Permacultura (D.Holmgren, 2002) - ITA

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1 Osserva e interagisci La bellezza è negli occhi di chi guarda

7 Progetta dal modello al dettaglio Gli alberi non sono la foresta

8 Integra invece di separare

2 Raccogli e conserva energia

Molte mani rendono il lavoro leggero

3 Assicurati un raccolto

Più sono grossi e più rumore fanno cadendo Con lentezza e costanza si vince la corsa

Prepara il fieno finché c’è il sole

Non si può lavorare a stomaco vuoto

4 Applica l’autoregolazione Francesco Papa - Ordine n.535943-251501

e accetta il feedback

9 Piccolo e lento è bello

10 Usa e valorizza la diversità

Non mettere tutte le uova nella stessa cesta

I peccati dei padri ricadranno sui figli fino alla settima generazione

5 Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili Lascia che la natura segua il suo corso

6 Evita di produrre rifiuti

Un punto a tempo ne risparmia cento Non desiderare se non vuoi sprecare

11 Usa e valorizza il margine

Smetti di pensare di essere sulla buona strada solo perché è molto frequentata

12 Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo

Bisogna imparare a vedere le cose non solo come sono ma anche come saranno


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L’autore David Holmgren è nato a Fremantle, in Australia occidentale, nel 1955. Figlio di operai attivisti politici, Holmgren è stato profondamente influenzato dalla rivoluzione sociale degli anni ’60 e dai primi anni ’70. Nel 1973, durante un viaggio in Tasmania, si innamorò del paesaggio tipico di quell’isola ed entrò a far parte dell’innovativa Environmental Design School di Hobart. Nei tre anni successivi collaborò intensamente con il suo mentore Bill Mollison ideando il concetto di permacultura, concetto che ha plasmato la sua vita futura. Coautore con Mollison di Permaculture One, uscito nel 1978, Holmgren si è dedicato, da allora in poi, ad approfondire concretamente le sue abilità nella progettazione e nella realizzazione di stili di vita autosufficienti. In seguito, Holmgren ha scritto altri libri, ha progettato e organizzato varie tenute agricole usando i principi della permacultura, condotto laboratori e corsi in Australia, in Nuova Zelanda, in Israele e in Europa. Negli ultimi 17 anni ha vissuto e lavorato a Hepburn Springs, nella parte centrale dello stato di Victoria. In qualità di consulente, ha sviluppato una profonda competenza nel campo dei territori a clima temperato tipici dell’Australia sud-orientale, approfondendo il concetto di bioregionalismo in relazione al territorio locale. Insieme alla partner Su Dennett e al figlio Oliver conduce il podere Melliodora, uno dei più noti siti dimostrativi di permacultura applicata in Australia. Negli ultimi sette anni si è dedicato intensamente alla progettazione e allo sviluppo del Fryer’s Forest Eco-village. Nel contesto internazionale del movimento sviluppatosi in base ai principi della permacultura, Holmgren è noto e stimato per aver sempre sottolineato l’aspetto pratico dei progetti di permacultura. Attraverso l’esempio personale e l’impegno concreto, ha dimostrato e dimostra, con il suo percorso di vita, che la permacultura rappresenta una radicale – ma anche attraente – alternativa al consumismo dilagante. Questo libro è la testimonianza di una vita vissuta secondo i principi della permacultura.


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Premessa Se i principi di permacultura proposti da David Holmgren in questo libro di grande rilevanza venissero applicati a tutto ciò che facciamo, saremmo già a buon punto sulla strada della realizzazione di una società sostenibile e forse più avanti ancora. E oltre a questo ci liberemmo del senso di colpa, che fa sempre capolino ogni qualvolta pensiamo al mondo che stiamo per lasciare ai nostri figli. La permacultura si basa su valori e prospettive, progetti e metodi di gestione, che possiamo a buon diritto definire olistici, specialmente per quanto concerne le nostre concezioni bio-ecologiche e psicologiche. In particolare, è importante sottolineare l’aspetto legato alla progettazione e riprogettazione dei metodi di gestione delle risorse naturali, al fine di garantire la salute e il benessere delle attuali e future generazioni. Ciò che meraviglia è che, mentre tutti gli ingegneri (persone che operano soprattutto con materiali inerti, non viventi) studiano i principi della progettazione, quasi tutti i laureati in agraria e coloro che si specializzano in campi attinenti al vivente continuino a non ricevere alcuna formazione per quanto concerne la progettazione: a questa competenza cruciale di solito non viene dedicata alcuna attenzione. Il non riconoscere la rilevanza della progettazione nel contesto delle interazioni tra specie e della biodiversità all’interno degli ecosistemi sostenibili è responsabile della mancanza di competenze specifiche nel campo della progettazione di ecosistemi; tutto questo non fa che peggiorare la situazione e acuire i problemi della gestione delle risorse naturali. La permacultura può essere descritta in diversi modi complementari. Per un verso, è l’espressione di una fase – che deve ancora in gran parte manifestarsi – nell’evoluzione della gestione delle risorse naturali, soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura. Quest’ultima è ancora per lo più ferma a uno stadio evolutivo che non trova più rispondenza con i tempi, uno stadio evolutivo contrassegnato da specializzazione, monocolture e rotazioni molto limitate, che denotano un modo di considerare l’agricoltura improntato a un ingannevole semplicismo progettuale. Questi metodi progettuali, i problemi da essi causati e le soluzioni controproducenti spesso adottate per risolverli,

hanno causato la perdita di suolo fertile, la perdita della capacità del suolo di trattenere umidità, la perdita di fertilità, produttività, resilienza, habitat naturali, biodiversità e, in ultima analisi, la crisi dei meccanismi naturali di controllo dei parassiti e del patrimonio genetico, che supportava a livello naturale tali meccanismi. Per chi segue i principi della permacultura, queste conseguenze sono del tutto prevedibili, come è prevedibile la crescente dipendenza dei sistemi agricoli da fonti esterne di energia. Il lavoro dell’agricoltore dipende sempre più dall’esterno; non solo per quanto riguarda le fonti energetiche, ma anche per il controllo dei parassiti e delle malattie; ciò si ripercuote anche sull’accumulo di rifiuti e sul loro smaltimento, causando un crescente impatto ambientale dell’operatore agricolo. Questo insieme di problemi, davvero desolante, potrebbe essere facilmente affrontato adottando i principi della permacultura delineati nelle pagine del presente libro. Invece di sprecare competenze, tempo, energia e risorse nel tentativo di risolvere – con immenso affanno – detti problemi, la permacultura, con un deciso scatto in avanti, potrebbe permetterci con pochi sforzi di prevenirli e minimizzarli dando il giusto risalto a iniziative di progettazione e riprogettazione innovative. La mia particolare esperienza in questo campo si è concentrata sul controllo dei parassiti e sulla gestione del suolo. Il concetto di permacultura riflette anche le trasformazioni intervenute nei sistemi di valori e di conoscenza. La permacultura recepisce gli influssi e le sfide provenienti dalle tendenze più recenti nell’evoluzione del pensiero: post-modernismo, poststrutturalismo, movimenti femministi ed ecofemministi, ecologia sociale, ecologia profonda, ecopsicologia, post-normal science, olismo, bioregionalismo, sostenibilità, comunitarismo, spiritualismo e sistemi di conoscenza indigeni. Molti fattori hanno contribuito all’evoluzione della permacultura. I principali sono:  sincronicità e collaborazione nella differenza, come nel caso dell’associazione casuale tra David Holmgren (semplice, riflessivo, coerente, pratico) e Bill Mollison (propugnatore di idee controcorrente e al contempo personaggio pubblico carismatico);


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capacità di avere immaginato la permacultura come movimento internazionale;  come condizione per poter insegnare nei corsi, richiedere agli insegnanti di avere una vasta formazione ed esperienza sul campo per mantenere viva l’esperienza pratica;  integrazione di tutti gli aspetti, pratici, teorici ed etici, nella pratica della progettazione.

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 la

Questa impostazione organica e le sue profonde ripercussioni sul processo della progettazione e dell’azione olistica hanno impedito a molti di avvicinarsi alla realtà della permacultura. Così come la maggior parte delle persone preferisce prendere un’aspirina piuttosto che andare alle radici del mal di testa mettendo ordine nella propria vita, molti agricoltori e orticoltori preferiscono la dipendenza dalla chimica per risolvere i mal di testa generati dai loro sistemi produttivi malprogettati e malgestiti. Quanti invece hanno avuto il coraggio di fare il salto, trovando soluzioni permanenti ai problemi attraverso la progettazione delle loro proprietà – soluzioni che bisogna mettere in pratica una volta per tutte – mai ritorneranno alla dipendenza, all’inefficienza e all’illusorietà delle “pallottole magiche” che tutto risolvono. In questo libro David Holmgren ha fornito un chiaro, sistematico e documentato apporto basato sulla propria grande esperienza nell’applicazione dei criteri chiave della permacultura, dando il giusto spazio alle competenze intellettuali indispensabili per svilupparne i principi. Chi volesse avvicinarsi alla permacultura deve mettere necessariamente insieme competenze intellettuali ed esperienza pratica. Ciò, idealmente, potrebbe essere fatto come apprendista sotto la guida di un mentore come David, ma dovrebbe includere anche lo sperimentare liberamente da soli e con audacia, senza supervisione. Questa seconda parte dell’opera dovrebbe concentrarsi su ciò che io chiamo “piccole, significative iniziative, che una persona può impegnarsi a portare a compimento”. Tali iniziative dovrebbero tendere a ridurre al minimo le possibilità di un impatto negativo, dovuto a una inadeguata progettazione e, di conseguenza, anche il senso di sfiducia e fallimento, che impedirebbe di impegnarsi in successivi progetti su larga scala. In quanto pensatore olografico – aperto all’idea che qualsiasi cosa una persona osserva in un luogo qualsiasi

può avere espressioni parallele in qualunque altro luogo – sono portato ad andare oltre i soliti confini che vengono imposti alla permacultura. Quando vivevo in Nord America, condussi dei workshop per permaculturisti intitolati Permacultura del paesaggio interiore. Lo feci perché mi ero reso conto che molte di quelle persone erano limitate non dalle conoscenze dei sistemi esteriori, ma dal bisogno di guarire e ridisegnare i loro sistemi interiori. Era come far rimarginare una ferita. Allo stesso modo, incoraggio voi lettori ad applicare i principi della permacultura a qualsiasi area che potrebbe trarre beneficio da questa teoria e pratica di progettazione olistica. Le aree che mi vengono spontaneamente in mente sono quelle che includono gli insediamenti umani e le imprese commerciali, i sistemi politici ed economici, il settore della salute, l’allevamento dei bambini e i contesti educativi. Quello che vi accingete a leggere è il testo più avanzato di presentazione dei principi della permacultura che io conosca. I 12 principi sono stati ampiamente verificati non solo dall’autore – che è il coideatore della permacultura – ma anche da migliaia di permaculturisti in tutto il mondo. Se la permacultura per voi è un argomento nuovo, questo volume vi fornirà una straordinaria introduzione all’approccio olistico alla progettazione del paesaggio. Se siete da tempo un permaculturista o un docente di permacultura, è probabile che questo sia il libro che stavate aspettando, per mettere alla prova o affinare le vostre idee o per utilizzarlo come testo base dei vostri corsi. Spero che il libro vi piaccia e che ne facciate – come ho fatto io – il vostro testo di riferimento.

Prof. Stuart B. Hill Foundation Chair of Social Ecology University of Western Sydney NSW Australia


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Scopo del libro La permacultura è molto più di un metodo di agricoltura biologica. Il mio scopo, nello scrivere questo libro, è quello di spiegare la permacultura a un pubblico più vasto di quello che potrebbe sentirsi attratto dal termine “agricoltura biologica”. Il libro è rivolto in special modo ad attivisti, progettisti, docenti, ricercatori, studenti e a quanti, interessati ai temi ormai arcinoti della sostenibilità, chiedono di andare oltre e abbracciare altri campi. Permaculture One1 è stato scritto più di 25 anni fa; all’epoca, avevo vent’anni. Gran parte delle mie pubblicazioni più recenti si è occupata di casi specifici, e in essi i principi teorici che stanno dietro al lavoro concreto sono solo accennati. Vorrei approfittare dei punti di forza e dei successi accumulati in venticinque anni di lavoro e di elaborazione teorica in Australia e nel mondo, per fornire ai lettori, con il presente libro, un più ampio quadro dei principi pratici e teorici su cui si basa la permacultura. Nel fare questo lavoro spero anche di dare un contributo che rinvigorisca il dibattito interno al movimento della permacultura, soprattutto per quanto concerne alcuni temi controversi, veri o presunti punti deboli del movimento. Dopo 25 anni passati ad applicare, scrivere e insegnare i principi della permacultura, ho capito che le persone, di una teoria, utilizzano ciò che trovano rilevante e significativo, tralasciando il resto. A quanti sono alla ricerca di un sistema completamente organico e logico chiamato permacultura meglio chiarire subito che tale ricerca è inutile. Più che tentare di definire o mettere sotto controllo la permacultura, io la descrivo semplicemente come uno strumento ulteriore per capire, per dare un significato a parole e cose in un mondo pieno di incertezze.

Evoluzione del progetto Questo progetto è nato su suggerimento del collega Ian Lillington, il quale mi consigliò di pubblicare la raccolta

commentata di quanto avevo scritto nel corso degli ultimi venti anni. L’obiettivo sarebbe stato quello di fornire a quanti fossero interessati alla permacultura il punto di vista di detta corrente di pensiero su vari temi e contesti. Con questo libro, fra l’altro, si sarebbero messi in evidenza gli sviluppi e l’evoluzione delle idee e delle applicazioni dell’autore meno noto della permacultura2. Quando eravamo quasi alla fine del lavoro, Ian si rese conto che mancava una parte che spiegasse in modo diretto i principi della permacultura, più o meno come li spieghiamo durante i nostri corsi residenziali. Non appena gli sentii dire questa cosa capii che aveva perfettamente ragione, ma sentii allo stesso tempo un tuffo al cuore perchè mi resi conto che il compito non era così semplice come sembrava. L’idea di mettermi subito al lavoro per preparare un testo di questo tipo rimase quindi in sospeso. Tre anni dopo, il progetto conobbe una ulteriore trasformazione su input di Janet Mackenzie, giornalista e attiva permaculturista. Il manoscritto intanto era cresciuto, nel tentativo di dare una nuova e più profonda interpretazione dei principi della permacultura. L’antologia di scritti, invece, era rimasta allo stadio di testi di riferimento da consultare a parte. La raccolta3 è stata poi pubblicata sotto forma di CD ed è disponibile sul sito web dell’Holmgren Design Services.

Formato del libro In sintonia con i corsi residenziali di permacultura da noi organizzati negli ultimi cinque anni, l’inizio della trattazione prevede un capitolo sui principi etici. Seguono 12 capitoli, uno per ognuno dei principi guida della permacultura. Ogni principio viene sintetizzato in una breve frase (il titolo del capitolo) associata a una icona e a un proverbio


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o modo di dire, che esemplifica al meglio il principio che dà l’impronta al capitolo. Bisogna dire che la frase mette l’accento sugli aspetti positivi della permacultura nel suo lavorare in sintonia con la natura; il detto o proverbio – una sorta di monito o avvertimento – ci mette in guardia verso i limiti e le costrizioni che la natura stessa ci detta. Ogni principio viene spiegato, specificando come si realizza nel vasto mondo della natura e come si è realizzato, in termini di progettazione e uso del territorio da parte delle comunità tradizionali prima dell’avvento della Rivoluzione Industriale. Poi passo ad analizzare i modi in cui la nostra energivora società industriale ha trasformato, ignorato, oppure stravolto il principio, in particolare quando ciò può servire a confermare la validità universale di quello stesso principio. Ogni capitolo contiene esempi di applicazione del principio, nella prospettiva della creazione di una società ecologica. Volendo essere il più possibile comprensibili e concreti, le applicazioni del principio prevedono esempi tratti dall’orticoltura, dall’utilizzo del territorio e dall’ambiente urbanizzato, senza escludere i temi più complessi e controversi relativi al comportamento delle persone e delle organizzazioni sociali ed economiche.

Per illustrare ogni principio utilizzo anche la mia fattoria, documentata nel libro Melliodora (Hepburn Permaculture Gardens)4. Ogni capitolo contiene, inoltre, dei riferimenti ai vari articoli pubblicati nel CD dei miei Collected writings 1978-20005, se servono a illustrare aspetti concernenti il principio trattato nel capitolo. Quando è stato possibile, ho fatto riferimento ad altre pubblicazioni che potessero contribuire a rendere più chiari i concetti densi e complessi enunciati in ogni capitolo. Come sempre, quando si utilizza la logica lineare implicita nella scrittura nel trasmettere contenuti di tipo olistico, la divisione tra i temi e le prospettive che rientrano nella trattazione dei singoli capitoli è arbitraria. Le mie scelte – e di conseguenza anche i principi stessi – sono semplicemente strumenti utili a sviluppare prospettive molteplici sul modo stesso di pensare in modo olistico. Per legare un principio all’altro – e quindi anche un capitolo all’altro – ho inserito dei rimandi che sottolineano i nessi più importanti. In questo senso, ogni principio va interpretato come una delle tante porte che immettono nel labirinto del pensiero olistico.


Ringraziamenti

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Devo dire grazie a Ian Lillington per il suo pensiero strategico e per il persistente incoraggiamento a proseguire sulla strada che ha portato alla realizzazione di questo libro. Le sue indicazioni – per quanto parzialmente mutate nel tempo – hanno fatto in modo che il progetto del presente libro andasse avanti. Fra gli altri amici permaculturisti che hanno fornito ispirazione, incoraggiamento e consigli preziosi devo citare Jason Alexandra, Stephen Bright, Andrea Furness, Stuart Hill, Sholto Maud, Kale Sniderman e Terry White. Ringrazio in particolare Janet McKenzie per aver generosamente prestato il suo tempo e le sue doti professionali a questo progetto e per avermi trasmesso la fiducia e la voglia di andare avanti quando io pensavo che tutto fosse già finito. Ringrazio Richard Telford per le sue idee originali e per aver prestato la sua opera di artista nella realizzazione delle icone relative ai principi. Ringrazio Luke Mancini per la rielaborazione grafica dei miei disegni; ringrazio Rob e Terttu Mancini per aver fatto in modo che questo libro si trasformasse in una iniziativa di carattere economico per la comunità locale. Voglio anche ringraziare tutti i colleghi e gli allievi che hanno, con pazienza, atteso l’uscita di questo libro. Su Dennett Gli autori di opere letterarie, tradizionalmente ringraziano le loro spose o compagne per averli sostenuti nelle lunghe e a volte difficili prove che hanno preceduto il parto del libro. Tutto ciò si addice perfettamente al mio caso. Anch’io ringrazio qui la mia compagna Su Dennett, che per oltre vent’anni mi ha accompagnato nelle mie esperienze di vita. Nei primi tempi della nostra vita insieme era frustrante percepire che Su fosse ritenuta dai più una semplice seguace del mio stile di vita, una che metteva in pratica le mie idee, e questo solo perché Su non si era messa in vista in attività di insegnamento, scrittura o perché non parlava in pubblico. La cosa più ironica era che queste opinioni venivano espresse proprio da donne, che erano al contempo femministe e seguaci della permacultura. In realtà, è stata proprio Su, con il suo impegno e la sua costanza nel perseguire un ideale di alta frugalità e uno stile di vita semplice, a spingere anche me a impegnarmi di più nel rendere coerenti le idee professate e lo stile di vita praticato. Il contributo di Su alla realizzazione di questo libro non va ricercato in idee particolarmente elaborate, ma essenzialmente nell’avermi spinto ad andare oltre i miei limiti; limiti

che rischiavano di fare di questo libro un trattato di metafisica astratta, esageratamente razionale. Avevo già ampiamente sperimentato, in esperienze precedenti, come fossi personalmente predisposto a considerare le cose sotto tutti i possibili punti di vista e prospettive, per impedire a me stesso di agire in modo affrettato. Questo atteggiamento ha però prodotto in me una sorta di paralisi per troppa analisi, ossia la tendenza a esaminare fin nei minimi dettagli un’idea prima di metterla in pratica. La mia vita con Su mi ha aiutato a liberarmi di questa tendenza e a recuperare fiducia nel mio lato intuitivo, il che a sua volta mi ha aiutato ad ampliare la mia capacità di comprensione e di azione in senso olistico. La positiva influenza esercitata da Su si è riversata anche nel rendere meno pesante e più abbordabile un compito non facile come la pubblicazione in proprio di questo libro. Oliver Holmgren Dal momento della sua nascita, avvenuta in casa, Oliver si è sempre trovato immerso in progetti di permacultura, anche quando a 15 anni ha lavorato in aziende biologiche italiane. Come accade a tutti gli adolescenti, le sue opinioni e il suo comportamento sono una costante sfida per i genitori, ma, negli anni dedicati alla stesura di questo libro, il modo di pensare e di agire di Oliver mi ha spinto ad affinare la mia concezione di permacultura. Attraverso Oliver ho capito che ci vuole più di una generazione, per creare una nuova cultura ecologica. Molti concetti, che io ho fatto fatica a comprendere, sono stati da lui assimilati con facilità. Gerard Holmgren Mio fratello Gerard mi ricorda spesso la valenza politica della permacultura e non solo con la sua passione, il suo intelletto e il suo agire. La dura strada della sua esperienza serve a ricordarmi che il percorso che porta a un mondo migliore non sarà necessariamente fortunato e positivo come il mio. Venie Holmgren Visto che mi sono spinto così in là nel parlare dei miei familiari, un aneddoto su mia madre è d’obbligo. Una volta un tipo, durante un incontro pubblico sulla permacultura, entusiasta esclamò, rivolto a mia madre: «E così lei è la madre di David Holmgren!». Al che, mia madre rispose: «No. È lui che è mio figlio».


Prefazione La permacultura nell’era dell’incertezza L’incertezza è una delle caratteristiche che definiscono la nostra epoca e deriva da varie fonti:

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 le scienze teoretiche hanno innalzato l’incertezza da

risultato di un’informazione inadeguata a qualcosa che è implicito in tutto;  lo scontro tra le molteplici tradizioni culturali presenti al mondo e la modernità fa sì che molta gente sia o diventi insicura dei propri valori e del proprio ruolo nella società;  la valanga di prove e di informazioni sull’instabilità praticamente di qualsiasi aspetto della società e dell’economia moderna – instabilità dovuta soprattutto alla minaccia di sconvolgimenti ambientali epocali – mina alla base qualsiasi senso di certezza sulla continuità della vita quotidiana;  allo stesso tempo, le accelerazioni della tecnologia e il continuo emergere di nuove idee, di nuovi modi di vedere ed essere, di nuovi movimenti, di percorsi spirituali e di sottoculture hanno allargato le possibilità, le speranze e le paure oltre ogni immaginabile orizzonte. Il concetto di permacultura e il movimento stesso della permacultura fanno parte di questa realtà culturale globale, una realtà che alcuni chiamano postmodernismo, in cui ogni significato è relativo e contingente. Il concetto di permacultura è il prodotto di una intensa, ma relativamente breve, relazione di lavoro tra Bill Mollison e chi scrive alla metà degli anni ’70. Era una risposta alla crisi ambientale che stava di fronte alla società moderna del tempo. La pubblicazione di Permaculture One nel 1978 rappresentò il culmine di questo inizio di lavoro e un nuovo punto di partenza, da cui si sviluppò

il movimento della permacultura a livello mondiale. Bill Mollison ha descritto la permacultura come una risposta positivistica6 alla crisi ambientale. Questo significa che tale risposta dipende più da ciò che vogliamo e possiamo fare, che da quelle idee che vorremmo far cambiare agli altri. Questa risposta o reazione può essere definita sia etica che pragmatica, sia filosofica che tecnica. Come ogni idea, la permacultura si fonda su alcuni presupposti fondamentali, che rimangono cruciali sia per comprenderla che per giudicarla. Questi presupposti, indicati per la prima volta in Permaculture One, non sono cambiati e vale la pena ripeterli.  La

crisi ambientale è reale e le sue dimensioni sono tali che certamente trasformeranno la moderna società industriale in modo irriconoscibile. Questo processo metterà in serio pericolo il benessere e la stessa sopravvivenza della popolazione mondiale, in costante aumento.  L’impatto globale – quello già presente e quello futuro – della società industriale e dell’enorme popolazione sulla meravigliosa biodiversità della terra sarà sicuramente molto più vasto degli enormi cambiamenti registrati negli ultimi secoli.  L’uomo, anche se creatura abbastanza insolita nel contesto del mondo naturale, è soggetto alle stesse leggi scientifiche che governano l’universo materiale e l’evoluzione delle forme di vita, in primo luogo quelle relative al bilancio energetico.  Lo sfruttamento dei combustibili fossili durante l’era industriale è la causa primaria della spettacolare esplosione della popolazione umana, delle conquiste tecnologiche e di ogni altra caratteristica della società moderna.  Sebbene sia quanto meno difficile prevedere quali saranno gli sviluppi della società umana successivi all’esaurimento delle risorse energetiche di tipo fos-


Prefazione

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sile, è indubbio che i prossimi decenni vedranno il ritorno ai modelli osservabili in natura e nelle società preindustriali e cioè a modelli sociali dipendenti da energie e risorse rinnovabili. Anche se sono molti i teorici che hanno messo in circolazione queste idee, per quanto mi concerne il pensatore verso il quale riconosco apertamente di essere in debito è l’ecologo americano Howard Odum7. L’influenza di Odum sull’evoluzione delle mie idee risulterà chiara anche dalle ripetute citazioni in questo libro, nonché da quelle contenute in Collected writings8. Alcune delle previsioni fatte negli anni ’70 sull’esaurimento delle risorse e sul conseguente collasso dell’economia si sono dimostrate errate, almeno per quanto riguarda i tempi. Nonostante ciò, risulta sempre più evidente agli occhi di tutti che le risorse naturali stanno, già attualmente, ponendo un serio limite all’espansione dello sviluppo economico e questo dopo circa 300 anni di crescita e 50 anni di crescita a livelli molto accelerati. Anche le ricorrenti crisi del petrolio sono un chiaro segnale che l’era dell’energia a basso prezzo è in via di esaurimento9. I modelli basati sui sistemi naturali suggeriscono che si ritornerà a sistemi a basso utilizzo di energia e di risorse (per lo più rinnovabili) e che si assisterà probabilmente a una riduzione della popolazione mondiale. All’interno di questo scenario generale sono considerati plausibili infiniti percorsi e possibilità locali, da quelli più ottimistici ai più marcatamente catastrofici. Coloro che invece sono spinti dall’ottimismo e dalla fiducia nella scienza e nella tecnologia sostengono che siamo all’inizio di una nuova rivoluzione industriale e biologica, che porterà a una nuova età dell’oro di benessere materiale. Anche in questo caso si possono produrre solide prove. Le più credibili sono le idee di Amory Lovins sul capitalismo naturale e su esempi incontrovertibili di come, con un giusto approccio, la scienza e l’industria possono ottenere di più con risorse minori e meno energia10. Per quanto inevitabile possa apparire un futuro in cui si riduca il consumo di energie e risorse, questo futuro resta

tuttora incerto o per lo meno indeterminato. La transizione da un modello ad alto consumo di energia a un altro in cui il consumo viene ridotto il più possibile ha già i suoi portavoce. Le idee e i modelli di Lovins, ad esempio, hanno avuto e hanno una notevole influenza, perché possono essere applicati all’interno di una cornice capitalistica di economia di mercato senza aspettare che intervengano trasformazioni radicali nel campo sociale e politico o nel campo culturale relativo a comportamenti e abitudini dei cittadini. La permacultura è una risposta progettuale creativa a un mondo contrassegnato dal declino delle disponibilità energetiche. In quanto tale, ha molti punti in comune con i modelli di Lovins e la loro giusta enfasi su processi e progetti derivati dai cicli naturali. L’interesse centrale della permacultura per la terra e la gestione delle risorse naturali è complementare all’interesse industriale per la cosiddetta “tecnologia verde” o sostenibile (green tech). Vi sono però alcune differenze. La permacultura:  dà

priorità all’utilizzo delle risorse attualmente disponibili al fine di ricostituire il capitale naturale11, in particolare alberi e foreste, come patrimonio per sostenere l’umanità in un futuro con minor utilizzo di combustibili fossili;  sottolinea l’importanza di processi di bottom-up redesign12, in cui si parte dall’individuo visto come unità produttiva e motore di trasformazione per arrivare a trasformare il mercato, la comunità e il contesto culturale più ampio;  postula l’imminenza di un crollo o, in qualche misura, di una grave crisi, di tecnologia, economia e società, elemento che manca per lo più nel green tech – di natura fondamentalmente ottimista – e che invece è una realtà palpabile per molta gente in tutto il mondo;  considera le società sostenibili preindustriali come modelli, in cui si riflettono i processi di progettazione generali, osservabili in natura, che potrebbero assumere grande rilevanza per i sistemi post-industriali.

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Permacultura Nella misura in cui riuscirà a fornire una risposta efficace alla necessità di limitare l’uso di energia e risorse naturali, la permacultura perderà il suo attuale status di “risposta alternativa alla crisi ambientale” per assumere quello di modello condiviso sociale ed economico dell’era postindustriale. Se sarà ancora chiamata permacultura o in qualche altro modo, è un fatto secondario13, 14. Il concetto e il movimento della permacultura hanno già cambiato la vita di migliaia di persone e modificato forse milioni di vite in mille modi diversi15. Ciò è accaduto senza alcun tipo di sostegno da parte di istituzioni pubbliche, aziende o governi. Alcuni hanno attribuito la forza del movimento al carisma di Bill Mollison, alla sua instancabile energia e al suo intelletto. Il suo ruolo nella diffusione iniziale a livello globale del concetto di permacultura è stato senza dubbio fondamentale; la persistenza, l’evoluzione e l’influenza della permacultura devono essere però attribuite alla rilevanza che essa ha assunto per la vita delle persone. Dopo aver sottolineato la rilevanza della permacultura per un futuro con meno energia, quale potrebbe essere la sua importanza, invece, in un eventuale, fantascientifico mondo in cui non vi fossero problemi di sorta di approvvigionamento energetico (per effetto dell’energia nucleare, dell’ingegneria genetica, delle colonie spaziali o di qualche altra diavoleria, da alcuni auspicata e da altri temuta)? In quel caso, sospetto che l’impatto della permacultura sarebbe limitato alla vita di qualche individuo o di pochi gruppi di individui isolati, persone che, per ragioni etiche, sarebbero spinte a scegliere un minimo consumo di energia e di risorse. Come definire che cos’è e cosa non è la permacultura è una questione che tormenta diverse persone. Il suo carattere molto sfaccettato ha permesso la sua progressiva evoluzione in una integrazione piuttosto ecumenica di molte alternative ecologiche. Anch’io ho contribuito16 a questa espansione, ma riconosco anche che il tentativo

di creare una teoria al cui interno possa starci di tutto – oltre a presentare qualche rischio – è un po’ come saper fare un po’ di tutto, ma non essere bravi in niente17, oppure come reinventare la ruota dal nulla, quando intorno a noi il mondo è pieno di ruote. Nonostante questi limiti, la progressiva evoluzione della permacultura come punto di forza nell’influenzare la natura capricciosa e vibrante dei cambiamenti sociali è un dato di fatto.

La terza ondata di ambientalismo L’emergere della coscienza ecologica nell’ultimo quarto del XX secolo può essere considerato come l’espressione di fasi di attività molto intensa seguite da fasi più lunghe e più lente di consolidamento. Queste fasi di nuova attività tendono a coincidere con altre di recessione economica18. La permacultura come alternativa ambientalista emerse durante la prima grande fase di presa di coscienza dei problemi ambientali, che coincise con il rapporto del “Club di Roma” del 1972 e le crisi petrolifere del 1973 e del 1975. Dopo la crescita economica degli anni ’80 – segnata nei Paesi a capitalismo avanzato dalla rivoluzione Reagan-Thatcher – la presa di coscienza pubblica dell’effetto serra, sul finire della stessa decade, portò alla nascita di una seconda fase di ambientalismo, con un accentuato interesse per la permacultura. Negli anni ’90, mentre l’attenzione generale era puntata sulle nuove tecnologie e sull’affermarsi della globalizzazione, si verificò un’altra fase di consolidamento dell’ambientalismo. Nel 1999, si avvertirono i primi segni di una nuova fase. In questa terza fase possiamo aspettarci che si arrivi alla diffusione di molte innovazioni di impronta ecologica comparse nella seconda. La passata esperienza suggerisce però che ogni nuova fase getta nuova luce anche su quelle precedenti e su principi che si davano per scontati. Questo libro è il mio contributo alla terza fase dell’ambientalismo.


Prefazione all’edizione italiana “Non andare dove conduce il sentiero, va’ invece dove il sentiero non c’è e lascia una traccia” Ralph Waldo Emerson, poeta e scrittore (1803 - 1882)

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È con grande piacere che L’Accademia Italiana di Permacultura accoglie l’edizione italiana del libro Permacultura - Principi e percorsi oltre la sostenibilità di David Holmgren, di cui ha promosso la pubblicazione presso Arianna Editrice. A tre anni dall’uscita del manuale Introduzione alla Permacultura di Bill Mollison e Reny Mia Slay (Edizioni AAM Terra Nuova, 2007), questo libro esce ora come indispensabile contributo intellettuale per chi voglia accostarsi al mondo della Permacultura e comprenderne a fondo, oltre alle indicazioni pratiche e operative, anche le motivazioni etiche e filosofiche. Di questo infatti si tratta: un’analisi lucida e precisa delle dinamiche che regolano e condizionano il nostro moderno mondo globalizzato, e l’indicazione di possibili percorsi di salvezza ad un’umanità che pare schiava del consumismo e della dipendenza dai combustibili fossili. Holmgren ci offre una chiave di lettura della realtà contemporanea attraverso i 12 principi fondanti della Permacultura e, grazie alla sua straordinaria capacità di utilizzare il pensiero sistemico, allarga la visuale fino ad abbracciare e mettere in relazione un lontano passato, un ipotetico futuro, esotici paesi lontani e il giardino di casa propria, in una danza di tempi e luoghi che affascina e avvince il lettore. Ci porta su percorsi che vanno “oltre la sostenibilità” per non accontentarci di mantenere l’esistente ma spingerci invece a ricostruire attivamente il capitale naturale già pesantemente intaccato, in primo luogo l’humus del suolo.

riflessione sulle scelte effettuate dalla politica e dall’economia sulla nostra vita quotidiana. Nel corso degli ultimi due secoli, l’umanità si è affrancata, almeno formalmente, dalla schiavitù dell’uomo sull’uomo. Ha sostituito gran parte del lavoro svolto con enorme fatica da persone ed animali con l’apporto energetico incredibilmente economico e funzionale di macchine e prodotti chimici derivati dai combustibili fossili. Ha sviluppato la “civiltà del petrolio” che a partire dalla Rivoluzione Industriale ha sconvolto e trasformato capillarmente la vita su tutto il globo, sia nei paesi industrializzati che da questo salto energetico traggono diretto beneficio, sia nei paesi definiti eufemisticamente “in via di sviluppo” o emergenti, cioè più poveri, che ne subiscono maggiormente i danni. La nuova società industrializzata ha investito in pieno il settore dell’agricoltura trasformandola nel settore produttivo più dipendente dai combustibili fossili. Per lunghissimo tempo, è parso che questo modello di sviluppo non imponesse prezzi da pagare e potesse consentire alla ristretta élite mondiale, di cui noi facciamo parte, di ignorare le conseguenze delle proprie azioni e vivere in un’eterna, irresponsabile e viziata adolescenza. Ma non è così. Il riscaldamento globale, la devastazione dell’ambiente, la perdita di fertilità dei suoli, la biodiversità in pericolo, le ricorrenti crisi economiche, la scarsità delle materie prime – primo tra tutti proprio del nostro deus-ex-machina, il petrolio – ci costringono a fare i conti con problemi di portata così enorme da lasciarci senza fiato e senza forze, sentendoci impotenti e frustrati di fronte a possibili scenari futuri che non vorremmo davvero augurare ai nostri figli e nipoti, né ad alcun altro.

Ma il libro di Holmgren si spinge oltre l’analisi delle dinamiche ecologiche e sociali, e ci offre spunti critici e di

L’autore non offre, con le sue pagine, soluzioni semplici o consolatorie per chi sta prendendo coscienza


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Permacultura

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della vastità dei problemi che abbiamo davanti. Indica però, in modo chiaro e convincente, un cammino fatto di consapevolezza, azione, autocritica, dubbi e capacità di evolversi imparando dai nostri stessi errori, che possa portare verso una futura società della decrescita conseguente alla discesa energetica. Questa è la grande sfida: come risponderà il mondo a noi conosciuto alla ridotta disponibilità di combustibili a basso costo, inevitabile una volta raggiunto e superato il picco di estrazione del petrolio? Sarà la tecnologia, il sogno tecnologico come l’autore lo definisce, a salvare un’umanità e un pianeta sull’orlo del collasso, o sarà piuttosto una trasformazione “dal basso”, generata dalle migliaia di azioni e progetti sviluppati nel territorio dai “progettisti – permacultori” a partire dalla porta di casa, e collegati e potenziati dalla loro capacità di fare rete? Ai posteri l’ardua sentenza, ma il celebre slogan “pensare globalmente e agire localmente” trova nel libro di Holmgren un’eccellente applicazione teorica e pratica. I 12 principi della Permacultura ci mantengono però saldamente (e saggiamente) ancorati al mondo della natura e delle leggi dell’energia a cui nulla sfugge e a cui dobbiamo tornare a guardare con un po’ di umiltà per tentare di mettere ordine nella confusione e nel frastuono che ci circondano. I percorsi e le strategie pratiche che l’autore ci indica spaziano dall’ambito agricolo e rurale a quello urbano, dalla gestione del territorio alle relazioni sociali, dalla scala umana a noi familiare a quella enorme dell’intero pianeta, e a quella microscopica della trasmissione genetica. La Permacultura è progettazione, e la capacità di progettare e riprogettare la nostra vita in modo adeguato e consono alla situazione e alle sfide attuali è nelle nostre mani. La Permacultura è anche l’arte di tessere relazioni utili tra gli elementi di sistemi a volte talmente complessi da ricordare le immagini prodotte dai caleidoscopi, o dai frattali. È necessario conoscere per capire, capire per amare e amare per proteggere. La complessità dinamica e l’incessante evoluzione degli ecosistemi naturali e umani, che Holmgren affronta

e descrive nelle sue pagine, affascina come un racconto fantascientifico e commuove al pensiero di quanto poco sappiamo e capiamo dell’ecosistema Terra, da cui tutti dipendiamo. Manca, egli lamenta, una scienza ecologica globale in grado di fare previsioni attendibili sul futuro che ci attende. L’esito dei nostri sforzi rimane incerto, ci ammonisce, ma abbiamo il dovere morale e civile di impegnarci al meglio e da subito, perché la strada verso una reale sostenibilità è lunga ed il tempo a nostra disposizione è breve. Alla lucida, e talvolta spietata, profondità di lettura del presente, l’autore unisce una capacità di anticipazione dei tempi quasi preveggente. All’età di 23 anni collaborò con Bill Mollison alla creazione e definizione della Permacultura, uno dei più significativi contributi intellettuali offerti dal suo paese, l’Australia. Da allora, egli ha incessantemente sviluppato ed applicato i principi della Permacultura alla propria vita, sia nella sua piccola (in termini australiani) fattoria di Melliodora sia nelle aziende agricole a cui offre consulenza, riunendo nella collana Collected writings 1978-2000 gli studi e le ricerche alla base di questo libro, pubblicato nel 2002 in Australia. Già allora mise in evidenza tendenze che si sarebbero sviluppate negli anni successivi, e avrebbero aperto la strada a movimenti emergenti oggi attivi in molti paesi, come le “Transition Towns” iniziate nel 2007 dal permacultore inglese Rob Hopkins. Il movimento della “Decrescita”, sostenuto dall’economista e filosofo francese Serge Latouche, affonda le radici nel lavoro dell’economista rumeno Nicholas Georgescu-Roegen (ideatore della bioeconomia) e passando per ragionamenti di natura molto diversa giunge a conclusioni analoghe. Entrambi i movimenti hanno trovato in Italia un terreno fertile e sensibile. Le Transition Towns, da cui è nata la rete “Transition Italia”, nascono dalla grande intuizione che la sfida energetica riguarda anche e innanzittutto gli abitanti delle città e delle periferie, e che un radicale, seppur graduale, cambiamento degli stili di vita deve necessariamente coinvolgere tutti, pena l’inefficacia. Portare


Prefazione all’edizione italiana

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città e villaggi verso la transizione ad un modello sociale a basso impatto ambientale e a basso assorbimento energetico è uno sforzo senza precedenti che richiede la partecipazione attiva di tutti le componenti della società, chiamate a contribuire al grande cambiamento con creatività e senso di responsabilità verso le proprie comunità locali. La filosofia della Decrescita ha generato in Italia due correnti di pensiero, collegate alla “Rete per la Decrescita” e al “Movimento per la Decrescita Felice”, accomunate dalla consapevolezza della totale insostenibilità del modello di sviluppo occidentale e dell’assoluta, pressante necessità di ridurre consumi, sprechi, velocità e ritmi di vita. La decrescita è la grande “eresia” che terrorizza economisti e politici insieme, perché secondo il modello economico occidentale senza crescita non c’è sviluppo, e senza sviluppo si rischia di cadere fuori dalle Colonne d’Ercole della civiltà. Peccato che già oggi lo studio dell’impronta ecologica evidenzi con dati oggettivi che i paesi del primo mondo stanno divorando il capitale naturale della Terra, danneggiando il pianeta – in modo forse irreparabile – senza nemmeno accorgersene. La Permacultura ci porta ad osservare la natura e gli ecosistemi, facendoci comprendere che non esiste alcun modello naturale di crescita eterna ed illimitata, ma piuttosto una costante costruzione di sistemi complessi, che crescono fino al raggiungimento della massima stabilità, ed in questo stato perdurano per tempi talmente lunghi da sembrare – per la scala umana – permanenti ed eterni. È inoltre molto attiva la Rete Italiana dei Villaggi Ecologici – RIVE, che dal 1996 riunisce le principali esperienze di vita comunitaria ed ecologica in Italia. Le comunità intenzionali, gli eco-villaggi ed i gruppi di co-housing, a cui si fa ampiamente riferimento nelle pagine del libro, rivestono per Holmgren grande importanza come esempi positivi di integrazione socioecologica degli elementi della vita umana, nella ricerca di ricreare quel senso di appartenenza e condivisione che scarseggia nella struttura sociale organizzata per

nuclei frammentati e separati. Le comunità – molte delle quali seguono e sviluppano i principi della Permacultura – sono veri e propri laboratori che offrono alla società idee e strumenti innovativi e adeguati al percorso di discesa energetica. L’Accademia Italiana di Permacultura, nata nel 2003, continua la propria azione di formazione e promozione sia attraverso i Corsi di Progettazione in Permacultura sia con le tutorie offerte dai suoi diplomati a chi voglia conseguire, dopo un percorso biennale di apprendimento attivo, il Diploma di Progettazione in Permacultura. Ha visto costantemente crescere nel corso degli anni l’interesse del pubblico e dei media per questa nuova scienza progettuale che abbraccia e comprende tutte le attività umane, e in primo luogo la produzione del cibo quotidiano senza cui la vita è impossibile. Prendersi la propria responsabilità, aver cura della Terra e delle persone, imparare a condividere il surplus per creare una diffusa solidarietà sociale, sono le basi etiche della Permacultura, che ci spinge all’azione attraverso l’insegnamento dei principi progettuali e delle strategie per una buona gestione del territorio e delle risorse. Cercare un’alta qualità della vita per questa generazione e quelle future non è solo un generico diritto di tutti gli esseri umani ma un impegno da assumere, da oggi, in prima persona. Dall’Australia Holmgren lancia il suo messaggio anche all’Italia, paese che egli conosce ed ama, e ci auguriamo che il lettore italiano accolga l’invito all’azione che la piacevole e stimolante lettura di queste pagine ispira. Ringraziamo Arianna Editrice per avere pubblicato il libro, Giuseppe Chia per il suo lavoro di traduzione e le note esplicative, e tutte le persone che portano avanti attivamente progetti per rendere visibile e tangibile intorno a noi un modello sociale, economico ed ecologico profondamente sostenibile, solidale e gioioso. Lucilla Borio, Stefano Soldati, Massimo Candela Accademia Italiana di Permacultura

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Permacultura

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Siti web di riferimento: Accademia Italiana di Permacultura: http://www.permacultura.it Transition Italia: http://transitionitalia.wordpress.com Rete per la Decrescita: http://www.decrescita.it Movimento per la Decrescita Felice: http://www.decrescitafelice.it Rete Italiana Villaggi Ecologici – RIVE: http://www.ecovillaggi.it Gruppi di co-housing in Italia: http://retecohousing.org, http://www.cohousingintoscana.it


Introduzione Che cos’è la permacultura?

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Ho già detto che non è mia intenzione definire o limitare il concetto di permacultura, ma devo almeno dare alcuni chiarimenti per spiegare il contenuto di questo libro.

La visione Il termine permacultura fu coniato da Bill Mollison e da me a metà degli anni ’70 per descrivere «un sistema integrato in evoluzione di specie animali e vegetali, perenni o a diffusione spontanea, utili all’uomo»19. Un’altra definizione di permacultura, che riflette il progressivo allargarsi delle prospettive dopo la pubblicazione di Permaculture One è questa: «Paesaggi consapevolmente progettati, che imitano modelli e relazioni presenti in natura e forniscono cibo, fibre ed energia per soddisfare i bisogni locali». Le persone, le loro abitazioni e i modi in cui organizzano le loro comunità sono di importanza centrale, in permacultura. In tal modo, la prospettiva di una agricoltura permanente (per definizione, sostenibile) si evolve spontaneamente nella realizzazione di una cultura permanente (anch’essa sostenibile). Il sistema di progettazione Per molte persone, me compreso, la concezione di permacultura evocata nelle righe che precedono è talmente globale, nella prospettiva che delinea, da limitarne l’utilità. Precisando meglio, io considero la permacultura come l’utilizzo di sistemi di pensiero e principi di progettazione che forniscano la cornice organizzativa per mettere in pratica la prospettiva o visione delineata sopra20. È come mettere insieme tutte quelle idee, le capacità e i modi di vita diversi che bisogna riscoprire e sviluppare, per darci

la possibilità e la forza di trasformarci da consumatori dipendenti in cittadini responsabili e produttivi. Se consideriamo le cose da questo punto di vista più limitato – ma probabilmente più importante – la permacultura non è più solo la cura del paesaggio, l’abilità dell’orticoltore biologico, l’allevamento secondo metodi sostenibili, la costruzione di edifici o ecovillaggi efficienti dal punto di vista del fabbisogno energetico. È tutto questo e anche di più: è la capacità di progettare, rendere praticabili, gestire e migliorare tutte queste cose insieme e ogni altro sforzo di individui, famiglie e comunità, nel tentativo di costruire un futuro sostenibile. Il fiore della permacultura illustrato nella Figura 1 mostra le principali aree che bisogna trasformare per creare un futuro sostenibile. Storicamente, la permacultura si è concentrata sulla cura della terra e della natura, sia come fonte di principi etici e organizzativi che come applicazione degli stessi. Si possono applicare gli stessi principi anche a quelle altre aree dell’attività umana che sono le risorse materiali ed energetiche e l’organizzazione delle comunità umane (nei nostri corsi di permacultura spesso chiamiamo queste aree di intervento strutture invisibili)21. I settori specifici, i metodi progettuali e le soluzioni che con il tempo sono stati associati a una visione più allargata della permacultura si trovano alla periferia del fiore. La spirale evolutiva in forma di freccia ha il suo punto di partenza nella corolla centrale dei principi etici e connette i vari settori, inizialmente a livello individuale e locale e poi in senso sempre più collettivo e globale. La spirale un po’ ondivaga a tela di ragno suggerisce il carattere incerto e variabile di tale processo di integrazione.


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Permacultura

Agricoltura biologica e biodinamica

Bioarchitettura

Case di terra e paglia Case autocostruite Solare passivo

Spigolare, raccogliere allo stato selvatico Silvicoltura

Evoluzione dei sistemi progettati in senso permaculturale

Ambiente costruito (edifici)

Cura di terra e natura Raccolta e conservazione semi

Energie rinnovabili

Cooperative, enti giuridici e fondazioni

Ecovillaggico-housing

Possesso della terra e governo della comunità

Principi etici

Tecnologie appropriate

Strumenti e tecnologie

Trasporti su bicicletta

e organizzativi della permacul-

Riutilizzo/riciclo

tura

Risoluzione dei conflitti

Riutilizzo/riciclo Cultura e istruzione

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Investimenti etici Economia e finanza

Leggere il paesaggio/ spiritus loci Istruzione in casa/ pedagogia steineriana

Agricoltura su sottoscrizione23 Salute e benessere spirituale

WWOOF

Arti e musica aperte alla partecipazione

LETS22 Yoga e altre discipline per corpo/mente/spirito

Parto in casa/ Morire con dignità Medicina olistica

Figura 1 – Il fiore della permacultura.

La rete La permacultura è anche una rete con movimenti diffusi a livello mondiale, fatti di individui e gruppi che lavorano in Paesi ricchi e poveri per dimostrazione e diffonderne i principi di progettazione pratica. Questi movimenti sono per lo più autonomi e non finanziati da Stati, governi e imprese

private; le persone che ne fanno parte sono testimoni diretti di un futuro ecocompatibile organizzato direttamente intorno alle loro vite in base ai principi della permacultura. In tal modo queste persone si fanno promotrici di cambiamento, all’interno delle loro realtà locali; questi anche piccoli cambiamenti, a loro volta, influenzano in maniera più


Introduzione

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o meno diretta ulteriori altre trasformazioni in altri ambiti, come la gestione dell’ambiente, l’agricoltura biologica, la scelta di tecnologie appropriate, la fondazione di comunità improntate a principi di salvaguardia della natura. A distanza di vent’anni, la permacultura è diventata il prodotto culturale d’esportazione più significativo dell’Australia.

Il corso di progettazione in permacultura La maggior parte delle persone coinvolte nel movimento della permacultura ha in qualche modo svolto un corso speciale di preparazione. Da oltre quindici anni, questi corsi sono stati il principale veicolo d’espansione del movimento in tutto il mondo. Nel 1984 siamo riusciti a codificare un curriculum con vari argomenti e materie. In seguito, però, per effetto dei diversi approcci seguiti dai vari docenti, la forma e il contenuto di questi corsi hanno prodotto esperienze e concezioni differenziate anche in base alle realtà locali. All’inizio degli anni ’90, ho cominciato a tenere regolarmente dei corsi di permacultura, adottando il curriculum cui ho già accennato. Anch’io, però, ho adattato il formato del curriculum dando maggiore importanza alle mie esperienze, concezioni e priorità. Ho anche contribuito alla discussione e al dibattito, all’interno del movimento, su come insegnare i contenuti della permacultura24. In anni recenti, questo dibattito si è fatto più intenso. Bill Mollison e altri25 hanno dichiarato che il non aderire al curriculum, l’includere in esso la trattazione di temi di tipo religioso che esulino da quelli classici della permacultura come scienza della progettazione e la non aderenza ai principi e alle teorie fanno perdere valore e forza al senso stesso dei corsi di permacultura. Personalmente, sono abbastanza d’accordo con alcune di queste affermazioni relative ai corsi, ma ho sempre pensato che anche nel caso della permacultura uno dei principali valori debba essere la diversità, pure quando – come nel caso delle erbacce – questa diversità assume forme che possono non piacerci. Diffusione del concetto di permacultura In molti Paesi il concetto di permacultura è noto soltanto a quel ridotto numero di persone, che hanno partecipato a qualche corso di progettazione o sono at-

tivamente coinvolte in progetti specifici. In Australia la cosa, per ovvie ragioni, è del tutto diversa: è qui che è iniziata la storia della permacultura ed è qui che, attraverso i tanti progetti avviati, i principi della permacultura hanno trovato diffusione e apprezzamento presso larghe fasce di popolazione di orientamento ambientalista26, grazie anche alla sensibilità dei mass media. Molti considerano la permacultura come un sistema di orticoltura o uno stile di vita ispirato alla controcultura. Tali interpretazioni popolari possono implicare sia vantaggi che svantaggi, ma in entrambi i casi contribuiscono ad allargare il contesto di trattazione di questo mio libro.

La permacultura come orticoltura Molta gente in Australia vede la permacultura in modo positivo, come una forma di ambientalismo da accettare perché basata sul buon senso. Gli effetti dei programmi televisivi su giardinaggio e simili, i video e i libri27 che propagandano il fai da te in questo campo, i progetti avviati in molte scuole, gli orti comunali, i LETSystem e l’inclusione come opzione in corsi standard di orticoltura hanno contribuito a scatenare un vero entusiasmo nei confronti della permacultura. Il processo di soddisfacimento dei bisogni della gente secondo modalità sostenibili richiederebbe una vera rivoluzione culturale. Imporre alla gente un tale passo come prerequisito di adesione alla permacultura non farebbe che allontanarla, inibendo anche il crearsi di una mentalità positiva che punti al cambiamento sociale e personale. In tal modo, la permacultura ha evitato alcuni degli ostacoli e delle opposizioni, che altre idee rivoluzionarie hanno incontrato sulla propria strada. Il movimento della permacultura e la comprensione seppur rudimentale di molti suoi concetti fondamentali da parte del grande pubblico dimostrano che è possibile, per idee rivoluzionarie complesse e anche astratte, esercitare una marcata influenza sull’opinione pubblica a partire dal basso. È un esempio, che potrebbe fungere da linea guida anche per altri concetti connessi alla sostenibilità ambientale, al contrario di quanto è accaduto ad esempio, per il Summit della Terra di Rio, che ha ten-

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Permacultura tato senza successo di mettere in moto dei meccanismi di partecipazione popolare e di cambiamento culturale a partire dall’alto.

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La permacultura come controcultura Anche la percezione della permacultura come parte del fenomeno più generale della controcultura, con regolari riunioni, riviste, newsletter e gruppi locali, ha avuto degli aspetti positivi. In quanto tale, la permacultura ha fornito una cornice olistica per riorganizzare gli stili di vita e i valori di una piccola minoranza pronta a trasformazioni più radicali. Ciò si è dimostrato particolarmente vero per la minoranza di giovani disillusa dalla cultura consumistica giovanile della fine degli anni ’9028. In altri casi, la permacultura ha portato un messaggio di speranza nella lotta contro ingiustizie ambientali e sociali29. I corsi di progettazione in permacultura, specialmente quelli che durano due settimane, sono stati particolarmente efficaci nel promuovere cambiamenti radicali e offrire nuove prospettive di vita ai partecipanti, fornendo loro anche un senso di appartenenza. Questo aspetto controculturale della permacultura ha facilitato la sperimentazione di nuovi stili di vita, in cui predomina l’imperativo ecologico30. Le reazioni del mondo accademico, delle professioni e delle autorità pubbliche Queste reazioni sono state più diversificate rispetto a quelle riscontrate nel largo pubblico. Nel piccolo numero di professionisti e accademici, che alla fine degli anni ’70 tentarono di integrare nel loro lavoro il pensiero ecologico nei suoi vari aspetti etici, pragmatici, filosofici e tecnici, Permaculture One produsse qualche commento entusiastico. Ad esempio, Earle Barnhard31 del New Alchemy Institute32 scrisse: «La permacultura fornisce una cornice concettuale preziosa per società del futuro sane e sostenibili». Bill Mollison, invece, sottolineò il fatto più generale che «la comunità dei professionisti si arrabbiò molto, perché avevamo combinato l’architettura e la biologia, l’agricoltura e la silvicoltura, e la silvicoltura con l’allevamento. Molti specialisti di questi campi si sentirono offesi da tale approccio»33. La permacultura stessa fu concepita all’in-

terno di ambienti accademici. Molte figure impegnate nell’agricoltura su grande scala e nelle politiche del territorio definirono la permacultura teorica, utopica e poco pratica, difficile da applicare nel prevalente contesto sociale, politico ed economico34. Sin dalla comparsa del movimento della permacultura, essa è diventata oggetto di studio da parte del mondo accademico, con varie accentuazioni di impronta sociologica, educativa, politica, ecologica o semplicemente agricola35. Alcuni docenti universitari utilizzano testi di permacultura e altre fonti; ad esempio, nel 1992 un intero elaborato sulla permacultura, redatto dal sottoscritto, venne incluso nel primo corso australiano post-laurea con specializzazione in agricoltura sostenibile36. In altri Paesi sono stati proprio gli accademici a promuovere l’apprezzamento della permacultura37. Un altro accademico molto attivo è stato Stuart Hill, che ha inserito la permacultura fra le discipline connesse al concetto di sostenibilità38. Quella che Hill chiama prospettiva della sostenibilità profonda rafforza le motivazioni che stanno alla base di scelte radicali come la permacultura. «La mia analisi della situazione – scrive Hill – è primariamente psicosociale, piuttosto che solamente politica, ed è esattamente questo che rende difficile accettarla, perché essa richiede come prima cosa che ognuno riconosca le proprie responsabilità e agisca di conseguenza cambiando se stesso prima di puntare come al solito il dito in direzione degli altri, o che almeno si facciano contemporaneamente le due cose. Ciò non ha lo scopo di negare le ineguaglianze e le oppressioni, che esistono e che devono essere risolte all’interno della nostra società, ma quello di riconoscere che ineguaglianze e oppressioni possono essere fatte risalire ai nostri modelli, personali e collettivi, di comportamento. Questi modelli di comportamento, se non verranno radicalmente trasformati, continueranno a causare disastri e a offendere il nostro prezioso pianeta, la nostra società e il nostro benessere individuale. Inoltre, io credo che quanto più informato, cosciente, competente e chiaro riguardo ai


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Introduzione

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propri valori ognuno di noi è, tanto più saremo in grado di portare a termine le trasformazioni strutturali e istituzionali di cui abbiamo urgentemente bisogno. Tentare di fare queste ultime cose senza cambiare i nostri modelli di comportamento non farà che portare al fallimento delle nostre iniziative, proprio a causa del fatto che, così, non riusciremo a rimuovere le cause dei nostri problemi. Al massimo, riusciremo a ridurre solo di poco i livelli di non sostenibilità e di degrado»39. Le opinioni di Hill si basano sulla sua esperienza nel campo dell’agricoltura ecologica e della ricerca entomologica alla McGill University del Canada e sulle conoscenze delle pratiche agricole biologiche ed ecologiche di varie parti del globo che Hill ha accumulato. La permacultura ha dunque avuto un discreto grado di riconoscimento e generato un forte interesse negli studenti, tanto che è stata inclusa come opzione in molti corsi standard connessi all’agricoltura. Persiste però il preconcetto che la permacultura non sia degna di un rigoroso sforzo intellettuale, ed è questa un’immagine assai diffusa che impedisce che venga presa seriamente in considerazione dagli accademici. Anche Mollison ha contribuito al verificarsi di questa situazione. Da una parte, ha diffuso diffidenza nei confronti del mondo accademico; dall’altra la sua personalità, il suo carisma e il modo netto e graffiante in cui si pone nei confronti dei media lo hanno imposto all’attenzione dell’opinione pubblica. La sua immagine di zio irriverente ed eccentrico, con idee precise e nette ha fatto breccia in molti australiani; egli è diventato così un vero guru, per i sostenitori della permacultura. Il dr. John Wamsley40, un altro ambientalista con tratti da iconoclasta, ha svolto un ruolo simile a quello di Mollison, nel sensibilizzare e scuotere l’opinione pubblica. Ovviamente, questa radicalizzazione produce automaticamente un’atmosfera di sospetto e rifiuto in molte persone, anche se queste stesse persone accettano la radicalità delle posizioni di leader riconosciuti. Inoltre, l’occasionale uso, da parte di Mollison, di dichiarazioni piuttosto forti per smuovere le

acque e infrangere pregiudizi molto radicati, ha prodotto nella comunità scientifica e accademica – già per suo conto sospettosa degli approcci olistici e gelosa del proprio orticello – un atteggiamento non certo benevolo.

Un eccesso di promozione Si è verificato, a volte, che alcuni progetti di permacultura si siano rivelati in retrospettiva ingenui, malrealizzati e controproducenti. La mancanza di adeguate risorse finanziarie, di adeguate informazioni e di capacità ha portato molte buone idee a naufragare più o meno miseramente. Robert Gilman – redattore della rivista In Context – ha detto41 che «l’opinione pubblica è stata vaccinata contro le buone idee» dal fatto che quelle idee sono state promosse e approvate molto prima di averne verificato l’efficacia nella pratica. Altre volte è avvenuto che l’etichetta di permacultura sia stata affibbiata a progetti grandiosi, che avevano poco o nulla in comune con i suoi principi etici e ambientali. Il fatto che la permacultura sia stata catapultata sul palcoscenico troppo in fretta può aver prodotto una sorta di corto circuito, che ha impedito una sua ulteriore evoluzione intellettuale. Tale processo può essere paragonato al concetto di sviluppo sostenibile, che è stato screditato e annacquato dalla sua troppo rapida proiezione nel mondo delle politiche istituzionali e dei consulenti aziendali. Qualunque percorso seguano, tutte le idee devono sporcarsi le mani con il mondo reale, se vogliono avere vita e utilità.

I principi della permacultura In Permaculture One (1978), Mollison e io delineammo la teoria e alcune applicazioni iniziali della progettazione in permacultura, senza con questo elencare un vero e proprio insieme organico di principi. L’albero della permacultura42 presentava il concetto paragonandolo a un albero, che germoglia a partire dal seme, dando vita a radici e strutture aeree interdipendenti. La germinazione dell’idea genera sia la realtà fisica dei sistemi di sostegno dell’ecologia umana che l’intera cornice concettuale di conoscenza olistica.


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Permacultura

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In Permaculture: a designers’ manual (1988), Bill Mollison ha realizzato una trattazione enciclopedica dei fini e delle possibilità della progettazione permaculturale, aggiungendo anche un allargamento della teoria e dei principi di progettazione alla base delle varie applicazioni pratiche. I capitoli 2 e 3 che trattano di queste fondamenta concettuali sono pieni di intuizioni e suggerimenti, ma non arrivano a fornire un chiaro e ben definito elenco di principi. In Introduction to permaculture (1991), Mollison e Reny Slay hanno presentato i principi in modo molto più semplice, seguendo un formato attribuito al docente di permacultura americano John Quinney. Questo formato è stato da allora largamente utilizzato o adattato da molti altri docenti.

Il valore e l’utilizzo dei principi L’idea che sta dietro ai principi della permacultura è che si possono derivare dei principi di ordine generale dallo studio del mondo naturale e delle società preindustriali e che si possono applicare questi principi in modo universale, per accelerare lo sviluppo postindustriale in senso sostenibile di terre e risorse. Il processo attraverso cui si riesce a fornire all’interno di limiti ecologici ciò che serve a soddisfare i bisogni di una comunità di persone richiede una rivoluzione culturale. Inevitabilmente, essa porterà con sé confusioni, false piste, rischi e inefficienze. Sembra davvero che il tempo a disposizione per detta rivoluzione sia molto limitato. In questo contesto storico, l’idea di un semplice elenco di linee guida che abbiano un’applicabilità molto ampia o addirittura universale è davvero attraente. I principi della permacultura sono brevi dichiarazioni o slogan, che possono essere ricordati quasi fossero parti di un promemoria per sintetizzare le complesse opzioni, che abbiamo davanti quando si tratta di progettare e attuare un sistema ecologico improntato a criteri di sostenibilità. I principi vanno considerati universali, anche se i metodi che li esprimono variano molto in base ai luoghi e alle situazioni. Espandendoli ulteriormente, i principi sono applicabili anche alla riorganizzazione della nostra vita in senso personale, economico, sociale e politico. Come illu-

strato nel Fiore della Permacultura, possono essere divisi in principi etici e principi di progettazione. I principi etici sono un distillato dei principi etici comunitari adottati in epoche precedenti da gruppi religiosi e cooperativi43. Fin dall’emergere della permacultura, l’etica – soprattutto l’etica collegata all’ambiente – è diventata un campo di studio molto attivo, sotto vari punti di vista. Ciò è la prova che i problemi etici sono il cuore della crisi che l’umanità ha di fronte alla fine del secondo millennio dalla nascita del Cristianesimo. La stessa permacultura è diventata argomento di studio nel contesto dell’etica ambientale44. I filosofi morali possono argomentare che dare alla permacultura una valenza di questo tipo – senza più generali riferimenti all’etica ambientale e senza entrare nel contesto della filosofia – è pericoloso dal punto di vista etico e pratico. Sono d’accordo sul fatto che l’ignoranza della storia ci condanna a ripeterla, ma credo sia difficile andare molto lontano con i paradigmi etici senza che al tempo stesso si agisca nel mondo reale, sviluppando in modo olistico la nostra personalità. I pericoli di isolamento del pensiero filosofico rispetto a una vita integrata sono grandi quanto i pericoli di ignoranza della storia di filosofia e morale. Nel mondo moderno, regno dell’incertezza e delle domande, anche i principi etici della permacultura, pur così semplici, possono facilmente essere interpretati in vari modi. La mia stessa comprensione di questi principi etici è influenzata da una varietà di fonti, che risalgono a prima e a dopo aver scritto Permaculture One. Per altri, più addentro all’etica ambientale, sarà più facile collocare queste idee in un contesto più ampio. Nel tentativo di essere più esplicito a proposito di questi principi e della loro applicazione, nel presente libro mi troverò a percorrere un altro terreno minato filosofico senza quasi conoscere i dettagli di questi pericoli. Molti accademici45 giudicheranno l’utilizzo di energetica e teoria dei sistemi per capire e dare una forma ai concetti etici – impliciti nella permacultura e resi espliciti in questo libro – una visione della realtà pericolosamente deterministica. Perfino all’interno del movimento, alcuni non si sentono a loro agio, quando si confrontano con le mie interpretazioni dei principi di etica e progettazione.


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Introduzione

Teorie

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Offro i miei pensieri con la fiducia che il disagio, soprattutto il disagio morale, sia una salutare alternativa alla certezza ideologica.

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Figura 2 – L’albero della permacultura.

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Prodotti secondari

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Prodotti terziari

I principi di progettazione Il fondamento scientifico dei principi della progettazione in permacultura si trova nella moderna scienza dell’eco-


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Permacultura

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logia e, più in particolare, in quella branca dell’ecologia che si chiama ecologia dei sistemi. Altre discipline intellettuali, soprattutto la geografia del paesaggio e l’etnobiologia, hanno apportato concetti che sono stati adattati ai vari principi. Fondamentalmente, i principi permaculturali di progettazione derivano da un modo di percepire il mondo, spesso descritto come systems thinking e design thinking (v. Principio 146). Esponenti di questa corrente di idee sono:  la Whole Earth Review, il cui prodotto più noto è il Whole Earth Catalogue, pubblicato da Stewart Brand. La Whole Earth Review si è adoperata davvero tanto per far conoscere il pensare e progettare per sistemi come strumento fondamentale della rivoluzione culturale, di cui la permacultura fa parte;  le idee ben note47 e già applicate di Edward De Bono48, che pure rientrano nella categoria generale del systems o design thinking;  il systems thinking 49, che – come la disciplina accademica chiamata “cibernetica”50 – è un argomento esoterico e difficile, intimamente associato con l’emergere dell’informatica e delle reti di comunicazione e di molte altre applicazioni tecnologiche. Nonostante le potenti applicazioni del pensiero sistemico nel mondo moderno, sui nostri schemi quotidiani di pensiero questi processi non hanno avuto effetti molto evidenti. Recentemente, è accaduto anche a me di ricevere quesiti a proposito del mio approccio all’insegnamento del pensiero sistemico in un contesto di permacultura. Un accademico americano vicino alla pensione – dopo essersi occupato per una vita di ingegneria, miniere e insegnamento universitario – facendo lezioni sul pensiero sistemico applicato alle organizzazioni, aveva iniziato a chiedersi se tale modo di pensare non fosse un’abilità innata, alla quale l’insegnamento ben poco avesse da aggiungere. La sua esperienza era che la maggior parte della gente sembrava bloccata in un processo di comprensione troppo semplicistico e incapace di percepire la complessità e di afferrare la più ampia prospettiva del pensare per sistemi complessi, cose che per lui erano invece illuminanti e stimolanti.

A parte l’energetica ecologica di Howard Odum, l’influenza del pensiero sistemico sul mio sviluppo della permacultura e dei principi di progettazione non è derivata da un attento studio dei testi ma per lo più è avvenuta attraverso un processo di assimilazione osmotica di idee nell’etere culturale in sintonia con la mia esperienza di progettista permaculturale. In più, penso che molte intuizioni del pensare per sistemi – difficili da afferrare come astrazioni – siano invece verità contenute nelle storie e nei miti delle culture indigene. I principi della permacultura – sia quelli relativi all’etica che quelli relativi alla progettazione – li si possono osservare all’opera tutto intorno a noi. Io sostengo che la loro assenza nella moderna cultura industriale, o il loro essere apparentemente in contraddizione con essa, non invalida la loro universale rilevanza per il passaggio ad un futuro a bassa disponibilità di energia. Anche se l’idea di un semplice insieme di principi etici e di progettazione è centrale nell’insegnamento della permacultura, qualsiasi analisi di testi, corsi d’insegnamento e siti web centrati sulla permacultura mostra una diversità di approcci e perfino una certa confusione circa questi principi e la loro applicazione. Progetti e processi ispirati alla permacultura denotano spesso una difficoltà nell’utilizzare dei principi, a meno che non sia a mero fine illustrativo o di citazione. Si potrebbe sostenere, a ragione, che la permacultura ha contribuito alla diffusione di alcune soluzioni molto innovative, che illustrano bene i principi su cui essa si basa, ma è stata meno efficace nel diffondere proprio quelle modalità di pensiero che sottostanno a quelle stesse soluzioni. Inevitabilmente, qualsiasi complesso di principi giudicato utile deve essere costantemente messo in discussione e poi ulteriormente rielaborato, se deve aiutarci a riconoscere più chiaramente delle soluzioni che siano originali. Questo libro rappresenta l’apice dei miei sforzi nel capire e spiegare le modalità di pensiero che hanno accompagnato l’evoluzione della permacultura negli ultimi venticinque anni. La multiforme varietà della permacultura è stata da me suddivisa in dodici principi. Questa organizzazione varia in modo significativo, rispetto ad analoghe elaborazioni di altri teorici e docenti. In alcuni casi, questa difformità è dovuta semplicemente a una questione di forma; in


Introduzione qualche caso, invece, si tratta di questioni di sostanza. Ciò non deve sorprendere, visto il carattere ancora in evoluzione della permacultura.

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Zone e settori in permacultura Tra i tanti concetti insegnati nei corsi di progettazione in permacultura, quelli di zona e settore sono di gran lunga i più stabili, comprensibili e applicati, anche se poi il modo di progettare la struttura dei siti può variare di molto (v. Principio 7). Per quanti hanno già familiarità con questi concetti, la Figura 3 fornisce una meta-analisi delle zone e dei settori in cui le zone di influenza e controllo diretto partono dallo spazio personale centrale per estendersi gradualmente a quello globale. Le zone sono in parte entità fisiche e geografiche e in parte entità concettuali. Le loro funzioni si esplicano in due opposte direzioni: partono da un nucleo centrale forte ed integrato e si evolvono verso aree più aperte all’incertezza e alla flessibilità. Particolari metodi e strategie che operano in una zona non necessariamente saranno efficaci in un’altra zona. I settori in cui vengono incanalate le forze energetiche e gli appositi materiali provenienti dall’esterno esercitano una moltitudine di influenze sul sistema. Essi possono informare, sostenere, limitare, influenzare e danneggiare il nostro meta-sistema. Possiamo imparare a gestire queste forze amplificandole, concentrandole o limitandole tramite opportune scelte spaziali e concettuali riferite alla progettazione del sito. Allo stesso tempo, dobbiamo anche accettare l’idea che la nostra influenza sulle dinamiche su larga scala51 non può che essere minima. Così come la progettazione del sito ha dato la possibilità di valorizzare e capire il sito stesso migliorando la qualità delle decisioni, l’analisi per zone e settori schematizzata nella figura può avere una sua importanza nel far capire meglio il mondo in cui è inserito il sito, in modo da decidere le linee d’azione più efficaci anche per il futuro.

Cultura sostenibile? I principi della permacultura hanno una rilevanza immediata, per la vita di tutti i giorni, in molte diverse situa-

zioni e culture, senza che vi sia necessità di particolari prospettive unificate di futuro. Come ho spiegato nella prefazione, l’incertezza del futuro e l’ambiguità dei concetti di sostenibilità sono inevitabili; tuttavia, non possiamo vivere con il cambiamento o pensare alla sostenibilità senza considerare le prospettive su larga scala, che forniscono il contesto per passato, presente e futuro. In molti modi, questo libro cerca di dare un senso al mondo in cui viviamo, ma si preoccupa anche di dire cosa dovremmo fare. Un modo di considerare la sostenibilità è vederla come un sistema coerente di priorità sistemiche. La tabella (a pagina 25) mette a confronto alcune categorie che sono alla base della vita quotidiana nelle società industriali mature – che stanno raggiungendo il loro climax53 su scala globale – e quelle stesse categorie viste in prospettiva sostenibile, in modo da riflettere la realtà ecologica a lungo termine. La scelta degli elementi della tabella è inevitabilmente artificiale, ma serve a identificare rapidamente la fondamentale e universale natura della trasformazione culturale alla quale la permacultura sta contribuendo. L’equilibrio dinamico tra queste coppie polarizzate di categorie è un tema che percorre la mia spiegazione dei principi permaculturali. Ad esempio:  nel Principio 9 utilizzo l’immagine della bilancia per esplorare l’equilibrio asimmetrico e dinamico tra sistemi veloci e lenti nelle culture industriali e nelle culture sostenibili;  nel Principio 12 il modello pulsante54 della dinamica degli ecosistemi fornisce un’altra illustrazione grafica di questi equilibri. Gli esempi forniti nei Principi 9 e 12 possono essere utili per comprendere le altre polarità indicate nella tabella. Il limite insito nel concetto di cultura sostenibile è che esso suggerisce un qualche stato di stabilità, al quale potremmo pervenire abbastanza in fretta (implicitamente, applicando i principi della permacultura). E invece un futuro in cui popolazioni umane numericamente più ridotte saranno in equilibrio con le loro fonti energetiche rinnovabili potrebbe essere lontano centinaia di anni. Né più né meno della durata di un albero, di un edificio ben costruito e ben tenuto o di una

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Permacultura

Forze e flussi ecologici Zona 5 – Globale Zona 4 – Nazione-continente Zona 3 – Area bioregionale Zona 2 – Attività-comunità Più ci si allontana dal centro, più aumenta l’area e diventa minore il controllo da parte del centro

Zona 1 – Persona-casa-famiglia

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Zona 0 - Principi di progettazione in permacultura52

Forze e flussi culturali

Forze e flussi economici

Figura 3 – Analisi permaculturale per zone e settori.

università. Paradossalmente, è più facile dire come sarà fatta questa cultura sostenibile a basso consumo di energia che cercare di spiegare come arrivarci. Questo processo è meglio visualizzato osservando i grafici dei cambiamenti dinamici, che sono stati registrati e previsti per sistemi auto-organizzati come popolazioni di microbi o galassie. La Figura 4 mostra un grafico, in cui si

mettono in evidenza lo sviluppo di una civiltà e il suo declino in base a come esso viene previsto55. La cultura industriale e la permacultura sono stabili solo per quanto concerne la direzione dell’utilizzo energetico. L’attuale dinamica della globalizzazione culturale ed economica è una dinamica di climax56 caotico e di transizione da una fase di crescita della popolazione e di utilizzo di energia a una fase di declino.


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Introduzione I concetti filosofici e artistici di modernismo e postmodernismo possono essere blandamente associati a queste realtà dell’energia e dell’ecologia. È problematico per noi visualizzare il declino in modo positivo, ma il fatto che sia problematico non è altro che il riflesso del predominio della cultura dello sviluppo, che continua a permeare il nostro pensiero. La permacultura non è altro che un adattamento convinto alle realtà ecologiche del declino, naturali e creative quanto quelle dello sviluppo. Il proverbio: «Ciò che sale deve scendere» ci ricorda che, nel profondo del nostro cuore, sappiamo già che dev’essere così. Il vero problema della nostra epoca è come gestire questa discesa in modo gradevole ed etico.

Oltre la sostenibilità

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Il fatto che non esista una definizione ragionata di sostenibilità ha fatto sì che di questo concetto si appropriassero anche gli spin doctors57 del mondo imprenditoriale. Ma anche i concetti più genuini e utili riguardanti la sostenibilità (inclusa la permacultura) contengono margini di ambiguità sulla sostenibilità come stato o processo. Una volta accettate la realtà e le dimensioni della discesa energetica, dobbiamo cominciare a chiederci cosa significhino soste-

Categoria

nibilità, sistemi sostenibili, progettazione di un sistema sostenibile. Anche l’idea di permanenza, cuore del concetto di permacultura, è per lo meno densa di problemi. Perché una cultura umana possa essere considerata sostenibile, deve avere la capacità (provata in tempi storici retrospettivi) di riprodursi per generazioni, soddisfacendo i bisogni delle comunità umane senza provocare catastrofi o cataclismi. Se è energeticamente impossibile, per una società ad alto consumo di energia, essere qualcosa di diverso da una pulsazione (pulse) nella lunga storia della razza umana, ciò significa automaticamente che non può essere definita sostenibile, non importa quanto mescoliamo le carte. Il sottotitolo che ho dato a questo libro (Principi e percorsi oltre la sostenibilità58) suggerisce che dobbiamo andare oltre l’ingenua e semplicistica nozione di sostenibilità come realtà probabile per noi o per i nostri nipoti e accettare, invece, che il nostro compito sia quello di utilizzare la nostra familiarità con il cambiamento continuo per costruire un percorso di adattamento alla società della discesa energetica59.

Dalla cima della montagna Se ci immaginiamo il picco energetico come la spettacolare, ma pericolosa vetta di una montagna che noi

Cultura industriale

Cultura sostenibile

Fonti energetiche

Non rinnovabili

Rinnovabili

Flussi materiali

Lineari

Ciclici

Capitale naturale

Consumo

Conservazione

Organizzazione

Centralizzata

Rete decentrata

Dimensioni

Grandi

Piccole

Movimento

Veloce

Lento

Retroazione

Positivo

Negativo

Focus

Centro

Periferia/margine

Attività

Cambiamento episodico

Stabilità ritmica

Pensiero

Riduzionista

Olistico

Genere

Maschile

Femminile

Caratteristiche di due sistemi culturali.


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Permacultura (l’umanità) siamo riusciti a scalare, l’idea di scendere da quella cima verso la sicurezza ha tutta l’aria di essere un’operazione sensata e anche gradevole. La scalata ha richiesto eroici sforzi e grandi sacrifici, ma ha anche dato allegria e nuovi panorami e possibilità a ogni passo. Lungo la strada abbiamo superato molte false cime, ma quando – da ogni parte – vediamo spazio intorno a noi, capiamo che siamo veramente arrivati in cima. Alcuni potrebbero anche dire che ci sono ancora altre cime nascoste dalla foschia, ma il tempo non concede ulteriori esplorazioni e rischia di guastarsi a ogni minuto. Il panorama che vediamo dalla vetta ci riporta alla meraviglia e alla maestà del mondo e a come tut-

to in esso è connesso. Ma non possiamo perdere tempo. Dobbiamo goderci il panorama e approfittarne per decidere il percorso per tornare giù in basso, finché il tempo è favorevole e c’è la luce del giorno. La discesa sarà più difficoltosa della scalata e potremmo aver bisogno di sostare su qualche pianoro a riposare, mentre la tormenta si esaurisce. Visto che è tanto tempo che siamo in montagna, a stento ricordiamo la nostra casetta in quella valle appartata da cui siamo andati via perché, giorno dopo giorno, progressivamente veniva sommersa da problemi che neppure capivamo. Sappiamo però che ogni passo ci porterà più vicini a una valletta protetta, in cui potremo costruirci una nuova casa.

Climax (caos culturale post-moderno)

Utilizzo dell’energia e popolazione

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Cultura dello sviluppo industriale (modernismo)

Cultura della decrescita (permacultura)

Cultura sostenibile nel futuro a bassa energia

Cultura sostenibile preindustriale

1000

1500

2000

Figura 4 – Dinamiche culturali su larga scala, basate sul flusso delle energie fossili.

2500 anni d. C. (circa)


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Principi etici della permacultura L’etica racchiude i principi morali utilizzati per guidare l’azione verso esiti buoni e giusti, evitando conseguenze negative o sbagliate. L’etica agisce da limite sull’istinto di sopravvivenza e sugli altri fattori egoistici personali e sociali, che fanno da stimolo all’agire individuale in qualsiasi società. I principi etici possono essere anche definiti come dei meccanismi culturalmente evoluti, che rendono l’egoismo più illuminato, aprendoci a una prospettiva più ampia su chi e cosa siamo e su quali potrebbero essere gli obiettivi positivi o negativi delle nostre azioni proiettate sul lungo termine. Quanto maggiore è il potere della civiltà umana (dovuto alla disponibilità di energia) e quanto maggiore è la concentrazione e la portata di quel potere nella società tanto più importanti diventano i valori etici per assicurare la sopravvivenza a lungo termine sia culturale che biologica. Questa interpretazione ecologicamente funzionale dell’etica la rende centrale nello sviluppo di una cultura della decrescita. Come è accaduto per i principi di progettazione, anche dei principi etici non si fece menzione in maniera esplicita nei primi testi di permacultura. Con l’attuazione dei primi corsi di permacultura i principi etici sono stati riassunti in tre grandi regole generali di base:  cura

per la terra;  cura per le persone;  stabilire limiti al consumo e alla riproduzione, e ridistribuire il surplus. Questi tre principi di massima erano il distillato di ricerche condotte sulle etiche comunitarie e su quelle adottate da gruppi religiosi e cooperativi. Il terzo principio, e anche il secondo, possono essere visti come derivazioni del primo. I principi etici sono stati insegnati e utilizzati come fondamenti etici semplici e relativamente indiscussi della

progettazione permaculturale, all’interno del movimento e all’interno della più ampia comunità globale di persone con mentalità vicine alla permacultura. Più in generale, questi principi possono essere considerati comuni a tutti i popoli tribali indigeni, anche se il concetto di popolo era certamente di portata più limitata rispetto alla nozione emersa negli ultimi due millenni60. La permacultura ha sottolineato il fatto che bisogna apprendere dalle culture tribali indigene, perché queste culture esistono e sono esistite in relativo equilibrio con l’ambiente sopravvivendo molto più a lungo rispetto ad altre esperienze culturali più recenti. Naturalmente, nel nostro tentativo di vivere in coerenza con dei principi morali, non dovremmo ignorare gli insegnamenti delle grandi tradizioni spirituali e filosofiche delle civiltà alfabetizzate o dei grandi pensatori, dall’Illuminismo europeo in poi; ma nella lunga transizione a una cultura improntata a un basso consumo energetico dobbiamo considerare, e cercare di capire, un contesto di valori e concetti più ampio rispetto a quelli derivati dalla recente storia culturale.

Cornici filosofiche La maggior parte dei filosofi riconosce che le idee e i valori non sono mai liberi dal loro contesto ecologico, economico e culturale; tuttavia, pochi sembrano disposti ad accettare che le condizioni energetiche dei secoli recenti sono fattori primari nella creazione e nella diffusione di ciò che consideriamo prezioso nel pensiero e nella cultura umana. In particolare, dobbiamo guardarci dal considerare la filosofia dell’individualismo come fonte, piuttosto che come risultato, del benessere materiale; inoltre, dovremmo aspettarci che i valori e le credenze che si sono sviluppati in un contesto a crescente utilizzo energetico, siano probabilmente inefficaci – o perfino distruttivi – in un mondo a energia limitata e in declino energetico.


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Permacultura La maggior parte dei filosofi rigetta la priorità delle forze energetiche ed ecologiche. Io considero questo rifiuto una continua espressione del dualismo cartesiano che separa mente e corpo, umanità e natura, pensiero e azione, soggetto e oggetto. La scienza riduzionista, che ricerca le cause fondamentali della complessità materiale del vivente in componenti semplici, nasce dalle stesse basi filosofiche. Il riduzionismo ha spiegato la realtà fisica del mondo industriale diventandone, al contempo, il suo riflesso e la sua ideologia fondamentale. Nonostante le critiche filosofiche sostanziali e le alternative61 alla visione del mondo generata dal riduzionismo, esso ha continuato a tenere banco perché è in piena sintonia con il mondo sempre più disintegrato62 creato dalla disponibilità crescente di energia. Il riduzionismo ha prodotto molto. Ma, nonostante la superbia derivante dal contributo dato al benessere dell’umanità, io credo che la scienza riduzionista rappresenti adesso un vero ostacolo alla sopravvivenza della specie umana. All’interno della cultura scientifica sono emerse delle alternative produttive: il materialismo dialettico, la teoria dei sistemi e la scienza della progettazione. Lo sviluppo di una vera scienza olistica è importante, perché altrimenti assisteremo, nel nuovo millennio, a un rifiuto totale della cultura scientifica, visto che essa non riesce più a spiegare, e tanto meno a prevedere, il fenomeno della discesa energetica. L’aderenza fondamentalista ai principi di riduzionismo e di razionalità, che caratterizzano l’establishment scientifico, economico e politico, aumenterà la probabilità di rivoluzioni culturali simili a quelle che si sono già verificate in vari Paesi islamici. Saranno con tutta probabilità gli Stati Uniti, centro del potere razionale scientifico, il candidato più probabile a questo tipo di rivoluzione-reazione, al grande declino che si registrerà nel benessere e nella sicurezza del popolo americano a causa della crisi energetica e dei fenomeni a essa collegati.

La permacultura come scienza della progettazione Bill Mollison ha descritto la permacultura come scienza della progettazione integrata. Questa breve definizione inserisce saldamente la permacultura nel novero delle

culture scientifiche. La permacultura è scienza applicata proprio perché si occupa essenzialmente di migliorare il benessere materiale a lungo termine delle persone. Nel mettere insieme strategie e tecniche derivate da culture moderne e tradizionali, la permacultura tende a una integrazione olistica di valori utilitari. Attraverso una prospettiva ecologica, la permacultura delinea un panorama molto più ampio del concetto di utilità rispetto alla prospettive riduzioniste, soprattutto quelle econometriche, che dominano la società moderna.

Dimensioni spirituali Per quanto abbia un’impronta essenzialmente materialista e scientifica, la permacultura dipende da una prospettiva ecologica. Le credenze spirituali circa un più alto scopo della natura sono caratteristiche universali e originali di tutte le culture che si sono sviluppate prima del razionalismo scientifico. Non possiamo ignorare questo aspetto delle culture sostenibili, se non a nostro rischio e pericolo. Robert Theobald63 e altri hanno sostenuto che lo stesso successo della scienza e del materialismo ci ha portato a uno stato di disarmonia e insoddisfazione quasi senza precedenti storici e che, se vogliamo sopravvivere, dobbiamo passare a un sistema di valori di impronta più spirituale64. Più applichiamo alla nostra visione del mondo le lenti del pensiero olistico e dell’ecologia e più ci rendiamo conto della saggezza insita nelle prospettive e nelle tradizioni spirituali. Lo stesso processo è avvenuto nel campo della psicologia, in particolare quella di stampo junghiano. Molti pensatori e scrittori hanno suggerito che gli aspetti più progressivi della scienza stanno assumendo una impronta sempre più vicina a una prospettiva di tipo spirituale. La scienza dello spirito di Rudolf Steiner, per quanto ignorata dai più, ha tentato in passato di unificare scienza e spirito. Le scuole Waldorf e l’agricoltura biodinamica sono due frutti di questo approccio tuttora operanti in varie parti del mondo. La permacultura attira molte persone cresciute in un ambiente culturale di razionalismo scientifico perché il suo olismo non è frutto di una dimensione spirituale.


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Principi etici della permacultura Per altre, la permacultura rafforza la visione spirituale, anche se questa consiste semplicemente in un animismo di base, che vede la terra come organismo vivente e, in qualche modo inspiegabile, dotata anche di coscienza. Per la maggior parte della popolazione di questo pianeta, spirito e razionalità continuano a coesistere senza problemi. D’altronde, come si può immaginare un mondo sostenibile senza una qualche forma di vita spirituale? Parlando a livello personale, sono fiero della mia formazione atea, in cui valori umani, valori etici e razionalità coincidono. Accetto però anche il fatto che, attraverso la permacultura, la mia vita, per spostamenti progressivi, si sta sempre più avvicinando a una prospettiva di tipo spirituale, anche se in un modo per niente chiaro. Negare questa tendenza, sarebbe per me un atto irrazionale; tuttavia, allo stato attuale, la mia interpretazione dei principi etici della permacultura continua a essere basata su una sorta di umanesimo razionalista. La progettazione deliberata di una nuova spiritualità che rifletta le realtà ecologiche potrebbe essere un ampliamento piuttosto fantasioso, o anche pericoloso, del programma della permacultura; tuttavia, uno sviluppo integrato di spiritualità su fondamenta ecologiche offre al mondo maggiori speranze rispetto allo stridente scontro tra fondamentalismo religioso e scientifico. Anche se non considero positiva l’idea di progettare una sintesi di tipo spirituale all’interno della permacultura, non riesco a fare a meno di utilizzare il pensiero sistemico per riuscire a capire le dinamiche della polarizzazione e l’emergente unione tra materialismo e spiritualità. Se, da una parte, mi concentro sugli aspetti positivi e creativi di questa unione, dall’altra vedo emergere anche un’alternativa distruttiva. La Figura 5 mostra questa grande tendenza, con una miriade di filosofie materialiste e spiritualiste, applicazioni e movimenti che si situano lungo queste coordinate. Le etichette che ho utilizzato per tendenze e movimenti possono anche essere in qualche modo arbitrarie, ma ho voluto solo offrire uno schema o rappresentazione che potesse dare un’idea della funzione della permacultura in relazione alla tormentata realtà culturale attuale.

Cura della terra L’astronave Terra Molti spesso associano la Cura della Terra a una qualche sorta di dirigenza planetaria simile al concetto di astronave terra (Spaceship Earth) reso popolare, alla fine degli anni ’60 e nei primi anni ’70, da Stewart Brand65. Idee come queste hanno avuto grande influenza nello stimolare la comprensione della crisi ambientale globale e di altre crisi di carattere morale, ma rimangono spesso pure astrazioni. Inoltre, l’idea alla base di spaceship earth è che noi uomini abbiamo il potere e la saggezza di governare la Terra, il che si commenta da sé. L’ipotesi Gaia di James Lovelock e Lynn Margulis66 si è dimostrata un brillante esempio di come la scienza olistica possa comunicare il concetto che la Terra è un sistema auto-organizzato. L’evidenza di quattromila milioni di anni di evoluzione è che, se raggiungiamo un punto in cui alteriamo gravemente i sistemi fondamentali che sono alla base della vita sul pianeta Terra, saremo neutralizzati da uno o più meccanismi della coevoluzione (come, ad esempio, un cambiamento climatico, o il diffondersi di malattie). L’ipotesi Gaia ha anche diffuso la rinascita di una visione quasi universale del pianeta Terra, soprattutto tra i popoli indigeni e le comunità contadine, quale madre vivente e onnipotente. La cura della terra, in questo contesto globale, si lega non solo al principio etico del rispetto per la madre comune ma anche alla paura che la madre ci rifiuti e ci annienti come specie. Il suolo vivente La Cura della terra può avere anche un altro significato, molto più terreno67: la cura del suolo come fonte della vita sulla Terra e l’enorme responsabilità che ha la specie umana nello svolgere questo compito. La cura del suolo diventa così un nesso importante che mette insieme approcci scientifici e tradizioni etiche di molti movimenti vecchi e nuovi, che fanno capo all’agricoltura biologica. Vi sono buone ragioni, scientifiche e storiche, per spingersi fino a considerare la qualità del suolo come la misura della salute e del benessere della società futura. Il profondo


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Permacultura

Unione creativa di religione e scienza? Spiritualità inclusiva ed ecologica Spiritualità ambientalista e New Age

Emergente scienza olistica Scienza della progettazione in permacultura Ipotesi Gaia

Rinascita spirituale dei popoli indigeni

Ecologia dei sistemi

Nuove tendenze religiose inclusive

Psicologia junghiana

Buddismo, Taoismo e altre tradizioni orientali metareligiose

Scienza dello spirito di Steiner e altri tentativi di unificazione

Cibernetica

Dialogo religioso ed ecumenismo Religioni tribali

Scienza dialettica

Prima dell’Illuminismo Unione di scienza e religione

Dualismo cartesiano Metodo scientifico riduzionista

Religioni evangeliche

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Meccanica quantistica

Darwinismo Nazismo e ideologia della super-razza

Nuovi culti settari

Comunismo Razionalismo economico

Religione fondamentalista

Eugenetica e utopismo fantascientifico

Stati religiosi Guerra santa e terrorismo religioso

Globalismo aziendale Guerra alle droghe Guerra al terrorismo

Purezza spirituale dopo l’Apocalisse

Materialismo survivalista

Unione distruttiva di religione e scienza? Figura 5 – Unione emergente di materialismo e spiritualità attraverso percorsi di creazione e distruzione.


Principi etici della permacultura

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rispetto per il suolo tende però a essere oscurato da nozioni più superficiali e più facilmente comprensibili. Come prendersi cura del suolo rimane comunque un tema molto controverso. Le questioni tecniche e le questioni etiche sono interconnesse poiché non sappiamo fin dove ci si possa spingere nell’aumentare la resa del suolo per soddisfare i bisogni delle comunità umane, senza alterarne la qualità e la natura stessa. L’unico dato sicuro è che l’uso scriteriato e immorale del suolo porta, con il tempo, a esaurire rapidamente la capacità del suolo di sostenere la vita68.

Amministrare il sistema Se solleviamo lo sguardo dalla terra che calpestiamo e lo alziamo verso l’orizzonte, ci rendiamo conto dell’esatto significato della locuzione Cura della Terra – che significa prendersi cura della casa, del luogo e del territorio – come era inteso nelle culture indigene e come lo si intende, più recentemente, nella concezione del bioregionalismo. In pratica, è un riconoscere le nostre responsabilità individuali e collettive nella cura di particolari risorse naturali, nella misura in cui lo permettono la nostra intelligenza e le nostre capacità. Wendell Berry – scrittore americano, agricoltore biologico e ambientalista – ha eloquentemente criticato il concetto di amministrazione planetaria69 come prodotto della nostra arrogante sconnessione dalla natura e della eccessiva fiducia nei nostri poteri. Io stesso ho citato Berry nel libro70 che ho scritto sulla mia fattoria in Central Victoria: «Il problema da risolvere... non è come prendersi cura del Pianeta, ma come prendersi cura di ciascuno dei milioni di distretti umani e naturali, di ciascuno dei milioni di appezzamenti di terreno, ognuno dei quali è in modo prezioso e interessante diverso dagli altri»71. Il concetto di amministrazione, gestione o direzione del pianeta Terra dovrebbe spingerci a porre la seguente domanda: dopo la mia amministrazione, gestione o direzione, le risorse del Pianeta saranno in condizioni migliori? Non ci si può spingere oltre, in questo ragionamento sull’amministrazione, senza mettere in discussione la validità etica del concetto di proprietà della Terra e delle

risorse naturali, che è alla base delle nostre leggi. Il controllo della terra e delle risorse naturali è stato basilare in tutta la nostra storia e in un futuro a bassa energia riacquisterà certamente una funzione centrale nell’etica, nella politica e nella cultura. I diritti degli indigeni sulla terra e le leggi di riforma agraria in molti Paesi poveri sono due temi che continuano a mettere in serio dubbio l’etica prevalente circa il possesso della terra. Il concetto di amministrazione – un passo in avanti, su questo terreno – fornisce un imperativo morale a continuare a elaborare modi più creativi per attribuire il controllo della terra a strutture collettive, piuttosto che prendere come dato naturale la proprietà individuale della terra, concetto tipico della cultura occidentale dalla rivoluzione industriale in poi. Gli sforzi fatti in questa direzione nell’ultimo secolo dimostrano che non è un compito facile.

Biodiversità Il concetto di Cura della Terra può comprendere anche il concetto di cura delle varie forme di vita che abitano la Terra. La cura per tutte le forme di vita non significa che esse debbano essere viste come utili per noi ma piuttosto come parti intrinsecamente valide della vita sulla Terra. Molte controversie esistono sull’etica ambientalista del prendersi cura delle altre specie; questo è evidente anche in una generale incertezza all’interno del movimento permaculturale e, in generale, nel più ampio movimento ambientalista su come dovremmo affrontare questo delicato tema, dal punto di vista sia pratico che etico. La nostra capacità di prenderci cura delle altre forme di vita è limitata quanto quella di prenderci cura dell’intero Pianeta. Assumersi la responsabilità del destino di tutte le specie va oltre il potere della nostra intelligenza. Se la permacultura è una filosofia, lo è in senso pragmatico e di buon senso in quanto basata sui limiti ecologici del nostro potere e della nostra intelligenza come fondamenti di tutto quanto facciamo. Il detto tradizionale: «Vivi e lascia vivere» racchiude una nozione più modesta, che è quella di non recar danno ad altre specie, se possibile. I principi e le strategie della permacultura forniscono metodi per soddisfare i no-

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stri bisogni, permettendo al contempo ad altre specie di soddisfare i loro (v. Principio 10).

Organismi viventi Nel soddisfare i nostri bisogni, l’uccisione di altre forme di vita individuali è inevitabile, anche se seguiamo una dieta vegana. Nella società tradizionale tibetana, l’uccisione di roditori e lupi, da parte dei contadini, era un’eccezione tollerata dal Buddismo, il quale predica la santità di tutti gli esseri senzienti. Per quanti di noi vivono separati dalla natura, è facile concordare con il dettato che ogni forma di vita è sacra perché non devono confrontarsi personalmente con il fatto di uccidere, consapevolmente e inconsapevolmente. Qualcuno lo fa al posto loro. La maggior parte delle comunità indigene vede l’uccisione di una forma di vita individuale come parte integrante e naturale della vita, mentre lo sterminio di un’intera popolazione di forme di vita è considerato amorale. Oggi degli scienziati australiani stanno cercando di utilizzare l’ingegneria genetica per rendere sterile la volpe, nella speranza di preservare dall’estinzione molti animali originari dell’Australia. Per molti, questo approccio al problema è eticamente positivo, un modo di pensare che rimanda all’idea illuministica dei diritti dell’uomo in quanto individuo, adesso estesa anche all’individuo animale. Al contrario, gli aborigeni dell’Australia centrale considerano gli animali introdotti dagli Europei (asini, conigli e altri) come mwerranye (appartenenti alla Terra72), anche se sanno benissimo che questi sono stati portati dai bianchi. Gli aborigeni sono ben contenti di utilizzare questi animali e considerano i programmi di sterminio (Landcare73) di questi animali uno spreco immorale, un oltraggio all’animale specifico e agli animali in quanto entità collettiva. Questo punto di vista degli Aborigeni è un interessante esempio, che può fornire un utile punto di riferimento per l’etica della permacultura. Secondo me, la cura delle altre forme di vita deve significare:  accettare tutte le forme di vita come intrinsecamente preziose, non importa quanto disturbo arrechino a noi o ad altre forme di vita per noi utili;

 ridurre

il nostro impatto ambientale74 totale come sistema migliore per prendersi cura delle altre forme di vita, bisogno di capire, o controllare, o sentirsi responsabili della miriade di effetti causati da ogni azione individuale;  quando danneggiamo o uccidiamo altre forme di vita, farlo in modo consapevole e rispettoso; non utilizzare l’animale che uccidiamo è una gravissima forma di offesa alla natura vivente.

Cura delle persone Anche la seconda sezione dell’etica, la Cura delle Persone, può avere varie interpretazioni. Come prima istanza, questo principio fa della permacultura una filosofia ambientale senza ritegno antropocentrica, in quanto pone bisogni e aspirazioni umani al centro dell’attenzione, proprio perché abbiamo potere e intelligenza per cambiare le nostre condizioni. A livello locale, questo significa accettare responsabilità individuali per migliorare per quanto possibile la situazione, invece di lamentarsi delle forze o delle influenze esterne che condizionano la nostra vita. L’approccio permaculturale deve far leva sugli aspetti positivi e sulle opportunità che esistono anche nella situazione più disperata. Il successo che ha avuto l’utilizzo di strategie permaculturali nel sostegno a comunità povere urbane e rurali in Paesi del Terzo Mondo, allo scopo di rendere queste comunità più autosufficienti, in parte è dovuto a questo mettere sempre in risalto le opportunità e non gli ostacoli che si presentano di una data situazione. Se da una parte è ingenuo ignorare le radici familiari, storiche e politiche delle condizioni in cui ci troviamo, dall’altra queste radici possono diventare una fonte continua di amarezza e rassegnazione. Dobbiamo quindi essere pronti a capire il peso che possono avere le forze esteriori nel rendere più difficile, a quelli meno fortunati di noi, prendere il controllo delle proprie vite. Le tendenze spirituali che ci incoraggiano a staccarci emotivamente dalle esperienze concrete sono utili se ci permettono di fare un passo indietro, rispetto ai nostri obiettivi e desideri, e ci aiutano a capire che forse la vita e la natura


Principi etici della permacultura

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ci offrono tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Ovviamente, le stesse tendenze ci possono condurre al fatalismo, e quindi alla rinuncia all’azione, visto che, anche se ci impegniamo concretamente o moralmente, il risultato non cambia.

Cura di se stessi La cura delle persone comincia con la cura per la propria persona per poi espandersi alla famiglia, ai vicini, alle comunità locali e non. Il modello è uguale a quello seguito da quasi tutti i sistemi etici tradizionali, tribali e non. La Figura 3 esemplifica questo concetto come meta-analisi delle zone e dei settori in permacultura. La principale preoccupazione di tipo etico è ovviamente localizzata al centro della figura, perché è lì che abbiamo maggior potere e influenza. Per contribuire a raggiungere una situazione migliore, bisogna essere sani e in condizioni di sicurezza. A prima vista, ciò può apparire come una ricetta per ignorare le enormi disparità di benessere tra nazioni ricche e povere, in particolare se consideriamo il miliardo e passa di persone appartenenti alla classe media, che su tutto il Pianeta consuma la maggior parte delle risorse, ben al di là di quanto fa la piccola minoranza di ultraricchi. Il fatto è che anche le piccole comodità che ci sembrano normali si basano sullo sfruttamento delle risorse planetarie, privando così altre persone, e soprattutto le future generazioni, delle loro risorse locali. Il “duro lavoro” e la cosiddetta “creatività”, basi della nostra economia, la stessa “correttezza” del nostro sistema di governo sono tutti fattori secondari nel creare i nostri privilegi. Solo dopo aver capito le gigantesche disuguaglianze strutturali che esistono tra nazioni ricche e povere, tra comunità urbane e rurali, tra risorse umane e risorse naturali, sarà possibile vedere in una diversa luce il fatto di provvedere prima di tutto ai propri bisogni (v. Principio 4). Man mano che riduciamo la nostra dipendenza dalla economia globale sostituendola con economie familiari o locali, riduciamo anche la domanda che governa le disuguaglianze attuali. “Pensa a te stesso”, quindi, non è un invito all’avidità, ma una sfida ad avviare un processo verso la responsabilità personale e l’autosufficienza75.

Benessere non materiale Uno dei modi migliori per applicare il principio della cura personale è concentrarsi su valori e benefici non materiali. Quando ci godiamo un tramonto invece di guardare un film, quando ci prendiamo cura della nostra salute camminando invece che prendendo dei farmaci, quando passiamo il tempo a giocare con un bambino invece di comprargli un giocattolo, ci prendiamo cura di noi stessi e degli altri senza produrre o consumare risorse materiali. Sempre più persone si stanno rendendo conto che il crescere dei consumi nei Paesi ricchi non potenzia il benessere della gente. Negli Stati Uniti, le misure alternative del benessere – come l’indice di progresso effettivo (Genuine Progress Indicator76) – hanno segnalato un declino a partire dal 1978, nonostante enormi incrementi del consumo pro capite. Ciò è dovuto al fatto che gran parte della nuova ricchezza deve essere utilizzata per riequilibrare gli effetti negativi dell’eccesso di consumo e di sviluppo. Questi effetti negativi sono l’aumento di spesa per l’assistenza medica, il risanamento ambientale, il controllo della criminalità, e contenziosi legali e una miriade di altri “mali” e “disservizi (in contrapposizione a “beni” e “servizi”). In questo modo, i limiti ai miglioramenti materiali sono sia strutturali e interni a noi stessi, sia ambientali esterni e politici. Nei Paesi poveri, la maggior parte della gente sa che sono gli aspetti materiali del benessere a essere i più preziosi (anche se sogna per i propri figli l’opportunità di consumare di più). In questa prospettiva si riduce, o addirittura viene eliminato, l’apparente conflitto tra il prendersi cura della natura e il prendersi cura di se stessi.

Stabilire dei limiti a consumo e riproduzione; ridistribuire il surplus In Permaculture: a designer’s manual Mollison concentra l’attenzione sulla necessità di stabilire dei limiti, ma questo principio viene spesso insegnato sottolineando il più positivo aspetto della redistribuzione del surplus. L’apparente contraddizione tra messaggi di abbondanza e di limite ci incoraggia a considerare ripetutamente e con attenzione il significato e l’espressione di questi due

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aspetti della natura, un paradosso che dovrebbe servire a riformulare continuamente le nostre risposte etiche alle opportunità e ai problemi della vita.

Abbondanza e limiti in natura Un senso di abbondanza emerge quando sperimentiamo i doni della natura (o di Dio) in relazione alle attività umane. Questo sentimento è ancora più acuto in presenza di costrizioni interne o esterne. Qualcosa di semplice come il sapore della prima fragola della stagione diventa speciale quando la natura non fornisce fragole tutto l’anno. Tutti i generi di lusso lo sono più che altro per questo motivo, ma perdono questa facoltà e questi valori se diventano realtà di tutti i giorni. L’esperienza dell’abbondanza ci incoraggia a distribuire il surplus oltre il cerchio di cui siamo responsabili (alla terra e alle persone) nella speranza che le nostre esigenze siano soddisfatte. Questo sentimento ispirato dall’abbondanza si perde quando prevalgono costantemente l’eccesso e lo spreco. L’eccesso e lo spreco sono possibili solo attraverso il potere sulla natura e le persone. Il senso del limite deriva dalla matura comprensione del modo in cui funziona il mondo. Vediamo che tutto, in natura, comprese le stesse persone, ha una durata limitata e uno spazio limitato. L’aver visto il nostro pianeta dallo spazio ha dato potenza iconica alla comprensione dei suoi limiti materiali. Le statistiche sulla crescita del consumo umano e sull’estinzione di varie specie chiarisce che è impossibile la crescita continua di qualsiasi cosa. Il riconoscimento dei limiti non deriva dall’esperienza della penuria. Eccetto che nelle carestie estreme e in altri disastri naturali, la scarsità è una realtà culturalmente mediata. È largamente creata dall’economia industriale più che da limiti fisici oggettivi nelle risorse77. Questa scarsità manovrata stimola il consumo e la riproduzione senza restrizioni, nella speranza di raggiungere in tal modo un senso di sicurezza. Porre dei limiti al consumo e alla riproduzione significa che dobbiamo stabilire cosa è abbastanza e, a volte, prendere decisioni radicali. Quando accettiamo la nostra mortalità e la limitatezza dei nostri poteri, il porci

dei limiti personali a ciò che possiamo fare è come fare un contratto ragionevole con il mondo intorno a noi. Manteniamo la nostra autonomia e l’autocontrollo imparando a trattenerci dal fare certe cose; nel far questo, riduciamo le probabilità che una qualche forza o potere al di fuori di noi ci costringa a cambiare. Ad esempio, alcune aziende hanno scoperto che sviluppando degli standard di produzione a zero inquinamento si evita di dover sottostare a complessi e costosi controlli ambientali78. Nel pensare a cosa è abbastanza, dobbiamo considerare i bisogni e i desideri che stimolano il guadagno materiale e anche la capacità della terra e delle persone di provvedere a quei bisogni e desideri. L’impronta ecologica79 è un metodo relativamente semplice per rivedere e riorganizzare le nostre personali richieste alle risorse naturali. Questo e altri metodi ci aiutano a stabilire dei limiti e a monitorare i nostri comportamenti. I processi di egoismo illuminato ci guidano spesso verso valori non materiali, fornendoci degli incentivi (v. la sezione Cura per le persone). In altre situazioni, lo stabilire dei limiti diventa del tutto aleatorio: un po’ come tracciare una linea nella sabbia. Il tema della crescita demografica è uno di quelli che possono essere considerati da molti diversi punti di vista. Il mondo è già probabilmente troppo popolato per poter assicurare il benessere a lungo termine di uomini e altre specie. Alcuni degli studi più autorevoli e dettagliati su scala nazionale sono stati compiuti in Costa Rica, un piccolo Paese dei Caraibi relativamente prospero. Il modello basato sull’impronta ecologica ha indicato che il Costa Rica potrebbe supportare in modo sostenibile l’80% della sua popolazione ai livelli di consumo e di abitanti del 1987; per il modello EMERGY, la cifra si abbassa al 53%80. Anche se il Costa Rica è più ricco di altri Paesi, il suo uso pro capite di EMERGY è tuttora un quarto di quello degli USA. Da un punto di vista etico, dobbiamo concentrarci su ciò che è per noi appropriato fare piuttosto che su ciò che altri dovrebbero fare. Questo è particolarmente importante, in un mondo diviso tra ricchi e poveri, in cui le situazioni sono molto differenziate. Molte prove indicano che nei Paesi


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poveri i tassi di nascita calano rapidamente in presenza di tre fattori: la conquista da parte delle donne della sicurezza economica, il controllo delle donne sulla riproduzione e l’abbassamento dei tassi di mortalità infantile81. Nei Paesi ricchi, invece, ogni nuovo nato accelera il consumo. A molte persone dei Paesi ricchi che hanno a cuore questi temi, l’adozione e l’affidamento forniscono l’opportunità di soddisfare il naturale istinto di avere figli come parte della vita. Spesso questo desiderio sembra più legato alle donne, ma anche per gli uomini l’idea di avere eredi e successori è spesso molto potente. Una delle più grandi sfide per la cultura maschile di tutto il mondo è considerare come eredi tutti i figli e non solo i propri.

Redistribuzione del surplus Questo principio implica il condividere il surplus di risorse per aiutare la terra e le persone che si trovano al di là del nostro immediato cerchio di potere e responsabilità. Ciò richiede che ci attiviamo per procurare mezzi e fondi a quanti stanno all’esterno della nostra famiglia, comunità e regione, in mancanza anche di qualsiasi segnale di obbligo morale o riconoscimento per la nostra benevolenza. Ciò fornisce il contesto per prendere in considerazione quelle apparenti tensioni o i dilemmi tra personale e collettivo, tra locale e globale, tra attualità e futuro, problemi già evidenziati quando ho parlato dei primi due punti dell’etica. Ciò che scegliamo di sostenere con il nostro surplus di tempo, risorse e ricchezza, è un tema di sempre maggiore e vitale importanza per molti cittadini relativamente ricchi del cosiddetto “mondo avanzato”. Sul terreno sociale, tutte le culture mostrano un’ampia gamma di sistemi, attraverso cui il surplus viene ridistribuito a beneficio di altri, presenti e futuri. Nelle società tradizionali preindustriali e moderne, la distribuzione del surplus è spesso codificata in istituzioni legali e religiose che possono essere gestite tramite il sistema di tassazione o la Chiesa. Oggi le tradizionali istituzioni della Chiesa e dello Stato stanno perdendo la loro autorità, mentre aziende e altre potenti istituzioni economiche hanno acquisito un enorme potere, senza averlo però acquisito da un pun-

to di vista morale. In questo contesto, le persone stanno sperimentando una grande varietà di modi per aiutare il prossimo: aiuti destinati a Paesi esteri, progetti di sviluppo, gruppi di volontariato, fondi a fini filantropici, lavoro volontario per la comunità e altro ancora. Anche l’arte e la cultura, che non hanno grande valore di mercato, possono essere attualmente considerate espressioni della redistribuzione del reddito. Non deve sorprendere il fatto che la redistribuzione del reddito dovrebbe essere una delle preoccupazioni maggiori delle ricche società moderne. Quello che sorprende è che esistono società tradizionali, materialmente povere, che redistribuiscono quote relativamente maggiori della loro ricchezza materiale. In molte società indigene e contadine, la cura per la terra oltre i bisogni della famiglia e dei discendenti era parte integrante delle tradizioni spirituali-naturali, ed esse richiedevano doni, lavori e altre forme di devozione per mantenere in funzione tutto il sistema vivente. A un livello più pratico, in molte società agricole piantare alberi e creare foreste con specie pregiate, destinate a vivere a lungo, è stato un modo tradizionale per ridistribuire il surplus di tempo e risorse a beneficio delle future generazioni e della Terra stessa. All’interno del più recente movimento dell’agricoltura biologica, è la gestione della terra, al fine di ripristinare e migliorare la fertilità del suolo a lungo termine – in particolare, aumentando il contenuto di humus – che diventa forma di amministrazione, per lasciare la terra in condizioni migliori di come la si riceve. Molte strategie di permacultura, e anche alcuni degli stessi principi di progettazione (ad esempio, il Principio 2), si basano sul concetto che è possibile aumentare la fertilità a lungo termine del terreno. Tutte le strategie di conservazione del suolo – anche le più modeste – implicano la responsabilità etica di bloccarne almeno il degrado; per la permacultura, intesa nel modo più serio, è importante che si mettano in atto tutti gli sforzi possibili per aumentare, e perfino trasformare, la capacità biologica del suolo a beneficio delle future generazioni. La piantagione di alberi e di altre piante perenni per ripristinare la salute della Terra, senza ricavarne bene-

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fici economici, è stata un’attività centrale della permacultura e di altri movimenti dediti alla cura di terra e paesaggio. Nella sua forma più pura, la conservazione degli ecosistemi indigeni in piccole riserve implica un impegno a gestire, in perpetuo, sistemi altrimenti incapaci di sopravvivere a grandi cambiamenti ecologici. In molti casi, le buone opere sociali e ambientali possono essere considerate come una forma di espiazione per i peccati commessi come collettività, piuttosto che un modo per fornire, a terra e natura, cose di cui hanno veramente bisogno. A volte, il nostro dare è una forma mascherata di egoismo che crea dipendenza. Nel contesto sociale e naturale, è stato sempre problematico dare in modo che questo dare sia anche vero altruismo; nel mondo moderno, ciò è diventato una questione etica di grande spessore e complessità.

La permacultura come strumento per contribuire a prendere decisioni etiche Nel nostro tentativo di vivere in modo etico, abbiamo bisogno di strumenti concettuali che ci permettano di scoprire cosa sia appropriato e pratico per la situazione e il contesto, che si mantengano, nel contempo, validi attraverso i caotici cambiamenti che si susseguono nel tempo. La permacultura – e in special modo i suoi principi di progettazione – prevede degli strumenti concettuali che molte persone hanno trovato utili nel loro percorso. Spero che la mia descrizione dei principi della permacultura aiuti ad approfondire la comprensione di come tali strumenti possano servire per passare dai principi teorici alla realtà ecologica concreta.


Principio

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Osserva e interagisci

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La bellezza è negli occhi di chi guarda82

Una buona progettazione83 dipende da una libera e armoniosa relazione con la natura e con le persone, in cui l’attenta osservazione e una meditata interazione forniscono al progetto ispirazione, repertorio e modelli. È qualcosa che non nasce in isolamento ma attraverso una continua e reciproca interazione con il soggetto. La permacultura utilizza queste condizioni per progettare consapevolmente il percorso verso la discesa energetica (la decrescita). Nelle società di cacciatori-raccoglitori e in quelle agricole a bassa densità di popolazione, l’ambiente naturale forniva tutto il necessario; lo sforzo umano doveva servire principalmente alla raccolta. Nelle società preindustriali ad alta densità di popolazione, la produttività agricola dipendeva da un continuo, sostenuto input di lavoro umano84. La società industriale dipende da un forte e continuo input di energia da combustibili fossili per fornire cibo, merci e servizi. I progettisti permaculturali usano l’osservazione attenta e una profonda interazione per ridurre il bisogno di lavoro manuale, di energia non rinnovabile e di alta tecnologia. L’agricoltura tradizionale era ad alto contenuto di manodopera, l’agricoltura industriale è ad alto contenuto di energia, i sistemi progettati dalla permacultura sono ad alto contenuto di informazione e progettazione. In un mondo in cui la quantità di osservazioni e interpretazioni secondarie o mediate rischia di sommergerci, l’imperativo di rinnovare ed espandere le nostre abilità di osservazione (in tutte le forme) è importante almeno quanto il bisogno di filtrare e interpretare il diluvio di informazioni mediate. Le migliorate abilità di

osservazione e di interazione ben ponderata potrebbero fornire soluzioni creative più delle nuove conquiste nel campo della conoscenza specialistica ottenute per mezzo di eserciti di scienziati e tecnici. L’icona che rappresenta questo principio è una persona-albero, che dovrebbe sottolineare il nostro ruolo nella natura trasformato dalla natura stessa. Può essere interpretato anche come una specie di buco di serratura nella natura attraverso cui prospettare delle soluzioni. Il proverbio: «La bellezza è negli occhi di chi guarda» ci ricorda che il processo di osservazione influenza la realtà e che dobbiamo sempre nutrire dei sospetti riguardo a verità e valori assoluti.

Osservare, riconoscere i modelli e capire i dettagli Il fondamento di ogni tipo di acquisizione intellettuale è un processo di continua osservazione finalizzato a riconoscere i modelli e a comprendere i particolari. I modelli e i dettagli osservati sono la base di arte, scienza e progettazione. Il mondo naturale, in particolare quello degli organismi viventi, presenta la più grande diversità di modelli e dettagli osservabili senza l’aiuto di costose e complesse forme di tecnologia. Modelli e dettagli ci forniscono un grande repertorio di forme e schemi, che possiamo utilizzare per progettare dei sistemi a basso assorbimento energetico. La buona osservazione non è solo fonte di nuove idee, perfino creative, ma anche il


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Permacultura fondamento per rinnovare le nostre capacità più basilari. Queste capacità si stanno perdendo, perché al loro posto subentrano sempre nuove forme di tecnologia. Un utile esempio, in proposito, è l’attenta osservazione del bambino piccolo quando fa i suoi bisogni, in modo da saper cogliere il momento giusto per metterlo sul vasino. Ciò porterà con facilità e abbastanza in fretta a far acquisire al bambino le giuste abitudini85 e farà risparmiare un’infinità di lavoro, di acqua e di energia. Al contrario, i Sistemi computerizzati di informazione geografica – per quanto siano spesso molto utili – sono diventati un sostituto della nostra incapacità di leggere il paesaggio, anche a livelli molto basilari.

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Interagire con attenzione, creatività ed efficienza La continua osservazione e interpretazione ha scarso valore a meno che non interagiamo con l’oggetto delle nostre osservazioni. L’interazione rivela aspetti nuovi e dinamici dell’oggetto e attira l’attenzione sulle nostre stesse opinioni e sui nostri comportamenti in quanto strumenti della comprensione. L’interazione tra osservatore e oggetto dell’osservazione può essere considerata come precorritrice della progettazione. L’accumulo di esperienze di osservazione e interazione costruisce le abilità e la competenza richieste sia per intervenire con intelligenza su sistemi preesistenti che per progettarne in modo creativo di nuovi.

La rivoluzione del pensiero e della progettazione Tutti siamo a conoscenza dell’emergere dell’economia dell’informazione e della sua importanza nella fase attuale. I sistemi di informazione e conoscenza che dirigono e organizzano l’economia fisica delle merci hanno acquisito oggi grande valore e potere. La caratteristica più ovvia di questa economia dell’informazione è rappresentata dai computer, ma i cambiamenti nel modo di pensare – in particolare, l’emergere del design thinking86 – sono più importanti dell’hardware e del software

utilizzati. Anche la permacultura fa parte di questa rivoluzione del pensiero87. Una gran parte di questa rivoluzione del pensiero si basa sull’emergere della progettazione come abilità universale, insieme a quelle del saper leggere e scrivere e far di conto. Non è tanto il fatto che ci stiamo sempre più aprendo al mondo della progettazione, quanto piuttosto che ci stiamo sempre più rendendo conto della sua importanza sociale e individuale. La progettazione, pur così difficile da definire, è fondamentale per l’umanità e per la natura. Victor Papanek definisce la progettazione «lo sforzo intuitivo e consapevole di imporre un ordine che abbia un significato»88. Questa definizione sottolinea che il progetto non è semplicemente il risultato di un modo di pensare razionale, analitico e riduzionista, ma dipende anche dalle nostre capacità intuitive e integrative. Progettare significa non solo avere familiarità con modelli generati dalla natura e dagli uomini (soluzioni e opzioni del passato e del presente), ma anche avere la capacità di visualizzare nuovi adattamenti, variazioni o possibilità. La capacità di immaginare altre possibilità è un ulteriore importante aspetto del design thinking. Il progetto più creativo implica l’ibridazione promiscua di possibilità originate da fonti apparentemente sconnesse o addirittura discordanti, al fine di creare una nuova armonia. L’imposizione di un ordine significativo, di cui parla Papanek, riconosce la potente natura del progettare. I pericoli del giocare a fare Dio impliciti in questa definizione ci fanno tornare in mente che la progettazione possiede una forza enorme. Come affermò Stewart Brand nel primo Whole Earth Catalogue del 1968: «Siamo come dei e quindi vale la pena di fare uno sforzo e diventare davvero bravi come loro». Dal punto di vista della prospettiva ecologica, progettare attraverso la natura non è semplicemente una metafora, ma un risultato delle forze dell’auto-organizzazione che possono essere osservate all’opera in ogni sezione del vasto mondo vivente. L’imposizione di un ordine che ha un significato va in senso contrario alle prevalenti forze entropiche del disordine all’interno della natura e nel vasto universo (sull’entropia, v. il Principio 2). L’auto-organizzazione avviene dappertutto ogni qualvolta sia presente un flusso di energia sufficiente al


1. Osserva e interagisci punto da poterne conservare una parte. Progettare è naturale come respirare e, come avviene per il respiro, la maggior parte di noi può imparare a farlo meglio89. Osservazione e interazione implicano un processo bidirezionale tra soggetto e oggetto: il progettista e il sistema. Poiché siamo ancora in larga parte condizionati dal dualismo cartesiano, se vogliamo migliorare la qualità del nostro design thinking e le nostre azioni pratiche, abbiamo costante bisogno di rinfrescarci la memoria con esempi tratti dalla natura vera e propria sulle conseguenze del processo bidirezionale. Il detto: «Tutto funziona nelle due direzioni» è un utile promemoria generale, che trova espressione in molti diversi esempi. Le massime elencate di seguito, invece, sono più specifiche e forniscono delle linee guida che possono aiutarci a evitare che, in quanto designer, ricadiamo nelle trappole del pensiero dualistico.  Tutte

le osservazioni hanno un valore relativo. dall’alto verso il basso (top-down), agire dal basso verso l’alto (bottom-up).  Il paesaggio è il libro di testo.  Sbagliare è positivo, se ci insegna qualcosa.  Le soluzioni eleganti sono semplici o addirittura invisibili.  Intervenire il meno possibile.  Evitare l’eccesso di “buono”.  Il problema è la soluzione.  Riconoscere ed evitare i vicoli ciechi della progettazione.

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 Pensare

Linee guida del design thinking (pensare in modo progettuale) Tutte le osservazioni hanno un valore relativo L’osservazione può essere il riflesso di uno stato interiore, piuttosto che un fatto oggettivo. Anche il concetto di fatto oggettivo, nella scienza, viene ora riconosciuto come discutibile: gli scienziati sanno che l’osservazione, direttamente o indirettamente, influenza la realtà. Dati i limiti dell’oggettività, è meglio essere chiari e precisi circa i nostri presupposti, preconcetti e valori e riconoscere come questi influenzino e diano struttura al

nostro modo di vedere le cose. Etica e ideologia agiscono come filtri, che determinano cosa e come vediamo. Questi filtri sono inevitabili – anzi, essenziali – ma la fretta nel dare un giudizio di “giusto” o “sbagliato” frequentemente oscura la nostra osservazione e impedisce la comprensione. Un esempio chiaro è il modo di considerare le piante infestanti e gli animali dannosi.

Pensare dall’alto verso il basso, agire dal basso verso l’alto Nel prendere in considerazione qualsiasi oggetto è sempre utile fare un passo indietro e cercare le connessioni e i contesti che possono rivelare il nostro oggetto come facente parte di sistemi su ampia scala. Ciò contribuisce a identificare importanti contributi in entrata, che sono fuori dai meccanismi di controllo del sistema stesso o effetti di retroazione (o feedback), e anche le uscite e le perdite che vengono assorbite dai sistemi su larga scala. Questo pensiero sistemico che va dall’alto verso il basso90 serve a riequilibrare il punto di vista riduzionista, che persegue il meccanismo opposto, dal basso verso l’alto, che cerca di capire l’oggetto mettendo a fuoco le sue parti fondamentali. D’altra parte, l’azione che va dal basso verso l’alto focalizza i punti di forza utilizzati da elementi o individui su piccola scala per influenzare i sistemi su larga scala in cui sono inseriti. Ciò è particolarmente importante quando cerchiamo di tenere sotto controllo grandi estensioni di territorio come terreni a pascolo, foreste e altre terre allo stato selvatico in cui le nostre capacità e opzioni di controllo costituiscono una piccola parte del sistema. In modo simile, quando si tratta di stimolare dei cambiamenti all’interno di una comunità in un contesto di forze molto potenti, riconoscere i punti su cui far leva per poter incidere è di grande rilevanza. Probabilmente il tipo di azione attualmente prevalente è quello top-down (dominante dall’alto verso il basso) esemplificato dall’azione svolta dai governi o dalle aziende. Sarebbe invece necessaria una quota maggiore di bottom-up (partecipativo), cioè di azione che parte dal basso per andare verso l’alto e ciò a maggior ragione nei sistemi che interessano la natura e l’uomo. Il contesto storico e politico di questi tipi di azione viene ul-

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Permacultura teriormente trattato nel Principio 4, in special modo attraverso l’interpretazione di un ben noto slogan ambientalista («Pensa globalmente e agisci localmente»).

esso è stato coltivato nel corso della sua storia e poi sui vari processi di successione92 che porteranno alla maturità di utilizzo in senso permaculturale.

Il paesaggio è il libro di testo Il mondo naturale fornisce una tale diversità di argomenti, per l’osservatore e il progettista, che non è esagerato dire che il paesaggio è il libro di testo da seguire. Tutte le conoscenze che ci servono per creare e gestire dei sistemi che sostengano la vita dell’uomo e consumino allo stesso tempo poca energia possono derivare dal lavoro con la natura. Quando parliamo di osservazione, di solito ci riferiamo al vedere con gli occhi, ma questo non fa che riflettere il modo in cui l’uomo moderno cresce in un mondo alfabetizzato e sempre più dominato dalle immagini. Ad esempio, l’annusare o l’assaggiare il terreno può rivelare aspetti invisibili del suo equilibrio biologico, fisico e chimico. Un bird-watcher competente spesso apprende di più dal canto e dai richiami degli uccelli che dall’osservazione, per lo più piuttosto precaria ed elusiva. Un buon montatore e tornitore può accorgersi della rimozione di qualche millimetro di materiale da un albero a gomiti che gira in un tornio. Lo sviluppo di buone capacità di osservazione richiede tempo e calma. Ciò, di per sé, richiede un cambiamento di stile di vita, spesso con il passaggio da attività svolte per lo più al chiuso, seminotturne e dominate da mezzi di comunicazione, ad attività svolte all’aperto, soprattutto di giorno e avendo a che fare con la natura. A Melliodora cerchiamo di mantenere in equilibrio il lavoro di scrivania, all’interno, e il lavoro fisico con annessa osservazione, all’aperto, nell’orto che ci fornisce gran parte del cibo di cui ci nutriamo. Oltre al sostentamento, il lavorare con la natura ci fornisce l’ispirazione e la verifica per la messa in pratica delle idee più astratte espresse in questo libro. Operando come consulente, ho scoperto che la lettura del paesaggio91 è la dote più preziosa nel design permaculturale e si rivela la più utile, quando si tratta di dar consigli e spiegazioni ad altre persone sui potenziali limiti di un particolare appezzamento di terra, su come

Sbagliare è positivo se ci insegna qualcosa La programmazione e la progettazione (come la vita in generale) implicano spesso degli aggiustamenti progressivi in risposta all’esperienza. La Figura 6 mostra la spirale semplificata dell’apprendimento attivo93 (action learning); questa modalità permette di iniziare ad agire in qualunque fase, a prescindere dal livello di conoscenze che abbiamo, e di procedere da una prospettiva iniziale molto ristretta a una sempre più ampia e olistica attraverso degli aggiustamenti progressivi. Nonostante questo sia un processo semplice ed eccellente, quando operiamo con sistemi naturali complessi dobbiamo ricordare che difficilmente possiamo conoscere e comprendere – e ancor meno controllare – tutti i fattori in gioco e che causa ed effetto sono spesso a spirale o a rete, piuttosto che articolati in forma di successione lineare. Quando si fa qualcosa, bisogna evitare di pensare di essere all’origine della eventuale riuscita di quella azione. Meglio procedere per piccoli tentativi e considerare altre possibili cause di successo o di fallimento. Le soluzioni eleganti sono semplici o addirittura invisibili Nella scienza, la risposta più semplice che spiega tutti i fatti viene considerata più valida rispetto a una risposta complessa. In modo simile, anche nella progettazione un’enorme complessità è spesso indice di una progettazione superficiale. Una soluzione progettuale davvero efficace può essere straordinariamente semplice. Tale semplicità può essere implicita o derivare dal fatto che la complessità vivente basata sull’auto-organizzazione funziona senza che noi la comprendiamo o controlliamo (v. il Principio 5). I sistemi davvero efficienti possono funzionare benissimo senza che noi ce ne rendiamo conto. Questa è la regola per molti servizi ambientali che la natura ci fornisce gratuitamente, come la purificazione-condizionamento di aria e acqua, il ripristino di buone condizioni


1. Osserva e interagisci Riformulare il problema o la questione

Riflettere sul risultato

Formulare la questione o il problema Individuare opzioni realistiche per l’azione Azione

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Figura 6 – La spirale azione-apprendimento. nel suolo e altre buone soluzioni progettuali, di cui non ci accorgiamo, se non quando per varie ragioni non funzionano più. Il detto: «Non sappiamo cosa abbiamo finché non ce l’abbiamo più» è in questo caso significativo. L’attenta osservazione e il rispetto anche per le forme di vita e i processi più umili sono un parziale antidoto a questo problema perenne.

Intervenire il meno possibile Quando tentiamo di apportare modifiche agli ecosistemi per risolvere eventuali problemi, dobbiamo stare molto attenti a non danneggiare o alterare altri processi, che invece funzionano perfettamente. Visto che la progettazione efficiente è spesso invisibile, gli interventi su larga scala probabilmente saranno più dannosi che risolutivi e inoltre richiedono, per essere operativi, grandi quantità di energia e risorse. Masanobu Fukuoka, agricoltore biologico e filosofo giapponese autore del famoso La rivoluzione del filo di paglia, ha descritto in modo insuperabile il valore del non far niente e i danni che possono essere causati da interventi su larga scala, in natura. Il metodo Bradley94 per la rigenerazione della vegetazione spontanea – basato sull’attenta osservazione e sull’inter-

vento minimale delle sorelle Bradley – è stato riconosciuto e apprezzato per la sua grande efficacia nel proteggere la vegetazione spontanea dall’invasione di specie vegetali aliene. Tale approccio non invasivo si basa sul rimuovere le specie vegetali aliene solo dalle aree di vegetazione nativa più integre ed è esattamente l’opposto di quanto si fa di solito, attaccando le “erbacce” con l’utilizzo massiccio di erbicidi e di altri metodi ad alto impatto ecologico.

Evitare l’accesso del “buono” Quando sperimentiamo il risultato positivo di un’azione, quasi sempre siamo portati a ripetere quella stessa azione, trascinati dal preconcetto fuorviante che, se una cosa va bene, moltiplicarla sarà senz’altro ancora meglio. Nelle società sostenibili e in natura, la limitatezza delle risorse ha sempre portato a evitare di ripetere queste azioni; nel mondo moderno, invece, assistiamo regolarmente al loro proliferare praticamente dappertutto. Uno degli effetti universali della ricchezza è il cambiamento dei regimi alimentari, nella direzione di un maggior consumo di zuccheri, grassi e proteine. I cibi che contengono energia in modo concentrato sono stati sempre desiderati, ma in passato i limiti naturali ci proteggevano dagli effetti avversi dell’indulgere nel consumo di questo tipo di alimenti. L’orticoltore o l’agricoltore che ottiene un grande raccolto dopo l’utilizzo di un particolare concime è naturalmente tentato di utilizzarne quantità maggiori la volta successiva. La riduzione delle rese dei raccolti a livello mondiale, nonostante l’aumento dell’uso dei fertilizzanti, dimostra che il problema è molto diffuso. In modo simile a quanto avviene con il consumo eccessivo di zuccheri, grassi e proteine, anche l’utilizzo eccessivo di fertilizzanti crea degli squilibri, che riducono le rese a lungo termine e la salute delle piante. L’inibizione etica dell’avidità è parte dell’antidoto ai problemi creati dall’eccesso di “buono”. Ammettere che queste situazioni sono caratteristiche delle società opulente e di sistemi naturali soggetti a flussi energetici eccessivi, ci aiuta a riconoscere nuovi casi di questo atteggiamento prima di cadere nella trappola. Molte affermazioni che ci mettono in guardia contro azioni ardite e impulsive riflettono un’osservazione di ca-

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Permacultura rattere generale, che si può così riassumere: il successo e l’efficacia all’interno di un sistema possono trasformarsi in un fallimento in sistemi collegati di scala più ampia o più ridotta. Le cautele verso azioni basate su una risposta positiva generata da successi precedenti non devono farci dimenticare di essere pronti a cogliere tutti quei segnali che ci indicano la necessità di cambiamenti radicali nelle nostre prospettive e nelle nostre azioni.

Il problema è la soluzione Questo slogan esprime l’idea che le cose non sono sempre come sembrano. Le cose che consideriamo negative possono avere un lato positivo più importante, o almeno importante come la percezione negativa predominante. Gli esempi più comuni di questa idea hanno come tema le cosiddette “erbacce” o altre forme di vita, che consideriamo negativamente e che invece possono avere degli effetti positivi. Ad esempio, le erbacce o i parassiti possono essere:

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 indicatori

ambientali di un’esigenza di cambiamento nella gestione di un territorio;  agenti di riparazione di un suolo danneggiato e simili;  risorse che non riusciamo a valorizzare per ragioni economiche o culturali. Le erbacce sono da considerare come un surplus della natura, che devono essere utilizzate piuttosto che distrutte (v. Principio 3 e Principio 12). Questa idea delle infestanti viste come surplus naturale che possiamo usare è stato uno dei punti su cui ho maggiormente insistito nel corso di tanti anni di lavoro95. Un atteggiamento aperto e curioso verso i problemi è quasi sempre più costruttivo di una richiesta urgente di soluzioni. Quest’ultimo atteggiamento è spesso motivato dalla paura e da un’accettazione acritica del problema senza interrogarsi sulla sua natura. Un altro aspetto della massima: «Il problema è la soluzione» è che si possono trovare le migliori soluzioni ai problemi in luoghi e culture in cui il problema si pone in modo estremo. In queste situazioni, la coevoluzione,

nel corso del tempo, ha sviluppato le risposte migliori. In luoghi, in cui il problema della progettazione è meno grave, la gente spesso lo ignora oppure escogita soluzioni che prevedono sforzi o risorse maggiori per superarlo. Ad esempio, nella mia breve permanenza sulla Costiera Amalfitana, ho potuto vedere all’opera molte soluzioni creative ai problemi posti da terreni impervi e ripidi, alcune tradizionali e altre moderne e importate. Al contrario, nelle regioni costiere del Mediterraneo, mi ha meravigliato vedere quanto poco è avvertito il problema della raccolta d’acqua piovana, tramite cisterne o piccole dighe di terra, rispetto all’Australia. Nonostante le estati aride, la diffusione di corsi d’acqua permanenti e la presenza di sorgenti e falde di buona qualità hanno ridotto in tutto il Mediterraneo lo stimolo a raccogliere l’acqua piovana, al contrario di quanto è avvenuto in Australia.

Riconoscere ed evitare i vicoli ciechi della progettazione Qualcuno ha detto che: «le soluzioni, di solito, arrivano da persone che vedono il problema solo come un interessante puzzle e le cui qualifiche non sarebbero sufficienti a farle promuovere da una commissione d’esame»96. Quando riconosciamo il potenziale per trasformare i problemi in soluzioni, spesso ci tocca affrontare l’inerzia dei sistemi di valore, dell’architettura convenzionale e delle strutture di potere, che non riconoscono l’importanza dell’innovazione. Per quanto la cultura moderna incoraggi l’innovazione (entro dati limiti) dobbiamo capire perché il conservatorismo, e cioè la resistenza ai cambiamenti radicali, è una caratteristica importante sia dei sistemi umani che di quelli naturali. In natura e nel comportamento umano, le soluzioni sperimentate tendono a essere integrate, mentre le innovazioni recenti vengono facilmente rigettate a causa di condizioni sfavorevoli. Nella storia della vita, le mutazioni nella biochimica di base della vita cellulare non riescono quasi mai a durare oltre i primi stadi di evoluzione dell’embrione, perché l’evoluzione, nel corso di centinaia di milioni di anni, ha perfezionato questi processi e qualsiasi variazione ha un esito letale. I modelli evolutivi più


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1. Osserva e interagisci recenti raramente presiedono a funzioni fondamentali per cui le mutazioni occasionali sopravvivono, almeno inizialmente. Ad esempio, la variazione nel numero di capezzoli, o anche di dita, è comune nei mammiferi. Lo stress e la competizione tendono a sopprimere tali variazioni mediante lo scarso successo nella riproduzione. Nelle famiglie, per la maggior parte, i genitori, deliberatamente o inconsapevolmente, insegnano ai figli quello che (nel bene e nel male) hanno imparato dai loro genitori, mettendo in secondo piano le proprie personali opinioni di adulti. Quanto più questi genitori sono stressati, tanto più tendono a seguire questo schema di comportamento. Il ciclo che dal bambino picchiato porta al genitore che picchia il figlio è ben noto e riconosciuto. Nella cultura umana, i modelli di comportamento e le conoscenze tendono a incardinarsi in tradizioni e istituzioni. Quando si susseguono lunghi periodi di relativa stabilità, sono le istituzioni, più che gli individui, a diventare depositari della cultura. Il conservatorismo è funzionale quando i tassi di cambiamento nell’ambiente circostante sono lenti. In tali condizioni, una novità all’interno del sistema frequentemente è più un’aberrazione negativa che una innovazione utile. I piccoli miglioramenti che si aggiungono con il tempo vengono integrati in modo da non alterare la struttura fondamentale. Questi cambiamenti progressivi possono portare i sistemi a un assetto ottimale, in un particolare insieme di condizioni; tuttavia, un cambiamento rapido nelle condizioni ambientali può trasformare una soluzione ottimale in una strada senza uscita, in cui non è possibile né andare avanti né tornare indietro. La storia della rana, che non riesce a uscire dall’acqua della pentola man mano che la temperatura sale a un livello letale, illustra come variazioni di poco conto (il progressivo aumento della temperatura dell’acqua) finiscano per creare una situazione senza vie d’uscita, quindi una trappola. Amory Lovins parla di «aggirare le barriere poste dai costi» per ottenere grandi miglioramenti nell’efficienza energetica e nell’utilizzo delle risorse, invece di trafficare con piccoli miglioramenti. Anche se il senso comune suggerisce che ciò sarà molto costoso, molti esempi tratti dall’industrial design e dalla produzione industriale dimo-

strano che i costi possono essere più bassi di quelli prodotti da piccoli aggiustamenti marginali. Ciò che serve, in queste situazioni, è avere la capacità e la prontezza di affidarsi al pensiero laterale, di abbandonare il risaputo e di assumersi rischi e incentivi per ottenere qualcosa di meglio. Un’ampia esperienza – insieme all’osservazione del mondo esterno a quella particolare situazione o a quel particolare sistema – può permetterci di riconoscere i punti morti della progettazione e la natura generale delle soluzioni davvero radicali. Nella maggior parte dei casi, queste soluzioni rappresenteranno una sfida e una minaccia per le strutture di potere e di ricchezza preesistenti e provocheranno perciò molte resistenze.

Istruzione formale e strumenti di comunicazione Oggi è comune sentir dire che un’istruzione e un apprendistato appropriati sono la chiave per far sì che la gente contribuisca a un futuro più sostenibile. Anche se io riconosco il valore dell’istruzione formale, dell’apprendistato e degli strumenti di comunicazione, devo dire anche che questi fattori sono parte essi stessi del problema, nel senso che ci impediscono di comunicare e sperimentare direttamente con il mondo della natura attraverso l’osservazione e il contatto diretto. Molto si potrebbe dire sul bisogno di modificare l’istruzione formale e i media affinché contribuiscano maggiormente alla rivoluzione del pensiero, ma dobbiamo anche riconoscere l’esistenza di diversi problemi fondamentali. Prima di tutto, quasi tutti i gradi di istruzione, e in particolare l’istruzione superiore, si basano su conoscenze di seconda mano (fonti indirette) interpretate attraverso griglie di comprensione preesistenti. Il punto estremo di questo approccio all’apprendimento è rappresentato dal fatto che, a livello universitario, ogni idea o concetto espresso nelle pubblicazioni deve essere confermato da opportuni riferimenti bibliografici, e cioè da idee e opinioni espresse da autorità preesistenti.

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Permacultura Come secondo elemento, la tecnologia dell’informazione ha accelerato il ritmo del reperimento delle informazioni, e della loro riproduzione e diffusione. Confezionare in modo professionale dei pacchetti di informazioni, assemblate prelevandole dalle fonti di informazione primarie, promette modi sempre più veloci di accesso all’apprendimento. Ad esempio, in confronto al documentario naturalistico trasmesso dalla televisione, osservare la cosa reale assume l’aspetto di un’attività noiosa e inutile. Ecco perché questo concentrarsi sulla rappresentazione dell’informazione ha avuto come conseguenza un generale scadimento delle capacità di osservazione e dell’originalità del pensiero. Come terzo fattore, quasi tutta la formazione scientifica è basata sul pensiero riduzionista bottom-up. Le conquiste culturali derivate dal pensiero riduzionista specializzato nel corso degli ultimi secoli sono state molto importanti, ma oggi sono l’integrazione e la fertilizzazione incrociata (cross-fertilisation) di idee e concetti a dare i risultati migliori, proprio nel trattare i problemi sistemici relativi alla crisi ambientale. Gran parte di questo pensiero integrato si è formato e si forma negli ambienti esterni alle istituzioni educative (v. Principio 11). Ironicamente, le tecnologie della comunicazione stanno amplificando queste possibilità, ma ciò ha conseguenze limitate, visto che la tendenza prevalente della tecnologia continua a favorire la forma rispetto al contenuto e la replica rispetto al pensiero creativo. Come quarto – e più problematico – punto, l’istruzione formale ai più alti livelli si concentra sull’assimilazione di quantità enormi di informazioni, ma sempre all’interno di un contesto che vede le discipline separate le une dalle altre (come lo sono, ad esempio, scienza e arte). A questo tipo di educazione manca l’impulso olistico e integrato dell’esperienza vivente e proprio per questo motivo esso ha spesso uno scarso impatto sulle strutture soggiacenti della comprensione e dei valori, che rimangono per lo più quelli ereditati dall’ambiente familiare, dalle opinioni prevalenti nella cosiddetta “cultura popolare” e dai mass media. In molti campi, le soluzioni ai problemi sono già note ma non vengono applicate per una miriade di ragioni specifiche. Il nucleo di questi problemi sta nel fatto che

le conoscenze, che le persone sembrano avere, non sono integrate e potenziate dall’esperienza personale.

L’osservazione e i limiti dell’esperienza diretta Nello specificare i limiti dell’istruzione formale, non posso ignorare i limiti anche dell’esperienza diretta e dell’osservazione, che sono il fondamento della progettazione ecologica. Il detto che suggerisce di reinventare la ruota ci ricorda i limiti dell’osservazione e del progetto isolati da altre fonti di conoscenza. L’osservazione, il tentativo, l’errore e l’esperienza diretta sono spesso considerati metodi di apprendimento lenti e inefficienti per due ragioni. Per prima cosa, le conseguenze di un fallimento possono a volte essere talmente rilevanti che non osiamo neppure sperimentare. Questo fatto era ben compreso da tante società sostenibili tradizionali, che tendevano a essere conservatrici e a guardare con apprensione l’innovazione, in quanto troppo densa di rischi. Secondariamente, è normale ripetere più volte gli stessi errori e questo per varie ragioni, che vanno dall’incapacità di osservare e giudicare i risultati al fatto di non saper porre le domande in modo corretto o alla paura di un’autorità che appare troppo oppressiva. Perché gli approcci dei movimenti di base alla discesa energetica abbiano successo, bisogna scoprire dei modi più efficaci, che consentano alle persone di imparare, attraverso l’osservazione e l’esperienza diretta, a creare dei sistemi di supporto ecologici. Per passare da un approccio basato su una serie di strumenti limitati a una vera e propria progettazione permaculturale che preveda un bagaglio culturale flessibile e diversificato (che includa la comprensione dei modelli), bisognerà rinvigorire enormemente le capacità di osservazione e innovazione.

Il contesto moderno per apprendere tramite l’esperienza Le sempre più estese possibilità create dalla rivoluzione industriale e dalle sue conseguenze hanno fornito una miriade di opportunità per superare i limiti dell’esperienza


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1. Osserva e interagisci diretta. Come prima cosa, l’economia di mercato ha premiato, per generazioni, le innovazioni materialmente vantaggiose, creando un clima culturale che vede l’innovazione per lo più in modo favorevole. Secondariamente, è stato possibile, per un numero crescente di persone, accedere alla formazione permanente (lifelong self-education) attuata in proprio attraverso la cultura o l’esperimento, aumentando e diversificando il repertorio di esperienze dirette da cui nasce la creatività innovativa. Terzo, una relativa libertà e il pluralismo democratico hanno generato la tolleranza per le differenze e perfino per il dissenso nei comportamenti. La natura apparentemente invincibile del materialismo capitalistico ha contribuito alla diffusione, tra le élite, dell’idea che si può guadagnare di più con una società libera e pluralista che con una società rigidamente controllata97. Infine – e forse questo è il punto più importante – la ricchezza ha fornito una rete di sicurezza o una sorta di assicurazione contro le avverse conseguenze degli insuccessi, che sono inevitabilmente tanti in ogni attività sperimentale e innovativa. La ricchezza della casata o della famiglia, il welfare state e la filantropia sono tutti aspetti di questo sistema assicurativo. Questi fattori hanno portato a un’esplosione nelle arti, nelle scienze e nella creatività in generale, che era fino a qualche decennio fa tollerata o attivamente stimolata anche all’interno delle istituzioni educative, nelle organizzazioni governative e nelle aziende private. La ricchezza e il potere di queste organizzazioni fornivano lo spazio sufficiente per sperimentazioni e innovazioni individuali – che andavano di pari passo con qualche dose di dolce far niente e di spreco di denaro pubblico – ma durante gli anni ’80 e ’90 il razionalismo economico ha spazzato via gran parte di questi spazi, appellandosi alla cosiddetta “efficienza economica”. Allo stesso tempo, sono stati istituiti vari centri di eccellenza, dipartimenti creativi e unità di innovazione che hanno continuato a lavorare in base a quei criteri, perseguendo però obiettivi molto più circoscritti e a breve termine. Molti commentatori hanno sostenuto che queste ultime tendenze stanno eliminando dalla nostra società proprio lo spirito più creativo. Oggi sono gli individui in quanto tali a perseguire una grande varietà di interessi, di valori e stili di vita,

lontano dalle costrizioni del mercato o delle istituzioni educative. In mezzo a questa grande varietà di attività personali, amatoriali e hobbistiche c’è anche quella di diventare osservatori qualificati della natura. Questa competenza può essere applicata al giardinaggio, all’orticoltura – attività fondamentali per affrontare un futuro segnato dal declino energetico – e ad altre occupazioni che prevedono di lavorare a stretto contatto operativo con la natura. Il contributo degli osservatori amatoriali alla conoscenza scientifica è evidenziato, in modo persino impressionante, dall’opera di quanti in Australia hanno contribuito alla stesura dell’Atlas of Australian birds, pubblicato per la prima volta nel 1981 dalla Royal Australian Ornithological League e recentemente aggiornato98: oltre diecimila appassionati osservatori di uccelli, da una parte all’altra del Continente, hanno reso possibile l’impresa di catalogare gli uccelli australiani. La permacultura ha creato uno spazio importante per molte persone motivate ad applicare l’intelletto a ciò che è stato tradizionalmente considerato il gradino più basso delle attività umane; attività umili e semplici ma indispensabili nelle società contadine di una volta. Il desiderio di risolvere i problemi, di sperimentare e progettare è una delle caratteristiche che definiscono l’orticoltore permaculturale. Un grande esempio del contributo che può venire da dilettanti entusiasti è il lavoro di Louis Glowinski, un dottore di Melbourne. Nel suo orto di periferia, Louis ha creato uno dei più importanti centri di sperimentazione agricola dell’Australia del sud. Il suo lavoro, dedicato a nuove varietà di frutta nei climi temperati, ha ispirato la formazione di una rete permaculturale nella zona di Melbourne. Il suo libro The complete book of fruit growing in Australia99 è una stupenda miscela di osservazioni originali, opinioni personali, ricerche approfondite e lavoro di documentazione. Gli sperimentatori dilettanti spesso soffrono di una mancanza di risorse e di comunicazione qualificata con i loro pari, ma questi aspetti, apparentemente negativi, possono stimolare l’amatore a esplorare sentieri poco frequentati, poiché non è condizionato dalla paura di fare un passo falso o dai limiti imposti da una disciplina particolare.

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Permacultura

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Osservazioni e interazioni in un mondo postmoderno La permacultura potrebbe essere descritta come una concezione postmoderna, in cui tutti i presupposti sono aperti alla discussione e gli elementi derivati da diversi sistemi e tradizioni sono combinati prescindendo da qualsiasi estetica o tradizione prefissata100. Culture tradizionali e indigene legate a luoghi specifici hanno fornito ispirazione, elementi di progettazione e soluzioni progettuali alla concezione originale e all’evoluzione successiva della permacultura. La velocità dei cambiamenti degli ultimi decenni ha avuto, però, come risultato che molte delle conoscenze e delle culture tradizionali sono andate perdute o si sono diffuse a largo raggio tramite l’emigrazione, i viaggi e la circolazione di documenti. In qualche misura, la modernità ha già fagocitato quasi tutto dei mondi naturali tradizionali (sull’argomento, v. il Principio 10, sezione “Globalizzazione culturale e rinnovamento delle culture legate al territorio”). La società moderna – oltre a essere una grande raccoglitrice-collezionista che tutto ingloba, anche dei mondi naturali e tradizionali – sembra essere un sistema che si autofertilizza, nel senso che genera continuamente nuove informazioni, conoscenze, innovazione e cultura. In questo contesto, la persona istruita, ben informata e che ha viaggiato molto rappresenta un nuovo tipo di risorsa creata dalla cultura industriale ad alto impatto energetico (v. Principio 4). Purtroppo, gran parte di questa diversità si dimostrerà poco funzionale nel percorso di decrescita verso una società sostenibile. Anche lo spreco e l’inefficienza possono essere compresi come riflessi di processi naturali e modi che ha l’umanità di adattarsi al cambiamento e a condizioni future ignote. Quando un sistema naturale – organismo, ecosistema, individuo o società – riceve un improvviso aumento di rifornimento energetico netto, viene trasformato dal rapido sviluppo. Se l’input ad alta energia viene mantenuto, invece, dal semplice sviluppo si passa alla diversificazione. I meccanismi di controllo del feedback negativo101 vengono sospesi e viene permessa la persistenza di qualsiasi tipo di possibilità di sviluppo. La storia dell’Impero Romano ci

fornisce un grande esempio di crescita e di diversità culturale basate sulle risorse dell’intera area del Mediterraneo. In orticoltura, l’abbondanza di acqua e di concimazioni aumenta il vigore e le rese delle piante, infestanti comprese. Se l’apporto energetico è troppo alto, il sistema di solito muore per autoinquinamento (come succede quando una coltura di lieviti muore, a causa dei suoi stessi scarti alcolici) o per lo sviluppo di cancri, che causano il blocco del funzionamento del sistema. Tutti abbiamo sentito parlare di quelle persone che, dopo aver vinto alla lotteria, si lasciano andare a una sorta di orgia dello spendere, trovando poi in questo più l’inferno che il paradiso. Alla fine, l’apporto di energia diventa di nuovo un limite, o perché la riserva di energia è esaurita o perché il sistema è cresciuto fino a utilizzare tutto il flusso energetico disponibile. In queste condizioni, i controlli del feedback negativo entrano di nuovo in funzione, per limitare o eliminare gli elementi del sistema o l’organizzazione che non contribuisce alla sopravvivenza del sistema in modo efficiente. Questo quadro generale può sembrare una prognosi sinistra per molti aspetti della cultura umana cui siamo affezionati e da cui dipendiamo, ma c’è un punto che ispira ottimismo. La proliferazione che si verifica con un apporto energetico abbondante creerà, attraverso vari meccanismi evolutivi (v. Principio 12), delle possibilità di nuove capacità di adattamento, che non sarebbero mai potute emergere in un contesto di limitazione energetica e di controlli del feedback negativo attivati. La disponibilità di grandi input energetici genera quindi nuove possibilità di sviluppo evolutivo. Ad esempio, le attività degli orticoltori permaculturali, che sperimentano nuove colture climaticamente marginali, possono essere considerate hobbistiche, riflesso di una maggiore disponibilità di energia a livello personale e sociale, ma possono anche condurre a nuovi sviluppi, che magari torneranno utili in un futuro a bassa energia. Naturalmente, i cambiamenti possono essere talmente grandi, rispetto al sistema originario, da trasformarsi in una malattia assimilabile al cancro e alla morte, più che a un adattamento evolutivo. Ad esempio, la frugalità volontaria può minare alle basi le fondamenta stesse della società consumistica.


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1. Osserva e interagisci

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Trovare qualcosa di utile nell’immondizia della modernità In un futuro a basso assorbimento energetico, gran parte della tecnologia e della cultura di oggi finirà nell’immondizia della storia; ma alcuni aspetti della modernità possono fornire componenti importanti in una cultura della decrescita. I principi di permacultura forniscono le lenti per aiutare a identificare i pezzi utili della modernità, combinandoli con quelli derivanti dalla natura e dalle culture premoderne in una nuova sintesi progettuale. In questo compito, dobbiamo diventare osservatori distaccati del nostro stesso contesto culturale, cercando modelli che riflettono principi piuttosto che semplicemente aspetti con cui abbiamo familiarità per abitudine o perché spinti dalle convenzioni. Un’immagine che viene in mente è quella di guardare ciò che facciamo e perché nello stesso modo in cui un antropologo osserva un indigeno per motivi di studio. Un’altra immagine è quella dell’accattone che scruta un cumulo d’immondizia, cercando con lo sguardo una gemma. Per quanto possa essere scioccante per qualcuno, questa immagine viene accettata da molti permacultori. Forse queste immagini si uniscono nell’occhio dell’archeologo, che con il crivello filtra i depositi delle passate culture per capire la loro vita, ma anche la loro scomparsa. È come vagare per un paesaggio cosparso di tasselli appartenenti a molti puzzle diversi. Il nostro compito è raccogliere tutti i tasselli che ci sembrano utili e che ci sembra di riconoscere, portarli in un luogo che ancora non conosciamo e lì costruire un nuovo puzzle con i tasselli raccolti102, 103. La chiave per il successo sarà la nostra capacità di osservazione e di progettazione.

Il valore dello scetticismo La libertà personale, politica e religiosa, che diamo per scontata, è di per sé un fondamento per la rivoluzione del pensiero e della capacità di progettare. Una società relativamente libera ci permette di rimanere scettici nei riguardi dei nostri attuali valori collettivi e individuali. In Voltaire’s bastards104, John Ralston-Saul fa una difesa eloquente dello scetticismo e del porsi domande come antidoto agli eccessi della certezza e del fondamentalismo. In questo libro, l’autore documenta come l’estremismo dei modi di pensare e quello dei modi di esercitare il potere siano dei mostri, che si sono sviluppati a partire dal razionalismo dell’Illuminismo. Lo scetticismo e la resistenza ai dogmi sono importanti, sia in uno sviluppo adeguato al declino energetico, sia in una società che deve continuare a essere libera. La natura ci fornisce sempre una miriade di indicatori, di segnali di avvertimento e di interrogativi, in risposta alle nostre azioni basate sulla certezza dei valori di riferimento. L’adattamento al declino energetico dipende da un equilibrio dinamico e contestuale tra valori e conoscenze e non da sante crociate di buoni contro cattivi oppure da soluzioni semplicistiche, apparentemente universali.

L’importanza dell’interazione Queste e altre riflessioni, tratte dall’interpretazione dei sistemi tradizionali di conoscenza e dai grandi pensatori del mondo moderno, ci forniscono un’infinità di idee che possono aiutarci a dare un significato all’osservazione e all’esperienza. Ma, se non usciamo all’aperto allunghiamo le mani, non apriamo gli occhi e non ci mettiamo a lavorare, usando mani e cuori, tutte le idee del mondo non ci salveranno. Perciò la rivoluzione del pensiero e della progettazione, di cui la permacultura fa parte, ha senso solo quando ci riconnette alla meraviglia e al mistero della vita attraverso l’interazione pratica.


Principio

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Raccogli e conserva energia

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Prepara il fieno finché c’è il sole105

Viviamo in un mondo di opulenza senza precedenti, risultato dello sfruttamento delle enormi riserve di combustibili fossili creati dalla terra nel corso di miliardi di anni. Abbiamo utilizzato una parte di queste ricchezze aumentando lo sfruttamento delle risorse rinnovabili della terra fino a un livello insostenibile. Gran parte degli effetti negativi di questo eccesso di prelievo si manifesterà come declino anticipato delle energie fossili disponibili. In linguaggio finanziario, viviamo consumando il capitale globale in un modo sconsiderato, che manderebbe in bancarotta qualsiasi azienda. Dobbiamo imparare a risparmiare e a reinvestire gran parte della ricchezza che stiamo consumando o sprecando, in modo che i nostri figli e discendenti possano godere di una vita decente. Il fondamento etico di questo principio difficilmente potrebbe essere più chiaro. Purtroppo, le nozioni convenzionali di valore, capitale, investimento e ricchezza sono inutilizzabili per questo scopo. Una concezione inadeguata di ciò che significa ricchezza ci ha spinti a ignorare le opportunità di catturare flussi locali di energia, rinnovabile e non rinnovabile. Identificare e agire su queste opportunità può fornire l’energia attraverso cui ricostituire il capitale e fornirci di un reddito per soddisfare i nostri bisogni immediati. Questo principio tratta della raccolta e della conservazione a lungo termine dell’energia, ossia di risparmi e investimenti per costruire capitale naturale e umano. La produzione di reddito (per bisogni immediati) viene trattata nel Principio 3.

L’icona del sole chiuso nella bottiglia suggerisce la conservazione del surplus stagionale e una miriade di altri modi, tradizionali e nuovi, per catturare e conservare energia. Riflette anche la lezione principale della scienza biologica: tutta la vita è, direttamente o indirettamente, dipendente dall’energia solare catturata dalle piante verdi. Il proverbio «Prepara il fieno finché c’è il sole» ci ricorda che abbiamo un tempo limitato per raccogliere e conservare energia e che non possiamo affidarci ai capricci delle stagioni.

Le leggi dell’energia Per spingerci al di là delle metafore del capitalismo e della pianificazione finanziaria, abbiamo bisogno di una basilare comprensione delle leggi dell’energia; esse sono il fondamento di tutto ciò che è possibile in natura e nelle faccende umane. La comprensione di queste leggi dell’energia è stata fondamentale per lo sviluppo del concetto di permacultura106. Siamo abituati a pensare alle fonti di energia come a combustibili che ci vengono forniti attraverso il sistema economico, ma l’energia (nelle sue varie forme) è la forza trainante dietro ogni sistema naturale e umano. Il cibo, da noi considerato carburante per l’organismo, è l’energia più importante che le persone (come tutti gli animali) prendono dal loro ambiente. Attraverso l’universo, l’energia si espande sempre a partire da centri di concentrazione verso regioni che ne sono prive, dove tende a rimanere dispersa e diluita.


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2. Raccogli e conserva energia Oltre a questo, l’energia di alta qualità si degrada in forme di qualità più bassa, riducendo così il suo potere di attivare mutamenti o di svolgere lavoro, nel senso in cui fisici e ingegneri utilizzano questo termine. Questa tendenza al disordine e alla morte finale viene chiamata entropia. L’entropia condiziona ogni sistema vivente e non vivente.

I sistemi dotati di auto-organizzazione (in primo luogo quelli viventi) riescono tuttavia a catturare e a trasformare una quantità limitata dell’energia assorbita. Questa energia viene poi conservata in vari modi e forme per essere utilizzata nell’automantenimento, nello sviluppo e nella cattura di altra energia. Questa energia immagazzinata è generalmente di qualità più elevata,

Limite (o confine) dell’ecosistema

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Fonti di energia

Produttore primario

Consumatore primario

Consumatore Consumatore secondario terziario

Energia ceduta ai dissipatori

Ecosistema modello australiano

Albero di Bruco eucalipto Figura 7 – Un ecosistema visto come circuito energetico.

Sole, pioggia, minerali

Uccello

Iguana


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Permacultura rispetto alla sorgente da cui è derivata, ed è quindi capace di azionare una più ampia gamma di processi rispetto alla fonte originaria. Per i sistemi viventi – dalle singole cellule all’Homo sapiens, al Pianeta nel suo insieme – i flussi di energia disponibile sono per lo più irregolari, di quantità limitata e di bassa qualità. Nel corso dell’evoluzione, i sistemi viventi progettati per ottimizzare l’efficienza della trasformazione dell’energia e della sua conservazione tendono a prevalere. La Figura 7 utilizza il linguaggio dei circuiti energetici sviluppato da Howard Odum per mostrare le relazioni tra fonti di energia esterna, produttori primari (piante) e consumatori (animali), sotto forma di gerarchia energetica o di catena alimentare. Un semplice esempio australiano di catena alimentare illustra queste relazioni. Il flusso dell’energia scorre nella direzione delle frecce con il seguente schema generale:

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 riduzione

dell’apporto di energia e massa lungo la catena alimentare;  aumento di potere e valore per unità di energia e massa lungo la catena alimentare;  perdite inevitabili per dissipazione di energia verso i dissipatori ambientali (segnalati col simbolo elettrico di terra);  feedback di energia di alta qualità per stimolare i flussi verso l’interno. Orticoltori e agricoltori, per secoli, hanno catturato l’energia alimentare nei raccolti agricoli stagionali, che hanno conservato o immagazzinato per consumarli in futuro. I semi conservati erano una forma potente di energia immagazzinata, indispensabile per assicurarsi il raccolto nella stagione a venire. Raccogliendo e conservando l’energia dei semi, i coltivatori mantenevano viva una linea ereditaria genetica e culturale da antenati a discendenti. Tutte le risorse biologiche e minerali possono essere considerate (e misurate) come energia incorporata. Gli strumenti, le infrastrutture e la tecnologia che servono per sostenere una società umana, semplice o complessa che sia, derivano in ogni caso da fonti di energia prima-

ria provenienti dall’ambiente naturale. Le forme più utili e durevoli in cui trasformiamo queste fonti di energia sono riserve di energia di alta qualità o, nel linguaggio di tutti i giorni, “vera ricchezza”. Le linee fondamentali di questa visione energetica del mondo sono date per scontate dagli scienziati ma, a causa di una grande disconnessione tra scienze biofisiche e scienze sociali – in particolare, le scienze che fanno capo all’economia – la prospettiva energetica ha avuto scarso impatto sul modo corrente di intendere i termini “valore” e “ricchezza”.

Il modello moderno Nelle ricche società moderne, il flusso di energia in forme utili alle persone (cibo, materiali e servizi) è diventato così affidabile e sicuro che il procurarsi energia – e, ancora di più, il conservarla – ha cessato di essere un problema. Finché le persone hanno denaro per comprare, la soddisfazione dei bisogni fondamentali viene lasciata ad agricoltori, ingegneri minerari e altre figure del genere. Lo sviluppo estremo del vivere urbano ha fatto sì che nessuna casa sia attrezzata per conservare cibo o combustibile, mentre il potere di acquisto dipende da un impiego lavorativo che deve essere permanente. Allo stesso tempo, il razionalismo economico nel commercio e nelle politiche governative ha portato al declino della conservazione su larga scala di alimenti, carburanti, materiali, parti di ricambio indispensabili e impieghi permanenti negli interessi dell’efficienza economica. Ciò accresce la probabilità di eventi dirompenti, anche di natura disastrosa. La vulnerabilità dei sistemi moderni verso alterazioni anche minime venne sottolineata, alla fine degli anni ’90, dalla preoccupazione sui possibili impatti sulla rete informatica del millennium bug e sugli enormi costi delle strategie di prevenzione. Nel futuro mondo a basso consumo di energia, riscopriremo le opportunità di raccogliere e immagazzinare le energie rinnovabili immediatamente disponibili sul posto (on-site) e le risorse che di solito vengono sprecate nei territori urbani e rurali, nelle case e nelle economie locali. Ciò sarà indispensabile, per evitare disastri deri-


2. Raccogli e conserva energia vanti da dissesti inevitabili alle catene di rifornimento di energia e risorse.

Fonti di energia È utile sottolineare alcuni concetti di base riguardo all’energia: ciò che costituisce una fonte di energia utilizzabile varia moltissimo in base al contesto; è naturale per le persone (e gli organismi in genere) concentrare l’attenzione sulle fonti che sono state importanti nel passato; dopo un periodo di flussi energetici senza precedenti, la gente non vuole sentir parlare di nuove e/o insolite fonti di energia, specialmente se modeste e legate a una situazione specifica. Detto questo, vi sono importanti fonti di energia che sono attualmente utilizzate in misura molto scarsa, pur essendo normalmente disponibili ai fini di una maggiore autonomia personale e locale. Fra queste includiamo:

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 l’energia solare, il cui utilizzo può andare dalla sem-

plice essicazione di legname e alimenti ai dispositivi che sfruttano il solare passivo, dagli essiccatoi alle caldaie per l’acqua calda e ai pannelli fotovoltaici;  l’energia eolica, che può servire per pompare acqua o per produrre energia elettrica;  le biomasse: la gestione sostenibile di alberi e foreste per ricavarne materiali da costruzione e combustibile;  i corsi d’acqua, che possono essere utilizzati per irrigare, per impianti di acquacoltura e per generare energia. In aggiunta a quanto appena detto, siamo letteralmente circondati da scarti di ogni genere, derivati da agricoltura, silvicoltura, industria e altre attività umane; scarti, in particolare, di materiale organico, che possono essere utilizzati per migliorare il suolo, come combustibile, come mangime per animali e anche come materiale da costruzione, come contenitori e altro ancora. Queste risorse, frutto delle attività umane, non sono necessariamente rinnovabili, ma le si possono adoperare nella transizione a sistemi a basso assorbimento energetico (v. Principio 6).

A Melliodora abbiamo in qualche misura fatto uso dei diversi tipi di energia per mettere e mantenere in funzione l’intero sistema. Lo slogan: «Il problema è la soluzione» ci aiuta a riconoscere le opportunità per raccogliere fonti di energia specifiche del nostro sito. Ad esempio, le occasionali piene dei canali lasciano sostanze nutritive e sedimenti; i venti caldi diventano un’opportunità per essiccare frutta e altri prodotti agricoli; rovi e altre infestanti servono come pacciamatura, cibo per animali e altro ancora. E, cosa ancora più importante, i giorni soleggiati invernali caricano di energia solare la nostra casa di mattoni di terra cruda a solare passivo, così stiamo al caldo di notte. Questi esempi riflettono il modo in cui gli ecosistemi si sviluppano in risposta a energie irregolari e di natura diversa disponibili nei vari ambienti.

Le riserve di energia nel territorio La Figura 7 mette in evidenza che la distinzione tra fonti di energia e riserva di energia è vaga: ciò che è riserva per un elemento o organismo in un sistema rappresenta una fonte di energia per un altro. Poiché gli umani non sono confinati in una nicchia107 ecologica semplice e fissa, ciò che è fonte in un ambiente diventa riserva in un altro. Bisogna però mantenere la distinzione tra i due termini, se vogliamo capire a fondo alcuni concetti. Le strategie permaculturali, che tendono allo sviluppo e all’evoluzione di un dato territorio, hanno un’ampiezza che va dall’uscio di casa all’orizzonte e trattano delle opportunità che abbiamo davanti oggi, proiettandole nel futuro indefinito. Queste opportunità possono essere riassunte nella ricostituzione del capitale naturale del territorio in base a quattro importanti riserve di energia: acqua, suolo vivente, alberi e semi. Se vogliamo capire perché molteplici libri e attività di permacultura si concentrano su queste strategie, dobbiamo riuscire a comprendere con il pensiero come l’energia del sole e della terra abbia fatto da motore dell’evoluzione della vita terrestre108 per milioni di anni e perché questo punto sia indispensabile, per la continuità della civiltà umana, in un futuro di declino energetico.

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Permacultura

Come la natura raccoglie e conserva energia Per miliardi di anni, la vita fu confinata a distese marine superficiali, che racchiudevano masse di terra sterile in costante erosione. Circa mezzo miliardo di anni fa, questa vita marina cominciò a colonizzare la terra e a creare forme di vita capaci di colonizzare questa distesa sterminata di desolazione. L’evoluzione di ecosistemi e paesaggi terrestri ha elevato al massimo il potere della Natura di utilizzare l’energia del clima e del Pianeta.

L’energia solare – sotto forma di luce visibile – è utilizzata dalle piante per trasformare l’acqua e il biossido di carbonio dell’atmosfera in carboidrati attraverso il processo della fotosintesi. Questi carboidrati sono l’inizio della catena alimentare di energia chimica, che provvede ai bisogni di tutti gli altri organismi viventi109 ed è al contempo (indirettamente) alla base della creazione dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas). L’energia solare fa funzionare anche i sistemi relativi a tempo atmosferico e clima, che trasmettono energia sot-

FOTOSINTESI (nelle piante verdi) Biossido di carbonio + acqua + luce solare [Carboidrati + ossigeno

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RESPIRAZIONE (in piante e animali) Carboidrati + ossigeno [ biossido di carbonio + acqua + energia metabolica

to forma di pioggia, vento, fulmini e incendi. Le energie climatiche influenzano non solo il tipo di piante che crescono, ma anche la natura dei suoli e le formazioni del territorio, dai bacini imbriferi alle dune del deserto in perenne trasformazione. La luce solare, per la fotosintesi, è un fattore limitante nei climi molto nuvolosi, caratteristici delle maggiori latitudini durante l’inverno, ma un indicatore molto migliore di produttività biologica è la quantità di pioggia che riceve una determinata area. L’acqua pura contenuta nella pioggia è energia solare incorporata, perché è il calore solare che fa evaporare l’acqua fino a creare l’umidità atmosferica, che a sua volta produce le precipitazioni. La maggior parte delle persone sa che il sole è una fornace termonucleare, ma pochi comprendono che esiste, molto più vicino a noi, all’interno della Terra, una fonte di energia nucleare più lenta, ma ugualmente importante nel sostenere la vita. Questa forza è il motore che aziona il movimento delle placche tettoniche della crosta terrestre. Il bradisismo e il vulcanismo dei bordi delle placche fanno emergere delle montagne o cambiano loro forma, liberando dalla roccia quei minerali indispensabili per

la fertilità dei suoli e per tutti gli organismi viventi. La subduzione110 dei sedimenti oceanici e del surplus di materiali organici li espone al caldo e alla pressione, che dà nuova forma alle rocce, crea i combustibili fossili e concentra i minerali rari in giacimenti. I mutamenti nelle energie climatiche o geofisiche, o in entrambe, hanno come conseguenza una radicale riorganizzazione dei paesaggi terrestri e degli ecosistemi. Questi cambiamenti dei sistemi su larga scala possono causare massicce erosioni, distruzioni fisiche, perdita di biodiversità, distruzione di habitat e frammentazione, oppure possono costruire nuovi suoli o renderli più fertili, permettendo anche la rapida invasione ed evoluzione di nuove forme di vita. Ad esempio, le coltri glaciali e i ghiacciai delle montagne si espandono e si contraggono seguendo ritmi pulsanti chiamati “ere glaciali”. Il ghiaccio può distruggere intere porzioni di territorio abitato, ma può anche macinare enormi ammassi di roccia, trasformandoli in polvere glaciale, un fertilizzante minerale provvisto di grande potenza nel sostenere nuova vita. La scala temporale per questi cambiamenti varia dai milioni di anni all’arco di una vita umana.


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2. Raccogli e conserva energia L’uomo, come tutti gli altri animali, si è evoluto traendo vantaggio dalle risorse create da questi grandi processi, ma anche noi siamo diventati agenti di cambiamento – in questo caso, geologico – estraendo e consumando combustibili fossili e minerali. Tra alcune generazioni umane, i modelli a basso consumo di energia osservabili in natura saranno di nuovo la base dei sistemi di vita umani, una volta esauriti i depositi più ricchi di combustibili fossili e di minerali. Si può essere tentati di pensare ai paesaggi naturali come riflesso di una stabilità delle forze climatiche e geologiche; in realtà, lunghi periodi di stabilità climatica e geofisica hanno come risultato una riduzione dell’energia disponibile per ecosistemi e persone. Le regioni geologicamente giovani con formazioni montuose e forme di vulcanismo recenti111 tendono a essere molto più produttive dal punto di vista biologico, e hanno sostenuto popolazioni numerose nonostante la vulnerabilità ai disastri naturali. Geologicamente, le aree vecchie (come gran parte dell’Australia) tendono ad avere una bassa produttività biologica e a sostentare un numero ridotto di persone. La produttività biologica e la capacità di sostentare l’uomo di questi territori geologicamente giovani derivano dalla loro capacità di catturare e trattenere l’acqua delle precipitazioni atmosferiche, i minerali essenziali della terra e la materia organica generata dagli ecosistemi che ne derivano. Queste grandi riserve di minerali, materia organica e acqua nel suolo sono in grado di sostentare grandi masse di popolazione, portando allo sviluppo dell’agricoltura e, conseguentemente, di ciò che chiamiamo civiltà. La capacità dei sistemi terrestri di trattenere acqua, nutrienti minerali e materia organica è limitata e viene continuamente erosa dall’inesorabile forza di gravità. Alla fine, queste riserve di energia non saranno più disponibili per la vita sulla Terra (perché i fiumi le disperderanno negli oceani o perché saranno segregate nelle profondità della terra). L’ossigeno atmosferico continuamente ossida (segrega) i minerali e disgrega la materia organica, lentamente o velocemente (attraverso il fuoco). Queste forze hanno continuato a operare fin da quando la vita è emersa dal mare, al punto che tutti gli ecosistemi e i paesaggi terrestri possono essere considerati sistemi progettuali

creatisi con l’obiettivo di superare, o almeno limitare, gli effetti di queste forze. Possiamo perciò dire che gli ecosistemi terrestri si sono coevoluti per raccogliere e conservare il più efficacemente possibile l’energia contenuta in acqua, nutrienti minerali e carbonio organico.

La conservazione dell’acqua nel territorio L’acqua come fattore limitante è un concetto molto facile da capire, in special modo in Australia, il continente più arido e meno abitato. La natura sporadica delle precipitazioni e il costante bisogno di umidità da parte di microbi, piante e animali hanno fatto sì che il territorio si evolvesse quale efficiente strumento di conservazione dell’acqua. La vegetazione trattiene grossi quantitativi di acqua piovana, sia attraverso i tessuti delle piante che attraverso l’aria umida intrappolata dalle chiome delle foreste e dal sottobosco. I detriti vegetali e la pacciamatura che si accumulano nelle foreste agiscono come spugne, assorbendo e trattenendo l’acqua. L’equilibrio tra biochimica del suolo e sviluppo di humus nella parte superficiale di esso fornisce un’umidità più stabile alle piante, mentre le parti più profonde del suolo, in particolare l’argilla, forniscono umidità molto stabile (anche se di più difficile accesso). La capacità del suolo di conservare l’acqua è uno dei fattori principali che determinano la produttività degli ecosistemi e la base di sostentamento per l’uomo. L’acqua piovana che si infiltra nel sottosuolo e che non può essere raggiunta dalle piante contribuisce alla produttività dei bacini imbriferi: viene rilasciata lentamente attraverso le sorgenti e impregna lo strato più basso del terreno, in particolare lungo canali e rivoli d’acqua. Sorgenti e ristagni mantengono attivi molti corsi d’acqua fra una pioggia abbondante e l’altra e fra una piena e l’altra. Le piante con radici profonde possono riciclare l’acqua delle falde acquifere sotterranee, ma una parte di essa si inabissa a grandi profondità e non potrà essere riutilizzata dai meccanismi di riciclo delle piante e del territorio. Il modello di queste riserve d’acqua varia dall’effimero al permanente, man mano che l’acqua viene spinta verso il basso sotto l’azione della gravità. Queste microriserve localizzate di vegetazione, suolo e sedimen-

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Permacultura

Diga di Yarrawonga

Impianti di Snowy-Tumut Progetto

Snowy-Tumut Sbarramento Riserva Fiume Tooma Hume di Hume

Impianto idraulico a drenaggio112 Riserva di Darthmouth

Fiume Swampy Plain

Fiume Murray (Snowy – Yarrawonga)

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Modello idrografico

Fiume Murray (Albury – Wodonga)

Modello ecografico

Pianura alluvionale (Koorinesia)

Figura 8 – Vari modelli di sistemi fluviali (secondo Tané 1996).

ti vengono a formare dei paesaggi specifici, con forme topografiche idonee alla conservazione dell’acqua. Nei territori geologicamente giovani sono più comuni i laghi, assimilabili a delle riserve d’acqua artificiali. I laghi sono tipici delle zone glaciali e dei territori montani con tendenze sismiche. Nei climi più secchi, diventano importanti piccoli stagni di acqua profonda o con letto sabbioso o ghiaioso. In fiumi e corsi d’acqua con tratti di acqua stagnante e poi piccole rapide, l’acqua viene filtrata e ossigenata. Le paludi e le terre umide sono ancora più importanti come riserve d’acqua e filtri; sono stati infatti definiti i reni dei bacini idrografici, perché filtrano e purificano l’acqua. Corsi d’acqua e aree umide attutiscono anche le forze distruttive dei grandi flussi alluvionali, che ricorrono a intervalli variabili da un anno a mille o più anni. Quando si verifica l’alluvione, una parte della sua energia viene catturata man mano che il nuovo terreno alluvionale viene depositato dal lento flusso dell’acqua. Nei territori costieri più aridi e piatti, le dune di sabbia fanno da diga a fiumi e corsi d’acqua, creando piccoli o grandi estuari di acqua fresca o salmastra o addirittura dei laghi costieri. I picchi alluvionali infrangono le barriere di sabbia, liberando i pesci intrappolati per anni o decenni. Tempeste e venti ricostruiscono gradualmente le dune di sabbia, creando nuovi laghi e paesaggi costieri. In anni recenti, si è verificato un cambiamento radicale nelle opinioni relative alla gestione dei bacini idrografici. Si è passati da un modello prevalentemente di tipo meccanico, che vedeva al primo posto l’assicurare un flusso il più rapido possibile dell’acqua, a un modello di tipo idrologico che, all’opposto, si propone di rallentare il corso dell’acqua; rallentamento che ha anche il compito di filtrare l’acqua dei fiumi nel percorso dalle montagne al mare. Questa trasformazione nei modelli di pensiero è evidente nella Figura 8, seguendo la schematizzazione proposta da Tané113.


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2. Raccogli e conserva energia Il vecchio modello stile impianto idraulico (il primo della Figura 8) è lo schema prodotto dalla Murray Darling Basin Commission come gestione del flusso del fiume Murray. Questo intervento è ora giudicato distruttivo delle risorse naturali. I bacini d’acqua ottenuti tramite dighe sono troppo grandi e, al contempo, situati troppo in basso all’interno del bacino idrografico; i flussi regolati sono troppo veloci e troppo costanti per il mantenimento della salute e della produttività del fiume, evolutasi per utilizzare le variazioni stagionali dei flussi naturali. Il modello idrografico (il secondo della Figura 8), elaborato come mappa del bacino alluvionale del Murray, riconosce la sinuosità e la natura complessa dei bacini pluviali naturali, in cui il flusso lento dell’acqua ha un effetto ottimale sulla conservazione delle risorse naturali. Il modello ecografico (il terzo della Figura 8) recepisce le più recenti indicazioni, che vedono nelle pianure alluvionali degli ecosistemi altamente produttivi, che si rinnovano e ricostituiscono incessantemente in reazione alla trasformazione del bacino fluviale. Tané considera le pitture astratte degli aborigeni australiani, che raffigurano paesaggi dominati dall’acqua, come descrizioni di un mondo in cui risorse fisiche e biologiche sono organicamente integrate.

La conservazione dei nutrienti nel territorio L’evoluzione degli ecosistemi e dei bacini fluviali in relazione alla limitata disponibilità di nutrienti minerali è più difficile da capire rispetto ai processi connessi all’acqua. I nutrienti minerali sono per lo più sostanze invisibili e sono alla base della produttività di ogni ecosistema in modi sottili ma molto rilevanti. Gli elementi essenziali – carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto – sono abbondanti nell’atmosfera. Sono forniti agli esseri viventi attraverso il sistema della fotosintesi (tramite cui si crea energia) e altri processi connessi alle piante. Nutrienti minerali, come calcio, magnesio, potassio, fosforo, zolfo e altri elementi, presenti in traccia e indispensabili agli esseri viventi, sono rilevati in piccole quantità che possono variare moltissimo nelle rocce che formano la crosta terrestre. Le piante possono facilmente assorbire questi principi nu-

tritivi in forme solubili nell’acqua, ma tale solubilità può anche significare che queste sostanze vengono facilmente dilavate e non sono più raggiungibili dalle piante. Conseguentemente, gli ecosistemi del suolo si sono evoluti in modo da catturare e conservare i nutrienti per le piante in forme disponibili, ma non solubili. Gli ecosistemi si sviluppano nonostante il quadro geochimico presenti squilibri e deficit nutritivi. Questi problemi vengono superati tramite dei meccanismi che ricavano i nutrienti da rocce e altre fonti inerti, e catturano i nutrienti provenienti da sistemi adiacenti, oppure da fenomeni atmosferici che trasportano polvere, fumo, polline e anche altre forme di vita ancora114. Nei lunghissimi periodi del tempo geologico, in tutti gli ecosistemi si verifica una perdita di nutrienti minerali, che avviene tramite la gravità, il dilavamento, gli incendi periodici, i periodi di siccità, le alluvioni e altri disastri naturali. Oltre a questo, il fatto che i legami chimici tra nutrienti siano (tramite processi naturali) in forme altamente non disponibili rende ancora più difficile, per le piante, ottenere una nutrizione minerale bilanciata. A meno che un ecosistema non riesca a ricavare dai minerali o conservare più di quanto perde, c’è un progressivo declino della produttività. Avviene così che delle specie che richiedono alti livelli di nutrienti siano sostituite da altre adatte sia a bassi livelli di nutrienti minerali che a squilibri cronici. In Australia, molta della nostra eccezionale biodiversità è il risultato di adattamenti senza fine a scorte di nutrienti minerali basse o squilibrate. Purtroppo, l’uomo, per sua stessa natura, è completamente dipendente da cibi con una quantità di sostanze minerali molto alta e ben bilanciata. Private di un’adeguata ed equilibrata nutrizione minerale, perché i loro suoli non sono più riusciti a nutrirle con la qualità e la quantità di cibo richiesto, le società umane – da quelle dei cacciatori-raccoglitori alle grandi civiltà – sono crollate. Il suolo, nei climi temperati, rappresenta la più importante riserva di sostanze nutritive. L’humus è probabilmente la più grande “invenzione” della natura, perché aumenta la capacità del suolo di incamerare e conservare i nutrienti minerali (oltre ad acqua e carbonio). Esistono buone ragio-

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Permacultura

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ni ecologiche per la venerazione che dimostrano nei confronti dell’humus i movimenti legati all’agricoltura biologica, all’agricoltura biodinamica e alla permacultura. Nei climi umidi tropicali, invece, i livelli di ossidazione e dilavamento sono talmente alti che i sistemi naturali, per conservare i nutrienti, si affidano soprattutto alle piante. Nei sistemi tropicali, gli alberi a vita lunga rappresentano la riserva più abbondante e stabile di nutrienti. Anche negli ecosistemi temperati, le piante e soprattutto gli alberi costituiscono una importante riserva di nutrienti che può venire riciclata attraverso la caduta annuale delle foglie, l’intervento degli insetti e degli animali erbivori, oppure dagli incendi.

La conservazione del carbonio nel territorio La conservazione di nutrienti minerali nell’humus del suolo e nelle piante dipende anche dalle riserve primarie di carbonio organico presenti nella biomassa delle piante. Questo carbonio organico viene prodotto mediante la fotosintesi nelle piante verdi115 e fornisce i mattoni chimici che sono alla base della vita. Gli ecosistemi che presentano piante verdi in piena crescita possono accumulare diverse tonnellate di carbonio per ettaro ogni anno. Gli alberi sono particolarmente importanti come riserve di carbonio, perché riescono a continuare ad accumulare carbonio, sotto forma di legno, per centinaia – o addirittura migliaia – di anni. Questa riserva a lunga scadenza di carbonio nelle biomasse legnose è una delle prove più chiare della capacità degli ecosistemi terrestri di continuare a catturare e immagazzinare energia resistendo alle variazioni stagionali e ad altri squilibri. La preoccupazione per l’effetto serra, collegata alla nozione che gli alberi immagazzinano carbonio, ha prodotto un enorme aumento delle ricerche sul sequestro di carbonio, che si potrebbe attuare tramite gli alberi. Questo interesse a utilizzare gli alberi come mezzo per eliminare il biossido di carbonio in eccesso nell’atmosfera ha accresciuto la consapevolezza e le conoscenze scientifiche sul ruolo degli alberi nell’immagazzinare carbonio. Dal punto di vista della permacultura, l’interesse e l’attività sono, al contrario, focalizzati

sull’inquinamento da biossido di carbonio più che sul carbonio come fonte di combustibili116. Per la specie umana, il fatto che il carbonio sia conservato nelle piante e nell’humus significa molto più che liberarsi dell’anidride carbonica atmosferica in eccesso. Il carbonio che noi consumiamo attraverso gli alimenti fondamentali della nostra dieta rappresenta letteralmente la sostanza di cui è fatta la vita, ma le piccole quantità di carbonio contenute nel cibo umano sono una parte piccolissima della quota di carbonio di cui l’umanità ha bisogno. Quantità molto maggiori di carbonio, contenute nelle piante da foraggio, formano l’alimento principale degli animali da pascolo, i quali, a loro volta, ci forniscono innumerevoli prodotti e servizi, cibi ricchi di proteine, lana e forza motrice. Altre piante, ricche di cellulosa e lignina, ci forniscono la materia prima per tessuti, carta, corde e tutta l’immensa varietà di legnami dagli innumerevoli usi. Ma la cosa forse più importante nell’era del dopo-petrolio è che gli alberi ci potranno fornire il combustibile base per cucinare, scaldarci, fondere metalli e altro ancora. Le foreste da legname e combustibili – e, in misura minore, da pascolo, da foraggio e da fibra – possono crescere su terreni marginali senza intaccare i terreni che, per profondità, struttura e fertilità, sono più adatti per colture di tipo alimentare. Questa è la ragione più importante per cui la conservazione di carbonio mediante piante perenni e in particolar modo alberi è fondamentale, nelle strategie della permacultura, per catturare e conservare energia117.

L’humus come riserva di carbonio Il valore dei materiali vegetali ricchi di carbonio nel soddisfare i futuri bisogni della specie umana non deve essere sottovalutato. Bisogna però sottolineare che anche il semplice marcire di materiali vegetali nel suolo rappresenta una riserva di carbonio ugualmente preziosa. La materia organica, in particolare quella derivante da piante ricche di carbonio, è il combustibile dei microrganismi del suolo e questi, a loro volta, sono il nesso indispensabile per mettere in circolo e rendere disponibili le sostanze nutritive necessarie alle piante. In seguito all’elaborazione da parte di lombrichi e altri organismi del suolo, la materia organica


2. Raccogli e conserva energia viene trasformata in polisaccaridi, proteine e altri prodotti a rapida trasformazione, che sostentano sia i microrganismi del suolo che la vita delle piante. Conseguentemente, già una stagione dopo essere stato respirato dalla ricca vita microbica dei suoli fertili, buona parte del carbonio torna all’atmosfera sotto forma di anidride carbonica. Un po’ del carbonio contenuto nel materiale organico entra a far parte di composti più stabili come l’acido umico e l’acido fulvico, sostanze che aumentano la capacità del suolo di trattenere nutrienti, acqua e ossigeno. In condizioni favorevoli, queste riserve di humus possono rimanere stabili per centinaia e perfino migliaia di anni. Wes Jackson, del Land Institute del Kansas118, ha equiparato la perdita di questo antico humus – attuata attraverso le colture da reddito sulle vecchie praterie americane – all’estrazione di carbone giovane da una miniera. Il riformarsi di humus nei suoli dedicati alle colture da reddito dovrebbe essere considerata una delle grandi priorità, per l’umanità, insieme alla riforestazione dei bacini fluviali e dei pascoli degradati.

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Ricostituire il capitale naturale del territorio Utilizzando la conoscenza dei metodi usati dalla natura per creare e conservare energia, possiamo ricostituire il capitale naturale dei territori a gestione permaculturale, in modo che possano fornire i servizi ambientali necessari119 e soddisfare i bisogni umani del futuro. Le strategie permaculturali per catturare e conservare energia possono essere raggruppate in quattro categorie principali: acqua, suolo vivente, alberi e semi.

Acqua Il valore del recupero e della conservazione dell’acqua è ben compreso (specialmente in Australia). Di recente, sono state espresse delle preoccupazioni relative all’impatto ambientale negativo che può essere causato dal recuperare e conservare troppa acqua in territori non idonei; ciò sottolinea l’importanza di concentrarsi sui benefici globali di queste operazioni. Costruendo bacini di raccolta, dighe, swales (fossati livellari di infiltrazione) e terrapieni, cisterne e altre strut-

ture, si aumenta il potenziale biologico del territorio di immagazzinare acqua e, conseguentemente, di sostentare altri processi biologici. Se ciò viene fatto nei giusti siti e nelle giuste proporzioni, il beneficio ambientale di queste riserve d’acqua è maggiore rispetto all’impatto negativo. Riferendosi a una stessa quantità d’acqua, approntare piccoli bacini con sbarramenti e dighe offre più benefici e meno effetti ambientali avversi che creare grandi bacini posti lungo le valli di grossi fiumi. I grandi sbarramenti posti in ambienti idonei – ad esempio, lungo ripide vallate montane – sono ambientalmente meno dannosi e vanno considerati in modo analogo ai laghi creati naturalmente da ghiacciai o smottamenti di terreno. Grandi bacini e cisterne possono conservare l’acqua in uno stato quasi puro, il che è prezioso per il suo potenziale biochimico di sostenere i processi viventi (e quelli industriali). L’acqua posta in alto – in cisterne, bacini con dighe e simili – può essere utilizzata per azionare dei processi meccanici come l’irrigazione ad alta pressione, la lotta contro gli incendi, la generazione di energia elettrica e meccanica. Le opportunità per impianti di microgenerazione di elettricità – specialmente in Paesi tropicali montagnosi – dal punto di vista collettivo sono probabilmente maggiori rispetto alla costruzione di enormi dighe sui fiumi maggiori; anche gli effetti ambientali avversi dei microimpianti sono molto minori. Tanto più in alto è localizzata la sorgente d’acqua e tanto più forte saranno la pressione e la flessibilità di utilizzo. Ad esempio, i tubi per innaffiare a buon mercato, del diametro di 12 millimetri, sono adeguati per irrigare l’orto o il giardino, se l’acqua proviene da una fonte ad alta pressione; se la pressione è bassa, sono necessari tubi più cari (e più pesanti) di 18 o 25 millimetri. L’acqua non profonda e ricca di nutrienti di dighe, aree umide, stagni, avvallamenti e fossi o risaie possiede una riserva di energia chimica adatta a sostenere dei sistemi di acquacoltura altamente produttivi. In effetti, i sistemi di acquacoltura superficiali posti su terreni fertili producono una quantità maggiore di proteine perfino rispetto al pascolo o all’allevamento di mucche da latte. Questa efficienza ecologica dell’acquacoltura nella

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produzione di proteine è stata la ragione che ha spinto i primi autori di testi di permacultura a diventare attivi sostenitori. Nelle zone tropicali umide, la coltivazione del riso in risaie integrate con la produzione di pesce e l’allevamento di anatre rappresenta uno dei tipi di agricoltura più produttivi e sostenibili120.

Il suolo vivente Il suolo con buona struttura e alto contenuto di humus ha un’enorme capacità di trattenere acqua, minerali e carbonio. Le differenze nella capacità di ritenzione idrica dei suoli e nella capacità di legare nutrienti e carbonio sono il fattore più importante che influenza la produttività degli ecosistemi e dell’agricoltura. Poiché abbiamo già bruciato quasi la metà del carbonio fossile contenuto nel petrolio (e una quantità leggermente minore di carbone), abbiamo consumato più della metà del carbonio presente nelle terre agricole del mondo121. Questo invisibile bruciare carbone giovane è causato dalle arature (che invertono la struttura del suolo) e dall’utilizzo di concimi chimici (solubili). Questi ultimi accelerano le perdite dovute all’esportazione – nel senso di portare all’esterno, e quindi senza riciclarli – dei materiali organici dell’azienda agricola. Il carbonio contenuto nel suolo è il combustibile dell’ecosistema agrario, per lo più invisibile, che regola l’alimentazione delle piante122. Aumentare il contenuto di humus dei suoli agricoli è stato sempre uno dei principali obiettivi dell’agricoltura biologica. Cambiare la gestione dell’azienda agricola, utilizzando strategie e tecniche biologiche e permaculturali, può ricostituire la riserva di carbonio nel suolo, la fertilità e l’acqua, avvicinandosi alla natura delle praterie e delle foreste naturali. Sarebbe sicuramente il maggior contributo possibile per assicurare la futura sopravvivenza dell’umanità123, 124. Ricostituire la sostanza organica del terreno La ricerca agricola convenzionale attualmente riconosce che la perdita di sostanza organica attraverso le colture da reddito è una delle maggiori minacce alla sostenibilità agricola. Strategie e tecniche per aumentare la materia organica del suolo non sono più considerate una ossessione peculiare degli agricoltori biologici, ma il problema di come

descrivere, misurare e valutare le diverse forme di materia organica nel suolo genera molta confusione. La maggior parte dei laboratori di analisi del terreno misura la sostanza organica totale senza distinguere tra le varie sue forme o curarsi di stabilirne l’età e il tempo di ripristino. I suoli che presentano pacciamatura e compost parzialmente decomposti possono indicare uno squilibrio minerale125. I suoli che non mettono in evidenza alcuna presenza di compost, ma sono molto scuri e ben strutturati, di solito hanno un alto contenuto di humus e riflettono il fatto che in passato in quel territorio è stata digerita un’enorme quantità di materia organica. Dove l’apporto di materia organica è abbondante – come negli orti di territori rurali o urbani poco abitati – i fattori principali che influenzano positivamente la trasformazione di materia organica da parte del terreno sono costituiti da un equilibrio minerale e una popolazione microbica favorevoli. Quando gli apporti di sostanza organica sono limitati a ciò che può essere coltivato sul posto (come nelle aziende agricole molto estese), bisognerebbe adottare delle adeguate rotazioni colturali e sistemi a pascolo, alberi e arbusti, che ugualmente contribuiscono ad apportare fattori microbici e minerali.

Rubare a Pietro per dare a Paolo Spesso si dice che gli scarti della produzione agricola, ad esempio la paglia, potrebbero fornire in futuro una enorme fonte rinnovabile di carbonio come combustibile e prodotti a base di fibre vegetali. Tali prospettive sono senz’altro preferibili alla pratica di bruciare le stoppie delle colture, ma non sono altro, in effetti, che un rubare a Pietro per dare a Paolo; infatti, per mantenere – non dico aumentare – il livello di humus nel suolo è importante che nelle colture agrarie sia compreso il pieno riciclo dei residui colturali. Prima di essere interrati, possono servire da pascolo al bestiame, ma in ultima analisi dovrebbero sempre finire col dare nutrimento ai microbi del suolo. Nella Germania settentrionale, la paglia di grano viene bruciata in forni ad alta efficienza per riscaldare gli edifici, diventando così un’energia rinnovabile che sostituisce i combustibili fossili. Tradizionalmente, questa paglia veniva


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2. Raccogli e conserva energia usata come foraggio e lettiera per animali ospitati in grandi stalle. Dopo essere stata così utilizzata, veniva restituita ai campi in primavera. In tal modo si contribuiva a mantenere intatti la fertilità dei suoli e il contenuto di humus in terreni sabbiosi per lo più poveri. Attualmente, il letame di percolazione ricavato dalle stalle viene conservato in grandi cisterne e poi sparso sui campi in primavera. Anche se il letame di percolazione fornisce in parte sostanza organica, questa non è sufficiente per mantenere i livelli di humus nel suolo o per impedire che i nutrienti vengano dilavati nelle falde acquifere, che riforniscono i paesi e le città dei dintorni. Le preoccupazioni sull’inquinamento da nitrati hanno portato all’istituzione di quote di letame di percolazione; ciò, a sua volta, ha portato al commercio di quote e anche a contratti speciali, che vedono delle famiglie di agricoltori mettersi d’accordo per rendere tutte queste operazioni economicamente convenienti. Un altro gradino del processo potrebbe essere quello messo in pratica dagli agricoltori olandesi, i quali esportano il letame animale in Spagna. Ovviamente, a questi livelli, è molto meglio bruciare la paglia per il riscaldamento che dover spendere soldi in combustibili fossili (ossia in carburante) per trasportare il letame in Spagna. Questa storia serve a illustrare quanto complessi e interconnessi siano i problemi di natura ambientale e quanto necessaria sia una prospettiva olistica, se si vogliono cercare delle vere soluzioni. Comprendere e applicare questo principio può aiutare a prevenire gli assurdi circoli viziosi del tipo illustrato a proposito della paglia.

La lignite come nuovo humus La lignite, elaborata adeguatamente, sta emergendo come una delle più preziose risorse per ricostituire il contenuto di humus a lungo termine dei suoli agricoli. Le ligniti126 ad alto contenuto di zolfo sono particolarmente pregevoli, perché lo zolfo è un prezioso nutriente per le piante. I fertilizzanti a base di carbone vengono sempre più utilizzati nella transizione dall’agricoltura convenzionale a quella biologica. Essi offrono la speranza di costituire un contenuto di humus del suolo stabile e a lunga scadenza più velocemente che con metodi tradizionali. Visti i precedenti esempi di fallimenti collettivi della sto-

ria dell’agricoltura, si deve però usare molta cautela ogni volta che si parla di scorciatoie per ottenere suoli fertili ed equilibrati. Tuttavia, usare direttamente combustibili fossili come la lignite per ricostituire il capitale naturale dei terreni agricoli sembra decisamente meglio che bruciarli per ottenere elettricità a utilizzo industriale o civile oppure lasciarli nel sottosuolo perché troppo inquinanti per essere usati come combustibile.

L’equilibrio tra biomasse legnose ed erbacee Nel trasformare le foreste in suoli agricoli, l’uomo ha mobilizzato i nutrienti contenuti nelle grandi biomasse legnose per fornire nutrimento alle colture. Le colture annuali non permettono di immagazzinare nutrienti in modo permanente, ma dove vengono impiantati pascoli o altre colture perenni la conservazione dei nutrienti nella biomassa vegetale può essere di proporzioni uguali a quelle di una foresta o area boscosa nativa (v. la sezione Biomasse animali e vegetali come indicatori di fertilità in Principio 7). In tutti gli ecosistemi, il rapporto tra le sostanze nutritive di riserva e quelle disponibili è un’importante misura dell’equilibrio e della tensione tra stabilità a lungo termine e produttività a breve termine. Ad esempio, il bestiame al pascolo non fa che trasformare i nutrienti del pascolo perenne in forme più concentrate e utili (urina e feci), che fanno crescere microrganismi e piante più appetitose e nutrienti, che a loro volta possono sostentare un numero maggiore di animali. Ma questi nutrienti sono anche più mobili e quindi facilmente vanno persi attraverso il dilavamento e l’evaporazione. Lasciare che l’erba diventi matura per poi farla marcire nel terreno – e passare poi gradualmente ad una vegetazione a fusto legnoso – è una strategia più lenta, ma più sicura ed è utile quando il pascolo è stato eccessivo e dove non esistono rischi di incendio. I due estremi di un pascolo eccessivo, da una parte, e della riduzione drastica del numero di animali dall’altra, possono essere evitati con un sistema di pascolo a celle recintate basato su rotazioni ben calibrate. L’humus del suolo come deposito di carbonio L’attenzione posta sull’effetto serra ha prodotto ricerche e discussioni sui suoli agricoli visti come depositi di car-

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Permacultura bonio, anche se ciò non ha ricevuto la stessa pubblicità che hanno avuto temi come la deforestazione e le piantagioni di nuovi alberi. Queste ricerche stanno fornendo sempre maggiori prove a sostegno di un’affermazione tipica del movimento sostenitore dell’agricoltura biologica, che ha sempre visto nella ricostituzione del livello di humus nel suolo il più grande contributo alla sopravvivenza dell’umanità. Alan Yeomans, produttore del famoso aratro Yeomans per migliorare il suolo, originariamente inventato dal padre P.A. Yeomans, ha sostenuto127 che la perdita di humus nei terreni agricoli contribuisce alle emissioni di gas serra quanto gli autoveicoli e che il favorire l’aumento del contenuto di humus nei suoli coltivati di tutto il mondo, potrebbe riequilibrare gli squilibri dannosi prodotti dall’anidride carbonica nell’atmosfera. Lo studio dei calcoli straordinariamente semplici di Yeomans suggerisce che le quantità di cui stiamo parlando sono quanto meno appropriate all’entità del problema. La ricerca e il dibattito sui cicli reali e possibili del carbonio e del potenziale immagazzinabile nel suolo senza dubbio continueranno. Il tema dell’effetto serra ci fornisce semplicemente un’altra buona ragione per continuare il lavoro di ricostituzione del capitale naturale di humus nel terreno e considerarlo indispensabile per la sopravvivenza dell’umanità nell’era post-combustibili fossili. Possiamo fare questo in vari modi, sia con l’azione diretta che sostenendo gli agricoltori e gli imprenditori agricoli, che già si muovono in tal senso e sono in gran parte – ma non esclusivamente – agricoltori biologici e biodinamici. I metodi sono:  restituire tutti gli scarti organici ai terreni adibiti a orticoltura o agricoli in genere;  eliminare tutte le forme intensive di allevamento animale o agricoltura industriale (che consumano troppi combustibili fossili e riducono l’humus del suolo, aumentando la richiesta di seminativi intensivi);  soddisfare il consumo di carne nei paesi ricchi, che va possibilmente ridotto, mediante il pascolo naturale controllato su vaste superfici (allevando animali originari del luogo, come i canguri in Australia). L’aumento delle superfici a pascolo deve essere controllato, in modo che si ricostituisca l’humus del suolo;

 utilizzare

le rotazioni con leguminose da foraggio per migliorare la struttura dei suoli agricoli destinati all’aratura, evitando così di coltivare le stesse piante con l’utilizzo di erbicidi;  sostituire i concimi chimici solubili con fertilizzanti minerali a base di farina di roccia e humus di carbone (v. sotto);  coltivare alberi su larghe estensioni come parte integrante di qualsiasi territorio agricolo, specialmente in aree ad alta piovosità. La precedenza va data agli arbusti che migliorano il terreno e che forniscono anche foraggio, specie vegetali che danno raccolti e agli alberi da opera a lunga vita, riducendo le specie che esauriscono il suolo e facilitano l’innesco di incendi (come eucalipti e conifere). Quando la terra sotto i nostri piedi non assomiglierà più a una lastra di cemento morto ma a una spugna umida e viva, sapremo di essere sulla pista giusta.

L’equilibrio minerale William Albrecht128, scienziato del suolo americano, è stato uno dei primi a capire che si può creare un suolo idealmente equilibrato, in cui tutte le colture possono dare alte rese di buona qualità. Albrecht fu il protagonista di un pionieristico lavoro per identificare le caratteristiche minerali e biologiche di tale suolo. L’equilibrio minerale ideale di Albrecht aumenta anche la capacità di ritenzione idrica del terreno e la resistenza all’erosione, creando una sorta di tessuto aperto e assorbente. Oltre a questo, l’equilibrio minerale ottimizza la trasformazione della materia organica e degli scarti agricoli in humus. Le mie stesse osservazioni suggeriscono che è ragionevole estendere le idee di Albrecht a ogni tipo di coltura, dato che il suo rappresenta un optimum biologico in cui tutte le piante hanno la possibilità di prosperare. Tenendo presenti gli ovvi limiti climatici, questo suolo bilanciato sosterrà i sistemi biologici più produttivi, in termini sia di energia totale catturata che di energia conservata. Un suolo fertile e in equilibrio fa dunque parte delle soluzioni progettuali che la stessa natura ci propone per ottenere il massimo dalla vita sulla terra.


2. Raccogli e conserva energia La Figura 9 mostra come nei suoli si combinino i livelli di fertilità minerale e l’equilibrio tra i vari nutrienti. Schematicamente, la maggior parte dei suoli agricoli (e da orto) si è evoluta attraverso due fasi di sviluppo. Solo in rarissimi casi si è raggiunto l’ideale di un livello alto ed equilibrato di fertilità. La prima fase è quella della fertilità vergine che, almeno nei suoli migliori, tende in origine ad essere ragionevolmente equilibrata. Lo sfruttamento dei coloni esaurisce velocemente o lentamente il livello dei nutrienti, creando squilibri. Le concimazioni moderne sono riuscite a innalzare il livello dei nutrienti, e quindi della produzione. Gli squilibri tuttavia permangono, oppure se ne creano di nuovi, evidenti nella scarsa qualità dei cibi e nell’aumento della perdità di fertilità dei suoli (seconda fase)129. La cattiva gestione dei terreni, seguita dall’abbandono, può invertire questo ciclo, man mano che la vegetazione naturale130 lenta-

mente ricostituisce l’equilibrio a un livello più basso. In Australia e in altre terre geologicamente vecchie, questa ricostituzione può essere molto lenta o non essere mai in grado di recuperare l’equilibrio dei suoli vergini. Sarà una pura questione di persistenza e di fortuna se alcuni imprenditori agricoli troveranno il “Santo Graal” di una fertilità elevata e ben equilibrata. In futuro (forse nel giro di cento anni) – quando l’energia dei combustibili fossili smetterà di sostenere l’agricoltura – la fertilità e l’equilibrio minerale delle aziende agricole e dei bacini idrografici diventeranno uno dei temi più importanti nella gestione delle risorse e in economia. Purtroppo, i potenti mezzi oggi disponibili per raggiungere questi obiettivi su larga scala diventeranno probabilmente troppo costosi o, semplicemente, non saranno più a portata di mano131. In tal caso, torneremo a essere dipendenti da processi di rico-

Livello di nutrienti in crescita

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Maggioranza di suoli agricoli e da orto

Fertilità equilibrata

Potenziale traiettoria dell’erosione del suolo

Terreno boschivo su suoli degradati

Terreno boschivo vergine sui suoli migliori

Equilibrio dei nutrienti in miglioramento Figura 9 – La matrice della fertilità del suolo e dell’equilibrio.

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stituzione e di riequilibrio della fertilità necessariamente lenti e a basso contenuto di energia.

Gli alberi Alberi e altre piante perenni o di lunga vita sono indispensabili all’agricoltura sostenibile, in parte per la loro capacità di assorbire e conservare in modo efficiente l’acqua e le sostanze nutritive che, nel caso delle piante annuali, facilmente vanno perse. Questa idea è stata fondamentale nell’evoluzione della permacultura e fin dall’inizio ha stimolato lo sviluppo del concetto di colture arboree132. Più di recente, questo stesso concetto è stato ripreso dal movimento Landcare come fondamentale per affrontare la salinità, l’acidificazione, l’eutrofizzazione e altri seri problemi relativi al degrado della terra in Australia. Le colture arboree che producono alimenti per l’uomo sono più esigenti, in termini di fertilità minerale; questi alberi sono spesso meno vigorosi e crescono più lentamente rispetto ai rustici alberi delle foreste capaci di generare soprattutto biomassa legnosa133. Le strategie permaculturali hanno sottolineato l’importanza di questo primo gruppo di piante, ma sono soprattutto le seconde che possono aiutarci a recuperare vaste aree di terreno degradato fornendo oltre ai tradizionali frutti della foresta (legname, fibra e combustibili), anche prodotti secondari come miele, funghi, erbe officinali, carni e pellami. Le piante di cui si parla sono, per varie ragioni, molto importanti in un mondo di combustibili fossili in declino:  possono

crescere su terreni molto poveri inadatti ad altre piante da alimenti o da fibra134;  le foreste in piena crescita possono accumulare biomassa a un ritmo che può variare da 5 a 35 tonnellate per ettaro all’anno. Questo tasso è simile a quello della prateria, ma al contrario della prateria, il legname degli alberi è una modalità di stoccaggio a lungo termine che può rimanere stabile per secoli;  il legno di alberi alti e diritti continua ad aumentare di valore anche molto dopo che il ritmo di crescita si è rallentato, perché gli alberi a crescita lenta for-

niscono tronchi da sega135 da cui è possibile ricavare una grande varietà di prodotti di lunga durata;  dove esiste un mercato maturo per i prodotti a base di legname di foresta (come in Europa), gli alberi che possono di fornire tronchi da sega valgono dieci volte di più rispetto a quelli utilizzati per farne polpa di legno o legna da ardere. In un futuro a basso consumo di energia, il valore di una foresta matura capace di fornire di continuo prodotti diversi a base di legnami anche pregiati, sarà molto alto. Come in passato, la ricchezza delle nazioni sarà misurata dalla quantità e dalla qualità delle loro foreste. La dipendenza delle nazioni europee dalle foreste per la costruzione di navi da guerra è un ovvio esempio che ci viene dalla storia, ma l’ampiezza e la profondità della dipendenza dalla foresta potrebbero essere molto più estese. Così come l’acciaio sostituì il legno nella costruzione di navi e altro (man mano che aumentava l’utilizzo di energie fossili), il legno sostituirà progressivamente l’acciaio, il calcestruzzo, l’alluminio, la plastica e altri materiali prodotti mediante un alto utilizzo di energia, man mano che l’energia da combustibili fossili andrà in declino. Ma ciò sarà possibile solo se le foreste che devono svolgere questa funzione saranno piantate almeno con una generazione d’anticipo. Pur non avendo come scopo primario un intervento positivo sull’effetto serra, il principio di ricostituire il capitale naturale indica che dovremmo far crescere foreste a specie mista e con scopi diversificati. I risultati di questo approccio saranno certamente più utili di quelli perseguiti dalla mentalità gretta da monocultura, che ha caratterizzato tutta la progettazione e gli investimenti della silvicoltura dall’età industriale fino a oggi. Le lunghe rotazioni delle foreste miste presentano vari vantaggi:  il

modo migliore per far prosperare alberi di lunga vita è coltivarli insieme alle specie vegetali che fungono da balia (piante pioniere): piante che crescono velocemente, migliorano il suolo (come acacie o robinie), e che hanno anche l’effetto di aumentare l’assunzione di carbonio nei primi anni;


2. Raccogli e conserva energia diradamento coscienzioso e continuo di questo tipo di foresta può mantenere un buon tasso di crescita degli alberi di maggior pregio per almeno un secolo, periodo di tempo entro cui l’utilizzo di combustibili fossili dovrebbe essere radicalmente diminuito (v. Silvicoltura a lunga rotazione in Principio 9);  se ben gestite e protette dagli incendi, le foreste di alberi longevi e di alta qualità possono durare centinaia di nni, prima che il loro valore come legname e come riserva di carbonio cominci a declinare;  case e altri oggetti di alta qualità costruiti con questo tipo di legname possono durare, a loro volta, per altri secoli ancora;  la decomposizione di foglie, corteccia e legno degli alberi più vecchi formerà accumuli di humus, che dureranno migliaia di anni;  queste foreste possono essere rigenerate senza l’uso massiccio di anidride carbonica associato alle tecniche di deforestazione oggi utilizzate, che prevedono il taglio netto e l’incendio di intere aree.

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 un

Le ragioni per far crescere foreste miste a lunga rotazione sono tante; la loro funzione di deposito di gas serra è una semplice ragione in più. La permacultura ha contribuito a diffondere l’idea, oggi ben nota, che «riforestare la terra è uno dei pochi compiti che ci sono rimasti per dimostrare la nostra umanità»136. È appropriato sottolineare i servizi ambientali, spesso invisibili (protezione dei bacini fluviali e delle risorse idriche, sequestro dei gas serra), che le foreste svolgono, ma pochi si rendono conto che sarà proprio la capacità delle foreste di fare da riserva di carbonio, in quanto legno e combustibile, a permettere all’umanità di essere sostentata da risorse rinnovabili in un futuro a basso consumo di energia.

Semi (soprattutto di specie annuali) Anche se le colture perenni tenderanno ad aumentare, le piante annuali e biennali137 e le colture da campo rimarranno indispensabili per assicurare il mantenimento alimentare e culturale. La maggior parte di queste piante produce talmente tanti semi da lasciare stupefatti gli orticoltori di

primo pelo, abituati alle bustine con pochi semi che comprano nei supermercati. Uno dei più importanti esempi di come si raccoglie e conserva energia è il mantenimento dei semi, coltivandoli, raccogliendoli e conservandoli di anno in anno. Per quanto piccola sia la quantità di energia in essi contenuta, la densità e il valore potenziale sono invece molto alti. Per provvedere da sé al mantenimento di semi rustici per il proprio orto basta lasciar andare in seme qualche pianta oppure lasciare che la pianta si risemini da sola. In altri casi, quando bisogna tenere separate varie piante – che potrebbero incrociarsi, portando al degrado e all’alterazione della specie coltivata – è necessario coltivarle a opportune distanze e poi selezionare attentamente i semi. I semi di alcune specie possono essere conservati per anni, addirittura decenni, altri invece durano una sola stagione. Possiamo anche considerare questa attività di conservazione come una sorta di riserva casalinga di energia (v. più avanti), ma la cosa importante è che la coltivazione continui regolarmente di anno in anno. In questa prospettiva, l’orto permaculturale potrebbe essere considerato una sorta di museo di una energia molto speciale: l’informazione genetica. I semi conservati rappresentano la forma stabile e durevole assunta da quella informazione in una fase annuale del loro ciclo. All’interno del movimento permaculturale, la conservazione dei semi – in special modo di varietà vecchie, locali o rare abbandonate dall’agribusiness – ha ispirato attivisti, creato reti di raccoglitori138 (seed savers) e risvegliato una pratica colturale fondamentale per la futura sopravvivenza. Il rapido processo di acquisizione delle compagnie sementiere tradizionali attuato dalle multinazionali dell’agribusiness negli anni ’70 e ’80, e la promozione su grande scala di ibridi-spazzatura hanno dato una enorme spinta al moderno movimento per la conservazione dei semi. Uno dei vantaggi delle piante perenni, sottolineato dal movimento permaculturale, è che esse non richiedono la conservazione dei semi e il loro rinnovo dopo alcuni anni. Una volta stabilizzate, molte piante perenni hanno tutti gli anni che vogliono per produrre semi e innumerevoli altri metodi per propagare139 la specie; tuttavia, anche la conservazione della diversità genetica in alberi e piante perenni è un

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Permacultura importante esempio di conservazione dell’energia. A questo scopo, nell’Australia rurale il movimento Landcare ha spinto molti gruppi locali a raccogliere e conservare i semi di molte piante locali indigene che rischiavano di sparire. Le piantagione e le colture protette di queste specie sono esempi viventi di conservazione del materiale genetico. Piantare specie utili coltivate nel passato è un altro modo di conservazione di grande valore, da imitare. Forse l’esempio migliore, in proposito, viene da Canberra, dove strade e spazi verdi hanno accolto molte specie del passato (Walter ed Eliza Burley Griffin sono stati i visionari protagonisti di questo progetto140). Le molte specie di quercia, utili e rare, piantate lungo le strade di Canberra negli ultimi due decenni, sono diventate un punto di riferimento per molti permacultori e rimangono un esempio da seguire anche per il futuro delle colture arboree nell’Australia del sud. Altri tipi di conservazione, praticati da molti orticoltori e giardinieri, prevedono l’innesto con vecchie varietà di alberi da frutto, con talee e marze prelevate in orti e stazioni di ricerca141 abbandonati. I nuovi giardini e orti, sorti un po’ dappertutto sotto l’ispirazione della permacultura, sono la testimonianza vivente di questo approccio. A Melliodora abbiamo adoperato tutte queste strategie di conservazione fin da quando abbiamo iniziato a dare una prospettiva al podere; esse continuano a definire e misurare la forza e la stabilità della nostra fattoria.

Basso tasso di svalutazione Qualsiasi riserva di energia a basso tasso di svalutazione durerà per lungo tempo, si degraderà lentamente in quantità e qualità e richiederà solo un’aggiunta minima di energia per mantenersi. Se riusciamo a costituire tali riserve quando energia, informazione e manodopera sono abbondanti, una società futura a basso consumo di energia dovrebbe essere in grado di mantenerle. Il dilavamento di sostanze nutritive da suoli ben equilibrati e protetti da vegetazione perenne è estremamente basso. Il legno delle foreste mature di alberi longevi e sani si degrada molto lentamente, nonostante la propaganda delle grandi compagnie di deforestazione. Le opere di movimento terra, come avvallamenti e canali, se sono ben progettate ed eseguite, richiedono scarsa manutenzione. I semi di alcuni ortaggi – ad esempio pomodori e fagioli – sono molto facili da conservare e mantengono la conformità alla specie.

Caratteristiche del capitale naturale

Sono resistenti a monopoli, furto e violenza Le riserve di energia non concentrate, ma disperse nel territorio, rendono più difficile il controllo di un’autorità centralizzata o portavoce di interessi particolari. Ciò è vero soprattutto per i semi, a dispetto degli enormi sforzi messi in campo dalle grandi corporation dell’agribusiness142. Suolo fertile, acqua e foreste difficilmente possono essere oggetto di furto, per le loro dimensioni e perché il loro valore non è concentrato. La loro resistenza alla violenza del terrorismo e delle guerre – civili e non – è più problematica, ma questi patrimoni sono comunque meno vulnerabili dei soliti simboli della ricchezza, che vediamo riflessi in edifici e beni di consumo.

Acqua, suolo vivente, alberi e semi hanno tutti alcune caratteristiche (che vedremo di seguito), indispensabili in ogni società sostenibile a basso utilizzo di energia.

Un certo grado di automantenimento Riserve viventi come suolo e alberi per lo più si autosostentano e continuano a potenziarsi con il tempo. La qualità dell’acqua, nei bacini delle dighe e anche nelle cisterne, può automantenersi attraverso i sistemi viventi che contengono. Le specie vegetali che si autoseminano e si mantengono conformi alla specie sono una risorsa genetica che si automantiene.

Non richiedono tecnologie speciali o costose Se una riserva di energia può essere sfruttata con mezzi semplici, la gente in futuro potrà farne uso quasi senza far ricorso a mezzi tecnologici costosi o altro. Nel corso della storia, acqua, suolo fertile, semi e foreste di buon legname sono stati fonti di ricchezza reale in qualsiasi cultura o linguaggio.


2. Raccogli e conserva energia

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La pianificazione territoriale Quanto appena detto sul capitale naturale è la base per un diverso modo di pensare alla pianificazione territoriale, anche per quanto concerne l’accumulo di riserve. Le caratteristiche del capitale naturale appena elencate possono fornire i criteri di una nuova ottica olistica, attraverso cui considerare con maggiore chiarezza le proposte di sviluppo (come generazione di vera ricchezza) e le preoccupazioni per la conservazione di ciò che già abbiamo. In questo modo potremmo integrare e sintetizzare una vasta complessità di legislazioni e regolamenti ambientali e stimolare maggiori aspettative, rispetto al fatto che lo sviluppo dovrebbe generare un capitale naturale reale e non l’attuale guazzabuglio di soluzioni palliative camuffate da un velo di trucco. Nel prendere in analisi i vari metodi di gestione del territorio (sia nuovi sia già in atto), dovremmo:  identificare i meccanismi e i modi per conservare acqua, nutrienti e carbonio nel sistema;  identificare i più probabili punti deboli del sistema, quelli in cui si verifica la perdita di acqua, nutrienti e carbonio;  confrontare la relativa efficienza della conservazione e i rischi di perdite con quelli di territori naturali non antropizzati, che si siano evoluti in modo abbastanza simile per quanto concerne energia e risorse. Anche quando sarà difficile avere dei dati sicuri, bisognerà supplire leggendo il paesaggio in modo approfondito; ciò permetterà di fare delle valutazioni visive che – per quanto di carattere generale – saranno in ogni caso utili per le varie fasi della realizzazione del progetto, cioè la pianificazione strategica, la progettazione e la realizzazione pratica. Cosa forse ancora più importante, la modifica progressiva degli utilizzi già presenti di un certo territorio può consentire alla natura di attuare i processi di successione e co-evoluzione ecologica che stanno già in parte catturando acqua, nutrienti e carbonio (v. anche il Principio 12). In questo modo si possono rafforzare i fattori di tipo naturale e selvatico che stanno già svolgendo tali funzioni.

Molte strategie e tecniche descritte nei testi di permacultura costituiscono degli esempi per aumentare l’efficienza nel raccogliere e conservare acqua, nutrienti e carbonio. Fra esse, ricordiamo le colture perenni, la rivitalizzazione dei suoli con aratro ripuntatore seguendo un percorso a lisca di pesce (Keyline soil conditioning), la raccolta d’acqua, gli swale (fossati livellari di infiltrazione)143, le foreste alimentari coltivate (food forests), gli alberi da foraggio, il pascolo a zona e le foreste a rotazione lunga 144.

La contabilità EMERGY Howard Odum e colleghi hanno sviluppato e applicato la valutazione EMERGY per l’impatto ambientale. Essa fornisce un esempio più preciso e rigoroso del modo di pensare olistico che la permacultura tenta di stimolare (v. la sezione La contabilità EMERGY in Principio 3). Secondo me, i due approcci (pensiero olistico e valutazione EMERGY) sono comunque complementari. La contabilità EMERGY ci aiuta a elaborare meglio principi e strategie. I principi della permacultura forniscono regole generali legate al buon senso, per identificare gli aspetti mancanti in qualsiasi modello utilizzato per quantificare sistemi ambientali umani complessi.

Ricostituire le riserve domestiche di energia Una strategia permaculturale è quella di incoraggiare l’autosufficienza a livello domestico e locale (v. anche Principio 3 e Principio 4). Ciò deve fare da complemento all’accumulare riserve legate al territorio e può far recuperare forme tradizionali di conservazione dell’energia tramite cibo, combustibile e altre risorse. Molte immagini di vita rurale tradizionale tornano in mente a questo proposito. A Melliodora consideriamo la scatola in cui teniamo i semi, la cantina piena di derrate prodotte da noi e la catasta di legna da ardere come la nostra tradizionale riserva di modesta ricchezza e ci sentiamo contenti e soddisfatti. I semi ordinati in base alla diversità riflettono i nostri sforzi per conservare, scambiare e comprare la potenziale abbondanza delle future stagioni. Una dispensa e una cantina

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Permacultura piena di conserve catturano l’essenza e la sostanza di una stagione che è andata bene e ci rassicurano, al pensiero che la prossima potrebbe anche non andare bene come questa. Una grossa catasta di legna – con, a un’estremità, la legna giovane che deve ancora stagionare e, all’altra, quella già pronta da bruciare dopo due anni di stagionatura – rappresenta sia l’abbondanza della natura che il frutto dell’onesto e duro lavoro, messo a maturare solo con l’ausilio del sole e degli altri agenti climatici. Queste modalità di conservazione dell’energia sono per natura:  diversificate;  su piccola scala;  decentrate;  facilmente utilizzabili;  non abbastanza mobili o ricche da poter attrarre l’attenzione di ladri e altri che sono sempre alla ricerca di modi facili per arricchirsi. Una nazione in cui questo tipo di ricchezza sia molto diffuso è molto più sicura e stabile di una società dipendente da alti volumi di produzione, da sistemi centralizzati per rifornire di alimenti e combustibili i supermercati e da una rete elettrica nazionale (v. la sezione Autosufficienza come preparazione al disastro in Principio 4).

L’ambiente costruito145 come riserva di energia Le riserve di energia contenute in cibi, semi, combustibili e altre risorse, di cui abbiamo già parlato, sono fondamentali per qualsiasi tipo di società, ma il quadro non è tutto qui. La trasformazione di energia in forme progressivamente più elaborate e preziose si estende, ben al di là delle risorse fisiche, alle cose che facciamo con esse: strumenti, edifici e infrastrutture come strade, energia elettrica e telecomunicazioni. Nella società moderna, l’enorme utilizzo di energie fossili e naturali degli ultimi secoli si è trasferito da settore a settore, generando un esplosivo sviluppo di città, tecnologie e infrastrutture dedicate al trasporto di energia e comunicazione. La gente del mondo ricco oggi vive in genere in un ambiente costruito più che in un ambiente naturale. Questa stessa gente è continuamente costretta a disfarsi dei propri scarti

per trovare un po’ di spazio per nuovi oggetti, resi possibili dalla tecnologia e necessari da stili di vita e culture. Se parliamo di sistemi, la società moderna è stata molto attiva nel raccogliere e conservare energia sotto forma di merci. Purtroppo, l’energia immagazzinata è per lo più inutile, senza il resto del complesso industriale; gli oggetti stimolano ulteriori consumi di energia e produzione di rifiuti. Ad esempio, gli edifici e le autostrade sono strutture ad alto dispendio di energia e richiedono costanti flussi di nuova energia fossile. Anche i computer, che dovrebbero permettere di ottenere “di più” con “meno”, non fanno altro che alimentare la richiesta di nuovi software e hardware, per cui si verifica un alto tasso di sostituzione solo per alimentare delle economie di scala e mantenersi aggiornati ed efficienti. I processi che i permacultori seguono nel raccogliere e conservare energia negli ambienti naturali sarebbero da applicare anche allo sviluppo di edifici energeticamente efficienti, di tecnologie appropriate e di tutto quanto viene prodotto, costruito e fabbricato. Quando abbiamo a che fare con la costruzione di strumenti, edifici e infrastrutture, dovremmo tendere a emulare, se possibile, le caratteristiche prima elencate per quanto concerne la conservazione di energia nei paesaggi naturali. Bisognerebbe, inoltre, applicare i seguenti criteri di progettazione:  che siano di scala ridotta;  che siano progettati per durare a lungo e/o costruiti con materiali facilmente rinnovabili;  che la manutenzione sia semplice da effettuare (il che non significa senza manutenzione);  che abbiano diverse finalità o siano adattabili ad altri utilizzi. Insieme alla ristrutturazione creativa di edifici e infrastrutture già esistenti, l’applicazione di questi criteri di progettazione a tutti i nuovi progetti edilizi potrebbe contribuire a contenere i problemi dell’ipersviluppo del mondo occidentale, in cui i costi della manutenzione di ciò che già abbiamo stanno cominciando a incidere sul benessere economico. I tecnici della manutenzione hanno davanti a loro un futuro garantito, ma le soluzioni non sa-


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ranno facili da trovare perché la quasi totalità degli edifici è stata progettata e costruita dando per scontati dei bassi costi energetici (v. Principio 6). A Melliodora per costruire terrazze, terrapieni e sentieri, abbiamo fatto massimo uso di terra e pietra; abbiamo evitato di costruire troppi recinti, tettoie o altri piccoli edifici separati da casa, che avrebbero richiesto una continua manutenzione e ristrutturazione. Gli edifici permanenti sono di dimensioni modeste, com’è tipico delle piccole proprietà rurali; a tali edifici noi affidiamo altre funzioni, rispetto al semplice abitare, che si traducono in uno stile di vita basato sull’autosufficienza e sul telelavoro, il che comporta passare più ore in casa. Ogni edificio ha varie funzioni ed è costruito in modo da essere facilmente riadattabile a nuove funzioni al suo interno. Nella costruzione dell’edificio abbiamo fatto grande uso di terra e legno, disponibili localmente, e di materiali riciclabili. Per le parti dell’edificio che devono avere una lunga durata abbiamo utilizzato materiali di costruzione moderni; in cambio, per quanto concerne le funzioni essenziali della casa, abbiamo limitato al minimo l’utilizzo di dispositivi come pompe e altri esempi di tecnologia moderna.

L’energia immagazzinata nella cultura Nonostante le dimensioni raggiunte da tecnologia ed edilizia oggi, le maggiori riserve di energia incorporata di alta qualità si presentano in forme che la gente non riconosce come contenenti energia o materiali. Si tratta, ad esempio, delle informazioni e delle organizzazioni che fanno capo al governo, all’economia, alla collettività e alla cultura, che sono ritenute in gran parte merci astratte, non connesse a energia e risorse. Ma è proprio la proliferazione di queste cose a essere diventata un elemento essenziale della nostra società ad alta energia basata sui combustibili fossili. In natura, le lunghe catene e reti alimentari implicano la trasformazione di energia solare in forme sempre più complesse, come l’organizzazione di un alveare, la struttura fisica di una vecchia foresta, le capacità venatorie di un vecchio predatore o la biodiversità in generale. Howard Odum e altri ecologi dei sistemi146 hanno dimostrato che

l’energia incorporata (o EMERGY) richiesta, per creare queste complesse forme di organizzazione e strutture, è molto grande. Allo stesso modo, gli studi dei sistemi147 umani hanno dimostrato che la creazione e il mantenimento di governo, economia, istruzione e cultura seguono le stesse regole energetiche dei sistemi naturali. La varietà e la complessità di questi beni non proprio materiali sono anch’esse il riflesso di quanto avvenuto in passato, nel raccogliere e conservare energia in forme utili. La tanto annunciata economia senza peso (o immateriale) dell’informazione e dei servizi (che fanno in ogni caso capo a centri di potere e ricchezza) non implica l’elaborazione o il trasporto di molta energia o materiali; è, sì, originale e innovativa, ma non ci libera affatto dalle leggi dell’energia, come sembrano invece pensare molti economisti. Naturalmente, è il capitale finanziario la più potente forma di ricchezza non materiale del mondo moderno. Negli ultimi decenni, il rapido movimento del capitale da una parte all’altra del globo e il suo impiego in investimenti distruttivi a breve termine è stato largamente giudicato l’elemento più dis-funzionale del capitalismo moderno. C’è ovviamente l’esigenza di regolare meglio questa forma davvero volatile di ricchezza, dirigendola verso benefici a lungo termine. La realtà, però, è che molto del valore del capitale finanziario è illusorio proprio perché si è allontanato completamente dalle sorgenti della vera ricchezza. Crisi finanziarie di vario tipo si sono avvicendate, dall’inizio degli anni ’80, e molte altre probabilmente si verificheranno prima che la ricchezza finanziaria divenga, più realisticamente, espressione della ricchezza materiale potenziale. La finanza etica è una delle aree dei servizi finanziari in più rapida crescita. Tale crescita è limitata più da una penuria di aziende e progetti appropriati – nel senso che soddisfino criteri ambientali e sociali e siano finanziariamente sani – che da una mancanza di investitori. Nonostante tali limiti, i profitti registrati da questi tipi di investimento sono stati generalmente altrettanto buoni – se non migliori – delle medie di mercato. La rapida evoluzione di più appropriati criteri di governo, economia, cultura, arte e anche mitologia è indispensabile per adattarsi alla discesa energetica. Dichiarare semplicemente che

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è possibile utilizzare i principi della permacultura per progettare una cultura e una società sostenibili sarebbe un’esagerazione, ma ritengo possibile utilizzarli almeno per valutare i diversi fenomeni culturali ai quali ci troviamo a partecipare148.

Atteggiamenti e valori adeguati alla decrescita Fra gli atteggiamenti e i valori, che secondo me stanno contribuendo allo sviluppo di una nuova cultura della decrescita149, bisogna sottolineare i seguenti modi di agire:  riconoscere e giudicare positivamente i contributi utili provenienti dall’esterno da qualsiasi disciplina di tipo intellettuale, da qualsiasi professione o campo di conoscenza che ci veda coinvolti;  apprendere e valorizzare i sistemi di conoscenza e di comprensione al di fuori del razionalismo scientifico (il nostro paradigma culturale dominante, quello stesso da cui è emersa all’inizio la permacultura);  rimanere scettici di fronte alle autorità ufficiali e alle qualifiche formali in qualsiasi campo, a meno che non siano accreditate da valide esperienze locali o da credenziali dimostrabili, anche attraverso esperienze in rete;  riconoscere la validità e il valore di tutte le culture locali preesistenti (diverse dalla cultura internazionale che ha come riferimento il non luogo150) e adottare liberamente qualsiasi atteggiamento, che sembra utile a livello locale;  contribuire all’evoluzione di una cultura del luogo sostenendo e celebrando ciò che è locale, invece di ciò che è internazionale, sia questo concernente la conoscenza, il cibo, l’arte o la cultura;  utilizzare l’immenso potere di media e information technology con una sorta di cautela scettica, senza farsi prendere da una totale dedizione e senza che questo utilizzo comporti la perdita di altre forme di comunicazione, di memoria o di interpretazione. A mio parere l’information technology è la ciliegina sulla torta, non la torta. Questi atteggiamenti e valori condizionano il modo in cui organizziamo le nostre vite, ci guadagniamo da vivere, educhiamo i nostri figli, reagiamo alle crisi e alle malattie, contribuiamo alla vita della comunità e ridistribuiamo (facciamo circolare) ricchezza e potere.

La futura cultura sostenibile Man mano che il ritmo delle trasformazioni, durante la fase del declino energetico, rallenterà, emergeranno culture più durevoli (e sostenibili) e diversificate (bioregionali). Queste culture presenteranno, auspicabilmente, le seguenti caratteristiche:  avranno strutture politiche ed economiche bioregionali con una rinnovata differenziazione geografica;  saranno biogeneticamente, razzialmente, culturalmente e intellettualmente interfertilizzate con conseguente nuovo vigore ibrido naturale;  avranno facile accessibilità e bassa dipendenza da tecnologie costose e centralizzate;  potranno essere sviluppate mediante fasi intermedie, che prevedano retroazioni e miglioramenti progressivi (v. il Principio 8, per esempi sull’applicazione di queste caratteristiche alla costituzione di comunità nella transizione – accelerata o meno – alla decrescita).

Uso appropriato di risorse non rinnovabili Ho analizzato varie strategie per investire la ricchezza esistente allo scopo di ricostituire il capitale naturale e umano. Tutte implicano l’utilizzo di quote anche considerevoli di combustibili fossili e di altre risorse non rinnovabili. La transizione a una sempre minore disponibilità di energia fornisce un’opportunità unica e strategica per fare il miglior utilizzo della ricchezza e delle risorse non rinnovabili esistenti al fine di ricostruire il capitale naturale e umano. In generale, il miglior uso per risorse e tecnologie non rinnovabili dovrebbe essere quello di istituire un sistema – piuttosto che mantenerne uno esistente o trarne giovamento – anche se il processo di istituzione è un processo graduale, che ha luogo come transizione nel corso di una vita (o perfino di generazioni). Ad esempio, una casa solare passiva utilizza l’alta emergy del vetro per catturare l’energia solare. Se ciò viene fatto mentre al contempo il vetro svolge le altre sue tipiche funzioni negli edifici (come il garantire l’accesso della luce naturale e il poter guardare fuori), questo sarà un buon utilizzo di energia incorporata non rin-


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novabile. I bulldozer e altri potenti macchinari per il movimento terra sono forse l’esempio più evidente di utilizzo di combustibili fossili e tecnologia promosso dal movimento della permacultura. Vengono utilizzati per costruire sistemi ben progettati per la raccolta, la conservazione e la distribuzione di acqua, o per creare accessi alla proprietà per i veicoli ed edifici che aumentino e produttività urbana o rurale del territorio. I sistemi costituiti col movimento di terra possono durare indefinitamente, con qualche lavoro di manutenzione manuale, se necessario. Un altro esempio è la riabilitazione del suolo tramite appositi aratri, che rompono i crostoni argillosi in profondità, permettendo poi l’impianto di colture adeguatamente progettate e gestite al fine di mantenere nel lungo termine la struttura del suolo così creata.

Fertilizzanti minerali per migliorare il suolo I fertilizzanti minerali sono un caso speciale di utilizzo di combustibili fossili (usati per la frantumazione e per il trasporto del materiale) e di risorse non rinnovabili spesso limitate (come le rocce fosfatiche) per migliorare a lungo termine la produttività dei suoli. La storia dell’agricoltura moderna dimostra che la maggior parte dei tentativi di migliorare la fertilità del suolo ha in generale una breve durata e mira più a concimare la coltura che a rendere fertile il suolo. Oltre a questo, le concimazioni hanno spesso effetti negativi, che si possono riassumere in squilibri nella composizione del suolo, o addirittura inquinamento. C’è però la possibilità – con una migliore comprensione dei principi che governano l’equilibrio tra i vari fattori minerali – di creare, attraverso un corretto apporto di elementi minerali, un miglioramento permanente della produttività biologica senza alcun bisogno di ripetere le concimazioni, se non per quegli elementi minerali che vengono maggiormente utilizzati dalle colture. I permacultori tendono a ignorare i forti cambiamenti positivi nella produttività e nella salute a lungo termine del suolo che si possono conseguire tramite applicazioni minerali attentamente scelte e limitate nel tempo. Ciò è comprensibile, viste le esperienze di effetti nocivi derivanti dall’errato uso di concimi minerali (per la maggior

parte solubili) e l’enfasi che la permacultura ha sempre posto sulle soluzioni di tipo biologico. I minerali di roccia sono medicine che possono essere facilmente usate male o troppo. D’altro canto, i permacultori che ignorano i potenziali benefici che i minerali di roccia offrono corrono il rischio di progettare dei sistemi che non forniscono l’equilibrio minerale indispensabile, sia per l’allevamento di animali che per la salute umana. Sono emersi di recente nuovi orientamenti, che mirano a ottenere un potenziamento del suolo basato sull’uso della chimica (uso dei minerali di roccia) e della biologia (equilibrio tra piante, animali e microbi); tali orientamenti potrebbero fornirci nuovi metodi per riuscire finalmente a trovare il “Santo Graal” dell’agricoltura biologica, cioè un’alta produttività e un suolo equilibrato e sano. A Melliodora, abbiamo scoperto che molti dei problemi che emergono col tempo e limitano le rese e l’equilibrio del suolo hanno la loro origine in squilibri minerali, che non abbiamo ancora debitamente affrontato e risolto. Negli ultimi anni abbiamo utilizzato l’analisi del suolo basata sul metodo Albrecht, tramite rifrattometro della linfa, e altri metodi basati sull’osservazione su ampia scala. Tali metodi sono serviti da guida per scegliere quali elementi minerali fornire in più al terreno. Attualmente, stiamo cercando di raffinare ed estendere l’utilizzo di approcci biologici – fra cui anche i preparati biodinamici – basati sull’equilibrio dei fattori minerali di base. Solo il tempo ci dirà se le nostre conoscenze di adesso portano al “Santo Graal”. I punti elencati di seguito sintetizzano le mie attuali conoscenze sul ruolo dell’equilibrio minerale nell’ottimizzare la fertilità151.  La

quantità di nutrienti minerali e l’equilibrio tra essi sono due misure importanti, ma diverse. Entrambi sono indispensabili per capire e mantenere la fertilità.  Gli squilibri minerali derivati dalle tipologie dei suoli rapportate su scale bioregionali sono importanti, ma l’utilizzo intensivo del suolo, specialmente in orticoltura, può creare squilibri di natura molto diversa.  Il suolo idealmente equilibrato avrà una buona produttività e darà raccolti sani e di buona qualità su tutte le colture adatte a quel clima.

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 Anche se le piante autoctone selvatiche si sono adat-

tate a particolari squilibri, tutte – in ogni caso – renderanno meglio in un suolo equilibrato.  L’equilibrio minerale più importante da ricercare in un suolo agrario è quello tra i seguenti nutrienti minerali alcalini: calcio, magnesio, potassio e sodio.  Vi sono diversi metodi di analisi per misurare l’equilibrio. Misurare l’acidità tramite il pH ha una sua utilità, ma può portare a scelte sbagliate. Un suolo in equilibrio ha un pH di circa 6,5 ma un suolo con pH 6,5 non necessariamente indica un suolo equilibrato.  Il suolo ideale presenta la seguente ripartizione, come percentuale di saturazione di base152: calcio 68%, magnesio 12%, potassio 2-5% e sodio <1%.  Nei suoli argillosi, l’equilibrio tra calcio e magnesio è il fattore più potente nel determinare quanto il suolo sia sciolto e permeabile ad aria e acqua, nonché quanto il suolo sia adatto a immagazzinare acqua, carbonio e nutrienti. Questi fattori, a loro volta, determinano la produttività biologica, la facilità di lavorazione e la resistenza all’erosione e al degrado.  L’equilibrio tra calcio e potassio è il fattore più potente nel determinare quanto rigogliosa o legnosa sarà la vegetazione.  Quando il calcio è relativamente abbondante, la vegetazione erbacea tende a essere tenera, rigogliosa e appetita dagli animali. I batteri la trasformano rapidamente in humus e la frutta tende a essere dolce e a conservarsi a lungo.  Quando il potassio è relativamente abbondante, le piante erbacee tendono a essere fibrose e meno appetite dagli animali. La disgregazione sarà lenta e i batteri lasciano il posto ai funghi. La frutta tende a essere più acida e a non conservarsi a lungo; prosperano invece le piante legnose e il legno è più durevole, mentre nelle foreste i detriti accumulati sul suolo, più che marcire, tendono ad accumularsi diventando combustibile secco e potenziale innesco per incendi.  La materia organica e i compost variano in grande misura a seconda del materiale e degli ingredienti utilizzati, condizionando anche le loro funzioni nutritive per il

suolo. La materia organica prodotta da un sistema equilibrato, se attentamente riciclata manterrà il sistema in equilibrio. Il riciclaggio all’interno di un sistema non in equilibrio avrà vari gradi di successo, a seconda della natura e della gravità degli squilibri di fondo esistenti.  I piani di concimazione per mantenere l’equilibrio sono molto diversi da quelli necessari per stabilire l’equilibrio. Il fatto che un fertilizzante (organico, da minerale di roccia o artificiale) produca buoni risultati non significa che da una quantità maggiore dello stesso fertilizzante si ottengano risultati migliori.

Idealismo o pragmatismo? In pratica, è difficile – e forse anche non saggio – evitare completamente di utilizzare il generoso e conveniente sussidio energetico che i combustibili fossili presentano oggi per la vita di tutti i giorni. In ogni caso, però, non dovremmo mai ritenere garantite le risorse preziose che vengono messe a disposizione a meno del loro prezzo reale, come l’energia elettrica generata bruciando carbone, la benzina usata per andare in giro in macchina o il fieno di erba medica utilizzato come pacciamatura nell’orto (fieno prodotto anch’esso con l’aiuto dei combustibili fossili). L’approccio corretto sarebbe quello di progettare i sistemi in cui viviamo come se queste risorse avessero un prezzo molto più alto di quello che in effetti hanno153. A Melliodora, ad esempio, siamo collegati alla rete elettrica principale. Visto il progetto della casa e il nostro stile di vita, il nostro consumo di energia elettrica – al di sotto di 3 kilowattore al giorno – risulta essere meno di un quinto del consumo di una famiglia tipica. Alle funzioni energeticamente dispendiose del riscaldamento della casa, dell’acqua e della cucina si provvede con energia rinnovabile (solare passiva e legna). L’elettricità che serve per far funzionare il frigorifero è più un optional che una necessità, perché al suo utilizzo suppliamo con una dispensa fatta in modo da mantenere naturalmente freschi gli alimenti, con una dieta basata su alimenti di stagione e con metodi di conservazione delle derrate a basso utilizzo di energia. Comprando energia da fonti rinnovabili – che ha tariffe leggermente più alte


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2. Raccogli e conserva energia di quella normale154 – contribuiamo a stimolare lo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, ma questo non è importante quanto il nostro basso consumo di energia. Ai nostri fabbisogni energetici si potrebbe supplire con qualche pannello fotovoltaico e qualche sistema elettronico per regolare il feedback con la rete, ma attualmente preferiamo fare miglior uso del denaro che sarebbe necessario per questo impianto, sviluppando altri aspetti della nostra proprietà (per un’analisi dei vantaggi dell’energia elettrica solare, v. Principio 5). Per un certo verso, quanto ho appena detto potrebbe sembrare un semplice barcamenarsi tra principi ideali e pragmatismo, ma ne parlo qui anche per contrastare l’opinione che l’utilizzo di combustibili fossili debba essere per forza negativo, inefficiente e immorale. Al contrario, i combustibili fossili sono molto utili. Il vero problema è che vengono esageratamente utilizzati e che molti degli utilizzi sono del tutto distruttivi, o destinati a scopi banali. Mi sono reso conto della banalità del nostro utilizzo dei combustibili fossili una domenica assolata del 1974 a Hobart. Un amico, pescatore di molluschi, mi aveva invitato a fare un giro sul suo motoscafo. Mentre sfrecciavamo lungo l’estuario del Derwent, mettendo in fuga i gabbiani, sotto la spinta di un fuoribordo da 80 cavalli, ricordo che pensai che il nostro consumo di energia era in quel momento addirittura superiore a quello di un antico re. Ma, mentre le azioni degli antichi re avevano immediate conseguenze per la gente e per la natura, le nostre, invece, non avevano altro risultato che quello di un momentaneo e frivolo entusiasmo (pagato con il carburante consumato). Anche se è difficile valutare gli effetti a lungo termine di un qualsiasi comportamento, in molti casi è del tutto chiaro che sprechiamo sia la nostra vita che le risorse della terra. Ricordo una discussione con una compagna di viaggio su un affollato volo di lavoro da Sydney a Melbourne, nel 1990, che illustra bene il concetto. Stavo meditando sul bilancio energetico del mio viaggio in aereo da Victoria a Orange, nel North South Wales, per un seminario di due giorni di relatori al primo corso post-laurea di agricoltura sostenibile in Australia. La donna seduta di fianco a me tornava da Sydney, dove si recava ogni giorno per vendere computer a

piccole aziende. Questo era il suo lavoro. La donna ammise candidamente che l’apparecchiatura che vendeva non aveva grandi vantaggi rispetto a quella di marche rivali, e che le componenti erano in pratica uguali, perciò – a parte il fatto che questo le permetteva di guadagnarsi da vivere – non valeva proprio la pena di recarsi a Sydney. La sua laurea in matematica aggiungeva spreco allo spreco; quel viaggio rappresentava, quindi, oltre a uno sperpero di risorse naturali, anche uno spreco di risorse umane. Mentre confrontavo il mio viaggio con il suo, la mente si allargò a considerare la questione etica da un punto di vista più generale e mi spinse a chiedermi che senso avesse quell’aereo pieno di gente che ogni giorno compiva quel viaggio d’affari sulla tratta Melbourne-Sydney.

Conclusione La costituzione e l’accumulo di patrimoni da lasciare in eredità ai propri discendenti hanno rappresentato un comportamento etico di fondamentale importanza per generazioni e generazioni. Nella nostra epoca di cambiamenti rapidi e pensieri a corto raggio, dobbiamo sforzarci di ricostituire quell’aspetto della cultura che mette al primo posto la preoccupazione per il futuro, decidendo in cosa vale la pena investire per il beneficio dei nostri nipoti e discendenti. Tale principio fornisce una cornice per interrogarci su ciò che ha veramente valore, in un mondo in cui predomina l’incertezza. Durante un corso di progettazione in permacultura, stavo mostrando come si fa la potatura di formazione dell’Eucalyptus melliodora dopo il taglio di una foresta, quando qualcuno mi chiese se non sarebbe stato invece meglio lasciare che l’albero crescesse storto e ramificato a caso così le generazioni future non lo avrebbero tagliato per utilizzarlo come legname. Al che io risposi che dovevamo prendere in considerazione ciò che le future generazioni avrebbero pensato, a quel punto, di noi che vissuti approfittando dell’abbondanza di energia fossile a buon mercato, non avevamo lasciato nulla di degno ai discendenti in termini di risorse rinnovabili di alta qualità, perché non li avevamo ritenuti capaci di farne un uso assennato.


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Permacultura

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Durante un altro corso, un partecipante scettico mise in dubbio questa preoccupazione di lasciare ai posteri riserve di energia sotto forma di foreste e di altre risorse biologiche. E fece l’esempio degli inglesi, che piantarono intere foreste di alberi di quercia da utilizzare a suo tempo per farne navi, quando poi il legno fu sostituito dall’acciaio. Non ebbero mai bisogno di quelle querce, perché nuove forme di tecnologia e nuove fonti di energia permisero di

usare altri materiali (l’acciaio). La mia risposta fu che, nel caso improbabile di un futuro ad alta tecnologia, in cui non ci fosse bisogno delle risorse naturali immobilizzate nelle foreste, avremmo comunque sempre delle bellissime foreste che – come quelle di querce antiche della Gran Bretagna di oggi – potrebbero ospitare animali selvatici ed essere fonte d’ispirazione per l’anima. Non sarebbe poi un cattivo risultato per un errore così grossolano.


Principio

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Assicurati un raccolto

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Non si può lavorare a stomaco vuoto155

Il principio precedente, Raccogli e conserva energia, ha focalizzato la nostra attenzione sul bisogno di utilizzare la ricchezza esistente per fare investimenti a lungo termine nel capitale naturale. Ma ha poco senso piantare una foresta per i nostri nipoti, se non abbiamo abbastanza da mangiare oggi. Il terzo principio ci ricorda che dovremmo progettare ogni sistema per mirare all’autosufficienza in tutti i sensi – compresi noi stessi come persone – utilizzando efficientemente l’energia catturata e immagazzinata per mantenere il sistema e catturare altra energia. In termini più generali, flessibilità e creatività nel trovare nuovi modi di procurarsi raccolti saranno un fattore critico, nella transizione156 che ci attende dallo sviluppo al declino. Senza rendimenti immediati e davvero utili, qualunque cosa noi progettiamo e sviluppiamo tenderà a svanire con il tempo mentre gli elementi che davvero generano rendimenti immediati prolifereranno. Possiamo attribuire questo a fattori naturali, alle forze del mercato o all’avidità umana, ma i sistemi che generano produzioni utili e li utilizzano con maggior efficacia per soddisfare i bisogni della sopravvivenza tendono a prevalere sulle alternative157. Un raccolto, profitto o reddito funziona come ricompensa che incoraggia, mantiene e/o replica il sistema che ha generato il raccolto. In questo modo proliferano e si estendono i sistemi che hanno successo. Nel linguaggio della teoria dei sistemi queste ricompense vengono chiamate “spirali di feedback positivo” (positive feedback loops), processi che amplificano il processo o segnale originale. Se vogliamo davvero attuare

soluzioni progettuali sostenibili, dobbiamo tendere a ricompense e prestazioni che incoraggino il successo, lo sviluppo e il replicarsi delle stesse soluzioni che hanno generato il successo. La visione originale permaculturale promossa da Bill Mollison, del coltivare orti e giardini per la produzione di cibo e piante utili – invece di inutili piante ornamentali – è tuttora un importante esempio dell’applicazione di questo principio. L’icona che illustra il principio è un ortaggio da radice, a cui qualcuno ha dato un morso: è la rappresentazione di qualcosa che dà un rendimento immediato, ma ci ricorda anche che altri organismi viventi si aspettano di ottenere un raccolto – o, in termini più quotidiani, un tornaconto – dai nostri sforzi.

Modelli dalla natura Tutti gli organismi e le specie ricavano dall’ambiente ciò che serve loro per sostentarsi. Quanti non riescono in questo compito spariscono velocemente. Difficilmente riusciremo a trovare una lezione più essenziale, in ciò che accade in natura, una lezione che rafforzi i nostri fondamentali istinti di sopravvivenza. L’accento posto da Darwin sulla competizione e sulla predazione, come forze trainanti della selezione naturale, si basava sull’osservazione dei sistemi naturali, ma era anche un derivato delle esperienze personali di Darwin; in altri termini, le devastazioni dell’Inghilterra della prima rivoluzione industriale predisposero Darwin a


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Permacultura cercare modelli simili in natura. A sua volta, l’élite industriale vittoriana utilizzò le idee di Darwin come supporto per le proprie opinioni politiche e sociali. Un secolo fa, Pëtr Kropotkin158, geografo russo e anarchico dichiarato, contestò l’interpretazione darwinista della realtà sociale, fornendo esempi tratti sia dal mondo naturale che dalla storia umana, in cui traspare con evidenza che la cooperazione e la simbiosi sono tratti permanenti della vita sulla Terra (per una analisi di questo importante aspetto nel design permaculturale, v. Principio 8). Negli ultimi due decenni del XX secolo, la competizione economica senza freni è stata di nuovo innalzata al rango di “vacca sacra” dall’establishment politico. Questo utilizzo altamente selettivo dell’ideologia capitalista della concorrenza economica non dovrebbe farci chiudere gli occhi, davanti al giusto apprezzamento del bisogno di avere un raccolto e del ruolo della competizione nel testare soluzioni, processi e sistemi alternativi di progettazione.

I benefici della competizione La competizione, in natura, mette alla prova il vigore e l’idoneità degli organismi individuali o di una specie in particolari condizioni. La predazione, da una parte elimina gli individui più deboli, e dall’altra contribuisce alla sopravvivenza del più adatto. Ad esempio, la semina diretta produce raggruppamenti anche troppo densi di piante della stessa specie (che siano ravanelli o querce, il discorso non cambia); in questo modo si incoraggia la pianta più vigorosa e quella che cresce più velocemente a prevalere sulle altre. L’uomo può assecondare questo processo tramite il diradamento, man mano che gli individui più vigorosi emergono con chiarezza. Ciò facendo, agiamo da predatori selettivi. Gli allevatori australiani, che lasciano morire gli agnelli con madri negligenti, possono essere considerati insensibili o pigri ma, con il loro comportamento, mettono in atto anche una forma di selezione positiva di madri in

Potenza

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Potenza massima

Efficienza della conversione in energia Figura 10 – Potenza massima per una macchina termica.


3. Assicurati un raccolto grado di svolgere bene il loro ruolo nel gregge (per modi più elaborati di far uso della competizione e della predazione, v. il Principio 8, il Principio 10 e il Principio 12). Nei sistemi umani, è facile che le comodità e l’eccessiva protezione da rischi e competizione portino a comportamenti arroganti, pigri e “disfunzionali”. Vediamo all’opera questo processo non solo nell’allevamento della prole, ma anche nell’evoluzione delle organizzazioni e nella storia delle civiltà159.

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La legge della massima potenza La perdita entropica di energia come calore di scarto e di bassa qualità, inidoneo ad azionare ulteriori processi, è stata spiegata nel Principio 2 come inevitabile risultato della conversione energetica in tutti i processi fisici. Questa inevitabile perdita di energia riduce l’efficienza della conversione in lavoro utile. Il tasso di energia in entrata e l’efficienza della conversione determinano il tasso di lavoro utile, o potenza, prodotto da qualsiasi processo. L’esempio termodinamico classico dell’efficienza e della potenza della conversione energetica è una semplice macchina termica, che converte l’energia di un combustibile in energia meccanica. La Figura 10 mostra la resa di potenza in rapporto all’efficienza della conversione per una macchina termica che utilizza combustibile di alta qualità. Se la macchina funziona senza carico, l’energia viene consumata ma senza lavoro utile, e in questo modo sia il rendimento in potenza che l’efficienza della conversione sono uguali a zero. Se la macchina è caricata verso il punto di stallo, l’efficienza della conversione si avvicina al 100%, ma il rendimento si riduce a zero quando la macchina va in stallo. La potenza massima viene ottenuta probabilmente quando metà dell’energia viene convertita in energia meccanica e metà viene dissipata sotto forma di calore di scarto e rumore. Anche se l’efficienza ottimale per avere la massima potenza varia notevolmente in base alla qualità dell’energia utilizzata, tutti i sistemi biologici capaci di auto-organizzazione mostrano questo stesso modello base nella conversione di energia in lavoro utile. Dovunque, in natura, c’è un equilibrio tra il semplice assorbire e dissipare ener-

gia senza scopi reali e il tentativo di ottenere la massima efficienza della conversione energetica, ricavando tutto ciò che è possibile ricavare da una fonte d’energia. L’evoluzione in natura e l’innovazione nella società tendono verso questo equilibrio tra dissipazione dell’energia ed efficienza della conversione, che ricava la massima energia da qualsiasi processo o situazione particolare.

Valori che spingono al consumo e valori che spingono alla conservazione La moderna economia e la cultura consumistica incoraggiano il consumo fine a se stesso, nonostante tutti i discorsi che si fanno su efficienza e produttività. L’analogia è con la macchina che funziona senza carico e consuma energia senza fare alcunché di utile. L’etica della conservazione si basa sul tentativo di ottenere la massima efficienza da ogni utilizzo delle risorse naturali, il che è necessario per correggere la natura “disfunzionale” del consumo (v. Principio 6); tuttavia, portato all’estremo, questo approccio è analogo alla macchina caricata fino al punto di quasi stallo: efficiente, ma per niente utile. L’applicazione della legge della massima potenza a sistemi ecologici complessi, o addirittura umani, resta controversa. Molti, ragionevolmente, sostengono che la crisi ambientale è il risultato degli eccessi dell’umanità nel tentare di ottenere un raccolto a ogni costo e che la permacultura e altre concezioni sostenibili non possono far altro che moderare questi eccessi per favorire un egoismo a più lungo termine. La legge della massima potenza sembra sostenere l’idea che il capitalismo rampante, che inneggia al mercato, sia il percorso evolutivo più naturale e funzionale per l’umanità. Diversi teorici dell’energia dei sistemi sembrano sostenere questa ipotesi; per conto mio, questa stessa legge potrebbe essere usata per delineare un approccio alla progettazione permaculturale più semplice e di tipo olistico. Essa, infatti, permette di rendersi conto che è necessario progettare dei sistemi e organizzare le nostre vite in modo da ottenere rese che massimizzino il lavoro utile ottenibile da tutto ciò che facciamo.

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Permacultura Il concetto di lavoro utile o rendimento è centrale, se si vuole spiegare il nesso tra massima potenza e permacultura. È facile vedere che l’energia meccanica è il prodotto utile (la potenza sviluppata) di una macchina a motore e che il calore, i gas di scarico e il rumore sono inutili. Separare l’utile dall’inutile nei sistemi biologici complessi e in quelli umani, invece, è più difficile. Howard Odum ci dà un elenco di modi in cui tutti i sistemi efficaci e capaci di duratura auto-organizzazione massimizzano la potenza per soddisfare i bisogni per la propria sopravvivenza. Essi:  sviluppano

riserve di energia di alta qualità; queste riserve quando hanno bisogno di lavoro per incrementare i flussi verso l’interno;  riciclano i materiali in base al bisogno;  organizzano i meccanismi di controllo che mantengono il sistema adeguato e stabile;  organizzano scambi con altri sistemi per rispondere a speciali richieste di energia;  contribuiscono con un lavoro utile ai sistemi ambientali circostanti e aiutano a mantenere favorevoli le condizioni.

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 utilizzano

Più che confermare l’esistenza di un mondo modellato secondo il classico lupo-mangia-lupo, questo elenco fornisce ampio spazio per includere tra i comportamenti preposti alla sopravvivenza anche la cooperazione e l’etica. È incoraggiante, poi, che l’analisi quantitativa di sistemi complessi biologici e umani, per predire stati che rappresentano la massima potenza, metta in evidenza la tendenza a supportare molti dei valori portanti dei movimenti ambientalisti e specialmente della permacultura (v., più avanti, l’analisi dell’EMERGY accounting). D’altra parte, a volte, queste valutazioni ci sfidano a interrogarci su processi e progetti apparentemente benefici e a chiederci se l’eccessivo rincorrere l’efficienza non corrisponda invece a trascurare dei risultati che siano davvero utili in un contesto più ampio (V. l’analisi sui combustibili da biomassa e da celle solari in Principio 5).

Feedback positivo Il feedback positivo è un meccanismo di sistema che amplifica un processo o effetto, in particolare nella raccolta e nell’uso di energia. Ad esempio:  nell’incendio spontaneo di una foresta, il calore dell’in-

cendio preriscalda la vegetazione verde e la rende prontamente combustibile: in casi estremi, ciò crea un massiccio movimento ascensionale che richiama ancora più ossigeno, alimentando così ulteriormente l’incendio;  tramite l’utilizzo dell’energia catturata dalla luce solare, le piante producono altre foglie che a loro volta catturano più energia. Il cambiamento del paesaggio è spesso un prodotto di processi di feedback positivo, cosa che accade, ad esempio, quando la crescita di canne in un ramo secondario di un ruscello rallenta il flusso dell’acqua, aumentando così la deposizione di sedimenti; il che, a sua volta, porta a una ulteriore crescita di vegetazione, che trasforma il letto del ruscello in un acquitrino. Nelle società umane, legge, religione e mercato lavorano (più o meno) per distribuire ricompense a coloro che rendono maggiormente, incoraggiandoli così a rendimenti ancora più alti. Ad esempio quando spendiamo soldi mandiamo dei forti segnali che si traducono in una maggiore produzione di mele, automobili, massaggi o di qualunque altra cosa stiamo comprando. In sistemi ben adattati alla loro base energetica, il feedback positivo può essere pensato come un acceleratore che spinge il sistema all’acquisizione dell’energia ancora disponibile. Il feedback negativo, invece, è il freno che impedisce al sistema di cadere nei buchi di penuria prodotti da un eccessivo utilizzo (v. Principio 4).

Alimenti base e fornitura di energia netta Anche prima dell’avvento della società industriale c’era una naturale tendenza dei popoli a concentrare i propri sforzi e le proprie energie per assicurarsi un raccolto prin-


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3. Assicurati un raccolto cipale. Le società contadine più tradizionali avevano una o due colture principali160 da cui si ricavavano cibi ricchi di carboidrati, che costituivano l’alimento fondamentale di quella data comunità. In termini di energia, queste colture fornivano, come raccolto, un chiaro vantaggio rispetto ad altre colture. In altri termini, poiché il raccolto era relativamente elevato, valeva la pena di investire del lavoro nella selezione, coltivazione, protezione e conservazione di queste colture. Le aree a esse dedicate, di conseguenza, divennero anche una fucina di nuovi esperimenti per quanto concerneva manodopera e tecnologia. Del valore attribuito a queste colture fondamentali, troviamo il riflesso in molte pratiche culturali e religiose, ad esempio nell’adorazione del mais come divinità nell’America precolombiana e nei rituali di John Barleycorn161 nella Gran Bretagna preindustriale. Queste colture fornirono, con il tempo, il sostentamento alimentare fondamentale, permettendo alla comunità di dedicarsi anche ad altre risorse, con minori guadagni in termini energetici. Ad esempio, una dettagliata analisi in termini energetici della tradizione agricolta denominata taglia e brucia162, praticata in Nuova Guinea, ha dimostrato che è possibile ottenere delle rese molto alte per quanto concerne le piante orticole. L’allevamento di maiali, invece, al confronto, è in termini energetici una perdita netta. Il problema è che il maiale è una delle poche fonti di proteine e, in più, è al centro di importanti funzioni sociali che non escludono episodi di belligeranza locale, aventi anch’essi una funzione ecologica. Queste complesse interconnessioni tra funzioni sociali, colture agricole e bilancio energetico sono presenti ed evidenti in tutti i sistemi naturali e umani. Nelle società pre-industriali tradizionali si ottenevano da sistemi semiselvatici e autoregolati molti altri raccolti e funzioni passive con relativamente poco lavoro o sforzo. Ad esempio, era normale raccogliere in natura erbe medicinali, foraggio per animali e combustibile su terre comuni, senza piantare, concimare, irrigare o coltivare alcunché (l’unica fatica era quella di raccogliere). Questi benefici non richiedevano apporti energetici, ma nemmeno fornivano raccolti e rese ad alta energia. Tali modesti sistemi basati

sull’automantenimento sono eccellenti esempi di come si possano ottenere dei raccolti in modi né complessi né ovvi. Le buone soluzioni di progettazione, in questi casi, funzionano talmente bene da diventare quasi invisibili.

Specie rustiche Le specie vegetali rustiche che si automantengono sono importanti in qualsiasi sistema sostenibile a bassa energia. Selezionando piante rustiche, che siano adatte all’ambiente locale e si autoriproducano (per quanto possibile), il progettista in permacultura può rendere minimo il ricorso alla manutenzione di orti, fattorie e foreste. Queste specie possiamo a buon diritto chiamarle e ritenerle autosufficienti o efficienti nel garantire un raccolto. In realtà, il vantaggio di queste piante è rappresentato dal fatto che chiedono poco all’uomo, sono relativamente produttive e spesso hanno un bagaglio associato di microbi simbiotici che fissano azoto, oppure mobilizzano minerali altrimenti bloccati nel suolo. Queste proprietà danno loro un vantaggio che le fa diventare competitive – specialmente in terreni poveri – con le piante che invece richiedono suoli altamente fertili. Anche se vanno attentamente considerati i problemi connessi all’invadenza e alla tendenza a diventare infestanti di queste piante, bisogna dire chiaramente che la propensione ossessiva al loro contenimento in orti, aziende agricole e foreste limita la nostra capacità di sviluppare sistemi meno dipendenti dall’input incessante di energie e risorse non rinnovabili. Utilizzando soltanto specie che non crescono molto o che non si riproducono con eccessiva forza, non facciamo altro che ignorare le piante più utili e più adatte all’ambiente in cui viviamo. La principale priorità nelle aziende agricole molto estese, con colture in pieno campo, pascoli molto estesi e foreste, deve essere proprio quella di privilegiare piante vigorose, che si riproducono da sole. Le aziende agricole convenzionali, in cui non esiste più nemmeno il bisogno di eliminare qualche albero isolato o macchia di cespugli, rappresentano davvero un paesaggio ormai morente e totalmente degradato. È più facile eliminare alberi e cespugli in eccesso appiccando un incendio controllato, facendovi pascolare animali o usando delle macchine,

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Permacultura

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che piantare e far crescere alberi in un dato territorio; la rigenerazione naturale, generalmente, produce una vegetazione più robusta di quanto avvenga invece piantando degli alberi. La natura rustica di piante indigene locali e di altre piante australiane naturalizzate le rende ideali per fornire rifugi naturali e assicurare altre funzioni nei terreni non irrigui e/o poco fertili. Gli stessi principi si applicano all’allevamento degli animali. In Europa, l’allevamento intensivo ha prodotto il risultato che molte razze di bovini non riescono più a partorire senza assistenza. In Australia, il petto dei tacchini ha raggiunto dimensioni talmente colossali che i maschi non sono più capaci di fecondare la femmina, che deve essere fecondata artificialmente. Nella fase della discesa energetica, tutte le specie animali e vegetali che richiedono un grande impulso energetico esterno saranno sostituite da specie più adatte alle condizioni ambientali prevalenti.

L’aumento della fertilità In una strategia permaculturale ideale, l’utilizzo di piante rustiche adatte alle condizioni locali deve andare di pari passo con l’accrescimento e il mantenimento della fertilità, allo scopo di allargare il ventaglio delle specie coltivabili ad alto rendimento. In climi con adeguata umidità – e in cui il pascolo allo stato brado non è praticato – è relativamente facile ricavare grandi quantità di biomassa da piante e alberi senza essere costretti a innalzare il livello di fertilità nel terreno. Ma se il nostro scopo è quello di produrre cibo per l’uomo, soprattutto su porzioni limitate di terreno, allora bisogna assicurare una buona ed equilibrata fertilità. Le colture alimentari, specialmente le annuali da pieno campo e gli ortaggi, sono molto esigenti, in fatto di fertilità, specialmente se bisogna ottenere le rese potenziali con varietà altamente selezionate. Gli orticoltori di primo pelo spesso si sorprendono vedendo che le rese degli ortaggi possono variare in modo incredibile a seconda della fertilità del terreno163. Esistono, quindi, strategie apparentemente opposte per ottenere dei raccolti e, nella progettazione in permacultura, sono sempre in contrasto dinamico. Ma questi

conflitti sono più apparenti che reali, per due ragioni. Prima di tutto, l’area che dobbiamo rendere molto fertile per ottenere delle alte rese, soprattutto di cibo, è piccola e quindi possiamo concentrare i nostri sforzi di miglioramento del suolo solo su una data porzione di terreno (orto e colture intensive), mentre per il resto possiamo seguire una strategia su larga scala, in cui prevalga l’adattamento alle condizioni locali (v. la sezione Zone, settori e pendii in Principio 7). In secondo luogo, le piante adatte a terreni poco fertili generalmente crescono meglio quando viene loro assicurato un apporto di fertilità, sempre che la concimazione sia equilibrata. Il mito popolare, secondo cui le piante autoctone e altre piante rustiche disdegnano le concimazioni, può essere attribuito a casi di:  somministrazioni

di fertilizzanti mal calibrate (che a volte fanno perfino morire alberi adulti o maturi);  predazione, da parte di insetti attratti dal surplus di vegetazione prodotto dalla concimazione;  competizione da parte di altre specie esigenti in fatto di fertilità. Accrescere e bilanciare la fertilità del suolo permette di prosperare alla più ampia gamma di specie vegetali, anche se tenderanno a dominare le piante più esigenti in fatto di fertilità (quelle generalmente più utili).

Utilità e cosmetica in orticoltura L’importanza data in Permaculture One alle piante utili – da cui possiamo ottenere cibo e altri importanti raccolti – è un esempio delle grandi opportunità offerte alle società ricche per ridare la giusta importanza alle cose che veramente servono. Ma questo non è il caso – nonostante l’associazione emotiva con la natura – del giardinaggio ornamentale e della progettazione del territorio tradizionale; entrambi contribuiscono allo sfruttamento delle risorse e non sono altro che un semplice velo di cosmetico che nasconde la disarmonia e l’insostenibilità degli ambienti plasmati dall’industria. Nel corso degli anni ho spesso avuto la sensazione che i nostri ospiti a Melliodora fossero sorpresi dal fatto che anche noi abbiamo delle rose e perfino il prato – grandi icone


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3. Assicurati un raccolto del giardinaggio ornamentale – e qualche pianta indigena, che apparentemente non produce niente di utile. Più che un’avara concessione a purezza indigena e cosmetica, io considero questi elementi del progetto come il riflesso di una più complessa e contestuale nozione di utilità, diversa quella che molti ritengono propria della permacultura. Nell’articolo Lawns, mowing and mulch in permaculture ho dato la mia interpretazione di un uso equilibrato di prati ornamentali e pascoli nella progettazione in permacultura. Nell’altro articolo The role of native vegetation in backyard permaculture164, parlo dell’utilizzo di piante indigene nei giardini, proponendo esempi positivi di giardinaggio ornamentale. Se è importante riconoscere il valore del piacere estetico e di altre funzioni difficili da quantificare, la cultura del consumismo opulento può condurci lontano dalla progettazione funzionale basata sulla concretezza. Ad esempio, si può sostenere che il rumore di una motocicletta o di un’automobile, spinte al massimo da qualche giovinastro, sia l’espressione della sua richiesta di attenzione e un modo per sfogare l’aggressività. Per quanto comprensibili siano queste motivazioni, bisogna però dire che una società in cui le persone soddisfano le loro semplici esigenze emotive in modi simili non sopravviverà a lungo, nell’era del declino energetico. Per i progettisti permacultori, non dovrebbe essere difficile soddisfare i bisogni fondamentali e prioritari, per quanto concerne l’utilizzo delle risorse (come cibo, acqua pulita e sicura e casa), mentre al contempo si garantiscono esigenze ambientali più o meno complesse (come assicurare un habitat sicuro alle specie selvatiche) e funzioni sociali anche ricreative, come prodotti secondari di una progettazione integrata. Questa visione contestuale e bilanciata dell’utilità riflette la legge della massima potenza e, al contempo, riconosce che non si vive di solo pane. L’aspetto multifunzionale del design permaculturale viene ulteriormente spiegato nel Principio 8, mentre il mio approccio al ruolo dell’estetica nel design è nel Principio 7.

Strategie nella produzione di cibo La strategia permaculturale di provvedere ognuno alla produzione del proprio cibo può essere un passo in avanti ver-

so un’appropriata applicazione del principio di cui ci stiamo occupando in questo capitolo; però anche la strategia e il modo in cui ci assicuriamo la produzione di questo cibo sono importanti. Produrre il proprio cibo può regalare una sorta di piacere estetico e di rilassamento, una comprensione più approfondita di come funziona la natura, un maggior senso di sicurezza e benessere e un apprezzamento per i contadini, che si guadagnano da vivere producendo alimenti; ma è il momento in cui consumiamo il raccolto quello che ci regala il più profondo appagamento. Se non riusciamo a raccogliere nulla che ci dia sostentamento e godimento e compriamo tutto nei negozi, il nostro giardino-orto progettato in senso permaculturale non durerà a lungo come semplice cornice dimostrativa di alti ideali. Se invece riusciamo a ottenere raccolti abbondanti e di alta qualità, avremo come ricompensa il sostentamento, dopo che il senso della novità sarà ormai sbiadito e nonostante gli inevitabili alti e bassi delle stagioni. Se facciamo entrare i bambini quando sono ancora molto piccoli in contatto con la gioia di raccogliere la verdura direttamente nell’orto, sarà più alta la probabilità che crescano con una comprensione profonda e intuitiva della nostra dipendenza dalla natura e dall’abbondanza dei raccolti165. Nonostante le distrazioni della giovinezza, è vero che queste precoci interazioni porteranno a un successivo interesse e anche alla facilità nel coltivare il proprio cibo da adulti.

Le relazioni sociali Se le nostre relazioni personali e comunitarie si basano solo su forti benefici emozionali in perenne mutamento e ci manca l’esperienza di soddisfazioni più concrete e pratiche, sarà difficile sostenere e rafforzare le relazioni sociali nel lungo termine. Se, invece, dipendiamo da famiglia, amici e parenti per mantenere la casa, riparare la macchina, mangiare e così via, saremo più propensi a risolvere le difficoltà che nascono in questi rapporti. Questa verità è più ovvia nelle comunità rurali, in cui tutti capiscono la realtà dell’interdipendenza. Questo principio ci costringe a diventare più consapevoli delle basi concrete del nostro stare al mondo e del nostro benessere. Nel mondo moderno, la complessità

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Permacultura delle varie dimensioni in cui siamo coinvolti e la ricchezza hanno oscurato queste basi e rendono più difficile capire se stiamo bene o male in termini materiali e quali sono i costi e i benefici dei nostri rapporti con il prossimo. In questo contesto, la permacultura può essere pensata come una metodica per recuperare la dimensione olistica che abbiamo perso nel corso di generazioni vissute all’insegna dei valori della società industriale. Come sistema di progettazione, l’approccio olistico della permacultura ci può guidare, attraverso fasi progressive, a recuperare il controllo sul nostro sostentamento e la comprensione – più realistica che romantica – di ciò che comporta vivere a contatto della natura e di ciò che ricaviamo dalla natura.

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I tempi e la flessibilità Nel garantirsi un raccolto da qualsiasi sistema, la tempistica è essenziale. La maggior parte dei sistemi naturali attraversa fasi di crescita e di accumulo, che portano all’abbondanza. Al di fuori delle aree umide tropicali, i cicli stagionali di clima caldo e freddo, umido e secco determinano i modelli dell’abbondanza stagionale. Dobbiamo reimparare a mettere in sintonia le nostre attività dedicate al raccogliere e i cicli stagionali che producono l’abbondanza. Per l’orticoltore dei climi freddi, l’abbondanza propria dell’autunno e la penuria tipica della primavera sono realtà fondamentali, che determinano l’organizzazione nell’approvvigionamento annuale di cibo. Potrebbe essere scioccante scoprire che l’abbondante raccolto, che ci aspettiamo di compiere nel giro di una o due settimane da un albero di frutta stracarico, ci è stato portato via dagli uccelli qualche giorno prima di quello da noi programmato per la raccolta. Nelle società in cui l’abbondanza non è comune, la competizione da parte di altre persone è abbastanza simile a quella degli uccelli e causa spesso molti problemi.

La cultura della flebo La cultura basata sulla paga settimanale166 e sulla grande spesa fatta una volta alla settimana non è più in sintonia come una volta con la realtà economica e sociale.

Flessibilità, ristrutturazioni, lavori a contratto vanno progressivamente sostituendo il principio-idea di lavoro a tempo pieno per tutta la vita. Tali trasformazioni possono essere imposte alla gente da istituzioni che stanno disonestamente cercando di sfuggire alle responsabilità che avevano avuto in precedenza di fornire ai propri cittadini un lavoro sicuro. Ciò non deve però trovarci ciechi davanti all’opportunità di infrangere la nostra dipendenza da questa cultura della flebo, che ha poche possibilità di sopravvivere nella transizione a una società in cui la disponibilità di energia andrà sempre più declinando. La flessibilità e l’apertura alle opportunità erano doti dei poveri che sono andate perse. Negli anni ’70, un’amica, che faceva volontariato a Hobart, nella prima casa delle donne, mi descrisse lo shock delle donne quando vennero a sapere che lei aveva comprato un sacco di patate da un contadino. Il massimo della frugalità, per quelle donne, era andare al negozio all’angolo a comprare un sacchetto di puré di patate in polvere da preparare per la cena. Sono sicuro che le agenzie che si occupano di assistenza sociale potrebbero raccontare molte altre storie bizzarre sull’assenza di capacità nelle virtù della buona madre di famiglia. Nessuno è più svantaggiato del povero che non possiede più le abilità del povero. A molte persone, la permacultura ha fornito una cornice per la transizione personale dal lavoro convenzionale frequentemente svolto in città a una vita spesso rurale, in cui l’autosufficienza e l’imprenditoria in proprio, gli alti e i bassi delle opportunità e delle entrate sono la norma. Le fluttuazioni delle stagioni, le opportunità di lavoro e altre fonti di reddito richiedono un alto grado di flessibilità. La capacità di sostituire e adattare le ricette a ciò che è stagionalmente disponibile è una caratteristica comune della cucina contadina di tutto il mondo ed è essenziale, se vogliamo davvero godere i benefici del cibo autoprodotto. Le storielle sui 101 modi di utilizzare le zucchine in eccesso dimostrano che, per quanto importanti siano i tentativi di evitare gli alti e bassi delle rese dei nostri orti, i surplus e il dover mangiare spesso le stesse cose possono essere degli incentivi per scoprire nuovi modi creativi per ottenere nuovi prodotti (e raccolti).


3. Assicurati un raccolto

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Costruirsi una casa I proprietari-costruttori, che ristrutturano o trasformano il progetto della propria casa avvantaggiandosi di occasioni come finestre, porte e altri materiali di seconda mano, sono un buon esempio di utilizzo di una progettazione flessibile per ottenere un rendimento. Il muratore di professione può comprare elementi di case prefabbricate dal progetto standard – risultato degli sforzi per massimizzare l’efficienza nell’utilizzo della manodopera – e (in misura minore) materiali edili. Le case costruite in questo modo potrebbero avere un costo sorprendentemente basso; tuttavia, queste efficienze di tipo economico dipendono da una fornitura costante di componenti specifiche ben precise, disponibili a un prezzo garantito e consegnate in tempo. La follia del just-in-time La progressiva eliminazione delle scorte dei materiali, causata dalla strategia di fabbricazione denominata just-intime167, dimostra che la tendenza portata all’estremo dell’alta efficienza va a scapito dell’autosufficienza e della flessibilità. Nella teoria dei sistemi, l’adagio: «I sistemi meno compatti durano più a lungo e funzionano meglio» suggerisce che la flessibilità può essere più importante dell’efficienza. L’ecologia dei sistemi riconosce che le condizioni stabili avvantaggiano le specie altamente specializzate, ma quando le condizioni variano si favoriscono le specie dette “generaliste”, che possono adattarsi a diversi alimenti, habitat o altri fattori ancora. La specializzazione sacrifica la flessibilità; la generalizzazione sacrifica l’efficienza. Nell’esempio dei muratori, il proprietario che si trasforma in muratore è il generalista, il muratore professionista è lo specialista. Molte strategie e tecniche di permacultura sono di natura generalista, offrendo un alto livello di flessibilità con minor enfasi sull’efficienza.

Un efficiente uso delle risorse può diventare una trappola L’autosufficienza è una strategia generalista, ma anche in uno stile di vita generalista, motivato da ideali ambien-

talisti, è ancora possibile cadere nella trappola di inseguire l’efficienza nell’utilizzo delle risorse molto al di là della potenza massima. Sono personalmente caduto in questa trappola molte volte e ho visto altri fare la stessa cosa. Nella produzione su scala industriale di frutta e verdura, grandi quantità di ortaggi e frutta di pezzatura non uniforme vengono lasciate sulle piante a causa della natura mutevole del mercato e del bisogno di massimizzare l’efficienza nell’utilizzo della manodopera e delle macchine, piuttosto che massimizzare l’utilizzo della produzione agricola. La quantità di scarti che si accumula nelle aziende agricole farebbe impallidire perfino gli analisti economici più incalliti, qualora potessero assistere in prima persona allo scempio che ne deriva. Nell’orto di casa, invece, noi possiamo utilizzare frutta e verdura di piccola pezzatura. Ma ci sono limiti, oltre i quali l’efficiente uso di ciò che si produce perde il suo significato e valore. Ad esempio, raccogliere e pulire patate minuscole possiamo farlo una volta, ma difficilmente torneremo a farlo una seconda. I proprietari-costruttori in visita alla segheria locale amano fare incetta di tutti gli scarti che è possibile portare a casa, avendo in mente ogni sorta di utilizzo creativo; tuttavia, bisogna rendersi conto che vi sono dei limiti al valore attribuito all’uso efficiente di una risorsa naturale, quando confrontiamo questo valore con l’investimento di tempo e lavoro. Se ciò che facciamo con quel legname di scarto non è né funzionale né duraturo, allora quell’apparente utilizzo efficiente della risorsa legno potrebbe portarci fuori strada. Il bilancio dell’efficienza è diverso in campagna rispetto alla città e molto diverso nei Paesi ricchi rispetto a quelli poveri. A Melliodora, sappiamo che milioni di persone in tutto il mondo fanno chilometri a piedi ogni giorno per raccogliere legna da bruciare; legna che non è sicuramente migliore degli enormi mucchi di stecchi pelati, che ogni giorno le nostre capre lasciano, dopo aver mangiato foglie e corteccia delle ramaglie che tagliamo per loro. Una parte di questo materiale viene da noi utilizzata per accendere il fuoco, mentre il resto lo bruciamo nei falò che prepariamo per l’equinozio d’autunno e per il solstizio d’inverno.

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Permacultura I permacultori abituati a cercare costantemente nuovi utilizzi creativi per gli scarti di una società basata sull’usa e getta possono facilmente farsi ossessionare e raccogliere più materiale di quanto riescano a usare. Dobbiamo ricordare che questo materiale facilmente si degraderà a causa di eventi atmosferici, formiche o termiti; oppure, semplicemente, ci dimenticheremo di averlo o dove lo abbiamo messo: tutto questo, ovviamente, renderà inutile l’essercelo procurato.

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Saper fare i conti Il contadino, o colui che ha un’attività, che tiene regolarmente i conti e li usa per svolgere l’attività nel migliore dei modi, potrebbe non essere considerato un tipico permacultore. Ciononostante, avere familiarità con i conti e altre abilità consimili è importante quanto saper osservare e saper progettare (v. Principio 1). Queste abilità ci danno la possibilità di misurare il rendimento del nostro lavoro di anno in anno, il che ci permette di gestire meglio le situazioni complesse e di prendere decisioni più sensate quando ci troviamo di fronte a situazioni nuove. Se poi dobbiamo costruire sistemi adatti alla discesa energetica, diventano abilità cruciali. Il denaro potrebbe non essere l’unità di misura adeguata nel tenere i conti, ma non per questo la contabilità diventa meno importante. Un mio amico ragioniere una volta mi disse che i ragionieri non sono affatto nemici della sostenibilità: hanno solo bisogno di cifre adeguate da mettere in colonna168. La piaga del razionalismo economico alla fine del XX secolo ha portato a reazioni che hanno condotto, nell’ambito della contabilità ambientale, alla valutazione di tre aspetti diversi (finanziario, sociale e ambientale). C’è un grande sforzo in atto per trovare metodi appropriati per una contabilità socio-ambientale, e questo sforzo probabilmente aumenterà man mano che ci si renderà conto della drammaticità del declino energetico. Il fatto che la contabilità finanziaria non sia riuscita a tenere nella dovuta considerazione i costi sociali e ambientali ha contribuito a far perdere prestigio all’arte di tenere i conti, ma ciò non è che un aspetto della più generale sfiducia nei confronti della scienza e del misurare le cose,

come processi per definirne il valore. Questa critica abbastanza radicale della contabilità ha un suo fondamento169, ma la maggior parte dei problemi dipende da ciò che si decide di misurare e da ciò che si decide di ignorare. Registrare i fattori produttivi e le rese per peso, volume e/o costi finanziari, è un’operazione molto utile nella gestione di qualsiasi orto, fattoria o famiglia, perché i dati si aggiungono alla memoria e alla valutazione qualitativa, fornendo utili indicatori del successo o del fallimento di un sistema complesso. Queste semplici misure sono anche i dati di base per più complesse forme di contabilità ambientale, di cui parlerò tra breve. Purtroppo, misurare e tenere i registri richiede tempo ed energia: imparare – come sempre – è un procedimento costoso. Data la complessità del mondo moderno, in cui si incrociano innumerevoli apporti di energia ed altri fattori di varia origine, può essere difficile sapere se in realtà abbiamo ottenuto un guadagno e, in caso positivo, di quanto. Il riciclaggio industriale, il controllo dell’inquinamento e molte altre “vacche sacre” ambientali possono essere o non essere buone idee, a seconda della completezza della contabilità ambientale e sociale utilizzata.

L’impronta ecologica Un metodo interessante di contabilità ambientale accessibile e utile su scala familiare è l’impronta ecologica. Questo metodo trasforma tutte le risorse consumate in una cifra che rappresenta l’area di terra richiesta per generare quelle risorse e liberarsi dei rifiuti. Come tutti i metodi di contabilità ambientale, l’impronta ecologica dipende da calcoli che utilizzano dati regionali o nazionali e si basa su ipotesi, che semplificano relazioni complesse. L’impronta ecologica ha attraversato diversi cicli di elaborazione e viene largamente applicata per misurare l’impatto ambientale totale di nazioni e famiglie. Attualmente sono disponibili cifre comparative per tutti i Paesi. Queste cifre mostrano una media globale di 2,9 ettari di terra produttiva utilizzata per sostenere ciascuna persona. Il problema è che sono disponibili solo 2,2 ettari a persona. In altre parole, stiamo consumando il capitale naturale, che dovrebbe fornire sostentamento


3. Assicurati un raccolto

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a tutta l’umanità. Prossimi alla vetta del consumo sono gli Stati Uniti con 12,2 ettari a persona, mentre l’Australia consuma 8,5 ettari di terra a persona. Se utilizziamo un foglio di calcolo elettronico per calcolare l’impronta familiare170, a Melliodora usiamo 3,1 ettari a persona. Oltre a confermare che è possibile vivere in un Paese ricco senza sentirsi deprivati se si consuma poco più di un terzo di quanto consuma l’australiano medio, la natura interattiva del foglio elettronico ci ha permesso di identificare l’adeguatezza dell’indice a vari aspetti del nostro stile di vita e dei nostri modelli di consumo.

La contabilità EMERGY Il metodo EMERGY, cui abbiamo più volte accennato, è un esempio di sistema di contabilità, sviluppato da Howard Odum e colleghi di tutto il mondo a partire dalla fine degli anni ’60. Il metodo si basa sulle leggi universali dell’energia e utilizza il linguaggio simbolico dell’energia per descrivere i sistemi naturali. Nel campo delle metodologie di contabilità energetica, è il più complesso da capire, ma anche il più olistico. Purtroppo, sono pochi i membri della comunità scientifica (non parliamo poi dei politici!) che hanno familiarità con questo metodo. Le misure generate dagli studi EMERGY sui sistemi naturali e umani a livello mondiale hanno fornito un importante elemento quantitativo di raffronto per lo sviluppo e l’applicazione dei miei principi di permacultura, ma non ho mai sviluppato le capacità e le risorse per fare una valutazione EMERGY dei sistemi su piccola scala. Nel capitolo intitolato Principi etici della permacultura ho messo a confronto due metodi di contabilità, l’impronta ecologica e l’EMERGY, per quanto concerne il Costa Rica. L’analisi basata sull’impronta ecologica suggerì che il Paese poteva sostentare l’80% della sua popolazione nel 1987 ai livelli allora attuali di consumo, mentre per l’analisi basata sulla EMERGY la popolazione scese al 53% soltanto. Questo esempio illustra che la contabilità EMERGY generalmente fornisce una stima molto più severa, in termini di sostenibilità, stimolando di conseguenza il dibattito sulla ricerca e l’adozione di metodi affidabili per misurare la compatibilità ambientale degli stili di vita.

La contabilità EMERGY, anche se può fornire un più severo messaggio sui costi ambientali rispetto all’impronta ecologica, presenta comunque aspetti positivi per quanto riguarda la riorganizzazione della nostra conoscenza dei benefici, ridefinendo ciò che intendiamo per ricchezza e lavoro. Ridefinendo molti criteri, l’EMERGY permette di distinguere meglio le differenze tra uso produttivo e non delle risorse naturali e di identificare all’interno di qualsiasi sistema dove si accumulano guadagni e perdite. La mia interpretazione della contabilità EMERGY è che essa potenzia la prospettiva di uno sviluppo attivo della permacultura invece di minimizzare l’impatto ambientale, come fanno l’impronta ecologica e la parte più convenzionale dell’ambientalismo.

Quoziente di rendimento e tempo di rinnovamento Una applicazione della contabilità EMERGY è il calcolo del quoziente di rendimento EMERGY. Esso mette a confronto il valore incorporato (EMERGY) di una risorsa con il feedback di EMERGY da parte dell’economia, richiesto per produrre quella risorsa. Un valore maggiore di 1 (uno) indica un guadagno netto, per l’economia in EMERGY. Un valore superiore a 4 indica che la risorsa ha un valore molto alto, confrontabile con parecchie risorse attuali – rinnovabili e non rinnovabili – che fanno da motore dell’economia. La Figura 11 confronta i risultati di studi EMERGY di varie fonti di energia da biomassa esistenti in diverse parti del globo con il tempo di rinnovamento (ossia il tempo che occorre per far ricrescere la coltura). Le colture annuali hanno quozienti di rendimento poco più alti di uno (1), mentre il quoziente per alberi da legname varia da 1,5 a 4; per le foreste vecchie di 300 anni è 12. Non dovrebbe sorprenderci sapere che il rendimento netto è tanto più alto quanto più il grosso del lavoro è lasciato alla natura e quanto più lungo è il tempo richiesto perché la risorsa si formi. Sfortunatamente, l’uomo non è mai riuscito a rendersi conto di questo principio e a comprenderlo. Dai tempi del neolitico fino agli attuali economisti della silvicoltura, l’uomo – come il proverbiale cane che si morde la coda – ha preferito le rese più alte date da colture annuali e rotazioni brevi. Operando in tal modo, ha dato

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Quoziente di rendimento netto EMERGY

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Tempo di rinnovamento, anni

Combustibile da biomassa

Tempo di rinnovamento, anni

Quoziente di rendimento netto EMERGY

rf

Legname di foresta pluviale, Brasile

300

12.00

sp

Abete rosso

90

4.10

fp

Pinus elliottii, Florida

25

2.40

e

Eucalipto, Brasile

7

2.20

nz

Pinus radiata, Nuova Zelanda

24

2.10

w

Salice, Svezia

6

1.34

s

Alcol di canna da zucchero

1

1.10

c

Mais

1

1.10

p

Olio di palma

1

1.06

Figura 11 – Quoziente di rendimento EMERGY di combustibili da biomassa come funzione di frequenza del raccolto (secondo Odum, 1966).


3. Assicurati un raccolto

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la precedenza a fonti di energia ad alto rendimento, apparentemente le più produttive, che implicano una gran mole di lavoro con rendimento relativamente scarso. Gli investimenti a lungo termine, invece, e soprattutto le foreste a crescita naturale, forniscono il valore più rilevante per le future generazioni. Nel frattempo che le foreste crescono, una possibile soluzione potrebbe essere quella di un ricorso modesto ai combustibili fossili. Questa soluzione sarebbe in ogni modo preferibile all’utilizzare i terreni agricoli migliori per colture annuali intensive di combustibili da biomassa a rotazione breve171. Le valutazioni di energia incorporata generalmente mostrano valori di energia netta più favorevoli per le biomasse rinnovabili, come fonti di energia combustibile. Ma la disputa sui metodi è meno importante dei modelli rivelati da questi studi: tutti dimostrano che le fonti energetiche da biomassa prodotte naturalmente e con crescita lenta hanno un valore maggiore172.

La valutazione di impatto ambientale Già uno studio del 1977 sull’impatto ambientale di una centrale elettrica sulle paludi della Florida (Everglades) illustrava i limiti della protezione ambientale convenzionale173. Una compagnia elettrica stava utilizzando le paludi per prelevarne acqua per il raffreddamento degli impianti. Gli ambientalisti, invece di usare l’acqua della palude, volevano che costruisse le solite torri di raffreddamento di cemento e acciaio, tipiche delle moderne centrali elettriche. Odum – in qualità di esperto, a livello mondiale, sull’ecologia dei terreni paludosi – ricevette l’incarico di accertare l’impatto dell’acqua calda sulla laguna. Odum stimò che la produttività biologica totale di 150 acri (circa 75 ettari) di palude era stata ridotta del 50% (quantificata come energia solare non catturata); tuttavia, stimò anche che il costo in termini di energia incorporata dell’alternativa rappresentata dalle torri di raffreddamento sarebbe stato cento volte superiore. Lo studio di Odum ritardò la costruzione delle torri di raffreddamento di un decennio, finché la politica nazionale non ebbe la meglio. L’approccio di Odum non venne visto di buon occhio dagli ambientalisti.

Odum notò anche che, se il flusso di acqua calda dalla centrale elettrica fosse stato più regolare, l’ecologia della palude avrebbe trovato il modo di adattarsi all’input extra di energia, generando in effetti un aumento di produttività biologica. Ovviamente, un approccio del genere può dare adito a critiche opposte: da una prospettiva di conservazione della biodiversità (pericolo di estinzione di specie) e da un punto di vista politico (chi perde e chi guadagna). Lo sviluppo più recente della valutazione EMERGY ha iniziato a quantificare questi fattori e mostra che l’estinzione di specie – specialmente di quelle note come specie keystone174 – è molto costosa, in termini di EMERGY. Dal punto di vista politico, alcuni studi sui progetti di sviluppo nei Paesi poveri mostrano, nella media, un guadagno per il Paese donatore e una perdita per il Paese ricevitore, nonché una perdita enorme per l’area e il popolo locale che sono i supposti beneficiari. Questa potrebbe essere la ragione per cui gli impresari edili, come gli ambientalisti, non hanno sponsorizzato la valutazione EMERGY.

La frugalità volontaria Sebbene un quoziente di rendimento EMERGY non ci dica nulla direttamente sulla sostenibilità di un processo, certamente ci fornisce un’utile quantificazione del suo rendimento o meno. In una società a basso consumo di energia e a lenta evoluzione, il tempo, alla fine, mostra ciò che funziona e il buon senso fornisce una visione intuitiva delle probabilità. Anche se le valutazioni EMERGY sono molto complesse e controverse nelle loro implicazioni, trovo che i risultati tendano a confermare la mia personale visione della permacultura, fondata su decenni di osservazione della natura e su uno stile di vita basato sul principio della frugalità volontaria. A differenza della povertà reale, che deriva da una mancanza di possibilità di scelte e da un costante confrontarsi con gli standard di consumo della società, la frugalità volontaria ci permette di apprendere come ottimizzare l’utilizzo delle risorse. Quando diventiamo versatili permacultori e impariamo a fare un sacco di cose diverse come costruire una casa, o fare l’orto, quando ci mettiamo a lavorare in proprio e ci preoccupiamo di ciò che succede nella comunità, sviluppiamo

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Permacultura anche automaticamente un senso intuitivo e funzionale di come gestire le risorse. Quando lavoriamo in proprio in una piccola azienda che si sviluppa in modo organico grazie alla propria produttività anziché contraendo debiti su debiti, vediamo crescere in noi la capacità di gestire le risorse in modo sempre più chiaro ed efficace. Questo modo di imparare costantemente dal proprio lavoro funziona ed è equiparabile a un processo accelerato di ricerca e di sviluppo, che produce una rete di conoscenze integrate. Dopo trent’anni di impegno personale nella frugalità volontaria, sono pronto a riconoscere che qualche svantaggio c’è, in quella che alcuni considerano una mentalità da poveri. La mia esperienza personale è che la più grande contraddizione, in questo processo, è che all’accumulo di conoscenze che una persona sviluppa viene sempre dato un valore modesto (in senso monetario o altro) quando le conoscenze vengono applicate in sistemi autosufficienti su piccola scala. Tali sistemi, semplicemente, non hanno sufficienti risorse o ricchezze (in denaro o EMERGY) per supportare progetti su grande scala e strutture gestionali di grandi dimensioni. Al contrario, quelle stesse doti possono essere utilizzate per supervisionare sistemi complessi e cogliere le forze trainanti e i punti deboli che caratterizzano l’attuale transizione dallo sviluppo al declino. Queste capacità hanno un immenso valore nel pilotare enormi capitali e risorse dei sistemi economici su larga scala verso migliori risultati. Dopo aver visto tanti miei colleghi permacultori autodidatti passare dall’autosufficienza su piccola scala a lavori con paghe piuttosto alte, consistenti nel divenire consulenti o direttori di organizzazioni molto grandi, mi sono convinto che la pratica e il modo di pensare della permacultura siano uno dei metodi più efficienti per sviluppare le capacità per dirigere sistemi su larga scala verso obiettivi più appropriati e più umani.

Il problema del successo È indubbio che il rendimento rappresenta il punto centrale per la transizione alla discesa energetica. Se la

massima potenza è una legge dell’energia che governa tutti i sistemi in cui prevale l’auto-organizzazione, allora i sistemi che rendono di più in base a misurazioni EMERGY continueranno a prevalere. Ma il modello dei sistemi di successo, anziché essere connesso alla dipendenza da fonti non rinnovabili, deve basarsi sull’utilizzo di fonti rinnovabili. In altri termini, i rendimenti e i raccolti alti, in quanto opportunistici (perché basati sulla ricchezza accumulata dalla terra), dovranno cedere il passo a rendimenti e raccolti sostenibili e bassi, perché basati su fonti rinnovabili. La sfida per riconfigurare ciò che significa la parola successo, per quanto concerne la società del declino energetico, è fondamentale. È difficile capire come si può (individualmente e collettivamente) continuare a vivere nell’abbondanza senza – direttamente o indirettamente – sollecitare una domanda superiore a quanto è consentito in termini sostenibili. Nei modelli di transizione sostenibile il fenomeno è descritto come rimbalzo (rebound). Ciò significa che i cambiamenti di progettazione e comportamento che hanno come risultato risparmi di energia e risorse, tendono a essere immediatamente spesi o investiti in altri settori dell’economia, il che stimola ulteriormente la domanda di energia e risorse. Questo fenomeno mi fu fatto notare da un collega, che aveva trascorso decenni ad aiutare gli amici a ridurre il loro consumo di energia con l’acquisto, la modifica e la costruzione di tecnologie energeticamente efficienti. Aveva così avuto modo di osservare che i suoi amici usavano ancora più di prima le loro automobili energeticamente efficienti e che i risparmi sulla bolletta elettrica e del gas, ottenuti tramite la casa solare passiva, avevano permesso a sua sorella di pagarsi un viaggio in aereo in Europa. La transizione dall’autosufficienza su piccola scala della permacultura ai grandi ruoli organizzativi, cui ho accennato in precedenza, presenta dubbi e tranelli strutturali dello stesso tipo. Le persone creative dotate di motivazioni etiche che operano nelle grandi organizzazioni tendono a essere cooptate e corrotte dalle forze implicite nelle grandi organizzazioni, all’interno delle quali devono lavorare. I ruoli attribuiti alle persone potenti – fossero anche, queste, le più potenti – le costringeranno ad


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3. Assicurati un raccolto azioni molto meno olistiche e integrate di quelle possibili a livello personale. La qualità del cambiamento viene barattata con la quantità di influenza. Quando l’attività e il pensiero si concentrano su risultati molto specifici, limitati e misurati in modo convenzionale, la qualità dei risultati che si conseguono è di infimo livello.

modo da causare una riduzione della produzione. Ad esempio, quando si comprano articoli tecnologici prodotti da sistemi su larga scala come automobili o computer, si può scegliere di acquistarli di seconda mano: costano meno e riducono il feedback sulla domanda di nuovi beni (v. anche Principio 4 e Principio 8).

Le soluzioni al problema del successo

Conclusione

È facile capire perché i sistemi sottoposti allo stress del passaggio da fonti di energia ad alto rendimento verso altre a rendimento più basso tendano a farlo mediante il crollo e la ricostruzione. Al fine di aggirare questo percorso per pervenire al futuro a basso consumo di energia, dobbiamo integrare nel nostro pensiero l’apparente paradosso tra abbondanza e limiti della natura, cui ci siamo riferiti nella trattazione concernente il terzo principio etico175. Dobbiamo trasformarci, in modo da essere felici, sani e comodi senza bisogno di consumare il Pianeta e il futuro. Howard ed Elizabeth Odum parlano del bisogno di concettualizzare la transizione a un’economia e a una società basate sul declino energetico come di una prospera strada in discesa176. In qualche misura si possono affrontare questi problemi con l’approccio sempre più integrato insito nel circuito d’apprendimento olistico (v. Principio 1, Figura 6). Quando il successo nel soddisfare un obiettivo ambientale porta a stimolare la crescita di attività alternative a basso consumo energetico collegate in rete e progressivamente sempre più integrate, l’effetto rimbalzo di queste azioni può servire a riconfigurare l’economia e la società, riducendo nel frattempo la richiesta totale di risorse. Ad esempio, quando il denaro risparmiato mediante un’automobile o una casa rese più efficienti dal punto di vista del consumo energetico viene investito in modo etico o speso per comprare derrate alimentari prodotte localmente o dare lavoro a un vicino, i possibili effetti negativi del rimbalzo saranno molto limitati. Inoltre, si può agire – nei limiti del possibile – in modo da provocare una riduzione delle vendite dei sistemi su larga scala basati sulla domanda di energia intensiva, in

Tra le prime indicazioni della permacultura c’era quella di recuperare il paesaggio delirante delle periferie urbane dominato dal verde ornamentale, creando una base di supporto alimentare per i suoi abitanti, ma questa idea non ha avuto molto seguito; tuttavia, tale prospettiva può essere anche considerata un meta-modello per un processo di cambiamento più sostenuto e profondo: da consumatori dipendenti ed esigenti a produttori interdipendenti e responsabili. Un consenso globale sulla realtà della transizione energetica necessaria per un cambiamento costruttivo globale potrebbe emergere in modo straordinariamente rapido, in un mondo connesso da reti elettroniche. La permacultura è rivolta a quanti già capiscono o intuiscono la realtà della transizione e della discesa e vogliono dare espressione pratica e integrata a quella realtà: che il resto della società sia pronta o meno, non importa. Prestando costante attenzione ai nostri successi e ai nostri fallimenti nel realizzare progetti per assicurarsi un raccolto e giudicando quanto prossimi siano questi progetti alla massima potenza riferita a noi stessi, alle nostre comunità e alla Terra, possiamo resistere sia alle illusioni dell’efficienza – in realtà pagata e sovvenzionata dalla società che ci circonda – sia alla dilagante indifferenza per tutto ciò che continuiamo a consumare.


Principio

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Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

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I peccati dei padri ricadranno sui figli fino alla settima generazione177 Questo principio tratta degli aspetti relativi all’autoregolazione che nella progettazione permaculturale limitano o scoraggiano sviluppi e comportamenti inappropriati. Con una miglior comprensione di come i feedback positivi o negativi funzionano in natura, possiamo progettare dei sistemi che abbiano una autoregolazione migliore, riducendo, di conseguenza, il lavoro implicito nel correggere il sistema più o meno sostanzialmente o ripetutamente. Il feedback è un concetto diventato di uso comune nell’ingegneria elettronica178. Nel Principio 3 viene descritto il tipo di feedback positivo, in cui a partire da una riserva di energia si ottiene altra energia. Questo processo può essere visto come un acceleratore, che spinge il sistema in direzione di un regime di energia disponibile senza restrizioni. All’opposto il feedback negativo è il freno che impedisce al sistema di cadere in buchi di penuria e instabilità, dati da un uso eccessivo o sbagliato dell’energia. Organismi e individui si adattano al feedback negativo proveniente da sistemi di grandi dimensioni, naturali e umani, sviluppando l’autoregolazione, che serve anche a prevenire e a evitare le conseguenze ancora peggiori di retroazioni negative provenienti dall’esterno del sistema di appartenenza. I sistemi che si autoregolano e automantengono vanno considerati il “Santo Graal” della permacultura: un ideale al quale noi tendiamo, ma che potremmo non raggiungere mai completamente. Le società tradizionali avevano capito che gli effetti negativi del feedback esterno erano spesso lenti ad emergere. Alla gente servivano spiegazio-

ni e ammonimenti, come quello biblico dei peccati dei padri che ricadono sui figli fino alla settima generazione; o le leggi del karma, che operano in un mondo di anime reincarnate. Nella società moderna diamo per scontato un enorme grado di dipendenza da sistemi che assicurano il soddisfacimento dei nostri bisogni, spesso lontani e di grandi dimensioni. Nello stesso tempo, ci aspettiamo un enorme grado di libertà in ciò che facciamo, senza alcun tipo di controllo esterno. In un certo senso, tutta la società è simile a un adolescente che vuole tutto ciò che gli passa per la testa e lo vuole subito, senza pensare alle conseguenze. Buona parte delle disfunzioni ecologiche dei nostri sistemi nasce dal negare la necessità di osservare i principi di autoregolazione e feedback che controllano i comportamenti inappropriati e ne fanno ricadere le conseguenze direttamente su noi stessi. La canzone Instant Karma di John Lennon suggerisce che raccoglieremo ciò che abbiamo seminato più in fretta di quanto pensiamo. La velocità dei cambiamenti e il crescente livello di interconnessione dovuto alla globalizzazione forse sono la realizzazione di questa visione. L’ipotesi Gaia, che vede la Terra come organismo vivente che si autoregola, rende l’intero Pianeta una immagine adatta a rappresentare il principio (v. icona del Principio 4). La prova scientifica della straordinaria omeostasi del Pianeta per centinaia di milioni di anni fa della terra l’archetipo dei sistemi ad autoregolazione. Un intero sistema, che stimola l’evoluzione e alimenta la continuità degli organismi viventi e dei sottosistemi che ne fanno parte179.


4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

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Allevamento, cura e controllo in natura Nella parte finale del XX secolo la teoria dei sistemi, l’ecologia dei sistemi e la scienza dei sistemi planetari hanno fornito le prove dell’esistenza di una intelligenza di ordine più elevato di quella intesa normalmente, che in qualche modo è una caratteristica universale dei sistemi capaci di auto-organizzazione. Questi sistemi possono anche essere di natura e forma molto diverse, rispetto a un organismo costretto all’unità dall’ereditarietà genetica, e possono essere composti da forme più fluide, contingenti e meno rigide. Gli ecosistemi provvedono alla sopravvivenza e alla continuità delle specie costituenti mantenendo un ambiente complessivamente benevolo e nutritivo. Il feedback positivo specifico di specie che si trovano in cima alla catena alimentare avvantaggia la vita di specie che si trovano più in basso. Ad esempio, gli uccelli, che si nutrono di bacche, spargono i semi, che passano inalterati attraverso il loro sistema digerente, ben impacchettati in uno strato di fertilizzante. Il pascolo degli animali aiuta a mantenere le erbe del pascolo stesso, evitando il passaggio (la successione ecologica) dal pascolo alla foresta. Pensare a una donna che allatta il proprio figlio ci aiuta a visualizzare la natura come una madre che nutre i suoi figli (natura come madre nutrice). Il bimbo attaccato al seno può essere visto come un classico esempio di comportamento che riassume il Principio 3: il succhiare stimola il flusso del latte, la madre fornisce sia nutrimento che protezione, i due elementi fondamentali che fungono sia da ricompensa che da feedback positivo per il bambino. In nuce, è questa la relazione di tutti gli organismi verso il pianeta Terra e, in misura minore, verso l’ecosistema specifico da cui essi dipendono. Se la dipendenza del bambino dalla madre è nella prima fase totale, con il tempo si svilupperà una sempre maggiore autosufficienza che darà alla fine spazio all’autoregolazione, quando il bimbo sarà diventato un adulto. I meccanismi di feedback negativo hanno anch’essi la loro importanza, come quelli del feedback positivo. Se il feedback positivo ha la funzione nutritiva e protettiva, il feedback negativo ha una funzione costrittiva di limite. Negli ecosistemi, i predatori, i parassiti e le malattie soddisfano

i loro bisogni di sopravvivenza controllando e regolando particolari specie o popolazioni, ma forniscono anche un servizio all’ecosistema nel suo insieme, contribuendo a un equilibrio sano e funzionale. Questi meccanismi di controllo a feedback negativo regolano, più che distruggere, le specie predate o sottoposte a parassitismo. Nel mondo naturale, essi sono dappertutto. Nel mondo umano, sono i genitori ad esercitare i controlli a feedback negativo sul comportamento dei figli (auspicabilmente, nell’interesse a lungo termine dei figli stessi). C’è una tensione progettuale intrinseca tra autonomia e controllo del sistema, al fine di un ordine superiore. Ogni cella, organismo e popolazione è il più possibile autosufficiente. Questa autosufficienza, anche nella scala più ridotta, fornisce benefici al sistema su larga scala. Ad esempio: ΩΩ la selezione interna della massima potenza nelle parti a livello cellulare costituenti contribuisce alla funzionalità generale del sistema più grande; ΩΩ il crollo-insuccesso di alcune parti, dovuto a stress esterno, non altera negativamente la resilienza180 dell’intero sistema (per una analisi più approfondita del design cellulare181 vedi Principio 7). Al contrario, le cellule di un organismo che crescono e si riproducono senza controllo possono essere fatali all’organismo. E questo si chiama cancro. Allo stesso modo in natura, a tutti i livelli, compresi gli ecosistemi e il Pianeta stesso, il sistema maggiore controlla le sue parti costituenti per il bene del sistema stesso. Si può pensare a una gerarchia di controlli che, in un sistema di grandi dimensioni, attraversano quella stessa gerarchia per limitare l’esuberanza e la prolificità dei sistemi di dimensioni più piccole. I controlli del sistema maggiore sono relativamente rigidi e a volte possono essere distruttivi come avviene, ad esempio, con i disastri naturali o con i predatori e i parassiti che esercitano un’azione regolatrice nelle popolazioni di animali e piante. In modo molto radicale l’ipotesi Gaia ci ha fornito una replica scientifica dell’immagine della Terra come madre, che mantiene condizioni favorevoli per la diversità e il rinnovo della vita, ma è brutalmente severa nei confronti delle spe-

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Permacultura cie individuali e perfino di interi ecosistemi, nel mantenere l’equilibrio. Molti biologi sono riluttanti ad accettare l’idea di un controllo di ordine superiore esterno all’organismo. Io vedo questa riluttanza come un riflesso della visione del mondo cartesiana basata sul meccanicismo, che molti fisici hanno peraltro abbandonato. Forse questa riluttanza è in parte motivata dalla paura del riemergere di un olismo spirituale, che si ponga come spiegazione della natura182. È bizzarro che le scienze della vita siano le ultime a rigettare questa prospettiva e ad accettare il concetto che il controllo del sistema di ordine superiore opera a tutti i livelli, in natura. In generale, ho scoperto che quanti si occupano di teoria dei sistemi a livello di organizzazione e gestione aziendale, di informatica e di ingegneria utilizzano regolarmente metafore e modelli tratti dal mondo della biologia, per spiegare concetti relativi ai sistemi. Queste persone sono incredule all’idea che i biologi non accettino la realtà di un controllo del sistema di ordine superiore.

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L’autoregolazione Una delle risposte evolutive più importanti degli organismi al controllo di un ordine superiore è quella di sviluppare meccanismi interni di autoregolazione. Essi sorvegliano la crescita eccessiva o il comportamento inappropriato, prima che i controlli più rigidi di livello superiore abbiano effetto. Ad esempio, in una diga o in uno stagno la crescita di pesci e crostacei è limitata dai loro stessi escrementi. Ciò riduce la probabilità di malattie o di morte per fame di tutto il pesce. I canguri e altri marsupiali erbivori reagiscono agli estremi climatici rallentando lo sviluppo degli embrioni e in questo modo (almeno parzialmente) regolano il numero dei soggetti presenti in un dato ambiente, prima che la scarsa alimentazione favorisca le malattie e i predatori. Le società tradizionali avevano limiti sociali ed etici, che regolavano la crescita della popolazione e l’uso delle risorse, il che permetteva alle comunità di esistere per lunghi periodi senza distruggere l’ambiente. Questo è un buon esempio di autoregolazione nei sistemi umani. Ritengo che questi aspetti di autocontrollo delle culture umane – più che l’espansione della tecnologia per lo sfruttamento delle risorse e lo

sviluppo – rappresentino il gradino evolutivo più alto raggiunto dall’Homo sapiens. I modi in cui applicheranno queste capacità al controllo degli eccessi dello sviluppo e dell’espansione nel corso del prossimo secolo costituiranno il test più rilevante del grado evolutivo da noi raggiunta183.

L’altruismo tripartito Un altro modo di pensare a questo argomento è quello di considerare come qualsiasi organismo o popolazione divide e distribuisce la sua energia disponibile. Howard Odum ha descritto un altruismo tripartito in natura: circa un terzo dell’energia catturata viene richiesta per l’automantenimento metabolico (di un individuo o di una popolazione); un terzo viene reimmesso nel ciclo per mantenere i rifornitori di livello più basso del sistema; l’altro terzo viene assegnato ai controllori del sistema di ordine superiore. La Figura 12 illustra il concetto, utilizzando il linguaggio del circuito energetico di Odum. Il comportamento dei conigli è, in proposito, un esempio illuminante. I conigli mangiano l’erba per vivere, crescere e riprodursi. I loro escrementi concimano l’erba di cui si nutrono e il sacrificio dei conigli deboli catturati dai predatori contribuisce a mantenere la loro popolazione sana e in equilibrio. Se questi meccanismi di feedback vengono a mancare, la popolazione dei conigli entrerà in sofferenza. Ad esempio, se i conigli per evitare i predatori, si rifugiano in mezzo ai rovi e lì depositano gran parte dei loro escrementi, avverrà che i rovi si estenderanno sempre più limitando l’estensione del foraggio utile a questi animali, ragione per cui ci saranno in ogni caso troppi conigli per un’area di pascolo ridotta, sia per la mancata predazione che per l’aumento dei rovi. Di conseguenza, la popolazione dei conigli potrebbe essere progressivamente eliminata.

Cura, feedback negativo e autoregolazione nei sistemi naturali gestiti dall’uomo In quanto progettisti e gestori di orti, frutteti, giardini e altri sistemi produttivi, possiamo considerare il nostro ruolo analogo a quello di una madre che nutre il figlio.


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4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

1/3

Fornitori del sistema di livello inferiore

Riserva energetica Soggetto 1/3

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Controllore di sistema di grado superiore

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Figura 12 – L’altruismo tripartito per la distribuzione dell’energia disponibile (secondo Odum 1983).

 Nelle prime fasi, un orto è totalmente dipendente dalle

nostre cure e attenzioni. Ad esempio, gli alberi appena piantati vanno protetti dagli animali al pascolo e dalle piante infestanti, nonché irrigati e concimati.  Il progettista/manager è onnipotente come la madre che allatta, e agisce senza essere capace di controllare o addirittura capire tutti i fattori che potrebbero avere un effetto sull’orto.  Se la progettazione è efficace, l’orto diventa man mano più autosufficiente e meno dipendente dalle nostre cure, sebbene – come un adolescente – possa richiedere il nostro intervento come protezione, per salvarlo da pericoli interni o esterni.  Se il design e le nostre cure sono davvero ispirati, l’orto, oltre a diventare più robusto, svilupperà un grado di autoregolazione e di equilibrio analogo a

quello ragionato da quei ragazzi che dopo l’adolescenza diventano degli adulti responsabili. Come accade per lo sviluppo dei figli, una miriade di circostanze – oltre alle potenzialità insite nel sito stesso – creerà un orto, che sarà unico, diverso anche dai nostri programmi e dalle nostre speranze. In qualsiasi sistema naturale gestito dall’uomo, soprattutto se di grandi dimensioni, buona parte del lavoro non consiste nel controllare che piante e animali crescano e si riproducano, ma nell’impedire una crescita e una riproduzione eccessive o inappropriate. Ad esempio, se utilizziamo delle capre per tenere sotto controllo le piante infestanti di un pascolo brado o il lavoro umano per diradare gli alberi troppo densi di un bosco, ciò equivale a fornire un feedback negativo per tenere il sistema in equilibrio. Anche


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Permacultura in un orto gran parte del lavoro che facciamo non consiste tanto nel piantare e seminare quanto tenere sotto controllo la vegetazione non voluta. Come già indicato nel Principio 3, utilizzando specie vegetali rustiche, selvatiche e che si autoriproducono possiamo eliminare il bisogno di grandi interventi per proteggere crescita e riproduzione, e concentrarci invece sulla raccolta e sul controllo della vegetazione in eccesso (che potrà essere utilizzata in qualche modo, fornendo un altro raccolto). Anche i fallimenti dei nostri sforzi per ottenere un raccolto sono utili, se usiamo attenzione e apprendiamo quanto indicato nel Principio 1. Se siamo convinti che il nostro sistema o la nostra strategia siano in principio validi, allora potremmo solo aver bisogno di investire più sforzi o risorse per fare in modo che il risultato alla fine ci sia. Tuttavia, il lavoro in più (come togliere le piante infestanti) e la mobilitazione di altre risorse (come l’irrigazione) non sempre sono la risposta migliore. Il fallimento può servire ad avvertirci di qualcosa che non va nel nostro progetto. Se raccogliamo poco dal nostro orto nella stagione di crescita e poi compriamo le stesse cose in negozio per il resto dell’anno, non verificheremo mai se quello che produciamo si conserva bene. Vedere le proprie zucche o il proprio aglio marcire può essere molto scoraggiante, ma può aiutarci a capire che nel suolo mancano certe sostanze minerali o altro ancora e, quindi, darci la chiave per trovare una soluzione. Il tentativo di assicurarsi un raccolto può anche creare problemi a lungo termine. Se sapremo reagire a questi problemi, potremo correggere o regolare il sistema per renderlo più efficiente o stabile. Ad esempio, se in un appezzamento lasciamo crescere degli alberi per usarli come legna da ardere, sprecare quella legna avrà ovviamente un impatto negativo; se invece compriamo la legna da ardere, potremmo non renderci mai conto di quanto bosco abbiamo bisogno per garantirci il giusto quantitavo. Se accendiamo il riscaldamento premendo semplicemente un interruttore e non paghiamo neppure il costo reale dell’energia, allora gli impatti delle nostre scelte (v. il riscaldamento globale) sembreranno remoti e astratti.

Se il nostro stile di vita è quello tipicamente urbano diffuso attualmente, in cui elettricità, acqua, stipendio e così via ci arrivano da lontano, può essere spesso difficile sapere se stiamo facendo un uso inaccettabile delle risorse comuni o addirittura le stiamo sprecando, sia che si tratti dell’acqua del rubinetto, della pace e della quiete oppure dell’onestà dei vicini. Il mercato e la legge sono i principali meccanismi di feedback negativo, ma mercato e legge sono spesso meccanismi grossolani e inefficaci per molti problemi sociali e ambientali. Nelle piccole comunità, in particolare quelle rurali, esistono meccanismi sociali più discreti per darci il segnale di un appropriato livello o tempo per raccogliere184 risorse comuni, in senso materiale e non. Ad esempio, la costruzione di dighe in piccole gole può generare dei conflitti tra agricoltori dello stesso territorio ma l’aggregazione sociale – come l’abitudine di trovarsi al pub, la formazione di un corpo volontario di pompieri o la creazione di un circolo sportivo – favorisce la comprensione tra vicini. Più dipendiamo da risorse nostre o locali, più sarà probabile che impareremo a capire i problemi e a diventare capaci di risolverli. La distribuzione tripartita di energia può essere usata per comprendere come le relazioni si svilupperanno naturalmente, man mano che il sistema segue la sua coevoluzione, ma anche per guidare la progettazione consapevole dei sistemi. Forse è ancora più importante, però, che possa essere usata per guidare la nostra stessa allocazione di risorse personali, familiari e organizzative. La principale priorità è sopravvivere (ottenere un raccolto dall’energia catturata), mentre la seconda priorità è pagare per ciò che abbiamo, in modo tale da aiutare a mantenere il futuro flusso di energia. La terza priorità è contribuire in altre maniere o direzioni al sistema più generale, invece di considerare la nostra sopravvivenza come un fine in se stesso185. Ad esempio, gli orticoltori raccolgono ciò che serve a loro e alle loro famiglie (1); pagano per il cibo raccolto con altro lavoro, che deve servire a piantare, diserbare, irrigare, concimare e mantenere le piante per assicurare i raccolti futuri (2); possono regalare una parte del cibo e dei semi in più, per promuovere i buoni rapporti sociali, per aiutare gente che ha bisogno o per attivare una banca dei semi (3).


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4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback Nel progettare orti e altri sistemi di produzione di cibo, il Principio 4 suggerisce che la cosa più importante è scegliere e organizzare quanto più possibile gli elementi (piante e animali) in modo che provvedano da sé ai propri bisogni, piuttosto che dipendere da interventi continui dall’esterno. Un esempio è dato dalle piante a radici profonde che riescono a estrarre l’umidità dalle profondità del suolo, a differenza delle piante a radici superficiali. Le piante che rompono gli strati del sottosuolo contribuiscono a mantenere o a migliorare l’umidità del suolo, permettendo una migliore infiltrazione dell’acqua piovana. Se forniscono anche cibo o altri prodotti che possono servire a nutrire animali domestici o persone, allora otterremo sia l’autoregolazione che metodi di controllo e di equilibrio proprio attraverso la raccolta. Ad esempio, il romice che cresce nei suoli argillosi e viene mangiato dalle capre, oppure il daikon coltivato per il consumo umano contribuiscono entrambi a rompere gli strati del sottosuolo. Si potrebbe dire che ambedue queste piante restituiscono energia ai fornitori del sistema di ordine inferiore e cioè al suolo. Nel fornire un raccolto, essi contribuiscono al mantenimento dei controllori del sistema di ordine superiore (animali o persone) che, a loro volta, mantengono un ambiente favorevole alla pianta. Nelle moderne economie, la gente si guadagna da vivere in molti modi diversi: lavoro dipendente, sussidi di disoccupazione, commercio, speculazioni; poi utilizza il denaro ricevuto per pagare merci e servizi, dato che non ha niente di direttamente utile da dare a produttori o fornitori. Lungo questo percorso deve anche cedere una parte del proprio denaro sotto forma di tasse per fare in modo che la società da cui dipende continui a funzionare. Tutti questi esempi per grandi linee riflettono l’altruismo tripartito di Odum. La moderna economia, nonostante la sua complessità, non riesce a fornire adeguati e importanti segnali di feedback che stimolino comportamenti e scelte appropriate alla situazione attuale. Ad esempio:  quanto

è sufficiente consumare (Quando il coniglio dovrebbe smettere di mangiare? Quanto dev’essere grande la nostra casa?);

 quanto

è sufficiente lavorare (Quanti ortaggi è logico che un orticoltore coltivi? Quante ore abbiamo davvero bisogno di lavorare?);  in che modo dovremmo pagare e in quale misura (Quale dovrebbe essere il prezzo giusto? I mercati riescono o no a darci informazioni corrette sul valore?);  qual è il giusto contributo che dovremmo dare al bene comune (Pagare le tasse, lavorare per la comunità o altro ancora, è utile o sufficiente? Altrimenti, cos’altro dovremmo fare?). Con il progressivo tracollo di molte funzioni tradizionali e istituzionali, ogni persona dovrebbe considerare come rispondere a queste domande, visto che in tutta evidenza le attuali strutture sociali ed economiche non riescono più a fornire un feedback e una guida appropriati e credibili. Un esempio dell’applicazione di questi concetti è dedicare un terzo del nostro tempo a provvedere ai bisogni materiali, un terzo all’evoluzione personale e alla riflessione, un terzo a favore della più ampia comunità sociale.

La gerarchia dell’energia In natura e nelle società preindustriali a basso consumo, l’altruismo tripartito è organizzato secondo le strutture gerarchiche illustrate nella Figura 7. Coloro che stanno all’inizio della catena dell’energia (produttori) sono presenti in grandi numeri ma con una scarsa potenza individuale, mentre coloro che alla fine del ciclo (consumatori) sono meno numerosi, ma più potenti. La piramide alimentare della Figura 13 è un altro modo per illustrare queste relazioni. Ogni livello della piramide ha le sue fondamenta e dipende dallo strato inferiore. Tutti i livelli sono funzionali e complementari. Nessuno è più importante dell’altro, ma gli organismi individuali e le persone (al contrario del gruppo nel suo insieme) ai livelli più bassi hanno meno influenza e potere degli individui ai livelli più alti. Il modo di dire: «Troppi capi e pochi indiani» (Too many chiefs and not enough Indians) è l’espressione di uno squilibrio nella tradizionale struttura organizzativa.

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Permacultura L’opulenza della società industriale ha reso possibile questo squilibrio su larga scala, perché gli schiavi energia186, 187 (con in più i tanti quasi-schiavi dei Paesi poveri) sostentano tutti. La transizione dallo sviluppo al declino richiede che la piramide alimentare si adatti alle realtà energetiche locali e alla giustizia sociale. La Figura 14 mostra due diverse illustrazioni. La prima riguarda le società preindustriali e vede la gerarchia energetica sotto forma di curva iperbolica, con un alto numero di produttori sulla sinistra e un numero sempre minore di consumatori sulla destra. La seconda illustrazione rappresenta la società dell’industrializzazione, la quale ha creato un grande aumento dei consumatori di classe media, mentre i lavoratori manuali si sono ridotti a cifre equiparabili a quelle dell’élite. La curva di distribuzione della seconda illustrazione negli ultimi decenni è addirittura arrivata a dominare il nostro modo di pensare rispetto a ciò che riteniamo essere una struttura

sociale naturale. La natura e la storia dimostrano la natura recente di questa situazione. Possiamo pensare alla classe media come a una protuberanza formatasi nella curva della bassa disponibilità di energia, una specie di bolla generata dal sistema pulsante188 dell’energia fossile. La linea e la gerarchia della prima illustrazione vengono a essere completamente alterate dalla punta creata dalla classe media nelle società a capitalismo avanzato di oggi. C’è però un altro punto da tenere in attenta considerazione. Le statistiche tipiche dello Stato nazionale moderno continuano a riflettere le sue leggi, la sua cultura e la sua storia, mentre la realtà economica ed ecologica è diventata globale. Quando consideriamo tutta la gente che oggi partecipa alla società e all’economia globale, la protuberanza creata dalla classe media è davvero poca cosa: i lavoratori rurali e industriali dei Paesi poveri sono di gran lunga di più del miliardo circa di consumatori della classe media che vivono nei Paesi ricchi.

Guida spirituale e temporale

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Predatore principale Uno

Famiglia reale ed élite dirigente

Carnivori Pochi

Mestieri e professioni

Erbivori Numerosi

Produttori (piante)

Contadini e altri produttori Abbondanti

Figura 13 – La piramide alimentare come modello di ecosistemi e società tradizionali.


4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

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Il deficit di autoregolazione da parte delle élite L’accelerazione nella differenziazione tra ricchi e poveri su scala globale suggerisce che siamo in presenza di una più estrema distribuzione di ricchezza e di potere, rispetto a quella osservabile nelle tradizionali società a basso consumo di energia189. Questo eccessivo accumulo di ricchezza e di potere da parte dei ricchi coincide con una situazione in cui le élite190 non riescono più a svolgere il loro ruolo tradizionale di controllo e guida per il benessere a lungo termine della società. Un problema storicamente ricorrente con le élite è che esse finiscono col credere che l’intero ecosistema sociale sia semplicemente a loro beneficio. Ciò impedisce loro di riconoscere che esiste un potere più alto – sia esso Dio o la natura – e anche di fornire un feedback funzionale per mantenere il sistema in piena efficienza. Questo deficit di autoregolazione e di altruismo tripartito ai gradi più alti tende a ripercuotersi sulle gerarchie sociali finché la corruzione a tutti i livelli porta a una qualche forma di crisi e poi di crollo e riforma191. Dai tempi dell’Illuminismo in poi, varie ideologie – fra cui soprattutto quelle a impostazione social-democratica o marxista – hanno tentato di superare questo problema relativo alle èlite ma, in base a quanto la storia ci ha trasmesso, i risultati raggiunti, per quanto concerne la capacità di guida, saggezza e assenza di corruzione, non sono stati per niente incoraggianti. Probabilmente, questo fallimento ha alcune sue radici nella gestione delle risorse: le gerarchie sociali si sono sviluppate in tanti livelli proprio in risposta all’abbondanza delle forniture di energia di alta qualità disponibili. Tutti questi livelli sono occupati da normali individui con tutti i loro difetti. Detta semplicemente, non abbiamo la saggezza necessaria per occupare i livelli più alti. Il motto che recita: «Il potere corrompe e il potere assoluto corrompe in modo assoluto» esprime bene questo concetto. Il problema nei livelli gerarchici più elevati non è dato tanto dal fatto che esiste una persona che esercita il potere assoluto perché costretti da una rete sociale composta da altre persone a quello stesso livello, quanto dal fatto che tutte le persone inquadrate in quel livello

funzionano come comunità in cui gli individui si confermano e rinforzano reciprocamente. Tali reti funzionano come se fossero composte da membri della stessa parrocchia di paese, che non riescono a vivere al di fuori delle norme sociali esistenti all’interno di quel villaggio; questi stessi individui sono al contempo lontani mille miglia dagli effetti delle loro azioni sulle persone che fanno parte degli strati gerarchici più bassi dell’umanità. Bisognerebbe riconoscere, invece, che una società ad alto consumo di energia sviluppa inevitabilmente un gran numero di livelli gerarchici, ma sarà poi costretta in un modo o nell’altro a tornare ad essere a basso consumo di energia. Rendersi conto di questo, nel lungo termine ci permetterà di tornare a sviluppare una struttura più orizzontale in cui funzioni e ruoli di élite non siano implicitamente fonti di corruzione. La piramide alimentare o gerarchia delle risorse mette in dubbio alcune nostre opinioni sull’uguaglianza sociale, ma se riconosciamo le regole del gioco in termini ecologici di più ampio spettro avremo anche una maggiore probabilità di costruire la transizione a una società della decrescita più giusta e umana. Senza questa consapevolezza, nei Paesi ricchi andremo probabilmente incontro a dei modi ancora più inumani di restaurare la piramide alimentare. Le pressioni economiche e sociali di oggi stanno già schiacciando la protuberanza della classe media e – almeno in questo periodo storico – ricchi e poveri stanno aumentando, a spese proprio della classe media. L’accento prevalente sull’economia – e in particolare sulla razionalità dell’economia – può essere visto, da un lato, come un riconoscimento parzialmente consapevole del fatto che non possiamo più vivere consumando e che dobbiamo essere più produttivi. Purtroppo, la maggior parte delle misurazioni economiche della produttività è enormemente inadeguata o del tutto sbagliata e irrazionale perché dà importanza e valore a processi ecologicamente distruttivi. Abbiamo bisogno di nozioni di produttività più ampie e profonde. Più che di una mazzata di tipo economico, che sbalzi la maggioranza delle persone dalla folle corsa del treno dell’abbondanza, ci serve un cambiamento di valori e di

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Permacultura

Quantità di individui

Gerarchia energetica nella società preindustriale a basso consumo di energia

Contadini

Famiglia reale – aristocrazia

Gerarchia nell’uso dell’energia dopo secoli di abbondanza basata sui combustibili fossili

Popolazione

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Consumo totale di energia delle varie classi sociali

Senzatetto

Élite Consumo totale di energia delle varie classi sociali

Figura 14 – La gerarchia energetica nelle società preindustriali e moderne.


4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback ricompense e ci serve investire nella creazione di stili di vita basati su un umile prendersi cura della natura. In altri termini, abbiamo necessità di una profonda rivoluzione culturale, che riconosca come base la crescente e profonda dipendenza della società dalla natura. La massa della popolazione mondiale avrà bisogno di tornare a lavorare con la natura, per procurarsi il cibo e le risorse necessarie per fare da supporto a tutti gli altri livelli della società sostenibile a basso consumo energetico del futuro. La permacultura potrebbe essere considerata una forma di razionalismo ecologico: si basa su regole di progettazione e misurazioni di valore adatte al declino energetico e fornisce percorsi etici positivi per abbracciare quelle regole di progettazione.

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Strategie top-down e bottom-up per il cambiamento sociale Le strategie per il cambiamento sociale sono generalmente raggruppate in strategie “dall’alto verso il basso” (top-down) o “dal basso verso l’alto” (bottom-up). Le prime variano dal fare pressione sul potere politico (lobbying) o sui mass media fino alla rivoluzione. Ciò che viene considerato top-down o bottom-up dipende in parte dal punto di vista. Per molte persone il movimento ambientalista, nel senso più ampio del termine, è un movimento di base bottom-up, ma la maggior parte delle attività del movimento si concentra sul tentativo di cambiare i comportamenti di governo, burocrazia, aziende e media (top-down). Le strategie “dal basso verso l’alto” più rilevanti partono dall’individuo e si sviluppano attraverso l’esempio e l’emulazione fino a generare cambiamenti di massa. La permacultura – per quanto complementare a molti approcci “dall’alto verso il basso” all’interno del movimento ambientalista – non ha come obiettivo principale quello di far pressione su governo e istituzioni per cambiare la politica, ma quello di permettere a individui, famiglie e comunità locali di accentuare la loro autosufficienza e autoregolazione. Questo processo, secondo me, è il mezzo più potente per ridurre l’impatto ambientale totale trasformando la società e rallentando e riorganizzando il ciclo produzione-con-

sumo. Tale approccio si basa sulla consapevolezza che una parte della società è pronta, disponibile e in grado, sostanzialmente – questo è ancora più significativo – di cambiare il proprio comportamento, se crede che ciò sia possibile e rilevante. Questa minoranza socialmente ed ecologicamente motivata rappresenta la chiave di volta di un cambiamento su larga scala.

Pensiero top-down, azione bottom-up Nel Principio 1 ho spiegato che il comportamento cooperativo bottom-up è un elemento fondamentale dell’azione permaculturale, sia in un orto che nell’ambito comunitario più generale, e che questo comportamento è impregnato di pensiero olistico, che può essere caratterizzato come top-down. Questo pensare dall’alto verso il basso e agire dal basso verso l’alto non è altro che una riformulazione dello slogan ambientalista: “Pensare globalmente, agire localmente”. Questo filo logico dalla permacultura lo si può far risalire a molto indietro, già al tempo della società preindustriale, poi di quella industriale e infine di quella post-industriale. Tale modello è illustrato nella Figura 15 ed è basato sempre sullo schema di piramide alimentare illustrato in precedenza. Nelle culture tradizionali anteriori al riduzionismo scientifico, il comportamento delle élite istruite (famiglia reale, clero, studiosi) era in modo predominante top-down, nel senso che esse utilizzavano una visione del mondo olistica riferita ai sistemi umani per dare forma all’esercizio del potere. Anche altri strati più bassi della gerarchia – ad esempio, i capi patriarcali delle famiglie – utilizzavano la visione del mondo olistica nel controllo della loro porzione di territorio (inteso anche nel senso di famiglia). La grande massa delle persone aveva, tuttavia, una visione molto frammentata del funzionamento di natura e società. Il loro potere nell’influenzare l’andamento delle cose era molto limitato e funzionava bene solo collettivamente, mettendo insieme le forze per un’aggregazione locale. Questo potente modello “dall’alto verso il basso” di pensiero e azione proprio delle élite, a cui si opponeva una visione e un’azione frammentata e “dal basso verso l’alto”

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Permacultura delle masse, rappresenta la base per comprendere come funzionano le società tradizionali nel loro modo di rapportarsi con la natura, così come viene comunemente intesa. Con il crescente potere del riduzionismo scientifico successivo all’Illuminismo, le élite vennero sempre più influenzate dalla visione del mondo riduzionista e dai suoi metodi, attraverso i quali si analizzavano i più piccoli componenti dei sistemi per prevederne e controllarne il comportamento su scala più ampia. Ciò si dimostrò particolarmente vero per i nuovi modi di concepire e considerare i mercati192, che adesso vengono interpretati come aggregati di molte azioni piccole ed egoistiche basate sull’individuo; azioni che, prese collettivamente, presentano dinamiche comprensibili. Questi metodi riduzionisti di considerare la realtà hanno una modalità “dal basso verso l’alto”, nel senso che instaurano una visione del mondo basata sull’aggregazione delle proprietà di particelle fondamentali (atomi, cellule, individui) allo scopo di descrivere e prevedere il comportamento di grandi sistemi come sostanze, organismi o società. Nel XIX secolo e all’inizio del XX secolo, questa visione del mondo era diventata così potente che il comportamento delle élite poteva essere caratterizzato come pensiero bottom-up e azione top-down. Le élite avevano ancora le leve del potere, ma questo potere era gestito sotto l’influenza delle conoscenze riduzioniste specialistiche di scienziati e tecnocrati. Utilizzando gli stessi metodi di pensiero e azione, le forze della democratizzazione agirono progressivamente in modo da moderare il controllo delle élite. Questi schemi intellettuali e comportamentali sono da allora diventati la norma per le masse della classe media. A scuola, al lavoro, nelle case e negli orti le cognizioni della maggior parte delle persone si basano su una grande mole di conoscenze fattuali, ma queste conoscenze rimangono frammentate in discipline intellettuali molto diverse. I vari aspetti della conoscenza presentano poca o nessuna integrazione o prospettiva sistemica. Nello stesso tempo, le loro azioni tendono a essere, quando possibile, di tipo manageriale (top-down) evitando processi in cui prevalgono collaborazione e partecipazione. Queste stesse élite hanno però imparato che la logica e la visione del mondo riduzionista servono a poco, quando si tratta di comprendere e prevedere sistemi com-

plessi come le moderne multinazionali, i moderni governi, l’amministrazione di intere città o le economie nazionali o addirittura globali. Avviene così che una fetta crescente di potere viene attribuita ai cosiddetti generalisti (che riescono a pensare in modo olistico) in contrasto ai tecnocrati specializzati. Avendo capito in parte le opportunità offerte dal pensiero sistemico-olistico top-down, diventa naturale cercare di applicare queste intuizioni attraverso l’azione manageriale top-down. I risultati nei settori aziendali, pubblici e comunitari di questo pensiero e azione “dall’alto verso il basso” sono limitati e spesso controproducenti. Nel mondo postmoderno del picco energetico globale, il comportamento più efficace e potente potrebbe essere meglio caratterizzato come pensiero top-down e azione bottom-up. Io ritengo che ciò sia valido in ogni caso, sia che si amministri una multinazionale o si gestisca un orto, sia che si faccia parte di una comunità bioregionale di un mondo globalizzato, sia che si tratti di un individuo all’interno di una comunità locale193. Anche se mi sono sforzato di riformulare il pensiero “dall’alto verso il basso” e l’azione “dal basso verso l’alto” nello stringato slogan ambientalista: “Pensare globalmente, agire localmente”, è chiaro che anche le élite globali hanno imparato questa nuova modalità di pensiero e azione. C’è stato uno spostamento dall’esercizio evidente, formale e amministrativo del potere a modi collaborativi, informali e invisibili, che permettono alle élite di aggirare i controlli democratici e burocratici sul loro potere richiesti dal pubblico. Più chiaramente, quando i potenti riescono a mettere da parte il loro ego, rendendosi conto che sono solo dei piccoli giocatori in un gigantesco sistema che affronta il problema del picco energetico, allora riescono anche a rendersi conto che l’esercizio del potere in modo collaborativo e astuto è più efficace delle minacce e della forza bruta. Ma il modo in cui questa rivoluzione di pensiero e azione deve aver permeato i più alti livelli dell’élite non è ancora chiaramente visibile.

La responsabilità personale Lo slogan “Cambia il mondo cambiando te stesso” viene riconosciuto come approccio spirituale e interiore al lavoro per un mondo migliore. Vi sono però prove con-


4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

Stato stazionario Società tradizionale con numero limitato di stratificazioni sociali rigide e molto demarcate nella gerarchia della gestione delle risorse Visione del mondo integrata, azione top-down Visione del mondo frammentata, azione bottom-up

Espansione Società industriale con numero crescente di stratificazioni non rigide nella gerarchia della gestione delle risorse

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Visione del mondo frammentata, azione top-down

Contrazione Società postindustriale con numero crescente di stratificazioni in progressivo irrigidimento nella gerarchia della gestione delle risorse Visione del mondo integrata, azione bottom-up

Figura 15 – Modello di piramide alimentare delle società tradizionali, industriali e postindustriali.

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Permacultura vincenti che questa idea è un principio idoneo anche ad approcci come la permacultura, più impostati in senso esteriore e radicati nell’oggettività scientifica. L’enfasi sulla responsabilità personale della permacultura nasce dal fatto che gran parte del bisogno di progettare, in vista del declino energetico, trova i suoi presupposti nei principi etici, che fanno leva principalmente sul comportamento e sulle azioni degli individui. Nonostante le chiacchiere sull’etica delle istituzioni o delle aziende, sono solo gli individui i principali protagonisti di un approccio etico alla vita e sono loro che dall’etica possono essere condizionati. Assumendoci direttamente la responsabilità dei nostri bisogni e accettando le conseguenze delle nostre azioni, vogliamo trasformarci, da consumatori dipendenti di prodotti e servizi non sostenibili, in produttori responsabili di beni e valori appropriati. La responsabilità personale implica la piena coscienza della struttura della nostra dipendenza dall’ambiente locale e globale e della nostra influenza su di esso; inoltre, cambiare noi stessi può diventare il nostro contributo più rilevante alla costruzione di un mondo migliore. Molti ambientalisti considerano questo approccio politicamente ingenuo e non realistico o semplicemente troppo lento, ma vi sono profonde ragioni politiche, storiche ed ecologiche per sostenere il principio della responsabilità personale in permacultura.

La ricchezza e il potere individuali Poiché il mondo moderno è caratterizzato dall’eccessivo consumo di energia, ogni persona – specialmente nei Paesi ricchi – ha un potere e un impatto sulla natura e sulla società maggiore di qualsiasi altra generazione precedente e probabilmente anche futura. Le stime sulle risorse che una persona del mondo ricco consuma equivalgono a cento schiavi energia. Anche la maggioranza dei cittadini dei Paesi poveri194 oggi può godere dell’equivalente di diversi schiavi energia. Durante la vita di un americano, figlio del «boom» economico, nato intorno al 1950 e che morirà intorno al 2025, verrà consumata più della metà delle riserve di petrolio disponibili negli USA (la seconda nazione più ricca di petrolio dopo l’Arabia Saudita). Il potere relativo tra

individui e gruppi all’interno delle generazioni è naturalmente al centro dell’attenzione di economia e politica. Non facciamo altro che metterci a confronto con i nostri pari, ma il pensiero di coloro che verranno dopo genera in noi solo vaghe e astratte percezioni. Per di più, la cultura dello sviluppo presume che le generazioni future saranno ancora più ricche e potenti di quanto siamo noi adesso. Il rapido declino energetico significa, invece, che il nostro comportamento individuale di oggi può essere molto più incisivo, nel determinare il futuro, rispetto al comportamento di intere comunità di quello stesso futuro. Molto di questo potere nell’economia monetaria di oggi viene espresso attraverso le nostre decisioni di acquisto. In questo modo, è il miliardo e passa di persone della classe media di tutto il mondo a essere il motore della distruzione globale, più che la numericamente ristretta élite, oppure la maggioranza relativamente autosufficiente, ma sempre più indigente. La nascita dell’individualismo nel mondo moderno rende possibile la libertà di espressione e di azione personale attraverso le scelte dello stile di vita, anche se pochi scelgono il proprio in base a decisioni non superficiali. Questo potere dell’individuo fornisce una opportunità unica per un cambiamento bottom-up.

La decadenza istituzionale e il ricambio organizzativo La seconda ragione dell’importanza della responsabilità personale è la natura relativamente debole e decadente di molte nostre istituzioni culturali, ivi comprese la Chiesa, la democrazia parlamentare e persino il sistema legale. Queste istituzioni sono in crisi, perché i cambiamenti culturali sono diventati troppo rapidi e profondi ed esse – fatte per durare nel tempo – fanno fatica ad adattarsi, rimanendo strutture sociali conservatrici. Quando esse crollano, individui e piccoli gruppi vengono in primo piano, per plasmare una cultura più adatta alla nuova epoca, facendo a loro volta emergere nuove istituzioni. Lo storico americano William Irwin Thompson195 ha messo a confronto le attuali opportunità di cambiamenti sociali da parte di individui e piccoli gruppi con quelle di precedenti periodi della storia. Ad esempio, Thompson descrive Pitagora come un


4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

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radicale iniziato alle scuole misteriche dell’antico Egitto, il quale prese le conoscenze esoteriche dalle decadenti istituzioni egiziane e le trapiantò nel sud Italia, fondando la prima università al mondo, in cui insegnò matematica e scienze. I suoi seguaci, nel tentativo di lasciarsi alle spalle le dispute per il potere politico, si stabilirono in Grecia. Fu a questo punto che il terreno culturalmente fertile generò la cosiddetta cultura greca classica e l’origine della civiltà occidentale. Il Lindisfarne Institute dello stesso Thompson, che ebbe una certa rilevanza nella fondazione filosofica della controcultura, si ricollega ai monaci libertari di Lindisfarne, che convertirono gli abitanti delle Isole Britanniche al Cristianesimo molto prima che la Chiesa istituzionale facesse la sua comparsa in Inghilterra. Il grande potere globalizzato di organizzazioni di recente formazione, come le grandi multinazionali, tende a farci credere che tali strutture siano destinate a durare o addirittura a essere protagoniste permanenti della società umana. In realtà l’aspettativa media di vita di una multinazionale è più bassa di quella di una vita umana media. Le persone vive oggi vedranno sparire molte istituzioni e organizzazioni che attualmente dominano il mondo.

La mancanza di meccanismi di feedback diretto La terza ragione per cui la responsabilità personale è importante è che da essa bisogna ripartire come mezzo più rapido per ricostruire i necessari meccanismi di feedback negativo e positivo. La globalizzazione causa l’accumulo di benefici economici nei centri della ricchezza (Paesi e città ricchi), mentre gli impatti negativi sociali e ambientali si accumulano nelle periferie naturali e umane e nei Paesi poveri. Poiché è raro che ci troviamo a subire le conseguenze delle nostre decisioni e azioni, il normale feedback negativo e i meccanismi di autoregolazione che agiscono per impedire o migliorare i comportamenti inappropriati nelle società tradizionali non funzionano nella società moderna. A dispetto del conclamato potere dei media e dei sistemi di informazione moderni, la gente continua a vivere nel mondo che può vedere, sentire e toccare, mentre quasi tutti i nostri alimenti vengono forniti e gli altri nostri bisogni soddisfatti da fonti irraggiungibili dai nostri

sensi. Ciò significa che dobbiamo diventare più consci ed esplicitamente consapevoli della nostra dipendenza e del nostro impatto. Dobbiamo poi riorganizzare le nostre vite per chiudere il cerchio di causa ed effetto, in modo da provvedere alle nostre necessità facendo ricorso a risorse più vicine a casa nostra. Come ho già spiegato, il ben noto slogan ambientalista “Pensa globalmente, agisci localmente” significa molto di più del semplice opporsi a progetti di sviluppo edilizio locale per contribuire a salvare il Pianeta. Esso ci chiede di diventare coscienti della globalità dei problemi e della relazione che noi individui abbiamo con questa globalità; ci indica come riorganizzare il nostro modo di vivere, in modo che l’impatto sia il più possibile limitato al territorio che ci circonda. In pratica, potrebbe anche richiedere di accettare un impatto ambientale maggiore a livello locale, se in cambio otteniamo maggiore autosufficienza e controllo. Ad esempio, se noi tagliamo gli alberi di una nostra proprietà, quello che potrebbe a prima vista sembrare un impatto ambientale negativo si trasforma in positivo, se consideriamo che in tal modo evitiamo di comprare della legna tagliata chissà dove. Inoltre possiamo, in questo modo, agire da controllori su ciò che facciamo (con anche i feedback negativi che il tagliare in proprio la nostra legna e poi utilizzarla comporta). Anche comprandola da produttori locali, abbiamo la possibilità di capire meglio le complesse problematiche di chi ci vende la legna e di influenzarne la mentalità. Questo non succede, se la compriamo attraverso sistemi su cui non possiamo esercitare alcun tipo di influenza. Nel descrivere il feedback come uno dei meccanismi essenziali della rivoluzione apportata dalla progettazione industriale, Amory Lovins ha utilizzato un esempio illuminante. Se una fabbrica prende la sua fornitura d’acqua a valle del punto in cui scarica le sue acque di scolo, quella fabbrica sarà costretta a ridurre le sue emissioni inquinanti a zero. Un esempio ancora più radicale potrebbe essere quello di un’automobile con il tubo di scarico che riversa i gas all’interno dell’autovettura invece che addosso ai pedoni. In questo modo, il feedback stimola la responsabilità personale e la responsabilità personale a sua volta condiziona il tipo di feedback.

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Permacultura

L’individuo come sistema La quarta ragione per cui la responsabilità personale è un anello fondamentale è il bisogno di sviluppare il pensiero olistico, fondamentale per la società della decrescita energetica. Imparare a pensare olisticamente significa cancellare o invertire gran parte dell’eredità culturale degli ultimi secoli. Senza aver sperimentato il pensiero olistico e condizionati da questo fardello culturale, dobbiamo concentrare i nostri sforzi su sistemi semplici e accessibili, prima ancora di tentare di correggere sistemi grandi e complessi196. La propria persona è il sistema olistico più accessibile, più comprensibile e più a portata di mano da riformare. Questa logica riflette il modello universale dell’apprendimento per fasi: prima di camminare bisogna strisciare. Ma, naturalmente, già il rendersi conto dell’importanza di questo modello per fasi è un esempio di pensiero olistico. Di conseguenza, molti dei ragionamenti sulle strategie permaculturali che sto man mano presentando saranno probabilmente considerati cose del tutto scontate ed evidenti dal punto di vista del semplice buon senso o, all’opposto, stupidaggini incomprensibili.

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L’autocontrollo Siamo tutti condizionati in modo stupefacente da meccanismi di comportamento cui nemmeno facciamo caso. Nei nostri corsi di progettazione in permacultura ci siamo resi conto che le abitudini individuali più semplici e quotidiane sono quelle più difficili e cruciali da modificare. Eppure, ci rendiamo conto che sono tra quelle che maggiormente concorrono a rendere ecologicamente negativa la struttura della società in cui viviamo. Ad esempio, farsi un bagno o una doccia ogni giorno è considerato, dalla maggior parte della gente che vive nei Paesi ricchi, una parte dell’igiene personale a cui non si può rinunciare e che non può essere neppure messa in discussione. La domanda e l’offerta di acqua, energia, accesso ai servizi igienici sono diventate fattori importanti del processo economico globale. Assumersi le responsabilità delle conseguenze delle nostre abitudini e dei nostri comportamenti quotidiani diventa più facile, se inneschiamo un processo di revi-

sione personale delle nostre entrate e uscite, materiali e non, proprio come consideriamo le esigenze e le rese di una coltura nell’orto come parte integrante della progettazione. Questo processo non va ovviamente considerato come una sorta di confessione dei propri peccati, ma come un esercizio di osservazione ecologica precisa, che ha lo scopo di aiutarci a capire la reale struttura della nostra esistenza. Anche questo momento fa parte del pensiero top-down implicito nello slogan “Pensare globalmente, agire localmente”.

Il processo di autorevisione e controllo  Facciamo

un elenco di tutti i nostri bisogni, desideri, dipendenze, obblighi e responsabilità.  Prendiamo in esame tutti i condizionamenti e le connessioni.  Facciamo una mappa dei flussi materiali e di energia e dei nostri modelli di spostamento.  Cerchiamo di prenderci le nostre responsabilità, senza scaricare le colpe addosso agli altri.  Cerchiamo di capire quali potrebbero essere le opportunità più a portata di mano per ridurre la dipendenza, minimizzare i danni e migliorare la qualità della vita.  Procediamo per piccoli cambiamenti e rianalizziamo regolarmente il processo. Un altro punto importante, emerso nei corsi di progettazione in permacultura, è che i cambiamenti fondamentali di tipo materiale vengono considerati con sufficienza e ritenuti quasi scontati, mentre viene data grande importanza ai bisogni emotivi, intellettuali e spirituali. Molti di questi bisogni non materiali sono un derivato del consumo materiale o emergono in connessione con i consumi materiali ma possono essere soddisfatti indipendentemente dal consumo materiale, in modi molto semplici. Però l’educazione familiare, la pressione dei pari, l’ inesorabile pubblicità e la propaganda svolgono un enorme ruolo nel legare i bisogni emotivi, intellettuali e anche spirituali al consumismo. Ogni tradizione culturale e spirituale ci rimanda invece esattamente il messaggio opposto.


4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

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La dipendenza Un elemento forse ancora più importante del modo in cui riusciamo a soddisfare i nostri bisogni è capire quanto li identifichiamo come vere necessità e quanto invece come desideri diventati ormai falsi bisogni da cui siamo dipendenti. Bisogna riconoscere che questo processo, nel mondo moderno ed in noi stessi, ha raggiunto dimensioni oltremodo pervasive. Io ho descritto la permacultura (solo parzialmente in modo ironico) come una cura per drogati197 e utilizzo le crescenti conoscenze sulla struttura e sui processi implicati nella dipendenza farmacologica per capire le tante dipendenze che vedo nella vita di oggi: la dipendenza dallo shopping, dalla televisione e da altri media, dall’automobile e da altri fattori, che causano la nostra non sostenibilità ecologica. Il termine hedonic treadmill198 si riferisce al fenomeno per cui nelle società ricche, per mantenere costante il livello medio di felicità generale, è necessario un continuo aumento di ricchezza materiale, senza che ciò renda possibile il raggiungimento di un livello di felicità che dia appagamento una volta per tutte. Secondo me, è giunto il momento di dare il loro nome alle cose: questo fenomeno non è altro che dipendenza. Se qualcuno dice che la maggior parte della popolazione ha sviluppato una dipendenza dall’automobile – tanto per fare un esempio – la risposta sarà che non è vero, perché non si può paragonare questo tipo di dipendenza fisica ed emotiva con quella dannosa di un drogato. La risposta può essere a due livelli. Per prima cosa, se analizziamo a fondo l’impatto sociale e ambientale del trasporto tramite auto vediamo che il danno è profondo e permanente, anche se la gente soffre in modi non direttamente connessi alle decisioni prese per quanto concerne la guida. Come seconda cosa, l’unica maniera per testare la dipendenza fisica ed emotiva dei pendolari dalla guida sarebbe quella di provare a smettere di spostarsi in macchina. La rabbia irrazionale delle persone che durante gli scioperi non riescono a fare benzina è una chiara indicazione che la dipendenza esiste. E per i pendolari la cosa potrebbe assumere aspetti ancora più gravi, pericolosi quanto quelli di un eroinomane che non riesce a procurarsi una dose.

La stessa cosa si potrebbe dire per molti telespettatori, per quanto concerne la televisione, e per molti consumatori per quanto concerne la spesa al supermercato, se venisse loro negata la dose quotidiana. A parte le dipendenze personali, possiamo individuare anche una dipendenza sistematica di organizzazioni e istituzioni. Un esempio ben noto è la dipendenza di vari governi dalle entrate fornite dal gioco d’azzardo legalizzato o dalle tasse sul tabacco e sull’alcol. Qualsiasi discussione sulla transizione a sistemi agricoli biologici e a basso input energetico dell’agricoltura su vasta scala è del tutto inutile, se prima non ci rendiamo perfettamente conto che l’attuale agricoltura delle alte rese dipende da prodotti che garantiscono queste alte rese, gli stessi prodotti che corrono il rischio di distruggere la base produttiva dell’agricoltura di domani. Bloccare totalmente l’utilizzo dei prodotti da cui derivano le alte rese sarebbe come subire una crisi di astinenza, il che si tradurrebbe in un crollo totale della produzione. Capire la struttura di queste relazioni di dipendenza non fornisce risposte immediate, ma può aiutarci a comprendere che l’irrazionalità – certamente più della razionalità scientifica – è una molla potente, che mette in azione i meccanismi della società insostenibile in cui viviamo. Dopodiché potremmo anche cercare di progettare strategie di adattamento migliori. Parlando di dipendenze personali e della progettazione di nuove e più complesse soluzioni su larga scala, potremmo anche trarre le seguenti utili lezioni dalla stessa tossicodipendenza:  rendersi conto dei nostri stessi comportamenti indotti dalla dipendenza e riconoscere che rappresentano una barriera che ostacola una vita migliore e un mondo più sostenibile;  riconoscere che dalla dipendenza ricaviamo benefici emotivi o altro;  evitare di scaricare le responsabilità sugli altri, ad esempio sui genitori;  staccare la spina delle relazioni sociali con persone che rinforzano con la loro dipendenza la nostra e che non manifestano alcuna intenzione di cambiare stile di vita;

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Permacultura  entrare

in contatto con persone che si sono liberate dalle dipendenze e formare gruppi di auto-aiuto per cambiare insieme.

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Autosufficienza come azione politica La responsabilità personale ci spinge in modo naturale a essere più autosufficienti e meno dipendenti da fonti centralizzate di bisogni e responsabilità. Nel far questo, scopriamo anche che governi e imprese da una parte predicano la bontà dell’autosufficienza e dall’altra hanno bisogno della nostra dipendenza. Nei centri di potere, questo stato di bisogno è diventato talmente profondo che un semplice attenuarsi nella frenesia del consumo viene chiamato sciopero dei consumatori. Alcuni gruppi ambientalisti hanno scoperto che, concentrandosi su alcune azioni di boicottaggio di multinazionali come McDonald’s e Nike, si può avere un enorme impatto e ottenere grossi risultati. L’autosufficienza può essere interpretata come un boicottaggio generalizzato e invisibile che erode la quota di mercato e il dominio psico-sociale esercitato su vasta scala dai sistemi economici centralizzati che diffondono comportamenti antiecologici e generano, allo stesso tempo, dipendenza199. Ciò facendo, l’autosufficienza tende a generare e stimolare nuove forme locali di attività economiche. Ad esempio, l’autosufficienza nel produrre il cibo ha stimolato – invece che ostacolato – il sorgere di piccole aziende agricole biologiche locali, che servono i mercati locali200. A causa della sua natura informale, è difficile capire quanto l’autosufficienza sia efficace nell’indebolire lo strapotere del sistema economico e le pericolose disfunzioni a esso connaturate. Questa informalità/invisibilità dell’autosufficienza ha due effetti opposti: da una parte, rende difficile capire quanto potere hanno effettivamente le persone nel condizionare il sistema economico e dall’altra, rende vani gli sforzi di media, multinazionali e governi nell’individuare, controllare e bloccare quei processi che potrebbero andare contro i loro interessi. Questa resistenza al controllo è uno dei maggiori punti di forza di movimenti apparentemente disorganizzati che potrebbero essere descritti come anarchici, per quanto ri-

guarda le strategie adottate (ma forse anche per la consapevole filosofia da essi espressa). Il cosiddetto movimento antiglobalizzazione viene spesso deriso sui media, perché sembra non avere direzioni e obiettivi, ma forse questo atteggiamento non è altro che l’espressione della frustrazione delle élite per non riuscire a identificare rivendicazioni o leader precisi su cui concentrare denigrazione e tentativi di controllo (o, se necessario, negoziazione).

Autosufficienza come preparazione al disastro Molti attivisti sociali e politici non farebbero fatica a mettere in discussione il valore dell’autosufficienza, ma difficilmente potrebbero trovare qualcosa da ridire sull’autosufficienza come mezzo per ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti improvvisi causati dalla natura o dall’uomo. Come ho già detto, la progettazione dei sistemi naturali rende gli elementi del sistema autonomi nella massima misura possibile per garantire la resilienza complessiva del sistema più ampio ad eventuali azioni di disturbo. Il crollo di uno o più elementi non necessariamente deve dar luogo a un effetto domino per cui crolla l’intero sistema. La relativa autonomia dei vari elementi, oltre a rafforzare la resilienza, permette agli elementi stessi di diventare punti di partenza per la rapida evoluzione di nuovi sistemi quando quelli vecchi diventano non più funzionali o stabili rispetto alle condizioni attuali circostanti. Questo tema dell’evoluzione di nuovi ecosistemi (ecosintesi) verrà approfondito nel Principio 12. L’organizzazione della società e dell’economia moderna ha reso individui, famiglie e comunità dipendenti da risorse e servizi esterni a un livello storicamente senza precedenti. Ricordo che nel 1976 rimasi sbalordito, sentendo, nei notiziari successivi alla devastazione di Darwin201 per il ciclone Tracy, che il latte in polvere per neonati era uno degli articoli più urgentemente richiesti, perché pochissime madri allattavano al seno i propri figli. Probabilmente questo è un esempio in cui l’autosufficienza è aumentata, vista l’attuale enfasi a favore dell’allattamento al seno, ma in generale si è molto più dipendenti oggi che 25 anni fa da fonti centralizzate di risorse, di informazioni e di autorità.


4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

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Questa dipendenza è in parte dovuta all’economia consumistica, che sta sostituendo all’autosufficienza non monetaria beni e servizi adesso monetarizzati. È anche un risultato naturale della capacità della società di alleviare gli impatti dei disastri naturali e umani attraverso sistemi di infrastrutture e informazioni altamente costosi, progettati e costruiti da professionisti.

Progettare per fronteggiare gli incendi Permaculture One202 includeva un’intera sezione sul progetto teso a proteggere dagli incendi boschivi; in effetti, questo dovrebbe essere parte integrante di ogni tipo di progettazione rurale in Australia, specialmente nella sezione sudorientale del continente dove vive la maggior parte della popolazione e che è giudicata la regione a più alto rischio di incendio a livello mondiale. L’impostazione sostanzialmente progettuale della permacultura identifica consapevolmente l’autosufficienza e la capacità di progettare sistemi adeguati come elementi essenziali di una società del declino energetico soprattutto in caso di disastri naturali o generati dall’uomo. Da allora, la progettazione antincendio è entrata a far parte del corpo di informazioni convenzionali sulla prevenzione degli incendi in Australia, ma si è verificato anche un cambiamento più sostanziale. L’esperienza accumulata, negli anni ’80 e ’90, nella lotta ai grandi incendi boschivi alle periferie semi-rurali delle città, ha spinto i corpi dei vigili del fuoco – ad esempio, la Victorian Country Fire Authority – a capire i rischi di una gestione dirigistica (top-down)203 dell’evento incendio, a maggior ragione se la popolazione assistita ha sviluppato una cultura di dipendenza. La Country Fire Authority oggi facilita e stimola l’autosufficienza locale attraverso la formazione e la preparazione di squadre anti-incendio locali e gruppi di proprietari pronti a restare sul posto anche in caso di incendi di dimensioni pericolose. Le risorse professionali e umane per la lotta agli incendi non possono sostituire l’autosufficienza personale, familiare e comunitaria. La gestione professionale della lotta contro gli incendi ha avuto successo solo quando si è svolta in collaborazione con comunità e gruppi familiari sparsi nel territorio che avessero un alto grado di autosufficienza.

Molti pensano che gli incendi del 1983 (il “mercoledì delle Ceneri”) nello Stato di Victoria abbiano marcato un’intera epoca, dal punto di vista storico degli incendi catastrofici, ma essi impallidiscono al confronto di quelli del 1939 e di molti altri di epoche anteriori. Nel 1939, non c’erano i moderni mezzi di comunicazione o le risorse professionali disponibili oggi e la gente visse e lavorò nelle aree devastate senza affidarsi ad altro che all’autosufficienza. Nel 1983, le risorse a disposizione erano tra le migliori al mondo ma, senza l’autosufficienza diffusa tra comunità rurali e singole famiglie, la gestione verticistica (top-down) degli incendi attraverso l’utilizzo delle strategie di evacuazione per poco non causò delle vittime tra i cittadini. È ora ampiamente riconosciuto che, in caso di incendi con un fronte molto mobile e vasto, l’evacuazione controllata causa più prolemi di quanti ne risolva.

I sistemi sotto stress La dinamica descritta per gli incendi illustra un principio più generale sulla gestione dei disastri. I sistemi molto potenti riescono a isolarsi204 dagli effetti avversi dei disastri di piccola scala; questo isolamento, però, può generare un deficit di adattamento nell’affrontare grandi disastri. Prima o poi, arriva un disastro che manda all’aria i sistemi di gestione top-down, accelerando la catastrofe. In natura, i piccoli stress generalmente servono a mantenere il sistema adeguato alla situazione e, quindi, anche ad affrontare meglio le situazioni di stress severo. Il comportamento di organismi ed ecosistemi sottoposti a situazioni di stress estremo che minaccia l’integrità (o la vita) del sistema fornisce molti modelli per progettare consapevolmente dei sistemi resilienti. Ad esempio:  l’organismo di tutti gli animali a sangue caldo, in situazioni di freddo estremo, conserva il calore per gli organi essenziali, facendo, se necessario, morire gli arti;  nell’evoluzione di Gaia (il pianeta vivente) è adesso chiaro205 che gran parte delle funzioni critiche del Pianeta viene svolta da microbi capaci di sopravvivere alle più grandi catastrofi. La complessità degli organismi animali e vegetali superiori è la ciliegina sulla torta della vita, la quale può proliferare o essere stroncata da ere glaciali,

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Permacultura

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inversioni magnetiche, impatti di meteoriti ecc., senza che le funzioni vitali del pianeta vivente siano intaccate;  nelle fasi di carestia e di disordine sociale, gran parte delle funzioni economiche e sociali si disgrega, mentre il nucleo familiare riesce a preservarsi come unità fondamentale della società. L’esperienza delle carestie in Africa indica che, ai livelli estremi, le relazioni familiari si rompono, fatta eccezione per quella tra madre e figli;  i giovani genitori che attraversano la fase stressante dell’allevamento dei piccoli abbandonano frequentemente molti dei loro valori e ideali, per riadottare i modelli di comportamento (buoni o cattivi che siano) che hanno assimilato per osmosi dai propri genitori in età infantile. In tutte queste situazioni, le strutture e i processi che si sono evoluti più di recente vengono accantonati e si verifica un cadere all’indietro verso strutture e processi più sperimentati e più antichi, di ordine inferiore e su scala più piccola. La società moderna ha perso o ha volutamente tralasciato di queste funzioni apparentemente più antiche e informali, che invece servono da garanzia e protezione per le funzioni essenziali della vita. L’esercito è un rimasuglio costoso e formale di ciò che era una volta la struttura ampia e profonda delle strategie di protezione e dei complessi sistemi di sopravvivenza che erano patrimonio di ogni strato sociale206. Oggi i contadini dei Paesi più poveri del mondo manifestano ancora una superba resilienza nei confronti dei peggiori disastri naturali207. Nonostante le dimensioni massicce raggiunte a livello internazionale dai servizi di soccorso in caso di disastri, la risposta delle comunità autosufficienti rimane il fattore predominante per il ripristino della normalità nella maggior parte del mondo. Dopo il terremoto di San Francisco (1989) – un sisma certamente non dei maggiori – la mobilitazione comunitaria nei quartieri poveri a maggioranza nera fu più efficace, rispetto a quella delle periferie abitate dai bianchi benestanti208. La vulnerabilità ai disastri naturali o provocati dall’uomo nella società moderna è talmente grande che è concepibile che una serie di disastri naturali possa portare a una depressione globale e persino al collasso della ci-

viltà moderna. Anche se può sembrare assurdo, possiamo provare a immaginare cosa sarebbe successo, se il terremoto verificatosi nell’area di Tokyo nel 1923 si fosse ripetuto nel momento di picco del boom economico giapponese, quando otto delle dieci banche più grandi del mondo erano giapponesi ed erano tutte massicciamente esposte agli alti e bassi del mercato immobiliare di Tokyo209. L’industria delle assicurazioni a livello globale è già oggi in affanno, in seguito al ripetersi di disastri naturali nei Paesi ricchi; disastri attribuiti agli effetti del riscaldamento globale210. A quanto sembra, la crescita di valore dei patrimoni materiali va di pari passo con l’aumento della dipendenza da sistemi centralizzati e questo con la vulnerabilità su larga scala ai disastri. La moderna società industriale sta creando le condizioni per fare la fine di Atlantide. Non intendo enfatizzare in modo isterico alcun rischio o possibile impatto in particolare, ma sottolineare l’importanza di alcuni dei valori sistemici fontamentali connaturati all’autosufficienza. Una società che non investe nell’autosufficienza, alla fine soffrirà per la sua miopia. Applicando i principi della permacultura alla nostra vita e a quella dei nostri familiari e alle relazioni comunitarie, non facciamo che ricostruire quelle strutture profonde da cui emanano la sicurezza collettiva e anche, in una certa misura, quella individuale, che insieme ci proteggono contro i disastri. Dovremmo dare per assodato che l’ostinata ricerca di sicurezza non avrà mai un termine; gli acuti lamenti che implorano protezione ai padri-padroni e i programmi di protezione “machisti” sbandierati da quest’ultimi sono controproducenti e poco realistici. Bisogna accettare che qualsiasi comportamento improntato ad autosufficienza avrà sempre dei limiti per quanto concerne l’efficienza e il grado di sicurezza, ma, una volta prese in considerazione tutte le variabili, l’autosufficienza rimane sempre una delle più importanti strategie, sia per chi guarda alla libertà economica e politica, sia per chi semplicemente vuole affrontare al meglio le vicissitudini che la natura e la vita ci mettono davanti giorno per giorno.


4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback

Conclusione

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Gli ideali dell’autonomia e dell’autosufficienza non sono affatto in contraddizione con l’apertura al mondo e con una mente sgombra da pregiudizi. Il Principio 4 ci aiuta a mettere in equilibrio e integrare gli imperativi umani legati all’autosufficienza secondo modalità che sono in sintonia con la società del declino energetico. Quando ci mettiamo alla ricerca di piante rustiche locali che possono servire a creare una barriera frangi-

vento, quando decidiamo di usare una compost-toilet (a secco), quando decidiamo di partorire in casa, quando riduciamo lo status della televisione in modo che non sia più il membro più importante della famiglia, quando ci comportiamo in questi e altri modi simili, applichiamo il principio dell’autoregolazione e accettiamo il suo feedback. E, mentre diamo più potere a noi stessi, contribuiamo a costruire un mondo più equilibrato e armonioso, in grado di continuare a sostenere la vita e l’umanità.

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Principio

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Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili

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Lascia che la natura segua il suo corso211 Le risorse rinnovabili sono quelle che vengono rimpiazzate e sostituite mediante processi naturali in un lasso di tempo ragionevole, senza che vi sia bisogno di far ricorso a input importanti di tipo non rinnovabile. Nel linguaggio degli affari, le risorse rinnovabili dovrebbero essere considerate le nostre fonti di reddito, mentre quelle non rinnovabili possono essere considerate il nostro capitale fisso. Spendere il capitale fisso per poter vivere giorno per giorno è qualcosa di poco accettabile e pensabile, da parte dei più. La progettazione permaculturale dovrebbe mirare a fare il miglior uso delle risorse naturali rinnovabili, per assicurarsi e mantenere costanti i raccolti, anche se all’inizio, per far partire il sistema, può essere richiesto l’utilizzo di quantitativi limitati di risorse non rinnovabili. Nel ripristinare l’equilibrio tra uso di risorse energetiche rinnovabili e uso di risorse energetiche non rinnovabili, si dimentica spesso che molte di quelle che adesso ai più sembrano nuove idee erano la normalità non tanto tempo addietro. Sarebbe buffo, però, considerare cosa innovativa o originale che una persona con una coscienza ecologica utilizzi una asciugatrice solare per il bucato, quando è sempre stato del tutto naturale far asciugare il bucato al sole. Ma il fenomeno non è che un riflesso del fatto che la riappropriazione in chiave ecologica di molte funzioni passa attraverso la liberazione del dominio delle tecnologie e dei combustibili fossili (nella fattispecie, le asciugatrici elettriche). I servizi rinnovabili (o funzioni passive) sono quelli che ricaviamo da piante, animali, suolo e acqua senza che que-

sti vengano consumati. Ad esempio, quando usiamo un albero per ricavare della legna utilizziamo una fonte rinnovabile, ma quando invece utilizziamo quello stesso albero per avere ombra o riparo ricaviamo semplicemente un beneficio da un albero vivo, che non viene consumato e, pertanto, non richiede neppure energia per attuare il raccolto. Capire questo semplice fatto, per quanto ovvio, può avere una potente influenza sulla ristrutturazione di sistemi in cui molte semplici funzioni sono del tutto dipendenti dall’utilizzo non sostenibile di risorse non rinnovabili. Il progetto permaculturale dovrebbe fare il miglior uso possibile del non-consumo di servizi naturali, minimizzando la nostra richiesta di consumo di risorse disponibili e sottolineando, invece, le possibilità di interazione armoniosa tra uomo e natura. C’è un importante esempio, nella storia umana, che rende bene il concetto di quanta prosperità sia derivata all’uomo dal non consumo delle risorse naturali ed è l’addomesticamento del cavallo da parte dell’uomo per provvedere ai trasporti, alla coltivazione della terra e a varie altre finalità. L’intima relazione con animali domestici come il cavallo ha inoltre fornito all’uomo una chiave empatica per estendere alla natura i contenuti etici riservati solo alla comunità umana. Il proverbio “Lascia che la natura faccia il suo corso” ci ricorda che l’intervento umano spesso non fa che complicare i processi naturali, peggiorando le cose. Dovremmo pertanto sforzarci di capire, interpretare, rispettare e dare la giusta importanza alla saggezza insita nei processi e nei sistemi biologici.


5. Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili

Le risorse rinnovabili come energia

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Nel Principio 2 abbiamo introdotto l’idea che tutte le risorse e perfino i servizi siano forme di energia a diversa concentrazione, che fanno da propulsore allo sviluppo di tutti i sistemi auto-organizzati; nello stesso capitolo, abbiamo collegato questa idea a quelle più familiari di ricchezza, potere, capitale e reddito. Nel Principio 3 ho collegato l’energia incorporata (EMERGY), utilizzata per misurare varie fonti di biomassa, al tasso di rinnovabilità delle fonti stesse, confermando che le fonti di biomassa accumulatesi più lentamente nel tempo sono quelle di maggior valore. I tassi di flusso limitati e spesso irregolari delle energie rinnovabili costituiscono la ragione per cui sono state sostituite dai combustibili fossili, che hanno invece tassi di flusso regolari e ad alta intensità. Man mano che ci inoltriamo nella necessaria transizione a una società del declino energetico, la natura irregolare e limitata delle energie rinnovabili presenta un prezioso feedback negativo che ci ricorda che tutte le risorse naturali devono essere utilizzate con rispetto e attenzione212.

I criteri per l’utilizzo delle risorse rinnovabili Per sviluppare un più profondo senso dell’utilizzo appropriato (o inappropriato) delle energie e delle risorse rinnovabili, dobbiamo capire sia i modelli di funzionamento su ampia scala che le esigenze specifiche delle risorse rinnovabili, in modo da: ΩΩ utilizzarle nella maniera più proficua possibile; ΩΩ fare in modo che l’utilizzo rientri nel limite rinnovabile della risorsa. Ciò che costituisce un uso appropriato dipende sempre da fattori specifici relativi al sito e alla situazione. Lo schema mentale da società industriale, secondo cui le risorse vengono utilizzate in modo standardizzato e rozzo, deve essere sostituito, oltre che da una grande varietà di risorse, anche da un loro utilizzo diversificato. L’idea che bisogna fare maggior uso delle risorse rinnovabili è oggi diventata un patrimonio comune, ma la realtà

potrebbe anche risultare disastrosa a livello aziendale. In Australia e in altri Paesi sta già montando una controversia sul fatto di raccogliere o meno gli scarti di legname nelle foreste native, da utilizzare come biomassa per ricavarne energia. Tale controversia assume dimensioni ben più ampie se pensiamo a Paesi e regioni della Terra meno industrializzati dell’Australia in cui raccogliere la legna dei boschi per cucinare o altri utilizzi è essenziale alla sopravvivenza. La raccolta della legna potrebbe avere, in aree già soggette a deforestazione, un impatto ambientale devastante.

Il tempo di rinnovamento di una risorsa e l’emivita di un prodotto Per decidere se l’utilizzo di una risorsa rinnovabile è ragionevole o meno, è utile chiedersi: la funzione o il prodotto per cui quella risorsa verrà utilizzata durerà almeno il tempo che c’è voluto perché la natura generasse quella stessa risorsa? Ovviamente, sarà appropriato fare uso quotidiano del sole, delle maree, dell’acqua e del vento, perché sono energie che si rinnovano quotidianamente o stagionalmente. Se invece consideriamo l’utilizzo del legname di una foresta, la questione diventa più problematica, perché ci rendiamo subito conto del tempo che impiega una foresta o un singolo albero per crescere. I prodotti fatti di carta possono sì avere una emivita213 di qualche anno, ma l’albero da cui la carta è stata ricavata avrà impiegato decenni o anche secoli per crescere. Al contrario, se da quello stesso albero ricaviamo un bel tavolo per la sala da pranzo, quel tavolo può avere una emivita di centinaia di anni. Ciò, ovviamente, rappresenta un utilizzo molto più appropriato della risorsa albero. Il concetto di “emivita” potrebbe essere molto utile, ma tende purtroppo a riflettere l’alto turnover di materiali della nostra società usa e getta. In una società futura a basso consumo di energia, in cui il rinnovo degli oggetti diventasse meno rapido (v. Principio 9), il rifiuto minimo e la manutenzione una cosa del tutto normale (v. Principio 6), l’emivita di un prodotto potrebbe estendersi molto. Un libro fatto con carta di alta qualità potrebbe, potenzialmente, durare ed essere utilizzato a lungo, quanto il tavolo da pranzo di cui si parlava prima, passando da una generazione all’altra e quindi giustificando l’uso di risorse naturali lentamente rinnovabili (come il legno di vecchi alberi).

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Permacultura

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Da ogni risorsa prodotti multipli Qualsiasi utilizzo sensato di una risorsa naturale porta con sé, inevitabilmente, una serie con prodotti principali e secondari di vari gradi di valore. Qualsiasi utilizzo che trasformi al 100% una risorsa in un singolo prodotto dovrebbe far nascere dei sospetti, perché ciò rappresenta inevitabilmente una svalorizzazione dei molti potenziali usi di quella risorsa naturale214. Alcuni anni fa, un appaltatore stava disboscando un tratto di terreno vicino a un centro residenziale. Quando venne il momento di tagliare gli alberi nella lunghezza utile per farne legna da bruciare, gli chiesi perché, invece di tagliare tutto il legname in quella misura, non utilizzava gli alberi diritti e durevoli di Eucalyptus melliodora215 per farne dei pali da recinzione. Rispose che dei pali da recinzione non sapeva cosa farsene. Allora mi offrii di comprare gli alberi già tagliati, ma non ancora fatti a pezzi, pagandoglieli al costo della legna da bruciare. È la stessa mentalità che spinge, su scala molto più ampia, a disboscare intere aree per trasformare tutto il legname in fibra di legno o in legna da ardere, ignorando del tutto il potenziale d’uso di (almeno) una parte del legname per utilizzi più nobili. La valutazione del processo globale Non è possibile valutare l’uso appropriato di risorse naturali separatamente dal contesto industriale più ampio. Per fare un esempio, il processo di produzione industriale dei mobili richiede il taglio e la preparazione di un gran numero di alberi per ottenere una buona quantità di legname di alta qualità adatta a realizzare dei tavoli. In casi come questi bisognerebbe chiedersi se davvero la costruzione di quei tavoli rappresenti un utilizzo più appropriato rispetto ad altri utilizzi “usa e getta” e di valore più basso – come trasformare gli alberi in polpa di legno per farne carta, oppure in legna da bruciare – che almeno sfruttano tutto il legno e non solo la parte più pregiata. In alternativa, si potrebbe anche immaginare un artigiano che, con tutto il legname scartato dopo il taglio della foresta, riuscisse a costruire il mobile più originale che si riesca a immaginare. Sarebbe il miglior esempio di uso delle risorse rinnovabili.

Un approccio olistico, che vede ogni risorsa e prodotto come parte di un’ecologia industriale più grande, rivela molte importanti connessioni e rimandi incrociati. I concetti dell’impronta ecologica216 e dell’EMERGY, già menzionati in sezioni precedenti sono utili per fornire risposte quantitative a queste domande.

Uso appropriato I modi di utilizzo dei prodotti derivati da risorse naturali sono importanti quanto il modo in cui i prodotti sono fatti. Il tavolo da pranzo, cui abbiamo già fatto cenno, quando viene utilizzato da un grande gruppo familiare non ha nulla a che fare con quello usato una volta ogni tanto per un dinner party in una casa di solito vuota. Il primo, sarà impregnato di ricordi e impronte viventi; l’altro, riempirà semplicemente uno spazio, uno spazio di solito chiuso a chiave, assicurato, riscaldato e mantenuto in ordine, anche se non serve a nulla. La dimensione del capitale fisso Oltre al tempo di ricostituzione di una risorsa, anche la quantità totale di risorsa disponibile è di importanza cruciale, perché può fornire un ammortizzatore contro gli effetti avversi delle variazioni nel ritmo del consumo. In qualche misura, per avere un’idea di quanto abbondante sia davvero una risorsa rinnovabile si possono moltiplicare tra loro i fattori del tempo di crescita necessario per rigenerarla e delle sue dimensioni attuali. Storicamente, le foreste hanno fornito alle nazioni un capitale fisso, che si accumulava in tempi di pace e veniva sfruttato in anni di guerra. In una piccola proprietà rurale, un lotto di bosco, che potrebbe teoricamente soddisfare il fabbisogno di combustibile di una famiglia, è in pratica difficile da gestire, perché un diradamento a rotazione, che produca una fornitura costante di legna anno per anno, potrebbe dare risultati davvero poco soddisfacenti.

L’investimento di energie non rinnovabili In epoca preindustriale, l’utilizzo di risorse rinnovabili andava di pari passo con lo sfruttamento di energie e risorse rinnovabili. Il lavoro umano, la forza animale e molti degli


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5. Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili attrezzi usati in agricoltura e silvicoltura erano tutte risorse rinnovabili generate da fonti rinnovabili, spesso le stesse fonti su cui lavoravano. I cavalli utilizzati per arare i terreni e seminare le colture erano generalmente alimentati dalle stesse fattorie a cui appartenevano. Nelle tradizionali operazioni di silvicoltura, il bosco forniva gran parte dei materiali occorrenti per costruire gli attrezzi che servivano per sfruttare il bosco. Le segherie erano azionate dalle macchine a vapore, che venivano a loro volta azionate dagli scarti di lavorazione della stessa segheria. I vistosi aumenti di produttività ottenuti nell’agricoltura moderna vengono perseguiti attraverso l’utilizzo di energie non rinnovabili che alimentano il processo di produzione. Si tratta di energia, materiali e tecnologia, che coadiuvano la gestione, la raccolta e la trasformazione di risorse naturali. Questi processi aggiunti non solo hanno aumentato le rese totali, ma hanno anche trasformato la stessa agricoltura, che non è più il mezzo primario per produrre risorse rinnovabili (i classici raccolti), bensì uno dei principali consumatori di risorse non rinnovabili. In un corso di permacultura tenuto in Israele mi spinsi a sostenere che un bicchiere di latte prodotto in Australia era forse per il 20% petrolio e in Europa era forse il 50%; mentre, da quanto avevo visto, un bicchiere di latte prodotto in Israele probabilmente era all’80% petrolio217. Per raccogliere, immagazzinare e usare energie rinnovabili bisogna avere a disposizione quantità notevoli di energia (generalmente non rinnovabile) di alta qualità. Le valutazioni EMERGY dimostrano che gli investimenti (input) per centrali idroelettriche e centrali che sfruttano le maree sono molto bassi, perché sono stati i processi attivi nel territorio a creare gran parte delle infrastrutture necessarie. Nel caso di biomassa ricavata da scarti della foresta o diradamenti, la fotosintesi e i processi naturali della foresta hanno già fatto gran parte del lavoro. Nel caso dell’energia eolica, la più bassa qualità e la natura irregolare di questa fonte energetica richiede una infrastruttura di raccolta molto estesa. Per l’energia solare, la risorsa è molto abbondante, ma di qualità molto bassa, per cui l’infrastruttura richiesta in funzione dell’energia raccolta è ancora più sostenuta.

Le celle solari: la salvezza a portata di mano o un diversivo tecnologico? Nonostante questi limiti, le celle fotovoltaiche che trasformano la luce solare in elettricità sono considerate il grande simbolo dell’energia rinnovabile, senza tenere in conto l’effettiva graduatoria dell’efficienza energetica nel contesto del declino. L’energia solare è considerata da molti la fonte di energia ambientalmente pulita, ad alta tecnologia e al contempo efficiente energeticamente che sosterrà la società del futuro. Anche se l’energia fotovoltaica è un metodo conveniente per generare elettricità in luoghi isolati e lontani dalla rete elettrica e può costituire un contributo positivo nell’era del trapasso dallo sviluppo al declino, io sono convinto che una società altamente tecnologica basata sull’energia solare sia più una favola che una possibile realtà. Il fondamento di questa opinione un po’ eretica dipende in parte dai metodi utilizzati per valutare la resa energetica netta delle cellule fotovoltaiche. In altri termini, è proprio vero che raccolgono più energia, nel corso della loro vita utile, di quanta ne è richiesta per la loro fabbricazione e manutenzione? Sono stati svolti diversi studi utilizzando diverse metodologie che valutano la quantità di energia incorporata, e questi studi dimostrano dei risultati energetici netti positivi. L’analisi EMERGY suggerisce invece che le cellule fotovoltaiche sono in perdita netta218. Le differenze tra EMERGY e altri metodi di valutazione sono per lo più dovute alla diversità nel valutare l’apporto di manodopera e servizi. Nella maggior parte degli altri metodi, l’apporto della manodopera viene misurato mediante l’uso di energia metabolica (prodotta dal cibo) o, in alcuni casi, il consumo di carburanti a livello nazionale219. Il metodo EMERGY misura l’input del lavoro umano con la quota di EMERGY usata a livello nazionale. Tramite queste misure il lavoro umano negli USA viene valutato 200 volte più prezioso (e caro) dell’energia metabolica e circa il doppio della semplice quota carburanti nazionale220. Queste cifre rappresentano delle medie nazionali, indipendenti da ciò che effettivamente la gente consuma. Conseguentemente, una donna (o uomo) delle pulizie semianalfabeta ha lo stesso costo del programmatore di software con la paga più alta.

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Permacultura Ciò potrebbe essere una buona idea, ma non trova riscontro nella realtà economica o ecologica. Se moltiplichiamo queste cifre per il reddito, otteniamo i costi differenziali (per quanto grossolani) dell’input del lavoro umano. La produzione delle celle fotovoltaiche è un processo di alta tecnologia che richiede un input di manodopera molto specializzata, mentre la quantità di energia generata per pagare lo stesso input è relativamente bassa; tuttavia, sono i costi di amministrazione e funzionamento a produrre questi rapporti di resa EMERGY così deludenti. Detti costi si potrebbero ridurre sostanzialmente man mano che le centrali solari diventano sempre più una cosa normale. I costi equivalenti per piccoli impianti solari domestici possono essere molto inferiori. Anche tenendo conto di questi miglioramenti, l’altro fattore importante, nello sgombrare il campo dalle rosee previsioni sulle celle fotovoltaiche, è basato sulla comprensione della legge della massima potenza (v. Principio 3). Poiché l’energia solare è stata l’energia esterna primaria disponibile per la vita sulla Terra, miliardi di anni di evoluzione hanno probabilmente già ottimizzato la cattura e la conversione di energia solare. Le alternative tecnologiche difficilmente potranno essere alla pari, in termini di efficienza, con quanto hanno fatto miliardi di evoluzione (se il metro di misura è quello giusto). Per citare Howard Odum: «Con la ricerca e l’esperienza di produzione, la necessità di merci e servizi richiesta per fabbricare le celle fotovoltaiche diminuisce di poco ogni anno. I costi per unità di energia diminuiscono lentamente; tuttavia, anche quando tale processo raggiungerà i massimi livelli di efficienza stabiliti dalla termodinamica, l’efficienza delle celle si potrà solo avvicinare a quella dei cloroplasti della pianta verde, la cellula fotovoltaica della natura. Studi svolti nel campo della biofisica, che forniscono curve di efficienza in funzione dell’intensità della luce solare per cloroplasti isolati, dimostrano che questi ultimi sono più efficienti delle cellule fotovoltaiche. Forse la naturale trasformazione di luce solare in carica elettrica che avviene nella fotosintesi di tutte le

piante verdi, dopo un miliardo di anni di selezione naturale, potrebbe già essere la più alta EMERGY netta possibile221, 222».

Gli alberi sono le centrali elettriche solari della natura Il più alto sviluppo, nella raccolta e nella conservazione biologica di energia solare in forme utili alle future generazioni, è rappresentata dagli alberi. Per quanto non accumulino direttamente elettricità, gli alberi trasformano in modo assai efficiente l’energia solare molto diluita nel legno, che a sua volta può sostituire nel modo più efficiente molti attuali utilizzi dei combustibili fossili. Ad esempio, le moderne tecnologie dei gassificatori a legna223 e delle turbine a microgas sembrano costituire un percorso molto più economico per la produzione di elettricità rispetto alle cellule fotovoltaiche224. L’analisi EMERGY della generazione di energia attraverso la combustione del legno conferma quanto appena detto225. Quando questa produzione di energia viene combinata con i seguenti vantaggi, gli alberi costituiscono chiaramente la migliore fonte di energia rinnovabile per il futuro. Ecco i vantaggi degli alberi come fonti di energia rinnovabile:  forniscono legno per la produzione decentralizzata di carburante per i trasporti tramite l’utilizzo di tecnologie intermedie (gas da legno o metanolo, N.d.T.: tali combustibili potrebbero in futuro essere facilmente convertiti in idrogeno, se l’assai vantata economia all’idrogeno diventasse una solida realtà nel prossimo decennio);  forniscono legname da opera di tipo strutturale, fibra e prodotti chimici derivati dal legno per sostituire materiali ad alto contenuto di energia, come il calcestruzzo o altri materiali metallici o sintetici;  le foreste producono miele e altri prodotti e servizi di tipo ambientale;  le foreste per la produzione di legno possono crescere in modo sostenibile sui terreni più poveri, inadatti alla produzione di colture alimentari.


5. Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili

Il ruolo appropriato delle celle solari

L’uso sostenibile delle risorse rinnovabili

Le celle fotovoltaiche possono costituire un valido contributo alla produzione di energia elettrica durante la transizione alla fase di declino nella disponibilità di energia, poiché utilizzano parte dell’energia contenuta dai combustibili fossili, stoccata in esse sotto forma di competenze umane e capacità produttiva industriale. Ciò è particolarmente vero nei seguenti casi:

Se sfruttare227 alberi e altre risorse biologiche per soddisfare i nostri bisogni di energia e materiali è ciò che sarebbe meglio fare in futuro, allora il tema chiave è agire in modo che lo sfruttamento di detta risorsa non significhi impedire alla natura di ricostituire e rinnovare quella stessa risorsa. Inoltre, nei casi in cui le risorse naturali siano state già esaurite, avremo bisogno di ricostituire il capitale naturale, come già descritto nel Principio 2, facendo in modo che questo capitale possa fruttare nel futuro, quando avremo bisogno di attingere energia e materiali. Alcuni ambientalisti ritengono che lo sfruttamento delle foreste naturali non sia mai un’azione ecologicamente sana e che tutti i prodotti della foresta dovrebbero invece derivare da piantagioni effettuate su terreno agricolo. Altri hanno suggerito di impiantare colture annuali come quella della canapa in alternativa agli alberi e come fonte di fibra legnosa. La canapa è un eccellente sostituto del cotone – coltura che richiede alti apporti di acqua, fertilizzanti e pesticidi – ma ha poco senso coltivarla per farne polpa di legno, perché la canapa, essendo una pianta annuale, ha bisogno di terra arabile, che potrebbe essere utilizzata per la produzione di cibo. La polpa di legno potrebbe essere invece un prodotto secondario della produzione di legname eseguita su terreni poco fertili, anche impervi, con grandi vantaggi dal punto di vista ambientale228. A Melliodora usiamo il legno raccolto con il diradamento da foreste native229, opportunamente gestite e controllate, per usi strutturali, come combustibile per cucinare, per scaldare l’acqua e per il riscaldamento. Per me, questo utilizzo rispecchia i principi della permacultura, quasi quanto li rispecchia l’aver utilizzato come legna da ardere e come pali gli alberi che abbiamo piantato noi a Melliodora. Cosa costituisca lo sfruttamento sostenibile di foreste naturali è difficile da puntualizzare e può essere verificato solo dopo lunghi periodi di tempo con un’attenta gestione e documentazione. Ma queste difficoltà non costituiscono un buon motivo per evitare di usare risorse naturali, scegliendo invece soluzioni più tecnologicamente raffinate. Alla fin fine, dovremo sporcarci le mani, se vogliamo

la richiesta di energia è su piccola scala e lontano dalla rete;  nei climi caldi e aridi, dove la bassa piovosità limita lo sviluppo delle foreste e la produzione di altre biomasse;  negli ambienti urbani soleggiati in cui i pannelli solari possono fungere anche da tetti solari.

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 quando

Le celle fotovoltaiche possono avere grande rilevanza nello spingerci a capire quanto preziosa sia l’energia elettrica, soprattutto quando ci renderemo conto che dovremmo utilizzare questo tipo di energia solo per funzioni di alta qualità (piccoli motori elettrici, illuminazione e comunicazioni). Le persone, sempre più numerose, che utilizzano piccoli impianti solari autonomi, sono i pionieri di una nuova cultura. Da una parte hanno ridotto il loro consumo di elettricità e dall’altra continuano a far parte della moderna società opulenta. Il valore delle loro scelte e delle loro azioni è molto superiore a quello valutato in base ai guadagni o alle perdite, in termini energetici, degli impianti solari226. Nonostante quanto ho appena detto, fra 200 anni il primato degli alberi quali fonti di energia rinnovabile sarà probabilmente ormai radicato e i pannelli solari saranno una delle tante forme di alta tecnologia di un passato dimenticato, che a nessuno verrà più in mente di fabbricare. Questi appunti critici sui pannelli e sull’energia solare dimostrano che la permacultura – e il Principio 5 in particolare – ha come principale obiettivo quello di riscoprire delle soluzioni biologiche come principale alternativa alla tecnologia. L’idea che la natura sia la strada da seguire (nature knows best) è spesso sostenuta dalle più rigorose opinioni scientifiche.

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Permacultura adattarci alla società del declino energetico. L’immagine di una tecnologia verde pulita, in cui non vi sia bisogno di aver a che fare con la natura o di uccidere altri esseri viventi per soddisfare i nostri bisogni è, in ultima analisi, una illusione. Questa illusione sembra avere una sostanza solo perché le generazioni più urbanizzate e ricche del globo si sono completamente distaccate dalla natura230. In un mondo in cui domina la crescita energetica è naturale che i sistemi ad alto rendimento gestiti in modo intensivo sostituiscano i sistemi a basso rendimento o allo stato naturale, quindi affidati ai meccanismi naturali dell’autoregolazione. In un’epoca di discesa energetica, invece, l’efficienza delle risorse naturali autoregolate tornerà a essere importante, anche se le pressanti richieste della popolazione umana renderanno necessari sia l’ottenimento di alte rese sia una maggior cura nei metodi di raccolta. Il raccolto o sfruttamento sostenibile può essere definito come il surplus prodotto da un sistema oltre la quantità necessaria per soddisfare le esigenze del sistema stesso. La complessità dei sistemi naturali e le fluttuazioni determinate dalle stagioni e da altri fattori richiedono di essere molto conservatori231 nei confronti di ciò che si raccoglie e anche per quanto concerne (quella che crediamo sia) un raccolto sostenibile: il come e il quando sono importanti al pari della quantità.

Risorse fluttuanti e mobili L’importanza dei tempi e della periodicità è già stata discussa nel Principio 3. L’accumulo di legno negli alberi vivi e la lenta stagionatura della legna già tagliata consentono una notevole flessibilità di tempi. Invece, per quanto riguarda la raccolta, se non si scelgono il periodo e il momento giusti molte risorse animali e vegetali spariranno. Ad esempio, l’intero raccolto di alberi come peschi, albicocchi, ciliegi e simili può sparire a causa degli uccelli o marcire nel giro di una settimana. Anche per la fienagione bisogna scegliere il momento giusto, quando nella pianta si crea la massima concentrazione di sostanze nutritive ma prima che il foraggio vada in seme. Questa è un’abilità cruciale per molte aziende agro-pastorali di tante regioni del mondo. Un esempio di risorsa naturale che può essere sfruttata sempre senza condizionare negativamente i futuri

raccolti è dato dagli yabby, gamberi d’acqua dolce molto diffusi nelle dighe australiane. In questi bacini, a causa del costante afflusso di sostanza organica lasciata dai sedimenti di ruscelli e fiumi e della grande capacità riproduttiva di questi crostacei, si crea un costante rinnovo. Senza la cattura, la quantità di crostacei non riesce a crescere oltre un certo punto, a causa della competizione alimentare. Se invece si effettuano regolarmente le catture, i crostacei rimasti avranno tempo e modo di diventare grossi. Altrimenti, si troverà soltanto una gran quantità di gamberi piccoli. In alcune annate, si possono catturare in gran numero alcuni uccelli acquatici dalla vita breve, come le anatre, per evitare un aumento eccessivo della popolazione. Il problema è che questi uccelli migrano da una regione all’altra e spesso da un continente all’altro; una numerosa presenza di anatre in un luogo non necessariamente indica un surplus. Per quanto concerne gli uccelli selvatici, per assicurare la sostenibilità del raccolto ci sarà quindi bisogno di una più vasta conoscenza dei loro modelli di spostamento e aggregazione.

La regolazione delle raccolte dal selvatico nelle società tradizionali Poiché i sistemi naturali selvatici possono essere sfruttati senza bisogno di lavori specifici o di altri input (fatta eccezione per l’atto stesso del raccogliere), è naturale considerare queste risorse come gratuite. Quando non sono richiesti pagamenti o altre forme di feedback accade spesso che si verifichi una raccolta esagerata. Nei casi in cui questi sistemi siano parte di proprietà comuni (common), e non privati, l’incentivo a uno sfruttamento eccessivo diventa ancora più spinto232. Per definire cos’è un raccolto sostenibile sono necessari secoli di esperienza e di errori. Questa conoscenza diventa con il tempo parte viva della tradizione culturale, assumendo la forma di una sorta di saggezza appresa, con tanto di sanzioni e tabù, per impedire comportamenti contrari agli interessi comuni, motivati da egoismo e avidità, che danneggerebbero il processo naturale che assicura prodotti abbondanti per tutti. Le tradizioni degli Indiani d’America


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5. Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili avevano come punto centrale la necessità di considerare gli effetti delle loro azioni per le future sette generazioni, mentre in Europa si racconta, in una favola, che esisteva un’oca dalle uova d’oro233. Nelle società agricole tradizionali, gli ecosistemi naturali, posti oltre i confini dei lotti a coltivazione intensiva, fornivano raccolti complementari importanti ed erano quasi universalmente proprietà comuni. Alcune tracce di questa antichissima tradizione sussistono ancora in qualche villaggio inglese, in cui il common designa il prato comune. In Nepal, un ettaro di terra arabile – su cui coltivare riso e ortaggi, avere qualche albero da frutta e tenere alcuni capi di bestiame – era un tempo sufficiente al sostentamento di un contadino e della sua famiglia; tuttavia, questo sistema prevedeva anche sette ettari di foresta in comune con altre famiglie per rifornirsi di foraggio per il bestiame, legna da ardere, materiali da costruzione e altri prodotti speciali, fra cui le erbe officinali234. Un seguace degli Hare Krishna235 – con una notevole esperienza di agricoltura e permacultura – ci ha presentato un’interpretazione del principio di divisione in zone della proprietà agricola sulla base della tradizionale divisione indiana dell’utilizzo della terra praticata dai bramini attraverso il sistema delle caste. Ci ha spiegato che tutti avevano il diritto di fare l’orto (zone 1 e 2) per provvedere ai bisogni della famiglia. Coloro che, invece, avevano abilità tecniche e spinta imprenditoriale potevano accedere alla terra arabile (zona 3), per produrre alimenti base da immettere sul mercato. L’utilizzo di foreste e pascoli (zona 4) era severamente regolato e naturalmente c’era sempre una zona sacra, preclusa a qualsiasi utilizzo di altra natura (zona 5). L’élite dei bramini sapeva che lo spirito d’iniziativa dei contadini – messo all’opera nella zona 3, quasi privatizzata a favore del benessere materiale della società – avrebbe trovato un limite naturale nella capacità stessa di lavoro di uomini e bestie. La zona 4 (la zona comune) doveva avere un limite di sfruttamento perché, diversamente, sarebbe stata pesantemente aggredita fino al rapido esaurimento di fertilità, acqua, foraggio, combustibile e altre risorse; invece, ben gestita, avrebbe assicurato benessere a tutta la società.

Lo sfruttamento sostenibile delle foreste native Con una gestione accorta, è possibile ricavare legna da ardere, pali e tronchi da sega dalle foreste native senza ridurre la capacità della foresta di continuare a svolgere tutte le sue funzioni ecologiche, fornendo gli stessi raccolti anche alle future generazioni. Nonostante gli alti e bassi dovuti a cattive gestioni o a sfruttamenti eccessivi, in Australia abbiamo l’esempio di foreste di eucalipti che si sono riformate dopo il taglio dovuto alla deforestazione. Ciò prova che anche la deforestazione, con gli opportuni accorgimenti, può rientrare tra i meccanismi di recupero delle foreste236, anche se le politiche perseguite vanno per lo più nella direzione opposta, privilegiando il guadagno immediato e la rapacità senza mezzi termini. Così come avviene per la presenza dei gamberi delle dighe, anche nel caso della foresta il manto vegetale ha un limite, ma il manto stesso può essere composto da pochi alberi grandi o da molti alberelli sottili. Diradando le zone di foresta in ricrescita, permettiamo agli alberi più grandi di crescere più in fretta e raggiungere dimensioni maggiori. A questo punto esistono due possibilità: se si tagliano gli alberi più importanti il valore della foresta si degrada con il tempo; se invece, con il diradamento, eliminiamo gli alberi meno desiderabili, la foresta, maturando, acquisterà sempre maggior valore. In questo caso, otteniamo un raccolto di qualità più bassa, cioè del legname meno utile (ad esempio, legna da ardere), ma facciamo in modo che si formi del legname più utile in futuro (tronchi da sega). Detto in termini semplici, “eliminiamo gli alberi piccoli per far crescere i grandi”. Per molte persone che si occupano di forestazione ciò cozza con il buon senso, ma questo è dovuto al fatto che dette persone non hanno per lo più alcuna esperienza nel campo della gestione di foreste già esistenti. Anche se ne sappiamo poco di silvicoltura possiamo andare in una foresta e chiederci: “Che cosa ha da dare la foresta?” Se utilizziamo le nostre doti di osservazione (v. Figura 6 e Principio 1), diventerà evidente che nella maggior parte delle foreste abbondano gli alberi delle specie dominanti (che costituiscono, al contempo, la volta vegetale), che fanno fatica a crescere. Questi alberi possono essere tagliati senza rischi di effetti negativi. Le capacità richieste

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Permacultura per abbatterli non sono eccezionali e nemmeno lo sforzo occorrente per utilizzarne il legno è eccessivo. Se facciamo l’uso migliore degli alberi che abbattiamo, possiamo pensare ai risultati e procedere a piccoli passi. Le rese del diradamento potrebbero essere solo legna da ardere e materiale da pacciamatura, oppure includeranno anche, se il tipo di albero lo permette, pali da recinzione o legno per lavori artigianali. Utilizzando la foresta in modo da ottenere da essa dei prodotti, miglioriamo la sua capacità di catturare e immagazzinare energia negli alberi più grandi e di maggior valore. Nel diradare una foresta, possiamo servirci di criteri molto semplici e netti per decidere qual è l’albero buono da tenere, oppure utilizzarne altri, più complessi e contestuali, che tengano conto di molteplici funzioni. In pratica, per molti proprietari di foreste, i limiti pratici ed i costi del diradamento sono più problematici del decidere i criteri di selezione degli alberi da abbattere. Il mancato diradamento delle foreste in ricrescita naturale perché non siamo sicuri che sia una buona idea incoraggerà soltanto i futuri proprietari o responsabili a disinteressarsi della misera eredità toccata loro. Nel Fryers Forest Eco-village237 stiamo diradando cento ettari di foresta nativa di eucalipti della specie melliodora. I principi che ci guidano sono: ottenere un raccolto di legname che copra i costi del lavoro, aumentare la qualità della legna che taglieremo in futuro e aumentare il valore della foresta nel suo insieme. I principi di silvicoltura e di gestione delle foreste sono in continua evoluzione e si basano sia su principi già elaborati in passato che sulle più recenti esperienze di silvicoltura naturale acquisite in Europa238.

La caccia in una prospettiva sostenibile Principi simili a quelli appena trattati si possono applicare anche a una sensata gestione delle risorse offerte dalla fauna selvatica, da cui possiamo ricavare carne e pellami. Molti animali erbivori (sia autoctoni che introdotti) si riproducono e proliferano a livelli tali che l’intero ambiente (che poi dovrebbe sostentare quegli stessi animali) può subire dannose ripercussioni. La caccia, praticata con metodi umani e sensati, può in questi casi for-

nire prodotti utili all’uomo, permettendo nel contempo alla popolazione animale e all’ambiente di conservare un sano equilibrio. In Australia abbiamo maggiore familiarità con il concetto di caccia vista più come eliminazione di animali dannosi (v. canguri e conigli) che come raccolto. L’intenzione, quasi sempre, è quella di infliggere il maggior danno possibile con il minimo sforzo a una determinata popolazione animale; gli animali uccisi vengono poi abbandonati a marcire o usati come mangime per altri animali, un utilizzo davvero di basso livello. Anche quando gli animali cacciati sono considerati pregiati, l’oggetto della caccia mette spesso in pericolo il gruppo o gregge di cui quell’animale fa parte, e quindi la sua vitalità, dando spesso carne con odori decisamente troppo forti (per l’eccessiva presenza di ormoni) o anche troppo dura da consumare. È il caso del cervo maschio (spesso il maschio dominante del branco), che una grossolana cultura maschilista condanna solo per poter ornare con il suo splendido palco di corna qualche anonimo salotto. Ovviamente, su queste basi, nessuno potrà mai sostenere i buoni motivi della caccia vista come strumento ecologico di intervento per il contenimento della fauna selvatica. Invece, quando con la caccia si sacrificano giovani maschi appena giunti alla soglia della maturità, il vigore genetico e la salute del branco difficilmente risentono delle catture, anzi spesso ne risultano potenziati. Per molte specie e in diversi ambienti, soprattutto i giovani maschi vanno soggetti a morte per stress, competizione o predazione. In molti casi, essi sono più facili da cacciare perché, essendo giovani, presentano il tipico comportamento di sfida che li mette a rischio. La carne di questi animali è tenera e a basso contenuto di ormoni rispetto a quella degli individui adulti. Gli animali adulti, in particolare i maschi, rappresentano i campioni della selezione genetica e, negli animali vissuti a lungo, c’è anche un accumulo di comportamenti e conoscenze appresi, che – per la salute del branco – devono essere tramandati agli animali più giovani. Così come gli alberi secolari rappresentano la quintessenza della specie e dell’habitat, anche gli ani-


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5. Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili mali adulti dominanti rappresentano una sorta di archetipo della specie inserita nel suo habitat e dovrebbero essere considerati e trattati con il massimo rispetto, in qualsiasi sistema naturale in cui sia prevista una qualche forma di gestione da parte dell’uomo. Nessun contadino ucciderebbe, per mangiarselo, il proprio miglior toro. Questo invece è stato l’atteggiamento prevalente nell’uccisione degli animali selvatici. I cacciatori di conigli (trapper) – che sono stati l’unico elemento di contenimento di tali animali, prima dell’introduzione della mixomatosi come forma di controllo biologico negli anni ’50 – compresero saggiamente questi meccanismi. I trapper, in pratica, attuarono una sorta di gestione o addirittura di allevamento della risorsa selvatica coniglio non mettendo trappole nelle zone di riproduzione. In questo modo, il lavoro non veniva mai meno, mentre gli allevatori di bestiame avevano problemi ben più gravi. Oggi la maggior parte delle specie animali indigene e selvatiche – così come accade per le foreste native – è stata insignita del dubbio status che sta a metà tra il sacro e l’inutile. Quando le risorse naturali hanno scarso valore, per procurarsele si utilizzano i metodi meno costosi e più dannosi; scarsi o assenti diventano anche gli investimenti e la cura per assicurare la continuità della risorsa. D’altra parte, l’emergente sacralità attribuita dal sentire comune ad animali e alberi indigeni risulta molto superficiale proprio perché fondata sulla premessa che la risorsa abbia scarso valore monetizzabile; quindi il fatto di non utilizzare quella risorsa non costituisce di certo un sacrificio239. Al contrario, nelle culture indigene la sacralità era fondata sulla premessa dell’alto valore materiale assegnato alle risorse naturali selvatiche in generale, e a quelle più preziose, che diventavano sacre, in particolare. Noi possiamo solo aspirare a riacquisire questa rispettosa valorizzazione dei doni della natura. Finché la nostra vita sarà basata sui pozzi di petrolio e sulle miniere di carbone, faremo bene a rendere omaggio a questi doni della natura invece di prenderli per scontati, come fanno i bambini viziati che, avendo tutto, non riescono ad apprezzare nulla. Quando invece utilizziamo qualsiasi dono – dai frutti di stagione ai combustibili fossili accumulatisi in milioni di anni – in modo

consapevole, non facciamo altro che soddisfare i nostri bisogni riconoscendo, al contempo, il nostro legame e la nostra interdipendenza dai cicli della natura.

I servizi rinnovabili offerti dalla natura L’uso sostenibile di risorse rinnovabili è fondamentale nella società del declino energetico, ma l’utilizzo dei servizi non consumabili offerti dalla natura ci permette di sperimentare una ancora più profonda armonia con la vita della natura. E proprio ciò vuole esprimere l’icona del cavallo, posta all’inizio di questo capitolo-Principio. Quando facciamo uso dei servizi della natura vivente – offerti da animali, piante, suolo, sistemi idrici di autopurificazione – per soddisfare i nostri bisogni, si riduce anche la nostra richiesta di risorse rinnovabili e non rinnovabili.

Gli esempi classici della permacultura Quando si vuole spiegare come l’uomo può trarre vantaggio dai servizi offerti dalla natura, nessun esempio risulta più chiaro di quello fornito in permacultura dal “chook tractor”. La gallina raspa il suolo alla ricerca di granaglie, vermi e altre forme di nutrimento. L’azione istintiva delle galline ha la stessa funzione che ha, su dimensioni maggiori, un trattore quando ara ed erpica un campo. In più, l’azione svolta dalla gallina funge anche da insetticida, perché elimina per via naturale innumerevoli parassiti dal terreno mentre, al contempo, lo concima al meglio senza che si debba ricorrere all’uso di costosi concimi chimici, la cui produzione implica un uso intensivo di energia. Analogamente possiamo pensare agli animali da pascolo come a delle falciatrici naturali e agli alberi e alle piante come a macchine automatiche per la somministrazione di mangime, acqua, riparo e siepi. Il suolo può essere comparato a un filtro purificatore o a un magazzino di acqua e nutrienti. Corsi d’acqua, aree umide e paludi sono riserve d’acqua addette all’auto-depurazione. Nel Principio 2 ho usato l’esempio della ricostituzione della fertilità del suolo mediante l’uso attento di fertilizzanti minerali naturali per illustrare l’utilizzo appropriato di risorse non rinnovabili. Anche se i fertilizzanti minerali sono

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Permacultura tuttora abbastanza a buon mercato, per rendere disponibili i nutrienti del suolo dovremmo, in generale, dare priorità a metodi e processi biologici. Potenziare l’invisibile azione dei microrganismi del suolo, le funzioni passive delle piante e il ruolo tradizionale del bestiame per restituire fertilità al terreno, è generalmente preferibile all’aggiungere quegli stessi nutrienti estraendoli da un sacco comprato in un consorzio. Ciò è particolarmente vero per gli orti a coltura intensiva o le aziende a monocultura, dove le ripetute somministrazioni di concimi hanno creato e creano un surplus di nutrienti squilibrati, che rimangono bloccati nel suolo, inutilizzabili dalle piante. Le piante pioniere, che costruiscono la fertilità del terreno – con o senza l’aiuto dei microbi del suolo – sono una caratteristica di quasi tutti i progetti permaculturali di orti e colture in pieno campo. L’esempio più comune è costituito dalle piante leguminose, che fissano, attraverso le radici, l’azoto atmosferico. Le micorrize e altri organismi simili della famiglia dei funghi, che rimettono in circolazione i fosfati immagazzinati nel suolo in forma insolubile, sono un altro esempio240. In tal modo, si possono risparmiare i fosfati per quei casi in cui siano accertati dei veri deficit, da correggere assolutamente. Le piante da pascolo a radici profonde, come la famiglia delle cicorie, aprono ed estraggono nutrienti dagli strati argillosi e sono preziose per migliorare lentamente la struttura del suolo. Allo stesso modo, alberi da foresta come le querce hanno dimostrato di riuscire a prosperare anche in terreni poveri come quelli dell’Australia meridionale, accumulando nelle foglie minerali di grande importanza come calcio e boro. Lombrichi e termiti svolgono anch’essi un’opera insostituibile, nel rimescolare e migliorare gli strati del suolo. Innumerevoli sono gli esempi di utilizzo dei servizi rinnovabili offerti dalla natura, dai più comuni ai più originali. In tutti i casi, sono la progettazione e la gestione di questi servizi a fornire la chiave per raccogliere risultati utili. Spesso è proprio attraverso una gestione accurata che si riesce a monitorare o contenere le piante o gli animali che forniscono il servizio: ma senza di essa, la soluzione rischia di trasformarsi in un nuovo problema.

Le esperienze fatte a Melliodora forniscono alcune indicazioni:  l’importanza della progettazione, per evitare che il pollame vada a rovinare i vivai di piante. Allo scopo, abbiamo scelto una razza di polli (la Black Australorp) per il cui contenimento (generalmente) basta una rete di altezza standard;  nel frutteto e nell’orto, una potatura molto radicale di canne e alberi della famiglia delle leguminose come il tagasaste, evita che si generi eccessiva ombra e competizione per l’umidità. Abbiamo utilizzato il ricavato delle potature come foraggio per le capre e pacciamatura per gli alberi. In entrambi i casi, tuttavia, di tanto in tanto non siamo riusciti a controllare con efficacia il servizio biologico. È comprensibile che, quando le risorse non rinnovabili forniscono soluzioni a buon mercato e prontamente disponibili, le soluzioni biologiche tendano a essere abbandonate. A Melliodora, spesso prevale la combinazione di elementi biologici e tecnologici. Ad esempio:  abbiamo usato un decespugliatore a scoppio per tra-

sformare rovi, infestanti e altre piante da pascolo in pacciame e lettiera per lombrichi ma, con il passare del tempo, gli animali da pascolo stanno sostituendo il decespugliatore, perché utilizzano i rovi come supplemento di pascolo stagionale;  controlliamo il pascolo delle capre e del pollame nell’orto mediante un recinto elettrico mobile (il consumo di elettricità in un anno – per l’uso che ne facciamo – è inferiore a quello di una lampadina a utilizzo normale). Nei Paesi più poveri esistono enormi opportunità di usare i servizi biologici per risolvere problemi apparentemente insolubili. Naturalmente, le armi vincenti sono sempre la progettazione e la gestione. È pieno il mondo degli errori dovuti all’introduzione inappropriata di specie esotiche, ma queste brutte storie non ci devono impedire di considerare i vantaggi dati dall’in-


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troduzione di piante utili e facilmente riproducibili quando esse vanno a occupare una nicchia senza detrimento per altre specie: è una delle soluzioni più semplici, democratiche e a buon mercato. Nell’agricoltura di sussistenza africana, un esempio importante e ben documentato di uso di servizi biologici è dato dagli alberi e dagli arbusti delle leguminose.

Un esempio africano Le rese delle colture alimentari fondamentali (soprattutto mais) in Africa e in altre regioni tropicali sono rimaste basse o sono addirittura diminuite con l’aumentare del degrado dei terreni agricoli e con la crescita demografica. I contadini più poveri sono completamente dipendenti dalla fertilità naturale e dalle piogge. Se vogliono continuare a raccogliere qualcosa, l’unica opzione che hanno a disposizione è la coltivazione. Il problema è che, continuando a coltivare le stesse cose sullo stesso campo, la fertilità del terreno si riduce sempre più e scompaiono i lombrichi che ne mantengono la struttura. Si arriva così a un declino nelle caratteristiche del suolo, che rende necessarie ulteriori forme di coltivazione. Anche le proprietà comuni (il common) che una volta fornivano cibo selvatico, legna, foraggio per gli animali e, conseguentemente, letame per migliorare la fertilità dell’appezzamento coltivato – perciò anche le rese – sono adesso ridotte quasi a deserto o sono diventate proprietà di individui o società con colture o allevamenti su larga scala. Il mais, un cereale ad alta resa proveniente dal nuovo mondo, all’inizio ha innalzato il tenore alimentare dei popoli africani, così come accadde con la patata per gli Irlandesi; il mais però è una coltura che impoverisce pesantemente il terreno. Negli anni ’90, l’International Center for Agroforestry (ICRAF)241 di Nairobi ha sperimentato l’utilizzo di arbusti e alberi delle leguminose a crescita rapida per permettere ai contadini più poveri di migliorare la fertilità dei terreni, fornendo inoltre foraggio alle mucche da latte. Queste soluzioni biologiche hanno avuto anche l’effetto di produrre letame per concimare i terreni e latte da cui ricavare proteine e reddito. Il grande successo riscontrato su scala

locale ha fatto sì che si estendessero da tali esperimenti in varie regioni del Kenya e oltre. Con queste tipiche soluzioni permaculturali – in cui le piante sostituiscono risorse non disponibili (in questo caso, i fertilizzanti convenzionali) – le rese di mais sono aumentate dieci volte. È ironico che le leguminose impiantate in Africa arrivino dal Messico, l’area geografica di cui è originario proprio il mais, portato in Africa secoli fa. Questi enormi incrementi nelle rese sono davvero una sorta di liberazione, ma possono avere a lungo termine anche effetti controproducenti. L’aumento marcato di azoto disponibile, e quindi delle rese, porterà con il tempo a mettere in evidenza il prossimo anello debole della catena della fertilità. Il fattore limitante con cui bisognerà fare i conti sarà il calcio, un problema accentuato dal dilavamento dell’azoto non utilizzato. Questo processo di acidificazione – forse la più diffusa forma di degrado del suolo nell’Australia meridionale – ha dimostrato che gli enormi aumenti nella produttività della pastorizia negli anni ’50, derivati dalla diffusione della coltura di Trifolium subterraneum e dalle forti concimazioni fosfatiche, non erano sostenibili. Nel caso africano, il fatto che le leguminose utilizzate siano alberi perenni e che altre ricerche e studi incoraggino l’impianto di altri alberi (non leguminose) di lunga durata, fra cui il Prunus africana242, può impedire che il problema dell’acidificazione insorga più presto del necessario. Ma forse i fattori principali di queste profonde applicazioni di soluzioni biologiche saranno sociali ed etici, più che tecnici. Il piccolo boom di ricchezza rurale registrato in Kenia creato dalla rivoluzione agroforestale, porterà a uno sviluppo in senso consumistico delle prossime generazioni, oppure ne nascerà un più profondo rispetto per la terra e i suoi doni?

Gli animali da lavoro L’icona del cavallo che illustra il Principio 5 ci ricorda che i servizi non consumabili acquisiti attraverso il nostro rapporto con gli animali domestici vantano una storia e una valenza molto più profonde di esempi semplici come il chook tractor243. Prima dell’industrializzazione, le bestie da soma – non solo cavalli, ma anche cani, buoi,

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Permacultura asini, cammelli ed elefanti – furono importanti quanto l’abilità nel maneggiare il fuoco, per migliorare il benessere dell’uomo e il suo potere nello sfruttare le risorse naturali. A differenza del fuoco, che sembrava espressione del fulgore dell’intelligenza dell’uomo (o degli dei), il lavoro degli animali domestici richiedeva di curare e rispettare la natura in modi addirittura intimi ed empatici come avviene nelle relazioni tra le persone. Non voglio romanticizzare queste relazioni più del dovuto, ma solo sottolineare il grande valore attribuito a un bue o a un cavallo (o anche a un elefante) ben tenuto e addestrato; valore, che poteva essere ben più alto di quello attribuito a un comune operaio. Non meraviglia, quindi, che tanti racconti e miti siano nati a proposito di questi compagni di lavoro. Nella storia, abbondano gli esempi sul potere associato agli animali da lavoro. L’abilità del cane nello snidare la selvaggina portò alla proliferazione di razze da caccia con attitudini e caratteristiche molto specifiche, mentre altre funzioni portarono a sviluppare razze speciali di altri animali. Il dingo australiano e i suoi parenti tailandesi sono attualmente ritenuti gli antenati del cane domestico. Il rapporto del dingo con gli aborigeni australiani – fin dal suo arrivo, circa 4000 anni fa – suggerisce che l’addomesticamento degli animali fu un processo coevolutivo: il vantaggio reciproco stimolò relazioni sempre più strette tra umani e animali selvatici. Questo modello, sicuramente, alla lunga, ebbe la meglio su quello che prevedeva la cattura e la domesticazione. Non dobbiamo quindi considerare gli animali da lavoro come schiavi; la prospettiva più corretta è, invece, quella di una partnership evolutiva. La rapida integrazione del cavallo nella cultura dei nativi americani, dopo il loro arrivo al seguito degli Spagnoli, è la prova più evidente dei grandi vantaggi che il cavallo ha sempre apportato all’uomo. Poco riconosciuto è, invece, il ruolo che ha avuto il cavallo da lavoro per misurare il lavoro delle macchine. La rivoluzione industriale, infatti, ebbe le sue radici in un utilizzo sempre maggiore di cavalli via via più grossi e veloci, subito prima dell’avvento dell’industrializzazione. Il passaggio dal bue al cavallo per i trasporti e l’agricoltura, avvenuto agli albori della rivoluzione industriale in Europa, portò

con sé un significativo aumento della velocità e, di conseguenza, dell’efficienza, il che preparò il terreno rivoluzione industriale244. Il bue svolgeva una grande mole di lavoro e si nutriva per lo più al pascolo, anche di scarsa qualità, con aggiunta di fogliame di alberi e arbusti. Ai cavalli da lavoro, in particolare a quelli addetti al traino di carrozze o all’aratura, bisognava fornire del mangime più concentrato, fatto quasi sempre di avena prodotta su terreni di buona qualità. L’estesa monocoltura (N.d.T.: Monocoltura significa la coltivazione su vasti appezzamenti di prodotti agricoli o forestali di un’unica specie, e a volte di un’unica varietà) di avena, che si sviluppò proprio in risposta alle esigenze gravitanti intorno a quella che a buon diritto possiamo chiamare economia del cavallo, fu possibile perché la produzione agricola locale poteva, a quel punto, contare sull’importazione di alimenti e fibre (soprattutto cotone e lana) dalle colonie. Anche oggi, nonostante l’ausilio di combustibili fossili a buon mercato e di un’alta tecnologia, gli animali da lavoro mantengono la loro importanza. In particolare:  i

cani da pastore continuano ad avere un ruolo cruciale nella produzione australiana della lana e questo nonostante esistano motociclette adatte a ogni tipo di terreno che non costano molto e nonostante le assurde economie di scala richiedano per ogni pastore un gregge di circa tremila pecore;  i grandi progressi della robotica non sono ancora riusciti a sostituire in modo economicamente vantaggioso i cani-guida per i ciechi o quelli addetti al controllo antidroga nelle dogane e nei commissariati di polizia;  nella silvicoltura su piccola scala, i cavalli continuano a essere competitivi anche con i trattori più recenti. Un cavallo ben addestrato riesce, da solo, a trascinare un tronco fino alla rampa di carico (arrestandosi quando è il momento di staccarlo) e, se il tronco s’incaglia da qualche parte, si ferma e aspetta. Muoversi in mezzo a una foresta può essere tuttora un compito troppo arduo anche per i più avanzati ritrovati della robotica, ma non per un cavallo. In Svezia, la combinazione di cavalli, veicoli leggeri e tecnologia idraulica rappresen-


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ta il massimo che si può ottenere dall’integrazione di mondo animale e universo delle macchine245. Gli impedimenti a un utilizzo più vasto dei cavalli nella silvicoltura su piccola scala sono dati dalla scarsa manodopera specializzata a disposizione e dal costo di bestie ben allevate e addestrate. A questo proposito, abbondano le storie, positive e negative, sugli animali da lavoro ma, sostanzialmente, la produttività e la sicurezza del lavoro con gli animali dipendono dall’empatica – o addirittura affettuosa – relazione, che si instaura tra uomo e animale, da come si allevano e dall’equipaggiamento. Un confronto puramente razionale tra la produttività delle macchine e quella degli animali non è possibile, perché la differenza tra un esemplare e l’altro può essere grande come quella tra il paradiso e l’inferno, mentre l’agricoltore, per aver successo nel suo mestiere, non dovrà certo sviluppare una qualche devozione per il suo trattore. A Melliodora, i pappagalli del genere cacatua sono un vero flagello, per gli alberi da frutta. Contro i cacatua – uccelli forti, intelligenti e longevi – tutte le strategie deterrenti adoperate si sono rivelate fallimentari; anche coprire gli alberi con delle reti non è fattibile, a causa del costo dell’operazione. Personalmente, come soluzione a lungo termine, sono in ansiosa attesa di affidarmi al falconiere di Hepburn. Utilizzando dei rapaci adatti e dietro pagamento, durante la stagione di fruttificazione, un falconiere locale riuscirebbe a mantenere libera l’area dai cacatua246. Un altro esempio di possibilità creative offerte dagli animali, che fa ancora più pensare, è dato dal tacchino selvatico. Questi e altri uccelli straordinari dell’Australia costruiscono degli enormi cumuli di compost per incubare le uova. Intorno al 1980, Peter Brew (un collega permaculturista) e io ci spingemmo a congetturare che questi uccelli molto docili, tipici del New South Wales settentrionale, avrebbero potuto essere addomesticati. Avevamo osservato che, costruendo i loro cumuli di compost, gli uccelli riducevano automaticamente anche il rischio degli incendi che si scatenano dal materiale vegetale che si accumula nelle foreste umide. Ci chiedemmo anche se non sarebbe stato possibile introdurre su larga scala que-

sti uccelli, una volta addomesticati, nelle foreste a gestione controllata, proteggendoli dai predatori con opportune opere di recinzione. In questo modo, si potrebbero selezionare delle specie adatte anche agli ambienti locali delle foreste pluviali; con il tempo, nei sistemi a gestione controllata, si potrebbe anche pensare a raccogliere i cumuli di compost per farne concime della migliore qualità per l’orticoltura e alla produzione (limitata!) di carne e uova. Devo dire di avere, personalmente, molti limiti, dati dalla mia scarsa empatia naturale con gli animali. Rispetto tutte le persone che hanno questo dono e lavorano in modo efficace a contatto con essi; riconosco che sono queste persone le depositarie dell’intimità più stretta con il mondo della natura, elemento essenziale per qualsiasi cultura che dovrà adattarsi alla discesa energetica. Coloro che lavorano per combinare abilità e conoscenze tradizionali con le ultime esperienze e scoperte nel campo dell’addestramento non violento degli animali, e coloro che fanno un uso creativo di innovazioni tecnologiche di pronto utilizzo in combinazione con gli animali, dimostrano al meglio cosa può essere la permacultura in azione. Queste persone sono da equiparare a tutti quegli agricoltori che conservano le vecchie varietà di frutta e ortaggi o a quanti si sforzano di tramandare le abilità connesse agli innesti247.

Servizi dell’ecosistema I servizi non consumabili forniti direttamente da piante e animali fanno parte di un contesto molto più ampio di servizi associati all’ambiente o all’ecosistema. La maggior parte di questi servizi opera a un livello molto ampio, addirittura globale. Essi includono la purificazione atmosferica, la stabilità climatica, la ricostituzione dei suoli, la depurazione di acque sotterranee e di superficie. Quanto siamo tutti dipendenti dal fatto che questi processi-doni della natura funzionino bene è stato messo ampiamente in luce dal riscaldamento globale. Le valutazioni che utilizzano vari metodi di contabilità ambientale mostrano che il valore complessivo dei servizi ambientali è di gran lunga superiore all’intera produzione industriale su scala globale248.

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Permacultura

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Su un livello più locale, l’importanza di questi servizi – resi gratis dalla natura – viene notata quando essi entrano in crisi e non funzionano più come prima, per varie ragioni come l’utilizzo sbagliato o il sovraccarico. In casi come questi, ci rendiamo finalmente conto non solo di quanto costa fornire alternative valide ai servizi offerti gratis dalla natura, ma anche di quanto sia assurda l’idea di un’economia indipendente dalla natura.

La depurazione naturale delle acque Probabilmente, il più importante, di questi servizi ecologici forniti gratis dalla natura, è (o forse era) la depurazione delle acque, che viene attuata in modo naturale dai fiumi mediante il semplice scorrere. In epoca preindustriale, i popoli che vivevano sulle sponde dei grandi corsi d’acqua vi scaricavano direttamente i loro e gli altrui rifiuti (cosa che avviene in ogni caso, quando si verificano delle inondazioni). I processi di depurazione energetica e biologica, messi automaticamente in azione dallo scorrimento di grandi masse d’acqua, sono in grado di rendere potabile l’acqua per le comunità poste lungo le rive più a valle. Gli effetti religiosamente purificanti del Gange, in India, sono l’archetipo che ben rappresenta il riconoscimento, da parte degli umani, di questa suprema funzione dei fiumi; ma, con l’aumento della popolazione e la comparsa di crescenti quantità di veleni di ogni genere di origine industriale, i fiumi hanno perso queste capacità di autodepurazione. Ciò, ovviamente, ha causato e causa una miriade di problemi di igiene e di salute. Circa un secolo fa, nei Paesi industrializzati, furono messi in opera dei sistemi di fognatura che hanno risolto almeno in parte detti problemi. Più di recente, si è verificata un’esplosione di tecnologie ambientali dedicate a sostituire o a proteggere i sistemi ecologici che una volta erano gratuiti. Gli ultimi sviluppi nelle tecnologie ambientali non hanno fatto che confermare che i sistemi naturali sono il miglior modello esistente di depurazione delle acque. Bacini di lagunaggio con canne palustri249, macchine viventi250 e altre tecnologie simili si diffondono sempre di più, soprattutto in Europa e in Nord America.

Il modello naturale da copiare è quello della palude. È proprio buffo notare che il modo più economico di depurazione delle acque e che assicura i migliori risultati è quello sviluppatosi nei punti in cui gli scarichi delle fognature delle città sono state canalizzate nelle paludi naturali, a ritmi però abbastanza lenti da poter assicurare l’adattamento dell’ecosistema palude a scarichi indubbiamente nocivi251. Le opere costruite con il semplice movimento di terra possono bastare ad attivare dei processi biologici di depurazione dell’acqua. Si possono ulteriormente potenziare tali processi gestendo, nella direzione giusta, la crescita di vegetazione con opportune associazioni e successioni. Insieme a un limnologo universitario, ho sottoposto alle autorità governative questo approccio, come alternativa all’attuale distruzione della vegetazione riparia delle aree di depurazione fognaria, dando la precedenza alle piante locali ben adattate ad acque basse e ristagni di nutrienti252. In Europa, i salici si sono dimostrati efficienti e complementari alle canne nella purificazione delle aree destinate ad accogliere scarichi fognari253. Scarse, invece, sono state le ricerche svolte in Australia prima dell’avvento di un programma su larga scala per l’abbattimento dei salici, varato nell’Australia meridionale con finanziamenti nazionali. Una ricerca254 ha dimostrato che i salici sono dieci volte più efficienti degli eucalipti nel ripulire l’acqua e che i programmi di eliminazione del salice erano come minimo controproducenti per il mantenimento e miglioramento della qualità dell’acqua. Anche in questo caso, abbiamo dei servizi resi in maniera ineccepibile, invisibile e gratuita, che vengono distrutti senza che il loro valore venga riconosciuto255. L’attuale fermento nelle ricerche sulle aree umide non naturali ha teso a oscurare la grande efficienza dei suoli profondi e ben strutturati, nel filtrare l’acqua. Un metro o due di terreno argilloso o franco-argilloso con una buona struttura presenta una straordinaria capacità di drenaggio e riesce a neutralizzare gli organismi patogeni delle acque fognarie e a liberare dalle particelle di argilla e humus il surplus di minerali non disponibili. La presenza di suoli tanto favorevoli migliora anche la capacità di


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assorbimento delle tanto aborrite fosse settiche, che così funzionano di più. Il miglioramento nella struttura del suolo e nel contenuto di humus aumenta la capacità di tutti i terreni di svolgere al meglio la funzione di depurare l’acqua (v. l’analisi del ruolo dell’equilibrio minerale nella struttura del suolo nel Principio 2).

Il compost: un servizio reso dai microbi Lo sciacquone della toilette miscela grandi volumi di acqua pura con piccoli volumi di rifiuti umani; ciò genera un problema. Questo non si verifica mai con il compost toilet256, che utilizza i servizi degli onnipresenti microbi o, a volte, dei lombrichi per trasformare dei rifiuti indesiderabili in compost sicuro e utilizzabile. Il compostaggio su scala domestica e industriale è in rapido aumento, sotto la spinta della richiesta di ridurre il volume delle discariche. Il compostaggio fornisce notevoli quantità di fertilizzante organico, che si può mettere in commercio. Impianti di lombricoltura, piccoli e grandi, per la trattazione di rifiuti umidi e ad alto contenuto di azoto provenienti sia dalle cucine delle famiglie che dalle stalle degli allevamenti sono in costante aumento. A Cuba, sono attivi 176 centri di compostaggio su larga scala, basati sull’allevamento del lombrico, che utilizzano i rifiuti urbani per farne fertilizzante organico destinato all’estesa rete di agricoltura urbana257. Sistemi naturali come foreste, suoli, fiumi e paludi possono tutti fornire servizi di depurazione dell’acqua, finché la densità abitativa non è elevata e le sostanze tossiche sono minime; tuttavia, esistono agenti naturali – ad esempio, il fungo della carie bianca (Phanerochaete chyrsosporium) – in grado di disgregare perfino sostanze chimiche dannose e particolarmente persistenti. Tecnologie ambientali Dove l’abbondanza di risorse non rinnovabili è alta e lo sviluppo intenso, sistemi artificiali e gestiti dall’uomo come bacini di lagunaggio258 rappresentano un miglioramento rispetto all’uso di soluzioni meccaniche ad alto utilizzo di energia. Queste tecnologie ambientali, attualmente all’avanguardia, potrebbero rimanere del tutto

inapplicate nei Paesi più poveri. Anche nei Paesi ricchi, la EMERGY richiesta per impiantare alcune soluzioni di tecnologia ambientale significa che probabilmente si contribuisca a causare altrove danni ambientali superiori a quelli che si riesce a prevenire in loco. In occasione di un recente progetto, ho partecipato alla realizzazione di un sistema con diga e area umida per raccogliere l’eccesso delle acque cittadine che esondano in seguito a piogge eccessive e altri eventi atmosferici. Le acque vengono convogliate al sistema, purificate e riutilizzate in un progetto di agricoltura urbana. In ogni punto di uscita, ho fatto in modo che si realizzasse una piccola area a stagno piantumata con canne. Le canne raccolgono gran parte dei rifiuti e dei sedimenti che provengono dalle strade cittadine e, con il tempo, riempiranno l’area di limo. Bisognerà allora, con un escavatore, ristabilire l’assetto originario dell’area. Le canne e i sedimenti raccolti saranno avviati al compostaggio, per poi essere utilizzati nei parchi cittadini e suburbani. Ciò che rimane delle canne sarà sufficiente a far ripartire il sistema. I materiali non compostabili raccolti (plastica e altro) verranno facilmente eliminati quando il compost sarà pronto. In un caso, a causa della mancanza di spazio per impiantare il letto di canne, l’amministrazione della citta (molto collaborativa) si offrì di finanziare, costruire e mantenere in funzione un apparato d’avanguardia per la cattura di immondizia varia: un filtro gigante, fatto di cemento e metallo zincato. Tali strutture utilizzano un’azione centrifuga per separare l’immondizia dall’acqua. Per quanto siano molto efficaci, la mia opinione su questi marchingegni è che, sommando tutto259 (il costo della struttura e il costo dell’energia incorporata), si creano più danni ambientali (per la loro produzione) di quelli che vengono risolti con il loro utilizzo (evitare che plastica, lattine e altro finiscano nel torrente più vicino). All’eliminazione degli scarti è dedicato il prossimo capitolo, ma voglio qui sottolineare ciò che il Principio 5 ci dovrebbe ricordare: la natura spesso usa dei “rifiuti apparenti” per espandere e rafforzare i sistemi viventi, che a loro volta forniscono all’uomo altre risorse. Finché lavoriamo all’interno dei limiti della natura, questo ciclo ecologico all’insegna

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Permacultura dell’abbondanza può essere continuamente rafforzato (sul tema del cambiamento per adattamento, v. il Principio 12).

Conclusione

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Il punto di vista dell’ortodossia ambientalista è che, per evitare danni alla natura, dobbiamo sempre più separare da essa l’uomo e tutti i sistemi connessi all’uomo. Questa è una convinzione errata, creata da generazioni segnate dall’opulenza urbana e cresciute distaccate dai cicli della natura. Anche se esistono molti esempi po-

sitivi e utili di tecnologie ambientali basate su modelli naturali, il principio che tende a separare l’uomo dalla natura è filosoficamente ed energeticamente viziato. Dobbiamo riconoscere che i sistemi sostenibili emergeranno più probabilmente da un’intima associazione con la natura, piuttosto che dall’applicazione dei principi della progettazione naturale in un contesto dominato da aspetti e modalità di tipo esclusivamente tecnologico. Lo slogan “La natura lo sa” (“Nature knows best”) – che ci suggerisce di imparare sempre da lei – è dunque del tutto appropriato.


Principio

6

Evita di produrre rifiuti

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Un punto a tempo ne risparmia cento260. Non desiderare se non vuoi sprecare

Nel Principio 6 ci occuperemo dei tradizionali valori della frugalità e dell’attenzione al non spreco, ma li coniugheremo con le preoccupazioni di tipo ambientale e con le prospettive più radicali che vedono, nei rifiuti, delle risorse e delle opportunità. I processi industriali che caratterizzano la vita moderna possono essere descritti tramite un modello input-output, in cui gli input sono i materiali e le energie naturali e gli output sono le cose e i servizi utili; tuttavia, se facciamo un passo indietro e cerchiamo di fare delle considerazioni con una prospettiva più ampia, notiamo che tutte le cose utili, in un modo o nell’altro, finiscono con il diventare dei rifiuti (soprattutto in discarica) e che anche il più etereo dei servizi ha comportato il degrado di energia e risorse in scarti. Tale quadro potrebbe essere meglio definito con un modello di consumo-escrezione. Considerare le persone come semplici consumatrici ed escretrici, per quanto sensato dal punto di vista biologico, non è sensato dal punto di vista ecologico. Bill Mollison definisce un inquinante come segue: «L’output di un qualsiasi sistema che non viene utilizzato in modo produttivo da qualsiasi altro componente del sistema»261. Questa definizione ci incoraggia a cercare dei modi per ridurre l’inquinamento e i rifiuti attraverso sistemi di progettazione che facciano uso di tutti gli output. A una domanda sul flagello delle lumache in un frutteto di piante perenni, Mollison replicò che non c’era un eccesso di lumache, bensì un deficit di anatre. Il lombrico, proprio perché vive consumando i rifiuti delle piante, è stato scelto come icona di questo princi-

pio. L’humus creato dal lombrico migliora l’ambiente del suolo, rendendolo adatto non solo al lombrico stesso, ma anche ai microrganismi del suolo e alle piante. In questo modo, il lombrico, come tutte le creature viventi, è una parte della rete in cui gli output di un organismo sono gli input di un altro. Il proverbio “Non desiderare se non vuoi sprecare” ci ricorda che è facile essere spreconi quando c’è abbondanza, ma anche che questo sperpero può essere causa di futuri problemi. È questo, il senso dell’altro proverbio: una manutenzione adeguata fatta quando è il momento evita non solo riparazioni più complesse ma anche tutto il tempo e il lavoro necessario per evitare che l’oggetto diventi un rifiuto262.

Rifiuti o scambi in natura Il tema del rifiuto apparente in natura dev’essere ben compreso, in termini di confini del sistema e del sottosistema. L’altruismo tripartito, di cui abbiamo parlato nel Principio 4, dimostra che l’energia e le risorse apparentemente sprecate da un organismo o specie contribuiscono invece a sostenere i fornitori del sistema di ordine inferiore e i controllori del sistema di ordine superiore. Questi feedback sotto forma di pagamenti e tasse aiutano a mantenere in equilibrio il flusso di energia e la stabilità ambientale dell’organismo, quindi non vanno considerati degli sprechi. Ad esempio, le piante perdono fino al 10% della loro energia chimica primaria in carboidrati attraverso le radici,


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Permacultura il che a prima vista può sembrare uno spreco notevole263; in realtà, i carboidrati persi vanno a nutrire i microrganismi del suolo dei più vari generi, che vivono in simbiosi più o meno diretta con le radici della pianta e le procurano minerali di importanza cruciale. Quello che a prima vista sembra qualcosa che va sprecato senza produrre un guadagno qualsiasi, è, nella realtà delle cose, uno scambio. I nutrienti contenuti nelle foglie cadute a terra vengono elaborati dagli organismi del suolo e trasformati in humus, che può di conseguenza nutrire le piante. Questo processo ha anche l’effetto di stimolare un ricchissimo ecosistema del suolo, nonché la crescita di altre piante che, direttamente o indirettamente, arrecano beneficio all’abero originale. D’altra parte, per la pianta stessa il manto di foglie secche rappresenta anche un rischio molto alto di incendio, mentre le sostanze nutritive possono essere dilavate dalla pioggia o perse a causa dell’erosione e della competizione da parte di altre piante. Gli alberi tengono il “piede” in due staffe ed estraggono il massimo delle sostanze nutritive dalle foglie prima che esse cadano. Questa funzionalità nel riciclo dei nutrienti minerali fa parte di un meccanismo interno alla pianta, ma richiede energia metabolica e risorse. Gli eucalipti sono molto efficienti nell’estrarre il fosforo dalle foglie mature perché, come alberi, si sono evoluti in ambienti nel cui suolo manca questo minerale cruciale. Le foglie dell’eucalipto contengono scarse sostanze nutritive, ma molti oli essenziali e altre sostanze tossiche per la vita del suolo; diventa difficile, in queste condizioni, trovare un terreno fertile e ricco di humus in un bosco di eucalipti. Gli alberi decidui, invece, tendono con il tempo a costruirsi intorno un suolo sempre più ricco, in modo molto più rapido rispetto all’eucalipto. In parte, la causa del fenomeno è dovuta proprio alla qualità superiore del loro fogliame264. Anche per gli animali, l’efficienza nell’estrarre nutrimento dal proprio cibo può variare molto. Nei carnivori e onnivori – come uomini, cani e polli – che hanno un’alimentazione molto ricca di sostanze nutritive, l’efficienza è molto più bassa rispetto agli erbivori che hanno un’alimentazione molto più povera. La conseguenza

è che il letame prodotto dagli erbivori ha una concentrazione di nutrienti minerali più bassa. In Cina, nel 1900, gli agricoltori compravano liquame dei pozzi neri degli europei di Shangai. Il liquame umano con il prezzo più alto era quello del quartiere tedesco; i tedeschi, infatti, mangiavano più carne, rispetto agli altri europei, e il loro liquame aveva un alto contenuto di azoto e di nutrienti minerali265. La regola generale può essere sintetizzata dicendo che gli organismi e i sistemi alimentati da risorse energetiche ricche generalmente sembrano sprecare molto ma in realtà sostengono degli ecosistemi più ricchi anche sul piano coevolutivo266. Questa visione dello scarto come potenziale abbondanza può essere osservata dappertutto in natura perché le risorse non utilizzate diventeranno, attraverso la coevoluzione dei sistemi, la fonte energetica di qualcos’altro. Alcuni dei fattori che contribuiscono a questo processo includono limiti all’energia disponibile, alla biodiversità e alla pressione competitiva. Anche nelle società preindustriali tradizionali spreco e rifiuti erano ridotti al minimo, a causa della limitatezza delle risorse. Gli scarti venivano subito assorbiti e riciclati dai sistemi ambientali, perché erano per lo più costituiti da materiali biodegradabili a basso costo.

Ridurre al minimo gli scarti Lo slogan “Rifiuta, riduci, riutilizza, ripara e ricicla” esemplifica una gerarchia di strategie per il trattamento dei rifiuti. Il rifiuta iniziale si riferisce al non farsi coinvolgere nella mania di consumare a ogni costo, spesso comprando cose che non ci servono. Riduci si riferisce al minimizzare i materiali e l’energia richiesti o la frequenza del consumo. Riutilizza ha due valenze: lo stesso utilizzo di prima o il secondo miglior utilizzo, dopo quello che aveva prima. Ripara significa ripristinare la funzione dell’oggetto con un minimo di abilità e di utilizzo di risorse, oltre a quelle insite nell’oggetto stesso. Ricicla significa ridurre l’oggetto ai suoi elementi o materiali costitutivi prima di rielaborarlo per lo stesso scopo o altri utilizzi.


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6. Evita di produrre rifiuti

Rifiuta e riduci Dopo generazioni di opulenza basata sui combustibili fossili, nei Paesi ricchi le opportunità per rifiutare e ridurre il ritmo dei consumi sono talmente tante che la conservazione sembra essere diventata una vera e propria nuova risorsa da sfruttare. Ad esempio, nell’industria legata all’utilizzo dell’elettricità, in chiave domestica e non, promuovere o finanziare l’utilizzo di lampade efficienti può far risparmiare l’equivalente di nuove centrali elettriche. Per fare qualche altro esempio, l’installazione di compost toilet e di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e l’introduzione di altre strategie per risparmiare acqua possono sostituire l’esigenza di nuovi serbatoi per gli acquedotti di uso civile. La rivoluzione nella riduzione dei consumi è stata molto sensibile, nell’industria e nel commercio, perché i costi e le pressioni della concorrenza stimolano decisioni più razionali; tuttavia, le maggiori opportunità per risparmiare attraverso il rifiuto di produrre immondizia o quanto meno la sua riduzione è legato all’ambito familiare e personale. È a questo livello che le persone nelle società ricche si sono lasciate attirare da manifestazioni di consumo che sembrano a prima vista espressioni di libertà e libera scelta, mentre in realtà sono comportamenti condizionati dalla società dell’abbondanza. Nuovi modelli di consumo si succedono di generazione in generazione, diventando poi norma che viene dopo qualche tempo scalzata da altre innovazioni in cui stravaganza e sperpero coincidono, e questo processo genera quasi una sorta di necessità compulsiva di cui non si può fare a meno267. Il bisogno di comprare nuovi indumenti (per lo più di scarsa qualità) e l’abitudine di lasciare nel piatto a volte anche più di metà di quanto abbiamo ordinato o di lasciare le luci accese di notte così i bambini non hanno paura, insieme ad altri comportamenti ugualmente stravaganti ed eccessivi, mostrano come si passa dallo sperpero alla norma e poi alla necessità compulsiva. La dipendenza da abitudini basate sullo spreco è un fattore molto sottovalutato, nella spinta al consumo perseguita dalla mentalità dominante e nel conseguente impoverimento causato alle classi sociali più svantaggiate.

Ridurre il consumo eccessivo di cibo, farmaci, beni materiali, mass media e intrattenimento può perfino migliorare la qualità della vita. Sono questi gli esempi più ovvi per illustrare il concetto di “fare di più con meno”. Lo Stato, di solito, non sostiene i cambiamenti sociali basati sulla rinuncia a questi comportamenti compulsivi, anche se i benefici sociali e ambientali sarebbero molto significativi. L’economia dello sviluppo, infatti, è inestricabilmente dipendente da un eccesso di consumi diventati, con il tempo, ossessivo-compulsivi.

Il riutilizzo di contenitori I contenitori di terracotta furono una delle innovazioni tecnologiche fondamentali per l’avvento della rivoluzione agraria. Ogni riutilizzo comporta una perdita di energia (sotto forma di degrado), fino al punto in cui l’oggetto diviene, per un dato sistema, inutilizzabile. Le opportunità di riutilizzare i contenitori prodotti dall’industria sono enormi nella transizione verso la discesa energetica. Ad esempio, riutilizzare un contenitore alimentare sarà sempre meglio che riciclarlo. Molte strategie convenzionali di riduzione dei rifiuti trascurano quasi del tutto il concetto del riuso o lo confondono con quello del riciclo. Il riutilizzo fino a meno di 40 anni fa era una parte normale delle attività domestiche e commerciali e nessuno si sognava di mettere in dubbio questa pratica. La bottiglia del latte regolarmente riutilizzata ha fatto parte della vita quotidiana di milioni di persone fino a quando il sistema di distribuzione del latte si è mantenuto su piccola scala, finché gli standard di igiene sono stati alti e finché la paura dei contenziosi legali non ha preso il sopravvento268. Anche il metodo ancora più minimalista che vedeva il distributore versare il latte direttamente nel pentolino di casa aveva forti valenze sociali e funzionava abbastanza bene. Nella società del declino energetico sarà difficile riuscire a ripristinare questi sistemi in modo accettabile. I contenitori, prodotti in enorme quantità dall’industria e visti come rifiuti da eliminare in una casa normale, diventano invece una risorsa nelle famiglie che hanno scelto l’autosufficienza. L’abbondanza di contenitori può essere addirittura considerata un sussidio, per quella mi-

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Permacultura noranza che ha deciso di adottare uno stile di vita adeguato alla decrescita. Alcuni ritengono che, se non è possibile per tutti, un dato modo di comportarsi, allora non è sostenibile269. Io considero questi vantaggi accordati ai pionieri di qualsiasi innovazione comportamentale un meccanismo perfetto per accelerare cambiamenti e adattamenti. I contenitori riutilizzabili forniscono ampi servizi nei sistemi permaculturali. Ecco alcuni esempi di riutilizzo o miglior uso alternativo che abbiamo praticato a Melliodora:

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 i contenitori

con tappo a tenuta ermetica sono riutilizzabili per sottaceti e conserve;  i sacchetti di plastica della spesa servono per conservare il cibo, per i rifiuti e altro;  le bottiglie di birra possono contenere birra e succhi fatti in casa;  i contenitori delle uova servono per contenere e vendere uova;  le scatole di cartone o polistirolo sono utili per conservare e vendere frutta;  i vasi e gli altri contenitori di plastica per piante servono per lo stesso utilizzo;  i bottiglioni e le damigiane di vetro con il fondo segato diventano delle campane di vetro per proteggere le piantine dal freddo (le bottiglie di vetro possono essere usate al posto dei mattoni);  i contenitori di rullini servono per conservare semi o pillole per uso veterinario;  i contenitori del latte si possono usare per seminarci dentro o per proteggere il tronco degli alberi;  le taniche di olio di oliva da 20 litri possono essere usate per arrostire castagne;  i fusti da 200 litri (comprati) con coperchio servono per conservare le granaglie;  i barili di polietilene da 200 litri (comprati) contenenti sottaceti vanno bene per preparare del fertilizzante liquido;  i secchi di plastica da 20 litri servono per dare da mangiare agli animali, rccogliere i letami e per altri utilizzi agricoli;

 i

contenitori di cibo take-away si possono impilare, per riporvi chiodi, viti e simili. In parte minima acquistiamo questi oggetti da ditte che si occupano di riciclaggio (e riutilizzo); in larga parte, ci arrivano da altre famiglie o singoli. Noi, infatti, non compriamo molti alimenti o prodotti dai canali commerciali convenzionali e quindi non ne abbiamo abbastanza.

Scarti di cibo e acqua Questa è un’altra area in cui esistono grandi opportunità di riduzione dei rifiuti. Ricliclare gli avanzi di cucina ricavandone dei piatti deliziosi, è il primo esempio che dovrebbe diventare una pratica corrente. Se rimane ancora qualche scarto, la cosa migliore sarebbe darlo alle galline, che lo trasformeranno in uova e letame della migliore qualità. Nel nostro caso, ci procuriamo anche gli scarti dei ristoranti locali, perché i nostri polli morirebbero di fame, se dovessero contare solo sui nostri270. Un esempio di riutilizzo dell’acqua calda è quello di servirsene prima per fare il bagno, poi per il bucato, e un primo lavaggio dei pannolini e infine per irrigare il frutteto. Le semplici gerarchie di prossimo miglior utilizzo erano del tutto evidenti per la generazione dei miei genitori, mentre vanno esaurientemente spiegate alla generazione di ambientalisti successiva alla mia; queste persone non afferrano intuitivamente i legami gerarchici, sul piano energetico che ci possono essere tra un utilizzo e l’altro. Limitazioni al riuso Le opportunità di riuso di materiali non più richiesti o esausti sono talmente tante, nelle società cosiddette “avanzate”, da dover mettere debitamente all’erta l’entusiasta sostenitore di queste pratiche contro almeno due trappole. La prima di queste trappole è che si possono recuperare talmente tante cose da non sapere più che farsene, oppure accumularne al punto che questi oggetti e materiali si degradano – per la semplice esposizione alle intemperie, a formiche, termiti o altro ancora – prima di poter essere riutilizzati. Questo è un esempio di come la troppa attenzione al potenziale riutilizzo riduce il risultato utile (è il principio della massima potenza, descritto nel


6. Evita di produrre rifiuti

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Principio 3). La seconda di queste trappole è che le strategie generali della progettazione possono diventare con il tempo talmente dipendenti dalla disponibilità locale di materiali lavorati in modo complesso e disponibili gratis che, quando questi non sono più disponibili, quella particolare strategia di progettazione diventa inappropriata. È questo, ad esempio, il caso di molte case costruite un tempo in Australia con mattoni di paglia e fango e grandi travi recuperate dalla demolizione di vecchi ponti e simili. Tali soluzioni erano adeguate al tempo in cui questo materiale era in sovrappiù, al punto da essere bruciato ai lati delle strade. Oggi molte di quelle vecchie travi vengono adoperate per fare mobili pregiati. Riutilizzarle come travi, come accadeva una volta, diventa quindi più una stravaganza che altro. Un altro esempio di trappola può essere la pacciamatura. Questa metodica è eccellente per mettere subito a frutto gli orti avviati di fresco. Il pacciame necessario può essere ricavato da fieno di erba medica o da altre piante foraggere, il che rappresenta la soluzione migliore per impedire lo sviluppo di infestanti e altre piante indesiderate. La trappola consiste nel fatto che, quando si tratta di superfici notevoli, è una follia (oltre che un utilizzo inappropriato delle risorse) trasportare il fieno a grandi distanze.

Le riparazioni Nei sistemi biologici auto-organizzati – da una cellula a un territorio – i processi per riparare i danni e ripristinare le funzioni operano per prevenire lo spreco di strutture preesistenti e per conservare l’energia e i materiali essenziali richiesti per costruire nuove strutture. Ad esempio, il processo di guarigione delle ferite coinvolge una serie complessa di processi di riparazione, dall’arresto della perdita di sangue alla formazione di tessuto cicatriziale. Allo stesso modo, le ferite della terra che distruggono la vegetazione e lo strato superficiale del terreno vengono riparate dalle piante pioniere, che colonizzano rapidamente il suolo. Tali piante non hanno problemi a crescere sullo strato di terreno impoverito dalla esposizione all’aria e alle intemperie e danno inizio al processo di formazione di sostanza organica, che avvia la ricostituzione dello strato fertile del terreno.

Nelle società tradizionali, gli utensili di famiglia e altri oggetti di valore venivano riparati con somma attenzione non appena si verificava un danno. Per la generazione dei miei genitori – vissuti durante la “grande depressione” e la seconda guerra mondiale – le capacità di riparare gli oggetti e la dedizione a questo compito erano parte integrante della loro etica fatta di orgogliosa frugalità. Oggi sopravvivono alcuni di questi valori solo presso pochissime persone anziane, che si prendono la briga di rammendare un vecchio maglione o di restaurare, con infinita pazienza e grande dispendio di tempo, vecchi mobili o automobili d’annata. L’approccio permaculturale prevede di mantenere un equilibrio tra l’ossessivo recupero di singoli oggetti di valore e la riparazione fatta al momento giusto di qualsiasi cosa che abbia un valore, seguendo il classico proverbio “A stitch in time saves nine”271. Diventa però sempre più difficile prestare fede a questo proverbio, in un’epoca in cui indumenti quasi nuovi possono essere comprati scontati a pochi dollari. La manutenzione di edifici e infrastrutture rappresenta, invece, un settore più serio del mondo delle riparazioni e verrà affrontato con maggiori dettagli in seguito.

Il riciclaggio Il riciclaggio è la strategia di prevenzione dei rifiuti normalmente più pubblicizzata. Nel concetto di riciclaggio è implicito che, per trasformare il prodotto nei suoi costituenti di base, sia necessario un qualche input energetico. Ad esempio, riciclare una bottiglia di vetro richiede energia per fondere il vetro e ottenere una nuova bottiglia; in generale, sarebbe di gran lunga preferibile riutilizzare la bottiglia. In tutti gli ecosistemi, gli organismi che decompongono la materia, come i lombrichi, riciclano i materiali organici trasformandoli in humus e minerali del suolo per una successiva assimilazione da parte delle piante. Detti organismi ottengono energia dallo stesso processo di decomposizione, che serve alla loro sopravvivenza e alla riproduzione. Questo è il modello perfetto per riciclare i materiali, una volta esaurite le opzioni di riuso e riparazione. Le diffuse innovazioni dell’industria per sostituire materiali tossici e

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Permacultura durevoli con materiali non tossici e biodegradabili costituiscono uno degli aspetti di maggior successo dell’innovazione industriale che utilizza principi ecologici.

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Modelli industriali Il riciclaggio industriale come strategia di transizione L’aumentata efficienza e complessità del riciclaggio industriale ha fatto capolino anche fra le montagne di spazzatura accumulatesi negli ultimi anni in innumerevoli discariche, ma le nuove opportunità per il riciclaggio centralizzato di materie prime piccole e ampiamente distribuite si riducono man mano che i costi di trasporto e di energia aumentano. Nello stesso tempo, il riciclaggio domestico – fra cui il compostaggio dei propri rifiuti – ridurrà la quantità di materiali di scarto da raccogliere. Sempre di più, nell’industria, s’impone il retrofit, un settore di progettazione che tende a scoprire un utilizzo migliore per ciò che sembrava solo uno scarto, insieme alla progettazione di sistemi più integrati. Le nuove tecnologie utilizzate oggi272 permettono di bruciare rifiuti verdi (derivanti da verde urbano e giardini) per generare elettricità, riducendo sia i rifiuti destinati alla discarica che la produzione di gas serra. Un allevamento intensivo di maiali273 è stato premiato per la ristrutturazione in senso ecologico del ciclo di produzione, attuata sfruttando le deiezioni animali per la produzione di metano (utilizzato in azienda) e di compost, che viene immesso sul mercato. Questi esempi di riduzione di rifiuti e inquinamento sono molto positivi e permettono anche dei guadagni economici. Si tratta però, quasi sempre, di tecnologie di transizione, che rispondono al problema del momento di gestione dei rifiuti. Con il tempo, il volume di rifiuti si ridurrà sempre più, rendendo obsolete queste tecnologie, un po’ come accade negli esempi citati prima, concernenti le travi di ponti e la pacciamatura. Attualmente, le città producono una grande quantità di rifiuti verdi derivanti da parchi e da altre aree di verde pubblico, ma ciò è dovuto essenzialmente alla non com-

prensione dell’importanza di un uso appropriato di questi rifiuti o, meglio ancora, al non sapere che è possibile eliminare la produzione di grandi masse di rifiuti verdi applicando appropriate tecniche di permacultura. Nel futuro, si potranno ancora usare tecniche adeguate per bruciare i rifiuti verdi, ma le rese energetiche derivanti da questi processi tenderanno a sparire, man mano che prenderà piede la non produzione di questo tipo di rifiuti. Per quanto concerne invece gli allevamenti intensivi di maiali, essi difficilmente potranno essere considerati economici, in futuro, per l’alto dispendio di risorse di ogni tipo. La tecnologia descritta prima sarà facilmente considerata alla stessa stregua di un cerotto su un sistema che fa acqua da tutte le parti. Le esperienze a cui guardare sono altre: quelle recenti274, svolte in Danimarca, sull’allevamento brado del maiale dimostrano che, quando con appropriate rotazioni colturali gli si permette di vivere libero in grandi recinti con accesso a mangimi concentrati come negli allevamenti industriali, il maiale ha una velocità di crescita non inferiore a quella forzata del sistema industriale. Certamente i manager dei grandi allevamenti su scala industriale difficilmente crederanno a queste verità o le accetteranno. Sarebbero la prova che anche attualmente – con i costi dell’energia e delle risorse abbastanza bassi – gli allevamenti industriali non sono altro che un sistema per tenere gli allevatori in una situazione di costante debito, dovuta agli ingenti investimenti in tecnologie e mangimi molto costosi. Questi esempi dimostrano che riprogettare a monte può ridurre le risorse che alimentano le industrie che a valle si basano sull’esistenza dei rifiuti; inoltre, dimostrano una più generale esigenza di trasformazione radicale per prevenire vicoli ciechi progettuali. Una parte di questi cul de sac può essere evitata, considerando almeno i vantaggi e gli svantaggi qualitativi, che nei sistemi di grandi dimensioni (fino alla società intera o all’ambiente nel senso più ampio) derivano da soluzioni o strategie progettuali. Possiamo anche dare un’occhiata alla natura intrinseca degli elementi (siano essi giardini o suini) che generano rifiuti, per vedere se il nostro livello di comprensione di quel dato elemento rappresenta un limite per la soluzione progettuale che abbiamo in mente.


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6. Evita di produrre rifiuti

Una seconda rivoluzione industriale? La rivoluzione industriale aumentò l’efficienza di utilizzo del lavoro umano. Ciò ebbe un’alta incidenza soprattutto nell’industria tessile, in cui l’utilizzo di tecnologia, insieme all’energia e ai materiali a buon mercato, fece aumentare radicalmente la produttività del lavoro. Oggi che i combustibili e le risorse non rinnovabili sono in declino e le nostre energie rinnovabili (suolo, foreste, zone di pesca e altro) sono in cattivo stato, l’imperativo si è spostato sull’efficienza di utilizzo di ogni kilowatt di elettricità, di ogni tonnellata di acciaio, di ogni metro cubo di legname o d’acqua. Questo avviene in una fase storica, in cui la manodopera è abbondante quanto le capacità scientifiche, commerciali e tecnologiche. L’ecologia industriale è un campo di studi, emerso nell’ultimo decennio, che offre alcune cornici teoriche e concettuali per esempi radicali di riprogettazione industriale275. Gli ottimisti delle tecnologie verdi, come Amory Lovins276, 277 , sostengono che il riprogettare i processi di produzione, stimolato dalle forze del mercato, sta rapidamente producendo esempi di miglioramenti Factor 4 (due volte il valore di produzione per metà del consumo di energia e risorse) e persino miglioramenti Factor 10. Essenzialmente, Lovins ritiene che l’applicazione dei principi di progettazione naturale – ossia i principi della permacultura – di integrazione, feedback, eliminazione dei rifiuti e così via ai processi industriali e commerciali stia creando una seconda rivoluzione industriale, che aumenterà il benessere materiale riducendo l’impatto e lo sfruttamento ambientale. D’altra parte, dopo decenni di prediche a base di principi imperniati sul “Fare di più con meno”, il mondo industrializzato è ancora molto dipendente dal consumo di energie e risorse per la crescita economica. Il fatto che negli Stati Uniti, al percorso indicato da Lovins basato sul declino energetico sia corrisposto nella realtà delle cose un aumento del consumo di risorse ed energia che ha prodotto ulteriori crescite dell’economia (nonostante le sfavorevoli politiche perseguite dalle autorità pubbliche), può essere attribuito in larga misura al carattere estremamente antiecologico dell’industria americana prima delle crisi energetiche degli anni ’70. C’era troppo “grasso che colava”,

ed esso contraddistingue tuttora gran parte dell’economia americana, anche se si è ridotto rispetto al passato. L’efficienza economica e industriale ha avuto una storia più edificante in altri Paesi tecnologicamente avanzati, in cui la ridondanza di sprechi da tagliare era ed è ben minore. Fra questi Paesi, spiccano i Paesi Bassi e il Giappone. Altri fattori che contribuiscono all’apparente successo dell’economia americana nel “fare di più con meno” sono:  la migrazione in grande stile delle industrie pesanti più inquinanti e a più alto utilizzo di energia dagli USA in Messico e verso altri partner commerciali;  il dominio globale delle tecnologie informatiche, in particolare l’esplosione dell’e-commerce;  la rapida crescita di attività economiche in aree largamente considerate collegate a cattive abitudini e vizi (più che a beni e servizi): industria anticrimine o della sicurezza, contenziosi civili e industriali, servizi medici intrusivi. Gli enormi miglioramenti nella produttività che gli ottimisti della “tecnologia verde” prospettano dipendono sia da modelli di progettazione generali che dalla capacità di saperli integrare. Su questi temi torneremo nel Principio 7 e nel Principio 8. Le prospettive di miglioramenti Factor 4 e Factor 10 nell’utilizzo di risorse ed energia sono stimolanti, ma io ritengo che l’apparente fiducia di Lovins in un sistema di produzione capitalista altamente centralizzato ignori l’analisi storica. Il capitalismo, in tutta la sua storia, è stato il vero motore sia dei consumi che dello spreco, limitato solo periodicamente da più ampie nozioni di ciò che è il bene pubblico. È difficile credere che un capitalismo senza controlli e al contempo centralizzato attraversi le modifiche necessarie per trasformarsi in un capitalismo basato sulla riduzione al minimo dei rifiuti e su linee di condotta di stile ecologico. Con l’aumentare del costo dei combustibili fossili, è facile prevedere la comparsa e perfino il proliferare di altri esempi high-tech fedeli alla linea del “fare di più con meno”. Questo genererà una enorme richiesta di ulteriori investimenti di energia, che andrà di pari passo con analoghe richieste di capitali da parte delle tradizionali in-

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Permacultura

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dustrie, grandi consumatrici di energie da carbone, petrolio e gas, capitali il cui investimento produrrà un netto calo della resa energetica. Le crisi nella fornitura di energia elettrica, verificatesi in California alla fine degli anni ’90, mostrano alcune di queste dinamiche; sembrano quasi una prova generale della lotta che avrà come obiettivo quello di destinare capitali e risorse energetiche a soddisfare richieste immediate oppure di approntare adeguati investimenti per la transizione verso la discesa energetica.

Efficienza industriale e ingegno umano Se le grandi industrie ad alta tecnologia controllate dalle multinazionali aumentano in maniera significativa l’efficienza nell’utilizzo di energia e risorse, ciò potrebbe probabilmente fornire un passaggio cruciale per uscire dalla società ad alto consumo di energia, ponendo anche le basi per un cambiamento nella cornice concettuale di una società più stabile a basso contenuto tecnologico e bassi consumi. Esiste una controversia, quanto ai metodi di contabilità da utilizzare per dimostrare se questi massicci miglioramenti sono reali o no; è lo stesso tema che fa da sfondo al dibattito sulle energie rinnovabili (v. l’analisi di EMERGY e altri metodi di contabilità per l’efficienza delle cellule fotovoltaiche nel Principio 5). Esiste l’opinione, largamente diffusa, che l’ingegno umano, le abilità nel progettare e la cultura siano le chiavi per entrare nella seconda rivoluzione industriale, ma l’analisi EMERGY suggerisce che anche le forme meno materiali di capitale umano e sociale sono il prodotto di energia da fonti fossili incorporata in passato. Sebbene le infrastrutture di tipo comunicativo-informativo siano più flessibili e durature delle infrastrutture fisiche, esse sono soggette, come altre forme di energia incorporata, a un graduale deprezzamento con il tempo. L’attuale proliferare di brillanti nuove idee sulla riprogettazione industriale e tecnica può essere considerato il prodotto naturale di mezzo secolo di politica sociale democratica, che ha diffuso l’istruzione, stato del benessere e altri prodotti sociali dell’opulenza, elementi resi più raffinati da venti anni di capitalismo laissez-faire e di individualismo (v. Principio 12).

Non sto suggerendo, con questo, che le innovazioni tecnologiche siano ormai in via di esaurimento; vi sono, però, abbondanti indicazioni che enormi risorse dovranno essere investite, nei decenni futuri, per ridare forza e vigore a un capitale sociale che per quanto concerne istruzione e formazione si è molto ridotto ed è stato la fonte stessa dei risultati positivi oggi conseguiti278. Dal punto di vista della permacultura, gran parte del capitale sociale e umano esistente è configurato per risolvere problemi tecnologici e industriali su larga scala, all’interno della cornice del capitalismo di mercato. Perfino quando una svolta in senso ambientale e sociale diventa quasi obbligatoria, i nostri preconcetti culturali fanno in modo che continuiamo a reinventare i vecchi problemi in forme nuove. La gravità di questa difficoltà è molto chiara quando pensiamo alla quantità di scienziati e ingegneri che lavorano nel campo della ricerca militare. Che lavoro utile si potrà mai assegnare a un ingegnere aerospaziale, che ha speso una carriera lavorando al progetto di una qualche componente microscopica di un cacciabombardiere? A parte i problemi relativi al reimpiego di personale di questa natura, la società ha bisogno di investire la sua ricchezza nella creazione di nuove abilità e modi di pensare, che ci possano aiutare a progettare e gestire i sistemi naturali che continueranno a fornirci sostentamento ancora molto dopo che avremo esaurito la miniera dell’efficienza industriale.

Durata e manutenzione Il tema prosaico della manutenzione degli edifici e di altre infrastrutture materiali può essere importante nella transizione alla contrazione energetica ed economica quanto i nuovi modi high-tech per “fare di più con meno”. La manutenzione è probabilmente una delle attività quotidiane meno romantiche e meno amate ma è una funzione importantissima in tutti i sistemi. La riparazione è la risposta episodica al danno accidentale; la manutenzione, invece, è la risposta preventiva alla perdita di valore prevedibile e incrementale che (come riflesso della seconda legge dell’energia) condiziona tutte le riserve di energia


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6. Evita di produrre rifiuti incorporata. Tale perdita di valore è del tutto evidente nel caso di edifici e case, che non possiedono gli aspetti di automantenimento che presentano i sistemi biologici. Le tradizioni culturali europee assegnavano grande importanza alla durata e alla resistenza degli edifici. La favola dei tre porcellini279 e della diversa consistenza delle loro case, nella difesa contro il lupo, indica che questi valori sono profondamente radicati nella nostra cultura. L’attenzione prestata alla sapienza nella costruzione, alla manutenzione e alla durata delle case, nelle culture germaniche e scandinave, fa sembrare i comportamenti degli Australiani molto simili a quelli tipici di una tribù nomade. L’edificio di legno più antico del mondo è in Norvegia. In tutta la penisola scandinava, nelle comunità rurali era quasi un rituale sacro – più che un’incombenza indispensabile – l’applicazione stagionale di pece di pino, distillata in famiglia, alla parte esterna di case, stalle e fienili280. Andando alla ricerca di altri modelli di costruzione di edifici, i mattoni di terra cruda a prima vista non sembrano molto duraturi, ma nel Nuovo Messico, a Pueblo de Taos, esiste un edificio costruito 900 anni fa, che sembra battere ogni record in quando a fabbricati costantemente abitati. Edifici come questi sono un vero monumento alla manutenzione. In tutto il Mediterraneo, i terrazzamenti in pietra che caratterizzano molti luoghi montagnosi lungo le coste sembrano ormai comporre un paesaggio senza tempo ma sono anch’essi frutto dell’opera dell’uomo nei millenni. Ovviamente, molti di questi territori soffrono ormai per l’abbandono delle comunità contadine che ne costituivano l’anima e, senza manutenzione, l’erosione sempre in agguato non farà che riportare le terrazze al bosco e non più all’agricoltura di sussistenza di una volta. Le conseguenze della mancata manutenzione delle straordinarie risaie a terrazze del sud-est asiatico sarebbero ancora più catastrofiche. Una delle convinzioni più errate della modernità è l’idea che possano esistere edifici che non abbiano bisogno di manutenzione. Questo falso mito ha permeato le nuove generazioni di proprietari di case, i quali si sono distinti per la loro negligenza. La stessa negligenza e indolenza è evidente nel trattamento riservato a molti edifici pubblici.

L’ingegneria della manutenzione L’ingegneria della manutenzione è una professione con un grande futuro. Se non vogliamo che il costo di manutenzione e sostituzione delle nostre costruzioni e infrastrutture diventi insostenibile, dobbiamo impegnare in queste attività maggiori risorse e soluzioni più innovative e creative281. Con il declino energetico, scopriremo che le risorse dedicate alla manutenzione dell’enorme patrimonio edilizio, creato quando energia e risorse erano a buon mercato, diventeranno un’enorme peso, anche se l’impiego di manodopera diventerà relativamente più economico. Se il nostro patrimonio edilizio è già in cattivo stato, tuttavia, anche l’utilizzo di manodopera può fare poco per rimettere in equilibrio la situazione. I grafici282 della Figura 16 mostrano come il declino, in qualsiasi ambiente costruito, risponda all’input di manutenzione e risorse investite in questo sforzo. Il terzo grafico mostra l’effetto della mancanza di manutenzione; in questi casi, solo l’impiego di grandi input può far recuperare la situazione. A questa circostanza piuttosto allarmante si sovrappongono la privatizzazione e l’aziendalizzazione di quasi tutte le infrastrutture di proprietà pubblica, la diffusa riduzione di fondi e del personale addetto alla manutenzione, l’importanza attribuita a standard elevati di manutenzione. L’aumento del numero di guasti, disservizi e dei sinistri, anche di tipo mortale in molti Paesi è stato attribuito al declino degli standard di manutenzione. La situazione ha alimentato le critiche dell’opinione pubblica ai progetti di privatizzazione, ma queste critiche mettono in luce solo la punta visibile dei problemi creati dalla mancanza di manutenzione, che verranno ereditati dalle future generazioni di contribuenti, utenti, azionisti e clienti. I problemi su larga scala, generati dalla assenza di manutenzione sotto l’assalto furibondo del razionalismo economico, sono rispecchiati su scala domestica dalla mancanza di interesse e di sforzi rivolti alla manutenzione della propria casa. Al contrario, la ristrutturazione continua a rappresentare un’opzione vantaggiosa per l’investimento del surplus finanziario da parte dei proprietari australiani di case.

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Permacultura La carenza di manutenzione di base può essere attribuito a vari fattori:

corso del tempo. Egli cita il Centre Pompidou (1979) di Parigi come esempio di incubo per la manutenzione:

ΩΩ l’aumento di offerte e opportunità di trascorrere tem-

«Il Centro Pompidou è un’attrazione turistica che ha a che fare con la storia dell’architettura, allo stesso livello della Torre Eiffel. Quest’ultima (1889) ha una struttura esposta in modo elegante e monumentale; il Centro Pompidou cerca di fare la stessa cosa con le condutture dei servizi (tubi dell’aria condizionata e di altri impianti). Ma le strutture di ferro della Torre possono resistere agli elementi molto meglio dell’intricata massa di tubi del Centro. Il messaggio permanente della Torre al mondo dell’architettura è che la struttura esposta può essere magnifica. Il messaggio permanente del Centro è: meglio non esporre i servizi».

po sul lavoro o in attività di tempo libero, in ogni caso lontano da casa; ΩΩ l’alta mobilità, che mina alla base il pensiero e i valori che privilegiano il lungo termine; ΩΩ il continuo aumento del valore delle proprietà immobiliari, quasi a prescindere dalle condizione degli edifici; ΩΩ il declino dell’etica del lavoro e dei valori tradizionali associati alla manutenzione.

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È noto che gli immobili costruiti negli anni ’60, ’70 e ’80 non durano molto. Ciò è attribuibile agli standard edilizi moderni ma, almeno in parte, anche alla mancanza di manutenzione. Nel libro How buildings learn, Stewart Brand – utilizzando materiali di archivio e fotografie recenti – ha analizzato le variazioni apportate a edifici da proprietari, occupanti ed elementi naturali. Brand dimostra che la manutenzione – o la non manutenzione – è uno dei fattori critici nell’evoluzione e sopravvivenza degli edifici nel

Declino di funzionalità causato dall’inevitabile decadimento della struttura

Riscoprire l’impegno richiesto dalla manutenzione è uno dei più importanti aspetti del principio che stiamo analizzando in questo capitolo. I grafici della Figura 16 chiariscono in modo evidente che la mancanza di manutenzione è un generatore nascosto di enormi sprechi che si realizzano attraverso la perdita di valore e di prestazioni del patrimonio edile. Il Principio 12 analizza delle strategie alternative per utilizzare materiali provvisori e facilmente rinnovabili.

Funzionalità con manutenzione regolare Tempo

Tempo

Declino del valore o della funzionalità del sistema

Declino del valore o della funzionalità del sistema

Figura 16 – Decadimento infrastrutturale e manutenzione.

Funzionalità con ritardi nella manutenzione Tempo

Declino del valore o della funzionalità del sistema


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6. Evita di produrre rifiuti

Piante e animali infestanti come risorse sprecate È ironico che, proprio nel momento storico in cui la preoccupazione per il declino delle capacità di autorinnovamento della natura ha raggiunto il suo picco, ci sia una uguale preoccupazione riguardo ai tanti problemi causati da piante e animali. Questi problemi sono ancora più diffusi nei Paesi ricchi, per le ragioni che esamineremo di seguito.

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Disponibilità di acqua, sostanze nutritive e terra Lo sviluppo dell’agricoltura intensiva ha – al contrario di quanto si potrebbe pensare – ridotto l’entità di terre marginali gestite e controllate dall’uomo. Ciò ha permesso che la natura – con specie native ed esotiche – si reimpadronisse di queste aree in termini mai visti da secoli. L’aumentato utilizzo di acqua e nutrienti in agricoltura intensiva e per servirsi della terra a scopi ornamentali e ricreativi ha stimolato la proliferazione delle specie selvatiche che sono le più adatte a utilizzare questo surplus di risorse. L’opulenza Alla proliferazione di piante e animali non voluti ha contribuito anche un complesso di fattori economici e sociali. Gli stili di vita urbani, la rete di welfare sociale, i prezzi bassi di cibo e di altre risorse naturali, l’insufficiente numero di persone attive in agricoltura sono tutti fattori che contribuiscono a realizzare una situazione di mancata gestione, raccolta e utilizzo di specie selvatiche. La risposta prevalente di proprietari e amministratori terrieri, ambientalisti e società è quella di considerare le specie in rapida proliferazione come nuove forme di inquinamento biologico, quando in realtà si tratta di risorse non utilizzate. Elaborare modi più creativi ed efficaci di usare le risorse selvatiche è un tema costante della progettazione permaculturale283 (v. Principio 3). Gli eccessivi surplus di piante e animali infestanti, in questi casi, rappresentano un’opportunità speciale, che sarebbe meglio utilizzare il più possibile. Lo slogan “Il problema è la soluzione” ci sfida a cercare modi creativi di adoperare ciò che altrimenti è considerato

inutile. La pesca commerciale di carpe infestanti nei fiumi australiani, con la loro trasformazione in fertilizzante, è un elemento che va nella giusta direzione, ma a lungo termine l’utilizzo quale fertilizzante dovrebbe essere sostituito da altri di maggior valore (come, ad esempio, farne mangime per i polli). In ultima analisi, il modo più naturale per arrivare al controllo dell’eccessiva presenza di carpe nei fiumi australiani dovrebbe essere il consumo umano ma ciò potrebbe verificarsi solo in seguito a una riduzione della ricchezza; in questo caso, il cittadino australiano sarebbe costretto a comprare la carpa, invece di specie ittiche più pregiate e costose. La presenza stessa delle carpe è dovuta alla crescita eccessiva delle alghe nei sistemi fluviali interni. L’eccesso di alghe è un prodotto dell’eccessivo uso di fertilizzanti da parte degli agricoltori, nonché dei residui delle fognature urbane riversati nei fiumi e dell’aumento di sedimenti nei fiumi stessi284. Oltre a riconoscere apertamente la responsabilità dell’uomo nel contribuire alle varie calamità di origine naturale che ci affliggono, bisognerebbe anche accettare questi squilibri nella popolazione di piante e animali come opportunità per soddisfare creativamente i nostri bisogni e, nello stesso tempo, cercare di creare un maggior grado di equilibrio in natura. Questo modo di procedere sarebbe la realizzazione del ruolo che dovremmo svolgere in natura. Storicamente, questo ruolo è stato ricoperto da figure disprezzate e considerare al margine della società, come i cacciatori di conigli. Dobbiamo invertire questo modo di vedere le cose. In una società ecologicamente consapevole, le persone che riescono a guadagnarsi da vivere utilizzando elementi in surplus considerati dannosi dovrebbero essere rispettati e additati come modelli invece che come disadattati.

Risorse umane sprecate I livelli di ingegno di una popolazione con una buona istruzione formale, predominante nelle società ricche, è una forma riconosciuta di capitale sociale, ma impallidisce al confronto con le conoscenze e le capacità delle comunità tradizionali, per lo più rurali, maggioritarie nei


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Permacultura Paesi più poveri. L’attuale economia globale ha una bassa opinione di queste abilità e tende a distruggere la capacità delle persone di applicare le conoscenze in modo produttivo; quando va bene, tratta queste persone come manodopera a basso prezzo e del tutto dequalificata. La maggioranza degli abitanti di questo pianeta ha ancora una qualche forma di cultura che rimanda a esperienze personali o familiari, legate a un luogo e alle risorse naturali locali rinnovabili di quello stesso luogo. Gran parte di questa gente è in continua lotta per riuscire a salire sul treno in corsa della società industriale e della sua opulenza. Ciò accade principalmente attraverso la migrazione dalle aree rurali alle città. Nel processo, i redditi di tipo monetario aumentano, ma le persone perdono l’accesso a fattori di ricchezza che non si possono misurare e contenere, perdendo anche le abilità tecniche tradizionali e i valori sociali delle comunità rurali di origine. Non voglio fare il romantico a spese dei popoli poveri del Terzo Mondo. In un certo senso, questi popoli stanno all’estremo opposto dell’ingegnere aerospaziale, incapaci e non preparati – a causa delle loro tradizioni ed esperienze – ad adattarsi e a capire la società del declino energetico, con un pesante bagaglio di preconcetti e di aspettative del tutto irrealistiche. Ma classificare queste persone come le più diseredate e inermi al mondo è sbagliato. Credo che i poveri del mondo, specialmente quelli rurali, rappresentino un vasto patrimonio di risorse e capacità umane che attualmente non viene affatto apprezzato e stimato quanto dovrebbe e che, proprio nella fase che stiamo attraversando, rappresenta la punta più avanzata nella transizione a una società a ridotta disponibilità di energia. Questa non solo è una grande ingiustizia, ma è anche un segnale di grossolana stupidità e di uso inefficiente di risorse umane285. Molte organizzazioni umanitarie non governative – soprattutto le più piccole – che attualmente lavorano in progetti di sviluppo a vantaggio dei poveri del mondo applicano in modo consapevole o inconsapevole i seguenti principi della permacultura:  comprendere, riconoscere e sostenere i sistemi locali già esistenti, che soddisfano i bisogni della gente, mantengono le conoscenze locali e stimolano la gestione adeguata delle risorse naturali;

 identificare

le risorse locali umane e naturali sottovalutate o sprecate;  introdurre un numero molto limitato di nuove specie e di nuovi strumenti e materiali, la cui utilità sia già stata verificata in sistemi tradizionali assimilabili a quelli in oggetto e la cui gestione possa essere curata tramite capacità e risorse locali. Uno dei più importanti effetti secondari di questi progetti è la rivalutazione delle competenze e delle conoscenze tradizionali, che prima venivano considerate superate, inefficaci e pertanto senza valore. Questa svalorizzazione avviene in seguito all’intrecciarsi di molteplici fattori, fra cui:  a volte, le conoscenze utili sono connesse a sistemi tradizionali integrati che non funzionano più come una volta a causa di sovrappopolazione, guerra, degrado delle risorse o cambiamenti sociali;  le conoscenze sono comprese solo dalla popolazione anziana, a volte in una lingua non più parlata dalle giovani generazioni;  la propaganda governativa e la pubblicità promuovono metodi moderni, denigrando le conoscenze locali;  i custodi delle conoscenze tradizionali si rendono conto che il resto del mondo è ricco e utilizza metodi moderni. Molti progettisti di permacultura che hanno lavorato in progetti di sviluppo nel Terzo Mondo ammettono di aver appreso più di quanto siano riusciti a dare e trasmettere alle popolazioni locali. Bill Mollison ha fatto, a tal proposito, la proposta, molto provocatoria, di portare nei Paesi dell’Occidente tutti coloro che sono in possesso di conoscenze riguardanti i sistemi sostenibili tradizionali affinché insegnino agli occidentali come procurarsi il cibo286. Ciò sottolinea il fatto che sostenere la conservazione e la rivalutazione dei sistemi sostenibili tradizionali non significa affatto fare la carità, ma aprire un sentiero che porta a vantaggi reciproci per tutta la comunità globale. Personalmente, non ho maturato esperienze nel campo dei progetti di sviluppo, ma ricordo che nel 1994, durante una visita in Israele, mi sentii molto imbarazzato


6. Evita di produrre rifiuti

I ricchi

Investimenti nazionali Risparmio nazionale Commercio mondiale Prodotto Interno Lordo

85,0% 85,5% 84,2% 84,7%

Ogni sezione rappresenta un quinto della popolazione mondiale

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I poveri Investimenti nazionali 0,9% Risparmio nazionale 0,7% Commercio mondiale 0,9% Prodotto Interno Lordo 1,4%

Figura 17 – Il modello wineglass (a calice) dell’attività economica globale. quando mi fu chiesto di presentare una serie di diapositive sulla mia casa a Melliodora a una comunità di beduini del deserto del Negev287. La comunità si sforzava di salvaguardare alcuni aspetti della vita tradizionale, ai margini della moderna società israeliana. Molte di quelle persone lavoravano nelle città vicine e si trovavano sugli scalini più bassi della scala sociale che – con mille speranze – li avrebbe forse portati o spinti verso la ricchezza, forzati anche dalle iniziative del governo (a volte non solo di freno, ma anche di distruzione), verso le case autocostruite dai beduini sui loro terreni tradizionali. In quella sede, io ero un famoso ambientalista australiano, presumibilmente ricco. Già alla prima diapositiva, davanti alla nostra casa costruita con mattoni di terra cruda, un vecchio si mise a gesticolare eccitato, dicendo: «Guarda, una casa di beduini!». E, in effetti,

la terra era il materiale di costruzione tradizionale delle loro zone. Forse il mio status di esperto straniero che viveva un una casa di terra avrà incoraggiato alcuni dei beduini più giovani a riscoprire il valore delle loro tradizioni più che i materiali di costruzione industriali. In realtà, la capacità dello straniero di esercitare influenze positive in situazioni del genere è molto limitata, a meno che non si sviluppino delle relazioni di lunga durata, basate su reciproco rispetto e fiducia. I progetti di sviluppo miranti a potenziare le autonomie locali e le cooperative del commercio equo, che permettono di conservare le abilità tradizionali guadagnando redditi modesti che integrano l’autosufficienza familiare e l’economia della comunità, sono il complemento naturale che potrebbe portare a una autosufficienza su larga scala e a percorrere altre strade rispetto alla rete commerciale convenzionale dei Paesi ricchi.

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Permacultura Nazione

Uso EMERGY per persona*

India

1

Media mondiale

6

Brasile

15

USA

29

Australia

59

* (x 1015 emjoules/anno)

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Uso di EMERGY per persona nel mondo e in alcune nazioni

Per quanti nei Paesi ricchi non sono direttamente coinvolti nella realizzazione di questi progetti, la cosa più importante che possono fare per dare una mano è impegnarsi negli stessi processi a casa propria e nella propria comunità. Con un grado più alto di autosufficienza si può:  ridurre la domanda di merci collegate alle esportazioni dai Paesi del Terzo Mondo, frutto dello sfruttamento delle grosse aziende o delle multinazionali;  aumentare lo status dell’autosufficienza nella cultura globale che va sempre più emergendo;  liberare capitali da investire nei Paesi sottosviluppati per correggere gradualmente lo squilibrio tra economie ipersviluppate e sottosviluppate, come illustrato dal modello a calice (wineglass) dell’economia globale della Figura 17. Il modello wineglass mostra uno squilibrio sbalorditivo della ricchezza economica misurata ma, se ad esso venisse aggiunto il valore dei servizi ambientali gratuiti, la disparità non sarebbe così eclatante. Le comunità rurali povere, ad esempio, hanno un accesso relativamente maggiore ai servizi naturali gratuiti (attraverso l’agricoltura di sussistenza, la caccia e altro), anche se queste fonti di ricchezza non misurabili stanno riducendosi rapidamente. Le valutazioni EMERGY delle nazioni danno una misura più realistica della vera ricchezza. Anche se non direttamente comparabili ai dati del modello wineglass – perché la EMERGY mi-

sura interi Paesi – la tabella a fianco sull’uso di EMERGY per persona e per anno mostra un quadro più realistico della vera ricchezza che circola nei Paesi selezionati. L’EMERGY per persona, sorprendentemente alta, del Brasile e la straordinaria cifra relativa all’Australia riflettono il livello molto alto di servizi gratuiti ricavati dalla natura, l’estrazione di risorse non rinnovabili nei Paesi meno sviluppati e, nel caso dell’Australia, la bassa popolazione. Molti australiani che si recano all’estero ritengono che l’Australia sia il luogo migliore in cui vivere; tale opinione, probabilmente, riflette non solo e non tanto una certa dose di sciovinismo o orgoglio nazionale, ma anche un modo indiretto di apprezzare le immense opportunità offerte da questo Paese e forse anche l’auspicio che si possa fare miglior uso di quelle ricchezze.

La spazzatura come natura Visitando Israele, nel 1994, rimasi scioccato dalla quantità di spazzatura riversata sulle strade e sulle campagne, dalla mancanza di manutenzione di edifici e veicoli e dall’arrogante approccio al trattamento dei rifiuti e all’inquinamento. La sensibilità verso i temi dell’ambiente e dell’igiene ambientale, evidente in alcuni Paesi dell’Europa Occidentale, non è un dato che ritroviamo in Israele, che è a tutti gli effetti un Paese del Medio Oriente. D’altronde, i comportamenti registrati in Israele di scarsa attenzione ai temi ambientali sono tipici di molti altri Paesi di recente sviluppo. Un’opinione in qualche modo alternativa su cui vale la pena riflettere mi fu espressa al riguardo da diversi israeliani: «Se lo stile di vita moderno genera immondizia, inquinamento e spreco, è infantile e ingenuo cercare di nasconderlo e ignorarlo». Se dovessimo ragionare in base a questo metro, gli israeliani e i greci – che prendono normalmente il caffè in locali posti su strade molto trafficate, a due passi dai gas di scarico delle automobili – forse sono più in sintonia con il loro mondo dei ricchi svedesi, che vivono nella bella, pulita e verde Stoccolma, preoccupati che stronzio 90, estrogeni sintetici o organismi geneticamente modificati finiscano nei loro alimenti biologici certificati.


6. Evita di produrre rifiuti

Conclusione

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Il principio della permacultura “Non produrre rifiuti”, di cui ci siamo occupati in questo capitolo, suggerisce che bisognerebbe viaggiare con leggerezza su questo pianeta, accettando comunque di generare prodotti a noi inutili, se essi possono invece diventare risorse o alimenti utili alla natura o ad altre persone.

C’è un esercizio di respirazione Qi Gong, in cui siamo incoraggiati a immaginare noi stessi che respiriamo in una luce bianca e chiara espirando fumo nero tossico: un’idea che va un po’ controcorrente, rispetto alle moderne sensibilità ecologiste. La prospettiva olistica sui rifiuti viene completata da uno scorpione celeste che, volteggiando sopra di noi, si nutre del fumo nero che sale dagli strati sottostanti.

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Principio

7

Progetta dal modello al dettaglio

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Gli alberi non sono la foresta288

I primi sei principi tendono a considerare gli ecosistemi dalla prospettiva bottom-up di elementi, organismi e individui. Gli ultimi sei principi tendono a sottolineare la prospettiva top-down, evidenziando modelli e relazioni che tendono ad emergere attraverso l’auto-organizzazione dei sistemi e la coevoluzione. Il fatto che diversi modelli siano osservabili, sia in natura che nella società, ci permette non solo di dare un significato a ciò che vediamo, ma anche di usare un modello preso da un contesto per applicarlo, con le opportune modifiche di scala, ad altri contesti. Riconoscere un modello è un momento necessario, che precede il processo della progettazione (v. Principio 1). Il ragno e la ragnatela dell’icona, con progetto concentrico e radiale, evoca la pianificazione di un sito per zone e settori, uno dei più noti e forse più applicati principi della progettazione in permacultura. Il modello a ragnatela è evidente, ma i suoi dettagli sono sempre diversi. La modernità tende a confondere qualsiasi buon senso o intuizione di tipo olistico che possa mettere ordine nel guazzabuglio di possibilità e opzioni progettuali con cui ci confrontiamo in tutti i campi. La tendenza a focalizzare tutta la nostra attenzione su sistemi complessi e composti da mille dettagli porta a progettare “elefanti bianchi” che sono, sì, grandi da fare impressione ma non funzionano, o macchine mostruose che consumano tutta la nostra energia e le nostre risorse, minacciando al contempo, costantemente, di sfuggire a ogni controllo. I sistemi complessi che funzionano tendono a evolversi da altri sistemi semplici che funzionano; di conse-

guenza, è più importante trovare il modello appropriato per quel progetto che comprendere tutti i dettagli degli elementi costituenti il sistema289. Il proverbio “Gli alberi non sono la foresta” ci ricorda che i dettagli tendono a distrarre la nostra consapevolezza della natura del sistema; più ci avviciniamo e meno riusciamo a capire il quadro d’insieme.

Pensare per modelli290 L’introduzione di Bill Mollison ai modelli naturali291 fornisce un quadro ampio e stimolante del grande campo di potenziali applicazioni nella progettazione permaculturale. La ricerca di modelli spaziali e temporali in natura – che ci porta oltre la geometria euclidea che domina il pensiero come si è sviluppato nella cultura occidentale – è importante per i progettisti di ogni settore. Mollison dice: «Imparare a padroneggiare un modello è come imparare un principio; può essere applicabile a una vasta gamma di fenomeni, alcuni complessi e altri semplici». È importante capire la rilevanza dei modelli organici, apparentemente irregolari, della natura per i sistemi umani; spesso, però, i nostri tentativi di applicare questi modelli sono arbitrari e inappropriati. Il libro Pattern language292 di Christopher Alexander è stato una pietra miliare nel riconoscimento e nella organizzazione dei modelli classici di ambienti costruiti su scala umana. Sviluppare un linguaggio dei modelli, applicabile su ampia scala nella progettazione perma-


7. Progetta dal modello al dettaglio

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culturale, è un bisogno che molti progettisti293 permaculturali hanno riconosciuto; tuttavia, per lo sviluppo di un linguaggio dei modelli, esistono due problemi:  i processi della crescita e organizzazione biologica rappresentano un campo molto più ampio dell’architettura degli ambienti costruiti e, al contempo, molto diversificato;  le implicazioni dello sviluppo e della caduta della base energetica dell’umanità devono essere capite ed espresse attraverso i principi della progettazione, prima di riuscire a sviluppare la cornice necessaria per identificare e organizzare sistematicamente i modelli appropriati. Sia che progettiamo un giardino, un villaggio o una organizzazione, abbiamo bisogno di un ampio repertorio di modelli a noi ben noti con dimensioni, tempi e forme adeguate e spesso ricorrenti nei sistemi umani naturali e sostenibili. In questo capitolo, voglio contribuire allo sviluppo di un linguaggio dei modelli della progettazione in permacultura mettendo a fuoco esempi di strutture e organizzazioni che sembrano illustrare quell’uso equilibrato di energie e risorse da noi chiamato una buona progettazione. Come spiegato nel Principio 3, detto equilibrio è effettivamente quello che ottiene la massima resa ma, man mano che la disponibilità e la qualità dell’energia si riducono, il nostro buon senso e la nostra intuizione di ciò che si caratterizza come progettazione ottimale spesso vengono smarriti. Abbiamo inoltre bisogno di imparare nuovamente a riconoscere i modelli, perché l’innovazione culturale e specialmente le tecnologie dei media hanno alterato gravemente l’abilità a “pensare per modelli” che era comune nelle società preindustriali294. La perdita di questa capacità di vedere, sentire e riconoscere i modelli della natura potrebbe essere il nostro maggiore impedimento, nel tentativo di adattarci alla realtà del declino energetico.

Scale spaziali e temporali Molti temi e strategie, nella progettazione permaculturale, sono connessi alla scelta di scale295 appropriate ai siste-

mi, al processo decisionale e all’attuazione pratica. Le scale spaziali vanno da una scala umana, percettibile dall’occhio umano fino a quella microscopica e, in senso contrario, a una scala globale e oltre. Le scale temporali possono andare dalla durata di una giornata o della vita media dell’uomo, e contrarsi fino a dimensioni che interessano i processi atomici di breve e veloce durata e, in senso inverso, espandersi fino a tempi ecologici, storici e geologici. Nel Principio 9 prenderò in considerazione l’imperativo di ridurre scale e velocità, nella transizione dallo sviluppo alla discesa energetica. In questo capitolo sottolineo la rilevanza di una comprensione più generale delle scale spaziali e temporali nei modelli di progettazione in permacultura, altrettanto importanti dei concetti di zona e settore. Riusciamo facilmente a comprendere i cambiamenti che avvengono nelle persone o in altri organismi viventi e sistemi su una scala simile alla nostra, ma troviamo difficile percepire – non parliamo di capire – i cambiamenti nei macro e micro sistemi su scale molto diverse da quelle a cui i nostri sensi e la nostra memoria possono accedere. Gli strumenti e la tecnologia, la storia in generale e la cultura hanno esteso queste possibilità di conoscenza in varie gradazioni, ma la natura umana è sorprendentemente limitata dalle dimensioni umane dei sensi e della memoria personale. La scienza e la tecnologia – in special modo se fanno capo al settore della Medicina – sono largamente acclamate per il loro potere sui sistemi di scala micro che condizionano il nostro benessere, ma le conoscenze scientifiche dei macrosistemi non sono state accolte con lo stesso entusiasmo, forse perché i sistemi di grandi dimensioni non sono così facili da controllare e non promettono vantaggi in tempi brevi. Allo stesso modo, gli insegnamenti spirituali che si concentrano su scale macro non stimolano grandi entusiasmi in confronto agli insegnamenti, alle conoscenze e alla saggezza locale del qui e ora. Questo limite del pensiero a corto raggio (la durata della vita umana) è stato già descritto come una debolezza evolutiva dell’uomo, che dobbiamo correggere se vogliamo sopravvivere in quanto specie296. Per affrontare con efficacia le questioni poste dalla sostenibilità, dobbiamo sviluppare una conoscenza ricca e con-

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Permacultura

Sistemi d’informazione genetici e geologici

Finestra della politica pubblica

Società ed economia

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Tempo di rinnovamento

Vite umane

Ecosistemi

Microbi

Molecole

Territorio di sostentamento e influenza Figura 18 – Gerarchia di sistemi nel tempo e nello spazio (secondo Odum & Odum, 2001). testuale dei modi in cui le scale temporali e spaziali danno forma alla progettazione e all’evoluzione dei sistemi; inoltre, per parlare di scale, abbiamo bisogno di sviluppare un linguaggio condiviso, perché l’argomento è una costante fonte di errori e incomprensioni in qualsiasi azione collettiva. La Figura 18 dimostra come sistemi disposti in una concatenazione molto vasta possano essere resi graficamente secondo una scala spazio-temporale. I sistemi fisi-

camente piccoli e di breve durata possono essere descritti come espressioni ed elementi che condizionano un territorio limitato, con un periodo di rinnovamento molto rapido297. Il grafico mostra la finestra della politica pubblica leggermente più estesa rispetto a quella tradizionalmente limitata alla scala umana, e comprende temi che riguardano la gestione dei sistemi naturali e l’esaurimento delle risorse. Questo modello generale di collegamento tra spa-


7. Progetta dal modello al dettaglio zio e tempo nei sistemi, essendo molto diffuso in natura, è utile per pensare al tema delle scale appropriate da usare per progetti idonei alla società della decrescita. Un modo più intuitivo per rappresentare la stessa gerarchia di sistemi è quello della Figura 19, in cui grandi sistemi, caratterizzati da cambiamenti molto lenti, sono composti da altri sistemi più piccoli caratterizzati da cambiamenti rapidi.

Scale fisiche o scale funzionali Le scale fisiche sono spesso un buon indicatore anche delle scale funzionali, ma non è sempre così. Ad esempio,

i predatori sono spesso di dimensioni simili o perfino più piccole delle loro prede ma occupano territori molto più vasti e sono meno numerosi. Da questo punto di vista la descrizione che dà Odum del “territorio di sostentamento e influenza” rappresenta una più accurata descrizione della forza e potenza degli animali predatori rispetto alla loro grandezza fisica, anche se non si tratta di caratteristiche evidenti o ovvie dei sistemi o dei loro elementi. La differenza di scala tra sistemi collegati spesso può essere misurata attraverso gli ordini di grandezza. Ad esempio, i predatori occupano normalmente un territorio da 10 a 100 volte più grande (1 o 2 ordini di grandez-

Sistemi di informazione genetici e geologici Società ed economia Vite umane

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Ecosistemi Microbi Molecole La freccia indica che con il crescere della scala, aumentano anche il territorio di sostentamento e influenza e il tempo di rinnovamento.

Figura 19 – Gerarchia di sistemi inserita nel tempo e nello spazio.


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Permacultura za), rispetto alle loro prede, e sono proporzionalmente meno numerosi. Questi salti nell’ordine di magnitudo della scala funzionale sembrano applicarsi anche alla progettazione dei sistemi umani (v. più avanti l’analisi di zone permaculturali e scale di produzione e sviluppo).

L’aggregazione di energia nello spazio e nel tempo

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Una semplice interpretazione della seconda legge della termodinamica suggerisce che energia e materia, insieme alle attività e alle strutture che ne risultano, tendono a diventare più disperse e distribuite a caso. Per questo, quello della concentrazione è stato considerato un fenomeno statistico casuale. Una delle più importanti scoperte della teoria del caos è che la concentrazione di energia, massa, attività e struttura create dai processi viventi non è una aberrazione della seconda legge della termodinamica, ma una caratteristica intrinseca dell’universo. Conseguentemente, ogni volta che nell’universo sono disponibili in abbondanza energia e materia, l’auto-organizzazione porta a una crescente complessità di attività e struttura298.

I modelli di territorio L’evoluzione di territori e paesaggi riflette la raccolta e la conservazione di energia prodotta dal connubio tra sole e terra, descritte nel Principio 2. Le fonti primarie di energia variano da luogo a luogo, ma la conversione di queste fonti primarie da parte di sistemi ambientali su grande scala prodotti dal movimento della Terra e dal clima concentra e struttura ulteriormente potenziale energetico e fertilità disponibili per piante, animali e persone. Questa concentrazione avviene e opera in tempi e luoghi precisi; perciò molta dell’intensa attività della natura si svolge in eventi di breve durata. Ad esempio, gran parte dell’erosione che avviene lungo i corsi d’acqua è tipica di periodi di brevissima durata, che corrispondono a piene e inondazioni. Tra un’alluvione e l’altra non accade nulla di rilevante. Questo modello ha enormi implicazioni per un uso sostenibile del territorio visto che gli effetti avversi, che modificheranno quello stesso territorio, avranno luogo solo in eventi spora-

dici e di breve durata. Nel monitoraggio ambientale, le misure di caratteristiche come l’erosione hanno scarso valore se non effettuate nel corso di lunghi periodi, e possono perfino condurre a false conclusioni di nessuna utilità, perché non colgono proprio quegli eventi brevi e sporadici che modificano l’assetto del territorio (v. Principio 12, per un’analisi più approfondita dei modelli pulsanti di ecosistema). Così come l’architettura cellulare degli organismi concentra energia e funzioni nei nuclei delle cellule, allo stesso modo i territori e gli ecosistemi presentano dei nodi in cui si concentra l’energia. Tali nodi sostengono sistemi o elementi che possono essere altamente produttivi. Le implicazioni di questa tendenza a procedere per aggregati aprono molte possibilità alla progettazione ecologica, ma ci devono anche mettere in guardia rispetto a molte trappole e a conseguenze non previste. Le concentrazioni di fertilità e risorse disponibili sono forse i fattori più rilevanti che hanno determinato i modelli di uso della terra e di insediamento da parte dell’uomo nel corso del tempo.

Dalla foresta pluviale alla foresta di eucalipti L’equilibrio tra foresta pluviale e area boschiva a eucalipti in molti territori indigeni dell’Australia riflette un optimum ecologico e colturale basato sulla giusta compenetrazione di energia e risorse. Le regioni con un’alta piovosità e un buon livello di fertilità mantenere in modo sostenibile un’estensione abbastanza uniforme di foresta pluviale. Le regioni più aride e meno fertili possono anch’esse essere colonizzate dalla foresta pluviale, se non intervengono incendi. Bastano pochi incendi catastrofici durante i periodi di siccità prolungata, però, per spazzare via la foresta pluviale da interi territori, causando le enormi perdite di suolo fertile che si verificano puntualmente dopo l’incendio a causa dell’erosione che ne consegue. Queste regioni aride e poco fertili perdono regolarmente acqua, nutrienti e sostanza organica in dosi più massicce rispetto alla foresta pluviale (per lo più, in seguito a piccoli incendi e alluvioni). Queste fonti di energia possono essere recuperate dalla vegetazione più densa e vigorosa che cresce lungo i corsi d’acqua. Tale concentrazione di energia può essere sufficiente a


7. Progetta dal modello al dettaglio

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sostentare uno stretto corridoio di foresta pluviale più densa e ricca lungo il corso d’acqua, con ampia varietà di specie e alta produttività biologica299. I territori indigeni australiani rispecchiavano frequentemente questo modello generale, che vede un sito arricchirsi mentre il territorio circostante si impoverisce. Tale modello, almeno in parte, è il risultato della gestione del territorio da parte degli aborigeni300, che hanno potenziato la tendenza naturale insita nelle regioni a bassa energia. La perdita di energia e nutrienti in una sezione di territorio può essere considerata elemento di degrado locale; in realtà, può succedere che quel degrado venga compensato in un’altra zona dello stesso territorio da un concentramento di energia facente parte dello stesso sistema. Questo modello è molto importante per affrontare la minore disponibilità – o il declino di disponibilità – di energia in un territorio. Facendo in modo che le energie e le risorse in eccesso all’interno di un sistema si concentrino in un sito particolare, si può dar vita a un sistema più ricco e più esigente in fatto di energia, quindi capace di concentrare una maggiore quantità di energia allo stato libero.

I modelli di suolo Le osservazioni, che io stesso ho condotto su terreni rocciosi e misti nella parte centrale dello Stato di Victoria, mostrano un mosaico di suoli che possono variare perfino da un metro quadro all’altro. I terreni che tendono ad indurirsi e sono privi di vita e di sostanza organica lasciano scorrere via quasi tutta l’acqua (e le foglie secche decomposte), mentre le aree di accumulo, come quelle poste dietro tronchi sradicati e altro materiale morto, assorbono quella stessa acqua, creando uno strato superficiale friabile e fertile. Questi siti permettono non solo la nascita e la crescita di specie erbacee che coprono il terreno, ma anche un assorbimento in profondità di acqua nel sottosuolo e nelle fratture tra una roccia e l’altra, creando falde acquifere che alimentano la crescita dell’Eucalyptus melliodora – una tra le specie più resistenti alla siccità – che domina nelle foreste di queste regioni. Gli scavi condotti in queste aree hanno messo in luce un mosaico di materia organica sepolta, argille, limo,

ghiaia e sassi. Questi materiali riflettono lunghi cicli in cui l’erosione, a furia di intagliare e riempire, ha modellato il territorio nel corso dei millenni, creando siti molto circoscritti in cui prevale o il degrado o la ricchezza di materia organica. Tali modelli su grande scala sono stati descritti come tipici degli ecosistemi aridi. Questi esempi mostrano come la natura risponde al degrado e alla perdita di energia concentrando gli sforzi nel catturare e utilizzare l’energia e le risorse messe in movimento nei punti di accumulo, che in ogni territorio si creano in modo naturale. Le oasi del Medio Oriente e del Nord Africa, con la loro fertilità concentrata in mezzo al paesaggio desertico, sono la rappresentazione iconica del fenomeno che sto descrivendo: un paesaggio alieno, che ha spesso ispirato l’immaginazione degli Europei. Gli ecosistemi agricoli a scorrimento degli antichi Nabatei, nel deserto del Negev, furono modellati osservando i paesaggi locali301. L’auto-organizzazione evidente nei paesaggi naturali allo stato selvatico e accentuata dall’uso tradizionale indigeno del territorio dovrebbe essere considerata un modello generale per l’uso sostenibile del territorio in un futuro a basso utilizzo di energia. Essa fornisce i mezzi per capire la localizzazione e la scala dei sistemi più fertili atti a sostenere l’uomo dal punto di vista alimentare e a soddisfare altri suoi bisogni, e, allo stesso tempo, per riuscire ad affrontare il problema del degrado ecologico curando l’aspetto della gestione delle acque.

I modelli strutturali di vegetazione Gli ecosistemi naturali sono, quasi per definizione, al livello massimo possibile di potenza ed efficienza. Tale stato è dato dai lunghi periodi di coevoluzione avvenuti all’interno dei limiti dati dai flussi di energia disponibile. La struttura e l’organizzazione degli ecosistemi e le specie presenti sono i fattori che governano la quantità di energia che si riesce a ottenere con il minimo sforzo302.

Le foreste come modello per l’agricoltura Il concetto di permacultura è nato con riferimento agli ecosistemi naturali – in particolare le foreste – come modelli

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Permacultura

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per l’agricoltura. In molte parti del mondo con piovosità moderata o alta, soprattutto nelle aree collinari o montane più impervie, le foreste sono gli ecosistemi predominanti. Questi ecosistemi:  sono dominati da alberi che raggiungono grandi altezze, spinti dalla competizione per la luce;  includono piante del sottobosco, che riescono a utilizzare la luce filtrante dalla chioma vegetale creata dalle specie maggiori e prosperano nel microclima stabile che si crea a livello del terreno;  presentano diversi habitat adatti a specie animali di grande e piccola taglia;  sono molto efficaci nel contrastare l’erosione, evitando frane e altre forme di instabilità del suolo. Molte società agricole tradizionali hanno riconosciuto il valore delle foreste nell’assicurare risorse idriche a lungo termine e altri servizi di grande valore alle comunità umane. Ad esempio, l’origine dell’etica che mira alla conservazione delle foreste in Giappone303 risale addirittura al XIV secolo, quando solo il 30% delle montagne giapponesi era coperto da foreste. A quel tempo le alluvioni devastavano regolarmente le pianure destinate alla coltivazione del riso. Dal XVII secolo, in Giappone, più del 70% del territorio è coperto da foreste. In alcuni luoghi e nazioni, le foreste hanno in effetti fornito una buona parte degli alimenti fondamentali per le popolazioni residenti. In Corsica, la civiltà rurale aveva le sue basi nelle foreste di castagni, che fornivano, oltre all’alimento base della dieta dell’isola, legna da ardere e da opera e foraggio per gli animali. Questo e altri esempi, documentati da Russell Smith negli anni ’30 e ’40304, dimostrano che in molte parti del mondo i sistemi agricoli che ricavavano cibo dalla foresta sono stati più produttivi e sostenibili di quelli basati sulla coltura di grano e cereali. Personalmente, ritengo che la scarsità di esempi sopravvissuti di foreste alimentari305 – che forniscono il sostentamento a intere comunità – sia dovuta all’azione negativa delle guerre, piuttosto che alla loro scarsa produttività, e ciò in particolar modo nel vecchio mondo (Mediterraneo e Medio Oriente)306.

Le foreste alimentari in permacultura La strategia di istituire foreste alimentari – che soddisfino i bisogni della popolazione con una varietà di specie e, al contempo, mantengano molte caratteristiche delle foreste naturali – è l’applicazione più nota dei principi della permacultura; l’idea è stata messa in pratica con entusiasmo da molti permacultori che a essa si sono ispirati. Tali sistemi – in particolar modo nelle aree tropicali e in quelle subtropicali umide – si sono rivelati produttivi e in grado di mantenersi da soli, ma hanno anche suscitato diverse critiche da parte dei sostenitori di orientamenti biologici307 e biodinamici308 più tradizionali, che li hanno considerati inappropriati. Nei climi temperati freschi, la maggior parte degli alberi da frutta più produttivi si è evoluta in modo da fiorire, fruttificare e resistere alle malattie fungine in ambienti più aperti rispetto a quelli delle foreste fitte; nei climi subtropicali, esistono molti alberi che fruttificano all’ombra di specie vegetali più alte e sono adatti a essere inseriti nelle foreste alimentari. Su larga scala, le foreste fitte sono possibili solo nelle aree ad alta piovosità, lungo i corsi d’acqua o in presenza di altre fonti di umidità permanenti e abbondanti. Nelle regioni a bassa piovosità, gli alberi diventano sempre più radi e il carattere della foresta muta più o meno drasticamente, trasformandosi in ciò che chiamiamo comunemente terreno boscoso o area boschiva. Gran parte del territorio australiano, prima che arrivassero gli Europei, era più simile al bosco che alla foresta. Il bosco può anch’esso presentare vari livelli, ma le piante che li compongono sono più distanziate rispetto a quelle delle foreste come riflesso della minore piovosità. Questi limiti ci aiutano a rendere maggiormente sofisticato – più che spingerci a rigettarlo – il modello della foresta alimentare, adeguandolo ai principi dell’agricoltura sostenibile e ricercando altri modelli di ecosistemi. L’agroforestazione e la pluricoltura di specie arboree L’agroforestazione309 integra l’utilizzo produttivo di alberi all’interno dei sistemi agricoli convenzionali. Negli ultimi trent’anni del secolo scorso, questo concetto si è sviluppato in parallelo con quello della permacultura,


7. Progetta dal modello al dettaglio producendo notevoli benefici reciproci. Nel suo significato più limitato, l’agroforestazione consiste nel mantenere, tra una fascia di alberi ad alto fusto e l’altra, delle aree destinate al pascolo o a colture agricole di vario genere. Il più recente concetto di analogue forestry310 imita gli ecosistemi indigeni maturi (a climax); vengono ricreate così le interazioni strutturali e funzionali della foresta naturale, utilizzando piante indigene ed esotiche. In molti modi tale sistema rappresenta una riaffermazione del concetto originario di permacultura, con qualche influenza da parte dell’ecologia dei sistemi. Si ritrovano comunque le radici culturali all’interno delle tradizioni colturali indigene dei sistemi tropicali di sussistenza, in cui molte specie vegetali arboree vengono coltivate o fatte crescere in coltura mista311.

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Landcare e la riprogettazione dell’agricoltura australiana Probabilmente il miglior risultato conseguito dall’affermarsi dei concetti della permacultura, dell’agroforestazione e della analogue forestry è stato di aver promosso la consapevolezza che la mancanza di specie vegetali perenni nel sistema agricolo australiano è la causa principale della salinità e di molti altri segnali di degrado che affliggono i paesaggi rurali dell’Australia. Il fatto sostanziale è che le colture annuali e i pascoli non sono efficienti nello sfruttare le piogge. L’acqua non utilizzata dilava le sostanze nutritive e causa l’acidificazione dei terreni, contribuendo a innalzare la salinità delle falde acquifere. Il movimento Landcare312 ha avuto il merito di diffondere queste verità nel mondo rurale australiano. La struttura degli ecosistemi riflette i livelli di piovosità più che quelli di irradiazione solare. Anche il periodo di crescita attiva della vegetazione segue da vicino la stagionalità delle piogge. Per questo, nell’Australia meridionale predomina la vegetazione attiva in inverno, mentre accade il contrario nell’Australia settentrionale. Anche se l’irrigazione, almeno in parte, permette di superare queste limitazioni climatiche in orticoltura, nell’agricoltura su vasta scala bisogna organizzare le colture in modo che combacino con i periodi di maggiore

piovosità. L’uso efficiente delle piogge è oggi uno degli slogan più cari al Landcare movement. Molti scienziati e agricoltori, tuttavia, oggi accettano l’idea che l’agricoltura su vasta scala abbia bisogno di una profonda ristrutturazione. Ted Lefroy313, ecologo dei sistemi, ha studiato l’uso di acqua e nutrienti nella cintura del grano dell’Australia occidentale come misure di efficienza dell’ecosistema. Il suo lavoro è stato il punto d’inizio per una ricerca e un progetto su vasta scala, di milioni di dollari, coinvolgente la Land and Water Resources Research and Development Corporation e il CSIRO314. Il progetto si chiama Redesign Agriculture for Australian Landscapes. Il fatto che poi questi progetti producano risultati positivi tangibili nel campo dell’agricoltura vera e propria è tutto da verificare.

L’optimum di piante e animali Nonostante l’enorme varietà delle caratteristiche delle specie arboree, alcuni modelli generali del clima e della biogeografia globali sono utili per capire quali sistemi e specie sono probabilmente più adatti al nostro ambiente locale. Bill Mollison dedica un’intero capitolo del suo Permaculture: a designer’s manual alla spiegazione dei modelli generali di clima e microclima a causa dell’importanza delle conoscenze geografiche di base nel mettere a confronto e integrare informazioni relative ad ambienti simili.

Alberi decidui e sempreverdi Una delle differenze più considerevoli tra le foreste di tutto il mondo è il predominio degli alberi sempreverdi nella maggior parte dei climi, tranne che nelle zone temperate dell’emisfero boreale, dove predominano le specie decidue. Queste specie sono le più adatte a usare i modelli stagionali legati alla forte alternanza tra inverni freddi ed estati calde; sembra, pertanto, strano che nelle zone temperate dell’emisfero australe le specie decidue siano così rare. La spiegazione delle differenze sottili e, al contempo fondamentali, tra i climi temperati dei due emisferi presenta degli aspetti, che sono molto rilevanti per la progettazione permaculturale di sistemi agricoli a bosco o a frutteto.

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Permacultura Il fatto che nell’emisfero sud predomini l’oceano significa che l’alternanza tra temperature estive e invernali è meno estrema. Il clima più mite favorisce la possibilità di crescita vegetale in inverno e, dove in inverno piove molto, si accentua la possibilità del dilavamento delle sostanze nutritive del suolo 315. In generale le specie sempreverdi si adattano dunque meglio perché traggono vantaggio da condizioni di crescita irregolari. Le variazioni stagionali minori portano anche imprevedibili picchi di freddo in primavera e perfino in estate. Le piante decidue, che ogni primavera rinnovano l’intera chioma, sono più esposte alle gelate, durante la stagione di crescita, rispetto alle specie sempreverdi, in cui la maggior parte del fogliame è sempre matura e quindi meno vulnerabile. Gran parte degli alberi da frutta che possono crescere in Australia nei climi temperati soggetti a gelate è di tipo deciduo; eppure, in inverno, le temperature sono calde solo quel tanto che permette agli alberi (quelli, di numero abbastanza limitato, resistenti ai danni da freddo e da gelo) di crescere. A Melliodora, per fare un uso efficiente della piogge invernali, abbiamo messo a dimora ogni tipo possibile di albero da frutto sempreverde, rustico e resistente al freddo (ulivo, feijoa e loquat316); la parte del frutteto piantata ad alberi decidui è invece inframmezzata da alberi di tagasaste e acacia, che sono sempreverdi e a crescita invernale. Queste piante fissano l’azoto, attirano le api e forniscono pacciame e foraggio per polli e capre. Tra un albero e l’altro abbiamo inserito diverse colture erbacee, legumi ed erbe officinali, anch’essi a crescita invernale. Sotto gli alberi abbiamo piantato dei bulbi primaverili, che fioriscono molto prima che spuntino le foglie degli alberi decidui. Il nostro sistema produce meno frutta di un frutteto tradizionale delle stesse dimensioni, ma fornisce altri raccolti, accumula grandi quantità di sostanza organica, trattiene l’acqua quando piove, ricicla le sostanze nutritive e impedisce il dilavamento. Sulle aree costiere a clima più mite dello Stato di Victoria possono crescere varie specie arboree tropicali che non perdono le foglie (avocado, agrumi, macadamia e sapote). La cosa sbalordisce i visitatori provenienti dall’emisfero nord, alle cui latitudini il freddo invernale

porta a escludere questi alberi. Sulle coste dello Stato di Victoria, invece, si può perfino pensare di impiantare una foresta alimentare ad alta densità.

Piante che amano o non amano la fertilità del terreno L’adattamento delle piante a suoli fertili (ad alto contenuto di energia) e non fertili (a basso contenuto di energia) illustra quanto possono essere sottili e importanti i modelli naturali per la progettazione. Si è spesso portati a pensare che le piante che si trovano a crescere in natura su terreni poveri amino tali condizioni. In realtà, è la loro natura di piante efficienti, e perciò competitive, a determinare la loro comparsa su quel tipo di terreno. La maggior parte delle piante cresce meglio quanto più alta è la fertilità del terreno, in tali situazioni sono quelle che si sono evolute o sono state selezionate per suoli molto fertili dimostrando una notevole efficienza. Il nostro obiettivo è, di solito, quello di aumentare la produttività; una importante strategia, in tal senso, è accoppiare piante e animali in modo da sfruttare al meglio un dato territorio. La natura rustica delle piante native e non australiane le rende ideali per una molteplicità di funzioni in territori poco fertili e non irrigati. Quando ci mettiamo a coltivare un nuovo orto, la fertilità del terreno può sostentare solo una limitata varietà di piante ma col tempo potremo accogliere anche le specie più esigenti. Utilizzare piante pioniere che crescono nei terreni poveri, migliorandone le caratteristiche, è una strategia che verrà trattata ulteriormente nel Principio 12. Biomasse animali e vegetali come indicatori di fertilità Le relative quantità ed i tipi di piante e animali presenti in un dato habitat – a conduzione umana o non – possono trasmetterci utili informazioni sul tipo di terreno e sul suo livello di fertilità minerale. Sebbene la permacultura (e adesso anche l’opinione scientifica convenzionale) consideri la biomassa vegetale perenne una caratteristica importante dell’agricoltura sostenibile, vi sono delle ragioni comprensibili, per cui l’uomo, nei sistemi agricoli


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convenzionali, tende da sempre a ridurre la biomassa perenne e quella da legno. Gli ecosistemi con presenza di grandi quantità di biomassa legnosa spesso predominano nei territori poveri con dilavamento di sostanze nutritive e con alta piovosità, mentre le zone ideali per gli insediamenti agricoli umani sono sempre state le regioni più asciutte con una vegetazione ricca di manto erboso. Queste regioni presentano una vegetazione con alto contenuto di sostanze minerali che hanno sempre sostenuto un alto numero di animali e graminacee ad alta produzione di semi (da cui, millenni fa, abbiamo ricavato i moderni cereali).

I paesaggi nordamericani Gli equilibri ecologici e quelli relativi al contenuto di minerali nel suolo delle praterie a erba corta o a erba alta e nelle foreste decidue del versante orientale del midwest americano sono stati attentamente studiati da William Albrecht317. Albrecht ha dimostrato che l’equilibrio di minerali, nella biomassa più ridotta delle praterie a clima più secco, favoriva i grossi erbivori, le colture alimentari e quindi l’uomo. Le foreste decidue diffuse negli Stati Uniti orientali, a più alta piovosità, presentavano suoli più dilavati, e pertanto meno favorevoli per le colture alimentari, e ideali solo per il sostentamento di pochi erbivori di grossa taglia. Le foreste decidue producono abbondanti raccolti di ghiande, faggiole (i frutti del faggio) e hickory (o noce americano), che danno alimento a scoiattoli e tacchini. Nei terreni più poveri, a questo tipo di foresta subentra quella di conifere, con abbondante biomassa legnosa, ma scarse sostanze nutritive o semi per gli animali. I paesaggi dello Stato del Victoria I territori a me più familiari sono quelli dello Stato del Victoria. Le pianure vulcaniche, più asciutte e fertili a occidente, si coprirono di praterie e di aree boschive aperte e lussureggianti d’erba, mentre i suoli sedimentari posti a oriente, maggiormente soggetti a piogge e dilavamenti, si coprirono di foreste con alti eucalipti. Seguendo un modello generale, le praterie vennero abi-

tate dagli erbivori più grossi (canguri) e dagli aborigeni. Nelle praterie native, le piante più nutrienti e diffuse erano piccoli legumi, tuberi e altre specie erbacee relativamente delicate, in seguito quasi del tutto eliminate dal pascolo intensivo delle pecore, che lasciavano solo i ciuffi d’erba e i cespugli più coriacei e fibrosi. Nell’Australia preeuropea quelli descritti erano i paesaggi predominanti ed erano alla base anche della distribuzione degli aborigeni e poi dello stanziamento dei primi europei318. Tale modello spiega parzialmente anche l’ancestrale avversione degli Australiani per le foreste fitte.

I paesaggi di Sydney Ciascuno dei modelli che stiamo tratteggiando ha le sue eccezioni, ma una raffinata capacità di capire i modelli può far rientrare tali eccezioni in un quadro più ampio. Ad esempio, sul versante nord del porto di Sydney, le argille scistose moderatamente fertili di Ashley costituiscono la base delle foreste umide, in cui prosperavano eucalipti di varietà alte, mentre sulle sabbie sterili di arenaria di Hawkesbury crescevano per lo più foreste stentate o basse brughiere. Viene di frequente affermato, nelle interpretazioni storiche dei primi insediamenti nel New South Wales, che i coloni eliminarono le foreste più alte nell’opinione errata che i terreni sarebbero stati più fertili. Probabilmente, fu l’esperienza nel circondario di Sydney a portarli fuori strada. Se è vero come è vero che le foreste più alte tendono a occupare i terreni meno fertili, e non i suoli migliori dal punto di vista agricolo, allo stesso modo è vero che degli estremi squilibri nel campo dei minerali e l’incapacità dei terreni sabbiosi di trattenere l’umidità creano uno stress fisiologico da siccità che permette solo lo sviluppo di alberi e arbusti bassi e stentati. Sebbene una brughiera assomigli a prima vista a una rigogliosa prateria; in realtà, dopo la prima impressione superficiale, ci si accorge che sono ben poche le specie vegetali della brughiera che il bestiame da pascolo bruca con piacere, e che la parte maggiore è rappresentata da vegetazione a foglie dure e tossiche, che tendono a bruciare anche se sono ancora verdi Questo passaggio ecologico, dalla fertile prateria e dal bosco

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Permacultura aperto su suoli ricchi di minerali, alla foresta con alberi di grandi dimensioni e poi alla brughiera dalla crescita stentata su suoli poveri, è illustrato nella Figura 20. Capire questi modelli generali ma spesso tipici di realtà locali ci permette di comprendere i mosaici dei diversi paesaggi, i loro limiti e il loro potenziale, ai fini di un uso sostenibile del territorio su larga scala, nonché la possibile applicazione dei modelli stessi alle varie colture, in sistemi più piccoli e intensivi. Queste osservazioni possono mitigare la tendenza di alcuni permacultori a diventare fanatici della biomassa, ossia a considerare la massa vegetale totale l’unica misura della buona gestione di un territorio. Seguire la strategia permaculturale di privilegiare gli alberi che danno raccolti e le foreste alimentari non significa creare grandi estensioni di foreste per la produzione di biomassa, ma concentrarsi, invece, su alberi che abbiano il massimo potenziale per nutrire uomini e bestiame. Si tratta di alberi di taglia ridotta, spesso decidui, con foglie morbide che si decompongono velocemente creando uno strato superficiale di humus non acido; spesso portano a maturazione frutti grossi – semi, noci o baccelli – con un alto contenuto di carboidrati, proteine e olio; sovente sono resistenti anche al fuoco. Molti commettono l’errore di inserire in questi sistemi anche degli alberi alti e di grossa taglia, come eucalipti o conifere, che tendono a diventare la specie predominante, all’interno del sistema, senza aggiungere granché di valore. Specialmente in territori ad alta piovosità e con suoli soggetti a dilavamento, all’eccitazione di vedere questi alberi crescere velocemente subentra, dopo qualche anno, la frustrazione nel vedere quella enorme biomassa immangiabile portare via il sole e le sostanze nutritive ad altri alberi produttivi (di cibo, foraggio o altro ancora). D’altra parte, se ci servono delle specie rustiche da usare come frangivento, combustibile, legname da opera o per altri scopi diversi dal cibo, gli alberi di grossa taglia e a crescita rapida sono quello che ci serve. A Melliodora abbiamo persino trovato un posto adatto alla brughiera, con cespugli che attraggono gli uccelli autoctoni e che crescono senza problemi sulla scarpata rocciosa di fianco alla casa, inospitale per le altre specie.

Animali da pascolo L’idea che i sistemi energeticamente ottimali seguano dei modelli generali può essere estesa dalle piante agli animali. Ad esempio, se mettiamo a confronto mucche e capre come produttori di latte, le mucche producono più latte se brucano erbe di buona qualità e trifoglio (energia di alta qualità); ma quando il foraggio è di qualità non tanto elevata e include anche arbusti e alberi (energia di bassa qualità), le capre diventano relativamente più produttive. Le mucche sono gli animali migliori, nei climi freschi e molto piovosi, per mantenere il pascolo in salute; quando però si tratta di crearli, questi pascoli, le capre sono gli animali migliori. A Melliodora, le capre hanno contribuito a trasformare dei terreni grossolani con erbacce legnose in un pascolo di qualità migliore, che attualmente viene sfruttato anche da altri animali (oche). L’abbondanza di foraggio da alberi continua a bilanciare il pascolo e dà un’alimentazione più ricca di quanto di solito è dato alle capre. Nel confronto tra mucche, pecore e canguri, per quanto riguarda la capacità di trasformare il foraggio di pascoli di terreni semiaridi in carne, oggi si riconosce da più parti che i canguri sono molto più efficienti di mucche e pecore319. Non sono a conoscenza di tentativi di confronto tra bovini e ovini e canguri su pascoli fertili di alta qualità ma in teoria gli animali domestici dovrebbero essere, in quella situazione, molto più efficienti dei canguri. Quando l’energia disponibile aumenta, è naturale cercare soluzioni che diano rese più alte; quando l’energia disponibile, diminuisce l’efficienza della conversione energetica diventa più importante.

La progettazione di siti permaculturali L’applicazione più comune dei principi di progettazione della permacultura ha riguardato la progettazione e lo sviluppo di siti permaculturali. Il concetto di sito, in permacultura, è simile all’accezione del termine da parte delle professioni320 che si occupano di progettazione e sta a indicare una limitata porzione di territorio, spesso incentrato su un punto, che di solito è un’abitazione o un altro edificio.


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7. Progetta dal modello al dettaglio Piccoli erbivori che vivono sugli alberi

Uccelli che si nutrono di nettare Mammiferi da pascolo di grossa taglia

Altezza della vegetazione

Prateria

Terreno boscoso

Foresta alta

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Fertilità alta e bilanciata

Brughiera fitta

Brughiera rada

Fertilità bassa e squilibrata

Figura 20 – Gradiente dei tipi di vegetazione in climi temperati a media piovosità: dalla prateria alla foresta a chioma e poi alla brughiera (con relativi riflessi nella popolazione animale), che riflette la fertilità del terreno. L’approccio che ha al centro il concetto di sito presenta diversi vantaggi in termini di progettazione in permacultura:  stimola lo sviluppo su piccola scala o a piccoli nuclei, che imita il modello di sviluppo cellulare degli organismi viventi;  ben si adatta a siti residenziali, ossia all’abitazione circondata dal podere, che rappresenta uno dei maggiori interessi per la progettazione in permacultura;  stimola a sviluppare sistemi particolari che riflettono la particolare natura del sito;  è la parte centrale della disposizione per zone e settori, tipica della permacultura.

La progettazione di un sito come progettazione cellulare Possiamo pensare a un orto-giardino permaculturale (zona 1 e 2) come cellula di base di un insediamento

umano rurale. Le dimensioni di un orto-giardino hanno dei limiti di efficienza che bisogna raggiungere, prima di cominciare a parlare di sistemi di produzione più complessi. I sistemi orto-giardino, anche se danno buoni risultati, non possono espandersi oltre un certo limite. Forniscono, invece, un surplus di piante e di conoscenze da utilizzare per impiantare nuovi orti e giardini. L’abitazione e la popolazione umana che essa contiene sono equiparabili al nucleo di una cellula. Dal nucleo-casa provengono il controllo, la gestione e le informazioni per la riproduzione della cellula. Si può pensare che una famiglia si riproduca quando i figli lasciano la casa per fondare il proprio nucleo familiare. È logico pensare che ogni casa abbia un limite oltre il quale la dimensione non è più adatta e non funziona più bene. Ironicamente, nel mondo occidentale le nostre case sono troppo piccole per essere


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Permacultura

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efficienti nella produzione e preparazione di cibo e in altre funzioni. Il modello di famiglia tradizionale – che era il più delle volte una famiglia estesa, il cui numero di membri poteva variare da cinque a quindici – era sicuramente più adeguato a sostenere tutte le funzioni, che permettono di raggiungere l’autosufficienza tipica della permacultura. Nonostante la grande difficoltà del ricreare comunità simili a quelle tradizionali, il crescente interesse per gli ecovillaggi e le coabitazioni (co-housing) come parte della visione permaculturale è un implicito riconoscimento del fatto che la famiglia nucleare è troppo piccola per molti aspetti del vivere ecologico. Questo problema viene affontato, a partire da un’altra prospettiva, nel Principio 10.

Zone, settori e pendii L’organizzazione del sito per zone, settori e pendii ci permette di organizzare le informazioni sul sito, in modo da ricavare degli utili modelli che possono fornire un punto di partenza per un piano generale complessivo. Questo modo di concepire il sito ci aiuta anche a inserire successivamente i nuovi elementi che verranno progressivamente a farne parte. Le zone in permacultura sono delle aree più o meno concentriche che si distinguono in base all’intensità dell’utilizzo e descrivono l’energia e l’efficienza delle persone a partire dal punto focale, che è l’abitazione. Più si è vicini al centro e più efficiente e intensivo è l’uso della terra; più ci spostiamo verso l’esterno e più dobbiamo fare in modo che in questi settori prevalga l’auto-organizzazione e l’automantenimento, riducendo al minimo indispensabile l’intervento dell’uomo e, di conseguenza, anche (in generale) le rese. Il sistema dovrebbe cominciare dalla porta di casa o non lontano da essa. Se estendiamo le nostre attività in spazi troppo lontani, mentre il territorio intorno a casa non è ancora bene organizzato ed è poco sfruttato, ci ritroveremo a dissipare molte energie. Di solito non basta spargere alcuni semi di ortaggi su tutta la superficie di un prato per raccogliere qualcosa, nemmeno se si aggiunge del compost e si irriga. Lo stesso sforzo e le stesse risorse potrebbero essere utilizzati per creare un orto piccolo e produttivo in un angolo del prato. Anche se le zone sono concepite come concentriche, non

sono mai tali nella pratica: particolari come pendii e natura del suolo, strutture e altro spesso fanno sì che esse in alcuni punti si restringano o si allarghino. Anche l’idea che ciascuna zona sia una striscia continua che ingloba la zona più interna non necessariamente funziona nella pratica. Lo sviluppo di Melliodora fa uso di questo concetto, ma le zone non sono concentriche a causa della natura del suolo e dei confini della proprietà con i vari effetti combinati. È utile pensare che ogni zona sia caratterizzata da un particolare insieme di piante e animali, di strategie di gestione e di strutture. Ciò è utile all’interno di un contesto bioregionale e culturale, ma potrebbe essere considerevolmente modificato in altri contesti. È un errore trasformare questo semplice principio di organizzazione in un modello a cui attenersi e da imitare a tutti i costi. La Figura 21 mostra le zone permaculturali adeguate alla situazione dell’Australia meridionale con piovosità moderata (450-1000 millimetri).

Zone e dimensioni Ogni zona permaculturale diventa più grande man mano che ci si allontana dalla casa. Quanto grandi debbano essere queste zone o che utilizzo e natura debbano avere dipende dai metodi di progettazione che verranno stabiliti in base all’ambiente e al contesto e non in base a questioni di principio; tuttavia, è utile esplorare come può e deve essere utilizzato il principio permaculturale della divisione in zone come passo verso un linguaggio dei modelli permaculturali che portano al progetto di veri e propri siti. Alcuni progettisti permaculturali dividono qualsiasi proprietà, perfino un caseggiato urbano, nelle cinque zone tipiche della permacultura. Anche se in generale può essere rilevante fare questa divisione, trovo più utile pensare alle zone permaculturali come a posti in cui l’uso della terra sia in relazione a delle scale di carattere fisico. L’orto-giardino della zona 1 può avere varie dimensioni: un piccolo orto a uso intensivo può essere di dieci metri quadri, mentre in un sistema di tipo intensivo può arrivare anche a mille metri quadri. Allo stesso modo, le dimensioni di un’azienda agricola a finalità commerciali possono variare da un


7. Progetta dal modello al dettaglio Zona 5 – Terreni lasciati allo stato naturale

Zona 4 – Terreni incolti, foreste, aree umide (comunque controllati). Man mano che ci si allontana dal centro si riduce l’intensità di utilizzo e aumentano le estensioni delle zone

Zona 3 – Colture commerciali, pascoli e coltivazioni varie non irrigate, sbarramenti per raccolta acqua e bestiame di grossa taglia. Zona 2 – Frutteto (irrigato) con piccoli animali. Zona 1– Orto-giardino irrigato.

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Zona 0 – La fattoria.

Figura 21 – Le zone disposte intorno alla casa in base all’intensità d’uso. ettaro, quando si coltivano erbe officinali o aromatiche, a mille ettari, quando si tratta di colture in pieno campo. Le dimensioni, poi, possono aumentare anche di due ordini di grandezza, se parliamo di pastorizia e silvicoltura. Quando mettiamo insieme queste scale per ordine di grandezza (come nella Figura 22) vediamo che un orto può occupare gli stessi spazi richiesti da un allevamento e che le strategie, i metodi e le tecnologie importanti in un ordine di grandezza non sono necessariamente utili per un altro ordine di grandezza. Ad esempio, sareb-

be anomalo se le strategie di controllo delle infestanti su un orto commerciale di dieci ettari fossero uguali a quelle applicate su cento ettari di colture commerciali a pascolo integrato. In effetti è possibile che le stesse specie coltivate nel pascolo siano invece, per l’orticoltore commerciale, delle infestanti. Gran parte del cibo prodotto in Australia proviene da aziende, la cui estensione varia da dieci a mille ettari. I principi della permacultura possono essere applicati a sistemi agricoli su qualsiasi scala, ma uno dei principali

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Permacultura effetti della loro applicazione è che si mettono in luce le enormi opportunità che si hanno sulla scala dell’orticoltura piuttosto che dell’allevamento (v. la sezione Le dimensioni in permacultura nel Principio 9). È comune che si manifestino dei punti di vista divergenti, quando si parla di strategie e tecniche per l’orticoltura e per la gestione del territorio e queste discordanze hanno per lo più, come centro, il problema delle scale (proporzioni). Come consulente, vengo spesso interpellato su come ci si deve comportare per controllare i rovi o per piantare alberi, come se le tecniche non dipendessero dal contesto e dalle dimensioni del terreno. Se consideriamo la varietà di approcci all’orticoltura, perfino la differenza tra dieci metri quadri e cento metri quadri può essere rilevante per garantire il successo o il fallimento dell’impresa. In questo contesto, le zone permaculturali forniscono un utile strumento per vedere le cose in scala, associando non solo piante della stessa specie ma anche strategie e tecniche, a seconda dell’intensità di utilizzo e della quantità di terra richiesta. Con il tempo, dovrebbe essere possibile sviluppare delle competenze comuni all’interno di un dato territorio o bioregione (e forse anche in base ai contesti culturali); competenze in grado di specificare quali strategie e tecniche sono appropriate nelle varie zone permaculturali.

Pensiero lineare e pensiero immateriale Probabilmente, la mancanza di consapevolezza delle scale è in parte dovuta alla tendenza a considerare la scala una variante lineare e non una variante legata alla superficie. Un giardino di dieci metri per dieci è solo tre volte più lungo e largo di un orto di 3,3 per 3,3 metri, ma la sua area è dieci volte più larga. Nella maggior parte dei sistemi di produzione, è l’area totale il determinante critico dell’energia e delle risorse richieste per la gestione e il rendimento che probabilmente ne risulteranno321. Su grandi scale (mille metri quadri e oltre), è raro che l’intero orto venga gestito in modo intensivo. I frutteti tradizionali, i recinti per gli animali e molti altri settori a basso input dovrebbero essere considerati come sistemi da Zona 2, il che porterebbe la scala della zona a orto sull’ordine di grandezza di un ettaro. A Melliodora ab-

biamo un’area a gestione intensiva di mille metri quadri, intorno alla casa; il resto della proprietà (ottomila metri quadri) è una Zona 2 molto estesa, con frutteto irrigato a goccia e bestiame al pascolo in rotazione (v. Figura 24).

Scale ottimali per produzione e sviluppo Per qualsiasi sistema di produzione e per qualsiasi insieme di tecniche, esiste una scala ottimale che assicura il massimo di produttività, stabilità e semplicità di gestione. Un significativo aumento (o riduzione) nella scala delle operazioni richiederà un salto verso un diverso sistema di produzione e un diverso insieme di tecniche. Una volta avviato l’investimento nel nuovo sistema di produzione, lo sviluppo di scala si mantiene rapido fino al nuovo livello ottimale. Oltre questo optimum, la crescita diventa di nuovo lenta. Prendiamo in considerazione un orticoltore entusiasta e capace, che vende il surplus prodotto dal suo orto intensivo, mantenuto fertile con cumuli di compost fatti a mano. Il successo del sistema porta a una rapida espansione nel numero di aiuole e di cumuli di compost, che si traducono nell’aumento delle vendite di buoni ortaggi biologici al mercato locale; tuttavia, raggiunta questa scala di optimum, diventa sempre più difficile continuare a produrre del buon compost. La ricerca suggerisce, a questo punto, alcune possibili strategie: ΩΩ comprare un camion e una ruspa con cui si possano rivoltare senza problemi enormi cumuli di compost; ΩΩ prendere in affitto un terreno più grande, coltivare piante da sovescio con aggiunta di minerali di roccia e coltivare a rotazione il terreno, dividendolo in più settori (con l’aiuto di un motocoltivatore e di un decespugliatore); ΩΩ organizzare un chook tractor a rotazione, ossia un pollaio mobile che permetta alle galline di concimare e ripulire un tratto di terreno dopo l’altro, utilizzando un recinto elettrico temporaneo. Qualunque sia la strategia scelta, per ammortizzare la nuova attrezzatura l’orticoltore progressivamente, porterà il terreno coltivato a un’estensione cinque volte superiore


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7. Progetta dal modello al dettaglio a quella del terreno precedente, il che può significare anche dieci volte più grande del piccolo sistema precedente nella sua fase ottimale. Il nuovo sistema, nonostante qualche piccolo problema, sarà molto produttivo e, man mano che la richiesta aumenterà, continuerà a crescere, finché apparirà un altro tipo di problema, forse connesso al controllo delle infestanti o degli insetti o alla commercializzazione dei prodotti. Si renderà allora necessaria un’altra serie di cambiamenti e investimenti per arrivare a una nuova espansione. Forse questa volta tutto sarà più difficile e meno sostenibile.

Dopo aver ammortizzato attrezzature e investimenti, l’orticoltore potrebbe decidere di evitare una nuova espansione di scala, confermando strategie e tecnologie al livello ottimale raggiunto. Il processo di sviluppo descritto è simile all’andare in bicicletta su e giù per un paesaggio collinare con ardue salite e piacevoli discese, con alle spalle la leggera brezza che ti insegue finché non tocchi il punto più basso della valle (v. Figura 23). Quando la salita diventa troppo faticosa, si preferisce tornare indietro e fermarsi nell’ultima valle. Questo ritmo da montagne russe o pulsare dei modelli di sviluppo è osservabile in

Colture e pascoli su grande scala

Uso della terra prevalente in Australia Frutteti

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Orto-giardino di casa

Orti commerciali

Pastorizia allo stato brado e silvicoltura

Zona 5 Territorio selvatico allo stato naturale

Zona 1 Orti intensivi

Zona 2 Frutteti e orti estensivi Zona 3 Colture da campo, pascoli seminati e foreste impiantate

Uso del terreno secondo le scale permaculturali

Figura 22 – Scale dell’uso della terra in Australia.

Zona 4 Foresta e terreni incolti a gestione controllata


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Permacultura tutto il mondo naturale e nei sistemi umani ogni volta che esiste un accumulo di energia che può spingere ad arrivare fino alla sommità della collina. Dopodiché è facile arrivare in fondo alla valle successiva. Si osserva lo stesso modello nella tendenza dell’evoluzione di alcune specie a gravitare intorno a un numero limitato di soluzioni progettuali (v. Principio 12).

Settori I settori si irradiano dal punto focale del sito, definendo la direzione da cui provengono le energie esterne che

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Orto di casa (part-time)

influenzano il sito stesso. I settori di gran lunga più importanti, a latitudini temperate, sono quelli connessi all’irradiazione solare, che varia molto in estate e in inverno ma può essere definita con precisione (con apposite tabelle di irradiazione solare). Altri – vento, fuoco, pioggia e alluvioni – sono meno precisi. Questi settori si basano sull’osservazione locale, sull’abilità nel leggere i paesaggi e sui dati regionali. Ogni bioregione ha una disposizione generalizzata dei settori, che viene modificata dalla topografia, dal microclima e dall’uso della terra in ciascun sito. Utilizzare

Orto a conduzione biologica con partecipazione ai mercati locali (tempo pieno)

Riduzione delle rese per area

Orticoltura biologica commerciale su larga scala (tempo pieno con personale dipendente)

Aumento dell’area e delle rese

Figura 23 – Scale di produzione ottimali di ortaggi (la sommità della collina rappresenta lo stadio di sviluppo che bisogna superare per arrivare a un nuovo optimum di scala).


7. Progetta dal modello al dettaglio

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il concetto di settore per comprendere e tener conto delle energie naturali che influenzano un sito ci permette di fare il miglior uso di quelle stesse energie, attutendo o deviando la loro natura distruttiva quando ciò è necessario. Quando siamo in grado di usarli in una varietà di situazioni progettuali, i due concetti di zona e di settore si integrano in una mappa mentale che ci permette di filtrare un gran numero di possibili opzioni relative al luogo e alle relazioni reciproche. Nel momento in cui tutti avranno queste conoscenze, il modello a mandala di zone e settori diventerà l’elemento fondamentale per creare una cultura bioregionale del luogo.

I pendii Su terreno piatto, la forza di gravità non opera né a nostro vantaggio né a nostro svantaggio. Su un pendio, anche molto leggero, parte della forza di gravità spinge verso il basso gli oggetti postivi sopra. È banale dirlo ma, se progettiamo un sito per trarre vantaggio da questa forza e minimizziamo le azioni che compiamo contro di essa, avremo un sistema energeticamente più efficiente. Ad esempio, disponendo cisterne e dighe – quando conviene farlo – sulla parte alta del pendio o della collina, possiamo fare in modo che l’acqua arrivi dove serve senza bisogno di pompe. Se l’accesso primario al sito si trova sulla parte alta del pendio, sarà più facile gestire l’accesso dei materiali (da costruzione, legname o pacciame) alla proprietà. Possiamo tenere sotto controllo l’erosione del pendio, usando terrazze, fossati, livellari di infiltrazione o sentieri di accesso perpendicolari al pendio e che ne seguono il profilo, e ogni altra disposizione che rallenti lo scorrere dell’acqua e lo spostamento della terra verso il basso. A Melliodora abbiamo applicato tutte queste strategie (alcune sono visibili nella Figura 25). Oltre ai concetti di zona, settore e pendio, si possono usare vari strumenti di progettazione che ci aiutano a riconoscere e ad applicare determinati modelli. Alcuni di questi strumenti, da noi utilizzati nei corsi di progettazione in permacultura, sono: ΩΩ foto aeree, mappature sovrapposte, piante e modelli su scala;

ΩΩ “mappe di fango” (mud maps)322 e mappe concettuali

per registrare rapidamente idee di progettazione; ΩΩ mappe cognitive e brainstorming per esemplificare i vari modi di vedere e considerare il sito; ΩΩ l’assegnazione di punteggi e graduatorie per valutare le varie opzioni di sviluppo relative al sito; ΩΩ diagrammi di flusso, per esplorare processi e opere di sviluppo complessi.

I modelli di territorio in permacultura Nonostante l’importanza che ha la progettazione nella pratica permaculturale, esistono anche dei limiti di cui tener conto. Spesso, ad esempio, si ignora la questione fondamentale se il sito in sé sia adatto all’utilizzo che se ne vuole fare. È difficile considerare pienamente la natura e le implicazioni dell’uso e dello sviluppo del territorio su vasta scala, comprese le intersezioni tra un sito e l’altro. In questi casi, i legami e le connessioni diventano a volte importanti quanto o più dei dettagli del sito stesso. La progettazione di un’intera azienda agricola o fattoria e lo sviluppo di ecovillaggi, ad esempio, richiedono un approccio basato sulla cultura del territorio; bisogna capire più i modelli fondamentali dell’intero territorio che i dettagli di un sito particolare. Per superare tali limiti, sono necessari degli approcci diversi che prendono spunto dal territorio nel suo insieme.

I concetti connessi all’idea di bacino idrografico I concetti di sito e di ecosistema sono centrali per una comprensione dei capisaldi della permacultura, ma non sono sufficienti a descrivere le forti connotazioni geografiche dei modelli naturali. Perfino le idee basate sul linguaggio dell’energia di Howard Odum, eccellenti nel dipingere le relazioni sistemiche, non sono adatte a descrivere la geografia dei sistemi naturali e umani. L’idea di bacino idrografico come sistema auto-organizzato, che cattura e immagazzina acqua, sostanze nutritive e carbonio, è stata già esplorata nel Principio 2323.

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Permacultura Ecco altri concetti rilevanti riguardo ai bacini di raccolta e conservazione dell’acqua e alla loro protezione:  i bacini fluviali spesso coprono interi territori, includendo ecosistemi di varia natura e dimensioni;  i loro modelli generali riflettono il flusso e la forma dell’energia, specialmente se riferiti a piogge e flusso dell’acqua;  i fiumi sono la linfa del territorio e del suo paesaggio; non è un caso che i loro bacini e le fertili pia-

Pianta del sito

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Zona 1 Zona 2

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nure alluvionali siano stati il centro dello sviluppo umano nel corso dei secoli;  ciò che succede alla fonte o alle sorgenti del fiume che alimenta il bacino può condizionare tutto il bacino;  la salute dei sistemi fluviali riflette lo stato di tutto il bacino;  alle sorgenti, le acque del fiume sono pure, ma sterili; all’estuario sono fertili, ma accumulano tossine.

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Figura 24 – Analisi per zone e settori di Melliodora.

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7. Progetta dal modello al dettaglio Queste idee sono alla base del movimento Landcare, ma ancora prima erano state delineate dal “Movimento per la Conservazione del Suolo” (Soil Conservation) negli anni ’30 e ’40. Entrambi i movimenti hanno promosso un modello generale del bacino idrografico per l’uso del territorio. Le regioni impervie situate intorno alle sorgenti sono state rimboschite per salvaguardarle dall’erosione, proteggendo, al contempo, le fertili terre del fondovalle dai danni causati da alluvioni, salinità ed eccessivi sedimenti. La protezione dei bacini fluviali può essere considerata un semplice effetto secondario dell’applicazione del Principio 7 ai territori del bacino. Se riconosciamo che le foreste devono essere la parte predominante del territorio nelle aree montane dove nascono i fiumi, allora l’unica cosa che rimane da definire sarà il tipo di foresta324. Come già accennato, il concetto di permacultura è nato dall’interrogativo di come si sarebbero potute creare delle foreste produttive dal punto di vista agricolo, piuttosto che per enfatizzare il semplice bisogno di dedicare meno terreni all’agricoltura. Da questo punto di vista, uno dei concetti che ha maggiormente preso piede è quello della piccola foresta alimentare. Il concetto permaculturale di un migliore utilizzo di alberi ed arbusti (elementi molto efficienti dal punto di vista energetico), ha anche influenzato vari esempi di foreste impiantate su vasta scala e finalizzate alla stabilizzazione dei bacini, nonché la gestione economica di diverse aziende agricole. In Australia, fin dal-

la metà degli anni ’80, ha preso piede l’idea che piantare alberi e foreste nelle fattorie a scopo precipuo di protezione delle aree di bacino (da erosione, salinità e altro) potesse avere nella pratica agricola anche un’importanza legata alla produzione. Le combinazioni agroforestali – ad esempio legname e pascolo, legname e foraggio, produzione di frutta in guscio e miele, produzioni da terreni siccitosi come olive e carrube – sono in corso di sviluppo e potrebbero sostituire le colture annuali e il pascolo. Alcuni esempi innovativi, in questo ampio campo, provengono dai progettisti permaculturali325. Altre strategie permaculturali hanno l’obiettivo di rendere i bacini più efficienti dal punto di vista energetico. Ad esempio: ΩΩ le strategie permaculturali basate sul principio di keyline326 e di bacino riflettono le regole attive nei paesaggi naturali dei bacini imbriferi e servono a rallentare il flusso dell’acqua e delle sostanze nutritive nel terreno, favorendo un loro utilizzo più prolungato e il loro riciclo il più a lungo possibile. La funzione primaria, del surplus di acqua lasciata fluire dalle dighe progettate in base al sistema keyline, è quella di irrigare i pascoli migliorando anche la fertilità e la struttura del suolo (che può così conservare più acqua)327; ΩΩ le strategie di raccolta e conservazione dell’acqua piovana dai tetti di edifici e da altre superfici, per Alberi nativi Cisterna principale in cemento (42.000 litri)

Alberi da frutta

Arbusti nativi

Sezione riservata alla strada

Diga per raccolta dell’acqua (intorno a 0,8 megalitri)

Raccolta acqua di drenaggio con sbarramento

Sezione dedicata al frutteto 1

Pendio con terra di riporto

Figura 25 – Uso del pendio a Melliodora.

Passo carraio/ prato

Cisterna per raccolta acqua piovana

Orto principale terrazzato

Terrazza a orto (esposta a sud)

Pendio Sezione a Naturale terrazza per l’accumulo di acqua

Arbusti nativi Sezione riservata alla strada


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Permacultura

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usarla poi per scopi domestici e per l’irrigazione, riflettono un approccio all’ambiente urbano secondo il principio del bacino e tendono a utilizzare l’acqua piovana nei punti più vicini a quelli in cui è stata raccolta; ΩΩ le strategie per gestire (non distruggere) la vegetazione nativa autoctona ed esotica lungo i corsi d’acqua si basano sull’evidenza che in questi habitat le piante si distribuiscono secondo una successione naturale adatta ai bacini che presentano flussi di acqua e sostanze nutritive con più alto contenuto energetico. Tutte queste strategie possono essere incorporate in un piano generale di bacino (catchment master plan) simile a quello illustrato nella Figura 26. I modelli naturali che vediamo all’opera nel bacino idrografico tendono ad assumere un aspetto ad albero, in cui il fiume rappresenta il tronco e gli affluenti i rami, via via più piccoli. La chioma dell’albero è rappresentata dalle foreste permanenti, che proteggono le sorgenti del fiume. Questo modello è anche una metafora che ci spinge a rimboschire e a preservare in modo prioritario quelle fasce del bacino in cui gli alberi mancano o sono insufficienti. Esso è molto utile ma, per poter organizzare un “linguaggio dei modelli” veramente completo al fine di progettare il territorio in senso permaculturale, deve essere integrato con altri modelli di tipo spaziale.

Valutazione e mappatura del territorio Nella seconda metà del XX secolo, in Australia e altrove sono stati sviluppati vari metodi per valutare le capacità del territorio al fine di prevenire il degrado a lungo termine causato da utilizzi e gestioni incompatibili con la natura del territorio stesso. I metodi più semplici si basano sul tipo di pendenza e di suolo per distinguere i territori soggetti a erosione e perciò non adatti ad attività agricole basate sull’aratura e allo sviluppo urbano. Per quanto utili, questi metodi non riescono generalmente a prevedere i complessi problemi del degrado a lungo termine (causati, ad esempio, dalla salinità) dei terreni; inoltre, possono essere influenzati da pregiudizi cultura-

li, relativamente alla povertà o alla ricchezza di un terreno. Ad esempio, i terreni in pendenza tendono a essere considerati problematici, mentre le strategie permaculturali sottolineano invece i vantaggi offerti dai terreni in pendio. Le aree umide scarsamente drenate tendono a essere considerate improduttive ma, se riconosciamo nell’acquacoltura un’attività economica importante e uno dei più produttivi utilizzi della terra, vediamo subito che la prospettiva si inverte328.

I land systems Altri metodi più sofisticati, come i land systems, inseriscono gli ecosistemi in una cornice di tipo geografico. Lo sviluppo di questo concetto in Australia è generalmente attribuito a Christian e Stewart329 che hanno definito il land system «un’area, o gruppo di aree, attraverso cui si verifica il ricorrere di uno stesso modello di topografia, suolo e vegetazione»330. Il metodo identifica interi territori come sistemi (che spesso possono comprendere anche diversi bacini di zone adiacenti, dalle sorgenti di un fiume al mare) che riflettono clima, geologia e topografia analoghi. All’interno di questi sistemi troviamo un modello particolare, con “componenti” territoriali ricorrenti che presentano microclimi, pendenze, orientamento, tipi di suolo e vegetazione naturale uniformi. I siti singoli presentano poi una differenziazione più dettagliata. Questo approccio verticistico (top down) all’identificazione dei modelli di territorio può essere visto come superamento della visione molto parziale, e a volte ottusa, frutto dell’interesse particolare di agricoltori e manager di interi territori che si interessano solo ai problemi interni della loro proprietà. L’atteggiamento di queste persone molto spesso diventa un classico esempio del “non riuscire a distinguere gli alberi dalla foresta”. Applicazioni Un’indicazione della potenza dell’approccio land systems (sistemi terra) è fornito dagli studi della Kangaroo Island in South Australia, prima dei massicci interventi fatti al fine di trasformare il territorio dell’isola in terreno agricolo. Come risultato di questi studi svolti negli anni ’50, Northcote (il principale scienziato del suolo au-


7. Progetta dal modello al dettaglio straliano) mise in guardia il governo sul fatto che la salinità sarebbe aumentata come effetto dell’eliminazione dei sistemi naturali originari e in particolare dei sistemi idrogeologici, anche se a quella data non erano ancora evidenti i segnali di tale aumento331. L’avvertimento di Northcote venne ignorato e oggi i proprietari terrieri e

i contribuenti stanno ancora pagando i costi del reimpianto della vegetazione originaria sull’isola. Il concetto di land systems ci aiuta anche a descrivere e a valutare la terra indipendentemente dalle attuali priorità del suo utilizzo e dai principi di economia che governano queste decisioni. L’obiettivo è, invece, quello di trarre van-

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Confini del bacino idrografico (chioma dell’albero)

Corridoio ripario con bosco (tronco e rami dell’albero coperti da corteccia)

Montagne e colline coperte da foreste (fogliame dell’albero/ terra in ombra)

Terreni agricoli e insediamenti vari (habitat aperto della struttura ad albero)

Estuario con foresta periferica e mangrovie (radici dell’albero e pacciame prodotto dall’albero)

Figura 26 – Il tipico modello ad albero di un bacino idrografico.

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Permacultura taggio da terreni biologicamente produttivi (v. l’esempio citato, relativo alle aree umide). La capacità di raccogliere e conservare acqua, nutrienti minerali e materia organica, descritta nel Principio 2, ci aiuta a rivedere le nostre nozioni di terra buona o povera. Haikai Tané ha utilizzato i modelli della produttività biologica nella pittura a punti di stile aborigeno per illustrare il suo modello ecografico di fiume (v. la Figura 8). Questo dipinto mostra la localizzazione e la natura delle risorse alimentari nel bacino alluvionale del fiume Murray. Le piene naturali delle foreste di eucalipti di Millewa e Barmah – prima delle opere che hanno trasformato il Murray in un enorme impianto di irrigazione – mantenevano gli ecosistemi più produttivi in termini di proteine animali di quanto si sia riusciti poi a fare con le stalle di mucche da latte, che sono subentrate a opere ultimate332. Nelle regioni aride, Alan Newsome ha notato una correlazione tra mitologia aborigena e land systems333. Il land system descrive i sistemi auto-organizzati come una serie di sistemi geografici nidificati (ossia uno all’interno dell’altro), che possono essere estesi fino a comprendere una bioregione o, all’opposto, limitati a siti individuali. Questo tipo di linguaggio tecnico e di strumenti di mappatura può essere utilizzato dagli ecologi del paesaggio334 per fornire metodi più concreti per capire il territorio e applicare i principi ecologici alla sua gestione. La maggior parte degli studi di land systems pubblicati da enti governativi335 può essere utilizzata da chi pianifica interventi su vasta scala e da grandi proprietari terrieri, ma può essere utile anche a chi fa consulenza, agli agenti immobiliari, a chi cerca il pezzo di terra da comprare adatto alle proprie esigenze o a chi è alla ricerca di esperienze di conoscenza applicate a un particolare territorio con le sue caratteristiche peculiari, all’interno di una prospettiva bioregionalistica. Nell’articolo 9 dei miei Collected writings, dal titolo Whole farm and landscape planning, cerco di esplorare più in profondità l’uso del land systems e di altre concezioni, viste come strumento per pianificare interventi su vasta scala. Nel mio lavoro di progettazione ho spesso applicato i principi del land system336.

Limiti Il metodo del land system è poco compreso e utilizzato fuori dalla cerchia dei professionisti e degli scienziati, e la sua importanza per la permacultura non viene generalmente riconosciuta. L’apprendimento dei concetti connessi al land system di solito avviene lavorando all’interno delle agenzie governative incaricate della valutazione delle risorse ambientali. Permangono tuttavia diverse difficoltà nell’identificare i modelli di territorio e paesaggio applicabili alla progettazione. Per prima cosa, i modelli e le classificazioni all’interno di una bioregione non necessariamente si ritrovano nelle altre. I tentativi di standardizzare i metodi di rilevazione e la terminologia337, anche se utili, tendono a ignorare la lettura più informale del paesaggio, come già analizzata nel Principio 1. Da una prospettiva permaculturale, questo approccio più olistico e flessibile al riconoscimento dei modelli di paesaggio è importante e complementare alla comprensione quanto le rilevazioni formali. In secondo luogo, la descrizione dei cambiamenti apportati al territorio come miglioramenti o peggioramenti continua a essere condizionata da pregiudizi di tipo culturale. Oltre a cercare di capire se un cambiamento apportato a un territorio è classificabile come buono o cattivo, bisogna decidere quanto fondamentale e permanente sia quel cambiamento. Molti miglioramenti alla produttività della terra si rivelano di breve durata. La stessa cosa accade spesso anche con i peggioramenti. I processi ecologici non sempre riportano la terra all’equilibrio precedente; spesso si crea un nuovo tipo di equilibrio, il che richiede una profonda capacità di capire e descrivere i nuovi sistemi in evoluzione (v. il Principio 12 dedicato a creatività e cambiamento). Solo dopo che saremo entrati nel futuro a basso consumo di energia, i processi di evoluzione del territorio, l’economia e la cultura connesse al bioregionalismo si stabilizzeranno abbastanza da permettere il riconoscimento dei modelli come utile strumento di lavoro. La società industriale ha generato un livello di cambiamento incredibilmente pervasivo e diffuso su scala globale; la cultura del territorio è destinata a generare una cultura


7. Progetta dal modello al dettaglio localistica e contingente. Alcuni interpreteranno questa affermazione come una dichiarazione d’impotenza; per me è invece indice di un eccitante lavoro da detective, che consiste nel passare al setaccio le multiformi varietà di luoghi e processi, per ricavarne nuove e più valide indicazioni per una progettazione e una gestione più in sintonia con la natura.

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L’architettura bioregionale Nelle società preindustriali, l’architettura tendeva a riflettere il clima della bioregione e la disponibilità di materiali in loco. L’era industriale ha infranto questi modelli. Nella ricerca di modelli di edificazione più sostenibili, vi è una tendenza a considerare i metodi di costruzione ecologici come una specie di supermercato delle possibilità, che si traduce in una caotica varietà. Come accade per l’introduzione di nuove specie vegetali coltivate, l’edificio ecologico è tuttora un campo di sperimentazione aperto a idee vecchie e nuove. Ciò può avere la funzione di fornire esempi di processi che funzionano o non funzionano nel tempo, ma nella realtà dei fatti l’architettura ecologica dovrà necessariamente riflettere i modelli bioregionali. Ad esempio, gli edifici ecologici più avanzati costruiti nel Nord Europa hanno visto un marcato ritorno a materiali tradizionali come le conifere locali e i tetti di zolle di terra. Questi edifici sono il risultato non di un romantico desiderio di tornare al passato, ma delle ricerche più recenti su problemi come la “sindrome da edificio malsano” (sick building syndrome), oppure su stalle più confortevoli per i bovini. È stato dimostrato che i materiali permeabili al vapore acqueo presentano masse termiche e alte qualità di isolamento termico che costituiscono la migliore combinazione nei climi freddi. Nei climi umidi tropicali e subtropicali, in cui il movimento dell’aria è essenziale per il raffrescamento e le termiti sono un grosso problema, le case (leggere) su palafitte o le abitazioni con stanze in edifici separati diventano soluzioni idonee. Nell’Australia sud-orientale, progetti di questo tipo avrebbero costi troppo alti di isolamento e riscaldamento; inoltre è quasi impossibile fornire una

protezione efficace contro il pericolo di incendi. In questi casi, sono idonei dei design più compatti, generalmente aderenti al terreno, con masse termiche interne maggiori. Più il clima è freddo e maggiori diventano i benefici di un rapporto ridotto superficie-volume degli edifici compatti e integrati. A Melliodora, la casa racchiude nello stesso edificio una serra e un garage-laboratorio. La grande stabilità termica degli edifici sotterranei ha come svantaggio la complessità della progettazione e i costi della robustezza strutturale e dell’isolamento contro l’umidità. Nei climi continentali come quelli dell’Australia centrale, e ancora di più nel Nord America, il rapporto si presenta favorevole. La vantata superiorità dei muri in balle di paglia è di grande utilità nei climi estremi, ma deve essere bilanciata da una corrispondente alta qualità dell’isolamento del tetto. Gli edifici compatti a due piani sono molto vantaggiosi in città, ma nelle aree rurali ha più senso – per assicurare una raccolta adeguata dell’acqua piovana – un edificio a un solo piano con un grande tetto leggero di metallo. Alcuni architetti e proprietari-costruttori cercano, con progettazioni originali e plastici, di trovare delle soluzioni innovative e uniche in special modo per quanto concerne i tetti. Quasi sempre, queste soluzioni costano di più e implicano uno spreco di materiali e, a lungo termine, non si dimostrano efficienti contro le inclemenze del tempo. Nonostante i suoi grandi meriti di designer, Frank Lloyd Wright venne maledetto da molti suoi clienti a causa dei tetti che gocciolavano. A volte, è difficile accettare che gran parte delle soluzioni per escludere l’acqua sia già stata inventata e che tutto quello che dobbiamo fare è semplicemente copiare ciò che già c’è. Non nego che l’innovazione e la sperimentazione possano portare a evoluzioni progettuali significative e neppure che le norme culturali siano già ottimali; sostengo però che premiare la progettazione innovativa equivale più o meno a premiare il rigido conservatorismo.

L’esperienza del proprietario-costruttore Feci una delle mie prime esperienze nella costruzione di case quando aiutai degli amici a costruire una casetta di

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Permacultura forma ottagonale sulle montagne della Tasmania agli inizi degli anni ’70. I miei amici ed io eravamo dei bravi carpentieri338, molto più di tanti proprietari-costruttori di oggi, ma la costruzione di un abbaino in una delle sezioni triangolari del tetto ci dimostrò che la progettazione convenzionale ha le sue buone ragioni. Dopo avere attentamente misurato con una squadra da carpentiere i tagli di angolo, ci rendemmo conto che qualcosa non funzionava e che, pur tagliati su misura, i travetti non combaciavano con le travi principali del tetto. Poi, mentre mangiavamo qualcosa sul tetto, ci rendemmo conto che i lati dell’abbaino che stavamo cercando di costruire non erano piani ma avevano delle superfici convesse tridimensionali molto complesse339. Quella e altre simili esperienze mi fecero capire la saggezza insita nelle strutture rettangolari tipiche delle case di legno. Certamente è possibile fare le cose diversamente; però questo non solo richiede maggior tempo, ma anche uno scarto maggiore di legname da opera. Il proverbio “Non reinventare la ruota” sembra applicarsi molto bene ai lavori connessi alla costruzione di una casa. Ciò solleva lo spinoso problema dell’estetica in architettura, che – lo ammetto – mi trova deliberatamente ignorante. Nel corso dei miei studi per diventare progettista, infatti, la mia attenzione per lo più andava alla funzionalità ecologica, il che, fra le altre cose, mi ha portato allo sviluppo del concetto di permacultura. Sul tema dell’estetica – intellettualmente parlando, un vero campo minato – la cautela dovrebbe essere d’obbligo, ma non riesco a resistere all’idea di esprimere anch’io alcune opinioni sul valore dell’estetica.

L’estetica della decrescita Penso che il rifiuto dell’estetica del paesaggio, in permacultura, si sia reso necessario per opporsi all’assunto che solo i temi di progettazione estetica siano degni di dibattito, il che assegna alla funzionalità unicamente un ruolo nel campo dei dettagli tecnici. Solo un vigoroso dibattito sulla natura della progettazione funzionale nell’era della discesa energetica può mettere in evidenza le forze disfunzionali che guidano la progettazione dei nostri ambienti e territori antropizzati (v. in proposito anche il

Principio 3); tuttavia, qualsiasi progetto di tipo olistico includerà anche un aspetto estetico. La tensione creativa tra funzione ed estetica può essere vista come analoga a – o persino come una sottocategoria di – quella tra materialismo e spiritualità illustrata nella Figura 5 (v. il capitolo sui Principi etici all’inizio del libro). La rivoluzione industriale ha reso insignificanti molti principi indiscussi dell’architettura che si riflettevano nell’arte e nella decorazione. La massima “La forma segue la funzione” ha caratterizzato tutta l’architettura modernista. L’ambiente costruito è stato dominato da strutture separate e non sostenibili, che hanno accentuato l’alienazione causata dal funzionalismo modernista; questo ha prodotto una variegata serie di tendenze estetiche – cui è stato dato il nome collettivo di postmodernismo – con le quali si è cercato di dare una mano di vernice che richiamasse in qualche modo dei valori estetici ad ambienti urbani del tutto alienanti. Questo ruolo dell’estetica nella progettazione edilizia deve essere considerato un fattore primario di separazione dalla realtà ecologica vera e propria, un po’ come avviene con il giardinaggio ornamentale, che serve a mascherare l’insostenibilità dell’approccio al giardinaggio o al territorio stesso. Le crisi del petrolio degli anni ’70 sono coincise con nuovi approcci a modalità costruttive meno intensive dal punto di vista del dispendio energetico, in parte dovuti anche al movimento della controcultura, che ha ispirato la spinta all’autocostruzione e alla riscoperta dell’architettura indigena (che non ha architetti). In quel periodo si verificò all’interno delle scuole di architettura un maggiore interesse verso il concetto e i metodi del “costruire in modo sostenibile”. In parte, tali spinte si riversarono nelle professioni e nell’industria dell’edilizia, producendo delle sperimentazioni con edifici energeticamente efficienti e la riscoperta dei materiali naturali. Questo impeto, però, per molte ragioni diverse, si affievolì fino a scomparire. Purtroppo, gli appassionanti dibattiti di estetica che hanno catalizzato l’attenzione dei professionisti dell’architettura negli ultimi decenni possono essere considerati alla stessa stregua del suonare la cetra mentre Roma brucia.


7. Progetta dal modello al dettaglio

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Il fatto che la permacultura dia importanza alla funzionalità su scala ecologica e umana non significa che l’aspetto estetico non abbia una sua validità. Un punto di vista positivo sul ruolo ecologico dell’estetica suggerisce che essa rappresenta l’espressione dei principi essenziali e profondi di una determinata cultura progettuale attraverso forme estetiche che stimolano sia i nostri sensi sia la nostra spiritualità interiore. Quando i modelli bioregionali della progettazione ecologica basata sulla frugalità si saranno affermati, vedremo il riemergere di canoni estetici bioregionali che operano quasi fossero marchi o firme progettuali. L’estetica, in questo contesto, può essere considerata come un distillato di modelli in perfetta sintonia con la risposta sensoriale dell’uomo;

quest’ultima, a sua volta, sarà la guida al riconoscimento di modelli appropriati. Nella transizione dallo sviluppo alla crescita, il nostro compito principale sarà di trovare i modelli appropriati. Con il tempo, le opportunità per essere decisamente innovativi si ridurranno sempre più, ma questo non significa che artigiani e costruttori non avranno la possibilità di aggiungere il loro personale tocco a ciò che costruiranno; anzi, l’espressione estetica potrebbe diventare molto più democratica e accessibile per molte più persone rispetto a quanto avviene nell’attuale società, in cui la divisione tra estetica e funzionalità è molto marcata. Nel futuro a basso consumo di energia, potrebbe diventare di nuovo vera la vecchia massima architettonica “Dio è nei dettagli”.

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Principio

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Integra invece di separare

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Molte mani rendono il lavoro leggero340

In ogni aspetto della natura – dal metabolismo degli organismi agli ecosistemi – scopriamo che le connessioni tra le varie parti sono importanti quanto le parti stesse. Di conseguenza, «lo scopo di una progettazione funzionale e autoregolata è quello di disporre gli elementi in modo tale che ognuno di essi serva ai bisogni e accetti i prodotti di altri elementi»341. La nostra diffidenza culturale verso la complessità dei dettagli tende a farci ignorare la complessità delle relazioni. Tendiamo a privilegiare la separazione degli elementi, come strategia progettuale di default (preimpostata) per ridurre la complessità delle relazioni. Queste soluzioni sorgono in parte dal metodo scientifico-riduzionista che scinde gli elementi per studiarli separatamente. Qualsiasi considerazione sul funzionamento degli elementi come parti di un sistema integrato si basa sulla loro natura in isolamento. Nel Principio 3 e nel Principio 4 abbiamo analizzato alcuni aspetti dei sistemi integrati secondo la prospettiva bottom-up degli elementi o degli individui. Come fa ogni elemento (o persona) a soddisfare le proprie esigenze con l’autosufficienza e come contribuisce al sistema di cui è parte? Nel Principio 7 abbiamo messo in luce la prospettiva top-down al fine di identificare e applicare modelli appropriati che guidino la progettazione e lo sviluppo autoorganizzato di elementi e relazioni (i dettagli). Il Principio 8 si concentrerà sulla trattazione dei diversi tipi di relazione che spingono gli elementi a organizzarsi in sistemi integrati, e sui possibili metodi per migliorare la progettazione di comunità di piante, animali e uomini, al fine di ottenere il massimo da queste relazioni.

La capacità del progettista di creare dei sistemi che siano strettamente integrati dipende da una visione il più possibile aperta della gamma di relazioni a incastro che caratterizzano le comunità ecologiche e sociali. Oltre che di una progettazione precisa e e consapevole, abbiamo bisogno di prevedere e consentire la realizzazione di efficaci relazioni ecologiche e sociali che si sviluppano attraverso l’auto-organizzazione e la crescita. L’icona che ho scelto per illustrare il Principio 8 può essere vista come un cerchio di persone o elementi – osservato dall’alto – che formano un sistema integrato. Il buco, apparentemente vuoto, al centro rappresenta il sistema olistico astratto che sorge dall’interazione degli elementi e al contempo dà loro forma e carattere. Nello sviluppare la consapevolezza dell’importanza delle relazioni nel design di sistemi autosufficienti sono centrali due affermazioni, che fanno parte della cultura permaculturale:  ogni elemento svolge varie funzioni;  ogni funzione importante è sostenuta da molti elementi. Le connessioni o relazioni tra elementi di un sistema integrato possono variare molto. Alcune connessioni possono essere di natura predatoria, competitiva o simbiotica. I vari tipi di relazioni possono avere effetti benefici nel costruire un forte sistema integrato o una comunità forte. La permacultura mette molto l’accento sulla costruzione di relazioni reciprocamente benefiche o simbiotiche. Ciò si basa su due presupposti:


8. Integra invece di separare ΩΩ abbiamo una predisposizione culturale a puntare l’at-

tenzione sulle relazioni competitive o predatorie, convinti che siano quelle prioritarie; di conseguenza, non teniamo in alcun conto le relazioni di tipo cooperativo e simbiotico nella natura e nella cultura; ΩΩ le relazioni cooperative e simbiotiche saranno più adeguate a un futuro del declino energetico. La permacultura può essere considerata parte di una lunga tradizione concettuale che privilegia le relazioni mutualistiche e simbiotiche rispetto a quelle predatorie o competitive342. Il declino della disponibilità di risorse energetiche farà sì che la percezione generale del valore di questi principi passi dallo stadio dell’idealismo romantico a quello della necessità pratica343. Il proverbio “Molte mani rendono il lavoro leggero”, che ho scelto per questo principio, ci ricorda l’intangibile beneficio derivante dall’azione collettiva rispetto all’azione solitaria, e il fatto che la natura sinergica dei sistemi integrati fa sì che il tutto sia sempre più grande della somma delle sue parti.

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L’integrazione in natura L’esempio più sbalorditivo di integrazione è il carattere complementare dei due più importanti processi biochimici che avvengono sulla terra: la fotosintesi e la respirazione. La fotosintesi è il processo attraverso cui le piante utilizzano l’energia solare per attivare la trasformazione di anidride carbonica e acqua in carboidrati e ossigeno. I carboidrati così prodotti sono il punto iniziale di tutto il processo che sostiene la vita sul pianeta Terra. Oltre mille milioni di anni di evoluzione hanno provveduto a rendere ottimale la funzionalità di questo processo. Per un’analisi dell’efficienza di piante verdi e celle fotovoltaiche vedi il Principio 5. La respirazione – sia nelle piante che negli animali – è un processo di lenta combustione, che rilascia l’energia chimica contenuta nei carboidrati per alimentare l’attività metabolica, la crescita e la riproduzione. Ma il prodotto secondario della respirazione – anidride carbonica344 e ac-

qua – diventa la materia prima della fotosintesi. Il perfetto equilibrio tra questi processi biologici essenziali potrebbe essere preso a modello ideale di un sistema integrato. In modo simile, le piante forniscono cibo agli animali, che, a loro volta, forniscono il fertilizzante di cui le piante hanno bisogno. Perfino le tradizionali piaghe delle cavallette e di altri mangiatori di foglie nelle foreste sono state riconosciute dagli ecologi come parti integrate dell’ecosistema: distruggono gli alberi malati e riciclano il fogliame come fertilizzante. I flussi di materiali, in questi processi, sono ciclici invece che lineari; i materiali circolano in anelli chiusi. La consapevolezza dell’importanza del riciclaggio raggiunta negli ultimi decenni ha reso il processo naturale appena descritto uno degli aspetti meglio compresi dei sistemi naturali e della progettazione sostenibile.

Tipi di relazioni ecologiche Si può pensare alle relazioni ecologiche come a una scala che va dal distruttivo-consumista al costruttivocreativo. Io le ho caratterizzate come segue.

Relazioni predatorie In una relazione predatoria, un organismo vive grazie alla morte di un altro, ma all’interno di questa brutale realtà si sviluppa una forte interdipendenza: il predatore dipende dalla continuità riproduttiva, dalla salute e dal vigore della preda; la specie predata, a sua volta, per mantenersi sana dipende dal predatore, che elimina gli individui malati e deboli. Ecco un esempio molto benigno di predazione: gli animali e l’uomo si nutrono di tuberi e di altre piante che si sviluppano nel sottosuolo; con la raccolta, essi non fanno che avvantaggiare la pianta stessa, perché smuovono il terreno e, al contempo, diradano i tuberi, che così crescono meglio. Relazioni parassitarie I parassiti sono organismi che vivono a spese di organismi ospiti più grandi, forti e longevi. Il parassitismo è una delle relazioni più comuni in natura anche se molte di que-

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Permacultura ste relazioni sono a livello microscopico e invisibili. I parassiti, generalmente, riducono la salute dell’ospite senza ucciderlo. Il delicato equilibrio tende a favorire i parassiti che debilitano poco l’ospite, mentre punisce e sopprime quelli che portano l’ospite a morte. I parassiti tendono a spostarsi da una specie ospite a un’altra. È stato dimostrato che producono un cambiamento nel comportamento dell’ospite per facilitare il proprio spostamento345.

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Relazioni competitive Le relazioni competitive si verificano quando gli organismi viventi hanno le stesse esigenze in merito alle risorse disponibili, e lottano attraverso la crescita o il comportamento per soddisfarle prima che lo facciano i concorrenti. La competizione si verifica più spesso tra individui della stessa specie: ad esempio, tra gli alberi in rivegetazione di una stessa foresta dopo il taglio. Avviene anche tra specie animali e vegetali che occupano la stessa nicchia ecologica. Relazioni di “evitamento” Anche quando piante e animali sembrano competere per risorse apparentemente identiche, la diversità e la specializzazione tendono a permettere un utilizzo più efficiente e completo delle risorse, evitando la competizione. Ad esempio: ΩΩ in una foresta di specie miste – alcune con radici superficiali e altre con radici profonde a fittone – gli alberi riescono generalmente a crescere più vicini rispetto a una foresta di alberi con radici dello stesso tipo; ΩΩ programmando i tempi e i terreni di pascolo preferiti, i wallaby346 evitano di entrare in conflitto per contendersi gli stessi territori; ΩΩ alcuni uccelli insettivori molto piccoli (come i pardaloti), alimentandosi sulla chioma delle foreste di eucalipto, riescono a non entrare in competizione con altri uccelli di maggiori dimensioni, che esplorano la corteccia degli stessi alberi alla ricerca di insetti. Queste specie, a quanto è dato di capire, occupano nicchie ecologiche diverse, formate da combinazioni leggermente differenti di habitat e fonti di cibo all’interno

dell’ecosistema. Le relazioni di “evitamento” sono neutre e funzionano tenendo separati tempi, spazi ed esigenze.

Relazioni di mutualismo Quando gli organismi hanno esigenze diverse e nel soddisfarle si avvantaggiano a vicenda si dice che la loro relazione è di tipo cooperativo o mutualistico. Gli esempi in natura sono innumerevoli. Gli animali migratori, che si muovono in branchi più o meno numerosi, traggono dal loro comportamento benefici reciproci, evitando i predatori e prestandosi mutua assistenza negli spostamenti (ad esempio, quando branchi di gnu o cervi attraversano fiumi vorticosi). Nelle foreste pluviali, sotto gli alberi più alti si forma un sottobosco ombreggiato, fresco e umido, idoneo alla crescita di felci e specie simili, che, decomponendosi, assicurano compost e nutrimento agli alberi. Il mutualismo spesso collega diverse specie in una rete di interdipendenza. Ricordo che una sera, mentre mi trovavo intorno al fuoco con Bill Mollison, egli riconobbe un verso d’uccello che, secondo lui, significava che un gufo dagli occhiali aveva ucciso una preda. Poiché il gufo mangia solo il collo della vittima, molti altri uccelli si cibano delle sue prede. Sicuramente, l’uccello di guardia aveva segnalato ai suoi simili che la cena era servita. Relazioni simbiotiche Le relazioni di simbiosi vanno oltre il mutualismo, al punto che una specie non riesce a vivere senza il concorso dell’altra. I licheni – combinazione simbiotica di un’alga e di un fungo – rappresentano l’esempio classico che ci offre la natura347. Un altro esempio abbastanza noto è dato dai batteri che fissano azoto sulle radici delle leguminose: un fenomeno d’importanza cruciale per l’agricoltura biologica e, in generale, per quella di sussistenza e a basso input energetico. L’integrazione simbiotica viene oggi considerata uno dei meccanismi più importanti in grado di rendere possibili dei salti evolutivi improvvisi. Ad esempio, la cellula nucleata – l’unità base di tutti gli organismi viventi sulla terra – potrebbe aver tratto origine dalla simbiosi di due forme di vita primitive in precedenza separate (v. il Principio 12 su cambiamento e creatività).


8. Integra invece di separare

Polarizzazione per opposti o unione emergente Le differenze tra simbiosi e predazione possono sembrare grandi, ma entrambe implicano un’intima integrazione. Le culture indigene dei cacciatori-raccoglitori generalmente consideravano l’uccisione e il consumo di animali – e addirittura di piante – come un processo di integrazione. La massima “Siamo quello che mangiamo” è vera, da questo e da molti altri punti di vista. D’altra parte, le relazioni simbiotiche possono sembrare costruttive, ma rappresentano anche una completa perdita di autonomia per entrambi gli organismi. Tali tendenze, apparentemente opposte, della natura possono essere considerate percorsi diversi verso l’integrazione (v. la Figura 27). Questa visuale d’insieme (topdown) delle relazioni ecologiche ci permette di dare un senso a tendenze differenti e apparentemente contraddittorie del funzionamento degli ecosistemi. Inoltre, questa prospettiva ci fornisce anche un modello integrato per pensare alle relazioni sia nella progettazione di sistemi pratici che, più in grande, nella società umana.

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Ogni elemento svolge molte funzioni Pluri-funzionalità e complessità L’idea che gli elementi all’interno dei sistemi siano semplici e svolgano una sola funzione fa parte della disfunzionale visione meccanicistica del mondo che ancora domina la nostra cultura, quasi un secolo dopo che la scienza ha cominciato a riconoscere (almeno in teoria) che l’universo non è esattamente un gigantesco meccanismo a orologeria. Ogni elemento, specialmente se si tratta di piante e animali, è esso stesso un sistema complesso con caratteristiche, requisiti, produzioni e utilizzi potenziali molto diversi. In natura, la plurifunzionalità è la norma. Il tronco e i rami di un albero si ricoprono di foglie per raccogliere in modo efficiente l’energia solare, mentre la linfa trasporta acqua e sostanze nutritive alla chioma e carboidrati alle radici; inoltre, nella corteccia e nei fori di tronco e rami si creano degli habitat che ospitano insetti, uccelli, mammiferi e altre forme di vita. Questi ultimi

beneficiano l’ecosistema in cui sono inseriti, che a sua volta crea le condizioni perché l’albero prosperi. All’interno degli ecosistemi, la pluralità di funzioni fornisce una struttura profonda e vasta che opera in direzione dell’integrazione. È una vera sfida cercare di espandere oltre l’ovvio il nostro pensiero sui sistemi naturali e sui loro elementi costitutivi. Bill Mollison348 ha parlato della relazione tra la foresta e il fiume come di un sistema di scambio: la foresta offre terriccio ricco di sostanze nutritive al fiume, mentre i pesci che risalgono il fiume rappresentano un ricco materiale nutritivo (proveniente dal mare), che viene liberato nella foresta tramite gli uccelli che si nutrono di pesce. Questa relazione è analoga a quella del flusso della linfa in un albero: mette in comunicazione nutrienti ed energia tra radici e foglie. Per le comunità indigene di cacciatori-raccoglitori, questa pluralità di funzioni era del tutto evidente. Oggi lo è talmente poco che qualcuno ha pensato bene di chiamare il progetto di una nuova città Multi Function Polis349 come se fosse possibile immaginare una città avente una sola funzione. A volte, il concetto stesso che ci facciamo di una certa struttura impedisce che ci rendiamo conto della complessità di funzioni che essa integra. Howard Odum ha creato un modello, concernente la foresta di faggi in Nuova Zelanda, utilizzando il linguaggio del circuito energetico (descritto nel Principio 2). Odum separa la volta della foresta (sistema di produzione) da tronchi, fiori, frutti e radici (sistema di consumo e conservazione). Questi vari aspetti dell’albero vengono da lui considerati importanti quanto interi gruppi di consumatori animali (ad esempio, gli insetti della foresta). A questo livello di dettaglio, Odum mette tutti gli uccelli, i mammiferi e i rettili in un unico gruppo di consumatori e assegna loro la stessa importanza dei decompositori e degli animali del suolo.

L’abbaglio della massima resa Nel Principio 3 abbiamo analizzato la validità della tendenza a considerare le funzioni e i raccolti più produttivi come riflesso della legge della massima potenza. Il fatto è, però, che questa tendenza, nella società moderna, è

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Permacultura stata portata all’estremo, anche perché una monocultura della mente350 ha semplificato il nostro modo di pensare. Come altri modi di pensare che la permacultura sta cercando di sovvertire, ignorare che ci possono essere raccolti (o benefici) secondari oltre a quello principale era ed è tuttora – specialmente tra gli agricoltori – una risposta naturale a una realtà in cui l’energia è disponibile subito e in abbondanza. I problemi legati al superlavoro e all’inquinamento351 – risultato dell’incapacità di progettare l’uso di tutto ciò che si produce e che deriva da piante e animali – venivano compensati dai grandi profitti derivati dal raccolto principale, che a sua volta era reso possibile dal contributo energetico apportato dai combustibili fossili. Ma senza una cre-

scente disponibilità energetica questo approccio diventa altamente dis-funzionale (v. il Principio 6 e il Principio 11). Se vogliamo progettare e ricostruire dei nessi vantaggiosi tra i vari elementi, oggi abbiamo l’esigenza di riprendere in esame i raccolti e le funzioni molteplici di piante, animali, edifici, infrastrutture e attività umane.

L’analisi funzionale Per progettare dei sistemi integrati, abbiamo bisogno di capire come funzionano le caratteristiche, le esigenze e i prodotti dei potenziali elementi costitutivi del sistema. Nell’insegnamento della permacultura, Bill Mollison ha utilizzato il pollo, come esempio classico per illustrare la

Massima segregazione Evitamento

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Competizione

Parassitismo

Predazione

Mutualismo

Integrazione distruttiva

Massima integrazione Figura 27 – Relazioni integrate e segregate in natura.

Integrazione creativa Simbiosi


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8. Integra invece di separare massima “Ogni elemento svolge molte funzioni”352. Egli elenca le caratteristiche intrinseche, i prodotti, i comportamenti e i bisogni del pollo. L’elemento pollo dev’essere inserito nel sistema in modo che possa comportarsi naturalmente, avere accesso alla soddisfazione dei suoi bisogni e, al contempo, fornire dei prodotti che possano essere utilizzati direttamente da altri elementi inseriti nello stesso sistema. Costruendo questo percorso, il lavoro dell’uomo sarà ridotto al minimo e si ridurrà al minimo anche l’inquinamento (sotto forma di prodotti non utilizzati). Naturalmente, il nostro interesse primario per il pollo riguarda le uova e la carne, ma spesso anche i prodotti e i comportamenti non considerati o sottovalutati (letame, calore, piume, il fatto che il pollo, come comportamento naturale, si cibi razzolando e buttando letteralmente all’aria il terreno) mettono a disposizione speciali opportunità per modalità progettuali che considerino questi fattori come vantaggi e non come danni. Anche le caratteristiche legate alle diverse varietà di pollame sono da tenere in conto per il ruolo del pollo in un eventuale progetto di permacultura. Ad esempio, a Melliodora abbiamo una razza di polli pesante, chiamata Black Australorp, che si può contenere senza problemi con una rete alta un metro, il che, parlando di controllo dei polli, è un fattore progettuale di importanza cruciale. Una simile analisi funzionale applicata alle piante dimostra che uno stesso elemento, potenzialmente, è in grado di dare molti prodotti e svolgere diverse funzioni. A Melliodora, abbiamo potato molti dei nostri alberi di noce più grandi, in modo da avere un unico tronco fino all’altezza di un metro e mezzo o un metro e ottanta centimetri; in questo modo, l’albero aumenterà il suo valore come fornitore di legname da mobili, alla fine della sua carriera di produttore di noci. A volte, ottenere un raccolto secondario diventa un contributo effettivo al raccolto principale. Ad esempio, a Fryers Forest353 il nonno del proprietario precedente diradò la foresta rivegetata nella prima metà del XX secolo per aumentare il pascolo per le pecore. Gli eucalipti rimasti svilupparono delle grandi chiome, che fornirono una resa elevata di nettare alle api. Quando gli alberi raggiunsero la maturità diedero al nipote una considerevole eredità di pre-

zioso legname. Resistendo alla tendenza dominante, nella sua epoca, di sradicare tutti gli alberi per creare il massimo possibile di pascolo (la funzione primaria o unica, il raccolto principale), il saggio proprietario aveva procurato un valore totale maggiore alla sua proprietà, lasciando la terra al meglio delle possibilità e conservando la biodiversità. Questo utilizzo multifunzionale di piante e animali spesso richiede dei compromessi, perché le varietà e le razze adatte a un utilizzo possono non essere altrettanto buone per un altro. L’agricoltura industriale ha il potere di creare condizioni che favoriscono varietà e razze con una sola funzione, perseguendo la logica della massima resa. Nella società del declino energetico, la flessibilità verso condizioni e bisogni che mutano è più utile dei guadagni apparenti derivanti dalla specializzazione.

Ogni funzione importante è sostenuta da molti elementi Un’altra massima, spesso utilizzata nei nostri corsi di permacultura sui sistemi integrati, recita: “Ogni funzione importante è supportata da molti elementi”. Questa frase non è solo un corollario del concetto “Ogni elemento svolge molte funzioni” ma introduce altri modi di pensare alla progettazione e allo sviluppo di sistemi integrati.

I sistemi di back-up Gli elementi, i sistemi e i metodi di back-up (riserva) svolgono un’importante funzione o riforniscono il sistema quando vengono meno risorse e metodi convenzionali. Ovvi esempi sono i gruppi elettrogeni che entrano in azione automaticamente negli ospedali quando, per una qualsiasi ragione, si interrompe il flusso della corrente elettrica e saltano i centralini telefonici e altri servizi essenziali. La ridondanza, i costi e l’apparente inefficienza di dover conservare i sistemi di back-up – che non svolgono alcuna funzione per gran parte del tempo – venivano accettati come indispensabili per mantenere importanti funzioni di sistema in quasi tutte le circostanze. La parola ridondante ha assunto il significato di non necessario o eccessivo, ma ha significati più antichi, tra

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Permacultura

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cui quello di “caratterizzato da sovrabbondanza”. In latino, redundans significa traboccante. In elettronica, si riferisce a elementi di un sistema che di solito non vengono utilizzati, ma entrano in funzione se un elemento attivo smette di funzionare. Questa strategia progettuale, essenziale nell’ingegneria elettronica, ha origine dalle conoscenze della teoria dei sistemi derivate da sistemi naturali basati su autoregolazione e automantenimento. In natura, esistono moltissimi sistemi di back-up per ogni funzione importante. Ad esempio, nel cervello umano c’è un’enorme ridondanza e flessibilità; è possibile, per persone con danni notevoli al cervello, apprendere o ri-apprendere cognizioni che sarebbero state elaborate dalla parte danneggiata. Nei sistemi naturali, il costo di mantenimento del back-up non è necessariamente alto. In primo luogo, gli elementi sono spesso cellule o organismi che si autoriproducono; in secondo luogo – a differenza di un gruppo elettrogeno – essi svolgono altre funzioni, invece di essere del tutto inoperosi.

Il contributo complementare Un altro aspetto della massima “Ogni funzione importante è sostenuta da molti elementi” è l’idea che diversi elementi contribuiscono a una funzione importante in modo diverso. Ad esempio, l’occhio umano è un sistema altamente complesso e integrato, in cui le cellule dei coni e dei bastoncelli della retina reagiscono a diverse intensità e lunghezze d’onda della luce. Le meravigliose immagini nette e colorate che vediamo sono il risultato di questi e di altri elementi che funzionano insieme. La specializzazione degli elementi all’interno dell’occhio produce immagini migliori, ma anche un certo grado di ridondanza. La vista è possibile anche se funzionano solo i coni o solo i bastoncelli, ma non sarà altrettanto buona. Nell’ecologia del suolo, una vasta diversità di organismi e microrganismi contribuisce al riciclaggio della materia organica. I lombrichi sono gli organismi più in vista: digeriscono la sostanza organica e la trasformano in humus. In un terreno sano, esiste un equilibrio dinamico e complementare tra funghi e batteri e le macroattività dei lombrichi. I funghi sono i più efficienti nel trasformare

la cellulosa ricca di carbonio delle piante, mentre i batteri sono più efficaci nel trasformare tessuti morbidi, proteine e altri composti ricchi di principi nutritivi.

Gli arbusti da foraggio Gli alberi e gli arbusti da foraggio costituiscono un eccellente esempio di complementarità. Sono sicuramente utili nei sistemi a pascolo, ma il loro valore è stato sistematicamente sottostimato, perché la ricerca riduzionista convenzionale si è concentrata sui mangimi secchi e sugli aumenti di peso di animali sottoposti a un’alimentazione molto rigida. Ma in quasi tutte le situazioni è la natura complementare del foraggio fornito da alberi e arbusti ad avere il valore più alto. Il fatto è che alberi e arbusti accumulano sostanze commestibili senza seccare o andare in seme (come fanno le piante erbacee, utilizzate di solito come foraggio); sono una sorta di scorta di fieno disponibile a essere brucata ogni volta che l’animale non trova foraggio di suo gradimento sul prato. Inoltre, le caratteristiche nutrizionali di pascolo e arbusti sono spesso complementari. Ad esempio, l’alto contenuto proteico degli arbusti della famiglia delle leguminose può completare la razione di fieno secco. Per quanto utili siano gli esperimenti sulla produttività di piante e animali, il principale problema per la progettazione è come integrare specie appropriate di alberi e arbusti nei sistemi agricoli esistenti, in modo che i vantaggi apportati possano contribuire alla sostenibilità dell’azienda agricola e del territorio354. La progettazione dei rifornimenti idrici L’acqua da usare in casa Nel progettare gli insediamenti umani, poche funzioni sono più importanti del rifornimento idrico. Nei Paesi avanzati, l’affidabilità e il basso costo dell’acqua potabile fornita dalle reti idriche, diffusi ormai da generazioni, possono far pensare che avere l’acqua in casa sia una cosa ovvia. C’è forse qualcos’altro che ti arriva in casa, costantemente e senza problemi di sorta, a costi irrisori? Di quale altra risorsa abbiamo bisogno in piccole dosi giorno dopo giorno (acqua da bere) e, a volte, in grandi quantità (per irrigare)?


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8. Integra invece di separare In campo rurale, la progettazione e la costruzione di un acquedotto sicuro ed efficiente costituiscono generalmente il più importante problema di progettazione da risolvere e la maggiore spesa dopo la progettazione e la costruzione della casa. Non esiste una professione specifica il cui campo d’attività contempli esclusivamente il progettare e costruire sistemi di fornitura d’acqua integrati e affidabili. Nella mia esperienza di consulente in permacultura, proprietari, idraulici e fornitori di attrezzature e impianti spesso lavorano senza avere la minima idea di quanta importanza abbiano i vari componenti di un sistema integrato. Gli ingegneri specializzati che hanno familiarità con i problemi della progettazione raramente vengono impiegati a causa dei costi; quando vengono ingaggiati hanno spesso esperienza solo di grossi sistemi molto complessi, costosi e non adatti a essere utilizzati per scopi domestici. Gli architetti di solito hanno scarsa conoscenza dei sistemi idrici e scarsa consapevolezza del fatto che un impianto idraulico autosufficiente non è un dettaglio in più per la casa, ma deve essere preso in considerazione già all’inizio del processo di progettazione. Per quanto riguarda le case rurali australiane, il sistema più comune – ma non desiderabile – per fornire acqua è una pompa elettrica a pressione, che tira su l’acqua da una cisterna sistemata a livello del terreno. La casa ha lo stesso impianto idraulico di una collegata a un acquedotto: ogni volta che si apre un rubinetto parte la pompa a pressione. La convenienza di poter disporre di acqua ad alta pressione incoraggia lo spreco, anche se la riserva d’acqua è in effetti limitata alla quantità presente nella cisterna, che raccoglie l’acqua piovana. Se i rubinetti perdono, la pompa a poco a poco va fuori uso e aumentano il rumore e l’usura del meccanismo che la fa partire. In caso di black-out della rete elettrica, se la cisterna è a livello del terreno senza altre possibilità di avere acqua per la semplice forza di gravità, si rimane del tutto senza. I black-out elettrici sono abbastanza frequenti in caso di incendi, e la situazione che si viene a creare in questi casi è quella assurda di avere una cisterna piena d’acqua senza poterne usufruire. Per evitare

questa situazione disastrosa, bisogna ricorrere a un’altra pompa anti-incendio azionata da un motore a scoppio indipendente. Purtroppo, queste pompe corrono il rischio di rimanere inutilizzate per molto tempo con la conseguenza che la gente dimentica come funzionano, il carburante invecchia e i nidi di vespe a volte bloccano il tubo di scarico dei gas. Un sistema più integrato prevede una cisterna principale posta su una collina, o in ogni caso in posizione elevata, che fornisca acqua con una pressione moderata, ma sufficiente. Questa cisterna principale sarà provvista di una pompa elettrica, che può essere azionata in modo automatico, ma solo quando la cisterna è mezza vuota. In caso di black-out, sarebbe in ogni caso disponibile almeno mezza cisterna d’acqua. Alla cisterna principale se ne può aggiungere un’altra piccola, che raccolga l’acqua piovana direttamente dal tetto della casa. Questa cisterna dovrebbe servire ad alimentare un rubinetto supplementare, che assicuri l’acqua in cucina, in caso di necessità, senza bisogno di ausili meccanici. L’acqua per questa cisterna dovrebbe provenire da una porzione di tetto in cui l’acqua non venga sporcata dai fumi della stufa. Bisogna poi che sia installato un deviatore per le prime acque (le più inquinate). Tale sistema può garantire dell’acqua molto pulita da bere e, al contempo, fornire una riserva per l’impianto principale, in caso venga a mancare la corrente. A Melliodora utilizziamo questo sistema come alternativa all’acquedotto principale e come riserva. L’acqua per irrigare A Melliodora, per irrigare utilizziamo l’acqua che si raccoglie in una diga e viene poi pompata in alto nella cisterna principale da una pala eolica o da una pompa a scoppio. La pala eolica è lenta, ma fornisce un’adeguata scorta d’acqua per una parte dell’anno. La pompa è veloce e serve durante la stagione di irrigazione. Le due pompe sono dunque complementari. La pressione fornita dalla forza di gravità è adeguata per gran parte degli utilizzi domestici, ma la pompa a scoppio rende possibile aumentare la pressione di tutto il sistema soprattutto nel periodo più

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Permacultura asciutto dell’anno, quando si rende indispensabile irrigare, che è anche il periodo in cui più frequentemente scoppiano gli incendi. La pompa con motore a scoppio funziona costantemente durante tutto il periodo dell’irrigazione, ed è quindi affidabile in caso d’incendio. Abbiamo delle bocche che, in caso di incendio, spruzzano acqua sulle tettorie e sulla stalla e ovviamente – perché funzionino in modo adeguato – serve una pressione adeguata, anche se la pressione per gravità, garantita dalla cisterna principale, è già in qualche misura sufficiente ad azionarle. Questi esempi bastano a illustrare un buon equilibrio tra gli aspetti che possiamo definire “complementari” e quelli di back-up assicurati da una progettazione improntata al principio della ridondanza, e riflettono la ridondanza che si incontra nei sistemi naturali e che assicura una profonda funzionalità.

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Semplificazione e segregazione355 Semplificare è forse la reazione umana automatica ai problemi di tipo sistemico (v. il Principio 10 sulla valorizzazione della diversità). Eliminando gli elementi apparentemente meno importanti coinvolti in un conflitto, riduciamo la complessità della gestione. Quando gli elementi coinvolti nel conflitto sono invece indispensabili o troppo potenti per essere eliminati, ricorriamo spesso a una strategia di segregazione. Semplificazione e segregazione sono metodi fondamentali per evitare conflitti eccessivi e competizione tra gli elementi o i sottosistemi. Tendono a procedere di pari passo. L’uso della prima aumenta le opportunità di utilizzo della seconda, man mano che riduciamo la complessità del sistema fino a fargli raggiungere il minimo della funzionalità gestionale. Sono due strategie valide ma abusate per affrontare lo sviluppo eccessivo e la complessità esagerata di un sistema “dis-funzionale”.

La segregazione nell’orto Lasciando molto spazio fra l’una e l’altra, l’orticoltore convenzionale evita la competizione per acqua, luce e sostanze nutritive tra le piante. Ciò permette a tutte di

crescere fino al massimo delle loro dimensioni, anche se ciò implica più terra e lavoro per tenere sotto controllo le infestanti. Eliminando le infestanti dall’orto riduciamo anche la competizione con le piante coltivate. Questi e altri simili sforzi per ridurre la competizione attraverso la segregazione rendono più semplici i nostri sistemi biologici, aumentano le rese e sono più facili da gestire. Senza volerlo però, questi metodi contribuiscono a far nascere altri problemi, fra cui quello dell’interruzione di servizi ambientali che la natura gratuitamente mette a disposizione e che consistono nel mantenere la fertilità del terreno e controllare parassiti e malattie. Un altro esempio – strumento fondamentale di separazione – è la rete per escludere gli animali che altrimenti mangerebbero, sradicherebbero o ridurrebbero in ogni caso a mal partito le nostre piante alimentari. Anche se le strategie permaculturali per l’orticoltura prevedono di integrare nel sistema gli animali, e in special modo il pollame, in giardini e frutteti è generalmente indispensabile mantenere la segregazione in particolari periodi.

Progettare la casa di campagna in base al principio della segregazione Il principio di segregazione può essere visto all’opera anche nelle strategie di progettazione dell’ambiente costruito. In una tipica fattoria tradizionale, ad esempio, lo spazio è una risorsa di cui si può disporre a piacere. Le fattorie spesso si estendono, con i vari edifici e strutture, su spazi molto ampi, in piano e con poche connessioni o integrazioni tra i vari elementi. Quando viene progettato un nuovo edificio, il primo criterio di progettazione applicato è che intorno ad esso vi sia abbondanza di spazio, in modo da non interferire con altre strutture e funzioni. Questa progettazione per elementi separati non è del tutto illogica, perché usa l’abbondanza di spazio per assicurare il facile accesso di veicoli e macchine. Il fatto che molti benefici secondari nell’utilizzo dell’edificio vengano, in questo modo, ridotti è visto come un problema minore o non rilevante. Da un punto di vista permaculturale, questi sistemi disaggregati sono altamente inefficienti, un vero inno allo spreco356.


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8. Integra invece di separare

Il concetto di segregazione nella destinazione d’uso dei terreni Alla fine del XIX e agli inizi del XX secolo i problemi creati dalle industrie inquinanti portarono a pianificare l’uso dei terreni e ad essegnare ad essi una destinazione d’uso. In tal modo si cercò, come prima cosa, di isolare le industrie nocive dalle aree residenziali e poi di separare i diversi utilizzi dei terreni per evitare conflitti tra l’uno e l’altro. L’assegnazione della destinazione d’uso e ciò che ne seguì, ossia l’utilizzo segregato dei terreni in base a decisioni prese dall’alto, sono diventati talmente normali che per molti esponenti dei governi locali sono sinonimo di pianificazione urbana e regionale. Solo di recente il concetto di segregazione e quindi della destinazione dei vari terreni ad usi separati è stato messo in discussione, e questo soprattutto per merito del concetto di sostenibilità diffuso dalla permacultura e da altri movimenti simili.

all’interno di noi stessi. Da questo punto di vista, la modernità ha prodotto conseguenze utili per l’umanità, ma certo non dal punto di vista della sostenibilità. Nella Figura 5 (relativa ai principi etici) ho raffigurato questa polarizzazione, in quanto principio di una emergente unione, che ha due aspetti: uno creativo e l’altro distruttivo.

La segregazione etnica e l’apartheid La stessa logica dell’evitare conflitti ha visto svilupparsi il principio della segregazione anche nell’ambito sociale ed etnico, in varie società e fasi storiche. Probabilmente, il tentativo più spettacolare attuato nel XX secolo fu la politica dell’apartheid perseguita in Sud Africa. La segregazione sociale ed etnica ha perso ogni residua legittimità etica di politica sociale funzionante. Solo in casi estremi, come quello della Palestina, mantiene tuttora una parvenza di legittimità come unico modo possibile per ridurre il conflitto e la violenza.

Integrazione industriale La riprogettazione dei processi di produzione per ottenere una maggiore efficienza energetica e minori sprechi (v. il Principio 6 sulla produzione di rifiuti) sta prendendo piede, e insieme ad esso, viene preso in seria considerazione l’imperativo di integrare elementi e sottosistemi che erano separati (segregati). A volte, la risposta naturale alle buone notizie che ci giungono dal mondo industriale – come quelle riguardanti gli allevamenti intensivi di maiali che usano le deiezioni per produrre gas metano – è chiedere innanzitutto perché il sistema non sia stato progettato così fin dall’inizio. Spesso la risposta è che il nuovo sistema è più integrato e quindi più complesso come strutture e materiali o come organizzazione e pianificazione. Il fatto che i sistemi integrati siano complicati è la giustificazione per cui si privilegia la segregazione quando le risorse sono abbondanti. Amory Lovins357 sostiene che la riprogettazione su grande scala dei processi industriali, sotto la spinta delle forze del mercato, porterà a un’integrazione più affine agli ecosistemi. La promozione, da parte sua, del concetto di hypercar e di economia all’idrogeno si basa più sul funzionamento delle cose in modo integrato e complementare che sull’invenzione di nuove tecnologie.

La separazione tra Stato e Chiesa La separazione tra Stato e Chiesa, come risultato dell’Illuminismo europeo e il conseguente, progressivo approfondirsi del distacco tra materialismo scientifico e spiritualità, è tradizionalmente considerata in modo positivo per aver ridotto il conflitto sociale, l’oppressione e la superstizione che dominavano intere società, in cui i due aspetti – oggi apparentemente incompatibili – erano saldamente integrati. La separazione tra spiritualità e materialismo nel mondo moderno ha fornito all’umanità l’opportunità di valutare a fondo il conflitto tra queste parti opposte

Cooperazione e integrazione Se da una parte è ragionevole considerare la segregazione una strategia progettuale valida, ma troppo utilizzata, dall’altra le opportunità di utilizzare relazioni di tipo cooperativo per costruire dei sistemi più integrati sono dappertutto intorno a noi. La permacultura include molti esempi di applicazione di questo principio nell’orto e nell’azienda agricola. La progettazione integrata ha applicazioni ancora più ampie.

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Permacultura

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Che prevalgano i modelli della permacultura a bassa tecnologia e socialmente accessibili o i metodi industriali ad alta tecnologia, è comunque evidente che l’integrazione di sistemi prima segregati sarà uno dei principi fondamentali che guideranno la progettazione postindustriale358.

Consociazioni di piante e gilde in permacultura La costruzione di relazioni di cooperazione, accompagnata dalla riduzione dell’impatto delle relazioni predatorie e competitive, è una delle strategie chiave della permacultura, per ottenere una più efficace integrazione all’interno e tra sistemi. Le consociazioni mutuamente benefiche di piante ed erbe officinali, originariamente basate sulle osservazioni di ricercatori biodinamici, hanno diffuso l’idea che le piante non devono necessariamente essere in competizione reciproca e possono avere effetti benefici una sull’altra. Negli insegnamenti della permacultura, il concetto ecologico di gilda fornisce una più ampia prospettiva sulle mutue relazioni, identificando gruppi di piante – e perfino di animali – che si avvantaggiano a vicenda359. La validità delle gilde può essere dimostrata a livello bioregionale e locale; esse marcano un percorso in cui si possono utilizzare relazioni complesse di piante nella progettazione di policolture, e in special modo quelle che vedono insieme piante perenni e alberi. Molte altre ricerche, tuttavia, sono ancora necessarie in questo campo; infatti, ciò che sembra funzionare bene in un ambiente può non funzionare in un altro. Usi integrati della terra Uso integrato del territorio rurale significa che ogni fattoria, in qualche misura, è anche una foresta. Gli usi integrati del territorio, nella visione originaria della permacultura, erano forse più importanti delle consociazioni e delle gilde. Sono tanti i modi in cui gli alberi si possono integrare con l’utilizzo tradizionale della terra: l’agroforestazione, l’analog forestry (imitazione della foresta spontanea in fase climax), le colture a viale e altri ancora. I problemi tecnici posti da integrazione di alberi, colture tradizionali e pascolo, tuttavia, sono solo una parte

dell’insieme. Nell’Australia rurale, il sistema prevalente di proprietà terriera assoluta rimane uno dei maggiori impedimenti allo sviluppo dell’uso integrato della terra. Quasi tutte le aziende agricole maggiori hanno il potenziale per comprendere vari settori, come allevamento bovino, colture da semina, orticoltura, acquacoltura, apicoltura e silvicoltura, in modo da aumentare la produttività dell’azienda e dei singoli ambiti. Purtroppo, non è molto comune, per le famiglie di agricoltori, sviluppare le abilità, i capitali o anche solo la predisposizione culturale occorrenti per gestire questa diversità di iniziative, ragion per cui l’uso integrato della terra è raro. I paesaggi rurali che vedono l’integrazione di pastorizia, colture da semina, orticoltura e silvicoltura possono essere anche molto diversificati, ma il livello di integrazione è sempre ostacolato dalla tendenza di ogni proprietario-operatore a massimizzare la resa del settore principale di attività. Ad esempio, il pastore vedrebbe sempre volentieri qualche prato d’erba in più, al posto degli alberi; per il selvicoltore, invece, l’erba non fa che aumentare il rischio di incendio, e il prato non è altro che spazio rubato al bosco.

I modelli di proprietà terriera in città Ironicamente, diversi esempi di utilizzo reintegrato di terreni che erano stati in precedenza separati sono emersi in alcune aree urbane che si sono aperte a un diverso modo di agire. Il controllo o l’eliminazione di molti aspetti negativi dell’industria, lo sviluppo di nuove tecnologie e l’espansione del settore dei servizi hanno reso di nuovo possibile vivere a contatto delle attività commerciali e industriali. Le conseguenze sociali negative degli usi segregati della terra sono diventate ovvie anche per gli esperti di pianificazione urbana. Sebbene i quartieri urbani di recente costruzione che mettono insieme usi residenziali, commerciali e perfino industriali, difficilmente possano rappresentare dei modelli di sostenibilità, essi dimostrano comunque che il principio dei sistemi integrati sta guadagnando terreno su diversi fronti. Io stesso mi sono reso conto dell’importanza dei titoli di utilizzo della terra per il concetto stesso di permacultu-


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8. Integra invece di separare ra su ampia scala, quando mi trovai a lavorare per breve tempo, nel 1979 e nel 1984, con Haikai Tané, pianificatore ed ecologo delle risorse neozelandese. Haikai mi parlò di una innovazione nella normativa che aveva a che fare con la gestione di alcuni aspetti della proprietà immobiliare di centri commerciali e zone industriali. In quanto co-proprietarie di un centro commerciale, alcune piccole aziende erano riuscite ad avere accesso a delle economie di scala, relativamente a servizi di marketing, contabilità e altri servizi comuni, guadagnando così al contempo anche un maggior potere di contrattazione con le grandi catene della distribuzione co-proprietarie del centro. Nelle zone industriali, la condivisione dei servizi di smaltimento dei rifuti offriva economie di scala per piccole aziende alle prese con regolamenti di controllo ecologicamente più severi. In queste aree industrializzate abbiamo intravisto il potenziale per sviluppare esempi più complessi di ecologia industriale, in cui l’output di un’azienda può diventare l’input di un’altra. Abbiamo inoltre visto le ovvie opportunità di usare questo moderno tipo di titolarità dei terreni come modo per integrare silvicoltura, acquacoltura e apicoltura nelle fattorie dedite al pascolo brado su ampia scala, senza che sia necessario dividere la terra. Abbiamo anche capito che, all’interno dell’attuale società dell’abbondanza, il desiderio di vivere in un ambiente rurale forniva l’opportunità economica per riorganizzare le aziende agricole in comunità rurali residenziali, accrescendo e al contempo integrando il loro potenziale per fare un uso produttivo della terra. Ho messo in evidenza queste opportunità di uso integrato della terra su ampia scala nel 1984360 e ho cercato, in seguito, di fare in modo che i pianificatori adottassero questa forma di gestione creativa come soluzione alla continua perdita di terra agricola primaria a favore di insediamenti residenziali rurali361. Gli ecovillaggi rurali con gestione della terra affidata a un’entità giuridica forniscono un modo più sostenibile – dal punto di vista economico, ecologico e sociale – di vivere in ambienti rurali gradevoli, rispetto alla tradizionale lottizzazione; tuttavia, lo sviluppo e la proliferazione di questa alternativa, in Australia, sono stati lenti. Ciò è dovuto a diversi fattori, fra cui:

ΩΩ i piani di programmazione non danno incentivi a

gruppi o imprese edili che avviano questo tipo di insediamento rurale e, in qualche misura, addirittura lo disincentivano; ΩΩ la terra a utilizzo rurale costa relativamente poco per vari motivi, come la scarsa resa agricola e i bassi prezzi dei prodotti; ΩΩ esiste una riluttanza a occuparsi delle complessità e dei limiti imposti dalla comunità (v. analisi delle comunità volontarie più avanti). Anche quando le comunità residenziali rurali si sono sviluppate specificatamente all’uopo, la prospettiva permaculturale dell’uso integrato della terra su ampia scala è stata lenta a svilupparsi. Per quanto io consideri le comunità rurali un grande potenziale per realizzare questo obiettivo, abbiamo di fronte diversi importanti impedimenti: ΩΩ il cibo ha prezzi relativamente bassi rispetto a salari e stipendi; di conseguenza, gli introiti dovuti all’attività agricola sono modesti. Di conseguenza, l’incentivo a utilizzare la terra della comunità per guadagnarsi un reddito è anch’esso molto basso; ΩΩ lo sviluppo economico e la crescita della ricchezza da esso assicurato forniscono migliori opportunità per ottenere del reddito (dall’assistenza sociale alla consulenza); ΩΩ vengono percepiti dei possibili conflitti tra la ricerca di comfort come zona residenziale in ambito rurale e l’utilizzo concreto della terra a livello agricolo o forestale; ΩΩ c’è una scarsa conoscenza dei meccanismi legali connessi ai diritti di utilizzo della terra, oppure delle strutture di integrazione e di soluzione dei conflitti con gli altri utenti della terra. Sebbene il potenziale di questi tentativi visionari di integrare comunità e usi della terra sia ancora lontano dall’essere pienamente realizzato, gli effetti combinati di insediamenti rurali e turismo rurale hanno stimolato molti esempi di uso integrato della terra, spesso ispirati dalla permacultura. Le persone che si recano in campagna come turisti, per spe-

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Permacultura rimentare il contatto con l’ambiente naturale, sono attratte da molti di quegli stessi valori e interessi che attraggono le persone che decidono di fermarsi a viverci. Non è un caso se molte nuove attività di agriturismo hanno avuto inizio da persone che hanno deciso di spostarsi a vivere in campagna, o da membri di famiglie già residenti in campagna delusi dalle tendenze convenzionali dell’agricoltura. Una delle caratteristiche del settore in espansione del turismo rurale è che i visitatori vanno alla ricerca di esperienze integrate. Vogliono essere ospitati in un alloggio fatto con materiali naturali locali, mangiare cibo prodotto localmente nell’azienda e sperimentare varie attività in un paesaggio che trasmetta armonia e varietà. Le fattorie che hanno mantenuto o sviluppato l’inserimento di questi elementi ecologici e altri ancora hanno il più alto livello di integrazione e il potenziale necessario per sviluppare il turismo rurale. In Australia, ironicamente, il turismo sta in pratica finanziando l’agricoltura biologica e altre forme innovative di agricoltura, proprio come in altre parti del mondo sta fornendo la base economica per la difesa delle culture locali e dell’utilizzo sostenibile della terra. Nonostante le contraddizioni e i problemi insiti in questo tipo di sviluppo, il turismo sta fornendo un incentivo economico all’uso integrato della terra in una fase in cui la maggior parte delle altre forze e politiche economiche continua ad accelerare la disintegrazione dei territori rurali. Questo processo, nel suo insieme, ha anche dimostrato che dalla mancanza di integrità nel mondo moderno è scaturita un’opportunità di tipo economico; in altri termini, l’uso integrato della terra ha dato un valore economico ad atttività che, in epoche precedenti, costituivano gli aspetti più comuni e quotidiani dei sistemi rurali integrati.

Modelli di competizione e cooperazione in natura e nella società Il Principio 8, di cui mi sto occupando, ha lo scopo di sottolineare l’importanza delle relazioni cooperative come aspetto essenziale dei sistemi integrati, ma dobbiamo considerarle nel contesto di altre possibili relazioni tra gli organismi viventi.

La progettazione finalizzata alla cooperazione dipende da una vasta comprensione delle funzioni di cooperazione e competizione. Decidere semplicemente che competizione e conflitto sono negativi non ci aiuterà in questo compito. Al contrario, ci serve una visione equilibrata sul contributo che tutte le dinamiche relazionali possono offrire, sia nei contesti umani che in quelli naturali. In natura, i sistemi immaturi a crescita rapida, in una situazione di energia largamente disponibile, tendono a essere dominati da relazioni competitive. Gli ecosistemi maturi, in cui l’energia a disposizione è scarsa, mostrano un alto livello di relazioni simbiotiche e mutualistiche362. Ad esempio, una radura in mezzo a una foresta pluviale disporrà in abbondanza di luce solare e fertilità, che creeranno uno sviluppo lussureggiante di piante annuali, rampicanti e alberi in competizione reciproca; nella foresta matura, le piante che crescono vicine molto facilmente svilupperanno, con il tempo, relazioni di tipo simbiotico o mutualistico (ad esempio, alberi che si scambiano sostanze nutritive attraverso i funghi e le micorrize).

Comunità pioniere Nelle comunità umane a rapida crescita che sfruttano nuove risorse ancora non intaccate – ad esempio le comunità di pionieri e coloni – la competizione tende a essere l’elemento dominante. Nelle società tradizionali stabili, in cui le risorse sono completamente distribuite e i ruoli definiti, gli obblighi reciproci e i meccanismi sociali (come il dono e le tasse) prevalgono sui meccanismi competitivi. In alcune società di cacciatori-raccoglitori sopravvissute in ambienti inospitali la competizione tra i membri del gruppo veniva considerata un male. Ad esempio, sembra che alcuni gruppi Inuit dell’artico canadese abbiano ucciso alcuni missionari che avevano introdotto delle forme di sport competivo nelle loro comunità363. In qualsiasi area di conoscenza o lavoro in rapido sviluppo, la gente scopre con sgomento quanto possa essere comune la competizione tra persone che la pensano allo stesso modo. Quando si è all’inizio di qualcosa di nuovo e di aperto, la competizione diventa una reazione naturale. Questa forma di concorrenza stupisce al massimo grado, quando il campo


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d’azione (come nel caso della permacultura) pone un forte accento proprio sulla cooperazione.

La cooperazione nel capitalismo Nel corso degli ultimi secoli, la crescita e i cambiamenti continui basati sullo sfruttamento di nuove e inesplorate risorse hanno creato una cultura globale, in cui la competizione economica (il capitalismo) e quella tra le persone (individualismo) sono diventate le forze dominanti. Questo sistema ha infranto molte strutture basate sugli obblighi di reciprocità delle epoche preindustriali. I primi darwinisti sociali utilizzarono delle prove dedotte dalla natura per giustificare questi cambiamenti radicali. Anche se il riferimento alla natura come giustificazione per la competizione si è ridotto dopo lo sviluppo delle scienze ecologiche, l’assunto che la competizione economica sia una bene in sé, da perseguire a prescindere, ha raggiunto nuove altezze proprio alla fine del XX secolo. Ma anche all’interno del capitalismo, la cooperazione e la fiducia sono ancora valori fondamentali. Ad esempio, vi sono piccole aziende che continuano ad accettare ordini notevoli e a contrattare lavori basandosi solo sulla comunicazione verbale, senza alcuna forma di contratto legale con il cliente. Senza una qualche forma di fiducia e cooperazione, molte piccole aziende non potrebbero addirittura esistere. Ad esempio, in Emilia Romagna, molte piccole aziende hanno sviluppato una rete assai sofisticata di relazioni cooperative: fattore che è stato di grande importanza nel raggiungimento di alti livelli di occupazione, generazione di ricchezza ed efficienza economica364. I mercati di nicchia Il termine ecologico nicchia viene utilizzato dagli economisti per descrivere delle opportunità di mercato con specifiche caratteristiche ed esigenze. Le piccole aziende specializzate sono, generalmente, in grado di servire questi mercati in modo più efficiente, rispetto alle grandi aziende centrate sulla produzione di massa. Tale comportamento non competitivo delle piccole aziende ha permesso loro di sopravvivere al crescente potere e dominio delle multinazionali.

La natura determina la società Tim Flannery365 sostiene che gli ecosistemi e il popolo australiani hanno una forte disposizione a sviluppare relazioni cooperative, piuttosto che competitive, a causa dell’ambiente ostile e sterile. Ciò sembra vero se riferito agli ecosistemi e alla cultura degli aborigeni. Il suo tentativo di estendere l’ipotesi alla cultura successiva all’arrivo degli Europei è più difficile da accettare, perché il capitalismo basato sui combustibili fossili e l’individualismo, alla fine del XIX secolo, hanno offuscato lo sviluppo della cultura cooperativa rurale quasi prima che questa potesse cominciare a radicarsi sul suolo australiano. Nonostante questo, se confrontiamo la storia dei pionieri australiani con quella dei pionieri statunitensi, notiamo un’enorme differenza nel grado di competizione e di conflitto e nelle guerre sanguinose che hanno plasmato le due storie. Le riserve di risorse naturali, negli USA, erano e rimangono molto maggiori, rispetto a quelle dell’Australia, e anche la storia degli USA è molto più violenta. Il Medio Oriente, la regione più ricca del mondo, nel XX secolo non ha visto molti momenti di pace e l’incipiente declino energetico minaccia conflitti ancora più estesi. Cooperazione interna, competizione esterna Un altro aspetto dell’equilibrio tra competizione e cooperazione è il modo in cui i sistemi caratterizzati da autoorganizzazione, in particolare gli ecosistemi, tendono a interiorizzare la cooperazione tra le specie che ne fanno parte e a esteriorizzare la competizione con altri ecosistemi. Ad esempio, le praterie e le foreste sono concorrenti per quanto concerne il territorio. Gli ecologi hanno familiarità con i vari meccanismi attraverso cui ciò avviene (incendi, pascolo, semi dispersi dagli uccelli, zone d’ombra e così via). Inoltre, citando Bill Mollison, «gli ecosistemi maturi sfruttano quelli immaturi»366. Gli ecosistemi immaturi tendono a essere meno efficienti nel catturare e conservare energia, e più soggetti a fenomeni di dilavamento e perdita di energia (sotto forma di acqua, nutrienti o biomassa). Tali perdite, venendo spesso assorbite dagli ecosistemi più maturi, danno vita a riserve maggiori di biomassa di lunga durata e a suoli profondi e ben strutturati.

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Ad esempio:  le foreste alluvionali del sistema fluviale del Murray hanno assorbito per migliaia di anni gran parte dei nutrienti provenienti dai bacini idrici montani e dalle foreste delle zone impervie di montagna e collina erose dal fiume, zone più sensibili anche agli incendi;  nell’Australia settentrionale, piccole aree di foresta pluviale acquisiscono i nutrienti messi in circolo da fumi e ceneri degli incendi stagionali che si sviluppano in terreni boschivi adiacenti alle sterili savane. Nei territori coltivati, simili processi possono implicare trasferimenti relativamente maggiori e più rapidi di energia. Alcuni esempi sono gli strati di suolo erosi dal vento e i fertilizzanti liberati dalle colture agrarie, che si accumulano in siepi frangivento e nella vegetazione spontanea ai lati delle strade. Gli stessi alberi e piante vengono spesso concimati dagli uccelli, che su di essi sostano o fanno il nido dopo essersi rifocillati a spese delle colture agrarie. Gli esempi di cattura e conservazione di energia più spesso citati in permacultura spesso consentono di trarre vantaggio da ciò che viene perso a causa di un uso insostenibile della terra:  i nutrienti che fuoriescono dai bacini idrici in caso di piogge eccessive vengono intercettati da sbarramenti, suolo o vegetazione;  il fieno fermentato di aziende che non hanno mai pensato a un utilizzo di tale materia organica è utilizzabile per pacciamare un nuovo orto. Questi e altri esempi sollevano molti quesiti di carattere etico sul fatto di sfruttare le sfortune degli altri. Se riusciamo a capire la tendenza a interiorizzare la cooperazione e a esteriorizzare la competizione, diventerà più facile decidere come è meglio comportarsi, dal punto di vista etico, nelle più varie situazioni.

Il conflitto tribale Le società tribali di cacciatori-raccoglitori una volta avevano un alto grado di cooperazione interna. La com-

petizione fra tribù, invece, dava luogo occasionalmente a delle guerre. Si potrebbe argomentare che questi conflitti occasionali su campi di battaglia367 delimitati agivano come metodo di selezione naturale sul surplus di giovani maschi, senza che il conflitto generasse troppe conseguenze negative sulla tribù nel suo insieme. Il modello tribale della cooperazione interiorizzata e della competizione esteriorizzata si verifica anche tra famiglie, comunità, aziende e istituzioni. Dato che il fenomeno è così diffuso nella natura e nella cultura sarebbe ingenuo ignorarlo. Spesso si dice che l’uso della violenza nel risolvere i conflitti è un fatto naturale. Il conflitto e l’aggressione tribale rappresentano un modello di comportamento che ha prodotto più benefici che problemi per la maggior parte dei centomila anni e passa di cultura umana. Come tutte le strategie evolutive di successo, questo modello è stato profondamente incorporato nella nostra natura sociale e ricorre di tanto in tanto in nuove forme; tuttavia, l’espansione e l’aumento della popolazione umana negli ultimi diecimila anni, insieme alle conseguenze sempre più pesanti della guerra, hanno reso il conflitto tribale un modello non più funzionale368. La mancanza di nuovi territori o di risorse da sfruttare e il grado di interconnessione e integrazione globale hanno drasticamente ridotto le opportunità di competizione e di conflitto funzionale nei sistemi umani. Al contempo, una visione della realtà più inclusiva, globale e conscia dell’interdipendenza ha contribuito a rendere più equilibrata l’interpretazione dei principi etici. Questa prospettiva globale richiede di considerare tutte le persone e le altre forme di vita come parte dello stesso pianeta vivente e, come tali, partecipi di relazioni improntate a reciprocità e mutualismo. La terrificante evidenza degli attuali conflitti globali sembra suggerire che la violenza e la guerra siano aspetti permanenti e immutabili del comportamento umano. Personalmente, vedo questi orrori come una concentrazione dell’antica “guerra delle tribù”, analoga a una pustola sulla pelle attraverso cui si concentra e viene espulso un profondo malessere interno di cui prima non ci si rendeva conto. Negli ultimi duemila anni – e, in particolare, nel secolo scor-


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8. Integra invece di separare so – l’umanità ha sviluppato nuovi modelli di identità collettiva e nuovi modi di sublimare la bellicosità in forme più accettabili di conflitto come la diplomazia, il commercio e lo sport. La violenza e la guerra assomigliano a un vecchio paio di scarpe ormai logore, che possiamo gettare via mentre cominciamo a pensare a nuove scarpe da portare. Queste nuove scarpe includono migliori meccanismi di risoluzione dei conflitti, che vanno di pari passo con nuove forme di identità collettiva. Inevitabilmente, alcune di queste nuove soluzioni finiranno per ricreare il problema sotto altre forme. Come spesso succede per i problemi che riguardano evoluzione e progettazione, sono necessari molti cicli iterativi prima che possiamo eliminare il comportamento disfunzionale. Gli esempi più ovviamente “disfunzionali” di conflitto tribale della fine del XX secolo – Rwanda, Bosnia, Palestina – possono essere considerate pustole sulla pelle dell’umanità; tuttavia, le forze alla base di queste espressioni di comportamento primitivo sono meno ovvie. A parte la pressione esercitata da un numero sempre maggiore di persone su una quantità di risorse sempre minore, è provato che quelle stesse soluzioni create per evitare le guerre su grande scala contribuiscono in maniera diretta o indiretta, agli scoppi di violenza senza limiti su scala locale.

Cultura aziendale ed ecologia Lo sviluppo delle multinazionali da semplici strumenti di commercio a superorganismi che controllano l’umana evoluzione è l’esempio principe che illustra come la soluzione possa diventare peggiore del male. Attualmente, la maggioranza della popolazione mondiale dipende per i propri bisogni dall’economia globale, dominata dalle multinazionali. Si può sostenere che queste corporations – insieme ai governi, alle grandi istituzioni pubbliche (sempre più considerate alla stessa stregua delle multinazionali) e a organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio – formano un nuovo ecosistema globale. Questo originale ecosistema si è formato di pari passo con il consumo delle risorse

biologiche e fossili del Pianeta e delle risorse umane basate su culture e valori tradizionali. Ma se tutti capiscono cosa significa consumo delle risorse naturali non si può dire altrettanto per quanto concerne il consumo delle risorse umane e culturali. Alcuni valori tradizionali personali e collettivi – come la frugalità, l’autosufficienza familiare, l’etica del lavoro, il rispetto delle leggi, il mercato libero, l’istruzione universale, il concetto di interesse nazionale – sono stati importanti catalizzatori della crescita e dello sviluppo del capitalismo globale; tuttavia, questo tipo di sviluppo in realtà non fa che minare quegli stessi valori, proprio come la fertilità dei migliori terreni agricoli è stata distrutta dalle monocolture dell’agricoltura chimica. Il passaggio da economie locali segregate e da economie nazionali anch’esse segregate a una economia globale altamente integrata riflette la maturazione del capitalismo ed è anche un segnale che i flussi dell’energia che hanno generato il capitalismo a livello mondiale stanno rallentando. Questo processo di maturazione, anche se porta a un aumento dell’efficienza e a benefici interni, tende ugualmente, e con sempre maggiore efficienza, a segregare e isolare, in quanto sistemi in competizione, comunità e natura, entrambe destinate ad essere consumate. Il ruolo dello Stato-nazione nel fornire mercati facili da conquistare e sussidi per un ulteriore sviluppo delle multinazionali dà l’impressione che queste organizzazioni commerciali relativamente recenti siano ormai diventate delle entità invincibili. Anche se questo nuovo ecosistema globale è stato chiaramente generato dall’organizzazione e dalla cultura dell’uomo, può essere a buon diritto giudicato inumano, innaturale e destinato all’autodistruzione. Quando descrivo le multinazionali e il loro ecosistema globale come qualcosa di alieno, non voglio dire che le persone che ci lavorano e che dipendono da queste strutture sono in qualche modo degli alieni. Utilizzo, invece, tale termine per sottolineare il potenziale emergente di istituzioni e strutture che diventano auto-organizzate senza tenere in considerazione il limite dato dai valori etici e umani. Seri ricercatori nel campo dell’intelligenza artificiale parlano in modo ottimistico di uno sviluppo continuo della tecnologia che permetterà alle

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Permacultura reti organizzative e informatiche umane di generare forme di intelligenza, simili a una mente alveare369. Il fatto che grandi banche si siano abilmente trasformate da organizzazioni di servizi, fornitrici di lavoro a un gran numero di persone, in reti informatiche che necessitano di scarsa presenza umana (sia in quanto lavoratori che in quanto clienti reali) sconcerta molte persone. I potenziali sviluppi futuri, che ibridano tecnologia e biologia attraverso l’ingegneria genetica e utilizzano un numero limitato di impiegati ben collegati e altamente retribuiti, potrebbero con straordinaria rapidità assistere all’emergere di nuove forme di vita autonome basate sulla simbiosi. Alcuni degli sviluppi più recenti nella teoria evolutiva suggeriscono che questo tipo di salto simbiotico nell’evoluzione non è senza precedenti (v. il Principio 12 sulla risposta al cambiamento). Il movimento antiglobalizzazione ha cercato di operare un’inversione di tendenza: invece di difendersi da altre persone e comunità, hanno provato a organizzare la difesa contro gli organismi economici predatori dell’economia globale. I critici di detto movimento deridono questo tentativo, perché lo giudicano irrealistico e ingenuo. Se il modello di cooperazione interiorizzata e competizione esteriorizzata, che vediamo nella natura e nella società, è un dato inerente ai sistemi capaci di auto-organizzazione, allora la demonizzazione di questo particolare “alieno” (la globalizzazione) ha molto di più da offrire e con minori rischi rispetto a forme più tradizionali di xenofobia che vengono periodicamente rimesse in circolo da potenti élite nei periodi di crisi. Il riconoscimento che la globalizzazione è dominata dalle multinazionali, e che pertanto è da considerare alla stessa stregua di un nemico, può stimolare l’allargarsi di una prospettiva permaculturale che miri a modalità di vita autosufficienti, localmente interdipendenti. La paura e l’avversione per il nemico possono fornire enormi motivazioni per entrare in azione, ma non generano di per sé alternative a un’alienata dipendenza dall’economia globale. Occorre invece l’evoluzione bottom-up, in senso orizzontale e dal basso verso l’alto, di gradi maggiori di cooperazione e di efficaci metodi per la risoluzione dei conflitti nelle nuove comunità e culture. Di tali modelli abbiamo

urgentemente bisogno: le nostre migliori speranze sono a essi connesse, se vogliamo perseguire l’obiettivo di una graduale riforma dello stile di vita convenzionale oppure di ricostruire la società dopo il collasso rapido e radicale dell’economia basata sul capitalismo globalizzato.

Materialismo e spiritualità La versione aziendalistica di una emergente mentealveare cozza contro i limiti imposti allo sviluppo dal calo nell’utilizzo di energia e materiali, ma il vero tallone d’Achille di questa visione è la negazione del lato spirituale dell’umanità. Ho già detto, in pagine precedenti di questo stesso capitolo, che la separazione tra Stato e Chiesa è uno degli utilizzi produttivi del principio di segregazione nella storia della civiltà occidentale, ma la Figura 5 del capitolo sui Principi Etici mostra che gli opposti polarizzati di materialismo e spiritualità convergono. La figura rappresenta la polarizzazione tra un processo creativo improntato a ottimismo da una parte, e una integrazione distruttiva, fatta di materialismo aziendalistico e fondamentalismo religioso, dall’altra. Quasi inevitabilmente, come risultato della storia moderna del Medio Oriente e dell’Asia Centrale, il nesso tra combustibili fossili e fondamentalismo religioso sta fornendo un perno fondamentale per l’unificazione di questi due mondi opposti in una unica entità distruttiva. Forse la lezione che può darci qualche forza, in questa drammatica descrizione fatta di segregazione e integrazione, è che noi possiamo in qualche misura scegliere la forma e il tipo di integrazione ma non evitare che il processo di integrazione avvenga. Più che lottare costantemente per mantenere il lato spirituale e quello materiale in due domini opposti, dovremmo riconoscere che la spinta gravitazionale verso i sistemi integrati, nella natura e nelle faccende umane, è sempre al lavoro. Se non progettiamo in modo creativo un’integrazione etica, forze sistemiche più grandi ne creeranno una che sarà meno sensibile ai valori umani. Il simbolo Yin-Yang della spiritualità orientale, in cui gli opposti polari formano un insieme integrato e uno contiene il seme dell’altro, è una brillante rappresentazione grafica del pensare per sistemi.


8. Integra invece di separare

Ricostruire la comunità

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L’uso che faccio del simbolo Yin-Yang, per descrivere le dinamiche dell’integrazione nell’economia globale e nel campo spirituale, potrà sembrare troppo fantasioso a qualche esponente del movimento permaculturale, ma quasi tutti gli attivisti del movimento saranno d’accordo sul fatto che un più forte sviluppo di relazioni cooperative tra persone, famiglie e comunità – fuori dai contesti istituzionali – va inteso come il necessario complemento dell’autosufficienza personale e familiare. Altrimenti, le strategie politiche per dominare le istituzioni della globalizzazione daranno solo l’idea di voler svuotare l’oceano con un secchiello.

Caratteristiche di una comunità sostenibile Nel Principio 2 sulla raccolta e conservazione dell’energia, ho descritto le organizzazioni umane e le informazioni di tipo culturale come una riserva di energia che dev’essere trasformata e ricostruita in modi adeguati per prepararsi ad un futuro di decrescita. È un’operazione analoga a quella dell’adattarsi a ricostruire riserve materiali di energia. Io credo che le emergenti culture sostenibili e le loro forme di organizzazione avranno le seguenti caratteristiche:  strutture politiche ed economiche locali e bioregionali;  fertilizzazione incrociata di tipo biogenetico, razziale, culturale e intellettuale (per avere il massimo vigore naturale dato dall’ibridazione);

Figura 28 – Il simbolo Yin-Yang della spiritualità orientale.

 accessibilità e scarsa dipendenza da costose tecnolo-

gie centralizzate;  possibilità di sviluppo in fasi graduali tramite feedback e auto-correzioni È senz’altro difficile, se non impossibile, predire come sarà una cultura sostenibile; penso però che vi siano delle buone ragioni di tipo sistemico per accettare queste caratteristiche come utili indicazioni. Le prenderemo in considerazione una per una. Strutture politiche ed economiche bioregionali Visto che il declino energetico richiede di operare su piccola scala tramite l’utilizzo locale di energia e risorse naturali, le strutture di governo dovranno essere più localizzate. Il movimento del bioregionalismo, intimamente associato sia alla permacultura che alla rinascita culturale delle comunità indigene, ha potenziato la consapevolezza del bisogno di identificare confini geografici di governo; questi confini devono riflettere i sistemi naturali, e in particolare i bacini idrografici. Fertilizzazione incrociata di tipo biogenetico, culturale, razziale e intellettuale Anche se queste nuove economie e comunità avranno alcune caratteristiche tipiche delle comunità tradizionali e/o indigene del passato, saranno comunque diverse, perché saranno il prodotto di ibridazioni tra popolazioni migranti e pluriculturali, con patrimoni genetici, rituali e ideali provenienti da tutto il mondo. Ciò produrrà un nuovo vigore ibrido, analogo a quello degli ecosistemi creati dalla convivenza di piante e animali esotici e indigeni, che fornirà le risorse di queste nuove economie locali. Perciò, anche se queste culture saranno locali per l’azione svolta, saranno al contempo il frutto di conoscenze e valori universali, almeno nei primi stadi. Accessibilità e bassa dipendenza da costose tecnologie centralizzate In condizioni di incertezza e possibile caos e senza le economie di scala globale, le tecnologie complesse e controllate dal centro probabilmente diventeranno inaffida-

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Permacultura bili, anche se sarà possibile mantenere alcuni elementi delle attuali tecnologie comunicative e informatiche per qualche generazione.

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Possibilità di sviluppo attraverso fasi graduali Poiché il progetto di una cultura sostenibile è al di là della capacità dei mortali, il processo deve essere di tipo organico e iterativo. Ogni piccolo passo e fase dovrebbe essere immediatamente utile e modificabile, in grado di fornire il feedback per l’autocorrezione e i cambi di direzione.

La cultura alternativa I criteri sopra suggeriti sono il riflesso di molti elementi del movimento alternativo o controculturale degli ultimi trent’anni. In particolare, risaltano i seguenti aspetti:  parto in casa, omeopatia, medicine tradizionali e fitoterapia, autoguarigione e crescita personale;  scuola in casa, scuola Waldorf o steineriana, altre scuole alternative, riscoperta del ruolo degli anziani;  orti collettivi, fattorie urbane, gruppi di acquisto e altre forme di agricoltura su ordinazione;  LETSystems370 e investimenti etici;  utilizzo di persone giuridiche o enti morali, cooperative e altre strutture legali per la proprietà collettiva e la gestione di terreni e altri patrimoni;  bioregionalismo, spiritus loci e riscoperta di altri elementi culturali indigeni. Molti esponenti della permacultura riconoscono che almeno alcuni di questi concetti fanno parte integrante di un repertorio di base per costruire un mondo più sostenibile e che possono essere ritenuti complementari a quello che rimane l’obiettivo primario: l’uso sostenibile della terra. Altri principi potrebbero ricevere il sostegno della permacultura per varie ragioni – che possono derivare dai principi della permacultura stessa, dalla semplice intuizione o, ancora, dall’esposizione sociale a quelle stesse idee. Molti dei concetti ed esempi elencati potrebbero essere usati per illustrare vari punti della permacultura, in particolare il Principio 2 sulla conservazione dell’energia, il Principio 4 sull’autoregolazione e sul feedback e il Principio 9 sul

“piccolo è bello”. Nel contesto del Principio 8 possono essere considerati tutti parte di un sistema culturale alternativo integrato, che amplifica il valore e la potenza dell’obiettivo primario della permacultura, che è l’utilizzo sostenibile della terra. Ma, oltre ad amplificarne il valore e l’efficacia, questi concetti ed esempi di esperienza reale si rafforzano anche l’un l’altro. Quanto più queste idee saranno in sintonia con i principi della progettazione permaculturale, tanto più, probabilmente, faranno parte integrante del futuro a basso consumo energetico. Spesso, quando ci si avvicina al mondo delle alternative sostenibili, il fatto che queste siano molto lontane dalla cultura dominante riduce il valore potenziale del cambiamento. Un approccio integrato è di fondamentale importanza se vogliamo riuscire a creare un’alternativa efficace alla dipendenza dall’ecosistema energeticamente “disfunzionale” creato dalle multinazionali. Sebbene molto si possa fare a livello personale e familiare, parecchi dei diversi aspetti di progettazione illustrati nel fiore della permacultura della Figura 1 possono essere applicati meglio a livello di comunità locale. Si guardi la sezione Controcultura nel Principio 11 per una ulteriore esplorazione della sistematica importanza delle culture cosiddette “marginali”.

Progettare la comunità Molte di queste strategie – LETSystems (sistemi di scambio e commercio locale), gli orti comunitari, gruppi di acquisto e altre iniziative sociali ed economiche sostenibili – possono essere sviluppate all’interno delle comunità locali già esistenti insieme ad una massa critica di persone che abbiano orientamenti culturali simili. Tuttavia, l’applicazione più integrata dei principi e delle strategie della permacultura è possibile quando si formano e si organizzano delle comunità intenzionali; comunità che non sono il frutto – in maniera inconsapevole – di processi sociali ed economici, ma vengono deliberatamente formate per perseguire un certo scopo. Per più di un secolo le comunità intenzionali sono state fondate per creare delle alternative alla società industriale dominante. Molte di esse hanno e hanno avu-


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8. Integra invece di separare to una base spirituale; molte potrebbero essere definite a vari livelli utopiche, perché fondate sul principio che la natura umana è, sì, capace di creare una società quasi perfetta ma, per arrivare a questa meta, occorre istituire dei piccoli modelli, non tentare di cambiare gardualmente la società nel suo complesso. Fra tutti, il modello che ha avuto il successo maggiore è stato quello dei kibbutz sionisti, che ha partecipato direttamente alla costituzione dello Stato di Israele nel 1948. L’esistenza di una minacciosa maggioranza di Stati arabi in Palestina contribuì, ovviamente, alla coesione e al successo del kibbutz, ma l’unità culturale e religiosa come motivo del loro successo viene spesso sovrastimata. In realtà, si potrebbe sostenere che il vigore della comunità, generato dall’ibridazione tra ebrei provenienti da Paesi e ambienti culturali molto diversi, fu importante almeno quanto i valori unificanti del Giudaismo e del Sionismo. Pochi sanno che molti dei primi kibbutz erano formati da ex cittadini (in buona parte provenienti dall’Europa orientale) di orientamento socialista e che molti di essi erano addirittura anti-religiosi o atei371. Il declino del movimento dei kibbutz, a partire dagli anni ’70 del 900, è in parte un prodotto del suo stesso successo, cioè l’aver contribuito a creare una nazione ricca, forte e più sicura che, a partire da quell’epoca, segue i destini di tutte le altre nazioni sviluppate del tempo, con un costante aumento dell’individualismo. A questo processo contribuirono in modo determinante gli aiuti, la cultura e la politica statunitensi, sia quelli del governo USA che quelli della potente comunità ebraica americana. Il successo e il declino del movimento dei kibbutz forniscono un modello che può servire a capire in che condizioni gli attuali tentativi di sviluppare comunità intenzionali possono avere successo o meno372.

Il co-housing L’individualismo spinto è l’innata caratteristica che, secondo molti, impedisce agli Australiani di vivere in comunità. Questa visione campanilista del carattere nazionale ignora che l’individualismo e un’esistenza socialmente autonoma sono gli stili di vita che si impongono automa-

ticamente ogni volta che prevale il modello della società industriale e dell’abbondanza. È interessante notare, però, che nella ricca Scandinavia il fenomeno è meno evidente. Ad esempio, il movimento373 del co-housing molto diffuso in Danimarca, può non essere maggioritario tra la popolazione, ma non può certo essere considerato marginale o frutto dell’influenza di un qualche guru della New Age. Il co-housing generalmente coinvolge gruppi di persone che decidono di abitare in comune, ripristinando case o appartamenti di media grandezza, con utilizzo in comune di vari servizi. Il modello danese si è diffuso poi in altri Paesi sviluppati e ricchi, tra persone alla ricerca di modalità di abitazione migliori. La maggior parte dei progetti di co-housing è realizzata nelle aree urbane, senza grandi originalità per quanto concerne moduli architettonici o culturali. La proprietà comune e la progettazione integrata hanno portato a includere nella coabitazione molte tendenze di tipo ecologico, soprattutto nei progetti più recenti. La lezione più importante, comunque, è che le persone possono effettivamente vivere insieme e auto-governarsi a livello collettivo, e questa è una potente smentita all’opinione generale che la cooperazione con i vicini non sia possibile o desiderabile.

Le comunità intenzionali all’origine della permacultura Le comunità intenzionali, fra cui è annoverato il cohousing, forniscono le strutture invisibili374 di proprietà della terra, relazioni economiche, servizi sociali e processi decisionali necessari per uno sviluppo pieno e integrato dei diversi aspetti della permacultura, fra cui l’uso della terra, le tecnologie e i modelli edilizi alternativi. Nella concezione originaria della permacultura e della sua prima ondata di diffusione, le comunità intenzionali erano una fonte di idee nel campo etico, tecnico e delle alternative sociali. The Farm375, una comunità intenzionale fondata negli Stati Uniti alla fine degli anni ’60, ha influenzato la realizzazione della comunità permaculturale Tagari, fondata da Bill Mollison e altri a Stanley, in Tasmania, nel 1979376. A un certo punto, Bill Mollison suggerì che tutti i ricercatori accademici che studiavano le comunità alternative si mettessero insieme e formassero una comunità, invece di

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Permacultura

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continuare a bussare alle porte delle comunità esistenti già alle prese con vari problemi semplicemente per tirare avanti. In ogni caso le loro ricerche hanno contribuito a formulare delle linee guida sempre migliori, per quanto riguarda la progettazione di comunità, e dare migliori informazioni alle autorità che devono eliminare gli ostacoli alla realizzazione di modelli di coabitazione comunitaria377. Lo sviluppo del Global Eco-village Network378 è andato di pari passo con quello della permacultura come movimento; tuttavia, per gran parte delle persone coinvolte nelle comunità intenzionali, la permacultura rappresenta sempre un metodo ecologicamente appropriato di produrre il proprio cibo, più che la base progettuale e filosofica della comunità stessa.

L’uso dell’ecologia per descrivere la comunità Per ampliare il bagaglio di strumenti utili alla permacultura, molti progettisti permacultori hanno utilizzato le conoscenze relative alla facilizone dei gruppi, al metodo decisionale del consenso, alla gestione del conflitto (ed altre ancora), che sono applicate tuttora nelle reti di ecovillaggi. Altri hanno trovato utile il linguaggio della progettazione in permacultura per descrivere, potenziare e ricostruire le comunità locali. Alcuni – Ian Mason379, ad esempio – si sono spinti oltre, utilizzando termini legati all’ecologia per descrivere direttamente e letteralmente le funzioni sociali e la progettazione della comunità. Alcune applicazioni dei concetti ecologici sono del tutto appropriate, perché i termini dell’ecologia (ad esempio, comunità pioniera) originariamente vennero coniati proprio come riflesso della società umana. Altri termini – nicchia ne è un esempio – sono stati adottati dal linguaggio economico per descrivere i mercati. La critica usuale che viene mossa a questo approccio è che i modelli naturali non sono mai adeguati a descrivere la complessità sociale umana. La mia opinione è che, nel corso della storia e della cultura umana, abbiamo utilizzato la sbalorditiva ricchezza della natura come enciclopedia per capire e discutere le possibilità umane. L’uso della natura come modello per il comportamento umano può essere positivo o negativo, ma il tentativo di capire e progettare i sistemi umani senza far riferimento alla natura è un atto di arroganza e può risultare più pericoloso dei rischi di semplificazione.

Una seconda critica arriva dagli ecologisti; essa afferma che la teoria ecologica classica alla base della permacultura e di altre applicazioni sociali della stessa è stata resa obsoleta o sconvolta da una maggiore complessità di idee e conoscenze. In parte, il ruolo del libro che state leggendo è quello di offrire le conoscenze più recenti sui sistemi biologici, per aiutare le nuove comunità a rendere migliori i loro progetti e utilizzare la terra in modo nuovo. Ad esempio:  l’analisi di diversi tipi di relazioni ecologiche e la loro

rilevanza riflette una conoscenza ecologica più sofisticata del semplice classificare la cooperazione come un bene e la competizione come un male;  anche se le opinioni condivise e il comportamento cooperativo sono fondamentali per il successo delle comunità intenzionali, un’eccessiva somiglianza in abilità, età, bisogni e personalità incoraggia le relazioni competitive, più che quelle cooperative. Si guardi il Principio 10 sulla diversità, per una analisi dell’importanza della diversità sociale all’interno delle comunità intenzionali. Lo sviluppo di modelli sociali di comportamento e di uso delle risorse più cooperativi è fondamentale in un mondo con risorse in diminuzione. Molte persone vedono nella condivisione della proprietà di terra, infrastrutture e servizi, un enorme risparmio di risorse e un forte aumento di efficienza. Ma fino a quando rimarranno possibili l’autonomia individuale e quella della famiglia nucleare, gli stili di vita più cooperativi per la maggior parte della gente continueranno a essere un sogno (o un incubo). La speranza che in un futuro sostenibile si possa continuare a vivere isolati l’uno dall’altro è l’aspetto sociale dell’illusione che un futuro sostenibile venga realizzato grazie alla tecnologia. Il concetto stesso che la natura umana non permetta di poter vivere in modo solidale e cooperativo ostacola un futuro sostenibile più di chi ritiene che saranno la tecnologia e l’intelligenza dell’uomo a risolvere i problemi ambientali380. Le comunità intenzionali stanno affrontando il difficile ma stimolante lavoro di sviluppare modalità di vita comunitaria più integrata. Esse sono l’avanguardia del-


8. Integra invece di separare le soluzioni sociali al declino energetico. Tale compito richiede pazienza e un’accettazione sincera e appassionata della complessità, invece di illudersi che la semplificazione forzata possa funzionare.

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Fryers Forest Alcune delle lezioni apprese da comunità che hanno o non hanno avuto successo sono alla base del mio contributo alla progettazione e alla realizzazione della comunità Fryers Forest381. In futuro, forse, riuscirò a capire meglio quali linee guida per la fondazione di nuove comunità si possano estrarre dall’esperienza di Fryers Forest. Per il momento, le sottili possibilità del mio stesso ruolo, all’interno della comunità e della sua crescente complessità sociale, non mi permettono un distacco sufficiente per riuscire a vedere le cose in prospettiva e trarne delle lezioni da applicare a un contesto più ampio. Proprietà collettiva o feudalesimo La maggior parte delle società preindustriali aveva dei terreni di proprietà comune (common), che tutti i membri della comunità – chi più, chi meno – avevano il diritto di utilizzare. Gli Enclosure Acts382 diedero inizio, in Inghilterra al processo di privatizzazione dei common, processo che in molti Paesi tra i più poveri continua ancora oggi. La riforma dei patti agrari che regolano la conduzione e gestione della proprietà della terra è uno dei problemi fondamentali, concernenti la sostenibilità e la giustizia nei Paesi del Terzo Mondo; tuttavia, i governi e le multinazionali del Primo Mondo hanno opposto resistenza a qualsiasi iniziativa positiva volta a migliorare la situazione in termini di sostentamento e giustizia, e ancor più a impostare nuovi modelli di gestione collettiva. Nei Paesi ricchi, ciò che rimane dei common, a livello di foreste, parchi nazionali e altro, non rappresenta certo un punto di partenza per innovativi modelli di gestione comunitaria. Il destino di questi territori è determinato

da strutture burocratiche sempre più dipendenti da una prospettiva di tipo aziendalistico e sottoposte ai compromessi tipici del mondo politico e partitico. Sempre più spesso, assistiamo a ripartizioni e divisioni di territori e funzioni e, in molti casi, alla loro privatizzazione383. Possibili nuovi modelli gestionali per terreni pubblici o demaniali potrebbero nascere più facilmente dai metodi innovativi che emergono all’interno delle comunità intenzionali. Probabilmente, per la società sostenibile del futuro la proprietà e la gestione delle terre più fertili saranno più importanti di quanto lo siano ora. Senza modelli di proprietà comune, di sviluppo e gestione collettiva dei terreni maggiormente vocati all’agricoltura su vasta scala, il modello che prevarrà nel futuro della decrescita energetica sarà una qualche forma di feudalesimo. Anche se questa parola evoca ogni sorta di emozione negativa, la proprietà di vasti tratti di terra da parte di una sola famiglia o azienda è potenzialmente in grado di istituire una qualche sorta di sostenibilità baronale in cui la terra sarà lavorata da braccianti non proprietari. L’aggregazione di gran parte delle nostre migliori terre agricole in proprietà molto vaste rende più probabile questo tipo di futuro. Attualmente, per la maggior parte, le grandi aziende agrarie tendono a essere monocolture industriali; con la discesa energetica, si svilupperanno usi della terra più vari e integrati, con una presenza più intensiva di manodopera. Le grandi aziende torneranno in qualche modo a essere comunità. All’interno di questa struttura, è possibile immaginare usi della terra altamente integrati ed ecologicamente sostenibili o, addirittura, l’esistenza di proprietari terrieri che si prendono a cuore gli interessi dei loro lavoratori. La storia dimostra che far conto sulla benevolenza delle élite non è un’opzione molto desiderabile. Come gestire e distribuire l’abbondanza prodotta dai vasti common sarà probabilmente il principale problema progettuale della società che dovrà adattarsi al declino energetico.

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Principio

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Piccolo e lento è bello

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Più sono grossi e più rumore fanno cadendo. Lenti e costanti si vince la corsa384

Piccolo, pratico ed energeticamente efficiente: questi dovrebbero essere i tre criteri che guidano la progettazione dei sistemi e delle loro funzioni. Il metro di misura di una società sostenibile, che sia anche solidale e democratica, dovrebbe essere dato da una dimensione e una potenzialità di funzioni adeguate all’essere umano. Ogni volta che facciamo qualcosa che abbia caratteristiche improntate all’autosufficienza – come produrre cibo, riparare un elettrodomestico, curarsi da soli – non facciamo altro che applicare in modo molto energico ed efficace il principio che dà il titolo a questo capitolo. Ogni volta che facciamo la spesa in un piccolo negozio locale o offriamo il nostro aiuto per sostenere le comunità e i problemi ambientali locali, mettiamo in pratica questo principio. La velocità dei movimenti di materiali e persone (e di altri organismi viventi) tra i vari sistemi dovrebbe essere ridotta al minimo. Una riduzione di velocità corrisponde a una riduzione del movimento generale e aumenta l’energia disponibile per l’autosufficienza e l’autonomia del sistema. La velocità, specialmente per quanto riguarda il movimento personale genera alti livelli di stimolazione che hanno l’effetto di relegare in secondo piano altri aspetti, più sottili e meno rumorosi. Ad esempio, quando ci rechiamo in un luogo sconosciuto in automobile, il paesaggio che vediamo intorno esercita uno stimolo sulla nostra attenzione. Quando invece facciamo la stessa strada tutti i giorni, notiamo poco i piccoli cambiamenti e, in generale, perdiamo interesse e ci annoiamo; tuttavia, se facciamo lo stesso percorso in bicicletta o a piedi, i nostri occhi,

le orecchie, la pelle e il naso si aprono a un nuovo mondo di stimoli sottili che la velocità e il fatto di essere chiusi in macchina ci impediscono di ricevere. La casetta a spirale della chiocciola, così piccola da poter essere trasportata dall’animale sulla schiena, è allo stesso tempo protesa a una crescita graduale e progressiva. Con il suo movimento bavoso, la chiocciola riesce a percorrere, in modo lento ma tenace e deciso, ogni tipo di terreno. Nonostante sia il flagello degli orticoltori, la chiocciola è un’icona appropriata per rappresentare le dimensioni su piccola scala e a bassa velocità. Il proverbio “Più sono grossi e più rumore fanno cadendo” ci ricorda gli svantaggi di una crescita eccessiva anche nelle dimensioni. Il proverbio “Lenti e costanti si vince la corsa” è uno dei tanti che sottolineano l’importanza della pazienza e riflette al contempo delle semplici verità che possiamo direttamente constatare sia nel contesto della natura che nel contesto sociale.

I limiti energetici Come per gli altri principi, vi sono buoni motivi concernenti l’aspetto energetico, che spingono a considerare il Principio 9 una sorta di egoismo illuminato. Per riuscire ad afferrare questo concetto, dobbiamo osservare nuovamente i sistemi naturali che ci indicano dei modelli in cui dimensioni e velocità condizionano l’autosufficienza energetica. Tutti ricordiamo i dinosauri erbivori, i più grandi animali terrestri e tutti sappiamo che questi animali erano


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9. Piccolo e lento è bello lenti nel movimento e probabilmente lenti anche nel pensiero. Un’ipotesi suggerisce che altri dinosauri, più piccoli, veloci e intelligenti, potrebbero averli sostituiti attraverso la competizione. Che sia vera o meno, tale ipotesi rappresenta un’opinione molto comune riguardo a dimensioni e velocità: o si è veloci o si è grandi, è impossibile avere le due qualità insieme. In semplici termini energetici, una data quantità di energia può sospingere una grande massa che si muove lentamente oppure una piccola massa che si muove velocemente, ma non entrambe. Se la disponibilità di energia aumenta, i sistemi possono crescere di dimensioni e velocità di movimento. Se la disponibilità di energia diminuisce, i sistemi dovranno diminuire di dimensioni o di velocità, o fare entrambe le cose385. Un semplice esempio non biologico: la differenza tra un motoscafo da competizione – piccolo, veloce e manovrabile – e un transatlantico grande, lento e poco manovrabile. Un transatlantico progettato per avere la velocità e la manovrabilità di un motoscafo richiederebbe una quantità di energia del tutto sproporzionata rispetto ai vantaggi che se ne potrebbero ottenere. La tecnologia e l’ingegneria attualmente disponibili troverebbero perfino difficile realizzare una nave tanto robusta da sopportare le sollecitazioni insite in un macchinario di questo tipo. Nel mondo animale, una formica può sollevare e trasportare un peso diverse volte superiore al proprio; un elefante, invece, per quanto sia il simbolo della potenza, non riuscirebbe mai a fare una cosa del genere. In questi esempi, notiamo il rapporto che lega i limiti energetici e materiali alle dimensioni. Riprendendo l’esempio del motoscafo e del transatlantico, diamo adesso un’occhiata ai motori. Il transatlantico ne ha uno assai grande, che gira molto lentamente e ha una lunga durata di servizio. Il motore del motoscafo, invece, è relativamente piccolo, a due tempi, e può raggiungere un numero di giri molto alto; ha, inoltre, una durata limitata e necessita regolarmente di messa a punto. Allo stesso modo, nel mondo naturale alghe, batteri e altri microrganismi nascono e muoiono a ritmi vertiginosi, mentre grandi organismi, come gli alberi delle foreste e gli elefanti, hanno vita lunga e si riproducono lentamente o raramente. Questo concetto mantiene la sua validi-

tà anche se lo applichiamo alla progettazione di edifici e di altri complessi materiali. Gli edifici pubblici grandi e costosi dovrebbero essere progettati per durare a lungo, mentre una tettoia può essere considerata una struttura provvisoria e di essere costruita di conseguenza. Questa visione, basata sul buon senso e sul modo in cui funziona il mondo, è un esempio ulteriore dei modelli di scala nello spazio e nel tempo, che abbiamo già esplorato nel Principio 7.

La progettazione cellulare Le cellule – come abbiamo già visto nel Principio 7 – forniscono uno dei modelli fondamentali della progettazione sostenibile naturale. Le piccole cellule, di solito con nucleo concentrato, si replicano fino a creare grandi organismi o sistemi. Gran parte delle funzioni di base degli organismi viventi si svolge a livello cellulare, dove processi relativamente semplici, ma molto affidabili e con una lunga storia evolutiva, hanno luogo in dimensioni piccolissime. Ciascuna cellula dell’organismo è, per quanto possibile, autonoma, nei limiti dati dall’organo o dall’organismo di cui è parte. Le cellule hanno una loro dimensione ottimale oltre la quale non possono più crescere. Nei casi in cui si verifica una crescita, per obbedire alle richieste e al potenziale del sistema maggiore (organo o organismo), il risultato è la divisione in due cellule di dimensioni simili. La progettazione cellulare, come si presenta in natura, indica che le funzioni vengono espletate al meglio sulla scala operativa più ridotta possibile e che riproduzione e diversificazione sono i meccanismi di crescita deputati a sostenere le funzioni su più ampia scala. Una crescita eccessiva delle cellule individuali è generalmente impossibile; è possibile, invece, uno sviluppo eccessivo incontrollato delle cellule per replicazione. Ciò è generalmente il segno di un disturbo di sistema su ampia scala, che in medicina viene chiamato cancro. Nonostante la natura ci abbia messo davanti nel modo più evidente possibile questo modello di crescita e riproduzione, noi come società umana siamo giunti a considerare la crescita e la riproduzione individuale come espressione di ciò che va bene e che ha successo.


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Permacultura

Le dimensioni in permacultura

Lento è sano

La permacultura è stata strettamente associata al food gardening; nelle menti di molte persone ne è addirittura diventata sinonimo. Io preferisco utilizzare il termine garden agriculture386 (cui si possono direttamente applicare i principi della permacultura) e mi sono battuto perché in Australia venga considerata seriamente una forma di agricoltura387. Gli orti destinati alla produzione di cibo sono la forma potenzialmente più intensiva di agricoltura, pur essendo al contempo quella di dimensioni più ridotte, e rappresentano i nuclei di partenza per un buon utilizzo dei terreni produttivi, basato sul modello a cellule aggregate (a grappolo), già descritto nel Principio 7. Le case con orto annesso rappresentano, quasi per definizione, la dimensione cosiddetta umana, perché il lavoro da svolgere ed il raccolto sono adeguati alle capacità e ai bisogni delle persone. Sono dimensioni normali e non solo forniscono il fabbisogno alimentare ma fanno svolgere un’attività che fa bene alla salute388, istruisce e diverte. Altri esempi, di modelli su piccola scala e minimo movimento, associati alla permacultura includono:  consociazioni di piante di varie altezze e dimensioni per utilizzare al meglio suolo, acqua e luce solare in aree ridotte;  edifici con più scopi e uso integrato della terra in modo da attribuire più funzioni alla stessa porzione di terreno;  produzione di alimenti deperibili negli spazi immediatamente adiacenti alla casa;  modelli di comunità abitative di piccole dimensioni a bassa e media densità umana;  economie locali strutturate in base a principi simili a quelli utilizzati nei LETS;  l’uso della bicicletta come mezzo privilegiato di trasporto.

L’imperativo di ridurre la scala materiale dei sistemi viene compreso meglio dell’esigenza di rallentare i ritmi. Nel Principio 1 ho parlato del bisogno di rallentare il ritmo frenetico e stracolmo di stimoli della vita moderna al fine di osservare e comprendere i processi naturali, che sono lenti e sottili. Lavorare per produrre qualcosa che abbia un valore può essere un’esperienza troppo laboriosa quando siamo abituati a vedere comparire tutto da un giorno all’altro e apparentemente dal nulla. Le case, ad esempio quelle prefabbricate, possono essere assemblate nel giro di qualche settimana o mese, mentre per una casa autocostruita con metodi sicuramente a più alto utilizzo di manodopera possono essere necessari anni. L’idea di costruire qualcosa che duri nel tempo tende a comparire relativamente tardi nella mente dei muratori e di altra gente adibita a lavori consimili, di solito dopo aver dovuto ricostruire qualcosa che pensavano sarebbe durato a lungo.

Queste attività vengono considerate su piccola scala solo perché quasi tutte le funzioni della società industriale riflettono le economie di scala; in epoca preindustriale, invece, le economie che abbiamo definito “su piccola scala” erano le più efficienti e funzionali.

Melliodora A Melliodora vari aspetti riguardanti la proprietà, lo stile di vita e le attività bene illustrano il principio “piccolo e lento”:  utilizziamo legname proveniente da piccole segherie della zona o da macchinari mobili, che lavorano i tronchi con metodi meno rozzi, ottenendo il massimo e il meglio da ogni albero abbattuto e da ogni tronco lavorato;  il nostro cibo è per lo più autoprodotto. Quando ci riforniamo di qualcosa all’esterno, lo facciamo comprandone grossi quantitativi, valorizzando con il più possibile il principio del “chilometri zero”. Bisogna tenere ben presente che il cibo deperibile che percorre grandi distanze richiede trasporti veloci;  utilizziamo energie locali e ricavate in sito tramite legna e solare passivo, privilegiando il più possibile la produzione su piccola scala rispetto al ricorso a fonti di energia centralizzate (gas ed elettricità);


9. Piccolo e lento è bello  il

parto in casa e l’istruzione in casa389 seguono gli eventi naturali della vita senza bisogno di ricorrere a istituzioni mediche ed educative centralizzate su larga scala;  lavorare a casa, privilegiando la scala locale e regionale su quella nazionale e globale, riduce il bisogno di coprire grandi distanze e viaggiare ad alte velocità;  i viaggi su lunga distanza, all’estero o meno, devono essere riservati a visite di lunga durata e per più scopi;  simili informazioni sulla permacultura e altri argomenti è più facile trovarle su pubblicazioni specializzate stampate in poche copie; argomenti del genere, per lo più, non interessano ai grandi editori, che servono solo il mercato di massa;  meglio utilizzare i risparmi accumulati lentamente per finanziare uno sviluppo graduale, piuttosto che usare del denaro preso in prestito per un rapido sviluppo.

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Scala e velocità ottimali Si potrebbe sostenere che il principio ottimale debba essere non troppo piccolo, non troppo grande, non troppo lento, non troppo veloce; tuttavia, siamo obbligati a dare più importanza ai sistemi su piccola scala e a bassa velocità, perchè nella società moderna è stata eccessiva l’enfasi posta su velocità e dimensioni in costante aumento, al punto che tali concetti sono giunti a rappresentare ciò che è buono, efficace e potente. Oltre al fatto che è necessario essere consapevoli di questo messaggio culturale cambiando il modo di pensare, i comportamenti e i criteri di progettazione cui siamo abituati, esiste il problema di un riequilibrio tra le polarità piccolo/grande e lento/veloce nei casi in cui siamo posti davanti alla scelta di decidere cosa privilegiare. La Figura 29 mostra come dovremo riequilibrare queste qualità in un mondo in cui la disponibilità di energia si contrarrà sempre più. Il disegno mostra i due bracci della bilancia di lunghezza diversa: il peso delle merci, in questo modo, è tenuto in equilibrio con dei piccoli pesi. Altri generi di bilancia, in cui i bracci sono uguali, rendono meno l’idea. I due tipi di bilancia – con bracci di

lunghezza uguale e diversa – rappresentano analogie più utili rispetto al pendolo, perché illustrano la natura dinamica dell’equilibrio invece dell’equilibrio statico cui si perviene con il pendolo simmetricamente bilanciato. Nelle società sostenibili tradizionali, la velocità e i viaggi a lunga distanza (di persone e merci) erano eventi eccezionali, che venivano bilanciati dalla prevalenza di spostamenti lenti su scala locale (di persone e merci). Nel mondo moderno, la crescita della velocità e della mobilità ha alterato l’equilibrio, portando al declino e alla scomparsa dei sistemi tradizionali lenti e sedentari. Ad esempio, il trasporto su lunghe distanze e ad alta velocità di alimenti freschi ha causato la scomparsa delle produzioni locali. Ciò si è verificato perché il trasporto ha potuto godere di carburanti a buon mercato e di misure che hanno avvantaggiato i trasporti su strada. Per depotenziare i sistemi veloci e tornare a un sistema più equilibrato, abbiamo bisogno, all’inizio, di una forte spinta, il che si traduce in una buona dose di impegno. Il modello a bilancia indica chiaramente in quale direzione bisogna muoversi per ricostruire, con un sforzo consapevole, i sistemi lenti. È chiaro che la discesa dal picco energetico ormai superato dovrà prevedere delle procedure complesse. Per ricostruire i sistemi piccoli e lenti, è inevitabile e necessaria una buona dose di entusiasmo, che si traduca nella spinta necessaria a riequilibrare i due piatti di una bilancia finché non saranno pari. L’entusiasmo per l’autoproduzione alimentare (diffuso in una piccola parte di popolazione) ha fatto aumentare la consapevolezza dell’importanza della produzione locale e il sostegno a suo favore. Tale fenomeno, però, si mantiene su dimensioni modeste e comprende esperienze come le produzioni agricole su ordinazione dei gruppi di acquisto e altre esperienze simili. È un esempio piccolo ma significativo di spinta tendente al riequilibrio della bilancia. Il modello della bilancia asimmetrica ci aiuta a visualizzare l’equilibrio appropriato tra grande e piccola scala, che caratterizza le differenze tra cultura industriale e cultura sostenibile. Altre polarità già accennate possono essere:

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Permacultura  i flussi

di materiali lineari o ciclici; risorse non rinnovabili o rinnovabili;  i feedback positivi o negativi;  le organizzazioni di rete, centralizzate o decentralizzate;  il focus sul centro o sul margine;  il consumo o la conservazione dei beni materiali;  il pensiero riduzionista od olistico;  l’attività episodica o ritmica.  le

Limiti etici imposti allo sviluppo L’etica permaculturale che fa riconoscere e dare la giusta importanza al concetto di limite costituisce una chiara base per il principio “piccolo e lento”. In contrapposizione, “grande è meglio” rimanda subito all’idea di avidità. Lo slogan “Vivi semplicemente, in modo che anche gli altri abbiano la possibilità di vivere” sintetizza bene la giusta soluzione.

Prevalenza di squilibri di velocità e movimento di materiali e persone nella società industriale

Alta velocità e lunga distanza

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Accumulo e sviluppo di nuovi modelli ad alto utilizzo di energia

Locale e lento Decadenza e scomparsa dei precedenti modelli a bassa energia

Adattamento alla trasformazione verso nuovi modelli a basso consumo energetico mediante una consapevole riprogettazione dei sistemi Alta velocità e lunghe distanze Locale e lento Ricostituzione a partire da risorse liberate dalla riduzione di velocità e distanze

Figura 29 – Velocità e movimento nelle società industriali e postindustriali.


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9. Piccolo e lento è bello Nelle società tradizionali esistono infiniti esempi di etiche e tabù in cui si pone un limite alla crescita e allo sviluppo. In alcune, il limite può consistere semplicemente nel trattenersi dal catturare un pesce di troppo, in altre è importante tenere sotto controllo l’ego evitando, ad esempio, di costruire la casa più grande del villaggio. Molti tabù mettono in guardia dalle cattive conseguenze che possono aver luogo in dimensioni ultraterrene. Colin Turnbull390 ci ha fornito un esempio memorabile di questo principio, raccontando una storia-mito dei Pigmei del bacino del Congo. La storia racconta che una volta i Pigmei vivevano in città; poi quel modo di vivere entrò in crisi a causa di scelte tecnologiche arroganti e in conflitto con le leggi della natura. Anche la cultura occidentale tramanda una storia simile, quella di Atlantide, una civiltà potentissima portata alla rovina da forze naturali. Quello che è straordinario, nella storia dei Pigmei è che, al tempo in cui essa venne raccontata a Turnbull, i più grandi insediamenti umani con cui avevano avuto contatti erano i villaggi delle popolazioni nere sparse qua e là nelle radure della giungla. Dei Pigmei si sa che hanno sempre vissuto nella foresta, al minimo della sussistenza, dai primi loro antenati umani fino all’incontro con gli insediamenti delle popolazioni nere circa 300 anni fa. Eppure, nonostante tutto, anche i Pigmei hanno la loro storia di Atlantide. Può anche darsi che questo mito nasconda la semplice verità che forse i seimila anni della loro civiltà storica sono stati preceduti da altre forme di civiltà391. Possiamo anche interpretare questa e altre storie come parte del cosiddetto “inconscio collettivo” (nel senso dato a questa espressione da Jung), una sorta di coscienza comune di tutte le possibilità offerte all’uomo sulla Terra. Dall’Illuminismo in poi, l’ottimismo con cui si guarda ai poteri dell’uomo (soprattutto europeo) e della sua espansione materiale si è sempre più rafforzato; ciò ha fatto sì che i vecchi limiti etici imposti allo sviluppo e all’espansione abbiano avuto sempre meno influenza sulle azioni umane. Forse c’era una qualche forma di verità nella convinzione dei coloni europei sparsi per il mondo di essere i soli dotati della grinta e dell’intelligenza necessarie per migliorare, mentre i nativi manifestavano una indolente attitudine ad acconten-

tarsi della situazione. La follia dello sviluppo eccessivo e delle dimensioni esagerate non è stata messa a freno neppure dalle lezioni impartite dai disastri naturali e dalle crisi economiche. La cultura del “più grande e meglio è” non ha trovato oppositori validi che potessero fungere da limiti. All’inizio del nuovo millennio, sembra quasi che abbiamo bisogno di disastri ancora più catastrofici per imparare ciò che tutte le culture tradizionali hanno sempre saputo.

Dopo la scomparsa dei grandi pesci È naturale, per un pescatore, dare la caccia al pesce più grosso finché ce ne sono in abbondanza. Man mano che quelli grandi cominciano a diminuire, anche i pesci più piccoli cominciano a diventare interessanti ma, se abbiamo a disposizione solo un amo e un paranco enormi, non porteremo a casa nulla; perciò, man mano che procediamo dalla scala dei combustibili fossili ai sistemi e alle soluzioni su scala umana e naturale, saremo costantemente alla ricerca di grandi risposte, ma esse difficilmente funzioneranno. Ad esempio, le nuove opportunità per sfruttare l’energia idroelettrica su larga scala sono estremamente limitate; la maggior parte dei fiumi prescelti è già stato sbarrato da dighe e gli enormi impatti ambientali delle dighe di grandi dimensioni precludono la possibilità di avviare altri progetti. Al contrario, esiste una potenzialità considerevole di sviluppare energia idroelettrica su piccola scala, a livello mini (ad esempio, per una piccola città) e micro (per una casa o una piccola azienda). Per i canali di scarico delle dighe poste lungo le coste orientali dell’Australia, già utilizzati a scopi di irrigazione, e per i torrenti di montagna della Tasmania sono già in corso dei progetti di sfruttamento finalizzati a ricavare energia idroelettrica per soddisfare l’esigenza delle aziende produttrici di energia di rispettare l’impegno di limitare l’emissione di gas serra.

La ricerca in agricoltura e le opportunità su piccola scala L’incapacità delle ricerche svolte in agricoltura di mettere a fuoco – o almeno di intravedere – la possibilità di

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Permacultura sfruttare una miriade di opportunità su piccola scala e dimensionate su scala locale illustra la grande difficoltà nell’operare un cambiamento dalla scala macro a quella micro. Per quanto concerne il settore ricerca e sviluppo, in agricoltura le opportunità connesse allo sviluppo industriale su vasta scala ricevono la maggior parte dei finanziamenti. Poiché la maggior parte dei progetti di agricoltura sostenibile è su piccola scala, si tende ad ignorarle e a non tenerne conto. Ad esempio, negli anni ’80 e ’90 del secolo appena concluso, sono state avviate delle sperimentazioni sul tagasaste392 (o albero dell’erba medica) per utilizzarlo come foraggio per animali sui grandi terreni a pascolo dell’Australia meridionale; ebbene, molte di queste sperimentazioni si sono svolte su terreni non adatti a tale coltura. Oggi solo in certe zone dell’Australia occidentale ne esistono alcune coltivazioni degne di nota come parte di sistemi agricoli convenzionali. Le attuali stime sulle regioni agricole in cui il tagasaste potrebbe prosperare ed essere economicamente competitivo, rispetto ai pascoli convenzionali, si sono ridotte dagli ottimistici 3 milioni di ettari a 0,85 milioni di ettari nell’Australia occidentale e a 1,285 milioni di ettari in tutta l’Australia393. La regione del Victoria centrale, in cui io mi trovo a operare, non merita neppure di essere menzionata. La mia ricerca sul potenziale del tagasaste nella mia regione indica che la sua coltura può essere economicamente vantaggiosa su terreni con crinali sassosi e ben drenati – un mosaico di siti, che copre circa 4.000 ettari di territori vulcanici, granitici e sedimentari. Per quanto sia trascurabile in termini economici su scala nazionale, il tagasaste potrebbe migliorare i terreni afflitti dal problema ricorrente della salinità, aumentando al contempo la produttività agraria. Questa scala di miglioramenti, però, è del tutto ignorata dai sistemi su larga scala. Le tante innovazioni specifiche di particolari regioni sono tipiche di un approccio sostenibile all’agricoltura, ma difficilmente potranno mai essere apprezzate dall’agricoltura su larga scala, nemmeno a livello di ricerca e sviluppo. Approfondiremo il tema della ricerca applicata all’agricoltura sostenibile nel Principio 10.

Autoregolazione Se abbiamo uno zaino per portarci dietro le nostre cose durante un viaggio, lo riempiremo. Se abbiamo un’automobile, la riempiremo. Questa tendenza a usare, occupare e consumare qualunque cosa sia disponibile è naturale e può essere facilmente constatata sia nelle faccende umane che in natura. La natura aborre il vuoto, a quanto pare. Se c’è un po’ di luce, un po’ d’acqua o un po’ di spazio, ci sarà una pianta che si metterà subito all’opera per sfruttare l’occasione (v. Principio 3). I fattori ambientali esterni – disponibilità di cibo, malattie, predatori – in ultima analisi agiscono da limite all’eccessivo sviluppo di qualsiasi specie. Questi limiti – attivati quindi da controlli esterni – possono essere considerati dei meccanismi, attraverso cui l’ecosistema, su scala più o meno ampia, mantiene nella giusta proporzione le sue parti costituenti; tuttavia, come già spiegato nel Principio 4, le specie di maggior successo spesso sviluppano anche dei controlli interni, che ne impediscono la crescita eccessiva. Ad esempio, i modelli di comportamento che limitano accoppiamento e riproduzione normalmente interagiscono con fattori esterni al fine di mantenere crescita e popolazione a una scala appropriata, evitando eccessive proliferazioni o stasi. Nella cultura umana, etica e tabù hanno rappresentato i limiti interni a un’espansione infinita. A causa della cultura della crescita, dominante negli ultimi 300 anni, siamo portati a pensare che la gente abbia sempre sfruttato ogni opportunità per aumentare di numero o accrescere la ricchezza materiale e che siano stati solo i limiti ambientali esterni a contenere l’umanità entro certi limiti. Esistono tuttavia ampie prove di popolazioni indigene tradizionali vissute nell’abbondanza senza sentire il bisogno di sfruttarla oltre ogni limite.

L’utilizzo della terra in epoca preindustriale Prima di usare i combustibili fossili, l’umanità dipendeva da economie “solari” come quella dei cacciatoriraccoglitori o dall’agricoltura di sussistenza; in queste


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9. Piccolo e lento è bello società – a seconda delle variazioni dovute alla pioggia e alla fertilità – l’energia si presentava in maniera diluita e distribuita in vasti territori. Di conseguenza, le popolazioni umane e le modalità di crescita erano di tipo decentralizzato e su piccola scala. Seguendo i modelli a cluster (grappolo) tipici del mondo naturale, nei punti in cui si intersecavano territori diversi (v. Principio 11) si creavano degli accumuli di energia – possiamo chiamarli nodi – che costituivano il confine, il margine tra acqua e terra fertile, tra montagna e pianura: lungo questi nodi avvennero gli insediamenti, che poi divennero le città e le centrali dello sviluppo umano. La forza fisica della popolazione era l’unità di energia che determinava la scala della tecnologia disponibile e ogni altro aspetto della società. La capacità di cooptare il lavoro di altri gruppi umani (attraverso uno stato di guerra organizzato che alimentava anche il mercato degli schiavi) fu un importante elemento nel creare quella ricchezza che associamo ad antiche civiltà fino all’inizio dell’era industriale. Un altro fattore caratteristico era la quasi completa assenza del viaggio e il fatto che i trasporti erano ridotti al minimo indispensabile. La gente si recava al lavoro a piedi; i rifornimenti alimentari, al massimo, arrivavano su un carro trainato da buoi, dopo aver fatto un giorno di viaggio. Il sole determinava il modello di vita quotidiana fino all’avvento, nell’Italia394 del XIV secolo, dei primi campanili che scandivano l’ora. Nessuno pensava ai minuti – e probabilmente nemmeno alle ore – per misurare il tempo e, soprattutto, la velocità. La durata e la bellezza di un oggetto venivano misurate da parte di artigiani e commercianti in base alla qualità dei materiali e della lavorazione, e non alla velocità con cui era stato fabbricato. Solo poche persone avevano esperienza di viaggi a livello internazionale e tali esperienze avvenivano generalmente una volta nella vita. Le conseguenze biologiche, culturali ed economiche di questi viaggi compiuti da singoli individui erano spesso notevoli (come non pensare a Marco Polo!). Il commercio internazionale era generalmente ristretto a beni di grande valore (spezie, seta e metalli preziosi), che pesavano poco e duravano molto, utilizzati soprattutto dalle élite.

Il passaggio dal bue al cavallo come base dei trasporti e dell’agricoltura, fu l’avvenimento che introdusse alla rivoluzione industriale (v. Principio 5) e rappresentò un significativo aumento di velocità e, di conseguenza, di energia.

Scala e velocità industriali I combustibili fossili estratti dal sottosuolo rappresentarono un aumento così straordinario, nella scala e nella concentrazione di energia disponibile, che i sistemi umani si riorganizzarono intorno a questo nuovo elemento. La crescita di popolazione totale e la sua concentrazione in città, la maggiore complessità e dimensione nell’organizzazione economica e governativa, l’istruzione, la sanità e ogni altro elemento della società moderna sono diventate – più che attività su scala umana – attività plasmate dalla scala dei combustibili fossili. Questa trasformazione di scala ha defraudato le persone del loro potere e scatenato infiniti dibattiti e polemiche. Architetti, e pianificatori urbani e sociali cercano costantemente dei modi per ricreare ambienti e sistemi organizzativi su scala umana, anche perché si è capito che il dispiegamento di una piena umanità è impossibile, permanendo una situazione simile. La scala dei combustibili fossili ha anche l’effetto di appiattire completamente la complessità e la finezza delle risorse legate alla natura e al territorio. L’abbandono delle piccole proprietà, o l’annessione a proprietà più vaste con la distruzione delle siepi e dei canali di scolo tra una proprietà e l’altra hanno prodotto un enorme degrado nelle campagne britanniche ed europee, ivi compresi i danni alla fauna selvatica e al paessaggio in generale, in termini di bellezza e armonia.

La velocità industriale Ancora più radicale dell’aumento su scala materiale del mondo industriale è stato l’aumento registrato nei movimenti e nella velocità. Il trasporto di beni di grande massa e basso valore economico ha completamente trasformato la geografia economica del mondo. Il trasporto veloce su grandi distanze di merci deperibili tramite la catena del freddo ha distrutto, negli ultimi quarant’anni, uno degli ultimi legami che mantenevano


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Permacultura la gente comune in contatto con il mondo delle stagioni e della natura. Il pendolarismo è diventato ormai un modo di vivere del tutto naturale, che comincià già da piccoli con il viaggio quotidiano fino all’asilo o alla scuola. L’esigenza di entrare in macchina per recarsi da qualche parte, tutti i giorni, è diventata fondamentale per una crescente parte della popolazione395. Il concetto legato al fast food, preparato nel modo più veloce possibile e fatto sparire altrettanto velocemente, per quanto bizzarro, è diventato del tutto normale. Il trasporto è un fattore importante nel dibattito sulla sostenibilità urbana. Ci si rende ampiamente conto che, quanto più una città è organizzata in base all’uso su larga scala dell’automobile, tanto più insostenibile (e invivibile) tende a essere396. Per ridurre il consumo di energia e migliorare l’equità e la qualità della vita urbana sarebbe raccomandabile saguire il modello europeo e dare un maggior ruolo a un sistema di trasporti pubblici, veloci ed efficienti, ma tali cambiamenti non sarebbero comunque adeguati ai criteri radicali necessari per progettare la società del declino energetico. Alcuni commentatori radicali397 affermano che gli spostamenti limitati e la bassa velocità sono criteri fondamentali per ristrutturare in modo sostenibile le città. L’attuale situazione europea, che vede migliaia di persone spostarsi quotidianamente per lavoro di 100-200 chilometri su treni ad alta velocità e spesso da una nazione all’altra, ha inaugurato una tendenza che cozza completamente contro i criteri di sostenibilità che devono governare il passaggio al declino energetico.

Tecno-ottimismo Può sembrare, a prima vista, che viaggi e trasporti diventino sempre più veloci. Bisogna però mettere a confronto questi sviluppi con l’ottimismo tecnologico che pervadeva il mondo negli anni ’60, quando ero bambino. A parte le previsioni di colonie spaziali sulla Luna (o addirittura su Marte), entro la fine del secolo scorso, la Boeing e la Lockheed avevano progettato di produrre grandi aerei passeggeri supersonici con ali di forma variabile. Il Concorde anglo-francese – più piccolo e tecnologicamente più modesto – e il suo concorrente russo furono gli unici ae-

rei passeggeri supersonici a svolgere un regolare servizio, prima di avviarsi al fallimento commerciale. In seguito, sono stati aerei più parchi nel consumo di carburante, più lenti ma a maggior capienza di passeggeri a dominare il trasporto aereo anche nel settore merci. Questi aerei sono il 747 e l’Airbus. Gli attuali piani di sviluppare aerei più lenti, ma più efficienti nei consumi, sono il segno di una tendenza. L’aumento del prezzo del petrolio potrebbe rendere questa tecnologia l’unica strada economicamente percorribile per il trasporto aereo. Quando frequentavo la facoltà di Progettazione ambientale all’università di Hobart (Tasmania), a metà degli anni ’70, ebbi occasione di vedere il Transport Strategy Plan del 1962: mostrava Hobart circondata da una serie di anelli fatti di autostrade o strade a scorrimento veloce che nemmeno al giorno d’oggi si possono dire ultimate. Il tecno-ottimismo e l’ottimismo sulle risorse energetiche hanno condotto alla pianificazione di sempre nuove centrali elettriche in tutto il mondo industrializzato. Ricordo che, agli inizi degli anni ’80, vi era il progetto, da parte della State Electricity Commission del Victoria, di costruire una dozzina di centrali elettriche a carbone da 2.000 megawatt l’una nella Latrobe Valley, il che avrebbe fatto del Victoria una delle regioni del mondo a più alto consumo di energia. Tale progetto si basava su proiezioni che vedevano nel futuro un sostanzioso aumento della richiesta di energia da parte dei consumi domestici e industriali. Negli anni ’40, Sir Mark Oliphant e altri consulenti del governo australiano sull’energia nucleare sostennero la costruzione di impianti di desalinizzazione dell’acqua marina azionati a energia nucleare, prevedendo che l’elettricità generata da energia nucleare, nel 1980, sarebbe stata così a buon mercato da non valere la pena di misurarne il consumo. L’idea che una cosa più veloce è, meglio è, è una struttura mentale ormai profondamente radicata nella nostra cultura per quanto concerne sia l’agricoltura che la produzione industriale, i trasporti, le comunicazioni, i viaggi, l’alimentazione e quasi ogni altro aspetto del vivere quotidiano. La rivoluzione apportata dall’information technology ha avuto come risultato una enorme propulsione dell’idea che la velocità sia buona, proprio quando si co-


9. Piccolo e lento è bello mincia a capire quanti limiti materiali ed energetici abbia ormai raggiunto il gigantismo.

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Piccolo è bello Uno dei più famosi ed eloquenti critici del gigantismo nell’economia e nello sviluppo è stato E.F. Schumacher, economista inglese autore di Piccolo è bello398, 399 e di altri libri molto noti. Le ricerche di Schumacher dimostrarono che le tecnologie e le organizzazioni moderne erano inefficaci, controproducenti e distruttive, quando venivano applicate ai problemi di sviluppo del Terzo Mondo. La natura inappropriata della tecnologia moderna è dovuta alla sua larga scala, alla sua natura centralizzata e tecnicamente complessa, nonché alla sua mancanza di flessibilità quando viene applicata ad ambienti e a contesti culturali diversi. L’Intermediate Technology Development Group400 di Schumacher e molte altre organizzazioni non governative attive nei paesi in via di sviluppo hanno promosso tecnologie e metodi di sviluppo che:  sono su piccola scala;  sono semplici da applicare e mantenere;  sono ad alto utilizzo di manodopera, più che ad alto utilizzo di capitale e di energia;  utilizzano risorse locali;  sostengono i mercati locali. Le tecnologie intermedie sono state molto efficaci nell’assicurare vantaggi economici, sociali e ambientali, rispetto alle tecnologie convenzionali per lo sviluppo promosse dalle multinazionali e da gran parte degli aiuti che provengono dai vari governi. Altre critiche del gigantismo sono venute da architetti e pianificatori sociali e urbani, che riconoscono il bisogno psicologico di essere in contatto con la scala umana (e quindi piccola) all’interno dell’ambiente materiale e organizzativo. In Europa all’interno del movimento per l’edilizia ecologica c’era stato un iniziale ottimismo sulla possibilità di costruire case senza impatti ambientali avversi, che dovevano ricavare tutta l’energia necessaria dal sole401. A questo

ottimismo ha fatto poi seguito il riconoscimento che, in genere, è la casa piccola ad essere la vera casa ecologica402. A prescindere dagli ovvi costi ambientali (una casa grande richiede una grande quantità di materiali) diventano importanti i seguenti fattori:  un debito più alto, che a sua volta conduce a stili di vita non sostenibili;  il maggiore spazio, che incoraggia ad acquistare quantità maggiori di beni di consumo;  il maggiore spazio incoraggia anche a uno stile di vita che prevede più tempo trascorso all’interno degli edifici e meno tempo trascorso all’aperto, a contatto con la natura e la comunità;  i costi di riscaldamento, pulizia e manutenzione, che sono ovviamente maggiori.

Sviluppo aziendale e soluzioni a breve corso Nonostante l’evidenza dell’approssimarsi al picco energetico, multinazionali e banche continuano a ingrandirsi a un ritmo ancora maggiore, nello sforzo di realizzare le economie di scala ancora possibili inseguendo il criterio del gigantismo. Spesso sentiamo dire che l’Australia (con i suoi 20 milioni di consumatori ricchi) non è un mercato abbastanza grande per sostenere le economie di scala richieste dalla produzione industriale moderna. È difficile dire quali economie di scala, in effetti, si stiano ancora conseguendo sulla scia del gigantismo in tempi di globalizzazione. Paul Hellyer403 e altri critici della globalizzazione affermano che dappertutto la gente è vittima comune di questa recente accelerazione nella corsa al gigantismo guidata da banche e multinazionali. Hellyer afferma che il crollo del capitalismo è inevitabile, a meno che non si proceda a una radicale riforma del sistema monetario che permette alle banche di creare denaro. Il capitalismo senza la regolamentazione di una sana politica pubblica è un sistema senza controlli, un motore senza governo, che gira su se stesso fino a cadere a pezzi. La pressione esercitata a sostegno della deregulation e il conseguente collasso del principio di sovranità economica nazionale negli ultimi due decenni del XX secolo potreb-

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Permacultura bero riflettere il fatto che la reale disponibilità di energie e risorse (se correttamente misurata) è in declino. L’auspicata efficienza del capitalismo senza freni può essere compresa come l’ultimo tentativo dei sistemi auto-organizzati top-down (imposto dall’alto) di ottenere il massimo da una torta che diventa sempre più piccola, facendo a meno proprio dei meccanismi di regolazione e sacrificando le componenti apparentemente meno importanti: le persone.

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Le alternative aziendali Alcune delle aziende più progressiste404 del mondo dell’industria si sono rese conto dei limiti umani del gigantismo. In certi casi, esse hanno rinunciato alla realizzazione di economie di scala preferendo rafforzare la produttività e la creatività di piccoli gruppi di lavoro, in cui i lavoratori hanno il controllo completo del ciclo di produzione405. Il gigantismo crea la nicchia aperta Complessivamente, non riusciamo a vedere alcun segnale di un ritorno a modelli che privilegino la piccola scala. L’elemento che si riesce a cogliere, invece, è che le nuove iniziative imprenditoriali cominciano a livello di micro-scala e poi, man mano, crescono nel vuoto lasciato libero dalla corsa verso il gigantismo. Piccole fabbriche di birra o piccoli panifici si aprono la strada verso il successo, nello stesso momento in cui le fabbriche di birra o pane convenzionali sono passati alla scala nazionale o multinazionale. Ad esempio, man mano che la Monsanto e altri giganti della chimica comprano tutte le aziende affermate nel campo della produzione di semi, nascono nuove aziende che si specializzano nel rifornire il mercato di semi non ibridi e non OGM per orticultori giardinieri che operano su piccola scala. Negli anni più recenti, l’industria del fai-da-te ha conosciuto una grande espansione, grazie anche alla disponibilità di macchine utensili manuali da banco e relativamente economiche; queste macchine di uso domestico sono anch’esse create dai grossi sistemi di produzione industriale per eseguire compiti prima svolti da grandi e costosi macchinari industriali in fabbrica. La pubblicazione in proprio di testi o il loro inserimento su Internet ha ritagliato una nicchia nel mercato domi-

nato dai colossi dell’editoria di massa (anch’essi soggetti a fenomeni di concentrazione, assorbimento o integrazione da parte di altre grandi aziende multimediali). La crescita esplosiva del mercato del personal computer o addirittura dei micro-computer e di Internet su scala globale – nonostante i progetti delle multinazionali di un controllo centralizzato sull’information economy, tramite l’uso di super-computer – ribadiscono, in modo sempre più clamoroso, che piccolo è potente. In qualche misura, il vantaggio delle piccole dimensioni in campo tecnologico e organizzativo deriva dal ritmo complessivo dei cambiamenti. La piccola scala permette di dedicare le risorse disponibili allo sviluppo di flessibilità, un fattore chiave intimamente associato alla piccola azienda.

La dematerializzazione delle aziende Il persistere del dominio economico delle multinazionali può essere attribuito in parte alle strategie che tendono a liberarsi di enormi patrimoni fissi (che riducono la flessibilità) spostando il raggio d’azione verso l’acquisizione del controllo di capitali e flussi informativi intorno a cui ruota la produzione di beni e servizi. La sopravvivenza e il rapido sviluppo delle multinazionali, dalle prime crisi energetiche degli anni ’70 in poi, indicano che, quando l’energia incorporata in infrastrutture e informazioni viene accumulata a livelli molto alti – e i flussi di energia complessiva permangono alti e stabili – è possibile il passaggio a un’ulteriore scala di grandezza e rapidità. Le possibilità, però, per queste corporations globali di continuare a crescere a lungo sono molto limitate. Durata delle multinazionali Molta gente si sorprende – o addirittura rimane sbalordita – nell’apprendere che la maggior parte delle multinazionali ha una durata inferiore a quella della vita di una persona. Tale sorpresa è causata dall’idea, radicata nel buon senso, che i sistemi grossi e potenti dovrebbero cambiare molto lentamente e, quindi, avere una vita molto lunga. Le vicende mondiali sono oggi dominate da enormi istituzioni governative e aziendali, che operano su scale che condizionano addirittura il cli-


9. Piccolo e lento è bello ma del mondo intero; le loro scelte, però, sono motivate da un’intelligenza e da un orizzonte di programmazione più a corto raggio di quelle umane. Questo squilibrio tra scala e durata è uno dei fattori fondamentali alla base dell’insostenibilità della cultura industriale406.

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Il pensiero a lungo termine La favola della tartaruga e della lepre407, con la sua morale finale “Lenti e costanti si vince la corsa”, ci ricorda il pregio della continuità e del guardare le cose in una prospettiva a lungo termine. Per i giovani, è naturale concentrarsi sull’immediato e ignorare il lungo termine. Adesso che sono una persona di mezza età e cerco di spiegare perché lentezza e costanza sono i valori fondamentali del declino energetico, mi sento sollevato nel verificare che anche in Permaculture One – quando avevo più o meno vent’anni – professavo le stesse idee e che, quindi, la preferenza data a questi valori non è causata dal fatto che sono invecchiato. Nel Principio 4 ho già accennato al carattere adolescenziale della nostra società, in cui la maggior parte delle persone pretende di possedere, senza pensare alle conseguenze. Questa stessa cultura adolescenziale che domina le nostre vicende personali, economiche e politiche porta a privilegiare la velocità, la vistosità e la novità rispetto alla durata, alla permanenza e a tutto ciò che è frutto della lenta evoluzione. Ciò, ovviamente, non vuole essere una critica rivolta alle giovani generazioni; è piuttosto il rammarico perché gli adulti, presi collettivamente, non sono veramente cresciuti. Gran parte del dibattito su economia e ambiente gira intorno al tema dei vantaggi a breve e a lungo termine. È sbalorditivo rendersi conto del dominio che esercita attualmente il pensiero a breve termine sul mondo della politica e degli affari, soprattutto per le persone che ricordano il comportamento dei leader di quarant’anni fa; l’evidenza storica indica che ancora cento anni fa il pensiero era più impostato sugli effetti a lungo termine. Ad esempio, grandi aziende e investitori oggi sono in difficoltà nel gestire gli investimenti a lungo termine necessari per impiantare colture di alberi con rotazioni di 25 anni.

Nella Gran Bretagna del XVIII secolo, piantare querce per fornire il legname necessario alla costruzione delle navi richiedeva un piano di 200 anni. La costruzione delle navi in acciaio ha reso ridondanti le foreste di querce (per i cantieri navali), e quindi oggi la Gran Bretagna si trova ad avere delle foreste di querce antiche. Questo può essere un esempio del perché l’orizzonte della pianificazione continui a restringersi. In una situazione di cambiamenti rapidi e imprevedibili, le strategie di investimento a lungo termine spesso si perdono per strada a causa di fattori non prevedibili. Prevale in noi la fiducia che la tecnologia e l’intelligenza umana ci aiuteranno in futuro a superare gli eventuali punti di stallo, ma non ci rendiamo affatto conto che l’evidenza dovrebbe suggerirci il contrario.

Costruire muri di pietra La pietra è il materiale più duraturo ed immutabile, e rimane la soluzione migliore per molte costruzioni: non marcisce e resiste al fuoco e alle termiti; ha una bassa energia incorporata ed è completamente priva di tossicità. Nel 1986, con le pietre ricavate dai lavori di scavo della nostra futura casa, mi misi a costruire dei muri di contenimento a secco. A un certo punto mi venne da chiedermi perché stavo facendo i muretti per l’orto quando non avevo ancora la casa. Quel mio interrogarmi mi spinse a finire in fretta il lavoro. Dieci anni dopo rimpiansi di non aver prestato maggior attenzione alla qualità delle pietre che avevo utilizzato e, in anni ancora più recenti, mi sono trovato a dover rifare a poco a poco gran parte dei muretti. Fortunatamente, i muretti non erano in una posizione sbagliata perché, in quel caso, avrei certamente rimpianto di aver sprecato tanto lavoro per qualcosa che bisognava disfare. Da ciò si ricava la seguente riflessione: poiché molte delle cose che si fanno in permacultura hanno un carattere innovativo e sperimentale, non conviene seguire il principio di fare subito i lavori destinati a durare in via definitiva. Se investiamo troppo in ciò che ci sembra rilevante al momento, potremmo poi non riuscire più a cogliere altre opportunità che si presenteranno, eventualmente, andando avanti. Questo modo di pensare può essere interpretato in due modi: come

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Permacultura un’argomentazione a favore di soluzioni temporanee o contingenti (soluzione veloce), oppure come una ragione per rallentare il ritmo e pensare bene e attentamente a ciò che stiamo per fare (soluzione lenta). Una volta presa la decisione, però, non dovremmo più cambiare idea facilmente, né dovremmo fare le cose in fretta (v. il Principio 12, in cui viene approfondito il tema di un uso appropriato delle soluzioni provvisorie).

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Strategie a crescita lenta in agricoltura e silvicoltura I benefici della lentezza nella crescita naturale sono meno evidenti di quelli della velocità. In natura, la crescita rapida è sicuramente un vantaggio competitivo nelle aree danneggiate. Le piante pioniere, più adatte a tali condizioni, e la maggior parte delle erbe infestanti sono all’origine di gran parte delle nostre attuali colture. La crescita rapida è sicuramente uno dei criteri di selezione più antichi e persistenti per le colture agricole; tuttavia, in assenza di elementi di disturbo, le piante a crescita più lenta e a vita più lunga tendono ad avere la meglio sulle piante pioniere (e così torniamo alla storia della tartaruga e della lepre).

Le colture perenni Per quanto sia difficile ignorare i vantaggi offerti dalle piante annuali (a crescita rapida e durata annuale) nel soddisfare i bisogni dell’uomo, già in Permaculture One avevamo illustrato i benefici offerti dalle specie perenni a crescita lenta e vita lunga nella creazione di sistemi sostenibili. La strategia consistente nel fare maggior uso di piante perenni per soddisfare i bisogni umani è forse la dimostrazione più evidente del principio lento è sensato. In orticoltura, le specie perenni hanno il vantaggio che non c’è bisogno di ripiantarle ogni anno. Molte di queste piante sono varietà più antiche delle varietà di ortaggi che coltiviamo annualmente. Anche se le rese non saranno mai elevate quanto quelle delle varietà annuali, il fatto di non doverle seminare o piantare ogni anno contribuisce a rendere il sistema orto più sostenibile, se

non altro per il risparmio di energia e le mancate lavorazioni, potenzialmente dannose per il suolo. Il lino di Nuova Zelanda (Phormium tenax) è una pianta perenne, che produce una fibra di alta qualità in grado di sostituire diverse fibre naturali annuali, compreso il cotone. Il cotone è la coltura da pieno campo più dannosa dal punto di vista ambientale perché richiede un alto apporto di sostanze nutritive e di acqua ed è molto sensibile ai parassiti. Coltivare il lino di Nuova Zelanda al posto del cotone408 rappresenterebbe un enorme risparmio, sia per quanto concerne il degrado del suolo che per il risparmio d’acqua e il minor utilizzo di sostanze chimiche e fertilizzanti. Nel lungo termine, lo sviluppo di colture cerealicole perenni da erbe autoctone potrebbe sostituire, almeno in parte, l’attuale dipendenza dal grano e dagli altri cereali annuali409.

La produzione di ortaggi I sistemi moderni di produzione orticole mirano a raccoglierle il più velocemente possibile. I concimi solubili, l’irrigazione al massimo grado e le tecniche idroponiche hanno questo scopo. Tale approccio, però, ha degli effetti negativi:  il contenuto di minerali è generalmente molto basso e squilibrato, il che contribuisce ad abbbassare anche le qualità organolettiche e la conservazione dell’ortaggio;  l’altissimo contenuto d’acqua rende l’ortaggio ancor più insipido e meno nutriente;  l’abbondante somministrazione di fertilizzanti, in particolare di azoto e potassio, fa sì che si accumulino nel prodotto nitrati non metabolizzati. È dimostrato che queste sostanze possono essere cancerogene. Con sistemi di produzione biologici di poco più lenti, quelle stesse piante potrebbero ricavare le loro sostanze nutritive da microbi simbiotici, che a loro volta le ricavano da fonti organiche insolubili e minerali. Se il pubblico fosse capace di riconoscere le sostanze nutritive e altre qualità nascoste, frutta e verdura a produzione biologica dovrebbero avere dei prezzi molto più alti, indipendentemente da ogni certificazione410.


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Irrobustire all’aperto le piante da vivaio È abbastanza noto, nel campo del vivaismo, che le piantine destinate a rimboschimento, siepi frangivento o a colture in pieno campo devono essere fatte irrobustire all’aperto prima di essere definitivamente trasferite in piena terra. Le condizioni perfette che si riscontrano nel vivaio producono una crescita veloce e abbondante che non può persistere quando la piantina verrà esposta al vento, al sole e al gelo. Di conseguenza, deve essere pratica comune per i vivaisti che vogliano produrre alberi di alta qualità irrobustire le piante mediante un’esposizione graduale agli stress ambientali, che ne rallenteranno la crescita rendendo più robusti tutti gli apparati della pianta. Silvicoltura a lunga rotazione In silvicoltura è evidente l’importanza della lentezza nella crescita degli alberi. Prima dell’era industriale, le foreste erano la misura della ricchezza delle nazioni e avevano la stessa importanza dell’agricoltura. Gli alberi europei a crescita veloce (pino, pioppo, betulla, ontano, nocciolo) avevano tutti innumerevoli utilizzi, ma erano quelli a crescita lenta – in primo luogo, querce e faggi – la misura della ricchezza dei sovrani. Negli ultimi cento anni, gli alberi pionieri a crescita rapida – come conifere, pioppi, eucalipti e acacie – sono diventati i protagonisti assoluti dei programmi di rimboschimento. Queste specie vengono impiantate su rotazioni a ciclo breve, per ricavarne polpa per la carta, tronchi da sega e materiale per l’industria dei derivati del legno (compensati, truciolati e simili); gli impianti di queste specie hanno sostituito, in tutto il mondo, le foreste native di specie più lente. Come sanno bene falegnami e carpentieri, nel mondo del legno nessuno ti regala nulla. Gli alberi a crescita rapida tendono a produrre legname che:  è di scarsa durata all’esterno e a contatto con il terreno;  non ha forza né resistenza;  ha ridotta sezione trasversale;  tende a restringersi e quindi a deformarsi e spaccarsi;  è poco attraente dal punto di vista estetico.

Tre fattori hanno spinto i silvicoltori a concentrarsi quasi esclusivamente sugli alberi a crescita rapida, che producono legnami di scarsa qualità:  lo sfruttamento continuo delle foreste native per l’alta qualità del legname;  la sostituzione dei legnami di alta qualità, da parte dell’industria, con materiali ad alta energia incorporata: acciaio, alluminio, calcestruzzo, plastica;  l’avvento di processi industriali per irrobustire i materiali derivati dal legno (lamellari, listellari, compensati e masoniti). Il basso valore ambientale delle piantagioni monocolturali a crescita rapida e a breve rotazione è ben noto. Le vaste piantagioni di alcuni tipi di eucalipto azzurro a crescita rapida, in varie parti del mondo, hanno fatto sì che questo albero si creasse una brutta reputazione: si spacca come un gambo di sedano, è fragile e marcisce velocemente, va bene solo per la polpa e come legna da ardere. In quest’ultimo caso, bisogna aggiungere anche che brucia velocemente. Pochi, però, al di fuori dell’Australia, conoscono le proprietà di altri tipi di eucalipto, belli e a crescita lenta, di fibra forte e di lunga durata. La stessa situazione esiste per gli alberi esotici che troviamo in Australia. La vasta maggioranza di legname ottenuto da piantagioni è di Pinus radiata, una conifera originaria della penisola di Monterey (California). La crescita molto veloce, sperimentata nei primi arboreti e nelle prime piantagioni sperimentali di conifere, mise quest’albero al centro di ulteriori ricerche e sperimentazioni, anche se il legname che produceva era di qualità scadente, con rami grossi e una forma esteticamente non bella. Dopo un secolo di selezione umana e naturale e di sviluppo del prodotto, si è riusciti a ottenere un rispettabile legno dolce, che in Australia viene per lo più impiegato per la costruzione di case e altri usi, edilizi e non. Altre specie di alberi esotici di maggior valore sono state ignorate, per l’apparente crescita lenta registrata in vivai e in piantagioni sperimentali. Negli ultimi vent’anni ho svolto una specie di pellegrinaggio in molti dei siti che hanno visto i primi estesi rim-

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Permacultura

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boschimenti negli anni ’30, quando lo Stato finanziava queste attività per far fronte alla disoccupazione di massa. Una delle lezioni che ho appreso visitandoli ci riporta alla storia della tartaruga e della lepre. Mentre molte delle specie piantate non hanno prodotto una quantità di legname tale da potere giustificare le estese piantagioni, in alcuni casi mi sono trovato davanti degli alberi che, dopo 60 anni, hanno raggiunto dimensioni enormi. Per molti anni mi sono chiesto perché i silvicoltori fossero giunti alla convinzione che questi alberi avessero una crescita troppo lenta, il che giustificava il fatto che non fossero impiegati in modo più esteso per il rimboschimento. Molte delle specie migliori per la produzione di legname crescono lentamente solo quando sono giovani (richiedono spesso anche posizioni riparate), ma, passati dieci o venti anni, la loro velocità di crescita aumenta.

Il caso della sequoia californiana La Sequoia sempervirens fornisce altri esempi illuminanti. Nonostante il clima decisamente poco idoneo, in Australia meridionale esistono moltissimi alberi di questa specie, che sono frequentemente i più grandi in parchi e giardini botanici. Il legno è dolce, ma eccezionalmente stabile, simile a quello del cedro rosso (Thuja plicata). I catastrofici incendi, verificatisi nello Stato di Victoria nel 1983, hanno offerto al mio collega Jason Alexandra l’opportunità di mettere da parte un campionario di alberi bruciati, indigeni ed esotici, raccolti nei giardini carbonizzati di Mount Macedon. Tra le migliaia di tonnellate di alberi morti o gravemente danneggiati dal fuoco che Jason recuperò, c’era una sequoia particolare – con un diametro di 2,1 metri – che secondo lui era stato il più grande albero esotico del Victoria. Veniva da un giardino progettato dal barone Von Müller, il massimo esponente di botanica, ecologia e landscape design in Australia, vissuto nella seconda metà dell’Ottocento. La nostra casa di Hepburn è un vero e proprio tempio dei legnami esotici e indigeni provenienti da Mount Macedon. Molti sono stati ricavati da alberi di 40-70 anni di età, al tempo considerati a crescita troppo lenta per venire utilizzati per piantagioni a fini commerciali.

La mia attrazione per la sequoia californiana (tra altre specie) si intensificò verso la metà degli anni ’80, quando scoprii le piantagioni appartenenti al Ballarat Water Board. I silvicoltori addetti a quell’area avevano in corso dei lavori di diradamento e, visto che c’erano, si erano presi il disturbo di misurare anche i tassi di crescita411. Sebbene gli alberi di 60 anni che stavano abbattendo avessero già raggiunto le dimensioni prescritte per i tronchi da segheria, le piantagioni erano molto fitte. Il tasso di crescita annuo dell’intera piantagione, nel corso dei 60 anni, aveva raggiunto nella media i 20 metri cubi per ettaro, mentre nella fase attuale stava crescendo a un tasso annuo di 44 metri cubi per ettaro. Per la maggior parte delle persone che non si intendono di silvicoltura queste cifre non significano nulla, ma per un esperto erano quasi incredibili412. Dopo vent’anni passati (da non professionista) a fare domande a molti silvicoltori per farmi un’idea precisa del valore di varie specie di alberi da rimboschimento (compresa la sequoia), la mia reazione alle informazioni raccolte è stata di frustrazione e di rabbia per la cecità collettiva dimostrata dai professionisti della silvicoltura davanti a tanta abbondanza che la natura, immeritatamente, ci mette a disposizione. Gli alberi di Ballarat non crescono in condizioni ideali per la sequoia, a differenza di una piccola colonia che ho rintracciato nell’Aire Valley delle Otway Ranges. L’età di queste ultime sequoie è simile a quelle di Ballarat, ma quando raggiungeranno il secolo di età, probabilmente, stabiliranno il record di massimo volume di legno per ettaro di tutto lo Stato del Victoria. La stima degli esperti del Water Board di Ballarat per il 1988 era stata di 2.000 metri cubi per ettaro di terra; questa cifra si avvicina al volume registrato nelle foreste più vecchie di Eucalyptus regnans, che fanno più di 250 anni!413 La sequoia californiana non è l’unico albero a manifestare una tendenza di crescita così caratteristica. Anche molte specie autoctone australiane, tipiche della foresta pluviale, hanno nelle prime fasi uno sviluppo lento, che poi si accelera man mano che l’albero cresce. Oggi una nuova generazione di esperti silvicoltori e agricoltori include alberi a crescita lenta nelle piantagioni allo scopo di fornire legname di alta qualità,


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nonostante il costante mantra degli economisti che i tassi di interesse ridurranno il valore netto attuale di queste piantagioni.

L’allevamento Nel settore dell’allevamento si è ormai diffuso un sistema di produzione e alimentazione intensivo che tende a massimizzare il ritmo di crescita degli animali fino al raggiungimento dell’età giusta per essere macellati. A prescindere dallo scandaloso spreco di energia e risorse, dall’inquinamento e dai problemi di carattere etico direttamente e indirettamente connessi a tale sistema di produzione, esistono anche pressanti problemi legati alla qualità delle carni. Ad esempio:  ormoni e altre sostanze utilizzate per raggiungere alti tassi di crescita a volte persistono nella carne;  il contenuto di acqua e grassi è molto alto, mentre i nutrienti e l’aroma sono ridotti;  molti animali allevati con questi metodi morirebbero di malattie degenerative, se non venissero macellati entro un anno o due dalla nascita. Una situazione simile si verifica per le mucche da latte, che vengono messe in produzione molto giovani ed eliminate dopo qualche anno. I risultati di un sistema progettato per massimizzare la produzione di latte per chilogrammo di mangime è radicalmente in contrasto con quanto avviene nelle stalle gestite dalle comunità di Hare Krishna, che si attengono a un approccio lento e graduale, in cui ogni vitello che nasce – maschio o femmina che sia – dev’essere curato per la durata naturale della sua vita. Per produrre latticini in base a questa tradizione (senza aumentare in modo insostenibile il numero degli animali), è necessario massimizzare la produzione di latte per vitello, continuando a mungere la mucca per molti anni, prima di farla ingravidare di nuovo. Con un’accorta gestione, è possibile avere circa sette mucche in lattazione su una popolazione totale di 80-90 mucche e buoi414. Naturalmente, in questo tipo di gestione bisogna trovare un’occupazione anche per tutti i maschi. In India i

maschi venivano utilizzati per tirare carri e aratri ed erano più preziosi delle mucche, che, per la mancanza di foraggio di buona qualità, producevano solo piccole quantità di latte. Rallentare il ritmo fino a quello tipico dei buoi è una grande sfida, nella società di oggi, anche per i devoti di Krishna. Ciò che sembra un tabù folle e insostenibile – o almeno lo era nel suo contesto culturale – diventa una lezione sul limite naturale delle cose buone (in questo caso, i latticini) e sull’esigenza di un approccio lento e graduale all’allevamento animale.

Lo sviluppo dei bambini Sta diventando sempre più chiaro che anche per gli uomini crescere velocemente, fisicamente e mentalmente, non è poi un gran vantaggio. Il valore positivo che sta emergendo sempre di più è l’equilibrio, più che la velocità. La nozione familiare che bisogna imparare a gattonare, prima di camminare, è sempre più accettato. Ad esempio, nelle scuole Waldorf – che seguono i criteri educativi delineati da Rudolf Steiner – si segue il principio che insegnare a leggere e a scrivere a bambini molto piccoli crea squilibri e ostacola lo sviluppo di altre facoltà. Nell’alimentazione, la pratica di dare ai bambini alimenti concentrati, in particolare cibi elaborati facilmente assorbibili dall’organismo, ha molti effetti negativi. Esistono ora abbondanti prove di problemi di salute creati dal fatto che i bambini bevono succhi di frutta concentrati (e non mangiano il frutto da cui è estratto il succo)415. La superalimentazione potrebbe causare una maturazione precoce di bambini e ragazzi, che potrebbe tradursi in una maggiore crescita in altezza rispetto alle generazioni precedenti. Le malattie degenerative (come avviene per i maiali all’ingrasso) potrebbero diventare sempre più comuni.

Slow Food Una delle pietre miliari che marcano definitivamente una svolta a livello mondiale, nella riscoperta e nella valorizzazione dei processi connessi alla lentezza, è la nascita del movimento Slow Food. Esso celebra la pre-


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Permacultura murosa preparazione e il consumo del cibo come alternativa anche estetica – non solo fisiologica ed ecologica – alle oscenità del fast food416. Il movimento ha circa 60.000 membri, in tutto il mondo.

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L’economia dell’informazione L’accelerazione nel mondo materiale è stata abbastanza ridotta rispetto a quella registrata nelle informazioni, nei mass media e nella cultura, in cui sembra non vi siano limiti all’aumento di velocità. Le accelerazioni incredibili registrate nella tecnologia dell’informazione suscitano, ovviamente, molto entusiasmo; pochi, invece, si interrogano sul valore di ciò che viene comunicato e sugli effetti collaterali dell’aumento di velocità. Il volume di produzione generato da autori, titoli e soprattutto case editrici cominciò ad accelerare negli anni ’70. I miei genitori, che gestivano una libreria tecnica specialistica a Perth, ne restarono sbalorditi e frustrati. Oggi le nuove informazioni vengono messe in circolo e diventano ridondanti appena prodotte. La contrazione del numero dei minuti – e adesso dei secondi – durante i quali il pubblico televisivo riesce a concentrarsi su quanto vede, sta diventando sempre più la cronaca scioccante e cinica del collasso totale dei tempi di attenzione. Il cellulare, dopo appena dieci anni, ha gravemente danneggiato la capacità della gente di fare dei semplici piani di viaggio e darne informazioni agli altri, senza dover per forza stare sempre in contatto. Ha in pratica ridefinito cosa significa essere soli. Man mano che computer e altri sistemi di memoria artificiale crescono in maniera esponenziale, le strabilianti bugie di politici e portavoce del mondo aziendale – ma anche la mancanza di interesse per la storia – sono il riflesso evidente di una generale perdita di memoria che si esprime anche nell’incapacità di capire di cosa parlano gli anziani quando raccontano il loro passato. La continua accelerazione della velocità dei computer e della capacità di immagazzinare dati è diventata il metro di misura – che varia in continuazione – per tutto. Rapporti, resoconti e presentazioni di consulenti in ogni settore seguono l’escalation tecnologica nel trasmettere

il messaggio, mentre l’attenzione al contenuto continua a ridursi, fino al punto che, in conferenze di alto livello, presentazioni formalmente impeccabili ma prive di contenuti specifici ricevono grande attenzione e apprezzamento. Per gli scettici del media technology degli anni ’90, la ormai classica presentazione con Powerpoint (un programma della Microsoft) a mezzo diapositive è diventata il simbolo del “tutto fumo e niente arrosto”. Gli aspetti informativi dell’economia dei servizi sono stati chiamati economia senza peso, perché ciò che viene comprato e venduto spesso non prevede lo scambio di materiali o energia diretta, nonostante le lunghe catene di energia incorporata (EMERGY) insita nella loro produzione. La miniaturizzazione, con la conseguente velocità dell’information technology, ha reso possibile dissociare l’attività economica dal contatto diretto con i materiali e con il consumo di energia. Anche se l’information technology permette di fare di più con meno, è evidente che il consumo di materiali e di energia continua ad aumentare nei Paesi sviluppati (anche senza che aumenti la popolazione). Il tanto decantato ufficio senza carta non si è realizzato. Al contrario, la crescente capacità (con riduzione dei costi) di creare copie cartacee di documenti elettronici – insieme a un’ampia gamma di abitudini e aspettative – ha avuto come esito solo un sacco di carta straccia in più nel cestino. A quanto pare, l’utilizzo di carta da ufficio negli ultimi 10 anni è quadruplicato. L’e-commerce, che a suo tempo venne spacciato come strategia commerciale per ridurre al minimo i costi di trasporto, oltre che delle merci, ha generato un’esplosione nella consegna porta a porta. Negli USA, le aziende private – che stanno rimpiazzando il servizio postale pubblico – sono fra quelle che crescono maggiormente, stimolate dall’e-commerce e dai bassi costi del petrolio, oltre che dalla presenza di un’efficiente rete stradale a carico dello Stato. Molti dirigenti e pianificatori di alto livello, sia nel settore pubblico sia nel privato, sembrano non accorgersi del legame esistente tra e-commerce e aumento del costo dei trasporti417. Le disavventure delle aziende della cosiddetta new economy e gli aumentati costi del petrolio forse porteranno a un maggior senso della realtà.


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9. Piccolo e lento è bello

Permacultura e information technology: ballare con il diavolo? Il valore e la portata dell’information economy sono argomenti abbastanza controversi per i sostenitori della permacultura. Molti la vedono semplicemente come uno strumento in più, utilizzabile a scopi positivi o negativi, sostengono che va capita e che può essere validamente utilizzata per scambiarsi informazioni e per gestire sistemi naturali e umani: rifiutare questo strumento è come rifiutarsi di usare due braccia quando tutti, intorno a noi, lo fanno. Alcuni entusiasti sostenitori arrivano a vedere nelle strutture reticolari dell’information technology, in cui prevale il principio dell’auto-organizzazione evolutiva della rete, un riflesso dei principi naturali, attraverso cui si realizzerà la promessa di una riduzione nell’uso di materiali ed energia. Altri, al contrario, manifestano una forte diffidenza e accusano l’information technology di:  ridurre la nostra connessione con i processi a lento decorso del mondo naturale e la nostra capacità di comprenderli;  accelerare il consumo di materiali e di energia, nonostante le promesse di ridurre scarti e rifiuti (v. il mito dell’ufficio senza carta);  accrescere il centralismo del potere, nonostante le promesse di decentralizzazione delle informazioni e del potere (v. il mito della democrazia elettronica);  aumentare la dipendenza dalle tecnologie complesse, che non possono essere prodotte localmente. Personalmente, come consulente e scrittore, sono quattordici anni che utilizzo un computer. So che la tecnologia ha plasmato il mio lavoro, nel bene e nel male. Sono cosciente che la mia capacità di considerare la tecnologia informatica come uno strumento nella mia mano è molto diversa dall’effetto che essa sta avendo sulle giovani generazioni, le quali la ritengono un’estensione o una parte integrante del proprio corpo e dei propri sensi. Ciò può aumentare l’efficienza nell’utilizzo di questi strumenti, ma probabilmente seguirà la scia segnata da precedenti

innovazioni nella tecnologia mediatica, che porta all’atrofia di altre capacità umane418. Ecco alcune linee guida che mi orientano nel mio rapporto personale con il mondo dei computer:  restate all’avanguardia se serve per motivi di lavoro, senza inseguire le ultime novità di hardware e software perché altrimenti diverrete prede di programmatori alla ricerca di utenti che correggano gratuitamente gli errori contenuti nei loro stessi programmi – debugging – (la leading edge è oggi diventata la bleeding edge419);  i costi e il tasso di deprezzamento dei prodotti sono molto alti; ciò significa che si è spinti a utilizzare la tecnologia il più possibile (ancora una volta diventandone schiavo);  non premiate le multinazionali per l’ultima novità prodotta, ma solo quando rendono migliore e più efficiente ciò che c’è già;  non lasciatevi impressionare dalle meraviglie della tecnologia, ma rimanete lucidi e utilizzatela solo per quello che serve. Inoltre: gli aggiornamenti con hardware e software ben collaudati e di seconda mano, non troppo costosi e che non si deprezzino troppo;  accettate il fatto che la chimera dei sistemi integrati e compatibili difficilmente diventerà realtà, finché domineranno i principi della crescita continua di velocità e capacità;  cercate di valutare esattamente la rilevanza delle vecchie e delle nuove funzioni, per capire se vale la pena informatizzare tali funzioni e, nella valutazione, includete le stime realistiche dei tempi morti (il tempo che impiegherete per imparare a utilizzare il sistema e quello dovuto a guasti, malfunzionamenti vari, problemi con la stampante e via andare);  date priorità al locale sul globale; usate l’accesso all’informazione globale per potenziare l’utilizzo delle risorse locali;  per le funzioni essenziali, cercate di preservare la funzionalità dei sistemi non informatizzati;  fate

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Permacultura  cercate

di mantenere nel giusto equilibrio il tempo passato davanti a un computer e quello che trascorrete con gli altri e a contatto con la natura;  cercate di ridurre al minimo i tempi di esposizione al computer dei bambini sotto i 12 anni;  ricordate che la mappa non è il territorio, ossia che il mondo virtuale non è mai la realtà.

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Il paradosso dei radicali e dei conservatori Man mano che ci avviciniamo a toccare il picco della disponibilità di energia, il tasso del cambiamento sotto molti aspetti si riduce. Il cambio di direzione dalla crescita al declino, dai valori materiali ad altri più spirituali è così fondamentale da cambiare radicalmente la faccia del mondo. La nostra esperienza di questa trasformazione probabilmente sarà quella di un cambiamento incomprensibile e caotico, ossia un’accelerazione di ciò che stiamo sperimentando anche attualmente! Immaginiamo di trovarci su un motoscafo: man mano che la sua velocità aumenta, esso si solleva e rimbalza sulle onde sempre più velocemente. Dopo un po’ ci abitueremo alla velocità e all’effetto esilarante, ma il forte brivido di una virata a 180 gradi avrà sempre il suo effetto anche se rallentiamo mentre facciamo la curva. La situazione presenta un paradosso strutturale che riguarda il passaggio dalla crescita materiale alla contrazione ed è inerente alla permacultura e, più in generale, ai movimenti della controcultura e altri movimenti radicali. Le idee radicali e rivoluzionarie suggeriscono il bisogno di cambiamento come reazione a norme stabili, o la rottura con la tradizione e con i sistemi prestabiliti. Tuttavia, quando la norma stessa si basa sul cambiamento continuo e radicale e le nuove idee che dovrebbero soppiantare quelle vecchie mettono in risalto i concetti di durata, permanenza, continuità e sostenibilità, si realizza una contraddizione di termini, e anche degli stessi modi di essere: i conservatori diventano i radicali e i radicali sostengono invece la causa di un nuovo conservatorismo. Tale paradosso evidenzia la confusione che regna oggi nel movimento ambientalista e nel dibattito politico. Il termine conservationist indica chiaramente il carattere di questo paradosso.

Fondamentalismo e valori reazionari Insieme ai critici radicali dello status quo, che prendono a bersaglio il cambiamento accelerato, vi sono anche i critici reazionari, i quali vogliono il ritorno a ciò che chiamano i valori tradizionali. In campo religioso, i fondamentalisti che predicano l’aderenza precisa a versioni specifiche della parola di Dio, in tutto il mondo, stanno ampliando la loro influenza e questo in reazione all’impatto della modernità. Sebbene le critiche alla società e ai valori di massa dei radicali e dei reazionari abbiano molto in comune, i reazionari cercano di ricostruire, pezzo per pezzo, il passato, mentre i radicali aspirano a possibilità utopiche, che devono essere costruite o sviluppate in modo evolutivo. Per quanti si identificano nel mainstream420 le critiche di radicali e reazionari sono indistinguibili. I benpensanti sono incapaci di immaginare qualsiasi cosa che non sia il presente o una storia costantemente ricostruita in modo ottimistico, che dia l’illusione di un presente permanente, coerente con ciò che è stato il passato.

Conclusione L’evidenza del piccolo è bello e del lento è sano è tutta intorno a noi. Più siamo portati a porci il problema del picco energetico e del conseguente declino con tutte le sue implicazioni, più riusciamo a riconoscere i sistemi più grandi e complessi come dinosauri dell’era dell’abbondanza energetica dominata dai combustibili fossili. Se poi accettiamo le nostre debolezze e la nostra mortalità e ci mettiamo in sintonia con i modelli della natura, ci rendiamo conto della profonda verità del proverbio posto all’inizio di questo capitolo (“Lenti e costanti si vince la corsa”). La mia opinione è che, quando valori tipici dell’adolescenza – come il senso di immortalità, la positività della velocità, delle novità inarrestabili e della crescita senza fine – vengono a definire una intera civiltà, siamo sempre più vicini al suo declino e alla nascita di un nuovo paradigma culturale. Questo cambiamento lo vedremo avvenire lentamente davanti ai nostri occhi.


Principio

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Usa e valorizza la diversità

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Non mettere tutte le uova nella stessa cesta421

Lo spinebill422 e il colibrì hanno entrambi il becco lungo e la capacità di sostare in volo, perfetta per suggere il nettare da fiori lunghi e stretti. Questo straordinario adattamento coevolutivo è diventato l’icona e il simbolo della specializzazione di forme e funzioni in natura. La grande varietà di forme, funzioni e interazioni nel mondo naturale e umano è alla base dell’evoluzione della complessità dei sistemi. Il ruolo e il valore della diversità – nella natura, nella cultura e nella permacultura – sono essi stessi complessi, dinamici e a volte apparentemente contraddittori. La diversità deve essere vista come risultato dell’equilibrio e della tensione in natura tra varietà e possibilità, da una parte, e tra produttività ed energia, dall’altra. Ad esempio, attualmente la monocoltura è considerata una delle cause principali della vulnerabilità a parassiti e malattie e, pertanto, anche la causa del vasto utilizzo di sostanze chimiche tossiche e di energia per controllare queste avversità. La policoltura423 è una delle più importanti e ampiamente riconosciute applicazioni dell’uso della diversità, ma non è affatto l’unica. La diversità tra sistemi coltivati riflette la natura specifica del sito, della situazione e del contesto culturale. La diversità di strutture, sia viventi che artificiali, è un aspetto importante di questo principio, come lo è quella tra specie e popolazioni, comprese le comunità umane. Il proverbio “Non mettere tutte le uova nella stessa cesta” esprime bene il concetto, derivato dal buon senso, che la diversità fornisce una sorta di assicurazione contro i capricciosi imprevisti della natura e della vita quotidiana.

La conservazione della biodiversità La consapevolezza generale della perdita di biodiversità avvenuta nel mondo naturale è emersa come importante tema ambientale dopo duecento anni di sforzi tesi alla classificazione della stessa biodiversità, da parte di botanici e zoologi. Il pubblico riconoscimento della rapida perdita di biodiversità nelle varietà coltivate di piante e nelle specie animali allevate si è fatto strada più lentamente, anche se tale fenomeno può avere sull’umanità effetti avversi, più pesanti della perdita di biodiversità nella natura allo stato selvatico. Molte delle risposte a questi problemi rappresentano essenzialmente dei tentativi di reazione, volti a minimizzare la perdita di biodiversità sia allo stato selvatico che coltivato. Alcuni esempi sono gli arboreti, i giardini botanici, gli zoo, i parchi nazionali, la normativa per la protezione delle specie, i programmi di ripopolamento, le banche del seme e del germoplasma. La diversità in natura è un tema costante delle scienze biologiche. Con l’aumento della perdita di biodiversità, dovuta all’impatto delle attività umane, è diventato normale pensare che i problemi ambientali implichino sempre un conflitto tra la tendenza naturale alla diversità e la tendenza umana a privilegiare la produttività. Ma tale modo di vedere i problemi ambientali è molto limitato. La permacultura include molte strategie per la conservazione della biodiversità, ma cerca anche di mettere in pratica una riprogettazione fondamentale di tutto ciò che facciamo in modo che la biodiversità diventi una parte


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Permacultura

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preziosa e funzionale del nostro mondo. Per estensione, la permacultura potrebbe anche fornire l’appoggio dei principi naturali alla continua lotta sociale e politica condotta in tutto il mondo per valorizzare la diversità culturale umana anche a livello individuale.

Riequilibrare produttività e diversità L’analisi della legge della massima potenza svolta nel Principio 3 dimostra come i sistemi che più efficacemente utilizzano l’energia disponibile (più correttamente EMERGY) per sopravvivere tendano a prevalere sugli altri. La sopravvivenza del più adatto opera, quindi, sia a livello di sistema che a livello individuale. In natura hanno uguale peso sia la diversità che l’energia e la produttività. L’insegnamento delle scienze ambientali e un tipo di cultura ambientale piuttosto diffuso tendono a ignorare questo aspetto della natura, nel tentativo di contrastare l’ossessionante predominio dei concetti di produttività e potere nella cultura dominante424. La diversità di elementi e funzioni è già stata indicata come una delle principali caratteristiche dei sistemi integrati (v. Principio 8). Proverbi come “Non mettere tutte le uova nella stessa cesta” e “Il mondo è bello perché è vario” indicano chiaramente il valore della diversità. La nota citazione dal conservazionista americano Aldo Leopold425 «La chiave per tentare di riparare qualcosa è conservare tutti i pezzi» ci ricorda che i problemi connessi alla perdita di biodiversità in natura derivano soprattutto dall’intervento umano. Occorre però un senso contestuale più ricco e profondo, perché il principio di diversità deve servire a contrastare e a bilanciare il principio di funzionalità, che spesso rischia di prevalere anche nel contesto della permacultura. I Principi 2, 3 e 4 – in cui il tema del rapporto tra diversità e funzionalità è già accennato – si focalizzano sull’allargare la comprensione di ciò che è funzionale, produttivo o buono, superando il punto di vista dei ristretti e rigidi valori econometrici, fondamento logico essenziale del capitalismo basato sull’uso dei combustibili fossili. Molti interpreteranno questi concetti come bieco funzionalismo, in cui tutto ciò che non dimostra di essere utile o produttivo dovrebbe essere eliminato. Per questa visuale è più corretto il termine

razionalismo ecologico, in base al quale non si può accettare la meravigliosa abbondanza delle forme di vita senza misurarla con un metro stabilito da criteri fissi. Per comprendere più in profondità e in senso olistico l’utilizzo della diversità, abbiamo bisogno di vederla in equilibrio dinamico, di considerarla una componente complementare o tensione insita in tutti i sistemi, a tutti i livelli. Con ciò, dovremmo essere in posizione migliore per lavorare in accordo con la diversità e farne un principio guida della progettazione, invece di rispettare e venerare solo alcune categorie di biodiversità, ignorando o addirittura distruggendone altre.

La specializzazione in natura Una delle classificazioni ecologiche più ampie di piante e animali è quella che distingue tra specie generaliste o specialiste. Le generaliste si adattano e prosperano in un’ampia gamma di habitat e fonti nutritive. Le generaliste sono buone piante pioniere, che modificano e migliorano l’ambiente rendendolo adatto a specie più sensibili. Le specialiste assomigliano al mastro artigiano, efficiente in un particolare habitat, ma inevitabilmente poco flessibile e adattabile in altri.

Diversità e specializzazione nei modelli di territorio A livello di territorio, la diversità degli ecosistemi è mappata nelle fondamentali variazioni biofisiche create da clima, morfologia e stratificazioni minerali. Specie ed ecosistemi diversi sono più efficienti e abili ad utilizzare le risorse disponibili in luoghi diversi. Questi “luoghi diversi” variano in scala dalle bioregioni alle nicchie microclimatiche occupate dai singoli organismi. La diversità tra le piante terrestri è particolarmente spiccata, semplicemente perché i potenziali siti di crescita variano moltissimo in risorse disponibili di sole, calore, acqua e nutrienti. Per gli animali erbivori (in grado di muoversi e di selezionare ciò che consumano), gli eccessi dell’ambiente sono moderati dalle riserve e dalla varietà di foraggio disponibile, e dalla diversità degli habitat. Nella parte superiore della catena alimentare, gli animali onnivori e


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10. Usa e valorizza la diversità carnivori hanno a disposizione risorse alimentari più stabili (ma forse più difficili da procurare), il che attenua ulteriormente le variazioni stagionali che condizionano la disponibilità di cibi vegetali. Di conseguenza, la diversità animale – pur sempre variegata e abbondante – è limitata ed improntata ad un più ristretto numero di modelli funzionali, che tendono a ripetersi in molti ecosistemi. Ciò è particolarmente vero per molti animali superiori, che sono generalisti e adattati a una varietà di ambienti diversi. L’homo sapiens e i parassiti a lui associati – soprattutto topi e roditori – sono il non plus ultra dei generalisti. Le dinamiche di competizione e cooperazione sono state analizzate nel Principio 8, in cui si è anche argomentata, con esempi tratti dalla natura, l’osservazione che la diversità tende a ridurre le relazioni competitive e a stimolare quelle cooperative e simbiotiche. In nicchie in cui le risorse disponibili sono poco differenziate, una singola specie generalista tende a essere la più efficiente nell’utilizzo delle risorse; perciò tende a dominare, producendo una bassa diversità. Grandi numeri di organismi individuali della stessa specie che utilizzano quelle stesse risorse inevitabilmente competono gli uni con gli altri perché tutti gli individui hanno le stesse esigenze. Dove le risorse sono molto differenziate in nicchie, specie diverse tendono a prevalere in nicchie diverse. Ciò avviene normalmente secondo un modello spaziale a mosaico, in cui specie diverse vivono in prossimità, ma non competono per le stesse risorse. Può anche avere luogo una differenziazione temporale, per cui individui di varie razze occupano lo stesso spazio in tempi diversi del giorno o della stagione. Oltre all’assenza di competizione, le relazioni di reciprocità o di simbiosi possono svilupparsi in base ai diversi bisogni e ai diversi prodotti delle varie specie.

La diversità crea stabilità? La biodiversità totale, misurata tramite il numero di specie presenti in un sito o all’interno di un intero ecosistema, può variare moltissimo. Per vari decenni c’è stato un corposo dibattito, tra gli ecologisti, tendente a stabilire se una maggiore diversità potesse essere un fattore

principale – o anche solo secondario – per la stabilità degli ecosistemi, nonché per la loro resilienza agli stress. La diversità fornisce alle funzioni fondamentali degli ecosistemi percorsi alternativi e scappatoie per poter affrontare efficacemente i cambiamenti. Questo dà un profondo senso logico all’organizzazione tradizionale dei sistemi umani, in cui la diversità di colture e risorse ha sempre fornito una sicurezza in caso di avversità e di mancati raccolti. Le foreste pluviali tropicali – che sono tra gli ecosistemi più stabili al mondo – hanno un’alta biodiversità. Nelle latitudini temperate, in particolare nell’emisfero settentrionale, possono verificarsi cicli di disturbo climatico su grande scala (ere glaciali) che periodicamente eliminano buona parte della diversità. Ai tropici, invece, la diversità può continuare ad accumularsi ed evolversi. Bisogna notare che anche degli ecosistemi apparentemente semplici possono diventare molto stabili. Ad esempio, molte foreste seguono fasi successive, passando da una fase pioniera iniziale, in cui è presente un gran numero di specie, a una fase di maturità molto stabile, dominata da una specie di alberi a crescita lenta e molto longevi. Possiamo ricordare, a tal proposito, le foreste di tasso (Taxus) dell’Europa occidentale e le foreste di Nothofagus cunninghamii della Tasmania.

La complessità strutturale La varietà strutturale nella complessa matrice creata da radici, humus e compost, spuntoni e cavità del tronco, come anche la complessa struttura della chioma sono peculiari delle foreste di tasso e di Nothofagus. Queste caratteristiche, a loro volta, alimentano un’intensa attività microbiologica e una grande varietà di insetti. Oltre a tale complessità strutturale, la potenziale durata di questi alberi (molte centinaia di anni, nel caso del Nothofagus, e migliaia, nel caso del tasso) è il fattore chiave che dà stabilità, a prescindere dalle fluttuazioni stagionali. La diversità di età La stabilità di un ecosistema è anche connessa alla capacità di assicurare una regolare rigenerazione e, conseguentemente, la presenza di alberi della stessa varietà

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Permacultura ma di età diverse all’interno del sistema foresta o bosco. Nel caso delle alte e umide foreste sclerofille426, dominate dall’Eucalyptus regnans e da altre specie autoctone dell’Australia sud-orientale e della Tasmania, è opinione generale che esse si rigenerino soltanto dopo incendi di dimensioni catastrofiche e che tutti gli alberi, quindi, abbiano la stessa età. Senza l’intervento del fuoco, la foresta umida di sclerofille sarebbe invasa da specie tipiche della foresta pluviale, che diventerebbero dominanti, una volta morti gli eucalipti. Ciò suggerisce che la struttura caratterizzata da alberi della stessa specie e della stessa età sia un punto debole, per quanto concerne la continuità dell’ecosistema, a meno che la siccità e i conseguenti incendi abbastanza violenti da bruciare l’umida foresta sclerofilla, non costituiscono una caratteristica regolare del clima. I grossi nastri di corteccia che cadono dagli alberi nei mesi più caldi potrebbero rappresentare una specie di invito al fuoco rigeneratore, una forma di adattamento, frutto dell’evoluzione. L’opinione comune su catastrofi come incendi e invasioni di insetti, per boschi e foreste, è sempre stata che fossero eventi negativi. L’idea che possano invece essere un aspetto connesso alla coevoluzione di un sistema che passa periodicamente per vari stadi di potenza e salute viene ulteriormente esplorata nel Principio 12. La maggior parte dei silvicoltori e degli ecologisti sostiene che nelle foreste sclerofille umide gli alberi possono vivere fino a 250-300 anni. Tuttavia, esistono prove basate sulla datazione di vecchi eucalipti e dati storici sulla forma e sulle dimensioni di questi alberi dimostrano che, in condizioni particolarmente favorevoli, potrebbero aver raggiunto la veneranda età di 500 o addirittura 1000 anni. In tali siti, specialmente in Tasmania, questi alberi crescono in sistemi descritti come foreste miste, che includono sempre alberi tipici anche della foresta pluviale. È possibile che queste foreste miste non costituiscano semplicemente una fase di successione tra foresta sclerofilla umida e foresta pluviale, ma addirittura un terzo ecosistema. Tale sistema è capace di automantenersi anche senza incendi, differenziando l’età delle varie specie vegetali presenti grazie all’occasionale rina-

scita degli eucalipti, causata dai semi di piante mature portati dal vento427. Dato che è comunque difficile stabilire l’età dei più vecchi eucalipti, nelle foreste miste possono essere presenti alberi di diversa età, anche nel caso manchino alberi con meno di 100 anni di età. Che siano corrette o meno, le mie ipotesi sulle foreste australiane più spettacolari e maggiormente sottoposte alla luce dei riflettori illustrano comunque quanto la diversità di età potrebbe aumentare la stabilità dell’ecosistema.

La diversità genetica Un altro fattore che ci sfugge, se guardiamo soltanto alla diversità delle specie, è il ruolo della variabilità all’interno della stessa specie, che in molte piante comuni è davvero notevole. Ad esempio, nel sud dell’Australia abbiamo eucalipti molto diffusi, come il manna gum (E. viminalis) e il red gum (E. camaldulensis), che presentano notevoli differenze di varietà e sotto specie. Ciò riflette l’adattamento a specifiche condizioni locali e, a volte, all’isolamento da altre popolazioni della stessa specie. Queste variazioni naturali, locali e regionali, sono di importanza cruciale come base e fondamento dell’evoluzione di nuove specie e per facilitare la selezione e l’allevamento di piante e animali per uso umano. All’interno di qualsiasi popolazione locale di piante dominanti è normale anche una grande varietà individuale428. Questa variabilità429 genetica permette l’adattamento a condizioni variabili, poiché gli individui più vigorosi si riproducono con maggior successo. Il fatto che questo processo di sopravvivenza del più adatto non porti a una monocoltura di individui identici può probabilmente sorprendere. Gli esperti di ibridazione, vegetale e animale, sanno quanto è difficile escludere le cosiddette caratteristiche indesiderate e quanto velocemente esse ricompaiono quando la pressione della selezione genetica scompare. Poiché le condizioni ambientali raramente rimangono uguali a lungo, il feedback positivo per nascondere una particolare caratteristica può a volte anche venir meno. Anche la generazione di tratti diversi nuovi e originali per mutazione e altre forze creative può contribuire a mantenere diverse le popolazioni.


10. Usa e valorizza la diversità Per quanto differenti possano essere i meccanismi, la diversità è una strategia di sopravvivenza di provata efficacia, per popolazioni e specie vegetali e animali. La natura raramente sembra mettere tutte le uova nella stessa cesta. Tutto sommato, credo sia ragionevole dire che la variabilità di individui, popolazioni, specie, età e strutture nei sistemi naturali è un fattore che contribuisce alla stabilità, anche se il concetto stesso di stabilità richiede ulteriori chiarimenti (v. Principio 12).

La diversità coltivata di epoca preindustriale

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Nell’agricoltura preindustriale la policoltura era la norma, mentre la monocoltura, quando esisteva, era limitata a piccole estensioni di terreno430. Le ragioni della policoltura nell’agricoltura tradizionale preindustriale sono anch’esse diverse.

L’autosufficienza richiede la diversità Nei casi in cui l’agricoltura soddisfa i bisogni della famiglia (sussistenza) – invece di rifornire i mercati – la diversità delle colture è necessaria per offrire nutrimento, varietà e, per quanto possibile, un apporto alimentare costante. In molte regioni dell’India, ad esempio, le colture di legumi come le lenticchie provvedono a fornire le proteine che sono il complemento nutritivo dei cereali (oltre a fissare azoto e a far riposare il terreno dopo la ripetuta coltivazione del raccolto principale che è il riso, riducendo così anche l’incidenza di malattie). L’autosufficienza, dunque, richiede la diversità. Al contrario, quando è un mercato centrale a distribuire gli alimenti, esso deve provvedere ad assicurare una diversità di fonti di sostentamento. Ciò rende possibile la specializzazione e gli aumenti di resa di colture commercializzabili che portano alla monocoltura, la quale può in questi casi diventare parte di un ecosistema industriale in evoluzione basato sui combustibili fossili, ma a lungo termine danneggia la capacità dell’ecosistema agricolo di provvedere ai bisogni del popolo.

La sicurezza attraverso la diversità Coltivare specie diverse è anche una fonte di sicurezza o, meglio, è una vera e propria assicurazione contro il verificarsi di avversità stagionali o di attacchi da parte di parassiti o malattie. Questa è una delle ragioni per cui i contadini persistono nella coltivazione di varietà che rendono poco o sono in qualche modo inferiori, in confronto a quelle più coltivate e di maggior rendimento. Nella selezione, spesso si cerca un compromesso tra le caratteristiche connesse all’alta resa e alla facilità di raccolta, da una parte, e la resistenza alla siccità, ai parassiti e alle malattie e la rusticità complessiva, dall’altra. La diversità come mantenimento di una tradizione culturale La terza ragione alla base della diversità colturale è che la gente spesso coltiva determinate varietà per motivi estetici, sentimentali, culturali e spirituali. Si tratta di desideri o obblighi che a volte celebrano legami di discendenza (coltivare quella particolare varietà di fagioli che coltivava il nonno, ad esempio). A volte questo impegno a tramandare la diversità si avvicina a un omaggio, o a un tributo all’abbondanza della natura, che simbolicamente riconosce l’importanza anche a cose diverse dalle nostre esigenze materiali più immediate. Miglioramenti nelle tecniche di coltivazione o spostamento degli obiettivi? Alcuni sostengono che la selezione tipica dell’agricoltura moderna abbia portato radicali miglioramenti nel campo delle varietà di piante e o delle razze di animali. Questa opinione riflette il paradigma progressista che la modernità non possa che creare costanti cambiamenti positivi in tutte le aree dell’esperienza umana. I cosiddetti miglioramenti nelle varietà vegetali e animali rispetto a quelle tradizionali sono stati ottenuti selezionando e adattando tali varietà a condizioni che, lungi dall’essere naturali, sono il prodotto dell’utilizzo di tecnologie e risorse non rinnovabili. Molti scienziati e altre figure coinvolte nello sviluppo e nell’introduzione delle cultivar di riso e di frumento migliorati che sono stati alla base della cosiddetta rivoluzione

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Permacultura verde, a quanto pare non sono riusciti a cogliere il nesso esistente tra le monocolture sempre più produttive e la perdita progressiva di resistenza, indotta nelle nuove piante431. Naturalmente, alla base della rivoluzione verde c’era la convinzione che l’apporto di fertilizzanti, pesticidi e acqua avrebbe compensato la perdita di resistenza delle varietà migliorate. All’aumentato utilizzo di fertilizzanti e pesticidi si sarebbe provveduto comprando queste sostanze dalle multinazionali432 e nel caso dell’acqua – che non permetteva grandi profitti – si sarebbe provveduto con dighe e progetti di irrigazione finanziati dai vari governi e costruiti – anch’essi – sempre dalle multinazionali. In Australia, le prime fasi della storia dei miglioramenti colturali su base scientifica furono pilotati dal CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation), il quale diede in effetti priorità al principio della rusticità delle colture e della loro naturale resistenza alle malattie. Tale fattore si dimostrò cruciale nel potenziare un’agricoltura più naturale e a basso input energetico in Australia, molto tempo prima che si profilassero le attuali emergenze e problemi di tipo ambientale. Le rese sempre più scarse ottenute con i consueti incroci di piante tradizionali – mentre, al contempo, si verificava il passaggio dal finanziamento pubblico a quello di aziende e industrie private – ha spinto e spinge tuttora il CSIRO sempre più verso l’ingegneria genetica e verso obiettivi che riconoscono solo la legge del profitto tipica delle multinazionali. L’incrocio delle varietà vegetali orticole è stato ancora più controproducente di quello delle colture a pieno campo. Il famigerato pomodoro a raccolta meccanizzata che non ha aroma né gusto è un buon esempio dei cambiamenti avvenuti nei criteri di selezione, che hanno finito per privilegiare certe caratteristiche sacrificandone altre. Alcune prove433 hanno dimostrato che perfino con una concimazione (organica) e un’irrigazione ottimale gli ibridi di mercato migliorati non riescono a produrre quanto le varietà tradizionali. L’idea di migliorare qualcosa di già altamente selezionato, frutto di secoli di miglioramenti ottenuti con la coltivazione tradizionale, incrociando delle piante, è spesso erronea. Ciò che si fa passare per miglioramento è invece

un cambiamento non consapevole dei criteri di selezione, unito a un non voler rendersi conto delle qualità e delle proprietà che si perderanno a furia di incroci.

L’equilibrio di produttività e diversità La coltivazione di varietà che non hanno rese altissime e di altre che consentono un mantenimento della diversità riflette una tensione e un equilibrio tra produttività e resilienza che troviamo a livelli molto alti in tutti i sistemi coltivati. Su scala territoriale, riguarda il rapporto tra i sistemi coltivati e gli ecosistemi naturali, ossia senza intervento dell’uomo. Il primo fornisce alte rese, ma dipende da una gestione intensiva; al contrario, l’ecosistema naturale fornisce basse rese, ma richiede scarsi o nulli interventi da parte dell’uomo, tranne che per la raccolta (v. Principio 3 e Principio 11).

L’allevamento animale e la diversità Il mantenimento di razze animali rare è una parte importante della conservazione della diversità in agricoltura. Allo stesso modo delle vecchie varietà di ortaggi, l’allevamento di razze rare di pollame, bovini, cavalli, cani e altri animali ha tramandato l’attenta selezione operata nel corso di molte generazioni delle caratteristiche più adatte a utilizzi e ambienti specifici; caratteristiche spesso appropriate anche ai sistemi progettati su base permaculturale. Ad esempio, le varie razze di cani una volta erano specializzate nella caccia, nel riporto, nella pastorizia e in altre funzioni ancora (v. Principio 5). L’utilizzo della conformazione434 per selezionare buone varietà animali è stato sempre controbilanciato da criteri funzionali, quali le prestazioni relative al compito da svolgere, la fecondità, lo sviluppo, la resistenza alle malattie e, in generale, la robustezza.

L’allevamento su scala industriale Nell’allevamento di animali, oggi, c’è stata una separazione e una intensificazione della selezione. Nella produzione a livello industriale si è giunti a elaborare degli standard di prestazioni molto precisi, ragion per cui l’allevamento intensivo di pollame, maiali o vitelli sta trasforman-


10. Usa e valorizza la diversità

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do sempre più gli animali in macchine che difficilmente potrebbero vivere fuori dalle strutture. Si continua frattanto a mandare mucche nordamericane ed europee ultraselezionate e deboli nei Paesi del Terzo Mondo come aiuto allo sviluppo, anche se è ormai nota la natura non sostenibile e inappropriata di queste razze moderne435. Questa degenerazione causata dall’eccesso di selezione è il risultato di ciò che Vandana Shiva ha incisivamente chiamato «monocultura della mente». Questa cultura non riesce a vedere altro che il risultato immediato, ciò che è produttivo, funzionale e buono, senza prendere in considerazione il contesto più vasto o gli effetti secondari avversi di ciò che si fa.

I fantasisti dell’incrocio Le razze animali non sono state degradate solo per potenziare l’ideologia agricola economicista. In realtà, siamo andati ben oltre: i selezionatori di pollame e animali da compagnia (in particolare cani) hanno rovinato molte delle razze che hanno cercato di preservare. La selezione in base alla conformazione, senza prestare alcuna attenzione alle prestazioni e alla rusticità, è la radice dei problemi. I criteri appena citati sono stati quelli prevalenti quando gli animali dovevano essere utili più che ornamentali. Ad esempio, il naso stretto e lungo è sicuramente un tratto caratteristico dei cani di razza Collie, ma questo non significa che basta avere un cane con il naso lungo per avere una razza da selezionare perché un cane con un naso lungo può anche avere un carattere capriccioso e il cervello piccolo e non avere nulla per cui essere selezionato. Nella selezione di pollame, razze molto diffuse e comuni come la Black Australorp sono state tramandate per decenni dagli appassionati senza che venisse prestata alcuna attenzione alla loro capacità di procurarsi il cibo senza farsi prendere dalle volpi o alla quantità di uova deposte nell’allevamento allo stato brado. La resistenza e la rusticità naturali sono facili da ripristinare, nel pollame e in altri animali domestici, ma se è questo che vogliamo, allora bisognerà rinunciare almeno in parte all’alta produttività e ad altre caratteristiche della razza. Ad esempio, ho visto recuperare una varietà

di pollo tipica della giungla del sud-est asiatico nel giro di qualche generazione di allevamento allo stato libero, a partire da animali domestici. Il risultato è un animale davvero rustico e stupendo, ma provate a cercare le uova o a rinchiuderli in un recinto e vi ritroverete trasformati in un primordiale cacciatore-raccoglitore! In parte, la colpa è anche delle esposizioni di animali cui siamo ormai abituati e che premiano soltanto gli allevatori che si distinguono per l’aspetto e la purezza dei lineamenti dell’animale. Il risultato è l’inincrocio (o inbreeding), l’accoppiamento tra soggetti consanguinei, che rappresenta la dannazione della selezione eccessiva. Se gli animali vengono selezionati allo scopo prioritario di potenziare una funzione utile all’interno di un ambiente naturale – come è sempre successo per bovini e cani da pastore – l’aspetto dell’animale è molto meno importante della sua prestazione. La popolarità acquisita dai Blue Heeler, dai Kelpie436 e da altri cani da lavoro come cani domestici, minaccia dunque di distruggere l’intelligenza e l’energia che la gente ama in questi animali. La selezione in base a criteri estetici aveva ragione d’essere nel contesto tradizionale in cui una certa razza era emersa. In quell’ambiente, una particolare conformazione e un insieme di tratti e di colori rappresentavano una sorta di sommario estetico della razza, una specie di riassunto stenografico di una complessa miscela di tratti invisibili. Ma senza l’appropriato contesto ambientale le regole di carattere estetico non hanno più senso. È come celebrare il Natale europeo nell’estate australiana. La diversità, in questo contesto, è un paradosso. La diversità delle razze tradizionali viene mantenuta prima di tutto allevando in purezza, escludendo un’incontrollata diversità e ibridazione, fattori che distruggerebbero la razza; però senza un appropriato contesto ambientale, la razza è distrutta dal mantenimento della purezza. Il paradosso è analogo ai dibattiti sul funzionalismo e sull’estetica in orticoltura (v. Principio 3) e in architettura (v. Principio 7). Chiaramente il punto di equilibrio e integrazione tra produttività ed estetica è una cosa molta delicata, come lo è quello tra purezza della stirpe e vigore ibrido o quello tra forma fissa specializzata e diversità. Sono elementi che vanno riconside-

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Permacultura rati costantemente in ogni situazione e contesto. In ultima analisi, dobbiamo domandarci se ciò che stiamo facendo è in sintonia davvero con la cura della Terra e delle sue forme viventi, con la cura delle persone, con la distribuzione del surplus e con l’accettazione dei limiti.

Diversità geografica e culturale

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Mi sono occupato, finora, della diversità all’interno di ecosistemi coltivati e controllati dall’uomo. Questa diversità assume aspetti ancora più marcati quando consideriamo i diversi paesaggi antropizzati di vere e proprie regioni, documentati dagli etnobotanici e più in generale dagli antropologi. Ogni bioregione del mondo ha i suoi modi caratteristici di coltivare piante, allevare animali e organizzare il paesaggio, e spesso ha anche un proprio linguaggio per descrivere le cose, tutti elementi che riflettono la realtà locale e un certo grado di isolamento dalle regioni circostanti.

Le culture dei cibi fermentati Un sottile, invisibile esempio di una perduta diversità culturale concernente il cibo e i suoi intimi legami con la biodiversità è dato dalla variabilità microbiologica dei modi di ottenere alimenti fermentati. La pasta acida per fare il pane, che si perpetuava in qualsiasi villaggio europeo, faceva parte di un ecosistema frutto di coevoluzione composto da molti differenti lieviti e da altri microrganismi ancora. La pasta rifletteva le varietà di cereali coltivate nei campi della comunità, i metodi utilizzati dal fornaio e persino l’ambiente microbico del forno (spesso antico). Non sorprende che il pane di ogni villaggio fosse unico. Negli anni ’20, alcuni scienziati alimentari giapponesi cominciarono a purificare le colture per la produzione del miso per migliorarne l’efficienza e la produttività. Oggi, in pratica, tutti i cibi fermentati al mondo vengono prodotti con colture iniziali pure (da monocoltura). Non riusciamo neppure a immaginare cosa abbiamo perso, né tantomeno, quanto tempo potrebbe richiedere ricreare delle colture di fermentazione complesse come quelle di una volta.

Nel 1994, durante un viaggio in Europa, alla mia partner Su Dennett venne offerta una coltura di pasta acida, che doveva avere 500 anni. A parte l’impossibilità di portarsela in Australia a causa dei problemi legati alla quarantena, Su si sentì addosso una responsabilità troppo grande. Per chiunque sia riuscito a mantenere attiva per anni una coltura di fermenti per lo yogurt o la pasta per fare il pane, l’idea di una comunità che riesca a mantenere viva e stabile per 500 anni una pasta acida è aldilà di ogni comprensione. Come in natura, la diversità specializzata frutto di coevoluzione richiede una grande stabilità a livello di condizioni ambientali.

La diversità linguistica e la sua scomparsa La diversità delle culture umane, che sbalordì i primi viaggiatori e che rimane tuttora una fonte di meraviglia e di conflitto, è essa stessa una componente delle diversità bioregionali da cui traggono origine le stesse culture. Anche in Europa, dove il potere di re, imperatori e Stati-nazione, per secoli, ha mirato a creare omogeneità punendo la diversità culturale, la variabilità ricompare ogni qual volta riesce ad averne l’opportunità. La diversità di dialetti e culture da una regione all’altra è un riflesso del potere instancabile della terra di agire come agente formativo della cultura umana. Nonostante ciò, l’Europa è la patria di meno del 4% delle lingue esistenti al mondo437. Questo dato potrebbe indicare delle perdite rispetto al passato, oppure una minore diversità culturale ereditata. Secondo il World Watch Institute, il 90% circa delle 250 lingue aborigene australiane sono a rischio di estinzione; solo sette di queste hanno più di mille persone che le parlano e solo due o tre riusciranno probabilmente a sopravvivere nei prossimi cinquant’anni. La prevista scomparsa della maggior parte delle lingue del mondo nei prossimi cento anni va di pari passo con la paurosa riduzione della biodiversità, una devastante conseguenza della cultura industriale. L’estinzione delle lingue significa, in linea diretta, anche la scomparsa delle conoscenze indigene e delle modalità di progettazione e vita sostenibile legate al territorio; conoscenze e modalità difficilmente documentate o in qualche modo trasmesse.


10. Usa e valorizza la diversità

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Globalizzazione culturale e rinascita delle culture legate al territorio Reazioni alla globalizzazione La maggior parte degli abitanti di questo pianeta, attualmente, si trova a metà strada tra una cultura legata al territorio e quindi tradizionale e locale, e un’altra, definita della modernità, che viene percepita come cultura di altri popoli più o meno dominanti. Per gli aborigeni australiani, la cultura della modernità è quella dei bianchi; per gli arabi che vivono in Israele, è la cultura del sionismo ebraico; per i Corsi, è la cultura francese metropolitana. Per molti popoli del mondo, la cultura della modernità è quella degli Stati Uniti d’America, resa sempre più capillare attraverso mass media e Internet. Oltre a questo, esistono ancora tracce di dominio da parte di popoli e culture su altri popoli e culture e tali elementi influenzano pesantemente la politica e la società. Questi conflitti, spesso su scala locale, impediscono di vedere che la modernità diffusa da mass media e multinazionali è il più imponente strumento di imperialismo culturale che si sia mai visto al mondo. Di origine prevalentemente anglo-americana – con l’inglese come lingua franca – il moderno capitalismo globale (o qualunque altra denominazione si voglia usare) ha avuto come motore l’abbondanza di combustibili fossili e sta ora consumando la diversità umana culturale, agricola e naturale, sostituendola con una monocultura globale che si estende a tutti i livelli. La globalizzazione ha generato dappertutto ansia, rabbia e conflitti per la perdita delle culture locali e del significato profondo a esse connesso. La maggior parte dei popoli indigeni o ancora legati a tradizioni locali si è resa conto che quando la cultura perde il contatto con la natura, la terra, il cibo e altre espressioni concrete, i suoi aspetti più significativi – lingua, legami di parentela, credenze religiose – perdono la loro pregnanza e alla fine diventano delle tradizioni vuote, destinate a morire. La cultura globale è oggi considerata la normalità, mentre le tradizioni diventano sempre più l’anacronistico rimasuglio di un passato campanilistico. Che le persone

si rapportino in modo positivo o negativo alla modernità, questa viene in ogni caso percepita come una sorta di continuità-reciprocità con ciò che sentono personalmente come tradizione. Sono poche le persone che comprendono l’importanza delle tradizioni popolari legate al territorio e di ciò che le unisce al di là delle distanze; ancora meno sono le persone che si rendono conto di una caratteristica unica della modernità: quella di essere una cultura globale del non-luogo, senza legami col territorio.

Nuove culture legate al territorio La permacultura usa modelli comuni a varie tradizioni culturali per progettare i suoi principi e modelli. La diversità di soluzioni, strategie, tecniche di progettazione diventa lo strumento per la realizzazione di nuove culture del territorio. Dovunque viviamo, dobbiamo diventare dei nuovi indigeni. Paradossalmente, vi sono persone che considerano la permacultura come una forma di appropriazione culturale e perciò manifestano dubbi e resistenze. Da parte mia, la considero un contributo al riconoscimento del valore della cultura e delle conoscenze tradizionali e della diversità biologica, il che è un prerequisito di ciò che possiamo chiamare commercio equo culturale. Finché le fonti sono chiaramente riconosciute e rispettate e l’utilizzo delle conoscenze non è finalizzato a produrre ricchezza in quantità considerevoli su scala privata o aziendale, l’utilizzo delle conoscenze indigene è un aspetto importante – se non un fondamento – della progettazione permaculturale in molte parti del mondo. Stiamo cominciando a capire che la condivisione di esperienze tra popoli tradizionali può portare alla comprensione della diversità all’interno di modelli fondamentali largamente diffusi o addirittura universali. Gli aspetti comuni che uniscono tra loro tradizioni locali legate al territorio forniscono una potente alternativa al solito confronto tra locale e globale, che presuppone che la cultura globale del non luogo sia una cosa normale. Presumo che la globalizzazione continuerà nella sua corsa finché le risorse e l’energia non rinnovabili glielo permetteranno e che la nuova biodiversità culturale e naturale dovrà essere costruita sui residui di molti

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Permacultura sistemi diversi, sia naturali che culturali. Se il motore dell’economia globalizzata si fermasse domani, saremmo costretti a cambiamenti naturali e culturali tali da escludere il ritorno (impossibile) alla cultura e alla natura della società preindustriale. Si recupererebbero frammenti di vecchie tradizioni, relativamente intatte, che verrebbero combinati con altri frammenti derivanti dai luoghi più diversi, e di questo passo, gradualmente, si ricostituirebbe una nuova cultura locale, che avrebbe anche il vigore di una cultura ibrida. L’immagine di persone che si mettono a raccogliere i pezzi di un nuovo puzzle (v. il Principio 1) ci offre una risposta alla diversità culturale e naturale. Sarebbe un tentativo di capire e apprezzare ciò che la natura e altre persone hanno contribuito a creare e, allo stesso tempo, esprimerebbe la volontà di creare nuove culture indigene, legate al territorio dal meglio della diversità disponibile.

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Autosufficienza e diversità dei prodotti L’applicazione del principio dell’autosufficienza alimentare (v. Principio 4) ha enormi implicazioni per la diversità interna dei sistemi di produzione. In quelli attuali, ad alto consumo energetico, la diversificazione del mercato provvede ai bisogni e ai desideri della gente, anche se i sistemi di produzione che alimentano quei mercati sono quasi tutti delle monocolture. Estendendo le catene di rifornimento che vanno oltre le frontiere bioregionali – e addirittura i continenti – la varietà di prodotti offerta dal mercato è aumentata in modo impressionante negli ultimi decenni. Nel coltivare ciò che si mangia, diventa subito evidente che le persone, essendo diverse, hanno esigenze diverse; quindi, i sistemi che provvedono al soddisfacimento di tali esigenze devono fornire prodotti diversi.

I Paesi ricchi Ho sostenuto che abbiamo bisogno di considerare l’orticoltura una forma seria di agricoltura e che è necessario che vi sia un sostanziale aumento di orticoltori professionisti in grado di produrre cibo per le proprie famiglie e i propri vicini438. Per cominciare a sostituire i sistemi cen-

tralizzati di mercato nella produzione di ortaggi freschi – prima che i costi dell’energia e del cibo facciano diventare obbligati questi cambiamenti – l’orticoltura deve assicurare al pubblico quella varietà di colture e prodotti indispensabile per soddisfare le esigenze in modo efficace. Chi oggi apprezza la bontà degli ortaggi dovrebbe rendersi conto che nemmeno nel giardino dell’Eden c’era tanta diversità di ingredienti come quella a cui siamo abituati grazie alla cultura del supermercato e del frigorifero. Saranno le strategie di orticoltura che puntano a garantire la massima diversità di prodotti possibile ad avere generalmente maggior successo nell’attrarre i consumatori ormai stanchi della dipendenza dai sistemi ad alto consumo di energia. Questo può spiegare la diffusione degli orti di permacultura rispetto a quelli più tradizionali per la semplice coltivazione di ortaggi. La maggior parte degli orti convenzionali non è altro che una versione su piccola scala degli orti commerciali: non fanno che produrre in abbondanza quelle poche varietà richieste dal mercato, senza lasciare alcuno spazio alla sperimentazione, al selvatico, alla sorpresa. Allo stesso modo, la crescente popolarità delle cosiddette antiche varietà di ortaggi è, da una parte, da attribuire a una qualche forma di iniziativa politica e dall’altra alla ricerca di novità più che a un’esigenza pratica reale. Questa tendenza ha comunque l’effetto positivo di mantenere in vita la diversità abbandonata dalla produzione agricola industriale.

I Paesi poveri Attualmente, nei Paesi poveri gli orti forniscono – specialmente per i poveri senza terra che vivono nelle città – l’unica possibilità di variare anche solo in piccola parte una dieta basata sostanzialmente su pochi alimenti. Ai poveri è concessa una moderata varietà di cibi freschi (comprese le proteine animali derivanti da pollame e da altri piccoli animali) che si aggiunge a un alimento base che può essere una radice (ad esempio la manioca) o un cereale (miglio, mais o riso). In tali situazioni, la biodiversità di un orto può significare la differenza tra la mera sopravvivenza e una vita decente o, addirittura, il benessere.


10. Usa e valorizza la diversità

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In futuro, gli stessi problemi potrebbero verificarsi nei Paesi ricchi. La straordinaria crescita dell’agricoltura biologica e urbana a Cuba – dal crollo dell’Unione Sovietica in poi e dall’embargo statunitense in poi – fornisce uno dei migliori modelli per lo sviluppo di nuove modalità di produzione di cibo fresco per soddisfare i bisogni locali. Per quanto sia relativamente povera, Cuba è discretamente urbanizzata e, in quanto tale, ha sperimentato una lunga storia di agricoltura moderna di mercato440. In qualsiasi progetto di sviluppo graduale di nuovi sistemi meno dipendenti da input energetici, è importante garantire una pluralità di fonti di approvvigionamento. Un orto familiare, un mercato locale, un gruppo di acquisto presso aziende agricole, una qualche forma di baratto con amici e conoscenti, in combinazione con l’acquisto di ciò che manca (ma coltivato biologicamente) al mercato convenzionale, possono soddisfare bisogni e desideri di molte persone e fornire loro cibo fresco con maggior sicurezza.

Melliodora Alcune delle strategie che abbiamo applicato a Melliodora per potenziare la diversità nella produzione di cibo includono:  soluzioni progettuali come la realizzazione di aiole rialzate o disposte a spirale o a “buco di serratura” e altre adatte alla semina sequenziale di piccoli quantitativi di semi441;  lo sfruttamento delle variazioni microclimatiche, compre quelle indotte da ambienti costruiti come muri e simili, per coltivare piante precoci o climaticamente marginali;  l’uso di varietà precoci e tardive;  l’uso di varietà adatte alla conservazione;  l’inclusione di varietà e specie semiselvatiche che si autoseminano e possono dare un raccolto anche quando varietà più pregiate non ci riescono.

Il dibattito sulla diversità in permacultura Per alcuni, il dibattito sulla diversità in atto nel mondo della permacultura significa solo che per dare stabilità a un eco-

sistema basta mettere insieme delle specie diverse a caso. A queste persone, Bill Morrison ricorda che non è il numero di specie che si mettono insieme a dare la stabilità, ma il numero di connessioni funzionali tra le specie. Zoo e giardini botanici contengono molta diversità, ma non sono stabili, perché non possiedono le connessioni funzionali che possono creare un sistema autoregolato (sul tema della stabilità e del cambiamento negli ecosistemi, v. Principio 8 e Principio 12). Vi sono delle buone ragioni per dubitare che il semplice piantare una caotica (o anche ben pianificata) varietà di piante contribuisca necessariamente e direttamente a generare un ecosistema stabile e autoregolato. Potrebbe, però, concorrere a farlo in maniera indiretta.

Le dinamiche della diversità: proliferazione ed eliminazione Molti permacultori sono ossessionati dall’idea di coltivare quante più specie vegetali possibili. Per gli orticoltori che hanno maturato molta esperienza, il fascino della diversità viene mitigato dall’esigenza di concentrarsi su ciò che produce la verdura più pesante e col valore nutrizionale più alto nel minor spazio possibile e con meno acqua, concime e lavoro. A Melliodora, dopo dodici anni in cui siamo riusciti a non comprare ortaggi, recentemente siamo diventati più possibilisti e ci stiamo concentrando su ciò che cresce meglio ed è più facile da raccogliere; siamo magari anche disposti a sacrificare qualche albero che non sta rendendo granché. Qualcuno potrebbe interpretare questo atteggiamento come un infiacchimento dello spirito permaculturale originario, oppure come prova di realismo pragmatico. Per me, equivale a raccogliere in parte i frutti della diversità, creando al contempo un sistema più raffinato e più funzionale. Molti anni fa, uno dei pionieri della produzione biologica di piccoli frutti a scopo commerciale che aveva iniziato ispirato dai principi della permacultura442 mi disse che la strategia basata sulla diversità non aveva funzionato. Mi raccontò che aveva dovuto eliminare, da poco, tutti i suoi albicocchi e altri alberi da frutto con nocciolo dopo anni di fruttificazione stentata. Aveva poi semplificato il sistema di produzione, impiantando filari di piccoli frut-

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Permacultura ti; fra un filare e l’altro aveva seminato del trifoglio, che tagliava regolarmente e lasciava appassire sul posto. Lungo i filari, molto distanziati, aveva piantato anche meli e castagni. Quello che lui considerava un fallimento causato dall’aderenza ai principi, per me invece era stato un processo di progressione naturale: il primo stadio di proliferazione era stato seguito da uno di eliminazione, producendo un sistema più raffinato e funzionale. L’esperienza non aveva fatto che confermare il successo del principio della diversità. Per capire come realizzare dei sistemi che garantiscano una maggiore autosufficienza, è necessario rendersi conto che procediamo sempre senza sapere cosa funzionerà e come funzionerà, e questo per le seguenti ragioni:  la mancanza o la limitata rilevanza delle tradizioni sostenibili locali da prendere a modello;  l’implicita complessità e unicità dei sistemi integrati progettati per la discesa energetica;  i fattori innovativi, come la disponibilità o la presenza di nuove specie, conoscenze o tecnologie (ad esempio, il ruolo degli oligoelementi o l’utilizzo dell’irrigazione a goccia);  le forze naturali coevolutive che entrano in azione non appena i sistemi vengono messi in atto. L’implicita incertezza riguardo agli esiti del processo coevolutivo fornisce un forte incentivo alla sperimentazione, mettendo alla prova specie e strategie diverse. È inevitabile che gran parte di queste prove non abbia esito positivo ma capita spesso che, procedendo in tal modo, ci imbattiamo in soluzioni originali cui diversamente non avremmo mai pensato a priori. È naturale considerare il momento dell’eliminazione come un processo necessario per rendere produttivo il sistema. Ma senza la fase precedente dedicata all’aumento della diversità non ci sarebbe letteralmente nulla da eliminare.

Melliodora A casa mia, ho resistito alla tentazione di eliminare senza pietà ciò che non funzionava, per molte ragioni, fra cui:

 i nostri

obiettivi sono quelli di provvedere ai nostri bisogni, senza pensare alla produzione commerciale. La varietà e la curiosità come esperienze di tipo estetico rientrano tra i bisogni non materiali che il luogo in cui viviamo può soddisfare in noi, aiutandoci a ridurre l’esigenza di altri stimoli e di forme meno sostenibili e, probabilmente, più costose di intrattenimento;  visto che la nostra fattoria deve fungere da centro di ricerca e dimostrazione della permacultura, la sperimentazione è una funzione essenziale, costante e a lungo termine;  alcuni anni fa ci siamo resi conto che la ragione per cui alcune piante e alberi non producevano come avrebbero dovuto era dovuta a persistenti squilibri minerali dei nostri terreni; le misure correttive che abbiamo preso in seguito hanno portato a una rivalorizzazione di piante e alberi rimasti improduttivi o di qualità scadente fino ad allora. Abbiamo scoperto che dopo una concimazione minerale riequilibrante alcuni ortaggi che avevamo rinunciato a coltivare adesso danno risultati migliori; anche alcuni alberi da frutta, che pensavamo di eliminare o di innestare, producono adesso frutta di qualità migliore e più abbondante.

I modelli di diversità ed eliminazione in silvicoltura Nel Principio 5 ho spiegato i motivi che consigliano di diradare boschi e foreste in rivegetazione. Praticare l’eliminazione per aumentare la produttività significa tagliare gli alberi che crescono in forme non consone e quindi valorizzare al meglio la qualità del legname, ma anche stimolare nella foresta la crescita di piante diverse, soprattutto del sottobosco. Le prolifiche potenzialità di rivegetazione degli alberi tipici delle foreste (specialmente in fasce temperate) rendono il diradamento una pratica appropriata e sostenibile. Allo stesso tempo, le nuove generazioni di alberi nati da semina diretta generalmente producono legname molto più sano e di qualità migliore rispetto agli alberi trapiantati, perché migliaia di piantine forniscono una diversità incredibilmente ampia e si può effettuare il diradamento con maggior sicurezza, lasciando solo il meglio del meglio. Per queste ragioni è lecito dire che eliminare per migliorare la produttività è una misura utile solo se non intacca i pro-


10. Usa e valorizza la diversità

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cessi naturali che preservano la diversità. Non bisogna mai dimenticare il valore della diversità, ricordando che quanto guadagniamo, diradando ed eliminando, è possibile solo perché lo permette la diversità della natura.

La proliferazione naturale La natura è molto prodiga nella produzione di semi, insetti, piante giovani e anche animali; molte di queste forme viventi vengono sacrificate per sostentare le altre forme di vita che si trovano più in alto nella catena alimentare, ma anche per assicurare la sopravvivenza del più forte. Uno dei limiti della teoria dell’evoluzione di Darwin è l’eccessiva enfasi posta sulla selezione naturale che porta alla sopravvivenza del più adatto insieme alla scarsa attenzione dedicata ai fenomeni che generano la diversità. In altri termini, Darwin ha fornito la spiegazione dei processi naturali di revisione ed eliminazione del meno adatto, ma non ha detto molto a proposito del processo creativo che la natura stessa mette in alto. L’ortodossia della teoria evolutiva neodarwiniana è attualmente messa in dubbio da una pletora di idee, che tendono a dare maggiore rilevanza ai processi creativi in natura (v. Principio 12). La proliferazione di diversità seguita da eliminazione è un modello basilare in natura. Lo ritroviamo in tutti i sistemi, a tutte le scale, dal pianeta Terra, inteso come entità complessiva nella sua evoluzione geologica, alla crescita e allo sviluppo di organizzazioni di tipo commerciale. È simile al selvaggio entusiasmo e alla voglia di sperimentare proprie della gioventù, che cedono poi il posto alla sobrietà della mezza età, centrata sul trovare e mantenere il proprio ruolo nella società (qualunque esso sia). Senza sperimentazione, non sapremo mai quali possibilità abbiamo443. Gran parte dell’evoluzione dell’agricoltura e dell’economia moderna può essere vista come uno spietato processo di eliminazione di sistemi tradizionali apparentemente inefficienti, al fine di produrre sistemi più potenti, centralizzati e produttivi. In questo contesto, lo scopo della permacultura deve essere quello di sostenere e ricostruire la diversità, tenendo presente che il valore maggiore della diversità nei sistemi coltivati emergerà in futuro, man mano che eliminiamo ciò che non funziona.

Un profondo rispetto per la diversità naturale e umana è parte integrante della saggezza della maggior parte delle tradizioni spirituali. La diversità era spesso protetta da tabù, che limitavano un’eliminazione troppo zelante. Un riferimento a questo principio – e, in ultima analisi, all’etica che possiamo sintetizzare con “prendersi cura della terra” – ci chiede di prestare attenzione a tutta la diversità naturale. Solo così potremo trovare un corretto equilibrio.

Ricostituire la diversità Usare l’attuale ricchezza e abbondanza per ricostituire la diversità è un’eccellente strategia di investimento per affrontare un futuro incerto. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi sulla ricostruzione della diversità prestando attenzione, in particolare, a ciò che riteniamo più adeguato e utile. Poiché non sappiamo con sicurezza come evolverà la situazione, potrebbe essere una strategia preziosa anche la proliferazione caotica di diversità lasciata al caso, nonostante l’alta percentuale di probabili insuccessi. Si potrebbe però verificare una situazione simile alla seguente: se lasciamo crescere liberamente un gran numero di alberelli da frutta nati da seme, questi prima o poi produrranno frutta, che per lo più sarà di qualità inferiore a quella analoga prodotta da cultivar selezionate e innestate; però, su migliaia di alberi selvatici, certamente ce ne saranno alcuni meritevoli di attenzione o, addirittura, di particolare pregio. A Melliodora abbiamo scoperto che, nel caso delle nettarine, solo una decina di alberi selvatici hanno prodotto frutti, secondo noi, di buona qualità.

La rivegetazione444 Negli ultimi trent’anni del XX secolo, per le più varie ragioni, è stata messa a dimora in territori rurali una grande varietà di alberi e arbusti autoctoni dell’Australia. Le conoscenze che hanno guidato la realizzazione di tali impianti variano dalla completa ignoranza all’acutezza. La misura del successo di questa operazione è rivelata dalla diffusione di queste specie nei vari territori, dalla rigenerazione naturale e da ulteriori impianti successivi

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Permacultura ai primi. Ciò che mi sorprende, per averlo constatato anche di persona445, è che molti impianti realizzati con specie assemblate per lo più a caso e senza molto discernimento hanno ottenuto ottimi risultati. Si è scoperto così che alcuni dei più utili alberi nativi dell’Australia prosperano proprio bene fuori dal loro habitat climatico naturale. Se si fossero messe a dimora solo specie diffuse nello stesso tipo di ambiente, non avremmo mai scoperto l’adattabilità delle altre. Ad esempio, l’Eucalyptus maculata è originario della costa orientale in cui sono più che frequenti le piogge estive. Questo albero è adesso tra le varietà da legname più vigorose e di valore che prosperano in regioni dell’Australia meridionale, con frequenti piogge invernali. Inoltre, troviamo esempi di specie – poco utilizzate per la riforestazione nel loro ambiente naturale, a causa di malattie o attacchi di insetti – che prosperano in aree poste fuori dai loro limiti climatici. L’Eucalyptus gomphocephala, indigeno della pianura costiera intorno a Perth (Australia occidentale), nelle fasce piovose comprese tra i 450 millimetri a nord e i 1000 millimetri a sud viene gravemente attaccato da un coleottero. Al contrario, se questi eucalipti vengono piantati lungo la costa meridionale, dall’Australia occidentale all’Australia meridionale – regioni che passano dall’umido al semiarido – prosperano senza problemi. Nei decenni futuri, questi alberi faranno da tratto dominante del paesaggio costiero, una volta che si saranno diffusi ulteriormente, grazie alla rivegetazione naturale o a ulteriori piantagioni. Probabilmente, l’albero più straordinario degli aperti paesaggi costieri australiani è l’onnipresente Araucaria heterophylla. Questo albero è tipico di un clima subtropicale ad alta piovosità con venti costieri relativamente miti; è stato piantato – raggiungendo lentamente dimensioni ragguardevoli – anche in zone costiere australiane climaticamente avverse, con piogge invernali che raggiungono i 450 millimetri, in cui l’altezza massima raggiunta dagli alberi autoctoni è di tre metri. Questo costante elemento di sorpresa che ci coglie quando constatiamo le bizzarre strategie di adattamento delle varie specie vegetali – che si riflettono anche nel

loro stesso vigore – ci spinge a pensare che anche in futuro l’approccio basato sul caso (ossia sulla massima diversità senza applicare alcun criterio di scelta) su scelte non del tutto consapevoli continuerà a essere una fonte di diversità prodotta dall’adattamento (nel Principio 12 prenderò in esame il tema della proliferazione caotica di nuova diversità non regolata come meccanismo per accelerare l’evoluzione).

Il ritorno alle specie indigene La diversità esotica446 spesso si rivela di grande successo, ma anche alcune specie indigene divenute rare o in via di estinzione a livello locale possono essere adatte alle situazioni prevalenti. In molti progetti di ripristino ecologico, l’esito della reintroduzione di specie sia animali che vegetali può essere sorprendente. Anche quando certune sembrano condannate all’estinzione, a volte basta introdurre un qualche fattore di novità per ribaltare la situazione e riportarle alla prosperità. È questo il caso delle oasi naturalistiche, istituite (soprattutto nel sud dell’Australia) per proteggere, con opportune recinzioni, alcune specie di marsupiali dai predatori. Il successo riscontrato ha permesso la proliferazione di molti piccoli tipi di marsupiali sull’orlo dell’estinzione. Nella fattoria pilota Food Forest447 di Galwer, basata su criteri permaculturali, la recinzione antipredatori ha permesso ai bettong (bettongia) di tornare a riprodursi e prosperare. Questo animale, oltre a contribuire al controllo di erba e infestanti, è adesso potenzialmente utilizzabile anche come fonte di carne448.

Diversità economica e diversità sociale Un patchwork di sistemi basati sulla diversità Una delle grandi sfide della discesa energetica sarà quella di sostituire sistemi e soluzioni di massa con una grande diversità di sistemi e soluzioni adatti alla particolare natura di siti, situazioni e contesti culturali. Molto di quanto descritto come “progettare dal modello al dettaglio”, oppure come passaggio da “semplicità disaggregate e complessità integrate” o da “grande scala a piccola scala”, è implicitamente un passaggio da soluzioni


10. Usa e valorizza la diversità

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monocolturali di massa a un insieme di soluzioni diverse. Se vogliamo adottare un punto di vista che vada dal particolare al generale (bottom-up), la soluzione particolare, locale, integrata e sfaccettata sostituirà la soluzione dettata da una ricetta universale semplice e uguale per tutti. La diversità di queste soluzioni locali diventa evidente quando assumiamo una prospettiva più globale (top-down); vedremo allora, considerando le cose dall’alto, un tessuto a patchwork fatto di mille colori e forme.

La ricerca-attiva di diverse soluzioni agricole L’evoluzione dell’agricoltura moderna fornisce un chiaro esempio della sfida rappresentata dal pensare in modo sistemico, accettando la diversità come principio di base. Il successo della moderna agricoltura scientifica può essere attribuito in parte al sistema di formazione degli addetti all’agricoltura, che istruisce i giovani futuri coltivatori all’uso dei moderni metodi, e agli altri anelli del sistema – tra cui varie istituzioni, le facoltà di agraria, le aziende produttrici di fitofarmaci e simili – che hanno diffuso le informazioni presso gli agricoltori professionisti. Col tempo ha così preso piede una serie di sistemi agricoli standardizzati ed applicabili alle più varie situazioni. Questi sistemi hanno via via sostituito tutta quella varietà di sistemi agricoli integrati che si era sviluppata in base all’interazione, ogni volta originale e unica, tra terra, cultura, storia familiare e personalità individuale nell’agricoltura preindustriale. La trasformazione dell’agricoltura da qualcosa che è radicato nella natura a qualcosa che invece è radicato nei sistemi industriali controllati dall’uomo si è affermata più lentamente, rispetto a quanto è accaduto per l’industria e per l’edilizia, perché la diversità e la complessità della natura sono più difficilmente gestibili e controllabili, rispetto ai campi di attività di natura non biologica. È ovvio che, per me e per molti altri critici della moderna agricoltura, è del tutto naturale concentrarci sui suoi aspetti negativi; bisogna riconoscere però che essa ha conosciuto uno straordinario successo, soprattutto per quanto concerne i settori della ricerca e dello sviluppo. Ha creato metodi che, messi in pratica dalla più

grande varietà possibile di agricoltori nelle latitudini più diverse, hanno dato quasi sempre dei risultati apprezzabili. Gran parte dei dubbi che gli agricoltori nutrono sui metodi dell’agricoltura moderna non riguarda la negatività di queste semplificazioni forzate, ma la tendenza incessante all’abbassamento del prezzo di quanto prodotto. Con il calare dei prezzi anche gli agricoltori che seguono alla perfezione le più moderne tendenze, ottenendo grandi rese di raccolti di alta qualità, ricevono appena il necessario per coprire i costi. È emersa anche la pressante richiesta di sviluppare dei metodi agricoli economicamente più vantaggiosi ed ecologicamente più sostenibili; con l’affermarsi di questa tendenza, governi e ricercatori si sono allineati per escogitare metodi migliori di agricoltura. I progressi in questa direzione sono stati lenti per varie ragioni. Una maggiore volontà politica e un maggior sostegno finanziario alla ricerca sper sviluppare una agricoltura sostenibile sarebbero utili, ma vi sono alcuni fondamentali ostacoli a questo approccio top-down. Molti ricercatori non riescono a capire che la non sostenibilità dei metodi moderni è dovuta in parte al fatto che le stesse soluzioni vengono applicate alle più diverse realtà. I sistemi più sostenibili sono invece caratterizzati da un approccio che guarda alla specificità della situazione e del sito e che, in base a queste specificità, individua soluzioni specifiche. Inoltre, nell’agricoltura convenzionale, le scelte sono standardizzate e nascono all’interno di campi di ricerca ben delimitati – veterinaria, agropastorizia, silvicoltura o altro – mentre nell’agricoltura sostenibile le soluzioni emergono traversalmente e riguardano più settori allo stesso tempo. Esse sono parte di un sistema integrato, che prende in considerazione il carattere unico sia della terra sia dell’agricoltore. In questo contesto, è chiaro che gli approcci dell’agricoltura convenzionale sono totalmente inutili. Un approccio più utile alla ricerca – stimolato in parte dalla progettazione e in parte da scopi specifici – potrebbe sorgere a partire dai cosiddetti innovatori, ossia da tutte quelle persone che, in un modo o nell’altro, pare che facciano cose interessanti. Un approccio collaborativo,

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Permacultura impostato su basi olistiche, potrebbe poi essere utilizzato per misurare e documentare gli aspetti del sistema, che l’agricoltore e il ricercatore ritengono utili per ulteriori approfondimenti, o che sembrano interessanti perché potrebbero essere applicabili su più ampia scala o, ancora, servire per particolari aspetti tecnici o strategici. I risultati di una ricerca di questo genere non potrebbero essere mai classificati come definitivi o certi; raramente potrebbero produrre modelli applicabili nel complesso e su ampia scala, ma potrebbero fornire informazioni utili ad altre persone per sviluppare altri sistemi sostenibili dai contorni ben delimitati e specifici. Questo tipo di approccio è definito ricerca-attiva (action research) e ha l’effetto di riconoscere l’input creativo di chi svolge il lavoro pratico e dà inizio al processo, attribuendo al ricercatore il ruolo secondario di assistente tecnico, addetto alla documentazione e bibliotecario. Molte interessanti innovazioni nell’agricoltura sostenibile australiana – compresi i vari indirizzi di agricoltura biologica o l’utilizzo di alberi e arbusti come foraggio – riflettono questo modello, anche se raramente hanno ricevuto il sostegno della ricerca formale a queste innovazioni. Un altro vantaggio notevole di questo approccio basato sulla ricerca-azione è che ha un costo molto più basso rispetto alle sperimentazioni convenzionali che avvengono in condizioni controllate. Per molte persone nell’ambiente della ricerca questi approcci innovativi rappresentano una disperante perdita di rigore scientifico (riduzionista). Ovviamente, tali approcci non avranno mai un’influenza spettacolare sull’agricoltura di massa, con soluzioni applicabili a milioni di ettari e a colture che rendono milioni di dollari (e ai relativi finanziamenti). Purtroppo – a meno che la comunità scientifica non affronti una volta per tutte e nel modo dovuto questo spinoso problema – il tentativo di ridurre la complessità dei sistemi integrati a una serie di fattori controllabili genererà sempre più problemi che soluzioni. L’appello allo sviluppo di un nuovo settore di ricerca connesso alla scienza della sostenibilità è il riconoscimento esplicito del fallimento degli attuali metodi e discipline scientifici nell’affrontare la natura variabile, complessa e integrata delle interazioni tra gli uomini e l’ambiente in cui vivono449.

All’interno del movimento della permacultura, la necessità di siti dimostrativi che rispettassero le caratteristiche locali è stata riconosciuta come complementare all’insegnamento dei principi e metodi di progettazione più generali450. Personalmente, ho dato grande rilevanza ai siti dimostrativi impostati su base locale e alla documentazione dei casi di studio, perché ci permettono di sperimentare direttamente cosa significa “complessità integrata”, anche se non ci danno un programma preciso di azione per altre situazioni e altri luoghi. Tutti i dettagli e la complessità della nostra scienza e dei nostri sistemi su grande scala ci rendono ciechi nei confronti dell’enorme livello d’integrazione e complessità della realtà che abbiamo tutto intorno a noi.

Mercati di massa e mercati di nicchia Quando il mondo degli affari adottò il termine ecologico nicchia per descrivere i mercati emergenti non fece altro che riconoscere che i mercati di prodotti e servizi di massa, costruiti nelle prime fasi della moderna economia industriale, si sarebbero frammentati in una diversità ancora maggiore di mercati sempre più piccoli, specifici e specializzati. Da alcuni segnali, si capiva che questa frammentazione dei mercati di massa avrebbe avuto come risultato la fioritura di piccole aziende, sfidando il continuo aumento di potere delle multinazionali globali451. Se questo è avvenuto, però, è stato più che controbilanciato dalla definitiva scomparsa di innumerevoli piccole aziende e imprese e dalla capacità delle multinazionali di riprendere il controllo di molti mercati di nicchia. La rivoluzione informatica è stata il fattore principale che ha permesso alle corporations di dirottare i mercati di nicchia, utilizzando la tecnologia per fornire un apparente sostituto dei servizi offerti al singolo individuo. Le banche, con la loro incessante introduzione di nuovi servizi tagliati su misura per ogni possibile gruppo di utenza, sono le grandi maestre nel sostituire le persone con servizi informatizzati e fintamente versatili. L’esplosione di diversità nell’economia dei servizi domostra che la diversità non è di per se stessa necessariamente utile. Abbiamo piuttosto bisogno di identificare


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la varietà delle reazioni funzionali e di capire quali sistemi vengono alimentati da quelle relazioni.

Comunità, collettività e diversità Uno dei temi scottanti che animano il dibattito all’interno delle comunità intenzionali è quanto sia rilevante il legame o il patto che tiene insieme queste comunità – e che può essere dato da un sistema di valori e ideali comuni, oppure da esperienze o proprietà condivise, o da altro ancora – nonostante le forze disgregatrici e individualistiche prevalenti nel mondo moderno. Mentre è chiaro che molta gente inserita nella società mainstream manifesta nostalgia e sente la mancanza di un qualche “senso comunitario”, la realtà quotidiana, legata ai consumi energetici, continua a permettere alle persone di perseguire uno stile di vita legato a scelte individuali, che indeboliscono gli sforzi nella direzione dell’azione collettiva. Difficilmente si verificherà una rapida crescita delle comunità intenzionali, almeno finché le possibilità di scelta nel più ampio mondo economico e sociale non si saranno avviate con decisione verso il declino e la contrazione. In prima analisi, l’individualismo sembra essere la conseguenza di un’esagerata diversità, che dovrebbe essere limitata o eliminata per assicurare il bene comune. Nella pratica, però, è facile che si verifichi il contrario. In reazione alla percezione che la differenza è la fonte del conflitto, molte persone hanno messo in atto grandi sforzi per formare delle comunità con altre dalla stessa mentalità. Ciò ha spesso dato luogo a comunità di persone di età, estrazione e stato sociale più o meno uguale, solo per scoprire, dopo un certo tempo, che le aspettative di avere veramente qualcosa in comune raramente si realizzavano. Finché si trattava di allevare bambini e costruirsi una casa, la cosa recava qualche beneficio, ma con il tempo il bisogno di rapporti sociali ed economici con persone esterne alla comunità (i genitori lontani o il meccanico della città vicina) diventava spesso più forte di quelli interni alla comunità. L’esperienza ha dimostrato che le comunità intenzionali necessitano di diversità: di età, di interessi, di mezzi di sostentamento – e forse anche di ricchezza – allo scopo di:

 fornire una base allo scambio e alla interdipendenza

economica;  rendere possibile l’emergere di autorità naturali452 in relazione a diversi problemi e settori delle attività dei membri della comunità;  stimolare il riconoscimento che la similitudine e la differenza convivono in una tensione dinamica.

Il multiculturalismo Per la società, in genere il termine multiculturalismo è diventato un sinonimo – se non addirittura un metro – di diversità. Per molte persone, però, la parola multiculturalismo al massimo fa pensare a un’aumentata possibilità di scelta nello shopping. Il multiculturalismo ha in sé lo stesso paradosso insito nell’uso permaculturale della diversità biologica, in cui il processo di valorizzazione e uso della diversità naturale agevola il processo stesso del cambiamento. Il riconoscimento del valore di differenti tradizioni deve andare di pari passo con il generarsi, in modo promiscuo ed ibrido, di nuove culture legate al luogo453. Visto in questo modo, il multiculturalismo contribuisce alla scomparsa delle culture originarie ed etnicamente differenti454, come si proponevano esplicitamente le politiche ed i valori ormai ampiamente screditati dell’assimilazionismo. La differenza, probabilmente, sta nel fatto che il cambiamento e la trasformazione del pensiero dominante sono una parte implicita del multiculturalismo, mentre nell’Australia assimilazionista455 questa tendenza ha sempre trovato una fiera opposizione. Il moderno multiculturalismo è molto diverso dall’equilibrio tra gruppi etnici, che veniva mantenuto con cura ed era la norma in molte città del mondo preindustriale. Le antiche città erano simili ad alveari, ad altissima densità ma su scala umana; gente delle più varie origini etniche viveva fianco a fianco nella vita pubblica, ma tendeva, in modo addirittura puntiglioso, a mantenere inalterata la propria cultura per intere generazioni, tramandandosi lingua, istruzione, religione e perfino professioni. Questi diversi ecosistemi umani funzionavano per lo più in modo soddisfacente, nonostante i periodi di violenza che hanno punteggiato la storia del mondo antico.

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Permacultura Il moderno multiculturalismo può solo rappresentare una fase transitoria nell’evoluzione di una nuova cultura del luogo. Ciò è analogo alla combinazione permaculturale di diversità biotica nello sperimentare varie combinazioni, rispetto all’antica stabilità della biodiversità primordiale, vera icona del movimento conservazionista. Non sappiamo se il multiculturalismo potrà avere un impatto nel contrastare l’estinzione di massa della maggior parte delle restanti 6.800 lingue che ancora rimangono, nel secolo che verrà, dando spazio a una qualche forma più dolce di ibridazione e integrazione di conoscenze e culture. Un rapido e globale collasso della civiltà industriale, probabilmente, potrebbe salvare una buona parte di questa vasta diversità culturale, molto più dell’azione combinata della tolleranza multiculturale e dei movimenti di conservazione linguistica sempre tanto attivi. Quale perdita sarebbe maggiore per la sopravvivenza a lungo termine dell’umanità: quella di migliaia di lingue diverse e di culture legate al territorio, che non riescono ad adattarsi ai cambiamenti irrimediabili indotti dall’industrializzazione, o quella della vasta diversità interna di una cultura industriale, che non riesce ad adattarsi al declino energetico? Questi esiti incredibilmente tragici – contro cui possiamo fare ben poco – probabilmente ispirano malinconia e paralisi. Per me personalmente sono una molla per continuare concretamente a lavorare nel tentativo di creare nuove culture locali legate al territorio, sulla base delle quali si svilupperanno su scala globale nuove differenze biologiche e culturali. Ciò si può fare solo se ci radichiamo in un luogo e in una comunità, piuttosto che nella cultura globalizzata del non luogo; la cultura del non luogo accelera la scomparsa della diversità e lascia le comunità a piangere amaramente sulle perdite passate e sulle loro conseguenze dirette o indirette sul presente.

La diversità biologica umana La diversità biologica umana, a livello razziale, etnico e individuale, è straordinaria. Nel corso della storia uma-

na, essa è stata usata per includere ed escludere gente di ogni possibile gruppo sociale. Tale diversità, alla fine del XIX secolo, ha portato molti scienziati a suggerire che le differenze razziali, se non addirittura quelle etniche, riflettevano geneticamente gruppi precisi che avevano seguito uno sviluppo evolutivo separato. Tuttavia, la genetica moderna ha dimostrato che perfino caratteristiche molto evidenti, come il colore della pelle, sono reazioni all’ambiente e alle pressioni della selezione sociale, che operano sulla base di un patrimonio genetico umano comune, relativamente fisso e stabile nel tempo. È anche possibile che alcuni dei nostri antenati, di cui si è pensato appartenessero ad altre specie – l’esempio classico è l’uomo di Neanderthal – non fossero che variabili all’interno della stessa razza. In questa visuale dell’Homo sapiens, la diversità va considerata alla stessa stregua delle diverse varietà di animali domestici. In questo ambito, l’uomo ha applicato dei criteri di selezione connessi a una vasta gamma di preferenze e tabù culturali. Preferenze e tabù hanno operato in combinazione con i fattori ambientali, producendo le caratteristiche fisiche proprie di tribù e razze. Molto probabilmente, abbiamo applicato questo processo su noi stessi prima che sugli animali da allevamento, e si può quindi dire che gli esseri umani siano stati i primi animali addomesticati. Questa pressione selettiva continua tuttora a condizionare le caratteristiche attraverso preferenze di tipo estetico. I cambiamenti culturali sono talmente veloci che una pressione selettiva, per ottenere, ad esempio, gli occhi azzurri, può non essere mantenuta per un numero di generazioni sufficiente per creare una nuova cultura globale dominata dagli occhi azzurri. Il punto importante, relativamente all’autoselezione umana, è che essa opera attraverso processi coevolutivi culturali e che questi processi non sono controllati da un qualche individuo o da una qualche struttura di potere. Nell’eugenetica degli anni ’20 e ’30 del secolo scorso, la scienza che studiava come selezionare persone migliori era un settore della ricerca del tutto rispettabile. Tra i tanti sostenitori, a volte entusiasti, ce ne furono diversi che influenzarono la politica e le leggi dello Stato, alme-


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10. Usa e valorizza la diversità no in Germania e Stati Uniti. Gli esperimenti nazisti per la selezione di una super-razza e, ancora di più, la sistematica eliminazione di persone reputate inferiori diedero all’eugenetica una cattiva reputazione. In seguito all’olocausto, è stato ampiamente riconosciuto che è molto meglio non mettere mano alla diversità della razza umana, se non si vuole correre il rischio di compiere tragiche e orribili follie. Questo argomento è diventato talmente delicato che è perfino difficile affrontare dei temi fondamentali, riguardanti la salute e la diversità umana. Si tratta di questioni e domande come:  l’incrocio tra razze e gruppi etnici precedentemente separati ha immesso vigore ibrido nell’Homo sapiens, soprattutto nel corso degli ultimi secoli?  La scomparsa dell’identità razziale ed etnica è un fenomeno inevitabile a causa dell’ibridazione?  L’assistenza medica e altri benefici della società moderna hanno ridotto la salute e il vigore, così come gli incroci eccessivi hanno ridotto la vigoria nelle razze animali?  L’eugenetica riemergerà inevitabilmente se le biotecnologie continueranno a fornire modi di intervento sulla riproduzione umana e sulla genetica?  La tecnologia e i rapidi cambiamenti hanno reso irrilevanti le tradizionali nozioni di vigore?  Il sovraffollamento e altre forme di stress legate all’ambiente di vita rappresentano nuovi fattori di selezione?  Quale sarà l’effetto del declino energetico su vecchie e nuove forme di pressione selettiva?

Se utilizziamo la lente interpretativa dei sistemi ecologici per giudicare la situazione globale verificatasi negli ultimi millenni e quella che si verificherà nei prossimi millenni, sembra che il rapido aumento dei consumi energetici da parte dell’uomo abbia infranto vecchie e nuove forme di diversità biologica e culturale e, al contempo, abbia portato alla proliferazione del numero degli umani e all’aumento della diversità degli individui. Il climax energetico ormai raggiunto e il successivo declino, inevitabilmente, provocheranno una riduzione della popolazione umana – e forse anche della diversità tra individui – mentre allo stesso tempo stimoleranno il riemergere della diversità biologica e culturale su scala locale. Questi fenomeni si potranno verificare in forma benevola e lungimirante, oppure in forma tragica e conflittuale. Certamente è necessario riconoscere che continuerà, in qualche maniera, ad esistere un’autoselezione umana per via culturale, ma la saggezza dei secoli dice che la diversità umana dev’essere considerata un dono di Dio o della Natura. Mentre accettiamo questo dono, dobbiamo anche riconoscere che non abbiamo né il potere né la saggezza di conservare ogni aspetto della diversità umana individuale o etnica, così come non abbiamo il potere di conservare e mantenere tutte le forme viventi del Pianeta456. Anzi, pare che anche conservare la diversità che si è costituita negli ultimi millenni attraverso piante coltivate e animali domestici sia oltre la nostra capacità e la nostra saggezza. Se accettiamo questa situazione, dobbiamo accettare anche il seguente principio etico: riconoscere la diversità come forma di abbondanza di cui prendersi particolare cura e accettare che forze più grandi di noi ne stabiliscano i limiti.

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Principio

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Usa e valorizza il margine

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Smetti di pensare di essere sulla buona strada solo perché è molto frequentata457

L’icona che ho scelto per questo principio rappresenta il sole che sorge all’orizzonte, mentre in primo piano il profilo di un fiume disegna un paesaggio ricco di margini458. In ogni ecosistema terrestre il suolo vivente – che può essere profondo anche solo qualche centimetro – è il margine o l’interfaccia tra la terra minerale non vivente e l’atmosfera. Per tutte le forme di vita sul pianeta Terra, inclusa la specie umana, il suolo rappresenta il margine più importante. I suoli profondi, ben aerati e drenati, sono come una spugna, un grande interfaccia che fa da supporto a una vita vegetale produttiva e sana. Il numero di specie vegetali abbastanza rustiche da poter prosperare in un suolo compattato, con poco drenaggio e poco profondo, è davvero esiguo. Un suolo di tal tipo ha, per questo, un margine insufficiente. Le tradizioni spirituali e le arti marziali orientali considerano la visione periferica una capacità sensoriale di grande importanza, che ci collega al mondo in modo molto diverso dalla visione focalizzata. Il Principio 11 ci ricorda di mantenere viva la consapevolezza e di fare buon uso dei margini in tutti i sistemi e in ogni dimensione. Qualunque oggetto sia al centro della nostra attenzione, dobbiamo ricordare che è al margine di ogni cosa, sistema o strumento, che avvengono i fatti più interessanti. Una progettazione che considera il margine come un’opportunità piuttosto che come un problema avrà probabilmente maggior successo e si dimostrerà più flessibile. Nel corso del capitolo proveremo a confutare le connotazioni negative associate all’aggettivo marginale e cercheremo di dare

valore agli elementi che, dalla periferia, contribuiscono alla funzionalità di un dato sistema. Il detto “Smetti di pensare di essere sulla buona strada solo perché è molto frequentata” ci ricorda, ancora una volta, che quanto si caratterizza come comune, ovvio e popolare non necessariamente è anche significativo e autorevole.

I margini nel paesaggio Le coste Su scala globale, i sistemi costieri sono interfacce ecologicamente produttivi tra il regno dell’acqua degli oceani e la terra. Se le profondità degli oceani sono deserti ecologici, nel senso che mancano di vita, le acque costiere poco profonde, nutrite dai sedimenti provenienti dai territori interni, presentano un’enorme diversità di pesci e di altre forme di vita. Gli estuari, soggetti al gioco delle maree, sono margini complessi tra mare e terra, e possono essere visti e considerati come grandi zone di scambio tra i due domini di mare e terra. Le acque poco profonde permettono la penetrazione della luce; la luce a sua volta, permette la crescita di alghe e altre specie vegetali che, a loro volta, danno nutrimento a uccelli migratori e non. L’acqua dolce di torrenti e fiumi scorre sopra lo strato di acqua salata più pesante, che pulsa avanti e indietro con le maree di ogni giorno, redistribuendo nutrienti e cibo per forme di vita di ogni specie. All’interno degli ecosistemi terrestri, specchi d’acqua come fiumi, laghi e zone umide sostengono ecosistemi acquatici e semiacquatici di acqua dolce di vario gene-


11. Usa e valorizza il margine re, ricchi di vita e produttivi. La vegetazione immediatamente adiacente ai corsi d’acqua (vegetazione riparia) spesso presenta una grande diversità e una maggiore densità di specie rispetto alla vegetazione più distante dalle rive. Al contrario, quando mare e terra si incontrano sul limite angusto di una spiaggia sabbiosa o di una scogliera, l’interfaccia si riduce al minimo e il flusso energico impetuoso ed incostante dei frangenti e del vento rende difficili le condizioni di vita. Troveremo al-

lora un numero limitato di specie resistenti. Solo alcune forme di vita animale riescono a nutrirsi dei detriti prodotti dalle selvagge energie di queste zone limite. Nelle regioni tropicali, il tempo generalmente stabile e i flussi marini moderati permettono alle mangrovie – supremo esempio di interfaccia vivente tra terra e mare – di allontanarsi dagli estuari protetti dalla marea e di spingersi a colonizzare delle zone fino al mare aperto, specialmente se si tratta di promontori rocciosi.

Gli ecotoni In biogeografia, un ecotono è un margine tra due bioregioni, in cui si sovrappongono alcune specie delle due regioni confinanti; conseguentemente, negli ecotoni la biodiversità è maggiore che nelle due Altopiano continentale regioni. Gli ecotoni generati per mezzo dell’altitudine possono essere molto stretti (meno di un chilometro); quelli generati per mezzo della latitudine o della distanza dal mare (continentali o marini) possono essere larghi decine di chilometri. La valle del Towamba, sulla costa meridionale del New South Wales, è il centro di uno dei più importanti ecotoni del continente australiano e fa da margine a Valle tre regioni diverse: la costa orientale caldel Towamba, do-temperata, la costa meridionale frescoWyndham temperata e gli altipiani freddi e aridi della regione Monaro (v. la Figura 30). Nel 1980459, mentre mi occupavo di progettare e organizzare una tenuta di campagna nella Valle del Towamba Valley, mi Costa meridionale capitò di notare la presenza di tredici tipi con clima fresco-temperato di eucalipto, caratteristici di tutte e tre le bioregioni, in meno di 75 ettari. Questo mi fece capire che ci trovavamo vicini al cuore dell’ecotono. In altre regioni del sud Australia di dimensioni simili, mi ero abituato a vedere due, sei o anche otto, specie di Figura 30 – Ecotoni in sovrapposizione tra bioregioni principali, lungo eucalipto, ma mai tredici. A parte le comla costa meridionale del New South Wales.

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Costa orientale con clima caldo-temperato

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Permacultura plessità connesse al valore del legname e alla gestione di queste foreste, queste specie erano il segno di un clima locale che produceva alcune bizzarre combinazioni meteorologiche, di importanza cruciale per ciò che poteva crescere o meno in un orto. I geografi riconoscono che le città più antiche erano situate al margine di almeno due regioni o ecosistemi produttori di risorse principali. Normalmente, le città venivano edificate in porti naturali o in baie protette lungo la costa, adiacenti ai grandi fiumi e spesso alla confluenza di fiumi importanti, oppure alla base di pendii tra montagne o in un’area sovrastante una pianura.

si estendono foreste di karri (Eucalyptus diversicolor) con un sottobosco di felci dalle morbide foglie. La transizione tra il bosco-brughiera, con alberi alti fino a sei metri, e la densa foresta, in cui dominano karri alti fino a 40 metri, avviene in uno spazio corrispondente all’altezza di un karri maturo. In una striscia di territorio di 25 chilometri, compresa tra il fiume Gardiner e il fiume Shannon, la Chesapeake Road attraversa in linea retta più di una dozzina di spettacolari isole dominate dai karri, ora fortunatamente protette dal D’Entrecasteaux National Park. Guidare in un paesaggio del genere è un’esperienza unica e sbalorditiva, che incute sgomento e ammirazione insieme.

Ecosistemi terrestri I cambiamenti nel tipo di suolo, di pendenza o di orientamento (crinali) possono creare una rapida transizione nel tipo di vegetazione in spazi distanti anche solo un metro. Camminare lungo questi margini trasmette la forte sensazione di essere in un grande giardino, in cui una mano invisibile stia facendo il grosso del lavoro di togliere le erbacce e ripulire. La trasformazione più radicale avviene nei margini tra foresta e prateria, brughiera o palude. In queste zone troviamo un numero maggiore di specie di uccelli, rispetto all’una o all’altra regione, perché vi si accumulano le risorse di entrambi i sistemi. Spesso i margini marcano anche il confine tra due diversi ecosistemi terrestri (v. Principio 8). I tratti particolarmente caratteristici che troviamo all’incontro tra territori selvaggi di diversa natura elevano molto lo spirito, probabilmente perché è in questi casi che riconosciamo il potere creativo della divinità che sta nella natura. Una delle mie strade preferite è la Chesapeake Road, che si trova sulla selvaggia costa meridionale dell’Australia occidentale. Corre attraverso brughiere piene di fiori di campo, con un mosaico di paesaggi che vanno da eucalipti striminziti – a misura di brughiera – a pantani di canne e giunchi su terre torbose e sabbiose allo stesso tempo. Questi terreni sabbiosi sono il risultato di diecimila anni di instancabile azione dei venti occidentali e la sabbia proviene dalle massicce dune costiere che si trovano a dieci chilometri di distanza a sudovest. Su questa pianura di sabbia e torba e di acqua che ha il colore del tè spiccano rosse isole di granito e argilla, su cui

Il margine su microscala All’interno dell’organismo di piante e animali e nel terreno, il margine è lo spazio in cui si svolge l’azione. I polmoni sono forse l’esempio migliore di un modello frattale di tessuto (una sorta di delicato strato di pelle), che permette il massimo scambio gassoso tra atmosfera e globuli rossi. Le radici delle piante hanno una massa sorprendentemente piccola, ma una enorme estensione superficiale (o margine) che permette l’assorbimento osmotico di acqua, gas e sostante nutritive finemente dissolte. La superficie delle radici e l’ambiente immediatamente circostante sostentano – letteralmente, ossia attraverso il flusso di carboidrati provenienti dalla pianta – miriadi di microrganismi, i quali rendono disponibili e regolano la fornitura di nutrienti minerali. Argilla e humus formano delle superfici complesse (indicate dalla capacità di scambio cationico del suolo), che trattengono e rilasciano sostanze nutritive perché vengano assorbite dalle piante. La struttura del suolo è composta da piccoli agglomerati di terreno (chiamati ped), nei cui spazi intermedi fluiscono acqua e aria. In buona misura, ciò che rende un suolo produttivo è una struttura sciolta e friabile; questa struttura crea il massimo margine possibile.

Il margine come proprietà sistemica Dagli esempi finora presentati traspare chiaramente che il margine – nei più vari sistemi e dimensioni – è


11. Usa e valorizza il margine una parte produttiva e dinamica di tutti i sistemi naturali, in cui avvengono scambi di materiali e di energia. Il margine è lo spazio in cui si instaurano relazioni di cooperazione o di competizione sia tra gli elementi di uno stesso sistema che tra sistemi diversi. Cosa costituisca un margine e cosa un sistema a sé stante, è una questione di dimensioni e prospettive. Su una data scala, i margini rappresentano solo una piccola parte di un qualsia-

si sistema460. Tuttavia, l’aumento del margine può essere un metodo importante per incrementare anche l’intensità e la produttività del sistema. È possibile che l’aumento di complessità del margine possa servire a stimolare la crescita di un sistema, in alternativa alla semplice espansione materiale del sistema stesso. Da questo punto di vista, accrescere l’utilizzo del margine rientra nel principio di privilegiare il lavoro su piccola scala.

Elemento/Specie (differenza, possibilità, variabilità)

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Persone

Abbondanza Ricchezza Conoscenza

Territori Strutture Istituzioni

Vita Spirito Cultura

Risorse

Crescita Successione Economia

Fonti energetiche (flusso di emergy, produttività)

Società

Ecosistema a rete (connessione, feedback)

Figura 31 – Una possibile rappresentazione concettuale461 di interazioni tra sistemi auto-organizzati.

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Permacultura

Il sovrapporsi di margini concettuali I diagrammi di Venn – così chiamati dal nome del logico inglese John Venn – sono stati ampiamente utilizzati per spiegare le sovrapposizioni tra sistemi di elementi in matematica. La mappa riportata nella Figura 30, simile a un diagramma di Venn, mostra il sovrapporsi di ecotoni tra diverse bioregioni. I diagrammi di Venn possono essere usati anche per organizzare concettualmente delle interazioni e sovrapposizioni spesso molto complesse. Ad esempio, nella Figura 31 i piccoli cerchi interni rappresentano l’intervento dell’uomo in funzione di interazioni concettuali più grandi tra aspetti energetici, aspetti elementari e relazionali degli ecosistemi naturali. Questi diagrammi, lungi dall’essere una rappresentazione rigida della realtà, ci aiutano a capire meglio concetti e fenomeni sovrapposti e a volte molto confusi.

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Il margine nei territori coltivati La vecchia Inghilterra Il tessuto a patchwork del paesaggio agrario tradizionale dell’Inghilterra era costituito da campi di pezzatura irregolare limitati da siepi, con piccole aree a bosco e a sottobosco, villaggi di case addossate l’una all’altra con reticoli formati da strade e sentieri, ruscelli e altri corsi d’acqua, stagni e canali di drenaggio. In altre parole, era un paesaggio dominato dalla cultura e dalla pratica dei margini, che venivano gestiti con la massima cura. Le varie parti di questi territori coltivati erano probabilmente la riproduzione di valori che esistevano in epoche precedenti in forma meno intensiva, ossia al tempo della colonizzazione anglosassone. Una siepe o una cintura di protezione di alberi e arbusti, può essere vista come margine o limite tra foresta, terreno coltivato e pascolo. Canali di drenaggio e di irrigazione, stagni e dighe non fanno altro che aggiungere un ulteriore margine, formato dall’incontro tra acqua e terra. Il passaggio da sistemi su piccola scala, come quelli descritti, alle monocolture su larga scala ebbe l’effetto di eliminare gran parte della complessità implicita nella ricchezza di margini. La scomparsa delle siepi dai paesaggi agrari tradizionali, sia in Gran Bretagna che in Europa, allo scopo di creare più ampi spazi coltivabili è quello che abbiamo sotto

gli occhi attualmente. Riducendo l’estensione del margine nei paesaggi coltivati, si ottenne l’effetto di ridurre i costi della gestione e della manodopera, permettendo anche qualche aumento nella produttività. La semplificazione del paesaggio agrario va di pari passo con l’alto dispendio di risorse energetiche fossili – sotto forma, in primo luogo, di carburante – e con rese monocolturali più alte. Purtroppo, tali cambiamenti si sono tradotti anche in una minore ricchezza ambientale: perdita di habitat per le specie selvatiche e perdita di specie vegetali, disponibili senza bisogno alcuno di essere coltivate (fra cui specie officinali); perdita di risorse come legname da costruzione e perdita di valori non materiali come l’amenità del paesaggio. Oggi, la campagna tradizionale inglese – o piuttosto ciò che ne rimane – viene considerata alla stessa stregua di un monumento da salvare per il suo valore estetico, ambientale e culturale. In effetti, essa è anche una risorsa economica: milioni di sterline vengono spesi ogni anno da turisti, di cui molti provenienti dall’estero, alla ricerca dei sapori e del paesaggio della Old England. Questi musei viventi sono importanti per un futuro sostenibile perché possono fungere da modello per la progettazione e la realizzazione di aziende agricole sostenibili su scala moderna.

I terrazzamenti del Mediterraneo Dal XIV al XVI secolo, il terrazzamento di intere colline degradate dall’eccessivo pascolo, in molte sezioni costiere del Mediterraneo e dell’immediato retroterra, aumentò la produttività agricola dando luogo a un eroico e al contempo meticoloso lavoro di mantenimento e creando un esteso margine a livello territoriale. Questi e altri lavori di terrazzamento illustrano il modello generale nello sviluppo dei paesaggi coltivati dopo l’eliminiazione delle foreste primigenie. Il disboscamento iniziale di aree limitate di foresta serve ad aumentare la zona a pascolo e a provvedere ad altri bisogni, aumentando così l’area a margine, la diversità ecologica e la produttività agricola. Un disboscamento ulteriore riduce il margine e produce degrado, riducendo anche la produttività. Alla fine, dopo rilevanti investimenti di risorse in margini di nuova impronta, i valori ecologici e la produttività agricola aumentano.


11. Usa e valorizza il margine

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La quantità di margine strutturale di un territorio può essere considerata un indicatore principale462 di diversità biologica e di risorse e, in ultima analisi, di produttività economica463.

L’Australia com’era una volta La gestione attiva del paesaggio da parte degli aborigeni australiani agì da stimolo all’ideazione della permacultura già ai suoi inizi, molto prima che una decisione della Mabo High Court rovesciasse la finzione legale di terra nullius464. I primi europei che si stabilirono in Australia si trovarono di fronte un paesaggio sotto tutti gli aspetti alieno e bizzarro. A parte la monotonia, la sua peculiarità, le sue caratteristiche e i margini stessi erano difficili da cogliere. Le differenze, rispetto ai territori coltivati dell’Inghilterra, erano certamente grandi, ma non poi così stupefacenti come si immagina comunemente oggi. Grandi porzioni di territorio indigeno erano coltivate o, per meglio dire, gestite, tramite il fuoco e l’incendio controllato, dagli aborigeni, in modo da creare del terreno boschivo aperto al pascolo, con sezioni di foresta pluviale o macchie di alberi e passaggi con margini molto bruschi da un tipo di paesaggio all’altro. Oggi notiamo vasti tratti di terra agricola in aperta distesa oppure dense foreste riformatesi dopo il disboscamento. Le aree caratterizzate da mosaici con prati, boschi e foreste sono di solito meno degradate, più biologicamente produttive e anche più adatte a progetti di sviluppo residenziale rurale rispetto all’uno o all’altro estremo rappresentati dalla fattoria su terreno aperto o dalla densa foresta. La gestione aborigena della terra I sistemi di gestione della terra utilizzati dagli aborigeni potrebbero fornire diverse utili indicazioni per una gestione sostenibile del territorio nell’era del declino energetico. Per questo li esamineremo qui più dettagliatamente. Le mie elucubrazioni infantili, al tempo delle prime lezioni di storia nel mio Stato natale Western Australia mi stimolarono molti anni dopo ad approfondire l’argomento. Avevo trovato davvero molto curioso che i primi colonizzatori si fossero fermati alle dolci colline della catena del Darling465 e che non avessero osato andare oltre, per

esplorare e creare insediamenti, per svariati anni. Potevano mai essere così incompetenti quei colonizzatori, da fermarsi davanti a una linea di dolci colline? Anni dopo scoprii che la risposta a questa domanda aveva a che fare con la natura della vegetazione e con la sua gestione da parte degli aborigeni. Sulla fascia costiera pianeggiante dominava un paesaggio costituito da piatte distese di sabbia, ricoperte di erica e macchiate qua e là da paludi, da creste calcaree e da boschi di Eucalyptus gomphocephala, mentre ai piedi delle colline ricchi depositi alluvionali avevano dato vita a estesi boschi, che raggiugevano il vasto estuario del fiume Swan. Questo paesaggio contrastava radicalmente con quello che si trovava oltre le colline; Dale, l’esploratore che per primo si spinse al di là di esse, descrisse una buia e tetra foresta dominata da alberi di jarrah (Eucalyptus marginata), che sembrava prolungarsi all’infinito e in cui non si riusciva a distinguere sentiero alcuno, tanto che le guide indigene si dileguarono, dopo due giorni. Quando infine raggiunse i suoli granitici oltre la foresta di jarrah, Dale descrisse «un territorio bello come una tenuta di campagna di un nobile inglese, con alberi tanto distanziati l’uno dall’altro da rendere quasi insignificante lo spazio da essi occupato e dappertutto si vedevano i fuochi dei villaggi aborigeni»466. Gli aborigeni utilizzavano la maggior parte dei territori australiani. Alcune aree erano densamente abitate e gestite, mentre altre venivano lasciate allo stato primigenio di foreste, per lo più pluviali. Le zone più densamente popolate e utilizzate tendevano ad avere una o più delle seguenti caratteristiche:  buona fertilità minerale;  piovosità moderata;  margini lungo corsi d’acqua permanenti, laghi, paludi e coste, oppure aree poste all’incrocio tra ecosistemi diversi e importanti, che potevano offrire una alimentazione variata e altre risorse;  una struttura della vegetazione tendente alla foresta rada o al terreno boschivo, ma con bordi delimitati di vegetazione più fitta in zone protette, come ad esempio gole ed altri luoghi riparati;  sacche di elevata fertilità minerale e materia organica.

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Permacultura Le prime tre caratteristiche possono essere considerate aspetti stabili del paesaggio, ma anch’esse cambiarono radicalmente nella lunga memoria storica che fece da guida alla gestione della terra da parte degli aborigeni. La capacità di adattarsi a tali variazioni, senza cambiare in modo sostanziale gli aspetti culturali – come risulta da prove di tipo archeologico – sta a testimoniare che la cultura degli aborigeni aveva una grande capacità di adattamento. Le ultime due caratteristiche furono in larga misura il risultato delle pratiche di gestione della terra nel corso dei secoli. In effetti, sarebbe appropriato considerare il territorio australiano, al tempo dell’arrivo dei bianchi, un paesaggio culturale467, molto idoneo a essere abitato dagli umani, piuttosto che un territorio selvaggio e inospitale. Ciò è provato da testimonianze storiche ed ecologiche. I movimenti stagionali dei gruppi di aborigeni seguivano modelli specifici e culturalmente radicati, che trovavano ragione nella raccolta di cibo e nell’applicazione di pratiche di gestione del territorio adatte all’ecosistema della regione in cui i gruppi si trovavano a vivere. La raccolta e la gestione venivano spesso ottenute con una stessa attività in modo (apparentemente) non pianificato. La sincronizzazione di tali attività era determinata da indizi precisi che si coglievano in quel particolare ambiente naturale. Lo strumento di gestione più incisivo era il fuoco; con esso si dava forma a interi territori, rendendoli luoghi abitabili in cui fosse agevole vivere. L’obiettivo più rilevante di questa pratica era l’aumento della produzione di cibi tradizionali. Rhys Jones, studioso della preistoria, ha coniato il termine firestick farming per descrivere questo processo di gestione della terra. È tuttora dibattuta la questione della frequenza e dell’intensità degli incendi controllati, in base ai vari tipi di vegetazione e di bioregioni, ma esistono prove fondate che non avevano effetti casuali né caotici. I territori che gli Europei trovarono al loro arrivo in Australia non avrebbero potuto avere l’assetto riscontrato se gli aborigeni non avessero seguito la pratica di appiccare il fuoco con grande regolarità e precisione per migliaia di anni. A mio parere, il fuoco veniva appiccato il più sovente possibile – ad esempio ogni anno nella stagione secca – a

quelle porzioni di territorio australiano (brughiere e savane) per natura più sensibili. In tal modo, l’incendio colpiva solo i siti più aridi, in genere quelli orientati a nordovest e quelli posti su crinali con suoli a struttura poco profonda e di bassissima fertilità. Le gole e i pendii rivolti a sud e i siti più fertili agivano da barriere antincendio. Questa regimazione aveva molteplici effetti:  rendeva accessibili luoghi e sentieri per spostarsi da un territorio all’altro, creando un vero reticolato di percorsi;  dava forma agli alberi più vecchi, creando cavità destinate alla nidificazione – nei punti in cui i rami morivano bruciati – e cavità alla base dell’albero, che venivano utilizzate come rifugio o addirittura, nel caso di alberi particolarmente antichi e venerati, per partorire;  il fuoco stimolava, in savane e praterie, la crescita di una vegetazione lussureggiante ad alto contenuto proteico, che attraeva canguri e altri erbivori, agevolava la fioritura delle piante di brughiera ricche di nettare ed era di frequente indispensabile per stimolare la germinazione, fruttificazione o la formazione di tuberi in piante alimentari delle specie più varie (orchidee, yam e leguminose);  creava, col tempo, un progressivo calo della fertilità minerale e del contenuto organico del suolo, predisponendo a un maggior sviluppo delle specie vegetali più sensibili al fuoco. Ciò potrebbe sembrare una forma di degrado della terra, ma bisogna considerare che i nutrienti persi dalle aree soggette al fuoco, attraverso il fumo e l’acqua, finivano con l’essere assorbiti da quelle circostanti risparmiate, spesso più in basso di pendii. Con il tempo, tali aree acquistavano in fertilità e passavano a una fase ecologica di vegetazione meno sensibile al fuoco (spesso diventando foresta pluviale). Queste isole di vegetazione finivano dunque per diventare fonti alimentari e habitat per animali, a loro volta fonti alimentari per gli aborigeni; gli animali utilizzavano proprio la produttività stagionale resa disponibile dalle aree bruciate. Le pratiche di gestione del territorio radicate nella tradizione culturale produssero un modello a fisarmonica


11. Usa e valorizza il margine di degrado e arricchimento nelle varie aree soggette alla pratica del firestick farming. Tale modello funzionava perché i due elementi del degrado e dell’arricchimento erano concatenati e si rinforzavano a vicenda. Tale modello illustra anche il fondamentale processo di distribuzione dell’energia nei territori coltivati dagli aborigeni, descritto nel Principio 7 ed è inoltre un brillante esempio di utilizzo del margine: in questo caso, quello che si crea tra area bruciata e area non bruciata, che arricchisce la biodiversità e la produttività di interi territori.

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Esempi urbani di utilizzo del margine Il margine urbano-rurale I margini sono siti di produttività dinamica e varia, sia nei territori coltivati dall’uomo che in quelli naturali. Si possono riscontrare tali caratteristiche anche nei moderni sistemi economici e società industriali. L’espansione urbana, oggetto di studio e preoccupazione di generazioni di urbanisti, è una delle peculiarità dei moderni insediamenti umani basati sull’uso dell’automobile; ma, anche se sono l’automobile e la disponibilità di energia a basso costo a rendere possibili i nuovi quartieri, ciò che spinge le persone ad andare a vivere in queste zone è la costante ricerca del margine tra città e campagna, tra il mondo antropizzato e il mondo naturale468. Il margine dei quartieri periferici, con i suoi lotti ancora inutilizzati e spazi aperti, ha fornito e fornisce a generazioni di Australiani un buon posto per crescere e diventare adulti, ma, man mano che la monocoltura urbana si impone, soffocando le risorse rurali, il carattere positivo di questo margine viene distrutto. Il margine che le persone cercano, col crescere della città, si sposta irrimediabilmente ancora più in là. Paesaggi suburbani come il North Shore di Sydney sono da sempre gradevoli e attraenti, come proprietà immobiliare, perché il tessuto suburbano è limitato dalla conformazione topografica del luogo e questa presenta quelle scarpate piene di vegetazione e quelle pittoresche insenature che lo rendono attraente. La progettazione suburbana più sensibile cerca il più possibile di mantenere gradevoli spazi verdi lungo i corsi d’acqua, che, oltre a rendere il luogo più amabile, servono a convogliare le ac-

que reflue e a creare aree urbane più fruibili, densamente popolate e adibite ad isole pedonali da cui è possibile raggiungere in bicicletta la città469. Questi processi possono essere tutti considerati in vari modi connessi alla ricchezza e alla produttività del margine, che, oltre a essere frutto dei processi di interazione naturale, può – come si è visto – essere anche opera di un’azione attentamente pianificata da parte dell’uomo.

Le vetrine dei negozi come margine Nelle città, lo spazio antistante le vetrine del centro è diventato una merce pregiata di grande richiesta; gli agenti immobiliari lo vendono e lo affittano a chi offre di più. Lo shopfront è, oggi più che mai, l’interfaccia tra il territorio pubblico, cioè la strada, e l’ambiente privato delle merci che sta dentro il negozio, il margine attraverso cui passa l’informazione sulla merce in vendita e attraverso cui le persone dimostrano il loro interesse alla transazione commerciale. L’aumento dello spazio cittadino dedicato al commercio e alla vendita al dettaglio si è tradotto nell’aumento capillare di tutti gli spazi deputati, in un modo o nell’altro, allo shopping. Il margine che accresce lo spazio della transazione è aumentato a dismisura. Centri commerciali di ogni sorta e misura hanno catturato e racchiuso il margine dedicato alla vendita al dettaglio; tutto ciò che prima avveniva per strada, al mercato, in spazi pubblici aperti è ora per lo più manipolato e organizzato per massimizzare lo scambio denaro-merci. Questa organizzazione-manipolazione fa dello spazio antistante il negozio (vetrina e marciapiedi insieme) la membrana di una confusa struttura frattale, in cui il pubblico, in modo naturale e inconsapevole, riempie borse e carrelli di merce in cambio di denaro, per poi convergere in una sorta di monocultura del grande parcheggio!

Esempi classici in permacultura Se l’utilizzo del margine è dappertutto, il problema consiste nel modo in cui esso viene applicato. Molti libri di permacultura offrono esempi sull’utilizzo del margine:

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Permacultura  le

aiuole a buco di serratura470 aumentano il margine accessibile, includendo letti di semina e sentieri;  stagni e dighe costruiti in modo non squadrato, con penisole, aree umide e isole di forma sinuosa, hanno una produttività biologica totale maggiore rispetto a superfici dominate da semplici linee rette. L’aumento di superficie del margine fa aumentare la quantità di pesce che si può allevare all’interno della diga, poiché offre un habitat più ampio – anche per quanto concerne l’alimentazione – agli organismi acquatici, di cui i pesci si nutrono.

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La rivegetazione Siepi e barriere frangivento sono tradizionali esempi di margine, applicati in permacultura, che servono anche a modellare il paesaggio. Personalmente, ho fatto di questo tipo di lavoro una vera e propria area di specializzazione nell’ambito della rivegetazione delle proprietà agricole471. Le strategie dell’agricoltura su ampia scala spesso suggeriscono di restituire interi territori alla foresta, ma vi sono zone in cui, per varie ragioni – potrebbe trattarsi di suoli arabili molto fertili di media piovosità o di aree a bassa piovosità sfruttabili come pascolo – ciò sarebbe uno spreco di risorse o potrebbe non avere un esito positivo472. La forma di rivegetazione più efficace e produttiva è spesso quella di tipo lineare – lineare non significa necessariamente diritta – con interi filari di alberi. Se queste cinture di alberi (o bande boscate) sono abbastanza fitte – devono comprendere minimo cinque filari – riusciranno a svolgere bene la loro funzione di margine, sia come foresta che come barriera protettiva. In questo modo, ottimizzeranno la funzione passiva di barriera e la produzione di legname, del rimboschimento completo di terreni a coltura o a pascolo e altro senza gli svantaggi tipici.

Agroforestazione Questo tipo di coltura mette insieme colture tradizionali, pascoli e sistemi alberati poco fitti, creando così un nuovo sistema completamente integrato. Tale

sistema ha ricevuto molta pubblicità sia in Australia che in Nuova Zelanda. L’agroforestazione è in generale una buona applicazione di molti dei principi legati alla permacultura ed in particolare dei sistemi integrati, ma possono esservi alcuni problemi:  in genere, gli alberi, anche i più robusti e rustici, preferiscono crescere, nei primi stadi, in gruppi numerosi e fitti; in tal modo le chiome li proteggono dalla concorrenza dell’erba, che è il peggior nemico degli alberi giovani;  dare una forma ottimale agli alberi (per la commercializzazione successiva del legname), quando sono stati piantati radi, è difficile e richiede molto lavoro;  lo spazio tra un albero e l’altro indica il tipo di coltura o di macchinari da utilizzare per la fienagione. Questi problemi hanno naturalmente portato ad altri sistemi di coltivazione a bande boscate e barriere frangivento473 in cui è previsto, ad esempio, che gli alberi siano concentrati in fasce, ma conservando la benefica interazione tra gli alberi e le colture attuate tra una fascia di alberi e l’altra. Tutti i sistemi indicati costituiscono un buon esempio di uso del margine474, senza dissolvere completamente la natura indipendente del sistema coltura o del sistema foresta. Giocando con il principio del margine, possiamo progettare l’utilizzo in programmi di rimboschimento e aumentare la lunghezza del margine stesso, ma sempre assicurandoci che esso rinforzi i modelli fonfamentali del paesaggio e del suolo. In tal modo, possiamo ottenere i maggiori vantaggi dall’utilizzo del margine e, al contempo, evitare i problemi della completa integrazione. Un altro esempio, nella rivegetazione, è quello di piantare arbusti lungo il margine delle piantagioni di alberi, non all’interno. Ciò può sembrare meno naturale ma porre gli arbusti sul margine esterno presenta i seguenti vantaggi:  si riduce il problema di dover tagliare i rami più bassi della prima fila di alberi (quella vicina agli arbusti);  il tappeto della foresta viene protetto dagli arbusti contro vento e incendi;  gli arbusti piantati all’esterno vivono in buona salute più a lungo, perché hanno un maggiore accesso


11. Usa e valorizza il margine alla luce solare e all’umidità. In questo modo anche l’aspetto estetico ci guadagna, in varietà, e si hanno fioriture più prolungate e più belle da vedere. Lo schema di margine appena descritto in effetti imita lo sviluppo dei margini delle foreste naturali, in particolare la fase in cui lo sviluppo della chioma vegetale riduce la luce a disposizione per gli arbusti del sottobosco.

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Il margine progettato come segregazione appropriata Nel Principio 8 ho parlato della segregazione come di una strategia a volte utile – anche se semplicistica – per risolvere problemi legati alla competizione o al conflitto tra elementi di uno stesso sistema. Il giusto equilibrio di integrazione e segregazione, tra gli elementi e le funzioni di un sistema, è difficile da stabilire. Spesso una progettazione che permetta a tutti gli elementi e le funzioni di un dato sistema di svilupparsi appieno separatamente ottiene risultati migliori di una che preveda una completa integrazione. Le strategie di rimboschimento che abbiamo appena delineato implicano l’aggiunta di elementi a zone a destinazione agricola che erano state precedentemente disboscate; difficilmente, in questi casi, possiamo parlare di segregazione. D’altra parte, gli sforzi fatti dalle precedenti generazioni di contadini per mantenere l’integrazione classica tra bosco e pascolo, lasciando in piedi solo alcuni alberi per fare ombra e per dare rifugio al bestiame dopo il disboscamento di intere aree a bosco non hanno avuto molto successo. Il terreno a bosco e pascolo funzionava bene quando c’erano tanti alberi e il pascolo non era intensivo; al contrario, l’eccessivo numero di bestie e lo scarso patrimonio di alberi non hanno fatto che produrre salinità, declino ulteriore degli alberi e altri problemi ancora. Di fronte a tutto questo, acquista particolare valore quanto avevano proposto P.A. Yeomans475 e altri agricoltori all’avanguardia, negli anni ’50: per costoro,era importante mantenere inalterato il margine creato da

fasce di alberi da legname, tenendo lontani da essi gli animali al pascolo. Queste tecniche di segregazione si sono dimostrate valide nel tempo e sono diventate un modello per i piani di rimboschimento oggi attuati.

Gli effetti dell’intensità di utilizzo La complessità del margine tra diversi sistemi di vegetazione attuabili dipende dalle dimensioni e dall’intensità d’uso. Ad esempio, se tagliamo l’erba a mano o a macchina lungo un’aiuola, il bordo potrà essere sinuoso, frastagliato o con rientranze. Se usiamo una falciatrice, il margine deve evitare il più possibile cambi di direzione e angoli troppo netti. I terreni su cui bisogna intervenire con falciatrici applicate a un trattore o ad animali tenuti in recinti mobili devono avere variazioni anche minori. Se aggiungiamo dei minerali a un terreno di ridotte dimensioni, per riequilibrarne la struttura, potremmo decidere di intervenire in base alla natura e alla struttura di quella particolare parcella (terreno fertile da orto o altro). Nel caso di una coltura in campo potremmo invece decidere che non è pratico adottare una strategia di questo tipo e quindi attuare una concimazione uniforme. L’imperativo dei sistemi su piccola scala suggerisce che dovremmo sempre considerare la possibilità di cambiare la nostra progettazione e gestione in base alle piccole variazioni del sito. Per ogni scala di operazione esiste però un limite a ciò che può essere attuato con efficacia: vi saranno sempre piccole o piccolissime variazioni che dovranno essere ignorate. Questa differenza di scala è insita nel concetto di zona tipico della permacultura descritto nel Principio 7. Le strategie e le tecniche per applicare l’utilizzo del margine nella Zona 1476 potrebbero essere inappropriate nella Zona 2 e sicuramente inappropriate nelle Zone 3 e 4. Se vogliamo aumentare la lunghezza e complessità del margine in un certo territorio, le strategie adottate dovranno tener presente la normale gestione di quel dato terreno ed il suo uso specifico. Le aziende agricole progettate in base ai principi della permacultura possono sembrare dei giardini, ma la complessità del

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Permacultura margine che si rende in esse necessario o adeguato per motivi pratici le rende molto diverse.

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Il Kakadu National Park e la perdita del margine Il modo di gestire gli incendi nel Kakadu National Park negli scorsi due decenni fornisce un esempio delle conseguenze della mancata considerazione dell’importanza degli effetti del margine. L’incendio delle aree a bosco e savana di Kakadu, per ragioni ecologiche ha sempre sollevato delle polemiche, ma la direzione negli anni ’90 ha bruciato circa metà del parco. Dai sondaggi condotti nel 1993 risultò una riduzione di numero nei piccoli mammiferi (il confronto venne fatto con dati risalenti al 1986). È evidenziata un’ulteriore e vistosa diminuizione nelle indagini condotte nel 1999477. Ovviamente, si tratta di un risultato molto negativo, per un parco nazionale così importante, che gode di finanziamenti anche ingenti. L’idea di appiccare il fuoco a vaste aree del parco nello stesso anno ha un senso per i ranger, che hanno sotto gli occhi la mappa del parco, ma non è idonea allo stato reale delle cose. È come applicare dei concetti monoculturali su una scala troppo vasta e indiscriminata, che non tenga in alcun conto l’esigenza di mantenere un margine tra savane assoggettate all’incendio e altre aree non bruciate. Il fuoco, appiccato ogni anno, distrugge degli habitat che si sono già creati in seguito ai precedenti incendi e riduce la fruttificazione di arbusti e alberi, oltre a essere la causa diretta della morte di molti animali. Rimane tuttora argomento di dibattito quale possa essere un regime adeguato di incendi, ma complessivamente esiste un accordo sul fatto che un modello a patchwork di incendi controllati sia certamente meglio di quanto si è fatto in precedenza. Se si appiccasse il fuoco alla prateria solo all’inizio della stagione secca, andrebbero arse unicamente le porzioni di territorio più aride. Nelle stagioni seguenti le stesse zone tenderebbero a bruciare di nuovo. In questo modo, col tempo, le aree di margine tra zone bruciate e zone non bruciate comincerebbero a rinforzarsi a vicenda, innescando quei meccanismi positivi dal punto di vista ecologico che tenderebbero a differenziare sempre più il territorio

tra vegetazione più o meno sensibile al fuoco, e ciò aumenterebbe le differenze tra aree adiacenti. Questo utilizzo del margine su grande scala si avvicinerebbe alla gestione tradizionale del territorio da parte degli aborigeni.

Il valore dei sistemi marginali In questa sezione mi collego ad alcuni temi già trattati nel Principio 3 e nel Principio 6.

Cibi selvatici dal margine È abbastanza naturale, guardando indietro nel tempo all’Europa preindustriale, pensare a che il cibo e altri bisogni venissero soddisfatti dalla coltivazione di cereali, lino e altre colture da pieno campo e dall’allevamento di animali al pascolo. Ma non era così. Era lo stesso tessuto a patchwork del paesaggio, di cui abbiamo parlato in precedenza, a fornire parte del cibo e dei prodotti che la gente consumava e utilizzava. Boschi e siepi fornivano non solo legna da ardere e materiale da costruzione, ma anche foraggio per gli animali (fogliame, ghiande, faggiole478), cibo per le persone (bacche, nocciole e castagne, conigli, funghi), erbe medicinali (biancospino, consolida, sambuco). Dove c’era acqua, si poteva contare anche sul pesce e su materiali vegetali per fabbricare ceste e oggetti simili. Il fatto di poter contare su queste risorse selvatiche, oltre che sulle colture a pieno campo, era un grande vantaggio per i più poveri, soprattutto in tempi di carestia, quando dalle risorse della natura selvatica dipendevano intere comunità. Il pregiudizio che tende a ignorare o sottovalutare il cibo non coltivato non è tipico solo della moderna società dell’opulenza. In molte società contadine – proprio perché ci voleva per mantenere le fonti di cibo derivate dal selvatico – esse venivano spesso del tutto ignorate. Inoltre, queste risorse, venivano anche disprezzate perché erano utilizzate normalmente dai più poveri oppure in tempi di crisi. Lo scrittore russo Alexander Solzhenitsyn in Arcipelago Gulag racconta che i reclusi erano costretti a nutrirsi di ortiche, come se questo fosse il massimo della deprivazione. In realtà, le ortiche sono un alimento altamente nutriente e molto gu-


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11. Usa e valorizza il margine stoso, se prepariamo con esse delle minestre; ma se la nostra esperienza di un alimento è collegata in prima istanza a una sensazione di disagio o di orrore, allora quella sensazione inevitabilmente influenzerà il nostro atteggiamento verso quel tipo di cibo. Il perdurare del gusto, nella memoria, permette a questi atteggiamenti negativi di tramandarsi per tutta una vita. Molti australiani, che hanno mangiato carne di coniglio in abbondanza negli anni della Grande Depressione non sono più riusciti, in seguito, ad apprezzare quel tipo di carne. A Positano, sulla Costiera Amalfitana, mio figlio ed io abbiamo raccolto e mangiato le deliziose carrube che la popolazione locale disdegna totalmente come cibo. I più anziani ci dissero che anche loro, da piccoli, le mangiavano nei tempi duri della guerra, prima dell’arrivo dei soldati americani e del cioccolato479. Sempre in Italia, ebbi una volta una discussione con l’ambientalista Giannozzo Pucci480 sul fatto che raramente la gente capisce la base funzionale delle pratiche tradizionali (soprattutto se legate a una logica di sostenibilità). Giannozzo ribatté con forza che ciò a cui mi riferivo non era che «l’ombra di una tradizione; nelle vere tradizioni, la gente capiva perfettamente perché faceva determinate cose». Per farsi capire meglio, mi citò l’esempio di un mezzadro, un uomo ormai sulla settantina, che continuava ad arare i suoi campi con i rari buoi di razza Chianina: a vederlo rastrellare e spargere il fieno, sembrava danzasse e anche per seminare continuava a basarsi su rimi e segni collegati all’andamento stagionale. Purtroppo, è difficilissimo che esistano tuttora persone simili, e ancora più difficile è che si riesca ad apprendere e comprendere nozioni simile a quelle possedute da quel mezzadro. Bisogna dire, comunque, che molti cibi selvatici stanno di recente incontrando un sempre maggiore apprezzamento. Il loro status, nella società urbana opulenta, è aumentato anche per le seguenti ragioni:  la sempre maggiore rarità dei cibi selvatici e, da qui, il loro accresciuto prestigio;  i cibi selvatici trasmettono un senso di riconnessione alla natura, del tutto mancante nella società moderna attuale;

 sono un antidoto alle preoccupazioni, sempre più con-

divise, sulla natura tossica dell’agricoltura industriale;  l’alto costo di molti cibi selvatici, a causa della loro rarità o dell’alto costo della manodopera per la raccolta. Questa valorizzazione del cibo selvatico, sebbene in qualche modo superficiale, potrebbe funzionare da antidoto per controbilanciare il diffuso disprezzo per gli ecosistemi naturali selvatici e marginali.

I quartieri disagiati come sistemi marginali Un altro esempio dell’importanza dei sistemi marginali riguarda le fonti di innovazione culturale e imprenditoriale e il loro rapporto col rinnovamento urbano. Jane Jacobs481 ha sottolineato che uno dei valori dei quartieri urbani degradati era che fornivano locali con affitti a prezzi vantaggiosi in vecchi magazzini, negozi e case rendendo possibile l’impianto di piccole aziende e attività. Il libro della Jacobs ha dimostrato che l’eliminazione di queste aree a causa dei programmi di rinnovamento urbano, negli anni ’50 e ’60, stava uccidendo la vita economica, artistica e culturale delle città americane. Esiste un contrasto tra la mentalità del “ripulire e ristrutturare”, che vuole riciclare e fare pieno uso di tutto e, invece, la mentalità che preferisce lasciare le cose a se stesse, per vedere se emerge qualcosa di buono. L’equilibrio tra questi due orientamenti è molto difficile e delicato, sia che ci troviamo a operare in un orto sia che ci occupiamo di pianificazione urbana482. La città e il suo hinterland come centro e margine Un altro esempio – più astratto, ma universale – dell’importanza dei sistemi marginali è il confine concettuale tra la città e il suo hinterland rurale. Per migliaia d’anni la città e le sue istituzioni hanno distinto la cosiddetta “civiltà” dalle culture più semplici483. Ma – sempre per migliaia d’anni – la relazione tra la città e il suo hinterland è stata come quella tra nucleo e cellula, di cui abbiamo parlato nel Principio 7. Anche se lo sfruttamento del territorio rurale circostante da parte della città è un tema ricorrente nella storia, vi sono generalmente dei limiti a questo sfruttamento, perché anche la città ha

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Permacultura una certa forma di dipendenza dall’hinterland che difficilmente viene completamente superata. Oggi la città, concettualmente e forse anche materialmente, è diventata “un tutto” rispetto al quale vita rurale, agricoltura e natura sono solo una sorta di membrana che la circonda. Questi sistemi marginali continuano a deperire e inaridirsi, man mano che ogni aspetto della natura viene controllato e organizzato, il più delle volte proprio dalla città; inoltre vengono ridotti sempre di più i prezzi delle derrate alimentari, principale sostegno delle economie rurali, che ormai sono al limite della sopravvivenza. Dopo aver fornito la base della ricchezza che rende fiorenti le città, la campagna e la sua gente vengono considerate come qualcosa di cui si può fare a meno. Quando diventa evidente che una città riesce a prosperare basandosi sulla propria rete di connessioni globali, l’hinterland rurale muore. Su scala nazionale, le piccole economie (come la Tasmania in Australia e la Nuova Scozia in Canada) soffrono per il fatto di essere marginali. Stando a quanto raccontano i guru dell’economia, tutte le piccole città sono economicamente non efficienti. Su scala globale, la relazione tra Paesi ricchi e poveri – e perfino tra interi continenti484 – ha portato a considerare i margini rurali delle grandi città come qualcosa di cui si può fare a meno. La crisi ambientale riguarda tutta la civiltà umana, e in particolar modo le città. Esistono buone ragioni per credere che affronteremo con successo la crisi ambientale solo se agiremo partendo dalle grandi città. Tuttavia, sono personalmente convinto che l’ispirazione, gli esempi e le conoscenze che produrrano le soluzioni non verranno dal centro, ma dai margini, in cui le persone vivono al confine tra natura e cultura, tra modernità e passato. L’idea che l’hinterland offra una sorgente di vigore biologico umano e di valori che portano al rinnovamento della civiltà è un’idea vecchia, ma i modi in cui ciò sta accadendo conoscono una intensa diversificazione, man mano che ci avviciniamo alla fine dell’era dei combustibili fossili.

Le origini marginali della permacultura A volte mi chiedono – soprattutto nordamericani ed europei – come è potuto succedere che la permacultura sia

emersa da un posto lontano dal mondo come la Tasmania. Quest’isola è un luogo in cui modernità e natura sono in stretta prossimità. È abbastanza lontana dalle fonti dei paradigmi dominanti della società, ma ha ricevuto i benefici dell’istruzione moderna e una relativa ricchezza, come tanti altri posti al mondo. È un luogo in cui ispirazione, lezioni della natura e cultura rurale si intrecciano e fluiscono nella cultura urbana e intellettuale più generale. Hobart, capitale della Tasmania – la seconda regione più vecchia d’Australia e la più decentralizzata – non è affatto inserita in un ambiente dominato da insediamenti di tipo europeo, ma è tenacemente abbarbicata alle selvagge pendici del monte Wellington. Questo, per me, è un simbolo dell’interazione tra civiltà e natura. Dalla fattoria alle pendici di Mount Wellington – dove prese forma a metà degli anni ’70 il concetto di permacultura – era possibile, dopo solo cinque chilometri in macchina o in autobus, raggiungere il centro o l’università. Andando in direzione opposta per cinque chilometri di sentieri si raggiungeva il versante sud-ovest della montagna, contrassegnato da clima e ambiente alpini. Lì l’unica traccia dell’intervento dell’uomo era un sentiero tracciato per combattere gli incendi; per il resto, era circondato dalla natura selvaggia che ricopre la Tasmania a sud-ovest485. Bill Mollison è riuscito a mettere in comunicazione questi due mondi nella sua stessa persona: pescatore e bushman486, lasciò la scuola a 14 anni e divenne in seguito ricercatore naturalista, insegnante universitario, attivista ambientalista, ideatore, fondatore e insegnante della permacultura in giro per il mondo. A prescindere dalla permacultura, la Tasmania487 ha avuto il primo “partito verde” al mondo ed è stata la prima parte dell’Australia, in cui l’agricoltura biologica è diventata una rete vibrante, nata dal basso a partire da pochi isolati agricoltori. Agli inizi del XX secolo, l’Australia era una nazione in cui i benefici dell’istruzione, della democrazia politica e della ricchezza si fondevano con il mondo naturale e con l’economia rurale, generando una straordinaria gamma di innovazioni scientifiche e tecnologiche, soprattutto se messe in rapporto con la scarsa popolazione. La Nuova Zelanda, con una popolazione an-


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cora più scarsa, presenta un record di innovazioni scientifiche e tecnologiche ancora più rimarchevole. Io credo che un’altra ragione per cui emergono innovazioni radicali alla periferia del mondo ricco democratico – in Paesi come la Tasmania, la Nuova Zelanda o la Danimarca – sia che la piccola scala delle istituzioni sociali e politiche dà, a chi ha idee radicali, la sensazione di poter intervenire attivamente nella cosa pubblica cambiando la realtà. Nelle grandi città delle grandi nazioni, la scala vastissima dell’establishment culturale e delle istituzioni genera la sensazione che il mondo sia qualcosa di negativo in origine, che non può essere cambiato, innescando così sentimenti di apatia e accettazione passiva. Nel 1994, feci un viaggio in Europa, per tenere dei corsi di permacultura e studiare sistemi sostenibili tradizionali e innovativi. Vidi molti esempi di positiva innovazione, ma fu solo in Danimarca che ebbi l’impressione che la vitalità e la scala delle varie alternative sostenibili fosse confrontabile o perfino maggiore di quelle sperimentate personalmente in Australia e Nuova Zelanda. In Gran Bretagna e Germania, come negli Stati Uniti, esistono molti progetti, gruppi o individui interessanti, ma sono troppo pochi in confronto al numero degli abitanti.

Idee e scienza del margine Espandendo ulteriormente il concetto che il rinnovamento possa partire da zone marginali, l’università, in quanto istituzione – 2500 anni dopo la fondazione della prima, da parte di Pitagora – sta perdendo l’influenza che ha sempre avuto sul mondo culturale. Una combinazione di fattori ha indebolito drasticamente l’influenza delle università sulla cultura e sugli intellettuali, lasciando spazio all’emergere di energie provenienti dai margini materiali e intellettuali della società, che hanno espresso molte idee e azioni progressiste. Questi fattori includono:  la svalutazione dell’istruzione universitaria, a causa del suo allargarsi ad altre fasce di popolazione, oltre a quelle tradizionali, e la sempre più bassa qualità dell’insegnamento (che va di pari passo con la riduzione del trattamento economico riservato ai docenti);

 l’incapacità

di reagire ai limiti intellettuali del pensiero riduzionista, all’interno delle discipline scientifiche, sviluppando una cultura dell’integrazione olistica, o di dare il giusto valore a studi, ricerche e tendenze interdisciplinari;  la sostituzione del corpo docente formato da studiosi ed accademici con una cultura aziendale di vendita dei prodotti, con conseguente perdita di autonomia finanziaria e politica;  le nuove tecnologie e gli strumenti di comunicazione, che permettono a gruppi e individui esponenti del margine un più equo accesso a idee e informazioni. Negli anni ’70, quando ero studente universitario, pensavo che questi cambiamenti fossero già in fase avanzata. Oggi considero le università australiane una sorta di tragica barzelletta, anche se rispetto le tante persone che continuano a lavorarvi all’interno. Riconosco che il mio stesso, relativo, isolamento dalla cultura universitaria ha portato alcuni svantaggi ma, in generale, penso che questo isolamento mi abbia dato la libertà di esplorare altre fonti e stimoli intellettuali nella natura e in coloro che lavorano in accordo con essa. I partecipanti ai nostri corsi di progettazione in permacultura di formazione universitaria spesso ci confermano che essi sono una sfida e uno stimolo intellettuali, al cui confronto la formazione impartita nei corsi universitari suona scialba e troppo ristretta all’ambito delle singole discipline. Molti anni fa, un cliente (laureato in economia), a cui feci da consulente, decise di abbandonare la sua carriera di dirigente di banca per dedicarsi a tempo pieno all’agricoltura. A distanza di un anno, questa persona descrisse la sua esperienza come la cosa più stimolante mai fatta in vita sua. Purtroppo però non riuscì nell’impresa di guadagnarsi da vivere facendo l’agricoltore (una vero peccato!). James Lovelock – fisico e studioso indipendente dei fenomeni amosferici, che lavora nella sua casa-laboratorio di campagna in Cornovaglia – offre l’immagine di un nuovo tipo di scienziato, non più costretto dai limiti della città, dell’università, della disciplina e delle istituzioni finanziatrici. Lovelock, insieme a Lynn Mar-

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gulis, ha ideato l’ipotesi Gaia e, senza tema di smentita, è uno degli scienziati che hanno maggiormente contribuito a diffondere la visione olistica del nostro Pianeta come Sistema Terra. Nella storia umana, non c’è mai stato tanto bisogno di rinnovamento intellettuale e culturale a partire dal margine come ai nostri giorni. Il movimento della controcultura della fine degli anni ’60 e dei primi anni ’70 è forse l’esempio culturale più dinamico del valore dei sistemi marginali nelle società in transizione. La controcultura – mal interpretata e denigrata dall’establishment culturale, che la riteneva caratterizzata da idee sciocche e ingenue – è stata invece una grande sorgente di innovazioni. Io considero la permacultura e la controcultura parti di una lunga tradizione culturale di movimenti alternativi all’interno della modernità, che hanno il potenziale per accendere la scintilla della trasformazione della civiltà, necessaria per gestire l’inevitabile discesa energetica488. Il poeta, romanziere e agricoltore biologico americano Wendell Berry ha descritto in modo molto eloquente il valore dei margini, in senso sia fisico che concettuale489. Nel contesto di una critica dell’agricoltura industriale moderna, accompagnata dalla distru-

zione della vita rurale e comunitaria, Berry ha detto che l’agricoltura moderna è assoggettata al controllo di una forma di ortodossia – ignorante e arrogante insieme – caratterizzata dal suo progressivo contrarsi intorno a pochi limitati concetti ruotanti intorno ai termini produttivo ed economico. Intorno a questa ortodossia si estende un vasto e crescente mondo da esplorare «di marginalità dalle possibilità più diverse». Berry vede non solo che questi margini concettuali vanno estendendosi, ma anche che «i margini della geografia e dell’esperienza pratica» si sono ridotti drasticamente. Questo significa che le persone che sanno come fare agricoltura all’infuori dell’ortodossia sono sempre più rare. Al tempo in cui Berry scriveva queste cose, la permacultura cominciava a essere concepita in Tasmania come possibilità alternativa. Da allora in poi, c’è stato un rapido aumento dell’agricoltura biologica e delle attività associate, nonostante l’egemonia in espansione dell’agribusiness sull’agricoltura, genericamente intesa. Potrebbe anche essere che i margini della geografia e della pratica, di cui parla Berry, stiano cominciando a espandersi e che il margine sia proprio il punto in cui si svolge l’azione.


Principio

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Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo

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Bisogna imparare a vedere le cose non solo come sono ma anche come saranno490

Il Principio 12 ha due filoni: a) progettare facendo uso del cambiamento in modo deliberato e cooperativo; b) reagire o adattarsi ai cambiamenti su larga scala che sono al di là del nostro controllo o la nostra possibilità di intervento. L’accelerazione della successione ecologica all’interno dei sistemi coltivati è l’espressione più comune del Principio 12 in permacultura, sia nei testi teorici che nella pratica effettiva. Tali concetti sono stati applicati anche per capire come incoraggiare in modo creativo cambiamenti di tipo sociale e organizzativo. Oltre all’utilizzo di una più vasta gamma di modelli ecologici per dimostrare come potremmo fare buon uso della successione, oggi io vedo questo argomento in un più vasto contesto di risposta o uso dei cambiamenti. In Permaculture One, la stabilità era da noi considerata un aspetto importante della permacultura; nel contempo, però, anche il cambiamento evolutivo veniva dichiarato indispensabile. La permacultura ha a che fare con la stabilità e con la durata dei sistemi naturali viventi e della cultura umana, ma questa stabilità, nel tempo, paradossalmente, dipende in larga misura dalla flessibilità e dal cambiamento. Esistono molte storie e tradizioni che hanno come tema il seguente concetto: la maggiore stabilità è quella che contiene i semi del cambiamento. La scienza ha dimostrato che ciò che ci sembra apparentemente solido e permanente è in realtà – a livello cellulare o atomico – una massa brulicante di energia in

trasformazione, in modo analogo a quanto traspare in alcune descrizioni di varie tradizioni spirituali. La farfalla, che è lo stadio finale della trasformazione del bruco, trasmette l’idea di un cambiamento adattativo che, lungi dall’apparire minaccioso, rallegra invece lo spirito. Per questo, è l’icona che rappresenta il Principio 12. È importante integrare la comprensione dell’instabilità e del continuo cambiamento nella nostra coscienza quotidiana, e al tempo stesso rendersi conto che l’apparente illusione della stabilità, della permanenza e della sostenibilità viene risolta riconoscendo che la natura dei cambiamenti dipende dalle dimensioni e dalla scala degli ecosistemi (v. Principio 7). In qualsiasi sistema i mutamenti degli elementi su piccola scala, veloci e di breve durata, in effetti contribuiscono a garantire la stabilità del sistema a un livello più elevato. Viviamo e realizziamo progetti in un contesto storico di rinnovamento e mutamento di sistemi su scale sempre più grandi e molteplici; ciò può generare in noi la falsa illusione di mutamenti infiniti, senza possibilità di stabilità o sostenibilità. Un senso contestuale e sistemico dell’equilibrio dinamico tra stabilità e cambiamento ci aiuta a progettare in modo evolutivo e non casuale. Il proverbio scelto per illustrare questo principio sottolinea che la capacità di capire il cambiamento è molto più che la semplice proiezione di linee di tendenza dettate da statistiche. La frase rende esplicito un legame ciclico tra il Principio 12, che tratta del cambiamento, e il Principio 1, che tratta dell’osservazione.


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Le prospettive sistemiche sul cambiamento I mutamenti in prospettiva top-down Nel Principio 1 e nel Principio 4 ho illustrato le caratteristiche di due prospettive di cambiamento, quella topdown e quella bottom-up. Quando si parla di cambiamento, entrambe vanno utilizzate. Quando interveniamo in sistemi su cui possiamo esercitare una sostanziale influenza, sia a livello di progettazione-realizzazione che di gestione – orti, fattorie, attività, famiglie – possiamo far uso del cambiamento in modi che riflettono il nostro potere e la nostra relazione nei confronti del sistema. Si tratta in questo caso di un controllo top-down. I sistemi di cui siamo partecipi vengono modificati anche dai nostri compartecipanti, ossia dalle piante e dagli animali che fanno parte del sistema orto o della fattoria, dai membri della nostra famiglia o dai soci in affari. Le nostre relazioni gerarchiche con i compartecipanti e il grado in cui siamo impegnati in uno scambio interattivo o dialogo con essi determineranno in quale misura il controllo top-down sarà possible o appropriato. All’apparenza, siamo noi a esercitare un controllo arbitrario sull’orto, quando piantiamo, sostituiamo o eliminiamo delle piante ma, nella realtà dei fatti vi sono altre forze in gioco che fanno le nostre stesse cose: ad esempio, gli uccelli, gli insetti o le malattie. In qualsiasi iniziativa, le decisioni dipendono spesso da altre entità, che permettono di tradurre in pratica le decisioni. Quando agiamo in cooperazione con altri agenti, il nostro potere effettivo di cambiare le cose o i sistemi si amplifica. Persino quando cerchiamo di cambiare comportamento, spesso non ci riusciamo perché il nostro intero essere non sostiene le nostre decisioni razionali. Questa esperienza di apparente mancanza di potere nel portare a termine quello che riteniamo un mutamento appropriato ci dà l’opportunità di pensare in modo più sistematico alla situazione che ci troviamo davanti. Esistono molte fonti di documentazione ed altrettanti consulenti che si occupano del cambiamento delle modalità gestionali in organizzazioni, aziende e istituzioni. Ciò è in parte dovuto al fatto che gli sforzi fatti dai dirigenti per mettere in

pratica i cambiamenti auspicati sono carichi di difficoltà, di conflitti e di esiti inaspettati. Gran parte della gestione del cambiamento, durante gli anni ’80 e dopo, ha avuto come forza trainante l’ideologia della razionalità economica e la cosiddetta efficienza. John Ralston-Saul491 e altri hanno sostenuto che questa ideologia non è servita a rinvigorire né le multinazionali né le pubbliche istituzioni. Alcuni consulenti aziendali hanno utilizzato dei romanzi e dei racconti492 per cercare di introdurre, in modo più accessibile, il pensiero olistico nei mutamenti di tipo organizzativo. Probabilmente l’approccio top-down più radicale e positivo nel mondo della gestione aziendale è quello che ha visto protagonista la grande azienda brasiliana Semco che era sull’orlo del fallimento493. Il proprietario della Semco, Ricardo Semler, la trasformò radicalmente istituendo la trasparenza nella gestione e livellando la struttura gerarchica, organizzando i luoghi di lavoro su scala umana piuttosto che sulla scala industriale convenzionale, istituendo la proprietà azionaria dei dipendenti e la possibilità di intervenire nel processo decisionale. Questi e altri cambiamenti rivoluzionari vennero messi in pratica secondo un approccio integrato, teso alla ristrutturazione dell’azienda, a beneficio di tutti i partecipanti. Non può sorprendere che sia così difficile apportare cambiamenti creativi e positivi in sistemi complessi e su scala più o meno grande, se solo consideriamo quanto sia difficile, spesso, apportare modifiche anche solo a sistemi su piccola scala come piccole aziende, comunità, famiglie e soprattutto noi stessi, in qualità di individui indipendenti. Sempre a proposito del livello individuale, esiste una vasta letteratura centrata sulla crescita e la trasformazione della personalità.

La progettazione in permacultura come cambiamento top-down L’approccio permaculturale a questi temi comincia col trattare gli aspetti più concreti e materiali della nostra esistenza fisica, attraverso un processo di revisione della propria realtà e delle proprie azioni (già descritto nel Principio 4). Attuando piccoli cambiamenti, aumentiamo la nostra fiducia nel saper affrontare cambiamenti ancora maggio-


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12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo ri e più difficili. Non deve sorprendere se, da un processo di semplice revisione delle proprie abitudini e dei bisogni personali, si passa poi a trattare le più astratte questioni legate a motivazione, valori e significati dell’esistenza. Il processo di progettazione permaculturale può essere pensato come un processo di mutamento gestionale top-down. Potrebbe avere inizio concentrandosi su fattori esterni di natura fisica e biologica ma viene costantemente collegato al processo di cambiamento a livello personale. Sia a livello di lavoro di consulenza che nei corsi di progettazione in permacultura da me diretti, ho avuto modo di capire che quando si inizia a pensare in modo sistemico alla propria casa e al proprio orto, entrano inevitabilmente in gioco le componenti legate allo stile di vita. Come risultato di questo approccio più olistico, il cambiamento personale si dimostra spesso un processo di miglioramento più facile e veloce, mentre il contrario avviene per i cambiamenti riguardanti l’ambiente esterno (che avevano inizialmente motivato la richiesta di cambiamento). Molto spesso, la massima “Per cambiare il mondo dobbiamo cambiare noi stessi” si dimostra vera. A parte questo, il focus iniziale della permacultura si concentra sui sistemi esterni che devono servire a soddisfare i nostri bisogni materiali fondamentali, in particolare il cibo, procedendo alla realizzazione e gestione dell’orto di casa. Ciò è utile per esplorare i processi attraverso cui riusciamo a mettere in pratica un cambiamento creativo. Nell’orto, siamo liberi di esplorare e sperimentare diversi processi di cambiamento top-down, perché possiamo esercitare grande potere (relativamente ad altri elementi del sistema) quando e come vogliamo. I cambiamenti che mettiamo in pratica non saranno la fine del mondo, né in senso positivo né in senso negativo, ma forniscono un’eccellente opportunità per imparare a pensare in modo più sistemico, agendo in modo più olistico e meno arbitrario. I misteri della complessità di suolo e natura sono una sfida, sempre presente, alla nostra arrogante smania di controllo, e opportunità di apprendimento. Le ricompense per un modo di agire appropriato saranno un buon raccolto stagionale e la facilità della gestione dell’insieme.

Il problema generale con il controllo top-down sui sistemi è che facciamo troppo e troppo velocemente. Una piccola modifica può creare degli effetti notevoli, se viene usata con cura. Identificare dove possiamo avere gli effetti maggiori, nell’utilizzare le nostre limitate risorse e i nostri poteri per ottenere la massima capacità di influenzare il sistema, è sempre più importante che correre freneticamente di qua e di là, cercando di stare al passo con ogni elemento della situazione. Le motivazioni e le energie dell’uomo sono risorse meravigliose, ma l’eccessivo intervento nei sistemi naturali è un errore che non smetteremo mai di commettere. Masanobu Fukuoka ha delineato molto bene l’approccio opposto, quello dell’agricoltura naturale del non-fare che suggerisce di osservare e di pensare a lungo, prima di cambiare qualcosa, e specialmente se è la prima volta che abbiamo a che fare con determinati sistemi. Nel tentativo di intervenire in un sistema, potremmo danneggiarne un altro che funziona perfettamente494. L’agricoltura del non-fare di Fukuoka e la permacultura che si automantiene (stile giardino dell’Eden) di Mollison non dovrebbero però essere interpretate come un approccio di comodo per consumatori passivi e sedentari, comodamente seduti ad aspettare ciò che passa il convento (ossia la natura). Ad alcuni è necessario ricordare che spesso è meglio che la natura faccia il suo corso; altri hanno proprio bisogno del proverbiale calcio nel sedere e altri ancora del timor di Dio, prima di fare qualcosa per mettersi in salvo. Le due reazioni, quella molto energica e l’altra indolente e pigra, vengono a galla nella maggior parte di noi in tempi diversi. La permacultura implica la transizione da consumatori dipendenti a produttori responsabili, ma bisogna anche riconoscere che, alla radice della crisi ambientale, c’è il nostro lato creativo ed energico, che cerca di controllare e manipolare la natura.

La resilienza ai cambiamenti imposti dall’alto A volte, ci troviamo a reagire a cambiamenti che arrivano dall’alto, mossi da forze al di là del nostro controllo e della nostra comprensione. Gaia, la terra vivente, crea i mutamenti in varie forme: tramite le forze tettoniche come terremoti e vulcani, gli eventi atmosferici e i cam-

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biamenti climatici, le invasioni di specie infestanti, e le malattie. Governi e multinazionali prendono decisioni che non riusciamo a modificare in modo significativo. Come e quanto queste forze superiori condizionino la nostra vita e i nostri ecosistemi, dipende dalla nostra indipendenza e dalla resilienza e adattabilità a cambiamenti specifici o generali. Gli ecosistemi naturali, di ogni dimensione, devono sviluppare la resilienza alle ondate dei cambiamenti catastrofici indotti da forze che agiscono su grande scala. La resilienza negli ecosistemi è la continuità delle funzioni basilari e degli elementi cruciali del sistema, a prescindere da fluttuazioni nelle condizioni ambientali o dall’equilibrio interno tra le popolazioni di varie specie. Le modalità con cui specie, ecosistemi e interi territori sviluppano resilienza alle forze distruttive più rilevanti è un tema centrale dell’ecologia e, per una precisa scelta progettuale, anche della permacultura.

Flessibilità Quando abbiamo a che fare con potenti forze esterne, la flessibilità diventa più importante della resistenza e della rigidità. Ad esempio, gli alberi secolari che occupano fertili terreni alluvionali in molti ecosistemi vengono sostituiti da alberi e arbusti flessibili (spesso della famiglia dei salici e dei pioppi) lungo le rive e i letti di corsi d’acqua o sulle isole. In questo tipo di ecosistema, infatti, la rigidità, la forza e l’età degli alberi secolari diventerebbero uno svantaggio in caso di nubifragi e alluvioni. Se vogliamo applicare lo stesso principio all’uomo, è normale inchinarsi davanti a forze umane e naturali che ci sovrastano. Lo stesso principio va applicato ai progetti permaculturali. La flessibilità produce una stabilità dinamica, che dà più l’idea dell’andare in bicicletta che quella dell’inerte stabilità di una lastra di calcestruzzo495. In caso di cambiamenti imprevedibili ed estremi, il comportamento umano è spinto a reazioni di tipo sempre più opportunistico. È una cosa che vediamo all’opera normalmente. Il senzatetto che vive di espedienti ed elemosine sfrutta le occasioni man mano che gli si presentano, gene-

ralmente senza avere in mente dei piani prestabiliti e senza aspettarsi qualcosa di specifico. Nei territori a clima semiarido, il pastore che semina sul letto di un lago o di un terreno alluvionale sperando nella fertilità e nell’umidità portate da rare piogge di tipo torrenziale sceglie di affidare al caso l’opportunità – che si realizza forse una volta nella vita – di guadagnare molto più di quanto si guadagni portando al pascolo greggi di pecore o mucche in anni normali (e forse l’opportunismo di questa persona non causa più danni di quanti ne faccia normalmente il pascolo). Su scala più grande, la stessa società umana ha dovuto mantenere un alto grado di flessibilità di fronte ai mutamenti ambientali sia di tipo naturale che di tipo sociale. Lo stato di guerra generalizzato tra eserciti organizzati e permanenti sembra essersi sviluppato contemporaneamente alle prime città del Medio Oriente, circa seimila anni fa, ed è rimasto un flagello per l’umanità da allora in poi. È possibile che l’agricoltura basata sul raccolto annuale di cereali e il pascolo si sia sviluppata in quelle stesse regioni in parte a causa della distruzione delle precedenti antiche foreste alimentari coltivate avvenuta durante le guerre che periodicamente funestavano la regione. Dopo la terra bruciata che rimaneva in seguito alle invasioni degli eserciti, era sicuramente più facile ripristinare un sistema basato su raccolti annuali e su animali da pascolo piuttosto che su foreste secolari da cui ricavare frutta e noci496.

L’entropia come costante fonte di cambiamento Oltre agli stress e alle opportunità create da mutamenti rapidi e imprevisti, vi sono anche i cambiamenti prevedibili, ma inesorabili, dovuti agli effetti dell’entropia, ossia della tendenza al disordine. Questi mutamenti, in tutti gli ecosistemi viventi, portano invecchiamento e graduale decadimento, ma hanno un effetto ancora più negativo sull’ambiente costruito. Rinnovamento e durata nell’ambiente costruito Imparare a vedere i mutamenti dell’ambiente costruito come un unico processo organico diventerà importante, man mano che l’energia verrà a mancare, perché gli edifi-


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12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo ci progettati e costruiti in tempi di alto consumo energetico dovranno progressivamente essere adattati a nuovi usi, ma avendo a disposizione risorse sempre più limitate. Nel Principio 9 ho già posto l’accento sul valore della progettazione di lunga durata e dei materiali con cui sono costruiti vari edifici. Nel Principio 5 ho trattato dell’utilizzo di strutture viventi che si mantengono per lo più da sole, senza l’intervento umano. Nel Principio 6 ho esposto l’importanza dei valori e dei comportamenti ereditati dalla tradizione, associati a una regolare manutenzione. Pulizia e ordine sono, col tempo, diventati un simbolo socialmente visibile correlato al mantenimento della funzionalità, ma è prevalsa anche un’attitudine ossessiva ad eseguire lavori superflui, in continuo contrasto con i processi naturali del riciclo delle sostanze. In ogni caso, la manutenzione potrebbe essere descritta come una reazione ripetitiva e non creativa a un cambiamento inevitabile. Piuttosto che continuare a costruire sempre cose sperando che durino a lungo, bisognerebbe considerare anche i meriti della strategia opposta di utilizzare materiali economici e abbondantemente rinnovabili. Questa strategia evita di sprecare materiali costosi o preziosi, quando non sono proprio indispensabili e si adatta agli inesorabili effetti dell’entropia, seguendone il flusso. La foglia di banano, che nel sud-est asiatico è sempre stata usata come piatto per il cibo da asporto prima dell’avvento del polistirolo, della plastica e della carta, è un eccellente esempio di soluzione “usa e getta” ambientale sostenibile. Nei Paesi tropicali, diversi fattori favoriscono il temporaneo rispetto al permanente nell’ambiente costruito:  il rapido decadimento di molti materiali;  l’alta ricorrenza di disastri naturali (cicloni, terremoti, alluvioni);  la disponibilità di materiali rinnovabili che ricrescono rapidamente (bambù);  la disponibilità di manodopera qualificata a buon mercato;  lo stile di vita, che privilegia la vita all’aria aperta. In alcuni casi può essere meglio lasciare che siano il clima e il decadimento naturale a segnare la durata delle

cose piuttosto che ostinarsi a riportarle continuamente a condizioni ottimali. Nell’orto facciamo un uso continuo di piccole strutture come tralicci, gabbie e ricoveri per animali. Se consideriamo l’alto tasso di decadimento del legno e del metallo esposti al clima e ai suoli ricchi di materia organica e di rifiuti animali, sono evidenti due possibili opzioni: costruire strutture molto durevoli, oppure costruire strutture provvisorie con materiali riciclati o facilmente rinnovabili. I tentativi di realizzare strutture durevoli spesso finiscono con l’essere molto costosi o addirittura tossici, quindi una soluzione rinnovabile sarebbe molto migliore. Ecco alcuni esempi:  spesso, nelle strutture esterne, non è necessario utilizzare chiodi galvanizzati o cromati e altri materiali simili zincati; infatti il legno marcirà molto prima che chiodi, viti e altro abbiano anche solo iniziato a essere attaccati dalla ruggine;  non è necessario trattare i pali di legno che sono naturalmente di lunga durata, perché il legno stesso contiene delle sostanze conservative, che decadono solo dopo un certo tempo. La possibilità di trattare il legno dopo qualche decennio potrebbe essere presa in considerazione negli edifici destinati a durare in permanenza;  dipingere il legno, da opera per aumentarne la durata, può essere controproducente. A meno che la pittura non venga rinnovata spesso, l’aspettativa di vita del legno potrebbe in realtà ridursi, perché le scaglie di pittura che si distaccano non fanno che trattenere l’umidità. Ricordo di aver avuto un confronto di idee col proprietario di una segheria sul fatto di utilizzare assi di Eucalyptus radiata non trattato – a quanto pareva, di breve durata – per rivestimenti esterni, mentre stavamo a chiacchierare fuori dalla sua modesta casa. Le assi di eucalipto erano di un bel colore grigio-argento, dopo trent’anni di sole e pioggia e l’uomo pensava che sarebbero durate altri vent’anni. In quella regione, quel tipo di eucalipto raggiunge le dimensioni giuste per ricavarne assi in meno di cinquant’anni. Pensai allora a tutti i costruttori e i proprietari di case, che si danno tanto da

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Permacultura fare, solo per evitare quella bellissima tinta grigio-argento, utilizzando vernici, oli e carta vetrata e pensai al tasso di crescita dell’eucalipto. Dal punto di vista ambientale la cosa costituiva un ottimo argomento a favore del non trattamento del legno, sostituendolo poi solo in caso di vera necessità. La ricerca danese sull’allevamento all’aperto dei maiali, citata nel Principio 6, menzionava l’uso di ricoveri stagionali molto semplici, ma attentamente progettati, costruiti in balle di paglia. Ogni ricovero, finita la stagione, veniva lasciato decomporre in compost e si procedeva a costruire nuovi ricoveri in zone diverse. Era un modo assai semplice per evitare malattie e mantenere l’igiene, molto più efficace del costruire costosi ricoveri permanenti ad alta tecnologia e climatizzati. Capire quando è il caso di destinare delle risorse a strutture e sistemi rinnovabili, invece di costruire e mantenere costose strutture permanenti, è un tema molto rilevante nella progettazione permaculturale. I fattori a favore di strutture fatte con materiali rinnovabili sono i seguenti:  una risorsa rinnovabile a basso input di energia (ad esempio una foresta) può fornire materiali sostitutivi più rapidamente di quanto impieghino le strutture realizzate a degradarsi; ad esempio, i pali di bambù che servono da sostegno ai fagioli rampicanti durano più a lungo della coltura;  il processo di sostituzione del materiale può svolgersi senza intaccare altri elementi della struttura; ad esempio, si può sostituire il rivestimento esterno di una casa senza sostituirne la struttura di sostegno;  quando ristrutturare un edificio implica un alto livello di incertezza o soluzioni progettuali innovative, si riduce la possibile validità di adottare soluzioni durature. Ad esempio, per gli occupanti di case disabitate di città (squatter), che non hanno il possesso della struttura, è meglio ricorrere a materiali rinnovabili a basso costo;  quando la soluzione serve solo a rispondere a un bisogno occasionale o legato a particolari occasioni (ad esempio, i teloni utilizzati per ricoprire raccolti eccezionali di cereali nelle grandi fattorie).

In How buildings learn, Stewart Brand ci offre alcuni concetti chiave per capire come mettere insieme approccio permanente e approccio provvisorio, per costruire edifici che siano durevoli o provvisori, a seconda delle mutevoli esigenze. I sei elementi497 dell’edificio – dal più stabile nel tempo al più provvisorio – di cui tener conto sono: il luogo, la struttura, il rivestimento esterno (pelle), i servizi, la suddivisione degli spazi, la maniera di riempire/occupare gli spazi interni. Se facciamo sì che gli aspetti effimeri e meno duraturi dell’edificio siano separati dalle strutture permanenti, ne manterremo la flessibilità per coloro che lo utilizzeranno nel presente o nel futuro, in modo che esso si adatti ai loro bisogni. Tale approccio è molto seguito nella progettazione dei moderni edifici commerciali, a causa della rapidità con cui normalmente si avvicendano le ditte che hanno in gestione gli spazi e le tecnologie da esse utilizzate, ma potrebbe essere utilmente applicato anche all’edilizia abitativa e, più in generale, come strategia per gestire i mutamenti negli ambienti costruiti. L’idea che gli edifici e il modo di utilizzarli cambino col tempo attraverso processi di tipo organico contrasta con il concetto di architettura come opera d’arte scultorea e immutabile, che ispira gran parte degli architetti. Queste idee sul mutamento organico degli edifici e dell’ambiente costruito sono abbastanza facili da afferrare e facilmente trovano applicazione in base al semplice buon senso; più in generale, però, è molto importante esplorare in profondità i modelli di cambiamento dei sistemi naturali e le conseguenze per i sistemi progettati e gestiti dall’uomo.

Modelli ecologici di successione La successione ecologica – l’idea cioè che esista un modello, secondo cui piante e vegetazione cambino composizione e struttura – è un concetto centrale dell’ecologia da quasi cento anni. Sebbene alcuni dei modelli classici di successione siano cambiati in base all’evidenza e a nuovi modelli, il principio di una variazione ordinata e lineare come caratteristica degli ecosistemi, è ancora valido.


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La successione classica Il modello classico di successione ecologica si basava sull’osservazione di esempi di cambiamento nelle regioni umide, fertili e temperate del Nord America e dell’Europa. In base a tale modello, a seguito di una azione di disturbo, il nudo terreno viene prima colonizzato da essenze erbacee, che portano alla formazione di un terreno erboso; il secondo stadio è costituito dall’avvento di arbusti pionieri e da rovi, seguiti da alberi da foresta a crescita rapida e, infine, da alberi a crescita lenta e di lunga durata, che vengono a formare un climax ecologico stabile. Queste fasi, a loro volta, potrebbero essere tutte indipendenti e costituire ecosistemi autosufficienti con una propria dinamica, ma per un dato clima e suolo la vegetazione in fase climax prevale in assenza di fattori di disturbo. In questo e in altri esempi di successione classica, c’è in generale un passaggio da:  scarsa biomassa a molta biomassa;  poco humus nel suolo a molto humus nel suolo;  bassa resilienza a fattori di disturbo ad alta resilienza;  scarsa diversità ad alta diversità;  predominio di relazioni competitive a predominio di relazioni cooperative e simbiotiche. Gli ultimi due punti sono controversi, anche nelle foreste decidue a clima temperato dell’emisfero nord. Questo modello è utile per comprendere i processi connessi all’agricoltura e ad altri utilizzi umani della terra:  la maggior parte delle colture attuate in agricoltura avviene in base a processi analoghi alla fase della crescita erbacea. Essa comprende la rapida crescita di piante annuali su terreno nudo (coltivato);  i pascoli sono una versione antropizzata della prateria, che è sì dominata da specie perenni erbacee e non legnose;  molti degli appezzamenti di terreno abbandonato sono oggi coperti da vigorosi arbusti pionieri e da alberi da foresta a crescita rapida;  nell’Europa preindustriale tradizionale, le magnifiche foreste – controllate e a lunga rotazione – di

preziosi alberi di lunga durata avevano in pratica raggiunto la fase di climax. Riconoscendo le fasi della successione ecologica rappresentate da specifici utilizzi della terra, riusciamo meglio a vedere le loro caratteristiche sistemiche con i relativi punti di forza e di debolezza e – cosa ancora più importante – quali forze guideranno la successione. In particolare:  il terreno nudo è un vuoto ecologico instabile, in cui, appena possibile, compariranno forme di vita vegetale, che legheranno le loro radici al suolo, impedendo l’erosione e il dilavamento di sostanze nutritive;  i pascoli brucati dal bestiame tendono a essere invasi da piante spinose poco appetibili, in particolare arbusti e rovi;  le foreste composte da alberi pionieri che richiedono molta luce forniscono l’habitat adatto per la successione ad alberi che amano l’ombra – i cui semi vengono sparsi dagli uccelli – ma non forniscono un buon ambiente per la riproduzione delle piante appartenenti alle specie iniziali.

La composizione floristica iniziale Ciò che chiamo composizione floristica iniziale498 è un modello di successione ecologica in cui gli elementi di disturbo portano a una rigenerazione499 simultanea di tutte le specie, ma in cui, con il passare del tempo, le specie di breve durata si estinguono, lasciando padrone del campo quelle di lunga durata. All’interno di questo modello, si verifica anche il passaggio da un contenuto basso di biomassa e humus a un contenuto alto. La diversità è comunque massima subito dopo la rigenerazione e minima alla maturità. Questo modello descrive la maggior parte degli ecosistemi australiani, dalla brughiera alle umide foreste sclerofille, in cui gli elementi di disturbo – nello specifico il fuoco – hanno come risultato la rigenerazione contemporanea di specie di breve durata e di specie di lunga durata. Ad esempio, in un’arida foresta sclerofilla (ad esempio di eucalipti), un forte incendio – o un altro forte elemento di disturbo – produce una fitta rigenerazione di giovani eucalipti e acacie, insieme a un fitto sottobosco di piante erbacee e arbu-

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Permacultura

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sti di ogni specie, che producono splendide fioriture. Dopo alcuni anni, però, gran parte di queste specie avventizie sparisce. Dopo trent’anni, le acacie per lo più spariscono e la diversità del sottobosco si riduce a quelle specie che meglio tollerano l’ombra o si adattano a condizioni del suolo in cui gran parte delle sostanze nutritive è fissata dagli alberi dominanti, oppure che riescono a sfruttare la materia organica in lenta decomposizione.

L’uso della successione vegetale e animale in permacultura Entrambi i modelli – la successione classica e la composizione floristica – hanno influenzato le idee e gli esempi di successione progettata proposti in Permaculture One. Nel modello di successione di Permaculture One le piante pioniere a crescita rapida, oltre a fornire qualche forma di raccolto, migliorano l’ambiente e lo predispongono all’avvento di piante di maggior valore e durata. Più in generale, la nostra tesi di allora era che, potendo soddisfare i nostri fabbisogni a partire dalle fasi terminali della successione dominate da piante perenni (soprattutto alberi), i nostri ecosistemi coltivati sarebbero diventati più equilibrati e resilienti alle variazioni stagionali dei sistemi basati soprattutto su colture annuali. Nel caso di Melliodora, sono stati applicati i seguenti metodi di successione:  prevenzione degli incendi per permettere l’accumulo di sostanza organica e di sostanze azotate;  abbiamo fatto uso di recinti a prova di conigli e di altri animali, per evitare che interferissero con le prime fasi di crescita delle colture da pascolo; in questo modo c’è stato il tempo di far sviluppare una maggior varietà di specie più appetibili, in grado anche di migliorare la struttura del suolo;  per ottenere pacciame per concimare e proteggere i giovani alberi abbiamo usato erbe e piante infestanti falciate;  abbiamo piantato insieme alberi a crescita rapida – come acacia, tagasaste e causarina – che aggiungono azoto al terreno, e alberi e arbusti a crescita lenta, di lunga durata e tolleranti l’ombra;

 abbiamo piantato noci molto distanziati, e fra un noce

e l’altro, gruppi di noccioli a mo’ di siepe, in modo che i noccioli forniscano frutta prima che i noci crescano fino a occupare interamente lo spazio;  lungo canali e fossi abbiamo piantato alberi decidui dalla folta chioma ed altri sempreverdi per fare ombra ai rovi, impedendone così lo sviluppo;  abbiamo utilizzato le capre per eliminare i rovi e altre piante infestanti difficili da estirpare; in questo modo abbiamo anche reso più ricco il pascolo per le oche, facilitando la crescita di erbe migliori. Comprendere come funziona la dinamica delle successioni è indispensabile per lavorare con le piante e il suolo. I seguenti esempi illustrano alcuni problemi attribuibili alla mancanza di comprensione dei meccanismi della successione:  molta gente tende a progettare e a realizzare orti e giardini seguendo inconsciamente il modello della composizione floricola iniziale, salvo poi dichiararsi delusa allorquando riscontra che non c’è abbastanza spazio per tutte le piante e che alcune addirittura muoiono o crescono stentatamente, man mano che il sistema cambia;  a volte, la risposta al problema che alcuni alberi, crescendo, diventano molto grandi è quella di piantarli molto distanziati all’interno di fasce di protezione o di frangivento, in cui si troveranno a lottare con le piante infestanti e con il vento (la cui velocità, in effetti, aumenta quando si incanala tra alberi distanziati e a lenta crescita);  accade spesso che si decida di rinunciare a coltivare alcune specie perché il gelo, il vento e il sole le danneggiano, mentre in un sistema più maturo, con più ombra e protezione, si permetterebbe a tali piante delicate di prosperare;  quando appaiono nuove piante infestanti, la gente spesso pensa di trovarsi davanti a una vera invasione, che soffocherà tutto il resto. Invece, la loro comparsa in massa può essere semplicemente dovuta a lavori di aratura o ad altre operazioni di disturbo del terreno, che hanno riportato in superficie dei semi dormienti da tempo (ad esempio, le innumerevoli varietà di car-


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do). Queste piante infestanti, però, scompariranno in fretta, man mano che le specie erbacee perenni si insedieranno al loro posto negli anni successivi. Il ruolo degli animali, nell’impedire o pilotare la successione in una particolare direzione, è spesso ignorato o frainteso. Nel caso dei cardi, il pascolo raso – in particolare di pecore e conigli in autunno – è una ricetta per mantenerli in vita. Perfino i botanici, a volte, non riescono a rendersi conto che spesso è il pascolo degli animali selvatici il fattore dominante di ciò che si rigenera e persiste negli ecosistemi naturali. Si potrebbe sostenere che tali problemi nascono dalla mancata comprensione dei bisogni e delle caratteristiche specifiche di piante e animali; tuttavia, se mettiamo in conto i mutamenti e abbiamo familiarità con vari modelli di successione ricavati dall’osservazione di ecosistemi naturali e coltivati, saremo in condizione di prevedere e applicare gli schemi di successione, ottenendo migliori risultati da ciò che progettiamo e piantiamo. L’osservazione, primo principio della permacultura, è fondamentale per fare uso della successione. Il territorio comprende dei processi dinamici con una storia e, in qualche misura, un futuro, che può essere letto da segni osservabili ora intorno a noi. Questa capacità di osservazione è una dote di fondamentale importanza che può essere sviluppata500. Il mutamento dinamico in natura e nel territorio è ben accettato, come concetto; la realtà è, però, che la nostra esperienza diretta e visiva del paesaggio è più comunemente un’immagine statica, in cui passato e futuro risultano invisibili. La maggior parte di coloro che abitano in città oggi sperimenta il tempo atmosferico come se di stagione in stagione o di giorno in giorno, fosse una caratteristica peculiare del luogo in cui vivono, senza rendersi conto che quanto sperimenta è parte di un ciclo o di un processo molto più ampio. Gli agenti immobiliari sanno che la primavera è il periodo migliore per vendere terreni di campagna, perché il paesaggio è verde e i torrenti sono pieni d’acqua. Come consulente, mi accade spesso di avere a che fare con proprietari terrieri che si sono da poco sta-

biliti in campagna; in questi casi, una parte importante del mio lavoro consiste nell’aiutare a decodificare i segni lasciati nel territorio da eventi passati, o gli eventuali utilizzi possibili dei terreni, elementi che non è facile identificare. Quando si inizia a leggere paesaggi e territori con questa lente, si capisce che – nonostante siano stati eventi casuali a provocare gran parte dei mutamenti che vediamo – i modelli descritti dagli ecologi che studiano i territori naturali sono utili per capire anche le caratteristiche di territori radicalmente modificati dalla mano dell’uomo. Questi modelli temporali, che chiamiamo successione, sono analoghi ai modelli spaziali di paesaggi descritti nel Principio 7 come sistemi terra (Land Systems). I casi presentati in seguito, in questo stesso capitolo, sulle piante infestanti di città sono in ogni caso collegati allo sviluppo della capacità di lettura del paesaggio e aiutano a capire nuovi processi di successione.

Le piante vengono prima degli animali Lasciando da parte le complesse possibilità dei vari modelli della successione della vegetazione, le regole fondamentali di successione ecologica possono essere anche usate in modi semplici, per assicurare una sana gestione della terra. Il fatto basilare della successione ecologica è che le piante forniscono le risorse per mantenere gli animali. Ciò ci ricorda che, prima di procurarci gli animali, dovremmo destinare dei terreni a pascoli e campi e alla produzione di mangime facendo opportune semine. Se immaginiamo una piccola proprietà contadina – con un numero eccessivo di capi di bestiame alimentati con foraggi comprati – che non riesce a riciclare il letame, che pertanto si accumula senza poter essere assorbito da un pascolo ormai super sfruttato, avremo un esempio calzante di cosa significa contraddire il principio di successione. Questa contraddizione tra modelli ecologici, per molte persone che abbiano avuto a che fare solo con il gatto di casa o con i pesci dell’acquario, con lo zoo, con i cavalli da corsa o con gli uccelli in gabbia, può non essere così ovvia come sembra. Il sistema industriale di alimentazione degli animali è indicativo di questa con-

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Permacultura traddizione: è finanziariamente sostenibile solo grazie ai bassi prezzi dell’energia, perché i costi ambientali vengono scaricati all’esterno dell’azienda, e ai sussidi di cui godono gli allevamenti industriali.

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La fattoria didattica Collingwood A Melbourne ho lavorato per la Collingwood Children’s Farm, aiutando a migliorare la sostenibilità della fattoria e il valore educativo-ambientale della scuola501. Fra l’altro, abbiamo proposto di piantare alberi da foraggio, da cui poter ricavare il cibo che i bambini davano da mangiare alle capre. Fino ad allora, normalmente, alle capre veniva dato il pane avanzato. Quel pane – a parte il fatto che rovinava l’apparato digerente delle capre – trasmetteva ai bambini il messaggio che anche le capre, come gli umani, si nutrono di un cibo bianco e spugnoso comprato al supermercato, impacchettato e plastificato. I tagasaste e i salici che abbiamo piantato hanno avuto grande successo e hanno reso contenti capre, personale e bambini. La lezione ecologica che, per osmosi, speriamo di avere trasmesso ai bambini è che gli animali ruminanti traggono il loro sostentamento da cibo per niente adatto a essere utilizzato dall’uomo e che, per nutrire degli animali da pascolo, bisogna prima avere delle piante. L’esperienza dei corsi di progettazione in permacultura Nei corsi di progettazione in permacultura che teniamo normalmente, per introdurre il pensiero sistemico, ho scoperto che l’idea di una gerarchia energetica che nelle successioni fluisce dalle piante agli erbivori e da questi ai carnivori è per molta gente un nuovo modo di pensare alla natura. La prospettiva consueta si concentra sul ruolo attivo degli animali nel consumare il cibo. Questa prospettiva è abbastanza naturale (per animali e umani), ma non è corretta: non è l’azione del mangiare o dell’abitare che crea il cibo o l’habitat. Queste risorse sono create, per uomini e animali, dall’attività inesorabilmente lenta delle piante, organismi che a prima vista non fanno nulla e che invece sono alla base di tutto502. Questa è un’idea semplice, ma piuttosto profonda, per capire qual è il nostro posto nel mondo. In un intervento a una conferenza di permacultura503 ho detto che la permacultura

potrebbe essere vista (in un certo senso) come una sorta di corso di recupero in scienze olistiche per cittadini di società opulente in stato di separazione più o meno totale dalla natura. Visto che il resto del mondo si sta urbanizzando alla velocità della luce – ma senza diventare comunque opulento – questo tipo di intervento educativo sta diventando una necessità globale.

Il modello pulsante di successione ecologica Dagli anni ’60, la teoria ecologica ha cominciato a riconoscere che molti ecosistemi si sono evoluti attraversando fasi periodiche di disturbo504 come parte della loro stabilità dinamica complessiva. I fattori di disturbo possono essere esterni all’ecosistema (è il caso di un incendio o di un’alluvione) o interni (nel caso di un’ondata di insetti che distrugge la vegetazione505). Se considerato dal punto di vista del singolo organismo, il fattore di disturbo può avere un effetto catastrofico; dal punto di vista dell’ecosistema può essere invece di grande beneficio. Questa sorta di pulsazione può contribuire a un uso efficiente di risorse limitate, massimizzando la cattura di energia totale. Gli ecosistemi pulsanti506, in genere, vedono un periodo di accumulo, lungo e lento, di biomassa (produzione) seguito da una breve e intensa vibrazione (consumo), in cui la biomassa totale accumulata scompare rapidamente e i nutrienti vengono riciclati. La Figura 32 mette a confronto due modelli di produzione (da parte delle piante) e consumo (da parte degli animali o degli incendi) secondo il vecchio concetto del climax e secondo quello più recente delle pulsazioni. L’evoluzione del territorio Prima che l’ecologia cominciasse a mettere in dubbio i modelli classici a climax di successione e stabilità, questo modello a pulsazioni era già ampiamente accettato in un altro campo delle scienze naturali, la geomorfologia. Questo modello a pulsazioni viene anche chiamato catastrofismo (o teoria delle catastrofi) e suggerisce che molte formazioni geologiche – probabilmente la maggior parte – sono il risultato di forze potentissime che agiscono per tempi relativamente brevi. Un ovvio esempio è la


12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo formazione relativamente rapida delle montagne attraverso l’attività vulcanica. Più in generale, la formazione delle montagne avviene ai margini delle placche tettoniche terrestri nel corso di periodi relativamente brevi di tempo, geologicamente inteso. Ancora più sorprendente è l’idea che il corso dei fiumi non sia l’effetto di un lentissimo processo di erosione, ma

di alluvioni catastrofiche su scale enormi, verificatesi in un brevissimo lasso di tempo. Secondo questo modello, la formazione di un fiume è simile a ciò che possiamo osservare su piccola scala con i canaloni di erosione. Il corso dei torrenti è generalmente stabile per lunghi periodi di tempo, finché il sommarsi di diverse condizioni altera in modo molto marcato l’assetto del letto del torrente. Que-

Vecchio modello climax: la fase di sviluppo è seguita da uno stato di climax

Quantità

Produttori (piante)

Consumatori (animali)

Nuovo modello pulsante: alternanza di produzione e consumo in base alle pulsazioni

Produttori (piante) Quantità

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Anni

Consumatori (animali) Anni Figura 32 – Confronto di due paradigmi di crescita e successione (secondo Odum 1987).

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Permacultura ste condizioni possono essere delle piogge molto forti, un suolo molto sciolto o anche il degrado della vegetazione che ricopre il bacino idrico del corso d’acqua507. Gran parte dei canaloni a forma di U, oggi interamente coperti di vegetazione, che costellano le campagne del Central Victoria, risale a una serie di eventi climatici, che si verificarono durante la corsa all’oro nella seconda metà dell’Ottocento; in quel periodo avvenne una massiccia opera di disboscamento di molti bacini idrici. I terremoti nei territori montani causano innumerevoli smottamenti di terreno, blocchi dei corsi d’acqua o addirittura la formazione di laghi, e questo è un altro esempio di trasformazione geologica del territorio attraverso eventi catastrofici. Anche in Australia, terra geologicamente antica e relativamente stabile, esistono molti esempi di processi formativi rapidi. Le tempeste di sabbia e l’erosione eolica possono essere minimi per decenni ma basta un singolo evento – come la tempesta di sabbia del 1983, che ricoprì Melbourne con terra proveniente dal Mallee, Victoria – a smuovere più sabbia che decenni di normale erosione eolica. La vecchia teoria del gradualismo in geomorfologia ha tuttora una sua validità, per spiegare il lento adattamento alle nuove formazioni causate dagli eventi catastrofici. Ne sono esempi la lenta erosione e l’occasionale cedimento delle pareti dei canaloni, finché non si ristabilisce un nuovo assetto abbastanza stabile, e la graduale erosione degli smottamenti che ostruiscono le valli dopo un evento sismico.

La teoria del caos La teoria del caos508 ha fornito un quadro generale per comprendere il ruolo del cambiamento e della stabilità in molte diverse discipline scientifiche. Essa afferma che gli eventi (i mutamenti) non sono distribuiti a caso nel tempo e nello spazio, ma si verificano a grappoli (cluster); inoltre, gli eventi a grappoli operano su molteplici scale e vi possono essere gruppi all’interno di altri gruppi. La teoria del Big bang sull’origine dell’universo è simile a un evento geomorfologico catastrofico seguito da una serie di aggiustamenti graduali, che possono essere la formazione delle galassie e svariati altri fenome-

ni. Le stesse galassie possono essere viste come intensi punti di attività (energia) e forma (materia), molto densi e separati da migliaia di anni luce di spazio quasi vuoto. All’interno delle galassie, i grappoli di stelle, le stelle binarie e i sistemi solari rappresentano degli aggregati su scala minore posti all’interno degli aggregati maggiori. Anche se il Big bang suggerisce un’origine posta in un unico punto, una recente teoria509 afferma che fu una espansione in un universo pulsante.

L’incendio come impulso negli ecosistemi australiani La maggior parte delle foreste australiane si è adattata agli incendi, come evento periodico che ricicla i nutrienti, stimola la rigenerazione vegetale e fornisce spesso un apporto speciale di nettare e semi a insetti, uccelli e animali che dipendono da queste risorse. L’effetto del calore, inoltre, può liberare dei minerali prima indisponibili perché legati ad argille e rocce. Il fuoco è una forma di consumo di biomasse analoga al pascolo degli animali, ma molto più intensa e potente. Riducendo il volume della massa combustibile, i fuochi di piccole dimensioni riducono la probabilità che gli incendi crescano fino a raggiungere dimensioni potenzialmente pericolose. Quanto frequenti e intensi debbano essere gli incendi, per mantenere sano un ecosistema, è una questione tuttora oggetto di dibattito anche per i ranger dei parchi nazionali (v. anche il Principio 11). A quanto pare, incendi frequenti hanno come risultato il passaggio ad ecosistemi più ricchi di vegetazione510. Le cause del fenomeno sono complesse ma la perdita di azoto e fosforo, che si verifica dopo un incendio è stata ampiamente verificata ed è la prova del passaggio a una fase di minore fertilità. Probabilmente, esistono ancora dei passaggi e delle trasformazioni chimiche importanti e poco capite negli studi ecologici che hanno portato a una teoria della fertilità poco corretta511. I dettagli relativi agli effetti del fuoco sugli ecosistemi sono enormemente complessi e controversi. Per ogni ecosistema a bassa fertilità adattato al fuoco, saranno la frequenza e l’intensità del fuoco stesso a fornire


12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo l’equilibrio ottimale tra stimolo all’ecosistema e stabilità. L’effetto vibrazione-pulsazione del fuoco sembra dare spinta all’azione e molti benefici, ma anche la lunga e lenta fase della ricrescita della vegetazione è indispensabile per la salute del sistema.

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Ecosistemi agricoli pulsanti Il pascolo a settori Allan Savory512 e altri hanno avanzato l’idea che le greggi in movimento degli animali al pascolo abbiano un effetto positivo sulla salute e sul vigore degli stessi terreni a pascolo, proprio perché gli animali sfruttano fino in fondo ogni filo d’erba disponibile, man mano che passano da una zona all’altra. Questo principio è stato applicato con successo alla pastorizia ed è noto come pascolo a settori. Oggi siamo convinti che i terreni a pascolo rendano al meglio quando non sono sottoposti costantemente al pascolo, mentre, per garantire il vigore dei prati e riciclare le sostanze nutritive, sono utili brevi periodi di introduzione del bestiame. Un pascolo marcato, se avviene di tanto in tanto, può servire a esporre e aprire porzioni di terreno, favorendo la crescita di piante leguminose e di altre specie utili di breve durata. In base all’ecologia dei sistemi, la separazione dell’aspetto della produzione (crescita della pianta) da quello del consumo (pascolo animale) aumenta l’elaborazione totale di energia e la resilienza del sistema. Inoltre, ai fini della salute del sistema, la fase del consumo è sempre breve e relativamente intensa. Quanto debba essere breve e quanto intensa sono questioni di grande rilevanza per gli allevatori513. Rotazioni con pascolo e sovescio Un altro importante esempio di sistemi agricoli pulsanti è quello fondato sulla rotazione tra colture annuali – che richiedono terreni fertili – e la rotazione prolungata basata su pascoli perenni, che migliorano il suolo. Nei climi temperati a piovosità moderata, i prati con trifoglio di diverse varietà e con erbe – perenni e non – migliorano il contenuto di materia organica del suolo

e la sua struttura e fertilità, specialmente se il regime di pascolo segue i modelli pulsanti illustrati in precedenza. L’aratura dei pascoli mette in circolo tutta la fertilità accumulata, producendo rese molto alte nelle colture annuali; tuttavia, se la sequenza di colture annuali viene poi mantenuta per un numero eccessivo di anni, la fertilità declina. Varie applicazioni di questo modello si sono succedute in Australia finché la fase del pascolo (riservato alle pecore) è diventata antieconomica. Oggi il regime agricolo tipico è la semina diretta senza aratura, utilizzando gli erbicidi per tenere sotto controllo le piante infestanti e aggiungendo fertilizzanti chimici; quest’ultima pratica supplisce alla mancanza di concimazione animale. Non è ancora chiaro se queste nuove pratiche agricole avranno il potere di ricostituire la fertilità del terreno e la fertilità minerale o se condurranno a un’altra perniciosa spirale verso il degrado totale. L’evidenza attuale non è però incoraggiante. Per le aziende agricole biologiche, attuare questo tipo di coltura è impossibile, a causa dell’alto costo dei fertilizzanti organici biologici. Per tale motivo il modello tradizionale, basato sulla concimazione verde (sovescio) e il pascolo, è un sistema di miglioramento del suolo più sostenibile. Questo modello riflette alla perfezione il concetto di ecosistema pulsante.

Ricrescita del bosco e conservazione del suolo Nei terreni collinari ad alta piovosità e bassa fertilità dell’Australia meridionale, il far ricrescere liberamente i boschi (specialmente quelli di acacie, che migliorano il suolo) ha rappresentato per lunghi anni una pratica convenzionale per ricostituire la fertilità del suolo prima di procedere di nuovo al taglio del bosco, con successiva semina di terreno a pascolo; questo, a sua volta, veniva mantenuto per uno o due decenni, prima di cedere nuovamente il posto al bosco. Proprietari terrieri entusiasti e senza esperienza, spronati dalla prospettiva del pascolo eccezionale successivo al taglio del bosco, hanno seguito questa pratica molto diffusamente, negli ultimi cento anni. Nella maggior parte dei casi, le fasi di disboscamento e di impianto del pascolo hanno

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probabilmente causato più erosione e perdita di materia organica e nutrienti di quanta ne venisse accumulata nei venti e passa anni di crescita e sviluppo di bosco. Di questo passo, ogni fase del processo corrisponde a un degrado della qualità del terreno.

Il taglia e brucia delle zone tropicali Tra i sistemi agricoli pulsanti ben documentati, quello più evoluto e sostenibile è lo swidden o agricoltura taglia e brucia della Nuova Guinea e di altre zone tropicali. Piccole aree di foresta tropicale vengono disboscate, bruciate e poi seminate con una grande varietà di piante perenni che sfruttano la fertilità rilasciata dalla massa vegetale incendiata. La struttura degli orti coltivati imita la foresta pluviale con una stratificazione dei livelli di coltivazione (albero, arbusto, rampicanti, colture da radici). Questa struttura minimizza il dilavamento di nutrienti. Col tempo, la conformazione dell’orto diventa sempre più difficile da mantenere e il raccolto più scarso aumenta lo sviluppo di specie legnose non alimentari. A questo stadio, la zona viene abbandonata e lasciata alla foresta. A volte, vengono mantenuti alcuni alberi della foresta ricresciuti spontaneamente: vengono chiamati madri dell’orto, in riconoscimento dell’esigenza che la foresta, rigenerandosi, ricostruisca la fertilità del suolo. Nelle zone montuose e collinari della Nuova Guinea – prima dell’arrivo degli europei, intorno al 1930 – questo tipo di agricoltura ha provveduto al sostentamento di popolazioni numerose. Il taglia e brucia è la forma di agricoltura più energeticamente efficiente documentata a livello scientifico514. Il tempo di rotazione, affinché la foresta ripristini il patrimonio di fertilità, è importantissimo. Sono normalmente necessari vent’anni, prima di una nuova fase agricola successiva al taglia e brucia. Di conseguenza, il rapporto tra orto e foresta è sempre molto limitato. Nelle regioni tropicali, questa forma di agricoltura è ora generalmente ritenuta non sostenibile, perché la fase di sfruttamento è diventata sempre più frequente, in seguito alla pressione della popolazione che vive in aree forestali via via più ridotte515.

Lezioni per la progettazione e gestione della terra nella prospettiva permaculturale I precedenti esempi mettono in rilievo l’importanza del modello degli ecosistemi pulsanti, per comprendere un’ampia gamma di utilizzi della terra. L’uso del fuoco, del pascolo e della coltivazione, per avere un periodo (impulso) di alte rese tra fasi molto più lunghe di ricostituzione biologica, può essere considerato un utilizzo strategico del cambiamento, rispetto alla pratica continuativa di catturare e conservare energia. La scoperta di questo processo ha avuto un’enorme importanza per il successo dell’Homo sapiens, molto più dell’invenzione dell’agricoltura basata sulle colture annuali516. La lezione più difficile da apprendere è che i benefici degli ecosistemi pulsanti dipendono dal lento accumulo della fase iniziale di ricostituzione della fertilità. Se la fase di sfruttamento aumenta di ritmo, avremo una lenta spirale che porterà al degrado dell’ecosistema. Questa dinamica può essere considerata un modello generalizzato di degrado del territorio, in cui la ripetizione di un particolare tipo di utilizzo della terra fornisce benefici immediati, ma produce il declino a lungo termine. L’utilizzo del pascolo, del fuoco o della coltivazione può essere considerato come una interruzione dei processi di successione naturale. Siamo perciò all’antitesi della classica strategia permaculturale dell’accelerare la successione delle varie fasi vegetative fino a raggiungere la fase della maturità, il climax. Suggerire che questi usi produttivi dei fattori di disturbo seguono dei modelli osservabili in natura potrebbe essere pericoloso, perché si potrebbe incoraggiare un loro supersfruttamento, con conseguente ulteriore degrado del suolo, che la permacultura sta cercando piuttosto di invertire attraverso un sostanziale ribaltamento dei modelli di coltivazione e di utilizzo della terra. Nel testo Permaculture: design for cultivating ecosystems517 ho mostrato com’è facile scivolare indietro, nella mentalità da pionieri che cerca sempre di bloccare i processi legati alla successione, in base all’idea, quasi sempre sbagliata, che così facendo possano derivare grandi raccolti e rese. Quell’articolo spiega anche come anche con metodi


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più tradizionali (ascia, fuoco e pascolo) si possa raccogliere la fertilità lentamente accumulata nella vegetazione. Un mio amico – per quindici anni entusiasta sostenitore dell’orticoltura permaculturale senza aratura – scoprì, a un certo punto, gli effetti straordinari che aveva sulla produttività una fresa, con cui si mise a coltivare il suo orto, che era di notevoli dimensioni. Dopo diversi anni, accadde che la moglie, con un nuovo metodo consistente nel pacciamare un pezzo di terreno prima adibito a pascolo, ottenesse dei risultati superiori a quelli resi possibili dall’utilizzo della fresa nel suo orto, che cominciava a manifestare dei problemi connessi alla struttura del suolo. Ironicamente, la tecnica di pacciamare con fogli di materiale biodegradabile è essa stessa un tipo di processo pulsante, in cui la decomposizione della pacciamatura e della vegetazione del pascolo dà come risultato un terreno da orto molto produttivo per alcuni anni, prima che gli squilibri minerali del suolo tendano a diventare fattori limitanti e riducano i raccolti.

La pacciamatura a tappeto e le alternative alla successione vegetale Mi dà un po’ fastidio il fatto che la permacultura sia diventata sinonimo di orticoltura con uso di pacciamatura a tappeto, come se questo fosse il massimo, in fatto di utilizzo sostenibile della terra. Per me, questa tecnica è sempre stata un modo facile per trasformare prato e pascolo in produttiva terra da orto senza doversi sottoporre al duro lavoro di zappare ed estirpare infestanti, facendo uso di materiali organici di rifiuto disponibili su scala locale. Grandi quantità di materiali organici sono disponibili su scala locale in città e fattorie. Servirsi di questi materiali come pacciame per l’orto è un modo ottimale di utilizzare ciò che altri considerano un rifiuto ma, nel futuro a bassa disponibilità di energia che ci attende, questi materiali non saranno più disponibili a basso costo. Usata come pratica continuativa invece che solo al momento di impiantare l’orto, la pacciamatura crea dipendenza da una costante fornitura dei materiali usati come copertura. Se si tratta di un buon fieno di erba medica, ad esempio, difficilmente si può parlare di una pratica sostenibile.

Inoltre, è dubbio che siano sani ed equilibrati i terreni da orto continuamente ricoperti da quantità di materia organica a densità da 10 a 100 volte maggiore di quanto possa accadere in un terreno in modo naturale. Dal punto di vista dell’agricoltura biodinamica, fare un’eccessiva e continua pacciamatura equivale a soffocare la vita del suolo; dal punto di vista di Albrecht, col tempo la pratica dà come risultato l’accumulo di eccessive quantità di potassio. Se vogliamo sostituire alla costante pacciamatura dell’orto altre pratiche connesse al principio della successione vegetale bisognerebbe:  spostare l’orto in un nuovo appezzamento, lasciando incolto il vecchio, in modo che si ricopra (naturalmente) di erbe e piante infestanti;  lasciare che nell’orto predomini gradualmente il pacciame naturalmente fornito da alberi da frutto e simili (foglie secche e residui di potatura);  applicare metodi più intensivi di coltura, con compost di alta qualità, supplementi di minerali di roccia scelti con cura e misura, un modesto utilizzo di pacciame e zappature leggere e superficiali aerando invece in profondità il terreno per mezzo di una forca. In questo modo si spera di ottenere per sempre un suolo equilibrato e produttivo. La prima alternativa è il destino di molti orti per una varietà di ragioni (non raramente anche per il trasloco del proprietario). La seconda crea la classica foresta alimentare tipica della permacultura, considerata da molti l’ideale. Rimane solo da risolvere il problema di dove coltivare pomodori e insalata. A Melliodora, abbiamo cercato di mettere in pratica una combinazione della seconda e della terza alternativa. Abbiamo comunque sperimentato anche la prima, in alcuni casi in cui alcune infestanti rizomatose erano completamente sfuggite al controllo518.

La foresta alimentare come successione vegetale Molti orti intensivi, pacciamati in base ai principi della permacultura, con colture miste annuali e perenni, non sono altro che un’applicazione del princi-

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Permacultura pio di successione della composizione floristica iniziale. Il passaggio alla fase successiva caratterizzata da alberi da frutta, rampicanti, piante tolleranti l’ombra e poche specie perenni dà come risultato diversi tipi di foreste alimentari, che continuano a fornire una varietà di raccolti con poco lavoro. D’altro canto, la fase caratterizzata da produzioni ad alta resa delle specie vegetali annuali più importanti richiede invece spazi aperti e soleggiati. Dopo un decennio dedicato a coltivare ed espandere la loro foresta alimentare (food forest), ho visto diversi permacultori utilizzare motosega e biotrituratore per abbattere alberi di leguminose troppo cresciuti e alberi da frutto in numero eccessivo, per recuperare zone esposte al sole e una parte della fertilità imprigionata dagli alberi, destinandola a ortaggi e altre specie da valorizzare. Mi sono goduto questa scena, pensando a un revival iconoclasta del taglia e brucia tradizionale. Io pianto alberi che migliorano il terreno sapendo che i maggiori benefici di questa pratica si otterranno quando verrà il momento di sacrificarli mettendo la fertilità incorporata nelle radici e nella massa vegetale a disposizione di altre specie vegetali. Per quanto concerne Melliodora, alcuni esempi meno brutali, relativi all’impianto di foreste alimentari e all’utilizzo dell’abbondanza assicurata dalla natura, sono stati il trapianto dei prugnoli selvatici nati nell’orto all’esterno di esso per farne una siepe, e il dono di tutte le innumerevoli piante da frutto nate da seme ad altre persone, affinché le trapiantassero nei loro orti519. In Natural gardening and intensive biological gardening520 ho trattato un’ampia gamma di strategie e tecniche che potrebbero essere rilevanti in orticoltura come tratto in comune tra approccio intensivo e approccio estensivo. Molte delle opzioni considerate sono connesse al concetto di scala analizzato nel Principio 9, ma il Principio 12 – poiché tratta dell’uso costruttivo e creativo del cambiamento – è anch’esso centrale, per capire che ciò che esiste adesso diventerà, evolvendo, qualcosa di molto diverso. Le semplici nozioni di stabilità e sostenibilità non ci aiutano a decidere nel modo migliore.

Un modello di mutamento di un ecosistema in quattro fasi Il modello in due fasi (accumulo-consumo) di ecosistema pulsante è utile, ma ne esiste un altro, in quattro fasi, degno di essere considerato521. Le quattro fasi sono: conservazione, rilascio, riorganizzazione e sfruttamento (o utilizzazione).  La conservazione rappresenta lo stadio di climax, stabile e di lunga durata, in cui si realizza un alto grado di interconnessione tra gli elementi del sistema e un grande accumulo di capitale biologico, con limitato dilavamento di nutrienti.  Il rilascio rappresenta il fattore o impulso di disturbo, normalmente di durata molto breve.  La riorganizzazione è la fase più instabile e si verifica quando vi sono nicchie aperte, nutrienti solubili ed energia che possono essere utilizzati oppure perduti. Durante questa fase, c’è il potenziale per il passaggio a ecosistemi più o meno produttivi e organizzati.  Lo sfruttamento si realizza quando specie pioniere a crescita rapida colonizzano gli spazi resi disponibili nella terza fase, catturano e immagazzinano velocemente energia e consolidano i modelli di accumulo di biomassa, migliorando la coesione tra i vari elementi del sistema. Si creano così tutte le condizioni per una nuova fase di conservazione. Questo modello concentra l’attenzione sulle condizioni interne alla fase di climax che rendono l’ecosistema vulnerabile ai fattori di disturbo, e sulla complessa e incerta dinamica, che segue la fase di rilascio, prima che si concretizzino le condizioni per una nuova vigorosa fase di sfruttamento. È importante ricordare che la fase di riorganizzazione comprende:  un alto rischio di deriva ecologica verso una più bassa produttività (generalmente dovuta a perdita di nutrienti minerali);  un minor rischio di rilevante degrado (spesso dovuto alla coincidenza di marcati eventi atmosferici)522;  la potenziale invasione ecologica e il possibile pas-


12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo saggio a sistemi maggiormente produttivi più idonei a utilizzare le risorse disponibili.

La successione in economia e società

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I modelli di successione ecologica sono utili anche per la comprensione di mutamenti microeconomici, sociali ed evolutivi, di modelli culturali umani su larga scala.

I pionieri del ritorno alla terra Il termine piante pioniere deriva dal significato originario di pioniere: una persona che si stabilisce per prima in una regione, rendendola così pronta ad ospitare altre persone e coloni. Il movimento del ritorno alla terra si è sviluppato a partire dagli anni ’70; molte persone, allora, lasciarono le città per stabilirsi in campagna alla ricerca di una vita rurale più autonoma. Queste persone allora si comportarono come veri pionieri, trasformando anche l’ambiente sociale ed economico di molte zone rurali depresse. Con il loro modo di agire, hanno gettato le fondamenta per altri insediamenti rurali più convenzionali e per l’industria del turismo che hanno reso queste regioni del tutto diverse da analoghe zone rurali australiane tuttora in declino. Fra i risultati visibili di questo primo movimento di ritorno alla terra bisogna includere: il restauro di vecchi edifici, il ritorno all’artigianato di un tempo, l’apertura di negozi e locali di vendita e consumo di prodotti naturali, l’avvio di fattorie improntate ai principi della permacultura, la costruzione di edifici alternativi e di aziende agricole biologiche su piccola scala, la conservazione di aree di foreste o di paludi, l’apertura di scuole alternative, la formazione di esperti di medicina alternativa. A questa prima generazione ne seguì poi una seconda, formata da nuovi pionieri e turisti. La struttura sociale creata dai pionieri fece sì che queste regioni diventassero un punto di attrazione per altre persone e altre iniziative economiche, in contrasto con l’influsso esercitato dalla grande città sulla cultura e sull’economia nazionale523. L’ironia insita in questo processo di successione – considerato a livello sociale – è che i pionieri raramente vedono l’arrivo di nuovi migranti e turisti con equani-

mità. I nuovi venuti vengono spesso considerati degli utilizzatori non degni delle risorse rurali e culturali della zona o dei portatori di comportamenti urbani poco consoni, non in sintonia con quelli dei campagnoli. Questi atteggiamenti hanno un fondo di verità ma, se comprendessimo meglio i meccanismi della successione sociale, non saremmo delusi da questo processo. Essendo composto da pionieri, è normale che l’ambiente sociale che si viene a creare in prima battuta sia favorevole alla mentalità da pionieri; col passar del tempo, però, si creano collettivamente delle condizioni che hanno una diversa impronta, non più adatta solo alla mentalità originaria dei pionieri, ma aperta ad altre classi o settori sociali. Questo fenomeno rurale rappresenta una variazione del processo di successione sociale chiamato gentrification524, un fenomeno che ha interessato molti centri storici di grandi città.

La gentrification Il processo così chiamato ha inizio quando studenti, artisti e altri creatori di tendenze vengono attratti dalle aree dei centri storici abitate da operai; aree che si presentano di solito piuttosto malandate, dal punto di vista materiale525, ma dinamiche dal punto di vista sociale. I pionieri, in questo caso, hanno l’effetto di renderle appetibili per i proprietari di case-restauratori. I restauratori aumentano gli affitti e rivendono le proprietà; ciò ha l’effetto di estromettere dalla zona molti degli occupanti originari a basso reddito. Negli ultimi trent’anni, la trasformazione da quartiere operaio a quartiere residenziale (riassunta nel termine gentrification) ha trasformato i vecchi centri cittadini di molte città del mondo occidentale. Questo processo di successione sociale pare abbia anche delle fasi ulteriori. I proprietari-investitori affittano le nuove case ristrutturate – che a quel punto fanno tendenza – a giovani e promettenti professionisti, ma intanto la comunità dinamica che aveva attratto i primi bohémien, e che aveva dato la spinta iniziale a tutto il processo, non esiste più. La situazione che si viene quindi a creare vede i proprietari assenti e disinteressati, l’aumento della criminalità e, in ultima analisi, il crollo graduale del valore

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Permacultura

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degli immobili. Tutto ciò crea nuovamente l’opportunità, per le fasce a basso reddito, di ricreare il momento iniziale dando vita a una nuova comunità. Il processo assume così i contorni di un sistema pulsante o di un sistema di mutamento in quattro fasi.

La successione dei nouveaux riches La successione culturale avviene all’interno delle famiglie. Il passaggio, nel corso di diverse generazioni, dall’essere contadini legati al luogo a divenire operai di città e, da lì, piccoli imprenditori e poi professionisti istruiti, è un modello classico che caratterizza la successione sociale basata sull’abbondanza di energia fossile. Questo modello può essere visto all’opera da un capo all’altro del globo, poiché pervade ogni tipo di cultura. La prima generazione che rompe i legami con il luogo natio spesso è spinta a farlo dall’indigenza, dall’oppressione o dalla perdita dei propri averi; può essere attratta, però, anche dalla prospettiva della ricchezza facile, come dimostra Dick Whittington526, il quale credeva che le strade di Londra fossero lastricate d’oro. Il modello della successione culturale, con tutte le variazioni possibili, si è ripetuto nella storia di centinaia di milioni di famiglie durante tutto il secolo scorso. Come avviene nei rapidi passaggi della gentrification, anche nella transizione alla ricchezza non è una fase finale stabile di climax, ma il momento pulsante dominato dal consumo, che però non è sostenuto nel tempo. Il luogo comune sulla prima generazione che crea la ricchezza, la seconda che la spende e la terza che la perde dimostra che esiste un principio di comprensione dei limiti della ricchezza. È vero che l’aristocrazia e i ricchi spesso continuano a mantenere nell’opulenza la propria discendenza per molte generazioni, tramandandosi con la massima attenzione, di padre in figlio, specifiche caratteristiche. Tuttavia, il mantenimento dell’opulenza viene ottenuto in un contesto in cui è di per sé la distinzione dalla massa a evidenziare il diverso livello culturale. Se tutti fossero ugualmente ricchi, sarebbe molto difficile per le élite mantenere la propria patina di diversità culturale. Le ricche società industriali occidentali, in qualche misura, sono riuscite a mantenere per generazioni un

livello di ricchezza moderatamente funzionale per la maggioranza della loro popolazione, ma solo perché, globalmente parlando, le grandi masse erano e rimanevano povere. Inoltre, vari problemi relativi all’aumento dei costi dell’assistenza sanitaria e in generale del welfare state, la scomparsa di un’etica del lavoro, i comportamenti dettati da dipendenze di vario tipo (microcriminalità), la crisi del sistema dell’istruzione e altro ancora non fanno che indicare che i costi della società opulenta stanno raggiungendo il limite. È difficile immaginare un mondo in cui questo pulsare del consumismo spinto dall’abbondanza possa persistere per più di qualche generazione, anche se non vi fossero limiti materiali molto netti e ineludibili come le risorse energetiche.

I cicli socio-politici come modelli pulsanti La teoria economica neoclassica e il suo corollario politico – che ha dominato le politiche istituzionali maggioritarie negli ultimi due decenni del XX secolo – sono argomento di un crescente corpo di analisi critiche a partire da prospettive di tipo sia ambientale che sociale. Quasi tutti – tranne i sostenitori più sfegatati – hanno qualche storia da raccontare sulle follie della cosiddetta razionalità economica. Piuttosto che unire la mia voce a quella litania, penso sia utile considerare gli ultimi vent’anni di storia alla stregua di un’intensa pulsazione di attività economica contraddistinta dal consumo del capitale sociale ed economico accumulato nei precedenti quattro decenni. La fase attuale di capitalismo laissez-faire è nata agli inizi degli anni ’80, con Margaret Thatcher e Ronald Reagan. Essa segnò il tramonto dell’economia keynesiana e socialdemocratica, che aveva caratterizzato il mondo industrializzato dopo i disastri della Grande Depressione e della seconda guerra mondiale. In quel periodo, un insieme di fattori aveva contribuito alla crescita di infrastrutture e di servizi pubblici come l’istruzione, la sanità e altri aspetti della vita sociale collettiva. Fra questi fattori bisogna ricordare:  l’etica del lavoro e della frugalità;  la fiducia nelle strutture e nei valori sociali;


12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo dei salari e il miglioramento delle condizioni di lavoro;  una forte politica pubblica, volta a controllare i peggiori eccessi del capitalismo e a dirigere la ricchezza sociale al bene comune.

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 l’aumento

Negli anni ’70, la crisi del petrolio, la Guerra Fredda e altri fattori hanno ridotto la capacità di sostenere uno standard di vita e di benessere pubblico in continua crescita. Gli “agenti pubblicitari” delle élite sono riusciti a vendere il messaggio che erano l’inefficienza della burocrazia pubblica e il controllo dell’economia a inibire il mercato, che non riusciva a distribuire in modo efficiente le risorse e a creare ricchezza. Le privatizzazioni, i tagli alle tasse sul reddito, la riduzione della manodopera e le chiusure delle aziende (dopo che i controlli sull’economia erano stati ridotti) hanno certamente aumentato la ricchezza economica misurabile, ma buona parte di questa nuova ricchezza nei Paesi occidentali è finita nelle mani dei privati e delle multinazionali. Dopo venti anni, è facile adesso rendersi conto che molta della cosiddetta produttività di quel periodo trovava le sue basi nella liquidazione del patrimonio pubblico creato nei decenni precedenti. Come l’agricoltore che si meraviglia delle alte rese delle sue colture cresciute sulle ceneri di una foresta, molti erroneamente credono che questa fase di intenso consumismo economico possa andare avanti all’infinito e la ritengano, erroneamente, produttiva. I patrimoni materiali pubblici sono stati venduti o smantellati. Oltre a questo, le conoscenze e le abilità del personale delle grandi organizzazioni – che rappresentano l’intelligenza del sistema e la sua capacità di previsione e organizzazione, create da un sistema di istruzione pubblico in grado di proiettare i suoi risultati nel lungo termine – sono state messe da parte, a vantaggio dei cosiddetti istinti animali della legge del profitto a tutti i costi. Il patrimonio di conoscenze condivise della scienza è diventato una proprietà intellettuale, una miniera d’oro da razziare, vendere e controllare. Perfino la buona volontà e la credibilità delle organizzazioni non governative – costru-

ite in decenni di volontariato e di impegno – vengono oggi valutate in termini di milioni di dollari527. Possono, i Paesi ricchi, evitare un’altra tragedia economica delle dimensioni della Grande Depressione, prima che ci si renda da più parti conto che dobbiamo ricostruire la ricchezza collettiva? Si è tentati di pensare a questo obiettivo nei termini di una santa crociata del bene contro il male, ma la maggioranza delle persone è comunque disposta a riconoscere che l’impulso apportato del capitalismo rampante ha prodotto anche qualcosa di buono. Le strutture della ricchezza pubblica che verranno ricostruite saranno necessariamente diverse da quelle che sono state spazzate via. Quelle strutture erano nate dalle politiche socialdemocratiche degli anni ’30, ’40 e ’50, epoca in cui la disponibilità di energia di rete salì rapidamente. Già negli anni ’30, il petrolio cominciò sempre più a essere utilizzato per i trasporti mentre il carbone utilizzato per l’elettrificazione cominciava il suo decollo. L’accumulo di capitale sociale ed economico fu dunque largamente basato sul rapido consumo di capitale naturale.

L’onda pulsante dei combustibili fossili Attualmente, abbiamo consumato la metà più accessibile delle probabili riserve totali di petrolio convenzionale; le opportunità di grandi espansioni delle reti elettriche e del consumo si stanno riducendo. Nello stesso tempo, la popolazione mondiale è più che triplicata; pertanto, la ricostituzione del capitale sociale e culturale deve avvenire all’interno di un contesto di disponibilità di energia in decrescita e in modi che potenzino il contemporaneo ricostituirsi del capitale naturale nei nostri territori. Il rendersi conto della realtà energetica, per molte persone, è causa di disperazione davanti all’immane compito e ai limiti posti alla riuscita dell’impresa. Il capitalismo globale, come un incendio, ha sì trasformato le foreste in cenere ma, dai limiti ristretti di norme e istituzioni culturali del tutto inadeguate ad affrontare il mondo del declino energetico, ha anche liberato molte potenzialità e informazioni. Le ceneri delle foreste consumate dal fuoco

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Permacultura offrono ai semi di specie pioniere l’opportunità di riformare la foresta in modo che meglio rifletta fattori su larga scala come fertilità e mutamenti climatici. Allo stesso modo, la globalizzazione fornisce delle opportunità per seminare a livello sociale la creazione di nuove culture bioregionali adatte alle realtà locali dell’energia. La distruzione culturale ed ecologica creata dal capitalismo globale offre oggi nuove opportunità di stabilire su scala molto ampia e a lungo termine i parametri per la crezione di sistemi culturali idonei ad affrontare il declino energetico. In questo contesto, assume un nuovo significato l’aforisma della permacultura che recita: “Il problema è la soluzione”. Questa frase non richiama un ingenuo ottimismo di fronte a terribili prospettive future oppure l’illusione di avere a disposizione tutte le opportunità e i rimedi; rappresenta, invece, un’idea molto semplice, che ha una estrema rilevanza per il nostro tempo. Se – in base al ciclo in quattro fasi di Holling528 – il capitalismo globale rappresenta il momento del consumo delle risorse rinnovabili e non-rinnovabili accumulate dal pianeta terra, allora anche la permacultura rappresenta il nuovo potenziale della riorganizzazione. Per sviluppare una cultura del dopo-abbondanza, non è indispensabile denigrare ciò che fecero i nostri genitori, nonni o progenitori giudicando le loro azioni come ignoranti, miopi e antiecologiche. Dovremmo invece riconoscere che il terreno su cui ci troviamo oggi è stato preparato per noi da coloro che sono vissuti prima di noi529. Una visione più positiva dei mutamenti generazionali mette in grado di agire consapevolmente e costruttivamente, affrontando le immense opportunità offerte dalla discesa energetica.

Cambiamenti evolutivi La selezione di animali e piante Il fatto che nella progettazione in permacultura si sia data grande rilevanza al processo della successione non significa che altri processi biologici di mutamento non siano importanti. La consapevole applicazione del principio della pressione selettiva, per creare e cambiare nuove varietà di vegetali e di animali domesti-

ci, rappresenta probabilmente il più antico e importante utilizzo della mutazione genetica per assicurarsi un futuro sostenibile. Nel Principio 10 abbiamo spiegato alcuni dei fattori che influenzano la selezione di piante e animali, in termini di equilibrio tra produttività e diversità. Man mano che i cambiamenti indotti dall’uomo su scala ambientale diventano più veloci ed imprevedibili, diventa sempre più difficile prevedere quali forme selezionate dimostreranno di essere adatte all’ambiente. È, di conseguenza, ancora più importante assicurare la massima diversità possibile, compresa la diversità caotica e selvaggia delle piante infestanti. L’ampio spettro di diversità vegetale, animale e anche umana permette enormi possibilità di scelta, allo scopo sia di conservare che di creare nuove varietà, in risposta a condizioni ambientali in mutamento. Come l’industrializzazione ha portato allo sviluppo della selezione di piante e animali adatti a una più alta disponibilità di energia, così il declino della disponibilità di energia porterà a un più ampio utilizzo di varietà e razze tradizionali – dove queste esistono ancora – e alla creazione di nuove. La permacultura e l’agricoltura biologica sono l’avanguardia di questa tendenza. La selezione di piante e animali ha molto contribuito all’espansione umana, negli ultimi diecimila anni, ma non dobbiamo dimenticare che tale selezione non ha prodotto alcuna specie nuova. Fino all’avvento dell’ingegneria genetica, la selezione si è limitata a lavorare all’interno del pool di diversità naturale proprio di ciascuna specie.

Evoluzione ed estinzione delle specie La grande maggioranza delle specie esistite sul pianeta Terra è oggi estinta. Oltre che madre nutrice, Gaia sa anche essere crudele. I 3.800 milioni di anni di storia della vita sulla Terra, di cui rimane traccia nei fossili, sono un triste monito che ci ricorda che l’estinzione è la meta finale. Il processo di estinzione è ben compreso, proprio in quanto l’uomo si è guadagnato il dubbio merito di essere stato, e di essere, uno dei principali agenti di estinzione di specie nella storia del Pianeta.


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D’altra parte, sempre i fossili raccontano, senza possibilità di dubbio, che Gaia stessa ha prodotto l’evoluzione di nuove specie e di famiglie più estese. I processi coinvolti in questa esplosione di vita rimangono un mistero perfino oggi, a 150 anni di distanza dalla Origine della specie di Darwin.

L’evoluzione postdarwiniana La teoria dell’evoluzione di Darwin, ponendo al centro del mondo naturale l’accettazione di un mutamento profondo e persistente, ha fondamentalmente cambiato il modo di pensare. L’idea che l’evoluzione proceda a piccoli passi graduali attualmente è stata soppiantata dall’idea del punctuated equilibrium530, secondo cui l’evoluzione procede a salti occasionali. Questa prospettiva dell’equilibrio punteggiato è in sintonia con il passaggio dal gradualismo al catastrofismo (nella geomorfologia) e dagli ecosistemi climax a quelli pulsanti (nell’ecologia dei sistemi) e, in generale, con i principi della teoria del caos. L’aggregarsi di mutazioni altrimenti casuali potrebbe essere un modello più realistico di quello del classico gradualismo darwiniano nello spiegare il pulsare registrato nei fossili e punteggiato dall’emergere di nuove specie. Ci sono, tuttavia, marcati dubbi, tra gli evoluzionisti, sul fatto che la selezione naturale – anche quella operante per gruppi di mutazioni genetiche – sia l’unico meccanismo che può a spiegare l’evoluzione delle specie531. La selezione naturale potrebbe essere considerata l’editor, ma non l’autore della vita. La possibilità che delle mutazioni genetiche generate dal caso siano l’unico agente creatore della varietà della vita è discutibile fin dai tempi di Darwin, quando egli la propose. Dopo un secolo e mezzo, questo concetto pare sempre meno adeguato a spiegare l’evidenza della creatività della natura, in particolare a causa della grande difficoltà nell’osservare segni di speciazione classica nelle più varie condizioni532. Tale idea è inaccettabile, per molti biologi, perché si basa sullo stesso ragionamento usato dai creazionisti. Anche il punctuated equilibrium riconosce che gli eventi creativi sono i veri motori dell’evoluzione. Anche se questi processi potrebbero avvicinare la scienza della vita alla teologia della

creazione, vi sono molti meccanismi che possono spiegare come caratteristiche biologiche basate sulla auto-organizzazione portino a cambiamenti evolutivi senza dover ricorrere a un dio paternalistico. Alcuni dei processi che – oltre a vere e proprie mutazioni – possono generare variabilità sono i seguenti:  il trasferimento di geni tra batteri;  la simbiosi tra organismi prima indipendenti che si uniscono creandone uno nuovo;  mutazioni interne ed autoindotte dall’organismo in risposta a pressioni ambientali;  il fatto che anche all’interno delle mutazioni possibili si verifichi una selezione. Le recenti prove sulla natura diffusa del trasferimento di geni tra batteri suggeriscono che esso possa essere uno dei meccanismi principali dell’evoluzione533. Lynn Margulis – co-autrice di Gaia, nuove idee sull’ecologia insieme a James Lovelock – è ben nota, nel contesto delle scienze biologiche, per la sua ipotesi del 1965: la cellula nucleata, che è alla base di tutti gli organismi complessi, sarebbe nata in seguito a una fusione di tipo simbiotico. Questa teoria, oggi ampiamente accettata, suggerisce che delle cellule provviste di membrana abbiamo incorporato batteri indipendenti e, insieme a essi, milioni di anni della loro storia evolutiva. L’evidenza del trasferimento genetico tra batteri conferma un meccanismo attraverso il quale le unioni simbiotiche tra specie potrebbero essere una fonte continua di innovazione evolutiva.

L’analogia col gioco del biliardo Ogni specie potrebbe essere considerata la realizzazione di una specifica soluzione progettuale. Sono possibili piccole variazioni, ma con il tempo si impone sempre un archetipo dominante (chiamato nella teoria del caos, attractor). Ogni qual volta viene a cessare la pressione selettiva, riemerge la forma archetipica, così come viene descritta nell’allevamento animale (v. la sezione Diversità genetica nel Principio 10). Le possibili opzioni (prima di raggiungere la soluzione progettuale ottimale) vanno considerate come delle depressioni su una

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Permacultura superficie piatta. Le specie in evoluzione sono simili a palle che rotolano qua e là su un tavolo, finché non vengono catturate da una soluzione progettuale specifica. La gamma delle possibili soluzioni è limitata; ad esempio, un elefante con gambe sottili come quelle di un cavallo non è semplicemente possibile. In molti modi, in natura, l’ordine che comprende le varie specie include sia l’insieme delle possibili soluzioni dimostratesi concretamente percorribili, sia le specie che rappresentano queste soluzioni. L’allevamento selettivo di piante e animali muove le palle da una depressione all’altra. Per spingere una palla (una specie) sulla superficie del tavolo, fuori dalla depressione (la possibile soluzione di progettazione), occorre una grande forza o un diverso meccanismo. Una volta sul tavolo, anche una forza molto limitata può spingere la palla in una qualsiasi direzione. In ogni caso, la palla finirà, più presto che tardi, in un’altra depressione. Oltre a limiti fisici e metabolici, le soluzioni progettuali possono avere limiti organizzativi ed ecologici. L’autoorganizzazione dell’ecosistema fornisce delle nicchie alle quali le specie sono più o meno costrette ad adattarsi. I modelli di nicchie e relazioni seguono regole di progettazione più generali, determinate dalla qualità dell’energia e dal suo flusso. Ad esempio, nelle foreste più temperate i roditori occupano il suolo della foresta. Negli ecosistemi di formazione relativamente recente della Nuova Zelanda534 non esistevano roditori o mammiferi; esistevano, però, sia lo spazio che il bisogno di piccoli animali che colonizzassero la lettiera della foresta mangiando semi e insetti. Comparvero allora degli scriccioli senza ali e questa fu la soluzione progettuale fornita dall’evoluzione. L’arrivo dei roditori, contemporaneo a quello dei Maori e degli Europei, mise fine agli scriccioli, che adesso sono estinti. L’estesa estinzione di specie specializzate e la loro sostituzione, da parte di altre con attitudini più rustiche e generaliste, ha portato molti biologi a credere di stare assistendo a una sorta di macdonaldizzazione degli habitat a livello mondiale535. È difficile contestare l’evidenza di quanto sta accadendo in questo campo; bisogna dire, però, che anche dei mutamenti catastrofici come quelli

in atto, che portano all’estinzione di varie specie, creano nuove e originali condizioni che possono a loro volta stimolare o accelerare dei meccanismi che fanno emergere nuove specie. Se l’evoluzione si basa su processi distinti, che possono o meno incontrarsi, e su salti più o meno improvvisi analoghi a quelli descritti per gli ecosistemi pulsanti, è arduo immaginare stimoli più forti, per il Pianeta, dei salti evolutivi cui stiamo assistendo in quest’ultima fase. Gli stessi fattori che sono fonte dell’estinzione di specie possono generarne altre o forse, addirittura, innumerevoli altre. Fra questi fattori dobbiamo includere:  l’estrazione e l’utilizzo di quasi metà dei combustibili fossili accumulati negli ultimi mille milioni di anni;  i sei miliardi di persone altamente concentrate che costituiscono oggi la popolazione globale;  il commercio su scala mondiale, che ha raggiunto dimensioni prima sconosciute e ha condotto al massiccio trasferimento – anche involontario – di forme di vita da una parte all’altra del globo, trasferimento che si va a sommare alla vigorosa ed intenzionale introduzione di innumerevoli nuove specie avvenuta nei secoli scorsi;  il rischio di contaminazione nucleare diffusa da armi, produzione di energia e scorie e quello della contaminazione chimica generata dai processi industriali;  la rapida espansione e diffusione di organismi geneticamente modificati. Quando progettiamo e realizziamo cose che dipendono da strategie a lunghissimo termine dobbiamo assolutamente tenere presente che molti fattori e processi sono imprevedibili; allo stesso modo, oggi dobbiamo considerare i cambiamenti climatici come un fattore progettuale determinante. Il pensiero di forme di vita originali suggerisce l’eventualità di nuovi organismi animali e di nuovi germi di malattia per gli umani, oppure di nuove piante infestanti talmente vigorose da dominare interi territori. Allo stesso modo, anche i cambiamenti climatici possono scatenare molte possibilità negative. Davanti a questi scenari, da una parte dobbiamo tentare di minimizzare – a livello di politiche pubbliche e di azione collettiva – il contributo


12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo umano alla destabilizzazione del clima globale e, dall’altra dobbiamo essere preparati, nella misura possibile, a cambiamenti globali su grande scala, che sono già oltre ogni possibile controllo da parte dell’uomo. Come è avvenuto all’inizio dell’ultima era glaciale, diciottomila anni fa, qualsiasi mutamento è anche un’opportunità, ma è molto difficile parlare di opportunità senza apparire insolenti o superficiali davanti a mutamenti come quelli che si prospettano. Lo slogan permaculturale “Il problema è anche la soluzione” offre un ottimo spunto per cercare delle opportunità in quella che può essere la più lugubre delle situazioni. Sto cercando di dire che l’emergere di nuove specie può essere considerato un’espressione positiva dell’abbondanza che alberga sempre in natura, ma anche una minaccia mortale all’umanità. Mettere sullo stesso piano queste due facce della medaglia è difficile, perché sottolinearne una potrebbe portare a indebolire o diluire il potere dell’altra.

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L’evoluzione dei sistemi La potenziale evoluzione di nuove specie rappresenta un’importante sfida e opportunità per l’umanità, ma il concetto di evoluzione ha una rilevanza ancora maggiore quando viene applicato a sistemi auto-organizzati e molto più fluidi, come gli ecosistemi e i territori naturali, come anche alle aziende, alle organizzazioni, alle comunità e alle culture. L’utilizzo del concetto di evoluzione in questi settori è stato generalmente inteso in termini analoghi a quelli dell’evoluzione darwiniana delle specie. Lo stesso concetto di evoluzione della specie si è trasformato: se prima indicava un mutamento graduale o appena percettibile, è arrivato oggi a indicare un mutamento radicale o addirittura una trasformazione vera e propria. È dunque appropriato pensare che anche nel contesto degli ecosistemi e dell’evoluzione sociale avvengano delle rapide trasformazioni evolutive. L’idea di mutamento continuo nella tecnologia, nell’economia, nella società, nella politica e nella cultura è adesso la norma, in seguito ai cambiamenti continui, multidimensionali e radicali degli ultimi decenni. Oggi è appropriato pensare all’evoluzione di un sistema come effetto di comporta-

menti e caratteristiche emergenti che trasformano il sistema stesso al punto che potremmo definirlo una nuova specie, con proprie dinamiche e caratteristiche. Nel modello in quattro fasi di mutamento ecologico di Holling, le strutture altamente connesse e coevolute della fase di conservazione mantengono la propria diversità ma prevengono lo sviluppo di nuove possibilità. La fase del disturbo (rilascio) disgrega la coesione e permette il manifestarsi di sviluppi incerti e rischiosi di nuove connessioni durante la fase di riorganizzazione. La forza delle nuove connessioni diventa evidente nella fase di sfruttamento, prima di dare luogo a una nuova fase di conservazione. Se la fase di conservazione dura a lungo e sopravvive a vari cicli di disturbo, dovremo accettare in qualche misura il suo successo evolutivo.

L’ecosintesi L’attenzione posta dalla biologia della conservazione sulla coevoluzione di alcune relazioni ecologiche che ebbe inizio in tempi remoti ha portato all’idea distorta che molti ecosistemi siano sistemi fissi e antichi, quasi fossero essi stessi delle specie. Le specie possono essere sistemi straordinariamente durevoli e longevi, ma le relazioni tra le specie e i fattori ambientali che costituiscono un ecosistema sono straordinariamente mutevoli e plastici. Questi fattori generano nuove relazioni e conseguenti adattamenti che conducono a una rapida evoluzione dell’ecosistema stesso. Ad esempio:  prove paleobotaniche536 dimostrano che molti degli ecosistemi originari e in larga parte naturali che vengono osservati oggi non sono sopravvissuti intatti alle fluttuazioni dell’era glaciale poiché protetti da qualche sorta di rifugio climatico, come si è pensato in precedenza. Essi sembrano invece essere originati da combinazioni nuove e fortuite di specie pre-esistenti che si sono unite nel corso dell’attuale interglaciazione (ossia negli ultimi diecimila anni). Queste specie sono sopravvissute alle ere glaciali in molti luoghi e sistemi diversi;

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 è sempre più evidente che l’attuale vegetazione dell’Au-

stralia, dominata dagli eucalipti – sensibile agli incendi e contrassegnata da una bassa fertilità – è decisamente atipica, rispetto ad altre fasi interglaciali, in cui dominava una vegetazione da foresta pluviale. Il fattore umano sembra la causa più probabile di questa anomalia, ma essa segnala anche che alcuni dei nostri sistemi indigeni non sono climaticamente ottimali e sono maturi per essere invasi e poi dominati da una vegetazione di tipo pluviale;  il riconoscimento del fatto che la gestione indigena della terra, per decine di migliaia di anni, ha causato la rapida evoluzione di ecosistemi e territori, è un’idea relativamente nuova in campo scientifico;  la coevoluzione degli ecosistemi europei e mediterranei – fino a diventare, nel corso di meno di mille anni, ecosistemi a impronta culturale – viene oggi riconosciuta come una delle riserve maggiori di biodiversità a livello europeo;  la preoccupazione riguardo alla diffusione di piante e animali non autoctoni ha catturato l’immaginazione delle comunità scientifiche e dell’opinione pubblica. Allo stesso tempo, diventa sempre più evidente la capacità di alcuni ecosistemi di evolversi ed adattarsi in modo continuo ed esplosivo, anche su scale temporali assai brevi, come una sola generazione umana. L’espansione commerciale europea a livello globale, avvenuta negli ultimi 500 anni fino al 1900, è stata la base dei mutamenti più radicali e permanenti537 finora registrati. Sembra che le navi stesse provenienti dall’Europa abbiano seminato nelle acque costiere dell’intero mondo – ma soprattutto nelle zone temperate – le forme di vita diffuse nelle acque costiere europee. Quello che gli esperti di ecologia marina stanno registrando per la prima volta sono ecosistemi già radicalmente alterati538 dall’intromissione degli europei. Questi mutamenti, di solito, sono descritti in termini di degrado degli ecosistemi; io ed altri ne abbiamo preso le difese definendoli ecosintesi, ossia l’evoluzione di nuovi ecosistemi, a partire da specie native ed esotiche in risposta a condizioni nuove. L’ecosintesi539 ha avuto e con-

tinua ad avere effetti benefici nel moderare e porre rimedi all’impatto ambientale dell’espansione umana, e fornisce nuove risorse man mano che piante e animali si adattano al nuovo ambiente. Alcune delle ricerche più meditate della biologia conservativa (N.d.T.: David M. Richardson e al. “Plant invasion” The role of mutualism, Biological Review n.75, 2000 fornisce un’interessante rassegna di esempi in merito) hanno riconosciuto che il mutualismo (come insieme di relazioni cooperative) potenzia in modo rilevante la diffusione di specie esotiche. Generalmente, però, queste ricerche non compiono il necessario passo in più che conduce al principio di evoluzione degli ecosistemi.

Ecosintesi, infestanti e successioni ecologiche nei paesaggi urbani Orti e fattorie abbandonati furono per me fonte di grandi ispirazioni, all’inizio del mio percorso in permacultura. Un viaggio in Nuova Zelanda, nel 1979, intensificò il mio interesse per le caratteristiche degli ecosistemi dominati da infestanti (weedscape). L’articolo Impressions of New Zealand540, scritto a quel tempo, include una descrizione dei weedscape, che mi predispose a ulteriori ricerche. Weedscape ripari a Melbourne Nel 1982 sentii la necessità di perfezionare la mia capacità di riconoscere i modelli salienti di paesaggi e territori e di comprendere la dinamica insita nelle successioni di infestanti allo stato spontaneo. L’esperimento mi portò, insieme a un collega, nella piana alluvionale del Yarra, il fiume che attraversa il cuore metropolitano di Melbourne541. Osservammo la composizione e la struttura della vegetazione e dell’utilizzo della terra in molte diverse piane alluvionali, in margini di vegetazione riparia e in zone umide nella piana di Chandler, e correlammo i dati raccolti con le informazioni in nostro possesso su vegetazione e utilizzo della terra nel passato. Nonostante le grandi differenze nell’uso della terra e la gravità degli impatti da esso derivanti (pascolo, agricoltura, campi da golf, canalizzazioni per lo smaltimento dell’acqua piovana), i modelli di vegetazione e le relative successioni erano abbastanza evidenti. Le aree di maggior interesse


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12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo erano quelle in cui, per decenni, era mancato l’intervento dell’uomo. In quei luoghi era evidente l’emergere dei primi stadi di successione vegetale che avevano alcune delle caratteristiche del classico climax. Ad esempio – in assenza di incendi, pascoli e disboscamenti – la vegetazione della piana alluvionale mostrava i segni dell’avvento della foresta con l’Eucalyptus calophylla (detto comunemente red gum) come specie dominante e sottobosco fitto e popolato da alti arbusti e piccoli alberi, ivi incluse specie autoctone dell’Australia e specie esotiche. Lo strato a contatto con il terreno era dominato dalla Tradescantia albiflora542, pianta che ama condizioni di terreno fertili e che tollera bene l’ombra. I pochi esemplari maturi543 (vecchi di 80 anni) di questo tipo di foresta erano molto belli e interessanti. Le prime fasi della struttura e della composizione di questo tipo di foresta stavano emergendo in molti altri posti e ciò era la prova che i siti più vecchi erano qualcosa di più di non semplici miscugli casuali di vegetazione senza precisi modelli sistemici di sviluppo. Il fatto che il processo di successione vegetale tendente alla fase di maturità (climax) fosse nel pieno sviluppo risaltava anche in altri siti, in cui modelli vegetativi analoghi emergevano a partire da caratteristiche diverse (boschi di eucalipti con frammisto il pascolo, campi coltivati e addirittura aree sottoposte di recente alle devastazioni dei bulldozer). Mentre il mio collega ed io studiavamo i modelli di successione e altre caratteristiche sistemiche di questi ecosistemi a metà fra l’urbano e il selvatico, vi era chi promuoveva attivamente il rimboschimento del territorio utilizzando solo piante autoctone e nuovi sistemi di controllo e gestione di quegli spazi, e aveva avviato un progetto per identificare tutte le specie non indigene al fine di rimuoverle in quanto infestanti. Dopo quasi due decenni di questa gestione, molte di quelle aree sono state trasformate in una versione puramente indigena dello stesso tipo di foresta, ma solo grazie a un massiccio utilizzo di erbicidi e manodopera. È ironico che, nonostante il predominio onnipresente del red gum, i sistemi naturali che stanno emergendo – con tutto il dispendio di manodopera impiegata per controllare i processi

di rivegetazione apparentemente spontanea – abbiano poco a che spartire con le caratteristiche funzionali e strutturali che essi avevano prima dell’arrivo degli europei: un ampio terreno boschivo ed erboso, arido e poco fertile, molto dipendente dal fuoco e dal pascolo degli animali selvatici per la sua rigenerazione periodica. Quattro fattori importanti, nel guidare i modelli di successione, insoliti in questo ecosistema urbano, erano:  l’abbondanza di acqua (sia in via naturale che proveniente da eventi climatici);  l’abbondanza di nutrienti (derivanti da colture agricole, da acque meteoriche e altro ancora);  l’abbondanza di semi e di materiale vegetale atto a propagare piante (provenienti da orti suburbani o da foreste e da altre aree lasciate allo stato selvatico);  l’assenza di animali al pascolo e di incendi. L’assenza di animali al pascolo e di fuoco aveva dato inizio alla disgregazione dell’ecosistema pre-europeo, mentre l’acqua e le sostanze nutritive fornivano l’energia per una crescita e una decomposizione vigorose, oltre che abbondante nutrimento per uccelli e animali. La grande quantità di semi in circolazione assicurava la presenza di una ampia diversità di specie, da cui potevano svilupparsi le caratteristiche specifiche del sistema.

I weedscapes ripari di Hepburn Springs L’abbondante weedscape dello Spring Creek e dei suoi affluenti attrasse molto la mia attenzione quando, nel 1985, mi trasferii a Hepburn Springs. Nei dieci anni che seguirono io e un gruppo di altri volenterosi residenti tracciammo sentieri e piantammo alberi per diversi chilometri lungo il torrente, sulle cui sponde dominavano rovi e salici544. Le decisioni che prendemmo allora risentirono dei limiti imposti dalla vasta scala del sistema e dalla sua forza, nonché dall’esiguità delle nostre risorse. Lungo il fiume creammo comunque un corridoio a gestione controllata e, per far questo, utilizzammo le nostre nozioni di ecologia e la nostra capacità di leggere il paesaggio. Lo scopo era anche quello di accelerare una successione vegetale che diminuisse il rischio di incendi e contri-

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Permacultura buisse a creare anche una banda boscata, in cui fosse gradevole muoversi e sostare. Per alcuni di noi, fu interessante allora immaginare quale tipo di sviluppo avrebbe avuto il nostro intervento nel contesto dei processi di ecosintesi messi in atto. Era evidente allora un processo di successione che partiva dal weedscape primario con rovi, ginestrone (Ulex europaesus) e Genista monspessulana e volgeva alla foresta decidua di salici545, biancospini (Crataegus monogyna) e Acacia melanoxylon. La cosa rifletteva processi simili a quelli già visti all’opera nella valle del Yarra. Altre specie decidue – soprattutto l’Acer pseudoplatanus e il Fraxinus excelsior – erano presenti e prevedemmo che col tempo avrebbero preso il loro posto nella chioma vegetale e dominato i salici. Il ruolo di animali e uccelli era cruciale sia nella dissemina degli alberi invasivi che nella prevenzione del loro sviluppo eccessivo mediante la predazione. Due progetti di ricerca universitari elaborati da membri del nostro gruppo confermarono e quantificarono alcune delle nostre osservazioni e previsioni più generali. Uno studio546 mise a confronto i sedimenti del letto del nostro torrente con quelli di un altro, in cui predominavano gli eucalipti, e dimostrò che i salici catturavano quaranta volte più sedimenti e dieci volte più fosforo degli eucalipti. Gran parte dei sedimenti rimaneva intrappolata nella straordinaria matassa di radici che faceva da pavimento al torrente. Queste e molte altre misurazioni confermarono che questi corridoi di salici che si formano lungo torrenti e foreste forniscono un sistema di filtraggio pressoché ottimale, per i bacini idrici caratterizzati da ripidi pendii, che ricevono sia le acque di piena e i sedimenti di foreste native (soggette ad erosione del suolo) sia le acque meteoriche urbane. Con un potente esempio, la natura ci mostrava come cattura e conserva l’energia. L’altro studio547 stimò l’età di salici, platani e frassini lungo il fiume e, usando con eleganza analisi statistiche e teoria della successione vegetale, predisse che platani e frassini avrebbero preso il sopravvento dopo la morte della prima generazione di salici. L’ipotesi concordava con le nostre osservazioni d’impronta più olistica sulle probabili successioni in quella nuova foresta creata

dall’ecosintesi. Naturalmente, occorrerebbe una vita per confermare quelle previsioni, ma ciò dimostra la potenziale importanza di una scienza ecologica maggiormente in grado di fare previsioni. Questi esempi indicano che lo sviluppo di proprietà sistemiche in nuove combinazioni di piante e animali non è tanto il risultato finale di lenti processi evolutivi bottom-up, e che sono invece le proprietà sistemiche a rappresentare le norme progettuali che guidano la ciclica danza evolutiva delle specie verso un nuovo assetto naturale. L’olocausto ecologico del Central Victoria, verificatosi durante la corsa all’oro della seconda parte dell’Ottocento, fu la fase di rilascio che consentì ai graduali processi di insediamento avvenuti da allora di porre le basi dei regimi energetici e delle risorse biologiche necessarie per attuare l’ecosintesi oggi in atto.

L’umanità come parte della natura L’idea che le complesse comunità vegetali (weedscapes) insediatesi soprattutto nei nostri paesaggi urbani rappresentino un nuovo ecosistema in evoluzione di grande importanza per il futuro del declino energetico è uno dei temi più importanti del lavoro da me svolto in permacultura negli ultimi vent’anni548. La conoscenza approfondita dei modelli di successione e delle dinamiche dell’evoluzione mi ha aiutato a vedere ordine e modelli ecologici all’opera là dove altri noterebbe solo caos distruttivo e senza significato. I miei punti di vista sono però del tutto in linea con altri ben più ortodossi e approvati da autorità ufficiali, come appare evidente dalla seguente citazione: «Non esistono differenze rilevanti tra la vegetazione, sia essa allo stato naturale, selvaggio o modificato, seminaturale o sviluppato, addomesticato o puramente artificiale. Le leggi che governano gli ecosistemi sono identiche». Uso e conservazione della biosfera UNESCO, Parigi Il riconoscimento della realtà dell’ecosintesi è importante su vari livelli. Sapendo che gli ecosistemi possono evolversi a ritmi straordinariamente rapidi, in reazione a influenze umane e non, noi speriamo che il potere autoorganizzativo insito nella natura possa essere potenziato e


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12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo dispiegato fino a creare degli ecosistemi umani funzionali nel corso di qualche generazione. Seguendo questo principio, la permacultura e altri approcci (fra cui l’Analogue Forestry)549 si occupano di progettare e realizzare utilizzi della terra modellati su sistemi naturali, certamente non in base a vaghe analogie, ma applicando direttamente e coscientemente i processi continuamente attivi in natura. Come conseguenza dell’ubiquità delle forze di autoorganizzazione ed evoluzione sistemica attive in natura, anche un sistema biologico pianificato e controllato con la massima cura cambierà ed evolverà. L’agricoltura convenzionale, il master planning, la conservazione ecologica e altri metodi rigidi sono di uso limitato, nell’affrontare la complessità dei sistemi biologici e umani. In questi casi, la soluzione tipica è quella di aumentare l’uso di energia allo scopo di semplificare e controllare il sistema. Semplificazione e controllo sono due espressioni che sintetizzano quello che ci sforziamo di fare in ogni area di attività, usando sistemi naturali, organizzando ricerche scientifiche, dirigendo organizzazioni e progettando il nostro ambiente di vita. Se riuscissimo a sviluppare dei processi più aperti, flessibili e interattivi per programmare, progettare e gestire la realtà, molto probabilmente riusciremmo anche a trarre maggiori benefici dalla natura selvaggia e dalla complessità umana. Riconoscere le nostre azioni e noi stessi come parti della natura è una trasformazione culturale iniziata ma non completata. Il cambiamento di prospettiva dal considerare l’impatto dell’uomo sulla natura come un miglioramento al vederlo invece come un’azione distruttiva può essere un primo, necessario passo in quel processo evolutivo; ma la vera trasformazione si verifica quando non vediamo più noi stessi come qualcosa di esterno alla natura. Per arrivare a questa fase finale, dobbiamo prima mettere da parte i giudizi positivi o negativi sulle nostre azioni; allora possiamo considerare gli esempi di ecosintesi intorno a noi come natura all’opera. Le capacità di osservazione sono necessarie per percepire i sottili segnali di mutamento su scale temporali molto più lunghe (e lente) dello stesso periodo di osservazione. Questo è un fattore cruciale, se vogliamo dare un significato al cambiamento su ogni sorta di scala e dimensione

alla sostenibilità nel suo senso più ampio. Nel Principio 9 ho già spiegato che la vita moderna crea molti impedimenti al processo di sviluppo di queste abilità. Nell’articolo Do media technologies scramble young minds?550 ho detto che i modi di pensare trasmessi alle giovani menti da televisione e da altri media costituiscono probabilmente il maggior impedimento alla comprensione di modelli che coinvolgono la dimensione temporale. Ma questi deficit di natura più recente sono solo fattori aggiuntivi. Il vero tallone d’Achille del pensiero moderno ha la sua origine nell’Illuminismo europeo e nella separazione che si è creata da quel momento in poi tra umanità e natura, tra mente e corpo, tra bene e male. Queste contrapposizioni ci rendono ciechi e sordi nei confronti del pensiero olistico e integrato. La scienza dell’ecologia ha reso evidente in modo sbalorditivo che tutto è connesso. È dunque assurdo che la biologia della conservazione551 sia oggi dominata da un’ortodossia che non riesce a vedere l’ecosintesi come una strategia naturale per tessere un nuovo arazzo della vita552.

Proprietà emergenti Una delle idee chiave della teoria dei sistemi – oggi molto comune e corrente – è quella delle proprietà emergenti (emergence). Questo termine suggerisce che l’autoorganizzazione all’interno di sistemi complessi ha come risultato attività, strutture e comportamenti, che senza alcun dubbio emergono dall’interno del sistema, ma hanno l’effetto o di trasformarlo o di produrre un sistema completamente nuovo. Il processo è analogo alla fase della riorganizzazione nel modello della successione degli ecosistemi di Holling o alla creazione di nuove specie nell’evoluzione biologica. Un ovvio esempio è la rete globale di computer, che in misura crescente domina a livello mondiale la comunicazione e l’economia. Essa ha tratto origine dall’industria dell’information technology in modo del tutto imprevisto, da parte dei protagonisti dell’economia e dei commentatori. Molti esperti avevano invece profetizzato un mondo controllato mediante una struttura gerarchica, a partire da alcuni computer mainframe che avrebbero creato una struttura centralizzata. È importante capire

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Permacultura quanto fossero impegnati i governi e le multinazionali nella creazione di una simile struttura centralizzata e quanto rapidamente, invece, essi abbiano dovuto adattarsi all’anarchica emersione di un mondo trasformato in reti di personal computer e Internet. Il mutamento è stato talmente rapido che attualmente si possono vedere aziende e governi che cercano – per lo più con scarso successo – di cavalcare la tigre dell’anarchia della rete. È importante ricordare che non più di quindici anni fa i sostenitori e gli imprenditori del mondo in rete erano attori marginali senza alcun potere reale. Al pensarci adesso viene in mente l’espressione “un mondo a parte”. Molti sostenitori dell’idea di un mondo globalizzato attraverso le reti informatiche considerano la cosa come l’inizio della formazione di una coscienza umana globale, la cosiddetta mente alveare, un concetto che può avere connotazioni positive di carattere utopico o, al contrario, alquanto negative e sinistre553. I sistemi umani creati dai combustibili fossili hanno portato all’emersione di grandi opportunità che sono tuttora intorno a noi; queste opportunità vanno considerate un risultato naturale e coevolutivo di una crescita straordinariamente rapida. Molte di queste possibilità – l’information technology e l’ingegneria genetica sono due fra le più importanti – potrebbero sovvertire parecchi luoghi comuni del nostro pensiero. Man mano che diventa sempre più evidente il raggiungimento di un climax oltre il quale vi può essere solo un futuro di rapido declino energetico, vediamo che la natura particolare e locale di questo futuro si riempie di incertezze e di prospettive vaghe. Le scelte che noi umani facciamo in risposta a forze per noi esorbitanti – lottando fino alla morte, piegandoci a un compromesso forzoso, o accettando di seguire la massa – possono o meno fare una differenza. Anche quello della permacultura, ossia che il futuro del declino energetico sia inevitabile, potrebbe essere un falso presupposto. Esiste la possibilità che una qualche combinazione a base di reti informatiche, di cultura umana e di biotecnologie crei un mondo fuori da ogni controllo – accelerando ulteriormente il ritmo dello sviluppo energetico e informatico – forse per qualche altro centinaio d’anni.

È chiaro che dal caos dei sistemi ad alta energia emergeranno nuovi salti evolutivi, ma essi non porteranno necessariamente alla salvezza. In ogni caso, le forze all’opera sono chiaramente al di là del dominio umano, ma vale comunque la pena di continuare a fare tutto il possibile per creare un mondo che rifletta valori ed etiche umane all’interno dei limiti imposti dalle leggi naturali.

L’ingegneria genetica: evoluzione esplosiva o sogno tecnologico? Molto è stato scritto sui rischi dell’ingegneria genetica. La rapida e diffusa di resistenza, da parte dei consumatori, agli alimenti derivanti da colture geneticamente modificate (GMO), a dispetto dei grandiosi programmi delle multinazionali, ha reso l’argomento uno dei più dibattuti e controversi del nostro tempo. Di tutti i fattori emergenti derivati dagli ecosistemi umani, l’ingegneria genetica di originali forme di vita sembra uno dei più interessanti perché si innesta sulle fondamenta biologiche, precise e ben conosciute, dei mutamenti evolutivi naturali. A differenza dell’information technology, l’ingegneria genetica non dipende da strutture complesse e da flussi di energia per avere effetti sulla natura una volta immessa nel circuito naturale. Poiché il transfer di geni tra batteri in natura è considerato comune, l’idea che la genetica dei nuovi organismi starà buona e ferma – all’interno degli OGM rilasciati nelle aziende agricole – o addirittura che possa fungere da farmaco, è del tutto ridicola. Nuovi microbi si diffonderanno nella massima misura possibile e saranno fermati solo da limiti ecologici, e non da quelli stabiliti dall’uomo e dai suoi editti commerciali, e avranno un ritmo molto più rapido della diffusione di piante e animali da parte dell’uomo. Se invece l’ingegneria genetica – come del resto molte delle nuove specie, coccolate e protette, introdotte dall’uomo – si dimostrerà un fallimento, le ingenti risorse investite a essa dedicate saranno solo un’altra opportunità perduta per un adattamento creativo e gradevole al declino energetico. La vasta e pervasiva natura della promiscuità genetica può far sì che gli organismi geneticamente modificati


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12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo – invece di prosperare nel bozzolo delle illusioni umane create in laboratorio o in sala riunioni – si perdano nella marea di fattori genetici, ben più forti e rilevanti, causati dalla reazione a fattori ambientali marcati e pervasivi. La grande illusione su cui si basa praticamente tutta l’ingegneria genetica è la fede nella capacità umana di manipolare l’ambiente, utilizzando energia e tecnologia di alto livello; ma non è sicuro che le industrie biotecnologiche riescano a procurarsi il capitale per i massicci investimenti necessari, quando il costo dell’energia comincerà a profilarsi come un problema serio. In queste condizioni, la concorrenza per attrarre capitali diventerà forte, soprattutto da parte delle industrie tradizionali, utilizzatrici di alte quantità di energia; a questa concorrenza si affiancheranno gli investimenti per la protezione della natura, che assicureranno guadagni sicuri in un breve periodo di tempo, e per alcune fonti energetiche rinnovabili. Anche se l’industria biotech potesse continuare ad attrarre capitali da investire, la sua capacità di creare organismi viventi, che rimangano forti e vitali senza il sostegno di una economia ad alta energia, sarebbe molto dubbia. Se l’ingegneria genetica riuscisse nell’impresa di assicurarsi la diversità genetica del mondo, allo scopo di generare ricchezza reale dal punto di vista economico e non illusioni di ricchezza, allora la legge della massima potenza prevederebbe una rapida riorganizzione economica e tecnologica intorno ad essa (probabilmente in connessione con la tecnologia informatica), creando una conseguente massiccia accelerazione nei mutamenti. Ciò comprenderebbe la trasformazione dell’umanità a livello di nuova specie ricombinante, come suggerito da Jeremy Rifkin554. Gli scienziati che anelano a operare a queste trasformazioni evolutive o a sostituire l’uomo con qualche entità genetica dotata di auto-organizzazione e/o di qualche tecnologia informatica appartengono di sicuro alla stirpe del Dottor Stranamore. Ma forse questi esponenti della comunità scientifica sono più realisti rispetto a quelli del gruppo maggioritario, che ritengono che l’ingegneria genetica possa offrire prospettive di costante sviluppo economico e salvarci dai disastri di tipo ecologico, rimanendo sempre un puro strumento nelle mani dell’uomo, senza

diventare il proverbiale mostro del portentoso romanzo di Mary Shelley, il mitico Dr. Frankenstein. Non siamo in grado di bloccare tutti i rischi dei mutamenti catastrofici che potrebbero essere causati da radiazioni nucleari, dall’effetto serra e dall’ingegneria genetica. La nostra frustrazione è tanto più profonda, perché siamo tormentati dalla sensazione che dovremmo invece essere in grado di prevenire questi eventi, visto che sono di origine umana. Forse la verità è che queste forze, che sentiamo fuori dal nostro controllo, hanno semplicemente sostituito nella psiche umana le forze della natura, imprevedibili e incredibilmente potenti, o quelle divinità che una volta provocavano terribili catastrofi o benevolmente ci elargivano doni di abbondanza.

Equilibrio dei generi e sostenibilità All’inizio di questo capitolo, ho scritto che dobbiamo creare un nuovo equilibrio tra stabilità e cambiamento, nelle nostre vite quotidiane e nei nostri progetti, e che abbiamo bisogno di capire la natura poliedrica e la variabilità di scala del cambiamento e della stabilità per superare i limiti ereditati dalla cultura industriale. Anche se sappiamo che i cambiamenti sono continui, i risultati e la qualità di quei cambiamenti possono costituire una delle più importanti caratteristiche di una cultura sostenibile. Nell’Introduzione, inoltre, ho evidenziato la predilezione della cultura industriale verso i mutamenti di tipo provvisorio; la cultura della sostenibilità, invece, sembra orientata verso i mutamenti di carattere ritmico. La considerazione classica della storia come serie di crisi e di conflitti episodici, con i cosiddetti grandi uomini che ne guidano le sorti, può essere considerata un modo di vedere elitario e patriarcale, che ignora che la natura meno drammatica, ritmica e ciclica della vita ordinaria rappresenta la porzione maggioritaria dell’esperienza umana in termini di tempo e di spazio. Allo stesso modo, nell’uso della natura, le concezioni che riguardano l’ambiente (compresa la permacultura) danno particolare importanza al lavoro con i cicli ritmici del cambiamento, invece di dare eccessivo affidamento

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Permacultura all’intervento episodico che in qualche modo spinga il sistema ad assumere aspetti per noi preferibili. È ragionevole considerare questa visione della natura più in sintonia con la cultura femminile che con quella maschile. Il modello pulsante di ecosistema e gli esempi di utilizzo della terra che ho presentato dimostrano che il mutamento episodico, anche caotico, si integra nei sistemi ecologici. Ma questo tipo di cambiamento è una spada a due lame, che può portare sia a una spirale di degrado che a mutamenti e trasformazioni originali spesso imprevedibili. Invece di rifiutare semlicemente il cambiamento episodico in quanto distruttivo, ho cercato di dimostrare come possiamo utilizzarlo in modo creativo, senza farci imprigionare dalle sue dinamiche. In termini di cultura di genere, si tratta di cominciare a vedere i limiti della cultura patriarcale, riconoscendo però che il modo di agire maschile alla base di tale cultura è anch’esso un potente agente di cambiamento. Il valore del modello pulsante degli ecosistemi sta nel fatto che dimostra chiaramente che in qualsiasi sistema, anche una piccola dose di cambiamento episodico ha potenti effetti che possono arrivare lontano. Qualsiasi sistema relativamente persistente è dominato da modelli ritmici su piccola scala, che mantengono e conservano una più ampia stabilità. Riportandoli su una scala più quotidiana e comprensibile, sono i modelli tradizionali – centrati sulla vita domestica e sulla connessione quotidiana con la natura, con i cicli delle stagioni e anche con gli aspetti più monotoni e ripetitivi dell’allevamento e dell’istruzione dei figli, dei lavori domestici, del tenere in ordine la casa – che devono guidare le nozioni di una cultura sostenibile. È difficile evitare la conclusione che le donne potrebbero essere i leader di questa trasformazione. Ivan Illich ha sostenuto che l’industrializzazione ha trasformato il patriarcato in una cultura senza genere, che ha assorbito uomini e donne, ma che curiosamente lascia gli uomini strutturalmente dominanti555. Nonostante i mutamenti causati dal femminismo, la cultura industriale moderna si è cristallizzata in modi di pensare, fare ed essere difficili da modificare, che uomini e donne in modo scontato considerano normali, ma che sono essenzialmente di

origine maschile; uno dei più importanti è il preconcetto che tutti i sistemi siano e restino passivi e inattivi finché una qualche forza o agente potente non interviene a spingere il sistema in una direzione o nell’altra. La società, alla fine, riuscirà inevitabilmente a sviluppare una nuova struttura di «ambigua complementarietà»556 tra i generi, anche solo perché essa riflette una fondamentale efficienza energetica per l’organizzazione degli affari domestici. Prima che questo diventi probabile in qualsiasi forma durevole, restaurare gli equilibri asimmetrici esplorati in questo e in altri capitoli-principi diventa un dovere per tutti noi. Come uomo, riconosco le profonde radici maschili del mio modo di pensare, di agire e di essere. Sebbene le influenze più evidenti nello sviluppo delle mie idee siano provenute da uomini, la saggezza e le prospettive culturali che hanno guidato e messo alla prova quelle idee sono state influenzate dalle donne della mia vita, specialmente nei momenti critici in cui ho dovuto prendere delle decisioni o attuare dei mutamenti. La mia impossibilità di essere concreto ed esplicito riguardo a questo processo è un riflesso dei preconcetti strutturali radicati nello stesso nostro linguaggio e nella cultura, in cui il modo femminile di essere rimane apparentemente passivo e invisibile. L’ecofemminista indiana Vandana Shiva ha evidenziato che le culture delle donne, degli indigeni e delle comunità contadine hanno in comune un’invisibilità imposta a proprio uso e consumo dalla cultura dominante. Questo è molto importante, per me. Il fatto che Vandana Shiva, come del resto tutti noi, utilizzi l’istruzione e gli strumenti della modernità per trasmettere questi concetti è in se stesso un paradosso. Chiaramente, il progressivo riequilibrio delle caratteristiche maschili e femminili all’interno di una cultura della sostenibilità sarà diverso rispetto a quello delle culture sostenibili tradizionali. Il movimento femminista ha fatto molto per infrangere l’egemonia del maschio nella società industriale. Credo però che buona parte del pensiero femminista ortodosso, come del resto buona parte del movimento ambientalista, inconsapevolmente accetti la società ad alto consumo di energia – in cui la rilevanza del genere si è dissolta – come una sorta di stato naturale di lunga dura-


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12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo ta, all’interno del quale sviluppare nuovi valori e idee. Come per il movimento ambientalista, la diversità e la vitalità del femminismo sono dei buoni segnali che fanno sperare in un suo contributo continuativo anche nella terra incognita della politica di genere nell’era della discesa energetica.

Pensiero a lungo termine, cicli su grande scala Cercare di comprendere il nostro tempo significa andare oltre la nozione limitata di cambiamento guidato dall’inesorabile freccia del progresso; bisogna invece ca-

pire che la natura e l’umanità sono governate da cicli, grandi e piccoli, inseriti uno nell’altro come le famose matrioske e sovrapposti come abbiamo visto nei diagrammi di Venn. Dobbiamo riuscire a integrare nel nostro pensiero più cicli contemporaneamente e su una scala più grande di quella suggerita dalle attuali mode, attività commerciali o cicli politici. Gli storici che spiegano le lezioni del passato non sono mai stati molto popolari e lo sono ancora meno da quando non godono più dell’entusiasmo che la teoria dei grandi uomini generava. Quando geologi, paleobiologi 2.442 dopo Cristo

60.000 anni fa

18.000 anni fa Introduzione dell’agricoltura

Polarità universale Flusso della mascolinità

Kali Yuga (Era del conflitto, ciclo di 6.000 Era del anni) Era dei riti dubbio (ciclo di 18.000 anni) (ciclo di 12.000 anni)

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Età dell’Oro (ciclo di 24.000 anni)

Nuova Era

Polarità universale Flusso della femminilità Invasione ariana Caduta dell’antico matriarcato

Matriarcato (principio-generazione) 54.438,3 anni

Patriarcato (degenerazione-conclusione) 6.048,7 anni

Ciclo totale 60.487 anni Figura 33 – Il ciclo culturale tradizionale hindu (secondo Lawlor 1991).


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Permacultura e archeologi cercano di offrire al pubblico visioni più ampie che danno un senso e un contesto al presente, la cosa viene percepita come un’inutile elucubrazione accademica oppure come un insieme di interessanti vecchie foto di altri tempi da mettere piattamente a confronto con quelle del nostro tempo. Le previsioni apocalittiche di natura scientifica o spirituale spingono alcune persone a seguire dei programmi specifici per preparasi al disastro incombente più che a manifestare un’attitudine olistica e flessibile verso l’imprevedibilità del cambiamento. Geologia e biologia hanno, da molto tempo, sovvertito la nozione biblica secondo cui il mondo ha 6.000 anni. L’espansione della potenza umana basata sul consumo di una ingente porzione di combustibili fossili (quella più concentrata e a portata di mano) richiede che pensiamo simultaneamente su scale multiple se vogliamo sviluppare la saggezza necessaria a generare una cultura della sostenibilità nella fase del declino energetico. Dobbiamo ricostruire il pensiero a lungo termine che era naturale per le culture indigene locali ed andare anche oltre. Imparare a vedere e percepire la storia della vita sulla Terra come un fenomeno multidimensionale legato all’evoluzione dei modelli è di importanza fondamentale per sviluppare una cultura del mutamento che ci permetta di rispondere in modo creativo alle trasformazioni che dovremo affrontare.

I modelli pulsanti della vita sulla terra La storia della vita sulla terra include vasti periodi di decine di milioni di anni, in cui i rilievi terrestri si erano gradualmente consumati e livellati, i mari superficiali coprivano gran parte della terra e il clima era quasi uniformemente mite e moderatamente umido. La biodiversità era limitata e gli ecosistemi variarono pochissimo su vaste aree e per milioni di anni. Tale stabilità era punteggiata da periodi più brevi di grandi cambiamenti. Gli ultimi 1,6 milioni di anni, noti come Quaternario, sono stati caratterizzati dal sollevamento tettonico e dal vulcanismo, dal formarsi di calotte di ghiaccio su montagne e altre zone delle Terra, da continenti più estesi con climi molto vari, ere glaciali e periodi interglaciali più caldi, massiccie estinzioni e prolifiche speciazioni557. Molta della meravigliosa varietà

biologica e geografica della terra – che accettiamo come una cosa del tutto naturale – esiste solo in questi periodi di grande mutamento. È improbabile che una specie come l’Homo sapiens potesse emergere – o solo sopravvivere – in uno dei lunghi, lenti e stabili periodi che dominano la storia geologica della terra. Su quella scala, l’umanità è pari a un’esplosione microbica di breve durata. Durante queste ere di grandi cambiamenti geologici, climatici e biotici, vi sono modelli di stabilità su piccola scala seguiti da brevi impulsi di attività. Le ere glaciali che durano centinaia di migliaia di anni rappresentano la norma stabile del Quaternario con periodi interglaciali della durata di circa diecimila anni. A questi ultimi è legata l’esplosiva pulsazione della vita basata su nuova fertilità, climi favorevoli e crescita di biodiversità. Se guardiamo le cose su una scala ancora minore, vediamo che sia il periodo glaciale che quello l’interglaciale sono relativamente stabili, con all’interno periodi di rapida transizione: un margine temporale tra due sistemi stabili. Ad esempio, con l’innalzarsi del livello del mare alla fine dell’ultima era glaciale (da 12.000 a 8.000 anni fa), gli antenati degli aborigeni australiani avrebbero visto il restringersi graduale, di anno in anno, della Bassian Plain, tra Tasmania e Australia, e tempeste invernali irrompere tra le dune costiere e allagare migliaia di ettari, che non sarebbero mai più tornati a essere terra asciutta. Ancora più drammatica è l’immagine dei ghiacciai continentali, da cui si staccarono degli iceberg talmente grandi da sollevare il livello del mare al punto da sommergere vaste aree (come nel mito di Atlantide). I mammuth che congelarono con l’erba ancora in bocca ci suggeriscono la probabilità di inverni improvvisi e talmente rigidi da accelerare l’inizio delle ultime ere glaciali nell’emisfero settentrionale558. Questa è una prova ulteriore che mutamenti di grande portata possono avvenire con grande rapidità. Grazie all’attuale clima interglaciale straordinariamente stabile e favorevole, l’uomo ha sviluppato l’agricoltura, ciò che chiamiamo civiltà ed infine la cultura industriale globale. Questi eventi hanno accelerato il ritmo e la potenza dei cambiamenti ambientali e culturali indotti


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12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo dall’uomo, ma dipendono tutti, in ultima analisi, dalla fragile stabilità del paradiso interglaciale. Mentre gli effetti avversi del riscaldamento globale ci hanno dato una ragione in più per meditare sulla nostra dipendenza da forze e circostanze molto più grandi di noi, qualsiasi seria considerazione sulla prossima era glaciale – che potrebbe avvenire all’incirca nei prossimi mille anni – ci dovrebbe spingere a progettare una cultura umile, generalista e flessibile trasmessa da una piccola popolazione globale capace di sopravvivere e tramandare la civiltà attraverso i lunghi e lenti anni della glaciazione559. Dobbiamo rompere l’incantesimo dell’apparente movimento accelerato e lineare di cui è parte anche il progresso materiale e quantitativo dell’uomo; dobbiamo acquisire una visione del mondo in cui tutto è contenuto in cicli, onde e impulsi, racchiusi gli uni negli altri, che fluiscono tra polarità di grande stabilità e intenso mutamento. Questa visione ciclica del tempo non è affatto nuova, ma semplicemente la riscoperta di conoscenze che fanno profondamente parte della storia culturale umana e dell’inconscio collettivo. Ad esempio, l’antica cosmologia hindu ci offre una prospettiva mozzafiato sulla natura ciclica del tempo e dell’equilibrio pulsante tra mutamento e stabilità (v. Figura 33)560. Un ciclo di sessantamila anni è dominato da una lunga fase di matriarcato composta da tre grandi ere stabili. Questo ciclo crolla in un vortice caotico prima della nascita della fase del patriarcato, detta Kali Yuga (o Era del conflitto). Il Kali Yuga dura solo 6.000 anni, poi un altro vorti-

ce di caos porta al ciclo successivo. In base ai precisi calcoli dei numerologi hindu, abbiamo davanti a noi ancora 440 anni di cambiamenti caotici di Kali Yuga prima che emerga la nuova fase matriarcale. Davvero un’inezia, per questo genere di cose! Senza voler attribuire significati particolari a questa o ad altre profezie, è ragionevole concludere che i nostri figli e nipoti – e poi i loro discendenti – difficilmente avranno una vita caratterizzata da uno stato di stabilità e di illusorio, continuo sviluppo, oppure da una cultura improntata a serenità, prevedibilità e sostenibilità. Dobbiamo quindi prepararli ad affrontare una vita di incertezze e di rapide trasformazioni, ma dobbiamo anche insegnare loro ad apprezzare i ritmi durevoli della natura e il valore del pensiero a lungo termine, dei comportamenti etici, coerenti e tenaci e dell’importanza degli aspetti semplici, normali, quotidiani della vita. La permacultura è un’interazione dinamica tra due fasi: da una parte, il sostegno della vita all’interno del ciclo delle stagioni e, dall’altra, l’astrazione concettuale e l’intensità emotiva della creatività e della progettazione. Considero la relazione tra queste due fasi un equivalente della pulsante relazione tra stabilità e mutamento. È l’impegno costante, ciclico e umile, a contatto con la natura, a creare le condizioni perché scocchi la scintilla della comprensione e dell’integrazione(integrità), che, a sua volta, informa e trasforma la pratica. L’impegno è armonioso e duraturo, la scintilla è episodica e potente. Il gioioso equilibrio asimmetrico tra questi due elementi esprime la nostra umanità561.

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Aggiunto dopo l’11 settembre 2001

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Alla fine della sezione del Principio 4 intitolata Pensiero top-down, azione bottom-up ho scritto: Anche se mi sono sforzato di riformulare il pensiero top-down e l’azione bottom-up nello stringato slogan ambientalista “Pensare globalmente, agire localmente”, è evidente che anche le élite globali hanno imparato questa nuova modalità di pensiero e azione. C’è stato uno spostamento dall’esercizio evidente, formale e amministrativo del potere a modi collaborativi, informali e invisibili, che permettono alle élite di aggirare i controlli democratici e burocratici sul loro potere richiesti dal pubblico. Detto più chiaramente, quando i potenti riescono a mettere da parte il loro ego e a rendersi conto di essere solo dei piccoli giocatori in un gigantesco sistema che affronta il problema del picco energetico, allora riescono anche a rendersi conto che l’esercizio del potere in modo collaborativo e astuto è più efficace delle minacce e della forza bruta. Ma il modo in cui questa rivoluzione di pensiero e azione ha permeato i più alti livelli dell’élite non è ancora chiaramente visibile. Se le élite globali davvero potenti hanno conservato le loro nozioni sistemico-olistiche, potenziandole con gli ultimi sviluppi della teoria del caos, della cibernetica e dell’ecologia dei sistemi, sviluppando alternative al controllo manageriale top-down, ciò significa che esse esercitano un potere che pochi di noi riescono a immaginare. Quando diventa un’abilità nelle mani di pochi, il pensiero

sistemico può essere utilizzato, e sarà utilizzato, a scopi positivi o negativi. Ad esempio, negli anni ’80 mi resi conto che le valutazioni EMERGY di Howard Odum avrebbero potuto essere utilizzate – e probabilmente lo sono state – dalle multinazionali per identificare delle risorse gratuite e sottostimate, in modo da poterle sfruttare. Gli analisti politici ed economici, spesso, non si rendono conto dell’impatto e delle conseguenze di questo nuovo modo di comportarsi. Gli eventi vengono generalmente spiegati in termini di aggregati quasi casuali di forze politiche e di mercato, che rappresentano in sé un risultato in qualche modo equilibrato e democratico. All’altro estremo, le teorie cospirative spiegano gli eventi in termini di risultati interamente pilotati in modo manageriale da una qualche élite o gruppo di élite. Credo che il pensiero top-down e l’azione bottom-up offrano un modo per comprendere le forze sinergiche del potere, di fronte alle quali la maggioranza dell’intellighenzia cultural-intellettuale sembra cieca; o forse ha solo paura di parlare, per paura di essere associata ai teorici della cospirazione, il che equivarrebbe a una certificazione di pazzia. Lo sbarramento della propaganda dei media convenzionali mette in ridicolo qualsiasi tentativo di comprensione sistemica dei processi in corso. Qualsiasi tentativo di arrivare a una teoria unificante viene bollato come teoria della cospirazione. Ciò assicura che ogni prova o indizio vengano considerati e valutati attraverso una logica riduzionista, che separa causa ed effetti, processi e


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Aggiunto dopo l’11 settembre 2001 prodotti, sistema ed elemento. Le teorie della cospirazione forniscono un mezzo semplice per spiegare cosa stia realmente accadendo; esse sono però indeguate, perché presumono che sia sufficiente smascherare le persone al centro della cospirazione, o quelle presunte tali, per annullare gli effetti negativi dei nuovi abusi di potere. Analizzando gli eventi del mondo secondo una prospettiva olistica ci si rende conto che dietro a quanto succede c’è una sorta di ampia coalizione di interessi economici, politici e militari, però le forze che rappresentano i vari attori di questa coalizione non sono un blocco unico e organizzato, ma piuttosto – alla stessa stregua di un ecosistema naturale – una gilda di specie vegetali e animali all’interno di un ecosistema. Queste gilde generano modelli di eventi che soddisfano gli interessi di quelle coalizioni senza che vi siano unità di intenti o chiarezza di scopi. Quando soggetti così potenti si rendono conto di non essere però onnipotenti, cercano, da una parte, di potenziare l’incisività delle loro azioni e, dall’altra, di negare e coprire ogni responsabilità, per gli effetti negativi che possono derivarne. Durante la Guerra Fredda, la CIA e il KGB funzionavano come istituzioni complementari, che si rinforzavano a vicenda invece di rappresentare gli interessi delle rispettive nazioni. In tal modo, hanno esposto il mondo e noi tutti al rischio della distruzione nucleare. Oggi nuovi e più potenti ecosistemi di istituzioni globali e invisibili organismi emergenti stanno portando l’umanità sull’orlo della catastrofe energetica, con l’incubo nucleare ancora reale come prima. Vi sono abbondanti prove562 che gli eventi dell’11 settembre sono il risultato di queste oscure coalizioni che legano le multinazionali dell’energia, la politica estera degli USA, la comunità globale dei servizi segreti, i fondamentalisti islamici, i trafficanti di armi e il commercio mondiale delle droghe illegali. Parlare di questa bizzarra simbiosi rimane oltre i limiti del lecito per i media convenzionali delle nazioni occidentali; ciò è in parte dovuto al tacito accordo, per cui le teorie della cospirazione che potrebbero coinvolgere i più alti livelli del potere mondiale sono, ipso facto, non valide. Questo è il miglior esempio di una paralisi dell’opinione pubblica causata dall’assenza di un

linguaggio che riesca ad esprimere il pensiero top-down e l’azione bottom-up come nuova modalità del potere. Qualsiasi studio sulla storia delle attività segrete del governo americano, a livello mondiale, negli ultimi trenta anni (in primo luogo da parte della CIA) dimostra tramite una serie di conoscenze sistemiche che esse hanno indirizzato l’uso di risorse relativamente limitate per ricavarne i maggiori effetti possibili, a livello sia politico che economico. La CIA (intesa come comunità) usa il termine blowback per descrivere le conseguenze negative prodotte da agenti agitatori e mercenari che fanno il voltafaccia, mordendo la mano che li nutre. Gli analisti progressisti di sinistra hanno generalmente interpretato il fenomeno come prova dell’incompetenza della CIA e del bisogno di riforme (ulteriori controlli gestionali top-down). Una visione più olistica vede invece determinate figure – quali i baroni della droga, i Talebani afghani, o i dittatori del genere di Manuel Noriega o Saddam Hussein – e le loro eruzioni di cattiveria, come elementi indispensabili per mantenere il potere della CIA, praticamente una sorta di virtuale esercito privato delle multinazionali dell’energia. September 11 evidenzia il fatto che questo nuovo locus del potere globale potrebbe oggi consolidarsi intorno a un’apparente lotta mortale tra religione fondamentalista e materialismo razionale. A quel punto, la maggioranza della popolazione mondiale sarebbe costretta a schierarsi da una parte o dall’altra. Il dr. Sherif Youssef Hetata, importante attivista egiziano schierato contro il fondamentalismo religioso, ha chiarito563 che la globalizzazione, come è espressa dal potere egemonico degli occidentali, non solo porta all’esacerbazione del fondamentalismo religioso (soprattutto islamico), ma presenta molte caratteristiche in comune con lo stesso fondamentalismo religioso. La Figura 4, relativa ai principi etici, ci permette di dare un senso a questo apparente conflitto, interpretandolo come un percorso distruttivo verso un’emergente unione di aspetti materialisti e spiritualisti. I giochi di parole come Bush Laden sono dei tentativi, fatti a cuor leggero, di rintracciare il locus del potere dietro questa oscura unione, ma anche se uno dei due

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Permacultura

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sgradevoli personaggi venisse eliminato, sarebbe subito rimpiazzato da qualcun altro. La decadenza dell’élite di potere legata alla ricchezza prodotta dai combustibili fossili a buon mercato trova la complicità di quel miliardo circa di persone della classe media, che basa il suo benessere su quel sistema di potere. Nel corso degli anni ’90 del XX secolo i movimenti sociali e ambientali hanno perso terreno a causa del progressivo affievolirsi dei tanto faticosamente conquistati controlli burocratici dall’alto sugli eccessi di potere dell’imprenditoria privata. I nuovi eccessi di potere del momento attuale vengono sempre più esercitati tramite procure, lobby, agenti provocatori, centri di ricerca e commissioni di esperti, pubbliche relazioni, identificazione di possibili alleati da infiltrare nei movimenti di base e altri metodi ancora564. D’altra parte, quegli stessi movimenti hanno registrato uno straordinario successo nell’influenzare la società utilizzando risorse limitate, come piccoli ma significativi

boicottaggi ad opera di consumatori e azionisti, l’ostruzionismo culturale565, o l’organizzazione di iniziative per dare energia e visibilità alle alternative sostenibili. Più in generale, tutte le iniziative di tipo sostenibile mettono a nudo la grande menzogna secondo cui noi e i nostri discendenti saremmo legati a questo potere egemonico perché da esso dipende la nostra stessa esistenza. I movimenti socialdemocratici della fine del secolo XIX e dell’inizio del XX hanno fatto largo uso degli allora nuovi modelli di pensiero bottom-up e azione top-down al fine di contrastare alcuni degli eccessi del potere autoritario e corporativo. Oggi il cosiddetto movimento anti-globalizzazione è la punta di un iceberg comprendente tutte le alternative sostenibili, che ha il potere di fermare quelle stesse forze titaniche, che precipiteranno il mondo nel caos e nella catastrofe col finire dell’economia basata sul petrolio. Capire e applicare il pensiero top-down e l’azione bottom-up è la chiave per il successo.


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Note Scopo del libro 1 (Cattedra di Ecologia sociale dell’Università di Sydney) Mollison B. & Holmgren D., Permaculture One, Corgi 1978. ��������������������������� Tradotto poi in cinque lingue. Ora fuori catalogo. (In italiano fu pubblicato nel 1992 da Quaderni D’Ontignano, N.d.T.).

Prefazione 6 Il termine positivistico non deve far pensare alla filosofia del positivismo logico dell’800, ma al significato che hanno normalmente i termini positivo o negativo nel descrivere gli atteggiamenti di una persona.

2 Ricordo al lettore italiano i testi ufficiali dei due autori base della Permacultura, dopo l’uscita di Permaculture One. Permaculture Two del solo Mollison è di un anno dopo e si occupa soprattutto di progettazione. Permaculture: a designers’manual e Introduzione alla permacultura (Aam Terra Nuova, Firenze, 2007) sono entrambi di Mollison (il secondo è in collaborazione con Reny Slay) e rispettivamente del 1988 e del 1991. Per la mole dell’opera (576 pagine con molte pregevoli illustrazioni) A designers’ manual è il principale testo di riferimento a tutt’oggi. Il presente libro di Holmgren è uscito in Australia nel dicembre del 2002. Altri articoli, commenti e contributi dei due autori sono stati pubblicati su varie riviste di Permacultura citate in questo stesso libro (N.d.T.).

7 H.T. Odum, Environment, power and society, John Wiley 1971, è un testo che ha influenzato molti ambientalisti degli anni ’70 e il primo riferimento bibliografico contenuto in Permaculture One. Nei trent’anni che seguirono numerose altre opere di Odum e dei suoi seguaci e colleghi hanno continuato a influenzare il mio pensiero.

3 Si parla qui dei Collected writings, che saranno più volte citati nel corso del libro (N.d.T.). 4 Holmgren D., Melliodora (Hepburn Permaculture Gardens): ten years of sustainable living, Holmgren Design Services 1996. 5 Holmgren D., Collected writings 1978-2000 CD, Holmgren Design Services 2002. Il progetto di pubblicare questi scritti è stato il punto di partenza del presente libro. Per molti aspetti, il libro e gli articoli sono complementari. In primo luogo, gli articoli forniscono ulteriori esempi dell’applicazione del principio; in secondo luogo, potrebbero interessare molti lettori, anche perché contengono rimandi e riferimenti a ulteriori fonti. Ma, soprattutto, questi scritti rappresentano il modo in cui, attraverso il confronto col pubblico e l’esperienza concreta, il mio pensiero e le mie idee si sono evoluti nel tempo da quando, in quel lontano 1978, i principi della Permacultura fecero per la prima volta il giro del mondo.

8 In particolare l’Articolo 10, The development of the permaculture concept e l’Articolo 22, Energy and EMERGY: revaluing our world sono rilevanti per spiegare l’influenza dell’opera di Odum sull’evoluzione del mio concetto di permacultura. V. http:/www.holmgren.com.au. 9 Uno dei testi più autorevoli sull’argomento è: Campbell C., The coming oil crisis, Multi-Science Publishing, 1997. Il sito www.hubbertpeak.com fornisce molte altre fonti di informazione su questo tema. 10 V. Hawken P., Lovins A. & Lovins H., Capitalismo naturale, (Edizioni Ambiente, Milano 2001). Il testo riporta anche gli studi effettuati su come ottimizzare l’utilizzo di risorse ed energie (i cosiddetti Fattore 4 e Fattore 10). 11 Quando l’Autore parla di capitale naturale – qui e altrove – si riferisce al patrimonio rappresentato dalle varie risorse naturali, ivi compresi i combustibili fossili (N.d.T.). 12 Come chiarirà in seguito l’Autore, con bottom-up (letteralmente dal basso verso l’alto) s’intende l’agire localmente di molte organizzazioni ambientaliste o cosiddette no-global. Ma bottom-up e la sua antitesi top-down hanno anche altri significati, che variano a seconda del contesto e che è molto difficile definire in modo univoco; infatti, nel mondo anglosassone

dell’economia, del marketing e del design bottom-up e top-down sono ultimamente diventate vere categorie dello spirito, solo che, a seconda del contesto in cui si opera, il senso cambia in modo più o meno marcato. Riducendo all’osso: top-down descrive un approccio, in cui si parte con un’idea generale per poi successivamente aggiungere dettagli e particolari oppure si stabilisce un obiettivo e dal tipo di obiettivo discendono i passaggi necessari per raggiungerlo. Bottom-up, invece, descrive un approccio in cui si parte dai dettagli per poi successivamente arrivare a definire i termini più generali di un problema o di un progetto. Bottomup descrive linee d’intervento per via orizzontale, topdown linee d’intervento di tipo verticale o dirigistico. Le due filosofie possono però essere integrate perché l’obiettivo stabilito secondo l’approccio top-down può essere raggiunto più facilmente se, ad esempio, la dirigenza riesce a coinvolgere il personale nel suo raggiungimento. D’altra parte, un approccio bottomup rischia, da parte sua, di non condurre da nessuna parte perché manca una visione generale dell’obiettivo da perseguire. La dialettica top-down/bottom-up attraversa tutto l’impianto di questo libro fino a confluire nelle considerazioni finali delle ultime pagine. Un forte stimolo per l’intelligenza del lettore! (N.d.T.). 13 Il corsivo è dell’Autore (N.d.T.). 14 La maggior parte dei tratti in corsivo serve a evidenziare termini, espressioni o enunciati di particolare rilevanza per il lettore italiano. Lo scopo fondamentale è quello di rendere più comprensibile e chiara la trattazione puntualizzando alcuni contenuti chiave e rendendo (cosa molto importante, per questo testo) la lettura più scorrevole. Inoltre, molti termini e locuzioni in corsivo rimandano all’indice analitico. Nell’originale i brani in corsivo sono relativamente pochi e saranno d’ora in poi segnalati con la nota C.d.A. (Corsivo dell’Autore), (N.d.T.). 15 Per molte testimonianze ed esempi concreti v. Permaculture International Journal (in Australia questa pubblicazione non esce più ma molte biblioteche conservano i vecchi numeri), Permaculture Magazine (UK) e Permaculture Activist (USA).


282 16 Per una rassegna dell’influenza esercitata dalla permacultura sulle varie alternative ecologiche, v. l’Articolo 10, Development of the permaculture concept, dei miei Collected writings. 17 È un vecchio proverbio, che recita “Jack of all trades and master of none” (N.d.T.).

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18 Ad esempio, ho notato in Australia che le fasi di innovazione in agricoltura tendono a raggrupparsi in periodi di recessione economica: questo accadde negli anni ’80 e ’90 dell’800, negli anni ’30 e ’40 del ’900 e poi a partire dagli ultimi anni ’70 (un periodo di intensa e più o meno costante recessione rurale). Nei periodi di boom economico le nuove idee in agricoltura non attecchiscono (v. gli anni ’50 e ’60 del 900). I movimenti ecologici e sociali nati nei periodi storici che ho indicato li vedo inseriti in un continuum storico di crescita di una controcultura, che comprende anche gli eventi che si sono verificati a partire dagli anni ’70 in poi. V. l’Articolo 27, The counterculture as dynamic margin, dei miei Collected writings. Introduzione 19 Mollison & Holmgren, Permaculture One, citato. Il termine inglese permaculture ha posto nel tempo alcuni problemi di traduzione, che è giusto che il lettore italiano conosca. Permaculture, infatti, può avere in inglese una doppia valenza che in italiano inevitabilmente va persa: da un lato, ha un significato limitato al contesto agricolo (permacoltura) e, dall’altro, un significato molto più generale e filosofico che va oltre il contesto agricolo (permacultura). Come risulta chiaro dalle stesse parole di Holmgren, il termine permacoltura è troppo limitato in rapporto alla portata innovativa di questa corrente di pensiero (N.d.T.). 20 C.d.A. 21 V. Mollison B., Permaculture: a designer’s manual, Tagari 1988, Capitolo 14. 22 LETS o LETSystems sta per Local Exchange Trading Systems (sistemi di scambio commerciale locali). Sono associazioni di volontariato o di mutuo aiuto diffuse con vari nomi e articolazioni in ogni parte del mondo, i cui soci si scambiano beni e servizi. WWOOF sta per World Wide Opportunities on Organic Farms (opportunità internazionali in aziende agricole biologiche). In cambio di lavoro, nell’azienda vengono offerti vitto e alloggio; si crea così una rete in cui si condividono esperienze fra varie nazioni e gli ospiti hanno modo di avvicinarsi ai ritmi e allo stile di vita agricoli (N.d.T.).

Permacultura 23 Queste esperienze hanno nomi e modalità diversi nelle varie nazioni. In sostanza dei gruppi di cittadini possono semplicemente comprare un appezzamento di terra e farlo gestire in modo da produrre ciò che a loro interessa; questa modalità è abbastanza diffusa, negli USA, nei dintorni delle grandi città. Oppure (cosa più comune) si organizzano facendo ordini in anticipo ad aziende agricole, in grande maggioranza biologiche; l’agricoltore in tal modo può pianificare meglio le proprie colture, evitando sprechi e rischi connessi al vendere sui mercati convenzionali. In Italia, tali esperienze fanno per lo più capo ai cosiddetti GAS (Gruppi di Acquisto Solidali) (N.d.T.). 24 The permaculture movement and education: searching for ways forward. Questo mio documento fu messo in circolazione nel 1993, all’interno del movimento australiano dei docenti di permacultura, e poi pubblicato in tre parti in Permaculture and Landcarers (in seguito Green Connections), Voll. 3-5, 1995. 25 Mollison Lisa, Permaculture International Journal n. 73, February 2000. 26 V. Holmgren, The Landcare movement: community-based design and action on a scale to match the continent, in Collected writings. 27 Questi sono alcuni titoli pubblicati in Australia: Mollison B. e Slay R., Introduzione alla permacultura, Tagari 1991; Mars R. e J., The basics of permaculture design, Candlelight Trust 1994; Woodrow L., The permaculture home garden, Viking 1996. 28 V. il libro di Graham Burnett, pubblicato in Gran Bretagna Permaculture: a beginner’s guide, Land & Liberty 2000; in questo testo è evidente che la controcultura influenza il modo di interpretare la permacultura. Oltre a questo, l’autore fornisce anche molti agganci tra permacultura, veganismo e anarchismo. 29 Ad esempio, in un libretto del 1985, Beyond the nuclear age (autoprodotto), ho tratteggiato i pericoli insiti nell’applicazione dell’ingegneria genetica e promosso la permacultura come parte di una prospettiva alternativa integrata. Il libro ha avuto una certa diffusione tra ambientalisti e attivisti politici nella seconda parte degli anni ’80. 30 Sul tema del nesso tra controcultura e permacultura v. l’Articolo 27, The counterculture as dynamic margin, nei miei Collected writings.

31 Barnhart E., Introduzione all’edizione americana di Permaculture One, International Tree Crops Institute 1981. 32 Il New Alchemy Institute è un centro di ricerca legato all’agricoltura biologica nato negli USA alla fine degli anni ’60 (N.d.T.). 33 Prefazione a Introduzione alla permacultura. 34 Una di queste personalità fu Peter King, consulente agricolo e ambientale, in una trasmissione radio (Science Bookshop) del luglio 1978. 35 V. ad esempio le tesi di laurea di: Caroline Smith, The getting of hope: personal empowerment through learning permaculture, Faculty of Education della University of Melbourne 2000; Adam Nelson, Permaculture against the new orthodoxy of sustainable development, School of Science and Technology Studies, University of New South Wales, 1994; Mona Loofs, Permaculture, ecology and agriculture: an investigation into permaculture theory and practise using two case studies in northern New South Wales, Human Ecology Program, Dept of Geography, Australian National University. 36 Si tratta della UNE Orange Agriculture College 1992. L’Articolo 7, Gardening as agriculture, dei miei Collected writings fu scritto espressamente come parte del materiale di lettura di quel corso universitario. 37 In particolare, Declan e Margret Kennedy, docenti di architettura profondamente coinvolti nel Global Eco-Village Network, sono stati promotori dello sviluppo della permacultura in Germania e in altri paesi d’Europa fin dai primi anni ’80. 38 Hill S., Ecological and psychological prerequisites for the establishment of sustainable agricultural communities. Contenuto in: Martin J. (a cura di), Alternative futures for prairie agricultural communities, University of Alberta 1991. 39 Hill S., Redesigning agroecosystems for environmental sustainability: a deep system approach, in: System Research and Behavioural Science no. 15, John Wiley & Sons 1998. 40 Wamsley è il fondatore di una serie di oasi per animali nativi, fra cui Warrawong nel sud Australia, e ha anche criticato le politiche governative per la protezione della natura.


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Note 41 Intervento all’Australian Permaculture Convergence, Roseworthy Campus, University of South Australia, Feb 2005. 42 Presentato in Permaculture One e riprodotto in Introduzione alla permacultura (1991). 43 Mollison, Permaculture: a designers’ manual, p. 2. 44 Comunicazione personale di Freya Matthews (La Trobe University). 45 Comunicazione personale di Sholto Maud. 46 In base all’impostazione data al libro dall’Autore il Principio 1 corrisponde al Capitolo 1 e così per gli altri capitoli-principi (N.d.T.). 47 Purtroppo, De Bono, considerato uno dei principali esponenti del pensiero creativo a livello internazionale e autore di oltre 60 testi, è pochissimo conosciuto in Italia (come del resto moltissimi altri autori e studiosi citati in questo libro). De Bono è nato a Malta nel 1933 (N.d.T.).

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48 Meglio noto per aver coniato il termine pensiero laterale. 49 Wiener N., La cibernetica: controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina (Bollati Boringhieri, Torino, 1866), (questo è il testo che ha fondato la disciplina); Gall J., General systematics, Harper & Row 1977 (fornisce una guida accessibile e utile per i designer di permacultura). 50 Da qui in avanti la traduzione italiana sarà per lo più pensiero sistemico (N.d.T.). 51 Tutto ciò che è su larga scala è implicitamente sinonimo di scarsamente controllabile dall’uomo. Esempi classici sono il clima, il vento, la presenza di montagne o fiumi e altri fattori simili (N.d.T.). 52 Prima ancora della dimensione materiale della zona 1 esiste la zona 0 dei principi (N.d.T.). 53 La fase di climax, nelle scienze ecologiche, indica la fase in cui l’ecosistema ha raggiunto la maggiore stabilità e maturità. In permacultura, le fasi di sviluppo degli ecosistemi naturali sono utilizzati per analizzare i sistemi creati dall’uomo (N.d.T.). 54 Di solito è la gradualità che governa i processi naturali. I modelli pulsanti, però, prevedono salti

evolutivi bruschi e improvvisi (v. Fig. 32). La trattazione dei modelli pulsanti è uno dei punti centrali del libro ma ad essa si dà risalto solo nel Principio 12. In questo e in altri casi ho scelto di anticipare qualche contenuto solo per rendere la trattazione più comprensibile al lettore (N.d.T.). 55 Il diagramma non è una previsione basata su un modello ma un semplice strumento per visualizzare il processo di cambiamento. 56 La parola climax è qui utilizzata nel suo significato comune più che nel suo classico significato ecologico di ecosistema maturo. 57 Sono i creatori di immagine per uomini politici e altre figure pubbliche (N.d.T.). 58 Per quanto sia un obiettivo di enorme importanza, il concetto di società sostenibile è decisamente inadeguato, per molti teorici della permacultura. Il termine sostenibile suona come provvisorio/temporaneo e questo cozza contro il carattere di permanenza della permacultura. La locuzione oltre la sostenibilità del titolo va letta in questa cornice (N.d.T.). 59 C.d.A. Principi etici della permacultura 60 Per una esplorazione dei limiti evolutivi del tribalismo nel mondo moderno v. l’Articolo 26, Tribal conflict: proven pattern, dysfunctional inheritance, nei miei Collected writings. 61 Il materialismo dialettico, anche se attualmente fuori moda a causa dei disastri del comunismo, continua a rappresentare una delle critiche più solide nel campo delle alternative filosofiche e scientifiche all’attuale sistema. V. Levins R. & Lewontin R., The dialectical biologist, Harvard University Press 1985, per una prospettiva dialettica su molti temi direttamente connessi a quelli della permacultura. V., inoltre, Foster J.B., Marx’s ecology: materialism and nature, Monthly Review Press 2000, per una rivalutazione approfondita della natura ecologica del pensiero di Marx.

64 Reworking success, ABC Radio National 1999. 65 Nel Whole Earth Catalogue del 1968. 66 Anche l’ipotesi Gaia è un altro concetto fatto conoscere al grande pubblico da Stewart Brand nel Whole Earth Catalogue, dopo il rifiuto della rivista Scientific American. Per i retroscena sull’ipotesi Gaia, v. Margulis L., Another four letter word: Gaia. Contenuto in: Warshall P., 30th anniversary celebration Whole Earth Catalogue, Point Foundation 1998. V. inoltre: Lovelock J., Gaia, nuove idee sull’ecologia (Bollati Boringhieri, Torino, 1996). 67 Ovviamente, qui il termine terreno si riferisce al fatto che non si sta trattando di mare o aria. Nel Principio 2 parlo delle forze fondamentali che limitano la vita terrena, che sono molto diverse dalle condizioni esistenti nell’ambiente oceano. Nonostante il pesante sfruttamento umano dei mari aperti, la nostra capacità di liberarci dalla dipendenza da terra e suolo continua a essere fuori da ogni logica, irreale quanto una fuga dal pianeta Terra. 68 L’idea permaculturale che i sistemi alberati – meno dipendenti dei sistemi che prevedono l’aratura del terreno, per fornire raccolti annuali – potessero aiutarci a superare i problemi connessi ai limiti dei suoli può aver contribuito a creare problemi successivi, connessi al raggiungere e mantenere fertilità ed equilibrio nei terreni da parte di chi applica la permacultura. 69 Nell’originale planetary stewardship (N.d.T.). 70 Parlo di Melliodora (Hepburn Permaculture Gardens). 71 Berry W., La resurrezione della rosa, Slow Food, Bra, 2006 (scritto prima della comparsa dell’ipotesi Gaia). 72 Nugent R., Some aboriginal attitudes to feral animal and land degradation, Central Land Council, Novembre 1988.

62 Levins e Lewontin in The dialectical biologist utilizzano il termine alienato per descrivere questa ideologia e realtà industriale (dis)integrata.

73 Landcare è un ambizioso e vasto programma lanciato dal governo centrale australiano, da governi locali e da gruppi privati per salvaguardare l’ambiente (N.d.T.).

63 Theobald (1929-1999), economista britannicoamericano, è stato una figura pubblica di grande prestigio, sostenitore fra l’altro del pieno impiego e dell’importanza delle comunità e delle reti (N.d.T.).

74 Allo scopo, bisogna utilizzare metodologie come l’ecological footprint (impronta ecologica) e l’EMERGY Analysis, che saranno analizzate nelle sezioni successive.


284 75 C.d.A.

85 Comunicazione personale di Su Dennett.

76 V. il sito di Redefining Progress www.rprogress.org.

86 È un termine che abbiamo preferito lasciare in inglese e che indica l’insieme delle nuove modalità di pensiero insite e necessarie nei nuovi modelli di progettazione olistica della permacultura. Un esempio è il pensiero laterale, cui accenna l’autore nelle righe che seguono. I tre pensatori di riferimento, che hanno fornito cornici e coordinate per il design thinking sono De Bono, Lovins e soprattutto Odum, a cui è dedicato il libro. Fondamentale è l’apporto della coevoluzione del Whole Earth Catalogue e di Stewart Brand (NdT).

77 Per una spiegazione del concetto di scarsità come prodotto delle dinamiche economiche, v. Ivan Illich, Beauty and the junkyard, in Whole Earth Review n. 63. 78 V. Hawkin P., Lovins A. e Lovins H., Capitalismo naturale, op. cit., per esempi tratti dall’industria tessile e altre industrie. 79 Uno schema per calcolare l’impronta ecologica familiare è disponibile sul sito di Redefining Progress www.rprogress.org. L’impronta ecologica, un modello di impatto ambientale totale sviluppato da Mathis Wackernagel, non è rigorosa come l’analisi EMERGY, ma è molto più facile da applicare e sta acquistando sempre maggiore popolarità.

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Permacultura

80 Hall C. (a cura di), Quantifying sustainable development: the future of tropical economies, Academic Press 2000. ��������������������������������������������� Il termine EMERGY indica tutta l’energia utilizzata nella produzione di un oggetto, espressa in unità di un tipo di energia. Si scrive in caratteri maiuscoli per non confondere il termine con energy ed è la contrazione di embodied energy (energia incorporata), un termine più generale che copre diverse metodologie. A volte utilizzo il termine energia incorporata, nei casi in cui le differenze tra i metodi non siano importanti nello spiegare conclusioni generali. 81 Per capire come la chiave per arrivare alla sostenibilità globale sia il consumo da parte dei ricchi piuttosto che la riproduzione da parte dei poveri v. New Internationalist (in particolare, il n. 235 del settembre 1992). 1. Osserva e interagisci 82 Beauty is in the eye of the beholder (N.d.T.). 83 Nell’Accademia Italiana di Permacultura, il termine “design” è tradotto con “progettazione”. Il permacultore, attraverso il percorso di apprendimento attivo, integra costantemente osservazione, progettazione e realizzazione all’interno del processo permaculturale (N.d.T.). 84 King F.H., Farmers of forty centuries, 1911 (ristampato da Rodale Press), fornisce una descrizione dell’agricoltura cinese alla fine del XX secolo, come esempio di una società sostenibile dipendente da un altissimo utilizzo di manodopera umana.

87 V. i molti libri di Edward De Bono su lateral thinking e più in generale su thinking and design revolution. Per il nesso con la permacultura, v. l’Articolo 23, Permaculture thinking and acting for sustainability dei miei Collected writings. V. anche Natural capitalism e altri libri di Amory Lovins sulla rivoluzione del design nel commercio e nell’industria. 88 Papanek V., Progettare il mondo reale, Mondadori, Milano, 1973 (seconda edizione), Thames & Hudson, 1984. 89 C.d.A. 90 Il termine top-down viene utilizzato da Howard Odum per descrivere il pensiero sistemico che definisce gli elementi più importanti di un sistema senza che siano confusi dai particolari. Il detto “Non distinguere gli alberi dalla foresta” ci ricorda il problema che si genera quando ci si pone in posizione troppo ravvicinata a qualcosa non riuscendo così a scorgere i tratti sistemici più generali di quella cosa. Il termine top-down esprime il significato che associamo al vedere dall’alto di una montagna ciò che sta in basso, in aria o in alto nel cielo. 91 V. l’Articolo 3, An eclectic approach to the skills of reading landscape and their application to permaculture consultancy nei miei Collected writings. 92 Si tratta della progressiva sostituzione di una comunità di piante da parte di un’altra nello sviluppo verso la vegetazione climax. Per una approfondita discussione dei concetti di successione e climax e la loro applicazione in permacultura, v. Principio 12. 93 Letteralmente imparare attraverso l’azione, in italiano diremmo più comunemente imparare facendo (N.d.T.). 94 V. Larking J., Lenning A. e Walker J. (a cura di),

The Bradley method of bush regeneration, Landsdowne Press Sydney 1988. 95 Tra gli articoli dei miei Collected writings segnalo in proposito: l’Articolo 1, Permaculture: design for cultivating ecosystems (fornisce esempi di come si possano sostituire le reazioni negative al problema delle infestanti con approcci più positivi); l’Articolo 19: Permaculture and revegetation: conflict or synthesis; l’Articolo 20, Inquiry into pest plants in Victoria – Submission to Environment and Natural Resources Committee of Parliament of Victoria (amplia il discorso su questa visione positiva delle infestanti). 96 Tratto da Gall J., General systematics, Harper & Row 1977. 97 Molti, a questo punto, diranno che il pluralismo e la libertà democratica stanno oggi riducendosi rapidamente e che nel mondo occidentale si stanno apprestando le basi di un nuovo totalitarismo (v. Ralston-Saul J., The unconscious civilisation, Penguin 1997). 98 V. www.birdsaustralia.com.au/atlas/index.html. 99 Glowinski L., The complete book of fruit growing in Australia, Lothian Books 1991. 100 C.d.A. 101 Il feedback positivo amplifica le possibilità di sviluppo di un sistema; il feedback è negativo quando l’amplificazione viene bloccata e si torna a uno stato di equilibrio (N.d.T.). 102 C.d.A. 103 Questa immagine mi è venuta in mente leggendo le pagine dello storico americano William Irwin Thompson dedicate a Pitagora nell’antico Egitto e ai monaci di Lindisfarne nella Gran Bretagna celtica. Pitagora e i monaci possono essere dipinti come dei radicali che hanno reinterpretato alcune delle verità essenziali delle loro rispettive culture in decadenza, fornendo dei semi per una nuova cultura. 104 Ralston-Saul J., I bastardi di Voltaire, Bompiani, Milano, 1994. 2. Raccogli e conserva energia 105 Nell’originale Make hay while the sun shines (N.d.T.).


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Note 106 V. l’Articolo 10 dei Collected writings, Development of the permaculture concept. 107 In ecologia, nicchia indica il ruolo di un organismo all’interno del suo ambiente naturale che determina le sue relazioni con altri organismi ed assicura la sua sopravvivenza. Gli usi più comuni di questo termine in relazione a commercio e personalità derivano da questo concetto ecologico. 108 Quanti sostengono che gli oceani potrebbero fornire vaste e nuove risorse all’umanità si sbagliano di grosso. Tali argomenti si basano su una semplice equazione numerica sulla porzione di superficie terrestre coperta dagli oceani e ignorano il fatto che, in gran parte, le acque profonde degli oceani sono dei deserti ecologici e che il costo energetico dello sfruttamento delle risorse minerarie degli oceani s’innalza esponenzialmente con l’aumentare della profondità. Quasi tutte le risorse biologiche e minerali sfruttabili del mare si trovano nelle acque superficiali delle piattaforme continentali, dove l’acqua è profonda centinaia di metri e non migliaia.

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109 Esistono altri processi biochimici, di minore importanza, che permettono ad alcuni microbi di raccogliere energia in altri modi. 110 La subduzione indica lo scivolamento di una placca tettonica sotto un’altra. 111 In generale risalenti agli ultimi centomila anni.

114 Un’altra fonte di sostanze nutritive è data da pesci e uccelli migratori. Anguille, salmoni e altre specie di pesci che ritornano dal mare ai territori ancestrali di riproduzione costituiscono un caso speciale di trasferimento di preziose sostanze nutritive dal mare alla parte più alta dei bacini pluviali, il punto in cui il fiume ha la sua sorgente. 115 Il biossido di carbonio (o anidride carbonica) dell’atmosfera è la materia prima che le piante utilizzano per creare i composti di carbonio organico a partire dagli zuccheri semplici. 116 Per adesso, le strategie dominanti dell’industria per sequestrare il carbonio sembrano un rimedio peggiore del male; esse comprendono, infatti, progetti di piantare monoculture molto estese di alberi, piantagioni a rotazioni brevi e il pompaggio del biossido di carbonio delle centrali elettriche nel sottosuolo. 117 Alcuni attivisti del movimento a favore del ripristino dell’ecologia indigena hanno accusato i permaculturisti di essere dei fanatici della biomassa perché danno tanta importanza alla crescita delle piante da legno come bene ecologico. Per un’analisi più equilibrata delle biomasse v. la sezione Biomasse animali e vegetali come indicatori di fertilità in Principio 7. 118 Jackson W., New roots for agriculture, Lincoln University of Nebraska Press 1980. ���������������� Per altre informazioni sul Land Institute e sulla ricerca sulle piante perenni da reddito v. www.landinstitute.org.

112 Lo schema d’impianto illustrato rappresenta uno dei più colossali sforzi mai fatti nella storia d’Australia per modificare l’intero assetto idrografico di una regione che coincide con il bacino del fiume Murray, il più lungo d’Australia. Fra l’altro, a scopo d’irrigazione sono stati scavati immensi tunnel sotto le montagne per invertire il corso stesso di alcuni affluenti del Murray e poi, tramite sbarramenti, dighe e salti d’acqua si sono creati numerosi bacini per la produzione di energia elettrica. L’intero schema assomiglia a un gigantesco impianto idraulico, pianificato dall’uomo per ottenere i massimi vantaggi dall’assetto naturale di un territorio con l’ausilio di immense colate di cemento (N.d.T.).

119 In permacultura, la natura fornisce servizi, nel senso che da essa derivano acqua, cibo, aria pulita, combustibili, ecc. L’acqua, l’aria, il cibo, ecc. non sono altro che servizi ambientali offerti dalla natura e, nello stesso tempo, sono il capitale naturale accumulato dalla natura (N.d.T.).

113 Tané H., The case for integrated river catchment management, Discorso introduttivo dei Proceedings of the International Conference on Multiple Land Use and Integrated Catchment Management, Macaulay Land Use Research Institute, Aberdeen (UK) 1996.

122 Sviluppi relativamente recenti nelle scienze che studiano la composizione dei suoli confermano e chiariscono i principi organici che regolano la nutrizione delle piante, contestando le teorie convenzionali sull’assimilazione di sostanze nutritive

120 Un’eccellente documentazione su questo tema è contenuta in Furuno T., The power of duck: integrated rice and duck farming, Tagari 2001. 121 I terreni agrari fertili delle zone temperate contengono più del 10% di humus. La maggioranza dei terreni agricoli attualmente contiene meno del 5% di humus.

solubili. Tali teorie stanno dimostrandosi semplicistiche o addirittura sbagliate. 123 C.d.A. 124 V. nei miei Collected writings l’Articolo 25, Why natural landscapes catch and store water, nutrients and carbon. 125 È ben noto che l’acidità rallenta la decomposizione della materia organica. Questo, però, è più un sintomo che la causa. La causa più comune è un basso rapporto calcio-potassio. 126 La lignite ad alto contenuto di zolfo è altamente inquinante, se viene bruciata in centrali elettriche e simili. 127 V. il libro scaricabile dal sito web di Yeomans www.yeomansplow.com.au. 128 Walters Jr C. (a cura di), The Albrecht Papers, Acres USA, 1975. 129 Il dilavamento (tipico di azoto, potassio e calcio) può essere accelerato dalla cattiva struttura del suolo e dalla perdita dell’humus che trattiene i nutrienti. Gli squilibri minerali possono accelerare questo processo. 130 In permacultura, la vegetazione naturale o rivegetazione spontanea (tipica non solo dell’Australia ma anche di molti territori degli Appennini italiani abbandonati dall’agricoltura) è il primo passo di un faticoso ricostituirsi della fertilità naturale, che può durare un numero indeterminato di anni. L’alternativa, non sempre praticabile, alla rivegetazione spontanea (sono possibili varie denominazioni e modalità dello stesso processo) è l’intervento permaculturale pianificato per territori più o meno vasti. Questo tema ricorrerà in molte altre sezioni del libro (N.d.T.). 131 Il fosfato di roccia è una delle più importanti e una delle più esaurite risorse minerali. Nei Paesi dove l’uso di fosfati è stato pratica comune spesso si è in presenza di abbondanti riserve immobilizzate nei suoli agricoli, che possono essere rilasciate potenzialmente attraverso i microbi del suolo. Ma in molti Paesi poveri in cui i fertilizzanti non sono stati mai utilizzati con frequenza queste riserve nei suoli praticamente non esistono. 132 V. nei miei Collected writings, l’Articolo 10, Development of the permaculture concept.


286 133 Eucalipti, casuarine, acacie e conifere sono tipici di queste foreste da legname. 134 V. nei miei Collected writings, l’Articolo 17, Hemp as a wood paper pulp substitute: Environmental solution or diversion from sustainable forestry?, in cui analizzo le varie proprietà della canapa e di altre piante, come fibra e come colture appropriate all’agricoltura sostenibile e alla permacultura. 135 È il prodotto più pregiato che si ricava da una foresta o da un bosco (N.d.T.). 136 Bill Mollison nel video The permaculture concept: in grave danger of falling food, Julian Russell e Tony Gailey, ABC Video 1989.

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137 Molte piante (come carote e cavoli) sono biennali e impiegano due anni per formare i semi e completare il loro ciclo di vita, ma possono essere raccolte al primo anno di stadio vegetativo. 138 In Australia, Jude e Michael Fanton del Seed Savers Network e Clive Blazey di Diggers Seeds sono fra gli imprenditori attivisti alla testa del movimento per conservazione dei semi. Una buona guida pratica sull’argomento è: Fanton M. e J., Manuale pratico per salvare i semi e diffondere la biodiversità (Cogestre, Penne, 2004) . V. anche il sito www.diggers.com.au e Seed Annual, in cui Clive Blazey ha unito spirito ambientalista e marketing. Kent e Diane Whealey – che hanno dato inizio al Seed Savers Exchange in Iowa (USA) nel 1973 – sono stati fra gli attivisti più costanti in questo campo. V. www.seedsavers.org. 139 Molte piante perenni, oltre che per seme, si possono propagare per talea, per polloni radicati, per propaggini, succhioni, margotte e qualsiasi altra parte della pianta capace di rivegetare. Le piante prodotte con uno qualsiasi di questi metodi (clonali) sono uguali alla pianta madre, mentre quelle prodotte a partire dal seme sono diverse dalla pianta madre a causa dell’impollinazione con altre piante e specie associate. 140 V. Pryor L.D. e Banks J., Trees and shrubs in Canberra, Little Hills Press 1991. ����������������� Un eccellente libro di consultazione che include le specie piantate in ogni strada di Canberra. 141 I tagli finanziari operati dai ministeri dell’agricoltura negli anni ’80 e il progressivo spostarsi dell’interesse dal pubblico al privato hanno portato all’abbandono di molti orti e giardini botanici. Senza la mobilitazione a livello individuale di funzio-

Permacultura nari pubblici e coltivatori privati, queste preziose collezioni sarebbero andate perdute. Ad esempio, l’Heritage Fruit Group of Permaculture di Melbourne e gli imprenditori permaculturali Jason Alexandra e Marg MacNeil gestiscono e mantengono una delle poche rimanenti collezioni pubbliche di vecchie varietà di mele d’Australia al Petty’s Orchard di Melbourne. V. il servizio radio su Earthbeat ABC Radio National (www.abc.net.au/rn/science/earth/stories/s495362.htm). 142 Le multinazionali dell’agribusiness, sostenute dalle legislazioni governative, hanno compiuto e stanno compiendo enormi sforzi per assicurarsi il controllo sui semi; il che significa, di fatto, la possibilità di brevettare piante e nuovi organismi attraverso l’ingegneria genetica. La battaglia continua. 143 Swale può indicare canali e avvallamenti, depressioni o fossati – perpendicolari alla pendenza del terreno e creati o potenziati artificialmente – che devono servire a intercettare l’acqua in eccesso, farla filtrare nel suolo e a creare zone umide più o meno estese. Sono di importanza fondamentale soprattutto nell’agricoltura delle zone aride (N.d.T.). 144 V. Mollison B., Permaculture: a designers’ manual per una panoramica di queste strategie e tecniche. V. Holmgren D., Trees on the treeless plains: revegetation manual for the volcanic landscapes of Central Victoria, Holmgren Design Services 1994. ������������ Il testo descrive in modo dettagliato come integrare i sistemiforesta con i sistemi di agricoltura già esistenti. 145 A scanso di fraintendimenti, per ambiente costruito si intende tutto ciò che è stato costruito dall’uomo (case, strade, ponti, città, ecc.) ed esula dal paesaggio naturale (N.d.T.). 146 V. l’Articolo 22 dei miei Collected writings, Energy and EMERGY: revaluing our world. 147 In permacultura, anche i sistemi umani sono considerati forme di ecosistemi e – come sarà ripetutamente illustrato nel corso di questo libro – seguono molti meccanismi di sviluppo e trasformazione tipici degli ecosistemi naturali (N.d.T.). 148 C.d.A. 149 I termini inglesi “descent” e “decline” indicano la fase post-climax di qualunque ciclo naturale. Nel testo, il termine “decline” è stato sempre tradotto come “declino”, chiarendo però che non bisogna dare necessariamente a questo termine una conno-

tazione negativa. Il termine “descent” è stato tradotto come “discesa” quando indica solo la discesa energetica o l’inelluttabile di una fase del processo naturale, e come “decrescita” quando invece indica un percorso di scelte che considera la discesa energetica la base di partenza per la creazione di una società sostenibile e con un’alta qualità della vita (N.d.T.). 150 La categoria di non luogo comprende tutti quegli ambienti costruiti che per effetto della globalizzazione non hanno più nulla di locale o specifico e che si ripetono pressoché uguali in tutti i luoghi della Terra. Ne sono esempio gli aeroporti, i centri di diverse città (in cui si trovano negozi identici, che vendono le creazioni degli stessi stilisti), i grandi centri commerciali e outlet, i ristoranti fast food internazionali, ecc. (N.d.T.). 151 Su questo argomento v. anche l’Articolo 25 dei miei Collected writings, Why natural landscapes catch and store water, nutrients and carbon. 152 Come calibrato dai Brookside Laboratory degli Stati Uniti, utilizzare la percentuale di saturazione di base della capacità di scambio cationico totale rende possibili basi minori del 5% e idrogeno del 12%. 153 C.d.A. 154 Ovviamente l’Autore si riferisce alla situazione dello Stato di Victoria, in Australia (N.d.T.). 3. Assicurati un raccolto 155 Nell’originale You can’t work on an empty stomach (N.d.T.). 156 Per molti aspetti, la permacultura come è presentata da Holmgren in questo libro si configura come cultura della transizione. Transizione significa anche obsolescenza di concetti e modi di vedere la realtà (e anche di termini di tipo lessicale) ed emersione di altri che solo ieri sembravano insignificanti od ovvi, oppure di altri del tutto nuovi e diversi da quelli precedenti. In questo capitolo, il bisogno di avere un raccolto si amplifica fino a comprendere vari significati come il bisogno di una resa, di un guadagno, di un tornaconto immediati o, in ogni caso, di qualcosa in più rispetto alla situazione precedente e a quanto si è investito in sforzi e risorse, o, ancora, il semplice portare a casa qualcosa. È un punto di vista del tutto materialistico, ma da cui non si può fare a meno di partire per pensare a una prospettiva reale di società sostenibile basata prima di tutto sulla soddisfazione dei bisogni elementari (N.d.T.).


Note 157 È una parafrasi del principio della massima potenza di Lotka. Howard Odum ha suggerito che il principio della massima potenza (o almeno la sua versione basata sull’EMERGY) dovrebbe essere riconosciuto come un’altra legge dell’energia. 158 Il testo fondamentale di Kropotkin (18421921) cui si riferisce Holmgren è Il mutuo aiuto. Il libro è del 1902 (N.d.T.). 159 C.d.A. 160 Di solito si trattava di tuberi o cereali, ma a volte anche di castagne e ghiande e quindi di raccolti da alberi. Per una rassegna dei cibi base che si possono ricavare dagli alberi, v. Russell-Smith J., Tree crops: a permanent agriculture, Devin-Adair 1953. Per chi è interessato alla mia ipotesi sul perché si sia passati dai cibi base ricavati da alberi ai cibi base ricavati da cereali e altre piante annuali, v. l’Articolo 6 dei miei Collected writings, Historical precedents for permaculture.

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161 L’orzo (barley) diventava una persona che veniva uccisa (seminata) per poi risorgere e portare frutto (le varie fasi della giovinezza e della maturità fino alla raccolta, in cui la personificazione dell’orzo veniva battuta per ricavarne il seme e poi, fra le altre cose la birra). Molte canzoni popolari britanniche antiche sono dedicate a questo mito (N.d.T.). 162 Rappaport R.A., The flow of energy in an agricultural society, in: Biology and Culture in Mo­ dern Perspective: Readings from Scientific American, W.H. Freeman & Co. 1972. 163 Ad esempio, una pianta di pomodoro coltivata nei suoli poveri del Victoria centrale, con un adeguato apporto di acqua ma senza concimazioni, può arrivare a produrre meno di 100 grammi di frutti, mentre piante di pomodoro ad alta resa e in perfette condizioni colturali possono arrivare a produrre 100 volte di più (fino a 10 chili di pomodori). 164 Rispettivamente Il prato, il taglio del prato e la pacciamatura e Il ruolo delle piante indigene nel giardinaggio domestico. I due Articoli (l’11 e il 18) sono contenuti nei Collected writings.

167 La locuzione indica un sistema di produzione e di distribuzione in cui si cerca di eliminare il più possibile la necessità di avere scorte e magazzini, ordinando ciò che serve quando serve. È il metodo di produzione che ha caratterizzato grandi multinazionali giapponesi come la Toyota, che ne hanno fatto un punto di forza (N.d.T.). 168 C.d.A. 169 Per una eccellente disamina storica dei problemi connessi al razionalismo della gestione della società moderna v. Ralston-Saul J., I bastardi di Voltaire. 170 Si può scaricare il foglio elettronico dal sito di Redefining Progress www.rprogress.org. 171 Nel 1983 ho sottoposto questa proposta al Victorian Solar Energy Council senza riceverne risposta alcuna. Nel documento, che aveva come tema principale la produzione di combustibili da biomassa, facevo presente che entro l’anno 2000 lo Stato di Victoria avrebbe potuto ricavare il 10% del suo fabbisogno di combustibili liquidi coltivando radici nelle fasce di terreno irriguo del nord Victoria. Nel documento, facevo riferimento a uno studio neozelandese, in cui si dimostravano bassi quozienti di rendimento della EMERGY per le radici da cui era possibile estrarre alcol. Specificava, inoltre, che nei sistemi di produzione proposti era stata ignorata una serie di impatti ambientali. 172 Ciò che è rivoluzionario nella valutazione o contabilità EMERGY è che essa misura la qualità di un prodotto, di un oggetto o di un processo in base a ciò che è necessario per la produzione-costruzione-formazione di quello stesso prodotto e non in base a quantità di lavoro, calore o altro che se ne possono ricavare. Ad esempio, un bosco cresce da solo; per produrre del mais, bisogna invece arare, erpicare, seminare, diserbare, raccogliere, ecc. Ovviamente, i concetti presentati dall’Autore in queste pagine sono talmente densi (oltre che lontani dal comune sentire) che avrebbero bisogno di esemplificazioni molto più accurate. In Italia, solo in pochi ambiti universitari, attualmente, c’è consapevolezza di questi temi (N.d.T.).

165 C.d.A.

173 V. Odum H.T., Environmental accounting: EMERGY and environmental decision making, Wiley 1996, p. 160.

166 Settimanale, perché in molti paesi anglosassoni non si viene pagati mensilmente ma settimanalmente (N.d.T.).

174 Una specie keystone (la chiave di volta senza la quale l’arco non si regge) è una specie animale la cui sola presenza contribuisce alla biodiversità

287 di un habitat. L’estinzione di una specie keystone porta automaticamente all’estinzione di altre forme di vita (anche vegetali) connesse a quel determinato habitat (N.d.T.). 175 L’Autore ha trattato il tema dei principi etici nel capitolo Principi etici della permacultura. Qui si riferisce al terzo principio: Stabilire limiti a consumo e riproduzione; ridistribuire il surplus (N.d.T.). 176 Il libro più recente di Howard ed Elizabeth Odum, A prosperous way down: principles and policies, Wiley 2001, contiene spiegazioni accessibili e adeguate al lettore digiuno dei concetti e delle implicazioni della EMERGY nella transizione energetica di economia, società e cultura. Questo testo è l’aggiornamento di un altro, di molto tempo prima, anch’esso facilmente accessibile: Energy basis for man and nature, McGraw-Hill 1979. Io non ho mai conosciuto gli Odum di persona, e nemmeno per corrispondenza e il manoscritto del libro che state leggendo era completo prima della pubblicazione di A prosperous way down; eppure, le idee che informano i due testi sono chiaramente molto simili. La differenza strategica delle nostre risposte alla realtà della transizione è l’accento posto dagli Odum su un cambiamento politico e culturale globale top-down diretto al pubblico in generale. La permacultura si è storicamente dedicata ad ampliare i confini di un cambiamento innovativo a partire da alcuni settori sociali e culturali, realizzando modelli di vita concreti e basati sulla modestia, in un contesto in cui il concetto di abbondanza delle risorse naturali è ancora prevalente. 4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback 177 Nell’originale The sins of the fathers are visited on the children unto thew seventh generation (Nd.T.). 178 Il ritorno di parte dell’output di un circuito all’input, in modo tale che condiziona la sua prestazione. 179 V. Lovelock J., Gaia, nuove idee sull’ecologia. 180 Resilienza, oltre che sinonimo di resistenza, è la capacità da parte di un oggetto sottoposto a pressione o a stress di riprendere la sua forma iniziale, senza distorsioni (N.d.T.). 181 È quello che riguarda le singole parti di un sistema (N.d.T.). 182 Questa opinione è stata espressa dal prof. Charles Birch, autorevole biologo e teologo australiano (v.


288 l’intervista su ABC Radio National del 24 febbraio 2000). 183 C.d.A. 184 Non si tratta di raccogliere solo in senso letterale. Anche lo svilupparsi di legami tra vicini o lo stabilirsi di legami di solidarietà in una comunità è raccogliere, assicurarsi un raccolto (N.d.T.). 185 C.d.A.

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186 Il concetto di schiavo energia (energy slave) come unità di misura è spiegato nella nota successiva. Tale concetto è una delle molte strabilianti invenzioni del grande designer americano Richard Buckminster Fuller (1895-1983), inventore fra l’altro delle cupole geodetiche e del concetto di Spaceship Earth (N.d.T.). 187 Un essere umano ha bisogno di circa 2500 calorie (10467 Joules) al giorno di energia alimentare. L’energia incorporata in risorse naturali indirettamente consumata per sostenere una persona oggi può essere calcolata e misurata in joules. Dividendo il numero totale di joules per 10.467 si ha l’equivalente umano di dispendio energetico. Questo tipo di misura non cerca di valutare il valore relativo dello sforzo umano basato su età, doti, addestramento, ecc. La metodologia EMERGY permette comunque misure approssimate di questi valori e, in tal modo, fornisce un metro di misura per valutare economicamente e socialmente i diversi contributi umani. 188 Il tema degli ecosistemi pulsanti viene approfondito nel Principio 12. Anticipiamo qui qualche elemento per rendere maggiormente comprensibile questo e altri capitoli. L’ecosistema pulsante è caratterizzato da un lento accumulo di energia seguito da una breve e intensa vibrazione o pulsazione in cui l’accumulo di energia viene consumato o la biomassa accumulata con relative sostanze nutritive viene riciclata e ricomincia un nuovo ciclo. L’Autore rintraccia, nel sistema di coltura di estesi territori da parte degli aborigeni australiani (tramite l’incendio pilotato o controllato) il prototipo di questi modelli. Anche il picco dato dai ritmi di consumo della classe media (v. seconda illustrazione della Figura 14) può essere interpretata come parte di un sistema pulsante: la ricchezza e il benessere, frutto dell’abbondanza di energia a basso prezzo (derivante da depositi di petrolio accumulati dal Pianeta nel corso di milioni di anni) caratterizzano l’attuale società. L’incendio control-

Permacultura lato degli aborigeni e il ritmo dissennato di consumo delle risorse naturali degli ultimi secoli sono due aspetti di uno stesso modello (N.d.T.). 189 Nel 1991 l’83% delle attività economiche era nelle mani di un quinto della popolazione mondiale (la parte più ricca) mentre l’1,4% delle attività economiche era in mano al quinto più povero. 190 Uso il termine élite per indicare la parte di popolazione più potente in un qualsiasi tipo di società, forse l’1% della popolazione che esercita una influenza o un controllo sostanziale sulle istituzioni culturali, politiche ed economiche più importanti. In Australia, i commentatori più conservatori hanno recentemente preso l’abitudine di indicare con questo termine settori rilevanti della classe media più ricca, con un livello elevato di istruzione e di sensibilizzazione verso i problemi sociali. Si presume, così, cinicamente, che tutti coloro i quali hanno tempo ed energia per occuparsi di temi sociali elevati appartengano alla classe media più ricca mentre quanti dibattono di temi più terra terra siano australiani di mezza tacca. 191 C.d.A. 192 I nuovi modi di vedere il mercato basati sulle idee di Adam Smith ed altri. 193 C.d.A. 194 È quasi del tutto provato che i più poveri sono diventati ancora più poveri attraverso il degrado ambientale e la perdita dell’accesso alle risorse naturali. Inoltre, per la maggioranza di cittadini del Terzo Mondo, le ambizioni possono al massimo assumere la forma di Coca Cola, blue jeans, televisione e altri beni di consumo, mentre condizioni di vita adeguate, alimentazione, istruzione, lavoro che abbia un significato e valori sociali diventano un miraggio. 195 L’articolo di Thompson W.I. è nel Journal of the New Alchemy Institute, Stephen Green Press 1979. 196 C.d.A. 197 V. L’Articolo 13 dei miei Collected writings, Permaculture as development aid for the North. 198 “Background Briefing” ABC Radio National, 1 giugno 2001. È un concetto su cui è stato scritto molto negli ultimi tempi e riguarda la connessione felicità-consumismo. Il termine è traducibile con sgobbare edonistico; il treadmill è il tapis roulant

utilizzato da molti per perdere peso, ma significa anche lavoro ingrato, corvé (N.d.T.). 199 C.d.A. 200 V. l’Articolo 7 dei miei Collected writings, Garden as agriculture. 201 Città nel nord dell’Australia (N.d.T.). 202 Si possono trovare informazioni più dettagliate e aggiornate sul design per la prevenzione degli incendi boschivi in Mollison B., Permaculture: a designers’ manual e Holmgren D., The Flywire House: a case study in design against bushfire, Nascimanere 1993. 203 Questi rischi sono ormai riconosciuti dai corpi ufficiali dei vigili del fuoco; in molti casi, è stato anche apertamente riconosciuto che solo comunità e gruppi familiari ben preparati e autosufficienti hanno probabilità di sopravvivere agli incendi di grandi dimensioni. 204 Qui isolamento va inteso in senso elettrico (N.d.T.). 205 Lovelock J., Le nuove età di Gaia (Torino, Bollati Boringhieri, 1991). 206 Alcuni esempi di queste strategie di mantenimento che sono andate perse sono: meno personaggi tuttofare, all’interno delle comunità, che riescano ad accollarsi i lavori di riparazione e ripristino quando i vari professionisti non ci sono più; la presenza di meno impiegati di lungo corso che sappiano tutto della comunità in cui vivono (veri uffici anagrafe della comunità); la scomparsa della produzione di prodotti locali intorno a città e fattorie; la produzione just-in-time senza magazzino di materiali e parti di ricambio; il generale collasso delle reti comunitarie e del contatto tra vicini di casa. 207 In tutto il mondo, però, la tradizionale autosufficienza rurale è stata notevolmente erosa dalle forze economiche, di pari passo con il degrado delle risorse naturali. 208 Earthquake lessons, Whole Earth Review, n. 68, 1990. 209 Il valore totale della sola città di Tokyo superava quello dell’intero Stato della California. 210 La crisi delle assicurazioni si è intensificata ulteriormente e in modo sostanziale nel periodo successivo agli eventi dell’11 settembre 2001.


289

Note 5 Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili 211 Nell’originale Let nature take its course (N.d.T.).

219 Energia metabolica 2500 kilocalorie al giorno, quota carburanti (USA) 229.000 kilocalorie al giorno.

212 Da questo punto di vista – molto pertinente, per il principio di cui mi sto occupando – Mollison parla di cinque categorie di risorse: quelle che aumentano con un utilizzo modesto, quelle che permangono invariate a prescindere dall’utilizzo, quelle che si degradano se non vengono utilizzate, quelle che si riducono con l’uso; quelle che inquinano quando vengono usate. Vedi Mollison B., Permaculture: a designers’ manual, capitolo 2.4.

220 La quota nazionale di EMERGY (USA) di 557.500 carbone equivalente incorporato in kilocalorie al giorno (Odum 1996).

213 Il termine emivita (o periodo di dimezzamento) indica il tempo richiesto perché metà della quantità o valore di un prodotto vada degradato o perso. 214 C.d.A. 215 In Australia sono diffuse circa 700 specie di eucalipti. In questo libro l’Autore parlerà a varie riprese di diverse specie che non hanno, ovviamente, un equivalente italiano. Per questo abbiamo preferito dare la denominazione scientifica (N.d.T.).

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216 V. il sito di Redefining Progress, www.rprogress.org. 217 I fatti che sostanziano queste stime approssimative sono i seguenti: in Australia, le mucche da latte di solito sono tenute al pascolo (fatto di piante e perciò di energie rinnovabili) con un contributo molto ridotto di energie da combustibili fossili (per lo più dati dall’utilizzo di fertilizzanti fosfatici, recinzioni, ripari per la lavorazione e altro). In Europa le mucche vengono tenute per lo più al chiuso e nutrite con mangimi ottenuti da colture concimate e poi raccolte e movimentate da una varietà di macchine. In Israele, la situazione è simile a quella europea, ma c’è di più che tutte le colture devono essere irrigate con acqua pompata mediante energia fossile. Per altri dati sulla situazione dell’agricoltura in Israele, vedi l’Articolo 14, Impressions of Israel: a permaculture perspective dei miei Collected writings. 218 Due studi EMERGY su impianti solari installati ad Austin (Texas) e a Nashville (Tennessee) negli anni ’90 mostravano rapporti di resa EMERGY rispettivamente di 0,41 e 0,36 (qualsiasi cifra inferiore a 1 segnala una perdita netta). Al confronto, in Texas le rese di elettricità prodotta tramite lignite erano di 2,1, mentre in Nuova Zelanda le rese da centrale idroelettrica erano di 10. V. Odum H.T., Environmental accounting, 1996.

221 Odum H.T., Environmental accounting, capitolo 8. 222 Per correttezza, bisogna dire che il libro Environmental accounting è stato pubblicato nel 1996. Da allora sono passati più di dieci anni, durante i quali l’energia fotovoltaica ha conosciuto sviluppi impensabili anche solo qualche anno fa. Inoltre, non tutti gli Stati possono permettersi di trasformare vaste porzioni del loro territorio in foreste (N.d.T.). 223 Il processo della gassificazione da biomasse è noto e applicato dalla fine dell’Ottocento; fra l’altro, serviva a produrre gas per illuminare le città e fu utilizzato moltissimo durante la seconda guerra mondiale a causa del razionamento del petrolio; è una tecnologia su piccola scala, molto diffusa in India. La tecnologia delle microturbine a gas è ancora in fase di ottimizzazione (N.d.T.). 224 V. le cifre delle ricerche CSIRO citate in Ecos n. 98, marzo 1999. 225 V. Odum, op. cit., capitolo 8. 226 C.d.A. 227 Il lettore tenga presente che Holmgren usa di proposito il termine raccogliere/raccolta (harvest) anche quando il significato italiano è sfruttare/sfruttamento, disboscamento e così via. Una foresta non si raccoglie né in italiano, né in inglese; si raccoglie solo in permacultura (N.d.T.). 228 Per altri dettagli su questo tema v. l’Articolo 17 dei miei Collected writings, Hemp as a wood paper pulp substitute? �������������������������������� Environmental solution or diversion from the search for sustainable forestry? 229 Si tratta della Fryers Forest Eco-village Community, che ha in gestione 100 ettari di foresta di Eucalyptus melliodora. V. il sito di Fryers Forest su www.holmgren.com.au//FF.html. 230 C.d.A. 231 Essere conservatori significa in parole più dirette che non bisogna esagerare nel modo di raccogliere e anche di considerare il concetto di sosteni-

bilità (il termine stesso in inglese ha assunto ormai da diverso tempo una connotazione decisamente positiva, al contrario della lingua italiana). Non sappiamo esattamente quale possa essere una quantità sostenibile di raccolto in natura, anche dopo varie esperienze dello stesso tipo, perché niente in natura è mai uguale da un anno all’altro (N.d.T.). 232 L’autore americano Garret Hardin chiama questo processo «la tragedia dei common» argomentando che il supersfruttamento dei common è un fatto inevitabile. Esistono però diversi esempi, riferiti a svariate culture, che indicano che è possibile una gestione efficace e sostenibile di risorse comuni e che queste gestioni sono andate avanti per secoli senza produrre uno sfruttamento eccessivo. 233 “Chi troppo vuole nulla stringe”: i proprietari dell’oca, spinti dall’avidità, decidono di ucciderla, perché credono che dentro sia fatta d’oro. Ma l’oca, dopo morta, si rivela essere come tutte le altre (N.d.T.). 234 Da una comunicazione personale di Lee Harrison. 235 Gokula Dasa ha presentato questa analisi-testimonianza durante il corso di permacultura tenutosi a Hepburn nel 1995. 236 La Wombat Forest del Central Victoria (64.000 ettari) venne completamente devastata durante la corsa all’oro, avvenuta tra il 1860 e il 1890. Venne in seguito deciso di vietare il taglio di alberi fino alla fine degli anni ’30 del ’900, permettendo solo il diradamento e poi il taglio di quelli più bassi. Si ricreò così una foresta diversificata di grande valore. Purtroppo, a partire dagli anni ’70, una politica sbagliata da parte dello Stato e una cattiva gestione hanno rimesso in auge il taglio indiscriminato di legname da opera e da cartiera. Nella foresta matura si sono così create delle grandi macchie di vegetazione con una ricrescita troppo densa e confusa. Le mie opinioni su come gestire le foreste di proprietà pubblica sono espresse nell’Articolo 15, Wombat Forest Submission, dei miei Collected writings. 237 V. www.holmgren.com.au/FF.html. 238 V. il sito di Prosilva, la rete europea per una silvicoltura naturale sostenibile: www.prosilvaeurope.org. 239 C.d.A. 240 Ciò si verifica soprattutto sulle radici di Ericacee e Proteacee (ad esempio nel corbezzolo e nella


290 banksia). Queste specie sono diffuse in ambienti a bassa fertilità, ma hanno un alto potenziale nel rendere disponibili le riserve di fosfati presenti in quei terreni che hanno ricevuto ripetute concimazioni e in cui i fosfati risultano bloccati nel suolo. Queste piante potrebbero avere una grande utilità, nell’agricoltura sostenibile del futuro. Tra tutti i fertilizzanti minerali di più frequente utilizzo il fosfato è quello che maggiormente si rende indisponibile ad essere sfruttato dalle piante sotto forma di fosfato di ferro o di alluminio. Esistono molti terreni che possono essere considerati vere riserve di fosfati e che nelle giuste condizioni le micorrize potrebbero rendere disponibili a favore delle colture di pieno campo. L’azoto e il potassio, invece, se somministrati in eccesso, tendono a evaporare o a essere dilavati. 241 V. Feeding the soils of Africa in Ecos 103, April-June 2000. [Ecos è una rivista ambientalista australiana (N.d.T.)]. 242 Questo albero è diffuso in alcune zone del Kenia, ma viene supersfruttato ed è a rischio di estinzione perché dalla corteccia si ricava un rimedio medicinale per i disturbi della prostata.

250 Vedi il sito di Ocean Arks International www. oceanarks.org. 251 Una palude alpina in cui confluiscono gli scarichi di una località sciistica (Thredbo) da più di un decennio, è stata studiata a fondo nel 1981 e si è scoperto che era altamente efficiente nell’eliminazione di azoto e fosforo. I tentativi di migliorarne la funzionalità dimostrarono che si trattava di un ecosistema coevolutivo ormai instaurato e che era meglio lasciarlo com’era (Ecos n. 60, inverno 1989). 252 La mia proposta dal titolo Submission to inquiry in pest plants in Victoria è contenuta nei miei Collected writings. 253 Comunicazione personale di Peter Harper (del Centre for Alternative Technology del Galles). 254 Wilson M., Post gold rush stream regeneration: implications for managing exotic and native vegetation, Centre for Environmental Management, University of Ballarat, Relazione presentata alla seconda Australian Stream Management Conference (Febbraio 1999).

lis), la cui propagazione avviene tramite rizomi. Gli impianti di fitodepurazione in Italia utilizzano soprattutto questa specie vegetale. Le canne di cui parla invece l’Autore, sono della famiglia delle Typhacee, piante acquatiche alte fino a due metri (della stessa famiglia del nostro calamo aromatico) fornite di un esteso sistema a rizomi, capaci di colonizzare vaste superfici o addirittura di creare vere e proprie isole galleggianti (N.d.T.). 259 Per i costi di queste strutture, v. www.cdstech. com.au/products.html. Il costo unitario varia da 35.000 a 70.000 dollari austrialiani, quelli di servizio e manutenzione sembrano essere nell’ordine del 5-12% del costo capitale per anno. 6. Evita di produrre rifiuti 260 Dall’originale A stitch in time saves nine; Waste not, want not (N.d.T.). 261 Mollison B., Permaculture: a designers’ manual. 262 Visto che il tema principale di questo capitolo sono i rifiuti, è utile che il lettore sappia che il termine inglese waste possiede varie e sottili sfumature, che vanno tenute in considerazione leggendo questo capitolo. Oltre che rifiuto, esso infatti significa: scarto, residuo, spreco e – cosa molto interessante – terreno abbandonato o incolto (N.d.T.).

244 Dallas K.M., Horse power, Fuller Bookshop, Hobart 1968.

255 Per un’analisi di questo grande fallimento del movimento Landcare nel dare il giusto valore alla vegetazione che prospera sulle sponde di corsi d’acqua urbani e rurali, v. l’Articolo 19, Permaculture and revegetation: conflict or synthesis, dei miei Collected writings.

245 Un eccellente, moderno e pratico testo sull’argomento è quello di Sidback Hans, The horse in the forest: caring, training, logging, Swedish University of Agricultural Sciences Research Information Centre 1993.

256 Come è facile arguire, si tratta di vari metodi di smaltimento (alcuni molto innovativi e recenti) delle deiezioni umane che non fanno uso di acqua, in cui, a contatto con l’aria, avviene una più o meno rapida trasformazione del rifiuto in compost (N.d.T.).

246 Nella Yarra Valley sono state utilizzate delle aquile per tenere lontani gli uccelli dalle vigne, ma le leggi sulla protezione dell’ambiente impediscono che questa metodica di deterrenza per il contenimento degli uccelli dannosi prenda maggiormente piede.

257 A Cuba esiste uno straordinario sviluppo dell’agricoltura biologica urbana e rurale. Ciò costituisce uno dei migliori esempi su larga scala per la transizione alla società del declino energetico. Il collasso delle forniture provenienti dall’Unione Sovietica di carburanti, fertilizzanti e pesticidi ha segnato l’inizio delle politiche e dei programmi del governo in senso biologico. Tali misure si stanno ora dimostrando di grande beneficio dal punto di vista ecologico, sociale ed economico, più di quanto preventivato. Vedi il rapporto pubblicato su www.projectcensored.org/intro.htm.

265 King F.H., Farmers of forty centuries. [Si tratta di un libro entrato nella storia dell’agricoltura biologica, in cui King, un agronomo statunitense, descrive i metodi agricoli osservati di prima mano durante un viaggio in Cina, Corea del Sud e Giappone. Il libro risale agli inizi del ’900 prima dell’avvento dei concimi chimici e dell’agricoltura industriale (N.d.T.)].

258 Si tratta di utilizzare piante a crescita rapida, spontanee delle aree umide come – nei nostri ambienti – le canne palustri (Phragmites austra-

268 Le preoccupazioni sul fatto che le bottiglie del latte potevano essere utilizzate per altri scopi portò a sistemi di pulizia delle bottiglie sempre più costosi, il

243 Un pollaio mobile di grandezza variabile (N.d.T.).

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Permacultura

247 C.d.A. 248 Costanza et al., The value of everything, in Nature 395, 430 (Ottobre 1998). 249 Gran parte di questi impianti per la depurazione naturale delle acque – comprese le cosiddette living machines (macchine viventi) – in Italia fanno capo al concetto di fitodepurazione (N.d.T.).

263 V. Smith A., Living soil in Permaculture Journal n. 7, 1981. 264 A quanto sembra, ciò si verifica anche nell’Australia meridionale, territorio in cui gli alberi decidui formano foreste anche su terreni molto poveri.

266 C.d.A. 267 C.d.A.


291

Note che a sua volta portò all’opinione che le confezioni in tetrapack e simili erano ambientalmente preferibili. 269 Naturalmente, questo argomento si basa sul presupposto che tutte le soluzioni valide siano soluzioni di massa. Il principio di diversità, invece, suggerisce che la discesa energetica è caratterizzata da uno slittamento dalle soluzioni globali di massa a soluzioni locali diverse una dall’altra. 270 I rifiuti alimentari ad alto contenuto di carboidrati potrebbero essere squilibrati per le galline che depongono uova. L’animale tradizionale, per questo tipo di rifiuti, è sempre stato il maiale. In molte situazioni potrebbe essere adeguato costruire una lettiera per i lombrichi che, oltre alla trasformazione organica dei rifiuti domestici, potrebbe fornire un supplemento proteico per le galline (dar da mangiare i lombrichi ai polli è del tutto naturale) e al contempo un compost di qualità insuperabile. 271 Letteralmente, “Un punto in tempo ne fa risparmiare nove”: se non ci si occupa di un problema immediatamente, diventerà poi sempre più difficile e faticoso risolverlo (N.d.T.).

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272 Ad esempio la combustione a letto fluido (fluidised bed combustion). 273 V. il sito web di Future Harvest www.mov.vic. gov.au/FutureHarvest/fffuture.html 274 Anderson B. (del Danish National Institute of Animal Research) in: Proceedings International Federation of Organic Agriculture Movements conference, Lincoln University (New Zealand), dicembre 1994. 275 V. Tibbs H., Human ecostructure; in Whole Earth Review n. 93, estate 1998. ���������������� L’articolo spiega le basi dell’ecologia industriale a partire da Benyus J.M., Biomimicry: innovation inspired by nature, William Morrow & Co, 1997. 276 V. il sito del Rocky Mountain Institute www. rmi.org. 277 Amory Lovins, nato nel 1947, è uno dei massimi esperti e consulenti a livello mondiale nel campo del risparmio energetico, dell’uso di energie dolci e della ristrutturazione di processi industriali in senso ecologico. Il Rocky Mountains Institute, da lui fondato, ha sede in Colorado ed è attivo nel realizzare progetti nei campi prima indicati. In Europa è col-

legato al Wuppertal Institute (Germania). I miglioramenti Fattore 4 indicano che per molti processi industriali è stata provata e verificata un’alternativa che permette il raddoppio della produzione e un risparmio di risorse ed energia fino al 50%. Questi risultati in alcuni casi, mostrano risparmi/rese che possono raggiungere il Fattore 10, ossia 5 volte le rese e 5 volte meno energia/risorse. Il concetto di Fattore 4 risale al libro Factor four - Doubling Wealth, Halving Resource Use, the new report to the Club of Rome pubblicato da Von Weizsäcker E. U., Lovins A. e Amory H., Earthscan 1997 (N.d.T.). 278 Lo stato precario degli investimenti australiani in istruzione, ricerca e sviluppo è un esempio in più, del tutto ovvio, di questo problema. 279 Com’è noto, il primo maiale costruisce una casa di paglia, che il lupo spazza via con un soffio; il secondo costruisce una casa con rami ma finisce, come il primo, mangiato dal lupo. Solo il terzo maiale, dopo aver costruito una casa di mattoni, riesce ad avere la meglio sul lupo, che dal camino finisce direttamente in un pentolone, pronto per essere cotto e cucinato (N.d.T.). 280 Comunicazione personale di Bertil Thermaenius. 281 Brett D., Infrastructure: going, going, where?, in Ecos n. 61, primavera 1989, CSIRO. 282 Le elaborazioni del Dr Lex Blakey sono riprodotte in Ecos n. 61, primavera 1989, CSIRO. 283 C.d.A. 284 L’aumento di sedimenti nei fiumi, soprattutto nel Murray, è dovuto primariamente all’erosione delle rive che si verifica in estate quando il fiume viene utilizzato come un enorme canale per l’irrigazione delle colture agricole. 285 C.d.A. 286 Nel video The Permaculture Concept: in grave danger of falling food. [Il video è liberamente disponibile in rete, ovviamente in inglese (N.d.T.)]. 287 V. l’Articolo 14, Impressions of Israel, dei miei Collected writings. 7 Progetta dal modello al dettaglio 288 Nell’originale “Can’t see the wood for the trees”. Il proverbio è di per sé abbastanza ambiguo e può

prestarsi a interpretazioni addirittura divergenti, ma qui ci interessa l’interpretazione che ne dà l’Autore (N.d.T.). 289 C.d.A. 290 Il termine originale è pattern. La traduzione “modello” è un po’ riduttiva, per l’importanza che ha il termine pattern in tutto il libro e in permacultura in generale. Al termine base modello, bisognerà a seconda dei contesti aggiungere disegno o motivo, schema o paradigma. In permacultura pattern indica più che altro una sorta di archetipo di un processo naturale, il modo in cui funziona regolarmente un’associazione di più organismi; uno degli esempi più citati è lo scorrere di un fiume e il formarsi del suo bacino (N.d.T.). 291 V. il capitolo 4 di Mollison B., Permaculture: a designer’s manual. 292 Alexander C. et al., A pattern language: towns, buildings, construction, Oxford University Press 1977. Il libro è tuttora utilizzato da alcuni designer permaculturali come cornice di modelli per sviluppare paesaggi produttivi seguendo principi e strategie della permacultura. 293 Ad esempio, Warwick Rowell in Australia occidentale; v. il sito web del Rosneath Eco-village www.rosneath.com.au. 294 Per un ulteriore approfondimento su come le tecnologie dei media hanno ridotto la nostra abilità di riconoscimento dei modelli v. l’Articolo 24, Do media technologies scramble young minds? dei miei Collected writings. 295 Come per pattern/modello, anche per scale/scala vale la pena di fare qualche precisazione visto che sono concetti fondamentali in questo testo e in generale in permacultura. Scala non ha a che fare solo con le dimensioni (o il riportare in scala un territorio) ma anche con le proporzioni di un oggetto, di un fenomeno, di un processo rispetto ad altri dello stesso tipo e rispetto al contesto di cui fanno parte. Il lettore tenga presente tali nessi soprattutto per la comprensione di questo capitolo (N.d.T.). 296 V. Ornstein R. & Erlich P., New world new mind: moving towards conscious evolution, New York Doubleday 1989. 297 I piccoli organismi possono avere una vita molto breve, ma le loro funzioni sono in ogni caso


292 portate avanti dalla loro progenie; quindi, nel pensiero sistemico, i piccoli sistemi sono caratterizzati dall’avere un tempo di rinnovamento rapido piuttosto che una vita breve, il che suggerirebbe un evento momentaneo che non si ripete. 298 C.d.A. 299 Gli ecologisti usano vari indicatori di produttività biologica, fra cui la fotosintesi e la respirazione totale, la biomassa vegetale vivente, la biomassa animale vivente e la lunghezza delle catene alimentari. 300 Sull’argomento, v. l’Articolo 4, Aboriginal land use, dei miei Collected writings. 301 Per una breve descrizione di questi sistemi e delle ricerche sul moderno adattamento all’agricoltura sostenibile vedi l’Articolo 14, Impressions of Israel: a permaculture prospective, dei miei Collected writings e, più in generale, Evenari M. et al., The Negev: the challenge of the desert, Harvard University Press 1971. 302 Lo sforzo in ecologia dei sistemi è il feedback di energia di alta qualità che un ecosistema rilascia per mantenere la sua offerta di energia, a partire dalle risorse ambientali disponibili su larga scala.

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303 Comunicazione personale di Haikai Tané. 304 V. Smith R., Tree crops: a permanent agriculture, Devin-Adair 1953. 305 Per foresta alimentare (food forest nell’originale) l’Autore intende uno spazio in cui alberi e arbusti da frutto vengono fatti liberamente prosperare allo scopo di fornire cibo senza per lo più effettuare interventi colturali (N.d.T.). 306 Vedi l’Articolo 6, Historical precedent for permaculture, dei miei Collected writings. 307 Peter Harper, biologo, orticoltore biologico e docente al Centre of Alternative Technology ha criticato il modo in cui è stato messo in pratica e promosso dai permacultori britannici il modello di foresta alimentare. 308 John Bradshaw, della Victorian Biodynamic Gardeners Association, ha criticato la piantagione fitta di alberi da frutto perché questa pratica a suo dire incoraggia lo sviluppo delle malattie. 309 Sull’argomento, v. Reid R. e Wilson G., Agroforestry in Australia and New Zeland, Goddard & Dobson 1985.

Permacultura 310 V. Senanayake R. & Jack J., Analogue forestry: an introduction, in Monash Publications in Geography n. 49, Monash University Melbourne 1998. 311 Questa è in pratica la definizione di analogue forestry (N.d.T.). 312 V. l’Articolo 16, The Landcare movement: community-based design and action on a scale to match the continent, dei miei Collected writings. 313 Ted Lefroy fa parte del Co-operative Research Centre for Legumes in Mediterranean Agriculture della University of Western Australia. È uno dei pochi ricercatori in Australia a utilizzare la contabilità EMERGY per creare modelli più integrati. Non deve sorprendere che la EMERGY totale della piovosità sia molto maggiore rispetto a quella dell’irradiazione solare, tranne che nelle regioni più aride. L’utilizzo efficiente della piovosità diventa così utilizzo efficiente dell’energia solare incorporata. 314 Sta per Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization: è l’agenzia nazionale per la scienza e la ricerca in Australia (N.d.T.). 315 Nei climi più continentali della zona temperata dell’emisfero nord, le temperature fredde (e il fatto che il suolo geli) riducono il dilavamento. 316 Da noi è conosciuto come “nespolo del Giappone” (N.d.T.). 317 V. Walters C. Jr (a cura di), The Albrecht Papers. 318 V. l’Articolo 4, Aboriginal land use, dei miei Collected writings. 319 Flannery T., The future eaters, Reed Books 1994 analizza l’efficienza metabolica degli animali australiani. 320 V. Lynch K., Site planning, MIT Press (un testo standard) e Alexander C., A pattern language: town, buildings, construction (un’opera ispirata) per una migliore comprensione del concetto di sito. 321 Si può fare l’orto persino in un metro quadro, il che aggiunge un altro ordine di grandezza alla gamma delle scale fin qua considerate. Un orto su una superficie di queste dimensioni dovrebbe essere classificato come Zona zero. Sarebbe così piccolo che l’ambiente costruito (contenitori, pavimento, balconi, muri adiacenti e serrette di plastica e altro)

costituirebbe il determinante principale della redditività del sistema. 322 Letteralmente, mappe di fango, un modo di dire australiano risalente al tempo dei pionieri, che indica l’uso di tratteggiare su terra (di solito bagnata) il piano o la mappa grossolana di un territorio (N.d.T.). 323 Per approfondire ulteriormente v. l’Articolo 25, Why catchment landscapes catch and store water, nutrients and carbon, dei miei Collected writings. 324 Quest’ultima affermazione è di Bill Mollison nel video Global Gardener: gardening the world back to life. 325 I progetti di Kym Kingdon per colture a viale nella regione semiarida di Mallee (Victoria) sono stati applicati dall’agricoltore Anthony Sheldon che produce cereali e alleva ovini (v. il case study 15 sul sito del Museo di Victoria nella sezione Future Harvest, www.museum.vic.gov.au/FutureHarvest/ case15). Darren Doherty ha progettato e realizzato piantagioni miste di alberi e colture annuali integrate (www.australiafelix.com.au) secondo il metodo Keyline nel territorio del Central Victoria. 326 Questo concetto, di grande importanza nella progettazione in permacultura, si basa sulle idee dell’australiano P.A. Yeomans, poi rielaborate ed estese dal figlio. Il concetto chiave è la creazione di sistemi di bacini per l’accumulo dell’acqua posti in punti chiave e collocati in piccole valli formate da corsi d’acqua secondari e minori, in punti chiave individuati a occhio nudo. Con coltivazioni e ricondizionamenti del suolo, sbarramenti e altre opere per la raccolta dell’acqua, aumenta la quantità di acqua a disposizione e si possono costruire ecosistemi molto produttivi e stabili, in cui il suolo si arricchisce progressivamente e il dilavamento o l’erosione delle sostanze nutritive vengono quasi del tutto cancellati. E in ogni caso ciò che viene dilavato più in alto viene recuperato più in basso (N.d.T.). 327 V. Yeomans P.A., Water for every farm, pubblicato per la prima volta da Murray Books nel 1965 e rivisto poi da Ken Yeomans. V. www.keyline.com.au. 328 I principi della permacultura relativi al potenziale dei terreni tradizionalmente considerati poveri hanno spinto alcuni a sviluppare il concetto di equivalenza ecologica. Questo concetto considera tutti i territori diversi ma ugualmente preziosi, ignorando il potenziale produttivo biologico insito nel territorio. L’influenza del movimento per


293

Note il recupero conservativo ha portato al diffondersi dell’opinione che i territori meno produttivi hanno un valore maggiore per la loro capacità di resistere all’invasione ambientale delle infestanti. Nel mio lavoro di consulente, anche a me accade spesso di sentire dei clienti affermare che un dato terreno è buono perché nella boscaglia non ci sono infestanti, il che il più delle volte è invece un indice di scarsa fertilità. Mi accade poi di sentire altri che considerano altamente degradati i terreni colonizzati da una fitta serie di infestanti quando, proprio la loro presenza, indica la presenza di acqua, minerali e sostanza organica, che potrebbero essere stati dilavati da altri terreni classificati buoni. 329 Christian C.S. & Stewart G.A., General report on survey of Katherine-Darwin region 1946, Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation, Australian Land Research Service 1, Canberra, CSIRO 330 V. Technology in Australia 1788-1988 – A condensed history of Australian technological innovation adaptation during the first two hundred years, opera dei Fellows of the Australian Academy of Technological Sciences and Engineering 1988 (edizione on-line del 2000 su www.austech.unimelb.edu.au/tia/037.htm).

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331 Comunicazione personale di Sabina Douglas-Hill. 332 Per capire perché si sia ricorsi al parziale allagamento delle foreste di pianura costeggianti il Murray v. Murphy J., Watering the Millewa Forest, in Mackay N. & Eastburn D., The Murray, Murray Darling Basin Commission 1990. 333 Newsome A.E., The eco-mythology of the red kangaroo in central Australia, Mankind 12, 327-33, 1981. 334 Per un’analisi generale dell’argomento, v. Forman T.T. e Godro M., Landscape ecology, John Wiley and Sons 1986. Per un esempio di applicazione di questi concetti in Nord America, v. Proceedings Land Type Associations Conference: development and use in natural resources management, planning and research, aprile 24-26, 2001, University of Wisconsin Madison, Wisconsin Department of Agriculture Forest Service Northeastern Research Station General Technical Report (www.fs.fed.us/ne/ newton_square/publications/technical_reports/ pdfs/2002/gtrne294.pdf). 335�������������������������������������������� Un esempio è lo studio concernente il bacino in cui è inserita la mia proprietà: Schoknecht N.R., Land inventory of the Loddon River catchment,

Land Protection Division, Department of Conservation, Forest and Lands Victoria 1988. 336 V. i case study Holmgren D., Melliodora (Hepburn Permaculture Garden) e Holmgren D., Permaculture in the bush, Nascimanere 1992. Questi due studi mostrano come il linguaggio dei modelli del Land Systems abbia influenzato il mio design di piccole proprietà permaculturali. Holmgren D., Trees on the treeless plains: revegetation manual for the volcanic landscapes of Central Victoria fornisce esempi di pianificazione del paesaggio su larga scala, in base ai principi del Land Systems. 337 Il testo di riferimento in Australia è McDonald R.C. et al., Australian soil and land survey: field handbook, Inkata Press 1984. 338 Ricordo che si tratta di case quasi interamente in legno (N.d.T.). 339 Si trattava di paraboloidi iperbolici. Il semplice fatto di non aver inserito delle controtraverse aveva creato la curvatura, complicando e allungando i lavori. 8. Integra invece di separare 340 Nell’originale Many hands make light work (N.d.T.). 341 Mollison B., Permaculture: a designers’ manual. 342 Il fatto che Charles Darwin abbia dato tanta rilevanza alle relazioni predatorie e competitive come molla dell’evoluzione, si basava, sì, su osservazioni condotte in natura ma anche su osservazioni della società umana intorno a lui. L’Inghilterra ai primi stadi dell’industrializzazione era una società in rapida evoluzione, basata sullo sfruttamento di nuove risorse energetiche. Le relazioni economiche predatorie e competitive del tempo rovesciarono norme e convenzioni sociali del periodo precedente. Il darwinismo sociale utilizzò gli studi di Darwin per spiegare e giustificare il capitalismo industriale ed il libero mercato. Peter Kropotkin fu il primo di una lunga serie di critici del darwinismo sociale a fornire prove evidenti tratte sia dalla natura che dalla storia umana che le relazioni simbiotiche e cooperative erano importanti almeno quanto la competizione e della predazione. Le opere di Kropotkin ebbero una forte influenza sulle mie prime idee nello sviluppare il concetto di permacultura. Di Kropotkin, v. soprattutto il saggio Mutuo aiuto.

343 C.d.A. 344 Anidride carbonica e biossido di carbonio sono la stessa cosa. Il secondo termine è scientificamente più corretto, il primo è quello più ampiamente utilizzato dai mass media (N.d.T.). 345 Health Report, ABC Radio National, 20 May 2002. 346 I wallaby sono marsupiali simili ai canguri, ma di stazza più piccola; i pardaloti, invece, sono uccelli simili ai passeri (ma dai colori più vivaci) tipici dell’Australia (N.d.T.). 347 L’alga è il produttore e, come tutte le piante verdi, attraverso la fotosintesi trasforma la luce solare, l’acqua e l’anidride carbonica in carboidrati (che danno energia); il fungo invece è il consumatore. In cambio dei carboidrati, di cui si nutre, il fungo fornisce l’habitat e aiuta l’alga a procurarsi nutrienti e acqua. 348 Nel video The permaculture concept: in grave danger of falling food. 349 Si tratta di uno sfortunato progetto, proposto da investitori giapponesi negli anni ’90 e fatto proprio dal governo dell’Australia meridionale dopo un’aspra concorrenza di vari Stati australiani. 350 Termine coniato dall’ecofemminista indiana Vandana Shiva per descrivere il pensiero riduzionista che sta dietro la monocoltura agricola. ������� V. Shiva V., Monoculture della mente (Bollati Boringhieri, Torino, 1995). 351 Qui l’Autore si riferisce soprattutto all’agricoltore convenzionale, abituato dalla società dell’abbondanza energetica a basso costo a ricercare in ogni caso la massima resa possibile senza preoccuparsi delle conseguenze negative di questo comportamento (N.d.T.). 352 Mollison B., Permaculture: a designers’ manual, capitolo 3. 353 V. www.holmgren.com.au. 354 Per approfondire il tema degli alberi e arbusti da foraggio da integrare in sistemi agricoli già esistenti, v. Holmgren D., Trees on the treeless plain: revegetation manual for the volcanic landscapes of Central Victoria. 355 In questa sezione separazione e segregazione sono sinonimi (N.d.T.).


294 356 Ad esempio, l’acqua che scorre dalle grondaie, il microclima protetto che si crea a ridosso dei muri e che si può sfruttare per l’orto, il letame animale di stalle e tettoie sono molto più difficili da utilizzare, se ogni elemento è isolato dall’altro e se il principio fondamentale resta l’accesso e il movimento dei veicoli. Questo approccio costringe le persone a prendere la macchina perfino per andare da un punto all’altro della fattoria. 357 V. il sito del Rocky Mountains Institute www. rmi.org. 358 C.d.A. 359 Nel terzo capitolo di A designers’ manual Mollison definisce la gilda «un armonioso insieme di specie raggruppate intorno a un elemento centrale (pianta o animale)». 360 Holmgren D., Prospects for rural development, in Permaculture Journal n. 17, 1984. 361 V. l’Articolo 5, A review of rural land use 1991, dei miei Collected writings. 362 C.d.A.

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363 Comunicazione personale di Bill Mollison. 364 Putnam R., Making democracy work: civic traditions in modern Italy, Princeton University Press 1993. 365 Flannery T., The future eaters, Reed Books 1994 366 Comunicazione personale. 367 Qualcosa del genere accadde in Nuova Guinea, nelle zone montuose, al tempo dei primi contatti con gli Europei. 368 V. l’Articolo 26, Tribal conflict: proven pattern, dysfunctional inheritance, nei miei Collected writings. 369 Kelly K., Out of control: the rise of neo-biological civilization, Addison-Wesley 1994. 370 LETS è l’acronimo di Local Exchange and Trading System. È un sistema di informazione e di valuta senza interessi sviluppato in Canada e reso popolare attraverso il movimento della permacultura. 371 Comunicazione personale di Venie Holmgren.

Permacultura 372 Per una breve storia delle comunità volontarie australiane e sulle prospettive personali di alcuni pionieri della recente storia di queste comunità, v. Metcalf Bill, From utopian dreaming to communal reality: co-operative lifestyles in Australia, University of New South Wales 1995. 373 Il movimento del co-housing in Danimarca e negli Stati Uniti viene analizzato in McCamant K. & Durrett C., Co-Housing: a contemporary approach to housing ourselves, Ten Speed Press 1994. 374 Strutture invisibili è un termine utilizzato nei corsi di permacultura per descrivere gli elementi organizzativi del design in permacultura, fattori che devono essere considerati sullo stesso piano di terra, piante, animali e strutture materiali. 375 In anni recenti la permacultura è entrata a far parte delle attività di insegnamento di The Farm, come anche di altri suoi settori di attività. The Farm è soprattutto nota per la sua attività di promozione e sostegno del parto in casa. V. www.thefarm.org. 376 La prima parte della storia di Tagari, quella con legami molto stretti e cassa comune, durò solo pochi anni. La sua esperienza, però, fu di insegnamento a molti per fondare altre comunità che utilizzarono le sue strategie per comprare case a prezzi bassi in città o in villaggi di campagna piccoli e relativamente isolati, con proprietà collettiva della terra e appezzamenti raggiungibili a piedi o in bicicletta. 377 V. Kanaley D., Eco-villages, a sustainable lifestyle: European comparisons for application in Byron Shire and Australia, Environmental Planning Services Byron Shire Council, June 2000. 378 V. il sito http://gen.ecovillage.org. 379 V. Mason I., The living system: modelling human communities on plant and animal communities, un documento auto-edito pubblicato su www.bluepin. net.au/sdn/ian_mason.

e furono uno dei fattori che portarono all’espulsione dalla terra, verso le nascenti città industriali, di migliaia di poveri e piccoli contadini (soprattutto perché questi ultimi non potevano sostenere le spese per recintare i loro terreni). Anche per questo motivo i contadini più ricchi poterono accorpare le loro proprietà, costituendo grandi proprietà fondiarie e dando inizio ai primi esempi di agricoltura e allevamento su ampia scala (N.d.T.). 383 Le mie idee sulla tragedia dei common nelle foreste australiane sono espresse nell’Articolo 15, Wombat forest submission (to Victorian Government Minister Coleman, 9 January 1995), dei miei Collected writings. 9. Piccolo e lento è bello 384 Nell’originale il principio “Use small and slow solutions” tradotto letteralmente suonerebbe così: “Usa soluzioni piccole e lente”. I due proverbi nell’originale sono nell’ordine “The bigger they are, the harder they fall” e “Slow and steady wins the race”, la frase finale della favola della tartaruga e della lepre così come viene raccontata in inglese (N.d.T.). 385 C.d.A. 386 La differenza dei due termini non è facile da cogliere, in italiano, ma ha a che fare più che altro con la considerazione sociale del ruolo dell’orticoltura. Nel primo caso, si potrebbe parlare di un semplice fare l’orto (e quindi di un hobby a livello individuale); nel secondo, di una forma più o meno professionale di orticoltura o meglio di agricoltura su piccola scala che sta assumendo in varie parti del mondo le caratteristiche di un vero e proprio movimento per l’autosufficienza alimentare, anche su scala di agricoltura urbana (N.d.T.). 387 V. l’Articolo 7, Gardening as agriculture, dei miei Collected writings.

380 C.d.A.

388 Non è esplicito nel testo ma la cosa è vera sotto due diversi aspetti: per la salutare attività fisica richiesta e per gli ortaggi che si producono, probabilmente meno inquinati e più freschi di quelli che si comprano (N.d.T.).

381 V. la pagina web dedicata al Fryers Forest ecovillage su www.holmgren.com.au e l’Articolo 21, Starting a community: some early lessons from Fryers Forest nei miei Collected writings.

389 Nell’originale home education. In Australia (come del resto in molte altre nazioni), i genitori possono assumersi l’onere dell’istruzione dei figli, che viene così impartita a casa dai genitori (N.d.T.).

382 Le leggi sulle recinzioni procedettero dal 1700 al 1810 alla riorganizzazione della proprietà fondiaria

390 Turnbull C., I pigmei, il popolo della foresta (Rusconi, Milano, 1979), Simon and Schuster 1962.


Note 391 Per una seria discussione e analisi dei temi legati a questa ipotesi, v. il sito dell’Institute of Meta History: www.imh.ru/main_e.htm. 392 Il tagasaste (Chamaecytisus palmensis) – o “albero dell’erba medica”, per le sue foglie, che ricordano quelle dell’erba medica – è un albero simile alla nostra robinia ma di dimensioni più contenute. È una leguminosa che arricchisce il terreno, e può essere utilizzata come legna da ardere o foraggio, molto cara per la sua adattabilità ai teorici della permacultura. È comunque pianta originaria delle Isole Canarie ed è stata introdotta in Australia a partire dagli anni ’80 del secolo scorso (N.d.T.). 393 Lefroy T., Cook J. e Peake B., Tagasaste in Australia. In: Tagasaste: proceedings of workshop review of tagasaste research in Western Australia, Centre for Legumes in Mediterranean Agriculture Occasional Publication n. 19, 1996. 394 Mumford L., La cultura delle città (Edizioni di comunità, Torino, 1999). 395 C.d.A.

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396 Newman P. & Kenworth J., Sustainability and cities: overcoming automobile dependence, Island Press 1999. 397 Fra essi il prof. Allen Rodgers, comunicazione personale. 398 Schumacher E.F., Piccolo e bello, Moizzi, Milano, 1977. 399 Ernst Friedrich Schumacher (1911-1977) visse e lavorò in Gran Bretagna per gran parte della sua vita, ma era nato in Germania. Il suo Piccolo è bello, del 1973, è uno dei 100 libri più influenti pubblicati dopo la seconda guerra mondiale. Schumacher ebbe innumerevoli incarichi ufficiali e fu una delle personalità più influenti della politica internazionale del secondo dopoguerra (N.d.T.). 400 L’organizzazione venne fondata nel 1965. V. www.itdgpublishing.org.uk. 401 Nell’Europa nord-occidentale la proporzione di riscaldamento che può essere ottenuta dal sole è del 30% (comunicazione personale di Declan Kennedy) mentre in Australia meridionale si avvicina al 100%.

402 Le nuove proposte di legge sull’efficienza energetica all’interno delle abitazioni – nello Stato di Victoria – non fanno riferimento alle dimensioni quale fattore più importante di impatto ambientale. I regolamenti attuativi esigeranno che tutte le nuove case abbiano una classificazione al massimo di cinque stelle, utilizzando un software chiamato FirstRate in grado di calcolare e prevedere l’utilizzo di energia per riscaldamento e raffrescamento per metro quadro di spazio abitativo occupato, senza però prendere in considerazione l’uso di energia totale o per persona. 403 Background Briefing, ABC Radio National, Maggio 1999.

295 411 Per ulteriori dettagli su questo e altri esempi di specie forestali dimenticate e riscoperte, v. Holmgren D., Trees on the treeless plains: revegetation manual for the volcanic landscapes of Central Victoria. 412 Il tasso medio di crescita annua delle buone piantagioni di Pinus radiata nel corso di 25 anni raggiunge i 20 metri cubi per ettaro. La cifra di 44 metri cubi per ettaro è così alta da eguagliare le misure record degli eucalipti da carta delle zone subtropicali dopo 15 anni dalla piantagione. 413 Comunicazione personale di Vern Howell. 414 Comunicazione personale di Gokula Dasa.

404 Ricardo Semler, in Maverick (1995), ha descritto i cambiamenti rivoluzionari da lui imposti alla Semco, una delle maggiori aziende del Brasile.

415 V. American Academy of Paediatrics, The use and misuse of fruit juice in paediatrics, www.aap. org/policy/re0047.html.

405 Il caso di Ricardo Semler, qui solo accennato da Holmgren, meriterebbe di essere approfondito dal lettore italiano. Semler (nato a San Paolo nel 1959) è un imprenditore del tutto atipico che ha fatto discutere di sé l’intero mondo dell’economia a livello mondiale, prospettando e mettendo in pratica metodi di amministrazione (la cosiddetta democrazia industriale) che hanno decisamente poco di convenzionale. Altri accenni a Semler sono contenuti nell’ultimo capitolo (N.d.T.).

416 Vedi Petrini C. (a cura di), La leggenda del buon cibo italiano (Daniela Piazza, Torino, 2006).

406 C.d.A. 407 La favola è del grande scrittore greco Esopo. La tartaruga sfida la lepre a una gara di corsa. La lepre, convinta di avere la vittoria in tasca, fa un riposino lungo la strada e quando si sveglia, si accorge che la tartaruga ha vinto (N.d.T.). 408 Ciò fu fatto durante la seconda guerra mondiale in Tasmania (comunicazione personale di Bill Mollison). La coltura si adatta facilmente anche ai fondovalle ad alta piovosità e stagionalmente umidi dell’Australia meridionale. 409 V. il sito del Land Institute del Kansas, www. landinstitute.org. 410 Uno studio recente svolto dalla Organic Retailers and Growers Association di Victoria su ortaggi provenienti da un unico coltivatore biologico ha evidenziato un contenuto di nutrienti dieci volte più alto rispetto ad analoghi ortaggi provenienti dal mercato convenzionale.

417 Comunicazione personale di Steven Bright, consulente aziendale. 418 Per un’analisi di come le tecnologie mediatiche danneggiano le capacità culturali umane, v. l’Articolo 24, Do media technology scramble young minds?, dei miei Collected writings. Per una valutazione realistica del valore di Internet, vedasi Mander J., Internet: The illusion of empowerment, in 30th Anniversary Whole Earth Catalog 1998. 419 Si tratta di un gioco di parole tra leading edge – che sta per avanguardia – e bleeding edge – che fa rima, ma significa la parte che sanguina (N.d.T.). 420 Letteralmente, la corrente principale, la massa, il sistema, i benpensanti, il modo maggioritario in un certo momento di percepire un dato problema o di affrontare una questione (N.d.T.). 10. Usa e valorizza la diversità 421 Nell’originale “Don’t put all your eggs in the same basket” (N.d.T.). 422 Letteralmente becco ad aculeo, uccello (genere Acanthorhynchus) di piccole dimensioni tipico dell’Australia. Si nutre, come il colibrì, di nettare (N.d.T.). 423 La policoltura può essere definita come la coltivazione di molte specie e varietà vegetali e animali all’interno di un sistema integrato.


296 424 C.d.A. 425 Aldo Leopold (1887-1948) fu uno dei primi attivisti conservazionisti negli USA a battersi per l’istituzione di aree protette. La sua opera più importante, Sand County almanac, fu pubblicata subito dopo la sua morte ed ebbe un immediato riscontro di pubblico (N.d.T.). 426 Sono le foreste dominate dall’Eucalyptus regnans e da altri alberi con foglie coriacee (sclerofille), ma con un sottobosco di piante a foglie tenere, legate alla presenza di umidità, fra cui molte specie caratteristiche anche delle foreste pluviali. 427 Alla fine degli anni ’70 ho vissuto per un certo periodo in queste foreste, a Jackys Marsh, e mi è accaduto, a volte, in terreni argillosi, di vedere dei giovani eucalipti crescere proprio dentro il massiccio sistema radicale di un gigante della foresta caduto, prendendo il posto del gigante morto. 428 A meno che gli individui non derivino da riproduzione clonale, come quella che si ha quando si mettono a dimora i polloni di uno stesso albero, che sono geneticamente identici.

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429 Diversità, varietà, variabilità, nell’originale sono tutti indicati con un unico termine: diversity (N.d.T.). 430 In alcuni luoghi esistevano colture più estese di alcune piante fondamentali, ma più le estensioni erano grandi e più diventava difficile debellare le piante infestanti. Le stesse infestanti rappresentavano una grande diversità biologica, e se da un lato riducevano il raccolto, dall’altro avrebbero potuto aiutare a prevenire il diffondersi di insetti nocivi e malattie poiché avrebbero permesso lo sviluppo di predatori degli insetti e di altri parassiti, interferendo così con la diffusione degli insetti nocivi e delle malattie da pianta a pianta. 431 Furono invece le popolazioni locali e i loro ecosistemi ad afferrare le differenze. Ad esempio, i cereali introdotti dalla rivoluzione verde richiedevano quantità più elevate di fertilizzanti e pesticidi, ma al contempo producevano meno paglia con la conseguenza di ridurre un alimento base degli animali di fattoria e dei vermi del suolo. Su questi aspetti – e sugli effetti della rivoluzione verde soprattutto sull’agricoltura indiana – v. i libri di Vandana Shiva, soprattutto Monocultures of the mind. 432 La Rivoluzione Verde portò enormi profitti alle multinazionali e al capitalismo di mercato. Il fatto

Permacultura che oggi siamo arrivati a parlare di colture geneticamente modificate significa che l’umanità non ha affatto imparato la lezione. 433 V. Blazey C., The Australian vegetable garden book, 2000 (sperimentazioni effettuate da Diggers’ Seeds). 434 Il riferimento è, nell’allevamento animale, alla forma o alla caratteristica che visivamente costituisce i tratti salienti della purezza della razza. 435 Comunicazione personale di Phil Larwill (veterinario attivo in progetti di sviluppo in Messico). 436 Sia il Blue Heeler che il Kelpie sono razze tipiche australiane. La minaccia deriva dal fatto che questi bellissimi cani vengono poi selezionati più per la loro bella presenza in film ed esposizioni che per le mansioni che sanno effettivamente svolgere (N.d.T.). 437 Sampat P., Last words, World Watch Institute Report, giugno 2001. 438 V. l’Articolo 7, Gardening as agriculture, dei miei Collected writings. 439 Se analizziamo la dieta moderna tipica, non quella di un ristorantino biologico, scopriamo che poche specie vegetali e animali forniscono il 90% del contenuto di prodotti alimentari altamente elaborati, sofisticati e decisamente poco salutari. Il 10% che rimane rappresenta il totale di biodiversità consentito all’uomo moderno, giusto per guarnire il piatto di tanto in tanto. 440 Uno straordinario modello di sviluppo sostenibile su scala nazionale è riportato nell’antologia di Project Censored 2001 (v. www.projectcensored. org). [Project Censored è un’agenzia di informazione indipendente statunitense (N.d.T.)]. 441 Questi dettagli relativi al design pratico di aiuole e orti sono trattati in modo molto più esauriente nei testi di permacultura di Mollison (N.d.T.). 442 Comunicazione personale di Phil Rowe. 443 C.d.A. 444 È un tema ricorrente, in questo libro, come è ricorrente il tema della foresta. Per rivegetazione si intendono tutti quei fenomeni connessi alla ricrescita delle foreste, dopo un taglio raso, un incendio, una propagazione spontanea, o la diffusione – per

trapianto o altre operazioni – di materiale vegetale direttamente controllata dall’uomo (N.d.T.). 445 V. il mio Trees on the treeless plains: revegetation manual for the volcanic landscapes of Central Victoria. 446 Qui e altrove, il termine esotico significa proveniente dall’esterno di un dato ambiente (N.d.T.). 447 V. www.users.bigpond.com/brookman. 448 Poiché la carne di bettong non è commercializzabile (se non esportando l’animale vivo in altre oasi naturalistiche), le oche rimangono il prodotto principale della tenuta. 449 Il prof. Ian Lowe ne ha parlato su Ockam’s Razor, trasmissione di ABC Radio National, 24 giugno 2001. 450 V. il mio scritto Permaculture movement and education: searching for ways forward, in: Permaculture and Landcarers (in seguito Green Connections), Vol. 3, primavera 1995. 451 Su questo tema, v. Hawken P., The next economy, Henry Holt & Co., 1983. 452 Per autorità naturale intendo il riconoscimento, all’interno di una comunità, delle particolari capacità/abilità di un individuo in alcuni campi, cosa che potrebbe giustificare il fatto che l’opinione di queste persone abbia un peso maggiore in quel determinato campo. Questo tipo di autorità naturale si guadagna con il tempo e non dipende necessariamente da una posizione o da una qualifica formale. 453 C.d.A. 454 Il multiculturalismo è positivo se contribuisce alla convivenza delle culture etnicamente differenti. Questa forma di ibridazione è un valore positivo perché produce vigore relazionale e nuove comunità legate al territorio, non all’identità di origine. (N.d.T.). 455 Ricordiamo che per lunghi anni il potere coloniale bianco in Australia è arrivato al punto di togliere i figli in tenera età agli aborigeni (la cosiddetta generazione rubata), nella speranza di poterli plasmare secondo moduli culturali europei, allontanandoli definitivamente dalle loro origini etnico-culturali (N.d.T.). 456 C.d.A.


Note 11. Usa e valorizza il margine 457 Nell’originale Don’t think you are on the right track just because it is a well beaten path (N.d.T.). 458 Nell’originale edge, che significa anche bordo, orlo e, per estensione, la periferia, la zona di confine tra un sistema e l’altro, tra un organismo e l’altro. Nella storia, le zone di confine sono sempre state quelle del rimescolamento dei caratteri e quindi del rinnovamento e della trasformazione. Molti sistemi si rinnovano a partire dai margini, non dal centro (N.d.T.). 459 Ne parlo più estesamente nel mio Permaculture in the bush.

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460 C.d.A. 461 Per rendere più evidente e chiara la rappresentazione grafica potremmo dire, ad esempio, che il sistema di vita, il sistema spirituale e culturale sono il risultato dell’interazione tra sfera delle persone, sfera della società e sfera delle risorse. Queste ultime tre sfere sono il risultato dell’interazione tra sfera elemento/specie, sfera relativa alle fonti energetiche e sfera degli ecosistemi. Questo intersecarsi multiplo di influenze e relazioni reciproche difficilmente può essere espresso in maniera più sintetica di un diagramma. L’immagine è qui infinitamente più concisa e chiara delle parole utilizzate per descriverla. Questo tipo di diagramma è anche un classico esempio di pensiero sistemico: lungi dal concentrarsi su un singolo elemento, tende a procedere per relazioni e reti di relazioni (N.d.T.). 462 Indicatore principale è un termine utilizzato dagli economisti per descrivere un parametro osservabile e spesso misurabile (ad esempio, i tassi di interesse), che tende a prevedere l’andamento generale dell’attività economica e che, di conseguenza, può contribuire a prevedere particolari eventi. La natura dinamica di questo concetto potrebbe renderlo applicabile nella progettazione e nella gestione sostenibile di un territorio, al fine di potenziare il concetto di indicatore biologico. Quest’ultimo concetto tende a misurare la salute di un ecosistema tramite la presenza o l’assenza di una specie particolare.

gestori del territorio. La common law britannica, però, riconosceva come legali i diritti dei popoli nativi. Il verdetto del 1992 segnò una data storica perché rovesciò questa dottrina nella legge australiana. Tale rivoluzione legale ha un parallelo ecologico: l’opinione consolidata che considera gli ecosistemi australiani essenzialmente selvaggi e naturali viene sostituita dal riconoscimento di una cultura con basi molto solide che ha plasmato il territorio australiano e attraversa praticamente tutti gli ecosistemi indigeni australiani. 465 Il territorio di cui parla l’Autore è quello intorno a Perth. La Darling Range è lunga circa 200 chilometri e le colline che la formano raggiungono al massimo i trecento metri (N.d.T.).

297 siepi e barriere frangivento, v. Soltner D., L’arbre et la haie, 10a edizione, Collection Sciences et Techniques Agricoles 1955 (in francese). 472 È il caso del boom registrato negli ultimi anni in Australia di estese piantagioni di Eucalyptus globulus per ricavarne pasta di legno per l’industria della carta. Questo boom speculativo ha preso talmente piede da sostituire, in molti casi, tre generazioni di famiglie dedite all’allevamento di bovini da latte tenuti al pascolo, distruggendo l’assetto agrario di intere regioni, comprese fattorie e colture tradizionali. Questo fenomeno ha fatto sì che la coltivazione di alberi non abbia oggi una reputazione molto positiva.

466 Per esplorare ulteriormente il tema della gestione indigena della terra, v. l’Articolo 4, Aboriginal land use, dei miei Collected writings. La citazione riportata dal diario di Dale è tratta da: Hallem S., Fire and Hearth, Aboriginal Studies Institute Canberra, una eccellente analisi delle prove storiche dell’utilizzo del fuoco da parte degli aborigeni nel Western Australia.

473 Fra questi sistemi bisogna ricordare quello sviluppato dal permaculture designer Kim Kingdon in collaborazione col cerealicoltore Anthony Sheldon nel Victorian Mallee. Si tratta del cosiddetto alley farming, una forma di agricoltura a viali alberati in cui tra una fascia di alberi e l’altra, vengono impiantate delle colture convenzionali, come cereali e simili, in un tipo di suolo piatto costituito soprattutto da sabbia (v. la sezione Future Harvest sul sito del Museum of Victoria: www.mov.vic.gov.au/FutureHarvest).

467 Paesaggio culturale significa che è frutto dell’interazione tra le attività umane – così come si sono evolute nella storia – e l’evoluzione naturale (N.d.T.).

474 Nel 1983, in Nuova Zelanda fece scalpore l’alta somma (30.000$ a chilometro) ricavata dal taglio di una barriera frangivento (potatura alta) di Pinus radiata nei terreni di un allevamento di bovini da latte.

468 C.d.A.

475 V. Yeomans P.A., The challenge of landscape, Keyline Publishing 1958.

469 V. Newman P. & Kenworth J., Sustainability and cities: overcoming automobile dependance, Island Press 1999.

463 C.d.A.

470 Variamente denominata e dimensionata, la keyhole (buco di serratura) ha una parte centrale, da cui si diramano, per lo più in forma di cerchio o di ferro di cavallo, le varie aiuole. In molti casi le aiuole sono rialzate in modo da evitare la fatica di dover piegare la schiena. Il problema delle piante infestanti viene risolto all’origine, coprendo il terreno con un denso strato di materiale vario (è molto usato il cartone), che soffoca la vegetazione spontanea. Sullo strato di base vengono posti paglia, pacciame e compost, fino a comporre un terreno di coltura ottimale sia per la coltivazione che per la vita degli organismi del suolo (N.d.T.).

464 Il concetto di Terra nullius era una dottrina di tipo giuridico, che le autorità coloniali usarono per aggirare l’evidenza del tutto incontestabile della presenza degli aborigeni come utilizzatori e

471 V. il capitolo dedicato al design e alla realizzazione di barriere frangivento nel mio Trees on the treeless plains. Per esplorare ulteriormente il tema delle funzioni, del design e della manutenzione di

476 La Zona 1 è quella immediatamente circostante la casa (N.d.T.). 477 V. Up in smoke: what is killing the wildlife of the Top End?, The Age (Melbourne), 30 Settembre 2000. 478 Sono i frutti del faggio, commestibili e ricchi di olio (N.d.T.). 479 Ai soldati americani che risalivano la penisola italiana nel 1943 venivano distribuite sigarette e cioccolato in abbondanza, che dovevano servire, secondo le autorità americane, a conquistare la benevolenza delle popolazioni locali. 480 Giannozzo Pucci è molto noto nell’ambiente dell’agricoltura biologica italiana, soprattutto toscana, anche come animatore culturale ed editore. Fu Pucci, infatti, a curare la prima edizione di Permaculture One in italiano per la casa editrice Quaderni d’Ontignano (N.d.T.).


298 481 Jacobs J., Vita e morte delle grandi città (Edizioni di Comunità, Torino, 1999). 482 C.d.A. 483 Mumford L., La cultura delle città (Edizioni di Comunità, Torino, 1999) è il testo che fornisce l’introduzione migliore all’argomento. 484 L’Africa, ad esempio, dai pezzi grossi dell’economia viene considerata un’entità insignificante, di cui si può fare tranquillamente a meno, senza che l’economia globale ne risenta. 485 Questa regione è stata inserita nella lista del World Heritage dell’Unesco; agli inizi degli anni ’80 fu al centro di una battaglia ambientalista che concerneva il fiume Franklin.

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486 In Australia, bushman è chi vive in regioni selvagge, l’equivalente (almeno in parte) del pioniere del selvaggio West negli USA. In Australia, in Nuova Zelanda e in molte zone dell’Africa per bush (letteralmente, cespuglio) si intende una vasta zona selvaggia, in cui l’uomo (soprattutto l’europeo o il bianco) è ancora un intruso e in cui è pericoloso avventurarsi (N.d.T.). 487 La Tasmania è ancora oggi un territorio largamente poco abitato. È grande circa tre volte il Piemonte e ha meno di mezzo milione di abitanti. Venne anch’essa utilizzata come colonia penale dai colonizzatori britannici. La Nuova Zelanda ha poco più di 3 milioni e mezzo di abitanti, l’Australia appena 18 milioni. 488 Per esplorare ulteriormente questo importante aspetto v. il mio The counterculture as dynamic margin in Collected writings. 12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo 489 V. Berry W., The unsettling of America: culture and agriculture. 490 Nell’originale Vision is not seeing things as they are but as they will be (N.d.T.). 491 Ralston-Saul J., The unconscious civilisation. 492 V. Bright S., The line ahead, Catalyst Communication Consultants 1996. ���������������������� È una serie di racconti – risultato di un progetto di consulenza – che trattano del possible futuro di Queensland Rail nei prossimi 50 anni.

Permacultura 493 Al proposito v. Semler R., Maverick, 1995. 494 C.d.A. 495 Questa è una parafrasi dal video di Bill Mollison, The permaculture concept: in grave danger of falling food. 496 Per approfondire questa ipotesi. v. l’Articolo 6, Historical precedents for permaculture, dei miei Collected writings. 497 Il concetto di base è tratto da un’idea dell’architetto britannico Frank Duffy. 498 Il concetto di composizione floristica iniziale (initial floristic composition) fu proposto nel 1954 da F.E. Egler (1911-1996), studioso di botanica ed ecologista (N.d.T.). 499 Per rigenerazione – o, in altri contesti, rivegetazione (o ancora rigetto, ricaccio) – l’Autore intende quella che avviene spontaneamente dopo il taglio di un bosco o dopo un incendio (N.d.T.).

506 In inglese pulsing ecosystems. Anche questo concetto deriva dalle teorie di H. T. Odum (in collaborazione con il fratello Eugene e col figlio di Eugene William), che vennero esposte nel libro Nature’s pulsing paradigm. I modelli pulsanti, secondo gli Odum, sono ecosistemi posti al margine tra ordine e caos, frutto della prevedibilità e della imprevedibilità della natura. Tipici esempi di ecosistemi pulsanti sono le paludi costiere sottoposte all’azione delle maree. L’accento posto sui modelli pulsanti nel contesto della permacultura – in parziale contrasto con, o a completamento dei, concetti di gradualità e stabilità prevalenti in precedenti testi sulla permacultura – è una delle principali novità di questo libro di Holmgren (N.d.T.). 507 L’estensione di un canale d’erosione viaggia dal basso verso l’alto, rispetto al corso del torrente, partendo da un taglio nel percorso del canale in cui l’acqua cadendo in verticale mina la stabilità del suolo portando al cedimento di masse di terra. 508 La teoria del caos è alla base del concetto di ecosistema pulsante (N.d.T.).

500 V. l’Articolo 3, An eclectic approach to the skills of reading landscape and their application to permaculture consultancy e l’Article 9, Whole-farm and landscape planning, dei miei Collected writings.

509 Esposta da Neil Turok, docente di fisica matematica alla Cambridge University, in una intervista telefonica sul programma AM della ABC Radio National, 26 aprile 2002.

501 Il piano di intervento è spiegato in Wilson M. & Holmgren D., Collingwood Childrens’s Farm property management plan consultation, aprile 1996.

510 V. Jackson W., Ecological drift. Contenuto in: The South West Book, Australian Conservation Foundation 1978.

502 C.d.A.

511 Secondo i principi di Albrecht, illustrati nel Principio 2, il rapporto tra calcio e potassio è il fattore cruciale nel determinare la qualità della biomassa vegetale e il pacciame che ne risulta. Più è alto il rapporto tra calcio e potassio, più è tenera e ricca di azoto la vegetazione e il risultato è che la decomposizione sarà più rapida e basso il rischio d’incendi. Più il rapporto è basso, più le piante saranno dure e fibrose e poco gradite agli erbivori. Ciò avrà come risultato l’accumulo di massa combustibile. Non sono a conoscenza di studi sull’ecologia degli incendi che includano misurazioni dei livelli di calcio; non parliamo poi del rapporto calcio-potassio. L’agronomia come scienza non può vantare grandi record nel mantenere la salute dei terreni agricoli, e non parliamo degli ecosistemi naturali. È sorprendente, perfino sconvolgente, che la maggior parte degli ecologisti sembri accettare le conoscenze dell’agronomia convenzionale come fondamento della programmazione di studi per monitorare gli ecosistemi.

503 V. l’Articolo 13, Development aid for the industrialised North: turning an idea on its head, or the problem is the solution, nei miei Collected writings. 504 In inglese periodic disturbance. In realtà, più che di disturbi, si tratta di traumi o, meglio ancora, di catastrofi. Per questo i modelli pulsanti sono molto indagati anche dalla teoria delle catastrofi (N.d.T.). 505 Lo studio delle infestazioni generalizzate di insetti a livello di foresta indica che la defoliazione di interi alberi può trasformarsi in una fase di riciclo di sostanze nutritive. La morte di alcuni alberi può anche servire a eliminare gli elementi più deboli o a diradare la foresta. V. i riferimenti bibliografici di Ludwig et al. 1978, contenuti in Odum H.T., Living with complexity, Crafoord Prize in the Biosciences, Royal Swedish Academy of Science 1987.


Note 512 Savory A., Holistic resource management, Island Press 1988.

524 È il passaggio da una classe sociale più bassa a una più alta (N.d.T.).

513 È utile, qui, sottolineare la rilevanza dell’allevamento di ovini tenuti al pascolo brado nell’economia australiana (N.d.T.).

525 Il fenomeno avviene non raramente per il basso costo degli affitti o, ancora, perché è possibile occupare case o locali senza pagare alcunché. Questo è il caso degli squatters, tipico di molte grandi città inglesi e non, diffuso anche in Italia (N.d.T.).

514 Sull’argomento, uno studio ormai classico fatto nei primi anni ’60, prima che il contatto con la società industriale potesse cambiare i sistemi agricoli e sociali, è quello di Rappaport R.A., The flow of energy in an agricultural society, contenuto in: Biology and culture in modern perspective: readings from Scientific America, Q.H. Freeman & Co. 1972. 515 Il processo non è tanto dovuto all’aumento della popolazione indigena che tradizionalmente usa il taglia e brucia, quanto alla deforestazione su scala industriale e ai progetti di sviluppo agricolo di tipo convenzionale sostenuti da governo e multinazionali.

527 Il marchio Greenpeace è stata valutato oltre 410 milioni di dollari a livello globale (The Economist, 1998; citato da Beder S., Global Spin, Scribe Publications 2000). 528 V. la sezione precedente Un modello di mutamento di un ecosistema in quattro fasi (N.d.T.).

516 C.d.A.

529 C.d.A.

517 È l’Articolo 1 dei miei Collected writings.

530 Richard Goldschmit, un genetista, fu il primo a dimostrare che il gradualismo non poteva essere una spiegazione plausibile del cambiamento evolutivo. Le sue idee, al tempo derise, vennero riprese negli anni ’70 da Steven Jay Gould.

518 Si tratta dell’Agrostis stolonifera che nel nostro clima riesce a prosperare sia in estate che in inverno.

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526 È il prototipo del campagnolo che va a Londra (e quindi nella grande città) in cerca di fortuna, protagonista di una storia molto popolare in Inghilterra (N.d.T.).

519 Nella nostra zona, gli orti pacciamati si trasformano regolarmente in foreste di prugnoli con frammisti altri alberi dominanti, a meno che non si provveda a un regolare lavoro di pulizia. 520 È l’Articolo 8 dei miei Collected writings. 521 V. Holling C.S., The renewal, growth, birth and death of ecological communities, Whole Earth Review (estate 1998). Holling è uno dei pionieri di questo nuovo modello di ecosistema in mutamento e di una sua più ampia applicazione a istituzioni umane e cambiamenti sociali.

531 V. Kelly K., Post darwinian evolution, Whole Earth Review n. 76 (Fall 1992). 532 Ironicamente, alcuni studi sulla mosca della frutta che hanno evidenziato nuove caratteristiche attribuite a un virus simbiotico, non sono considerati evolutivi in base alla teoria neodarwiniana. 533 V. l’articolo Recent revelation about bacteria’s evolution could affect thinking on how higher organisms evolved, in University Times (giornale interno dell’Università di Pittsburgh), 8 giugno 2000. www.pitt.edu/utimes/issues/32/000608/12.html.

522 Un esempio è dato dalle forti piogge e dalle alluvioni successive agli incendi del 1983 nello Stato di Victoria, che causarono il dilavamento di enormi quantitativi di minerali (sotto forma di ceneri) da intere regioni.

534 Le prove geomorfologiche più recenti indicano che la Nuova Zelanda venti milioni di anni fa era completamente coperta dal mare. Di conseguenza sia la flora che la fauna della Nuova Zelanda vi giunsero dopo aver attraversato l’oceano.

523 Su questo argomento degli insediamenti rurali si possono leggere l’Articolo 5, Submission in response to a review of rural land use in Victoria e l’Articolo 27, The counterculture as dynamic margin, dei miei Collected writings.

535 V. Holmes B., Day of the sparrow, New Scientist (giugno 1998). 536 Comunicazione personale di Kale Sniderman.

299 537 Una eccellente analisi dei fondamenti ecologici dell’espansione europea e del ruolo svolto da infestanti e parassiti nel rendere stabili i territori degradati dallo sfruttamento degli europei è contenuta in Crosby A.W., Ecological imperialism: european expansion 900 to 1900, Cambridge University Press 1986. 538 V. Low T., Feral future, Penguin Books 1999. Low analizza il livello in cui organismi esotici si spostano in giro per il mondo cambiando gli ecosistemi. I dati sono precisi, le osservazioni originali e gli aneddoti eccellenti, ma le fosche prospettive sulle conseguenze e le conclusioni che ne derivano, rivelano una comprensione poco sistemica delle interconnessioni. 539 Anche il concetto di ecosintesi rappresenta, da parte di Holmgren, una innovazione – quasi un’eresia vista l’enfasi data normalmente alle specie autoctone – nel contesto della pratica e della teoria della permacultura. Tale concetto viene esemplificato nei weedscape del paesaggio urbano della sezione che segue (N.d.T.). 540 Si tratta dell’Articolo 2 dei miei Collected writings. 541����������������������������������������������� Sull’esperimento ho scritto, insieme a P. Morgan, The Yarra floodplain: the study of an urban ecosystem, Environment Studies Association of Victoria 1982. 542 Una varietà della comune erba miseria, che si coltiva anche in appartamento (N.d.T.). 543 L’area più pregiata era la riserva di Wilson. 544 Nel testo Melliodora illustro alcune brevi descrizioni della strategia e delle specie utilizzate in questo progetto. 545 È utile sottolineare che alcune delle piante elencate, in particolare i salici, non hanno nulla a che vedere con la flora autoctona dell’Australia. Più o meno esplicitamente, in quest’ultimo capitolo, Holmgren sostiene che il fatto che i salici e altre piante di provenienza europea si siano naturalizzati in Australia, diventando parte della flora locale (è appunto questa l’ecosintesi), significa che non ha senso – o piuttosto è come combattere contro i mulini a vento – insistere per preservare la purezza della flora indigena e dare a questi tentativi una parvenza di ecologismo, e di difesa dell’ambiente o farne dei punti fermi della permacultura. A maggior ragione quando – come nel caso dei salici – la


300 loro avvenuta integrazione nell’ecosistema apporta indubbi benefici per quanto concerne l’economia delle sostanze nutritive (N.d.T.). 546 Wilson M., Post gold rush stream regeneration: implications for managing exotic and native vegetation, Centre for Environmental Management, University of Ballarat (presentato alla seconda conferenza dell’Australian Stream Management nel febbraio del 1999). 547 Sniderman J.M. (Kale), Successional dynamics in a mixed native/introduced riparian forest in Central Victoria, University of Ballarat 1998. 548 Sto preparando un nuovo libro dal titolo Infestanti o natura selvaggia? (Weeds or wild nature?) in cui cerco di mettere in discussione l’opinione tradizionale su piante e animali naturalizzati. 549 L’Analogue Forestry è un tipo di silvicoltura che in rimboschimenti e progetti di analoga natura – a fini commerciali e non – cerca di imitare i processi visti e studiati all’opera in natura (N.d.T.). 550 È l’articolo 24 dei miei Collected writings.

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551 Questo termine va inteso come sinonimo di protezione della biodiversità (N.d.T.). 552 C.d.A.

Permacultura 553 V. Hive mind di Kevin Kelly in Whole Earth Review n. 82, 1994. La rivista Whole Earth Review negli ultimi venti anni è riuscita a prevedere molti fenomeni emergenti della information technology, soprattutto nel periodo in cui fu diretta da Kevin Kelly (fine anni ’80). 554 Rifkin J., Entropia (Baldini Castoldi, Milano, 2000). 555 Illich I., Gender, Pantheon 1982. 556 Illich utilizza questo termine per descrivere la relazione tra generi nelle società preindustriali, in cui uomini e donne avevano stili di vita quotidiana e ruoli diversi ma complementari, che non potevano mai essere pienamente comprese o controllate dall’una o dall’altra parte. 557 La speciazione è il formarsi di nuove specie da quelle preesistenti: l’opposto dell’estinzione (N.d.T.). 558 Quando pesanti nevicate si accumulano senza che l’estate riesca a scioglierle, nelle latitudini settentrionali intere regioni si spopolano di tutte le forme di vita. In tal modo un inverno rigido scatena un’era glaciale. 559 L’idea è stata suggerita da Rhys Jones nella trasmissione radio The Science Show di ABC

Radio National (4 novembre 2000) per sensibilizzare il pubblico in merito al riscaldamento globale. 560 V. Lawlor R., Voices of the first day: awakening in the Aboriginal Dreamtime, Inner Traditions 1991. 561 C.d.A. Aggiunto dopo l’11 settembre 2001 562 Queste prove sono state messe a disposizione di tutti su Internet da ricercatori e attivisti come Mike Rupert (www.copvcia.com), Jared Israel (http://emperorsclothes.com/index.html) e Michel Chossudovsky. 563 L’intervista su Radio National è del 27 maggio 2002. 564 V. Beder S., Global spin: the corporate assault on environmentalism. 565 In inglese culture jamming: mettere in crisi i meccanismi della comunicazione commerciale (la pubblicità e in generale la promozione) utilizzando gli stessi metodi del marketing convenzionale, ma con contenuti e finalità opposte (ad esempio, le campagne di massa per disertare i supermercati (buy nothing day) in giorni stabiliti a livello internazionale (N.d.T.).


Bibliografia scelta Alexander C. et al., A pattern language: towns, buildings, construction, Oxford University Press 1977. È un testo ormai classico di riferimento per i progettisti permaculturali per realizzare progetti che vanno dall’interno di edifici a intere comunità e regioni. Beder S., Global spin: the corporate assault on environmentalism, Scribe Publications 2000. ����� Documenta i metodi utilizzati da grandi aziende e multinazionali per contrastare e indebolire l’attivismo ambientalista.

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Berry W., Culture and agriculture: the unsettling of America, Sierra Club Books 1977. ��������������� Una difesa molto articolata del ruolo svolto dalle piccole aziende agricole come fondamento, fra l’altro, del moderno movimento ambientalista; il ruolo distruttivo esercitato dall’agricoltura industriale moderna sostenuta da corporation e governi. Campbell C., The coming oil crisis, Multi-Science Publishing 1977. Uno dei testi più autorevoli sul fenomeno del picco energetico globale e le sue conseguenze. V. anche www.hubbertpeak.com. Crosby A.W., Imperialismo ecologico, l’espansione biologica dell’Europa 900-1900 (Laterza, Roma, 1988). Un’eccellente analisi dei fondamenti ecologici del successo della colonizzazione europea negli altri continenti e il ruolo svolto da infestanti e parassiti nello stabilizzare i paesaggi trasformati dallo sfruttamento europeo. Flannery T., The future eaters, Reed Books 1994. Un panorama paleoecologico della natura e dei limiti dell’ambiente australiano. La descrizione che Flannery fa del processo e dei risultati dello sfruttamento umano di nuove risorse può servire a capire meglio il picco dei combustibili fossili. Fukuoka M., The one straw revolution, Rodale Press 1994. ���������������������������������������������� È il testo base del padre dell’agricoltura naturale giapponese [È un testo noto anche Italia col titolo La rivoluzione del filo di paglia (N.d.T.)], pubblicato nello stesso anno di Permaculture One.

Furuno T., The power of duck: integrated rice and duck farming, Tagari 2001. È l’eccellente documentazione di uno dei sistemi integrati (coltivazione di riso e allevamento di anatre) più produttivi del sud-est asiatico. Gall J., General systematics, Harper & Row 1977. Una guida accessibile alla teoria dei sistemi. Hall C. (a cura di ), Quantifying sustainable development: the future of tropical economies, Academic Press 2000. Un’analisi con case studies di come la contabilità ambientale viene applicata a progetti di sviluppo nel Terzo Mondo. Hawkin P., Lovins A. e Lovins H., Capitalismo naturale, op. cit. ��������������������������������� Gli argomenti e le prove a sostegno di un nuovo modello di sviluppo industriale basato sui principi del natural design. Holmgren D., Melliodora (Hepburn Permaculture Gardens): ten years of sustainable living, Holmgren Design Services 1996. ������������������������������������ Documenta la progettazione e lo sviluppo della nostra piccola fattoria nel central Victoria. Holmgren D., Collected writings 1978-2000 (CD), Holmgren Design Services 2002. Articoli su vari argomenti che illustrano e approfondiscono temi trattati in questo stesso libro. Disponibile anche in formato leggibile sullo schermo su www.holmgren.com.au. Jackson W., New roots for agriculture, University of Nebraska Press 1980. ������������������������������ Tratta dell’utilizzo dell’ecosistema prateria come modello per sviluppare la coltura di cereali come elemento principale di una agricoltura sostenibile. Informazioni più recenti sull’argomento si possono avere su www. landinstitute.org. Levins R. & Lewontin R., The dialectical biologist, Harvard University Press 1985.����������������� Un’utile introduzione alla dialettica marxista applicata a molti temi direttamente connessi alla permacultura. Lovelock J., Le Nuove età di Gaia. Un’analisi delle dinamiche del pianeta Terra visto come sistema

che si autoregola, scritto da uno dei due co-ideatori dell’ipotesi Gaia. Low T., Feral future, Penguin Books 1999. Un’analisi leggibile della diffusione di forme di vita esotiche in Australia e nel resto del mondo. Le tetre prospettive di Low rivelano una scarsa comprensione delle dinamiche sistemiche, anche se l’autore fornisce abbondanti prove che giustificano una visione più equilibrata. McCamant K. & Durrett C., Co-housing: a contemporary approach to housing ourselves, Ten Speed Press 1994. Un’analisi del fenomeno del co-housing Danimarca e del modo in cui viene applicato lo stesso principio negli Stati Uniti. Mollison B. & Holmgren D., Permaculture One, Corgi 1973 (tradotto in 5 lingue). Segna l’inizio della permacultura e ne fa un quadro essenziale. Mollison B., Permaculture: a designers’ manual, Tagari 1988. È il libro di Mollison più completo sui concetti di base e sui principi di progettazione della permacultura. Contiene un apparato grafico molto esteso, a opera di Andrew Jeeves. È il libro di testo maggiormente utilizzato nei corsi di permacultura. Newman P. & Kensworth J., Sustainability and cities: overcoming automobile dependence, Island Press 1999. ������������������������������������������� Un’analisi completa della natura disfunzionale dei trasporti urbani, con esempi di illuminate soluzioni al problema dello sviluppo urbano. Odum H.T., Environmental accounting: EMERGY and environmental decision making, Wiley 1996. Il libro spiega in modo esauriente cos’è la EMERGY e quali sono i metodi per applicarla. Odum H.T. & Odum E.C., A prosperous way down: principles and policies, Wiley 2001. È la spiegazione, alla portata del lettore medio, dei concetti e delle prospettive della transizione energetica a una nuova economia, cultura e società. È l’aggiornamento del precedente testo del 1979 Energy basis for man and nature (McGraw-Hill).


302 Kropotkin P., Mutual aid, Heinemann 1902. ���� Kropotkin è un anarchico naturalista russo; scrisse questo libro in reazione al darwinismo sociale. Ralston-Saul J., I bastardi di Voltaire, op. cit. ������� Un’originale storia integrata degli errori concettuali che stanno alla base della nostra civiltà; una prospettiva alternativa alla ormai defunta cornice prospettica destra-sinistra. Anche se la crisi ambientale non è il tema centrale di Ralston-Saul, l’autore fornisce le chiavi teoriche per considerare l’Illuminismo come il seme teorico di questa crisi.

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Savory A., Holistic resource management, Island Press 1988. �������������������������������������������� I principi concettuali per una nuova agropastorizia che utilizzi criteri ecologici per mantenere e migliorare gli ecosistemi agro-pastorali.

Permacultura Schumacher E.F., Piccolo è bello, op. cit. Uno dei classici che hanno saputo valorizzare sistemi e processi su piccola scala, stimolando decine di iniziative economiche alternative di successo. Shiva V., Monoculture della mente: biodiversità, biotecnologia e agricoltura scientifica, (Bollati Boringhieri, 1995). Il libro va oltre i luoghi comuni dello sviluppo agricolo del Terzo Mondo, mostrando come i sistemi agricoli si siano tradotti in un supersfruttamento dell’ambiente. Smith J.R., Tree crops: a permanent agriculture, Devin Adair 1953. Il libro classico sul potenziale sottovalutato degli alberi da frutto visti come sostituto delle coltivazioni di cereali.

Walters C. Jr (a cura di ), The Albrecht Papers, Volume One-Foundation concepts, Acres USA 1975. Un’antologia di articoli di facile lettura sui vari tipi di suolo, scritti da un eminente scienziato. Il lavoro e le ricerche di William Albrecht hanno accompagnato i successi e i fallimenti dell’agricoltura chimica, gettando le basi di una comprensione scientifica dell’agricoltura biologica. Yeomans P.A., Water for every farm, Murray Books 1965. È la descrizione del Keyline system, probabilmente il miglior contributo australiano alla gestione sostenibile di terreni su vasta scala. Rivisto e ristampato da Ken Yeomans (v. www.keyline.com.au ).


Indice analitico

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AAbbandono delle piccole proprietà........... 199

Abbondanza........................................... 38, 84 Abilità di osservazione..................................41 Abilità tecniche tradizionali...................... 140 Aborigeni.................................36, 153, 235-237 Acacia/e................................66, 152, 252, 270 Accelerazione..............................99, 208, 245 Acidificazione....................................... 66, 123 Acqua.. 55-62, 69, 118, 126, 132, 139, 161-164, 176- 177, 230 Acqua piovana.......................... 46, 57, 131, 177 Acquedotti....................................................131 Action-learning.............................................. 44 Adozione...................................................... 39 Aerei passeggeri.........................................200 Affidamento................................................. 39 Agenti immobiliari.....................166, 237, 253 Agribusiness................................................ 67 Agricoltura biodinamica...................... 32, 259 Agricoltura biologica........ 33, 62, 73, 172, 221 Agricoltura del far niente.................... 45, 247 Agricoltura di sussistenza.................. 123, 198 Agricoltura indiana..................................... 119 Agricoltura moderna..............73, 115, 215, 225 Agricoltura sostenibile..22, 66, 150, 198, 225 Agricoltura urbana......................................127 Agriturismo.................................................182 Agroforestazione.................................150, 238 Agropastorizia.............................................225 Alberi da frutta...................................150, 260 Albero della permacultura........................23, 25 Albrecht, William..................................64, 153 Alcol.............................................................. 88 Alghe...........................................................139 Alimenti base...............................................80 Alimenti concentrati.................................. 207 Alimenti fermentati....................................218 Allevamenti intensivi di maiali.......... 134, 179 Allevamento brado dei maiali.................... 134 Allevamento intensivo............................... 216 Alluvione/i.............................58-59, 248, 269 Altruismo tripartito....................... 94-97, 129 Ambientalismo.............................................14

Ambiente costruito.....................137, 168, 248 Amenità del paesaggio...............................234 Analisi del suolo...........................................73 Analisi funzionale.......................................174 Anatra/e.................................................62, 118 Animali da lavoro........................................ 123 Animali da pascolo..................................... 154 Animali migratori.......................................172 Analogue forestry...........................................151 Antiglobalizzazione........................... 108, 186 Apartheid......................................................179 Apprendistato............................................... 47 Approccio basato sul caso.......................... 224 Araucaria heterophylla................................ 224 Arbusti da foraggio.....................................176 Architettura bioregionale...........................167 Architettura ecologica.................................167 Architettura indigena................................ 168 Arcipelago Gulag.........................................240 Aree umide..................................... 58, 84, 164 Aree umide non naturali........................... 126 Argilla/e......................... 57, 126, 149, 153, 256 Arti marziali............................................... 230 Assicurazione/i............................................49 Assimilazione.............................................. 26 Astronave Terra.............................................. 33 Atlantide......................................................197 Atlas of Australian birds................................49 Attività vulcanica......................................... 255 Autodepurazione....................................... 126 Autonomie locali......................................... 141 Auto-organizzazione.42, 53, 79, 93, 144, 170, 183, 265, 273 Autoregolazione............................ 92-105, 198 Avena...........................................................124 Azione-apprendimento................................45 Azoto atmosferico.......................................122

BBacini di raccolta...........................................61

Bacino/i fluviale/i..........................59, 67, 162 Bacino/i idrografico/i.................... 65, 161-165 Bacini imbriferi............................... 56, 57, 163 Back-up........................................................ 175 Bagno...................................................106, 132

Banca Mondiale........................................... 185 Banche................................ 110, 186, 201, 226 Barriere frangivento............................111, 238 Beduini........................................................ 141 Berry, Wendel........................................35, 244 Big Bang...................................................... 256 Biochimica del suolo....................................57 Biodiversità...............35, 211-213, 218, 231, 276 Biogeografia......................................... 151, 231 Biologia................................... 22, 73, 186, 276 Biologia della conservazione............. 267, 271 Biomassa vegetale perenne........................ 152 Bioregionalismo............................ 35, 166, 187 Bioregione........................... 158, 166, 218, 231 Black australorp.............................122, 175, 217 Boro.............................................................122 Bottom-up...... 43, 101-104, 144, 170, 186, 270, 278-281 Bovini.....................................82, 154, 167, 216 Bramini....................................................... 119 Brand, Stewart........... 26, 33, 42, 72, 138, 250 Bradisismo................................................... 56 Brughiera/e.................................. 153, 232, 251 Buddismo..................................................... 36 Bue/buoi....................................... 123-124, 241 Bulldozers......................................................73

CCacatua........................................................ 125

Caccia...................................................120, 142 Cacciatori di conigli.............................121, 139 Calcio.............................................. 59, 74, 122 Cambiamenti episodici.............................. 274 Cambiamento di gestione.........................246 Cambiamento evolutivo.............................245 Canapa......................................................... 117 Canguri........................................... 94, 153-154 Cani...................................................... 123, 216 Cani da pastore...........................................124 Cani-guida per ciechi..................................124 Canne..................................... 80, 122, 126-127 Capacità di scambio cationico....................232 Capitale finanziario....................................... 71 Capitale fisso........................................ 112, 114 Capitale naturale.................. 17, 55, 61-72, 263


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304 Capitale sociale................................... 136, 262 Capitalismo...52, 71, 135, 183, 185, 201, 219, 262 Capitalismo di mercato..............................136 Capitalismo naturale.................................... 13 Capacità di osservazione................ 44, 51, 253 Capre...................................... 95, 122, 154, 254 Caratteristiche indesiderate.......................214 Carbone.......................................... 61, 74, 263 Carbonio............................ 56, 60-64, 69, 176 Carbonio organico.......................................60 Cardo/i......................................................... 253 Carestia............................................... 110, 240 Carpa/e........................................................139 Carrube................................................ 163, 241 Casa solare passiva.................................72, 90 Case di legno.............................................. 168 Castagno..................................................... 222 Caste............................................................ 119 Catastrofismo..............................................254 Catena alimentare.................................. 54, 93 Cavallo........................................... 112, 123-124 Cedro rosso................................................206 Celle fotovoltaiche..................................115-117 Cellula/e.........................................93, 155, 193 Cellula nucleata...................................172, 265 Cellulare.....................................................208 Centrali elettriche....................... 89, 116, 200 Centri di eccellenza......................................49 Centre Pompidou.......................................... 138 Cervello........................................................176 Cervo........................................................... 120 Chesapeake Road..........................................232 Chianina......................................................241 Chook tractor.........................................123, 158 Chiocciola................................................... 192 Cibo da asporto..........................................249 Circuiti energetici.........................................54 Cicorie.........................................................122 Cisterna/e................................46, 61, 161, 177 Civiltà industriale....................................... 228 Classe media.......................................... 37, 98 Clima....................................56, 152, 224, 266 Climax............................. 27, 30, 251, 254, 255 Climi temperati............... 49, 59, 150, 155, 257 Climi umidi tropicali...........................60, 167 Club di Roma.................................................14 Cluster.................................................199, 256 Coabitazione (v. co-housing)....................... 189 Co-housing................................................. 189 Coevoluzione...................................... 214, 267 Colaticcio............................................... 63, 132 Collected writings....................................13, 166 Collingwood Children’s Farm........................254 Colture alimentari fondamentali.........82, 116 Colture arboree............................................66

Permacultura olture cerealicole perenni C da erbe autoctone.......................................204 Colture perenni..........................................204 Combinazioni agroforestali........................163 Combustibili fossili....15, 56, 63-67, 100, 199, 210, 263 Commercio internazionale....................... 199 Common................................................118, 191 Compatibilità ambientale degli stili di vita............................................ 87 Competizione...............................172, 174, 178 Competizione economica........................... 183 Competizione esteriorizzata......................184 Composizione floricola iniziale.................252 Compost...................................................... 158 Compost toilet...............................................127 Compostaggio.............................................127 Computer.................................... 208-210, 271 Comunità.............. 19, 29, 37, 72, 182, 187-191 Comunità ebraica americana.................... 189 Comunità residenziali rurali...................... 181 Comunità intenzionali....................... 188-190 Concetto di limite...................................... 196 Concimazioni..................65, 82, 123, 239, 257 Concimi chimici...................................62, 121 Concimi minerali..........................................73 Concorde......................................................200 Conflitto...............................................179, 277 Conflitto tribale...........................................184 Conformazione.......................................... 216 Conifere.........................................64, 153, 205 Conigli................................................. 94, 240 Connessioni funzionali..............................221 Consegna porta a porta di merci...............208 Conservatorismo........................................ 210 Consulenti aziendali............................ 23, 246 Consociazioni............................................. 180 Consumatore/i......... 53, 91, 97, 104, 107, 247 Consumismo................................ 83, 106, 263 Consumo-escrezione................................. 129 Contabilità ambientale................................86 Contabilità EMERGY................................... 87 Contabilità finanziaria.................................86 Contabilità socio-ambientale.......................86 Contaminazione chimica..........................266 Contaminazione nucleare.........................266 Contenitori...................................................131 Continuità dell’ecosistema.........................214 Controcultura...............................22, 188, 244 Controllo................................ 43, 93, 106, 246 Controllo dei polli....................................... 175 Cooperazione....................................... 179-183 Cooperazione interiorizzata.............. 184, 186 Corsi di permacultura......................21, 31, 243 Corsica.........................................................150

Corso dei fiumi........................................... 255 Cosmologia hindu......................................277 Cospirazione.......................................278-279 Costa/e........................................ 152, 224, 230 Costi di manutenzione................................ 70 Costiera Amalfitana....................................241 Cotone.................................................117, 204 Crescita rapida............ 154, 182, 204-205, 252 Crisi petrolifera/e..........................................14 Critici della globalizzazione.............. 186, 201 Critici radicali............................................. 210 Critici reazionari........................................ 210 Cross-fertilisation........................................... 48 CSIRO (Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation).151, 216 Cuba.............................................................127 Cultura cooperativa rurale.......................... 183 Cultura degli aborigeni.......................183, 236 Cultura dello sviluppo.........................29, 104 Cultura del luogo................................. 72, 228 Cultura globale............................ 142, 183, 219 Cultura globale del non-luogo.......... 219, 228 Cultura maschile.......................................... 39 Cultura patriarcale..................................... 274 Cultura sostenibile............ 27-30, 72, 187, 274 Culture sostenibili emergenti....................187 Culture tribali indigene................................ 31

DDaikon.......................................................... 97

Danimarca...................................134, 189, 243 Darwin, Charles........................... 77, 223, 265 De Bono, Edward......................................... 26 Decespugliatore.................................. 122, 158 Discesa energetica .29, 41, 48, 71, 90, 118, 168, 224, 275 Decrescita................................................... 168 Deficit di azoto e fosforo........................... 256 Deforestazione...............................64, 113, 119 D’Entrecasteaux National Park....................232 Depurazione delle acque........................... 126 Deregulation................................................ 201 Design thinking........................................ 42-43 Deriva ecologica.........................................260 Deserti ecologici......................................... 230 Detriti vegetali...............................................57 Diagramma/i di Venn................................234 Dighe........................................ 59, 61, 96, 119 Dilavamento.........................................183, 251 Dinamiche relazionali................................182 Dingo...........................................................124 Dinosauri.................................................... 192 Dipartimenti creativi...................................49 Dipendenza.............................72, 92, 101, 107


Indice analitico Diradamento............................... 117, 120, 222 Disastri naturali.................38, 57, 93, 109-110 Disboscamento...................................234, 257 Discarica/che...................................... 127, 134 Dissemina spontanea................................ 222 Dissipazione dell’energia............................ 79 Diversificazione..........................................193 Diversità...............................................211-228 Diversità di colture e risorse...................... 213 Diversità di dialetti e culture......................218 Divisione in zone.........................119, 156, 178 Doccia......................................................... 106 Dualismo cartesiano.....................................32

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EEccesso di prelievo........................................52

Ecologia dei sistemi........................85, 93, 257 Ecologia industriale.....................................135 Ecologia marina.........................................268 E-commerce...................................................135 Economia di mercato...................................49 Economie di scala....................... 181, 194, 201 Economia keynesiana................................262 Ecosintesi...........................................267, 270 Ecosistemi a impronta culturale...............268 Ecosistemi dominati da infestanti............268 Ecosistemi pulsanti.....................................254 Ecotono........................................................ 231 Ecovillaggi................................................... 181 Edilizia abitativa......................................... 250 Effetto serra...........................................63, 273 Efficienza della conversione........................ 79 Efficienza di utilizzo....................................135 Efficienza energetica....................................115 Efficienza nell’estrarre nutrimento dal proprio cibo...................................................... 130 Egoismo illuminato................................... 192 Elefante........................................................124 Élite...................................... 99, 104, 108, 278 Élite industriale vittoriana........................... 78 EMERGY.....................................................142 Emilia Romagna......................................... 183 Emisfero australe.........................................151 Emisfero boreale..........................................151 Empatia....................................................... 125 Enclosure Acts............................................... 191 Energia chimica primaria.......................... 129 Energia eolica................................................ 55 Energia idroelettrica...................................197 Energia nucleare................................. 56, 200 Energia rinnovabile........................ 74, 115-117 Energia solare..............................55-56, 115-117 Entità giuridica............................................ 181 Entropia...................................................... 248

Equilibrio minerale.................................64-65 Equilibrio tra calcio e magnesio................. 74 Equilibrio tra gruppi etnici........................ 227 Erbacce................................................. 46, 232 Erbe aromatiche.......................................... 157 Erbe medicinali.................................... 81, 240 Erbe officinali........................66, 119, 157, 180 Erbicidi..................................................45, 257 Eredità............................................ 75, 106, 175 Ere glaciali.................................................... 56 Erosione........................................ 64, 148, 163 Erosione eolica........................................... 256 Espansione commerciale europea............268 Esperienza personale............................ 48, 90 Estetica........................................................ 168 Estinzione........................................... 218, 224 Estuari........................................... 58, 162, 230 Etica.......................................... 35, 39, 40, 198 Etnobiologia................................................. 26 Eucalipto/i............120, 130, 148, 153, 231, 268 Eucalyptus calophylla..................................269 Eucalyptus diversicolor..................................232 Eucalyptus maculata................................... 224 Eucalyptus marginata.................................. 235 Eucalyptus melliodora.......................... 114, 149 Eucalyptus radiata.......................................249 Eucalyptus regnans....................................... 214 Eugenetica.................................................. 228 Europa preindustriale........................ 240, 251 Evoluzione.......................... 254, 264-267, 272

FFactor 4..........................................................135 Factor 10........................................................135 Faggio/i................................................. 153, 173 Famiglia estesa............................................156 Famiglia nucleare............................... 156, 190 Famiglia tradizionale..................................156 Farfalla.........................................................245 Fattori di disturbo....................................... 251 Fattorie australiane..................................... 177 Fauna selvatica........................................... 120 Feedback negativo...................................50, 94 Feedback positivo................................... 80, 92 Felicità.........................................................107 Femminismo.............................................. 274 Fertilità......................................................... 82 Fertilizzanti............................................ 45, 63 Fertilizzanti minerali....................................73 Feudalesimo/Feudalismo........................... 191 Fieno................................................52, 74, 176 Filosofia dell’individualismo........................ 31 Finanza etica................................................. 71 Fiore della permacultura...............................188

305 Firestick farming...........................................237 Fiume Murray...............................................58 Flannery, Tim.............................................. 183 Flessibilità.................................................... 84 Flussi di materiali....................................... 171 Foglia di banano.........................................249 Fognatura................................................... 126 Fondamentalismo religioso..............186, 279 Fondo Monetario Internazionale.................. 185 Fonti di ricchezza non misurabili..............142 Foresta/e.................148-157, 163-166, 251, 258 Foresta alimentare..................................... 259 Foresta di faggi............................................ 173 Foresta matura.............................................66 Foresta pluviale.................... 172, 182, 213, 235 Foresta/e sclerofilla/e......................... 214, 251 Forestazione................................................238 Foreste decidue.......................................... 270 Foreste miste...............................................214 Foreste native............................................. 205 Formazione permanente.............................49 Formica........................................................193 Fosfati..........................................................122 Fosfato di roccia..........................................285 Fosforo.......................................................... 59 Fotosintesi............................................. 56, 171 Frammentazione dei mercati di massa....226 Frangivento.........................................154, 205 Frugalità..............................................129, 262 Frugalità volontaria................................50, 89 Fryers Forest.................................................. 191 Fukuoka, Masanobu............................ 45, 247 Funghi....................................66, 74, 122, 176 Fungo del marciume bianco..........................127 Funzionalità................................................ 138 Funzionalità ecologica............................... 168 Fuoco..........................................236, 256, 259

GGaia (v. anche Ipotesi Gaia)..... 109, 244, 247

Gallina......................................................... 121 Gamberi....................................................... 118 Gange.......................................................... 126 Gassificatori a legna.................................... 116 Genetica moderna...................................... 228 Gentrification.............................................. 261 Geografia del paesaggio............................... 26 Geomorfologia............................................254 Gerarchia....................................... 97-101, 146 Gerarchia delle risorse.................................99 Germania............................................. 62, 229 Gestione aborigena della terra................... 235 Giappone..............................................135, 150 Giardinaggio.................................................49


306 Giardinaggio ornamentale.................. 82, 168 Giardini botanici.........................206, 211, 221 Gigantismo.................................................202 Gilda/e........................................................ 180 Gioco d’azzardo...........................................107 Global Eco-Village Network......................... 190 Globalizzazione......................... 105, 219, 280 Glowinski, Luis............................................49 Grande scala....................................... 213, 229 Grande Depressione....................................133 Green tech (tecnologia verde)........................ 13 Gruppi di acquisto......................................188 Gruppi elettrogeni...................................... 175

HHare Krishna........................................119, 207

Hickory.........................................................153 Hill, Stuart........................................... 8, 11, 22 Hinterland...................................................241 Holling, C.S........................................ 267, 271 How buildings learn.................................... 250 Humus...................................... 39, 61-64, 251

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I Ibridazione..................................................214

Identità collettiva........................................ 185 Igiene.......................................................... 126 Illich, Ivan.................................................. 274 Illuminismo.................................................. 51 Immondizia................................................127 Impatto ambientale.....................................89 Impero Romano........................................... 50 Impianto idraulico................................59, 177 Impronta ecologica......................................86 Incendio/i...................... 67, 81, 109, 148, 240 Inconscio collettivo.....................................277 Incrocio/i.....................................................217 Indiani d’America....................................... 118 Indigeni............................................... 121, 219 Individualismo........................................... 104 Industrial design............................................ 47 Industrializzazione..............................98, 274 Industria del fai-da-te................................202 Inefficienza.......................................... 50, 263 Infestanti..............46, 139, 178, 252, 259, 268 Influenza delle università su cultura e intellettuali.....................................243 Information technology........................ 209, 271 Informazione genetica................................ 67 Ingegneria genetica................................... 186 Inghilterra................................... 105, 191, 234 Inglese........................................................ 219 Inincrocio (inbreeding)...............................217

Permacultura Innovazione...........................46, 134, 167, 241 Inquinamento da nitrati.............................. 63 Instabilità..............................................12, 245 Integrazione.........................................124, 171 International Center for Agroforestry............ 123 Internet.......................................202, 219, 272 Introduction to permaculture......................... 24 Inuit.............................................................182 Ipotesi Gaia.............................................33, 92 Irrigazione.................... 61, 164, 177, 204, 216 Isolante termico..........................................167 Israele...........................................115, 142, 189 Istituzioni................................. 39, 47-49, 104 Istruzione...........................136, 227, 242, 262 Istruzione universitaria..............................243

J Jackson, Wes.................................................61

Jung..............................................................197 Just-in-time.....................................................85

KKakadu National Park................................240

Kali Yuga......................................................275 Kangaroo Island......................................... 164 Karri.............................................................232 Kenya........................................................... 123 Keyline..........................................................163 Kibbutz........................................................ 189 Kropotkin, Petr............................................. 78

LLaboratori di analisi..................................... 62

Laghi............................................. 58, 230, 256 Landcare......................................... 66, 151, 163 Land Institute (Kansas).................................61 Land systems................................................ 164 Lavoro utile................................................... 79 Legami di discendenza............................... 215 Legge della massima potenza............. 79, 273 Leggere il paesaggio...................................269 Legna/Legname.60, 66, 69, 87, 96, 114-120, 194, 205, 222, 238 Leguminose.................................. 64, 172, 176 Leguminose a crescita rapida..................... 123 Leopold, Aldo..............................................212 Letame................................................... 63, 132 LETS (Local Exchange Trading Systems)..........21, 188 Lettura del paesaggio............................44, 253 Licheni.........................................................172 Lieviti...........................................................218

Lignite........................................................... 63 Limiti.................................37-38, 48, 166, 192 Lindisfarne Institute.....................................105 Lingue aborigene australiane.....................218 Lino di Nuova Zelanda..............................204 Livelli di piovosità........................................151 Lobbying....................................................... 101 Lombrichi/co........................60, 122, 129, 176 Lombricoltura.............................................127 Lotka, Alfred............................................... 287 Lotta agli incendi....................................... 109 Lovelock, James.............................33, 243, 265 Lovins, Amory.................. 13, 47, 105, 135, 179

M“Macdonaldizzazione” degli habitat.........266

Magnesio................................................ 59, 74 Maiali.................................................. 216, 250 Mancanza di manutenzione.............. 137, 142 Mangrovie............................................ 165, 231 Manutenzione.............................136, 138, 249 Maree............................................................113 Margine/i............................................ 232, 244 Margulis, Lynn......................................33, 265 Maschio dominante................................... 120 Materia organica.............57, 60, 62, 249, 257 Materialismo.............................. 168, 179, 186 Meccanismi di soluzione dei conflitti....... 185 Medio Oriente.....................142, 183, 186, 248 Melliodora.74, 122, 161, 175, 194, 221-222, 252, 260 Mente-alveare............................................. 186 Metodo Bradley.............................................45 Mediterraneo...............................................234 Melbourne..................................................268 Metamorfosi................................................245 Micorrize.....................................................122 Microbi....................................... 122, 127, 204 Microclima......................................... 150, 160 Microrganismi......................63, 176, 218, 232 Microrganismi del suolo.....................60, 129 Minerali di roccia..................................73, 259 Miso.............................................................218 Mixomatosi.................................................. 121 Modelli in natura..................................77, 144 Modello.....38, 54, 133, 144-168, 184, 213, 250, 260, 262, 274 Modernità................................51, 137, 215, 219 Mollison, Bill.12, 19-24, 37, 129, 144, 174, 183, 189, 242 Monitoraggio ambientale...........................148 Monocoltura/e..... 124, 185, 191, 205, 215, 234 Monocultura della mente..............................217 Monsanto....................................................202 Motivazioni etiche........................................90


Indice analitico Movimento ambientalista..................101, 274 Movimento antiglobalizzazione.108, 186, 281 Movimento del ritorno alla terra............... 261 Movimento per la casa ecologica.............. 201 Movimento terra...........................................73 Mucche................................................154, 207 Multiculturalismo...................................... 227 Multinazionali.... 108, 185, 201-202, 272, 279 Murray............................................ 58, 59, 166 Mutualismo................................................268

NNabatei........................................................ 149

Nepal............................................................ 119 New Alchemy Institute.................................. 22 Nicchia........................................183, 202, 226 Nicchia ecologica.................................. 55, 172 Nitrati..........................................................204 Noce.....................................................174, 252 Nouveaux riches..........................................262 Nuova Guinea.......................................81, 258 Nuova Zelanda...........................173, 242, 266 Nutrienti minerali...... 57, 59-60, 73, 130, 260

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OOasi.....................................................149, 224

Oche............................................................. 154 Occhio umano.............................................176 Odum, Howard....................... 13, 54, 69, 80, . ................................89-91, 94, 116, 146, 173 Oliphant, Sir Mark.....................................200 Olocausto.................................................... 270 Organismi geneticamente modificati............................................142, 272 Organizzazione Mondiale del Commercio... 185 Organizzazioni non governative............... 201 Originalità del pensiero............................... 48 Ortaggi........................................158, 204, 220 Ortica/che...................................................240 Orticoltore permaculturale..........................49 Orticoltori professionisti...........................220 Orticoltura......................................21, 82, 204 Orti convenzionali.....................................220 Orti di permacultura..................................220 Osservazione........................................... 41-48 Ossigeno................................................ 56, 171 Ossigeno atmosferico...................................57

P Pacciamatura............................55, 74, 133, 259

Pacciame......................................................122 Paesaggio.... 162, 166, 218, 230, 235-240, 253,

269 Paesaggio agrario........................................234 Paesaggio culturale.................................... 236 Paglia...............................................62, 133, 67 Palude/i.................................. 58, 89, 126, 235 Papanek, Victor............................................ 42 Parassiti................................... 93, 171-172, 215 Parassitismo.......................................... 93, 171 Parchi............................................ 134, 191, 211 Pascolo................. 60, 63, 93-95, 122, 154, 257 Pascolo a celle.............................................. 63 Pasta acida...................................................218 Pastorizia..................................... 123, 216, 257 Patrimonio genetico umano..................... 228 Pattern language...........................................144 Patti agrari................................................... 191 Pece di pino................................................. 137 Pecora/e......................................... 153-154, 253 Pendolari.....................................................107 Pendolarismo.............................................200 Pensiero a breve termine........................... 203 Pensiero a lungo termine.......................... 203 Pensiero integrato........................................ 48 Pensiero sistemico.......................26, 254, 278 Percentuale di saturazione di base............. 74 Permaculture: a designers’ manual.......... 37, 151 Permaculture One.................................82, 109 Piacere estetico..............................................83 Pianificazione territoriale............................69 Pianificazione urbana........................ 279, 241 Piano generale di bacino........................... 164 Piantagioni monocolturali a crescita rapida......................................... 205 Piante decidue............................................. 152 Piante leguminose......................................122 Piante pioniere.............................66, 212, 261 Piante rustiche........................................ 81-82 Pianura/e alluvionale/i........................ 59, 162 Picchi alluvionali...........................................58 Piccola scala.................................................197 Piccole aziende specializzate...................... 183 Pietra........................................................... 203 Pigmei.........................................................197 Pinus radiata............................................... 205 Pionieri..................................117, 132, 183, 261 Pioppo/i..............................................205, 248 Piovosità................................ 64, 117, 150, 238 Piramide alimentare......................97, 99, 103 Pitagora............................................... 104, 243 Placche tettoniche........................................ 56 Pluricoltura.................................................150 Policoltura................................................... 211 Polistirolo........................................... 132, 249 Pollo............................................................. 175 Polpa di legno...............................................66

307 Pompa/e...............................................161, 177 Popoli tribali.................................................. 31 Postmodernismo...................................12, 168 Potassio.................................. 59, 74, 204, 259 Poveri.......................................... 123, 140, 240 Poveri senza terra......................................220 Powerpoint...................................................208 Prateria/e................................................61, 153 Precipitazioni................................................57 Predatori selettivi......................................... 78 Predazione.................................................... 79 Pressione........................................61, 101, 177 Pressione selettiva..................................... 228 Principi etici................................... 24, 31, 279 Principio della massima potenza............... 132 Principio del piccolo e lento............. 194, 209 Principio di segregazione-separazione.178, 239 Privatizzazione/i..........................137, 191, 263 Processi formativi rapidi........................... 256 Processo bidirezionale..................................43 Produttività biologica................................... 56 Produttività degli ecosistemi........................57 Produzione industriale...................... 114, 200 Profondità degli oceani.............................. 230 Progettazione cellulare........................155, 193 Progettazione industriale...................105, 135 Progetti di sviluppo nei Paesi poveri..........89 Proliferazione caotica................................ 224 Proliferazione naturale...............................223 Proprietà della terra...................................... 35 Proprietà emergenti....................................271 Proprietari-costruttori...................................85 Prossimo miglior utilizzo........................... 132 Protezione ambientale.................................89 Prunus africana............................................ 123 Psicologia junghiana....................................34 Pucci, Giannozzo........................................241 Pueblo de Taos............................................ 137 Punctuated Equilibrium.............................. 265 Punti di accumulo...................................... 149

QQualità organolettiche...............................204

Quartieri periferici......................................237 Quaternario................................................ 276 Quercia/e......................................68, 122, 203

RRaccolto principale.............................. 174, 215

Raccolto sostenibile.................................... 118 Radici..................................... 36, 122, 172, 232 Ragnatela.....................................................144 Ragno...........................................................144


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308 Ralston-Saul, John.....................................246 Razionalismo ecologico...................... 101, 212 Razionalismo economico........ 49, 54, 86, 137 Razionalismo scientifico........................32, 72 Reagan, Ronald..........................................262 Riprogettazione dei processi industriali.....135 Redistribuzione del reddito......................... 39 Relazioni competitive......................... 172, 182 Relazioni cooperative.......................... 182, 187 Relazioni di evitamento..............................172 Relazioni parassitarie................................. 171 Relazioni predatorie.................................... 171 Relazioni simbiotiche......................... 172, 182 Relazioni sociali............................................83 Resilienza.............................................93, 248 Resistenza all’erosione................................64 Respirazione...................................56, 143, 171 Responsabilità individuali............................ 35 Responsabilità personale........................... 102 Rete di interdipendenza.............................172 Retrofit.......................................................... 134 Riciclaggio industriale................................ 134 Riciclo...........................................................131 Ridondanza.................................. 135, 175, 179 Riduzionismo................................................32 Rifiuti.....................................86, 127, 129, 143 Rifiuti verdi................................................. 134 Rifiuto apparente....................................... 129 Rifkin, Jeremy.............................................273 Rigenerazione.......................................82, 213 Rimboschimento/i..................................... 205 Riparazione..................................................133 Ripristino ecologico................................... 224 Risaie a terrazze.......................................... 137 Riscaldamento globale........................ 110, 277 Riserva di energia.......................................187 Riso........................................................62, 215 Risorse naturali......14, 35, 59, 79, 114-121, 185 Risorse non rinnovabili....................... 72, 196 Risorse rinnovabili.......................................113 Ristrutturazione........................................... 70 Ritenzione idrica.......................................... 62 Ritorno alla terra........................................ 261 Rivoluzione del filo di paglia, la......................45 Riuso...................................................... 131-132 Riutilizzo......................................................131 Rivegetazione..............................................223 Rivoluzione Industriale...............124, 135, 168 Rivoluzione verde........................................ 216 Romice.......................................................... 97 Rotazioni colturali.................................62, 134 Rusticità.......................................................217

S Sacralità....................................................... 121

Permacultura Salici........................................................... 270 Salinità.................................. 66, 151, 164, 239 San Francisco.............................................. 110 Scetticismo.................................................... 51 Schumacher, Ernst Friedrich.................... 201 Scienza dello spirito......................................32 Scienza riduzionista.....................................32 Sciopero dei consumatori......................... 108 Scuole Waldorf.................................... 188, 207 Secondo miglior utilizzo............................130 Segregazione...............................................178 Segregazione etnica....................................179 Selezione genetica..............................120, 214 Selezione in base a criteri estetici..............217 Selezione naturale..............116, 184, 223, 265 Semi.................................................55, 67, 223 Semina diretta senza aratura.....................257 Semler, Ricardo..........................................246 Semplificazione del paesaggio agrario......234 Sempreverdi.................................................151 Senso comunitario..................................... 227 Senso del limite............................................38 Separazione.................................................178 Separazione tra spiritualità e materialismo............................................179 Separazione tra Stato e Chiesa...................179 Sequestro di carbonio..................................60 Sequoia californiana..................................206 Servizi ambientali gratuiti..........................142 Servizi offerti dalla natura.......................... 121 Servizi rinnovabili....................................... 121 Settori..........................................................156 Shiva, Vandana....................................217, 274 Shopfront......................................................237 Shopping.......................................................237 Sick building syndrome.................................167 Siepe/i................................................. 205, 234 Simbiosi.................................................78, 172 Sindrome da edificio malsano...................167 Sistemi di memoria artificiale...................208 Sistemi progettati dalla permacultura.........41 Small is beautiful......................................... 201 Società consumistica................................... 50 Società del declino energetico............ 29, 200 Società di cacciatori-raccoglitori...................41 Società moderna............. 50, 70, 105, 110, 195 Società sostenibile....................................... 191 Società tradizionale tibetana....................... 36 Società tradizionali.........39, 94, 103, 118, 182 Solzhenitsyn, Alexander............................240 Sostanza organica................................ 62, 252 Sostenibilità.................................... 22, 29, 273 Sovescio.......................................................257 Spaceship Earth.............................................. 33 Specializzazione di forme

e funzioni in natura.......................................211 Speciazione................................................ 265 Specie..........................................150, 224, 264 Specie keystone..............................................89 Specie rustiche..............................................81 Sperimentazione........................ 167, 198, 223 Sperimentatori dilettanti.............................49 Spiritualità.................................................. 168 Spreco....................................................38, 130 Squilibri...................................................... 196 Squilibri minerali..............................222, 259 Stabilità........................................213, 245, 276 Stabilità climatica e geofisica.......................57 Stabilità degli ecosistemi............................ 213 Stabilità dinamica...................................... 248 Stabilità termica..........................................167 Stagni.............................................................58 Standard di igiene........................................131 Stato di guerra............................................ 199 Steiner, Rudolf..................................... 32, 207 Strategie di conservazione....................39, 68 Strategie permaculturali........... 36, 55, 61, 163 Stress.......................................................... 109 Subduzione.................................................. 56 Successione classica................................... 251 Successione ecologica.......................... 93, 250 Successo......................................... 90-91, 189 Suolo.......................................... 33, 63, 73, 257 Suolo vivente................................................ 62 Surplus.....................................................37-39 Sussistenza.......................................... 198, 215 Sviluppo sostenibile......................................23 Swidden........................................................258 Sydney..........................................................153 Systems thinking.............................................26

TTabacco........................................................107

Tabù.....................................118, 197, 223, 228 Tacchino/i..............................................82, 125 Tagasaste......................................122, 198, 254 Taglia e brucia..............................................258 Tané, Haikai..................................58, 166, 181 Tasmania.............................168, 197, 213, 276 Tassi di mortalità infantile.......................... 39 Tasso..................................................... 66, 213 Tecnici della manutenzione........................ 70 Tecnologie ambientali............................... 126 Tecnologie centralizzate.............................187 Tecnologie di transizione........................... 134 Tecnologie intermedie............................... 201 Tecno-ottimismo........................................200 Tempi di esposizione al computer............ 210 Teoria dei sistemi......................24, 85, 93, 271


Indice analitico

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Teoria del caos............................................ 256 Teoria della cospirazione........................... 278 Teoria delle catastrofi..................................254 Teoria dell’evoluzione................................ 265 Teorie cospirative....................................... 278 Termiti.......................................... 86, 122, 167 Terra nullius................................................. 235 Terrazzamenti.............................................234 Terremoto.................................................... 110 Territori indigeni australiani..................... 149 Terzo Mondo.................................36, 191, 201 Thatcher, Margaret....................................262 Thompson, William Irwin........................ 104 Top-down....................................... 43, 101, 246 Torre Eiffel................................................... 138 Tradescantia albiflora..................................269 Trasferimento di geni tra batteri............... 265 Transizione..................... 72, 90, 134, 140, 232 Trapper......................................................... 121 Trasporto............................................... 70, 107 Trasporto merci.......................................... 199 Trasporto pubblico.....................................200 Trifoglio.......................................154, 222, 257 Trifolium subterraneum................................ 123 Tronchi da sega.......................................... 205 Turismo...................................................... 261 Turismo rurale..................................... 181-182

309

UUccelli migratori........................................ 230 WWallaby........................................................172 Umanesimo razionalista.............................. 33 Unioni simbiotiche.................................... 265 Unità di innovazione...................................49 Università...................................105, 200, 243 Uso appropriato di risorse naturali........... 114 Uso efficiente delle piogge..........................151 Uso inefficiente di risorse umane............ 140 Utilità............................................................ 82

VValutazione EMERGY.................................69

Variazioni stagionali....................152, 213, 252 Vegetazione riparia....................................268 Velocità............................................... 192, 210 Viaggi a lunga distanza..............................195 Viaggio...........................................................75 Vigore da comunità ibrida.........................220 Vigore ibrido...................................... 217, 229 Visione periferica....................................... 230 Vita marina................................................... 56 Volpe............................................................. 36 Vulcanismo.................................................. 56 Vulnerabilità dei sistemi..............................54

Weedscape....................................................268 Whole Earth Catalogue.................................. 26 Whole Earth Review...................................... 26 WWOOF....................................................... 20 World Watch Institute..................................218 Wright, Frank Lloyd....................................167

XXenofobia................................................... 186 YYabby............................................................ 118

Yarra............................................................268 Yeomans, Alan.............................................64 Yin-Yang..................................................... 186

ZZolfo............................................................. 63

Zone.......................................................27, 156


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Indice L’autore...............................................................................6 Premessa. ......................................................................................... 7 Scopo del libro............................................................................... 9 Evoluzione del progetto....................................................................9 Formato del libro................................................................................9 Ringraziamenti. ...........................................................................11

Cultura sostenibile?..........................................................................27 Oltre la sostenibilità........................................................................ 29 Dalla cima della montagna............................................................ 29

Principi etici della permacultura.......................................... 31 Cornici filosofiche............................................................................ 31 Permacultura come scienza della progettazione...........................32

Prefazione.......................................................................................12

Dimensioni spirituali......................................................................32

La permacultura nell’era dell’incertezza.......................................12 La terza ondata di ambientalismo................................................ 14

Cura per la Terra................................................................................ 33 L’astronave Terra.............................................................................. 33 Il suolo vivente................................................................................. 33

Prefazione all’edizione italiana. ............................................15

Amministrare il sistema................................................................. 35

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Biodiversità...................................................................................... 35

Introduzione.................................................................................19

Organismi viventi........................................................................... 36

Che cos’è la permacultura?..............................................................19

Cura delle persone............................................................................36

La visione.........................................................................................19

Cura di se stessi...............................................................................37

Il sistema di progettazione..............................................................19

Benessere non materiale.................................................................37

La rete.............................................................................................. 20 Il corso di progettazione in permacultura.....................................21

Stabilire limiti a consumo e riproduzione; ridistribuire il surplus...................................................................... 37

Diffusione del concetto di permacultura.......................................21

Abbondanza e limiti in natura........................................................38

La permacultura come orticoltura..................................................21

Redistribuzione del surplus........................................................... 39

La permacultura come controcultura............................................ 22

La permacultura come strumento per contribuire a prendere decisioni etiche............................................................ 40

Le reazioni del mondo accademico, delle professioni e delle autorità pubbliche............................................................... 22 Un eccesso di promozione..............................................................23

1. Osserva e interagisci..............................................................41

I principi della permacultura..........................................................23

Osservare, riconoscere i modelli e capire i dettagli..................... 41 Interagire con attenzione, creatività ed efficienza..................... 42 La rivoluzione del pensiero e della progettazione...................... 42 Linee guida del design thinking (pensare in modo progettuale)....... 43

Il valore e l’utilizzo dei principi..................................................... 24 I principi della progettazione..........................................................25

Zone e settori in permacultura.......................................................27


312

Permacultura

Tutte le osservazioni hanno un valore relativo..............................43

L’equilibrio tra biomasse legnose ed erbacee............................... 63

Pensare dall’alto verso il basso, agire dal basso verso l’alto..........43

L’humus del suolo come deposito di carbonio............................. 63

Il paesaggio è il libro di testo......................................................... 44

L’equilibrio minerale......................................................................64

Sbagliare è positivo, se ci insegna qualcosa.................................. 44

Gli alberi..........................................................................................66

Le soluzioni eleganti sono semplici o addirittura invisibili......... 44

Semi (soprattutto di specie annuali)............................................. 67

Intervenire il meno possibile..........................................................45

Caratteristiche del capitale naturale............................................. 68

Evitare l’eccesso di “buono”............................................................45

Un certo grado di automantenimento..........................................68

Il problema è la soluzione..............................................................46

Basso tasso di svalutazione............................................................68

Riconoscere ed evitare i vicoli ciechi della progettazione............46

Non richiedono tecnologie speciali o costose...............................68

Istruzione formale e strumenti di comunicazione.....................47 L’osservazione e i limiti dell’esperienza diretta...........................48 Il contesto moderno per apprendere tramite l’esperienza........48 Osservazioni e interazioni in un mondo postmoderno............. 50 Trovare qualcosa di utile nell’immondizia della modernità.......51 Il valore dello scetticismo................................................................51 L’importanza dell’interazione........................................................51

Sono resistenti a monopoli, furto e violenza................................68

La pianificazione territoriale......................................................... 69 La contabilità EMERGY....................................................................69

Ricostituire le riserve domestiche di energia............................... 69 L’ambiente costruito come riserva di energia............................. 70 L’energia immagazzinata nella cultura..........................................71 Atteggiamenti e valori adeguati alla decrescita............................. 72

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La futura cultura sostenibile.......................................................... 72

2. Raccogli e conserva energia............................................... 52

Uso appropriato di risorse non rinnovabili...................................72

Le leggi dell’energia.........................................................................52

Fertilizzanti minerali per migliorare il suolo................................73

Il modello moderno.........................................................................54

Idealismo o pragmatismo?............................................................. 74 Conclusione.......................................................................................75

Fonti di energia.................................................................................55 Le riserve di energia nel territorio.................................................55 Come la natura raccoglie e conserva energia................................56 La conservazione dell’acqua nel territorio.....................................57 La conservazione dei nutrienti nel territorio................................ 59 La conservazione del carbonio nel territorio................................60 L’humus come riserva di carbonio................................................60

3. Assicurati un raccolto...........................................................77 Modelli dalla natura........................................................................ 77 I benefici della competizione......................................................... 78 La legge della massima potenza.................................................... 79 Valori che spingono al consumo e valori

Ricostituire il capitale naturale del territorio...............................61

che spingono alla conservazione................................................... 79

Acqua................................................................................................61

Feedback positivo.............................................................................. 80

Il suolo vivente................................................................................ 62

Alimenti base e fornitura di energia netta....................................80

Ricostituire la sostanza organica del terreno................................ 62

Specie rustiche.................................................................................81

Rubare a Pietro per dare a Paolo................................................... 62

L’aumento della fertilità................................................................. 82

La lignite come nuovo humus....................................................... 63

Utilità e cosmetica in orticoltura................................................... 82


Indice Strategie nella produzione di cibo..................................................83

Il processo di autorevisione e controllo...................................... 106

Le relazioni sociali...........................................................................83 La cultura della flebo...................................................................... 84

La dipendenza................................................................................107 Autosufficienza come azione politica.........................................108 Autosufficienza come preparazione al disastro.........................108

Costruirsi una casa..........................................................................85

Progettare per fronteggiare gli incendi......................................... 109

La follia del just-in-time . .................................................................85

I sistemi sotto stress..................................................................... 109

Un efficiente uso delle risorse può diventare una trappola........ 85 Saper fare i conti..............................................................................86

Conclusione.....................................................................................111

L’impronta ecologica......................................................................86

5. Usa e valorizza risorse e servizi rinnovabili. .................................................................112

I tempi e la flessibilità.....................................................................84

La contabilità EMERGY................................................................. 87 Quoziente di rendimento e tempo di rinnovamento .................. 87 La valutazione di impatto ambientale...........................................89 La frugalità volontaria....................................................................89

Il problema del successo.................................................................90 Le soluzioni al problema del successo.......................................... 91 Conclusione...................................................................................... 91

4. Applica l’autoregolazione e accetta il feedback.......... 92 Francesco Papa - Ordine n.535943-251501

313

Allevamento, cura e controllo in natura....................................... 93 L’autoregolazione............................................................................94 L’altruismo tripartito......................................................................94 Cura, feedback negativo e autoregolazione nei sistemi naturali gestiti dall’uomo.............................................94 La gerarchia dell’energia................................................................. 97 Il deficit di autoregolazione delle élite......................................... 99 Strategie top-down e bottom-up per il cambiamento sociale..... 101 Pensiero top-down, azione bottom-up........................................... 101 La responsabilità personale.......................................................... 102 La ricchezza e il potere individuali.............................................. 104 La decadenza istituzionale e il ricambio organizzativo.............. 104 La mancanza di meccanismi di feedback diretto..........................105 L’individuo come sistema............................................................. 106

L’autocontrollo..............................................................................106

Le risorse rinnovabili come energia............................................113 I criteri per l’utilizzo delle risorse rinnovabili............................113 Il tempo di rinnovamento di una risorsa e l’emivita di un prodotto.. 113 Da ogni risorsa prodotti multipli.................................................. 114 La valutazione del processo globale............................................ 114 Uso appropriato............................................................................ 114 La dimensione del capitale fisso.................................................. 114 L’investimento di energie non rinnovabili................................. 114 Le celle solari: la salvezza a portata di mano o un diversivo tecnologico?........................................................... 115

Gli alberi sono le centrali elettriche solari della natura............ 116 Il ruolo appropriato delle celle solari...........................................117 L’uso sostenibile delle risorse rinnovabili...................................117 Risorse fluttuanti e mobili............................................................118 La regolazione delle raccolte dal selvatico nelle società tradizionali..................................................... 118 Lo sfruttamento sostenibile delle foreste native.......................... 119 La caccia in una prospettiva sostenibile...................................... 120

I servizi rinnovabili offerti dalla natura......................................121 Gli esempi classici della permacultura........................................ 121 Un esempio africano..................................................................... 123 Gli animali da lavoro..................................................................... 123 Servizi dell’ecosistema...................................................................125


314

Permacultura

La depurazione naturale delle acque........................................... 126

Dalla foresta pluviale alla foresta di eucalipti............................. 148

Il compost: un servizio reso dai microbi......................................127

I modelli di suolo.......................................................................... 149

Tecnologie ambientali...................................................................127

I modelli strutturali di vegetazione............................................ 149 Le foreste come modello per l’agricoltura................................... 149 Le foreste alimentari in permacultura........................................ 150 L’agroforestazione e la pluricoltura di specie arboree................ 150 Landcare e la riprogettazione dell’agricoltura australiana....... 151 L’optimum di piante e animali...................................................... 151 Alberi decidui e sempreverdi........................................................ 151 Piante che amano e non amano la fertilità del terreno............... 151 Biomasse animali e vegetali come indicatori di fertilità............. 152 I paesaggi nordamericani............................................................. 153 I paesaggi dello Stato del Victoria................................................. 153 I paesaggi di Sydney...................................................................... 153 Animali da pascolo....................................................................... 154 La progettazione di siti permaculturali..................................... 154 La progettazione di un sito come progettazione cellulare.......... 155 Zone, settori e pendii....................................................................156 Zone e dimensioni..........................................................................156 Pensiero lineare e pensiero immateriale.....................................158 Scale ottimali per produzione e sviluppo.....................................158 Settori............................................................................................ 160 I pendii...........................................................................................161 I modelli di territorio in permacultura.................................... 161 I concetti connessi all’idea di bacino idrografico.......................161 Valutazione e mappatura del territorio...................................... 164 I land systems................................................................................. 164 Applicazioni.................................................................................. 164 Limiti............................................................................................. 166 L’architettura bioregionale.......................................................... 167 L’esperienza del proprietario-costruttore.................................... 167 L’estetica della decrescita.............................................................. 168

Conclusione.................................................................................... 128

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6. Evita di produrre rifiuti. ................................................... 129 Rifiuti o scambi in natura...............................................................129 Ridurre al minimo gli scarti..........................................................130 Rifiuta e riduci............................................................................... 131 Il riutilizzo di contenitori.............................................................. 131 Scarti di cibo e acqua..................................................................... 132 Limitazioni al riuso....................................................................... 132 Le riparazioni.................................................................................. 133 Il riciclaggio................................................................................... 133 Modelli industriali.........................................................................134 Il riciclaggio industriale come strategia di transizione...............134 Una seconda rivoluzione industriale?.......................................... 135 Efficienza industriale e ingegno umano...................................... 136 Durata e manutenzione.................................................................136 L’ingegneria della manutenzione................................................. 137 Piante e animali infestanti come risorse sprecate......................139 Disponibilità di acqua, sostanze nutritive e terra........................ 139 L’opulenza...................................................................................... 139 Risorse umane sprecate..................................................................139 La spazzatura come natura.......................................................... 142 Conclusione.....................................................................................143

7. Progetta dal modello al dettaglio................................. 144 Pensare per modelli.......................................................................144 Scale spaziali e temporali.............................................................. 145 Scale fisiche o scale funzionali.................................................... 147 L’aggregazione di energia nello spazio e nel tempo.................. 148 I Modelli del territorio.................................................................. 148


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Indice

315

8. Integra invece di separare................................................. 170

La cooperazione nel capitalismo.................................................. 183

L’integrazione in natura.................................................................171 Tipi di relazioni ecologiche...........................................................171 Relazioni predatorie......................................................................... 171 Relazioni parassitarie...................................................................... 171 Relazioni competitive....................................................................172 Le relazioni di “evitamento”..........................................................172 Relazioni di mutualismo...............................................................172 Le relazioni simbiotiche................................................................172 Polarizzazione per opposti o unione emergente......................... 173 Ogni elemento svolge molte funzioni.........................................173 Pluri-funzionalità e complessità..................................................... 173 L’abbaglio della massima resa......................................................... 173 L’analisi funzionale..........................................................................174 Ogni funzione importante è sostenuta da molti elementi.......175 I sistemi di back-up........................................................................ 175 Il contributo complementare....................................................... 176 Gli arbusti da foraggio.................................................................. 176 La progettazione dei rifornimenti idrici...................................... 176 Semplificazione e segregazione................................................... 178

I mercati di nicchia........................................................................ 183 La natura determina la società...................................................... 183 Cooperazione interna, competizione esterna.............................. 183

Il conflitto tribale........................................................................... 184 Cultura aziendale ed ecologia....................................................... 185 Materialismo e spiritualità........................................................... 186 Ricostruire la comunità................................................................. 187 Caratteristiche di una comunità sostenibile................................187 La cultura alternativa.....................................................................188 Progettare la comunità..................................................................188 Il co-housing................................................................................... 189 Le comunità intenzionali all’origine della permacultura........... 189 L’uso dell’ecologia per descrivere la comunità............................ 190 Fryers Forest..................................................................................... 191 Proprietà collettiva o feudalesimo................................................ 191

9. Piccolo e lento è bello......................................................... 192

La separazione tra Stato e Chiesa.................................................179

I limiti energetici............................................................................192 La progettazione cellulare............................................................. 193 Le dimensioni in permacultura................................................... 194 Lento è sano................................................................................... 194 Melliodora...................................................................................... 194 Scala e velocità ottimali................................................................. 195 Limiti etici imposti allo sviluppo................................................ 196 Dopo la scomparsa dei grandi pesci............................................. 197

Cooperazione e integrazione........................................................ 179

La ricerca in agricoltura e le opportunità su piccola scala..........197

Integrazione industriale................................................................179 Usi integrati della terra................................................................ 180

Autoregolazione............................................................................. 198 L’utilizzo della terra in epoca preindustriale............................. 198 Scala e velocità industriali............................................................ 199

I modelli di proprietà terriera in città......................................... 180

La velocità industriale................................................................... 199

Modelli di competizione e cooperazione in natura e nella società.. 182

Tecno-ottimismo........................................................................... 201

Comunità pioniere........................................................................182

Piccolo è bello..................................................................................201

La segregazione nell’orto..............................................................178 Progettare la casa di campagna in base al principio della segregazione........................................178 Il concetto di segregazione nella destinazione d’uso dei terreni La segregazione etnica e l’apartheid.............................................179

Consociazioni e gilde in permacultura....................................... 180


316

Permacultura

Sviluppo aziendale e soluzioni a breve corso..............................201

L’autosufficienza richiede la diversità.......................................... 215

Le alternative aziendali.................................................................202

La sicurezza attraverso la diversità............................................... 215

Il gigantismo crea la nicchia aperta.............................................202

La diversità come mantenimento di una tradizione culturale... 215

La dematerializzazione delle aziende..........................................202

Miglioramenti nelle tecniche di coltivazione o spostamento

Durata delle multinazionali.........................................................202

degli obiettivi?................................................................................ 215

Il pensiero a lungo termine.......................................................... 203

L’equilibrio di produttività e diversità......................................... 216

Costruire muri di pietra............................................................... 203

L’allevamento animale e la diversità..........................................216

Strategie a crescita lenta in agricoltura e silvicoltura............... 204

L’allevamento su scala industriale............................................... 216

Le colture perenni.........................................................................204

I fantasisti dell’incrocio.................................................................217

La produzione di ortaggi..............................................................204

Diversità geografica e culturale..................................................... 218

Irrobustire all’aperto le piante da vivaio...................................... 205

Le culture dei cibi fermentati.......................................................218

Silvicoltura a lunga rotazione...................................................... 205

La diversità linguistica e la sua scomparsa..................................218

Il caso della sequoia californiana.................................................206

Globalizzazione culturale e rinascita delle culture legate al territorio..................................................................................... 219

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L’allevamento................................................................................ 207

Lo sviluppo dei bambini............................................................... 207 Slow Food......................................................................................... 207 L’economia dell’informazione..................................................... 208

Autosufficienza e diversità dei prodotti...................................... 220

Permacultura e information technology: ballare con il diavolo?..209

I Paesi ricchi..................................................................................220

Il paradosso dei radicali e dei conservatori.................................210 Fondamentalismo e valori reazionari.........................................210 Conclusione.....................................................................................210

I Paesi poveri.................................................................................220

Reazioni alla globalizzazione....................................................... 219 Nuove culture legate al territorio................................................. 219

Melliodora......................................................................................221

Il dibattito sulla diversità in permacultura................................. 221 Le dinamiche della diversità: proliferazione ed eliminazione....221

10. Usa e valorizza la diversità.............................................. 211

Melliodora..................................................................................... 222

La conservazione della biodiversità............................................. 211

I modelli di diversità ed eliminazione in silvicoltura................. 222

Riequilibrare produttività e diversità............................................212

La proliferazione naturale.............................................................223

La specializzazione in natura........................................................ 212 Diversità e specializzazione nei modelli di territorio..................212

Ricostituire la diversità.................................................................. 223 La rivegetazione. ........................................................................... 223

La diversità crea stabilità?.............................................................. 213

Il ritorno alle specie indigene...................................................... 224

La complessità strutturale............................................................. 213

Diversità economica e diversità sociale...................................... 224

La diversità di età........................................................................... 213

Un patchwork di sistemi basati sulla diversità............................ 224

La diversità genetica......................................................................214

La ricerca-attiva di diverse soluzioni agricole..............................225

La diversità coltivata di epoca preindustriale............................. 215

Mercati di massa e mercati di nicchia.........................................226


Indice Comunità, collettività e diversità................................................. 227

12. Reagisci ai cambiamenti e usali in modo creativo..... 245

Il multiculturalismo..................................................................... 227

Le prospettive sistemiche sul cambiamento.............................246 I mutamenti in prospettiva top-down..........................................246 La progettazione in permacultura come cambiamento top-down..246 La resilienza ai cambiamenti imposti dall’alto........................... 247 Flessibilità.....................................................................................248 L’entropia come costante fonte di cambiamento........................248 Rinnovamento e durata nell’ambiente costruito........................248 Modelli ecologici di successione................................................. 250 La successione classica.................................................................... 251 La composizione floristica iniziale............................................... 251 L’uso della successione vegetale e animale in permacultura...... 252 Le piante vengono prima degli animali....................................... 253 La fattoria didattica Collingwood................................................. 254 L’esperienza dei corsi di progettazione in permacultura........... 254 Il modello pulsante di successione ecologica............................. 254 L’evoluzione del territorio............................................................ 254 La teoria del caos.......................................................................... 256 L’incendio come impulso negli ecosistemi australiani.............. 256 Ecosistemi agricoli pulsanti..........................................................257 Il pascolo a settori..........................................................................257 Rotazioni con pascolo e sovescio..................................................257 Ricrescita del bosco e conservazione del suolo...........................257 Il taglia e brucia delle zone tropicali.......................................... 258 Lezioni per la progettazione e gestione della terra nella prospettiva permaculturale................................................. 258 La pacciamatura a tappeto e le alternative alla successione vegetale.259 La foresta alimentare come successione vegetale.......................259 Un modello di mutamento di un ecosistema in quattro fasi...260 La successione in economia e società......................................... 261 I pionieri del ritorno alla terra........................................................ 261 La gentrification............................................................................. 261 La successione dei nouveaux riches.............................................. 262

La diversità biologica umana....................................................... 228

11. Usa e valorizza il margine............................................... 230 I margini nel paesaggio................................................................. 230 Le coste........................................................................................... 231 Gli ecotoni..................................................................................... 230 Ecosistemi terrestri........................................................................ 231 Il margine su microscala..............................................................232

Il margine come proprietà sistemica........................................... 232 Il sovrapporsi di margini concettuali.............................................234

Il margine nei territori coltivati...................................................234 La vecchia Inghilterra....................................................................234 I terrazzamenti del Mediterraneo.................................................234 L’Australia com’era una volta........................................................ 235 La gestione aborigena della terra.................................................. 235

Esempi urbani di utilizzo del margine........................................ 237 Francesco Papa - Ordine n.535943-251501

317

Il margine urbano-rurale..............................................................237 Le vetrine dei negozi come margine............................................237

Esempi classici in permacultura................................................... 237 La rivegetazione.............................................................................238 Agroforestazione............................................................................238 Il margine progettato come segregazione appropriata............ 239 Gli effetti dell’intensità di utilizzo.............................................. 239 Il Kakadu National Park e la perdita del margine..................... 240 Il valore dei sistemi marginali..................................................... 240 Cibi selvatici dal margine.............................................................240 I quartieri disagiati come sistemi marginali...............................241 La città e il suo hinterland come centro e margine . ...................241 Le origini marginali della permacultura..................................... 242 Idee e scienza del margine...........................................................243


318

Permacultura

I cicli socio-politici come modelli pulsanti................................. 262

L’umanità come parte della natura.............................................. 270

L’onda pulsante dei combustibili fossili................................... 263 Cambiamenti evolutivi.................................................................264 La selezione di animali e piante.................................................. 264 Evoluzione ed estinzione delle specie......................................... 264 L’evoluzione postdarwiniana....................................................... 265 L’analogia con il gioco del biliardo.............................................. 265 L’evoluzione dei sistemi................................................................ 267 L’ecosintesi...................................................................................... 267

Proprietà emergenti.......................................................................271

Ecosintesi, infestanti e successioni ecologiche nei paesaggi urbani...................................................................... 268 Weedscape ripari a Melbourne.................................................... 268

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Weedscape ripari a Hepburn Springs......................................... 269

L’ingegneria genetica: evoluzione esplosiva o sogno tecnologico?....................................................................................272

Equilibrio dei generi e sostenibilità.............................................273 Pensiero a lungo termine, cicli su grande scala...........................275 I modelli pulsanti della vita sulla Terra....................................... 276

Aggiunto dopo l’11 settembre 2001........................................278 Note................................................................................................281 Bibliografia scelta........................................................................ 301 Indice analitico............................................................................ 303


Elenco delle figure

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Figura 1. Figura 2. Figura 3. Figura 4.

Il fiore della permacultura......................................20 L’albero della permacultura.................................... 25 Analisi permaculturale per zone e settori...............28 Dinamiche culturali su larga scala basate sul flusso delle energie fossili......................................... 30 Figura 5. Unione emergente di materialismo e spiritualità attraverso percorsi di creazione e distruzione......... 34 Figura 6. La spirale azione-apprendimento........................... 45 Figura 7. Un ecosistema visto come circuito energetico.......... 53 Figura 8. Vari modelli di sistemi fluviali (secondo Tané 1996)..............................................58 Figura 9. La matrice della fertilità del suolo e dell’equilibrio....65 Figura 10. Potenza massima per una macchina termica........78 Figura 11. Quoziente di rendimento EMERGY di combustibili da biomassa come funzione di frequenza del raccolto (secondo Odum 1966)...........................................88 Figura 12. L’altruismo tripartito per la distribuzione dell’energia disponibile (secondo Odum 1983)..........................95 Figura 13. La piramide alimentare come modello di ecosistemi e società tradizionali............................................. 98 Figura 14. La gerarchia energetica nelle società preindustriali e moderne............................................................. 100 Figura 15. Modello di piramide alimentare delle società tradizionali, industriali e post-industriali............ 103 Figura 16. Decadimento infrastrutturale e manutenzione.....................................................138 Figura 17. Il modello wineglass (a calice) dell’attività economica globale....................................................... 141 Figura 18. Gerarchia di sistemi nel tempo e nello spazio (secondo Odum & Odum, 2001).......................... 146

Figura 19. Gerarchia di sistemi inserita nel tempo e nello spazio...........................................147 Figura 20. Gradiente dei tipi di vegetazione in climi temperati a media piovosità: dalla prateria alla foresta a chioma e poi alla brughiera (con relativi riflessi nella popolazione animale) che riflette la fertilità del terreno...155 Figura 21. Le zone disposte intorno alla casa in base all’intensità d’uso...................................................157 Figura 22. Scale dell’uso della terra in Australia.................... 159 Figura 23. Scale di produzione ottimali di ortaggi (la sommità della collina rappresenta lo stadio di sviluppo che bisogna superare per arrivare a un nuovo optimum di scala)........160 Figura 24. Analisi per zone e settori di Melliodora................ 162 Figura 25. Uso del pendio a Melliodora................................. 163 Figura 26. Il tipico modello ad albero di un bacino idrografico....................................... 165 Figura 27. Relazioni integrate e segregate in natura.............. 174 Figura 28. Il simbolo Yin-Yang della spiritualità orientale.... 187 Figura 29. Velocità e movimento nelle società industriali e post-industriali...................................................196 Figura 30. Ecotoni in sovrapposizione tra bioregioni principali, lungo la costa meridionale del New South Wales.............................................231 Figura 31. Una possibile rappresentazione concettuale di interazioni tra sistemi auto-organizzati...........233 Figura 32. Confronto di due paradigmi di crescita e successione (secondo Odum 1987)...........................................255 Figura 33. Il ciclo culturale tradizionale hindu (secondo Lawlor 1991)......................................... 275


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