Popolamento, incastellamento, poteri signorili in Sardegna nel Medioevo: il caso dell’Anglona di Franco G. R. Campus *
. Premessa Vent’anni fa, nel , durante il convegno dedicato agli statuti medievali della città di Sassari, diverse relazioni affrontarono il complesso argomento della nascita dell’entità comunale nel XIII secolo. Uno sviluppo politico che si realizzò con la definitiva crisi del potere giudicale logudorese e la coeva affermazione delle signorie territoriali dei Doria e dei Malaspina . Un ambito di ricerca e un analogo contesto storico che due anni dopo venne ripreso in alcune relazioni presentate nel convegno dedicato alla città di Alghero . L’obiettivo perseguito dai curatori (Antonello Mattone per entrambi insieme a Marco Tangheroni per Sassari e Piero Sanna per Alghero) era quello di conoscere, discutere e divulgare, attraverso l’apporto dei diversi specialisti, tutto quanto era noto sulle dinamiche di formazione dei due centri, nel loro rapporto con i territori di appartenenza e nel riconoscimento, nelle diverse epoche, di fasi e momenti di trasformazione delle strutture insediative, politiche e sociali. Un ampio approccio euristico che si riflette, a ragione e con successo, anche nell’impostazione di questo convegno dedicato alla terza realtà urbana della Sardegna nord occidentale. Per questa prima serie di ragioni, per chi scrive, il richiamo ai due precedenti convegni rappresenta da un lato un ringraziamento per i curatori dell’incontro di Castelsardo, ma anche un’assunzione di una pesante responsabilità nell’obiettivo di contribuire ad un filone storiografico e interpretativo che ha radicalmente ridisegnato la storia delle realtà urbane della Sardegna. Un secondo richiamo ai convegni precedenti, attraverso un’ottica qualitativamente tematica, deriva dal fatto che la prefazione al volume degli atti * Università di Sassari, Dipartimento di Storia, e-mail: francocampus@tiscali.it. . SUGLI STATUTI SASSARESI, in particolare, sull’origine di Sassari cfr. TANGHERONI (); CAPRARA (); VILLEDIEU (); MELONI (), MATTONE (b). Nel a cura della Soprintendenza per i beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro è stato pubblicato il catalogo della mostra SASSARI LE ORIGINI. L’esposizione affrontava dal punto di vista archeologico e monumentale lo sviluppo del centro turritano; cfr., in particolare, ROVINA (). . ALGHERO LA CATALOGNA E IL MEDITERRANEO, in particolare BROWN (); BERTINO (); MELONI (a).
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sugli Statuti sassaresi venne affidata dai curatori a Pierre Toubert. Lo studioso francese, oltre a focalizzare in poche pagine l’importanza dell’incontro che secondo il suo giudizio diveniva parte costitutiva della recente storiografia europea, riconosceva alle nuove ricerche il pregio di aver affrontato non solo le problematiche istituzionali, codicologiche, redazionali, che formano gli statuti, ma di aver inquadrato «il corpus statutario nel suo contesto concreto, e nella realtà stessa dello sviluppo cittadino», ma anche, prosegue Toubert, la nascita della città, la formazione delle sue strutture di produzione e di scambio a partire dall’epoca genovese e nel periodo catalano-aragonese [...]. Vi troviamo la parabola dell’evoluzione di Sassari, la sua affermazione a spese di Turris a partire dall’XI-XII, la formazione progressiva del suo tessuto edilizio e monumentale sino al momento in cui la funzione urbana sfocia, con gli statuti, verso la conquista di una vera coscienza cittadina .
Questo richiamo alla Prefazione dello studioso francese ha rappresentato per chi scrive un ulteriore elemento di meditazione non solo per i passi appena accennati, ma soprattutto nella considerazione che proprio il termine cardine di questo contributo, l’incastellamento, con tutto il suo bagaglio storiografico, ha il suo punto di svolta proprio nel contributo di Toubert sul Lazio settentrionale . Lo spazio a disposizione in questa sede non permette di compiere in dettaglio una disamina e una valutazione comparativa dell’importanza degli studi di Toubert nel panorama storiografico italiano; allo stesso modo non è possibile raccogliere in modo esaustivo tutte le problematiche affrontate da quel dibattito che, partendo dalla presenza e sviluppo delle sedi castrali, segna un filone d’indagine tra i più fecondi della moderna storiografia medievale. Tuttavia, in sintesi, richiamando da un lato i concetti espressi nel convegno sugli statuti e riassumendo quello che rappresenta il cuore del problema, ribadito in diverse sedi dallo studioso francese, il fenomeno dell’incastellamento è sempre caratterizzato, nei diversi periodi e nelle diverse aree, da una «construction-destruction permanente des structures de l’habitat» . Una trasformazione netta e incisiva che per essere indagata e compresa nella sua globalità, anche in Sardegna, coinvolge al suo interno, sino quasi a . TOUBERT (), pp. -. . TOUBERT (). Nel , Chris Wickham, tracciando un bilancio delle ricerche storiografiche sul tema dei castelli, ribadiva che «nella storiografia italiana, anche, benché i castelli stessi siano stati per lungo tempo un nodo storiografico, e infatti la loro relazione con lo sviluppo economico fu già indagata negli anni ’, fu solo leggendo il libro di Pierre Toubert che gli storici si sono resi conto che il vero problema socio-economico è il cambiamento dei quadri insediativi causato dall’incastellamento, più che non l’apparire dei castelli stessi; lo scoppio delle analisi dell’habitat dopo il ’ è in se stesso prova dell’impatto del Latium médiéval» (WICKHAM , p. ). . TOUBERT (), p. XV.
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coincidere, anche il dibattito pertinente alla “geografia storica delle sedi umane”, alla “dinamica del popolamento rurale”, a quello “delle organizzazioni socio-insediative”, allo “sviluppo della signoria rurale”, alle “dinamiche costitutive del potere signorile” e alle “diverse forme e modalità delle costruzioni castrali” . Una rete di problematiche che investono in pieno l’origine, lo sviluppo e il successo del centro di Castelsardo e che, come per Sassari e Alghero, ma anche Osilo, Bosa, Monteleone Rocca Doria e Casteldoria, vedono il loro periodo di nascita nel corso del XIII secolo. La struttura di questo contributo è quindi suddivisa in tre parti: una prima sezione dove verranno affrontate le problematiche storiografiche legate alla presenza e distribuzione degli insediamenti e delle fortificazioni medievali in Sardegna; una parte centrale dedicata alla disamina delle problematiche territoriali, strategiche, cronologiche connesse alla prima distribuzione dei castelli e degli insediamenti nell’area dell’ex Regno di Torres; una sezione finale e conclusiva dedicata alla ricostruzione sequenziale e interpretativa delle strategie messe in atto dalle signorie italiane, in questo caso i Doria, nella gerarchizzazione degli spazi urbani e rurali nell’area dell’Anglona nel corso del XIII secolo. . Lo studio degli insediamenti e dei castelli in Sardegna: analisi di un tema storiografico La Sardegna gode di una buona tradizione di studi sull’insediamento umano. I primi passi di questa disciplina si possono far risalire al XVI secolo con l’opera storiografica di Giovanni Francesco Fara . L’interesse dello studioso per i villaggi scomparsi è da attribuire al forte impatto provocato dalle cospicue tracce lasciate dagli antichi insediamenti, tra cui anche i castelli. Alcuni di questi erano ancora in uso negli ultimi anni del Cinquecento: Alghero, Castelsardo, Bosa, Sassari, Cagliari e Oristano, gli altri in via di progressivo abbandono e demolizione da parte delle popolazioni che vivevano in prossimità delle fortificazioni. . È noto, come ha posto in evidenza Giuseppe Sergi, che l’opera di Toubert () «sia un passaggio obbligato per tutte le ricerche storiche sulle società rurali dell’Europa mediterranea medievale. È difficile – prosegue Sergi – trovare un autore altrettanto ricordato dagli specialisti di insediamento, fortificazioni, agricoltura, civiltà contadina: e si tratta sempre di discussioni attente, mai di citazioni affrettate e rituali» (SERGI, , p. VII). Sul vasto dibattito storiografico, che non si ha la pretesa di voler ripercorrere, esistono esaustive e aggiornate sintesi critiche interpretative: DELOGU (); WICKHAM (); TOUBERT (), pp. -; GELICHI (), pp. -; TOUBERT (); FRANCOVICH (); WICKHAM (); FRANCOVICH, GINATEMPO (), BENENTE (), pp. -. . L’autore propone un computo di quasi insediamenti abbandonati a confronto di villaggi ancora abitati escludendo le città regie: Sassari, Alghero, Castelaragonese, Bosa, Oristano, Iglesias e Cagliari (FARAE OPERA, passim).
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Nell’Ottocento la presenza di singoli castelli fu inserita nei primi lavori di sintesi sulla storia dell’isola . Dal punto di vista interpretativo i castelli rappresentavano i luoghi fisici degli avvenimenti. In questo clima di prime ricerche, di raccolta e edizione di documenti, un ruolo determinante per la conoscenza dell’insediamento umano nella Sardegna medievale venne ricoperto dalle voci sui singoli centri e sui distretti curate da Vittorio Angius nel Dizionario geografico storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna . Nella realtà, i testi prodotti dallo studioso cagliaritano si denotavano come il frutto di ricerche condotte con scrupolosa attenzione e sintesi dei dati raccolti: le notizie su ogni singolo villaggio della Sardegna toccavano, infatti, le tematiche della demografia, dell’economia, del costume, dell’archeologia e delle vicende storiche. Ancora oggi diversi elementi, se accolti con attento spirito critico, si offrono come testimonianze abbastanza fedeli sullo stato di conservazione degli insediamenti, delle chiese, ma anche dei palazzi e dei castelli. In aggiunta, in quei casi in cui le indicazioni risultavano scarse o frammentarie, lo studioso cagliaritano non disdegnò di prendere in considerazione quelle notizie storiche tramandate oralmente sino a quel momento . Il generale e in parte giustificato giudizio di affidabilità delle relazioni raccolte nel Dizionario fece sì che queste divenissero, in alcuni frangenti della storiografia, elementi inconfutabili quasi al pari dei documenti storici. In altre parole, come era già accaduto per l’opera di Fara, le indicazioni di Angius si trasformarono nella storiografia regionale da notizie esposte in forma narrativa, in fonti dirette per la ricerca storica. Il risultato fu, quindi, di soffocare non tanto la lettura degli avvenimenti quanto l’aspetto propositivo e critico sulle cronologie e sui modelli del popolamento e dell’insediamento medievale. Ma, oltre a questo, come nel resto dell’Italia, anche in Sardegna nella seconda metà del XIX secolo la ricerca e la produzione storiografica correlava al tema del castello i termini di medievale e feudale nella loro accezione interpretativa più negativa. La fortificazione medievale rappresentava l’espressione materiale di un modo di agire violento e spietato, fedele rappresentazione dei particolarismi locali che mal si conciliavano con gli spiriti unitari di stampo sabaudo . Per la componente piemontese del Regno sardo i castelli presenti nell’isola erano i monumenti ingombranti di un passato che doveva, e forzatamente avrebbe dovuto, rappresentare il ricordo di un periodo segnato dal colonialismo più spietato in. Nella sua storia della Sardegna Giuseppe Manno segnalava la presenza di villaggi abbandonati e castelli (MANNO -). Per le ricerche storiche sui primi decenni dell’Ottocento in Sardegna, cfr. MATTONE (). . DIZIONARIO STORICO STATISTICO, passim. . Lo studio delle dinamiche di trasformazione ed evoluzione degli insediamenti attraverso la raccolta delle tradizioni orali resta nell’isola un campo battuto poco, o comunque non ancora con la dovuta attenzione scientifica (DAY, ), anche se più recentemente non mancano esempi significativi (cfr. DERIU, , pp. -; MAXIA, , passim). . SETTIA (), pp. -.
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staurato da quelle potenze straniere responsabili della scomparsa delle entità giudicali. Tutto il Medioevo postgiudicale, e buona parte del periodo spagnolo, divennero i principali responsabili della cronica povertà della società rurale e urbana della Sardegna del XIX secolo. I danni culturali di questo atteggiamento, congiunto a un materiale stato di abbandono delle strutture, si concretizzò in un via libera alle demolizioni di buona parte dei castelli urbani e rurali. In nome di un taglio con il passato e di una necessità, vera o presunta, di uno svecchiamento dei quadri urbani furono demolite le fortificazioni di Oristano, Iglesias, Alghero, Ardara e Monteleone Rocca Doria. Esaminata con i nostri occhi, e in parte con quello dei contemporanei, fu clamorosa la totale demolizione del castello aragonese a Sassari su delibera del consiglio comunale della città nel . Occorre aspettare gli ultimi decenni dell’Ottocento per registrare i primi tentativi di recupero architettonico delle fortificazioni medievali. Gli interventi, in linea con le metodologie del tempo, prevedevano una radicale integrazione delle strutture murarie preceduta da diverse e imponenti attività di sterro per quelle ancora sepolte. Una tendenza che nel ventennio a cavallo tra il XIX e XX secolo portò a modificare stili e morfologie non solo di alcune fortificazioni – Bosa, Cagliari, Castelsardo – ma anche di diverse chiese e abbazie medievali. Il giudizio non certo positivo sui recuperi di fine Ottocento, che comunque hanno permesso di salvare alcuni edifici, deve essere riconsiderato non solo tenendo presente le tecniche di intervento e restauro del periodo, ma soprattutto sfortunatamente registrando che simili modalità si sono protratte sino ai nostri giorni. Un ritardo causato in minima parte dallo sviluppo recente dell’archeologia medievale all’interno delle due università dell’isola, ma soprattutto dalle discutibili e controverse interpretazioni sulle carte di restauro da parte degli architetti e da una totale assenza di considerazione dell’importanza storica dei monumenti da parte delle stesse entità istituzionalmente preposte alla loro tutela e conservazione. Sono datati agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento i recuperi in forme discutibili delle torri di Osilo, Bosa e Posada, ma ancora più recenti sono i recuperi sconvolgenti di Castelsardo, Bosa, Ardara, Alghero e Goceano . Sono comunque datati alla seconda metà degli anni Sessanta del Novecento i primi contributi scientifici sull’insediamento medievale della Sarde. Localizzate nella porzione meridionale della città le poche porzioni del castello che si salvarono dalla furia demolitrice furono inglobate nel complesso della caserma La Marmora. Il ricordo del castello si conservò nelle prime immagini fotografiche di Sassari e nella denominazione di un’anonima piazza. (cfr. PRINCIPE, , pp. -; VARALDO, ; ORLANDI, ; CASTELLACCIO, ). . Le recenti letture stratigrafiche degli alzati murari congiunti ai primi interventi archeologici condotti in alcuni di questi siti hanno permesso di verificare come nel corso della seconda metà del XX secolo i monumenti furono quasi totalmente spogliati e liberati dalle terre e da tutte quelle strutture ritenute ingombranti rispetto all’originale morfologia del monumento (MILANESE, , a, b, ; MILANESE et al., ).
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gna. Nel Christiane Klapisch-Zuber e John Day, presentando un panorama sulle sedi abbandonate del continente italiano, dedicavano ampio spazio al caso sardo . Il piano critico di queste analisi partiva essenzialmente dalla considerazione delle fonti disponibili (documentarie e letterarie) e dalla quantificazione del fenomeno; in seconda battuta venivano definite le cause della dispersione delle popolazioni (guerre, insicurezza delle coste, urbanizzazione), ma anche i periodi di stabilizzazione e/o ripresa dei quadri abitativi. I due autori, sulla base delle sintesi storiche disponibili , riconoscevano nella precarietà la costante del quadro insediativo medievale isolano, ma allo stesso modo veniva posto in evidenza come il periodo di maggiore stabilità ed evoluzione, sia dal punto di vista dei villaggi che demografico, si registrasse nel corso della dominazione pisana (seconda metà del XIII secolo, prima metà del XIV). Una fase di espansione demografica e di stabilizzazione delle popolazioni che mostrava i suoi segni di discontinuità, secondo la storiografia, nelle diverse fasi della conquista aragonese a partire dalla metà del XIV secolo. Una sequenza del fenomeno che in realtà non sembrava del tutto coincidere con le fasi degenerative del tessuto socio-abitativo. Infatti, secondo Klapisch-Zuber e Day, i diversi segnali di diminuzione degli abitati erano tangibili in alcune aree della Sardegna già prima dell’importante flessione demografica della metà del Trecento. Una diminuzione alla quale non sembra seguire un’automatica scomparsa degli abitati, che invece si manifesta soprattutto nell’area del Logudoro e della Gallura solo alla fine dello stesso secolo, probabilmente in ragione delle cosiddette «ribellioni signorili»; mentre nell’Arborea la tangibile diminuzione degli abitati si registra solo alla conclusione dello scontro tra le forze giudicali e quelle catalane alla metà del XV secolo. In particolare nel Logudoro – proseguono i due autori – si assiste all’abbandono di oltre villaggi, tanto che nel XVI secolo quasi tutta l’area costiera settentrionale è completamente disabitata anche a causa della concomitante azione delle incursioni barbaresche. Klapisch-Zuber e Day evidenziarono inoltre come l’area centrale della Sardegna, contraddistinta da un’economia pastorale e nomade, si offriva del tutto immune da questi fenomeni. Un’anomalia tangibile anche tra il XV e il XVI secolo quando si assiste ad un’ulteriore fase di selezione dei centri abitati (abbandoni), coinvolgendo in questo caso anche le regioni geograficamente intermedie e tendenzialmente escluse dai pericoli delle incursioni costiere, ma coinvolte dalla riconversione degli spazi rurali da luoghi di produzione agricola intensiva a pascoli aperti e comunitari. Un cambio dettato per gli autori da una generale e cronica arretratezza delle strutture produttive rurali, ma anche da una nuova e sensibile diminuzione demografica delle popolazioni dei villaggi e dei centri urbani. Aree che vennero definite dagli autori con il termine di «medio abbandono» ma anche queste subirono nel periodo mo. KLAPISCH-ZUBER, DAY (). . MANNO (-); BESTA (); SOLMI (); CARTA RASPI ().
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derno una fase di ripresa e di rioccupazione dei precedenti spazi abitativi medievali. Quel che i due autori descrivono ed interpretano nel panorama insediativo della Sardegna è quindi un continuo movimento di allentamento e ripresa, di squilibrio spaziale dell’economia pastorale a discapito di quella agricola, di depauperamento delle risorse idriche, di difficoltà di spostamento nelle aree interne, di sottopopolamento cronico. L’insieme di questi elementi rappresenterebbe in modo abbastanza fedele la costante caratteristica costitutiva dell’insediamento rurale sardo nel Medioevo che solo attraverso minime ed insensibili varianti si sarebbe protratta nel lungo periodo moderno sino a divenire materialmente e quantitativamente tangibile nelle descrizioni degli autori contemporanei . Tra le diverse problematiche legate all’analisi dell’insediamento solo marginalmente rientrano quelle relative alla funzione, distribuzione e diffusione delle fortificazioni. Del resto l’esiguo numero degli impianti aveva già consentito una loro immediata localizzazione nel da parte di Raimondo Carta Raspi . Lo studioso, esponendo nelle pagine iniziali la metodologia di ricerca adottata, decretava l’esclusione «con rigore scientifico» di ogni leggenda, ma soprattutto escludeva dal suo libro tutte quelle vicende che risultavano non supportate «da validi documenti storici». Il metodo, quindi, se non offriva particolari elementi di novità nella descrizione degli eventi correlati ad ogni fortificazione, in linea con altri studi sui castelli nel resto dell’Italia , permetteva all’autore di presentare un quadro tutto sommato accettabile e segnato da una importante novità interpretativa: il riconoscimento delle diverse tipologie dei castelli in base all’origine dei committenti. In particolare per l’area del Regno di Torres, Carta Raspi riconosceva i «castelli del giudicato di Torres, Sassari: mura e torri della cinta, castelli dei Doria, castelli dei Malaspina» . Per Carta Raspi, dal punto di vista interpretativo e storiografico, il fenomeno della comparsa dei castelli non presentava nessun problema particolare. E d’altro canto, che questa problematica non sembrasse rappresentare uno dei temi più urgenti della ricerca storica in Sardegna è dovuto in primo luogo al fatto che la localizzazione di quasi tutti i castelli era certa e sicura, in confronto alle centinaia di villaggi abbandonati di cui si ignorava l’ubicazione, ma non l’attestazione nelle fonti scritte; in secondo luogo al fatto, più evidente se osservato nella successiva produzione storiografica su questo fenomeno nell’isola, che l’esigenza critica di riproporre una nuova quantificazione delle fortificazioni sia emersa nel concreto solo nel attraverso il contributo di Francesco Cesare Casula all’interno dell’Atlante della Sardegna. Ad ogni modo, prima di analizzare nello specifico questo contributo, è importante riprendere il filone tematico interpretativo legato agli insediamenti . Per un approfondimento di queste tematiche, cfr. DAY (; b, pp. -). . CARTA RASPI (). . SETTIA (, pp. -). . CARTA RASPI (, pp. -).
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abbandonati. Le interpretazioni offerte dal primo studio della Klapisch-Zuber e Day del fecero scattare un nuovo dibattito storiografico ma anche uno specifico indirizzo di ricerca che vedrà i sui frutti nel corso degli anni Settanta. I passaggi di questa discussione, che come vedremo in seguito investe anche la tematica dei castelli, segnano una prima tappa nel corso del quando Tangheroni, commentando le linee interpretative della Klapisch-Zuber e Day, evidenziava come queste «non dovrebbero essere modificate, se non del tutto marginalmente» , ma poneva l’accento sul fatto che il cambio dei sistemi insediativi, insieme alla flessione delle popolazioni, era necessariamente collegato al clima politico presente nell’isola tra il XIV e il XVI secolo. Un panorama caratterizzato dalla cosiddetta «guerra guerreggiata», secondo la definizione dello storico toscano, tra le diverse entità signorili italiane in Sardegna e successivamente tra il Regno di Arborea e la Corona d’Aragona. Un clima che sul medio periodo contribuì ad isolare dal punto di vista socio-insediativo le città (Cagliari, Iglesias, Alghero, Sassari, Castelsardo) in un mare di campagne fortemente segnate dai diritti feudali imposti dalla stessa Corona. Per Tangheroni, quindi, l’abbandono dei villaggi e delle aree con le zone a colture specializzate risponderebbe alla difformità istituzionale che si venne a costituire tra i siti urbani e le campagne feudali. In aggiunta, Tangheroni poneva l’accento metodologico sulla raccolta dei dati evidenziando che l’analisi dei quadri insediativi (abbandoni) si sarebbe dovuto compiere regione per regione attraverso la coeva documentazione e non attraverso le mediazioni di lungo periodo procedendo in modo regressivo dalla documentazione dei secoli XVIII e XIX. Il riverbero storiografico e interpretativo sulla tematica dei villaggi abbandonati, che dal punto di vista quantitativo e qualitativo prosegue in Sardegna con la pubblicazione dei contributi di Day, Angela Terrosu Asole, Paola Sereno e in diversi momenti con Tangheroni , offrirono la base interpretativa per il saggio sui castelli di Casula all’interno dell’Atlante della Sardegna. Come accennato precedentemente lo studio, dopo quello di Carta Raspi del , venne specificatamente dedicato alle problematiche di localizzazione delle strutture fortificate medievali della Sardegna . I metodi utilizzati dallo storico cagliaritano erano del tutto analoghi a quelli utilizzati nell’analisi dei villaggi abbandonati: spoglio della documentazione scritta, localizzazione delle strutture, suddivisione delle fortificazioni nei quattro regni giudicali per motivi di pratica consultazione degli elenchi prodotti. Dal punto di vista interpretativo Casula identificò nella distribuzione dei castelli di età bizantina il prodotto di una strategia di difesa delle aree produttive nelle valli dalle in. TANGHERONI (-, [, p. ]). . DAY (); TERROSU ASOLE (, ); TANGHERONI (); SERENO (); DAY (). . CASULA (a). Nello stesso contesto Francesco Cesare Casula proponeva una nuova carta della Sardegna giudicale (CASULA, b).
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cursioni delle popolazioni scarsamente romanizzate localizzate nelle montagne. Per lo studioso cagliaritano il momento di passaggio verso la quadripartizione istituzionale del territorio regionale, cronologicamente riferita al X-XI secolo (periodo giudicale), rappresenterebbe la principale causa della costruzione dei nuovi castelli. Queste fortificazioni, quindi, erano esclusivamente destinate al controllo e alla difesa dei confini e la loro distribuzione sul territorio rappresentava materialmente lo specchio dei rapporti di forza tra i quattro regni giudicali. Il primo quarto del XII secolo è invece per Casula il periodo di diffusione di “nuovi castelli” da ricondurre alla presenza nei territori giudicali delle famiglie signorili italiane. Doria per Castelsardo e Alghero, Malaspina per Bosa. Dal punto di vista interpretativo, sulla scorta delle indicazioni cronologiche provenienti dall’opera di Fara, e in linea con le sintesi storiche disponibili , per Casula la localizzazione «costiera» di questi primi «castelli italiani» rappresentava i necessari punti di appoggio, funzionali, già in questa fase storica, a fondare un territorio indipendente che sul medio periodo si offriva come «uno stato nello stato» all’interno del quadro istituzionale giudicale . Una perdita di controllo da parte del Regno di Torres che tuttavia, secondo l’autore, era necessaria soprattutto nella strategia perseguita dai sovrani logudoresi, di ripopolare con strutture di forte impatto come i castelli le fasce costiere spopolate e deserte a causa delle incursioni arabe dei secoli precedenti. Da qui l’attenzione, da parte dei signori italiani, alla sistematica occupazione della cima di colline e di quei «nidi d’aquila» morfologicamente isolati ma strategicamente funzionali alla difesa del territorio dalle incursioni provenienti dal mare. E, del resto, le prove in tal senso giungevano allo storico cagliaritano dall’innegabile concetto di cesura insediativa che, stando ai dati allora disponibili, si palesava attraverso il confronto con i quadri urbani e rurali attestati in Sardegna nel corso del periodo romano e bizantino. In definitiva anche se si riconosceva ai «castelli italiani» un ruolo di immediata novità nell’evoluzione socio-insediativa della Sardegna e in particolare del Regno di Torres, tuttavia si prescindeva o non si evidenziava la necessità di una discussione critica sulla fase d’inizio del fenomeno tutto strutturato sulle datazioni offerte dall’opera narrativa di Fara. Un limite dettato non solo da una inspiegabile differenziazione qualitativa tra fonti documentarie e fonti letterarie, ma anche dalla manifesta incongruenza tra il modello proposto e la possibile definizione dei quadri storici, politici, istituzionali e insediativi giudicali della prima metà del XII secolo. Se le diverse proposte tracciate da Casula non risentivano dell’interesse storiografico scaturito dal dibattito sul tema dei castelli in Italia e nel Mediterraneo , nello stesso anno Tangheroni, in un incontro dedicato alle strutture del feudalesimo nel quadro mediterraneo, effettuava un breve bilancio . Cfr. nota . . CASULA (a), p. . . TOUBERT (); WICKHAM ().
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del ruolo esercitato dai castelli in Sardegna . Lo studioso toscano, mediante alcune considerazioni, evidenziava nettamente l’assenza del fenomeno dell’incastellamento nella Sardegna dei giudicati. La prima annotazione in questo senso era desunta dalle caratteristiche costitutive del panorama socio-insediativo sardo medievale; esso, infatti, si offriva costantemente caratterizzato da un habitat disperso, anche se organizzato per villas o in entità minori come le domos. Una dispersione che per Tangheroni era non casuale ma accessoria e necessaria alla poca manodopera presente nell’isola causata dal suo «sottopopolamento cronico» . La successiva considerazione, come naturale prosecuzione della precedente, era l’assenza di quella necessità di aggregazione delle popolazioni (uno degli effetti principali del modello laziale di incastellamento di Toubert) che non si concretizzò nemmeno quando lo spostamento delle persone venne incentivato dagli «effetti dirompenti alle antiche strutture provocati dalla presenza di poli alternativi e di attrazione costituiti dai centri genovesi e pisani» . Ad ogni modo, come per Casula anche per Tangheroni la comparsa delle prime fortificazioni, si offriva come una risposta dei regni giudicali alle esigenze militari che provenivano dall’esterno più che alle necessità di difendere e presidiare i punti particolari del territorio. La loro costruzione, quindi, non sarebbe stata incentivata dalla libera iniziativa autonoma dei giudici ma dalla progressiva espansione pisana e genovese che si stava concretizzando in Sardegna nel XII secolo. Secondo Tangheroni, la scarsa autonomia decisionale dei giudici era del tutto evidente: nell’unica cronaca sarda medievale, il Libellus iudicum turritanorum , le indicazioni pertinenti le attività di costruzione di castelli risultavano sempre associate a iniziative del potere centrale giudicale, ma sempre appoggiate, finanziariamente e materialmente, dalle forze militari ed economiche del comune pisano . . TANGHERONI (). . Sul popolamento della Sardegna medievale, cfr. MORI (); DAY (; b, pp. -; ); LIVI (); TANGHERONI (). . TANGHERONI (), p. . . La sua redazione finale, anche se non nella forma linguistica pervenutaci, è stata attribuita agli anni Settanta del XIII secolo. Nella presentazione del testo Alberto Boscolo evidenziava per questo racconto gli ampi margini di attendibilità soprattutto nel confronto critico con altri documenti disponibili; la cronaca, quindi, sembra rappresentare in modo abbastanza fedele non solo la sequenza dei giudici, ma anche i diversi contesti storici in cui sono descritte le attività dei sovrani (BOSCOLO, SANNA, ). In questa sede si è scelto di utilizzare l’edizione curata da Sanna e Boscolo per la semplice ragione che questa è l’edizione più diffusa. I diversi episodi descritti nella cronaca verranno individuati attraverso l’indicazione del numero di pagina di questa edizione (LIBELLUS). . La cronaca riporta che il giudice Gonnario, dopo aver recuperato il regno con l’aiuto dei Pisani e del suocero Ugone Ebriaci si recò «a su monte de Gosiano et, vidende su dictu logu, misit manu cun su dictu sogru sou mossen Ebriando a faguir su casteddu de Gosiano, su quale in pagu tempus fuit factu» (LIBELLUS, pp. -). L’episodio è cronologicamente inquadrabile tra il e il ; per la datazione del periodo di regno dei sovrani giudicali di Torres, cfr. SANNA ().
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Nell’anno successivo, nel , a meno di un decennio dalla pubblicazione dell’opera di Toubert, in un incontro che si prefiggeva un bilancio delle ricerche sui castelli italiani Day presentava un contributo di sintesi sulla situazione della Sardegna . Il primo punto affrontato dallo studioso americano riguardò l’assenza nell’isola del fenomeno di riordino dell’insediamento rurale correlabile con la presenza o lo sviluppo delle fortificazioni (secondo uno degli effetti principali del modello laziale di incastellamento di Toubert). Il giudizio di Day fu che la presenza e la distribuzione dei castelli era del tutto estranea, ed ininfluente, alla modifica e alla dinamica dei quadri di distribuzione delle popolazioni. In questo contesto interpretativo lo studioso americano evidenziava l’assenza di «prove sicure» sull’ipotesi che i giudici avessero costituito il proprio territorio di pertinenza (giudicato) attraverso la costruzione di fortificazioni lungo i confini. In seguito Day illustrava il dato, non innovativo rispetto agli studi precedenti, di un secondo periodo di sviluppo delle fortificazioni signorili entro la prima metà del XII secolo. Un quadro critico che lo studioso americano definiva utilizzando il Regno di Torres come area più rappresentativa di questo fenomeno. Una ricostruzione cronologica ed interpretativa che si poggiava da una parte utilizzando gli estremi cronologici riportati da Fara per Castelsardo, Bosa ed Alghero (come del resto avevano già fatto Carta Raspi, Casula e implicitamente anche Tangheroni) dall’altro su alcune considerazioni topografiche generali di questi castelli che lo studioso americano, come nel caso degli inventari sui villaggi abbandonati , aveva tratto dalla lettura delle opere descrittive del XIX secolo . Il contesto generale e l’impatto topografico e territoriale di queste fortificazioni costituivano per Day le basi di quelle esigenze strategiche che solo nel secolo successivo avrebbero determinato la fine istituzionale di tre giudicati su quattro (Cagliari, Torres, Gallura). Nella parte finale il contributo si concentrava sulle diverse soluzioni topografiche e monumentali delle fortificazioni e sul ruolo dei castelli nel quadro del popolamento rurale. Il giudizio generale sul fenomeno fu che nell’isola, considerata la natura amministrativa accentratrice dei regni giudicali, dato che le fortificazioni sorsero all’interno di questi quadri politici, «i castelli non vennero concepiti come dimore signorili e tanto meno come centri di amministrazione rurale, atti a raccogliere la popolazione sparsa nei villaggi indifesi» . Per Day, quindi, i nuovi castelli non sembravano presentare quella forza sufficiente per attirare le popolazioni al loro interno tanto che, in alcuni casi, i villaggi presenti alla base dei castelli (Acquafredda, Osilo, Galtellì, Las Plassas, Casteldoria) nella documentazione disponibile «precedevano la costruzione della fortificazione localizzata su un colle vicino» . . DAY (a). . DAY (). . In particolare l’autore ricorre spesso alle descrizioni del XIX secolo (LA MARMORA, ) e a quelle comprese nelle singole voci del DIZIONARIO STORICO STATISTICO. . DAY (a), p. . . DAY (a), p. .
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Di altro genere e quasi un passo indietro rispetto a queste problematiche, ma orientata ad altri scopi, è invece l’opera postuma di Foiso Fois dedicata ai castelli medievali della Sardegna . L’autore, pittore e critico d’arte, già in diverse occasioni aveva concentrato la sua attenzione su alcuni castelli attraverso un approccio che prevedeva l’analisi delle strutture e la correlazione dei periodi costruttivi con il quadro più generale delle vicende storiche, o meglio cronografiche, delle personalità collegate con il monumento . Il volume, curato da Barbara Fois e ampliato attraverso alcuni contributi di storia e archeologia medievale, era comunque destinato alla sola divulgazione mediante una veste grafica e fotografica di grande impatto; tuttavia occorre evidenziare come nelle ultime pagine è presente una bibliografia di aggiornamento sulla tematica della presenza e distribuzione dei castelli in Sardegna . ... Fonti scritte, fonti materiali: incastellamento Un quadro più critico sulla presenza e diffusione spaziale dei castelli, nel panorama più ampio delle ricerche portate avanti a livello nazionale e internazionale, fu presentato nel da Jean-Michel Poisson al secondo convegno italiano dedicato al tema dell’incastellamento . In quella sede lo studioso transalpino presentò i dati di una ricerca dedicata ad alcune fortificazioni della Sardegna sud-occidentale. Dal punto di vista della metodologia della ricerca l’indagine era basata sul doppio binario della rilettura della documentazione scritta, alla quale si affiancava criticamente una serie di dati provenienti da una campagna di ricognizioni archeologiche sui siti più rappresentativi. Un doppio canale di raccolta dei dati che permise a Poisson di definire, anche se in modo del tutto preliminare, una suddivisione crono-tipologica delle fortificazioni medievali della Sardegna. La seriazione riprendeva in parte lo schema seguito dagli studi precedenti (Carta Raspi, Casula, Day), ma in questo caso era strumentale, secondo quanto si proponeva lo studioso, a definire i piani di evoluzione monumentale, amministrativa e d’impatto nel territorio delle strutture fortificate. In questo senso Poisson identificò due periodi di sviluppo dei castelli: quello più antico, cronologicamente compreso tra il X secolo e la metà del XII secolo, caratterizzato da fortificazioni realizzate su diretta committenza dei giudici e il secondo, tutto compreso entro la prima metà del XIII secolo, caratterizzato quantitativamente e qualitativamente da castelli di committenza non sarda. Convenzionalmente Poisson definì questo secondo gruppo con il termine di «castelli coloniali» senza associare a questa espressione una valenza negativa, ma assegnando al termine un . FOIS (). . FOIS (, -). . PILI (). . POISSON ().
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valore strumentale alla classificazione delle strutture. Questa seconda fase di costruzione e presenza di castelli era correlata alla presenza di elementi provenienti dall’esterno (pisani), ma anche all’effetto (non causa, al contrario delle teorie precedenti) della scomparsa del giudicato cagliaritano. Per la prima volta il riconoscimento di due momenti distinti di sviluppo e di comparsa dei castelli nella Sardegna, non negato in precedenza (Carta Raspi, Day, Casula, Tangheroni), era ottenuto prescindendo dalle cronologie di Fara ritenute sino a quel momento “intoccabili”. Poisson specificò qualitativamente le modalità della sua suddivisione attraverso alcune ricognizioni archeologiche. I dati di queste ricerche, compiute in massima parte nel , erano già state presentate in una relazione attinente ai temi dell’organizzazione dei territori nel corso del Medioevo in un precedente convegno dedicato all’organizzazione degli spazi fortificati (CASTRUM ) . In quella sede Poisson aveva posto l’accento sul fatto che nella Sardegna fosse presente una costante correlazione tra lo sviluppo dei castelli nel XIII secolo e la presenza stabile delle entità signorili italiane. Nell’incontro del questo elemento fu ulteriormente ampliato dal punto di vista interpretativo dal fatto che gli interessi orientati alla razionalizzazione delle produzioni minerarie o alla gestione dei beni territoriali erano senza alcun dubbio alla base della stabilizzazione nell’isola delle signorie territoriali dei Capraia, Donoratico e Visconti, e che analoghe motivazioni economiche e amministrative rappresentavano la causa principale della volontà di erigere castelli nella porzione settentrionale della Sardegna . I quadri interpretativi dello studioso francese gettavano definitivamente una luce sulla natura delle committenze responsabili della costruzione dei castelli: pubblica e giudicale per il primo periodo; privata e signorile per il secondo gruppo. Anche per Poisson, come già evidenziato da Day, entrambe le modalità non sembrano rappresentare la causa principale della concentrazione delle popolazioni nei nuovi centri dotati di fortificazione. Una funzione che comunque, anche se con valenze diverse da quelle note nel resto della penisola italiana, nel caso dei nuovi castelli risultava tangibile solo ad una fase successiva a quella d’impianto delle strutture. Lo spostamento e la residenza delle popolazioni nei castelli o nei borghi dipendenti da questi risultava evidente nel meridione dell’isola solo a partire dal primo quarto del XIV secolo . Le ricerche sul campo condotte da Poisson, anche se compiute senza scavo, ma mediante ricognizioni topografiche e una prima lettura delle strutture murarie, mostravano in aggiunta gli aspetti materiali delle fortificazioni: presenza/assenza delle torri, caratteristiche delle residenze e degli edifici di servizio, organizzazione spaziale degli impianti nel territorio. . POISSON (), pp. -. L’incontro è la prima tappa di una serie continua di convegni più noti con il termine di CASTRUM. In queste sedi è possibile evidenziare la presenza della Sardegna sempre grazie ai contributi dell’archeologo transalpino (POISSON, , a, ). . POISSON (), p. . . POISSON (), p. .
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La fonte materiale, quindi, offriva un nuovo lato descrittivo e interpretativo delle strutture a prescindere dalle annotazioni presenti nelle fonti scritte. Dal punto di vista sintetico, nel caso delle costruzioni signorili, il dato più denso di interesse era quello che le fortificazioni erano sorte ex nihilo: cioè in luoghi e postazioni mai occupate da costruzioni di questo tipo. Contestualmente i dati topografici gettavano una nuova luce interpretativa anche nel rapporto con gli insediamenti. L’unità territoriale immediatamente dipendente dalla fortificazione era caratterizzata da una persistente densità abitativa: una costante presenza di persone e villaggi che risaliva dall’età giudicale, ma in molti casi affondava le sue radici nei periodi storici precedenti. I villaggi localizzati a pochi chilometri dalla fortificazione erano solitamente caratterizzati da sistemi urbanistici aperti e contraddistinti dalla presenza di uno o più edifici ecclesiastici identificabili come parrocchie; strutture che a loro volta rappresentavano i punti di riferimento per le popolazioni disperse a poca distanza nei nuclei di minore entità. Una serie di elementi che Poisson interpretò come una conferma materiale del fatto che i castelli «coloniali» nel loro periodo di massima efficienza ed espansione, ma non del tutto da escludere anche nelle loro fasi più antiche, ricoprivano il ruolo di nuovi centri di amministrazione dei territori. Il distretto controllato dal castello travalicava in questo modo il sistema sociale e amministrativo di stampo giudicale. Un quadro evolutivo identificato da Poisson con il cosiddetto territorium castri che riuscì a conservarsi sino al definitivo passaggio dei territori agli Aragonesi nel secondo quarto del XIV secolo. . Castelli e villaggi nell’area del Regno di Torres In Sardegna, quindi, è evidente come dal punto di vista storiografico la problematica sulla presenza e sulla distribuzione dei castelli, attraverso i contributi di Day e di Poisson, si allontana definitivamente da quel filone antiquario e mitologico, anche se ha ancora qualche fedele estimatore , e prende definitivamente il largo avvicinandosi al livello interpretativo continentale. Un nuovo panorama che nell’isola, grazie anche ai convegni di Sassari e Alghero, citati in principio, ma anche alla mostra tematica dedicata ai castelli dell’Arborea , ha costituito per chi scrive le basi tematiche per ricerche specificatamente orientate al tema dell’incastellamento in Sardegna nell’area occupata dal Regno di Torres . Un lavoro che sin dal principio ha escluso da un lato la ricerca affannosa di un modello sardo di sviluppo delle fortificazioni e dall’altro un ripiegamento verso il necessario riconoscimento in uno degli altri modelli di sviluppo delle fortificazioni proposti per le altre regio. SPIGA (, ). . CAMPUS (). . CAMPUS (a).
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ni italiane . Una scelta di metodo e di critica interpretativa priva di qualunque determinismo di tipo storico, politico o geografico, e perfezionata in ragione del fatto che era più urgente sistemare criticamente tutti i dati disponibili mediante una rigorosa analisi delle fonti a disposizione (scritte e archeologiche). In questo modo è stato possibile evidenziare come nei modelli interpretativi della precedente storiografia, citata sinteticamente nelle pagine precedenti, erano palesi gli errori di una generale confusione tra le fonti dirette e quelle narrative. Il risultato finale era quindi quello della proposta e definizione di successivi piani di sviluppo di distribuzione e nascita delle fortificazioni mediante l’accoglimento acritico di fonti cronologicamente prodotte nel corso del periodo moderno. Queste, infatti, anche se cronologicamente riportavano episodi più o meno verosimili cronologicamente riferibili alla prima metà del XII secolo, rivelavano la loro debolezza storica nel confronto con la coeva documentazione dove non solo non viene mai registrata la presenza dei castelli, ma allo stesso modo non emerge la presenza di elementi o avvisaglie di signorie territoriali private all’interno del territorio del giudicato prima della metà del XIII secolo . Un aspetto già posto in evidenza da nuovi e diversi contributi interpretativi , ma, ad ogni modo, era chiaro come l’analisi sul singolo castello topograficamente presente all’interno del territorio racchiuso dal Regno di Torres, non poteva essere impostato senza affrontare il problema più generale dell’introduzione del “sistema castello” nel più vasto quadro dell’insediamento giudicale. Tuttavia, anche in questa direzione, mediante un corretto approccio critico e interpretativo, dal punto di vista storiografico, è necessario evidenziare i diversi limiti interpretativi. Infatti, anche se si dispone di un vaglio abbastanza ampio del quadro insediativo rurale attraverso i dati contenuti nei classici atlanti dei villaggi sardi , non è ancora possibile definire nel dettaglio i veri caratteri dell’insediamento umano dei primi secoli del Mille. Un orizzonte non del tutto definito nei suoi componenti costitutivi e che non consente di definire lo spazio fisico, politico ed economico di inserimento e di movimento di quello che nella recente storiografica è stato definito come il «sistema domus» . Una struttura interpreta. Senza nessun carattere di completezza, ma solo per citarne alcuni, cfr. quelli sul Lazio (TOUBERT, ); sull’area padana (SETTIA, ), sulla Toscana (FRANCOVICH, WICKHAM, ; QUIRÓS CASTILLO, ; CORTESE, ). . Stupisce in questo senso che all’interno della voce Castelsardo nel Dizionario Storico Sardo si faccia riferimento a tutte le cronologie del Fara: , fondazione del castello da parte dei Doria; , fondazione da parte dei Malaspina ipotizzando in questo frangente da un lato la presenza del castello in quest’area quale elemento evidente della politica di colonizzazione territoriale, ma in seguito prospettando, su basi non perfettamente specificate, l’attestata presenza di una concessione da parte del giudice di Torres, Costantino, in favore di Alberto Malaspina di «erigere oltre ai castelli di Bosa e di Osilo, anche la rocca di Castelgenovese» (cfr. DI.STO.SA., voce Castelsardo, città). . BERTINO (); BROWN (); SODDU (, ); SODDU, CAMPUS, (). . DAY (); TERROSU ASOLE (); CASULA (a, b). . ORTU (); DE SANTIS (a, pp. -, b); FERRANTE, MATTONE (), pp. -.
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ta, sulla scorta della documentazione, quale articolata cellula principale del quadro produttivo delle signorie fondiarie laiche ed ecclesiastiche presenti in Sardegna a partire dall’XI secolo. Le difficoltà di interpretazione e di interpolazione si possono ricondurre a due insiemi di fattori. Innanzitutto la forma stessa dei repertori dei villaggi che non permettono di mettere in risalto il rapporto verticale e orizzontale con le altre unità insediative. Questa osservazione non è dettata da uno spirito inutilmente polemico, ma da un motivato elenco di considerazioni: a) facile commistione tra fonti documentarie e fonti letterarie; b) assenza di periodizzazione dei dati che sono attribuiti ad una generica fase storica quale è il Medioevo; c) scarsa attenzione per gli insediamenti “vincenti” e conseguente sovraesposizione di quelli abbandonati; d) non considerazione degli insediamenti minori o di quelli che, secondo quanto espresso da Terrosu Asole, non maggiormente consistenti o affermati, quindi con una scelta aprioristica e qualitativa di schedare solo le villas ; e) non considerazione delle forme insediative destinate alla razionalizzazione e gerarchizzazione degli spazi rurali formatasi nel periodo giudicale o nelle fasi storiche successive. Il secondo insieme di difficoltà è imputabile alla non conoscenza della realtà materiale degli insediamenti noti dalle fonti scritte: in questo rientrano non solo i castelli giudicali, ma anche quelli signorili per una serie di motivazioni esposte nelle pagine iniziali di questo saggio, ma anche le villas e soprattutto le cellule produttive di base come le domos. Per tutte queste categorie non si conoscono i momenti e le caratteristiche progettuali, i rapporti topografici interni, l’organizzazione e la specificità delle aree produttive differenziate, la presenza delle zone socialmente privilegiate o di spazi pubblici, la relazione con le aree di dipendenza ecclesiastica parrocchiale. In modo particolare per le domos appare fortemente restrittiva la mancanza di dati sul livello sociale e sulla qualità di vita degli abitanti, dato che questi sembrano appartenere esclusivamente alla classe servile . In aggiunta, sempre . TERROSU ASOLE (), p. . . Secondo Ortu la condizione dei servi all’interno delle domos era particolarmente dura. Ai servi, anche se era riconosciuto un certo grado di diritto sulla persona e sulle proprie cose, veniva comunque preclusa qualunque evoluzione sociale, questo in ragione di una conduzione diretta delle aziende signorili che si esplicitava in un controllo ossessivo dei signori sul lavoro di questi uomini più che sul mantenimento del dominio fondiario. Il servo della domo non aveva alcun diritto sulla casa in cui abitava, dato che queste appartenevano esclusivamente al signore di riferimento, e nei pochi casi in cui sono citati personaggi di condizione servile all’interno di una struttura abitativa in massima parte è da ricondurre ad una fura, cioè per impossessamento furtivo dopo una fuga, oppure per un precedente mandato del signore nel tentativo di allargare la base agricola disponibile, magari a discapito di una concorrente azienda signorile. Sempre Ortu evidenzia che tra le condizioni del servo non erano contemplati i diritti sul suo nucleo famigliare dato che questo viene spezzato, se il marito appartiene ad un signore e la moglie ad un altro, con la divisione della prole tra le due entità. Questo comportava un’esistenza labile e precaria che non può non avere avuto ripercussioni anche sul sistema insediativo, del resto provato anche dal fatto che nei casi di fuga l’autorità signorile ha diritto di rivalsa su tutti i beni mobili dei fuggitivi e sull’eventuale prole (ORTU, , pp. -). Per una sintesi sulla condizione servile nell’isola, cfr. anche PANERO (), pp. -.
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per le domos, considerando che alcuni di questi impianti, nella documentazione del XIV secolo, vengono ricordati semplicemente come villas, emergono urgenti le esigenze di riflessione sull’utilizzo di questo termine nel corso del tempo anche alla luce della constatazione, niente affatto eccezionale, della compresenza su uno stesso spazio di villa e domo. La generale assenza di informazioni materiali, comunque, investe anche i centri episcopali e le sedi monastiche. Nel Regno di Torres su otto sedi cattedrali tre coincidono con i maggiori spazi mercantili del giudicato: Turris, Bosa e Ampùlia. Questi centri, dal punto di vista topografico, sembrano in continuità con i precedenti quadri insediativi romani e forse anche bizantini, tanto che non sembra troppo azzardato ipotizzare come la continuata funzione di raccolta e di distribuzione dei prodotti rappresenti il principale fattore che ne ha favorito la sopravvivenza. Tuttavia, l’assenza di ricerche strategicamente mirate in questa direzione, sia di tipo storico che archeologico, non permette di comprendere le relazioni tra i nuclei autoctoni e quelli nuovi . Dal punto di vista storiografico e interpretativo, quindi, se ancora non esistono elementi sufficienti per mettere in discussione il modello che vede nella Sardegna dopo il Mille un territorio del tutto privo di centri urbani, in piena soluzione di continuità rispetto al paesaggio di età romana e bizantina, tuttavia non è del tutto coerente collocare i nuclei abitativi nelle consuete categorie che la letteratura ha indicato come linee guida per il panorama insediativo rurale giudicale: la villa, la domo, la domestica e la scolca . In altre parole se è corretto affermare che per molti dei vecchi centri urbani o dei nuovi centri episcopali non si conosce quasi nulla per una totale assenza di ricerca o di valutazioni archeologiche approssimative o preliminari, è altrettanto valido, e forse più vicino al vero, non sottovalutare quanto è intuibile nella sequenza dinamica di quelle aree che presentano una successione tra il municipio e/o la colonia romana, la sede vescovile paleocristiana, la sede vescovile medievale con la cattedrale romanica, il centro portuale con la presenza stanziale (quartieri) di elementi mercantili. Una successione che non può più considerarsi casuale o del tutto priva di significato dal punto di vista storico interpretativo. Lo studio specifico di questa differenziazione permetterebbe di definire la rottura o la continuità della fase edilizia “romanica”, nel suo impatto di fuori squadra rispetto al contesto del villaggio o del . Emblematica l’assenza materiale di Medioevo a Porto Torres ad esclusione del complesso cattedrale di San Gavino in contrapposizione agli elementi che provengono dalle fonti scritte. Nel il giudice Mariano nell’atto di concessione ai mercanti pisani dell’esenzione dal pagamento del teloneo, fa riferimento alla presenza e all’operatività a Turris dei maiores de portu Dorgotori Tussia e Stefanum Striga (BESTA, , doc. I; ARGIOLAS, MATTONE, , pp. -). Nel Libellus è riportato che dopo la morte del giudice Costantino, ascrivibile al (SANNA, , p. ), il giovane giudice Gonnario trovò primo rifugio presso il porto di Torres «qui tandu fuit habiatu et pobulatu de mercantes pisanos, homines de bene et ricos» (LIBELLUS, p. ). . FERRANTE, MATTONE ().
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piccolo nucleo di case preesistenti alla costruzione dell’impianto ecclesiastico. Un aspetto non sottaciuto nella storiografia sarda , ma che comunque non ha impedito nel Regno di Torres, e più in particolare nel caso di Turris (ma perché non in quello di Bosa vetus, o in quello di Tibulas-Ampurias) di proporre e distinguere dal punto di vista interpretativo differenti fasi di sviluppo. In questo frangente, infatti, sulla scia dell’oggettiva crisi del centro urbano romano di Turris si sono individuati, anche se non suffragati dalle fonti documentarie, spostamenti in massa delle popolazioni verso l’interno e in seguito, sulla base dell’accoglimento acritico di fonti narrative moderne , si sono recepite diverse ipotesi interpretative che hanno identificato nel corso del XII secolo il possibile travaso politico del vertice del giudicato verso la più sicura sede di Ardara: un villaggio localizzato nella porzione centrale del Regno logudorese e dotato, secondo alcune fonti narrative moderne, di una fortificazione già a partire dal primo quarto del secolo precedente . ... Il panorama insediativo del Regno di Torres Il contributo della fonte materiale, in parallelo ad un più attento accoglimento di quella scritta, potrebbe offrire la possibilità di specificare il grado di selezione e di evoluzione delle zone abitate a partire dell’età romana e bizantina: in questo senso risulterebbe possibile definire meglio quegli spazi caratterizzati nelle diverse fasi da un panorama rado di villaggi rispetto ad aree di ininterrotta frequentazione contraddistinte da nuclei di abitati defi. TANGHERONI (; , pp. -). . Il testo a cui la storiografia ha fatto spesso riferimento sulla presenza di un castello ad Ardara già a partire dal periodo giudicale è il condaghe di San Gavino (MELONI, ). Il testo, redatto a corollario delle leggende collegate al culto dei martiri turritani, noto nella trascrizione compiuta dall’erudito Francesco Roca stampata a Sassari nel , riporta tra i diversi personaggi legati alla figura del giudice fondatore della basilica di San Gavino, indicato nel testo come Comita, la sorella del giudice, Giorgia. Il racconto assegna a questo personaggio alcuni compiti amministrativi all’interno della struttura istituzionale del Regno di Torres e indica Giorgia quale diretta committente della chiesa di Santa Maria del Regno e del castello ad Ardara. Anche a prescindere dalla reale esistenza dei personaggi citati, sui quali comunque rimangono forti dubbi interpretativi (SANNA, , pp. -), la notizia è stata accolta acriticamente (CARTA RASPI, , pp. -; FOIS, , pp. -) e, in aggiunta, ha determinato, dal punto di vista storiografico, la certa presenza di un castello in questo centro a partire dalla prima metà dell’XI secolo. In altre parole il passo del XVII secolo è divenuto fonte diretta per l’XI secolo. In realtà la presenza di un castello, cioè di una costruzione con evidenti e specifiche caratteristiche di tipo militari e residenziali, è certa ad Ardara solo a partire dalla metà del XIII secolo dopo il passaggio del centro al controllo signorile dei Doria (cfr. CAMPUS, b). . CARTA RASPI (), pp. -; FOIS (), pp. -; CASULA (), p. . Secondo Angelo Castellaccio lo spostamento si rese necessario in ragione dell’incombente presenza a Porto Torres di non-Sardi alla metà del XII secolo (CASTELLACCIO, , pp. -). Per Sandro Petrucci il trasferimento determinò una separazione tra il centro arcivescovile e quello politico; esso tuttavia sembra essere imputabile alla necessità di creare una seconda linea di difesa del giudicato dopo la punta avanzata costituita dal castello del Goceano realizzato da Gonnario nel corso degli anni Trenta del XII secolo (PETRUCCI, , p. ).
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nibili dal punto di vista tipologico con il termine di pseudourbani. Il primo insieme, il panorama socio-insediativo più rado, sembra che si possa localizzare non tanto e non solo, secondo una consolidata tradizione storiografica, nella porzione centrale dell’isola, ma anche, per citare alcuni esempi nel Regno di Torres, nelle valli lungo la costa del Nurcara, nella porzione meridionale del Montiverru o in tutta quella del Goceano. Questo nuovo sintetico quadro sulla distribuzione spaziale degli abitati offre la possibilità di inserire e interpretare i canali di sviluppo dell’organizzazione ecclesiastica contraddistinta non solo dall’arrivo dei monaci dal continente italiano, ma in misura non inferiore dal coevo sviluppo delle nuove sedi di diocesi nell’XI secolo. In quest’ottica la creazione di sedi stabili per nuove diocesi rappresenta una variazione sul tema delle fondazioni e concessioni agli ordini monastici. Un fenomeno che senza dubbio si offre, come ha scritto Day, quale «il riflesso del recente aumento della popolazione, come pure di una tappa decisiva del movimento di colonizzazione rurale» . ... Lo sviluppo dei poteri locali e la presenza dei monasteri: le tematiche interpretative Da poco meno di un ventennio l’interpretazione storiografica ha superato le precedenti concezioni che associavano alla presenza dei monaci nell’isola quel panorama caratterizzato dal monaco regolarmente impegnato nella diffusione della cultura e nel miglioramento dei sistemi produttivi agricoli . Indubbiamente, anche in Sardegna la formula contenuta nell’atto di fondazione del monastero camaldolese di Santa Maria di Bonarcado presso Oristano, nei primi decenni del XII secolo, «qui regant illud et ordinent et lavorent et edificent et plantent» , ha influenzato l’analisi del fenomeno, e nei fatti ha creato, come ha scritto Silvio De Santis «una visione apologetica ed elogiativa dell’operato degli ordini monacali giunti nell’isola in seguito alla chiamata di giudici e maiorales» . Recentemente, quindi, il dibattito ha supera-
. DAY (b), p. . . In questo filone si è inserita quasi tutta la produzione storiografica che si è occupata di storia agraria della Sardegna: SABA (), pp. -; ZANETTI (), pp. -; BOSCOLO (); CHERCHI PABA (-), vol. II; FOIS (), pp. -; ma anche più in generale il giudizio storico sulla presenza pisana e genovese con le posizioni di Enrico Besta e Arrigo Solmi. Il primo era portato a cogliere nella presenza esterna alla Sardegna un ruolo di gestione e di razionalizzazione, comunque destinato, sul medio periodo, a sottomettere gli elementi locali (BESTA, , pp. -); l’altro correlava alla presenza pisana e genovese l’impulso qualitativo che avrebbe permesso la rinascita di porti, città e campagne della Sardegna, ma, dietro questo progresso, si intravedevano i nuovi sistemi di gestione basati sulla presenza degli elementi di stampo feudale e beneficiario concretizzati nelle stesse concessioni territoriali (SOLMI, [], pp. -). . CSMB, doc. . . DE SANTIS (a, b).
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to le interpretazioni precedenti spostando l’attenzione verso le motivazioni economiche alla base della loro presenza e del loro successo. È in questo senso che Day, attraverso la lettura dei documenti disponibili, ha sottolineato la natura «coloniale» degli ordini monastici, insieme a quella dei ministri a servizio delle Opere delle due cattedrali di Genova e Pisa. Lo studioso americano definisce questo insieme con il termine di «commensali ingombranti» nel panorama produttivo dell’isola giudicale tanto da affermare che la missione civilizzatrice dei benedettini in Sardegna, simboleggiata dalla costruzione e dall’abbellimento di numerose chiese, degenerò rapidamente in sordidi conflitti d’interesse, nei quali i monaci cercavano di estendere i loro possedimenti e la loro influenza e i vescovi si sforzavano di recuperare i beni e le rendite che avevano perduto .
In questa direzione anche Geo Pistarino che, mediante strade storiografiche e interpretative diverse, individua un intervento diretto dei beneficiari (ministri delle Opere, responsabili degli ordini) nella scelta preventiva dei territori delle future concessioni: in questo senso i beni incamerati rispondevano alle prospettive economiche e rendevano possibile una successiva espansione fondiaria delle strutture . Un quadro interpretativo che mostra come all’interno del Regno di Torres la distribuzione delle sedi e delle pertinenze degli enti monastici (Cassinesi a partire dall’XI secolo, Vallombrosani, Camaldolesi, Cassinesi nella prima metà del XII secolo) è essenzialmente votata all’occupazione sistematica di aree già strutturate dal punto di vista socio-insediativo (villaggi e viabilità conservati nelle loro linee essenziali dal periodo romano e bizantino). Una palese contraddizione con quella concezione storiografica che, sulla carenza di uomini e mezzi durante tutto il periodo medievale (un fattore che ancora contraddistingue l’isola rispetto ai paesi del bacino del Mediterraneo), e sul presunto basso livello sociale ed economico dell’isola segnato da una totale assenza di contatti con l’esterno e da un’economia chiusa appena al limite della sussistenza, vedeva nei monaci, ma anche negli amministratori dei possedimenti delle Opere, gli unici responsabili delle attività di dissodamento e nuova apertura di spazi produttivi in Sardegna. Un’interpretazione che mostra un’evidente paradosso nell’analisi critica della distribuzione spaziale di queste aziende nel territorio: i monaci non vanno, come ci si aspetterebbe, ad installarsi nelle aree interne dell’isola di Sardegna. La congiuntura economica del primo secolo dopo il Mille non si rispecchia in una realtà di villaggi arroccati sulle colline e abitanti dediti in modo esclusivo alla pastorizia nomade che accolgono felici e festanti l’arrivo delle navi cristiane. L’esistenza di villaggi, case, persone, stabili sul fondo delle valli a poca distanza dalla costa è materialmente documentata nel neo. DAY (b), p. . A commento degli aspetti economici descritti da Day sulla Sardegna, cfr. LE ROY LADURIE (-); MATTONE (). . PISTARINO (), pp. -.
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litico con evidenti prosecuzioni nella fase nuragica e nel lungo periodo fenicio-punico e romano. L’onda di trasformazione del periodo tardo-antico e alto-medievale ha avuto le sue ripercussioni sul tessuto politico e socio-insediativo, ma l’abitante delle campagne dell’XI secolo, la sua organizzazione produttiva, le sue conoscenze tecniche, la sua qualità di vita non sono assolutamente quelle delle popolazioni nuragiche. È noto, del resto, come oltre agli edifici di culto agli ordini monastici erano concesse le cellule produttive del panorama produttivo rurale (sistema domos): queste con i loro strumenti costitutivi – i saltos, le coltivazioni specializzate, gli strumenti, la manodopera – rappresentavano gli elementi di uno sfruttamento produttivo già impostato da parte dei concessionari. Le acquisizioni erano precedute, ma anche seguite, da un’intensa attività edilizia (il periodo romanico tangibile sui monumenti come le abbazie o le chiese) promossa finanziariamente non tanto dai beneficiari ma da coloro i quali si preoccupavano di compiere le donazioni: vertice del giudicato e le diverse casate aristocratiche locali (De Athen, De Thori, Gitil, De Kerki, Gambella) . Classi sociali di alto livello che utilizzavano il surplus produttivo già presente nel giudicato con l’obiettivo tutto politico di emergere all’interno della stessa struttura dirigente giudicale. Un processo che non si svolse senza contraccolpi o con il beneplacito ideale delle popolazioni, secondo quanto segnala la storiografia che predilige il ruolo positivo e riformatore della presenza delle aziende monastiche, ma che ha precise e ben identificabili vittime: gli abitanti delle villas. Quali esempi emblematici del clima di conflittualità che si venne a costituire si possono ricordare gli scontri tra i monaci vallombrosani di Salvennor, appoggiati dalla famiglia dei De Thori, e gli abitanti della villa di Ploaghe , o quelle che a più riprese, tra gli anni Venti e la metà del XII secolo, videro contrapposti i Cassinesi e la sede vescovile di Ampurias, ma anche il capitolo della chiesa turritana , o ancora le divergenze tra i gli abitanti del villaggio di Puthu Passaris che si oppongono alla parcellizzazione del saltu di . È intuibile come la manodopera specializzata proveniente dalle scuole esterne, lombarde o toscane, non venisse retribuita solamente attraverso le modalità del baratto, ma mediante argento in verghe o lamine. Dal punto di vista storiografico non esiste ancora uno studio di sintesi sulla circolazione di metalli preziosi per i secoli XI-XII all’interno della Sardegna giudicale anche se da più parti è stato evidenziato come ancora nella seconda metà del XII secolo si utilizzasse come unità di conto quella bizantina – il bisante o solidus – e come unità inferiore il sollo (MELONI, b, pp. -). . CSMS, doc. ; datazione tra e (tra il regno di Costantino I e quello di Gonnario); lite sulla definizione dei territori tra l’abate di Salvennor e il vescovo di Ploaghe (CSMS, docc. , ; datazione al regno di Gonnario -); disputa sul salto di Plano tra il vescovo di Ploaghe e il monastero spalleggiato dai de Thori intervenuti per tutelare gli interessi del monastero (CSMS, docc. , ; datazione al regno di Gonnario); lite per alcuni possedimenti territoriali con il vescovo di Ploaghe (CSMS, docc. , ; datazione al regno di Mariano II, -). . CODEX DIPLOMATICUS, secolo XII, docc. XXXVIII (), XLIV (); DIPLOMATICO CASSINO-SARDEGNA, doc. XXXV ().
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Uras in quanto terra comune del villaggio (populare) impropriamente ceduto al monastero camaldolese di Trullas dalla famiglia dei De Athen . Le fonti scritte e l’analisi di dettaglio delle distribuzioni degli impianti in rapporto alle continuità con i quadri insediativi precedenti mostrano come si attuò, in differenti fasi, una vera e propria corsa alla donazione-acquisizione di spazi produttivi a discapito delle villas. Queste erano abitate da gruppi di persone, di condizione libera o semiservile, che conseguentemente vedono peggiorare la loro situazione attraverso una progressiva occupazione dei terreni migliori da parte dell’aristocrazia fondiaria locale (maiorales, lieros mannos), ma anche dall’autorità giudicale, che del resto riceveva dagli stessi maiorales la confirmatio al trono . I pascoli migliori, le aree a colture specializzate, i patrimoni zootecnici, andavano a favore di quelle signorie fondiarie ecclesiastiche, dietro alle quali, con forme abbastanza nitide, si intravedeva il peso delle forze continentali che appoggiavano politicamente e militarmente il giudice. Un disegno che, esaminato lungo tutta la parabola politica del Regno di Torres, mostra in un primo momento la perdita da parte dell’autorità pubblica locale delle migliori aree produttive; in seconda battuta, negli ultimi decenni di vita del giudicato, degli spazi di mercato e distribuzione che via via si stavano costituendo nelle valli di maggiore transito e alla foce dei principali fiumi del giudicato (Temo, Coghinas, Rio Mannu). Non esiste ancora un’ipotesi storiografica di sintesi sul perché di questa strategia politica così evidente nel Regno di Torres. In altre parole, se è comprensibile l’effetto, quello più recente, nelle diverse interpretazioni dello «scambio ineguale» tra la Sardegna e il continente con un enorme vantaggio economico per i possessori delle terre e per i gestori mercantili di questo rapporto, a nostro avviso rimane ancora non sufficientemente indagato e storiograficamente discusso quell’insieme di cause e motivazioni pertinenti ai momenti iniziali di questa politica che potremmo definire con il moderno termine di “devoluzione”. Nella storiografia, infatti, si passa, dal punto di vista interpretativo, dalla possibile correlazione tra la risposta dei vertici giudicali a minacce di infeudazione di tutta l’isola da parte della Sede apostolica nell’ultimo quarto dell’XI secolo ; alla volontà riformatrice del clero isolano ancorato a canoni comportamentali bizantini, come espresso dalla sede pontificia ; all’ipotesi più concreta, . CSNT, doc. . . BESTA (), pp. -; SOLMI ( []), pp. -. . DAY (a), p. . Un’interpretazione totalmente rigettata da Raimondo Turtas che la definisce anacronistica e totalmente priva di prove dato che nella documentazione pertinente al periodo, in particolare in quella relativa al pontificato di Gregorio VII, citato spesso come latore delle minacce di infeudazione, non esiste alcun riferimento di questo tipo né sul singolo giudicato né sulla Sardegna nella sua unità geografica (TURTAS, , pp. -, -). . Turtas insiste non poco sulla «grande misère» della Chiesa sarda sulla scia di quanto riporta la donazione di Mariano I di Torres nel marzo del in favore della Chiesa di Santa Maria di Pisa (FADDA, , pp. -). «I mali che affliggevano il giudicato – scrive Turtas – erano causati sopratutto, secondo Mariano, dall’ignoranza degli ecclesiastici, dal loro scarso
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ma solo alla luce degli effetti successivi, che il periodo di stanziamento di questi elementi rappresenti il primo tassello della politica di espansione intrapresa dalle città continentali e la base stabile per le future politiche territoriali . Secondo Gian Giacomo Ortu, tra le motivazioni potrebbe essere aggiunto l’obiettivo perseguito dal vertice del giudicato di arginare in qualche modo «il lancio spontaneo dei coltivatori, liberi o servi» . In questo modo, dal punto di vista socio-economico, si riconoscerebbe alle popolazioni delle villas una capacità e una iniziativa nella politica dei nuovi dissodamenti in competizione con quelle intraprese dall’aristocrazia locale, tangibili nel fatto che nelle concessioni sono esclusivamente presenti le unità del sistema produttivo – le domos – e non le villas , ma anche con quelle attività portate avanti dalle aziende monastiche. In questo contesto interpretativo la strategia dell’aristocrazia locale, ma anche quella del vertice giudicale, si configurerebbe come la causa stessa della precarietà dell’insediamento anche se dettata dal fine ultimo di aumentare quantitativamente il livello produttivo degli spazi rurali. Da una parte, quindi, si optava per la destinazione coatta di popolazione servile mediante lo strumento delle donazioni, dall’altra, sottraendo le unità agrarie migliori alle persone residenti nei villaggi, si faceva sì che queste, gioco forza, erano costrette a spostarsi, a fondare nuovi villaggi e aprire nuovi spazi produttivi . Un insieme dinamico che dal punto di vista politico e istituzionale nel rapporto con la certa sequenza dei giudici di Torres fa immediatamente sentire i suoi effetti sul vertice del giudicato. È infatti la stessa cronaca dei giudici di Torres, il Libellus, che racconta come il giovane giudice Gonnario, in ragione del pericolo rappresentato dalla famiglia dei De Athen, sia costretto a cercare rifugio prima a Turris e successivamente a Pisa da dove farà ritorno solo tre anni dopo aiutato militarmente dalle forze pisane . Nonostante i limiti di affidabilità legati alla cronaca, è comunque evidente come nella coeva documentazione a partire dal regno di Gonnario, nel terzo decennio del XII secolo (periodo al quale sono riferibili i fatti narrati), si denota un punto di svolta nella politica strutturale e amministrativa del giudicato. Nella documentazione ufficiale, cioè in un atto emesso direttamente dal
spirito religioso, dalla trascuratezza nella pratica del ministero sacro e infine dal fatto che il loro modo di vivere era affatto difforme dalle norme canoniche per cui era impossibile distinguerlo dai laici, ai quali, invece avrebbero dovuto essere d’esempio» (TURTAS, , p. ). . TANGHERONI (, ). . ORTU (), p. . . Nei condaghes, infatti, le villas, non essendo degli insediamenti privati, sono citate solo nei kertos (controversie) con l’ente monastico e mai nelle donazioni. . Un fenomeno non sfuggito a Day che lo definisce come uno «spopolamento rurale precoce» in aperta contraddizione con la fase più evidente di espansione economica della Sardegna che riesce in questo periodo, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, a mettersi quasi allo stesso livello del panorama italiano (DAY, [a], pp. -). . SANNA (). . LIBELLUS, pp. -.
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vertice del giudicato, Gonnario, probabilmente nella finalità di ricompensare Pisa, assegna all’Opera della cattedrale di questa città una porzione territoriale che copre quasi tutta l’area settentrionale della Nurra attuale . Oltre a questo, anche se occorre considerare che la fonte di informazioni è solo il Libellus, sempre durante il regno di Gonnario si ha l’introduzione, su iniziativa diretta dello stesso giudice, dei Cistercensi e la costruzione dei primi castelli: quello di Goceano e quello di Montiverru . Una costruzione e un modello materiale di organizzazione del territorio che in questa fase storica, nella realtà insediativa del giudicato, sembra rappresentare, come evidenzia a più riprese la stessa cronaca, uno dei più importanti segni di discontinuità rispetto al recente passato . ... Le fortificazioni giudicali Il periodo di costruzione di castelli da parte dei giudici di Torres non rappresentò una rivoluzione della rete insediativa precedente. Lo si evince dall’analisi spaziale e territoriale dei singoli esempi, che in questa sede non è possibile richiamare in tutta la sua completa esaustività , ma anche dalla sintetica e materiale constatazione che le nuove costruzioni non modificarono la toponomastica precedente tanto che gli impianti assunsero la denominazione dell’unità morfologica originale. D’altro canto è evidente, come avevano già notato Casula e Tangheroni, ricordati in principio, come la loro costruzione e distribuzione spaziale nel territorio del Regno di Torres sia il prodotto più di un’esigenza esterna che di una necessità del vertice politico locale . Un livello più alto di strategia (pisana) più attenta ad ostacolare il passo al Regno di Arborea, politicamente filogenovese, in questa fase storica. La posizione e la distribuzione delle fortificazioni giudicali mostra quindi come il principale obiettivo fosse quello di controllare i passaggi e le viabilità in contesti territoriali contraddistinti da modesti nuclei insediativi. Una strategia di difesa e organizzazione del territorio che possiamo definire ancora bizantina nelle sue modalità d’impatto sui territori ma, decisamen. Nel Gonnario concede all’Opera di Santa Maria di Pisa diversi territori, organizzati in curtes, localizzati ad ovest di Turris e presso l’insediamento di Bosove, al centro della Romangia. La concessione, che in pratica abbraccia tutta la regione settentrionale e centrale della curatoria della Nurra, è costituita da terreni agricoli, colti ed incolti, pascoli, boschi, vigne, sorgenti, fiumi, bestie selvatiche (diritti di caccia), patrimoni zootecnici di animali da lavoro (buoi) e da allevamento (suini ovini), aree di pesca e una forza lavoro costituita da oltre cinquanta servi. Una seconda porzione di territori compresa nella medesima concessione, è identificata ancora nella Nurra, dove viene concessa la metà delle rendite agricole dei «montis que dicitur Argentei» (cfr. DIPLOMATICO SANTA MARIA DI PISA-SARDEGNA, doc. VIII). . LIBELLUS, p. . . Cfr. nota . . CAMPUS (a), pp. -. . TANGHERONI (), p. . . SPANU (), pp. -.
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te, lontana da quella che contestualmente si stava sviluppando al di fuori dell’isola. Una condotta di politica territoriale rivolta a chiudere e serrare nella sua globalità il territorio, ma destinata a proteggere con forme che potremo definire di profondità e di strategia politica quella porzione di territorio che già da mezzo secolo godeva della presenza di nuove persone, di aziende monastiche oramai ricche e potenti e di una rete di flussi commerciali stabili e regolari. Il Regno di Torres in questa fase storica è chiaramente suddiviso in due aree socio-economiche: quella settentrionale e lungo la fascia della valle del Temo, aperta e in pieno sviluppo con una sua specifica dinamica interna (sistema domus, aziende monastiche, villas, sedi cattedrali, porti) e quella centrale, montagnosa, isolata, dove era difficile vivere e produrre, con pochi villaggi, poche strade e tutto sommato “risparmiata” dalle mire fondiarie delle aziende ecclesiastiche. . Poteri e castelli nel secolo XIII Lo sfacelo politico del regno italico e la tendenza alla frammentazione del potere – in atto nel resto della penisola – non consentono più una difesa del territorio a carattere strategico, costringono a risolvere le necessità difensive localmente e in modo spontaneo. La spinta positiva, per quanto ostacolata, compressa, ritardata, tuttavia non si spegne: lo sviluppo si attua egualmente, anche se è costretto ad aggirare con fatica gli ostacoli e, per mostrarsi allo scoperto, deve munirsi di corazza e di aculei .
Così Aldo Settia, nel capitolo conclusivo del suo lavoro su castelli e villaggi dell’area padana, descriveva la moltiplicazione dei castelli a partire dagli ultimi decenni del IX secolo. Utilizzando la medesima metafora e sostituendo solo alcune parole, regno italico con regni giudicali, il quadro simbolico descritto dallo storico piemontese appare perfettamente aderente allo scenario logudorese, ma in generale sardo, della metà del XIII secolo: fine di tre giudicati su quattro (Cagliari, Torres e Gallura), frammentazione istituzionale dei territori e dei distretti amministrativi locali, presenza e costruzione dei castelli da parte dei titolari delle signorie territoriali. Per l’area occupata dal Regno di Torres il dato di sintesi sull’analisi dell’impatto sul territorio delle fortificazioni di origine signorile (Doria, Malaspina, Arborea) è in linea con quella definizione dinamica del termine dell’incastellamento di Toubert: «construction-destruction permanente des structures de l’habitat» . Tra la metà del Duecento e l’ultimo quarto dello stesso secolo la simultanea comparsa del “sistema castello signorile” nell’area
. SETTIA (), p. . . CAMPUS (a), pp. -. . TOUBERT (), p. XV.
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dell’ex giudicato turritano è nel concreto la parte strumentale e fondamentale di quel contesto evolutivo e politico nel quale rientra, come accennato in principio, l’affermazione territoriale dell’autorità comunale di Sassari . Un contesto contraddistinto dal punto di vista economico, secondo Ortu, già a partire dal primo ventennio del Duecento, dalla crisi degenerativa della struttura produttiva della Sardegna: un movimento generato in buona parte dallo spostamento delle popolazioni che lasciano le aziende produttive rurali verso i siti urbani. È la crisi del sistema domos. Secondo lo studioso cagliaritano è attraverso questo filone che anche in Sardegna si arriva alla costituzione di «un unico ceto di quasi-vassalli, di uomini giuridicamente sciolti dalla dipendenza domestica, titolari di una casa ed un’azienda di cui dispongono autonomamente, in coerenza con le leggi o usanze di un villaggio o di un territorio» . Sinteticamente, per Ortu è questa la base di sviluppo e facilità di successo delle signorie territoriali e dei castelli collegati con le stesse entità: i tempi specifici di questa alienazione di sovranità da parte dei giudici non sono ancora ben conosciuti, prima almeno degli anni cinquanta del Duecento quando essa precipita per effetto della lotta tra Genova e Pisa. Se il giudicato di Torres è allora invaso e incastellato da rami diversi dei genovesi Doria e Malaspina, quello di Cagliari è persino oggetto di spartizione .
A nostro avviso, tuttavia, è del tutto evidente come i segnali certi di questo fenomeno, con accentramento delle popolazioni nei nuovi centri dotati di castello, noti nella documentazione solo a partire dall’ultimo quarto del XIII secolo, e il contestuale abbandono degli insediamenti (le vecchie domos o i villaggi più deboli economicamente), si articolerà in modo evidente e tangibile qualitativamente solo a partire dalla metà del XIV secolo. In questo modo lo spostamento delle popolazioni e il decremento dei nuclei minori si sovrappone, sino a confondersi, nello scenario della fase più acuta della crisi demografica che si verificò in diverse aree della Sardegna alla metà del XIV secolo. In definitiva, se nelle linee generali e sul lungo periodo può essere condivisibile immaginare un passaggio di popolazione socialmente libera ma professionalmente preposta alla trasformazione dei prodotti agricoli verso i poli cittadini (quindi non agricoltori ma forze artigianali) che conseguentemente divengono lo spazio fisico delle nuove correnti di mercato, tuttavia, a nostro avviso, è evidente come la libera circolazione delle persone e della manodopera a livello locale non si realizzò come un fenomeno del tutto slega. Sono già state illustrate le motivazioni che dal punto di vista storiografico hanno impedito questo tipo di lettura, anche se oramai la strada era stata aperta non tanto dalla ricerca di un confronto con i sistemi di incastellamento continentali (DAY, a; POISSON, , , , a) ma anche da una serie di incontri dedicati ai centri di Sassari e Alghero (cfr. note -). . ORTU (), p. . . ORTU (), p. .
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to dal controllo dell’autorità giudicale prima e signorile dopo. Ed è in questo senso di un preciso controllo dei dissodamenti e dello spostamento delle persone che è possibile interpretare la prima impresa di colonizzazione rurale promossa dai Doria nella regione del Nulauro nel corso del . I signori liguri, infatti, promossero la loro iniziativa attraverso lo strumento dell’immissione di nuove persone, provenienti dal contado ligure e non mediante l’accoglimento libero ed incondizionato delle forze locali . ... Nuovi castelli e nuovi insediamenti La sistemazione degli avvenimenti e la ricostruzione puntale dei contesti ha permesso di definire che il fenomeno di rilievo del XIII secolo non è tanto o non solo la crisi economico-sociale del sistema domos, ma la progressiva degenerazione della struttura del potere pubblico sostituito, già alla metà dello stesso secolo, da quello signorile e comunale, e sopratutto la trasformazione territoriale, socio-insediativa di alcune aree del giudicato che vengono pesantemente modificate nei loro caratteri originali dalla presenza di castelli e nuovi insediamenti entro il terzo quarto del XIII secolo. Nella realtà politica dei fatti il vertice del giudicato logudorese mostra segnali di cedimento già a partire dalla contrapposizione con il giudice cagliaritano, Guglielmo di Massa, alla fine del XII secolo, anche se in quella occasione l’aristocrazia logudorese si dimostra in grado di ritrovare una certa iniziativa e proposta politica, con l’elezione del giudice Comita nel . I primi dati disponibili sulla gestione di beni immobili (terre) da parte dei Doria risalgono appunto al quando gli stessi Manuele e Percivalle Doria stipularono congiuntamente due contratti con cinque capofamiglia disposti a trasferirsi in Sardegna. A questi era assicurato un quantitativo non precisato di terra da coltivare nella curatoria del Nulauro. Il contratto prevedeva anche la fornitura da parte dei concedenti di un patrimonio zootecnico formato da una coppia di buoi, pecore, porci, «una casa d’abitare», sementi e approvvigionamenti necessari per arrivare fino al primo raccolto. I Doria concedenti, dopo il primo anno, avrebbero ricevuto un quarto del raccolto, mentre i coltivatori si impegnavano a rimanere sulla terra che riuscivano a lavorare per un periodo superiore ai anni (FERRETTO, -, doc. VIII-IX; , pp. XX-XXI). Il testo appare certamente singolare non tanto per le modalità del contratto, ma soprattutto per il riferimento implicito ad una zona non altamente popolata, oppure al fatto che i diritti dei Doria fossero limitati al solo possesso delle terre e non della manodopera rurale come invece era prassi in tutte le concessioni giudicali agli enti ecclesiastici del secolo precedente. I Doria quindi si comportarono, in questo contesto, come veri e propri agenti per lo sviluppo di nuove aree di colonizzazione. Un evento non anomalo ma, come giustamente è stato interpretato da Rosalind Brown, del tutto «eccezionale» e isolato nella Sardegna settentrionale rispetto a modalità simili note in Corsica e intraprese direttamente dal comune di Genova. In quest’isola, infatti, le concessioni e le franchigie ai nuovi abitatori avevano come fine lo stanziamento permanente di agricoltori e artigiani attraverso un piano di grande respiro, con diverse decine di capi famiglia, e con modalità superiori a quelle pionieristiche portate avanti in Sardegna (BROWN, , pp. -). Sulle attività di insediamento nella Corsica meridionale da parte di Genova, cfr. LOPEZ (); HEERS (). La curatoria di Nulauro è stata identificata nell’attuale area comunale di Alghero e in parte in quella di Putifigari, centro a sud-ovest della cittadina catalana (CASULA, b, p. ; TERROSU ASOLE, , p. ), per Day il distretto comprendeva anche il centro di Olmedo (DAY, , pp. -).
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. Ma è decisamente in crisi anni dopo quando si assiste per cause naturali e per i noti fatti politici ad una serrata successione di regnanti, con relative strategie, nell’arco di un decennio (Mariano II, Barisone III, Adelasia e Ubaldo Visconti, Adelasia e Enzo, Adelasia) . Scomparso il giudicato l’apparato economico e sociale non si ripiega su se stesso verso una fase di regressione economica e sociale, ma trova sfogo e nuova regola nelle figure politiche che immediatamente sostituirono il potere pubblico giudicale. Non è casuale, infatti, la stretta correlazione tra la scomparsa di Adelasia, ascrivibile tra il e l’avanzata militare nei territori meridionali del Regno logudorese del giudice di Arborea nel corso della primavera . Un’invasione che trova la sola opposizione politica e militare in un giudice Saxarensem . Una definizione utilizzata da Federico Visconti, vescovo di Pisa, nell’indicare l’emblema della nuova forza politicoterritoriale che era riuscita a emergere in quello che era rimasto del regno . La trasformazione nei territori è evidente. È di un anno prima la ricerca da parte di Percivalle e Nicolò Doria di somme in denaro a Genova «pro recuperacione terrarum et possessionum, quas nos, et alii de domo nostra habebamus et possidebamus in Sardinea in Iudicatu Turritano» . Non è il frutto di una libera iniziativa popolare la costituzione e la conseguente comparsa nella documentazione scritta, a partire dagli anni Settanta dello stesso . Il giudice Comita subentrò a Costantino stipulando un definitivo accordo di pace con il giudice di Cagliari e suggellando l’accordo attraverso il matrimonio tra il già designato erede al trono di Torres, Mariano, e la figlia di Guglielmo, Agnese. Un matrimonio e un nuovo assetto politico non osteggiato in questa fase storica dalla chiesa di Roma non tanto perché individuava nel giudice di Torres, secondo Mauro Sanna, «l’unico personaggio di un certo rilievo che facesse resistenza ai Pisani», ma soprattutto in ragione dell’azione portata avanti dall’arcivescovo di Torres, Biagio, inviato in Sardegna direttamente dalla curia pontificia con l’obbiettivo di ottenere, per la prima volta, la ratifica degli atti feudo-vassalatici nei confronti della Sede apostolica (SANNA, , pp. -). . SANNA (), pp. -. . Il cosiddetto giudice di Sassari riportato nel resoconto della visita di Federico Visconti (CODEX DIPLOMATICUS, sec. XIII, doc. CIII) è stato identificato o con Guelfo Donoratico della Gherardesca o con il padre Ugolino dato che quest’ultimo, ancora nel , è ricordato come vicario di Enzo a Torres (BALLETTO, , doc. ; GEN.MED.SARD., tav. XI, , ). Guelfo alcuni anni prima aveva sposato Elena, figlia naturale di Enzo (GEN.MED.SARD., tav. XXXIX.). Guglielmo di Capraia (GEN.MED.SARD., tav. X.) agiva in nome di Mariano II, figlio di Pietro II, sposato una prima volta con Diana Visconti e morto nel (GEN.MED.SARD., tav. XXXII, , ). . Nel l’organizzazione ecclesiastica della città è obbligata a rettificare il quadro organizzativo del centro suddividendo la popolazione in parrocchie (CODEX DIPLOMATICUS, sec. XIII, doc. CXIV). Sulle strutture urbanistiche della città nel corso del XIII secolo, cfr. VARALDO (); ROVINA (, ). Il territorio di Sassari già dal secolo precedente è contraddistinto da un’intensa propensione all’insediamento tangibile non solo nella presenza del monastero di Silki, o nella serie di villaggi satelliti localizzati nelle zone di captazione dell’acquedotto romano (SATTA, ), ma anche dall’attenzione del potere giudicale a dotare questa zona di particolari strutture di servizio come l’ospedale di Bosove, villaggio localizzato a pochi chilometri ad est di Sassari. La struttura fu fondata e dotata di beni e manodopera nell’ultimo quarto del XII secolo da parte del giudice Barisone II (MELONI, a). . CODEX DIPLOMATICUS, sec. XIII, doc. CII ( aprile ).
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secolo, dei castelli di Monteleone, Mondragone, Castelgenovese e Casteldoria. In perfetta sincronia i Malaspina, e in questo caso a nostro avviso secondo quel fenomeno di costruzione e destrutturazione dell’habitat nella definizione dell’incastellamento di Toubert, dotavano di nuove fortificazioni i centri di Osilo e Bosa . In questo quadro di nuova gerarchizzazione e assetto degli spazi rurali ha un ruolo determinate, nella comprensione generale del contesto, l’azione militare appena citata del Regno di Arborea. Le forze del giudicato, su impulso di Pisa, guidate da un giudice che si definisce come cittadino pisano, Mariano II, iniziano una sistematica occupazione del Logudoro meridionale partendo, non a caso, dai distretti segnati dai castelli giudicali logudoresi che forse iniziavano, con forme e modalità ancora da chiarire, a rivestire nei loro territori un ruolo di gestione e organizzazione degli spazi rurali (Goceano, Montiverru, Monteacuto ). Una conquista territoriale che mira a stabilire un contatto territoriale diretto con il centro di Sassari che si comporta nel territorio come un castello signorile e che già a partire del accoglie il primo podestà pisano. La strategia di Mariano è orientata alla costituzione di un dominio territoriale stabile anche attraverso il ruolo strategico rappresentato dal castello di Mondragone nella Nurra, strappato ai Doria negli stessi anni , e di . Sui Malaspina, cfr. SODDU (, ); per Osilo, cfr. in particolare CAMPUS (-); per Bosa, cfr. SODDU, CAMPUS (). . Per il castello di Monteacuto recentemente si è ipotizzato un ruolo di questo tipo nel quadro più vasto dell’omonimo distretto (CAMPUS, b). . Il castello di Mondragone è identificato nella porzione orientale del Monteforte, sulla punta nota come Rocca della Bagassa (SODDU, ; ROVINA, , pp. -). Al castello è riferita l’epigrafe, datata al , celebrativa dei lavori realizzati dal castellano Betino Nazari de Lanfranchi su incarico del giudice Mariano II (SPIGA, ; SPANU, ). Secondo Soddu la fortificazione venne verosimilmente ribattezzata in questa fase con la denominazione Castel Pisano, in ragione di una contrapposizione simbolica e territoriale con quello dei Genovesi presente a ovest dello scalo di Torres (SODDU, , p. ). Da evidenziare come l’ipotesi interpretativa sia basata anche sul fatto che la più antica attestazione della fortificazione di Castelgenovese sia da ascrivere allo stesso anno (FERRETTO, , doc. CMLXXX). La sequenza interpretativa sul castello di Mondragone deriva non solo dalla lettura del testo epigrafico, ma anche dalla lettura degli accordi del . In questi atti è evidenziato come il castello della Nurra fosse in origine di proprietà di Barisone Doria e come costui, nel novembre del , ottenne una tregua con gli homines Sassari (CODEX DIPLOMATICUS, docc. CXXII-CXXIV). Negli atti la restituzione del castello era seguita da Sorleone e Mariano (figli di Barisone Doria, a sua volta figlio di Manuele Doria), ai quali apparteneva anche la terza parte della Nurra e altri territori in Romangia e Flumenargia. Nel Rosalind Brown ha interpretato questo passaggio come la certa attestazione dei Doria nella Nurra, in particolare all’interno di un «ex palazzo giudicale a Nurki» in ragione del recupero, nella località di Colti di Nurkis, di un sigillo in argento (BROWN, , p. ) attribuito a Brancaleone Doria di Nurra. La notizia del ritrovamento era stata riportata da Vincenzo Dessì nel che riferisce come il recupero dell’oggetto sia da ascrivere alla seconda metà del XVIII secolo, ed è lo studioso sardo a correlare il sigillo, che doveva recare la scritta e la dicitura «S Branckea E Auria» con Brancaleone Doria di Nurra (DESSÌ, , pp. -). La correlazione della studiosa inglese presenta diversi limiti a cominciare dalla intrinseca debolezza della fonte informativa, dalla complessa identificazione tra un elemento mobile e la possibile sostituzione dei Doria in una delle strutture di origine giudicale, ma soprattutto dalla non verificabile presenza nelle fonti scritte a Nurki di un palacium riferibile al quadro amministrativo giudicale.
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quello di nuova costruzione ad Orvei localizzato a pochi chilometri a est dal centro di Ardara . La crisi e il crollo politico del giudicato non trascinò con sé il sistema produttivo e fondiario gestito dai grandi monasteri. Esso tuttavia si presen. Le notizie sulla presenza di un castrum in quest’area sono contenute negli atti di pace tra Genova e Pisa dopo la battaglia della Meloria (). Nei capitoli relativi alle fortificazioni è chiarito come la città di Pisa sia obbligata a cedere, integri nelle strutture esterne e nelle cisterne, i quattro castelli presenti nel Logudoro: Goceano, Montiverru, Monteacuto e il «castrum quod vocatur Urbe, quod nuper fecisse iudex Arboree» (CODEX DIPLOMATICUS, sec. XIII, doc. CXXV). La cessione doveva avvenire entro due anni dalla stipula del trattato. Nel documento è anche esplicitamente espresso come il passaggio di proprietà avrebbe comportato per Pisa la perdita di ogni diritto sui distretti territoriali correlati alle fortificazioni. La correlazione tra questa citazione e il sito di Orvei, in comune di Ozieri, si deve al contributo di Francesco Amadu che nel ne accennava una breve descrizione e localizzazione proprio partendo dall’atto del (AMADU, ). Sino al - non si hanno ulteriori notizie sulla fortificazione. In questo periodo Ugone II, giudice di Arborea, informava Ramon de Cardona, governatore aragonese del Regno di Sardegna, che i Doria stavano cercando di rafforzare i loro territori, contravvenendo ai patti stabiliti di non edificare nuove fortificazioni, e che in quest’ambito sembravano «particolarmente interessati» ad impossessarsi militarmente del castello di Orvei, di dipendenza dello stesso giudice (il documento in forma di regesto è presente in CASULA, , doc. , febbraio ). Un’analoga informativa è presente in una lettera di Ugone indirizzata al re Alfonso III datata all’ marzo dello stesso anno (CASULA, , doc. ). I resti della fortificazione sono localizzati presso l’odierno abitato di Tula sulla sommità del colle di San Leonardo, a nord ovest della valle di Monteacuto, a pochi chilometri dall’omonimo castello giudicale. A partire dal sono state intraprese alcune indagini archeologiche sul sito di Orvei da parte di Jean-Michel Poisson per l’École Française de Rome (POISSON, , a). Le ricerche hanno interessato la parte relativa alla fortificazione e in parte le strutture del villaggio. In quest’ultimo caso sono state indagate alcune case poste alla base del piccolo altopiano ed è stato completato il rilievo topografico delle strutture affioranti. Nel villaggio (definito come «Settore A») sono stati identificati i profili di edifici, di questi sono state indagate in parte la casa V e la casa IV. Entrambi gli edifici avevano pavimenti in argilla sulla quale era immediatamente presente il crollo delle strutture murarie esterne. L’assenza nei contesti indagati del materiale pertinente alle coperture ha permesso di ipotizzare una serie di attività di espoliazione e recupero di questi materiali dopo l’abbandono. L’ultima fase di occupazione sembra da ascrivere alla fine del XIII o alla metà del XIV secolo (contesti con maiolica arcaica e graffita savonese). Per quanto riguarda la zona della fortificazione, «Settore B», le ricerche hanno documentato la presenza di un basamento quadrangolare interpretato come una torre. Questa, localizzata lungo il profilo esterno del pianoro, è contraddistinta alla base da una struttura muraria in blocchi di trachite con superficie bugnata. A nord della torre è stato registrato un ampio spazio rettangolare interpretato come un fabbricato residenziale collegato a ovest a un secondo ambiente coperto, in origine, da una volta a botte: probabilmente l’ingresso monumentale al vero e proprio spazio fortificato. Il profilo sud della collina, quello orientato verso la vallata, sembra essere chiuso da uno spesso muro di cinta (, m). In questo settore il rilievo e la pulizia delle rasature dei muri ha comunque permesso di definire l’organizzazione dell’impianto contraddistinta da torri angolari (oltre a quella già descritta, una seconda torre sembra essere presente sul lato sud) e ingresso monumentale a nord. L’area fortificata, quindi, appare dotata di un cortile interno circondato da strutture residenziali anche se non ancora definite dal punto di vista topografico. Il carattere preliminare delle notizie non permette, al momento, di comprendere più in dettaglio e dal punto di vista della cronologia assoluta l’attestata presenza di una doppia fase edilizia. Un dato offerto dall’archeologo francese che descrive la certa successione di una cronologia relativa tra la struttura individuata topograficamente a nord della torre e una seconda fase di costruzione. Non è chiaro, tuttavia, se sia la torre ad avere due fasi edilizie o se la struttura stessa rappresenti la seconda fase costruttiva di tutto l’insediamento (POISSON, a).
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ta del tutto impreparato a questa nuova improvvisa ondata di mezzi e personalità. Nessun monastero viene fortificato e nessuna domo si trasforma in una signoria territoriale forse anche in ragione delle sue originali caratteristiche giuridico-istituzionali. Ad ogni modo, l’apparato non si dissolse come neve al sole, ma subì, suo malgrado, come intelligentemente ha scritto De Santis, una rigida azione selettiva: nel corso del XIV secolo, accogliendo in questa nuova fase storica il nuovo potere territoriale signorile, i monasteri dovettero subire e accogliere nelle strategie produttive il cambio sociale della manodopera . I documenti, in aggiunta, mostrano come la conquista arborense-toscana della seconda metà del XIII secolo non riuscì a danneggiare, se non marginalmente, quella distribuzione spaziale delle aziende monastiche localizzate nelle aree più urbanizzate dell’ex giudicato logudorese. Non è da escludere, a livello interpretativo, che in questa fase si siano create tra signorie fondiarie monastiche e signorie territoriali delle solide basi sinergiche di azione atte alla sostituzione del potere pubblico nelle modalità meno traumatiche possibili. È ancora una pista di lavoro appena abbozzata e ancora poco conosciuta, ma certamente non può essere del tutto casuale la coincidenza spaziale tra i territori gestiti dai Cassinesi e le aree della signoria Doria nell’Anglona e nella Nurra, e, ancora, la sovrapposizione tra i possedimenti dei Cistercensi, nelle ex curatorie di Planargia, Coros e Romangia, e i territori gestiti dai castelli di Bosa e Osilo pertinenti alla signoria territoriale dei Malaspina. Dal punto di vista amministrativo alle soglie dell’ultimo quarto del XIII secolo il territorio dell’ex giudicato logudorese è definitivamente suddiviso tra i Doria, i Malaspina, Sassari e Regno di Arborea. Un quadro tuttavia non ancora stabilizzato come è evidente negli scontri tra i Malaspina e Sassari nel primo quarto del XIV secolo . ... L’Anglona: Castelgenovese e Casteldoria Se il contesto politico-territoriale appare abbastanza chiaro non è ancora possibile comprendere se tra le diverse modalità di incastellamento vi fu un contestuale periodo di concentrazione della popolazione nei borghi fortificati. I dati mostrano che nella seconda metà del Duecento il problema dello spostamento delle popolazioni è una delle principali preoccupazioni nelle convenzioni tra i Doria e il comune di Genova del . Nei patti le parti si impe. L’autore sottolinea come dalla metà del XIII a tutto il XIV secolo siano numerose le testimonianze di attacchi ai patrimoni monastici da parte delle entità signorili (DE SANTIS, a, pp. -). Alla metà del XIII secolo si assiste anche a un continuo processo di locazione dei possedimenti fondiari da parte degli enti monastici (BROWN, , p. ), ma anche dell’Opera di Santa Maria di Pisa (FADDA, , p. ). . TANGHERONI (). . CODEX DIPLOMATICUS, sec. XIII, docc. CXX-CXIV.
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gnano a espellere i fuggitivi di qualunque condizione sociale provenienti dai territori vicini fatta salva l’approvazione reciproca. Con queste modalità, né i Doria né il comune di Genova risultavano completamente liberi di programmare o gestire nuovi piani di sviluppo demografico ed economico nei possedimenti sardi se non mediante l’arrivo di persone esterne. Un blocco che per i Doria prevedeva anche il divieto di acquisire terre, villaggi e castelli in spazi che Genova avrebbe avuto dopo la ratifica finale degli accordi con i Pisani. Ancora nel l’annotazione del notaio Francesco Da Silva, per Castelgenovese, sulla presenza di spazi non ancora abitati all’interno del borgo, ma comunque già predisposti per le case future , può essere interpretata sia con le direttive progettuali imposte dal signore (rigida divisione degli spazi, riconoscimento della presenza delle aree edificabili e di quelle destinate alla coltivazione), sia come possibile spia di una precedente fase dove si dovette assistere a una non troppo concitata modalità di popolamento del castello. Ancora, l’operato del notaio ligure mostra come da parte dell’entità signorile fosse pressante la necessità di popolare i borghi, ma questo, anche se nel XIV secolo a pochi anni dall’arrivo degli Aragonesi in Sardegna, non avveniva mediante un libero ed incondizionato accesso e residenza, ma attraverso una meditata selezione delle persone. Lo scopo era quello di raggiungere diversi obiettivi, che, come vedremo in seguito, erano tutti ad appannaggio dell’entità dominante. Nel concreto sembra probabile che si preferisse costituire centri a popolazione mista con stabili gruppi di persone, possibilmente famiglie, provenienti dal continente, dalla Corsica e in misura minore dai villaggi della Sardegna. A tutti questi, in ragione del loro status di abitanti del castello, era riconosciuta su mandato signorile una serie di privilegi necessaria alla formazione dei burgenses. La lettura delle fonti scritte mostra, quindi, come abitare nel castello poteva rappresentare un “lusso”: possesso della casa, di uno spazio agrario esterno e di uno interno al castello. Quindi, dal punto di vista signorile lo scopo finale era quello di attirare e stabilizzare, con tutti i mezzi, le popolazioni nel centro fortificato. Come ha felicemente descritto Settia mediante una similitudine di forte effetto: «la popolazione appare più abbondante e attiva e tanto meglio ripullula quanto più frequentemente viene trapiantata, a patto che vi si aggiunga il concime di qualche moderata franchigia» . . DA SILVA, docc. , (terra vacua). Indicativo in questo senso il documento ( maggio ) in cui Giovanni Lutronacio, poiché aveva aperto una porta nella sua casa «de versus terrenum vacuum» di proprietà di Giacomo Clarapacio, si impegna con quest’ultimo alla chiusura del passaggio nel caso che questi decida in futuro di costruire la casa; nel documento Ugolino de Zola riconosce alla figlia Giacomina le rendite della madre defunta, ma anche la piena proprietà entro tre anni o prima, in caso del suo matrimonio, di un «terrenum meum vacuum positum in burgo Castri Ianuensis supra domum Ansaldinelli, ab uno latere ab alio deversus ponentem et levantem terra vacua. Item do et concedo tibi et in te transferro ortum unum positum in dicto Castro». Sulla struttura urbanistica di Castelsardo, cfr. PRINCIPE (, pp. -) che comunque riprende le poche notizie sugli atti del notaio Francesco Da Silva pubblicate da PETTI BALBI (). Per un quadro aggiornato, cfr. infra, CAP. . . SETTIA ( []), p. .
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Lo scarso apporto della fonte materiale, in ragione del fatto che le ricerche archeologiche si trovano ancora ad un livello embrionale (Monteleone , Bosa , Casteldoria, Alghero ), non permette ancora di definire con puntualità la cronologia d’impianto di questi nuovi villaggi, le topografie originali, le possibili continuità o fratture con precedenti quadri insediativi di età romana e bizantina, e né se effettivamente, dal punto di vista della cultura materiale e delle tecniche costruttive e dei livelli socio-economici, la qualità della vita delle popolazioni residenti fosse migliore rispetto a quella delle villas . L’unica osservazione possibile, dal punto di vista preliminare, è che nell’originale organizzazione topografica dei centri dotati di castello sulla sommità (Castelgenovese, Monteleone, Osilo, Bosa) è palese un chiaro minimo comune denominatore: rigida e schematica organizzazione degli spazi abitativi, delle strade, delle singole abitazioni, dello spazio destinato agli edifici di culto. Nei centri abitati è ancora tangibile, quale effetto del livello sociale della classe signorile, una netta differenziazione tra lo spazio destinato alle aree produttive o alla residenza delle popolazioni, rispetto agli spazi signorili e a quelli strettamente funzionali alla difesa militare. In sostanza i nuovi castelli, ma anche i villaggi ad essi collegati, si offrono dal punto di vista interpretativo quale espressione diretta del sistema di potere che la signoria emanava sul territorio . Da quanto descritto appare chiaro, a nostro avviso, come solo dopo la metà del XIII secolo, sia dal punto di vista socio-insediativo che economicomercantile, con la progressiva disgregazione del Regno giudicale logudorese, si siano venute a creare quelle condizioni ideali per lo sviluppo di strutture politiche, materiali e sociali, orientate al controllo e alla nuova gerarchizzazione degli spazi rurali. Una dinamica che Day, anche se erroneamente considerava attendibili le cronologie di fondazione di Fara, giustamente collocava negli ultimi decenni del XIII secolo, mettendo in evidenza i diversi caratteri politici, economici di fondo e coniando il termine di «inurbamento selvaggio» quale rappresentazione materiale di un rapporto economico che con la presenza dei «commensali ingombranti», gli ordini monastici, aveva di fatto costituito un mercato florido ma falsato da quello «scambio ineguale» tra le diverse aree dell’isola: quella agricola a base servile che derivava direttamente dal sistema giudicale, e quella «del commercio marittimo, basato sull’attività creditizia e sulle industrie estrattive, che sono tutte appannaggio d’una élite mercantile d’origine straniera, anziché sull’agricol-
. MILANESE (b; , pp. -). . MILANESE (; , pp. -). . MILANESE (b, a); MILANESE et al. (). . A questo proposito, cfr. i rapporti preliminari sulle ricerche archeologiche sul villaggio di Geridu, localizzato a pochi chilometri ad ovest dell’odierno comune di Sorso (MILANESE, ; MILANESE, BENENTE, CAMPUS, ). . FRANCOVICH, WICKHAM (), pp. -.
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tura tradizionale, irrimediabilmente impoverita» . Interpretazioni storiografiche non del tutto escluse da Tangheroni, anche se per lo studioso toscano la fase dello «scambio ineguale» delle merci sarde può essere concepito solo tenendo presente che esso è palese soprattutto nelle fonti scritte liguri (che comunque sono le uniche disponibili) dalle quali si evince il peso e le capacità recettive del mercato interno dell’isola: elementi confermati anche dal fatto che le fonti documentarie mostrano come dalla Sardegna si siano mosse, in uscita e in entrata, merci diverse e di svariate qualità. Un insieme di elementi che per lo storico toscano rappresentavano le prove di un mercato interno all’isola non inferiore a quello presente in questa stessa fase storica nel resto del bacino tirrenico. Correnti e sistemi del commercio, prosegue Tangheroni, che tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo si offrono in tutta l’area mediterranea centrale sempre contraddistinti da «un forte carattere speculativo e redistributivo, sì che occorre tener conto del complesso dei traffici mediterranei, non potendosi caratterizzare gli scambi, neppure quelli tra le cosiddette potenze coloniali della Sardegna, con la semplice considerazione di rapporti bilaterali» . Le diverse strade interpretative dei due studiosi, che ad ogni modo rappresentano, anche se da ottiche diverse, un comune quadro interpretativo sull’organizzazione della presenza commerciale ligure e toscana nella Sardegna della seconda metà del Duecento, sembrano trovare una ideale collocazione spaziale nell’area costiera dell’Anglona e in senso più allargato in tutto il territorio del Logudoro. In quest’area, infatti, si assiste, già a partire dalla metà del XII secolo, alla repentina costituzione di luoghi di scambio, alla distribuzione delle merci agevolata dalla presenza di una classe di liberi commercianti che impiegavano i propri capitali nei traffici marittimi, allo stretto contatto tra i luoghi di mercato e le vaste signorie fondiarie monastiche di Tergu e Soliu (Sedini) . Come accennato, le informazioni a disposizione non permettono di chiarire se tutte le forze generatrici messe in campo siano state in un primo tempo gestite e controllate dall’autorità giudicale, anche se rappresentate da personalità di origine e formazione continentale signorile, oppure se vi fu un progressivo processo di autoaffermazione di queste entità. Ad ogni modo, attraverso il confronto tra l’Anglona e la porzione meridionale del Regno di Torres, zone che come illustrato nelle pagine precedenti presentano più di un punto in comune (insediamento romano di grandi di. DAY (b), p. . . TANGHERONI (). . BALLETTO (), p. . Mauro Maxia ha proposto una prima definizione dell’entità dei beni fondiari pertinenti alle sedi di Tergu e Soliu. Nel primo caso, dal punto di vista spaziale, le proprietà fondiarie coprirebbero un territorio compreso tra e km da localizzare in modo concentrico alla sede dell’abbazia ubicata a meno di km da Castelgenovese (MAXIA, , pp. -). Alla sede di Soliu, ugualmente dipendente dai Cassinesi, Maxia correla tutta la vallata del Rio Salanis attualmente suddivisa tra i territori comunali di Sedini, Bulzi e Chiaramonti (MAXIA, , pp. -).
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mensioni, sede vescovile medievale, porto fluviale), è emblematico ricordare come ancora nel a Bosa (Manna) le concessioni per la pesca del corallo venivano autorizzate dai funzionari amministrativi giudicali (curatore di Frussia e castellano di Montiverru) . Il dato è emblematico da un lato per evidenziare la presenza di persone di origine continentale nei ruoli amministrativi di primo piano della struttura politica giudicale, ma anche di ulteriore conferma dell’assenza di poteri di matrice signorile e territoriale (Malaspina) in quest’area ancora alla metà del XIII secolo. Non è improbabile, quindi, che anche nell’Anglona, almeno sino alla metà del XIII secolo, i traffici e le attività portuali ad Ampùlia si svolgessero ancora sotto pieno controllo dei vari maiores giudicali. Appena anni dopo, nel , si ha la prima certa attestazione di un castello in questa porzione dell’isola. Nell’atto si specifica come il palermitano Guglielmo di Saint-Gilles sia tenuto prigioniero e custodito nel castello dei Genovesi in Sardegna da parte di Manfredo de Curia e Simone Spinola . L’atto non specifica l’ente responsabile della costruzione della fortificazione né sulla sua precisa localizzazione, anche se appare oramai accettata la correlazione con l’insediamento di Castelgenovese (odierno Castelsardo) . Per l’altro castello presente in Anglona, Casteldoria, la prima certa attestazione è invece del . Queste striminzite informazioni sulle fasi forse iniziali delle due fortificazioni dell’Anglona, o forse, meglio, sull’esito di una dinamica già in atto, ci forniscono un emblematico segnale su come l’organizzazione socio-insediativa di questo territorio nell’arco di poche decine di anni sia segnata in . In questa sede si propone una differenziazione terminologica della città della Planargia in ragione delle diverse articolazioni topografiche, ma anche delle diverse citazioni nelle fonti scritte: la Bosa Vetus, l’insediamento di età romana da localizzare alle pendici del Monte Nieddu nell’area di Messerchimbe (MASTINO, ); la Bosa Manna, il centro di età giudicale, sede dell’omonima diocesi, da localizzare quasi in corrispondenza della città romana, ma più precisamente nell’area della chiesa di San Pietro, e la cui esatta citazione è riportata all’interno del Libellus come centro di residenza della moglie del giudice di Torres, Costantino (-) (cfr. LIBELLUS, p. ); la Bosa Nuova, identificabile con il centro storico di quella attuale ubicata sulle pendici del colle di Serravalle sormontata dal castello (cfr. SODDU, , pp. -; SODDU, CAMPUS, , pp. -). . MARINI, FERRU (), pp. -; SODDU, CAMPUS (), pp. -. . FERRETTO (), doc. CMLXXX; SODDU (), p. . . Cfr. infra, CAP. ; SODDU (), p. . . In questo caso la notizia è riferita alla vendita compiuta da Corrado Malaspina a Brancaleone Doria dei castelli Ianuensis e Dorie insieme alla curatoria di Anglona. Il documento è edito in BASSO, SODDU (, pp. -). Sfortunatamente il documento del non specifica le precedenti modalità di acquisizione delle due fortificazioni da parte di Corrado Malaspina, né se costui, come sembra verosimile, tenesse questo territorio come pegno di un prestito in favore dei Doria. Da evidenziare come nel Percivalle maior e Nicolò, figlio del fu Manuele Doria, chiedevano un ingente prestito al comune di Genova (. lire) per finanziare una spedizione militare, formata da cavalieri, truppe e macchine, «pro recuperacione terrarum et possessionum, quas nos, et alii de domo nostra habebamus et possidebamus in Sardinea in Iudicatu Turritano» (CODEX DIPLOMATICUS, sec. XIII, doc. CII).
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modo profondo e definitivo dalla presenza di castelli. La stessa localizzazione delle fortificazioni in due aree contigue e costiere rappresenta dal punto di vista interpretativo lo specchio più fedele della certa preesistenza in questi territori, rispetto alle fortificazioni, di spazi abitati, socialmente evoluti, topograficamente organizzati e politicamente definibili nell’insieme, in modo particolare nell’area della bassa valle del Coghinas, come protourbani. Caratteristiche diametralmente opposte a quella idea storiografica, citata nelle pagine iniziali, che vedeva i castelli come strumenti materiali della colonizzazione rurale, ubicati sulla cima di colline isolate, inserite in un panorama socialmente deserto e depresso dal punto di vista demografico ed economico-mercantile . Un possibile supporto interpretativo allo svolgersi dei fatti e alle modalità di costituzione delle due sedi fortificate nell’area dell’Anglona giunge indirettamente dalla Corsica. L’esempio è utile non solo per comprendere le modalità di gestione delle fortificazioni, ma anche per la possibile paternità degli insediamenti fortificati sardi localizzati lungo la fascia costiera settentrionale. Il caso è offerto dalla fondazione nel di un castello presso la costa occidentale della Corsica nell’area di Aiaccio e noto come Castel Lombardo . I passaggi che portarono alla sua costituzione sono paradigmatici delle strategie messe in atto dal comune genovese, guidato in questo frangente dai due capitani Oberto Doria e Oberto Spinola, nella costituzione di questi particolari insediamenti ex nihilo: dagli accordi con il vescovo di Aiaccio sul pagamento di un censo per il possesso delle terre agricole della fortificazione, alla nomina di Nicolò Botario, figlio del notaio Lanfranco, quale castellano impresario della colonia per cinque anni, con lo stipendio di lire all’anno, più lire una volta tanto per l’acquisto sul posto di dodici cavalli da guerra, oltre a due cavalli che porterà con sé da Genova. Egli dovrà fornire gratuitamente e a proprie spese dodici paia di buoi da lavoro e da traino, tre imbarcazioni da carico e da pesca, e un mulino a vento o a trazione animale .
Nel documento è anche espresso che tra le famiglie che dovranno spostarsi in Corsica dovranno essere compresi esperti nelle arti «ferarie, calegarie, axie, antelami, sartorie, scutarie, spaerie, tornatorie, medicarie, speciarie, peliparie, marinarie, artis gariborum, et lignorum, madonorum, ruptorum lapidum et clavonariorum». È stabilito inoltre che «postquam recollegerint primum semen quod fiet per eos vel illos qui seminabunt pro hominibus dicti castri». Ad ogni nucleo famigliare «tam artifices quam omnes alii [...] debent ad dictum castrum laborabunt in opere constructionis predicti castri et . Cfr. note , . . LOPEZ (). . LOPEZ (), p. .
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loci suis propriis expensis et sine mercede per tres dies in qualibet ebdomanda usque complementum dicti castri et loci et hoc per annos tres proximos». Sempre ogni gruppo di persone «levabunt et edificabunt in dicto loco domus et hospicia centum infra annum postquam aplicuerint in dicto loco». Per compiere tutti questi lavori ogni capo famiglia, o singolo, riceverà nei primi tre anni una quota tratta dalle . lire che il comune di Genova si impegna a versare al responsabile del nuovo castello. Ogni abitante-fondatore avrà in proprietà permanente ed ereditaria la casa e il terreno con la clausola della residenza e della prestazione di un servizio nel nuovo insediamento. Tutti gli abitanti del borgo, compreso il castellano, godranno dei medesimi privilegi fiscali e giurisdizionali del castellano di Bonifacio e dei suoi abitanti. Il nuovo centro è vincolato a rispettare le alleanze del comune di Genova e «facient guerram et pacem ad voluntatem Comunis Ianuae». Roberto Sabatino Lopez sottolinea come nel , un anno prima della scadenza del primo triennio, una flotta di Carlo d’Angiò proveniente da Marsiglia attaccò la colonia fortificata «ma i provenzali si ritirarono in gran fretta, inseguiti da una flotta genovese superiore in forze, e la colonia risollevatasi, fece buona guardia» . Il caso della Corsica è per cronologia e per modalità del tutto simile a quello sardo. Scrive in questo senso Alessandro Soddu che «non pare azzardato ipotizzare per Castelgenovese un’analoga, e cronologicamente coeva, dinamica insediativa, coronata al contrario di Castel Lombardo da uno straordinario successo sul breve e lungo periodo» . Il dato conclusivo è quello di un pieno successo per gli insediamenti fortificati sardi che trovano tuttavia un forte slancio politico e socio-insediativo nell’isola, e in senso più allargato nel quadro mercantile tirrenico, in ragione delle ripercussioni della vittoria genovese alla Meloria nel . È palese nei documenti come gli approdi di Castelgenovese, Frigianu e Cala Austina, già frequentati nella prima metà del Duecento, a partire dall’ultimo quarto dello stesso secolo, segnano un notevole e non casuale aumento delle loro attività di accoglimento e distribuzione di beni sul territorio isolano, ma soprattutto nella più vasta rete di traffici mercantili che facevano capo al por. LOPEZ (), p. . . L’incrocio di successi e modalità insediative nell’impresa genovese tra Corsica e Sardegna trova una particolare corrispondenza anche nel volgersi degli eventi dato che, nello stesso anno dell’attacco al castello Lombardo da parte degli Angiò, nella prima attestazione della fortificazione sarda correlata alla custodia del palermitano Guglielmo di Sant’Egidio appare più verosimile riconoscere un personaggio di origine provenzale (cfr. SODDU, -). . VITALE (), docc. LII-LIV, anno . Il ruolo dei due approdi di Castelgenovese è manifesto in alcuni articoli degli statuti datati all’incirca al (STATUTI CASTELGENOVESE, capp. CLVIII, CCXXVII); la maggiore importanza di Frigianu e Marepizinnu è evidente per la presenza in questi due approdi di attività produttive (STATUTI CASTELGENOVESE, capp. CLXXI, CLXXII, CLXXVIII, CCXVI, CCXVIII). In un documento del viene citata la presenza di una conceria presso la località di Malpezino (DA SILVA, doc. ) localizzata presso la foce di Frigianu (SODDU, , pp. -, ). Il primo documento sulla presenza di un approdo a Frigianu è datato al (DIPLOMATICO LIGURIA-TOSCANA, doc. DCCCLXXI, pp. -). Sull’insediamento, cfr. MAXIA (), pp. -.
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to di Genova . Solo recentemente, grazie all’edizione completa del fondo relativo all’attività del notaio Da Silva, è possibile tracciare, anche se solo a partire dal primo quarto del XIV secolo, un rapporto qualitativo delle modalità signorili nell’organizzazione dei nuovi centri dotati di castello e borgo . Nel Brancaleone I Doria approva le concessioni agli abitanti di Casteldoria compiute pochi anni prima dal castellano Pietro de Barra . Nel documento il Doria non solo approva l’assegnazione della terra di Gorgoiosa agli abitanti del borgo, indicando nell’insediamento fortificato la presenza di strutture di servizio alle popolazioni e di una divisione precisa degli spazi (mura di cinta, loggia, orti), ma ribadisce come le proprietà siano state consegnate in perpetuo godimento ai soli abitanti del borgo di Casteldoria. Questi dovevano sopportare il vincolo di non alienare la quota di terreno personale se non agli altri residenti del castello, ma anche quello che in caso di necessità urgenti (guerra, assedi) gli stessi burgenses erano obbligatoriamente tenuti a consegnare al castellano «poma, pira et alii fructus» . Dal punto di vista giuridi. BASSO, SODDU (). . DA SILVA, doc. ( maggio ). Altri elementi sulla presenza di un borgo a Casteldoria sono noti attraverso la lettura di un documento del , nel quale è possibile cogliere come le vicende narrate, in occasione di un processo a carico di un castellano aragonese, colpevole di aver consegnato la fortificazione agli Arborea senza combattere e con l’inganno, si svolgano tra il castello vero e proprio e il borgo (MELONI, a, passim). In questo modo è possibile dedurre in parte l’articolazione delle case, distribuite su più livelli secondo la canonica disposizione dei villaggi di montagna, la presenza di una porta di accesso a tutto l’insediamento fortificato e quella di un edificio di culto dedicato a san Nicola. Oltre a questo il villaggio, come già riportato negli atti del , è dotato di uno spazio pubblico per il commercio e per la promulgazione degli atti, definito con il termine “loggia”, da ubicare ai piedi della torre. Per quanto riguarda il castello vero e proprio le uniche indicazioni sono relative alla torre destinata a postazione di vedetta nei piani superori e adibita a prigione nei primi livelli. Nella seconda metà del XVIII secolo i resti di Casteldoria, come tutti gli insediamenti circostanti, sono menzionati nella relazione dei territori degli Stati sardi dei conti iberici degli Oliva. Il compilatore della relazione, Vincenzo Mameli di Olmedilla, riporta la presenza di una muraglia che circonda i resti delle abitazioni ancora perfettamente visibili, della cisterna ancora in uso e piena di acqua e della torre pentagonale «costruita con grande arte e con grossi muri di pietra lavorata con varie suddivisioni e abitazioni anche sotterranee» (BUSSA, , pp. -). La relazione evidenzia come siano presenti abitazioni circondate da mura difensive anche in corrispondenza delle calde risorgive del Coghinas, nella località li Caldani. È interessante come il compilatore esprima un giudizio sul quadro insediativo della zona riportando che potrebbe essere conveniente stabilire un villaggio sulla cima della collina in ragione della salubrità dell’aria, rispetto a quella malsana della valle e della pianura alluvionale, e come (il testo è riportato nella traduzione del manoscritto compiuta da Italo Bussa) «la sua difficile immissione attraverso una salita un po’ lunga e molto ripida con precipizi e rupi, che la renderebbe più lontana dalla coltivazione, mi sembra un motivo valido per non consigliarlo [l’insediamento], giudicandolo più opportuno per una fortezza come doveva essere nei tempi passati, che per una popolazione, che deve occuparsi di agricoltura, per la quale sono tanto adatti i territori circostanti, per cui un po’ più al di sotto, fra l’una e l’altra delle anzidette sorgenti, sarebbe più conveniente. Ma un tale bel monumento dell’antica grandezza dei signori del Coghinas, quale è questa torre, merita che non venga lasciato distruggere» (BUSSA, , pp. -). . DA SILVA, doc. ( maggio ).
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co amministrativo, agli abitanti era concessa la completa autonomia dal podestà del villaggio di Cokinas, ma erano soggetti all’autorità del comune vicario presente nel distretto nominato dai Doria . Nella consegna dei privilegi (godimento della piena proprietà) il castellano Pietro de Barra evidenziava che gli abitanti del borgo godevano della facoltà «ex gratia speciali terras que sunt intus muros dicti Castri, ortivas et laboratas» . Dal punto di vista interpretativo, se in una prima fase la strategia Doria era orientata alla formazione di possedimenti personali che determinavano per il signore la perdita degli introiti sulle eredità, considerato il carattere permanente della concessione, contestualmente in nome della sua supremazia politica, obbligava gli abitanti a passare nelle successive maglie del potere signorile a cominciare dall’imposta fondiaria annuale – il datum – con modalità che rimarranno radicate sino al definitivo passaggio dei territori agli Aragonesi nel XVI secolo . In aggiunta, altri elementi di vantaggio derivavano dalla commistione, non casuale, pubblica e privata esercitata da Brancaleone Doria nel territorio: – il miglioramento fondiario di uno spazio agricolo senza l’impiego diretto di investimenti ; – il costante afflusso di rendite attraverso il canale indiretto della gestione . DA SILVA, doc. ( maggio ). Ai burgenses di Casteldoria erano anche concessi i privilegi di non essere imprigionati nello stesso castello, e di godere di una «securitatem bonam et ydoneam». La carica di vicarìa dell’Anglona in questo stesso periodo è ricoperta da Percivalle Doria, figlio di Brancaleone (SODDU, , p. ). . DA SILVA, doc. ( maggio ). . In particolare sulle rendite fiscali dell’Anglona alla metà del XIV secolo, cfr. MELONI (). . Non sembra di intravedere nelle attività dei Doria quell’esempio di ius serendi documentato nel Lazio a partire dal XVI secolo nella gestione delle terre arative del castello e nella suddivisione in quarti «sui quali si esercitava il diritto-dovere di semina dei vassalli che, a turno, venivano suddivisi fra le varie famiglie» (CAROCCI, , p. ). Una pratica che secondo l’autore deriverebbe dai secoli precedenti documentata a partire dal secondo quarto del XIV secolo. Il confronto con l’esempio laziale in tema di gestione dei territori agrari, con il differente trattamento signorile tra i campi destinati alle colture cerealicole, sottoposte allo ius serendi, e quelle ortive del tutto escluse da questo, non sembra palesarsi nemmeno nella differenziata formula di concessione tra la «terram de Gorgoiosa» dove anche se viene utilizzato un termine del tutto generico non esclude l’ipotesi della destinazione ai seminativi stagionali, come sembra intuibile nella formula successiva che ribadisce come la terra «sicut insimul divisserunt, ad laborandum, habendum, tenedum et possidendum et quicquid de ispsa terra perpetuo voluerint faciendum, cum omnibus iuridibus, introytibus et exitibus, quomodo et utilitate ad ispsam terram pertinentibus» (DA SILVA, doc. ) e quella del documento successivo (DA SILVA, doc. ) dove Pietro de Barra, castellano di Casteldoria, su mandato di Brancaleone I Doria concede ai burgenses «ex gratia speciali, terras que sunt intus muros dicti Castri ortivas et laboratas, et que terre insimul sunt divisse, ita quod quilibet eorum habere debeat partem suam ad habendum, tenendum et possidendum et quicquid de ipsis terris perpetuo placuerit faciendum». Una separazione che ad ogni modo sembra essere in perfetta coerenza con le consuetudini agrarie codificate nei codici della metà del XIV secolo dove si dava maggior importanza allo status delle terre chiuse, più prossime ai centri abitati, destinate alla coltura della vigna o alle specie orticole, fortemente minacciate dal bestiame vagante (MATTONE, , pp. - con ampia bibliografia sull’argomento).
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dei successivi processi di trasformazione e degli introiti ottenuti dall’esportazione dei prodotti agricoli attraverso il controllo di tutti gli approdi dell’area (Frigianu, Cala Austina-Castelgenovese-Ampùlia) ; – con la clausola della residenza nel borgo del castello, necessaria agli abitanti per ottenere i vantaggi fiscali e patrimoniali, l’insediamento fortificato controllato dal Doria usufruiva di una popolazione residente obbligata a fornire «poma, pira et alii fructus» in caso di necessità; – all’interno del sito incastellato si creavano quelle condizioni per la costituzione controllata di attività artigianali documentate in questo stesso periodo a Castelgenovese ; – la somma dei punti precedenti poneva su solide basi la sopravvivenza del centro fortificato all’interno di un sistema socio-insediativo già strutturato anche se questo a sua volta ricadeva all’interno del territorio gestito dal signore ; – la concessione permetteva ai Doria, come è stato già prospettato da Soddu, di costituire un gruppo di fideles, di diversa estrazione (corso-liguri e sardi), in prospettiva del prossimo arrivo nell’isola delle forze militari aragonesi e dell’imminente contrapposizione militare con le forze pisane attestate nell’area della Gallura ; – non è da escludere che tra le altre finalità delle concessioni ai burgenses si possa anche intravedere la preparazione ad un successivo riconoscimento . SODDU (), pp. -. Nel Brancaleone Doria aveva concesso, per tutta la durata della sua vita, a Galvano Cigala due mulini nelle località presenti a Castelgenovese (DA SILVA, doc. , dicembre ). Gli stessi impianti, specificandone la denominazione nelle località Laterana e Cericha, sono concessi l’anno successivo per anni dallo stesso Brancaleone alla gestione di Opizzino, maestro d’ascia. Il concessionario ha l’obbligo della rimessa in funzione, del pagamento di una somma di lire di Genova al precedente Galvano Cigala, e l’impegno alla riconsegna delle strutture integre e funzionanti, alla fine del periodo pattuito (DA SILVA, doc. , aprile ). Ancora Opizzino, nello stesso mese, aveva ottenuto un contratto di locazione per un altro mulino, nella località Sabonatorgia ancora per anni da parte di Andreolo Bechignono, dietro il pagamento di un canone mensile di rasieri di grano e con l’impegno di migliorarne le strutture (DA SILVA, doc. , aprile ). Tutti gli impianti citati sfruttavano la forza motrice dei torrenti presenti nel territorio di Castelgenovese. Per i primi è stata proposta una localizzazione presso l’attuale frazione di Lu Bagnu (mulini di Cerica e di Laterana) ad ovest di Castelgenovese; per l’ultimo, quello di Sabonatorgia, presso il corso del rio Frigianu a meno di un centinaio di metri dalla foce dello stesso fiume (MAXIA, , pp. -). Sempre a Castelgenovese era presente un mulino a vento citato nel passaggio di proprietà di un orto che «desbutus murum dicti Castri, per viam qua itur ad molendinum de vento» (DA SILVA, doc. , agosto ). . Negli atti del notaio Da Silva il quadro sociale che emerge per Castelgenovese è quello di un centro dotato di fabbri, falegnami, maniscalchi, panettieri, macellai, pescatori, barbieri (cfr. SODDU, , pp. -). La politica di Brancaleone appare anche orientata a fare arrivare persone dal di fuori della Sardegna: in questo modo era garantito non solo un miglioramento delle condizioni e dei servizi, ma anche una maggiore “fedeltà” dei personaggi (BASSO, , p. ). . PETTI BALBI (), pp. -. . SODDU (), p. . . SODDU (), p. ; BASSO (), pp. -.
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legislativo comunitario, anche se su diretta iniziativa dei Doria . Brancaleone Doria agiva all’interno dei suoi possedimenti in piena e completa libertà, in linea con il suo status di primo e unico signore. Un quadro, del resto, sancito e reso politicamente evidente alcuni anni prima () nei patti con la Corona d’Aragona. Negli accordi la facoltà di organizzare socialmente ed economicamente gli insediamenti e le popolazioni locali non è in discussione; ai Doria, che si dichiarano apertamente vassalli del re d’Aragona, era quindi riconosciuto il «mero et mixto imperio» su tutti i «castra et loca ac terras que vos habere et possidere dictis in Turritano sive Logodorio, sita in regno Sardiniae». Nel dettaglio, Castelgenovese, Casteldoria con i territori della ex curatoria di Anglona ai quali si aggiungeva il territorio pertinente in precedenza al villaggio di Viddalba localizzato alla foce del Coghinas, il castello e la villa di Ardara, la villa di Bisarcio con il territorio della ex curatoria di Meilogu e di quello della ex curatoria di Caputabbas, il castello di Monteleone con il territorio della ex curatoria di Nurcara, Alghero con il territorio della ex curatoria di Nulauro, la corte di Curcas e parte della ex curatoria di Nurra . . Conclusioni La salda unione tra la sproporzionata potenza politica, militare e finanziaria dei Doria e il riconoscimento dei privilegi e diritti per le popolazioni, eliminava alla radice quelle eventuali condizioni che avrebbero potuto portare all’abbandono del centro fortificato . Ma, ad ogni modo, in quella fase storica, dove avrebbero potuto spostarsi le popolazioni? Giovanna Petti Balbi anni fa intelligentemente evidenziava come nella seconda metà del XIII secolo la concorrenza più immediata per l’area dell’Anglona è rappresentata dalla città di Sassari e dal suo porto . Un’ipotesi razionale, materialmente non ancora dimostrata, e non del tutto reale se si tiene in considerazione quella serie di accordi del tra il capoluogo ligure, rappresentato sul territorio dal comune di Sassari, pazionato a Genova a partire dal , e i Doria. Tra le due entità, esisteva un “cartello” che nello specifico poneva un veto al libero spostamento delle popolazioni locali, anche se non impediva di programmare nuovi piani di organizzazione e sviluppo delle aree rurali at. ACA, Cancillería, Cartas Reales, Jaime II, n. extra series, in SALAVERT Y ROCA (), doc. . . Non è da escludere che a questi fattori si sommasse una qualità della vita migliore all’interno dei siti incastellati rispetto agli altri centri rurali della zona. Un elemento che è stato colto e letto in questo senso nell’ambito delle ricerche archeologiche compiute nel sito della maremma pisana di Rocca san Silvestro per il XII secolo. Qui la qualità strutturale delle case e il materiale mobile recuperato ha permesso agli archeologi di ipotizzare per i residenti una qualità di vita alla pari dei centri cittadini toscani (FRANCOVICH, WICKHAM , pp. -). . PETTI BALBI (), p. .
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traverso lo stanziamento di persone esterne. Oltre a questo, a nostro avviso, un secondo polo di attrazione per le popolazioni poteva giungere dall’altra signoria territoriale presente a meno di km dai confini dell’Anglona rappresentata, politicamente e materialmente, dal castello dei Malaspina ad Osilo. La stretta compresenza nella fascia costiera settentrionale di distretti territoriali signorili è la causa principale della formazione permanente di nuovi centri di popolamento in diretta competizione tra loro non solo per il predominio militare ma anche per il controllo e la gestione delle popolazioni rurali e quindi degli apparati produttivi primari. Il quadro presentato, proprio per l’ampiezza dei temi trattati, segna ancora il passo all’esaustiva conoscenza di diversi tasselli: un obiettivo realizzabile attraverso un irrinunciabile lavoro di raccolta e analisi critica di tutte le fonti documentarie. Un nuovo e più approfondito livello di sintesi dovrà necessariamente pervenire dalle fonti materiali, ma anche dall’apertura di nuove e poco battute strade d’indagine emerse nel saggio: la politica gestionale delle aree rurali da parte delle forze politiche locali, la nascita libera o controllata dei centri di scambio nella fase giudicale, la sovrapposizione spaziale tra signorie fondiarie monastiche e signorie territoriali, l’oscuro e ignoto destino politico e distributivo delle aristocrazie sarde così presenti nell’area dell’Anglona e prime protagoniste in tutto il Logudoro della “stagione delle donazioni” nel XII secolo. Gli esponenti di questa classe probabilmente non sentirono con la medesima urgenza di quelle “italiane” l’esigenza di trasformare il loro regime di gestione dei beni fondiari in sistemi a base territoriale mediante la costituzione di insediamenti nuovi o nuclei fortificati. Una differente strategia che al momento non ha ancora risposta, ma non è escluso che questa difformità potrebbe essere alla base della conservazione delle strutture insediative aperte (le villas) che subirono un vero e proprio tracollo demografico e socio-insediativo nella grande selezione qualitativa e quantitativa che si concretizzò in Sardegna a partire dalla seconda metà del XIV secolo. Fonti edite ACA:
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