... RESTAURANDO ANCONE VOTIVE
Camino al Tagliamento - Frazione Glaunicco
Ottobre 2011 a cura di Serena Bagnarol Franco Del Zotto Vera Fedrigo
Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia. Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico del Friuli Venezia Giulia
con il sostegno di:
a cura di Serena Bagnarol, Franco Del Zotto, Vera Fedrigo
Periodo dell’intervento 2008-2011
Direzione lavori ministeriale Maria Chiara Cadore, Paolo Casadio, Elisabetta Francescutti
Direzione tecnica ministeriale Nicoletta Buttazzoni Restauro
CRAC conservazione restuaro arte contemporanea di Franco Del Zotto e Vera Fedrigo s.n.c.
Cura redazionale, realizzazione grafica, documentazione fotografica del restauro
CRAC conservazione restuaro arte contemporanea di Franco Del Zotto e Vera Fedrigo s.n.c.
Testi
Beniamino Frappa, Luca Caburlotto, Serena Bagnarol, Franco Del Zotto
Comune di Camino al Tagliamento
Si ringrazia per la gentile collaborazione:
Paola Bertossi Claudio Bravin Paolo Casadio Giuseppe Danussi Elisabetta Francescutti Massimo Grillo Fam. Antonio Liani Fam. Osvaldo Liani
Bruno Panigutti Norma Scaini Valentino Scaini Giuliano Venier Ennio Zorzini
© 2011 comune di Camino al Tagliamento - tutti i diritti riservati Finito di stampare ottobre 2011 presso Litografia Ponte, Talmassons (Ud) supplemento gratuito de “La Fornace” anno 2011 n. 13
È con immenso piacere che presento questo agile volume riguardante il restauro dell’edicola votiva di via Ippolito Nievo a Glaunicco.
Molti si saranno chiesti, e penso soprattutto agli abitanti della nostra amata frazione, il motivo di tanto interesse per un’opera di cui essi hanno essenzialmente apprezzato, in tutti questi anni, il valore devozionale. L’operazione di stacco dello strato più superficiale, che da sempre era sotto gli occhi delle persone (penso a chi si soffermava a portare un fiore o a recitare una sentita preghiera davanti a quelle immagini o a coloro che, soltanto di passaggio, ne aprivano il cancelletto per curiosità) ha portato alle luce ben due strati precedenti, più antichi. Ed è a questo scopo che si è pensato di intraprendere questo restauro, mirabilmente portato a termine da Franco Del Zotto: per regalare alla vista e alla conoscenza dei concittadini un pezzo prezioso della nostra storia, che si estende dal Cinquecento ai giorni nostri. È la storia con la “s” minuscola che si intreccia con quella delle grandi gesta e con l’epoca di fioritura e di potere della Pieve di Rosa, che amministrava e governava con oculatezza le proprie ville. E sulle pareti dell’edicola di Glaunicco si legge ancora, tra la devozione alla Madonna
e ai Santi protettori delle nostre campagne, tra cadute e ripristini, il senso e il valore della conservazione di una cultura che non può e non deve cadere nei meandri del provvisorio e del superficiale.
Il recupero dell’ancona di Glaunicco costituisce un ulteriore passo nella tutela di quella “diffusa sacralità” del territorio che si manifesta con affreschi, croci, capitelli e consimili opere devozionali e che da alcuni anni, con particolare riferimento al medio Friuli, è diventata oggetto di un interessamento intelligente da parte di amministrazioni pubbliche e privati cittadini.
La pubblicazione, nel 2000, del censimento delle cosi dette “icone votive”, realizzato da Giuseppina Stocco, saluta il rinnovato interesse per quei segni della nostra storia e dei nostri paesi che, minori forse solo per qualità esecutiva, rispecchiano invece sempre tradizioni fortemente radicate nella collettività, di cui le immagini, i simulacri, le piccole o grandi ancone diventano segno tangibile.
La loro straordinaria diffusione e la permanenza, nonostante le trasformazioni, nel corso dei secoli richiede un atteggiamento conservativo particolare. Il caso di Glaunicco è emblematico. Al di sotto dell’intonaco più recente, forse degli inizi del Novecento, almeno nella parte frontale, se ne sono trovati sicuramente altri due e il più antico può farsi risalire almeno al XVI secolo. Diversi anche i livelli di pavimentazione rinvenuti: il piccolo sacello, l’edicola, esisteva già nel Cinquecento.
Ecco allora l’importanza del suo restauro, che non riguarda soltanto le superfici decorate, ma la costruzione, l’ambiente che la circonda e tutte le manifestazioni popolari, se esistono, ad essa legate e che fanno parte di una memoria collettiva che rischia di scomparire nel nostro mondo dominato dalla velocità della tecnologia. Né si resti delusi per il carattere frammentario di ciò che si è recuperato: quelle pitture murali erano scomparse da decine e decine di anni, occultate da superfetazioni oramai illeggibili. La ricucitura del tessuto figurativo ci permette ora di apprezzare immagini per noi sconosciute, ma oggetto di devozione, lungo la strada, da parte dei nostri avi. Un lavoro importante di tutela, cui ha contribuito l’attività sinergica del Comune, della Regione e della Soprintendenza: l’auspicio è che si continui con il recupero di queste importanti testimonianze che costellano il tessuto urbano dei paesi friulani.
Luca CaburlottoSoprintendente per i beni storici, artistici ed etnoantropologici del Friuli Venezia Giulia
Fig.1. Ancona Votiva prima del restauro, visione esterna.
Fig.2. Ancona Votiva prima del restauro, visione interna.
La StOrIa
L’anconadiGlaunicco:riflessionisuunpalinsestodevozionaleL’ancona sita in via Ippolito Nievo è un piccolo avamposto di fede e devozione popolare per chi, provenendo dall’omonima via, giunge alla frazione caminese di Glaunicco. Di forme architettoniche semplici, probabilmente rielaborate nel corso del XVIII secolo, essa presenta una facciata timpanata poggiante su una cornice scanalata che corre tutto intorno la cappella; la copertura, a doppio spiovente, è in coppi. L’apertura, composta da un fornice profilato nella parte più alta da un archivolto a rilievo, dal quale emergono le forme di due capitellini laterali e di una specie di chiave di volta, è chiusa da un portoncino in legno di fattura moderna. Le due pareti laterali, sempre esternamente, presentano due piccole nicchie cieche poste a circa mezzo metro di altezza; l’intera struttura è stata intonacata abbastanza di recente anche se, come testimonia la relazione del restauratore Franco Del Zotto, presentava i segni di deperimento tipici di una costruzione esposta agli agenti atmosferici: muffe e licheni nella parte inferiore dei muri perimetrali, poco al di sopra dello stretto marciapiede in cemento che gli corre tutto intorno e, sotto il tetto, sollevamenti e sfogliature determinate da infiltrazioni d’acqua: tutte criticità risolte dopo l’ultimo intervento (Fig. 1).
Il recentissimo restauro ha interessato principalmente le
pareti interne dell’ancona, portando allo stacco degli affreschi databili tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, che rappresentavano, sulla parete di fondo (o nord) della cappella, la scena con la Fuga in Egitto secondo la tradizionale iconografia che vede protagonisti San Giuseppe, la Vergine e il Bambino. Le figure sono riprodotte nel corso del loro cammino, con il capofamiglia in testa al gruppo, che porta sulla spalla il fagotto del pellegrino e conduce il figlio e la Madonna verso la salvezza; l’ambientazione è spoglia, ricreata solamente per il tramite dell’arido terreno, dal quale spunta qualche rado e tormentato elemento vegetale. Anche le pareti est ed ovest risultavano affrescate con due figure di Santi: un San Lorenzo sul lato orientale adiacente alla Fuga, riconoscibile dall’attributo della graticola, e un altro martire sul muro opposto, di cui rimane solamente la palma e parte del volto calvo e barbuto (San Paolo?). Tutte le scene sono incorniciate da uno zoccolo sui toni dell’ocra e del viola, sul quale si innestano due paraste ottenute con le medesime tinte e arricchite, nella scanalatura centrale, da rosette a stampo (Fig.2). L’intera decorazione, di qualità modesta e realizzata da un ignoto artista, è stata ricordata soltanto nella pubblicazione dedicata a le Icone votive del Medio Friuli, dove peraltro il soggetto principale viene definito semplicemente
come Sacra Famiglia. L’operazione di stacco è stata resa necessaria dalle evenienze che già si riscontravano ad un esame superficiale degli intonaci: dai saggi effettuati nel passato sulle malte, infatti, vi era la seria possibilità che vi fossero degli strati di affresco antecedenti. L’esempio macroscopico si aveva al disopra del riquadro con la Fuga in Egitto, dove apparivano chiaramente i resti del volto di una Madonna col Bambino (Fig.2). In realtà, gli strati sottostanti rinvenuti sono stati addirittura due: il primo databile anteriormente al 1771, come testimoniato dall’incisione, in numeri romani, riapparsa sull’intonaco della parete destra: essa deve essere considerata, per la sua posizione, la testimonianza di un intervento architettonico sulla piccola costruzione, piuttosto che la data di esecuzione dell’affresco. Prima di tale momento, quindi, sulla parete di fondo era stata raffigurata una Madonna col Bambino, replica dell’immagine che riemergerà su quello che può essere considerato, a pieno diritto, lo strato più antico della decorazione. Valutando lo stato di conservazione dei vari palinsesti si è in tal modo deciso di arrestarsi alla fase tardo seicentesca, per ciò che concerne le due pareti laterali, mentre si è preferito far riemergere, su quella di fondo, parzialmente, anche il momento cinquecentesco. Alla fase più antica appartengono soltanto il volto della Vergine e
del Bambino, nonché un’indistinta “macchia” ocra visibile sotto la parte alta del seicentesco Vescovo orante. Dalla sola presenza, pur significativa, dei visi dei protagonisti, peraltro in buona parte risarciti, appare indubbiamente difficoltoso assegnare una connotazione stilistica allo strato di XVI secolo. Alcuni particolari, come la bocca fortemente disegnata, con un fossetta arcuata verso il basso a delineare la parte superiore del mento, l’arcata sopraccigliare resa con un segno netto e preciso, l’incavo oculare ombreggiato per mezzo dell’intensificazione delle tinte terrose che connotano gli incarnati e fanno assumere alle figure un’aria di sfinimento tutto terreno, rendono plausibile un avvicinamento all’attività di Marco Tiussi. Lo stesso atteggiamento originario del Bambino, che si può supporre eretto tra le braccia della madre, si trova frequentemente nell’iconografia cara all’artista. Del pittore, figlio di Gian Pietro di Spilimbergo, esercitante lo stesso mestiere, non sono noti con esattezza i particolari biografici: lo si ritiene nato intorno al 1500, ma probabilmente anche qualche anno più tardi, se il suo primogenito venne battezzato il 20 settembre 1545 a Spilimbergo, per poi diventare officiante nella cappella del Duomo della cittadina ed essere indicato dai documenti, nel 1575, come quondam Marco de Tarsis. Se a quella data, Marco Tiussi risultava già de-
Fig.3. Pomponio Amalteo (1532): Madonna con Bambino tra i santi Lorenzo e Pietro. BUGNINS, chiesa parrocchiale.
ceduto, si potrebbe circoscrivere il suo arco di attività tra il primo quarto del XVI secolo e gli anni settanta dello stesso. Il limite geografico del suo operare si estende dalla zona spilimberghese e della destra Tagliamento (Spilimbergo, Baseglia, Gaio, Tauriano, Valeriano di Pinzano al Tagliamento Arzenutto, Bolzano di Morsano al Tagliamento, Morsano stessa, Saletto di Morsano, Gorgo di Fossalta di Portogruaro, Ramuscello di Sesto al Reghena), che raggiunge anche la pedemontana (Sequals, Vito d’Asio, Rive d’Arcano, San Daniele del Friuli) fino ad inoltrarsi nella pianura friulana (Belgrado e Romans di Varmo, Codroipo, Gradisca, Rivis e San Lorenzo di Sedegliano), dove lascia forse la sua opera più famosa, la miracolosa Madonna di Rosa, ora conservata presso il santuario della località. Non sarebbe dunque fuori luogo pensare che, oltre al perduto, il pittore possa essere stato incaricato di affrescare anche l’ancona di Glaunicco, non essendo nuovo peraltro a tale tipologia: mi riferisco agli esempi della chiesetta, ora edicola, di San Giovanni eremita a Spilimbergo, a quella di piazza Trento-Trieste a Gaio e a quella di Tauriano, situata sulla strada verso Vivaro. Nella realizzazione della Vergine col Bambino, il pittore aveva probabilmente presente l’illustre esempio della pala d’altare realizzata da Pomponio Amalteo attorno al 1532 per la
Fig. 4. Pomponio Amalteo (1537): Madonna del Rosario con il Bambino in gloria tra i santi Sebastiano, Rocco e Antonio abate. TRAVESIO, chiesa parrocchiale di San Pietro.
chiesa di Bugnins (Fig. 3), dove la Madonna, affiancata dai Santi Lorenzo e Pietro, presenta un panneggiare del mantello, che si apre rigonfio alle sue spalle e lascia parzialmente scoperto il piede sinistro, assai simile a quello di Glaunicco e visibile anche nella Madonna del Rosario della parrocchiale di San Pietro a Travesio (1537), pur pesantemente compromessa da ridipinture ottocentesche (Fig.4), e in altre opere di autori di scuola amalteiana, come la Madonna in trono e i Santi Pietro e Paolo di Giuseppe Moretto per la parrocchiale di Osigo. Anche se questa parte della Madonna spetta al pittore tardo seicentesco, responsabile anche della figura del vescovo inginocchiato alla destra della Vergine, delle teste di cherubini che occhieggiano ai lati, e del San Lorenzo collocato dalla parte opposta, distinguibile dalla graticola, dalla palma del martirio e dal libro, è assai probabile che egli si mantenga fedele all’iconografia cinquecentesca, rinvenibile anche nell’inquadratura architettonica della scena: un arco, del quale si è completamente persa la parte superiore, sostenuta da due paraste, come nel dipinto amalteiano di Bugnins e nella pala di Sant’Antonio (1676) della chiesa di Pieve di Rosa, di quell’esperto pittore in copie da autori cinquecenteschi che fu Lucilio Candido (Fig. 5). Riguardo al mantenimento dell’iconografia precedente, qualche dubbio po-
Fig. 5. Lucilio Candido (1676): Pala di Sant’Antonio. PIEVE DI ROSA, chiesa di Santa Maria.
trebbe sorgere soltanto per quel che concerne la figura del prelato, che ha maggiori probabilità di essere stata inserita ex-novo per commemorare qualche occasione particolare (si ricordi, per esempio, la visita pastorale del patriarca di Aquileia, avvenuta il 23 maggio 1675, durante la quale si attesta che la chiesa di Glaunicco è consacrata, pur non conservando l’Eucarestia). Nel corso del XVII secolo, peraltro, quando si decise di trasformare la Madonna in una Vergine del Rosario, dotandola della corona e mettendo in mano al Bambino una rosa delicatamente appassita, la devozione mariana si consolidò fortemente nelle ville della Pieve di Rosa: il 16 dicembre 1636, Domenico della Frattina, curato di Camino al Tagliamento, chiamò padre Tomaso da Portogruaro per l’erezione della Confraternita del Rosario, presso la chiesa del paese. Erroneamente, si indica come suo luogo di erezione la cappella ora posta sulla parete destra dell’edificio sacro, ignorando che questa, ab antiquo, ne costituiva l’abside. La chiesa venne trasformata, con un mutamento dell’orientamento, dopo la sua ricostruzione del 1927, quando il presbiterio divenne, appunto, cappella del Rosario, decorata in seguito dal pittore Tiburzio Donadon. Ritornando alla fondazione seicentesca della Confraternita, essa avvenne con grande concorso di po-
Fig. 6. Pomponio Amalteo (1550): Teoria di putti (part.), intradosso dell’arco trionfale. BASEGLIA, chiesa parrocchiale.
polo e con la licenza dell’allora patriarca di Aquileia Marco Gradenigo, nonché alla presenza di monsignor Ludovico della Frattina, fratello di Domenico, del primo cameraro Luigi Paniguto e del pievano Andrea Julianis, curato di Pieve di Rosa. Nel registro della confraternita risultano iscritte persone provenienti da tutti i paesi limitrofi. Non va dimenticato, poi, che il 1655 fu l’anno dell’apparizione mariana di Pieve. La scelta del San Lorenzo appare invece più usuale, soprattutto nell’ambito delle edicole votive stradali poste in ambito rurale: egli, infatti, è invocato come protettore contro gli incendi e le malattie delle viti. Alla medesima fase degli affreschi della parete di fondo, perché vi è un’evidente continuità nella stesura dello strato d’intonaco, vanno assegnate anche le decorazioni delle due pareti laterali: stranamente, esse non raffigurano soggetti religiosi, ma vanno piuttosto inserite nel novero della pittura ornamentale. Su una bassa balaustra in finta pietra, arricchita da volute e racemi, poggiano, sia sulla parete orientale sia su quella occidentale – dove peraltro questo elemento è meglio conservato – due cantari finemente intagliati e baccellati. Sulla parete est, la messa in scena è ulteriormente arricchita dalla presenza di un angioletto che siede agiatamente, quasi a scavalco, sul breve muric-
ciolo e trattiene con la mano sinistra una delle anse del grande vaso, forse sormortato in origine da un trionfo di frutti, di cui ora rimane visibile per intero soltanto un pomo. Questa decorazione, dal sapore antichizzante –in cui non vanno esclusi velati riferimenti di tipo eucaristico– si inserisce in quella tradizione di recupero della tradizione classica, della quali si fanno portatori anche i più insigni pittori del Cinquecento friulano: un caso per tutti è quello dell’ornamentazione dell’intradosso della chiesa della Santa Croce di Baseglia da parte di Pomponio Amalteo (Fig. 6). La corsività, l’uso di una linea di contorno pesante e incisiva, la violenza del chiaroscuro e la sproporzione di alcuni particolari anatomici, ben si inseriscono in una stanca ripetizione di moduli, tipica di un artista “popolaresco” operante oramai in un languente XVII secolo.
Restaurando ancone votive
L’intervento che viene ad essere trattato riguarda una delle tante cappelle votive sparse sul nostro territorio Friulano, delle quali purtroppo diventa sempre più difficile promuovere la loro salvaguardia.
L’Ancona votiva di Glaunicco è una cappellina dalla struttura architettonica semplice, come narrato precedentemente. Nel corso dei secoli tale manufatto ha subito diverse trasformazioni, sia dal punto di vista formale, come la variazione delle altezze o la quota del pavimento, sia dal punto di vista decorativo, come si può vedere nella sovrapposizione dei diversi strati di affresco. Sicuramente anche l’esterno e principalmente le nicchie laterali, possedevano una superficie decorata ad affresco, purtroppo danneggiata dal tempo e dalle manutenzioni. L’intervento ha interessato l’apparato interno, aspirando al recupero di una coerenza formale e storica, nonché dandogli un corretto valore, quale bene culturale. Il tempo aveva cancellato una corretta lettura dell’edificio, proprio a causa degli eventi di trasformazione e vandalismo storico (rozze messe in luce e picchiettature eseguite negli strati più antichi). Si è cercato quindi di riportare l’edificio verso una nuova lettura d’insieme, impostata sul rispetto totale dell’esistente. È per questo motivo che l’intervento
si è sviluppato su più strati storicizzati di affresco, rispettando ognuno di essi, in funzione nella loro globalità.
Note sull’affresco e la pittura murale Sebbene sia impossibile rendere esaustivo in poche righe un tema così ampio come la pittura murale e l’affresco è essenziale cercare di descrivere cosa vuol dire eseguire questo tipo di pittura murale per poter comprendere meglio i meccanismi alla base degli interventi di restauro.
Le tecniche di esecuzione della pittura murale sono molteplici e solo approssimativamente possono essere suddivise in buon fresco, mezzo fresco, pittura a bianco di calce, pittura a secco. Sovente tuttavia le opere non venivano eseguite solo con un’unica tecnica, ma con una varietà di tecniche in base alle esigenze espressive ed anche alle ragioni economiche. Generalmente quindi usiamo la parola “affresco” per indicare un dipinto murale, ma si tratta spesso di una definizione inesatta, poiché esso definisce solo una delle tante tecniche per la pittura murale. L’affresco è una tecnica pittorica che consiste nel dipingere con pigmenti macinati e stemperati in acqua su di un supporto costituito da intonaco ancora “fresco”, in cui cioè l’idrato di calcio, che costituisce il legante, non è ancora
Fig.7. Decorazioni parete Nord. Stato di conservazione prima del restauro.
In basso:
Fig.8. Decorazioni parete Est. Stato di conservazione prima del restauro.
Fig.9. Decorazioni parete Ovest. Stato di conservazione prima del restauro.
Fig.10. Particolare del sudiciume depositato sul dipinto.
Fig.11. Particolare delle colature di cera e recenti applicazioni di chiodi metallici sul dipinto.
“carbonatato”. Per fare un buon affresco corretto “buon fresco” il supporto deve essere quindi preparato ad hoc, per strati successivi quali arriccio, intonaco e intonachino. Questi strati sono formati dallo stesso tipo di materiali, cioè una carica di sabbia con granuli di pietrisco e della calce spenta, ma differiscono per granulometria e percentuali, per far sì che man mano lo strato soprastante sia sempre più liscio e omogeneo. In altre parole l’intonaco viene dipinto nel momento in cui comincia, come si dice in gergo tecnico a “tirare”, ossia quando l’acqua contenuta nella malta migra nell’arriccio sottostante lasciando liberi i pori superficiali dell’intonaco, che diventa pronto a ricevere i pigmenti. Nella fase di asciugatura della malta invece si forma un processo di carbonatazione dell’idrossido di calcio contenuto nell’in-
tonaco che, trascinato sulla superficie pittorica dall’acqua durante la fase di evaporazione, fissa i colori rendendoli resistenti agli agenti esterni.
Le stesure ad affresco spesso seguono, come in questo caso, stesure con colori stemperati a bianco di calce, ossia “a secco”, stesi su di un intonaco ormai asciutto, e risulta difficile differenziare con certezza la pittura a secco da quella ad affresco. In certi casi, dopo aver steso le tonalità di base, i massimi toni erano stesi a secco anche per correggere o equilibrare le giornate di lavoro, e l’aggiunta di un legante su di un intonaco non completamente asciutto permetteva all’artista di ampliare la gamma cromatica, rendendo i colori più vividi e corposi. In ogni caso, inoltre, era buona pratica rifinire i dettagli con colori a tempera a conclusione del lavoro.
Descrizione dell’opera Internamente la struttura presentava decorazioni su tre pareti (Fig. 7,8,9), raffiguranti scene risalenti ai primi del ‘900, di molto modesta qualità, che poggiavano su di un intonaco dello stesso periodo. Tutte le scene erano racchiuse in un’incorniciatura a riquadri con costoloni e decorazioni eseguite con l’ausilio di stampi.
Fig.12. Particolare del volto di Gesù Bambino, parete Nord: policromia novecentesca con alterazione della biacca.
Fig.13. Particolare San Giuseppe con Gesù Bambino, parete Nord: policromia novecentesca con alterazione della biacca.
Ciascuna superficie dipinta aveva una dimensione di circa 180x180 cm. La tecnica adoperata plausibilmente sembrava essere affresco e tempera a calce. Abbiamo trovato anche la presenza di saggi abbastanza recenti atti a scoprire se ci fosse stato qualcos’altro sotto tali decorazioni. Essi risultavano ai nostri occhi effettuati con poca professionalità oltre che collocati centralmente nelle tre pareti, deturpando la lettura, se pur ammalorata già da prima, della pittura più recente. Senza dilungarci ulteriormente nell’analisi iconografica si rimanda allo scritto di Serena Bagnarol, così da poterci soffermare maggiormente nell’aspetto tecnico operativo.
Stato di conservazione
Lo stato di conservazione della struttura architettonica esteriormente risultava discreto, erano presenti unicamente muffe e licheni sparsi lungo le pareti della struttura muraria ed alcune piccole infiltrazioni di acqua (Fig. 1). All’interno lo stato di conservazione degli affreschi versava in gravi condizioni (Fig.2). Erano presenti, su tutte e tre le superfici, notevoli abrasioni e alterazioni cromatiche, sollevamenti, distacchi delle malte tra strato e strato e con la muratura, esfoliazioni di colore, nonché perdita di
porzioni di decorazione novecentesca; condizione determinata da qualche antico saggio di messa in luce oltre che dall’azione del tempo, come già descritto sopra. Tutte le pareti si presentavano completamente sporche di sudiciume, particellato e colature di cere (Fig. 10 e 11).Entrambe le scene laterali novecentesche, avevano perso la loro leggibilità (Fig. 8 e 9), e di esse rimanevano solo alcune ridotte porzioni di decoro. Di tali porzioni si poteva osservare anche il degrado dello strato pittorico e le ossidazioni del tempo avvenute su determinati pigmenti come il bianco steso a biacca1 divenuto bruno e le decorazioni dei costolo-
1 La biacca, o bianco di piombo, è un pigmento inorganico, il cui costituente principale è il carbonato basico di piombo. È stato l’unico bianco disponibile insieme al bianco San Giovanni fino al XIX, e sebbene sia una sostanza tossica fu molto usata per ogni tecnica artistica. L’essicca zione è abbastanza veloce ed una volta essiccato risulta molto robusto,
ni eseguite con del pigmento verde rame2 quasi totalmente illeggibili a causa della predisposizione intrinseca del pigmento che tende ad alterarsi poiché poco stabile alla luce. Lo strato novecentesco della scena centrale, La fuga in Egitto (denominata anche Sacra famiglia), risultava essere la scena più integra e meno danneggiata (Fig.12 e 13).
Molto evidenti, in tale parete, erano le alterazioni degli incarnati che probabilmente, realizzati con finiture a biacca, nel tempo e per effetto di ossidazione, sono diventate bruno-violacee1.
Le cromie novecentesche furono realizzate in parte ad affresco sull’intonaco umido e poi rifinite a secco, probabilmente con della tempera a calce. L’intonaco realizzato si tuttavia tende a perdere di coprenza con il passare degli anni. Tende a scurire, a causa dell’azione delle tracce di acido solfidrico presenti nell’aria; inoltre ossidandosi si trasforma in ossido di piombo, di colore marrone. Questa tendenza all’incupimento è molto più evidente quando questo bianco è utilizzato con leganti magri (pittura murale, tempera, etc.) ed in presenza di umidità, come in questo caso. Nell’affresco, come in tutte le tecniche ad acqua, è un pigmento fortemente sconsigliato, anche per una marcata refrattarietà a mescolarsi omogeneamente con l’acqua ed è per questo che viene spesso usato a secco, come in questo caso, per darei colpi di luce finali al dipinto.
2 Il verderame è composto piuttosto trasparente, formato da acetato di rame. Esso fu usato fino al fino al XIX, e possiede una buona resistenza alla luce tuttavia sbiadisce o annerisce in caso si presenza di pigmenti a base di solfuri, creando una reazione irreversibile, come è avvenuto in questa situazione.
presentava molto rigido, probabilmente a causa della presenza, all’interno della miscela di sabbia e grassello di calce, di una percentuale di calce idraulica. Proprio per la sua troppa rigidità e robustezza, in alcune parti, si è sollevato e staccato dagli strati sottostanti più antichi, costituiti da una malta di consistenza più debole. In tempi abbastanza recenti alcune di queste cadute sono state tamponate con dei riempimenti che non si sono limitati a coprire le lacune, ma hanno anche interessato e scialbato parti della decorazione novecentesca. Essi sono stati eseguiti con una malta cementizia, nell’intento di “risanare” le zone in cui era ceduto l’intonaco danneggiato. Essendo stato usato, un materiale ancora più rigido rispetto al precedente, tale intervento ha creato nel tempo uno strappo parziale degli intonaci più antichi, con relativa caduta di entrambi gli intonaci. Le stuccature eseguite con malte cementizie hanno peggiorato la condizione novecentesca, mettendo in evidenza le problematiche di fondo di tale intervento, quali la diversa risposta meccanica delle variazioni termo-igrometriche delle diverse malte. Proseguiamo descrivendo gli strati pittorici sottostanti i dipinti novecenteschi, presenti nelle pareti laterali della cappelletta. Nella parete est, pulendo i margini di una la-
Fig. 14. Particolare parete Nord. Antico saggio di messa in luce in cui è visibile il terzo affresco sottostante, raffigurante Madonna con Bambino, seconda metà del cinquecento.
Fig. 15. Particolare parete Nord. Antico saggio di messa in luce in cui sono evidenti le stratificazioni dei tre dipinti sovrapposti: n.1 policromia affresco cinquecentesco con tecnica di vero affresco, n.2 affresco di fine seicento, n.3 affresco novecentesco.
cuna prodotta anticamente per una parziale messa in luce del dipinto sottostante, emersero delle incisioni: un’iscrizione che sembrava riportare la data 1771 in caratteri romani, che appariva eseguita a superficie già carbonatata. Questo ha condotto a pensare che i dipinti sottostanti al novecentesco fossero precedenti al 1771. Osservando tale materia pittorica, potevamo avvicinarci come datazione verso la fine del seicento. Le scene seicentesche sottostanti avevano una leggibilità molto difficile, determinata da una miriade di picchiettature fatte per l’aggrappaggio degli intonaci soprastanti, per le scialbature ancora presenti, nonché per il cattivo stato di conservazione della policromia. La malta di supporto di questo strato pittorico, inoltre, risultava molto magra e fragile, con tendenza a sbriciolarsi (decoesione della materia).
Nella parete centrale tuttavia la stratificazione degli interventi pittorici era diversa rispetto ai laterali, sotto la materia più recente erano visibili altri due strati di affresco. Ciò era reso possibile da una serie di aggressivi “saggi” fatto in passato. Lungo i margini dell’intonaco delle lacune si notava la presenza di policromia, su di una malta molto magra, presentando un affresco più fragile rispetto a quel-
lo soprastante. La cromia di tale strato pittorico non era visibile in maniera sufficiente da poter avanzare ipotesi sulla rappresentazione. Anche se questa porzione di intonaco dipinto era più porosa e fragile rispetto alla materia seicentesca dei laterali, tale affresco poteva far supporre di appartenere al medesimo periodo degli stessi, quindi antecedente al 1771, data dell’incisione laterale. Sotto tale materia era visibile un terzo strato di affresco, il quale era molto più palese a causa della tipologia dei saggi fatti (Fig.14) e di conseguenza più facilmente analizzabile. Esso risultava molto picchiettato e costituito da una tecnica di vero affresco con finiture a secco (Fig.15). Esso all’osservazione risultava avere una granulometria dell’inerte molto fine, una superficie molto schiacciata e quindi di massa molto compatta, cosa che trasmetteva al dipinto molta resistenza e tenacia nel tempo. Sicuramente anche questo affresco possedeva alcune finiture a secco. Iconograficamente il dipinto raffigurava una Madonna con bambino e risultava essere l’affresco più antico dell’ancona, probabilmente risalente alla seconda metà del 1500 e, seguendo gli stilemi compositivi ed il modo di lavorare ad affresco, può essere avvicinato alla pittura di Marco Tiussi, che nella zona fu molto produttivo con diffusi inter-
venti popolari. Come esempio di confronto si portano due lavori su cui in precedenza il sottoscritto ha già lavorato: la Crocefissione con la Madonna e San Giovanni di solo alcuni anni dopo, proveniente dalla casa privata Parusso a Romans di Varmo e attualmente depositata presso la chiesa di Romans (Fig.16), e la madonna con Bambino del 1550 della cella campanaria di Belgrado di Varmo (Fig. 17). Facendo riferimento a queste opere si può constatare che la tecnica di esecuzione di affresco schiacciato e quella di rifinitura a secco si ripetono con le stesse modalità. La materia pittorica, visibile per la sua messa in luce (in particolare gli incarnati dei volti della Madonna e del Bambino), aveva delle evidenti alterazioni cromatiche, similmente a quanto descritto per gli strati soprastanti. L’artista deve aver usato, anche in questo caso, un pigmento a base di piombo (biacca) per dare i colpi di luce finali all’opera, probabilmente stendendolo a secco. La stesura della biacca, inizialmente di colore bianco coprente, con il tempo si è alterata cromaticamente diventando quasi nera. Questo succede molto spesso quando la biacca si trova in presenza di ambiente basico, situazione che nel nostro caso poteva essere ipotizzata da due fattori: applicazione del colore su un intonaco non carbonatato, e/o sovrapposi-
Fig. 16. Marco Tiussi (1557?): Crocefissione con Madonna e San Giovanni. Romans di Varmo, chiesa parrocchiale.
In basso: Fig.17. Marco Tiussi (1550):Madonna con Bambino. Belgrado di Varmo, cella campanaria della chiesa parrocchiale.
zione dell’intonaco a base di calce seicentesco. Si suppone inoltre, per tale resistenza, che la stesura della biacca sia stata successivamente seguita da una fase di lucidatura3 , cosa che veniva fatta in passato per permettere una maggiore brillantezza del colore. Dopo aver valutato lo stato di conservazione dell’opera, la sua morfologia stratigrafica e la qualità delle diverse sovrapposizioni, tenendo presente che la forza di coesione del dipinto novecentesco era più forte rispetto agli strati sottostanti, si è giunti a comprendere che lo strato superficiale tendeva, e avrebbe teso sempre più nel tempo, a staccarsi dallo strato pittorico sottostante, più antico, strappando parte di esso. Altresì va aggiunto che il cattivo stato di conservazione e fragilità degli strati sottostanti avrebbe amplificato tale fenomeno. Non andava dimenticato inoltre che a livello estetico-devozionale la comunità avrebbe accettato con difficoltà una presentazione puramente conservativa anche se era stata proprio la nostra prima ipotesi. A fronte di quanto detto, la committenza, quindi, in accordo con la Direzione Lavori, nello specifico la Soprin-
3 La lucidatura, usata per l’affresco Romano e di ampia diffusione in area Bizantina, è un tecnica che viene effettuata quando il colore stesso sia prossimo ad asciugarsi, che da luogo ad una specie di brunitura del colore attraverso uno schiacciamento della materia policroma eseguita con una cazzuola od una spatola levigata.
tendenza di Udine e Trieste, ha deciso di scegliere come materia di maggior rispetto il livello seicentesco. Sebbene non di grande qualità tecnica, iconografica, conservativa, si decise di salvare anche le superfetazioni novecentesche attraverso uno stacco o strappo4 di tale materia, anche se di grande difficoltà operativa.
La finalità era quella di ridare una lettura iconografica ed estetica, nonché storicamente unitaria ad una cappellina votiva tremendamente ammalorata. Prima di intraprendere qualsiasi stacco o strappo, si è cercato di capire come fosse la stratificazione della muratura e si è scoperto che la cappelletta aveva la copertura a botte e l’affresco seguiva la sagoma centinata del soffitto. Inoltre, si è constatato che il pavimento attuale non solo non era originale, poiché cementizio, ma che subì un rialzo di circa 30-40 cm rispetto al più antico. Da ciò ne consegue quindi che l’immagine della Madonna con Bambino nelle sue forme decorative di cornice, scendeva anche nella parte inferiore del pavimento arrivando ad un livello presente sotto il livello del pavimento attuale (Fig. 18). Dai saggi fatti sul pavimento sono
4 Per stacco si intende l’asportazione della superficie dipinta assieme allo strato dell’intonachino mediante l’uso di collanti e di tele applicate alla superficie dipinta. Lo strappo invece si diversifica solo per procedimento meccanico e manuale, che non prevede l’asportazione dell’intonachino con l’affresco ma bensì quello della sola pellicola pittorica.
Fig.18. Particolare dei saggi fatti sul pavimento in cui sono visibili tre stratificazioni differenti: due in mattoni ed una terza in coccio pesto.
Fig.19. Particolare parete Nord: zona di antica messa in luce dopo il descialbo.
risultati evidenti almeno tre livelli: due in mattoni e un terzo probabilmente in coccio pesto, come più profondo. Al termine dei saggi, si è quindi scelto, sempre in accordo con la D.d.L. e la committenza, di eliminare almeno il pavimento cementizio e di arrivare al primo pavimento in mattoni. Questo avrebbe permesso una più corretta lettura formale del rapporto tra figurazioni ed architettura.
Restauro. Fasi d’intervento
In relazione alle volontà espresse dalla D.d.L., dalla committenza e dagli stessi operatori, di prediligere un intervento che tendesse a salvaguardare l’aspetto storicoformale dell’opera, e cercasse di recuperare e mettere in luce tutti i periodi storici presenti nell’ancona votiva, si descrivono a seguire, gli interventi di restauro eseguiti e conclusi.
Come già descritto l’ancona presentava tre stratificazioni di policromia: la più superficiale risalente a fine ottocentoprimi novecento, quella intermedia forse risalente al XVII secolo, ed infine una stratificazione appartenente al XVI secolo, probabilmente opera di Marco Tiussi. Ciò che si è accordato con la D.d.L. è stato di proporre lo stacco o lo strappo dello strato novecentesco, sia sulle pareti laterali, sia sulla parete frontale ed e seguire, quindi, si
Fig.20. Particolare della fase d’incollaggio delle garze di preparazione allo stacco.
In basso da sinistra:
Fig.21. Parete Est. Applicazione delle garze sulla superficie pittorica. Fig.22. Parete Ovest. Protezione con teli della superficie pittorica per la fase di stacco.
descrivono in maniera puntuale le varie fasi eseguite. Va detto però che era tecnicamente impraticabile realizzare uno strappo del colore per la grande rigidità dell’intonaco novecentesco e per il leggero film pittorico soprastante totalmente inglobato all’intonaco medesimo, senza creare danni sulla stessa policromia strappata. A fronte di ciò bisognava, quindi, tentare di realizzare uno stacco e non uno strappo dell’intonaco, senza danneggiare il dipinto sottostante.
Pulitura. Tutta la superficie è stata pulita da incrostazioni, depositi incoerenti, cere e nidi di animali, che la poca manutenzione aveva lasciato su tutte le superfici dipinte. Si è lavorato per la maggior parte a bisturi, quindi con metodi a secco e successivamente ove necessario con impacchi a solvente idoneo a seconda della zona interessata. Descialbo. In passato interventi sulla muratura avevano coperto la decorazione più recente con scialbi di intonaci a base cementizia, offuscando parecchie decorazioni. Tale descialbo era molto resistente e non sempre di possibile eliminazione senza danni per il materiale sottostante. Si è tentato pensato di procedere con diversi metodi, sia a secco che a umido. In seguito, nelle porzioni degli affreschi seicenteschi, visibili attraverso le mancanze e le cadute della
decorazione novecentesca, si è proceduto prima con una pulitura dei residui degli intonaci novecenteschi ancora rimasti, e poi con il descialbo dello strato di calce. Questo scialbo faceva pensare che prima di eseguire l’ultima decorazione, la superficie pittorica seicentesca sia stata velata con della calce, la quale si è ben carbonatata sulla decorazione stessa. Probabilmente prima di procedere con la stesura dell’intonaco, non solo è stato picchiettato l’intonaco antico, togliendo le parti sollevate e di facile caduta, ma, l’operatore dell’epoca ha steso un “primer” a base di calce viva, metodo classicamente usato per tale scopo (Fig. 19). Consolidamento. Si è proceduto poi con un consolidamento a silicato di etile dell’intonaco e, lasciato passare il tempo debito, ove necessario, sono state fatte delle iniezioni con malte da iniezione5 e/o stuccature a base di cariche inerti e grassello. Dove le fenditure erano di dimensioni troppo piccole per permettere la penetrazione delle malte, è stata usata della resina acrilica, opportunamente diluita.
5 Quando la decoesione della materia non interessa più lo strato pitto rico ma interessa diversi strati preparatori con distacchi e sollevamenti è necessario un consolidamento in profondità e viene quindi introdotto un prodotto adesivo in fase liquida attraverso piccoli fori sulla superficie e utilizzando le crepe stesse già presenti nell’intonaco. Questi fluidi riempitivi sono delle malte idrauliche a basso contenuto di sali mescolate con inerti, fluidificanti e colloidi.
Per tentare una separazione a massello dello strato superficiale, senza creare danni alle parti seicentesche, era importante consolidare molto bene quest’ultimo strato, dandogli un perfetto aggancio con la muratura sottostante. Preparazione per lo stacco. Le zone del dipinto seicentesco sono state coperte da una leggera scialbatura a malta magra per evitare l’incollaggio delle tele su tale superficie. In seguito si è prevista la stesura di un primo adesivo6 per stacco. Tale stesura è stata fatta per avere un adeguato incollaggio delle tele ed avere quindi una adesione omogenea e totale. La decorazione novecentesca, è stata poi protetta in tutte le pareti con l’applicazione di una garza aderita con resina acrilica (Paraloid B72). Questo è stato il primo strato di protezione per la fase di stacco della policromia (Fig 20 e 21). Incollaggio tele. Dopo aver incollato le garze di protezione, e passato un certo periodo per l’asciugatura, sono state incollate delle tele di pattina (in canapa), adeguatamente preparate, cioè lavate più volte e tensionate (per sfibrare la fibra tessile), di modo che non si creassero gibbosità o punti di non adesione con l’affresco. Solo dopo tale trattamento esse sono state applicate con colla animale, stesa a pennello (Fig. 22) .
6 Paraloid B72 diluita al 3% in Acetone.
Fig.23. Parete Nord. Fasi di stacco dell’intonaco con affresco novecentesco dalla parete sottostante.
In basso da sinistra:
Fig.24. Parete Est. Retro dell’affresco novecentesco staccato su pannello provvisorio.
Fig.25. Parete Ovest. Retro dell’affresco novecentesco staccato su pannello provvisorio.
Stacco. Si era già determinato di eseguire lo stacco, togliendo anche lo strato di intonaco supportante la decorazione; intervento più rispettoso per la materia soprastante, però di più difficile esecuzione per mantenere l’integrità della materia sottostante. L’intervento è stato particolarmente lungo e delicato. Il risultato è stato buono, senza alcuna perdita di policromia, sia per gli strati sottostanti che soprastanti. Tale operazione è stata eseguita con una battitura leggera e controllata e l’uso di sciabole a diverse lunghezze a seconda delle necessità, separando gli strati di malta molto lentamente e lavorando infilandosi tra uno strato di malta e l’altro. La difficoltà è stata molto elevata vista la durezza dello strato soprastante, difficile da incidere con le sciabole, e la debolezza di quello sottostante (Fig. 23). Tale procedimento è stato adottato per tutte e tre le pareti (Fig. 24 e 25), riscontrando difficoltà ancora maggiori per la parete centrale, poiché di dimensioni maggiori e con delle grandi disomogeneità dello strato più superficiale d’intonaco. Inoltre la dimensione ridotta del sito in cui si operava e la difficoltà di movimento al suo interno non favoriva l’esecuzione di tale intervento.
Pulitura II strato. Sull’affresco seicentesco si è proceduto al descialbo (Fig. 26). È stata eseguita la pulitura delle mal-
Fig.26. Visione generale dell’interno dell’Ancona Votica dopo lo stacco degli affreschi novecenteschi e prima del descialbo definitivo.
te residue e la descialbatura attraverso mezzi meccanici (Fig. 27 e 28). A causa dei danni provocati dall’antica scialbatura a calce, la materia, se pur pulita, rimaneva ancora molto sbiancata. Da una serie di test fatti si è osservato che, con una serie di impacchi potevamo arrivare a risultati molto buoni, recuperando la cromia senza intaccarla (Fig. 29 e 31). Questi impacchi sono stati eseguiti con polpa di carta e sepiolite, quale supportante, e carbonato d’ammonio in soluzione satura quale reagente. Consolidamento e riadesione. Si trattava ora di controllare il consolidamento definitivo degli strati seicenteschi, si poteva notare che c’era un recupero, se pur parziale, di un periodo storico uniforme in tutti e tre i dipinti; potevamo adesso vedere come tra le pareti ci fosse continuità nella stesura dell’intonaco. A fronte di ciò non avevamo quindi intenzione di scendere alla scoperta degli strati seicenteschi, poiché, alla luce della nuova situazione, sembrava che quest’ultimo livello non fosse tanto in buono stato quanto quello ora pulito. Prima di iniziare le iniezioni con le maltine idrauliche, tutti i perimetri delle lacune a confine con l’intonaco originale e la muratura, sono stati stuccati, soprattutto nelle zone dove
il distacco dell’intonaco dalla muratura era molto evidente. Le operazioni di pulitura e raffinamento dei descialbi sopradescritti, molte volte non erano possibili senza un preconsolidamento della materia dell’intonaco, quindi bisognava ristabilire l’adesione tra intonaco e muratura, e contestualmente ripristinare l’adesione tra la policromia e la base dell’intonaco stesso. Per fare ciò si sono adoperati due metodi: per i fissaggi di piccola e media entità, fessurazioni dell’intonachino senza distaccamento dal supporto sottostante, è stata usata una resina acrilica7; dove invece era necessario intervenire con consolidamenti più profondi e ampi è stata usata malta per iniezioni8 .
7 Acril 33 diluita in acqua
8 PLM-A, Ledan TB1.
In senso orario:
Fig.27. Particolare angioletto con residui di intonaco che coprono la policromia e parziale intervento di pulitura a bisturi.
Fig.28. Particolare angioletto descialbato con sistemi meccanici: bisturi e fibra di vetro.
Fig.29. Particolare angioletto dopo la pulitura ad impacco.
Fig.30.Particolare angioletto dopo la stuccatura e l’integrazione pittorica.
Tutto questo lavoro ha permesso una messa in luce dei rapporti cromatici originali di tutta la superficie. Invero, nella parete ovest si sono trovati lacerti cromatici di una coppa floreale con delle parti decorative perimetrali, tali apparati nella parte inferiore diventano dei motivi monocromi dalle tinte grigie, bianche, verdastre.
Nella parete est, viceversa, si ritrovarono soggetti simili alla precedente parete ed anche strutture architettonicodecorative quasi equivalenti, con l’aggiunta di putti alati che sorreggono la coppa posta in posizione centrale. Entrambe le pareti pur presentando grosse lacune, avevano una dimensione estetica interessante.
Nella parete centrale il risultato è stato molto interessante e più intenso rispetto alle pareti laterali. Qui la messa in luce ha riportato una scena sacra quale Madonna con Bambino tra due santi iconograficamente diversa dalla precedente novecentesca. Purtroppo tale decorazione era molto ammalorata ma leggibile nella sua totalità e risultava compensata nelle sue mancanze dalla presenza della policromia dello strato sottostante, poiché in tali mancanze, come i visi dei santi e della Madonna, affioravano dallo
Fig.31. Parete Nord durante la fase della pulitura dell’antica scialbatura attraverso impacchi.
strato sottostante i visi delle precedenti rappresentazioni, che erano poco dissimili come forma e posizione. Dato interessante emerso è che la mano sinistra della Madonna porta una rosa rossa. Potevamo in questo momento avere una visione più precisa dello stato di conservazione formale e quindi definire le scelte d’intervento estetico-formali da applicare. La finalità del nostro intervento estetico non era quella di ricostruire un’immagine omogenea, vista la frammentarietà della cromia rinvenuta, ma quello di ridare una scorrevolezza ottica al fruitore, intervenendo sull’integrazione delle parti di policromia ancora presenti, cioè chiudendo le lacune circoscritte, più piccole, senza andare a nascondere i danneggiamenti determinati dalle cadute o dalle picchiettature. Se si fosse scelto di chiudere a tono cromatico queste parti, il risultato sarebbe stato molto pesante dal punto di vista d’immagine finale e avrebbe messo in risalto la non eccezionale qualità del manufatto originario. Era in tale fase quindi che bisognava scegliere i diversi trattamenti da fare sulle diverse lacune: chiusura a intonaco, a tinta neutra oppure a tono cromatico. Come primo intervento, chiusura a intonaco, si trattava
Fig.32. Parete Nord dopo il restauro con stuccature e integrazioni ultimate.
quindi di uniformare le superfici di intonaco a vista (alcune mancanze, picchiettature, buchi) con un intonaco studiato ad hoc, che si avvicinasse all’intonaco originale. Esso imitando l’intonaco antico, sia dal punto di vista della granulometria, che della composizione materica e della morfologia, diventava l’interfaccia ideale tra i vari lacerti di affresco. Rinzaffatura. Risanamento strutturale. Fu necessario eseguire delle ricostruzioni strutturali delle pareti in quelle ampie lacune con muratura a vista con perdite strutturali. Per arrivare alla finalità sopra descritta, sono stati, prima di tutto, eliminati gli intonaci novecenteschi presenti sulle porzioni di muratura di recente ampliamento e perimetrali ai dipinti interessati. Successivamente tali parti sono state ricostruite con parti di cotto e malta a grassello di calce. Livellamento intonaco. Una volta riempite le grosse mancanze di parete muraria, sono stati omogeneizzati i livelli di malta circostanziale, per creare un punto di appoggio uniforme su tutte le pareti per le stuccature definitive. Questo è stato ottenuto con un intonaco a base di grassello di calce e poca calce romana, con un’inerte composto da sabbia del Tagliamento e polvere di mattone, usato per rendere la malta parzialmente idraulica. Tali tamponature
Fig.33. Parete Est dopo il restauro con stuccature e integrazioni ultimate. In basso:
Fig.34. Parete Ovest dopo il restauro con stuccature e integrazioni ultimate.
di livellamento sono state eseguite a sottosquadro di qualche millimetro per permettere i successivi strati di finitura. Protezione. Prima di intervenire sulla policromia si è consolidata nuovamente sia la policromia, sia la materia interna dell’intonaco, creando uno leggerissimo strato di protezione. Per fare ciò si è proceduto con un trattamento delle superfici a base di silicato di etile, opportunamente diluito. Questo intervento era indispensabile poiché l’opera, sebbene contenuta da uno spazio architettonico, era ed è comunque soggetta a stress ambientali e climatici (anche di acqua piovana), oltre che ai possibili danni dettati dalla fruizione dei fedeli. Intonaco a vista. Individuate le zone da lasciare ad intonaco a vista, dopo aver analizzato la composizione della malta originale, è stata studiata una miscela di intonaco allo scopo. Tale miscela era composta, con percentuali studiate, di: sabbia del Tagliamento, mattone macinato giallo9, e calce carbonatata e macinata in grana grossa, per imitare i boccioli di calce viva visibili nell’impasto originale. Come legante è stato usato grassello di calce e una piccola per9 Il mattone permette di avere una percentuale di acqua superiore all’interno dell’impasto, senza diminuirne la consistenza. Ciò permette un ritiro più controllato della malta in fase di asciugatura e quindi la riduzione di formazione di cavillature.
Fig.35. Visione interna dell’ancona Votiva dopo il restauro e il recupero della pavimentazione in cotto. A destra in senso orario:
Fig.36. Recto protetto con garze dell’affresco staccato dalla parete Est.
Fig.37. Recto protetto con garze dell’affresco staccato dalla parete Ovest.
Fig.38. Recto protetto con garze dell’affresco staccato dalla parete Nord.
centuale di calce romana. Le stuccature, una volta stese e opportunamente giunte al momento di presa adeguato, sono state lavate per permettere la visione dei diversi inerti, sia dal punto di vista granulometrico che materico. Quest’ultimo intervento è stato condotto in armonia con il tessuto recuperato e pertanto è stato utilizzato un sottosquadro poco evidente, che altrimenti avrebbe prevaricato sui lacerti. Anche se fino a questo punto non era stato fatto alcun intervento cromatico sulla policromia, l’intervento estetico svolto sulle lacune di intonaco aveva dato già un equilibrio formale all’opera. Integrazione cromatica. Successivamente è stata condotta la fase di integrazione estetica degli strati settecenteschi messi in luce, per dar loro una maggiore leggibilità ed omogeneità. Eseguita tale fase e lasciato decorrere sufficientemente tempo di asciugatura, sono state individuate le zone da integrare cromaticamente a tono, abbassamento di tono o con toni neutri. Ove necessario sono state fatte delle stuccature a filo con malta molto sottile e schiacciata, oppure delle basi a silicato. Successivamente le lacune sono state integrate ad acquerello a tratteggio nelle parti ove era possibile tale esecuzione, ed a velatura nelle por-
zioni più piccole. Come protezione finale è stato fatto un fissaggio dell’integrazione con un silicato di etile molto diluito. Questo permette una certa resistenza nel tempo all’usura ma senza pregiudicare la possibilità di rendere reversibile tale intervento (Fig.30,32,33,34,35). Impannellatura affreschi staccati. Negli affreschi del novecento staccati, sono stati eseguite solo alcune fasi di intervento. Sono state eliminate le tele più grosse utilizzate per lo stacco, che erano state incollare con colla animale. Questo per evitare la formazione di eventuali attacchi batteriologici e vegetativi, dato che attualmente non si conosceva né il luogo di conservazione, né la data per un loro adeguato e completo ripristino. Quindi le parti dello strato novecentesco, staccate dalle tre pareti, sono state levigate nel retro per portarle ad uno livello omogeneo di 3-4 millimetri. Successivamente sono state consolidate e stuccate dal retro, per ridare coesione alla materia, e rinforzate con un nuovo supporto strutturale provvisorio in fibra di vetro, nonché montate su di un pannello provvisorio con il recto a vista. Ciò ha permesso di togliere le prime tele usate per lo stacco, lasciando esclusivamente le garze di protezione (Fig.36,37,38).
Conclusioni
La finalità di questo quaderno di cantiere è cercare di diffondere un documento di sintesi del lavoro svolto e di dare importanza all’operato dei restauratori, sensibilizzando la comunità e offrendo una soglia di comprensione del lavoro svolto. Queste necessità si determinano a fronte dell’esigenza di un’adeguata conservazione del bene che, per essere correttamente salvaguardato e raggiunto dall’impegno di tutti coloro che lo vivono, necessita di essere compreso sotto ogni aspetto. In questo caso ciò assume un valore fondamentale, poichè la rappresentazione iconografica ha subito un notevole cambiamento: la Fuga in Egitto della parete centrale si è trasformata in Madonna con Bambino tra Santi. La nostra finalità è stata quella di riuscire a dare alla rappresentazione un equilibrio di lettura d’insieme, cercando di ridonare una dignità formale, funzionale e anche d’identità territoriale. Diventa quindi indispensabile per una comunità conoscere e far conoscere, nei dettagli, l’iter del suo bene storico. La responsabilità di chi lavora non sta solo nell’intervenire sul bene, ma sta anche nella scelta del metodo d’intervento più corretto, tenendo presente le metodologie tecniche correnti, e tutti quegli aspetti sociali appartenenti alla comunità che s’individuano attorno a quel bene.