei benefici attesi [www.birmingham.gov.uk/bids.bcc, 2005].

In Italia, se si escludono i suddetti programmi speciali di iniziativa regionale, normalmente i costi delle opere di pedonalizzazione e di allestimento dei Mall sono sostenuti interamente da capitali pubblici. Ma, nonostante l’onere sostenuto dalla collettività, l’influenza sulle amministrazioni locali da parte dei commercianti rende di fatto molto difficile la gestione democratica degli spazi urbani e delle risorse economiche ad essi destinate. Per i negozianti italiani esistono inoltre diverse fonti di contributi pubblici, erogati da enti diversi in rapporto a progetti specifici53; in questo caso appare però ragionevole la proposta avanzata per il piano di arredo commerciale torinese (Job e Ronchetta, 1990: 145) di considerare gli incentivi economici come una forma di premio concorsuale. Come infatti rileva sapientemente anche il Main Street Program, i finanziamenti provenienti da programmi speciali devono servire unicamente come stimolo per innescare processi virtuosi di rivitalizzazione economica; una logica di supporto economico assistenzialistica rischia al contrario di deprimere la tensione imprenditoriale dei beneficiari a scapito del livello di competitività dell’area. Anche per questo motivo, oltre che per assicurare una crescita controllata dei valori economici dell’ambito da riqualificare, viene suggerito un criterio di tipo incrementale nell’erogazione dei finanziamenti o dei prestiti a 76


tasso agevolato, i quali non devono essere né troppo consistenti né troppo prolungati e devono essere devoluti per interventi specifici (Smith, Joncas e Parrish,1996: 41). Il lassismo degli investitori e le loro titubanze circa i rischi di un impegno economico sono scossi più efficacemente se tali aiuti sono percepiti come una risorsa rara e limitata nel tempo, un’occasione da cogliere immediatamente. Per lo stesso motivo è importante che il recupero, il restauro e il ripristino degli edifici e degli spazi urbani siano intrapresi per tappe, attraverso interventi graduali; le spese ingenti e i lunghi tempi di attuazione che si accompagnerebbero a una fase unica di attuazione non solo costituiscono un deterrente notevole verso l’impegno economico, ma rischiano anche o di esporre eccessivamente l’imprenditore durante i fragili periodi di assestamento economico dell’area, oppure di alterare eccessivamente la sincronia ideale tra l’incremento dei costi di affitto (aggiornati sulla base del nuovo investimento intrapreso) e il livello dei profitti dei negozianti. È molto importante quindi sorvegliare costantemente anche l’aspetto della rendita immobiliare. La logica incrementale è in questo caso molto utile anche per evitare che la percentuale di crescita del fatturato commerciale si discosti eccessivamente da quella dei canoni di locazione: se si allargasse la forbice tra i due valori si rischierebbe la chiusura precoce dei negozi a più basso rendimento, senza tuttavia che l’area abbia acquistato sufficiente fiducia presso i mercati perché gli spazi liberati vengano rioccupati da altre attività a maggiore reddito. Nelle prime fasi vanno tenuti dunque sotto continuo esame il vacancy rate dei negozi, il costo dei canoni di locazione e il fatturato dei commercianti per poter intervenire tempestivamente con correttivi adeguati.

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Per tacere della sorprendente penuria di ricerche e pubblicazioni anche semplicemente sul tema della pedonalizzazione e della vita negli spazi pubblici rispetto ad altri Paesi che, paradossalmente, vedono proprio nell’Italia un modello da studiare. 2 Tra i primi studi si trovano alcune analisi condotte in Germania, patria delle pedonalizzazioni più antiche promosse in Europa dalle pubbliche amministrazioni. Per approfondimenti si veda l’ottimo studio di Carmen Hass-Klau (1990). 3 Si vedano ad esempio DoE, 1994: 11-27; Hall e Hass-Klau, 1985: 85; Balsas, 2000; Gili, Pesci e Rossi, 1994: 1-7; Rossi, 1998: 14-30; Ave, 2004: 146-149; Morandi, 2003. 4 Secondo le statistiche disponibili sul sito dell’Eurostat nel 2001, con un trend costan-

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te per tutto il decennio precedente, l’Italia era la terza nazione europea, dopo i minuscoli Liechtenstein e Lussemburgo, per numero di automobili: 574 ogni 1.000 abitanti [http://epp. eurostat.cec.eu.int/pls/portal/, 2005]. 5 Il progetto di ricerca venne coordinato dal prof. Sandro Polci, architetto e docente presso l’Università di Siena. 6 A questo proposito è interessante il punto di vista avanzato da Ugo Carughi (2001) che considera come un danno economico, paragonabile a un ammanco, il mancato surplus di introiti derivabili da un uso qualificato e appropriato degli spazi pubblici. Secondo i dati appena esposti, tale ammanco, calcolabile come la differenza tra il valore di scambio prima e dopo un eventuale intervento, si aggirerebbe in media intorno al 30%. 7 Si vedano ad esempio le analisi dei casi studio riportati in Rubenstein (1992) o in Lockwood e Stillings (1998). 8 Anche in questo caso vi sono però situazioni e opinioni divergenti. John Roberts (1990) riconduce l’incremento delle vendite derivanti dalla pedonalizzazione a una crescita del flusso pedonale (non inferiore al 50%) alla conseguente rilassatezza e maggiore libertà di movimento dei pedoni. In precedenza anche uno studio inglese del 1981 condotto a Leeds aveva dimostrato una relazione diretta tra l’aumento di flusso pedonale e l’incremento delle vendite (Hall e Hass-Klau, 1985: 123). Diversi dubbi in proposito sono sollevati invece da Rolf Monheim (i cui dati relativi alla Germania costituiscono il principale riferimento per le analisi della HassKlau) il quale, riferendo del caso tedesco, ritiene che non sia possibile distinguerne in modo netto il portato specifico della pedonalizzazione sull’andamento delle vendite, dal momento che tali opere nella maggioranza dei casi si accompagnano ad altre iniziative più generali di riassetto urbano miranti soprattutto al miglioramento della mobilità e del trasporto pubblico (Monheim, 1990: 250-51). 9 A Monaco per esempio i negozi dell’area centrale pedonalizzata (Karlsplatz e Marienplatz) hanno goduto inizialmente di un incremento delle vendite del 40% mentre nelle zone ai margini del centro si è registrato un decremento pari al 15%. Successivamente tuttavia la situazione si è stabilizzata anche nelle aree di margine, essendo il traffico pedonale richiamato dai nuovi interventi talmente intenso da invadere anche le strade esterne e secondarie. In altri casi invece (Hass-Klau, Crampton, Dowland e Nold 1999: 111) si è constatato che i flussi di traffico nelle vie limitrofe sono stati meno intensi del previsto. 10 Rolf Monheim (1998), riferendosi soprattutto all’esperienza tedesca, suggerisce l’ampliamento delle aree pedonali per “diluire” quella presenza pedonale che in taluni contesti e in determinati periodi può diventare persino un elemento fortemente detrattore per l’intera area. 11 È la definizione data dal Dlgs 114/98 e indica le superfici commerciali in sede fissa fino ai 150 mq per i comuni con un numero di abitanti inferiore a 10.000 e una superficie fino ai 250 mq per quelli con una popolazione superiore a tale soglia. 12 Per certi versi dovrebbe essere seguito un approccio analogo a quello adottato da diversi enti locali – regionali e comunali – rispetto alla regolamentazione della localizzazione dei distributori di carburante. Ai legislatori appare evidente che l’ubicazione di tali attività commerciali, di indubbia utilità, vada controllata, in particolar modo nei centri storici, in base a principi di compatibilità e salvaguardia dei valori ambientali, estetici e storici del contesto. 13 Le indicazioni contenute nella PPG6 sono state rielaborate, con alcune modifiche, nella Planning Policy Statement 6 (Odpm, 2005). 14 Centri Metropolitani (City Centres); Centri Urbani (Town Centres); Centri Circoscrizionali (District Centres); Centri Locali (Local Centres).

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In questo senso l’indicazione invita a un’analisi più profonda rispetto al semplice azzonamento attorno ai «poli di bacino» con popolazione superiore ai 10.000 abitanti introdotto dal regolamento di attuazione della Regione Lombardia (r.r. 21 luglio 2000 n. 3). L’analisi del territorio secondo una struttura gerarchica del sistema commerciale è stata invece adottata dalla legislazione piemontese (dcr 563 - c.r.13414 del 29 ottobre 1999), in questo senso più avanzata delle altre regioni italiane. Viene identificata una «rete primaria», formata da centri metropolitani, poli e subpoli, e una «rete secondaria», formata da comuni turistici, intermedi (con popolazione maggiore di 3.000 abitanti) e minori (con popolazione minore di 3.000 abitanti). Tale classificazione tassonomica consente una indicazione più specifica e mirata dei requisiti e degli obiettivi di intervento delle politiche per il commercio. 16 Il «centro cittadino» (Town Centre) è caratterizzato generalmente dalla presenza di un’area commerciale primaria. La «fascia di margine» (Edge-of-Centre) è una sorta di area di servizio del centro cittadino ed è caratterizzata dalla presenza di parcheggi e di nodi di interscambio con i mezzi pubblici. A seconda della destinazione d’uso, il raggio di tale fascia dovrebbe variare tra i 200÷300 metri per l’area commerciale primaria e i 500 metri per il terziario, sebbene la percezione di tali distanze sia anche in funzione della topografia del luogo e dell’architettura della strada. L’«ambito periferico» (Out-of-centre) è lontano dal centro cittadino ma situato all’interno dell’area urbana. L’«ambito extraurbano» (Out-of-town) è posizionato all’esterno dell’area urbana. 17 Il Sequential Approach è stato proposto in altre Policy Planning Guidance notes anche per i servizi pubblici in genere, per le espansioni residenziali e per le funzioni che maggiormente attraggono popolazione. Per una trattazione più approfondita di questo principio, dei suoi limiti e delle sue potenzialità, oltre che ai due documenti ufficiali (Planning Policy Guidance 6 e Planning Policy Statement 6) si rimanda all’ottimo studio commissionato in proposito dal governo britannico (C.B. Hillier Parker, 2004). 18 La quantità dei flussi pedonali è considerata uno dei parametri fondamentali di valutazione, utilizzato anche per misurare le prestazioni dei centri commerciali (DoE, 1994: 57). Il conteggio in genere viene effettuato su un campione di tempo (per esempio due minuti) che viene poi espanso alla durata di un’ora. L’intervallo orario del rilievo va stabilito a seconda del contesto, poiché, come ha potuto rilevare Carmen Hass-Klau (Hass-Klau, Crampton, Dowland e Nold, 1999: 119-124), si riscontrano differenze di orari nella fruizione delle aree pedonali: in Italia per esempio, contrariamente a quanto avviene in paesi nordici come Inghilterra e Germania, le ore che registrano una frequenza minore sono quelle della pausa pranzo. Evidentemente i regimi di apertura dei negozi, causa ed effetto del fenomeno, sono un fattore determinante di cui tenere conto. Rolf Monheim (1998) inoltre pone l’attenzione sugli aspetti tecnici del conteggio pedonale in rapporto ai cicli temporali periodici di frequentazione delle aree urbane (giornalieri, settimanali, mensili e annuali); bisogna tenere conto di questi durante i rilievi perché possono offrire risultati e interpretazioni piuttosto falsate, come nel caso della città di Aachen riportato dall’autore. 19 Esiste sempre una percentuale fisiologica di spazi sfitti, per cui il dato va interpretato con cautela. 20 Il rendimento è un parametro abbastanza controverso, da interpretare con la debita attenzione sulla base del contesto specifico. è calcolato come il rapporto percentuale tra l’affitto annuo che un immobile è in grado di generare e il suo valore di scambio sul mercato. Tale rapporto pertanto, contrariamente a quanto si potrebbe pensare di primo acchito, quando è basso indica generalmente fiducia da parte degli investitori che il valore degli affitti, in un mercato solido e in evoluzione, sia destinato ad aumentare nel tempo. Viceversa quando il rendimento è alto indica una preferenza a vendere nel breve periodo piuttosto che investire a lungo termine a causa dei bassi margini di guadagno che il mercato degli affitti è in grado

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di assicurare. Poiché gli affitti dei negozi sono stabiliti a loro volta in funzione sia del valore immobiliare degli edifici che del ricavo degli esercenti (in ragione del 5÷8%) ne consegue che il rendimento, considerato diacronicamente, è considerabile un indicatore dello stato di salute di un’area urbana o, per lo meno, della percezione che gli investitori hanno di essa (MacLaran, 2003: 37-41). 21 Dato che il costo degli affitti è in parte stimato in funzione della grandezza della città, anche questo parametro deve essere considerato in modo diacronico come misura dell’evoluzione del mercato nell’area commerciale primaria e oltretutto deve tenere conto del contesto microeconomico (rendita urbana locale) e macroeconomico (andamento complessivo del settore a scala regionale e nazionale). 22 L’Urban Land Institute americano ritiene tuttavia che il vacancy rate, che misura il tasso di immobili non utilizzati, sia un parametro molto meno indicativo rispetto al retail mix (Paumier et al., 1988: 32). 23 A questo proposito in Inghilterra esiste un progetto, chiamato «Shopmobility», pensato per assicurare l’accessibilità dei centri storici anche ai disabili, attraverso interventi atti a ridurre le barriere architettoniche e ad assicurare adeguati mezzi di trasporto (Gant, 2002). 24 Utilizzando questi strumenti di valutazione Carlos Balsas (2000) è riuscito a dimostrare in modo piuttosto convincente i punti di debolezza dei progetti di marketing urbano intrapresi da alcune città portoghesi. 25 Igino Rossi (1998: 193) definisce la qualità dal rapporto tra la percezione dei caratteri «ludico–romantico–sensoriali» e la condizione manutentiva. I caratteri ludici sono definiti dal clima di piacere e di festa; quelli romantici dalla condizione estetica ambientale data dall’architettura; quelli sensoriali dal grado di stimolazione dei sensi. 26 Le sette categorie individuate degli ambiti commerciali torinesi sono le seguenti: – I percorsi commerciali dell’area centrale: sono divisi a loro volta in quattro sottocategorie (Assi commerciali principali; Assi commerciali «di riverberazione»; Percorsi commerciali minori; Percorsi commerciali porticati perimetrali); – Le aree commerciali dei quartieri ottocenteschi pianificati all’interno della cinta daziaria; – Gli assi commerciali dei borghi extramuranei; – Le aree commerciali delle «barriere» e delle borgate operaie del primo Novecento; – Gli assi commerciali dei quartieri di recente pianificazione, compresi tra la prima e la seconda cinta daziaria; – Nuclei e borgate esterne inglobate dalla crescita urbana; – Nuclei commerciali dei recenti quartieri residenziali decentrati. 27 I requisiti della piazza commerciale identificati dallo studio furono otto: – posizione nel centro di zone residenziali; – collegamento con le vie di intenso valore commerciale; – collegamenti con l’intera città soddisfatti dal servizio pubblico e non solo privato; – separazione dal traffico veicolare per consentire la sosta e il passaggio dei pedoni; – posizione tangente o esterna delle strade mai intersecanti la piazza; – localizzazione dei parcheggi in aree possibilmente laterali; – presenza di ampi marciapiedi, portici per il riparo dalle intemperie (specialmente in città del nord di Italia), gallerie e altre attrezzature; – rispondenza a discipline che regolino: negozi, insegne, edicole e tutte le altre attrezzature che anche provvisoriamente appaiono nelle piazze. In questo caso i requisiti proposti sembrerebbero da interpretare come indicazioni di una buona pratica progettuale piuttosto che caratteri ricavati dall’analisi dell’esistente. Oppure la

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loro definizione richiede un rigore maggiore: così per esempio la posizione in una zona residenziale può essere considerato un requisito necessario per la definizione di una piazza commerciale solo rispetto a situazioni specifiche. Molte piazze dei centri storici conservano la loro funzione commerciale nonostante che l’area in cui sono inserite sia diventata a destinazione prevalentemente terziaria; quello che cambia, come si è dimostrato, è la tipologia e la merceologia del commercio che vi si pratica. 28 Gli elementi dell’analisi dell'offerta commerciale, più in dettaglio, sono i seguenti: – il sistema economico: composizione della struttura aziendale; analisi della tipologia di vendita, del tipo di conduzione e della merceologia venduta; analisi delle strategie commerciali delle aziende, i target di riferimento e le modalità della promozione; analisi delle azioni di marketing intraprese dalle aziende, eventualmente associate ad altre; analisi della valutazione dell’area da parte dei commercianti; – la struttura fisica dei luoghi del commercio: perimetro dell’area; identificazione degli assi commerciali e dei poli di attrazione (mercato coperto, mercato su aree pubbliche, centri commerciali, ecc.); misurazione della «densità commerciale» (rapporto tra unità locali e lunghezza della strada e rapporto tra numero di unità locali e numero degli affacci); misurazione del grado di specializzazione merceologica degli assi in base alle percentuali di presenza delle quattro tipologie merceologiche principali: alimentari, beni personali, beni per la casa, altro (l’offerta può risultare così specializzata, multispecializzata – se presenta due tipologie dominanti – o differenziata); rilievo degli elementi estetici delle devanture; – Il contesto urbano: viabilità e aree pedonali o a traffico limitato; nodi attrattori dei flussi pedonali; quantità del traffico veicolare; localizzazione e quantità dei parcheggi pubblici (indice di ricettività; indice di dotazione per il commercio; indice di utilizzo commerciale); percorsi e fermate del trasporto pubblico; localizzazione dei mercati sulle aree pubbliche; qualità dell’arredo urbano (pavimentazione, illuminazione e altri elementi); qualità architettonica delle cortine edilizie (rapporto cromatico, impalcature, elementi di ripristino, rilevanza storica, stato di degrado). 29 Il comportamento di acquisto indaga, attraverso domande di azione (cosa fa normalmente l’avventore) e di intenzione (cosa farebbe o vorrebbe fare), vari aspetti della permanenza di chi frequenta l’area esaminata: il grado di priorità del fare acquisti rispetto ad altre attività; il tempo della permanenza; quali sono i prodotti più acquistati nell’area; quali sono i negozi o le zone più frequentati. 30 La traduzione di valutazioni soggettive in valori misurabili e confrontabili avviene attraverso l’adozione di una delle tre «scale di atteggiamento»: la scala di Likert (grado di condivisione di valutazioni proposte); la scala di Stapel (voto in merito a prestazioni qualitative); il differenziale semantico di Osgood (stima dell’intensità delle qualità negative o positive di ogni caratteristica proposta). Un altro metodo di misurazione attraverso interviste alla clientela è quello teso a valutare il grado di soddisfazione della clientela (customer satisfaction) inteso come scarto (positivo o negativo) tra quello che si aspettava di ricevere e ciò che ha effettivamente ottenuto (Gili, Pesci e Rossi, 1994: 120-127). 31 Gli elementi indicati dal Main Street Program per l'analisi degli ambienti urbani sono: piantumazioni e verde pubblico; segnaletica; spazi pubblici; spazi adibiti allo scarico merci; arredo urbano; fontanelle; monumenti; fermate di autobus e taxi; illuminazione; parcheggi (tipo di gestione; regime della proprietà; presenza di posti riservati ai disabili); cabine del telefono; idranti; buche delle lettere; impianti per il controllo del traffico. 32 Nel rilievo dei parcheggi sono indagati i regolamenti e i piani in vigore, il regime di proprietà e di gestione, i limiti temporali d’uso, i metodi di regolamentazione (disco orario; permessi; ecc.), gli usi riservati e le restrizioni. Rilievi costanti condotti a intervalli regolari (viene suggerita una cadenza stagionale, con indagini del periodo di almeno due settimane condotte tre

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volte al giorno per tre giorni) dovrebbero fornire indicazioni circa il grado e i tempi di utilizzo e il tasso di ricambio quotidiano. Le interviste completano il quadro conoscitivo raccogliendo informazioni sui modi d’uso dei parcheggi da parte di residenti, avventori, lavoratori (quanto spesso e perché decidono di utilizzare i parcheggi, quanto pagano eventualmente o sarebbero disposti a pagare per il servizio, ecc.). La fase successiva, interpretando i dati raccolti, dovrebbe fornire una sintesi della situazione con l’evidenziazione di: 1) i caratteri quantitativi e qualitativi della domanda e dell’offerta; 2) i nodi problematici (conflitti tra diverse tipologie di fruitori, inadeguatezza dei tempi, insufficienza di posti auto, ecc.); 3) le linee di condotta appropriate e praticabili per garantire condizioni di accesso ottimali all’area commerciale. 33 L’analisi della domanda relativa alle aree commerciali urbane deve individuare: a) la consistenza del bacino spaziale e demografico effettivo e potenziale; b) l’età media degli avventori; c) il loro peso percentuale sulla popolazione locale; d) le fasce di reddito e i comportamenti di acquisto; e) i principali canali mediatici dei vari segmenti della domanda; f ) la struttura famigliare; g) il numero di persone/famiglie che ricevono forme di pubblica assistenza; h) il tasso di disoccupazione. 34 Il database del patrimonio immobiliare esistente e disponibile dovrebbe collezionare le seguenti informazioni: dimensioni e destinazioni d’uso di ogni piano, condizioni dello stabile, prezzo di vendita e di affitto, proprietà, alterazioni di rilievo e dati storiografici. 35 Un metodo interessante suggerito per superare le tipiche reticenze dei negozianti in merito al controllo delle vendite è quello del censimento in forma anonima (blind survey), effettuato con cadenza mensile su pochi negozi-campione rappresentativi della struttura commerciale dell’area: l’utilizzo di un codice garantisce la riconoscibilità, ma non l’identificabilità, della fonte. 36 Tra le nuove proposte analitiche di un certo interesse, rispetto a quelle già analizzate precedentemente, vi sono la valutazione del «grado di apertura sociale» dell’area (di cui tuttavia non viene fornita alcuna ulteriore spiegazione) e il valore stimabile delle proprietà tassabili. Quest’ultimo parametro, in particolare, è un fattore da non trascurare nel bilancio tra costi e benefici delle operazioni. Infine viene proposta la redazione del profilo del mercato immobiliare locale per comporre il quadro delle potenzialità di costruzione e trasformazione. 37 L’unico elemento nuovo da segnalare è la divisione del bacino di utenza commerciale in tre aree concentriche: l’area primaria, compresa in un raggio di 5 minuti di guida (1,5 miglia, pari a circa 2,5 km); l’area secondaria, compresa in un raggio di 15÷20 minuti di guida (3÷5 miglia, pari a circa 4,5÷8 km); l’area terziaria, compresa in un raggio di 30 minuti di guida (7÷8 miglia, pari a circa 11÷13 km). La quantità di abitanti ricompresi in ciascuna area serve a orientare le tipologie di vendita (esercizi di vicinato, media o grande superficie) e la scala dei servizi. 38 Carmen Hass-Klau (Hass-Klau, Crampton, Dowland e Nold, 1999: 125-27) in realtà identifica alcuni precisi limiti dell’importanza del disegno urbano. Non esiste una correlazione diretta tra determinate forme dello spazio e il grado di apprezzamento da parte dei fruitori. Analogamente anche il traffico non sempre è un deterrente alla vita sociale. La ricerca compiuta dal gruppo di studio permette di fare un distinguo invece, sulla base dei sondaggi, tra luoghi semplicemente frequentati (strade e luoghi anche poco “piacevoli”) e luoghi preferiti (piazze o laghi). 39 Stephen Brown (1992: 216), in maniera abbastanza efficace, paragona questa strategia progettuale a una sintesi tra centro urbano tradizionale (tesi) e centro commerciale suburbano (antitesi). 40 Nei centri commerciali, per alleviare le fatiche degli avventori, vengono talora introdotti dei «punti di riposo» a 200÷250 metri di distanza dai principali magneti (Beltramini e Taylor,

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1993: 138). 41 Nel caso di particolari esercizi commerciali Andrea Job e Chiara Ronchetta (1990: 60) evidenziano, rispetto a questi principi di compatibilità tra architettura a destinazione commerciale e contesto urbano, come alcune soluzioni siano da evitare: negozi di grandi superfici in edifici a maglie murarie molto fitte, attività indifferenti al fronte su strada (banche, cinema, minimercati, ecc.) in posizioni d’angolo. Inoltre è importante avere la possibilità di cambiare di volta in volta la configurazione in risposta alle esigenze del tenant mix ritenuto più idoneo: la modularità – per esempio data da una griglia di 11 metri (Taylor e Beltramini, 1993: 138) – è un requisito progettuale molto importante da considerare nel caso di ristrutturazioni o di nuove costruzioni. 42 In questo contesto si è scelto per comodità di mantenere la terminologia inglese (così come riportata da Harvey Rubenstein, 1992: 21) perché ritenuta più sintetica e precisa di quella italiana nella definizione delle tre tipologie di spazio urbano. Il Mall indica infatti un’area orientata al commercio, secondo una denotazione invece assente nel concetto viabilistico di «isola pedonale». Sebbene anche il termine inglese si dimostri piuttosto riduttivo nell’indicare solo una delle tante dimensioni coesistenti nello spazio urbano, ciò nondimeno è quello che più si avvicina agli intenti progettuali esplicitamente perseguiti dalla maggior parte delle politiche di riqualificazione urbana. 43 Una ricerca inglese commissionata dal London Planning Advisory Committee nel 1994 ha dimostrato invece un rapporto diretto tra facilità di parcheggio e incremento delle vendite dei negozi nei centri urbani (DoE, 1994: 64). Evidentemente le specificità dei contesti sono tante e tali da non consentire facili deduzioni o induzioni di tendenze. 44 Gli standard rotazionali statunitensi per i parcheggi nei centri commerciali fissano tale rapporto a 6 posti auto per ogni 100 mq di superficie di vendita; in Europa il valore, più basso, è pari a 4 ogni 100 (Beltramini e Taylor, 1993: 161). 45 I due modelli principali della teoria della «localizzazione centrale» sono quelli di William Reilly e di Walter Christaller. Reilly nel 1929 declinò in termini commerciali la teoria generale della gravitazione dichiarando che la capacità di attrazione di un centro commerciale nei confronti di un’area urbana è direttamente proporzionale alla popolazione servita e inversamente proporzionale al quadrati della distanza da essa. Christaller invece nel 1933 introdusse il calcolo dei bacini in base alla soglia (threshold) di clienti necessari per la sostenibilità economica di ciascuna tipologia di vendita in un raggio (range) compatibile con la disponibilità a spostarsi per l’acquisto di specifiche merceologie (Ling e Smersh, 1996). Per una trattazione completa di tale approccio, delle sue successive elaborazioni, dei suoi pregi e dei suoi limiti si rimanda all’ottima sintesi di Stephen Brown (1992). 46 Soprattutto negli ultimi tre casi è importante che la tipologia di promozione prescelta e la conseguente campagna di comunicazione siano rivolti a gruppi di acquirenti precisamente identificati, nei confronti dei quali possono essere attivate delle strategie di fidelizzazione attraverso l’erogazione di sconti, iniziative o servizi particolari (per esempio agevolazioni economiche nell’accesso automobilistico o tramite trasporto pubblico) che incentivino a ritornare. 47 Il progetto Merope [www.merope.net, 2004], finanziato dalla UE (più specificamente dal programma interregionale di collaborazione tra paesi dell’arco mediterraneo denominato Medocc: cfr. www.interreg-medocc.org/it/home_html.php, 2004), promuove la pianificazione di una mobilità sostenibile in area urbana grazie all’ausilio di tecnologie innovative (ITC). 48 Mobilità Ecologica Risorsa per la Città, [www.genovamerci.it, 2004]. 49 Il sistema informatizzato consente il controllo della gestione dei veicoli e dei percorsi (Global Positioning System) e gestione del magazzino nonché possibilità di consultare

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entrambi i dati on-line in tempo reale grazie all’interfaccia web. 50 D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 114. Per una trattazione della norma si rimanda al testo di Igino Rossi (1998: 208-218). 51 Del resto anche il documento fornito dalla Regione come prototipo di piano, il caso di studio di Mandello del Lario in provincia di Lecco, pur fornendo un esempio abbastanza interessante delle azioni finanziabili in risposta al carattere del contesto urbano, non ha dato tuttavia alcuna indicazione di metodologia analitica o progettuale (elaborazione di dati ricavati dall’Osservatorio del Commercio della Regione Lombardia: www.osscom.regione.lombardia.it, 2005). Dunque, in presenza di un contesto culturale e disciplinare carente rispetto alla conoscenza delle reali potenzialità progettuali delle tematiche coinvolte, anziché un modello per l’interpretazione e la formulazione di proposte di progetto, l’esemplificazione dimostrativa è interpretabile piuttosto come una sorta di prontuario di soluzioni possibili preconfezionate. 52 A Monaco negozianti e proprietari, come si è detto, hanno contribuito per il 30% circa del costo delle opere. Negli esempi americani, come a Ithaca Commons e Nicollet Mall a Minneapolis, i privati, che hanno coperto la maggioranza delle spese, sono stati tassati in base al tipo di Benefit Zone di appartenenza, zone omogenee dell’area urbana prossima al Mall individuate in ragione dei benefici economici attesi. 53 Si veda per esempio il variegato quadro dei finanziamenti disponibili a Napoli per gli interventi di ristrutturazione dei negozi (Capasso e Losasso, 1999).

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Capitolo 2 Strategie di trasformazione

2.1 Introduzione: i casi studio di Birmingham e Bilbao Molte realizzazioni recenti in Europa dimostrano quanto la qualità dei progetti urbani sia presa in forte considerazione anche dagli investitori, sebbene la visibilità mediatica richiesta dai sistemi promozionali, che evidentemente in talune strategie aziendali acquistano un’importanza preponderante rispetto agli investimenti destinati al prodotto in sé, conduce in diversi casi gli imprenditori immobiliari e le pubbliche amministrazioni a rivolgersi a quegli architetti di fama – o più spesso di “grido” – la cui produzione, riempiendo le pagine della pubblicistica internazionale, garantisce il più alto ritorno di immagine. Un’altra forma di baratto piuttosto diffusa in questi casi è quella tesa a ridurre la complessa, storica relazione tra la dimensione privata e pubblica dei luoghi urbani a una semplicistica spartizione e compartimentazione di metri quadrati – al riparo, di solito, da qualsiasi interferenza reciproca – da poter annoverare in portafogli immobiliari e politici. L’osservazione di queste e altre conseguenze nefaste porta a interrogarsi sulle cause e sulle responsabilità che le determinano e soprattutto se e come sia possibile non incorrervi all’interno di un’economia di mercato internazionale caratterizzata da una forte dipendenza da capitali esterni e dunque particolarmente soggetta alle condizioni poste da imprenditori e finanziatori. Formulata altrimenti, la domanda è la seguente: fino a che punto queste istanze sono compatibili con uno sviluppo del territorio rispondente alle esigenze delle comunità locali e incentrato sulla qualità dei luoghi e dell’abitare? O, ancora: esiste la possibilità di assicurare un controllo maggiore su tali processi da parte delle pubbliche amministrazioni senza compromettere, bensì 85


anzi addirittura incentivando, la fondamentale partecipazione delle finanze private? Gli studi internazionali, anche italiani, condotti su questi temi sotto il profilo della pianificazione urbana, pur affrontando attraverso casi studio la complessità delle questioni implicate e offrendo descrizioni anche minute degli interventi, omettono purtroppo quasi completamente qualsiasi considerazione in merito alle specificità e al contributo dei caratteri fisici dei luoghi. Nel focalizzare cioè lo studio sulle politiche, i processi e gli effetti riguardanti alcuni risultati esemplari dal punto di vista della rigenerazione urbana e del marketing territoriale, le questioni architettonico-spaziali vengono abbandonate sullo sfondo come accessori scenografici contingenti e secondari. Birmingham, la città metropolitana delle West Midlands, con poco meno di un milione di abitanti è il secondo comune più popolato d’Inghilterra e costituisce un caso studio di grande interesse nel panorama europeo rispetto agli argomenti in esame. Il piano strategico approntato per affrontare i processi di dismissione industriale e i problemi sociali ed economici a questi connessi si è infatti distinto, rispetto ad altri contesti simili, per essere stato incentrato in modo particolare sulla qualità del disegno urbano e sul recupero e la creazione di spazi pubblici (Hubbard, 1995). Tale piano strategico ha preso corpo nel corso degli anni ottanta attraverso una serie di tappe successive costituendo la cornice di riferimento per i numerosi progetti che a partire dagli anni novanta hanno completamente trasformato il volto della città. In particolar modo il nuovo quartiere di Brindleyplace, nato dalla conversione di un precedente sito industriale a ovest del centro di Birmingham, è considerato dalla saggistica britannica come un caso esemplare di un’iniziativa privata che ha saputo conseguire risultati eccellenti e inaspettati anche sotto il profilo economico e immobiliare proprio in virtù di una strategia di progetto fortemente incentrata sulla qualità del disegno urbano e degli spazi pubblici. Il caso di Bilbao risulta invece interessante principalmente per la dimensione territoriale che lo denota e per l’integrazione tra le diverse scale di intervento. Il brillante successo mediatico e finanziario del celeberrimo museo disegnato da Frank O. Gehry ha molto spesso posto in ombra l’intera strategia nel quale il progetto si è inserito e senza la quale l’occasione, in verità piuttosto estemporanea, fornita dal Guggenheim avrebbe probabilmente dato risultati assai limitati. 86


2.2 Birmingham: la qualità urbana e architettonica come strategia di rigenerazione1 Sullo stimolo dei primi dibattiti condotti negli anni settanta circa il destino economico della città, la cui base produttiva, costituita soprattutto dal settore metalmeccanico e automobilistico, mostrava i primi segnali di crisi, nel 1984, in seguito a un viaggio di studio negli Stati Uniti effettuato da una delegazione di tecnici e politici per esaminare alcuni riusciti casi di riqualificazione urbana, venne deciso di seguire gli esempi dell’Inner Harbor di Baltimora e del Faneuill Hall Marketplace di Boston (Latham e Swenarthon, 1999: 18) e di sviluppare l’economia turistica attraverso il potenziamento o la creazione di opportuni magneti urbani. Nel 1987 venne redatto il documento City Centre Strategy, approvato l’anno successivo, il cui obiettivo principale era il recupero e l’innalzamento della qualità dei luoghi per ridare attrattività al centro cittadino. Lo slogan «7 giorni alla settimana 24 ore al giorno» (Sparks, s.d.: 3) fondava le prime linee strategiche di riqualificazione in pochi elementi: identità dei quartieri centrali; maggiore accessibilità interna, espansione delle funzioni dell’area centrale oltre l’Inner Ring Road (la circonvallazione interna); potenziamento del trasporto pubblico e, infine, recupero dei canali d’acqua e delle aree dismesse. Nel 1988 si tenne un workshop di tre giorni incentrato sulle proposte del documento a cui presero parte esperti internazionali – tra cui giapponesi e olandesi – di architettura, pianificazione e progettazione urbana. Da questa iniziativa, denominata in seguito «Highbury Iniziative» dal luogo che ospitò i lavori, derivarono una serie di proposte di piano che davano maggiore concretezza e precisi indirizzi progettuali alle politiche indicate dal documento di programmazione precedentemente approvato. Furono stabiliti i seguenti sette principi: 1. La rimozione del «collare di cemento» costituito dall’Inner Ring Road (la circonvallazione interna) e l’assoluta priorità della circolazione pedonale; 2. lo sviluppo di un approccio progettuale per quartieri; 3. lo sviluppo di un asse pedonale secondo un andamento est-ovest, dal futuro Centro Congressi al cuore cittadino; 4. la centralità della qualità architettonica e del disegno urbano; 5. un approccio alla rigenerazione urbana fondato sugli spazi pubblici (strade e piazze); 87


25. West Midlands: Regional Spatial Strategy (RSS). Schema strategico regionale della «Prosperità per tutti» [www.wmra.gov.uk, 2005].

6. l’affidamento della gestione degli interventi ad associazioni di quartiere, sul modello statunitense; 7. l’introduzione di iniziative di piano che incoraggino la commistione funzionale. A questa iniziativa fece seguito la formulazione di cinque studi di settore da 88


26. Birmingham: Urban Development Plan, 1993. Mappa delle proposte di intervento: i numeri rimandano a descrizioni di dettaglio [www.birmingham.gov.uk, 2005].

parte di altrettanti gruppi di consulenza che approfondirono ulteriormente tali linee strategiche in rapporto alle questioni della mobilità e dei trasporti, alle tendenze del mercato immobiliare del terziario e alle modalità di intervento urbanistico. Quest’ultimo aspetto venne affrontato secondo due nodi tematici: la mobilità pedonale in relazione alla struttura degli spazi pubblici, 89


studiata da Land Design Research e la strategia progettuale per l’area centrale (City Centre Design Strategy), affidata a un gruppo di architetti coordinato da Francis Tibbalds2. Tutte questi studi e piani strategici hanno poi contribuito alla redazione dell’Unitary Development Plan del 1993, il principale documento di pianificazione metropolitana in vigore allora e attualmente in fase di aggiornamento. CosÏ, dai primi anni novanta in poi, in attuazione delle linee di programmazione sopra descritte e coerentemente con i principi indicati dalla City Centre Design Strategy, vennero sviluppati ulteriori BUDS (Birmingham Urban Design Studies) con funzione di Development Framework o Supplementary Design Guidance3 specificamente intesi a fornire indicazioni progettuali sui singoli quartieri4 o su particolari temi di disegno urbano5.

27. Birmingham: Urban Development Plan, dettaglio del centro. I numeri rimandano agli interventi strategici [www.birmingham.gov.uk, 2005].

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28. Birmingham: progetto delle connessioni pedonali nel centro [Carmona et al., 2004].

Inoltre annualmente, a partire dall’esperienza di Highbury, viene indetta una riunione (il City Centre Symposium) tra rappresentanti della Pubblica Amministrazione, professionisti e investitori immobiliari per un aggiornamento e una rendicontazione dello sviluppo del piano (Bryson, 2003: 202). Le trasformazioni urbane dunque, una volta impostati gli indirizzi programmatici attraverso successivi gradi di definizione, possono essere attuate, coerentemente a un quadro d’insieme, attraverso il controllo di due livelli di progettazione: uno teso a valorizzare la scala locale di luoghi circoscritti con indicazioni anche minute e minuziose; l’altro teso invece a considerare le potenzialità di intervento alla scala urbana. Inoltre, sulla scorta delle indicazioni governative dell’Urban Task Force e della PPG3 By Design6, nel 2001 l’Assessorato alla Pianificazione ha edito due pubblicazioni “sorelle”, Places for All 91


29. Birmingham: centro commerciale Bullring [www.aeroengland.co.uk, 2005].

e Places for Living (sulla residenza), dirette a informare e orientare gli operatori immobiliari (i developer) e gli architetti interessati a lavorare su Birmingham circa i principi progettuali e gli standard di qualità richiesti dalla città. Dal punto di vista gestionale le operazioni di sviluppo e riqualificazione urbana sono state condotte attraverso la formazione di alcune Partnership tra pubblico e privato. La Birmingham City Centre Partnership si occupa del centro cittadino ed è responsabile, tra le altre cose, della promozione di due Business Improvement District7 (Broad Street e Birmingham Central). La Marketing Birmingham Partnership – un’organizzazione che ha coordinato e riunito in sé nel 2002 tre diversi organismi con compiti simili – si occupa invece della promozione della città presso gli investitori esterni e come meta turistica, sviluppando il «City Brand»: un’opera di image building condotta tramite iniziative e campagne informative e di marketing. l’Agenzia di Sviluppo locale Locate in Birmingham si occupa invece specificamente di attrarre investimenti nei vari settori produttivi della metropoli, funzionando come sportello unico nei confronti delle imprese interessate a trasferirsi nell’area. Esistono poi anche delle Associazioni di carattere eminentemente privato: è il caso di Birmingham Forward, una partnership di professionisti e aziende che dal 1987 ha l’obiettivo di promuovere la città internazionalmente come centro d’affari e finanziario. Ma più interessante è il ruolo di Birmingham Alliance, costituita nel 1999 da tre grandi gruppi immobiliari (Hammerson PLC, Henderson Investors and Land Sercurities). 92


L’obiettivo è coordinare i propri interventi nel campo commerciale (retail) e terziario così da evitare una concorrenza potenzialmente dannosa e alimentare invece proficue economie di scala attraverso lo scaglionamento e la distribuzione degli interventi in rapporto all’andamento della domanda. Un risultato è la costruzione del nuovo centro commerciale Bullring, nuovo landmark urbano, e del centro commerciale Martineau Galleries, realizzato per la prima delle due fasi previste. Il Centro Congressi Internazionale (ICC) e il polo sportivo della National Indoor Arena (NIA), attivi dal 1991, sono stati i primi grandi nodi urbani realizzati sulla base della Highbury Inititive. L’ICC, che forma un complesso unico con la Symphony Hall8, ha richiesto un investimento di denaro pubblico di circa 200 sterline, di cui un quarto coperto da fondi comunitari (Van der Berg, van der Meer e Otgaar, 1999: 30). Il polo sportivo della NIA venne invece costruito e parzialmente finanziato dalle società immobiliari Merlin, James Rouse – il developer dell’Inner Harbor di Baltimora – e Shearwater Laing, secondo quanto previsto da una clausola d’acquisto stipulata con il comune per la prospiciente area di Brindleyplace. ICC e NIA sono possedute e controllate dal gruppo NEC Ltd, la società municipalizzata a capitale misto che gestisce il National Exhibition Centre, un importante polo fieristico internazionale situato nell’area di Solihul al confine sud-orientale di Birmingham, in prossimità dell’aeroporto. La strategia di questo primo intervento, che ha ottenuto un ottimo

30. Birmingham: ingresso all'ICC da Brindleyplace [www.theicc.co.uk, 2005].

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31. Birmingham: il percorso pedonale a ovest del centro storico dall'area di Brindleyplace fino a Victoria Square [elaborazione da Google Earth: earth.google.com, 2005].

riscontro in termini economici, di utenti e di visitatori, si è basata su due fattori principali. Il primo è l’economia di scala data dalla concentrazione spaziale di funzioni urbane altamente specializzate e complementari (sport e tempo libero, cultura e turismo d’affari), di rilevanza regionale e nazionale. Il secondo fattore è l’interconnessione reciproca e con il centro storico delle tre strutture conseguita attraverso una rete di spazi pubblici pedonali. L’area di intervento sulla carta si presentava come una delle meno accessibili e allettanti in rapporto soprattutto al prestigio delle destinazioni d’uso previste (Latham e Swenarthon, 1999: 21). Ma la messa in continuità dei due nuovi poli con l’asse pedonale est-ovest del centro storico e con il canale d’acqua ha contribuito ad estendere verso ovest l’intera area centrale. Durante i lavori per la costruzione dell’ICC venne effettuata una delle prime opere per il superamento dell’Inner Ring Road presso il Paradise Circus, uno degli svincoli più grandi della circonvallazione: la rinnovata Centenary Square, completata nel 1989, connette l’ICC, la Simphony Hall e il Repertory Theatre, tramite un ponte sulla circonvallazione, alla Biblioteca comunale e al Conservatorio. Da qui, attraverso la digradante Chamberlain 94


Square, si accede a Victoria Square, trasformata nel 1993 nella più grande piazza pedonale del cuore cittadino (Wright e Blakemore, 1995). Il percorso pedonale verso est continua lungo la centralissima New Street per concludersi, per ora, nella piazza del centro commerciale Bullring, dominata dalla chiesa di Saint Martin. La rete di strade pedonalizzate si estende anche verso nord, attorno alle dorsali di Corporation Street, riqualificata recentemente in rapporto al nuovo centro commerciale Martineau Place, e di Moor Street Queensway. Da qui, prossimamente, il percorso pedonale, grazie alla completata rimozione dello svincolo a due livelli di Masshouse Circus, dovrebbe penetrare ancora più ad est all’interno dell’Eastside, la nuova area di espansione destinata a diventare una cittadella del sapere (Learning Quarter)9. Il nuovo cluster urbano ad ovest ha inoltre funzionato come agente catalizzatore per lo sviluppo di alcune importanti iniziative private. Oltre a Brindleyplace, che verrà esaminato in dettaglio più avanti, gli interventi maggiori si sono concentrati nei pressi della rinnovata e vitale Broad Street e comprendono la costruzione di complessi caratterizzati da commistioni funzionali: in alcuni casi, come quello di Five Ways, si tratta di centri commerciali integrati per l’entertainment (multiplex, casinò, Hard Rock Café, ecc.) mentre in altri, come nel caso di Broadway Plaza, Arena Central e

32. Birmingham: lo scavalco pedonale di Paradise Circus lungo Chamberlain Square verso la Biblioteca centrale [www.en.wikipedia.org, 2005].

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33. Birmingham: Chamberlain Square [www.en.wikipedia.org, 2005].

soprattutto Mailbox10, il livello di commistione è più alto e include anche destinazioni commerciali, terziarie, residenziali e ricettive. Va poi ricordato che il Comune venderà l’area del Paradise Circus attualmente occupata dalla biblioteca e dal Conservatorio – che verranno ricollocati nell’Eastside – per permettere nuove edificazioni a terziario. La trasformazione dell’Eastside, situato al capo opposto della spina pedonale avente origine in Brindleyplace, si appresta a seguire modalità molto simili a quelle collaudate a ovest. Il Millennium Point, analogamente al nucleo occidentale dell’ICC e della NIA, e la nuova biblioteca progettata nel 2002 da Richard Rogers Partnership costituiscono la chiave di volta e la prima tappa per l’intero intervento11. Il Millennium Point, in particolare, è stato concepito come elemento catalizzatore per lo sviluppo di un’area destinata ad accogliere prevalentemente funzioni terziarie e di ricerca; la sua posizione al margine settentrionale dell’area (appena a sud dell’ampio asse stradale di Jennes Road12), nel quartiere di Digbeth (il nucleo insediativo originario della città), è stata infatti studiata per funzionare da ponte nei confronti delle attività scientifiche e di produzione ospitate poco più a nord nella vasta area prospiciente dell’Aston University e dell’Aston Science Park. 96


Il Millennium Point, finanziato con fondi europei, municipali, governativi e della Millennium Commission13, dal 2001 ospita, distribuita su cinque piani, una vasta gamma di attività di tipo formativo e ricreativo a sfondo scientifico14. L'edificio dovrebbe fungere da landmark e da cardine spaziale e funzionale sia nel rapporto con la futura biblioteca e il Learning Quarter sia nel rapporto con gli interventi pianificati al confine orientale dell’area. Qui infatti sono previsti, integrati tra loro e con il Millenium Point grazie a una fitta rete di spazi pubblici, un Technology Park (un gruppo di uffici di media taglia e funzioni miste, tra cui residenziali) e Canal City, un insediamento misto fortemente connotato dalla presenza del canale e destinato a residenza, loft, studi, gallerie e atelier, locali per il tempo libero e ristoranti. Lo sviluppo di Canal City, seppure con delle proposte architettoniche e funzionali parzialmente differenti, è inoltre ricompreso all’interno delle linee guida per il recupero e la riqualificazione del sistema dei canali cittadini. Anche rispetto al la nuova biblioteca è significativo che la soluzione architettonica, pur divergendo dal piano di inquadramento, riesca a inte-

34. Birmingham: Eastside - Struttura del Masterplan del 2001 [www.east-side.co.uk, 2005]. 1. City Park; 2. Learning Quarter; 3. Curzon Park; 4. Curzon Gateway; 5. Canal City; 6. Technology Park; 7. Masshouse; 8. Martineau Galleries; 9. Moor Street Boulevard; 10. Bridge Park; 11. Typhoo Basin; 12. Media Village; 13. Rea Village.

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35. Birmingham: progetto dello studio Richard Rogers Partnership per la nuova Biblioteca Centrale nell'Eastside [www.birmingham.gov.uk, 2005].

grarsi piuttosto facilmente nel masterplan reintepretando il ruolo di cerniera dell'edificio inizialmente previsto rispetto alle direttrici da ovest: anziché accoglierle con un invaso ad anfiteatro propone una forma a fuso estroflessa per ridistribuire i percorsi lungo i lati curvi verso i due previsti parchi pubblici (City Park e Bridge Park). Il City Park costituisce lo spazio aperto principale di connettivo estovest, mentre i canali e alcuni magazzini recuperati garantiscono il mantenimento di una parte dei caratteri identitari del luogo15. La saldatura con l’area centrale è assicurata dal nuovo Moor Street Boulevard ricavato dall’Inner Ring Road dopo la rimozione dello svincolo di Masshouse Circus e da alcuni nuovi interventi, realizzati e di progetto, che vi si attestano: il nuovo centro commerciale Bullring, aperto nel 2004, la nuova Corte di Giustizia, un insediamento residenziale ad alta densità e a carattere misto e l’espansione del centro commerciale Martineau Galleries. Un carattere comune a tutti questi interventi è l’alta densità edilizia o funzionale e la presenza diffusa di piccole piazze pubbliche interne. La trasformazione dell’Eastside è prevista per interventi indipendenti ma correlati. L’indipendenza è garantita dalla commistione funzionale, imposta in ogni piano come requisito fondamentale, mentre la correlazione si affida 98


alla rete degli spazi aperti costituita da percorsi verdi o d’acqua, piazze e parchi. L’area dovrebbe ospitare pertanto altri insediamenti misti a carattere più residenziale (il Rea Village e il Curzon Gateway), legati al tempo libero (il Typhoo Basin), al terziario (Curzon Park), oltre naturalmente ad attività culturali e di ricerca come il Media Village (nuovi spazi del South Birmingham College destinati tra l’altro alla scuola d’arte e all’IT Academy), il Matthew Boulton College of Further and Higher Education, e alcune strutture dell’University of Central England (New Technology Institute). La connessione di tutti questi elementi è affidata alle linee di forza e alle tensioni relazionali derivanti dalla trama dei percorsi, dalle viste e dalle visuali, i cui cardini sono costituiti da landmark urbani, in genere previsti in corrispondenza dei punti di accesso principali, e landmark locali (edifici storici o tradizionali, edifici a torre). Lo stesso principio progettuale è riproposto anche a scala urbana, dove il nuovo Middle Ring Road (la circonvallazione mediana) è concepito dal piano di inquadramento come un vero e proprio viale urbano di scorrimento. Contrariamente all’ex Inner Ring Road, l’architettura del boulevard è in questi casi studiata per fungere da elemento connettore tra i

36. Birmingham: demolizione dello svincolo presso il Masshouse Circus lungo l'Inner Ring Road, trasformato in un boulevard urbano (Moor Street Bouolevard) [www.east-side.co.uk, 2004].

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37. Birmingham: Eastside - Masterplan del 2003: ipotesi di un boulevard lungo Jennens Road [Birmingham City Council, 2003].

quartieri che attraversa – sia longitudinalmente che trasversalmente – organizzando lungo il percorso alcune occasioni specifiche di trasformazione e riqualificazione. L'approccio progettuale contenuto nell’Urban Development Plan del 1993 incentrato sul ridisegno dei diversi quartieri investe l’intera superficie comunale, divisa originariamente in tredici distretti16. Altrettanti Action Plan regolamentano le linee di intervento urbanistico di aree specifiche, mentre alcuni programmi di rigenerazione urbana (Area Regeneration Framework), variamente finanziati e promossi17, affrontano con un approccio integrato il degrado ambientale e sociale di cinque quartieri. Più recentemente inoltre, in attuazione della nuova politica di devoluzione amministrativa varata dal governo e in accordo con i fondi e gli obiettivi del nuovo programma nazionale di sviluppo locale (Neighbourhood Renewal), gli undici distretti cittadini sono stati investiti di un forte potere consultivo nella definizione di programmi di intervento basati sulle comunità locali: le proposte delle undici District Strategic Partnerships (DSPs), valutate e coordinate a livello centrale dalla Birmingham Strategic Partnership, confluiscono nella strategia di riqualificazione denominata Flourishing Neighbourhoods, giunta quest’anno alla sua terza edizione. 100


Una, se non la principale, delle motivazioni alla base del rinnovo urbano intrapreso è quella occupazionale; ma il bilancio è inferire alle attese, soprattutto in considerazione degli investimenti pubblici, dirottati (anche con condotte politiche democraticamente poco trasparenti) da fondi normalmente destinati ai servizi sociali e all’istruzione. Anche i programmi finalizzati a promuovere l’impiego di forza lavoro locale nelle opere di costruzione degli edifici pubblici si sono rivelati fallimentari. Com’era prevedibile, la maggior parte delle ditte di costruzione necessitava di manodopera specializzata di comprovata esperienza e fiducia (Middleton, Loftman e Schaechter, 1998). Inoltre le occasioni di lavoro create dall’Centro Congressi e dalla National Indoor Arena, oltre che scarse, sono state in gran parte anche di

38. Birmingham: Eastside - Masterplan del 2003 [Birmingham City Council, 2003].

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basso livello qualitativo e retributivo. Uno studio citato dall’Urspic18 ha ipotizzato che gli stessi fondi destinati alle due strutture, sommati a quelli persi annualmente nella loro conduzione deficitaria19, avrebbero potuto generare un numero molto maggiore di posti di lavoro e finanziare adeguate politiche di sostegno all’occupazione. Al di là delle divergenti letture quantitative fornite in proposito da studi diversi20, questi bilanci negativi sembrerebbero non prendere nella dovuta considerazione la natura dell’effetto moltiplicatore propria di questo tipo di intervento. Se sotto il profilo occupazionale si sono forse conseguiti pochi benefici diretti, l’immagine della città presso i mercati nazionali e internazionali è stata decisamente riabilitata, inducendo i privati a investimenti cospicui, prima impensati e inimmaginabili. Del resto la questione degli effetti occupazionali di queste politiche riguardano da un lato l’effettivo incremento dei posti di lavoro, anziché la loro semplice rilocalizzazione nel cuore metropolitano, e dall’altra il «gap di partecipazione» (Birmingham City Council, 2005: 64-65), misurabile in termini di occasioni lavorative che per una percentuale ancora consistente non può essere coperta dalla popolazione locale a causa soprattutto della inadatta o bassa qualifica professionale21. Ma la pubblica amministrazione è corsa ai ripari con numerose iniziative e programmi comunali, regionali e nazionali mirati alla formazione, allo sviluppo e al consolidamento delle capacità professionali locali e all’attrazione di nuove risorse. L’attenzione è volta soprattutto ai gruppi particolarmente svantaggiati: oltre ai programmi di rigenerazione già menzionati, sono attive anche diverse cooperazioni tra strutture comunali e terzo settore il cui impegno sul territorio è concentrato in prevalenza in specifiche aree urbane altamente disagiate. Se è vero che i risultati conseguiti non sono ancora sufficienti a contrastare i costanti livelli di disoccupazione, come rilevano Van der Berg, van der Meer e Otgaar (2001: 38), non è possibile d’altro canto stimare quale sarebbe stata la situazione se la strategia non avesse avuto alcun seguito. È però innegabile che rispetto ad altre città inglesi come Liverpool o Manchester, la cui strategia di sviluppo ha portato all’incremento delle voci di spesa per il settore educativo, Birmingham ha scelto all’opposto di sottrarre risorse alle politiche sociali impegnando le finanze pubbliche in operazioni che favoriscono eminentemente la grande finanza e la classe media (Bryson, 2003: 210). 102


2.3 Brindleyplace, Birmingham: gli spazi pubblici come strumento di marketing urbano22 Le prime operazioni riguardanti l’ex complesso metallurgico di Brindleyplace, una superficie di 23.000 mq assemblata e sgomberata dalla municipalità attraverso il Compulsory Purchase Order (CPO: procedura di esproprio), sono state intraprese nel 1988: la Brindleyplace PLC, un consorzio di due imprese immobiliari (Merlin, associata a John Rouse, e Shearwater & Laing, la branca retail della Rosehaugh) dopo aver comprato una parte dell’area dal comune tramite una gara d’acquisto, intraprese per contratto l’edificazione della National Indoor Arena nel comparto settentrionale, il meno invitante e accessibile dell’intera area. La previsione di un importante nodo di servizi per convegni e per il tempo libero connessi al cuore metropolitano e, più in generale, di un piano strategico per il rilancio della città avevano fatto lievitare i valori fondiari della zona centrale occidentale e reso l’intero settore urbano finanziariamente assai appetibile. Intanto la crisi del mercato portò al ritiro di uno dei due attori coinvolti: la Merlin. Dal 1990 l’area rimase in possesso della sola Rosehaugh, la quale procedette alla bonifica ambientale e alle prime opere di urbanizzazione. Quindi commissionò un masterplan a Terry Farrel con l’intenzione di ripercorrere le linee seguite a Broadgate, Londra, un complesso di uffici fortemente incentrato sul disegno degli spazi aperti. L’anno successivo tuttavia il nuovo direttore del settore di Architettura e Pianificazione del Comune, Les Sparks, impose la consulenza di esperti in progettazione urbanistica. Così sulla base di un’outline planning permission23 decennale, venne intrapresa la redazione di un nuovo masterplan – influenzato anche dalle richieste della locale associazione Birmingham for People – che includeva un complesso assai variegato di attività: residenza, ristoranti e bar di fronte all’International Convention Centre, qualche tipo di attrazione cittadina, una piazza centrale e uno sviluppo lungo il canale d’acqua con dei ponti. Venne abbandonata anche l’idea originaria di un Mall commerciale, mentre il professor Bill Hillier, di Space Syntax, consultato per una previsione degli usi e dei flussi pedonali, suggerì che la migliore localizzazione per un ponte tra Brindleyplace e il centro convegni fosse, come del resto era del tutto prevedibile, in linea con l’asse della galleria commerciale compresa tra l’ICC e la Symphony Hall. 103


39. Birmingham: Brindleyplace - Masterplan con indicazioni sull'accessibilità e le principali connesioni pedonali [Latham e Swenarton, 1999].

Nel 1993, in seguito al fallimento anche della società Rosehaugh, Brindleyplace PLC passò nelle mani dell’immobiliare Argent a un quinto del prezzo di costo originario. Tale significativa differenza permise al nuovo proprietario di onorare gli impegni contrattuali assunti con il Comune (l’outline planning permission ancora in vigore), secondo cui qualsiasi altra edificazione sull’area sarebbe stata subordinata alla creazione di spazi per il commercio e al recupero di un vecchio edificio scolastico sottoposto a vincolo. Inoltre venne affidata all’architetto John Chatwin (fuoriuscito dalla Terry Farrell Partnership) una nuova proposta di masterplan, che introdusse i seguenti nuovi elementi: 104


– una maggiore flessibilità nella forma e nelle possibili destinazioni d’uso degli edifici, contrariamente ai larghi corpi di fabbrica degli uffici previsti dal masterplan precedente; – la revisione del sistema di circolazione automobilistica; – la revisione della circolazione pedonale; – la possibilità di edificare anticipatamente le superfici residenziali in una sola operazione e in un comparto separato; – una migliore collocazione delle strutture per il tempo libero; – l’assegnazione di una importanza cardinale ai principali spazi pubblici. Successivamente, nel 1995, il comparto previsto a uso residenziale a nord del complesso, di forma triangolare, venne venduto a un’altra immobiliare che, grazie alle richieste del mercato, poté iniziare immediatamente l’edificazione di Symphony Court, un quartiere di 143 edifici residenziali di lusso. Argent decise allora di investire i fondi rimasti dando priorità assoluta alla creazione della piazza centrale, la quale venne affidata sulla base di un concorso allo studio Townshend Landscape Architects. Poiché questo spazio pubblico sarebbe sorto prima delle cortine edilizie che avrebbero dovuto racchiuderlo, il progetto premiato fu scelto per il modo equilibrato con cui riusciva a imprimere al disegno un carattere sufficientemente forte da permetterne una certa astrazione dal contesto senza tuttavia comprometterne

40. Birmingham: Brindleyplace - L'area pedonale lungo il canale [www.visitBritain.com, 2005].

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41. Birmingham: Brindleyplace - La piazza centrale [www.cabe.org.uk, 2005].

la capacità relazionale nei confronti dei futuri edifici. I principali elementi cui si affida questa strategia sono costituiti da un fulcro funzionale e di forte richiamo (il piccolo caffè–landmark di vetro progettato da Piers Gough e CZWG), un’area verde, ampie sedute, delle sculture e una fontana. La precedenza alla piazza, concepita come elemento generatore e promotore per l’intera operazione, era infatti in questo caso resa possibile dall’essere costruita in continuità spaziale – in seguito demarcata visivamente da una torre di uno degli edifici – con la dorsale di piazze e strade pedonali estovest dell’area urbana centrale. La piazza ne diventa la conclusione coerente a occidente, armonizzandosi con il polo dell’ICC e della NIA e i complessi commerciali già costruiti e frequentati lungo il canale. In questo modo è stato subito evidente, ai potenziali investitori, la completa integrazione dell’area con il centro cittadino, il suo apprezzamento presso la popolazione e il prestigio che essa avrebbe assicurato una volta completata. Il successo dell’operazione derivò però soprattutto dal progetto di Chatwin: infatti mentre le linee guida architettoniche del masterplan – e il campione di assaggio fornito dalla piazza – offrivano solide garanzie agli acquirenti finali circa il livello qualitativo dell’intervento24, l’estrema flessibilità funzionale e costruttiva consentita dal disegno per blocchi permetteva alla Argent di muoversi con estrema agilità in risposta alla domanda del mercato e di adattare ciascuno stabile alle esigenze spaziali e distributive della potenziale clientela. Così la realizzazione dei primi edifici, a cominciare dal 106


1994, procedette inizialmente attraverso prevendite a singoli clienti, finché nel 1997, consolidatasi la posizione di Brindleyplace nel mercato immobiliare cittadino, venne fondato un consorzio per iniziare a costruire con investimenti anticipati rispetto ai possibili ricavi (Madelin, 1999a). Dopo le prime realizzazioni di blocchi monofunzionali a uffici, condizionati dall’incerta situazione finanziaria dell’impresa, gli interventi successivi hanno permesso e dato più spazio a una maggiore commistione e varietà d’usi: l’ex scuola restaurata venne data in concessione a una galleria d’arte (Ikon Gallery); il Crescent Theatre, risalente agli anni sessanta, venne recuperato e riaperto; infine sono stati costruiti un parcheggio multipiano, una nuova piazza con negozi (Oozells Square), più “raccolta” e collegata a quella centrale, nonché un hotel ed edifici a uso misto terziario, residenziale e commerciale. A completamento dell’offerta di intrattenimento del fronte sul canale nel 1996 venne costruito il Sealife Centre, un acquario marino, su progetto di Norman Foster. A sud, il quartiere di Brindleyplace si attesta verso Broad Street, una delle arterie più vitali della città, soprattutto rispetto all’economia serale e notturna. Così, quando vennero incominciati i lavori di Oozells Square e le opere di collegamento della trama degli spazi pubblici con questa strada, furono avviate anche delle consultazioni con gli uffici tecnici comunali e la Broad Street Association per intraprendere una riqualificazione complessiva dell’intero asse stradale, dall’estremo ovest dello svincolo di Five Ways pres-

42. Birmingham: Brindleyplace - Oozells Square [www.brindleyplace.com, 2005].

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fase 1

fase 5

fase 2

fase 6

fase 3

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fase 4

fase 8

43. Birmingham: Brindleyplace - Le otto fasi di realizzazione [elaborazione da Madelin, 1999a].

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so il Middle Ring Road fino al suo innesto nel cuore cittadino. I marciapiedi sono stati allargati e parte del traffico che congestionava questa radiale di penetrazione è stato rimosso. Non sono tuttavia ancora del tutto risolti i problemi connessi al degrado derivante dalle ricadute negative, in termini ambientali e sociali, della concentrazione di attività serali e notturne; per questo motivo la strada è stata candidata a diventare il primo Business Improvement District25 di Birmingham. Seppure spazialmente connesso e integrato con il contesto, Brindleyplace ha sofferto del fatto di essere un avamposto “di benessere” isolato dal resto del settore urbano in cui sorge: aree industriali dismesse o degradate coesistono in questo distretto con alcuni quartieri popolari sottoposti a speciali programmi di riqualificazione. Non sorprende dunque che gli spazi pubblici del nuovo business park urbano siano sottoposti a videosorveglianza, mentre il quartiere di Symphony Court, già defilato rispetto al cuore dell’area ma disturbato dalle numerose persone che abitualmente frequentano i paraggi giorno e notte, è stato rinserrato dietro un recinto di cancelli. Uno studio sugli effetti economici prodotti da Brindleyplace (Dixon e Marston, 2003) ha stimato che l’intera operazione abbia creato 3.368 posti di lavoro (diretti, indiretti e indotti), sebbene venga anche ammesso che in parte essi probabilmente derivino dalla rilocalizzazione di uffici già esistenti. Roger Madelin, Chief Executive dell’immobiliare Argent, riassume in tredici punti26 il bilancio sull’esperienza condotta a Brindleyplace, non senza qualche evidente e grave contraddizione nella difficoltà di conciliare le ricadute contrastanti delle due principali indicazioni: l’importanza della qualità progettuale e il ruolo più attivo e flessibile, o addirittura accomodante, che dovrebbe assumere la pubblica amministrazione nell’agevolare e guidare gli investimenti immobiliari.

2.4 Birmingham e Brindleyplace: conclusioni Nonostante la crisi congiunturale, Birmingham è ancora la prima città inglese nel settore manifatturiero e la seconda dopo Londra nel campo dei servizi finanziari. Il processo di riqualificazione intrapreso negli anni Novanta ha consentito di promuovere una serie di importanti interventi di tipo strutturale e di 109


allargare le opportunità di sviluppo economico e occupazionale soprattutto nel campo finanziario e dei servizi. Il consistente investimento immobiliare effettuato nel settore commerciale e dell’entertainment ha inoltre innalzato le quotazioni della città come destinazione turistica metropolitana, regionale e nazionale; la nuova domanda generata rafforza a sua volta gli interessi finanziari verso lo sviluppo di tali settori. Ma, nonostante i progressi e le nuove occasioni createsi, la dicotomia sociale interna alla città rimane ancora molto forte. A discapito delle numerose politiche appositamente intraprese, la nuova dimensione economica inseguita e parzialmente già raggiunta dal piano strategico resta inaccessibile a un decimo della popolazione attiva residente. Il programma di rinnovamento urbano di Birmingham è costituito da un complesso e variegato insieme di politiche, progetti e azioni. Alcuni operano dal centro verso la periferia attraverso ingenti operazioni immobiliari e di recupero urbano sia di iniziativa pubblica che privata, con il ricorso a un procedimento di governance controllato dai livelli amministrativi superiori (di tipo top-down). Altri invece, all’inverso, secondo un approccio che prevede una forte partecipazione della componente cittadina (di tipo bottom-up), agiscono localmente per promuovere programmi di sviluppo e di riqualificazione a scala di quartiere e di vicinato coordinati centralmente. In entrambi i casi lo strumento principale di gestione è costituito da piani strategici e progetti complessi, mentre il quadro complessivo è tenuto insieme e si concretizza gradualmente grazie a un’attenta ma flessibile pianificazione temporale e a tre principali punti di controllo delle definizioni spaziali degli interventi: 1) i masterplan e le linee guida di quartiere; 2) i masterplan e le linee guida per temi particolari o generali (residenza, grattacieli, canali, viabilità, ecc.); 3) la definizione dei principi generali di disegno adottati dalla città. Un’interessante particolarità delle modalità di intervento adottata nel caso di Birmingham è costituita dalla strategia di ottimizzazione e ricollocamento di alcune funzioni urbane principali al fine di sviluppare economie di scala (cluster turistico-culturali e della ricerca) da cui far scaturire nuovi fulcri e teste di ponte in aree urbane dismesse o degradate, così da indurre e incentivare ulteriori interventi da parte dei privati. L’intervento pubblico, come si è visto, ha scelto due strade: la realizzazione di alcuni complessi edi110


lizi/funzionali di grande portata; la riqualificazione estesa degli spazi pubblici. In entrambi i casi gli esiti sono stati per lo più aderenti alle attese: anche grazie alle numerose Partnership e alle attività di promozione, il Comune ha potuto richiamare l’interesse di diversi grandi investitori, ma soprattutto ha innescato un virtuoso meccanismo di realizzazione coordinata e cumulativa tra gli operatori privati e tra questi e quelli pubblici. Brindleyplace è emblematico in fatto di vantaggi e limiti della strategia intrapresa. Anche a questa scala più minuta la flessibilità e la qualità degli spazi aperti hanno costituito i cardini dell’intera operazione di trasformazione dell’area. Questa, d’altro canto, quantunque sia stata concepita come una trama permeabile ai quartieri limitrofi e nonostante gli ingenti capitali pubblici investiti, rimane nondimeno, per ora, un’isola sociale, lavorativa ed economica nel cuore della città, estranea e inaccessibile per una parte consistente della comunità locale. Rimane aperto l’interrogativo, nell’immediato, se oltre ad aver dato la possibilità di fruire dei nuovi e vitali luoghi pubblici creati e recuperati (e per questo debitamente sorvegliati), alla lunga distanza, le opere di riqualificazione e i loro effetti indotti sulle finanze comunali avranno ripercussioni positive anche per quelle fasce sociali oggi ai margini dello sviluppo urbano.

2.5 Bilbao: una strategia a scala regionale e metropolitana Il declino economico di Bilbao risale ai primi anni Ottanta. Dopo la morte del generale Franco, nel 1975, con la fine delle politiche protezionistiche assicurate dal regime, l’intera Biscaglia, la cui economia si fondava prevalentemente sull’industria metallurgica e sulle attività estrattive (Gómez,1998), subì lo smantellamento di vasti impianti industriali e la drastica riduzione dei posti di lavoro nel settore secondario. Tra il 1975 e il 1996 l’area metropolitana di Bilbao ha perduto il 47% (64.000 posti di lavoro) della forza lavoro impiegata nel settore industriale (industria navale, metallurgica, chimica ed elettronica); parallelamente, mentre la percentuale degli impiegati nel settore manifatturiero crollava dal 45,5% al 26,9%, si è registrato un incremento degli addetti nel settore terziario (concentrati prevalentemente nei comuni di Bilbao e Gexto, in cui la percentuale è pari 111


al 70%), passati dal 41,7% al 65,2%. Dal punto di vista territoriale si assiste alla costituzione abbastanza netta di una forte polarizzazione sociale ed economica dell’area metropolitana. Ad essere maggiormente colpita dal crescente tasso di disoccupazione fu infatti l’area dela riva sinistra del Nervíon, dove si concentrava la maggior parte dell’apparato produttivo e della forza lavoro impiegata: ancora nel 1996 sette dei dieci comuni di questa sponda (soprattutto Sestao) presentavano un tasso di disoccupazione superiore al 30%. Tra questi Barakaldo, la seconda città più popolosa della regione metropolitana, durante gli anni Ottanta ha perso il 75% della forza lavoro industriale e, in generale, il 56% della forza lavoro totale (Rodriguez, Guenaga e Martinez, 1998a). Anche le dinamiche demografiche confermano questa tendenza: i comuni della riva sinistra presentano saldi migratori negativi e una natalità molto bassa, mentre la maggiore prosperità economica dei comuni a nord del fiume richiama l’immigrazione di forza lavoro. Le prime politiche varate dal governo basco contro il disagio sociale risalgono al 1989, quando attraverso il Piano Integrale contro la Povertà vennero introdotte due misure: l’IMI (Ingreso Mínimo de Inserción), un sussidio di povertà e l’AES (Ayudas de Emergencia Social), un sussidio per spese specifiche legate all’abitazione e altri beni primari. Altre politiche governative hanno invece mirato più direttamente a instaurare condizioni solide e certe per la creazione e il consolidamento di posti di lavoro, con il ricorso ad azioni diversificate e ad ampio raggio: stimolazione degli investimenti attraverso politiche di sostegno industriale di breve–medio termine; assistenza a nuove forme di impresa economica; creazione e sviluppo di programmi di formazione; creazione di infrastrutture fisiche a basso costo per lo start up di nuove aziende; assistenza legale, tecnica e finanziaria a piccole e medie imprese; facilitazione del trasferimento tecnologico. Successivamente, fino ad oggi, sono state intraprese altre iniziative caratterizzate da un approccio più integrato e territorialmente circoscritto: tre programmi promossi dalla Comunità Europea e uno di iniziativa del Governo Basco. Il primo dei due progetti finanziati con i fondi comunitari fu Neighbourhoods in Crisis, sottoscritto dalla municipalità di Barakaldo nel 1991; in quell’anno venne fondata Inguralde, un’agenzia locale preposta 112


all’attuazione del programma e al coordinamento dei diversi attori coinvolti. Sin dal 1995 l’azione dell’agenzia, estesasi all’intera scala urbana, si è concentrata primariamente nella promozione occupazionale e nella formazione professionale27. L’esperienza di Neighbourhood in Crisis è poi confluita nel progetto Urban I (1994-1999) di Barakaldo, i cui aspetti sociali sono stati affidati di conseguenza a Inguralde28. Il secondo progetto, attivato nel quadriennio tra il 1994 e il 1997 nel quartiere di Bilbao La Vieja è invece il Progetto Pilota Urban Puerta Abierta, gestito dall’agenzia di sviluppo comunale di Bilbao Lan Ekintza e dalla società municipale Surbisa. Gli obiettivi principali erano tre: fondare dei fuochi di attrazione a servizio del quartiere e dell’intera città; aprire fisicamente e socialmente il quartiere al resto della città; offrire formazione professionale agli abitanti, con un forte riscontro pratico. Successivamente una seconda edizione dei progetti pilota Urban, attiva per il periodo 1997-1999, ancora una volta gestito da Lan Ekintza, è stata rivolta al risanamento ambientale, commerciale e sociale del quartiere periferico e degradato di Otxarkoaga. Tra gli interventi di carattere fisico sono previste il passaggio di una nuova linea ferroviaria di servizio urbano, tre nuove piazze, spazi ricreativi, percorsi pedonali collegati alle principali strutture del quartiere, quasi un migliaio di nuovi parcheggi e la risistemazione della viabilità locale. A livello commerciale è prevista la riqualificazione del centro commerciale locale, la formazione e l’aggiornamento professionale dei commercianti e la costituzione di una loro associazione. Dal punto di vista occupazionale sarà invece restaurata una scuola per convertirla in un centro di consulenza per start up di imprese mentre specifici corsi di formazione e accompagnamento seguiranno i disoccupati e le persone con particolari problemi per aiutarli a reinserirli nel mondo del lavoro e nella società29. Il quarto pacchetto di interventi, finanziato dal governo basco, è invece Izartu, un programma integrato di rivitalizzazione di aree urbane degradate; la prima edizione, tra il 2001 e il 2005, ha finanziato 51 interventi di riqualificazione fisica e sociale in 48 comuni, di cui 28 appartenenti alla provincia di Biscaglia e 9, compresa Bilbao, alla riva sinistra del Nervíon. La seconda edizione, che finanzierà altri interventi fino al 2008, è agli inizi. Inoltre sono stati stanziati, per il 2005, massicci finanziamenti per altri progetti simili anche per i quartieri di Altamira, Rekalde-Betolaza e Uretamendi. 113


La pianificazione del territorio basco a livello regionale avviene attraverso una struttura tripartita: – Directrices de Ordenación Territorial (DOT): sono linee guida di indirizzo e coordinamento dei piani sub–regionali; – Planes Territoriales Sectoriales (PTS): piani di settore di rilevanza territoriale (pianificazione degli alloggi, ordinamento dei litorali, programmazione delle aree portuali, ecc.), coordinati con gli altri strumenti di pianificazione redatti a scala locale; – Planes Territoriales Parciales (PTP): linee guida per particolari aree di interesse strategico, le quindici Areas Funcionales (come ad esempio l’area metropolitana di Bilbao). Il DOT vigente è stato approvato nel 1997 e si configura come un piano strategico d’area vasta: la regione basca è soggetta a linee guida che intendono coordinare le politiche urbane locali e settoriali nell’offerta di un prodotto unitario nel mercato europeo e internazionale, situato in una posizione di ponte tra l’arco atlantico e quello mediterraneo. La strategia si struttura principalmente intorno al sistema gerarchico e complementare dei nodi urbani: i tre capoluoghi provinciali, similmente alla Randstand olandese, costituiscono l’ordito primario, tendendo a specializzare il loro ruolo30, mentre la rete intermedia delle quindici città principali delle Areas Funcionales ha il compito, attraverso un giusto bilanciamento funzionale, di assicurare al territorio uno sviluppo socialmente equilibrato e integrato con l’ambiente. Assume infine grande rilievo l’attenzione al paesaggio e all’identità del contesto. La fitta trama dei nuclei rurali di antica formazione è assunta come l’ossatura e il presidio dell’identità paesistica della regione e costituisce la base dell’emergente settore del turismo agreste. Il paesaggio e l’ambiente, considerati risorse fondamentali anche da un punto di vista economico, vengono pertanto salvaguardati dallo sprawl urbano e sono innervati da una rete di aree naturali protette e di corridoi ecologici. L’ultimo punto strategico indica la necessità di rafforzare le connessioni con altre città spagnole ed europee (Vegara, 2001). Il PTP della Bilbao Metropolitana ha avuto invece un itinerario abbastanza travagliato: una prima redazione, iniziata nei primi anni Novanta, risale al 1994 e in seguito è stata presentata ufficialmente nel 1997. Difficoltà di finanziamento e scarso consenso politico hanno però portato a ritirare questa 114


44. Paesi Baschi: Directrices de Ordenaci贸n Territorial (DOT) [www.euskalduna.net, 2005].

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prima proposta e a studiarne una alternativa, presentata nel febbraio 2003 e tuttora in attesa di ratifica (Rodriguez e Martínez, 2003). Quest’ultima individua e mette a sistema una rete di interventi, divisi in Aciones Estructurantes e Operaciones Estrategicas, concentrati prevalentemente attorno alla dorsale del Nervíon. Qui la presenza di vaste aree dismesse consente di creare le infrastrutture fisiche per le politiche strategiche regionali e metropolitane finalizzate alla rivitalizzazione economica e sociale. Le Operaciones Estrategicas individuano così un rosario di nuove centralità a scala locale e metropolitana composto da nuovi insediamenti produttivi e per la ricerca, strutture portuali, per la logistica e l’interscambio modale, parchi e strutture per il tempo libero, complessi residenziali. Le Aciones Estructurantes descrivono invece le opere di infrastrutturazione per il sistema della mobilità del territorio: piste ciclabili, rete ferroviaria, Alta Velocità e trasporto pubblico su ferro, trasporto fluviale, modi di accesso interno ed esterno al porto. Il fiume Nervíon diviene il cardine di questi due insiemi di interventi, individuando una fascia longitudinale continua di spazi verdi e strade ciclo-pedonali che unifica a un livello superiore, in un insieme coerente, i vari luoghi in trasformazione (MECSA, 2003). Il fiume oltretutto è oggetto di un’importante azione di riqualificazione delle acque, denominata «Piano Integrale di Risanamento»: il progetto, finanziato dall’Unione Europea e rivolto all’intero territorio di Biscaglia, ha l’obiettivo, fissato per il 2004, di portare la qualità del Nervíon al livello europeo «bandiera azzurra» (Marshall, 2001: 62). Sotto l’aspetto infrastrutturale a partire dal 1989, anno in cui venne siglato un accordo programmatico tra governo basco e stato centrale, sono state pianificate e in gran parte ormai realizzate opere ingenti, tese a riconfigurare l’intera struttura portuale, ricollocata verso la Baia di Abra, e a innervare con una rete di trasporto su ferro e su gomma l’intero territorio metropolitano. L’espansione del porto, attuata in due stadi a partire dal 1993 e attualmente in fase di completamento, non solo ha permesso di raddoppiare e ammodernare la precedente dotazione, portandola a livelli estremamente competitivi, ma ha anche consentito di smantellare le vecchie strutture situate nei tratti interni del Nervíon, liberando lo spazio necessario per 116


45. Bilbao: Plan Territorial Parcial de Bilbao Metropolitano (PTP) [www.bizkaia.net, 2005].

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intraprendere la maggior parte della rete di operazioni strategiche in previsione. Il governo basco ha a tale proposito dato vita a un progetto specifico, il Programa de Demolición de Ruinas Industrales. Iniziato con i primi rilievi di inventario nel 1998, il programma, che si basa su forme di sussidio come incentivo alla demolizione degli edifici dismessi, ha attualmente all’attivo 78 interventi sui 106 individuati31. Presso il nuovo porto è stato inoltre trasferito il terminal merci della linea ferroviaria, un tempo situato nella stazione di Ametzola, a Bilbao, ora convertita in una stazione passeggeri. Il sistema ferroviario, che in futuro si arricchirà della “Y” dell’Alta Velocità, trova nella stazione centrale bilbaina di Abando il principale nodo di interscambio della rete di trasporti pubblici dell’area metropolitana: in essa convergono le linee ferroviarie regionali (Renfe) e nazionali (Feve), la nuova linea urbana tranviaria dell’Euskotran, le linee di autobus e quelle della metropolitana. Un secondo nodo di interscambio analogo, situato al confine occidentale del comune, sarà a Bilbao San Mamés, dove si integrerà con il terminal delle corriere regionali e con il nuovo parcheggio previsto all’uscita della nuova bretella autostradale. La rete del trasporto pubblico si fonda principalmente sul servizio offerto dalla nuova metropolitana, progettata da Norman Foster e realizzata, dopo quindici anni di dibattito, tra il 1989 e il 1997: la prima linea attivata mette in relazione il comune di Etxebarri, al confine orientale di Bilbao, con Plentzia, situato sulla costa nord-occidentale del golfo di Biscaglia. Un secondo ramo, in stato di avanzamento, collegherà invece i comuni del margine sinistro del fiume fino a Santurzi. Un’opera fondamentale per l’accessibilità dell’area è costituita dal nuovo terminal dell’aeroporto internazionale di Sondika. Costruito su progetto di Santiago Calatrava, tra il 1995 e il 2000, l’aeroporto ha portato l’utenza potenziale fino a due milioni e mezzo di passeggeri annui (Rodriguez, Guenaga e Martinez, 1998). Il livello di programmazione a scala metropolitana è promosso inoltre attraverso un’altra importantissima iniziativa, risalente ancora al 1989. In quest’anno venne avviato da diversi enti e istituzioni basche un dibattito circa il futuro dell’area metropolitana di Bilbao e le modalità più consone per conseguire obiettivi di rivitalizzazione, sul modello di città come Glasgow, Baltimora, Pittsburgh. Venne così affidato alla Arthur Andersen 118


Consulting la redazione di un piano strategico, mentre nel 1991 fu costituita la partnership pubblico-privata Bilbao-Metropoli 30, avente il compito di dare sostanza istituzionale al livello territoriale metropolitano attraverso la realizzazione del piano strategico32. Tale documento venne presentato nel 1992, al termine di un lavoro condotto in quattro fasi: 1. analisi Swot delle dinamiche economiche urbane. Questa portò alla definizione di otto settori strategici: investimento in risorse umane; sviluppo di funzioni legate al terziario avanzato; rigenerazione ambientale; rigenerazione urbana; miglioramento della mobilità metropolitana ed esterna; sviluppo di centralità culturali; gestione coordinata di iniziative pubbliche e private; welfare sociale; 2. esamina delle condizioni e delle potenzialità interne ed esterne per l’elaborazione degli otto settori strategici; 3. definizione di mete e obiettivi specifici, di strumenti e strategie in relazione agli otto settori strategici; 4. produzione di 180 Action Plan per l’attuazione delle diverse strategie. In realtà Bilbao–Metropoli 30 non ha alcun potere cogente rispetto all’applicazione delle linee strategiche e, per quanto raccolga al suo interno numerose istituzioni e persone, la struttura permanente è costituita da un personale numericamente assai ristretto (Van der Berg, Braun e Van der Meer, 1997: 54). La funzione principale della partnership si riassume in due finalità: 1) coordinare e orientare gli sforzi secondo mete, modalità e tempi condivisi; 2) condurre ricerche di benchmarking e di divulgazione circa le esperienze internazionali di rigenerazione urbana. A tal fine esercita una costante azione di verifica pubblicando annualmente un bollettino dei risultati ottenuti in risposta agli obiettivi di sviluppo prefissati. Dal 1992 la disamina dello stato di avanzamento delle politiche strategiche si basa su una griglia di indicatori messo a punto dall’Università di Deusto (Sistema degli Indicatori di Rivitalizzazione) e aggiornabili anche in funzione dei cambiamenti nelle politiche intraprese; accanto agli indicatori di tipo strutturale vengono raccolte anche delle valutazioni di tipo qualitativo presso la popolazione residente. Nel 1998 venne intrapreso un nuovo periodo di riflessione sui risultati conseguiti dal piano e sui nuovi obiettivi da perseguire. Da qui nacquero le Reflexión Estratégica Bilbao 2010 del 1999, che portarono a definire nell’apri119


le del 2001 il nuovo Piano Strategico Bilbao 2010 incentrato su cinque punti strategici: leadership, persone (giovani e professionisti), conoscenza e innovazione, network mondiale e qualità della vita. Le linee politiche discendenti da questi obiettivi, e sulla cui base vengono da allora valutati annualmente i progressi condotti dall’area metropolitana, sono ancora una volta otto: 1. collaborazione tra enti pubblici e privati; 2. creazione di un sistema formativo di prima categoria; 3. una società connessa impegnata a sviluppare reti internazionali; 4. creazione di una città sana e sicura; 5. modernità culturale come elemento catalizzatore di una società aperta a nuove culture; 6. nuovi impulsi alla rigenerazione urbana; 7. creazione di un sistema economico competitivo, innovativo e sostenibile; 8. costruzione di una città integrata e integrante. Rispetto al piano precedente la nuova fase di programmazione, basandosi su alcuni risultati già ottenuti soprattutto nel campo della rigenerazione urbana e territoriale, sposta l’asse principale delle linee di intervento verso obiettivi più specifici di qualità (della formazione, ambientale) e soprattutto verso le risorse cosiddette intangibili dell’offerta territoriale. L’obiettivo è quello di configurarsi come una «Creative City» (Landry, 2000) mondiale puntando sul capitale umano, sullo sviluppo di un milieu locale innovativo e sull’eccellenza dell’offerta urbana e ambientale: la declinazione a scala comunale degli obiettivi programmatici avviene in questa seconda fase attraverso piani strategici locali. Sotto il profilo occupazionale la strategia metropolitana mira a creare nuovi cluster economici e nuovi elementi attrattori in grado di servire da volano per il rafforzamento dell’offerta territoriale. Il programma più importante in questo senso è quello costituito dall’accordo interistituzionale per la rivitalizzazione delle rive del Nervion, sottoscritto nel 1997 dal Ministro per l’Industria e l’Energia, il Governo Basco, la Provincia e undici municipalità della riva sinistra. L’accordo ha prodotto un piano d’azione a valenza strategica, con un obiettivo eminentemente socioeconomico. Il governo centrale si è impegnato a riconoscere la Riva Sinistra del Nervion come una zona a regime speciale, oggetto di finanziamenti e incentivi per la creazione di nuovi posti lavoro, in particolare nei nuovi settori economici a maggiore valore aggiunto (programmi Ekimen e New Promoters); è 120


prevista anche la trasformazione di alcune aree e la creazione di adeguate infrastrutture di supporto. Il piano – che anche in questo caso è poco più che un documento di programmazione – è gestito dall’Agenzia di Sviluppo Basca per la Promozione e la Riconversione Industriale (Spri), fondata nel 1981. Nonostante la mancanza di un valore cogente, dal 1981 al 1998, il piano d’azione aveva dato vita a 43 progetti, con la creazione di 1.350 posti di lavoro; per il 2002 era previsto un indotto di 5.000 posti di lavoro (Rodriguez, Guenaga e Martinez, 1998). Lungo il fiume dunque si concentrano e si concentreranno, al posto delle vecchie aree industriali, cluster innovativi (come quelli previsti a Zorrozaurre e quelli già in azione a Barakaldo), strutture integrate per l’alloggiamento di aziende (Piano Elkartegi), cluster turistico-culturali (i musei, e la Hall di Abandoibarra e l’università di Deusto) e per il tempo libero (parchi, e giardini, paseos, parchi di divertimento e centri commerciali). Un cluster già esistente e in espansione è quello suburbano del Parco Tecnologico di Zamudio, situato a nord–ovest di Bilbao, a pochi chilometri dall’aeroporto, dove venne fondato nel 1985 per incentivare la diversificazione dell’economia. Dal 1993 il parco ospita l’European Software Institute (ESI), una struttura di ricerca supportata da grandi aziende del settore informatico internazionale e promossa dall’Unione Europea (Van der Berg, Braun, Van der Meer, 1997: 59). Questo nuovo fulcro ha dato un nuovo impulso alle attività del Parco e ne ha innalzato il profilo a livello internazionale: ad oggi, secondo quanto riporta il sito ufficiale della Spri, che lo ha in gestione, sono ospitate 129 aziende, per un totale di 5.735 impiegati. Ma per quanto estremamente accessibile grazie alla prossimità all’aeroporto, il parco tecnologico si ritrova piuttosto isolato dai comuni circostanti, soprattutto rispetto al cuore metropolitano su cui gravita. Se confrontato con la strategia di Birmingham per l’Eastside, tale mancata connessione può essere considerata come un’occasione sprecata; un passo avanti verrà in ogni caso dalla nuova linea tranviaria che collegherà il parco con il capoluogo. Un’altra struttura di grande rilievo, in particolare per gli indotti e la scala di riferimento, è infine il nuovo polo fieristico del Bilbao Exhibition Centre (BEC), trasferito da Bilbao nella confinante Barakaldo e inaugurato dopo tre anni di lavori nel 2004.

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2.6 Bilbao Ría 2000: dall’area metropolitana al quartiere La punta di diamante del sistema territoriale di Biscaglia è costituita dalla città di Bilbao. Lo sviluppo edilizio e urbanistico del comune è governato dal Piano Generale di Ordinamento Urbano (Pgou), elaborato a partire dal 1987, approvato nel 1992 e ratificato dalla Provincia nel 1994. Esso pone due obiettivi: l’incremento del livello di reddito della popolazione e il miglioramento della qualità dell’ambiente urbano. Il primo obiettivo è perseguito attraverso nuovi luoghi per le attività economiche, il miglioramento dell’accessibilità metropolitana e regionale, infrastrutture e servizi per lo sviluppo di funzioni centrali, miglioramento dell’immagine a livello internazionale attraverso opere e spazi pubblici di alto profilo. Il secondo obiettivo è perseguito attraverso gli interventi in cinque «opportunità localizzative»: Abandoibarra, Zorrozaurre, due cave abbandonate (Miribilla ed El Morro) e l’ex stazione merci di Ametzola. Se Bilbao costituisce il fulcro primario dell’area metropolitana, Abandoibarra e Zorrozaurre sono destinate dal piano a divenire il cuore pulsante del capoluogo bilbaino: sin dalle prime ipotesi le due aree sono infatti individuate come la sede ideale per il nuovo Central Business District della città basca33. Il primo masterplan per Abandoibarra, il vasto sito industriale che si

46. Bilbao: Abandoibarra - Plastico della prima versione del progetto di Cesar Pelli, visto da nord [Rodriguez, Guenaga e Martinez, 1998a].

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47. Bilbao: Abandoibarra - Fotomontaggio della seconda versione del progetto di Cesar Pelli, visto da nord [Rodriguez, Guenaga e Martinez, 1998a].

estende lungo la riva meridionale del Nervíon, venne redatto da Cesar Pelli con la consulenza di Diana Balmori and Eugenio Aguinaga, vincitori di un concorso di idee bandito nel 1992. Il bilancio registra un divario tra quanto inizialmente previsto e le realizzazioni: le attività terziarie insediate sono state decisamente inferiori a quelle previste dal progetto. Già nella successiva redazione più dettagliata del 1995, il rischio finanziario connesso al debole mercato di uffici dell’area aveva portato a ridimensionare drasticamente la presenza del terziario (concentrato soprattutto in un imponente grattacielo) frazionandolo in edifici di dimensioni più ridotte e limitandone le quantità previste in favore di funzioni residenziali e commerciali, maggiormente rispondenti alle prospettive del mercato immobiliare locale di quel periodo. Si venne però a creare una forte opposizione al nuovo piano, soprattutto da parte dell’ordine degli architetti bilbaini, i quali nel 1997 presentarono un progetto alternativo (Rodriguez e Martínez, 2003: 196-197). L’amministrazione allora, respinta quest’ultima proposta, ma avendo preso atto dell’inadeguatezza dell’ultima previsione per l’area, commissionò a Pelli un nuovo masterplan, approvato definitivamente nel 1999 e incluso nel Plan Especial de Reforma Interior (Peri) di Abandoibarra. Il progetto così approvato si affida alle capacità connettive e di coesione degli spazi aperti, i quali occupano i due terzi dell’intera area. Ma se le soluzioni architettoniche dei percorsi risolvono in maniera abbastanza convincente il dislivello di 6 metri tra lungofiume ed entroterra, gli edifici previsti 123


48. Bilbao: Abandoibarra - Masterplan del 1999 [www.cesar-pelli.com, 2005].

(quattro blocchi residenziali con commercio al piede; un centro commerciale; una torre per uffici; edifici a terziario; strutture universitarie) non riescono a costruire delle relazioni funzionali e spaziali sufficientemente forti né reciprocamente né con il margine del Nervíon né, tanto meno, in rapporto alla città ottocentesca, rispetto alla quale la prevista piazza centrale ellittica, omologa di Plaza Moyúa, fulcro urbano dell’Ensanche, intende funzionare come cerniera della nuova espansione. La ripresa di forme urbane ottocentesche stride infatti con il carattere rarefatto del nuovo insediamento e a malapena la forte caratterizzazione architettonica del Parco della Ribera e del Paseo della Memoria, autonomi – dal punto di vista realizzativo – rispetto al resto dell’intervento, è in grado di dare continuità e riconoscibilità al fronte sul fiume. Inoltre anche la posizione del nuovo centro commerciale e ricreativo Zubiarte34 risulta troppo esterna e separata rispetto al tessuto urbano preesistente. Se alcuni esempi inglesi dimostrano come il posizionamento di Shopping Mall nel cuore cittadino possa portare benefici, attraverso i flussi pedonali generati, anche alle attività commerciali preesistenti, in questo caso le preoccupazioni dei negozianti delle vicine zone di Casco Viejo, Abando e Indautxu, ostili al progetto sin dall’inizio, appaiono del tutto giustificate. Il nuovo complesso non instaura alcuna relazione con il sistema commerciale locale, ma, intercettando l’utenza della riva nord e dei fruitori del parco e dell’albergo, ne diventa anzi antagonista. Al contrario, a confermare i van124


taggi di un magnete urbano in continuità con la trama esistente, i valori delle aree commerciali nei pressi del Guggenheim sono aumentati del 30% (Rodriguez e Martínez, 2003: 199). Il celebre museo, progettato in forme scultoree da Frank O. Gehry nel 1991 e realizzato tra il 1993 e il 1997, ha, come noto, portato la città alla ribalta internazionale e inaugurato il processo di rigenerazione urbana; si tratta tuttavia di una iniziativa alquanto estemporanea, perfettamente inserita nel piano strategico metropolitano eppure da esso originariamente non considerato. Inizialmente infatti il Guggenheim, in seguito alle prime trattative intercorse nel 1991 con la Fondazione, era stato previsto dal governo basco all’interno dell’edificio di Alhondiga, una vasta costruzione in stile neogotico del primo Novecento adibito a magazzino vinicolo situata nell’Ensanche a un paio di isolati più a sud della centrale Plaza Moyúa. Infatti i primi piani per Abandoibarra, anziché un museo d’arte contemporanea, avevano proposto che il nuovo Central Business District ospitasse, sul modello dei Festival Marketplace americani, anche strutture per il tempo libero, un centro congressi e un museo della scienza e della tecnica. Gehry però, interpellato in proposito da Thomas Krens, il direttore della Fondazione Guggenheim, sulla base dei suoi precedenti lavori di riconversione di edifici industriali (il Massachusettes Museum of Contemporary Art

49. Bilbao: particolare dello schizzo originale di Frank Gehry con la posizione proposta per il nuovo museo Guggenheim [Van Bruggen, 1997].

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e il MOCA di Los Angeles), suggerì in alternativa di edificare un nuovo edificio sulla riva del Nervíon, essendo stato informato del progetto di riqualificazione delle rive. Inoltre il nuovo polo avrebbe potuto entrare in relazione con il museo di Belle Arti (Van Bruggen, 1997: 17-22). A chiudere più a sud-ovest l’arco del lungofiume fu costruito tra il 1996 e il 1999, su progetto di Federico Soriano e Dolores Palacios, l’Euskalduna, centro conferenze e sala concerti della regione di Biscaglia. Con questa seconda nuova presenza si andava chiaramente configurando un cluster culturale, grazie anche alla vicinanza del museo di Belle Arti e alla presenza dell’Università di Deusto sulla sponda opposta. In seguito, il rifacimento a paseo di entrambe le rive e il nuovo ponte pedonale Pedro Arrupe, completato nel 2003 su progetto dell’architetto Lorenzo Fernandez Ordonez, diedero al raggruppamento delle funzioni esistenti e in progetto maggiore evidenza e continuità. Il mercato immobiliare locale rispose immediatamente alle nuove prospettive di sviluppo: secondo un rilievo del 1998, a fronte di un generale incremento dei valori immobiliari urbani del 10÷15%, il distretto di Abando registrò un aumento pari al 30 e 40%. L’effetto indotto dalla riqualificazione di Abandoibarra raggiunse poi anche il quartiere limitrofo di Indautxu e le aree della riva settentrionale del Nervíon (Deusto e Campo Volantin). Saranno da valutare gli effetti derivanti dalla messa sul mercato di nuove superfici ad uffici, che ad Abandoibarra costituiranno più del 40% della edificazione prevista e che saranno inoltre affiancati anche dal futuro complesso a funzione mista Isozaki Atea35, progettato nell’area di Uribitarte da Arata Isozaki. Le ingenti trasformazioni urbane sono condotte e attuate da Bilbao Ría 2000, una società pubblica nata nel 1992 dal consorzio degli enti regionali e statali proprietari delle aree di intervento (ferrovia e complessi industriali). L’ente è di tipo non–profit, ma il suo status di Società gli consente di gestire le operazioni di trasformazione con le stesse modalità di un privato, sul modello delle SEM francesi. Rimpiazza quasi completamente gli uffici tecnici municipali nella pianificazione delle aree del Plan Especial de Riforma Interior. Gli obiettivi di Bilbao Ria 2000 sono principalmente tre: 1. creare consenso politico sulle trasformazioni; 2. effettuare la vendita ai privati delle aree rigenerate; 3. creare nuove forme di governance e di gestione dello sviluppo urbano. 126


50. Bilbao: Abandoibarra - Alcuni cluster delle attivitĂ terziarie, turistiche, culturali e dei servizi di quartiere [elaborazione da Google Earth: earth.google.com, 2005].

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51. Bilbao: Il lungofiume presso Abandoibarra [www.bilbaoria2000.com, 2005].

Dal punto di vista economico l’operazione è autosufficiente: il ricavato della vendita dei terreni preparati alla trasformazione, grazie al plusvalore derivante dall’opera complessiva di riqualificazione e al prezzo di vendita al metro quadrato generato dalla domanda indotta, serve a coprire i costi di bonifica e urbanizzazione e a finanziare altri interventi. Così per esempio l’opera di smantellamento della ferrovia ad Abandoibarra e la preparazione del terreno è stata finanziata tramite la vendita dei suoli di Ametzola. Considerando il valore delle aree industriali dismesse prossimo alla zero, se non addirittura negativo, è previsto che l’intera operazione finanziaria copra anche i costi – non rifondibili direttamente con la vendita dei terreni – delle opere connesse alle infrastrutturazione ferroviaria (Variante Sur). Per questo Bilbao Ría 2000 non mira ad alcun margine di profitto ma è impegnata a rispettare il pareggio di bilancio, puntando a rendere l’operazione indipendente da sussidi statali (del tutto impossibili dopo le onerose opere condotte a Barcellona e Siviglia). Si aggiunga inoltre che lo stesso ente è responsabile anche della trasformazione e valorizzazione di terreni esterni al cuore urbano nell’area metropolitana, i cui margini di guadagno, se esistenti, non saranno probabilmente allo stesso livello di quelli delle aree centrali. Il delicato equilibrio che regola le possibilità di realizzazione dell’intervento costringe d'altra parte la Società a politiche di investimento immobiliare fortemente condizionate da un ristretto orizzonte temporale. La con128


seguenza è la rinuncia sia alla prevista espansione terziaria di Abandoibarra, affidata invece all’isola di Zorrozaurre, sia alla costruzione di residenze popolari, trasferite ad Ametzola: interventi che pure avrebbero contribuito a una nuova identità e alla maggiore complessità funzionale e sociale dell’area. Ma, come si è detto, la scelta deriva dall’esigenza di orientare gli interventi e le funzioni verso la domanda di mercato esistente, anziché cercare di condizionarla con politiche strutturali e con un’offerta lungimirante (Rodriguez e Martínez, 2003). I principali progetti gestiti da Bilbao Ría 2000 sono sei: 1. L’attuazione del Plan Especial de Riforma Interior di Abandoibarra. Il completamento del progetto prevede ancora la costruzione di cinque blocchi residenziali, una torre per uffici affiancata da due blocchi a terziario laterali, il Rettorato dell’Università dei Paesi Baschi e la Biblioteca dell’Università di Deusto, che espanderanno sulla sponda meridionale le strutture universitarie prospicienti, portando alla formazione di un nuovo cluster culturale; 2. La Variante Ferroviaria Sud (Variante Sur). La prime due fasi del lavoro per la variante hanno permesso di riunire verso sud-est, presso la nuova stazione di Ametzola (aperta nel 1998), la linea ferroviaria nazionale

52. Bilbao: l'area dell'ex scalo ferroviario di Ametzola [www.bilbaoria2000.com, 2005].

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53. Bilbao: Variante Sur - Mappa delle quattro linee di trasporto pubblico su ferro: Renfe, FeveEuskotren, Euskotran e Metro [elaborazione da www.bilbaoria2000.com, 2005].

(Renfe) e quella basca (Feve); questo ha consentito di creare sul nuovo percorso tre stazioni urbane (Zabálburu, Autonomía e San Mamés) e di smantellare i binari presenti sul lungofiume di Abandoibarra riconnettendo l’area all’Ensanche e predisponendola alla sua trasformazione. L’interramento della nuova linea a sud ha permesso inoltre di creare una nuova strada di penetrazione da ovest (Avendida de Ferrocarril), dove si attesterà il nuovo collegamento con l’autostrada, e di ricollegare i quartieri a sud con l’Ensanche. Attualmente sono in fase di realizzazione diverse altre stazioni urbane in vari quartieri della città metropolitana; 3. L’attuazione del Peri di Ametzola. Lo smantellamento di uno dei tre scali merci presenti ha permesso di costruire un parco e sette torri abitative ad esso prospicienti, per un totale di 900 appartamenti, tra cui 150 alloggi di edilizia sociale. Le alte volumetrie consentite, stemperate tuttavia dal buon inserimento architettonico al margine nord del parco, hanno contribuito in modo determinante a finanziare l’intera Variante Sur; 4. La sistemazione dell’area di Basurto-San Mamés. Il progetto prevede di riconfigurare l’accesso a Bilbao da ovest modificando parzialmente i percorsi ferroviari, costruendo una nuova stazione ferroviaria in corrispondenza dell’ospedale di Basurto e soprattutto facendo della stazione fer130


roviaria di San Mamés, assieme a quella centrale di Abando, il secondo nodo intermodale dell’area metropolitana. Qui infatti si concentrano la stazione delle autolinee regionali, la metropolitana, la linea tranviaria, le due linee ferroviarie nazionale e basca, e un parcheggio di interscambio destinato a raccogliere i flussi automobilistici provenienti dal nuovo snodo autostradale di Olabeaga. Una volta che quest’ultima infrastruttura sarà realizzata, verrà demolito il cavalcavia che attualmente deturpa uno dei principali viali urbani di ingresso da sud; 5. La riqualificazione di Bilbao La Vieja attraverso l’attuazione del Plan Especial de Rehabilitación y Reforma Interior (Perri). Il piano di risanamento del quartiere, finanziato dal programma basco Izartu, prevede diverse opere: la riqualificazione delle rive, del mercato comunale di Casco Viejo e di una piazza del quartiere (Plaza del Corazón de María), la creazione di una nuova piazza semipedonale (Plaza Cantalojas), la nuova stazione ferroviaria di Zabalburu e una nuova scuola elementare; 6. Il progetto Urban I di Barakaldo e Galindo. Il programma Urban prevede una serie di operazioni di carattere ambientale, in particolar modo sull’ex sito industriale di Galindo nel comune di Barakaldo. Qui sono state realizzate alcune strutture sportive e un parco attrezzato (il Laseasarre), una piazza, una nuova strada statale, un paseo lungo il fiume

54. Bilbao: Basurto - Fotomontaggio di uno degli interventi di riqualificazione degli accessi autostradali da sud [www.bilbaoria2000.com, 2005].

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e un’espansione residenziale di 2.200 unità abitative (di cui 525 di edilizia sociale). Altre opere sono state intraprese nel centro della città e collegate con l’espansione di Galindo attraverso percorsi pedonali. I sei progetti, a loro volta una sommatoria di diversi interventi, sono finanziariamente interrelati; con l'eccezione di Abandoibarra e Ametzola sono però indipendenti quanto ai modi e ai tempi di realizzazione. Tra l’intervento di Bilbao La Vieja, quello di Abandoibarra e quello di Barakaldo–Galindo esiste tuttavia una continuità spaziale e scalare, di cui il fiume costituisce l’elemento ordinatore. In questo modo i singoli progetti, assai vari per ubicazione, funzione, carattere e modalità di intervento, concorrono alla realizzazione di un’unica strategia volta a dare vita a un sistema territoriale coerente: il Nervíon è uno straordinario elemento della memoria e del paesaggio locali, in grado di conservare e rafforzare l’identità dei luoghi che bagna. La strategia di Bilbao La Vieja. I primi importanti interventi di riqualificazione dell’area risalgono, come accennato precedentemente, al Progetto Pilota Urban Puerta Abierta: il programma si è sviluppato in un periodo di quattro anni, dal 1993 al 1997, affiancato dal Piano Speciale di Rinnovamento e Riforma (Perri) del quartiere, approvato nel 1994. La strategia del progetto pilota, gestito dall’agenzia di sviluppo comunale Lan Ekintza e dalla società municipale Surbisa, perseguiva tre obiettivi principali: fondare dei “fuochi” di attrazione a servizio del quartiere e dell’intera città; aprire fisicamente e socialmente il quartiere al resto della città; offrire formazione professionale. Il piano ha coinvolto i cittadini nella rigenerazione delle abitazioni e del quartiere (pulizia, manutenzione e riqualificazione degli spazi aperti). In particolare la strategia ha concentrato nei tre vertici di un triangolo esteso sull’intero quartiere i punti di maggiore attrazione funzionale: – Il centro culturale La Merced. La struttura è nata dal recupero di una chiesa sconsacrata a sala concerti con altri servizi annessi, tra cui una mediateca. Vi si tiene annualmente, dal 1997, la manifestazione “Bilborock”, di risonanza regionale; – il centro per la formazione e l’impiego La Cartera. Ricavato in un vec132


55. Bilbao: Bilbao La Vieja - Mappa degli interventi nel quartiere storico e lungo le rive del Nervion [elaborazione da Google Earth: earth.google.com, 2005].

chio ufficio d’Igiene, il centro, passato successivamente sotto la gestione dell’agenzia di sviluppo comunale Lan Ekintza, ha nel tempo sviluppato una gamma variegata di attività, iniziate nel 1996, per il supporto dell’impiego locale36; – la scuola Urazurrutia. Il recupero di un vecchio edificio a corte del 1902 ha permesso di costituire il Centro Artistico Artigianale Centro Municipale BilbaoArte. Si tratta di un centro socioculturale al servizio del quartiere a cui offre uno spazio espositivo, una biblioteca, aule per l’insegnamento e laboratori artigianali, artistici e informatici. Un quarto fuoco inoltre è stato approntato quando il progetto era in corso di realizzazione nella strada principale del quartiere: si trattava dell’Ufficio informazioni per i residenti. Una stima ha indicato che nel 1997 l’area è stata visitata da 35.000 persone; il quartiere inoltre si sta ripopolando in particolare di abitanti giovani richiamati dal nuovo fermento sociale e dalle qualità ambientali del luogo. Il progetto ha dato vita anche ad alcuni organismi partecipativi e di controllo da parte della popolazione locale e della facoltà di sociologia dell’Università di Deusto. È da segnalare inoltre l’effetto di spinoff raggiunto dal progetto: 133


56. Bilbao: Bilbao La Vieja - Riqualificazione del lungofiume [www.bilbaoria2000.com, 2005].

la città ha infatti dato vita a diversi piani di qualificazione tanto del quartiere Bilbao La Vieja quanto di altri rioni degradati, centrali o periferici. Nel 1997 è stata attivata (e data in gestione a Lan Ekintza) la Scuola per una Seconda Possibilità, un programma del Fondo Sociale Europeo per giovani disoccupati con bassi livelli di scolarizzazione. In particolare è stato finanziato dal Governo Basco il programma integrato Izartu (2001-2004), che prevede nel quartiere di Bilbao La Vieja una molteplicità di interventi sul fronte urbanistico-architettonico, culturale e sociale37. Le opere di carattere urbanistico sono affidate a Bilbao Ría 2000 (che utilizza in parte i proventi delle operazioni immobiliari derivate da Abandoibarra) e a Surbisa. Lo scopo degli interventi sull’assetto fisico e spaziale del quartiere storico è quello di rimuoverne le tre principali barriere verso le aree limitrofe: il fiume, la ferrovia e la cava dismessa di Miribilla. L’edificazione, al posto di uno scavalco ferroviario, di una nuova piazza pedonale di cerniera tra il quartiere e l'Ensanche (piazza Cantalojas) ha creato un ponte di accesso – oltre a quello fornito dalla nuova stazione di Zabálburu – e una nuova saldatura con l’espansione ottocentesca del centro cittadino. Vengono inoltre pedonalizzate e riqualificate nei caratteri architettonici le rive La Merced, Marzana e Urazurrutia. Dalle rive così rinnova134


te è oggi possibile passeggiare, da est a ovest, senza soluzione di continuità fino al Centro Congressi Euskalduna ad Abandoibarra. Questo ha permesso a Bilbao La Vieja, fino a qualche tempo fa degradato ed emarginato dal contesto urbano, non solo di tornare ad essere parte della città di Bilbao, ma anche, grazie alla continuità assicurata dalle due sponde del Nervíon e alla presenza della linea ferroviaria, di diventare un luogo perfettamente integrato nell’intera area metropolitana. Il nuovo piano finanza anche ulteriori fuochi urbani e rafforza quelli esistenti. La piazza della Cantera e gli spazi pubblici limitrofi saranno riqualificati e parzialmente pedonalizzati. La piazza principale del quartiere, Plaza Corazón de Maria, sarà ridisegnata, allargandone la superficie e permettendo di alloggiare nel sottosuolo un parcheggio pubblico; la scuola elementare che ne chiude il lato a nord-est è stata trasformata in un centro civico di quartiere (“Conde Mirasol”), comprendente, oltre agli uffici comunali, una biblioteca e uno spazio espositivo. Una nuova scuola elementare è stata costruita tra il vecchio quartiere

57. Bilbao: Bilbao La Vieja - Centro Municipal BilbaoArte (sopra) e Centro Culturale “La Merced” (sotto) [www.bilbao.net, 2005].

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58. Barakaldo: Galindo e le principali strutture ad uso pubblico della città.

e il nuovo insediamento di Miribilla. Quest’ultimo, strutturato intorno a una cava recuperata a parco urbano, è costituito per i due terzi da edilizia convenzionata/sovvenzionata. Il progetto mostra anche in questo caso una profonda attenzione verso il contesto: ancora una volta agli spazi pubblici, soprattutto alla nuova Plaza Saralegi, è affidato il ruolo di nuovi fulcri per la relazione tra tessuti urbani vecchi e nuovi. La strategia di Barakaldo-Galindo. La strategia progettuale di Barakaldo, il comune al confine occidentale di Bilbao, si fonda sulla creazione e correlazione di due fuochi urbani: il vecchio centro cittadino, riqualificato attraverso il recupero diffuso degli spazi pubblici, e la nuova concentrazione multifunzionale presso l’area industriale dismessa di Galindo, sede un tempo degli Haltos Hornos de Vizcaya. Nel 1995 Barakaldo, sulla base del citato programma Neighbourhood in Crisis promosso dall’Unione Europea, produce un Piano Integrato per lo Sviluppo Urbano, all’interno del quale vengono assorbite le linee di intervento previste dal programma comunitario Urban I: lo sviluppo di aree pedonali e del trasporto pubblico, la costituzione di infrastrutture sociali e per l’impiego, la ricucitura tra la città e il fiume. Gli spazi aperti sono definiti con grande attenzione: la ricerca di maggiore fruibilità e spessore funzionale mira a farne la struttura portante del rinno136


vato sistema urbano. Nel caso del Jardín de Las Esculturas la creazione di un parcheggio sotterraneo in un lotto abbandonato al margine del centro storico ha fornito l’occasione per creare un giardino urbano come estensione di un parco preesistente (Parque Eguskiagirre). Si è aumentata notevolmente la lunghezza dell’asse pedonale da sud-ovest a nord-est, ponendolo in continuità con una lunga serie di spazi pubblici: la riqualificata piazza Onera (sede di una fermata della metropolitana), il Paseo de Fueros, la piazza centrale di Herriko (dove risiede il municipio e un altro parcheggio pubblico interrato), la piazza di Auzolan, le vie Arana e Portu fino alla stazione ferroviaria e alla nuova area di trasformazione di Galindo. Calle Murrieta, che qui prima marcava il confine con l'area industriale, è stata convertita in boulevard urbano per riavvicinare i due lembi di città. In particolare nell’area presso la stazione della Renfe il viale è stato attrezzato per l’interscambio modale con autobus e taxi. Un trattamento più informato al traffic calming attraverso pavimentazioni e piantumazioni è stato riservato invece alla via Aldapa: questa strada, perpendicolare a Calle Murrieta, collega la piazza centrale del comune direttamente con il nuovo parco e il centro sportivo di Lasesarre sorti a Galindo. Gli interventi sugli spazi aperti38 hanno nel complesso consentito di recuperare una continuità di spazi pedonali che attraversa l’intero comune dalla rive sul fiume fino alle nuove espansioni previste a sud-ovest intorno al quartiere

59. Barakaldo: Galindo - foto area dell'area in trasformazione [www.barakaldo.org, 2005].

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presso il Giardino Botanico (Bilbao Ría 2000, 2002a). Un altro lungo spazio aperto lineare è inoltre costituito dalla pista ciclopedonale e dagli spazi a verde in corso di realizzazione lungo il Nervíon e lungo il fiume Galindo. Quest’opera, lunga 2,5 chilometri, è parte di un piano a scala metropolitana inteso a recuperare entrambi i margini fluviali dal punto di vista paesistico strutturandoli intorno a paseos, spazi verdi ed elementi di archeologia industriale. Accanto a questo parco lineare è stato costruito anche un nuovo asse viario a grande scorrimento (la BI-3739), che, una volta connesso alle tratte già esistenti, innerverà il margine sinistro del fiume da Bilbao fino al porto del comune di Santurzi. Anche in questo caso è stato data una grande cura all’architettura della strada. L’ampia sezione è ammorbidita, rispetto al contesto, da elementi a verde e, in futuro (quando sarà realizzata l’espansione residenziale sul suo lato nord), da filari di alberi. L’area di Galindo ospita due nuove importanti strutture per il tempo libero: uno stadio di calcio per la squadra locale e un centro sportivo polivalente comprendente quattro piscine39. L’offerta per il tempo libero è stata poi com-

60. Barakaldo: Nuovo centro servizi di quartiere e il Giardino delle Sculture (sopra). Riqualificazione di Calle Murrieta e nuovo parco di Laseasarre a Galindo [www.barakaldo.org, 2005; www.bilbaoria2000.com, 2005].

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61. Barakaldo: Incubatore di impresa Cedemi e nuovo lungofiume presso Galindo (sopra). Riqualificazione e pedonalizzazione delle piazze cittadine (sotto) [www.barakaldo.org, 2005; www.bizkaia.net, 2005].

pletata con il nuovo parco Lasesarre, mentre è ancora al vaglio la possibilità di edificare anche un centro commerciale e ricreativo vicino alla darsena. Un altro spazio aperto pubblico presente nell’area, completato prima degli edifici che lo circondano, è Plaza Desierto, una sorta di piazza–parco progettata da Eduardo Arroyo e Teresa Galì (Bilbao Ría 2000, 2002). Dal momento che è stata resa fruibile prima che gli edifici al contorno fossero completati era necessario che avesse un ruolo indipendente dalle funzioni al margine (il parco-giardino). Incorporando anche elementi dell’archeologia industriale, la nuova piazza urbana si offre anche come luogo della memoria, punto di continuità tra l’identità industriale dell’area di Galindo e il nuovo contesto in formazione. A Galindo sono state inoltre recuperate alcune vecchie strutture industriali per ospitare il Centro di Sviluppo Imprenditoriale del Margine Sinistro (Cedemi) un ente creato in risposta agli obiettivi di rivitalizzazione economica di Urban e finanziato dalla Spri e dalla Provincia di Biscaglia. Dal 2000 è stato attivato l’Ilgner Business Incubation Centre40, un incuba139


tore di impresa per l’accompagnamento dei primi 3-5 anni di aziende intenzionate a sviluppare progetti innovativi. Cedemi si occupa della formazione e dell’aggiornamento della forza lavoro e delle aziende, dell’orientamento e del supporto imprenditoriale e gestisce un database delle sedi più idonee per l’apertura di nuove attività. A pochi metri dall’Ilgner sorge inoltre il nuovo Elkartegi di Barakaldo, una struttura modulare con alcuni servizi centralizzati simile alla precedente atta ad ospitare attività industriali e uffici sulla base di alcuni requisiti specifici41: l’edificio, costruito in seno a un programma iniziato nel 1984, è gestito dalla Azpiegitura S.A., un’azienda pubblica sotto il controllo dell’Assessorato regionale all’impiego e alla formazione42. Altri due interventi meritano di essere ricordati. Nel centro della città, oltre alle già descritte opere di recupero e riqualificazione degli spazi aperti, è stato restaurato un vecchio edificio comunale a poca distanza dalla piazza di Herriko: lo stabile è diventato sede di Inguralde, l’agenzia di sviluppo locale di Barakaldo. Inguralde, fondata nel 1992, ha l’obiettivo di facilitare lo sviluppo di imprese e l’incontro tra offerte e domande di lavoro in accordo con la strategia economica ritenuta più idonea: svolge servizi di informazione, consulenza alle imprese (soprattutto a chi intende intraprendere un’attività in proprio) e avviamento al lavoro. Infine, tra le opere più significative finanziate da Urban si colloca anche la costruzione di un centro sociale polivalente, costruito a margine di un parco e di una nuova piazza: la struttura, attivata nel 1999 su progetto di Fernando Escauriaza e Rafael Olabarri, è stata pensata soprattutto come centro ricreativo e assistenziale per la terza età, ma costituisce in realtà un fulcro importante per l'intera comunità poiché ospita anche laboratori artigianali, servizi di consulenza, una biblioteca rionale, una “casa della cultura” ed è sede delle associazioni di zona. La riqualificazione della città, insieme alla nuova linea della metropolitana e alle strutture di importanza sovracomunale (tra cui lo stadio, il Cedemi e il centro commerciale «Megapark») e regionale (il polo fieristico del BEC), ha contribuito a rivitalizzare il mercato immobiliare di Barakaldo, di fatto ormai agganciato a quello di Bilbao: nel 2002, per esempio, sono state concesse cinque licenze per alberghi (Comune di Barakaldo, 2002: 11), circostanza piuttosto significativa se si considera il degrado in cui vessava il comune fino a una quindicina di anni addietro. 140


2.7 Bilbao: conclusioni I Paesi Baschi hanno adottato con grande determinazione un modello di pianificazione del territorio estremamente consapevole delle forze che formano attualmente gli assetti economici e geopolitici del conteso europeo. Attraverso un processo a cascata il controllo strategico regionale viene specificato in aree omogenee più circoscritte fino al dettaglio del masterplan comunale. Non si tratta tuttavia di un procedimento deduttivo, ma piuttosto di una strutturazione coerente ed equilibrata delle risorse, delle occasioni e delle potenzialità espresse dal territorio, di cui l’episodio del museo Guggenheim risulta senz’altro l’esempio più significativo. Come è stato sottolineato in diverse occasioni (cfr. Odpm, 2004 e Van der Berg, Van der Meer e Otgaar, 1999) l’armonizzazione delle politiche di sviluppo a scala di area vasta è fondamentale per la creazione e la distribuzione nei singoli contesti locali dei vantaggi competitivi desiderati. Nel caso dell’area metropolitana di Bilbao questa filosofia ha assunto una configurazione spaziale molto netta. Il Nervíon un tempo utilizzato dalle industrie e considerato un retro urbano, è tornato ad assumere un ruolo centrale, costituendo la colonna vertebrale di un grappolo lineare di nuove centralità diffuse. Il fiume, ritornato elemento ordinatore del paesaggio urbano, assicura non solo la continuità fisica dei luoghi che attraversa ma anche la continuità temporale con il passato: il fiume è identità e memoria. Molto più di altri l’esempio di Bilbao è diventato non a caso un riferimento internazionale (Gospodini, 2001: 291). Ha infatti rese manifeste le possibilità di rigenerazione urbana derivanti da una nuova immagine della città, veicolata dal disegno architettonico e urbano, e dall’impulso turistico ed economico che ne deriva. Sebbene alcune particolari soluzioni a livello urbanistico e architettonico siano al di sotto delle effettive e comprovate potenzialità dei luoghi, i pianificatori e la classe dirigente hanno dimostrato una grande intelligenza nella messa a punto del progetto a scala metropolitana. Ci sono poi le difficoltà incontrate dalla società pubblica di trasformazione urbana bilbaina – soprattutto nel caso di Abandoibarra – nel conciliare sostenibilità economica, qualità del disegno dei luoghi e sostenibilità sociale. Rispetto al caso di Birmingham l’intervento dei privati è interpretato più in chiave strumentale e finanziaria piuttosto che come una collaborazione allo sviluppo: Bilbao Ría 2000, come la maggior parte delle iniziative e le 141


strutture per la rivitalizzazione economica, sono in questo caso un prodotto esclusivo del settore pubblico. Analogamente anche i principali effetti di spillover conseguito dall’apertura del museo hanno portato ad altre opere di riqualificazione da parte quasi esclusivamente di enti pubblici: gli unici investimenti di rilevo che abbiano effettivamente attirato capitali privati esterni sono, allo stato attuale, il centro commerciale di Zubiarte e i nuovi hotel, sorti in quantità anche a Barakaldo. Non a caso il piano metropolitano Bilbao 2010 insiste proprio sullo sviluppo di azioni di partenariato. Sotto l’aspetto economico la strategia adottata agisce su due livelli paralleli: la formazione di cluster produttivi, più o meno innovativi, di iniziativa pubblica, addensati intorno a nuclei propulsori ed estesi a rete nel territorio metropolitano lungo le rive del Nervíon; la creazione, o il recupero, di nuovi fuochi all’interno dei quartieri urbani per la formazione e l’accompagnamento nel mercato del lavoro in risposta ai bisogni, alle capacità e alle risorse specifiche. Dal punto di vista del settore turistico il cluster urbano costituito dal museo Guggenheim e di Belle Arti, dal Centro Congressi Euskalduna, dal nuovo Museo Marittimo e dal nuovo polo fieristico del BEC ha conseguito ottimi risultati. Non solo il museo ha avuto un effetto moltiplicatore straordinario sull’intera economia locale43, ma negli ultimi dieci anni l’intera Biscaglia ha assistito a un incremento di quasi il 120% di presenze turistiche e del 56% dei pernottamenti in albergo, i quali sono passati tra il 1998 e il 2003 da 89 a 134, oltre che un aumento del numero di eventi e congressi programmati (Bilbao Metropoli–30, 2004: 12-19). La nuova immagine della città ha per ora avuto indotti prevalentemente sui settori legati al turismo urbano e di affari. Un segno di crisi rispetto alla costruzione di una base produttiva diversificata è forse scorgibile nella difficoltà incontrata nel trovare finanziatori per uno dei simboli più significativi della rinascita economica: la torre di uffici ad Abandoibarra (Cenicacelaya, 2003: 31)44. È però presto per trarre valutazioni circa la bontà complessiva della strategia intrapresa. La tesi di Maria Gomez (1998) – valida probabilmente per il caso di Glasgow ma senz’altro prematura in quello di Bilbao – è che le ricadute positive, in termini occupazionali, delle strategie urbane operate dai 142


due comuni siano minime e che addirittura, nell’esempio scozzese, abbiano fallito. I tempi necessari per la stima degli effetti di tali politiche sono di lungo respiro: se è cioè innegabile, come ammette la stessa Gomez, che l’immagine di Glasgow è comunque migliorata bisognerebbe stabilire quale sia il termine temporale per la valutazione degli effetti di tale rinnovamento. Nel caso di Bilbao l’operazione è stata condotta con maggiore impatto mediatico, data l’unicità dell’opera costruita (come sottolinea Beatriz Plaza, 1999), e questo potrebbe contribuire a una compressione dei tempi necessari ad apprezzarne le ricadute sulla struttura economica e occupazionale.

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La principale fonte dei fatti riportati, ove non altrimenti specificato, è costituita dalla ricerca di Middleton, Loftman e Schaechter (1998). 2 Le indicazioni progettuali più interessanti che ne derivarono furono le seguenti: – l’Inner Ring Road, considerato ai tempi un’opera all’avanguardia dell’ingegneria stradale degli anni Sessanta, deve perdere il ruolo di circonvallazione principale in favore dell’anello intermedio più esterno, il Middle Ring Road. Ciò consentirebbe, sull’esempio di un’operazione precedentemente condotta al Paradise Circus, di rimuovere o abbassare la sede stradale e gli svincoli multipiano, dando priorità agli attraversamenti pedonali a raso o su ponti e trasformando l’ex circonvallazione in un boulevard alberato, la nuova Queensway; – Broad Street, una delle principali radiali di penetrazione da ovest, dovrebbe essere posta in maggiore relazione con le limitrofe aree di trasformazione (il polo congressuale e sportivo, Brindleyplace e Arena Central) e venire declassata, così da permetterne il restringimento della sezione carrabile in favore delle superfici pedonali e di parcheggio; – Dovrebbe essere creata un’isola pedonale nelle strade centrali avente i suoi fulcri nei tre principali spazi aperti pubblici: Victoria Square, New Street e Cannon Street; – Il trasporto pubblico su ferro dovrebbe essere potenziato anche attraverso l’introduzione di nuove reti tranviarie; – Dovrebbe essere incentivato uno sviluppo equilibrato delle occasioni immobiliari cittadine, puntando però preliminarmente al mercato degli uffici; – A livello architettonico e di disegno urbano la City Centre Design Strategy enfatizza il rapporto tra edificio e strada, la leggibilità della topografia, dei caratteri urbani e dell’identità dei quartieri, la libertà di circolazione pedonale, il controllo progettuale e la salvaguardia di visuali e landmark, l’utilizzo della vegetazione, di giochi d’acqua e monumenti negli spazi pubblici. 3 L’Urban Design Framework (o anche Urban Design Strategy), nel sistema di pianificazione inglese, è un documento di programmazione strategica a scala cittadina, un piano bi o tridimensionale della città avente il compito di correlare le varie politiche spaziali e di gestione del territorio espresse nel Development Plan e di coordinare i vari interventi possibili e previsti sul corpo della città in base agli obiettivi prestabiliti. Già a questo livello di piano possono essere inoltre fornite linee guida di tipo architettonico e di urban design. Il cardine del sistema di controllo della forma fisica del piano è costituito però dalle Supplementary Planning Guidance (SPG), documenti piuttosto variegati per oggetto e scala di trattazione che costituiscono fondamentali punti di riferimento nel processo di contrattazione tra pubblico e privato, sebbene la

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loro redazione non sia in realtà obbligatoria per legge, ma solo vivamente consigliata. 4 È il caso ad esempio del Jewellery Quarter Urban Village Framework Plan del 1998 o del Convention Centre Quarter Plan del 1993. 5 Tra queste pubblicazioni, reperibili al sito internet del comune in formato pdf, risultano di particolare interesse soprattutto le linee guida per i grattacieli High Places del 2003 o il recente City Centre Canal Corridor Development Framework del 2004. 6 Le Planning Policy Guidance notes (PPGs), recentemente diventate Planning Policy Statement (PPS), sono documenti ufficiali attraverso cui la Segreteria di Stato fornisce agli enti locali (Regioni, Contee e Municipalità) le direttive per la legislazione locale. Ciascuna PPG (e PPS) si focalizza intorno a un tema specifico: la PPG3 del 2000, a cui venne affiancata una sorta di manuale attuativo, By Design, riguardava la progettazione urbana della residenza (Detr, 2000 e Detr e Cabe, 2000). 7 I Business Improvement District, di origine statunitense, sono stati recentemente importati anche in Inghilterra, e sono attualmente in fase sperimentale. Si tratta di programmi di riqualificazione di distretti commerciali urbani promossi e finanziati interamente da privati. Tramite un referendum indetto nell’area interessata dal progetto si valuta la percentuale di consenso al programma e si procede, in caso di responso positivo, alla autotassazione dei potenziali beneficiari. In genere gli interventi così finanziati consistono nella riqualificazione fisica degli spazi (restauro, pulizia, addobbi, arredo urbano, ecc.), nella promozione tramite politiche di marketing (sondaggi, ricerche di mercato, pubblicità, eventi, ecc.) e nel potenziamento di alcuni servizi per il controllo e la sicurezza dell’area. Per maggiori dettagli e casi studio si rimanda al sito Web www.ukbids.org, 2005. 8 L’International Conference Centre, progettato da Percy Thomas Partnership e RHWL, ha una capienza di 10.000 posti e ospita un largo numero di sale riunioni minori: vi sono in totale undici sale con capacità che variano da 1.210 a 3.000 posti. La Symphony Hall ha una capienza di 2.200 posti e ospita la City of Birmingham Simphony Orchestra (CBSO). La National Indoor Arena invece, progettata da HOK e Percy Thomas Partnership, ha una capienza di 12.000 posti. 9 Il Learning Quarter e il Technology Park saranno promossi e parzialmente finanziati dall’Agenzia di Sviluppo Regionale Advantage West Midlands, che sta attualmente contrattando l’acquisizione delle aree necessarie. Secondo le previsioni il Technology Park dovrebbe creare 2.000 posti di lavoro, mentre il Learning Quarter, oltre a 6.500 posti di lavoro, dovrebbe generare un’utenza legata alla formazione di 23.000 unità (www.englandsrdas.com/economicdevelopment andregeneration.aspx, 2005). 10 L’edifico denominato Mailbox, un ampio complesso edilizio delle poste in disuso, venne acquistato nel 1998 da Alan Chatam (presidente dell’Eastside Partnership Steering Group), con altri edifici prospicienti il canale, per un costo di quattro milioni di sterline. Una volta riconvertito, dal complesso sono stati ricavati due alberghi, uffici (tra cui i locali studi televisivi della BBC), appartamenti e negozi: l’opera possiede attualmente un valore di mercato stimato di 125 milioni di sterline (Bryson, 2003: 207). 11 Le prime previsioni sul futuro assetto dell’Eastside risalgono già al 1997, ma vennero formalizzate in un primo piano decennale solo nel 1999 e infine trasformati in indicazioni urbanistiche dallo studio HOK International con un Masterplan presentato nel febbraio 2002. L’ultimo documento disponibile è costituito dalla proposta di Supplementary Planning Guidance risalente all’aprile 2003: a parte qualche leggera modifica (si nota un incremento della densità previste per alcune aree e viene inserita la biblioteca progettata da Richard Rogers Partnership) l’impianto del 2002 rimane confermato. 12 La strada, una volta riqualificata e resa maggiormente permeabile agli attraversamenti nordsud, sarà trasformata in un boulevard alberato e ospiterà una nuova linea tranviaria.

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La Millenium Commission è un organismo nazionale nato per le celebrazioni del nuovo millennio e finanziato con i proventi della lotteria (Bryson, 2003: 207). 14 Queste le attività ospitate dall’edificio: la nuova sede del Museo delle Scienze (Thinktank), il Technology Innovation Centre (un centro di aggiornamento professionale su nuove tecnologie e discipline informatiche dell’University of Central England), l’University of the First Age (una sorta di introduzione ludica all’apprendimento scientifico per bambini e ragazzi) un cinema Imax e The Hub (un centro per il tempo libero con negozi, uffici ed esercizi pubblici). 15 È il caso per esempio della vecchia stazione di Curzon Street, un edificio vincolato nel quale si è trasferito il Royal College of Organists, portando nell’area un’ulteriore presenza di rilievo sotto il profilo culturale. Anche il Conservatorio verrà trasferito nel nuovo Learning Quarter dall’attuale sede presso la vecchia biblioteca. Un altro esempio molto significativo di recupero, sebbene esterno all’area del masterplan ma in completa sintonia con esso, è quello della Custard Factory, un vecchio complesso industriale recuperato ad atelier, studi, botteghe artigiane, locali pubblici e commercio. 16 La città di Birmingham è costituita da quaranta quartieri, raggruppati dall’aprile 2004 in undici distretti. 17 Si tratta in genere di finanziamenti comunali, comunitari e soprattutto nazionali (New Deal for Communities, Estate Renewal Challenge Fund, Single Regeneration Budget, Housing Action Trust). In passato Birmingham ha fruito anche di altri programmi speciali come il City Challenge per i quartieri di Newton e South Aston e di una delle prime Urban Development Corporation (Birmingham Heartlands Development Corporation: BHDC), fondata nel 1992 con capitali pubblici e privati per la riqualificazione di un vasto settore ad est della città. 18 Il programma comunitario di ricerca Urban Redevelopment and Social Polarisation in the City (Urspic) è stato coordinato dall’università di Lille analizzando i fenomeni di polarizzazione sociale in tredici esempi europei di rigenerazione urbana, condotti in dodici nazioni (due casi studio sono inglesi): i dati, reperibili dal sito universitario (www.ifresi.univ-lille1.fr, 2005) sono stati presentati nel 1998 e, più recentemente, hanno condotto a una pubblicazione di alcuni dei risultati più significativi (Moulaert, Rodriguez e Swyngedouw, 2003). 19 I conti in perdita dell’ICC e della NIA sono in realtà controbilanciati da quelli fortemente in attivo del National Exhibition Centre. 20 Mentre lo studio citato dall’Urspic conta che si sarebbero potuti generare, direttamente e indirettamente, circa 4.800 posti di lavoro anziché i 346 direttamente impiegati, al 1991, dall’ICC e dal NIA, uno studio commissionato dal comune nel 1993 portò a calcolare che queste due opere avevano creato e indotto nella città e nella regione circa 4.600 nuovi impieghi (Middleton, Loftman e Schaechter, 1998). Più recentemente invece il comune di Birmingham stima che l’apertura del nuovo centro commerciale Bullring abbia generato più di 8.000 nuovi posti di lavoro («About the Bullring» in www.birmingham.gov.uk, 2005) mentre gli interventi in corso d’opera e di programmazione dovrebbero portare entro il 2015 circa 45.000 nuovi posti di lavoro (Birmingham City Council, 2005: 46-48). 21 Secondo i dati disponibili per il 2003 (Birmingham City Council, 2005: 64) il tasso di disoccupazione di Birmingham è del 9,8%, notevolmente superiore a quello regionale (5,7%) e più del doppio di quello nazionale (4,6%). La popolazione dei disoccupati è costituita in prevalenza da cinquantenni e da minoranze etniche. Il 38,6% della popolazione attiva non possiede alcun tipo di qualifica professionale. 22 La principale fonte di fatti e dati riportati, ove non altrimenti specificato, è costituita dal testo curato da Latham e Swenarton (1999). 23 Le Outline Planning Permission sono delle concessioni edilizie generiche emanate in man-

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canza di un masterplan o di un analogo documento sufficientemente dettagliato, che garantiscono l’approvazione di alcune linee progettuali generali lasciando a una seconda fase di verifica, attraverso le cosiddette Reserved Matters, le specificazioni formali e funzionali. La stipula non concerne direttamente il costruttore, bensì si riferisce al luogo e all’idea progettuale: questo permette ad altri promotori eventualmente subentrati al primo di potere operare sulla base della medesima Outline Planning Permission, rendendo questa particolare soluzione indicata soprattutto per i piani più complessi di rigenerazione urbana. 24 Le linee guida prescrivevano principalmente materiali (il mattone a vista), l’altezza degli edifici, l’attacco al suolo e il rapporto con la strada. L’aspetto d’insieme e il rapporto stilistico tra gli edifici, affidati a studi di progettazione diversi, venne verificato attraverso un plastico molto dettagliato. 25 Le azioni previste dal BID di Broad Street sono maggiormente rivolte alla pulizia e manutenzione della strada, al controllo, soprattutto serale, dell’area, alla promozione di eventi, alla programmazione di ricerche di mercato e alla creazione di un organo gestionale centralizzato (www.broadstreetbid.com, 2005). 26 Le tredici osservazioni sono le seguenti (Madelin, 1999b): – Le grandi opere di rigenerazione non funzionano ovunque: l’operazione non sarebbe stata realizzabile in un sito diversamente posizionato e senza gli investimenti pubblici iniziali; – I progetti di una certa entità richiedono vaste superfici: senza l’utilizzo del CPO (Compulsory Purchase Order) da parte del comune sarebbe stato molto più complesso assemblare un’area di queste dimensioni. Inoltre è necessario elaborare una strategia che coinvolga cittadini e gruppi di pressione nel progetto, evitando, come sovente accade, che agiscano piuttosto contro di esso; – Un progetto deve essere sensibile: quando un sito è sottoposto ad asta di acquisto il criterio di selezione non dovrebbe essere l’offerta più lucrosa, bensì una considerazione di che cosa è più utile per l’area e chi e come possa assicurare i migliori risultati; – I ritardi devono essere minimi: senza una veloce approvazione del masterplan l’immobiliare avrebbe rischiato di fallire; – Il mercato non può essere ignorato: gli edifici ad uso misto, in Inghilterra, incontrano ancora difficoltà nel trovare finanziatori, sebbene ultimamente ci siano segnali più incoraggianti in proposito; – Il progetto architettonico deve essere coordinato; – Il progetto degli spazi aperti è prioritario rispetto agli edifici: è importante che il masterplan definisca in fase preliminare l’aspetto e il funzionamento degli spazi aperti, tenendo conto anche delle visuali a breve e lunga distanza; – Bisogna essere prudenti nell’anticipare gli interventi residenziali: i residenti di Brindleyplace hanno fatto slittare di un anno la consegna dei lavori, causando la perdita di almeno un milione di sterline; – Bisogna essere realistici rispetto al mercato della residenza: in questo caso le richieste della domanda di riferimento (sicurezza, privacy e parcheggio) e la percezione di insicurezza data dall’area non hanno consentito l’auspicata integrazione del complesso residenziale con il resto dell’intervento; – Bisogna investire maggiormente nella fase di pianificazione: spesso il servizio degli uffici tecnici, oberati di lavoro, non è stato all’altezza delle ingenti somme pagate dall’imprenditore per le licenze e i costi di costruzione; – Bisogna permettere licenze edilizie flessibili: a volte senza la sicurezza fornita da una certa flessibilità delle destinazioni d’uso è impossibile fare investimenti; – Non c’è nulla di sbagliato nei grattacieli: in Inghilterra, contrariamente a quanto avviene negli Usa, vi è una forte resistenza nell’aumentare le altezze dell’edificazione nelle aree

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a bassa densità; Le persone devono potere andare al lavoro: senza adeguate alternative di spostamento l’accessibilità automobilistica è un requisito decisivo per la vendita di uffici.

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Le azioni svolte sono di cinque tipi: formazione; orientamento e inserimento lavorativo; promozione di nuove imprese; sviluppo commerciale; lavoro indipendente. 28 Dal 1997 gruppi di disoccupati non qualificati hanno partecipato a due programmi promossi da Inguralde: opere di restauro delle abitazioni (364 ore); riparazioni domestiche e manutenzione (250 ore). Altri corsi di minore durata includevano: gestione dei rifiuti urbani; istallazione di antenne TV; pulizia industriale. 29 Dati tratti dal sito Web www.bilbao-city.net, 2005. 30 Bilbao è indicato come centro finanziario ed economico, Donostian-San Sebastian come polo culturale e turistico e infine Vitoria-Gasteiz come capitale politico-amministrativa. In futuro, secondo i progetti regionali, le tre città saranno connesse dall’alta velocità ferroviaria, attraverso un sistema infrastrutturale configurato a “Y”. 31 I dati sono tratti dal sito Web: www.euskadi.net/r49-565/es/contenidos/informacion/ruinas_industriales/es_1159/ruinas_c.html, 2005. 32 I livelli amministrativi baschi sono quello regionale, quello provinciale e quello comunale. La costituzione spagnola del 1978 ha dato alla regione una forte autonomia, soprattutto di carattere fiscale: ogni cinque anni vengono rinegoziati con il governo centrale nazionale le quote di partecipazione finanziaria ai bilanci statali (Van der Berg, Braun e Van der Meer, 1997: 52-53). Durante il regime franchista era stato costituito un livello di pianificazione metropolitano, nel 1964, ma la sua inefficacia nel governo del territorio e i metodi autoritari con i quali normalmente agiva ne hanno portato l’abolizione all’indomani della scomparsa del dittatore. 33 Zaha Hadid vinse nel settembre 2003 il concorso per il masterplan dell’area di Zorrozaurre. Le funzioni insediate, con uno stile piuttosto estraneo al contesto, sono miste: residenza, luoghi di lavoro, incubatori, strutture per il tempo libero e spazi pubblici. La realizzazione avverrà in collaborazione con gli architetti spagnoli Iñaki Peña e Antón Agirregoitia, tra i cui progetti figurano la riprogettazione del Piano di Txurdinaga e tre settori del Parco Tecnologico di Zamudio. 34 Il centro commerciale, progettato dall’americano Robert Stern e finanziato dalla multinazionale ING Real Estate e dalla portoghese Sonae Sierra, è stato inaugurato il 26 novembre del 2004: ha una superficie complessiva di 25.000 mq ed è comprensivo di un multiplex a otto sale. 35 Il complesso, che comprende due torri ad uso misto alte 82 metri (23 piani), verrà completato tra il 2006 e il 2007 su un area precedentemente adibita a deposito, di proprietà del consolato francese. Di questo conserverà tre delle facciate esistenti. I progetti precedenti, presentati da due colossi finanziari della Nazione (Banco Bilbao Vizcaya Argentaria S.A e La Caixa) furono osteggiati dai residenti e respinti per l’eccessiva altezza (150 metri); anche l’altezza proposta nella prima versione del progetto di Isozaki – pari a 26 piani – venne ridotta a causa delle pressioni da parte degli abitanti della zona. 36 Le attività ospitate nel centro sono le seguenti: ufficio informazioni; centro di avviamento professionale; centro di supporto all’impiego; centro di addestramento alle attività di riqualificazione urbana; centro di formazione informatica; centro di incubazione per nuove imprese; una stazione di polizia. 37 Gli interventi previsti da Izartu sono i seguenti: l’ampliamento del ponte di Cantalojas; l’urbanizzazione del molo della Merced; programmi mirati di ristrutturazione edilizia, di recupero di facciate e di ristrutturazione dei locali commerciali; la riqualificazione delle pareti urbane cieche; la ristrutturazione straordinaria di edifici con particolari problemi (tra cui la chiesa Corazón de María); la creazione di infrastrutture culturali e per il tempo libero; l’integrazione

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di immigrati e rifugiati; la formazione integrata per l’inserimento di persone emarginate; l’attenzione ai minori e alle famiglie a rischio di esclusione; e, infine, un programma per le pari opportunità delle donne. 38 Altri luoghi pubblici sottoposti a riqualificazione e parziale pedonalizzazione sono le strade e piazze che ospitano le uscite delle stazioni della metropolitana (Piazza Bide Onera; Piazza Santa Teresa; Calle Alkano) e Piazza Gomez, presso la quale è stato costruito il centro sociale finanziato dal programma Urban. La rete degli spazi pubblici pedonali è inoltre arricchita da un altro lungo percorso, il Paseo Ibarruri, nonché dal parco lineare di progetto lungo il fiume Galindo. 39 Il progetto del centro sportivo, finito di realizzare nel 2004, è degli architetti Jorge Muntañola e Alberto Pérez de Amézaga: le piscine possono essere utilizzate da 250 persone contemporaneamente mentre il palazzetto ha una capienza di 3.100 posti. Lo stadio, consegnato nel 2003 su progetto di Eduardo Arroyo, ha una capienza di 7.960 posti. 40 L’incubatore, costituito da due edifici integrati recuperati su progetto di José Luis Burgos (Bilbao Rìa 2000, 2002), è formato da 51 moduli di dimensioni variabili tra 20, 50, 150 mq, più un laboratorio su due livelli di 150 mq. Inoltre, come in un Business Park in miniatura, vengono forniti servizi centralizzati: amministrazione, reception, sorveglianza, sale riunioni e laboratori, servizio di pulizie, fax e fotocopiatrici, sala conferenze, parcheggio. 41 L’edificio è stato costruito nel 1999 e rispetto ad altri Elkartegi con funzioni analoghe questo presenta alcuni elementi in più: un auditorium, una sala espositiva e locali per imprenditori. L’accesso ai moduli, rivolta a precise categorie di attività (servizi e attività innovative) avviene tramite affitto triennale ed è rivolto soprattutto ad aziende che impiegano giovani disoccupati, che siano coinvolti in particolari programmi promossi dalla regione, cha siano attività socialmente utili o non profit, oppure, infine, ad aziende dalle solide prospettive di sviluppo. Strutture di promozione aziendale e occupazionale analoghe sono state create anche in altri comuni della riva sinistra come Alonsotegi, Basauri, Mungia, Larrabetzu e Trapaga; l’offerta di strutture per l’insediamento di industrie e aziende si completa con i business park di Zamudio e i BIC di Portugalete e Sondika, Abanto y Ciérvana. 42 Dati tratti dal sito Web: www.bizkaia.net/Lan_Trebakuntza/historiko_egitura/in_elkar_ alquiler.htm, 2005. 43 Un rapporto del 1999 redatto dalla KPMG Peat Marwick ha calcolato che il museo nei primi due anni di attività abbia generato un indotto complessivo nella Regione Basca pari a più di 150 milioni di euro e di poco meno di 4.000 posti di lavoro (Rodriguez e Martínez, 2003: 201). Il rapporto dell’Associazione Bilbao Metropoli–30 per il 2003 stima per quest’anno valori ancora più alti (Bilbao Metropoli–30, 2004: 14). 44 Inizialmente la torre avrebbe dovuto ospitare gli uffici dell’ente provinciale della Biscaglia. Un successivo ripensamento lasciò tuttavia incerta la destinazione funzionale del futuro edificio finché non si è trovato, recentemente, un nuovo committente: Iberdrola, l’ente basco per l’energia elettrica (Bilbao Ría 2000, 2005: 12-13).

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Capitolo 3 Aspetti spaziali delle strategie urbane in chiave competitiva

3.1 analogie e particolarità dei metodi di intervento I due casi studio di Birmingham e Bilbao costituiscono, assieme ai progetti integrati di riqualificazione dei centri urbani, dei riferimenti molto utili per tracciare, con l’ausilio di altri esempi internazionali, alcuni prime linee di ricerca sull’apporto strategico del disegno urbano nel conseguimento di nuovi vantaggi competitivi. In tutti gli esempi infatti gli enti che hanno ideato e condotto le azioni di trasformazione urbana hanno agito su due livelli: uno fatto di politiche di piano e gestionali, in ordine a obiettivi sociali ed economici; l’altro composto di interventi diretti sul corpo fisico della città, del quartiere o dell’area metropolitana. Il successo delle operazioni, sebbene ancora da verificare completamente, dipende in molti casi dalla coniugazione dei due livelli. D’altra parte mentre i vantaggi strategici conseguiti attraverso le trasformazioni o i miglioramenti territoriali sono fissati nello spazio e selettivi, per la funzione loro assegnata, rispetto al bacino e al segmento di utenza a cui si riferiscono, le politiche di tipo socioeconomico, a cui spetta di rendere le trasformazioni conseguite sostenibili e durature, dovrebbero anche contribuire, sin dalle prime fasi di realizzazione dei progetti, a una redistribuzione immediata dei vantaggi perseguiti e delle nuove risorse così concentrate. Da una parte si creano dunque strutture territoriali e gestionali – come i parchi tecnologici e gli incubatori di impresa – miranti alla creazione e allo sviluppo di nuovi settori economici e milieu locali; dall’altra si intraprendono politiche miranti alla qualificazione, all’aggiornamento e al reinserimento dei lavoratori provenienti dal vecchio regime industriale. Così ai nuovi luoghi per la produzione e il consumo si accompagna generalmente la creazione – come nel caso di Bilbao (Surbisa) e Barakaldo (Inguralde) – di strutture 149


specifiche, a scala cittadina o di quartiere – che possono essere interpretate architettonicamente come altrettanti fulcri urbani –, finalizzate all’avviamento al lavoro o all’aggiornamento professionale di quella vasta parte della popolazione che rimarrebbe altrimenti tagliata fuori dal nuovo ciclo economico appena avviato. La possibilità di individuare alcune linee strategiche comuni ai vari progetti internazionali deriva così dalla condivisione di obiettivi specifici pressoché identici: creare o rafforzare l’economia legata al turismo urbano, sviluppare le strutture necessarie a impiantare ed espandere cluster industriali innovativi, rafforzare l’economia del commercio e del tempo libero e innalzare la qualità complessiva dell’ambiente urbano. Si tratta di obiettivi comuni a quasi tutte le città in transizione da un economia di tipo fordista a una post-fordista e riassumibili in quattro gruppi principali (McNeil e While, 2001): economie di agglomerazione, economie dell’informazione, tecnopoli, economie del leisure urbano. I progetti di rivitalizzazione urbana presentano di conseguenza alcuni aspetti critici ricorrenti: – formazione di personale qualificato; – diversificazione della base economica; – trasporti e collegamenti internazionali; – miglioramenti della qualità ambientale (in rapporto anche alla immagine); – centralità sociale e culturale (edifici-simbolo e centro storico). La relazione dialettica tra locale e globale si concretizza nella maggior parte delle aree urbane e metropolitane nel rapporto tra la forte somiglianza che connota le politiche economiche e occupazionali dei vari contesti internazionali – e i relativi problemi strutturali e sociali – e la specifica identità storica, culturale e formale dei luoghi che dovrebbero costituire i nuovi motori dell’atteso sviluppo. La riuscita della sintesi fra i due aspetti dipende in modo determinante anche dal controllo degli elementi formali del progetto. Sulle questioni progettuali in chiave competitiva agiscono tre principali campi di forze ben riconoscibili: – le esigenze quantitative e funzionali imposte dal mercato immobiliare; – il tentativo di generare economie di scala attraverso la concentrazione e la reciproca relazione spaziale tra gli elementi che costituiscono la nuova offerta urbana; 150


– il passaggio da un’economia basata sulla produzione ed esportazione di beni e servizi a un’economia diversificata, basata anche, e talvolta soprattutto, sul consumo. Nel nuovo contesto dell’economia globale le città si comportano in maniera molto simile, seppure a una scala mondiale, a un lotto potenzialmente edificabile all’interno del mercato fondiario urbano. A meno che esse non godano di particolari vantaggi derivanti dalla posizione sul territorio o dalla presenza di infrastrutture economiche consolidate e aggiornate nel tempo, come nel caso delle «città globali» descritte da Saskia Sassen (1997: 33-38), il loro «riposizionamento» nel mercato dipende in maniera fondamentale dal controllo della qualità dell’offerta e del livello di accessibilità. La qualità dell’offerta, declinata nelle sue diverse proprietà gestionali, dimensionali e formali, è infatti stabilita in funzione dei caratteri della domanda che si prende a riferimento. Se quella esistente è definibile attraverso l’analisi della popolazione che gravita a vario titolo sul centro urbano (cittadini, pendolari, city user, turisti nazionali e internazionali), quella potenziale dipende in larga misura a sua volta dalla facilità, dai tempi e dai costi di accesso. Appare dunque evidente che qualsiasi visione strategica non può prendere in considerazione i due aspetti separatamente. Non solo perché l’investimento nella qualità intrinseca di un’offerta territoriale poco accessibile è altrettanto controproducente quanto l’investimento nel potenziamento dell’accessibilità di un’area scarsamente attrattiva1, ma anche perché la configurazione fisica e l’architettura dei luoghi di progetto sono determinati sempre di più, in una logica di marketing, dalle caratteristiche qualitative e quantitative del segmento di mercato che si intende intercettare. Quest’ultimo aspetto è particolarmente evidente nei casi studio delle due città analizzate. Il progetto di Frank Gehry per Bilbao venne infatti selezionato dalla giuria del concorso a inviti (a cui parteciparono anche Coop Himmelblau e Arata Isozaki) anche perché possedeva più degli altri candidati le stesse qualità iconiche del prototipo wrightiano ricercate dalla committenza: il contenitore non avrebbe dovuto essere meno attraente del contenuto (Van Bruggen, 1997: 21). Questo requisito infatti risponde alla recente logica di franchising mondiale intrapresa della Fondazione Guggenheim, i cui contenitori architettonici devono presentare caratteristiche di appeal consone al gusto dei potenziali fruitori. 151


Analogamente il nuovo centro commerciale della catena Selfridges presso il Bull Ring di Birmingham, opera del gruppo di progettazione inglese Future Systems, è in linea con la recente strategia di marketing intrapresa dall’azienda. Una politica che ha risollevato la condizione finanziaria del gruppo e incrementato la quota dei propri clienti attraverso una particolare attenzione al design nella progettazione dei mercati, coinvolgendo importanti nomi dell’architettura mondiale, tra cui anche Toio Ito (Nicotra, 2004). Il centro commerciale Bull Ring, servito da una buona rete di autostrade, tre stazioni ferroviarie e 129 linee di autobus, è stato visitato nel primo anno di apertura da più di trentasei milioni di persone2. Emblematicamente i landmark a più alto impatto mediatico, simbolo delle rispettive strategie di rigenerazione urbana, sono due edifici privati finalizzati al consumo: di cultura nel primo caso e di «shopping goods» nel secondo. Così se sotto l’aspetto funzionale le due costruzioni sono in gran parte differenti, dal punto di vista dell’uso strategico dell’architettura, anche in rapporto al disegno urbano, si possono considerare in realtà assolutamente identici. Come già accennato, la nuova sfida del progetto urbano è quella di riuscire a conciliare esigenze e dinamiche di mercato operanti a due diverse scale, poste agli antipodi: quella regionale-globale e quella locale. La prima condiziona radicalmente la strategia di posizionamento della città e costituisce la cornice in cui si inquadra ogni intervento di trasformazione o riqualificazione dell’ambiente fisico. Dal punto di vista dell’assetto territoriale questo livello di riferimento privilegia lo sviluppo di economie di scala derivanti dall’agglomerazione dei luoghi di produzione o di consumo appartenenti a una stessa filiera o a settori omogenei, i cosiddetti cluster urbani (Caroli, 2004). Talora questi raggruppamenti vengono sviluppati ex novo ai margini o all’esterno dell’area urbana, in particolari tipologie immobiliari, come i Business Park o i parchi tecnologici e scientifici, che al vantaggio della prossimità tra aziende potenzialmente interattive in aree più convenienti sotto il profilo fondiario aggiungono la riduzione dei costi di gestione di uffici e laboratori attraverso la conduzione centralizzata di servizi comuni. In altri casi i cluster si sviluppano nell’ambito della città generando comparti urbani a forte specializzazione, come ad esempio i distretti finanziari o i 152


festival marketplace3. Dal punto di vista della configurazione urbanistica i cluster urbani possono essere di tre tipi: «monoterritoriali» (condensati cioè unicamente in una sola zona); «di presenza diffusa»; «multipolare», vale a dire concentrati in più di un settore urbano. La caratteristica fondamentale dei cluster, che li distingue da una semplice prossimità spaziale di attività simili, è il grado di interazione degli elementi che lo compongono, rispetto al quale risultano essenziali anche la presenza di luoghi di relazione informali dove si possono creare e rinsaldare scambi di conoscenza e collaborazioni (il «social capital»). Queste relazioni portano inoltre alla concentrazione delle risorse umane necessarie allo sviluppo del cluster e alla costituzione di un «apprendimento collettivo» (collective learning), vale dire di un processo di creazione e diffusione delle conoscenze fortemente condizionato dall’ambiente che lo ospita (Caroli, 2004: 8). Sono così distinguibili due ordini di cluster: quelli «vocazionali» e quelli «innovativi» (Pirolo e Presutti, 2004). I primi includono i cluster derivati da una particolare propensione del territorio e connessi alle specificità ambientali, storiche, culturali e sociali (per esempio cluster artigianali, logistici, turistici). I secondi nascono «artificialmente», per iniziativa generalmente di enti pubblici, all’interno di programmi di rigenerazione urbana miranti a (ri)creare le condizioni strutturali necessarie al consolidamento di nuove attività economiche (per esempio cluster incentrati su attività hi-tech, cluster finanziari, cluster «di eventi», oppure legati alla cultura). La strategia di posizionamento della città dovrà tenere conto in tutti i casi, ma in modo particolare in quello dei cluster innovativi, della conciliazione delle richieste del mercato internazionale con le possibilità strutturali del territorio in cui le nuove attività si insediano o dovranno insediarsi. Matteo Caroli (2004: 306) individua tre obiettivi principali delle politiche miranti al consolidamento di cluster urbani competitivi: lo sviluppo di risorse tangibili e intangibili distintive e funzionali alle attività del/dei cluster; la cura dell’immagine percepita internamente ed esternamente alla città circa la coerenza tra «vocazione» della città e i tipi di cluster ospitati; lo sviluppo e la difesa dei fattori di qualità della vita nell’area urbana. Uno degli strumenti più diffusi per la formazione di cluster innovativi è la tipologia dell’incubatore di impresa, una struttura avente lo scopo di sviluppare nuove aziende assistendole adeguatamente nei primi anni critici 153


della loro formazione con servizi e costi contenuti (Cses, 2002). Si tratta in effetti, nella maggioranza dei casi, di microcluster concentrati in un solo edificio o complesso edilizio, in cui le start up sono alloggiate in spazi economici, completamente attrezzati, modulari e flessibili, adattabili alle esigenze quantitative o qualitative degli ospiti. Una organizzazione centrale (in genere enti pubblici od organismi a carattere misto) amministra l’intera struttura, i cui costi gestionali, grazie soprattutto alla conduzione collettiva di alcuni spazi comuni e dei servizi di manutenzione, sono al di sotto di quelli di mercato. Le imprese incubate, in genere opportunamente selezionate sulla base del settore di appartenenza o in considerazione della rilevanza sociale e delle probabili ricadute occupazionali, sono seguite costantemente lungo l’intero periodo di permanenza (solitamente non superiore ai tre anni). Oltre a ricevere alcuni servizi di consulenza aziendale sono generalmente inserite nei circuiti e nelle reti di scambio con altre aziende potenzialmente intenzionate a diventare clienti, fornitori o a cooperare su progetti comuni. La contiguità spaziale e la condivisione di spazi comuni porta molto spesso alla nascita di collaborazioni e interazioni in seno allo stesso incubatore, secondo dinamiche tipiche del cluster. L’incubatore, nel caso di cluster innovativi, dovrebbe pertanto costituire l’embrione e l’innesco per la formazione di un nuovo raggruppamento produttivo. La seconda scala di riferimento del progetto urbano è quella finanziaria– immobiliare. Sebbene anche questo settore sia sempre più orientato verso una crescente internazionalizzazione dei mercati (ULI e PricewaterhouseCoopers LLP, 2004: 6-8) gli attori principali del processo di attuazione delle linee strategiche rispondono a una logica relativamente locale. Alcune ricerche condotte in Inghilterra, patrocinate soprattutto dalla Cabe (Cabe, Odpm e Design for Homes, 2003; Cabe, 2003), hanno analizzato il ruolo degli operatori immobiliari nel processo di trasformazione urbana e il modo in cui le logiche del mercato possano influire sulla qualità del design architettonico e urbanistico. Le analisi sono state condotte attraverso la selezione di casi studio che, a parità di caratteristiche funzionali e quantitative, presentano due diversi gradi di qualità4; una volta definiti, i diversi interventi sono stati sottoposti alla valutazione di agenti immobiliari ed esperti del settore. Complessivamente è risultato che, a parità di costi, nella maggioranza dei casi i progetti condotti con criteri progettuali improntati alla sostenibi154


lità riscontrano un valore di mercato tendenzialmente più elevato rispetto agli altri. Tali studi confermano dunque la possibilità di conciliare qualità urbana e profitto, a patto tuttavia che venga rispettato il delicato equilibrio tra costi e ricavi che regola le operazioni immobiliari: un imprenditore sarà più facilmente disposto a investire maggiormente su particolari aspetti del disegno architettonico e urbanistico e a rischiare tempi di vendita più lunghi rispetto alle garanzie fornite dai segmenti di domanda più tradizionali5 (per esempio, nel caso della residenza, la casa monofamiliare o l’espansione monofunzionale e suburbana) se il livello complessivo di rischio finanziario dell’operazione verrà mantenuto costante. A tale scopo dunque la pubblica amministrazione può ricorrere a incentivi di tipo finanziario (detrazioni fiscali e investimenti in opere infrastrutturali o di riqualificazione del contesto) o amministrativo (riduzione o certezza dei tempi necessari al rilascio della concessione). Dal punto di vista del disegno urbano, invece, la riduzione del rischio d’impresa si ottiene, negli esempi analizzati nei due casi studio appena visti, dall’equilibrio di due azioni: – aumentando il grado di flessibilità e di discrezionalità nella determinazione delle quantità funzionali e delle caratteristiche tipologiche; – determinando con certezza le caratteristiche funzionali e relazionali dei nodi-magneti, la struttura spaziale e gli indirizzi metaprogettuali comuni. È però interessante notare la differenza con cui queste istanze sono state affrontate in Brindleyplace e ad Abandoibarra. Mentre nel caso inglese la flessibilità era stata strutturalmente assunta all’interno del masterplan, che consentiva una certa libertà formale e funzionale nel rispetto di alcuni elementi preordinati, in quello basco la stessa esigenza ha condotto invece alla flessibilità del processo di definizione del Peri. Una scelta che ha portato in otto anni a rivedere completamente, sebbene conservandone alcuni aspetti chiave, le quantità e le destinazioni d’uso originariamente previste. La prassi del progetto urbano sembra così uniformarsi alle strategie economiche contemporanee che si basano in larga parte su questo nuovo modello gestionale improntato alla massima flessibilità. Tra i molti autori che si sono occupati del tema, Richard Sennett (1999: 46-56) ha descritto 155


questa nuova tendenza delineandone tre aspetti fondamentali: reinvenzione discontinua delle istituzioni; specializzazione flessibile della produzione; concentrazione senza centralizzazione. Il secondo di questi può in qualche misura essere preso a paradigma dei cambiamenti in atto nel corpo delle città soggette alle trasformazioni guidate da piani strategici. Tale principio (di cui l’autore cita il caso della piccola-media impresa veneta a modello) implica che, all’interno di una struttura produttiva a rete, la definizione di obiettivi improntanti alle richieste del mercato permettano di modificare rapidamente e in modo economico le funzioni dei nodi e le loro interrelazioni, così da risultare più efficienti e competitive: «l’ingrediente più caratteristico in questo processo produttivo è la disponibilità a lasciare che le mutevoli richieste del mondo esterno determino la struttura aziendale interna» (Sennett, 1999: 51). Questo criterio è riscontrabile nelle nuove strategie di trasformazione attuate da molte città secondo una logica di marketing esterno6. In alcuni casi, come ad esempio quello di Barcellona (Guzzo, 2004: 6), la tensione alla soddisfazione di una domanda prevalentemente esterna può portare addirittura a uno scollamento eccessivo dai problemi che riguardano la popolazione residente, con la conseguente perdita di consenso politico della base elettorale.

3.2 Il progetto reticolare e flessibile: alcuni principi progettuali Il progetto urbano concepito in funzione di politiche di marketing territoriale non può non muoversi su un doppio binario: da un lato deve fornire la flessibilità e le necessarie garanzie connesse alla realizzabilità da parte dei privati delle opere in programma; dall’altro deve assicurare all’area (o alle aree) di intervento una sufficiente concentrazione e integrazione delle funzioni utile a innescare le economie di scala necessarie alla rivitalizzazione del sistema produttivo locale. La strategia complessiva del disegno urbano si basa pertanto su di una logica reticolare del progetto: una realizzazione di interventi correlati ma sufficientemente indipendenti garantisce la maggiore flessibilità e il minore margine di incertezza per gli investimenti necessari alla formazione dei cluster di attività funzionali allo sviluppo e alla rigenerazione. Il disegno dei luoghi deve pertanto rispondere a criteri di densità e di 156


reciproca relazione tra le parti, mentre il particolare requisito di flessibilità ad esso richiesto è affidato al corretto bilanciamento tra i punti di controllo dell’impianto e il grado di discrezionalità accordato all’iniziativa privata nella costruzione del tessuto urbano di completamento. La densità è intesa, in questo senso, non tanto in termini di mera concentrazione quantitativa di attività (indici di edificabilità) bensì soprattutto come giusta varietà ed equilibrio dei modi d’uso ritenuti più opportuni – sulla base della strategia di posizionamento individuata – per la creazione o il recupero di nuove centralità urbane funzionali alla rigenerazione del contesto cittadino o metropolitano in cui sorgono. Il mix funzionale non si dovrebbe limitare a una mera ripartizione di percentuali di destinazioni d’uso: la composizione nello spazio delle diverse funzioni deve essere pensata in relazione ai flussi che queste sono in grado di generare tanto all’interno dei singoli manufatti architettonici quanto negli spazi pubblici che li legano. In alcuni casi, come per esempio nei Piani di Riqualificazione Urbana milanesi, la previsione di diverse funzioni – per quanto anche quantitativamente inferiori ad analoghi casi europei – si è risolta in un «microzoning» che ha concepito e ridotto il ruolo dello spazio pubblico a semplice verde di connettivo tra blocchi monofunzionali e reciprocamente impermeabili. La relazione tra le parti si fonda invece primariamente sulla struttura e la tassonomia degli spazi aperti, sulla mutua tensione tra i diversi modi d’uso e le funzioni presenti (in particolare, come si è visto, in relazione ai flussi generati), sulla capacità e la propensione al dialogo tra gli elementi architettonici e sul rapporto scalare tra le diverse componenti del progetto, così che anche la soluzioni spaziali più minute possano aggiungere valore al complesso dei luoghi e la dimensione locale possa saldarsi con quella cittadina e metropolitana. I punti di controllo del progetto flessibile possono essere costituiti da indicazioni di tipo metaprogettuale, in grado di fissare tempistiche, regole e obiettivi prestazionali comuni ai diversi interventi di cui si compone, oppure da elementi (piazze, edifici, parti di città) consolidati nelle loro fondamentali caratteristiche formali, funzionali, quantitative o relazionali. Sono componenti imprescindibili per il perseguimento dell’identità e degli obiettivi del progetto, senza i quali gli attori coinvolti – e in particolare gli investitori privati – non avrebbero alcuna garanzia circa la corrispondenza tra l’idea da 157


realizzare e il prodotto finito. Tali punti di controllo costituiscono un impalcato di spazi aperti, edifici, obiettivi e regole progettuali sul quale è successivamente possibile, da parte dell’iniziativa privata, stendere e dare forma a un tessuto edificato fortemente condizionato, a livello funzionale e quantitativo, dalla domanda di mercato. La creazione di un equilibrio tra certezza e possibilità di cambiamento è forse l’esercizio più difficile da un punto di vista tecnico. La relazione dialettica tra questi quattro criteri progettuali fondamentali, ricomposti nella particolare struttura reticolare di piano sopra descritta, contribuisce a definire una prima grammatica di principi strategici ricorrenti, spesso a loro volta interrelati o ibridati all’interno di una casistica estremamente ricca, di cui si prova a fornire di seguito una descrizione sintetica. La predisposizione del progetto a una realizzazione per fasi, ideato come un mosaico di elementi autonomi ma complementari per la creazione di un insieme omogeneo e coerente. Dal confronto con vari progetti di rigenerazione urbana intrapresi da alcune città tedesche, inglesi e belghe si evince l’estrema importanza di una concezione per fasi del processo realizzativo (phasing). Del resto la definizione stessa di «strategico» (Castells e Borja, 2002: 142-146) implica una forte dimensione temporale, inevitabile in un progetto che si differenzia dal «piano tradizionale» proprio in funzione del contestuale controllo degli elementi che ne consentono la realizzabilità. La segmentazione di un progetto in diverse sezioni sviluppabili in modo sequenziale assolve almeno a quattro compiti principali. In primo luogo consente di caratterizzare per luoghi aree di intervento in genere molto vaste, permettendo di affrontare il progetto attraverso sottoprogetti estremamente dettagliati e controllati nei loro aspetti formali e qualitativi. La preservazione e il rafforzamento – o la creazione ex novo – di identità locali è generalmente considerato dalle politiche di piano un fattore fondamentale per il successo dell’operazione. La ricerca di distinzione dell’offerta all’interno di un mercato regionale e internazionale sempre più vasto e dominato dalla domanda infatti assume un ruolo chiave nelle politiche di marketing urbano e di promozione immobiliare: è l’applicazione, diluita però a scala urbana o di quartiere, della stessa strategia alla base dei grandi 158


63. Predisposizione a una realizzazione per parti. Phasing temporale in funzione della fattibilità dell’intervento: Cambridge [Llewelyn-Davies, materiale di lavoro].

monumenti architettonici affidati a prestigiose firme internazionali7. In secondo luogo la scomposizione per parti contribuisce sensibilmente alla flessibilità realizzativa del progetto, senza comprometterne la fattibilità e accrescendo, al contrario, gli elementi di sicurezza. L’attuazione del piano attraverso porzioni distinte ma correlate permette infatti di adattare la realizzazione ai tempi e agli orientamenti del mercato e dei finanziamenti disponibili. In questo caso il phasing si appoggia su una solida struttura di spazi pubblici e capisaldi funzionali-territoriali erigendo di volta in volta gli immobili più consoni alle esigenze dei costruttori privati. La possibilità data alle immobiliari è pertanto duplice: a meno di particolari esigenze strategiche8 i privati possono scegliere quali lotti sviluppare per primi e, in molti casi, con quali funzioni, a meno che, anche in questo caso, esigenze strategiche non impongano una maggiore rigidità nel legame tra lotto e destinazione funzionale. Inoltre, come nel caso del Kop Van Zuid, alla concessione edilizia dei diversi lotti è possibile correlare delle relative opere pubbliche che vengono così messe a disposizione della cittadinanza gradualmente sin dalle prime fasi di costruzione9. In terzo luogo tale approccio permette agli enti promotori del progetto un'attenta verifica della realizzazione, con la possibilità, eventualmente, di correggere la propria strategia di disegno e di pianificazione urbana. Infine il phasing permette di rendere disponibili rapidamente le nuove 159


realizzazioni, le quali fungono da richiamo per gli interventi successivi, consentendone anche la realizzabilità secondo una logica sequenziale a cascata (come nel caso di Brindleyplace la vendita dell’immobile A premette la realizzazione dell’immobile B, la cui vendita consente a sua volta di finanziare le opere C e D, ecc.). Dal punto di vista progettuale, questo principio di disegno strategico si traduce nell’attenzione ai seguenti aspetti: – la gerarchia delle parti; – i gradi di priorità di realizzazione: parti irrinunciabili, parti importanti, parti facoltative; – la scansione temporale: breve termine, medio termine, lungo termine. La trama e la tassonomia degli spazi pubblici e le commistioni funzionali diventano i due fattori di controllo principali per l’elaborazione di una strategia temporale. La qualità dell’architettura e del disegno urbano e la cura posta alle destinazioni funzionali e dei connotati simbolici delle parti contribuisce alla creazione di luoghi dotati di identità complementari e interrelate. In particolare l’esempio di Hafencity ad Amburgo dimostra il ruolo fondamentale assunto da strade e piazze nel relazionare l’intervento al tessuto urbano della città storica e nel permettere la correlazione tra i nuovi quartieri

64. Predisposizione a una realizzazione per parti. Divisione strategica per priorità: Birmingham, Smethwick Regeneration Strategy [Llewelyn-Davies, 2001].

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62. Predisposizione a una realizzazione per parti. Phasing temporale dell’intervento: Amburgo, Hafencity [www.hafencity.com, 2005].

previsti. Il masterplan per l’area portuale del fiume Elba è stato concepito in accordo con consulenti immobiliari in modo da poter essere realizzato in sei fasi successive, connesse ad altrettante sub-aree di intervento, lungo un arco temporale di venticinque anni. Le quantità funzionali previste in ciascuna fase sono soggette a un’attenta programmazione mirante a produrre di volta in volta un’offerta compatibile con la domanda e dunque più facilmente assorbibile dal mercato. A questo scopo le sei sub-aree, a loro volta sviluppate per parti, sono concepite in maniera da essere relazionate direttamente con il centro cittadino e funzionalmente autosufficienti attraverso adeguate commistioni delle destinazioni d’uso (Hafencity, 2000: 73-79). Nel caso del concorso per la trasformazione dell’ex area industriale siderurgica di Belval Ovest, nel Lussemburgo, la possibilità di sviluppare il progetto per fasi si è rivelata addirittura un fattore determinante per la vittoria del masterplan presentato dal gruppo di Jo Coenen (Helweg-Nottrot, 2002). In questo caso, contrariamente alle prescrizioni del bando, il masterplan vincitore ha previsto di separare le varie aree funzionali richieste (Città della Scienza, piccole e medie imprese, terziario, commercio, residenza, per 161


65. Predisposizione a una realizzazione per parti. Divisione per parti omogenee del Masterplan: Lussemburgo, Belval Ovest [Helweg-Nottrot, 2002].

un totale di 5.000 residenti e 20.000 presenze giornaliere) in due espansioni distinte ma raccordate da un grande parco centrale con funzione di connettivo (Agora, 2002) 10. Il phasing può intervenire a qualificare la stessa concezione progettuale. Oltretutto permette di conseguire importanti risultati: razionalizza le risorse; garantisce la flessibilità necessaria per assecondare le richieste del mercato e per calibrare le fasi successive secondo le risposte ai primi interventi; abbassa i costi di realizzazione; e, infine, diffonde all’esterno l’immagine del progetto in modo controllato e funzionale alle politiche di promozione immobiliare e urbana. E ciò vale tanto più quando grandi eventi temporanei (capitale europea della cultura, giochi olimpici e altre ricorrenze particolari) pongono per un tempo limitato la città sotto i riflettori internazionali. La creazione di capisaldi/nodi urbani con ruoli funzionali, denotativi (landmark) o iconici. Esaminando i caratteri urbanistici dei casi studio affrontati nel precedenti capitoli e anche dei progetti di alcuni Development Brief inglesi risulta subi162


to evidente l’importanza strategica che assumono particolari nodi urbani nella struttura del progetto. Se questo è palese nel caso dei Pedestrian Mall, l’utilizzo quasi costante che ne viene fatto nei progetti di trasformazione urbana è la conferma del ruolo fondamentale che assolvono all’interno della gran parte degli interventi internazionali. Nel caso per esempio della City Centre Urban Design Strategy di Southampton (Edaw, 2001), il metaprogetto imbastito dalle linee guida intende rafforzare i legami tra il cuore della città e la nuova zona di espansione portuale attraverso dei capisaldi visuali di cui esprime l’intensità, secondo un criterio tassonomico, distinguendo i landmark dagli edifici «iconici» (iconic buildings). Un landmark, in questa prospettiva, acquista un carattere “iconico” quando presenta elementi in qualche modo unici all’interno del paesaggio urbano, che siano in grado, per sineddoche, di simbolizzare l’operazione di rigenerazione urbana e la città intera (cfr. Jencks, 2005). In questo caso si verifica molto spesso un utilizzo mediatico dell’immagine architettonica nelle campagne di marketing. Per esempio, sempre nel caso di Southampton, la peculiare forma delle tre grandi torri a forma di vela che, secondo quanto previsto nel masterplan di West Quay III (Terry Farrell & Partners, 2003), domineranno il panorama cittadino sono state prese a simbolo per il logo della Southampton Partnership, l’associazione pubblico-privata di attori locali che partecipa al processo di rigenerazione della città. In altri casi invece, come per il Millennium Point di Birmingham o in quello degli uffici governativi del Wilhelminahof nel Kop Van Zuid, nei nodi urbani prevale soprattutto l’aspetto funzionale. Il loro compito è cioè quello di concentrare in particolari luoghi della città una massa critica di attività sufficiente a renderli altamente e variamente frequentati (ri)creando avamposti e nuove centralità all’interno del tessuto urbano. In questo caso possono assumere una funzione catalizzatrice nei confronti dei possibili investimenti immobiliari e delle attività economiche che un contesto così riabilitato è in grado di richiamare. Dunque in sintesi si possono identificare tre modi d’uso dei nodi urbani in chiave strategica: – nodi urbani funzionali; – nodi urbani denotativi (landmark); – nodi urbani iconici. 163


66a. Nodi urbani iconici: Rotterdam, Erasmus Brug [www.archi-guide.com, 2004]. 66b. Nodi urbani denotativi/landmark: Cardiff, The Oval [www.nicholashare.co.uk, 2005]. 66c. Nodi urbani funzionali: Rotterdam, uffici governativi del Wilhelminahof [www.kopvanzuid.info, 2005].

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67. Utilizzo mediatico di nodi urbani iconici. Torino, Mole Antonelliana e logo delle XX Olimpiadi invernali; Southampton, edifici a vela del masterplan West Quay Phase III e logo della Southampton Partnership [Terry Farrell & Partners, 2003; www.southampton-partnership.com, 2005].

Naturalmente i nodi urbani iconici sono a loro volta dei landmark ed entrambi queste tipologie possono anche rivestire il ruolo di ancore funzionali: nel museo Guggenheim di Bilbao i tre diversi aspetti coesistono, mentre al contrario l’Erasmus Brug del Kop van Zuid ha una valenza prettamente iconica. La formazione di un’immagine mentale attraverso i caratteri architettonici dell’ambiente costruito è inteso in questa prospettiva anche come uno strumento di valorizzazione turistica. In taluni casi più estremi la «figurabilità» dei luoghi è stravolta da un utilizzo dell'architettura in chiave di marketing come mezzo di riverberazione mediatica. Da un punto di vista teorico la pianificazione di tali elementi rientra nel solco di una tradizione urbana antica e le modalità con cui sono progettati nelle aree urbane sembrerebbe rifarsi, talvolta in modo esplicito (per esempio nella manualistica anglosassone), alla definizione di landmark e alle sue valenze progettuali (il «piano visivo») elaborate da Kevin Lynch (1985: 129-131). Considerate tuttavia le finalità commerciali e turistiche di molte strategie che prevedono que165


sto tipo di approccio parrebbe che certi magneti iconici abbiano in realtà acquisito ben altri riferimenti culturali e che siano cioè stati concepiti e progettati per il villaggio globale come l’equivalente dei totem pubblicitari, di origine americana, che rendono visibili i centri commerciali dalle autostrade. In sostanza si tratterebbe di una traduzione più “urbana” delle logiche architettoniche che determinano il paesaggio suburbano degli Strip Mall o dei Retail Park. Se da un lato dunque vi è una domanda di complessità e qualità, variamente espresse, le soluzioni progettuali perseguite da diverse città danno l’impressione di non essere, per così dire, del tutto genuine. L’intento esplicitamente commerciale di alcune strategie e l’interpretazione della complessità come di uno strumento di vendita, piuttosto che come un valore in sé, fanno sembrare alcune realizzazioni artificiose, quando non addirittura artificiali. Succede in particolare laddove il progetto urbano appare improntato più a una logica disneyana – per quanto sapientemente dissimulata o interpretata – piuttosto che al perseguimento di valori di urbanità e identità. Il «senso» dei luoghi ne risulta inevitabilmente logorato e i vantaggi perseguiti da tali strategie possono risultare effimeri, sempre minati da nuovi, analoghi, omologhi concorrenti. La creazione o il rafforzamento e l’interconnessione di cluster funzionali ad alta accessibilità pedonale. A differenza dello zoning tradizionale, la concentrazione di attività in aree urbane in un’ottica strategica è dettata non da una razionalizzazione della disposizione delle destinazioni d’uso, bensì dal tentativo di creare o di potenziare economie di scala aumentando la prossimità fra attività appartenenti alla stessa filiera produttiva o allo stesso settore. Come si è visto nelle pagine precedenti, la formazione di cluster urbani è una delle maggiori priorità per le città e le metropoli in corso di trasformazione. Mentre alcuni di essi, come quelli produttivi tecnico-scientifici, purché facilmente accessibili, possono evolversi in modo relativamente isolato rispetto al contesto – tanto che talora, come nel caso del parco tecnologico di Zamudio a Bilbao, si possono sviluppare come insediamenti autonomi esterni al tessuto urbanizzato –, altri cluster, specialmente se destinati a un’economia di consumo, sono difficilmente sostenibili all’esterno della città e risultano più efficienti se posti 166


68. Spazio pubblico come connettivo di ancore e cluster. Birmingham: spina pedonale est-ovest e principali attrazioni del centro cittadino [elaborazione da Google Earth: earth.google.com, 2005].

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in relazione con altri raggruppamenti presenti nel tessuto urbano. Sia a Bilbao che a Birmingham la strategia progettuale a scala urbana ha perseguito queste finalità. Nella città inglese l’area centrale pedonalizzata, in cui si è sviluppato un gran numero di attività commerciali (di cui il Bull Ring e le Martineau Galleries costituiscono i fuochi maggiori), è stata messa in relazione tanto con il cluster delle grandi strutture urbane per il tempo libero (Centro Congressi, Symphony Hall, National Indoor Arena, Acquario) quanto con le nuove espansioni della «cittadella del sapere» (in particolare con la nuova biblioteca e il Millenium Point) dell’Eastside. Si tratta di aree pianificate con una forte impronta funzionale – sebbene stemperata da una certa commistione dei modi d’uso – che traggono dalla relazione di prossimità un mutuo vantaggio. Lo stesso approccio è stato seguito anche da Rotterdam, che nel piano spaziale strategico della città (RPR 2010) ha teso a sviluppare diversi cluster urbani da nord a sud rafforzandone le relazioni soprattutto attraverso la mobilità pedonale e il trasporto pubblico: la zona ad altissima accessibilità della stazione centrale; il quartiere terziario e commerciale dell’area centrale (Binnenstad); le attrazioni per il tempo libero della Waterstad (ex centro storico raso al suolo dai bombardamenti della seconda guerra mondiale) e del lungofiume sulla Mosa (De Boompjes); le attrazioni del cosiddetto «asse culturale» e del «triangolo museale» fino al nuovo centro terziario, commerciale e residenziale del Kop Van Zuid (Van der Berg e Van der Meer, 1994: 168-170)11. Nella formazione o nel consolidamento di questi cluster, una caratteristica ricorrente è la combinazione di strutture e attrazioni dirette a diverse scale o a differenti segmenti di riferimento del bacino di utenza12. Questo permette di costruire un insieme bilanciato di attività che assicurino una presenza di persone e utenti sufficientemente costante nel tempo e consistente sotto l’aspetto quantitativo. A sua volta il portafoglio costituito da diversi tipi di cluster (Caroli, 2004: 309) deve mirare all’integrazione e alla possibile complementarietà delle attività: obiettivi al cui conseguimento concorrono in modo decisivo la continuità spaziale, la presenza di spazi comuni e di aree di transizione, dove le diverse attività dei cluster si mescolano. Data l’importanza dell’accessibilità e dei flussi di persone per la vitalità dei contesti, la mobilità di tipo pedonale è nella maggioranza dei casi impre168


69. Rafforzamento e interconnessione di cluster funzionali ad alta accessibilità pedonale. Evidenziazione dei cluster funzionali (in nero le principali «attrazioni») e dello schema della strategia: Rotterdam, centro della città e quartiere Kop van Zuid.

scindibile, come dimostra anche il crescente ricorso da parte di committenti privati alle modellizzazioni di Space Syntax nell’elaborazione di masterplan e grandi progetti urbani. Come si è già visto nel caso di Abandoibarra, il ricongiungimento tra l’area dell’università di Deusto a nord del Nervíon e il nuovo cluster culturale/museale/del tempo libero della sponda meridionale è stato ideato sia attraverso un sistema di percorsi pedonali sviluppato lungo le due rive, opportunamente rinforzato dalla costruzione di nuovi ponti, sia attraverso la contaminazione del cluster a sud con alcune attrezzature ad uso universitario (la biblioteca e il rettorato) del polo dell’istruzione situato nel versante a nord. Naturalmente si deve anche evitare che il contatto tra diversi cluster possa generare dei conflitti: nel caso del Local Plan di Southampton si è provveduto a razionalizzare la presenza di attività serali e notturne attraverso uno zoning diretto a risolvere i conflitti che questo tipo di modi d’uso dello spazio – ritenuti indispensabili per la rivitalizzazione delle aree centrali – possono ingenerare a contatto con aree residenziali. 169


70. Creazione di spazi pubblici con una forte identità architettonica (spazi pubblici «a priori»). Barakaldo: Plaza Desierto [www.bilbaoria2000.com, 2005].

La creazione di spazi pubblici di connettivo caratterizzati da una forte identità architettonica, tali da poter addirittura precedere la realizzazione dei nodi e degli edifici serviti (spazi pubblici «a priori»). Lo sviluppo progettuale flessibile di un’area urbana per porzioni correlate e nodi richiede che venga posta una grande attenzione al modo in cui i diversi elementi riusciranno a dare vita, al termine del processo costruttivo, a un insieme organico e coerente. Come si è visto in più occasioni, in particolar modo per i distretti commerciali, la previsione e il controllo dei flussi pedonali e dei modi di accesso risulta vitale per la sostenibilità economica di una parte degli interventi. Soprattutto nel caso di nuove edificazioni in aree dismesse, essi risultano obiettivi prioritari rispetto alla configurazione progettuale del contesto. Le connessioni vanno tuttavia studiate con cura, di modo che l’attenzione progettuale non si focalizzi unicamente sulla possibilità di tracciare delle traiettorie ma anche e soprattutto sulla qualità dei percorsi e sulla loro riconoscibilità. In diversi esempi inglesi, tra cui lo stesso caso studio di Brindleyplace a Birmingham, la trama degli spazi aperti è data come un impianto fondante per organizzare le scelte costruttive successive e garantire gli imprendi170


tori privati circa l’accessibilità o la contiguità delle loro future realizzazioni rispetto agli elementi di maggior pregio o ai servizi presenti. Piazze, aree verdi e strade, organizzate secondo una precisa gerarchia, garantiscono non solo, o non tanto, il livello di mobilità del comparto urbano, ma soprattutto, in mancanza di una immagine architettonica certa e predeterminata, la qualità e i caratteri distintivi dei futuri quartieri nonché il loro rapporto e grado di integrazione spaziale con il resto della città. In quest’ottica al disegno degli spazi aperti viene affidato un ulteriore duplice compito: quello di incrementare il valore immobiliare degli edifici presenti e previsti, assolvendo un ruolo di agente catalizzatore per investimenti e nuovi interventi (Cabe, 2003), e quello di rendere l’area più ospitale e dunque frequentata dal maggior numero di persone durante l’arco della giornata, realizzando nuovi fuochi della vita civile o per il tempo libero. Anche Bilbao fornisce in proposito due esempi molto interessanti: Parco della Ribeira ad Abandoibara e Plaza Desierto a Barakaldo. In questi, come in altri casi, il ruolo di connettivo può essere associato strategicamente a

71. Creazione di spazi pubblici con una forte identità architettonica (spazi pubblici «a priori»). Bilbao: Parco della Ribeira [www.caminoseuskadi.com, 2005].

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quello denotativo tipico dei maggiori nodi urbani, facendo di piazze, paseos e aree verdi non solo semplici spazi di relazione tra monumenti urbani o tra edifici di un isolato, bensì veri e propri punti di attrazione a se stanti. In questo modo l’ente promotore della trasformazione urbana – sia pubblico come nel caso di Abandoibarra sia privato come in quello di Brindleyplace – è in grado di utilizzare le aree pubbliche come strumenti di promozione dell’intervento, sviluppando nuove centralità – con il conseguente apprezzamento fondiario – e dimostrando il solido impegno qualitativo e finanziario che anima il progetto. Gli esempi bilbaini e la piazza centrale di Brindleyplace dimostrano come questi nuovi spazi, concepiti in chiave promozionale, possano assumere un valore tale rispetto al contesto da poter essere costruiti addirittura prima degli edifici. A tale scopo tutti e tre i casi richiamati presentano un disegno molto sofisticato nella scelta delle componenti architettoniche e nella disposizione dei modi d’uso: alle caratteristiche tradizionali dei luoghi urbani pensati in funzione della mobilità e della sosta, perché potessero essere frequentati prima ancora che il contesto venisse completato, si sono dovuti aggiungere elementi di attrazione oppure si è provveduto a potenziare alcune funzioni13. Per certi aspetti queste realizzazioni richiamano il carattere particolarmente elaborato di diversi Pedestrian Mall statunitensi. Analogamente a questi infatti il disegno architettonico degli spazi deve creare dal nulla degli elementi di forte richiamo, supplendo con attrazioni funzionali e un design sofisticato14 alla mancanza di un contesto di particolare interesse. In questo caso al progetto, come è stato particolarmente evidente in Brindleyplace, è affidato anche il delicato compito di equilibrare le diverse tensioni spaziali e funzionali che connotano questi tipo di spazi, la cui forte personalità deve sapere dialogare col brano di città destinato a crescergli intorno. La creazione di elementi catalizzatori per l’innesco di finanziamenti per opere di trasformazione/riqualificazione (effetto di spillover)15. La maggiore diversificazione possibile delle attività economiche è considerata come uno dei più importanti vantaggi competitivi a causa della relativa stabilità che assicura rispetto alle fluttuazioni dei mercati internazionali (Parkinson et al., 2004). Per questo la progettazione tende a non con172


centrarsi solo su un determinato e limitato tema progettuale (per esempio il cluster del tempo libero) ma punta ad arricchire le possibilità dei modi d’uso creando opportune sinergie. Nel caso di Baltimora (Millspaugh, 2001), il turismo si è rivelato un apporto fondamentale per l’economia del nuovo quartiere e, al tempo stesso, è stato causa ed effetto dell’incremento dei valori immobiliari e dell’immagine positiva assunta dall’area nel mercato nazionale ed estero. Lo stesso è avvenuto per l’area di Abandoibarra a Bilbao. La strategia del disegno urbano mira in questo caso a creare tensioni e campi di forze tra i nodi urbani e tra questi e il tessuto circostante, per favorire quanto più possibile l’effetto di «traboccamento» (spillover) connesso ai diversi interventi di trasformazione. Come suggerisce Roberto Piana (1999) a proposito della riqualificazione urbana a Napoli, la strategia di intervento deve identificare i punti della città «che possano agire come moltiplicatore sul più ampio contesto cittadino». Le politiche tese al coinvolgimento del tessuto sociale e imprenditoriale locale, alla diffusione della conoscenza dei vantaggi e delle buone pratiche e a promuovere incentivi opportunamente studiati sono importanti ma non sufficienti. Bisogna assicurare anche una possibilità di connessione fisica tra i nodi, per così dire, «di prima riqualificazione», quelli cioè direttamente oggetto dell’opera di rigenerazione, e i nodi di «seconda riqualificazione», quelli cioè con la più alta probabilità di ricevere benefici e migliorie indotti dai primi. Questo principio richiede l’attenta predisposizione delle opere in programma nello spazio e nel tempo e soprattutto che il loro disegno assicuri la connessione con la struttura urbana circostante, di cui dovrebbe contribuire all’innalzamento anche dei valori immobiliari, risvegliando l’interesse di eventuali investitori nel processo di trasformazione. Un caso interessante è quello fornito dal centro commerciale Oracle di Reading. Dopo una lunga contrattazione con la pubblica amministrazione il progetto originario, il consueto volume scatolare di grandi dimensioni, venne arricchito nella sua concezione architettonica e urbanistica adattando le superfici di vendita alla forma urbana del contesto e comprendendo come elemento paesistico gli spazi aperti lungo il fiume Kennet che costituiscono il luogo centrale di ristoro (la «food court») del centro commerciale. L’intero impianto si integra inoltre senza soluzione di continuità con la principale strada commer173


72. Creazione di elementi catalizzatori (spillover). Reading, centro commerciale Oracle [Reading Borough Council, 2005].

ciale del centro cittadino (Broad Street), ad uso pedonale, la quale è stata a sua volta riqualificata incrementando notevolmente il volume di affari e le richieste di apertura di attività commerciali. In questo caso lo Shopping Mall, opportunamente inserito in continuità con il tessuto edilizio del centro storico (e dotato di un forte grado di accessibilità), ha indotto notevoli benefici economici all’intero comparto urbano, saldandosi di fatto con esso (cfr. Vanina, 2003). Come hanno bene presente Cyril Paumier (Paumier et al., 1988) e Harvey Rubenstein (1992), e come dimostra l’esperienza di Brindleyplace o di Kop Van Zuid16, l’esistenza di un layout di piano e l’attuazione di alcune parti nodali per iniziativa pubblica (o del relativo promotore privato nel caso di Birmingham), in particolare quelle porzioni a più alto contenuto di spazi o servizi pubblici, forniscono un incentivo piuttosto forte per gli investitori, garantiti sia della volontà di attuazione del progetto che dell’effettiva integrazione dei possibili sviluppi immobiliari in un contesto già in fase di riqualificazione. In altri casi, come accennato a proposito dei nodi urbani, gli elementi catalizzatori possono essere costituiti, piuttosto che da «interventi anticipati» miranti a risvegliare il mercato fondiario e immobiliare, da veri e pro174


pri edifici con funzione di fulcro rispetto ad auspicate espansioni circostanti17. È il caso ad esempio in Inghilterra del Millenium Point nell’Eastside di Birmingham, fulcro e avamposto del futuro Learning Quarter oppure, a scala più vasta, degli Enterprise Hubs della Regione inglese Sud Orientale, finanziati dalla Seeda (l’agenzia di sviluppo regionale) e da Business Link18 per indurre lo sviluppo sul territorio di cluster innovativi. È una rete di centri per l’incubazione di nuove imprese IT (attualmente ne ospitano 700) e per il trasferimento tecnologico: ogni Hub è infatti affiliato a dipartimenti di ricerca universitaria19. Nel caso del ricorso a edifici catalizzatori sono necessarie una continuità spaziale con il contesto e una certa disponibilità di aree per future espansioni. Così per esempio a Rotterdam, grazie anche a un’oculata strategia di phasing, la graduale trasformazione di una vecchia centrale elettrica, la Schiecentrale, in studi televisivi e multimediali ha indotto all’investimento verso nuovi quartieri residenziali (soprattutto il Lloydkwartier) nelle aree limitrofe specificamente pensati per ospitare i professionisti del settore e caratterizzati da ampi spazi pedonali, dalla presenza di architetture piuttosto ricercate20 e dotati di connessioni a fibre ottiche.

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73. Creazione di elementi catalizzatori (spillover). Reading, in evidenza la prossimità tra il centro commerciale Oracle (2) e Broad Street (1), pedonalizzata e rivitalizzata dalla costruzione del primo [Google Earth: earth.google.com, 2005].

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Riassumendo si possono contare quattro diverse modalità di innesco, tra loro integrabili, del processo di riqualificazione: 1. attivazione di una massa adeguata di funzioni, così da fornire una quantità sufficiente di attività tale da rendere vantaggiosi altri investimenti analoghi, sia in funzione delle relative economie di scala o di agglomerazione sia per via dell’innalzamento del valore immobiliare che ne può derivare (per es.: Wilhelminahof a Kop Van Zuid, Rotterdam); 2. realizzazione di alcune porzioni particolarmente qualificanti del masterplan, così da convincere gli investitori privati – e la cittadinanza – dell’impegno e della fiducia del promotore (pubblico o privato) nei confronti del progetto (per es.: Erasmus Brug a Kop Van Zuid, Rotterdam); 3. creazione di un complesso edilizio o di uno spazio pubblico, anche «a priori», che funga da punto di attrazione e richiamo simbolico e funzionale nei confronti dell’intorno urbano, per la cui trasformazione o riqualificazione è fondamentale che vengano assicurate la massima

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74. Creazione di elementi catalizzatori (spillover). Rotterdam, Schiecentrale: fasi del recupero e della progressiva espansione di una centrale dismessa trasformata nel fulcro di un cluster innovativo del settore IT [www.schiecentrale.nl, 2005].

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accessibilità e continuità spaziale con il contesto (per es.: Central Square a Brindleplace, Birmingham); 4. creazione di nodi di attività che consentano, per successiva e progressiva gemmazione, di sviluppare cluster urbani nel medesimo settore di città; in questo caso è necessaria la disponibilità di spazio edificabile per fasi successive (per es.: incubatori del Cedemi ed Elkartegia a Galindo, Barakaldo). Naturalmente tale effetto di «traboccamento» sarà tanto più efficace se verrà gestito e opportunamente canalizzato da politiche e organismi gestionali specificamente pensati in favore delle aree di maggiore bisogno e di più probabile risposta alle sollecitazioni indotte. La continuità spaziale con il tessuto circostante. Oltre allo scambio pedonale tra i cluster di attività è importante anche che il progetto assicuri la continuità fisica con il contesto in cui si inserisce. È un principio essenziale perché si possa verificare, sul piano spaziale, quella redistribuzione dei vantaggi – addensati nelle aree più pregiate o dove si concentra la maggioranza dei finanziamenti – a cui mirano anche altre politiche perequative di tipo sociale ed economico. Questo requisito diviene di particolare importanza allorché, come accade soprattutto nel recupero di siti industriali dismessi, le aree di trasformazione siano confinanti con quartieri degradati e prevalentemente abitati da ceti a basso reddito. Poiché a loro volta i nuovi interventi mirano ad ammortizzare gli ingenti costi di bonifica e recupero ambientale attraverso alte volumetrie e tipologie di vendita rivolte a un mercato generalmente di alta fascia, risulta necessario evitare la segregazione tra le due parti, in modo che le nuove strutture urbane siano accessibili anche agli abitanti delle aree limitrofe. La stessa accessibilità inoltre, come appena visto, permette di estendere anche a questi luoghi marginali i possibili indotti della rivalutazione immobiliare derivanti dall’operazione di rigenerazione urbana. È però in questo caso necessario, come rilevato già dall’High Street Program statunitense, che un programma e un organismo adeguati controllino tale processo tramite una strategia incrementale. Attraverso opportune politiche edilizie, economiche, sociali e abitative si dovrebbe puntare a ridurre o evitare sia gli svantaggi della gentrification nei quartieri popolari sia il rischio opposto che la nuova area in trasformazione 177


75. La continuità spaziale con il tessuto circostante. Rotterdam, Kop van Zuid: la nuova Vuurplaat collega i quartieri Stadstuinen e Feijenoord (sullo sfondo) [www.rd.nl, 2005].

risenta negativamente della cattiva immagine delle zone circostanti. Un ottimo esempio di questo principio strategico è offerto dal progetto di riqualificazione del Kop Van Zuid a Rotterdam, dove la nuova area di trasformazione è stata posta in continuità, soprattutto grazie alla progettazione della strada commerciale (Vuurplaat) del quartiere Stadstuinen, con i rioni degradati limitrofi di Feijenoord e Afrikaanderwijk. Rispetto a quest’ultimo in particolare sono previsti anche la rimozione della barriera ferroviaria e la realizzazione di un parco (progetto Parkstad) avente funzione di ponte con il Kop Van Zuid e il Feijenoord21. Inoltre l’attivazione del programma di perequazione sociale Mutual Benefit22, nato con l’intento di ridistribuire i vantaggi economici e le occasioni di lavoro generati dal Kop Van Zuid, ha promosso, tra le altre attività, la formazione di un associazione di commercianti dell’Afrikaanderwijk, che mira ad attrarre clienti dai quartieri limitrofi, anche grazie al servizio di accompagnamento turistico City Safari creato nell’ambito dello stesso programma di iniziative (Van der Berg, van der Meer e Otgaar, 1999: 84-88).

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L’integrazione di preesistenze architettoniche di rilievo nei nuovi tessuti di progetto. La maggioranza dei progetti di rigenerazione di aree dismesse analizzati nei casi studio ha mirato alla valorizzazione delle permanenze, in particolare quelle di archeologia industriale: talvolta si è trattato del recupero di vecchi edifici adibiti a nuove destinazioni d’uso (talora si è conservata soltanto la facciata) e circondati dal nuovo tessuto di progetto (Brindleyplace); altre volte gli elementi preesistenti sono stati inseriti come componenti o dettagli architettonici nella costruzione di piazze e nel disegno del paesaggio (Galindo). Come già accennato, la conservazione di parti preesistenti e la loro integrazione nelle opere di trasformazione sono considerati degli strumenti progettuali importanti per conferire, attraverso la memoria di quelli precedenti, carattere e identità a luoghi che altrimenti rischierebbero di appiattirsi nei tratti anonimi di architetture di basso profilo tanto rispetto alla prassi edilizia del mercato di massa locale quanto nei confronti di certa architettura “patinata” di rinomanza internazionale. La ricerca di distinzione è considerata in questo senso dagli stessi promotori immobiliari un elemento importante di promozione in un mercato nel quale la domanda di riferimento risulta sempre più sensibile rispetto alla riconoscibilità dei luoghi e della propria immagine. Pertanto l'apposizione di vincoli ad architetture o ad altri elementi del passato incontra in genere la convergenza di interessi di operatori

76. L’integrazione di preesistenze architettoniche di rilievo nei nuovi tessuti di progetto. Rotterdam, Festival Centre Entrepot a Kop Van Zuid [www.archi-guide.com, 2005].

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77. L’integrazione di preesistenze architettoniche di rilievo nei nuovi tessuti di progetto. Barakaldo, conservazione del paesaggio industriale sul lungofiume [www.bilbaoria2000.com].

privati ed enti pubblici, sebbene la sostanziale distanza tra le finalità dei due attori – una pura strategia promozionale per i primi e la doverosa difesa del patrimonio culturale locale per i secondi – può portare a divergenze circa le quantità e le modalità di recupero. La ricerca del profitto da parte dei privati può infatti indurre a considerare come sacrificabili opere significative sotto il profilo culturale e della memoria dei luoghi la cui conservazione risultasse diseconomica rispetto alle aspettative di guadagno. Inoltre è anche importante, per contenere eventuali derive e semplificazioni immobiliariste, che vengano precisate con le amministrazioni pubbliche il modo con cui vecchio e nuovo dovrebbero integrarsi, al fine di evitare sia la possibilità di un eccessivo isolamento monumentale (la riduzione di un elemento potenzialmente vitale per l’identità e il senso dei luoghi a fenomeno di richiamo in un contesto alieno) sia il rischio che le nuove realizzazioni possano soverchiare, impoverire o rovinare il carattere degli elementi conservati con inserimenti architettonici o urbanistici poco consoni. L’accessibilità interna ed esterna dell’area di progetto fondata sulla riduzione del traffico veicolare privato e il potenziamento del trasporto pubblico e delle superfici pedonali. Quasi tutti i piani strategici per la riqualificazione della città, o di una sua parte, prevedono tra le principali azioni la valorizzazione degli spazi aperti 180


pubblici attraverso la pedonalizzazione. Lo scopo di queste aree è molteplice, a seconda delle strategie in cui sono inquadrate, e pertanto se ne possono distinguere diverse tipologie: – Valorizzazione della rete dei nodi urbani. In certi casi, come negli esempi evidenziati dalla pubblicazione Going to Town (Nrpf, 2002), la valorizzazione pedonale di alcuni assi stradali può avere la funzione primaria di connettere punti chiave di accesso alla città (il “cuore” del centro storico oppure la stazione centrale oppure ancora altri nodi del trasporto pubblico e privato) con le principali attrazioni urbane (musei, piazze e parchi) o nuove aree di espansione/trasformazione. In questo caso tuttavia l’accessibilità pedonale – evidentemente studiata maggiormente in funzione di turisti e city users – può essere ricercata (come nel caso specifico di Rotterdam) attraverso interventi parziali, che non escludano completamente il traffico veicolare pubblico o privato. Oltre a un incremento dell’accessibilità, il nuovo disegno dei percorsi contribuisce a orientare e guidare più facilmente turisti e city user (sia pure anche in modo non consapevole) verso le zone di maggiore interesse. In questa chiave dunque risulta importante anche un disegno coerente e distinguibile dei manufatti architettonici e dell’arredo urbano studiati anche in una fun-

78. Accessibilità interna ed esterna dell’area di progetto fondata sul rafforzamento delle connessioni pedonali: Bristol, segnaletica pedonale del progetto Legible City [www.bristollegiblecity.info].

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zione “comunicativa”. In alcuni casi per tanto vengono confezionati – dalla Municipalità o dall’ente preposto alla valorizzazione culturale della città – manuali con abachi e linee guida per l’arredo urbano. – Valorizzazione di aree urbane come centri commerciali urbani. L’obiettivo è quello di creare ambienti altamente frequentati, che attraggano persone nell’area oggetto di intervento assicurandone una permanenza pressoché continua nell’arco dell’intera giornata. In questo caso il disegno delle aree, più che a creare percorsi, sarà inteso a promuovere zone per la sosta delle persone e per il passeggio (soprattutto in aree a forte presenza commerciale). Come si è visto nel capitolo sui Pedestrian Mall, diversi studi – soprattutto tedeschi – confermano che le aree pedonali incrementano il flusso di persone e comportano nella maggioranza dei casi una crescita degli introiti per i negozianti. In questa circostanza tuttavia il successo dell’area, rivolta a un pubblico non più come nel caso precedente prevalentemente extracittadino, dipende anche dal grado di interscambio con il trasporto pubblico e privato, e soprattutto dal tipo di attività commerciali (il retail mix), nonché dall’esistenza o meno di una struttura organizzativa (per esempio l’associazione di via) in grado di tenere bassi i costi fissi degli esercizi commerciali (per esempio la logistica dei rifornimenti o le distribuzioni a domicilio) e promuovere la zona collettivamente con investimenti in manifestazioni e nelle qualità architettoniche del luogo. – Valorizzazione dell’immagine urbana. L’esempio migliore di questa strategia è fornita probabilmente da Bristol, con l’iniziativa Legible City, intrapresa nel 1993. Si tratta di un piano per incrementare la leggibilità della città, ispirato apertamente alle teorie percettive di Kevin Lynch. Le iniziative intraprese, coordinate a livello centrale da un’apposita Partnership, hanno riguardato la pedonalizzazione di alcune strade, la distribuzione di punti informativi e mappe segnaletiche per pedoni nei principali punti di accesso, la creazione di un design coordinato per la comunicazione e l’arredo urbano e l’utilizzo o la valorizzazione di monumenti e istallazioni artistiche nei principali nodi urbani (Kelly, 2001). La mobilità (o accessibilità) interna ed esterna è sempre considerata di cruciale importanza. La tendenza in atto è quella di riqualificare e riposizionare i principali luoghi di ingresso – le porte della città – e di utilizzare i punti di 182


79. Accessibilità interna ed esterna dell’area di progetto fondata sul rafforzamento delle connessioni pedonali. Bilbao: nuova piazza-ponte di Cantalojas tra Bilbao La Vieja e l’Ensanche (in alto) e copertura dello scalo ferroviario di Ametzola con la creazione di un nuovo parco (al centro) [www. bilbaoria2000.com, 2005; www.bizkaia.net, 2005]. Birmingham, Masshouse Circus: abbattimento di uno svincolo stradale e creazione di un boulevard urbano [www.east-side.com, 2005].

accesso della rete dei trasporti pubblici (per esempio le fermate di metropolitane o tram) come elementi di riqualificazione locale. Le stazioni non sono più concepite unicamente come anonimi luoghi di passaggio, bensì come punti densi di relazioni a diverse scale. Sono, soprattutto, portatori di un’immagine della città, e come tali vanno concepiti sin dalla fase di progetto.

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La definizione di linee guida e criteri di qualità per il controllo formale dell’edificato e del paesaggio urbano. I criteri di elasticità funzionale e temporale che condizionano la realizzabilità del progetto in una logica di mercato richiedono che vengano fissati degli standard qualitativi e quantitativi per garantire l'omogeneità degli interventi e una visione condivisa degli obiettivi complessivi del progetto. Come si è visto, questo vale sia nei casi di nuove trasformazioni urbane (come nell’esempio delle Design Guidance inglesi) sia nella riqualificazione di contesti già esistenti (come nell’esempio di Napoli o Torino). L’estetica e i valori del progetto sono inoltre considerati elementi fondanti della strategia di promozione urbana. Infatti, pur nell’indeterminatezza di un piano realizzato per interventi autonomi sotto il profilo architettonico, gestionale e finanziario, le linee guida, come nel caso di Brindleyplace, agiscono da garanti della qualità derivante dalla somma complessiva delle varie operazioni immobiliari e della rispondenza del progetto alle previsioni del masterplan. Naturalmente questo comporta anche un approccio attivo da parte della Pubblica Amministrazione, o del relativo promotore immobiliare, per delineare quali siano i criteri di qualità e come essi vadano perseguiti.

80. Definizione di linee guida e criteri di qualità per il controllo formale dell’edificato e del paesaggio urbano. Geelong (Australia): Geelong Waterfront Design and Development Code [BaudBovy & Lawson, 1998].

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81. Definizione di linee guida e criteri di qualità per il controllo formale dell’edificato e del paesaggio urbano. Southampton: Development Framework di West Quay Phase 3 [EDAW, 2001].

La questione, come indica l’esperienza inglese delle Supplementary Design Guidances (Vignozzi, 1997), è tuttavia complessa e richiede di bilanciare la necessità di certe prescrizioni con la soggettività della loro interpretazione, la flessibilità richiesta dal mercato e logiche progettuali diverse e potenzialmente arricchenti. Pertanto la redazione di linee guida, da ritenersi parte integrante del processo di piano, non dovrebbe essere mai disgiunta dalla formazione di un gruppo di esperti autorevoli che sappia giudicare e avvallare le diverse soluzioni progettuali in modo flessibile, in funzione della superiore qualità garantita dalla varietà progettuale. Nel caso del Kop Van Zuid il principio seguito dal comitato internazionale di controllo della qualità (il Q Team) e dai cinque Quality Books redatti per il controllo formale degli interventi architettonici e di urban design è quello per cui «il tutto deve essere superiore all’insieme delle sue parti» (Ketting, 2002: 9). In Italia Aldo Capasso (2001: 286) propone per Napoli la costituzione di un dipartimento per il controllo della qualità urbana, definita secondo criteri individuati per aree omogenee, così da valorizzare la varietà e l’identità dei tessuti locali.

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82. Libertà di determinazione funzionale di una porzione dell’intervento. Amburgo, Hafencity: dettaglio del Masterplan [www.hafencity.com].

La libertà di determinazione funzionale di una porzione dell’intervento. Nell’esempio di Birmingham e Rotterdam la flessibilità richiesta per la realizzabilità degli interventi da parte dei privati si basa in larga misura sulla possibilità di stabilire o contrattare la quantità delle destinazioni funzionali durante la fase attuativa. Questa libertà è naturalmente resa possibile ed equilibrata dalla presenza di altri vincoli, definiti dal masterplan e articolati su due diversi piani: uno più generale, con valenza strutturale e strategica, che inquadra il complesso delle realizzazioni individuandone alcuni requisiti fondamentali in rapporto agli obiettivi di piano; un secondo livello che, a scala più minuta, regola il carattere architettonico e microurbanistico degli interventi. Spesso inoltre, negli esempi trattati, le priorità nella progettazione degli interventi di trasformazione urbana sono eminentemente di carattere spaziale e architettonico, rispetto ai quali, a meno di particolari tipologie di destinazioni d’uso, le determinazioni funzionali rivestono un ruolo relativamente secondario: la mobilità, l’accessibilità, la struttura della forma urbana e degli spazi pubblici e la reciproca interconnessione delle parti costi186


tuiscono l’armatura primaria del progetto e la principale garanzia di ritorno finanziario per gli eventuali investitori. Assicurato pertanto il principale motore della rendita urbana – la posizione e l’accessibilità – la realizzabilità economica degli interventi privati successivi risulta totalmente in funzione della quantità di metri cubi vendibile in rapporto al loro valore di mercato. Per questi ultimi può essere inoltre importante la presenza di una massa critica di funzioni complementari o di servizio rispetto a quelle potenzialmente insediabili, come per esempio un certo quantitativo minimo di terziario, servizi o residenza, tale da attivare politiche di marketing e l’interesse del mercato sull’area di progetto. Nel masterplan la definizione del disegno dei luoghi affidata alle guidelines prevede generalmente – oltre ad alcune quantità di base funzionali a portare un primo nucleo di attività nel quartiere in base al carattere e al ruolo scelti per esso – delle indicazioni circa l’altezza dell’edificato e il rapporto architettonico dei piani terra con la strada e gli altri spazi aperti. In questo modo, soprattutto una volta impostato anche il sistema del trasporto pubblico e della circolazione su mezzo privato e pedonale, le funzioni ospitate dai fabbricati (o anche solo dai piani superiori al primo) risultano quasi del tutto indifferenti rispetto al funzionamento del programma edilizio. Al mercato viene così affidato il compito di determinare gli equilibri tra le destinazioni d’uso (per esempio tra negozi e residenza) e l’assetto insediativo in accordo con forme e caratteristiche urbane predeterminate. Infatti una volta che siano stati stabiliti eventualmente l’aspetto e i principali modi d’uso del contesto, soprattutto se sono previsti dei cluster innovativi, e che questo abbia ottenuto i finanziamenti necessari alla trasformazione, la maggioranza degli obiettivi perseguiti dai promotori sono considerati realizzati. Semmai risulta importante verificare comunque che la commistione dei modi d’uso assicuri quel grado di vitalità del contesto, legata molto spesso anche all’economia serale e notturna, che, come si è visto nel caso del Town Management inglese, è considerato un requisito fondamentale per l’apprezzamento del mercato immobiliare locale. Secondo alcuni rilievi recenti le città che presentano queste caratteristiche (come ad esempio Birmingham, Praga o Budapest) sono infatti interessate da una forte e crescente domanda residenziale (ULI e PricewaterhouseCoopers LLP, 2004: 45) Tuttavia per evitare che tale logica condizioni eccessivamente il carattere 187


dei luoghi è fondamentale che tra le varie prescrizioni intese a contenere gli eccessi del mercato vi sia anche un controllo della composizione sociale dei residenti e delle attività lavorative previste, sebbene sotto questo aspetto gli esempi presi in esame abbiano verificato il basso potere contrattuale esercitato dagli enti locali nei confronti degli operatori privati.

3.3 Marketing urbano e marketing turistico I principi di disegno urbano appena descritti, ricavati sulla base di una casistica internazionale, sono per molti aspetti simili a quelli indicati, a diverse scale, dalla saggistica e dalla manualistica di progettazione in funzione delle attività turistiche. Infatti come il concetto di marketing urbano e la sua metodologia presentano numerosi tratti in comune con il marketing turistico (entrambi infatti hanno l’obiettivo di intercettare una domanda potenziale promuovendo le specificità locali e predisponendo le infrastrutture necessarie) così anche da un punto di vista delle pratiche analitiche, pianificatorie e progettuali si rilevano inevitabilmente numerose convergenze tra i due ambiti disciplinari, che in alcuni casi si mescolano anzi completamente. In effetti, come rileva Caroli (1999: 56-65), il marketing territoriale, considerato alle varie possibili scale di intervento, è spesso confuso – anche perché talora effettivamente si confonde – con le specifiche strategie di settore di cui si compone (tra cui il turismo) tanto più quanto queste riguardano le risorse tangibili del territorio urbano. Il turismo urbano, oltre ad essere fonte di reddito e di impiego, può essere visto come uno strumento per fornire servizi di qualità anche alla comunità dei cittadini e un mezzo ideale per la rivitalizzazione economica, specialmente per quelle città in transizione da una economia industriale a un’economia di servizi. Molte città europee stanno ripetendo in questo senso l’esperienza delle città americane, spesso infatti prese a modello. Tuttavia, come avverte Edward Inskeep (1991: 237), questo tipo di soluzione non deve essere considerata la panacea di tutti i mali: Non tutti i luoghi possiedono risorse turistiche, né ci sarebbe un numero di turisti sufficiente per visitare tutti questi luoghi se essi avessero qualche potere di attrazione; potrebbero anzi venire sprecate delle risorse nel tentativo di ingaggiare in eccesso questo tipo di competizione. […] Ogni situazio-

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ne deve essere valutata individualmente. […] Lo sviluppo urbano dovrebbe basarsi su un’economia quanto più possibile diversificata, evitando di affidarsi eccessivamente al turismo.

Oppure, come dimostra il caso di Boston analizzato da Bruce Ehrlich e Peter Dreier (1999), l’economia turistica può, all’inverso, essere il risultato “collaterale” e aggiuntivo di uno sviluppo urbano impostato piuttosto sulla qualità dei luoghi urbani e sulla ricerca di solidità di settori economici diversificati. La rinascita di questa città americana è imputabile a vari elementi: la presenza di una coalizione pubblico-privata, guidata dalla Boston Redevelopment Authority (BRA); l’apporto della globalizzazione dell’economia, che ha sviluppato nuove opportunità; e, infine, i nuovi programmi federali per la sanità, la ricerca e la difesa. Il programma di ristrutturazione per la Nuova Boston, iniziato nella seconda metà degli anni sessanta, previde una forte iniezione di uffici, i quali, inizialmente finanziati da massicci programmi federali, sono stati in seguito costruiti, a metà del decennio successivo, prevalentemente con capitale privato. Un altro apporto significativo è stato quello legato al bicentenario americano del 1976 che ha previsto alcuni programmi di riqualificazione degli spazi e dei monumenti della città. L’integrità dei luoghi urbani – i più europei degli Stati Uniti – è stata perseguita attraverso politiche mirate, che alla lunga hanno conservato e generato un ambiente vitale e prospero. Persino i promotori immobiliari hanno acconsentito alla promulgazione di regolamenti più restrittivi in fatto di disegno urbano e architettonico (altezza minori, arretramento delle facciate per non oscurare e rendere ventose le strade) e alla salvaguardia di edifici a carattere storico (fine ottocento inizio novecento). Il successo è indubbiamente legato a una economia rinata, basata su un complesso vastissimo di fattori: l’università (MIT e Boston University), i servizi del governo federale, il comparto medico e informatico, la difesa, la finanzia legata a fondi pensionistici e di assicurazioni. Ma a questo si è alla fine aggiunto con gli anni il settore turistico (soprattutto di tipo business legato alla fiorente industria locale), sebbene in realtà non fosse mai stato realmente inteso come una branca economica primaria23. L’intero ambiente urbano, conservato nei suoi caratteri identitari anche per la costante pressione e l’impegno delle comunità locali negli anni di maggiore crisi, è così promosso come una risorsa unica e diversa: Boston è infatti 189


l’unica città della nazione a misura di pedone, tale da potersi fregiare del titolo di «America’s Walking City». Inoltre mentre alcune parti della città, come il celebre e imitatissimo Faneuil Hall Marketplace o il cluster formato da Copley Place e dal Prudential Centre o le recenti operazioni di trasformazione del waterfront24, sono state ridisegnate con il preciso intento di attrarre flussi di city user e turisti (in particolare uomini d’affari), altri nodi urbani come il polo universitario del MIT e della Boston University rivestono un ruolo variegato nell’ambito dell’economia locale sia in termini di sviluppo industriale, legato alle ricerche scientifiche d’avanguardia, sia di consumo legato agli studenti (di solito piuttosto facoltosi) sia come luogo di attrazione di turisti, soprattutto giapponesi, che affollano quello che ormai è diventato un vero e proprio distretto del commercio intorno a Harvard Square (MIT). L’esempio di Boston conferma la possibilità di una convergenza tra gli interessi connessi allo sviluppo economico da parte degli investitori locali e internazionali e quelli relativi alla qualità dell’abitare e alla difesa della identità dei luoghi espressi dalle comunità dei residenti. In questo senso città quali Bruxelles e Milano, come avverte l’esperto internazionale del turismo Arthur Frommer (Ehrlich e Dreier, 1999: 177), che non hanno saputo o voluto preservare la propria immagine e ricchezza ambientale e culturale hanno oggi perso, rispetto ad altre analoghe città europee, un enorme vantaggio competitivo. L’industria internazionale del tempo libero è infatti in rapida ascesa mentre l’evoluzione tecnologica e i cambiamenti socio-economici mondiali rendono estremamente labili e sfumati i confini tradizionali dei campi di attività che la definiscono (Varaldo, 2002). La riconfigurazione di questa industria è al tempo stesso causa ed effetto delle fusioni aziendali intraprese dai maggiori gruppi internazionali operanti nei diversi settori, miranti, secondo agguerrite logiche di marketing, a sfruttare le economie di scala legate a tecnologie e prodotti sempre più intergrati e sofisticati (Sassen e Roost, 1999). Il turismo urbano costituisce dunque una branca di un filone economico sempre più complesso: le componenti dell’offerta non sono più costituite solamente dalle bellezze monumentali, culturali e paesistiche promosse presso particolari tipologie di possibili utenti (i turisti nazionali e internazionali), bensì vi si aggiungono anche particolari strutture, eventi e servizi in cui si mescolano intrattenimento e commercio, cultura e consumo, che vengo190


83. Diagramma delle ricadute economiche del turismo urbano [Page, 1995].

no proposti a una domanda sempre più varia e segmentata, da quella locale degli abitanti e degli utenti quotidiani e abituali a quella più estesa di scala metropolitana, regionale e internazionale25. Rispetto alla nuova industria del tempo libero le città divengono al tempo stesso luogo di consumo e di produzione: come hanno dimostrato Saskia Sassen e Frank Roost (1999) per il caso americano, nelle aree urbane vive e si concentra, secondo le logiche di un vero e proprio cluster industriale, la maggioranza dei professionisti e degli esperti del settore. Le città sono infatti i luoghi preferiti dai membri della «Creative Class» (Florida, 191


2002) la quale ricerca e si nutre delle esperienze complesse e variegate che nascono dalla contaminazione e dagli stimoli che solo i luoghi urbani possono assicurare26. La relazione interpersonale, anche quella informale, e la possibilità di fare esperienze assicurata da determinate predisposizioni spaziali sono considerati in quest'ottica importanti elementi progettuali. La città turistica e la città in cerca di vantaggi competitivi presentano così diverse analogie. L’attrattività connessa alla qualità ambientale del contesto e alla vitalità dei luoghi costituisce un elemento primario per intercettare e trattenere sul territorio non soltanto i consumatori ma anche nuovi abitanti e lavoratori, secondo un evidente e mutuo beneficio. In particolare il principale fattore urbano che accomuna i due aspetti è la serendipity27 che, come indica bene Ulf Hannerz (1992: 231), è fenomeno urbano per eccellenza, e in questo senso pienamente rispondente alla nuova domanda sempre più in ascesa di «economia delle esperienze» descritta da James Gilmore e Joseph Pine (1999). è quasi superfluo sottolineare come la scena urbana, secondo l’esempio del caffè Florian a Venezia fornito dai due studiosi americani, sia in grado di garantire esperienze – o «situazioni», come preferisce definirle Silvio Rubbia (Gilmore e Pine, 1999: XI) – ben più reali e pregnanti rispetto a

84. Diagramma delle interazioni nel Distretto del Turismo Urbano [Page, 1995].

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85. Aree funzionali del cluster turistico [Page, 1995].

quelle (pre)confezionate ad hoc dei parchi a tema o di «iperluoghi» (Rossi, 1998) simili. Va però detto che il processo di mercificazione del prodotto città e il soggiogamento del territorio a una sorta di nuovo monofunzionalismo turistico possono d’altro canto fortemente contribuire, se non attentamente controllati, a sottrarre identità ai luoghi, trasformati sulla base di una domanda di mercato standardizzata di tipo internazionale (Fainstein e Gladstone, 1999). è vitale che l’ospitalità dei luoghi, strettamente connessa alla loro predisposizione intrinseca ad accogliere e creare relazioni ed esperienze (Consonni, 2003), sia intesa come la causa e non, viceversa, come l’effetto della possibilità di richiamare visitatori e turisti: l’arte della seduzione, in altri termini, opera con altri mezzi rispetto alla pratica dell’adescamento. Così, la concentrazione, o clusterizzazione, di elementi turistici e servizi urbani non deve impedire la varietà: la complessità che nasce dalla commistione è elemento fondamentale per la soddisfazione anche di una nuova e crescente domanda di esperienze. A questo proposito alcune ricerche hanno studiato i raggruppamenti funzionali dell’area urbana, identificando il Ricreational Business District (RBD) come area urbana correlata al Central Business District (CBD), pervenendo infine alla definizione dell’ibrido Tourism Business District (TBD) (Page, 1995: 67). In un tale contesto, le indicazioni progettuali finalizzate allo sviluppo turistico e dell’economia del tempo libero riscontrabili nella letteratura specializzata possono offrire alcuni riferimenti anche per il disegno della città 193


86. Romania: fasi della Strategia di Sviluppo Turistico [Baud-Bovy & Lawson, 1998].

in chiave competitiva, tanto più che in entrambi i casi l’iniziativa privata costituisce il principale motore di ingenti trasformazioni che dovrebbero conciliarsi con l’interesse pubblico. Per esempio Manuel Baud-Bovy e Fred Lawson (1998: 97) pongono i seguenti aspetti progettuali alla base del disegno dei parchi tematici: l’area di ingresso; il flusso pedonale; il sistema del trasporto pubblico; i landmark; il paesaggio; i luoghi per l’intrattenimento (in particolare in presenza di code); le strade di servizio; le aree per attrazioni future; la sicurezza. Come si può notare la maggior parte di questi temi è considerata anche nei casi di riqualificazione e di trasformazione urbana realizzati in una prospettiva di rivitalizzazione sociale ed economica delle aree urbane. Inoltre alcune indicazioni, come la preservazione di superfici per la costruzione di attrazioni future, potrebbero costituire, senza eccessivo stupore, spunti progettuali o strategici per il disegno della città improntata a un’economia di consumo. Se, come affermano James Gilmore e Joseph Pine (2000), l’economia delle esperienze richiede un costante rinnovamento per rimanere a lungo competitiva attraverso la continua re-invenzione di se stessa, anche la città, considerata in questa ottica ristretta, può divenire oggetto di una trasformazione pianificata nel tempo con lo scopo di rendere sempre interessante l’azione di rinnovamento. Nel caso dei parchi tematici il rinnovamento ideale dovrebbe essere condotto annualmente con un impegno economico pari a un decimo di quello iniziale (Baud-Bovy e Lawson, 1998: 97). Per le 194


aree urbane naturalmente non è possibile determinare lo stesso ritmo: una strategia simile potrebbe piuttosto essere affidata invece a eventi stagionali, come nel caso dei festival culturali. Viene inoltre sottolineata l’importanza di una concezione del progetto per fasi, di cui la prima costituisce la principale occasione per testare, attraverso un’opportuna diversificazione dell’offerta, le risposte del mercato e orientare conseguentemente le realizzazioni successive; il phasing garantisce infatti sia la flessibilità necessaria alla realizzabilità finanziaria dell’impresa sia la possibilità di far funzionare e autosostenere economicamente il complesso turistico (case di villeggiatura o parco tematico) prima del suo definitivo completamento. Il progetto a questo scopo deve poter essere sviluppato per poli, badando che sia assicurata la massima accessibilità sin dalle prime fasi di realizzazione, mentre si dovrebbe evitare che le successive edificazioni creino conflitto con la parti già operative. Le azioni da intraprendere secondo questa strategia sono distinte secondo archi temporali a lungo termine (10-15 anni), breve termine (4-6 anni) e azioni urgenti (1-2 anni) (BaudBovy e Lawson, 1998: 169). La redazione del masterplan si conferma ovviamente anche in questo caso un importante elemento di controllo e di promozione presso i potenziali investitori. Edward Inskeep (1991), riferendosi soprattutto al turismo congressuale, oltre a confermare aspetti progettuali analoghi a quelli appena visti, indica

87. Londra: analisi dei luoghi e delle destinazioni turistiche [Page, 1995].

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l’opportunità di raggruppare le strutture di accoglienza in cluster correlati con adeguati percorsi pedonali alle maggiori attrazioni cittadine; inoltre sottolinea l’importanza di un urban design di qualità in grado di marcare la differenza dei luoghi di progetto rispetto ad altre località “rivali” e della redazione di opportune guidelines architettoniche per il coordinamento e il controllo dell’immagine dei progetti finalizzati allo sviluppo turistico. Stephen Page (1995: 61), riportando l’approccio analitico sviluppato da Myriam Jansen-Verbeke relativo al progetto delle attrazioni urbane, le divide in tre gruppi: 1. Elementi primari (monumenti, edifici religiosi, porti, strade storiche, edifici di pregio, parchi e aree verdi, waterfront): sono a loro volta distinti in luoghi culturali (concert halls, cinema, mostre, musei, teatri), sportivi (indoor e outdoor), ricreativi (bingo, casinò, festival, locali notturni, eventi organizzati). 2. Elementi secondari: hotel e catering, mercati e negozi. 3. Elementi addizionali: accessibilità e parcheggio, strutture per il turista (uffici informazione, segnali e mappe, ecc.). Il controllo degli elementi cosiddetti secondari del progetto in chiave turistica diventano spesso fondamentali per la competitività di quelli primari. Infatti se le città, come è successo negli Stati Uniti (Frieden e Sagalyn, 1989), si attrezzano con strutture identiche (le cosiddette «collezioni di trofei dei sindaci») per intercettare gli stessi segmenti del mercato turistico, la valorizzazione delle differenze tra i luoghi, oltre che da eventuali servizi specificamente connessi a tali elementi, è ovviamente dipendente dai cosiddetti elementi secondari, vale a dire dai caratteri identitari dei contesti (Judd, 1999). Inoltre, come sottolinea anche Matteo Caroli (1999: 195), un’area urbana può essere attrattiva pur non essendo dotata di particolari attrazioni. In questo caso l’attrattività può essere data, anziché dalla presenza di uno o più magneti, da una sommatoria di elementi discreti che contribuiscono a rendere il luogo piacevole ed ospitale. Igino Rossi definisce questa caratteristica ambientale come una proprietà percettiva di tipo «ludico-romanticosensoriale» (Rossi, 1998: 193). Inoltre se gli elementi attrattori visti nei vari casi studio sono progettati in genere con uno scopo principalmente riconducibile a una strategia di marketing esterno, la capacità di attrazione, ovvero la qualità ambientale dei 196


luoghi, deve essere considerata un elemento comunque necessario, se non obbligato, per rispondere alle esigenze dei residenti e dunque rivolto alla soddisfazione di una domanda interna. Come è stato mostrato da Enrico Valdani e Fabio Ancarani (2001: 45-54), le due strategie di marketing interno ed esterno, se ben condotte e integrate, possono dare origine a un circolo virtuoso tra soddisfazione interna e attrattività esterna. La parte analitica dei caratteri fisici del contesto che precede il progetto dovrà quindi identificare, tramite un’analisi Swot, gli elementi utili e quelli di ostacolo al soddisfacimento della domanda interna ed esterna e alla loro virtuosa interazione. Avendo infatti presente tanto gli obiettivi strategici generali e particolari quanto le possibili manovre progettuali sopra identificate, dovrebbe essere possibile tracciare una mappa accurata dei caratteri di eccellenza, degli elementi detrattori, delle opportunità e dei vincoli progettuali offerti dai contesti. L’analisi Swot giunge pertanto ad articolare il progetto attraverso l’individuazione di opportunity sites, di aree cioè di cui si è verificata l’opportunità, la possibilità e la modalità più consona di trasformazione rispetto ai benefici attesi, razionalizzando e contenendo costi e tempi di intervento. Tale processo consente di non disperdere risorse bensì di canalizzarle verso il conseguimento di obiettivi chiari e maggiormente condivisi. Il fine ultimo della strategia di disegno urbano è infatti duplice: da un lato potenziare le possibilità di attrazione date dalle risorse esistenti o potenzialmente acquisibili e dall’altro ribaltare gli elementi detrattori di un’area urbana volgendoli, ove possibile, in fattori positivi, in particolare nel caso del recupero e del miglioramento delle infrastrutture ambientali: dalle aree a verde ai corsi d’acqua e al suolo urbano contaminato (frequente nelle operazioni di recupero di ex aree industriali). Per esempio nella trasformazione urbana di Shanghai si è provveduto a trasformare le aree lungo il fiume, desolate, degradate e inquinate, in aree ad alto valore ambientale (Marshall, 2001a). Nel caso di Rotterdam invece, come poi in altre realizzazioni a Bilbao o a Lisbona (Van der Berg., van der Meer e Otgaar, 1999), le due sponde del fiume, che agiva precedentemente da barriera dando origine a una città duale, sono state riavvicinate, rendendo il corso d’acqua un elemento unificante e l’area da riqualificare estremamente accessibile. Da questo punto di vista sono oggetto di disegno strategico tutte le aree degradate 197


in genere e dunque anche le piazze e analoghi spazi pubblici verso i quali il traffico automobilistico costituisce una forma di inquinamento con ripercussioni maggiori di quelle meramente atmosferiche o acustiche. Così per esempio gran parte delle ex città industriali inglesi, soprattutto le core cities metropolitane, hanno optato per questo particolare tipo di bonifica, riportando i luoghi pubblici alla loro originaria complessità dei modi d’uso e facendone importanti punti di concentrazione della vita urbana. 1

Il progetto urbano in chiave competitiva deve essere valutato e pensato come momento di (ri)equilibrio tra attrattività e accessibilità. In Italia, molto spesso, se da un lato si invoca un maggiore investimento nel potenziamento infrastrutturale del territorio, dall’altro ci si interroga troppo poco sul conseguente livello di qualità che è opportuno assicurare o che potrebbe potenzialmente derivare dal maggiore accesso auspicato. Così per esempio, soprattutto rispetto a quanto hanno dimostrato i casi studio riportati, sorprende l’assoluta mancanza di una strategia complessiva rispetto alle aree dismesse dislocate in punti ad altissima accessibilità lungo i principali assi di comunicazione (in particolare dei tracciati ferroviari) del territorio milanese e lombardo. Qui lo squilibrio tra accessibilità e risorse territoriali è palmare, per quanto risulti di segno opposto a quello indicato generalmente dai principali rappresentanti del mondo imprenditoriale: ma così come la questione infrastrutturale richiede un intervento coordinato degli enti territoriali preposti, allo stesso modo non è concepibile che le sorti di aree preziosissime per lo sviluppo competitivo del territorio siano decise a scala locale al di fuori di qualsiasi visione strategica d’insieme e siano dipendenti unicamente dagli interessi contingenti, per quanto legittimi, delle amministrazioni municipali e delle imprese immobiliari. 2 I dati sono tratti dal sito del comune di Birmingham (voce «About the Bullring» in www. birmingham.gov.uk, 2005). 3 La tipologia del Festival Marketplace ha origine nei primi anni sessanta con la costruzione di Ghirardelli Square a San Francisco. Con questo termine si definiscono delle aree commerciali denotate da particolari strutture per la ristorazione e il tempo libero destinate prevalentemente a soddisfare la domanda degli impiegati in pausa pranzo, dei turisti e delle utenze serali e del fine settimana. Con la diffusione di queste nuove tipologie di mercato venne data anche maggiore enfasi agli spazi pubblici come luoghi per lo shopping e per il consumo di cibi e bevande. Nelle città maggiori i festival Marketplace comprendono spesso vaste superfici di negozi: alcuni esempi americani sono il Faneuil Hall Marketplace a Boston, il Bayside Marketplace a Miami e l’Harborplace a Baltimora (Rubenstein, 1992: 233-234). A livello internazionale questo tipo di cluster è stato adottato, tra le altre, anche da città come Sydney, Bilbao, Brema, Genova e Trieste. 4 I principi di qualità del disegno urbano e architettonico utilizzati come elemento di paragone sono quelli indicati dalla guida ministeriale By Design: carattere; continuità e internità dello spazio aperto; qualità dei luoghi pubblici; facilità di movimento; leggibilità; adattabilità; diversità. 5 In realtà la domanda residenziale è in particolari circostanze viziata dal livello della finanzia immobiliare, la quale induce ad incrementare l’offerta di costruzioni non in base alla reale domanda abitativa bensì spinta dalla domanda di nuove forme di investimento redditizio (MacLaran, 2003: 51-52). 6 Nel caso di Bilbao, come già richiamato, l’opportunità di edificare un nuovo museo d’arte moderna di portata europea non era stata inizialmente considerata da alcun livello di piano (Rodríguez e Martínez, 2003: 199-200). Il progetto però, in virtù della coerenza che dimo-

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strava con gli obiettivi strategici che si andavano delineando, ha potuto essere facilmente inserito nell’area di Abandoibarra in prossimità del Museo de Bellas Artes in modo da sviluppare opportune economie di scala. 7 Un esempio evidente di questo concetto è rappresentato dal masterplan di Zaha Hadid per l’isola di Zorrozaurre a Bilbao. 8 In diversi casi può presentarsi ad esempio la necessità di creare una massa critica quale indispensabile premessa per il successo di ogni intervento successivo, come nel caso del Wilhelminahof presso il Kop van Zuid a Rotterdam (Miedema e Oude Engberink, 1998). 9 «Si crea della sinergia allorché quelle parti del progetto il cui sviluppo permette di creare profitti immediati, come nel caso di uffici, negozi e residenze, sono correlate nelle fasi di sviluppo e realizzazione con altre parti del piano che non generano ricavo, come infrastrutture, parcheggi e trasporti pubblici. La combinazione delle due produce grandi vantaggi economici per entrambe le parti in causa» (Van den Bout e Pasveer, 1994: 64). 10 Cfr. anche il sito http://en.agora.lu/en/project_belval/concept/, 2005. 11 Cfr. anche il sito www.dsv.rotterdam.nl/english/strategic_areas.htm, 2004. 12 È il caso, ancora una volta, del polo di Birmingham formato dal NIA, dal ICC, dalla Symphony Hall e dalle attrazioni per il tempo libero (una sorta di piccolo Festival Marketplace) costruite lungo il canale. 13 La Plaza Desierto di Eduardo Arroyo per esempio, includendo nel progetto anche alcune preesistenze dell’ex area industriale su cui sorge, si caratterizza per un disegno molto elaborato degli spazi verdi che la compongono, che si configurano come delle stanze urbane; tuttavia la scelta di utilizzare una vegetazione prevalentemente bassa conserva a questa sorta di giardino l’aspetto originario della tipica piazza interna a un isolato quadrato urbano (Bilbao Ría 2000, 2002). 14 È soprattutto il caso del ricorso sempre più frequente alla cosiddetta street art, presente in abbondanza nei progetti degli spazi pubblici di Birmingham e di Bilbao (specialmente nel Paseo della Memoria ad Abandoibarra): si tratta, in genere, di elementi scultorei introdotti con l’obiettivo di arricchire esteticamente e percettivamente lo spazio urbano, e per questo usati spesso, grazie al loro impatto visivo, anche come strumenti di marketing. 15 Quelli che Borja e Castells definiscono «metastasi» urbane (2000: 141 e 155). 16 Nel caso del nuovo quartiere di Rotterdam il trasferimento nel Wilhelminahof di alcuni importanti edifici amministrativi statali, con il relativo impegno economico che ciò ha comportato, è stato un fattore decisivo per il coinvolgimento degli operatori privati (Van der Berg, Van der Meer, Otgaar, 1999). A sua volta l’edificazione del Kop Van Zuid ha indotto alla trasformazione urbanistica anche della dismessa area limitrofa di Katendrecht. 17 Nel caso di Brindleyplace però questo ruolo è stato svolto, in maniera egregia, dalla piazza centrale. 18 Business Link è una rete governativa di sportelli locali per la consulenza nell’avviamento di imprese, finanziata dal Department for Trade and Industry (DTI) (www.businesslink.gov. uk, 2005). 19

Le informazioni sono state ricavate dal sito www.southamptonhub.com, 2005. Si vedano in proposito i siti Web www.schiecentrale.nl, 2005 e www.lloydkwartier.nl, 2005. 21 www.parkstad.rotterdam.nl, 2005. 22 Il programma, iniziato nel 1991 con il nome di Social Return costituiva un punto di riferimento per le politiche di redistribuzione delle nuove opportunità legate al Kop Van Zuid. Il programma si sviluppa intorno a tre filoni: canalizzazione delle nuove domande di lavoro verso l’offerta locale, rinforzo della struttura economica locale, sviluppo di servizi e prodotti innova20

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tivi. Sebbene Van der Berg, van der Meer e Otgaar (1999) esprimano al riguardo un giudizio positivo, i ricercatori dell’Urspic (Miedema, Oude Engberink, Van der Aa, 1998) si mostrano più scettici e severi nel valutare i risultati ottenuti nei primi anni di attività. 23 Il settore turistico costituisce l’8÷13% dell’economia complessiva della città, e impiega nel settore il 6÷7% della forza lavoro, percentuale nella media delle città statunitensi (Ehrlich e Dreier, 1999: 158). 24 Il Faneuil Hall Marketplace (comprendente il Quincy Market), aperto nel 1976, è uno shopping centre urbano disegnato da Benjamin Thompson per la Rouse Corporation e posizionato al crocevia tra il distretto finanziario, il centro governativo, il Freedom Trail, il North End e il waterfront. È stato a più riprese tacciato di essere una finta scenografia eretta per l’esaltazione del consumismo dove persino gli street performers sono accuratamente selezionati. Il successo del Faneuill Hall Marketplace ha aiutato successivamente a portare l’attenzione al waterfront, dove i primi progetti, in mancanza di un piano complessivo, non diedero i risultati aspettati. Ultimamente si sono intrapresi diversi programmi di riqualificazione degli spazi pubblici, soffocati da funzioni commerciali e private e perciò scarsamente attrattivi. Copley Place e il Prudential Centre costituiscono invece un mix funzionale di uffici, residenze, alberghi e centro congressi (ma utilizzato anche dagli abitanti locali), integrato con l’intorno attraverso gli spazi pubblici, e tuttavia introverso nella forma e fuori scala rispetto al tessuto circostante (Ehrlich e Dreier, 1999). 25 Ashworth e Tunbridge (Page, 1995: 48-50) individuano quattro tipologie basilari di turisti sulla base dei motivi e dell’area di spostamento: gli «utenti intenzionali esterni alla regione» (Heritage Tourists) includono persone in città per vacanza o escursioni esterne alla città; «utenti intenzionali interni alla regione» (Recreating Residents); gli «utenti occasionali esterni alla regione» (Non-recreating visitors) includono persone in città per congressi o in visita ad amici/ parenti; gli «utenti occasionali interni alla regione» (Non-recreating Residents) includono infine i normali cittadini che utilizzano quotidianamente la città. 26 È interessante a questo proposito il fatto che esista una branca di studi di interior design incentrata sul rapporto tra spazio, luogo, esperienza ed efficienza lavorativa nell’economia della conoscenza (una sorta di taylorismo post-fordista): per una panoramica sull’argomento si vedano Ward e Holtham (2000) e il sito www.steelcase.com, 2005. 27 Così viene definito dall’Oxford English Dictionary: «Serendip, a former name for Sri Lanka + -ity. A word coined by Horace Walpole, who says (Let. to Mann, 28 Jan. 1754) that he had formed it upon the title of the fairy-tale `The Three Princes of Serendip’, the heroes of which `were always making discoveries, by accidents and sagacity, of things they were not in quest of’. The faculty of making happy and unexpected discoveries by accident. Also, the fact or an instance of such a discovery. Formerly rare, this word and its derivatives have had wide currency in the 20th century».

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Capitolo 4. Conclusioni: limiti e risorse del progetto urbano strategico

4.1 Competitività metropolitana e qualità del progetto urbano: un binomio possibile? I principi progettuali sopra individuati intendono offrire un primo contributo per mettere in luce alcuni possibili apporti scarsamente esplorati del disegno urbano nella redazione di piani strategici mirati a conseguire vantaggi competitivi. L’approfondimento di questa sorta di grammatica elementare del progetto urbano in una prospettiva di marketing territoriale, qui condotta con un certo grado di astrazione teso a porre in particolare risalto sfumature individuali di principi nella realtà più complessamente mescolati, potrebbe portare alla definizione più accurata di alcuni parametri qualitativi e quantitativi di valutazione progettuale. Troppo spesso infatti i privati o le pubbliche amministrazioni annunciano apoditticamente i vantaggi – soprattutto in termini quantitativi – di presunti interventi di rigenerazione, quasi presupponendo che la sola e semplice azione di trasformazione costituisca di per sé un bene insindacabile per la collettività. Oppure vengono sbandierati come modelli ispiratori risultati formali e prassi progettuali internazionali superficialmente e spesso maliziosamente presi a riferimento come alibi per smaccate speculazioni edilizie o per spregiudicate e ingenue politiche di gestione del territorio. Pertanto la rispondenza del progetto ai requisiti espressi, ricavabili come si è dimostrato da una casistica diffusa di good practice internazionali attentamente selezionate, dovrebbe poter contribuire a verificare la coerenza del disegno dei luoghi rispetto agli obiettivi sociali ed economici di piano dichiarati e a migliorarne l’efficacia complessiva. Alcuni dei principi progettuali, come per esempio l’utilizzo di landmark o il ruolo del riuso di architetture preesistenti, oppure la particolare attenzione posta sugli aspetti dell’economia urbana legati al commercio, al 201


turismo o all’industria immobiliare, presentano delle ambiguità nei confronti delle quali sarebbe opportuno condurre ulteriori approfondimenti. L’obiettivo della competitività infatti, anche quando sorretta da una visione di sostenibilità ambientale e di perequazione sociale, non dovrebbe essere un fine totalizzante che porti a giustificare qualsiasi mezzo atto a conseguirla. Il fatto che le aree urbane e, più in generale, il territorio possano essere ridotti dai meccanismi del mercato a prodotti commercia(bi)li, soggetti, come qualsiasi altro bene di consumo, a strategie industriali di marketing, deve tenere alta l’attenzione nei confronti di possibili derive neopositiviste, o semplicemente ciniche, che finiscano col depauperare la ricchezza e le molteplici dimensioni dell’abitare. Gran parte delle indicazioni progettuali richiamate nel presente studio non possono sicuramente definirsi innovative: la ricerca sulle buone pratiche inerenti la pianificazione e il progetto delle città è infatti sufficientemente datata da aver oramai lasciato ben poco materiale inesplorato. È interessante però notare come il processo di globalizzazione abbia tra le altre cose indotto a prendere finalmente – tardivamente, sarebbe meglio dire – in considerazione quegli studi incentrati sulla qualità dei luoghi urbani e ignorati per decenni dalla comune pratica urbanistica ed edilizia. Anche se è una situazione difficilmente accettabile in un sistema di governo democratico, le istanze di qualità avanzate per circa quarant’anni da una vasta parte del mondo accademico, professionale e civile sono state prese in considerazione da istituzioni e pubbliche amministrazioni unicamente in risposta alle pressioni esercitate dall’apparato economico globale. Si pensi ad esempio alla strada, a come essa sia stata rivalutata: la maggior parte della manualistica anglosassone in materia si rifà a studi condotti dagli anni settanta e ritenuti ancora fondanti punti di riferimento. La qualità, la complessità e la centralità originaria dell’architettura e del disegno dei luoghi nello sviluppo delle città possono fornire un potente antidoto contro la banalizzazione e l’omologazione indotte del mercato di massa. Viceversa le qualità prestazionali e intangibili – pur fondamentali – di stampo pianificatorio, un tempo predominanti, sono considerate sempre più come vantaggi complementari ma, a causa della loro relativa astrattezza, non sufficienti a garantire i livelli di competitività ottimali. La cosiddetta vision è pertanto intesa non solo come una proiezione degli intenti e delle ambizioni di 202


sviluppo della comunità cittadina, ma anche come un’immagine tangibile e rappresentabile degli effetti del buon governo. Quali difese sono possibili, all’opposto, contro il mercato globale d’élite della «città effimera» ed esclusiva, che sembra monopolizzare oggi molte importanti occasioni di rigenerazione urbana (Kotkin, 2005)? Siamo spesso in presenza di politiche miopi, figlie premature e gracili di scelte strategiche di mercato opportunistiche e voraci. Semmai la scarsità, la precarietà e l’imprevedibilità del bacino d’utenza considerato dovrebbero condurre più razionalmente a privilegiare interventi destinati a una più vasta gamma di cittadini-utenti. Infatti il breve orizzonte temporale preso a riferimento e la fondamentale inconsistenza di certe scelte sono purtroppo generalmente destinate, salvo in rare eccezioni, a risultati controproducenti e a disfatte disastrose. È necessario pertanto sapere come indirizzare e governare il mercato, anche solo per difenderlo dalla intemperanza cannibalistica che più che mai la contraddistingue. A questo proposito, dal punto di vista della disciplina urbanistica, un aspetto emerso con estrema chiarezza, considerando sia i risultati positivi che negativi offerti dai casi studio, è la centralità della dimensione processuale dell’approccio progettuale. I principi precedentemente enucleati e la forma urbana che contribuiscono a plasmare sono infatti fortemente caratterizzati dagli aspetti gestionali della trasformazione del territorio, rispetto alla quale risulta indispensabile fissare in maniera limpida e precisa i termini della contrattazione tra le diverse forze in gioco. Solo assumendo e risolvendo questi nodi problematici nell’impostazione del progetto è possibile evitare che essi vengano totalmente elusi o risolti sbrigativamente nelle fasi conclusive del processo in favore quasi immancabilmente dei poteri forti e spesso ricattatori – specialmente nei confronti dei comuni più piccoli – dei capitali privati. Il progettista contemporaneo, se intende risultare incisivo rispetto alla qualità e alla sostenibilità sociale, economica e ambientale dell’abitare, non può rimanere indifferente a questo stato di cose. L'impegno per il superamento della ristretta concezione dello sviluppo su cui si fonda il modello economico e sociale oggi dominante dovrebbe condurre tuttavia l’architetto a comprendere, piuttosto forse che negare, i meccanismi che regolano i nuovi processi di trasformazione, per impadronirsi degli strumenti interdi203


sciplinari più adatti a controllarli e modificarli. La conservazione dell’identità culturale del territorio e l’equa diffusione di opportunità e valori da esso espresse, impongono al progettista non solo di conoscere dove e come indirizzare i propri sforzi per conseguire desiderati obiettivi economici e occupazionali, ma anche, gestendo sapientemente gli inevitabili compromessi, quali risorse, regole e politiche si debbano accompagnare al nuovo assetto urbano e territoriale per bilanciarne gli effetti nel modo più sostenibile e lungimirante possibile. Si tratta di due aspetti non più scindibili: non si dà qualità dei luoghi senza che sia garantito ugualmente anche il pari diritto di abitarli da parte della intera collettività dei cittadini. Né, d’altra parte, è ormai possibile progettare la città, o parti di essa, senza rendere conto delle condizioni economiche su cui si fondano le proposte e del loro inserimento nel mercato locale. Da queste considerazioni si rileva la necessità di abbandonare approcci massimalisti o settoriali per arricchire con una maggiore consapevolezza e comprensione della complessità le competenze di professionisti e ricercatori, il cui lavoro non si ponga aristocraticamente o incoscientemente al di fuori delle logiche di mercato, ma si muova anche dal loro interno con la dovuta preparazione nella prospettiva di superarle nel perseguimento di finalità più alte.

4.2 Elementi di disegno strategico adottati dalle città “imprenditoriali” L’analisi di casi studio internazionali ha permesso di delineare alcuni principi progettuali ricorrenti nelle riconversioni di parti dismesse della città e nella riqualificazione urbanistica ed economica dei centri storici. Negli esempi migliori, come quello di Birmingham, questi due tipi di azione – trasformazione e riqualificazione – non costituiscono un’alternativa, bensì due linee di intervento urbanistico–architettonico ricomprese all’interno di una strategia unitaria. La principale differenza tra i due approcci, considerata dal punto di vista del marketing urbano, è costituita dal ruolo degli operatori privati nel progetto. Nel caso della riqualificazione urbana, la strategia, interessando capitali privati relativamente ridotti1, di solito tende principalmente a interve204


nire a scala di quartiere sul recupero degli spazi pubblici, delle architetture che lo definiscono e, più in generale, sulla qualità del paesaggio urbano in funzione dello sviluppo delle attività commerciali esistenti e dell’attrazione di nuove. Il progetto, elaborato secondo un principio di tipo bottom–up, richiede il coinvolgimento di numerosi attori locali e il coordinamento centralizzato di iniziative diversificate. Nel caso invece dei progetti di trasformazione urbana l’intervento del capitale privato risulta determinante per l’attuazione di opere spesso ingenti, per quanto in diversi casi sia un investimento non inferiore di risorse pubbliche a rivestire il ruolo principale nell’innesco e per il buon esito del processo. I protagonisti e i principali beneficiari di siffatte operazioni non sono più, come nella situazione precedente, raggruppamenti locali di piccoli e medi imprenditori privati. In questo caso, mentre i soggetti di riferimento sono in genere poche aziende immobiliari, la precisa definizione dei beneficiari, data in genere la complessità della stima delle ricadute locali (Page, 1995: 115), risulta assai difficile. Di conseguenza la gestione del programma, anche qualora sia di tipo partenariale, vede coinvolti un minor numero di attori e, sebbene in più occasioni implichi la partecipazione o l’ascolto delle comunità locali, si configura ciononostante prevalentemente secondo un criterio di tipo top-down (Moulaert, Rodriguez e Swyngedouw, 2003b: 58). Le strategie di disegno urbano messe in pratica nei casi studio analizzati nascono prevalentemente dalla dialettica di due binomi: – densità e relazione; – punti di controllo e tessuto indeterminato. La densità si può considerare come il rapporto tra due tensioni contrapposte: l’economia di scala legata alla concentrazione di determinate funzioni e la varietà derivante dalla prossimità spaziale di diverse destinazioni d’uso. La relazione si fonda a sua volta sulla struttura degli spazi aperti, sulla tensione tra i modi d’uso che ospitano e tra gli elementi architettonici e sul rapporto scalare tra le componenti del progetto. I punti di controllo e il tessuto indeterminato – in particolare nella definizione quantitativa e funzionale – delimitano invece il grado di flessibilità del progetto in rapporto agli obiettivi e ai principi di identità fissati e contribuiscono sensibilmente a ridurre il rischio di impresa tramite una corretta combinazione di garanzie e discrezionalità. 205


L'amalgama di questi quattro elementi in funzione degli obiettivi di piano porta alla definizione di una struttura progettuale reticolare, configurata secondo alcuni principi strategici ricorrenti, spesso a loro volta interrelati o ibridati. Lo scopo del progetto strategico reticolare è principalmente quello di razionalizzare gli sforzi economici di trasformazione/riqualificazione, massimizzandone gli effetti nel contesto secondo un criterio distributivo e incrementale. Iil fatto di procedere in porzioni diverse dell’area urbana attraverso l’attuazione di diversi tipi di intervento e a scale diverse consente una notevole libertà di movimento all’interno di una situazione resa estremamente complicata dalla molteplicità degli attori coinvolti, dalle rigide e inderogabili esigenze dei soggetti finanziatori e, infine, dalla complessità delle forze e dei fattori che generalmente influenzano e determinano le dinamiche urbane. Progetti dalla struttura particolarmente bloccata, la cui attuabilità dipenda in maniera troppo stretta solamente da uno o due interventi o eventi piuttosto complessi, risultano infatti maggiormente esposti a variabili esogene (imprevisti legati a problemi burocratici, di costi o di tempistiche) e dunque più difficilmente catalizzano l’interesse degli indispensabili capitali privati. La definizione del progetto di disegno strategico, secondo una prassi tipica dei piani strategici aziendali, deve dunque essere introdotta da un’analisi del contesto che ne metta a fuoco potenzialità, conflitti e nodi irrisolti. L’analisi di tipo Swot, ricavata ricomponendo in una lettura di sintesi piani e analisi tematiche di solito concepiti e applicati in maniera settoriale, contribuisce a focalizzare i principali obiettivi da perseguire e a localizzare una gerarchia di opportunity sites. Il progetto deve essere elaborato secondo una prospettiva processuale: la logica del disegno reticolare comporta che le opportunità localizzative su cui si fonda il piano siano correlate da una valutazione tassonomica, la quale, mettendone in luce vari gradi di priorità o complementarietà, possa individuare un certo numero di configurazioni alternative – o scenari – e delineare una strategia temporale fondata sulla correlazione di piani di attuazione a breve, medio e lungo termine. Gli esempi di Brindleyplace o di Hafencity dimostrano come, anche a scale estremamente diverse, il progetto urbano, se debitamente studiato con tali finalità, possa svilupparsi in fasi successive articolandosi per parti autosufficienti ma integrabili proprio in virtù della qualità relazionale degli spazi 206


aperti. Questo processo consente la massima flessibilità di realizzazione, soprattutto da parte dei privati, tanto in termini temporali quanto nella definizione delle quantità nelle destinazioni d’uso. L’approccio incrementale – alla base del programma statunitense del Main Street Program e tipico di certa edilizia turistica (Baud-Bovy e Lawson, 1998: 157) – consente pertanto di conseguire tre vantaggi principali: 1. la calibratura delle realizzazioni nel tempo, sulla base dell’andamento del mercato; 2. il finanziamento della fase successiva attraverso i proventi economici di quella precedente; 3. il conseguimento di un effetto volano derivante dall’attivazione scaglionata di elementi particolarmente attrattivi. L’ultimo punto, in particolare, richiede al progetto di sapere localizzare gli elementi catalizzatori non solo in funzione della loro ricaduta spaziale sul contesto (flussi pedonali, accessibilità, interazione con le attività del tessuto esistente) ma anche in modo da ottimizzare tali effetti in rapporto alla sequenza di realizzazione programmata. Il successo e l’apporto positivo di alcuni interventi, come insegna in particolare il caso di Brindleyplace2, può risultare infatti fortemente condizionato dal momento scelto per la loro realizzazione all’interno del processo di trasformazione/riqualificazione. Naturalmente una simile strategia, poiché potrebbe facilmente scadere, nei casi peggiori, nell’edificazione di contenitori autoreferenziali o standardizzati connessi da una griglia indifferenziata, richiede il massimo controllo formale degli interventi perché siano concepiti come soggetti in reciproca relazione e disegnati con una propria identità. In questo caso il progetto, attraverso opportune linee guida, deve definire innanzitutto le principali indicazioni metaprogettuali circa il carattere e il ruolo dei vari luoghi: la struttura del paesaggio urbano e la tassonomia degli spazi pubblici, i principi architettonici significativi, le funzioni fondanti. Le unità che compongono il progetto complessivo, come nel caso del Kop van Zuid, devono essere progettate in modo che «…l’intero risulti maggiore della somma delle sue parti» (Ketting, 2002: 9). L’inflazionato paradigma contemporaneo della rete – nel quale si sommano le caratteristiche di flessibilità imposte da una economia di mercato pervasiva e globale, il predominio di sistemi di relazione rafforzati e potenziati da infrastrutture ad alto contenuto tecnologico e la polverizzazione 207


del senso della collettività in soggetti e comunità locali – sembra dunque improntare di sé anche l’interpretazione delle trasformazioni territoriali di numerose aree metropolitane. L’attenzione verso gli elementi di disegno strategico così come si evince dai casi esaminati, risulta dunque di grande importanza sia nella fasi di concepimento e redazione di nuovi progetti, anche non necessariamente intesi in chiave competitiva3, sia come strumento di valutazione di interventi e politiche proposte da privati e pubbliche amministrazioni.

4.3 L’approccio strategico al progetto: nuove responsabilità e competenze per l’architetto La complessità e il costo delle trasformazioni pianificate, condotte secondo logiche di mercato, richiedono interventi che sappiano coniugare la ricerca di una qualità urbana sempre più elevata con la flessibilità necessaria per garantire ai finanziatori la massima riduzione dei margini di rischio imprenditoriale. È dunque necessario che il lavoro del progettista si integri maggiormente con tali processi strategici, così da costruire uno sguardo d’insieme sull’intero processo trasformativo: dalla sua concezione alla realizzazione fisica. L’architetto–urbanista non si troverebbe pertanto ad operare a valle di processi trasformativi già impostati, obbligato al rammendo o, peggio, alla cosmesi attraverso «…quella specie di polvere magica che si cosparge alla fine per far sembrare che tutto sia a posto» (Tibbalds, 1992: 4); ma potrebbe piuttosto diventare parte attiva nella definizione delle proposte strutturali così da non separare questa parte del processo dalla configurazione del disegno dei luoghi e dei paesaggi. Se il progetto è condizionato in maniera crescente da variabili eteronome allora è compito del progettista ampliare le proprie competenze per poter gestire – o almeno dialogare con – tali fattori esterni. Così ad esempio le argomentazioni abbastanza sbrigative di Aspa Gospodini sul possibile ruolo di rivitalizzazione economica derivanti ai centri urbani europei «periferici» dall’adozione di un «disegno urbano innovativo» (Gospodini 2002; Beriatos e Gospodini, 2003) non sembrano prendere nella dovuta considerazione l’importanza determinante del livello di integrazione economica locale e le modalità, anche e soprattutto spaziali, di redistribuzione presso le comunità residenti dei vantaggi perseguiti dall’in208


troduzione di particolari elementi di attrazione. Anche tralasciando l’aspetto della scarsa stabilità del settore turistico e della effettiva ricaduta occupazionale in termini qualitativi e quantitativi (Law, 1993), non è inoltre da sottovalutare il rischio che si determini – come avvenuto per esempio proprio nel modello di Baltimora (Hula, 1990) – un dualismo fisico, economico e sociale all’interno della città (Moulaert, Rodriguez e Swyngedouw, 2003b). Questo esempio dimostra la necessità di uno sguardo “lungo” sul progetto che comprendendone a fondo presupposti e ripercussioni lo sappia forgiare e gestire attraverso politiche settoriali complementari per il conseguimento ottimale degli obiettivi preposti. Dal punto di vista economico la ripercussione della globalizzazione nei confronti del progetto urbano, come si è visto, è caratterizzata prevalentemente da un duplice aspetto. Da un lato, col graduale ma inesorabile processo di ridimensionamento, o di dismissione, del Welfare le risorse pubbliche devolute alla trasformazione e riqualificazione dello spazio urbano si sono notevolmente assottigliate. In diverse nazioni sono state create strutture di partenariato tra pubblico e privato – come ad esempio le Société d’Economie Mixte francesi o le nuove Urban Regeneration Companies inglesi o le Società di Trasformazione Urbana italiane – finalizzate al progetto, alla realizzazione e alla gestione di porzioni importanti e strategiche del tessuto urbano. Dall’ideazione del masterplan fino al disegno dell’architettura il progettista deve dunque avere presente gli elementi e le questioni che influiscono sulla finalità e sostenibilità economica dell’intervento. Dall’altro lato, la trasformazione della base economica di molte aree urbane un tempo prevalentemente industriali impone la programmazione di nuove strutture produttive e di servizio, legate a settori innovativi e competitivi, ma allo stesso tempo si rivela un’occasione unica e straordinaria per riconfigurare il tessuto della città coniugando la trasformazione di vaste aree rese libere dalla dismissione dei vecchi impianti con le istanze di qualità dell’abitare avanzate dalle popolazioni locali. Il complesso delle discipline coinvolte nella progettazione urbana, che per molti versi escono in qualche modo indebolite e vincolate dal dover rispondere in maniera così rigida della realizzabilità economica delle proposte formulate, ciò nondimeno ne possono risultare arricchite, tanto in ter209


mini disciplinari, attraverso cioè la contaminazione con altri saperi, quanto in termini di efficacia e incisività nell’influenzare concretamente la qualità dell’abitare contemporaneo. Inoltre la prospettiva economica, diventata in alcuni contesti prioritaria nella definizione degli obiettivi delle politiche urbane, può costituire un nuovo stimolante orizzonte progettuale e di ricerca quantitativa, qualitativa e formale (non diversamente da come la questione residenziale ha determinato, tra le due guerre e fino alla fine dell’emergenza abitativa nei decenni successivi alla ricostruzione, le principali traiettorie dell’impegno accademico e professionale di numerosi architetti). La nuova agenda operativa richiede pertanto di condurre alcune riflessioni rispetto agli strumenti e alle competenze interne alla disciplina del progetto urbano. A una parte della ricerca europea che si occupa di urban design è già evidente la necessità di una conoscenza dei processi decisionali e dei comportamenti di attori spesso trascurati dalla disciplina del progetto urbano, nonostante ricoprano un ruolo determinante in rapporto al tema della qualità. Come evidenziano anche le politiche di programmazione e progettazione di alcuni paesi europei, la conoscenza delle dinamiche della finanzia immobiliare nella fase progettuale e creativa dell’intervento è elemento fondamentale. Poiché ormai non è quasi più possibile intraprendere medie e grandi opere di riqualificazione senza il coinvolgimento di operatori privati, diventa di primaria importanza per il progettista conoscere nel dettaglio i criteri e i metri di giudizio con i quali operano questi ultimi, di modo da facilitare il dialogo tra le parti in causa e raggiungere un equilibrio tra interessi pubblici e privati, tra logica di profitto ed esigenza di qualità ed equità. Questa consapevolezza ormai diffusa è espressa in modo molto chiaro da Matthew Carmona (Carmona, Heath, Oc e Tiesdell, 2003: 213): La conoscenza del processo di trasformazione immobiliare, in particolare dell’equilibrio tra rischio e compenso che lo guidano, aiuta gli urbanisti ad acquisire una conoscenza più approfondita sia del contesto in cui operano sia di quelle forze che agiscono sul meccanismo attraverso cui hanno origine e si realizzano le loro politiche di controllo formale, le loro proposte e i loro progetti. Gli urbanisti a cui manchino una tale consapevolezza e conoscenza sono in balia dell’industria immobiliare. Inoltre, siccome essi si ritrovano di frequente a dover difendere il ruolo del disegno urbano e, in particolare, di un disegno urbano di qualità superiore, i loro argomenti possono risultare più persuasivi se informati di tale consapevolezza.

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Non suscita stupore pertanto che in alcuni paesi come Inghilterra, Stati Uniti e Australia, dove un tale regime è in vigore da decenni, si siano intrapresi da tempo diversi studi sul rapporto tra la qualità del progetto urbano e il suo valore immobiliare, così da individuare gli argomenti e i provvedimenti più appropriati per guidare gli operatori privati verso pratiche di disegno informate a principi condivisi di sostenibilità4. Dunque – come indicano per il contesto americano anche Roberta Gratz e Norman Mintz (1998: 59-83) – l’esigenza di espandere i perimetri disciplinari dell’urbanistica a comprendere più vasti territori di ricerca è avvertita con forza crescente in contesti sempre più numerosi: la frammentazione del sapere dell’architetto in specialismi professionali segmentati e apparentemente impermeabili e la disgregazione dell’approccio progettuale secondo visioni parziali, scientifiche e settoriali risulta deleterio per il pensiero strategico, che all’opposto affronta la complessità delle situazioni procedendo per indirizzi di sintesi. Inoltre la scarsità delle risorse, in una prospettiva di sostenibilità, impone che esse siano considerate piuttosto come preziosi investimenti, i quali, in quanto tali, richiedono una gestione coordinata e valutazioni precise sulla loro allocazione e circa l’entità e la diffusione delle ricadute che sono in grado di generare. Il piano strategico diviene allora più che mai occasione per un confronto interdisciplinare, nel quale il ruolo dell’architettura e dell’urbanistica torna a essere centrale e determinante in una prospettiva sia di breve che di lungo termine. Come si è teso a dimostrare, gli strumenti progettuali architettonici e urbanistici, pur risultando in molti casi essenziali al conseguimento di vantaggi competitivi, necessitano, per amplificare la loro portata ed efficacia, di integrarsi con altri saperi e con altre politiche. Un’osservazione analoga è avanzata da Gastone Ave (2004: 244): Un piano di marketing urbano dovrebbe essere il prodotto professionale fornito agli enti locali non da una agenzia di comunicazione, ma da architetti e urbanisti che svolgono il ruolo di registi di un gruppo interdisciplinare. Tra le figure professionali da includere nel lavoro di gruppo vi sono economisti urbani, sociologi, storici dell’arte, ed esperti di comunicazione.

Una volta individuati gli obiettivi strategici, è importante che il progettista conosca i modi migliori per perseguirli, adoperandosi perché laddove non 211


sia sufficiente il disegno dei luoghi e la determinazione delle funzioni, agiscano un’adeguata struttura organizzativa e un sistema di politiche consone a raggiungere il traguardo al di là dei tradizionali limiti disciplinari del progetto urbanistico. L’esperienza del Mutal Benefit a Rotterdam fornisce in questo senso un esempio molto interessante di una possibile integrazione tra alcune condizioni strutturali e spaziali strategiche assicurate dal progetto urbano (la continuità della nuova trama con quella dei quartieri degradati limitrofi) e politiche sociali perequative, di immediata attuazione, finalizzate alla redistribuzione e al re–investimento presso le comunità locali dei vantaggi economici derivanti dalle trasformazioni urbane. Un’altra componente importante delle strategie di marketing territoriale è l’analisi demografica, condotta non più come un tempo per stimare il fabbisogno abitativo, in termini sia quantitativi che dimensionali, bensì anche in funzione di una lettura psicografica della popolazione di riferimento. Alcune delle valutazioni quantitative tradizionali sono diventate ormai insufficienti a determinare le direttive progettuali: la crescente competizione fra territori e fra città e la necessità di ottimizzare le risorse a disposizione spinge a esaminare in modo quanto più preciso la popolazione anche e soprattutto nelle sue caratteristiche qualitative, dando maggiore enfasi agli stili di vita che contribuiscono a definirne la segmentazione. La maggiore ricchezza del quadro conoscitivo della domanda consente così di orientare il progetto verso l’“offerta urbana” ritenuta più adeguata, anche, e in particolar modo, in considerazione dell'impegno economico necessario. Lo spostamento da un approccio quantitativo a uno qualitativo richiede nuovi strumenti di lettura, capacità e sensibilità differenti: la competizione tra diversi territori trasforma l’analisi del fabbisogno, in effetti, in un’analisi di mercato e richiede al progettista, tra le altre, anche doti di venditore. Il controllo formale delle trasformazioni e delle riqualificazioni urbane risulta così sempre più importante anche sotto il profilo mediatico. Quest'ultimo, infatti, per quanto tenda molto spesso a ridurre gli aspetti della comunicazione e la qualità dell'abitare a una mera strategia pubblicitaria, risulta oramai determinante nella gran parte delle politiche di marketing urbano in cui le caratteristiche architettoniche e le immagini degli effetti di urbanità dei contesti divengono un importante veicolo di promozione. La definizione di linee guida, una prassi recentemente rafforzata e incen212


tivata dal governo britannico, appare in quest'ottica come uno strumento di grande interesse per coniugare il perseguimento degli obiettivi, anche formali, delle politiche di sviluppo urbano delle autorità locali con la flessibilità necessaria per sostenerle economicamente attraverso l’iniziativa privata. L’architetto–urbanista, membro del «comitato di controllo della qualità urbana», secondo un altro approccio di derivazione aziendale (Rossi, 1998: 133), può farsi garante di quel necessario quanto vitale margine di discrezionalità necessario all’avvallo di scelte progettuali che, seppur individualmente definite, siano funzionali ad un insieme urbano complesso ma omogeneamente inteso. L’interpretazione architettonica di un contesto al di fuori di un piano strategico non soltanto può portare a sprecare occasioni irripetibili, ma, alle condizioni attuali, può rivelarsi economicamente non realizzabile o addirittura conseguire esiti fallimentari o controproducenti. D'altra parte la complessità dei fattori oggi in campo nelle strategie progettuali di molte aree urbane comporta spesso il rischio che i meccanismi del mercato più deleteri, se non sorvegliati con la dovuta competenza, prendano il sopravvento rispetto ai principi e agli obiettivi di qualità ambientale e sostenibilità sociale, compromettendo irrimediabilmente occasioni tanto rare quanto preziose5. È dunque necessario ricondurre a unità le due anime della pianificazione e della progettazione urbana, le quali costituiscono in questa nuova ottica non più due momenti distinti – e sovente conflittuali – di governo, bensì due strumenti complementari per il controllo dettagliato dell’intero processo di modificazione del territorio. Si tratta in questo senso di interpretare il progetto secondo l’accezione anglosassone di project, vale a dire la pianificazione dell’intero processo creativo e realizzativo fino al conseguimento dell’obiettivo prefissato (cfr. Gratz e Mintz, 1998: 59-61).

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Fanno eccezione, come visto, alcuni programmi come i Business Improvement Districts americani e inglesi in cui la programmazione degli interventi e il loro finanziamento sono totalmente e proporzionalmente a carico dei diretti beneficiari (commercianti e proprietari immobiliari). La maggior parte dei programmi promossi dai vari governi nazionali prevede finanziamenti prevalentemente pubblici (Moras, Codato e Franco, 2004). Anche in Italia, a livello regionale – è già stato ricordato – sono stati introdotti strumenti, come nel caso piemontese (Piani di Qualificazione Urbana e Programmi Integrati di Rivitalizzazione) e lombardo (Piani Locali di Intervento), mirati al partenariato tra enti pubblici e operatori privati nel finanziamento e nella gestione degli interventi di urbanistica commerciale. 2 Il caso di Brindleyplace in particolare permette a questo proposito di fornire sia un esempio

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positivo, con la scelta vincente di dare priorità alla realizzazione della piazza centrale, sia uno negativo, con la scelta (per la verità finanziariamente obbligata) di anticipare l’edificazione di un comparto residenziale monofunzionale, risultato poi penalizzato – e penalizzante rispetto all’apporto che avrebbe potuto dare – per il fatto di essere rimasto segregato dalla parte più significativa dell’intervento. 3 È il caso per esempio, come si è visto, del progetto pilota europeo Puerta Abierta per il quartiere di Bilbao la Vieja. 4 Si vedano Eppli e Tu, 1999; Property Council of Australia, 1999; Carmona, de Magalhaes e Edwards, 2001; Cabe, Odpm e Design for Homes, 2003; Cabe, 2003 e in particolare la bibliografia redatta da Carmona, Carmona e Clark, 2001. 5 Tale istanza di controllo è tanto più sentita quanto più le risorse a disposizione sono affidate alle logiche del «libero mercato»: da essa dovrebbero discendere garanzie al pubblico circa le modalità di intervento del privato ma anche garanzie al privato circa i programmi e i tempi dell’azione pubblica. Dopo l’avventura liberistica del periodo tatcheriano è parso evidente anche a molti operatori inglesi della finanza immobiliare, analogamente alla celebre colomba kantiana, quanto la presenza di vincoli quantitativi e qualitativi, di cui avevano potuto sperimentare l’assenza, offrisse invece le garanzie necessarie al funzionamento virtuoso del mercato stesso (Vignozzi, 1997: 155).

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Glossario

Anchor tenants (vedi anche magneti commerciali): nel caso dei centri commerciali indica quei negozi di maggior richiamo e dimensione (come ad esempio grandi supermercati o megastore) senza i quali lo Shopping Mall (vedi) non sarebbe in grado di sorreggersi economicamente. Per questo motivo nella conduzione dei centri commerciali gli Anchor Tenants sono generalmente oggetto di particolari regimi di incentivi e agevolazioni. Beni di confronto (comparison goods): prodotti comprati a intervalli non regolari, per utilizzo a lungo termine, scelti spesso in base alla praticità, alla qualità, al prezzo e allo stile (abbigliamento, gioielleria, mobilio, ecc.). I negozi di beni di confronto generalmente aumentano il numero di avventori e i relativi proventi quando sono raggruppati nella stessa area. Beni di consumo (shopping goods): prodotti di massa acquistati in modo frequente e regolare, come cibo, bibite o giornali. Business Improvement District (BID): programmi statunitensi di iniziativa privata nati nella metà degli anni settanta e finalizzati alla riqualificazione di aree urbane a forte presenza commerciale. Attraverso un programma di autogestione e autotassazione, i privati (esercenti e proprietari degli immobili) interessati alla rigenerazione di un distretto commerciale, se costituiscono il 50% più uno di quelli presenti, organizzano servizi aggiuntivi a quelli pubblici già esistenti. Sono stati introdotti anche in Inghilterra in via sperimentale a partire dal 2004. Cluster urbano: concentrazione nel territorio di una città, o in alcune sue zone, di un elevato numero di imprese e di altri organismi pubblici e privati, operanti nell’ambito di una stessa filiera produttiva e di settori funzionali a essa, fortemente interdipendenti in modo anche cooperativo e caratterizzati 215


dalle condizioni tangibili e intangibili del luogo di appartenenza. I cluster urbani vocazionali tendono a basare la loro competitività su risorse e fattori locali specifici (vicinanza a particolari mercati, abbondanza di forza lavoro qualificata, ecc.). I cluster urbani innovativi sono il frutto di iniziative economiche e strutturali innovative rispetto alle attività presenti nel contesto di riferimento. Commission for Architecture and Built Environment (Cabe): ente di ricerca, promozione e sviluppo delle discipline progettuali al servizio del governo, dipendente dalla Segreteria di Stato e finanziato dal Department for Culture, Media and Sport (Dcms) e dall’Odpm. È nata nel 1999 in sostituzione della precedente Royal Fine Art Commission (Rfac), istituita nel 1924, con il compito di definire i parametri per il controllo della qualità architettonica e urbanistica e diffonderne una maggiore consapevolezza sul territorio nazionale. Da cinque anni persegue il suo compito di stimolo e controllo della qualità dei luoghi dell’abitare attraverso continui contatti con gli enti locali, convegni e pubblicazioni. Devanture: termine francese indicante l’insieme delle parti architettoniche (vetrine, insegne, modanature, espositori per le merci, tende, ecc.), che compongono il prospetto del negozio sul fronte dell’edificio. Economia delle esperienze: coniata da Joseph Pine e James Gilmore l’espressione indica l’insieme di quelle attività economiche che fondano i propri vantaggi competitivi sulla capacità di generare un qualsiasi evento memorabile che impegni sul piano personale il consumatore nell’atto stesso del consumo. La personalizzazione del prodotto che ne consegue ne aumenta la desiderabilità. Effetto moltiplicatore: in economia (in particolare nella teoria keynesiana) indica il rapporto tra una variazione di reddito nazionale e la variazione della spesa che ne è la causa. Rispetto al turismo il TIM (Tourism Income Multiplier) indica l’effetto indotto sull’economia locale dalle spese dei turisti ed è calcolato con la formula TIM=(1-TPI)/(MPS+MPI) dove TPI (Tourist’s Propensity to Import) è la propensione del turista a importare prodotti o servizi dall’esterno; MPS (Marginal Propensity to Save) è la propensione marginale al risparmio; MPI (Marginal Propensity to Import) è la propensione marginale a importare dall’esterno. Maggiore è l’integrazione dei settori economici dell’economia locale maggiore è il valore del TIM, che 216


può variare da meno di uno nel caso si una piccola isoletta a due, per economie largamente integrate. Food Court: area degli Shopping Mall fornita di tavoli e sedie intorno a cui si concentrano le vendite di cibi e bevande. Full Mall: area commerciale urbana a uso esclusivo dei pedoni. Image building: insieme delle pratiche di marketing (pubblicità, campagne mediatiche, eventi, sponsorizzazioni, ecc.) miranti a costruire o migliorare la percezione e l’immagine positiva di un prodotto o di un’azienda (o di un territorio) presso i segmenti di domanda presi a riferimento. Landmark (riferimenti): nell’accezione di Kevin Lynch sono elementi fisici di scala variabile che nei paesaggi si offrono, in virtù della loro singolarità, come indicazioni puntuali esterne all'osservatore. Leisure shopping: espressione indicante la dimensione ludica, legata al tempo libero, del fare acquisti in un’area commerciale. In questo caso la possibilità di frequentare un ambiente stimolante e ricco di offerte di vario genere risulta un fattore prioritario rispetto alla semplice finalità di fare compere. Magnete commerciale: nel caso dei centri commerciali indica quei negozi, generalmente di grandi dimensioni, che esercitano il richiamo maggiore verso gli avventori. Pertanto la loro posizione all’interno degli Shopping Mall, poiché costituiscono, assieme ai parcheggi, le estremità della maggior parte dei percorsi pedonali, è oggetto di grande cura nella progettazione dell’edificio e del tenant mix (vedi). I magneti commerciali costituiscono per questo motivo anche i principali Anchor Tenant (vedi) dei centri commerciali. Main Street Program: programma statunitense per la rivitalizzazione economica e la riqualificazione fisica e sociale di aree urbane centrali degradate. Il programma, avviato nel 1977, non prevede finanziamenti diretti ma costituisce un metodo di orientamento e organizzazione per le comunità locali interessate alla rigenerazione integrata dei quartieri. Il Main Street Center è l’organismo di riferimento, creato nel 1980, preposto alla raccolta di dati ed esperienze, alla consulenza e alla diffusione del programma. Al 2003 il programma era stato adottato da 1.800 città in 44 stati. Marketing esterno: insieme di azioni e politiche orientate a creare, costruire e mantenere relazioni vantaggiose con clienti esterni al territorio, per attrarre e attivare nuovi siti produttivi e per l’erogazione di servizi con il conseguente inceremento delle opportunità di impiego per i residenti. 217


Marketing interno: ha l’obiettivo di individuare i metodi, le logiche e gli strumenti di marketing in grado di migliorare i processi di scambio che si verificano all’interno di un territorio, al fine di perseguire la soddisfazione dei bisogni dei residenti. Pone la necessità di generare, monitorare, mantenere e incrementare la soddisfazione interna dei propri cittadini. Pedestrian Mall: nome generico usato per indicare un’area commerciale urbana orientata a un’utenza prevalentemente pedonale. Phasing: programmazione dello sviluppo temporale di piani e di progetti architettonici o urbanistici attraverso una sequenza di fasi realizzative. Piano di merchandising: nei centri commerciali indica la composizione e la dimensione dell’offerta specializzata e dei servizi, il tenant mix (vedi), che viene perseguita dalla commercializzazione delle superfici di vendita nell’impianto distributivo. Semimall: area con una forte prevalenza della superficie pedonale ma aperta al traffico veicolare privato, soprattutto di scorrimento. Sequential Approach (approccio sequenziale): principio introdotto dalla pianificazione inglese con la Planning Policy Guidance 6 del 1996 per regolare l’insediamento di nuovi centri commerciali. Esso vieta la realizzazione di Shopping Mall all’esterno dell’area urbana quando sussista la possibilità di edificarli nelle zone centrali o in quelle più prossime a esse. Tale principio, che mira a contenere il fenomeno dello sprawl suburbano, è stato applicato anche ad altre funzioni che maggiormente attraggono popolazione come servizi pubblici e insediamenti residenziali. Shopping Mall: complesso edilizio che accoglie attività del commercio al dettaglio non alimentare e dei servizi posti all’interno di gallerie (il mall) che generalmente collegano tra loro due o tre grandi magazzini (department store). Il centro comprende anche grandi aree a parcheggio. Società di Trasformazione Urbana (STU): società per azioni miste, pubblicoprivato, istituite dall’art. 17, comma 59, della legge 127/1997 su modello delle Société d’Économie Mixte (vedi) francesi. Le STU hanno la funzione di progettare e realizzare interventi di trasformazione urbana in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti; ove questi non siano presenti, le Società possono redigere lo strumento urbanistico, costituito dal piano attuativo particolareggiato, il quale deve essere approvato dagli organi comunali di competenza. 218


Société d’Économie Mixte (SEM): organismi francesi a carattere pubblico (al 50%-65%) e privato istituiti in attuazione del decreto 19 maggio 1959. Le prime esperienze di società a conduzione mista risalgono però alla seconda metà degli anni venti per la realizzazione di edilizia sociale e l’erogazione di servizi pubblici. Dopo la seconda guerra mondiale, su incentivo statale, hanno conosciuto un ulteriore sviluppo nelle politiche di trasformazione urbana, contribuendo, a metà degli anni settanta, al rafforzamento degli enti locali. Attualmente le SEM, ulteriormente disciplinate nel 1983, sono giunte alla terza generazione: esse possono svolgere attività di servizio pubblico, di trasformazione urbana e attività di interesse generale attraverso i necessari strumenti di controllo, finanziari e procedurali, la ricerca del consenso e la gestione parziale o completa degli interventi. Spillover (traboccamento): in economia indica la situazione in cui la spesa pubblica, sostenuta per produrre benefici per i residenti di un dato ambito territoriale o amministrativo, genera benefici anche fuori di tale ambito. Più genericamente il termine indica il riverberarsi degli effetti di un’azione anche all’esterno dell'immediato contesto di riferimento. Supplementary Design Guidance (SPG): insieme di indicazioni progettuali emanate dagli enti locali inglesi per definire le linee guida in materia architettonica e di disegno urbano. I documenti di cui si compongono le SPG possono essere di scala e natura molto varie: dai masterplan, alle indicazioni circa la natura dei luoghi per orientare i progettisti, fino a indicazioni formali di dettaglio circa materiali e stili architettonici. Le SPG sono sottoposte al vaglio di assemblee cittadine e dunque, sebbene non posseggano lo stesso valore cogente di altri strumenti di piano approvati a livello centrale, rivestono comunque un ruolo importante nell’influenzare le decisioni della pubblica amministrazione. Swot (Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Threats): matrice di analisi e valutazione impiegata originariamente per orientare la pianificazione strategica aziendale sondando i punti di forza e debolezza, le opportunità e le minacce delle politiche in atto e in previsione. Questa tecnica è oggi comunemente adottata, tra gli altri, anche all’interno dei processi di pianificazione territoriale. Tenant mix: l’assortimento, la combinazione e la disposizione spaziale degli esercizi commerciali in un centro commerciale più consona a ottimizzare le 219


vendite, gli affitti, i servizi e la validità commerciale dell’intera operazione immobiliare. Tra le componenti del Tenant Mix, predisposto attraverso il piano di merchandising (vedi), figurano i beni di consumo (vedi), i beni di confronto (vedi) e gli anchor tenants (vedi). Totem: elemento di segnalazione, visibile anche da grandi distanze, del punto di vendita o della zona in cui questo si trova. Traffic Calming: insieme di politiche e progetti di disegno urbano e dell’architettura delle strade tesi a ridurre l’impatto negativo della presenza di automobili in alcune aree urbane, in particolare residenziali, a favore di pedoni e ciclisti. Traduzione inglese dal tedesco Verkehrsberuhingung. Transit Mall: area completamente pedonale servita e attraversata dal trasporto pubblico di superficie (Transit), su ferro o su gomma. Urban Regeneration Companies (URC): organismi inglesi a partecipazione mista pubblica e privata fondati dai principali enti locali e dalle Regional Development Agencies per la realizzazione di un masterplan o di un piano strategico finalizzato alla rigenerazione sostenibile di aree afflitte da particolari condizioni di declino economico. Le URC si richiamano al modello, rivisto e corretto, delle Urban Development Companies degli anni Ottanta. Le prime tre URC pilota costituite nel 1999 sono Liverpool Vision, New Manchester e Sheffield One. Urban Task Force: gruppo di ricerca sullo stato delle città inglesi fondato nel 1998 su iniziativa del governo Blair e presieduto da Richard Rogers. Nel 1999 il gruppo pubblica il rapporto Towards an Urban Renaissance, un compendio delle politiche e delle pratiche architettoniche e di disegno urbano improntate alla sostenibilità della rigenerazione urbana. Vacancy rate: percentuale di unità immobiliari sfitte o non occupate in un tempo e mercato immobiliare di riferimento determinati. Yield (rendimento): in campo immobiliare esprime il rapporto percentuale tra l’affitto generato in un anno da un immobile e il suo valore di scambio sul mercato. Per il settore commerciale è considerato come standard di paragone il «rendimento primario» (prime yield), vale a dire il rendimento di una tipologia di vendita moderna e aggiornata localizzata nel negozio con l’affitto più alto di tutto il centro storico.

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Bibliografia

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