FRANCO LARATTA
FRANCO LARATTA
Mentre il popolo condanna la ‘casta’, nell’oscuro palazzo di Montecitorio spicca un Deputato. Quello che non ti aspetti, quello che affianca nei loro scioperi, lavoratori di un porto e dipendenti delle ferrovie, quello che scende in campo come un Teppista per difendere il diritto di vivere di una donna straniera e la libertà di un giovane operatore di pace, rapito in una lontana terra, dove la pace è un’utopia.
Deputato al Parlamento dal 2006 Componente organi parlamentari: - IX Commissione (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) - Commissione bicamerale speciale sulle Semplificazioni - Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (fino al 2010).
La Teppista
Attività Parlamentare: Proposte di Legge
- come primo firmatario: 8 - come co-firmatario: 153
Interpellanze urgenti: 6
mentre i Palazzi bruciano e il Paese crolla.
Il parlamentare calabrese, deputato “giovane” sia politicamente sia (in fondo, ancora) anagraficamente anche grazie alla contaminazione reciproca con il giornale della nuova politica, del rinnovamento (stesso), della “costruzione (appunto) del futuro” ha saputo trasformare i legami con la politica vecchia da un possibile punto di debolezza in un punto di forza. In una progressione di cui questa raccolta offre una perfetta rappresentazione, Laratta si è sempre più fatto portatore di apertura e “pontiere” tra la vecchia classe dirigente e il futuro della nostra nazione, rappresentato sia da quei volti nuovi che pure la nostra politica autoreferenziale di oggi sapeva (o doveva: suo malgrado?) proporre, sia dalle nuove correnti (ma solo) di pensiero che emergevano negli spazi della politica del domani, sia, infine, dalle istanze di rinnovamento che provenivano direttamente dalla società.
Matteo Patrone
direttore de “il Politico.it”
Interrogazioni
Cronache di
Cronache di fine Impero,
- a risposta immediata in Assemblea: 2 - a risposta scritta: 78 - a risposta in Commissione: 11
Ordini del giorno - in Assemblea 13 - sul bilancio 1
Tra scandali e corruzione va in scena il teatrino
Interventi alla Camera - su PdLe in Assemblea: 9
della peggiore politica italiana da sempre.
- altri in Assemblea: 10
FRANCO LARATTA
Cronache di Euro 9,00
ISBN 0978-88-88637-59-4
Presenze in Aula: 87,21% Fonte: www.camera.it
Ha pubblicato:
Padre Antonio Pignanelli a 25 anni dalla morte (2011) - Miseria e Nobiltà della politica, della società (2009) - La lunga notte della Calabria* (2006) - Riflessioni Libere* (2004) - Il Villaggio svanito* (1999) - Quando in Sila cade la neve* (1994) - La villa dei sette piani* (1992) - Non sparate sul cronista* (1990) - Biografia di P. Antonio Pignanelli* (1987). * esaurito
Š 2012 Librare Librare è un marchio Plane srl San Giovanni in Fiore (CS) Tel. 0984 971002 www.librare.it - www.planeonline.it ISBN 0978-88-88637-59-4 Progetto grafico:Luigi Oliverio Impaginazione: Domenico Sapia Ottimizzazione immagini: Domenico Olivito Editing e correzione bozze: Maurizio Passarelli Le immagini sono tratte da il Politico.it
Indice Prefazione........................................................................................................................... 7 La politica è finita?............................................................................................................ 11 Siamo ancora la Repubblica della corruzione..................................................................... 13 Stati Uniti d’Europa per rifare........................................................................................... 18 del Mediterraneo il centro del mondo............................................................................... 18 Un nuovo rinascimento per tornare grandi........................................................................ 20 L’addio (?) a/ di Silvio........................................................................................................ 22 Ecco gli artefici e i responsabili dell’impero di Arcore........................................................ 24 Se riprendessimo a darci del ‘lei’?....................................................................................... 30 Una risata lo seppellirà!...................................................................................................... 32 Auschwitz-Birkenau. Viaggio nell’orrore!........................................................................... 42 “Noio… volevam… volevàn savoir… …ja”....................................................................... 44 Ecco quanto costa un deputato della Repubblica!.............................................................. 45 De Gasperi il meridionalista!............................................................................................. 49 25 luglio: il presidente venne deposto................................................................................ 51 Se noi fossimo un Paese serio…!........................................................................................ 54 Perché cambiare la legge elettorale..................................................................................... 56 Gli sbronzi di Riace........................................................................................................... 58 Scopelliti, l’uomo che sussurrava ai Gasparri!..................................................................... 60 Camera con svista.............................................................................................................. 62 Napolitano simbolo della nostra nazione........................................................................... 65 Ma attenti, il Paese è ad un passo dal baratro..................................................................... 67 Il mercato dei deputati...................................................................................................... 69 Un governo omertoso sulla mafia...................................................................................... 71 Il discorso di Silvio (in anteprima)!.................................................................................... 73 Dalle carceri si può e si deve uscire.................................................................................... 75 Corruzione. “Abbiamo anticorpi”...................................................................................... 77 Svelati i misteri della cena a casa Vespa.............................................................................. 79 ‘Ndrangheta d’Italia.......................................................................................................... 82 I tempi stanno cambiando................................................................................................. 84 A3. “Non è nemmeno una vera autostrada…”................................................................... 87 Vespa. Fa informazione?.................................................................................................... 89 Ecco come la “mia” Calabria combatte l’ndrangheta.......................................................... 91 L’arretratezza della politica italiana..................................................................................... 93 Il capo del governo............................................................................................................ 95 Mafia&politica, forse il giocattolo si è rotto....................................................................... 97 Quindicennio, è l’inizio della fine...................................................................................... 99 Brunetta, vietato ai maggiori di 18 anni.......................................................................... 101 Quegli immigrati? La nostra Africa.................................................................................. 103 Ma il 25 marzo è anche la festa di un mito...................................................................... 104 ...A colorare libertà.......................................................................................................... 109
Passioni e sogni spezzati in questa società che apre le porte della disperazione ai giovani consapevoli di non poter costruire il proprio futuro. L’Italia da nazione diventa...escort, la Calabria è sempre più feudo della ‘ndrangheta. Si presenta uno scenario difficoltoso anche sul piano internazionale. Qualcuno urla la Rivoluzione. La più giusta soluzione per rivedere la luce? Oppure una stupida follia per rimanere nel buio? Mentre il popolo condanna la ‘casta’, nell’oscuro palazzo di Montecitorio spicca un Deputato. Quello che non ti aspetti, quello che affianca nei loro scioperi, lavoratori di un porto e dipendenti delle ferrovie, quello che scende in campo come un Teppista per difendere il diritto di vivere di una donna straniera e la libertà di un giovane operatore di pace, rapito in una lontana terra, dove la pace è un’utopia. Il Deputato che si dedica a detenuti e profughi mentre i suoi colleghi Onorevoli se la spassano per spiagge dorate e alberghi di lusso.
La Teppista
(http://facebook.com/mariapaola.lopetrone)
Prefazione Il grande merito di Franco Laratta è stato impedire che lo status di parlamentare in un’era così controversa (anche se molti di “noi” continuano a chiudere gli occhi per non vederlo) per la nostra politica e per il Paese, corrompesse una passione politica cristallina e l’amore vero per la sua Calabria e per la nostra nazione, privandolo di quel vitalismo e di quella pulizia che hanno consentito alla collaborazione prima e alla sempre maggiore identificazione poi tra il deputato del Pd e il giornale che dà il nome a questa sua terza raccolta di scritti (tutti pubblicati da www.ilpolitico.it), di essere così proficua e fertile - speriamo, per il futuro dell’Italia. Ad uno sguardo superficiale Laratta potrebbe infatti facilmente essere annoverato tra i “membri” della Casta. Parlamentare, “nominato” attraverso il Porcellum, deputato di o “voluto” da quella vecchia classe dirigente del Pd in cui molti così come a destra con il presidente del Consiglio vedono uno degli ostacoli al rinnovamento (e alla rigenerazione) della Politica (vera) e, attraverso di esso, alla (ri) costruzione (ma non di un presente sempre uguale a se stesso, bensì) del futuro del Paese. Ma il parlamentare calabrese, deputato “giovane” sia politicamente sia (in fondo, ancora) anagraficamente anche grazie alla contaminazione reciproca con il giornale della nuova politica, del rinnovamento (stesso), della “costruzione (appunto) del futuro” ha saputo trasformare i legami con la politica vecchia da un possibile punto di debolezza in un punto di forza. In una progressione di cui questa raccolta offre una perfetta rappresentazione, Laratta si è sempre più fatto portatore di apertura e “pontiere” tra la vecchia classe dirigente e il futuro della nostra nazione, rappresentato sia da quei volti nuovi che pure la nostra politica autoreferenziale di oggi sapeva (o doveva: suo malgrado?) proporre, sia dalle nuove correnti (ma solo) di pensiero che emergevano negli spazi della politica del domani, sia, infine, dalle istanze di rinnovamento che provenivano direttamente dalla società. Il 26 maggio 2011, con “Il Pd punti sulla nuova generazione che vince“, Laratta fotografa per primo il fenomeno di una nuova classe dirigente di “rottura” legittimata direttamente dal voto popolare, che vi si riconosce in massa assicurandole più voti di quanti ne attribuisca ai caravanserragli che la “sostengono” (?). E sempre dalle colonne de il Politico.it, è tra i primi (ipotetici) membri della Casta a riconoscere l’esigenza di un ripensamento sui costi della politica, a cominciare dallo scandalo della dotazione di (e della spesa per) auto blu più “consistente” del mondo. Ma è quando, il 6 luglio scorso, con “Se fossimo un Paese serio...!”, Laratta compie un vero e proprio atto d’amore per la nostra nazione, svuotando tutta la propria frustrazione e preoccupazione per l’attuale (mancato) andazzo di un’Italia a cui basterebbe uno sforzo (in fondo) minimo (e anzi la propria “liberazione”) per salvarsi e tornare grande, che il “connubio” tra il deputato Democratico e le istanze del futuro trova il proprio ideale “coronamento”. Con la proposta, sincera e appassionata, di un’assemblea costituente a cui affidare il compito di rifondare la nostra architettura istituzionale, Laratta getta i semi di due anni di scritti, lavoro in Parlamento, impegno nelle province calabresi e attraverso la Rete. Nella speranza che i “pesci”, prima o poi, abbocchino. Loro, allora, “moriranno”, ma sarà il giorno che l’Italia comincerà a rinascere.
Matteo Patrone
direttore de “il Politico.it”
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Una raccolta di note e commenti pubblicati nel corso degli ultimi anni da “Il Quotidiano della Calabria” e da “www.ilpolitico.it”. Raccontano di un Paese che brucia, con un taglio ironico e pungente. Le note sono precedute da uno scritto di Matteo Patrone direttore de il Politico.it
Franco Laratta in un ritrattto di Gabriele Morelli
La politica è finita?
Lo sentiamo ripetere spesso. Sì, ma quale politica?
In
realtà, la domanda è diventata pressante sin dalla nascita del governo Monti. Quasi fosse colpa di Monti, come se l’avesse uccisa lui, e il suo governo, la politica in Italia. La politica, dunque, è finita? Domanda curiosa. Io credo che il governo Monti c’entri poco con la morte della politica, di ‘questa politica’. Infatti tutti sappiamo che la politica, quella vissuta nel '900, aveva cessato di esistere da tempo. Perchè sono finiti gli 'argomenti' della politica: il lavoro, la crescita, i valori. La fine della politica ha avuto inizio con la fine della 'partecipazione' alle vita politica. I grandi partiti, quelli storici che hanno segnato la vita del secondo '900, avevano lentamente esaurito la loro forza attrattiva: meno interessanti, meno coinvolgenti, sempre più vecchi e stanchi, troppo spesso corrotti. 11
La fine della politica, di 'quel' sistema politico, non può però portare con sé solo macerie e disgregazione. Se così fosse, si rischierebbe la crisi della democrazia. C'è però da dire che i partiti, ad un certo punto della loro storia, esauriscono sempre la loro funzione. Anche in un sistema democratico. La loro grande capacità dovrebbe coincidere con la forza nel reinventarsi, nel rinascere. Diversamente si isolano dalla società, finendo per rappresentare sé stessi e i loro gruppi dirigenti. E' accaduto questo a partire dagli anni '90. Come evitare che la democrazia vada in crisi proprio a causa della decadenza dei partiti? Occorre che si facciano avanti nuove forze , nuove classi dirigenti, dalla società, dai movimenti civili e culturali, dalle imprese e dalle università. Nuove energie, un nuovo linguaggio, una credibile scala di valori, un nuovo progetto politico e culturale per la rinascita del Paese. Il sistema democratico deve rigenerarsi, perchè non può continuare ad essere, e ad apparire, superato, debole, immobile, lento. Non può apparire fonte di privilegi e corruzione. La democrazia oggi appare dominata dal potere economico. E tutti credono che lo sia. Ma il problema è che i partiti non riescono più ad attrarre, ad essere interessanti, a garantire la guida di una nazione. E per questo la democrazia va in crisi. La classe dirigente oggi appare sempre più vecchia, debole, autoreferenziale, priva di prestigio e autorevolezza, viene vissuta come corrotta e consumata, non propone nuovi modelli sociali e culturali (semmai li subisce). Si spegne, si consuma, senza aver prima fatto la cosa più importante: posto in essere un serio e credibile ricambio generazionale. La politica nell'occidente non riesce a fermare il declino economico e culturale della società: assiste spaventata ad uno storico declino a vantaggio di altre aree del mondo, sempre più forti e sempre più dominanti. La democrazia, per poter funzionare, deve saper garantire gli interessi popolari, rappresentare le esigenze generali della collettività, essere la forza e la guida di una nazione. Ma i partiti, deboli e frastornati, non rappresentano più gli interessi generali, soprattutto in una società in cui conta sempre di più l'individualismo. Non c'è più il popolo ma il pubblico, non più l'elettore ma il telespettatore. Il Governo-Monti è senza dubbio la prima risposta 'politica' alla crisi della politica. Se da un ventennio il gruppo politico dominante è apparso del tutto incapace di agire e di guidare i percorsi, il governo 'tecnico' ha finito per essere la sola via d'uscita alla paralisi dei governi. Dando rapide ed urgente risposte alla crisi economica. Il problema è semmai un altro: cosa accadrà dopo? Premesso che in politica, nulla si ripete e niente ritorna come prima, c'è da scommettere che alla fine della legislatura apparirà un nuovo scenario politico: nuovi partiti, nuove coalizioni, nuova architettura istituzionale. Che dovranno gestire la fase di cambiamento, una nuova stagione politica. Tecnica o politica che sia, la nuova stagione sarà utile a ridare prestigio e dignità ai partiti. Che necessariamente dovranno cambiare, rinnovarsi, rinascere. Senza partiti non c'è democrazia, ma di cattiva politica e di pesssimi partiti si può anche morire, un Paese può morire, la democrazia può morire. La strada dunque è obbligata: o si cambia o si muore. L'agonia del sistema politico che abbiamo conosciuto finora, lascia intendere che una nuova stagione sta per cominciare. Non accadrà nell'immediato, saranno necessari altri scossoni. Ma ormai è inevitabile: il Paese ha bisogno di una rivoluzione democratica, di una vera e profonda svolta. Di una stagione di austerità. Per ripartire da capo! 12
Siamo ancora la Repubblica della corruzione Ma torneremo ad essere la culla della civiltà 3 febbraio 2012
Giulio Tremonti, nel suo nuovo libro, attribuisce la (ir)responsabilità del declino del capitalismo e delle istituzioni democratiche (?) su di esso, a dire il vero, (af )fondate alla sua deriva ‘finanziarista’, al distacco della ‘macchina dei soldi’ dalla nostra realtà (comunque economica). Individuando peraltro nel tornare sui (nostri) passi compiuti in questo senso di stravolgimento della nostra economia (ma ad un livello ancora superficiale rispetto al recupero del suo concetto originale. Che è quello di un’economia al servizio di una ragione di vita più alta; non più fine (ma mezzo), e tanto meno fine a se stessa, ‘come’ la finanza), la possibile soluzione (“strutturale”) alla crisi. Ma il distacco al quale fa riferimento Tremonti rischia di essere ‘rintracciabile’ nella stessa natura di ‘macchina’ (finanziaria ma anche quando ‘angustamente’ cessa di esseremezzo e diventa fine ‘economica’) del capitalismo, che mette al centro delle nostre vite (? Appunto. Determinando un effetto di sterilità im-morale) l’esclusivo arricchimento (? Materiale). E a quale condizione è destinato, un Paese non, un (‘semplice’) mercato che si affida alle dinamiche economiche e finanziarie come unica ‘ragione’ (?) della propria esistenza, rinunciando non tanto ad una possibile ‘regolazione’ che presuppone comunque una certa subalternità ma alla necessaria primazia e leadership della Politica (cioè dei suoi cittadini con le loro esigenze più profonde)? Ecco allora che la soluzione a tutto questo non può che coincidere (non con un semplice reset che faccia ripartire poi lo stesso conto alla rovescia, in tutti i sensi, ma) col (ri)darci una prospettiva non più solo economica (ovvero economica ma nel suo senso originale, oggi superato e dimenticato) ma (appunto) più alta; e a quale obiettivo o vocazione specifico può rivolgersi, la nazione che è già ripetutamente stata, nel corso della propria Storia, la terra in cui si sono decisi i destini del pianeta, se non a quello di tornare ad essere il luogo in cui si (ri)genera, attraverso il recupero di una dimensione etica e filosofica, la nostra (possibile, nuova) civilizzazione? L’imper(i)o della corruzione, ora, magistralmente descritto dal deputato del Pd.
Ogni
giorno una tegola. Un macigno. Uno scandalo. La seconda Repubblica, nata dalle ceneri della prima, muore come quest’ultima. Da uno scandalo all’altro. E niente e nessuno sembra salvarsi. Corrotta la politica, corrotti i partiti, i magistrati, le istituzioni. La corruzione è stata…legalizzata in alcuni schieramenti, si è infiltrata in altri, corrode inesorabilmente il sistema. Non si salvano i sindacati. E nemmeno la chiesa, gli ordini professionali, gli imprenditori, i commercianti. I banchieri e la grande finanza. La speculazione organizzata. L’Italia è una Repubblica fondata sulla corruzione. O meglio: affondata nella corruzione! E se tutto è casta, il passaggio dalle caste alle cosche sembra ormai prossimo. Le cosche appaiono le uniche coerenti con la loro storia: corrotte erano, corrotte sono. Per cui non ci si può meravigliare se alla fine la gente troverà comodo servirsi delle cosche: almeno sono serie! In Italia chi si salva? Il barista che non rilascia lo scontrino. L’impresa che fa i lavori a nero con personale impiegato a nero. Il primario che…passi dal mio studio privato. Il gioielliere che dichiara quanto il bidello. L’impiegato che fa il secondo lavoro a…nero. Il prete pedofilo. L’assessore che assume il figlio e finanzia gli amici. Gli imprenditori e la 488 per comprare la…. Maserati. Gli insegnanti con la 104….falsa. I falsi invalidi. Gli autentici imbroglioni. I politici e le loro case a Roma. I furbetti del quartierino. La cricca e il terremoto dell’ Aquila. La P4 e gli affari illeciti. Il Vaticano s.p.a. La zona grigia. La massoneria e i Servizi deviati. I grandi burocrati. 13
Il Paese dell’illegalità diffusa. Entrando a Chiasso trovi scritto: ‘Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’! E già a Cortina trovi un primo indizio. E il secondo è nelle vie della moda di Milano e di Roma. Il miracolo della ‘moltiplicazione degli scontrini’ sarà presto riconosciuto dalla chiesa: fa ricchi i poveri ristoratori, aumenta gli incassi dei commercianti alla sola vista delle Fiamme Gialle. E se perfino le madonnine da noi piangono lacrime fasulle, ci pensano i forconi siciliani a far piangere lacrime vere l’intero Paese. E subito i prezzi della benzina sfiorano i 2 euro al litro. Altro miracolo italiano. Il più clamoroso malaffare di Stato in cui tutti sono coinvolti e tutti si dividono l’ingente bottino: lo Stato, i petrolieri, le imprese. Tutti rubano dalle tasche del disperato automobilista. Ma lo sapevate che l’auto elettrica era pronta per l’uso già trent’anni fa? Ma fu subito affossata: la benzina rende meglio e di più, a tutti! La politica ai tempi della grande corruzione. Fosse nato adesso Gesù il Nazareno, lo avrebbero venduto subito. Ma non per 33 danari (Giuda fu il primo corrotto della cristianità? Beh! Pietro però…anche lui con la storia delle sue bugie…!!), forse per 15 milioni di euro e un palazzo di Propaganda Fide. I 15 milioni li ha presi il tesoriere scout, devoto e integerrimo, di un partito che non c’è più! Per il Palazzo di Propaganda Fide occorre chiedere a monsignore! Da un macigno all’altro, ogni giorno cade a pezzi quel che rimane di un Paese corrotto dentro. E devono averlo capito subito i grandi ricchi: ogni giorno c’è chi riesce a raggiungere i confini svizzeri o sanmarinesi per portare al sicuro lingotti, brillanti e borse piene di banconote da 500 euro. Le cassette di sicurezza delle banche del Ticino scoppiano di un fiume di anonimo denaro italiano. Fuggono via i capitali leciti e illeciti. Fugge via la dignità del Paese. E nei forzieri dei Paradisi fiscali sono depositati 500 miliardi di euro made in Italy. Hai voglia di fare manovre. Paese di ladri e di corrotti! Chissà cosa si salva in questa Italia dove perfino i calciatori milionari (in euro) si vendono le partite; dove far ballare in tv il bomber decaduto costa 800 mila euro, mentre i partiti del cappio portano 10 milioni di euro dei loro finanziamenti pubblici in Tanzania, e quelli già defunti ricevono i soldi pubblici e li occultano alla faccia degli onesti militanti che si pagano la tessera e contribuiscono a pagare la corrente dei circoli; dove il ministro prendeva casa ‘vista Colosseo’ a sua insaputa, e la più ricca e potente regione del Paese, il motore economico della nazione, è invasa dalla ‘ndrangheta e dal malaffare e conta negli eletti El Trota e l’Igienista dentale e il presidente non sa nulla del San Raffaele e di Comunione e Fatturazione. Chissà cosa si salva! Cosa si salva in un Paese in cui nessuno sembra fare più il suo dovere, l’illegalità è tollerata, l’omertà è sempre più diffusa, la malavita domina dal sud al nord. E ci viene in mente il grande Rino Gaetano con la sua graffiante denuncia contro gli abusi del potere: “onorevole eccellenza cavaliere senatore nobildonna eminenza monsignore vossia cherie mon amour, nun te raggae più! La sposa in bianco il maschio forte i ministri puliti i buffoni di corte ladri di polli super pensioni ladri di stato e stupratori il grasso ventre dei commendatori diete politicizzate evasori legalizzati auto blu sangue blu cieli blu, nun te raggae più”! Un Paese così frana veramente. Una dietro l’altra cadranno le istituzioni democratiche (democratiche?) sepolte da una montagna di corruzione e malaffare. Sarà superfluo perfino il Parlamento, dannosi i partiti, inutili i sindacati…! Cadrà tutto e sarà allora che il Paese si scoprirà nudo, vuoto, senza identità né futuro. Abbiamo esagerato. Abbiamo un po’ tutti esagerato. Ci siamo mangiati il passato e il presente. 14
E abbiamo lasciato il conto da pagare ai nostri figli. Il passato non ci ha insegnato nulla. Che ad esempio l’Antica Roma cadde per la carenza di ideali forti e per la devastante corruzione. Caddero così altri imperi e altre nazioni. Cadde così la nostra Prima Repubblica. Cade così la seconda, quella che c’è ora. Devastata dalla corruzione. Ma la corruzione è solo ora e soltanto da noi? In un colloquio fra Giolitti e Mussolini, il primo si trovò a rimproverare Mussolini per la voracità dei suoi gerarchi. Ma il Duce gli rispose: “Onorevole Giolitti, anche i suoi mangiavano!!”. “Sì, ma almeno sapevano stare a tavola”, replicò Giolitti. Oggi chi mangia non sa nemmeno stare a tavola, perchè sbraita in modo scomposto e volgare. Si riparte. Non senza laceranti scosse di assestamento. Si rischia una ricca dose di populismo: il primo che si alza e saprà recitare la parte, vince. I Tommaso Aniello d’Amalfi (alias Masianello) hanno già colpito e affondato più volte il nostro Paese. I qualunquisti sono sempre all’opera. Mentre la mamma dei trasformisti è di nuovo incinta: al nono mese. Le domande che ci affliggono sono: perchè tanta corruzione? Perchè nessuno è riuscito a fermarla? Perchè non si salva niente? E ci sovvien ancora il Sommo Poeta: «Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». E allora, Dio salvi il nostro Paese. E le tante persone perbene che ci sono. I tanti cittadini onesti che vogliono rimanere tali. I tantissimi lavoratori che portano a casa un pezzo di pane dopo ore e ore di lavoro. I tanti giovani che hanno diritto al loro futuro. Salvi il Paese e gli ridia la dignità perduta: ma se vogliamo salvarlo occorre una massiccia dose di onestà, spirito di sacrificio, moralità, trasparenza. E un laico miracolo che ci salvi dalle grande abbuffate che nessuno vuole pagare!
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Gianpaolo Fabrizio nei panni di Bruno Vespa con l’on. Daniela Santanchè
Futuro dell’Italia
Caro Pd, è tempo di una rivoluzione gentile 13 gennaio 2012
La sinistra perde, o quando vince è per brevi esperienze di governo, “occasionali”. Oppure come in America mette in scena, volente o nolente, solo la versione soft della destra (repubblicana). Ma soprattutto (ed è per questo che oggi è perdente) la sinistra ha perso la sua battaglia storica: quella ingaggiata, nel secolo scorso, sotto le insegne del comunismo marxista. Battaglia e opzione rispetto alla quale (alle quali) va chiarito un equivoco di fondo: la sinistra non ha mai davvero puntato a cambiare il mondo; ma solo (a cambiare) il capitalismo. Come riconosce, nella sordita’ (ideologica) dei suoi “continuatori”, lo stesso Carlo Marx. Che definisce la sua ideologia altro da un’utopia: pragmatica ipotesi di aggiustamento dei difetti del capitalismo. Altro che rivoluzione. Ed e’ giocando nel campo, con le regole e con la casacca dell’avversario che la sinistra si e’, da sola, infilata nel vicolo chiuso della sconfitta, trovandosi oggi a non avere (apparentemente) piu’ ragione d’essere (e spazio) in un sistema che non mette, perche’ non ha mai messo, realmente in discussione, e com’e’ uso dire, superficialmente, per uno specifico fenomeno della nostra teatralita’ politicista interna in cui le persone, se devono scegliere, scelgono l’”originale”. Il vero. Il deputato del Pd fotografa una classica fenomenologia dell’umanita’ alienata: i turisti e persino, quel che e’ peggio, i nostri giovani “arrivano” (fisicamente) a Roma, culla della cultura umana e della civilta’, e cio’ che si attardano a fotografare sono a Montecitorio i sosia (televisivi) di Vespa e Maroni. Un falso. La copia di loro stessi. Perche’, parafrasando Flaiano, c’e’ chi si muove senza viaggiare, e chi, senza muoversi, arriva lontano.
Giovedì
primo pomeriggio. Roma, piazza del Parlamento. Una scolaresca fa la fila per una foto con il sosia di Vespa (quello di Striscia!). Qualche foto anche con il sosia di Maroni. Foto di gruppo, tutti sorridenti. Alcune ragazzine, felici e sorridenti, ottengono foto singole, con i sosia! I sosia stazionano tutti i giorni tra Piazza di Montecitorio e Piazza del 16
Parlamento. La sera, poi, li vediamo in tv. “Piazza del popolo: si ferma un torpedone, ne scendono quaranta turisti, che, senza perdere tempo, occhio al mirino, come una banda di guastatori, fotografano la piazza e risalgono nel torpedone, che riparte. Il tutto si è svolto con la rapidità delle manovre militari. Il turista è un essere prvilegiato, che non rimane ferito da ciò che vede, dalla gente soprattutto, dalla gente che continua a vivere nei luoghi che egli fotografa e che impiega spesso la vita a penetrarne il mistero. Il turista raccoglie documenti che proveranno il suo viaggio, ma sarebbe troppo facile provargli che non si è mai mosso“. (cfr. Ennio Flaiano, La solitudine del satiro, Adelphi, p. 212) Foto! Soltanto foto! Attorno c’è arte, storia, cultura. Ma il sosia vale di più: la sera lo vedi in tv!! Da poco lontano i proff. guardano la scena: sembrano indifferenti. Dai palazzi del Parlamento escono i rappresentanti del popolo. Oggi giornata doppiamente ‘storica’: l’on. Cosentino non va in galera. La Consulta ha bocciato i quesiti referendari per l’abolizione del porcellum: erano sbagliati (Di Pietro urla sempre più sguaiato, ma non c’azzecca più!). Gli studenti fanno le foto senza più fermarsi. Con Vespa. Con Maroni. I sosia. I sosia della cultura e della scuola d’Italia Che tristezza!
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Stati Uniti d’Europa per rifare del Mediterraneo il centro del mondo 7 dicembre 2011
Il momento è ora. Adesso che la crisi scopre le nostre debolezze, ci denuda delle nostre certezze (materiali), ci impone un cambiamento non più per migliorare condizioni di vita che essendo attraversate dal benessere, fin’oggi ci avevano appagato avviandoci sulla strada di questo nostro declino ma ora come unicachance per mantenerle (almeno), quelle condizioni. E magari arricchirle di una dimensione “culturale”, tale da dare una consistenza alle nostre esistenze (comuni) a prescindere dall’andamento dei titoli sul mercato, dai capricci delle Borse, e, anzi, consentendoci di governare più serenamente e sobriamente, evitando di continuare a scaricare su coloro che verranno dopo di noi il “prezzo” della nostra futile, e ora scopriamo illusoria, abbondante “disponibilità” tutto questo. Che resta, comunque, non dimentichiamolo, una delle chiavi che hanno consentito di giungere a quella che è, forse (?), l’era di maggior benessere, non solo materiale, se vediamo le cose nella prospettiva del bisogno, preliminare, di pace tra i popoli, della Storia del mondo.
Quattro
-cinque manovre finanziarie, e forse non è finita qui. Un Paese con giganteschi ritardi, per troppi aspetti vecchio, frenato, pur se con mille potenzialità. Dovrà farcela ad uscire da questa terribile crisi, forse più tardi e forse a maggior prezzo rispetto agli altri Paesi europei, ma dovrà assolutamente farcela. Ma la crisi attuale, come tutti gli analisti affermano, non è solo finanziaria o dell’economia reale. E’ una crisi di sistema, di quel sistema politico, sociale e culturale che ha caratterizzato la vita dell’Europa dal ’900 e fino a giorni nostri. E’ la fine di un modello che ci proviene dalla ‘rivoluzione industriale’. Si tratta in sostanza della fine del capitalismo, di questo capitalismo, ma soprattutto del consumismo che ha posto la ‘merce’, i mercati e la finanza, al centro della vita dell’uomo; un sistema che spingeva a consumare, consumare sempre e incessantemente. Ovvero: produrre per consumare! E illudendo la gente che la ricchezza fosse la soluzione unica a tutti i problemi, ha finito per portare gli Stati al default, alla bancarotta. Insieme a questo, si è conclusa anche un lunga stagione politica, fatta da partiti ideologici di massa (era il ’900) e anche quella breve dei modelli politici post ideologici. In tutta Europa, l’attuale sistema politico non regge più, tanto che buona parte dei cittadini si sta convincendo che la stessa democrazia non sia più un valore fondamentale, assolutamente insostituibile (“La peggior democrazia è preferibile alla migliore delle dittature” disse Ruy Barbosa). Ma oggi la gente percepisce che “La tragedia delle democrazie moderne è che non sono ancora riuscite a realizzare la democrazia” (Jacques Maritain). I leaders politici che oggi affrontano la crisi finanziaria, perdono il consenso dei loro elettori, ed uno a uno vengono estromessi dal potere! La logica del mercato, la necessità di produrre beni sempre a costi minori, ha portato l’industria a trasferire la produzione là dove il costo del lavoro è molto basso e gli operai vengono sistematicamente sfruttati. Per cui i Paesi industriali sono rimasti di fatto senza produzione industriale, mentre i Paesi poveri si sono sviluppati, fino a toccare i livelli record di Cina, India e Brasile. Nell’Europa si produce sempre di meno ma si consuma troppo. E al posto dell’economia reale, si è affermata la finanza, cioè l’economa delle banche e dei grandi centri finanziari che hanno provocato prima la grande crisi americana e oggi la terribile crisi europea, e non solo. Ci troviamo in una società costruita per consumare; una società fatta di sprechi, che fa i conti con scomparsa dei ceti medi, afflitta dal predominio dei mercati, colpita da disastri ambientali e mutamenti climatici, priva di senso culturale. Tutto questo mentre si registra l’ assoluta mancanza 18
di lavoro, il crollo demografico, l’assenza di futuro. Mali che, in percentuali diverse, toccano l’intera Europa, in modo drammatico l’Italia che sconta ritardi strutturali molto gravi. Il quadro così drammatico non consente più di pensare in piccolo, immaginare che ognuno possa risolvere da solo i problemi di crescita e di sviluppo, e tantomeno quelli conseguenti che si chiamano nuove povertà, emarginazione, crisi di fiducia dei cittadini. I fermenti definiti ‘indignados’ o ‘Zuccotti party’, i primi in Europa, il secondo in America, sono il segnale che le società odierne stanno per ‘scoppiare’. Il contagio della primavera araba è inevitabile, perchè a reagire sono le nuove generazioni che non accettano più di pagare sulla loro pelle la crisi dei sistemi (le dittature sanguinarie del nord Africa e del medio oriente, i sistemi democratici occidentali che appaiono deboli, screditati, incapaci di far prevalere il primato della politica sulla finanza e sui mercati). I grandi debiti dei Paesi occidentali che hanno consumato la ricchezza e i beni delle future generazioni, rappresentano un’eredità pesantissima che, giustamente, i giovani non potranno mai sopportare. Crisi di sistema, dunque. Come si può rispondere a questa formidabile sfida che a tutt’oggi è dagli esiti imprevedibili e, secondo alcuni, catastrofici? Per quanto riguarda noi europei, la ricetta la conoscono tutti, ma in pochi la vedono realizzabile a breve: gli Stati Uniti d’ Europa. Una svolta destinata a fare storia! Che significa il superamento degli stati nazionali per passare ad uno Stato federale. Ma uno stato federale è tale, e può vincere la terribile sfida dei nostri tempi, solo se sa valorizzare i valori e le identità dei territori, una ricchezza infinita dei Paesi che la globalizzazione ha cancellato o messo ai margini! Gli Stati Uniti d’Europa nascono solo se c’è un grande progetto politico condiviso, una vera integrazione sociale, una forte e stabile moneta, una politica economica e fiscale unica, un rinascimento culturale, la riscoperta e la valorizzazione delle arti e della cultura. Con un obiettivo politico strategico: aprire le porte del Mediterraneo, che torna ad essere il centro dei commerci mondiali, come lo è stato per secoli. Già dal 2010 sarebbe dovuta decollare la zona di libero scambio del Mediterraneo. Una straordinaria sfida, per ora solo rinviata, che potrebbe rilanciare il sogno di un grande mare, il Mediterraneo, che torna ad essere il motore economico del mondo, dell’Europa prima di tutto. L’Europa ora può e deve aiutare i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo a scoprire i valori della libertà, di una libera economia, degli interscambi culturali, della democrazia. Il dialogo, il confronto, i rapporti culturali ed economici tra Europa e Paesi del Mediterraneo, possono costituire la speranza degli uomini del Terzo Millennio. Una vastissima area, tante nazioni, un incrocio di culture e civiltà che ci riporterebbe ai tempi dei Greci e poi dei Romani (quando vi erano una sola lingua, le stesse radici culturali, una vasta area dedicata ai commerci lungo quel mare che teneva uniti popoli e nazioni diverse). Dalla cultura greca, all’abilità dei romani, all’epoca delle grandi lacerazioni e conflitti, fino alla primavera araba dei giorni nostri: il Mediterraneo torna centrale nelle politiche e nelle strategie commerciali di una vasta parte del mondo. Appare superfluo ricordare i vantaggi che ne potrà ricavare il sud Italia, e prima di tutti la Calabria, da uno scenario come questo. Ma si può arrivare a tanto se l’Europa diventa davvero un’Unione di Stati federati. Se anche la politica diventa ‘europea’ con la nascita di moderni partiti democratici europei, se la cultura diventa centrale per tutte le scelte di governo, se il sistema sociale ed economico esce fuori rapidamente dal fallimentare modello capitalista, finanziario, consumista che oggi è fallito e che ha prodotto gravi diseguaglianze sociali. Un sistema in cui tutti stiamo appesi all’incremento del PIL, alle fluttuazioni del mercato azionario, alle valutazioni delle agenzie di rating, al predominio delle finanza. Fare una ‘Grande Europa’ politica, non solo un mercato europeo, per riscoprire la ricchezza dei territori, per consumare di meno e meglio, per affermare la centralità della difesa dell’ambiente e la valorizzazione delle energie rinnovabili, per eliminare i drammatici squilibri sociali, per tornare ad investire nei giovani, nella ricerca, nel futuro. 19
Nella foto, un momento del film “Noi credevamo” regia di Mario Martone
Futuro dell’Italia
Un nuovo rinascimento per tornare grandi 30 novembre 2011
Nell’antica Roma usava dare alle personalità che si erano distinte per meriti civili, bellici e comunque per moralità, una serie di rappresentazioni pubbliche, per le strade della capitale della Repubblica e poi dell’Impero, così da suscitare, nei giovani che le avessero viste, ispirazione, desiderio e determinazione ad imitarli. Si tratta dei nostri antenati. I primi italiani! Perché non utilizzare il nostro inimitato patrimonio storico, culturale, artistico per al posto del voyeurismo “televisivo” (perché la televisione è un mezzo e può, appunto, essere anche molto altro) di oggi che sterilizza il pensiero cominciare a mobilitare le nostre straordinarie energie, umane e, appunto, culturali? Nell’era della comunicazione, in vista della (possibile) era del ritorno alle origini (la “Luna” cancerina che rappresenta il femminile, la placenta, la creazione), quando toccherà presumibilmente alle donne assumere la guida (e Dio avvicini quanto prima quel momento! Dio, e magari la nostra politica, lasciando da parte l’ipocrisia delle quote e straripando nel dare alle italiane posti di responsabilità, restituendo al nostro governo (comune) la loro sensibilità, la loro umanità, la loro onestà: naturalmente, anche qui, senza generalizzare: ma quante donne ricordate, con le mani in pasta della corruzione e dell’abbandono del nostro “spirito di servizio”? Perché hanno avuto ancora poche occasioni per mettercele, risponderanno i cinici; e allora è giunto il momento di fare questo tentativo!), in questo tempo in cui i “muri” in senso materiale e culturale, (geo) politico tra le nazioni sono ormai ridotti (quasi tutti) in macerie, tutto questo si traduce, lo abbiamo scritto, non, in un “ritorno” di vetero-imperialismo, ma nel rifare della cultura della filosofia, della letteratura, dell’arte (a cominciare da quello straordinario ispiratore di “eroismo” umano che è il grande cinema), della musica il nostro ossigeno. Il deputato del Pd riprende il “filone” e ci/ si sprona a muoverci. Subito. 20
Finisce
un’epoca. Una lunga epoca fatta di illusoria modernità, di fittizie conquiste, di immaginarie scoperte. Tanto si è fatto, ma nonostante tutto l’Italia, in parte anche l’Europa, ha finito per fare clamorosi passi indietro. Il Paese è oggi più brutto, volgare, debole, mediocre. Dove sono finiti i nostri santi, poeti, navigatori? Dove sono finiti i grandi musicisti, gli scultori, i filosofi? L’Italia ha bisogno di un nuovo rinascimento! “La bellezza salverà il mondo” scriveva Dostoevskij! L’Italia ha bisogno di rinascere! Ripartendo dall’arte, dalla cultura, dalla storia. C’è bisogno di ritrovare quel grande Paese che ha dato all’umanità grandi geni, idee e realizzazioni uniche al mondo, poeti, scrittori, navigatori e filosofi da tutti studiati e apprezzati. Ammirare la ‘dama con l’ermellino’ di Leonardo da Vinci, o la Pietà di Michelangelo, o leggere la Divina Commedia di Dante o una poesia di Leopardi, studiare Gioacchino da Fiore, ammirare le sculture del Bernini, ascoltare Verdi o Puccini…. significa ricordare un Paese immenso. Quel Paese che porta con sé bellezze naturali e paesaggistiche uniche al mondo, tutte sciupate o dimenticate. Un Paese fatto da gente che spesso non sa decidere, e quando decide punta sempre sul più forte. Questa nostra Italia così debole e lontana, così incerta e indecisa, che ha un grande passato ma che non riesce a costruire il suo futuro. In questo momento di gravissima crisi (che non è solo finanziaria), occorre riscoprire il nostro vastissimo patrimonio culturale, le nostre migliori tradizioni, le nostre scoperte, le opere letterarie che hanno segnato i secoli trascorsi, i grandi miti e gli intellettuali italiani che hanno fatto scuola nel mondo, la nostra poesia, la musica…..! In sostanza la nostra grande storia, che ci farà capire che solo investendo nelle arti e nella cultura, noi potremmo sperare di ritornare un grande Paese! Perchè la bellezza salverà il mondo (e l’Italia prima di tutto)!
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Nella foto, Silvio in auto durante i numerosi spostamenti tra i palazzi della politica accompagnati dalle urla della gente
L’addio (?) a/ di Silvio
e la folla urla: “buffone, buffone! dimissioni, dimissioni!” Al passaggio del “corteo” di auto dell’ormai ex presidente del Consiglio. Una vera e propria via crucis. Da Palazzo Chigi a Palazzo Grazioli, al Quirinale. Migliaia di nostri connazionali ai bordi delle strade per dire addio al mattatore (in chiaro ? scuro) della “nostra” (?) ”politica” (?) degli ultimi vent’anni. “E’ una giornata storica. E’ finita la Seconda Repubblica. E’ finita la ‘discesa in campo’ dell’uomo che diceva ‘io amo l’Italia’!”. Ora, a suo dire, non la ama più. Ma, soprattutto, non lo ama più l’Italia (?). 12 novembre 2011
La
folla davanti i palazzi romani (prima a Montecitorio, poi nel vicinissimo Palazzo Chigi, più tardi a Palazzo Grazioli) urla. Urla con un sentimento di gioia misto a rabbia contro quell’uomo al quale aveva dato tutto il credito possibile, gli aveva affidato per 18 anni i destini del Paese. La folla urla contro il primo ministro uscente di un Paese sconfitto, deluso, amareggiato. Ma l’uscente non ne vuole ancora sapere di uscire definitivamente di scena. Da settimane, mesi, glielo chiedono tutti, quasi lo implorano. Ma ci vorrà la tarda serata di oggi per dimettersi e scrivere così la parola fine ad una storia, quasi una leggenda, diventata un incubo per tutti. Anche per lui. Persa la maggioranza in Parlamento, fatto oggetto di forti pressioni internazionali (perfino da Obama), fallito il suo piano di contenimento della crisi, con un Paese stremato e senza prospettive, Berlusconi non ha colto l’attimo, non ha capito che era giunto il suo momento. Ed ha resistito. Una resistenza rabbiosa, mentre i suoi scivolavano via, lo mollavano sapendolo finito e, coraggiosamente, trovavano una scialuppa per salvarsi! Lo hanno mollato mentre la nave affondava! 22
La folla si è poi spostata al Quirinale, dove Silvio è atteso per le dimissioni. Ma arriva fuori tempo massimo. L’inquilino del Colle, forzando il suo ruolo nel tentativo di domare una crisi spaventosa di credibilità e di tenuta delle istituzioni nazionali, ha in realtà già fatto tutto. Senza perdere altro tempo, ha da giorni pronto il nome del nuovo presidente del Consiglio, ha già concordato con lui il programma per l’emergenza, ha perfino pronta la lista dei ministri. Questo non è il tempo delle prassi e delle consuetudini. Tutto rischia di saltare in aria. Non c’è tempo per i riti e le stanche liturgie della Repubblica. Ora entro lunedi, prima dell’apertura dei nervosi mercati internazionali, la crisi deve essere chiusa. Il Presidente ha chiesto al Parlamento di riunirsi anche di sabato e di domenica. Vuole far fronte alla drammaticità degli eventi. Il Colle è saggio e gode di stima universale. Ci mette la faccia, ben sapendo che se fallisce l’operazione fallisce anche lui. E soprattutto muore il Paese. La folla urla. Diventa sempre più grande ed estesa. Non ha testa e non ha coda. E’ felice, festante, gioiosa. Ci sono intere famiglie, anche i bambini, ci sono tanti giovani, ma non c’è una bandiera, non c’è uno stemma, non c’è una sigla. La folla urla “Dimissioni! Dimissioni!”. Si allarga, si allunga, si moltiplica da un Palazzo all’altro. Cerca solo lui. Vuole la sua testa. Vuole che se ne vada via. E’ delusa come un’amante tradita. Non vuole sentire ragioni. Via, via subito. Come per Mussolini. Come con Craxi. Una fine ingloriosa. Silvio ha perso oggi un’occasione storica: alla Camera, alle 18, alla fine della seduta avrebbe dovuto fare un discorso di pacificazione, un appello alla nazione, un augurio di buon lavoro al nuovo governo. Invece niente. Niente di tutto questo. Era scuro in volto. Rabbioso. Non ha detto una parola, ha solo incassato l’applauso della sua parte politica, le scemenze di tale dott. Scilipoti, la filippica del solito Cicchitto. Poi via dalla Camera. Ma lungo la strada è stata una via crucis. Nel percorso in auto, agli incroci, ai semafori: era tutto un solo urlo. Lungo i marciapiedi, nel tratto da palazzo Chigi a Palazzo Grazioli. Un solo grido: dimissioni, dimissioni. Al Quirinale la folla lo ha atteso per ore. Appena è arrivato il Presidente della Repubblica un osanna di giubilo. Inutile sapere cosa è successo all’arrivo del primo ministro uscente. Oggi è una giornata storica. E’ finita la Seconda Repubblica. E’ finita la ‘discesa in campo’ dell’uomo che diceva ‘io amo l’Italia’! Ma ora l’Italia non ama più lui! Roma, palazzo Chigi ore 20.
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Nella foto, il presidente del Consiglio alle origini, quand’era un imprenditore del mattone e poi televisivo
Ecco gli artefici e i responsabili dell’impero di Arcore 15 ottobre 2011
Come
ha fatto il Paese a precipitare in questo profondo degrado morale? Com’è finito nelle mani di questo clan di condannati per mafia, truffatori di Stato, cricche e P3, corrotti e corruttori, falsari, tutti inseriti negli apparati, dal parlamento al governo, dalle istituzioni agli enti locali? Come ha potuto l’opinione pubblica di un grande Paese farsi ingannare, sottomettere, cloroformizzare così a lungo? Farsi irretire da uno “sgovernatore”, Silvio Berlusconi, che per circa un ventennio, nei “ritagli di tempo”, ha fallito tutti gli obiettivi di interesse pubblico annunciati? da chi ha usato meschine (e illegittime) astuzie per non farsi disarcionare, mietendo successi personali (ad personam) che stridono dinanzi al certificato flop politico? Al nostro premier, poco importa di aver trascinato nel baratro un intero Paese, sporco del fango che copioso gronda dalla sua figura. Lui, distorcendo l’omnia munda mundis, può ritenersi soddisfatto. Si è salvato dalla giustizia e il fatturato delle sue aziende è cresciuto in questi anni: di crisi, a quanto pare, solo per gli altri.
Forza Italia, AN, UDC
Berlusconi è l’imprenditore che agli inizi degli anni ‘90, dopo il crollo della Prima Repubblica, scende in campo e conquista subito il Paese. 24
I promotori dello sventurato avallo politico alla sua candidatura sono stati: Forza Italia (un partito di carta fondato dallo stesso Silvio insieme a Confalonieri, Dell’Utri, Previti e pochi altri), costola della struttura aziendale e commerciale del colosso Fininvest; AN di Fini, l’Udc di Casini e Buttiglione (Cdu-CCD), la Lega di Bossi e le sigle minori ex Dc, ex Psi, ex Pri. Tutti a “garantire” che Silvio era l’uomo giusto per fermare i comunisti di Occhetto e D’Alema, e i catto-comunisti della sinistra Dc, divenuta prima Ppi e poi Margherita, quindi confluita coi diessini nel PD.
Tremonti
Giulio Tremonti ha gestito in monopolio fra alterne vicissitudini nella coalizione l’economia del Paese. Per 8 anni degli ultimi 10, e per qualche mese nel primo governo Berlusconi degli anni ‘90, è stato il discusso e contestato signore delle finanze pubbliche. Rigoroso nel fermare l’assalto dei ministri alla Cassa del Paese, non ha saputo leggere né contenere la severa crisi finanziaria internazionale che avrebbe travolto l’Italia tra il 2009 e il 2011. Davanti ai primi minacciosi segni del tornado, ha tirato fuori uno sgangherato ombrellino affidandolo “a campione” alle fasce più esposte dei cittadini. Parliamo della tanto sponsorizzata social card: una misura così anemica e mal concepita che si è schiantata al suolo senza il concorso di agenti esterni. Forte dell’ appoggio leghista, Tremonti ha dettato legge nel governo, imposto le soluzioni e gli uomini graditi a lui e a Bossi, condizionato l’azione del Cavaliere e del Pdl. Eterna promessa della politica (ancora non mantenuta), il “genio di Sondrio”, che di recente ha avocato a sé la delega per il rilascio di patenti di stupidità ai suoi detrattori (citofonare Brunetta e altri), non riesce a capacitarsi della mancata ri-crescita italiana nonostante i tagli operati: evidenza che smentisce il positivo esito dei propedeutici esperimenti condotti su unghie e capelli nel laboratorio valtellinese.
Bossi
Capo assoluto del “popolo padano”, da uomo di lotta contro “Roma ladrona” si è trasformato in uomo “di Letta”, imparando dall’«eminenza azzurrina» l’arte della mediazione, reinterpretata molto liberamente con un pragmatismo valligiano sovrastato da una colonna sonora apparentemente metal: tra minacce e improperi democratici perché non risparmiano neppure la propria maggioranza, e credibili quanto i colpi affondati nel wrestling. Bossi, insieme al gotha leghista, ribaltando la logica della prova fustino (due è sempre meglio di uno!) estrae e accantona ritmicamente ampolle e fazzoletti per monetizzare l’appoggio a Berlusconi e rincarare le pretese quando il tanfo diventa pungente: pecunia non olet, d’altronde. 25
Impregnate di berlusconismo, alle camicie verdi, oramai una delicata tonalità pastello per via dei troppi lavaggi, si deve la longevità di un agonizzante esecutivo e del suo capo. Lo stesso che nel ’94 subì il divorzio unilaterale proprio dalla Lega, incassando accuse velenose da codice penale; e che ora ha nel Carroccio l’alleato più fedele, svezzato con molte risorse e provvedimenti ad hoc: un federalismo fiscale antimeridionalista, i ministeri più appetiti e due poltronissime in Piemonte e Veneto. Schiacciate dal peso di cadeau voluminosi, anche le dritte schiene celtiche ora s’incurvano. Tradendo i consueti toni inflessibili (pubblici!), questi “duriepuri”, sempre più a rischio scoliosi, porgono nel privato le pazienti mani assecondando i movimenti del patrigno acquisito, (pre)occupato a dipanar le proprie matasse assieme agli accoliti con cui è legato a doppio filo. I leghisti tacciono sugli scandali di Silvio e, masticando un inedito garantismo che espulso con due dita in gola nel chiuso di un bagno presenta tracce di impunità, salvano dal carcere alcuni esponenti del governo. Le cicliche frizioni nella base non hanno mai spaventato il Senatùr e i collaboratori organici al cosiddetto “cerchio magico”. Negli ultimi mesi, però, il drappo verde xenofobo-populista agitato all’occorrenza per coprire défaillance e matare le frange militanti estreme ha perso di efficacia. Col vento sfavorevole sollevato dal tandem Maroni-Tosi, che ha scoperchiato la sotterranea lacerazione tra i gruppi dirigenti, la leadership bossiana non sembra più stabile sulle sue ginocchia, e l’elettorato di riferimento, chiamato ad elaborare il lutto per un movimento che non è quello delle origini, morto sotto il tentatore governo Berlusconi, (di) spera per il nuovo corso, che, epurati gli “apostati”, potrebbe incarnarsi nella figura quasi mitologica di Renzo “trota” Bossi.
Scilipoti
Avremmo potuto additarlo come esempio di cervello in fuga, per il debordante curriculum accademico autocertificato e i riconoscimenti ottenuti soprattutto all’estero, ma la sua condotta politica e il disinteresse verso qualsiasi emigrazione, viaggio, scampagnata che lo al26
lontanino dai Palazzi dove ha piantato le tende, fa scolorire l’etichetta ingenuamente attribuitagli, e ci persuade a ripulire di quell’amarezza implicita il Nemo propheta in patria: è questo il caso in cui fa bene la patria a non premiare un suo figlio! L’agopuntore Scilipoti si è distinto nell’ultima legislatura come virtuoso interprete di trasformismo, al pari di altri colleghi ribattezzatisi con sprezzo del ridicolo “responsabili”. Operazione non nuova nella storia repubblicana, ma stavolta ancora più deprecabile per lo spudorato tempismo con cui questa ventina di peones ha lanciato il salvagente a Berlusconi dopo la rottura con Fini; e per l’assenza di motivazioni politiche a sostegno di un salto ideologico così repentino, premiato per la velocità di esecuzione con un insperato punteggio, comunicato nella successiva infornata di ministri e sottosegretari. È l’ennesima brutta pagina scritta da un governo che disprezza le istituzioni, declassate in questi ultimi anni a mercato di compravendita (e svendita) di parlamentari che si cimentano in ardite rincorse al sottopotere: alleggeriti della coscienza e con la dignità sotto i piedi per ridurre l’attrito, questi “versatili” corridori che battono piste diverse alla costante ricerca del miglior “terreno”, soffrono le lunghe distanze. Con l’acido lattico in circolo per l’intenso sforzo e un’ inadeguata preparazione, si precludono il traguardo.
Feltri e i giornalisti d’assalto
Giornalisti d’assalto, artefici della “macchina del fango”, professionisti della disinformazione. Hanno cancellato i nemici e gli avversari di Silvio usando i giornali e le tv di quest’ultimo. Tentato di imbrattare gli antagonisti più resistenti con dossier-patacca. Sedato il Paese grazie al Tg1 (Minzolini), al Tg4 (Fede), a Porta a Porta (Vespa). Da Feltri a Sallusti, da Ferrara a Belpietro, tutti al servizio del Padrone: sempre pronti a minimizzare le malefatte del Cavaliere, i fallimenti del suo governo, il malessere crescente dell’opinione pubblica.
Le donne di Silvio
Le donne di Silvio, sistemate tutte ai vertici del potere, sono state elette parlamentari, promosse al Governo, nei consigli regionali e in ogni aula istituzionale dotata di posti da scaldare. La Santanchè, Mara Carfagna, Michela Brambilla e le altre ministre e sottosegretarie di Stato, allenate a genuflettersi ed obbedire, si dimostrano risolute e civettuole quando scatta l’ora di tirare per il bavero il loro volubile inventore e strappare il ruolo di “favorita”. Della loro azione di governo rimane ben poca cosa. 27
Il ‘Clan’ dei fedelissimi DELL’UTRI Marcello: braccio destro del Premier insieme a Fedele Confalonieri e Gianni Letta, ha contribuito alla nascita e allo sviluppo (prodigioso!) dell’impero Berlusconi e della succursale Forza Italia. Contiguo a cosche mafiose, è stato condannato in secondo grado a 7 anni di carcere. Dell’Utri è la corruzione infiltratasi a “corte”, nella quale oggi spiccano Previti, Cosentino, Brancher, Papa, Milanese, Verdini e decine di parlamentari coinvolti in inchieste giudiziarie e spesso condannati. Stimati e ascoltati da Silvio, molti di loro sono stati la punta avanzata dell’invincibile macchina da guerra predisposta dal Cavaliere per conquistare il Paese. D’altronde, anche agli inizi della carriera imprenditoriale, Silvio si è accompagnato a personaggi con una fedina penale opaca.
l compagni di merenda COMINCIOLI Romano: legato alla Fininvest, accusato di rapporti con boss mafiosi e riciclaggio di denaro proveniente dalla Banda della Magliana. DELL’UTRI Alberto: fratello di Marcello, arrestato per concorso in bancarotta fraudolenta. BERRUTI Massimo Maria: ufficiale della Guardia di Finanza arrestato per tangenti; legato ad esponenti di Cosa Nostra vicini a Riina; legale della Fininvest negli anni ’90. GELLI Licio: Capo della Loggia Massonica P2 alla quale era affiliato Berlusconi. Condannato a 19 anni di carcere per concorso in bancarotta, a 10 anni per la strage di Bologna e ad altri 17 anni per reati inerenti alla P2. CALVI Roberto: grande finanziatore di Silvio Berlusconi, iscritto alla loggia P2, bancarottiere. Si sarebbe poi tolto la vita, ma la pista del suicidio non ha mai convinto i tanti scettici che si sono misurati con questo caso. CARBONI Flavio: faccendiere sardo, ricicla i soldi dei boss mafiosi e della banda della Magliana insieme a Romano Comincioli della Fininvest. CARENINI Egidio: affiliato alla Loggia P2, già deputato, sollecita e ottiene lo spostamento delle traiettorie delle linee aeree Milano-Linate per favorire la speculazione edilizia di Milano 2. DONINELLI Ettore: manager della FIMO (Finanziaria Mobiliaria), coinvolto nell’ accertato riciclaggio di denaro sporco di provenienza mafiosa. La FIMO finanziava le attività di Berlusconi. FIORINI Florio: amico di Berlusconi, arrestato per bancarotta, legato al boss mafioso Michele Amandini. LOTTUSI Giuseppe: riciclava i soldi della mafia colombiana per conto della FIMO, la società 28
svizzera che abbiamo già annoverato tra i finanziatori di Berlusconi. Sconta 20 anni di carcere. LUZI Romano: nel giro della produzione di film porno, agente pubblicitario Fininvest molto legato a Berlusconi, coinvolto in inchieste sui fondi neri della stessa Fininvest. RAPISARDA Filippo Alberto: finanziere legato a Dell’Utri, coinvolto in inchieste e processi, sostiene la nascita di Forza Italia a Milano. RASINI Carlo: sua la Banca Rasini che ha finanziato le prime speculazioni edilizie di Berlusconi. Nella Banca Rasini riciclavano denaro sporco noti boss mafiosi. RONCUCCI Sergio: dirigente della Fininvest, venne arrestato per corruzione. ROSA Gianfranco: in qualità di sindaco di Segrate nei primi anni ‘70, favorisce apertamente la costruzione di Milano 2. Fu indagato per occultamento di atti pubblici e concessione arbitraria di licenze edilizie. ROSSETTI Michele: uomo politico lombardo, arrestato per una tangente di 800 milioni pagata dalla Edilnord di Berlusconi. ROSSI Giancarlo: ben noto in Fininvest, nel 1994 fu arrestato per corruzione e tangenti; indagato per riciclaggio di denaro sporco. SCIASCIA Salvatore: manager della Fininvest, condannato per corruzione di alcuni membri della Guardia di Finanza.
L’armata cattolica DON VERZÈ, DON GELMINI (entrambi nei guai con la giustizia), Formigoni e la superlobby di Comunione e Liberazione, il movimento ecclesiale di Don Giussani che ha il suo centro nevralgico in Lombardia e che grazie al suo braccio economico, la Compagnia delle Opere, si propone come il più potente e pervasivo apparato politico-imprenditoriale esistente in Italia. Questi rami del mondo cattolico vocati agli affari, ma anche le gerarchie vaticane, hanno appoggiato senza riserve la discesa di Silvio nell’agone politico, sensibilizzando ed orientando l’elettorato cattolico, storicamente decisivo nei successi elettorali. Nella foto: DON GIANNI BAGET BOZZO che disse: “Berlusconi è il politico del secolo. Ho sempre creduto nello Spirito Santo e considero Berlusconi come un evento spirituale…”.
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Se riprendessimo a darci del ‘lei’? Beh, forse dovremmo dire se cominciassimo a darci del lei. Al giornalaio, alla prof. (ma non suona meglio …professoressa?), al collega. 15 novembre 2011
C’è
qualcosa di infinitamente elegante in quel ‘la prego’. In Calabria, ma credo in diverse altre parti del sud, si dava del voi perfino ai genitori. Non era per marcare la distanza, ma per affermare un forte senso di rispetto, di profonda ammirazione. 30
Tornare a darsi del lei potrebbe essere il primo passo per ricostruire una società diversa. Fatta di regole condivise. Ci sono piccole cose che di solito valgono più di quelle grandi. Il saluto al vicino di casa, al passante, alla persona che incontri in ascensore. Il fatto è che sono anni che quasi non ci salutiamo più, nemmeno se ci si scontra frontalmente. Il ‘ciao’ lo si destina solo agli amici e ai conoscenti più stretti. Ma il ‘buongiorno signore’ è merce rara. Introvabile. Eppure un saluto, un accenno di sorriso, rendono i rapporti umani un po’ più veri. Ci levano da quella cappa di auto-isolamento che ci siamo costruiti e nella quale molte persone vivono, lontani e distanti dal mondo. Forse perché così ci sentiamo più sicuri, protetti. Ma sappiamo bene che chi vive da solo non è mai al sicuro. Se, giusto per alzare un po’ il prezzo del ‘sacrificio’, leggessimo alla sera il capitolo di un libro, invece dell’inutile girovagare da un canale televisivo all’altro (facendo zapping ci salviamo dal peggio delle programmazione, ma ci perdiamo nella banalità di trasmissioni televisive del tutto inutili e banali). Se ritrovassimo il piacere di un tè con gli amici, che ormai non incontriamo più. Fosse anche per una sana chiacchierata senza troppa importanza ( non per forza ogni incontro deve avere un ‘ordine del giorno’!). Sarebbe gossip? Beh, perché no? Qualche giorno, prima dell’immersione profonda nel lavoro quotidiano (spesso caotico e confuso), ho scoperto che ricorreva l’anniversario della nascita di Eugenio Montale (12 ottobre 1896), di cui oggi ben pochi conoscono qualcosa. Sono andato così a rileggermi qualche sua poesia, grazie a quegli strumenti così immediati e potenti che ci rendono la vita più comoda (un computer, una ricerca su google e in tre secondi hai davanti un centinaio di pagine a disposizione). Ma abbiamo perso la passione per riscoprire la storia e la cultura che ci appartiene. Così di Montale ho trovato questi versi affascinanti: “...e andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio”. Ho quindi fatto una cosa rapidissima (ancora grazie alla tecnologia): ho pubblicato questi versi sulla mia bacheca di Facebook ( in pochi minuti ho raggiunto i miei circa 5000 amici) e a quelli più cari ho mandato i versi con un sms. Mi hanno tutti fatto capire di avere gradito molto questo ahimè desueto ‘buongiorno’. Pensavo: e se lo facessimo tutti ogni mattina? Cioè leggere qualcosa di un grande del passato e renderlo noto ai nostri amici e conoscenti. Piccole cose, che non ci costano praticamente nulla. Se dal darci del lei, all’augurarci un buongiorno, a comunicarci le nostre emozioni, passiamo poi, inevitabilmente, ad urlare di meno (ma avete notato che oggi tutti urlano?), quindi ad azzannarci di meno nel traffico (le strade sono diventate un teatro di scontro quotidiano tra automobilisti stressati), a rispettarci di più nel lavoro, nei rapporti personali, nella vita sociale… guadagneremmo tutti nella qualità della vita. E da qui il passo verso il rispetto delle leggi, di tutte le leggi, è davvero breve. Pagare le tasse, ad esempio, smettendola di essere complici degli evasori; non inquinare l’ambiente; fare la raccolta differenziata, e così via!. Il tutto per una società più giusta. Qualche mese fa, mentre scrivevo ad un computer del ‘Corridoio dei presidenti’ della Camera, ho visto arrivare da lontano il senatore a vita Giulio Andreotti. L’ho riconosciuto ed ho appena alzato lo sguardo. ‘Buongiorno onorevole’; ma non sono stato io a dirlo: Andreotti l’ha fatto per primo! Dandomi così una bella lezione di stile. Ma è sempre così, però. Le vecchie generazioni salutano sempre quando ci si incontra. Le nuove quasi mai. 31
Nella foto, Silvio Berlusconi sorridente
Una risata lo seppellirà! 5 Novembre 2011
Immaginate se il nostro popolo, presso il quale, citando un canzonatorio Vasco, “ non esistono problemi… tutti belli e buoni che votano Berlusconi”, accogliesse l’ennesima boutade del suo imperatore con una grassa, grossa risata, e contraesse la sindrome da “Drive in”, che stimola il pubblico a dimenarsi e sganasciarsi non appena il comico di turno apre bocca, indipendentemente da quel che dice
Il
Presidente fa cucù, un po’ come “i bambini fanno ooh!”, in questo strano Paese in cui è indispensabile annunciare urbi et orbi che “Luca era gay ma adesso sta con lei”, sconveniente svelare che la lei in realtà è l’amico della Tatangelo, sulle cui trousse, apparati deviati dello Stato hanno imposto un’ onerosa ipoteca, estinguibile solo col silenzio. È il Paese in cui si chiude un occhio col capoclasse esibizionista, giustificando l’intemperanza con l’età (avanzata), il carattere (vivace), il potere (smisurato). E se la Gelmini, in patria, fa la figura della supplente forte coi deboli fiacca con le canaglie, ad un’ autorevole ed esterrefatta Regina d’Inghilterra è bastato un secco richiamo per ridimensionare il goliardico Silvio, intento a disturbare i compagni durante le foto ufficiali del G20. Segreti di un’istruzione che funziona! 32
Il discolo ha replicato giorni dopo. Si è attardato al cellulare con un interlocutore anonimo, marinando il minuto di silenzio per i caduti nelle missioni Nato, osservato dagli altri ventisei secchioni capi di Stato e di governo, per la prima volta insieme riuniti. Ci ha pensato una tv estera - le italiane erano state paternalmente minacciate di provvedimenti dal loro “azionista di maggioranza” - a decodificare il labiale, concludendo che la telefonata, più che la diplomatica mediazione offerta dal nostro Premier al Primo Ministro turco, ricordava il siparietto di “Buonasera dottore” tra Alberto Lupo e Claudia Mori. L’indiscrezione è stata poi smentita, ma ombre sui possibili mandanti non abbandonano la “livida” Merkel, sensibile al fascino latino e avida di attenzioni galanti, e l’«abbronzato» Obama, scalzato nei sondaggi di gradimento proprio dal nostro Presidente. Mentre quest’ultimo tubava indisturbato, centinaia di giovani neofascisti si riunivano nella pluridecorata Milano, capitale della Resistenza, per evocare i tempi nostalgici di “marce svastiche e federali, sotto i fanali l’oscurità. E poi il ritorno in un Paese diviso, nero nel viso, più rosso d’amore”. Ma a cosa sarebbe servito sbracciarsi, rilasciare dichiarazioni indignate, se gli analisti hanno rassicurato il Premier che l’intervento non avrebbe inciso sui punti di share? E poi, non parlategli di Aida: l’Incorreggibile inizierebbe a tessere le lodi della Yespica e del suo stacco coscia, specie ora che, come prima più di prima, può dedicarsi indisturbato agli apprezzamenti da pappagallo. Berlusconi è l’esempio più illuminante dei danni provocati da un’educazione borghese che sacrificava le aspirazioni “alternative” dei propri figli sull’altare della carriera. Non scandalizziamoci se al giro di boa della propria esistenza uno estrae il tappo e inonda la società di aneddoti, barzellette, gag, assimilando l’agenda politica ad un libro di Bramieri (meno esilarante), che la gente apprezza perché in tempi duri ama inebriarsi, specie dopo la chiusura dello scollacciato Bagaglino. Immaginate se il nostro popolo, presso il quale citando un canzonatorio Vasco “non esistono problemi… tutti belli e buoni che votano Berlusconi”, accogliesse l’ennesima boutade del suo imperatore con una grassa, grossa risata, e contraesse la sindrome da “Drive in”, che stimola il pubblico a dimenarsi e sganasciarsi non appena il comico di turno apre bocca, indipendentemente da quel che dice. Riderebbe a crepapelle quando Silvio, novello Andersen, improvvisa fiabe in cui si cuce addosso i ruoli migliori; quando fa le corna, quando dice che “chi fa il giudice deve avere seri problemi psichiatrici”, quando è convinto che Roma è stata fondata da Romolo e Remolo, quando suffraga la sua eternità atteggiandosi a Creatore celeste, padrone di tutte le cose visibili e, soprattutto, invisibili. Presidente ad interim, infungibile, di un Paese che sulla scorta di questo curriculum deve credergli sulla parola e che invece non si mostra mai abbastanza devoto e sottomesso. Non quanto lo sono quei nani, quelle ballerine e quei replicanti che lui ha promosso, esaltato e fatto uomini e donne di potere (quale potere?), felici di mettere in soffitta la propria personalità per adorarlo in modo feticista e incondizionato, come previsto dalle clausole in calce al contratto di vassallaggio, che riconosce a tutti, indistintamente, un piatto di minestra e, alla domenica, un cucchiaino di caviale Beluga. Giardinetti (di Arcore) una volta al mese solo ai più ubbidienti, perché possano respirare un po’ di potere senza però assuefarsi ad esso. Shopping card omaggio (queste, cariche) alle “azzurre”, che devono ammazzare il tempo mentre in villa si prendono le decisioni. E a riunione conclusa, alle più fortunate (estratte a suo tempo da Madre Natura), un giretto nel parco, documentato con foto e video che le ragazze custodiranno gelosamente: chi nell’album di famiglia, chi, addirittura, dal notaio, tanto sono cari e (ri)apprezzabili i ricordi della colonia. 33
La natura di questo atipico contratto ci aiuta a comprendere lo stato di trance in cui era caduto quel ministro che davanti ad oltre due milioni di manifestanti a Roma aveva esclamato: «È solo una scampagnata». Lo stesso temerario a cui sono bastati due complimenti, i precedenti risaliva no alla recita scolastica di quarta elementare, per gasarsi e ingaggiare una gara di egocentrismo col suo capo, uscendone, come prevedibile, con le ossa rotte. Per riacquistare convinzione nei propri mezzi e compiacersi della sua maschia autorità, mai esercitata con quelli più “grossi”, per timidezza e paura, gli serviva un avversario abbordabile sul quale rivalersi. Uno sul quale sputare la frustrazione e il rancore accumulati. Uno davanti al quale alzare la voce, sbattere i pugni sul tavolo o spaventare con un dispettoso “buh!” sbucandogli alle spalle. L’identikit tracciato era quello degli impiegati pubblici: categoria, al pari di altre, con luci e ombre, che il ministro, però, aveva rottamato in blocco, marchiando tutti i dipendenti come fannulloni e infierendo sulle spregiudicate massaie avvezze alla cresta sulla spesa in orario d’ufficio. D’altronde, cosa ne sa un signorino, prossimo alle nozze, dei sacrifici di compagne e mamme, dotate spesso di una straordinaria muscolatura sviluppata grazie ai quotidiani carichi da sollevare? Struttura che lui non potrà mai vantare se persevera a condurre una vita sedentaria: quella che gli ha precluso di frequentare assiduamente le istituzioni europee, che, pur biasimevoli per la dispersività dei lavori, presentano spazi ampissimi da percorrere, lungo i quali tonificare il fisico. La risata, seguendo il filo di questa previsione tragicomica, sarebbe sempre più contagiosa e si estenderebbe ad altri Paesi, che secondo fonti certe hanno cominciato le prove da un pezzo, se qualcuno contasse il numero dei processi a cui il Premier è sfuggito, quelli fatti cadere in prescrizione, quelli che lo avrebbero visto colpevole se non si fosse fatto approvare, dando indicazioni come si fa col sarto, la prima legge della XVI legislatura: quel Lodo Alfano che evita la galera alle più alte cariche dello Stato (cioè sempre a Lui, il Presidente). Al ghigno, si aggiungerebbe un singhiozzo nevrotico scoprendo che la più spaventosa crisi economica e finanziaria che sta attraversando il mondo industrializzato è stata causata dall’ingordigia di quella casta di brillanti e disinibiti faccendieri, veri e propri falsari del nulla, figli del pensiero vincente del liberismo, del “mercatismo”, del capitalismo, della globalizzazione senza regole e senza misure, incarnati in Italia da Lui: il Presidente-piovra di un impero editoriale unico al mondo, coi tentacoli allungati su molti altri settori e un conflitto di interessi sfacciato, esecrabile, incivile, che ha favorito per ben tre volte l’elezione di un uomo senza partito, un multimiliardario (in euro) venuto dal nulla, a capo di un impero (anch’esso apparso dal nulla), avido per aver succhiato il sangue (e un po’ di soldi e qualche craxiano decreto notturno) alla Prima Repubblica, diventando l’uomo nuovo della Seconda, il Messia del Terzo Millennio dell’era cristiana, nel nome del padre socialista, dei figli adoranti e della “santa” antipolitica. L’uomo più potente d’Italia degli ultimi settant’anni (escludendo quello vero e nero, ancora ineguagliato nella sua catastrofica politica) tiene testa a tutti, ma poi lamenta di non poter governare come vorrebbe. Medita allora di cancellare l’insolente parlamento, di ignorare il capo dello Stato, e nel nome della semplificazione di ridurre tutto ad uno: un solo partito, un solo sindacato, una sola istituzione, un unico padrone coi suoi lacchè inchiodati sulle poltrone delle amministrazioni locali grazie alla “porcata bis” che abolisce il limite dei mandati elettorali di cui è autore (esecutore!) il recidivo Calderoli. Tutto ridotto ad uno, a fronte di mille televisioni “agiografiche” che lo raccontino come taumaturgo, che trasmettano un caleidoscopio di immagini piene di lustrini per distrarre i tele-elettori dai problemi e alleggerirli di quella coscienza critica che, presente in minime quantità, indurrebbe lo spettatore “passivizzato” e intontito a ridestarsi per sferrare un calcio alla tv e a chi ne disegna i contenuti. Da astuto comunicatore, sa quanto è facile nuotare nei più melmosi luoghi comuni e trasportarci 34
in modo meschino i cittadini, sensibili ai temi della semplificazione e del risparmio, e vittime di un fomentatore che poi non si preoccupa di riportarli a riva. Non prova imbarazzo alcuno a proporre uno “snellimento” della stampa, della magistratura, degli altri enti, inutili, specie se autonomi. Il mandato ricevuto è proprio quello di colpire e affondare tutto quello che costa, eliminare chi giudica e controlla, cacciare chi fa perdere tempo. A cosa serve tutta questa democrazia, questa libertà di scrivere e criticare? I siti internet, i blog, i social network riempiono di spazzatura la testa dei nostri figli, che, abbandonando la retta via tracciata nei sette punti del suo programma, rischiano di non crescere a sua immagine e somiglianza. L’Italia, così, sarà conosciuta nel jet-set internazionale per gli sfigati precari, le bidonville crescenti, il pendolarismo estivo nelle spiagge libere col panino e il cocomero. Vogliamo affidare a costoro il prestigio del nostro Paese? E ancora: a cosa servono i giudici ( e poi, con i processi che durano dieci anni!), a cosa servono gli impiegati dello Stato (a morte i fannulloni, a morte!), mille parlamentari (vuoi mettere quanto si fa prima e quanto si risparmia lasciando solo i sei capigruppo a votare e dire di sì a Lui?); la Corte Costituzionale, la Corte dei Conti, il Cnel, Il Csm, i Tar, le Regioni… a cosa servono? Il popolo sovrano è l’unico che conta, decide e vota, e Lui che sta tra i cittadini, vendendo sorrisi a prezzi non certo popolari, dichiara che tutti lo implorano a gran voce di agire: «Sììììì, signor Presidente, taglia, togli, chiudi, elimina, semplifica, ma non negarci Beautiful, il Grande Fratello, la Fattoria, i giochi, i balletti, le veline, ‘i ministri puliti, i buffoni di corte, ladri di polli, super pensioni, ladri di stato e stupratori, il grasso ventre dei commendatori, aziende politicizzate, evasori legalizzati, auto blu, sangue blu, cieli blu, amori blu…’». E se questo clima appare surreale, l’aneddoto raccontato a Scalfari da un amico ci convince che l’incestuosa ammucchiata tra politica e media ha partorito una pericolosa strategia di distorsione della realtà e dei valori, ravvisabile in quell’informazione che, oggetto di pesanti attenzioni, toccata nella sua verginità, fa passare come normali, specie tra i destinatari più sguarniti, modelli e azioni che ortodossi non sono in una democrazia moderna. La popolarità del leader si gonfia ed egli si sente autorizzato a cestinare le regole. Le opposizioni e la libera stampa pungono, ma incidere è faticoso sebbene vitale. Il pubblico, infine, si forma un’opinione, ma raramente è fatta in casa, più spesso è imboccata dai mezzi di informazione e dai personaggi che li frequentano abitualmente. E se il pluralismo arranca ma regge, è sempre più difficile, persino per chi ha gli strumenti, separare il fatto dalle opinioni, che, con troppa disinvoltura, in spregio all’etica giornalistica, assurgono a cuore della notizia. «Mamma era più tranquilla, mi ha detto, perché stavano per arrivare i militari. Quali militari, gli ho chiesto? E lei: I soldati, quelli dell’esercito. Ma chi te l’ha detto? La televisione. E perché sei più tranquilla? Perché cacceranno gli zingari che rubano i soldi e anche i bambini. Ma non ci sono mai stati zingari da noi. No, ma sono pericolosi e rubano tutto. Mamma, hai mai visto uno zingaro nella tua vita? No, però la televisione dice che sono pericolosi, ma adesso che arrivano i militari mi sento rassicurata. Mamma, da noi però c’è la mafia. Sì, ma quelli li conosciamo, sono del paese!». Tutte le nostre ipotesi stanno evadendo dal loro perimetro per venirci incontro. Siamo sempre più convinti che un’incontenibile risata prima o poi accoglierà ogni proclama di Berlusconi e farà smaltire la sbornia che l’Italia si è presa in questi anni per merito di un politico sui generis che ora comincia a sapere di tappo. Ce lo suggeriscono il buonsenso, il tratto caricaturale assunto da questo Presidente, da questo governo. La risata libererà il Paese da se stesso, dalle sue paure, dalla sua impotenza, dai suoi fantasmi. Da quanti lo hanno preso in giro, deriso, deluso, tradito e ingannato. 35
Dal centrosinistra vecchio e fallimentare che in quindici anni non ne ha indovinata una: ha confuso Berlusconi per un vero statista, si è illuso e si è lasciato fottere dalla bicamerale poi finita nel Patto della crostata. Non ha fatto una sola legge (quando ne aveva la forza e i numeri in parlamento) per limitare lo strapotere del magnate che scendeva in politica. Quel centrosinistra vecchio, chiuso in se stesso, con la puzza sotto il naso, i vestiti impregnati del profumo dei salotti buoni e l’intransigenza barricadera agitata nelle piazze per eccitare i sempre meno nostalgici dei dogmi inviolabili. Quello, che prima di capire e unirsi in un solo partito, con un progetto credibile e un’idea vincente del Paese, si ostinava a ragionare sui massimi sistemi, trascurando le domande più terrene e immediate della gente, che hanno sempre la priorità rispetto alle pur rispettabili astrazioni metafisiche e alla costruzione degli organigrammi da cui discende la linea del partito. Il centrosinistra che ha bruciato uno dietro l’altro tanti capi e capetti. E quando ha vinto, seppur di un soffio, ha governato per pochi mesi, dando di sé un’immagine devastante, comunicando benissimo la lacerazione, i personalismi, la confusione; male, quanto di buono aveva avviato.
Il vestito nuovo dell’Imperatore
Alla vigilia del battesimo del termovalorizzatore di Acerra, tutti avrebbero giurato sull’ennesimo successo del Cavaliere, che - riportava una nota stampa - aveva addirittura partecipato ai celeri lavori di costruzione, facendosi fotografare con tanto di elmetto per dimostrare come si potesse coniugare la sicurezza con l’efficienza. Il “serial collier di Hardcore” (questa, la dissacrante etichetta attribuitagli dalla satira ancora non allineata) era l’unico, paradossalmente, a respirare aria di declino, proprio nel momento del suo maggior trionfo. Cosa poteva temere uno che ha vinto tutto e su tutti, ha fondato un partito che sembra la filiale del colosso Mediaset, ha conquistato tutto quello che c’era da conquistare, cambiato di fatto la Costituzione, stretto in un angolo il Parlamento democratico, messo in ammollo i piedi e il resto in acque territoriali fuori dallo Stato di diritto, sospeso i fastidiosissimi processi, umiliato la magistratura, seminato psicosi, incoraggiato cacce alle streghe? Come può aver paura chi non ha un nemico e nemmeno un avversario temibile? Cosa mai potrà turbare i suoi sogni di grandezza, i suoi trionfi, la sua sete di gloria e onnipotenza nei secoli dei secoli amen? La giornata era cominciata male. Lo specchio scippato alla strega cuneese di Biancaneve per monitorare le microfibre di cheratina che coprono il diradamento del cuoio capelluto gli era inavvertitamente scivolato dalle mani e si era infranto rovinosamente. «Sette anni di disgrazia!» aveva subito pensato. «Addio presidenza della Repubblica!». Stava ancora coltivando il suo narcisismo quando due mercanti di Forcella, assoldati da un’anonima signora, gli consegnarono il vestito che avrebbe dovuto indossare nel pomeriggio. Silvio confessò loro di non vederlo, ma prontamente i due furfanti lo convinsero che l’abito era stato cucito con una stoffa magica molto elegante che solo gli stupidi non riuscivano a scorgere. «Meraviglioso!», esclamò l’imperatore. «Con quello addosso, potrei riconoscere gli incapaci che lavorano nel mio impero e saprei distinguere gli stupidi dagli intelligenti... metterò quel vestito!». Pagò contento i due truffatori e inserì l’importo nella nota spese del Governo, accanto a voci voluttuarie che, a dar credito a certi proverbi, riducono l’uomo in cenere. Fu così che i suoi ragazzi di bottega, per non apparire stupidi, si convinsero che indossasse un vestito bellissimo e cominciarono a lusingarlo. Gianni Letta, l’unico contrario alla patetica operazione, rassegnò le dimissioni da consulente. Al suo posto fu nominato l’avvocato inglese David 36
Mills, premuroso nel coprire le spalle di Silvio nelle improvvise folate di vento. Il neoassunto, che ricevette insieme al compenso una pesante cassetta di arance, dovette presto assentarsi per cause di forza maggiore. Fu sostituito per il tempo necessario (poco più di quattro anni!) dal mago Othelma. Giunse l’atteso momento. L’Imperatore abbandonò la residenza messale a disposizione dal comitato organizzatore dell’evento, e marciò alla testa del corteo scortato da Capezzone, alla sua prima uscita da velino. I ciambellani Bondi, Bonaiuti, Schifani, incaricati di reggergli lo strascico, finsero di raccoglierlo da terra e poi si mossero alla volta del palco. La gente per la strada e alle finestre non faceva che discutere di quel magnifico tessuto. Non osava confessare che quello era un uomo con le pudenda scoperte! Apparso sull’enorme palco, in una nuvola di fumo, con tanto di jingle autocelebrativo, che al congresso del Pdl aveva spacciato per nuovo quando tutti canticchiavano il testo smaccatamente autobiografico già da un pezzo, il Presidente salì sul podio, aiutato dal predellino, coi chierici ossequianti disposti a corona, incontenibili nel mimare la catena dell’amore e chiamare gli applausi. Accecato dai flash, inghiottito da fameliche telecamere puntategli addosso da una truppa esaltata di giornalisti-cecchini, si avvicinò al microfono e salutò il fiume di gente accorsa. Riempì l’abbondante ora con frizzi, lazzi, scherzi, barzellette, programmi. Offrì il meglio del suo repertorio, che impreziosì con una chicca: l’autocandidatura al Nobel per la pace! «Dei sensi?» ironizzò uno stalinista infiltrato nel pubblico, prontamente allontanato dalla security prima che la folla adorante sospendesse il suo stato di estasi per linciarlo. Il prestigioso autoriconoscimento suonava come la naturale consacrazione di un maître à penser che grazie alle sue intuizioni e alle azioni… buone, si era guadagnato il paradiso (fiscale) sulla terra. Per ambire, tra molti, molti anni, a quello più celeste, stava meditando di sposare una vita più semplice, una vita dedicata agli altri. Si spiegava così la recente attitudine a spogliarsi: reinterpretazione integralista della Regola francescana. E questo principio di rinnovamento spirituale spiegava anche il desiderio di mantenersi a debita distanza dalle sue sostanze, impedendone il ritorno in patria: proposito estrapolato da un’intercettazione e duramente censurato da chi, a torto, aveva strumentalizzato un frammento di registrazione che si era guardato bene dal contestualizzare, rimediando la solita figuraccia da rosicone. D’un tratto - tornando alla serata - accadde una cosa piccola piccola, ma così piccola che nessuno la notò inizialmente. Un bambino di pochi anni si allontanò dalla mamma che, felicissima e commossa, ascoltava in prima fila il comizio del Presidente. Il vivace ometto salì sul palco e facendo lo slalom della security si ritrovò sull’affollato proscenio. Quindi si diresse verso l’oratore. Il pubblico cominciò a far caso a questo biondino minuto, vestito a modo, sorridente, che si avvicinava alle gambe del Presidente impegnato in una concione appassionata. Gli sguardi sul bambino si moltiplicarono, tanta era la curiosità di capire cos’avesse in mente di fare. Giunto oramai al traguardo, mentre un compiaciuto Premier stava svelando che certe candidature rosa erano nate facendo due salti con La Russa sulle note di One for you, one for me dei fratelli La Bionda, la tenera creatura conquistò finalmente l’attenzione del Cavaliere, che lo prese in braccio e lo invitò affettuosamente a dire il suo nome al microfono: Dio sa che manna dal cielo sono questi simpatici imprevisti! E quanti voti spostano! L’incubo si materializzò quando il pargolo, con voce stentata ma comprensibile, esordì: «Ma l’imperatore non ha nulla addosso!». Ebbe il tempo di ripetere una seconda volta la spontanea constatazione quando Bondi lo allontanò dal microfono, strappandolo con decisione dalle braccia del Cavaliere, che, impietrito, cominciò a sudare freddo, con l’inestetica riga di kajal a 37
solcargli le guance, rese “fangose” dai chili di terra applicati e ora umidi. La folla osservò muta il Presidente, che per la prima volta in vita sua tacque, non ebbe la prontezza di replicare all’inatteso fuori programma. Silenzio. Un tombale silenzio avvolse l’intera piazza. Perfino le automobili si fermarono. Non circolava più nessuno per le strade. L’intera città era come sospesa. A squarciare quell’atmosfera spettrale furono i genitori del piccolo, che esclamarono: «Santo cielo, questa è la voce dell’innocenza!». Così tutti ripresero le parole di quella creatura: «Non ha nulla addosso! C’è un bambino che dice che non ha nulla addosso!». Il brusio provocato dal serrato passaparola si fece sempre più fitto e inquietante, fin quando tutti si misero ad urlare: «Non ha proprio nulla addosso!». L’Imperatore rabbrividì perché loro avevano ragione, ma intanto pensava: «Ormai devo condurre in porto questa serata», e così si drizzò ancora più fiero, mentre i ciambellani lo aiutarono a scendere dal palco, reggendo una coda che non c’era. Mentre guadagnava la via del ritorno, fu fermato da un’elegante donna - una congiunta, si maligna che, dopo averlo fissato per qualche secondo, si abbandonò ad una sonora risata che contagiò i suoi vicini, e coinvolse in un crescendo la prima, la seconda, le prime dieci, venti file, i giornalisti, i cameraman, la security… tutta la piazza! Una risata clamorosa che non si fermava più, che attraversava la città e si ingigantiva entrando nelle case grazie alla televisione; una risata che fece il giro del Paese, dell’ Europa, degli altri continenti, prima di fermare la sua corsa. Il Presidente, inghiottito dalle bocche spalancate di centinaia, migliaia di invasati con occhi lucidi, indice sinistro puntato per additarlo, mano destra sull’ addome come a volersi trattenere dallo scaraventarsi a terra alla ricerca di sollievo, fu colto da un attacco di panico: cominciò a tremare e dalle labbra scese un fiume di saliva che sembrava schiuma. Aiutato dai suoi fedelissimi che gli fecero scudo, fu coperto alla meglio con le pagine del Giornale che aveva sottobraccio Bonaiuti. Sollevato di peso, portato in un posto più tranquillo, fu lì abbandonato: i pavidi amici temevano di diventare oggetto di rappresaglia non appena l’epidemia avrebbe lasciato i cittadini. Il Premier, che nella fuga era svenuto per l’imbarazzo e la paura, quando rinvenne si trovò in una sgangherata cabina su una spiaggia non balneabile. Ancora confuso, cercò lentamente di riappropriarsi delle coordinate spazio-temporali e di rielaborare quanto era successo. Subito fu assalito da un senso di sconforto, da un timore che poche volte aveva osato sfidare la sua indole coriacea. La fame, il freddo, il buio oramai avanzato, esacerbavano il cupo stato d’animo. Era solo. Stava realizzando che il suo ciclo era finito, che il Paese non lo prendeva più sul serio. Persino la Chiesa, la sola in questi anni capace di fargli espiare i peccati con opere di bene a tanti zeri, si era sfilata dal gruppo degli storici sostenitori, e il suo silenzio era una tacita, nervosa spinta alla sua uscita di scena. L’ala protettrice d’Oltretevere si era ritratta: troppi scandali, troppi atteggiamenti sopra le righe che nessun obolo avrebbe potuto cancellare. Si sanciva la fine di un sogno di grandezza e megalomania durato venti anni. Silvio provò a trascinarsi carponi lungo la spiaggia e con la disperazione del protagonista di Cast Away cominciò a frugare tra i generosi rifiuti alla ricerca di qualcosa di commestibile. Dovette presto rinunciarvi perché fu spaventato da un improvviso rumore cui non seppe associare alcuna immagine per via della lontananza e dell’oscurità. Ritornò in fretta nella cabina, rischiando di inciampare nell’oblò di una vecchia lavatrice che qualcuno aveva staccato e utilizzato come scodella. All’interno, una decina di chicchi di riso incrostati e un paio di social card, quest’ ultime usate in mancanza di posate. Si tappò le orecchie per isolarsi da quel calpestìo sempre più intenso e angosciante. Vinto dalla curiosità, col cuore in gola, riattivò l’udito e spiò tra le fessure di una porta scardinata che, da bravo presidente operaio, era riuscito ad incollare al resto, sorreggendola con la residua forza delle braccia e un po’ di saliva. 38
Riconobbe un cavallo, ma non la buffa sagoma del fantino che stava in sella. Si accorse che il tarchiato figuro aveva con sé una custodia contenente forse armi, chissà! Cominciò, allora, a recitare in silenzio, in modo concitato, il Credo, riadattando sul momento il testo della preghiera che le sue pecorelle amavano dedicargli nella versione originale. Sceso dall’esausto quadrupede, a pochi metri dal rabberciato nascondiglio, il presunto ceffo prese inaspettatamente a chiamare Silvio, con voce via via più alta e straziante. Il Presidente non rispose, pensando di aver a pochi passi l’autore del complotto: l’ennesimo che in tanti aveva abilmente sventato. Si accartocciò sempre più in quello spazio angusto, cercando di soffocare l’affannoso respiro e tutto ciò che potesse segnalare all’altro la sua presenza. Quando dalla stretta feritoia vide l’ambiguo uomo chinarsi ed estrarre qualcosa dalla sinistra custodia, pensò al peggio. Per scacciare l’infausta ipotesi, seguitò a farsi il segno della croce con un movimento rapido ma ovattato che ricordava una coreografia di Don Lurio. Chiuse quindi gli occhi per assentarsi dalla scena, imprimendo una tensione al volto che metteva in risalto le diffuse zampe di gallina, puntualmente camuffate negli incontri pubblici con ore di trucco. Venti secondi di religioso silenzio, quando sentì strimpellare le note di una chitarra sulle quali, poche battute dopo, una voce struggente intonò “Torna! sta casa aspetta a te… torna! Che smania ‘e te vedè!... E torna!... torna!... torna!... ca, si ce tuorne tu, nun ce lassammo cchiù!”. Silvio aprì di scatto gli occhi, sedotto dal suadente canto, che capì non essere ingannevole, né appartenere all’untore della “ridarola”: era il suo fedele Apicella! Abbatté l’incerta porta che lo separava dalla voce amica e d’impeto gli si gettò tra le braccia, emettendo un urlo liberatorio. Il cantastorie (Apicella, s’intende), quando se lo trovò davanti trasalì: gli cadde la chitarra, fece per indietreggiare, e solo una frazione di secondo dopo riconobbe il suo amato presidente, sciogliendo tutta l’emozione, la contentezza, in un timido pianto e in un abbraccio più vigoroso di quello ricevuto. Non parlarono molto. Era urgente mettersi in salvo. Così Apicella andò a recuperare il suo cavallo, legato ad un palo della luce spento e arrugginito, che avrebbe dovuto illuminare le tante villette a schiera nate sul demanio marino e mai completate. Aiutò il Cavaliere a salire, vigilando che mettesse il piede in una sola staffa, gesto al quale non era abituato. Lo raggiunse quindi da dietro e impartì alla bestia un secco ordine. Al piccolo trotto i due si avviarono verso una meta sconosciuta. Presto il buio li inghiottì.
Sciarada profetica: il destino del clan Berlusconi? Berlusconi clandestino!
L’attività di agenzie, giornali, media, non conobbe tregua nelle ore successive alla pacifica rivolta di Napoli. Edizioni speciali, approfondimenti, plastici tridimensionali, la moviola di Biscardi, per interrogarsi sulle dinamiche della fuga di Berlusconi. Intanto, la pandemia di risate all’origine di essa era stata debellata. A distanza di un mese, si registra il nulla di fatto. A non aver perso le speranze e suggerire alle zelanti forze dell’ordine la massima prudenza nelle indagini sono i direttori dei principali tg nazionali che, grazie a dati Auditel sorprendenti, stanno premendo presso le rispettive reti per coprire la vicenda in modo più capillare, dilatando le già soddisfacenti ore di programmazione in una diretta no-stop. Se poi ci scappa il morto - pensano, ma non è etico dirlo - una trasmissione a reti unificate non può negarla nessuno! Voci sempre più insistenti asseriscono che gli stretti collaboratori dello scomparso Premier abbiano trovato asilo nel circo Orfei: puliscono le gabbie degli elefanti, sostituiscono all’occasione i 39
clown indisposti, ricevendo vitto, alloggio, lavatura, stiratura… e i graffi di Moira quando fanno i lavativi. Altri testimoni, invece, dichiarano di aver avvistato su una nave Costa Crociere che segue la rotta atlantica due uomini sospetti nelle file del personale. Due animatori, di cui quello difficilmente identificabile, per la sgargiante bandana che copre l’irreversibile calvizie e la fronte rugosa, presenta una forte somiglianza con l’ex presidente, Il Comandante, raggiunto al telefono satellitare, ha smentito l’indiscrezione. Si è limitato a segnalare la presenza a bordo di padre e figlio presentatisi come Felice Sciosciamocca e Peppeniello, stuzzicando la fame di notizie dell’intervistatore. «I due - ha chiosato l’Alto ufficiale - sono stati fatti scendere dalla nave in seguito alle diffuse lamentele dei passeggeri». Disturbo della quiete pubblica, esercizio abusivo del gioco d’azzardo, gli atti contestati. Stante la lontananza dal primo scalo utile, la strana coppia, che recava con sé una chitarra, un tavolino e un mazzo di tre carte, ha trovato posto su un gommone che in mare aperto aveva incrociato la faraonica nave. Grazie al buon cuore dei clandestini a bordo, i due presunti ricercati sono sbarcati a New York. Fonti governative in queste ultime ore hanno fornito un minuzioso resoconto su quanto sta succedendo ad Ellis Island. Ve ne riportiamo degli stralci, che proveremo a commentare. I due immigrati, sprovvisti di documenti e ostili nel dichiarare la provenienza per paura di essere rimpatriati, versano in buone condizioni, ma hanno accolto con amarezza, definendole “umilianti”, le “invasive” visite mediche alle quali sono stati sottoposti, cui sarebbero seguite le foto segnaletiche e il rilevamento delle impronte digitali. «Un trattamento che un Paese civile non riserva neppure ai barboni» ha tuonato in un inglese maccheronico il più indomito della coppia, che è andato in escandescenze quando ha appreso il possibile trasferimento coatto in un Cpt, mentre gli altri compagni di sventura giravano liberamente, mangiavano e soprattutto ridevano con le lacrime agli occhi. Non parlavano di Maroni né del suo “caddy” Salvini, com’è lecito pensare ma scorretto diffondere senza il crisma dell’ufficialità. È pur vero che i due leghisti, addetti all’ accoglienza degli stranieri nella metro di Milano e nel porto di Lampedusa, si erano legati al dito il “marameo” (alcuni parlano di gesto dell’ombrello) con cui i suddetti naufraghi li avevano salutati, toccando indisturbati le coste siciliane nel loro lungo circumnavigare. «Bingo Bongo a cui dare il benvenuto con un ferro 3» aveva mugugnato la giovane e sanguigna camicia verde, irritata dallo sberleffo. «Da rispedire al dittatore libico!» aveva continuato l’altro più posato, sapendo che Gheddafi non era mai stato a Ginevra, né vi sarebbe andato ora, dopo che il Paese elvetico aveva condannato il figlio per due ceffoni rifilati a semplici domestici. «Sarebbe bello riaverne i resti da Tripoli» sognavano ad occhi aperti gli implacabili difensori della “padanità”, col rivolo di saliva che scendeva in sincrono dagli angoli delle rispettive bocche. «Pota, che figata ostentarli come trofeo di caccia durante un comizio nella Bassa bergamasca!» rincaravano eccitati. E come biasimare il loro insopprimibile languorino: prima il divieto di ricostruire la Linea Gotica, poi l’invasione e la messa al bando dei terroni tra le specie impallinabili, ora la menata della società multietnica… ce n’era abbastanza per esasperare il legittimo appetito. Purtroppo, e cinici furono coloro che glielo comunicarono, quegli imperdonabili provocatori non erano disperati del mare… ma concorrenti del reality Survivor, festanti per l’imminente premiazione. Proseguendo nella lettura del comunicato, si evince che il naufrago più loquace, non messo al corrente sulla natura del periglioso viaggio e indispettito per l’impari trattamento, si è rivolto alle autorità presenti denunciando l’esistenza di un complotto ordito ai loro danni. Ha quindi espresso la volontà di aver a disposizione in tempi brevi un volo privato per il Turkmenistan o 40
l’Uzbekistan: paesi con gente riservata e non invadente, che plaude alla solidarietà tra il capo, il potere dello Stato e i poteri economici. Inascoltato, ha offerto al distratto personale impegnato nelle pulizie un panegirico sul ritorno del Maccartismo, affinché i gloriosi Stati Uniti non diventino una costola di Cuba («George ne soffrirebbe. A nulla sarebbero valsi i suoi sforzi per preservare l’ amato Paese. A nulla sarebbe servito, tra un bicchiere e l’ altro, rispolverare le sane, tribali torture, sempre efficaci per rieducare certi popoli, checché ne dica quella mollacciona di Onu!»). La tiepida accoglienza delle sue tesi ha suggerito allo stanco e deluso predicatore di arrendersi e declinare all’agente le generalità sue e dell’amico per consentire il completamento della schedatura: mossa inelegante, che avrebbe voluto evitare. Mai, infatti, nel corso della vita aveva speso il suo nome per ricevere favori. Sempre e solo prestanomi. Col sorriso ammaliante e disinvolto di chi vuol far passare per normale ciò che non lo è, ha strappato i falsi passaporti fatti a regola d’arte dalla banda dei soliti ignoti: riproduzioni pregevoli, per carità, ma le foto di Raul Bova e George Clooney avrebbero forse destato sospetti, tant’è che il più assennato dei due (il musicista!) aveva suggerito di non esibirli. Fulminato dagli inservienti che avevano appena pulito il pavimento, ora di nuovo sporco, lo stempiato naufrago ha dato una pacca amichevole sulla spalla del poliziotto per suggellare la fine della latitanza. Quest’ultimo, registrato l’illecito appena consumato e spazientito per l’inopportuno gesto confidenziale subìto, ha replicato alla confessione con un “Sing Sing” ruvido nel tono, ma interpretato dagli ingenui Silvio e Mariano (sì, sono loro!) come un invito a cantare qualcosa. Sul volto del Cavaliere si è accesa subito la soddisfazione di chi la spunta sempre, di chi ha ricevuto la conferma che la sua fama è ancora un valido passepartout nel mondo che conta. Già si pregustava la scena: l’amico Mr. Obama sarebbe intervenuto di lì a poco, indicando al pubblico ufficiale la grossa personalità con cui aveva avuto a che fare, alla quale avrebbe dovuto porgere immediatamente le scuse. I due illustri ex clandestini le avrebbero incassate volentieri e dopo il meritato compiacimento avrebbero sdrammatizzato il tutto con un paio di stornelli. Ma se i sogni son desideri, questi ultimi non si avverano sempre. Dopo le prime note, infatti, i due sono stati immobilizzati e, nell’incredulità, sfociata in urla, insulti, avvertimenti, sono stati spinti in un blindato. Destinazione: carcere di Sing Sing, Ossining, New York. I dispacci dall’America si sono interrotti. Apprendiamo dalla stampa d’oltreoceano che una grave e inattesa epidemia ha colpito un penitenziario newyorkese e da qui si è diffusa nella Grande Mela e nel resto del Paese. Risate incontrollabili di cui si è già isolato il ceppo che consentirà la preparazione del vaccino. E conoscendo gli americani, cittadini di un Paese normale, i tempi per debellare il virus saranno brevi.
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Nella foto l’ingresso del Campo di Auschwitz
Auschwitz-Birkenau. Viaggio nell’orrore! 30 Ottobre 2011
La
bambina bellissima gioca e si diverte. E ogni tanto fa qualche domanda. Una bambina splendida nel Campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, è un fiore di vita in un luogo devastato dalla morte, violentato dall’orrore senza fine! Poco più in là, ‘due antiche bambine’, un tempo belle come lei, raccontano come in quel Campo sono riuscite a sopravvivere, forse perchè l’orrore non le aveva riconosciute! Auschwitz-Birkenau, fine ottobre 2011, visita al Campo di concentramento dove l’umanità si è spenta. Dove lo scempio ha presto il posto della ragione e della pietà. Andare nei campi di concentramento e di sterminio nazisti della seconda guerra mondiale, dovrebbe essere un obbligo per ogni uomo: almeno una volta nella vita! Per immaginare l’inimmaginabile, per scoprire come l’uomo sia diventato un cannibale insaziabile, come abbia potuto facilmente distruggere i suoi simili, bruciarne milioni, trasformarli in cenere: compresi i bambini con le loro mamme, anziani e disabili, zingari, omosessuali, prigionieri politici. Una strage lunga cinque anni che si è consumata senza spargere nemmeno una goccia di sangue; una carneficina che puzzerà di gas e di bruciato per secoli, che ricopre di cenere umana i fiumi, la terra, l’aria, il cielo, il mare, la notte. Quella cenere, quel gas, quella puzza di bruciato, quell’orrore bestiale, sono lì per sempre, ma sono anche e soprattutto dentro di noi. E non se ne andranno mai. Il terrore sembra regnare ancora oggi in quei luoghi opachi della terra polacca, in quei campi di sterminio dove una fabbrica della morte produceva così tanti cadaveri al giorno a migliaia, grazie ad una efficientissima produzione industriale tedesca! che smaltirli era diventato un grande problema. E giù fuoco, forni crematori, fosse comuni incendiate per liberarsi da ingombranti cadaveri! La mia duegiorni in Polonia, organizzata con alcuni colleghi parlamentari, qualche giornalista di grande testata e alcune famiglie, si è appena conclusa. Nessuno pensi di andare ad Auschwitz-Birkenau e di ritornare identico alla partenza. Non è pos42
sibile! Sono cose che ti segnano per sempre. Perchè non è possibile non rimanere sconvolti nel sentire la voce dei sopravvissuti, che ti raccontano i loro incubi attraversando con passo lento e stanco i resti di quel campo, che loro da bambini hanno vissuto senza alcuna mediazione. Come le ‘due antiche bambine’, come le chiamano ancora oggi, Tatiana e Andra Bucci, due sorelline che nel 1944, quando avevano 4 e 7 anni entrarono a Birkenau, vennero divise dalla mamma, conobbero l’orrore del campo di concentramento, riuscirono miracolosamente a sopravvivere, vennero salvate e portate a Londra. E le commoventi testimonianze degli ebrei italiani Piero Terracina, Sami Modiano e Nedo Fiano che ad Auschwitz dal 1943 hanno trascorso molti mesi lavorando insieme nei campi, nel silenzio della morte che si abbatteva senza sosta su tutti, come in un tragico incubo. Riuscirono a sopportare gli orrori di Auschwitz dove trovarono una sconvolgente morte oltre un milione e mezzo di persone, ebrei in grandissima maggioranza. Tutti uccisi solo perchè la follia degli uomini, la pazzia di un’umanità stritolata dalla bestialità, lo avevo deciso per purificare la razza, per eliminare i ‘diversi’, per seppellire la storia! Senza altra ragione, semmai una ragione potesse mai esserci. La tragedia è lì, in quei campi di concentramento, tra quei binari che ancora oggi ti lasciano vivere come in un incubo infinito, fatto da centinaia di vagoni che arrivano stracolmi di povera gente prelevata con la forza dalle loro case in mezza Europa. Sono i musei dell’orrore vivente, in cui vedi le montagne di capelli rasati ai prigionieri e le centinaia di paia di scarpe ammassate, e i forni ancora intatti, e il filo spinato collegato alla rete elettriche che separa l’immane tragedia dei campi dall’indifferenza di un mondo che fingeva di non capire! Su tutto, colpisce vedere ‘le due antiche bambine’ che si commuovono nel raccontare di come la morte ha avuto pietà di loro. Quella bambina bella e vivace ascolta le ‘due antiche bambine’ di Auschwtiz. Con la sua famiglia è venuta con noi in questa visita nei luoghi della notte dell’umanità. La sua allegria ci ricorda ci fa sperare. E ci fa credere in quel ‘mai più! mai più!’, che i grandi della Terra hanno gridato qui in più occasioni. Ma non è stato così! Slobodan Milosevic, con l’obiettivo di assicurare al popolo serbo il dominio sulla Jugoslavia, tra il 1989 e 1990 liquida le autonomie del Kosovo e della Vojvodina. Seguono le aggressioni alla Slovenia (1991), alla Croazia (1991) e la Bosnia-Erzegovina (1992-1995). Ma nel marzo 1998 ha scatenato un’altra guerra di aggressione contro lla provincia autonoma del Kosovo. La pulizia etnica provoca migliaia di morti, centinaia di migliaia sfollati e in fuga, decine di migliaia di feriti e mutilati, un’ altra carneficina di donne e bambini. Orrore su orrori su una terra che non conosce pace. Nel frattempo c’è stato il Ruanda, anzi Il “genocidio del Ruanda”, tra i più terribili del secolo scorso e della storia dell’orrore umano. Dal 6 aprile alla metà di luglio del 1994, per oltre tre mesi, vennero massacrate sistematicamente (a colpi di armi da fuoco, machete e bastoni chiodati) circa un 1.000.000 persone, di etnia Tutsi, ma anche tanti Hutu ‘moderati’. A scannarli erano gli estremisti Hutu, che per l’occasione si fecero fuori migliaia di altre persone, genericamente bollate come traditori! Un fiume di sangue senza fine, che ricorda tanto da vicino il fumo, il fuoco, la cenere le montagne di cadaveri dei nazisti tedeschi. Le due antiche bambine non hanno ancora finito di piangere, anche se si sentono ‘fortunate’ ad essere uscite vive da quei campi della morte. Sono qui, ormai stanche ed anziane, a testimoniare che la morte e gli orrori non possono vincere. La bambina di oggi, quella bella e vivace, è il seme della speranza. La forza della luce, che alla fine penetra nel buio, si allarga, si espanda, esplode. Cancellando le tenebre! Noi ci crediamo. 43
Nella foto Antonio De Cur… Silvio Berlusconi
“Noio… volevam… volevàn savoir… …ja”
Gli impegni solenni del governo italiano contro la crisi finanziaria 26 Ottobre 2011
Il presidente del Consiglio (?) e il ministro (?) dell’Economia all’incontro in cui si decide come rispondere alla crisi. E al quale l’Italia (?) avrebbe dovuto presentarsi con un (proprio) piano (per la crescita!) da adottare nel nostro Paese. Il deputato del Pd ha avuto accesso alla trascrizione (segreta!) del colloquio tra i nostri (?) rappresentanti (?) e il Cancelliere tedesco. E lo ha passato al (“suo”) giornale della politica italiana, che è in grado di pubblicarlo in esclusiva.
Ecco
il dialogo tra Berlusconi-Totò e Angela Merkel al vertice UE. BERLUSCONI: “Noio… volevam… volevàn savoir… …ja..” MERKEL: “Eh, ma bisogna che parliate l’italiano, perchè io non vi capisco. Avete preso le decisioni? Avete approvato il decreto sviluppo? Avete tagliato il debito pubblico per come promesso un anno fa?” Berlusconi: “Lei parla italiano?” (Berlusconi rivolto a Tremonti): “Parla italiano!” Tremonti alla Merkel: “Complimenti!” Berlusconi: “Complimenti! Parla italiano: brava Angela!” Merkel: “Ma scusate, dove vi credevate di essere? Siamo in Europa qua! Avete portato il decreto si o no?” Berlusconi: “Appunto, lo so. Dunque: noi vogliamo sapere, per uscire dalla crisi e per andare dove dobbiamo andare, per dove dobbiamo andare? Sa, è una semplice informazione…” Merkel: “Sentite…” Berlusconi e Tremonti all’unisono: “Signorsì, signora cancelliera.” Merkel: “… ma…se volete mandare al manicomio tutta l’Europa….” Berlusconi e Tremonti: “Sissignore.” Merkel “… vi accompagno prima a voi al manicomio. Visto che non siete capaci di far nulla!” Berlusconi e Tremonti sempre insieme: “Sissignore!” La Merkel se ne va sdegnata, ma prima di allontanarsi: “Ma guarda un po’ che roba! Ma da dove venite voi, dalla Padania?” Il vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea finisce così! 44
Nella foto la Camera dei Deputati
Ecco quanto costa un deputato della Repubblica! Facciamo chiarezza sui costi della politica, tra verità, mezze verità e clamorose disinformazioni 15 Settembre 2011
L’
approvazione dei bilanci di Camera e Senato avvenuta lo scorso 2 agosto offre lo spunto per riflettere sui costi della politica: quanto si spende per le due assemblee legislative? quanto per l’attività dei singoli parlamentari? esistono i privilegi di casta oggetto delle recenti offensive della stampa, a volte fondate, altre pretestuose? A questi interrogativi, sollevati a ragione dai cittadini, le istituzioni e i loro membri devono rispondere con le buone prassi, adottando una comunicazione trasparente ed efficace. Da tempo ho sposato questa mission, mettendo in rete un sito internet (www.francolaratta.it) che illustra nel dettaglio la mia attività parlamentare e ospita l’annuale dichiarazione dei redditi, spesso affidabile indicatore per stanare faccendieri della politica dall’imponibile fluttuante. L’accesso ad informazioni chiare ed esaurienti mette ciascuno nella condizione di esercitare controlli e produrre eventuali critiche se si evince che il mandato conferito non sia stato adeguatamente onorato o abbia fatto scattare ingiustificabili regalìe. I maturi cittadini avanzano rilievi circoscritti alle pubbliche 45
amministrazioni e ai propri rappresentanti (tenuti ad informarli e a curarsi delle loro opinioni); non spargono daltonico qualunquismo sulle istituzioni, facendosi risucchiare dal ciclone dell’antipolitica, che si avvita frenetico su se stesso attingendo la forza da voci incontrollate, illazioni vaghe, che ripetute senza tregua assurgono a verità: una pseudo-verità che punta il dito contro tutti, ma che di fatto non colpisce nessuno, perché i responsabili, e ce ne sono, si mimetizzano nella folta schiera di censurati a torto o a ragione. Sono stato assessore provinciale a Cosenza, candidato nel 2005 in Regione ottenendo circa 8000 voti di preferenza, eletto deputato nel 2006. Fino ai quarant’anni d’età, alla politica ho solo dato, senza alcun ritorno economico. Gestire il partito a livello locale, provinciale, rivestendo ruoli anche in quello regionale, ha richiesto tempo, sacrificio e denaro! Nel 2008 sono stato rieletto alla Camera. La mia partecipazione ai lavori e alle votazioni è stata molto assidua (sfiorando il 90%), e non ha pregiudicato i contatti col territorio: dal venerdì al lunedì (compresa la domenica) ho incontrato sindaci, amministratori, dirigenti di partito, cittadini, recandomi in tutti gli angoli della Calabria (essendo e sentendomi deputato di un’intera regione, non più di un piccolo collegio). Per favorire la mia “raggiungibilità”, accanto agli strumenti classici, uso quotidianamente quelli offerti dal web 2.0, che consentono interscambi più snelli e in tempo pressoché reale. Servire la politica con coscienza significa far scivolare nella lista delle priorità affetti, amici, interessi. Persino la famiglia è spesso relegata nelle posizioni di rincalzo. Non è un obbligo, si potrebbe replicare. Ma il diritto alle passioni, su cui convogliare le proprie energie, va fatto salvo. Come anche lo speculare dovere di rimettersi all’insindacabile giudizio degli elettori (col voto e i riscontri giornalieri) per capire quando raggiungere le quinte e contribuire da altra posizione alla causa civica. Essere assimilati a corrotti, strapagati, fannulloni… perché coinquilini di una minoranza con un’etica opaca, trasversale alle categorie ma giustamente più rumorosa nella politica, è iniquo. Le cicliche valanghe spinte lungo i ripidi pendii retorici da cittadini comprensibilmente arrabbiati sono spesso istigate da attori che alle analisi equilibrate preferiscono surriscaldare le temperature per assistere a spettacoli estremi di sagome travolte indistintamente dalla demagogia. La pigrizia di scendere nelle viscere delle inchieste, spesso riassunti di lavori altrui su cui si appone comunque la propria firma in calce; il sensazionalismo come opzione più veloce per avere un feedback che nutra il proprio narcisismo (frustrazione) professionale; spinge gli opinion maker alla sommaria delegittimazione: invece di appuntare sul taccuino i soli autori dei falli, estendono le responsabilità all’intera squadra. Che la politica debba scrollarsi di dosso gli antichi vizi è un passaggio obbligato per riguadagnare credibilità e ambire ad istituzioni qualificate ed efficienti, senza le quali le diffuse ferite che solcano il tessuto sociale contemporaneo non si rimarginano. Ma l’atmosfera per un intervento così delicato non deve evocare un mercatino di rottamazioni compulsive, nel quale si urla coprendo le ragioni dell’altro e si riduce tutto alla cieca nemesi, perdendo di vista i veri obiettivi. Esaurite tali premesse, possiamo guardare più da vicino alla figura del parlamentare e, dati alla mano, smontare o confermare le “scandalose” cifre ad egli imputate. Ecco la prima sorpresa: un deputato italiano costa al bilancio meno di quanto costa un parlamentare di altri Paesi europei. Circa 20mila euro al mese lordi, contro i 21mila degli inglesi, i 23mila dei francesi, i 27mila dei tedeschi e i 35mila dei parlamentari europei. (Fonte: Servizio per le Competenze dei parlamentari, Trattamento economico dei deputati in Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna e Parlamento europeo, 31 marzo 2011, tabella pag. 32). 46
Lo stipendio del parlamentare italiano è più alto solo perché egli può gestire autonomamente risorse che altrove vengono amministrate per una quota maggiore dalla Camera di competenza del deputato, al quale viene pertanto liquidato uno stipendio leggermente inferiore a quello italiano. Sarebbe opportuno dunque che molti rimborsi venissero gestiti direttamente dagli uffici della Camera. Anche perché molti cedono alla tentazione di cambiare “destinazione d’uso” a tali rimborsi, annettendoli arbitrariamente al reddito personale e distogliendoli dal fine per il quale erano stati previsti. Promessi i numeri, ecco il riepilogo delle mie entrate ed uscite. La Camera accredita mensilmente sul mio conto corrente: • circa 5.000 euro di indennità per 12 mesi; • 3.500 euro per spese di vitto e alloggio a Roma; • 3.700 euro per collaboratori, acquisto di beni e servizi, attività nel collegio, viaggi (màcino 60.000 km all’anno); • circa 1.000 euro di trasferimenti periodici per trasporti, telefono, computer. Per un totale di 13.200 euro. Sul versante delle spese mensili, il mio resoconto è il seguente: • 1.500 euro a beneficio del gruppo Pd della Camera (con regolare bonifico); • 1.500 euro per finanziare e partecipare ad iniziative varie come manifestazioni, convegni, convention regionali e nazionali, iniziative sul territorio: attività che un partito come il Pd tiene molto di frequente; • circa 500 euro per contributi vari (iniziative particolari, solidarietà…); • circa 1000 euro per pubblicità, abbonamenti personali, pubblicazioni, web, ecc; • 1500 euro per il mio telefonino (chiamate, sms…): per i deputati non esistono telefonini gratis; • 1500 euro per l’alloggio a Roma. Per un totale di 7.500 euro. Si può quindi dedurre che il netto mensile percepito come deputato è di 5.700 euro. Documentato e dimostrabile. È corretto inoltre portare a conoscenza dei cittadini che al momento della candidatura il partito chiede la sottoscrizione di una somma per sostenere la campagna elettorale, la pubblicità, le iniziative nei collegi. Per la candidatura del 2006 ho versato 35 mila euro. Per quella del 2008 altri 40 mila euro. Tocchiamo infine il cuore delle contestazioni di questi giorni e sciogliamo l’interrogativo sull’esistenza di privilegi con cui ho aperto questa mia nota. Tra i benefit nell’occhio del ciclone c’è la sanità integrativa. Essa non incide sul bilancio della Camera, come (dis)informano certe testate, poiché i versamenti sono a carico dei deputati. Nel mio caso, 1200 euro al mese per ottenere il rimborso delle spese per la salute della mia famiglia. Al rimborso c’è un tetto per le singole prestazioni oltre il quale non scatta la copertura. Il costo dei biglietti aerei e ferroviari per il territorio nazionale è addebitato su un conto della Camera. Il malcostume qui è più tangibile: molti ne approfittano e usano la tessera anche per viaggi non legati all’attività politica. Urgono pertanto limitazioni: coprire solo i viaggi per Roma o essere autorizzati preventivamente per altre destinazioni nelle quali recarsi per svolgere il proprio mandato. Di tessere per taxi, teatro, cinema, stadio ecc. non sono a conoscenza perché mai ne ho usufruito. 47
Più spinosa la questione del vitalizio cui ho prima accennato. Prima bastava passare dalla Camera anche solo per un giorno e lo si otteneva persino a 50 anni di età. Oggi esso è subordinato al completamento della legislatura e si percepisce a 65 anni nella misura del 20% dell’indennità. In caso di scioglimento anticipato delle Camere (mi ha riguardato per la legislatura 20062008) non se ne ha diritto, e se non si giungesse anche ora alla fine del quinquennio, non mi spetterebbe nemmeno stavolta. Dalla prossima legislatura, come richiesto dall’odg del PD approvato dalla Camera lo scorso 2 agosto, il sistema sarà integralmente basato sul principio contributivo, come per tutte le altre pensioni di lavoratori. Il che significa la fine del vitalizio per come lo conosciamo oggi. Decisione saggia e giusta. In sostanza: se un deputato svolge full-time l’incarico al quale è stato chiamato, arriva a guadagnare quanto un dirigente di medio-alto livello. È sano che ciascun rappresentante delle istituzioni abbia avuto e abbia una propria attività alla quale ritornare a mandato scaduto (confidando in un numero finito di ricandidature). È disdicevole che nel corso della legislatura deputati e senatori si dedichino a pieno ritmo ai rispettivi lavori, che il prestigio della carica avrà con tutta probabilità fatto lievitare nei volumi d’affari. Il biasimo sale, spinto da due constatazioni: l’alto tasso di assenteismo tra i banchi (c’è gente che, escludendo le “fiducie”, non mette piede nei Palazzi per mesi); e la consapevolezza che non si può rendere un buon servizio ai cittadini, al Paese, riservando alla politica (non quella dei salotti) il tempo che assorbirebbe un qualsiasi lavoretto saltuario. Una crociata ancora più ambiziosa da affiancare agli antipatici sprechi è perciò quella relativa alla qualità degli eletti nelle istituzioni, a tutti i livelli. Qualità ravvisabile nel possesso di competenze e onestà (basta parlamentari condannati!). Non serve a nessuno un Parlamento debole, esautorato, composto da persone mediocri, poco preparate, che per il carrierismo non disdegnano di profanare quelle aule assumendo condotte ostili all’interesse collettivo e alla legalità. Essi danneggiano il Paese, la sua economia, pregiudicano lo sviluppo. Un parlamentare dovrebbe essere pagato bene, ma solo se rende e lavora con profitto. Penalizzazioni economiche dunque per i desaparecidos, insensibili ai “semplici” richiami della coscienza. Inoltre, un buon trattamento economico non include assurde prebende o irritanti manifestazioni dei segni del potere come le auto blu, le scorte superflue, che invece allargano quella frattura, non solo simbolica, coi cittadini. Il più grave default che l’Italia sta conoscendo è proprio quello dell’etica. Liberarsi dalla corruzione, dal malaffare, è indispensabile per venir fuori dalle sabbie mobili di questa severa congiuntura. Chi ha voglia di cambiare lotta dalla stessa parte, a testa china, senza alzare polveroni. Perché, riprendendo una minima dell’antiquario italiano Alessandro Morandotti «Le rivoluzioni più clamorose non fanno rumore». P.S. il 12 settembre ho sottoscritto la proposta di legge per stabilire un tetto alle legislature di un parlamentare: al massimo tre. Per legge.
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Nella foto, l’ intensità di De Gasperi
19 agosto, 57 anni fa: moriva il grande statista
De Gasperi il meridionalista! 19 Agosto 2011
Il giornale della politica italiana scrive della necessità di un completo ribaltamento di prospettiva che faccia dell’innovazione (a 360°) la stella polare di un nuovo sistema-Paese ormai dal febbraio 2010. In (ormai, quasi) due anni né il governo né il “Pd” (?) hanno offerto traccia di provvedimenti non diciamo in questa chiave che rappresenta, anche, la via per la costruzione del futuro tout court ma comunque per rilanciare la nostra economia. I tagli, oggi, sono condizione necessaria, ma non sufficiente per allontanarci dal baratro e soprattutto, contestualmente riprendere il cammino e prepararci a tornare sulla corsia di sorpasso del mondo (per promuovere, poi, magari, un completo “mondialismo”. Che richiede però, prima, responsabilmente, di “rialzarci in piedi” per non rappresentare, per gli altri, la palla al piede che come si vede bene in questi giorni significhiamo oggi). Il deputato del Pd ci racconta, dunque, De Gasperi: più di un ritratto, più di un ricordo. Qui, a volerlo “vedere”, sta scritto come si esce dalla crisi (e non solo).
Il
19 agosto del 1954 moriva Alcide De Gasperi, il più grande statista e uomo politico della nostra storia repubblicana. Lo abbiamo ricordato in Sila, al Villaggio Germano di San Giovanni in Fiore, che accolse l’allora presidente del Consiglio giunto in visita per rendersi conto delle drammatiche condizioni di vita in Calabria, dove mancava tutto (strade, luce, acqua, case, collegamenti, lavoro) e la gente viveva nella più assoluta miseria. Quel viaggio di De Gasperi nella Sila di fine anni ’40, portò ad alcune scelte rivoluzionarie che avrebbero cambiato rapidamente il volto della Calabria, fino ad incidere sullo sviluppo dell’intero Mezzogiorno e quindi del Paese. 49
Nacque la cosiddetta “Legge Sila” (12 maggio 1950): il primo provvedimento legislativo di riforma fondiaria. La riforma interessò il 30% della superficie agraria e forestale del Paese. Furono espropriati, nel solo Mezzogiorno, 650 mila ettari, al fine di creare una classe di piccoli proprietari, facendo così uscire l’agricoltura del Sud dalle condizioni preistoriche in cui versava. Era questo il sogno di De Gasperi, che fra l’altro contribuì a creare condizioni di giustizia sociale e di democrazia in quelle aree d’Italia che ne erano del tutto sprovviste. Un’altra rivoluzionaria riforma degasperiana fu la “Cassa per il Mezzogiorno” (inizi anni ’50). Riforma voluta con altrettanta determinazione dalla Dc di Don Luigi Sturzo che la varò dopo ben 14 sedute della Camera dei deputati (e qualcuna in meno al Senato). La Cassa avrebbe finanziato un grande progetto di lavori pubblici, soprattutto di sistemazione idraulico-forestale, di bonifica delle terre, di diffusione della rete idrica. Iniziò così un decennio di importanti opere pubbliche che cambiarono il volto del Mezzogiorno e della Calabria, che agganciarono il treno dello sviluppo economico e sociale, togliendo il Sud dalle condizioni di estrema povertà e miseria in cui versava. Al governo De Gasperi della prima Legislatura repubblicana si deve anche il “Piano InaCasa”, che con oltre 300 miliardi di lire di dotazione finanziaria (una montagna di denaro per quell’epoca) promosse un vasto intervento di edilizia popolare, realizzando decine di migliaia di alloggi per famiglie a basso reddito o del tutto povere. In un decennio, questa riforma tolse la povera gente del Sud dalle baracche e dai bassi, che registravano sovraffollamento e condizioni igienico-sanitarie precarie, o inesistenti come nel caso di quelle famiglie che vivevano a stretto contatto con gli animali (“desiderati” e non), dai quali contraevano malattie, spesso anticamera di morte: altissima era la percentuale di decessi nella popolazione giovane e tra i bambini. Alcide De Gasperi, statista di respiro internazionale, si rivelò un convinto meridionalista, offrendo al Sud un’opportunità di crescita e di sviluppo che avrebbe giovato all’unità dell’Italia. Il suo pensiero politico e la sua azione di cattolico illuminato sono insegnamenti tuttora validi che sarebbe utile rispolverare per scuotere un contesto che soffre della mancanza di leadership forti: dinanzi alla severa crisi economica, questa classe politica è debole e incapace di decidere, il governo nazionale è paralizzato, la stessa Europa vive una grave impasse, Tornano protagoniste nuove e profonde angosce rispetto al futuro e all’incertezza di una prospettiva per le nuove generazioni. Servirebbe un De Gasperi: politico estraneo alla retorica chiassosa, agli annunci demagogici col taglio di spot. Una personalità con un fortissimo senso di responsabilità e un altrettanto forte senso della storia, che viveva la politica come missione, non certo come scorciatoia per affarismi e personalismi. De Gasperi fu capace di scelte coraggiose che avrebbero segnato per sempre il destino del Paese. Per citarne alcune: si schierò per una forma di Repubblica parlamentare. Scelta non facile e non scontata quella del Parlamento al centro del sistema politico democratico. Seppe poi inserirsi nelle dinamiche internazionali, abbandonando la retorica della grande potenza che fa da sé, ed avendo la chiara percezione che un Paese come il nostro non può reggersi se non riesce ad essere parte di un sistema di alleanze. E così appoggiò da un lato l’Europa e dall’altro l’Alleanza Atlantica: due scelte contrastate, che però ci consentirono di uscire da quel ruolo di Paese sconfitto e ancora un po’ fascista. Alla retorica, alla demagogia, all’ assenza di scelte forti e coraggiose che stanno soffocando la già mediocre politica dei nostri giorni, De Gasperi opporrebbe la scontata, faticosa (ma sempre redditizia) politica alta: “quella che serve a risolvere i problemi della gente”. La politica della polis: delle idee, delle riforme, del rigore, dell’onestà. 50
Nella foto, Nanni Moretti interpreta il presidente del Consiglio nel suo film su Berlusconi
Fantapolitica
25 luglio: il presidente venne deposto 11 Luglio 2011
Paese in fiamme, come nel Caimano. Un Paese ridotto a nave che affonda (è proprio il caso di dirlo) da una politica fine a se stessa, da ormai trent’anni. Un popolo che perso tutto si ribella. Il deputato del Pd ha il gusto (e l’abilità) del racconto e dell’”estremo”: attraverso una sorta di apologo (ma “reale”) ricostruisce i fatti di queste ore, il passo indietro della Casta sui tagli ai costi della politica, la reazione della nazione, e cerca di coglierne il senso (ammonendoci sui pericoli annessi) preconizzando (a sua volta) un possibile Finale. Sconsigliato a chi ha a cuore l’Italia. Ma, d’altra parte, ogni guarigione passa per il riconoscimento (anche doloroso) del male.
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parlamentari saranno impiccati domani nella Piazza di Montecitorio!. Così titolarono i maggiori quotidiani nazionali nel pieno di un’infuocata e drammatica estate. I disordini scoppiati in tutto il Paese sono sfociati in clamorose azioni punitive contro una classe dirigente ritenuta colpevole del disastro economico-finanziario che aveva portato ad una diffusa povertà: 8 milioni di cittadini ridotti alla fame. Le sedi di diversi consigli regionali erano state assaltate e incendiate nei giorni precedenti; bombe carta contro le sedi dei partiti di governo, contro i sindacati e le istituzioni nazionali. Davanti al Palazzo del Governo stazionavano, giorno e notte, centinaia di indignados: nessun membro del governo si era più 51
visto entrare nel Palazzo, lo stesso presidente del Consiglio era come scomparso, forse fuggito all’estero. La Manovra Finanziaria di 80 miliardi di euro aveva messo in ginocchio il Paese, deluso i mercati, che avevano ripreso a correre come sulle montagne russe, provocato l’uscita del Paese dalla moneta unica, trascinando l’Europa in una crisi senza precedenti. La gente, innervosita per i troppi sprechi, per i mancati tagli ai costi della politica, per le profondissime diseguaglianze sociali, la povertà dilagante, la vertiginosa crescita della disoccupazione, voleva vedere il sangue scorrere, chiedeva “giustizia esemplare” contro i colpevoli del collasso del Paese. E la giustizia aveva cominciato a farsela da sé. A nulla erano valse le manovre correttive successive: ridotti del 50% i costi della politica, eliminati sprechi e privilegi, dimezzato il numero dei parlamentari, chiusi molti enti inutili, soppresse decine di costose strutture dello Stato. Niente, non bastavano più nemmeno queste scelte durissime, giudicate tardive e addirittura insufficienti dai cittadini. Andavano fatte prima, molto prima. Il Paese viveva ormai da molto tempo al di sopra delle sue possibilità, accumulando debiti su debiti, sprecando risorse ed energie. Il debito pubblico cresceva a dismisura anno dopo anno e aveva toccato nuovi stratosferici record. L’evasione fiscale era ormai fuori controllo: ogni anno le casse dell’erario perdevano dai 100 ai 120 miliardi di euro! Praticamente un cittadino su due evitava di pagare in parte o in toto le tasse, mentre i più furbi, o meglio i più delinquenti, erano riusciti a portare all’estero un tesoro gigantesco di 500 miliardi di euro! Fino a qualche anno prima, si andava in pensione con soli 16 anni e 6 mesi di contributi. I manager delle società pubbliche, anche di quelle portate al fallimento, godevano di trattamenti di fine rapporto di centinaia di migliaia di euro. I divi e i calciatori firmavano ingaggi miliardari, così anche i conduttori di Sanremo o i giornalisti della Rai. Questa dissennata condotta degradò in un vero e proprio assalto alla diligenza: dai politici ai magistrati, dai dirigenti ai professionisti, dai partiti ai sindacati, dalle banche alle imprese. Un assalto fatto di privilegi, tutele, rimborsi, caste, ordini, lobby… veri e propri furti legalizzati. Un assalto alle finanze dello Stato durato decenni. E poi i clamorosi sperperi di denaro pubblico: opere faraoniche del tutto inutili e molte nemmeno ultimate, sprechi spaventosi di risorse finanziarie, strategie industriali sbagliate, cattedrali nel deserto costate centinaia di miliardi di lire. Un Paese che viveva con un governo la cui durata media non superava i 9 mesi, che per mantenersi in vita contrattava con opposizioni e sindacati, e ognuno doveva ottenere un risultato, per una categoria, una lobby, un clan, una loggia. Tanto pagava sempre lo Stato, e tutto si scaricava su quella montagna di debito pubblico che cresceva a dismisura anno dopo anno. La fine della prima forma di repubblica, sepolta dalle macerie della corruzione e delle tangenti, non portò nulla di buono. La seconda, infatti, fu la repubblica degli scandali e degli sprechi, della corruzione ancora più devastante, delle leggi ad personam, dei condannati e delle veline spediti in parlamento, mentre un imprenditore miliardario, figlio dell’antipolitica e della peggiore espressione della precedente repubblica, conquistò e governò il Paese per un quindicennio. I cittadini erano furibondi. Sapevano benissimo che la corruzione costava allo Stato 60 miliardi di euro all’anno, ma nessuna legge, nessuna inchiesta da Mani Pulite in poi, ha potuto fermare quella cronica piaga, quasi una punizione biblica per l’economia del Paese e per le casse dello Stato. 52
Dall’ultimo impiegato del catasto fino al primario, dall’assessore del più piccolo comune al ministro del Governo, dall’imprenditore al magistrato, dal prete al cardinale, il Paese è stato divorato lentamente, giorno dopo giorno, da tutti coloro che gestivano un minimo di potere, un incarico, un posto pubblico. Intanto i giovani rimanevano senza lavoro. In molti furono costretti a fuggire all’estero, le famiglie rimasero senza risparmi, il sistema produttivo, che per anni aveva fatto crescere il Paese, era ormai in agonia. L’inizio del Nuovo Millennio non aveva portato nulla di buono. Perfino la moneta unica europea non risolse i problemi. Entrò in vigore senza alcun controllo, provocando così, sotto gli occhi impotenti di cittadini e istituzioni, la più colossale truffa organizzata ai danni dei consumatori. I prezzi di fatto raddoppiarono, gettando nel panico i cittadini e le famiglie, mentre gli stipendi pubblici rimasero fermi. La grande manovra, quindi, fu il colpo di grazia per un Paese già fiaccato, praticamente in ginocchio. Eppure per il governo “i conti sono in sicurezza” (il ministro dell’Economia qualche mese prima); “la crisi è solo psicologica” (il presidente del Consiglio sin dalle prime avvisaglie della crisi); “faremo solo una manutenzione dei conti per 3-4 miliardi” (il ministro dell’Economia); “il peggio è passato” (il presidente del Consiglio). Poi… d’improvviso, la più grande manovra finanziaria dal dopoguerra: “sarà di 40 miliardi” (il solito ministro dell’Economia, smentendosi); “siamo come sul Titanic, rischiamo di affondare tutti” (ancora il ministro nell’annunciare la manovra di 79 miliardi, il doppio di quanto previsto). La rabbia dei cittadini si fece allora sentire forte, sempre più forte: il web scoppiava! Il governo e la maggioranza non capirono per tempo e mantennero i privilegi della politica, perdendo un’occasione irripetibile. Occorreva infatti un segnale forte e chiaro, una condivisione dei sacrifici da parte dei dirigenti politici del Paese, ma niente! Forse la stessa opposizione, che pure aveva presentato un coraggioso emendamento alla Manovra con notevoli tagli ai costi della politica, sottovalutò la cruciale necessità di svoltare e di supplire ad una compagine governativa che aveva dato il peggio di sé, sbagliando previsioni, fallendo su tutti i fronti, e coprendo gli insuccessi con anni di bugie. Quel gesto di reale condivisione dei sacrifici in proporzione alle rispettive possibilità di cui sono capaci Paesi solidali e coesi non arrivò. Lungo lo Stivale si moltiplicarono i focolai di ribellione che raggiunsero presto i centri nevralgici del potere. Crollò il governo e il Presidente venne deposto. Era il 25 luglio.
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Nella foto, la bandiera Italiana
Se noi fossimo un Paese serio…! 6 Luglio 2011
Ma in realtà lo siamo. Un Paese serio capace di risorgere dall’azzeramento totale della guerra e di arrivare ad essere la quinta economia del mondo. Un Paese che negli anni sessanta era alla testa dell’umanità nel settore su cui oggi si (ri)costruisce la (nuova) civiltà: l’informatica. Il Paese di Adriano Olivetti ma non solo è un Paese serio. Talmente serio da arrivare così lontano da potersi permettere, a quel punto, di banchettare. Ma… no. (Invece) chi si ferma è perduto. Vale per le persone ma anche per le nazioni. (Ma) fu un peccato di gioventù, un passo falso dovuto all’immaturità (ma ampiamente “giustificata”, appunto, dalla giovane età: avevamo fatto tutto ciò in trent’anni!), quello di pensare di avercela fatta e di cominciare a prendercela comoda in tutti i sensi. Quando l’Italia, e non ci vorrà molto, sarà di nuovo sulla corsia di sorpasso del mondo, dovrà ricordarsene: e non fermarsi più. quando riavremo tutto quello, e molto altro insieme al resto dell’umanità dovremo guardare con distacco ai nostri successi e continuare, sulla strada di uno sviluppo (in senso ampio) duraturo. Intanto paghiamo lo scotto dell’errore di gioventù dei nostri “padri(gni)”: anzi, ormai, quasi, i nostri nonni. La generazione dei “nipoti”, di Bettino Craxi a cominciare dalla generazione dei nati dopo il 1980. Tra l’altro, appunto farà quello che i figli, diseducati dai padri, non hanno saputo fare. I punti di partenza sono tutti nel sentito editoriale del deputato del Pd, che commuove con questo atto d’amore nei confronti dell’Italia, “regalato” al giornale della politica italiana.
Aboliamo
le province. Dimezziamo il numero dei parlamentari. Chiudiamo le comunità montane. Aggiungiamo le città metropolitane.
Facciamo Roma-Capitale. “Eleggiamo” il presidente del Consiglio. Legiferiamo solo con decreti legge. Poniamo sempre la fiducia. Abroghiamo il “Mattarellum”. Inventiamo il “Porcellum”. Proponiamo un referendum per la nuova legge elettorale. Sottoponiamo a giudizio popolare temi complessi come l’acqua pubblica. Mandiamo in parlamento condannati per mafia. C’è un premier con un gigantesco conflitto d’interessi e non abbiamo una legge che lo regoli. Ci sono due camere. Ma anche centinaia di organismi inutili. La corruzione avanza ovunque. La ‘ndrangheta ha conquistato il Nord. Se fossimo un Paese serio, governato da persone serie, faremmo una cosa dannatamente seria: a 54
questo punto aggiorneremmo la Costituzione, cambieremmo radicalmente l’ architettura istituzionale del Paese, elimineremmo enti, organi, fondazioni, associazioni del tutto superflui. Se fossimo un Paese serio non perderemmo altro tempo: faremmo subito eleggere dal corpo elettorale un’Assemblea costituente composta da 100 parlamentari, giuristi, costituzionalisti ed esperti, chiamata a reinventarsi in pochi mesi le nuove Istituzioni democratiche, a semplificare gli apparati a tutti i livelli, ad operare una cura dimagrante delle troppe leggi, a riorganizzare gli enti locali, a porre fine al bicameralismo perfetto, a dare vita ad un nuovo equilibrio tra i poteri dello Stato, a rivedere l’impianto della magistratura al fine di renderla più efficiente e rapida. Il tutto con l’obiettivo fondamentale di dare vita ad una profonda modernizzazione del Paese, adeguandolo ai tempi e alle mutate esigenze economiche e culturali dei cittadini. L’Italia è invecchiata. Le sue istituzioni sono per lo più arretrate. Il nostro è un Paese vecchio che mal sopporta il cambiamento, che isola le nuove generazioni, che è gestito, diretto, governato come se fossimo ancora negli anni ’70 dallo stesso gruppo dirigente di allora. Ma nel frattempo il mondo è cambiato. La modernizzazione tecnologica ed il crescente utilizzo dell’informatica hanno reso pesante quel modello di Stato e di società che i padri costituenti avevano previsto e organizzato. Le scoperte tecnologiche e scientifiche e la rivoluzione della rete hanno radicalmente cambiato la società negli ultimi 20 anni: oggi le rivoluzioni si fanno grazie ad Internet e Facebook, in America è stato eletto un presidente di colore, si sono svegliati i giganti asiatici, è morta la Prima Repubblica in Italia, il Comunismo è finito, Nordafrica e Medioriente sono in rivolta, e sono finalmente disponibili le energie rinnovabili. Ma in Italia la transizione è sempre più lenta. Molte cose sono le stesse della Prima Repubblica, mentre la seconda è morta sul nascere e la terza deve essere ancora inventata. Il Paese è ostaggio di una maggioranza di destra illiberale, la politica tarda a rinnovarsi, incurante degli indignados che avanzano nelle coscienze popolari di mezzo mondo. Occorre ripensare il Paese, la sua Costituzione, i suoi Poteri, la Politica, le Istituzioni. Non bastano più le toppe che qua e là vengono messe ad un impianto ormai consumato. Puoi anche chiudere le province ed eliminare le Comunità Montane, tagliare il numero dei parlamentari e portarli a pane ed acqua. Ma così non si ottiene praticamente nulla. Occorre di più, molto di più. Occorre, dicevamo, un’Assemblea costituente per riscrivere le regole e per cambiare radicalmente il sistema politicoistituzionale nato negli anni ’50. Un Paese moderno ha bisogno di istituzioni e regole adeguate ai tempi, ha bisogno di rigore e austerità, ha bisogno di una classe dirigente figlia dei nostri tempi. Se fossimo un Paese serio non esiteremmo ancora. Proprio ora che una drammatica crisi finanziaria mette in ginocchio l’Europa e minaccia il nostro Paese come fosse una Grecia qualsiasi, proprio ora che ci sarebbe bisogno di coraggiosissime scelte economiche, di tagli consistenti a sprechi ed enti, dell’abbattimento dei costi degli apparati, di una durissima battaglia all’evasione fiscale (basterebbe la tracciabilità dei pagamenti al di sopra dei 100 euro per chiudere la partita!) e alla corruzione nella Pubblica amministrazione (che ci costa 60 miliardi all’anno!), di mettere mano ai 500 miliardi di fondi depositati all’estero. Proprio ora servirebbe una classe dirigente illuminata, forse meglio: responsabile. Consapevole che in queste condizioni non si va da nessuna parte, mentre alle nuove generazioni è stato rubato il futuro. Ora, non fra un anno o peggio ancora due-tre, il Paese avrebbe bisogno di reinventarsi, di riscoprirsi più efficiente, moderno, trasparente, austero. Se il nostro fos se un Paese serio molte cose sarebbero già cambiate. 55
Nella foto, i timori del suo autore ed esegeta Roberto Calderoli
Perché cambiare la legge elettorale 17 Giugno 2011
È partita la raccolta firme per una nuova consultazione, che si potrebbe tenere nella primavera del 2012, per il superamento delle liste bloccate (ma Stefano Ceccanti fa notare come la “proposta” referendaria sia monca: manca infatti della pars costruens, ovvero l’abbattimento delle liste lascerebbe il vuoto, senza alternativa. E potrebbe essere giudicata illegittima) e per la cancellazione del premio di maggioranza (che porterebbe però ad un ritorno al proporzionale puro). Ma anche in aula il Pd ha già depositato diverse proposte di legge. Mosse che portano alla luce ciò che sta sullo sfondo di tutto questo, ovvero la priorità, oggi, dell’uccisione del Porcellum perché in qualunque momento si potrebbe tornare al voto, e regalare un altro Parlamento alla discrezionalità dei capipartito (di partiti autoreferenziali e avulsi dalla realtà) sarebbe un peccato politico mortale. E andrebbe in controtendenza con il ritorno alla partecipazione e il reimpossessamento delle chiavi della politica da parte dei nostri connazionali, che stanchi di vedere questi uomini politici politicanti di oggi assumere decisioni utili soltanto alla prosecuzione della propria carriera (?) politica (?) hanno prima decretato la vittoria di chi, tra i possibili sostituti, sembrava più vicino al sentire comune (ma profondo) e poi hanno raggiunto il quorum referendario dopo oltre un decennio di fallimenti. Il deputato del Pd fa il punto della situazione, analizza i limiti dell’attuale legge e ragiona sulle alternative.
Forse
ci siamo. L’attuale legge elettorale, il famigerato “Porcellum”, così definito dal suo stesso padre, il ministro Calderoli, potrebbe vedere presto la fine. Negli anni scorsi, alcuni parlamentari (e chi scrive è tra questi) hanno presentato proposte di legge per superare l’attuale sistema di voto. E il Pd proprio di recente ha compiuto un ulteriore passo avanti in questa direzione avanzando un’ipotesi articolata. Il Porcellum leghista va certamente cambiato: è poco democratico e ha creato un frattura tra cittadini e politica. Inoltre, umilia gli stessi parlamentari, costretti a subire lo strapotere del governo che sottomette le Camere al suo volere: basti pensare che in questa legislatura l’80% 56
delle leggi approvate dal Parlamento provenivano dal Governo (Decreti legge). E quasi tutte sono state approvate col “voto di fiducia”: cioè. prendere o lasciare, cari parlamentari! Tutto ciò ha provocato una rottura degli equilibri costituzionali e trasferito di fatto la funzione legislativa dalle Camere all’Esecutivo. Un dato, questo, che non trova riscontri in nessun’altra democrazia moderna. Il Porcellum va cambiato perché il Parlamento deve assolutamente recuperare la sua centralità e il prestigio perduto; deve tornare ad essere il cuore del sistema istituzionale democratico; deve rappresentare esclusivamente la volontà popolare. Anche perché, non dimentichiamolo mai, la nostra è da sempre, e per Costituzione, una Repubblica parlamentare, con buona pace di quanti hanno lasciato credere che essa fosse divenuta una Repubblica (semi)presidenziale. In realtà, l’elezione diretta del Primo ministro è poco più di una farsa inscenata da Berlusconi, alla quale purtroppo sono caduti i partiti, l’informazione e gli stessi cittadini. Ma quali sono i difetti più gravi del Porcellum? Il premio di maggioranza che la legge attribuisce al partito o alla coalizione vincente è uno schiaffo alla democrazia. Si tratta di un premio spropositato per il numero di deputati in più assegnati. In sostanza, anche vincendo con il 35% dei voti, si ottiene la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera (al Senato è diverso). Un sistema elettorale così non ha eguali nei parlamenti europei. Va bene un premio di maggioranza per consentire la governabilità. Ma il Porcellum esagera, reinterpretando arbitrariamente la reale volontà del corpo elettorale. L’altro grave limite dell’attuale legge elettorale, votata dalla maggioranza di centro destra alla fine della legislatura 2001/2006, sono le cosiddette liste bloccate, l’eliminazione cioè delle preferenze. Le liste vengono compilate dai vertici dei partiti (in alcuni casi dal solo padre-padrone) senza alcuna partecipazione alla scelta o convalida da parte degli iscritti: con le primarie per legge sarebbe stato diverso. Ma così oggi non è. Ne consegue che in Parlamento finiscono personalità della società (che magari con il sistema delle preferenze non risulterebbero mai elette), ma soprattutto un bel manipolo di attrici, veline, funzionari, amici, avvocati difensori, compagni di avventure, politici inventati. Con il drammatico risultato di rendere il Parlamento una sorta di multiproprietà dei vari capipartito o capicorrente! Non sono del tutto convinto della bontà del sistema proporzionale (con preferenze), che di solito premia le “macchine dei voti”, rende possibili i condizionamenti criminali e mafiosi, produce costi elettorali altissimi in termini di risorse finanziarie impegnate, soprattutto nel Sud Italia. Ma certamente ci sono sistemi migliori del Porcellum. Il Mattarellum funzionava bene (ma anche qui sono necessarie le primarie per legge che permettano ai cittadini di scegliere il candidato del partito in quel collegio), così come potrebbe andare bene una legge maggioritaria a doppio turno, e un sistema misto come quello che sta per presentare il Pd in Parlamento. Votare con il Porcellum, come vorrebbe il Pdl, sarebbe un errore grave, che provocherebbe il crollo della fiducia nella politica, già di per sé molto bassa, e i parlamentari eletti sarebbero ancor di più visti come “dipendenti” dal potere esecutivo e da quello politico. È il caso di aggiungere che da sola la legge elettorale non basterebbe. Occorre una vera e propria stagione delle Riforme. Nella scorsa legislatura, quella breve con Prodi presidente, iniziò il cammino parlamentare della “Bozza Violante”. In prima lettura venne approvato un nuovo impianto istituzionale, con la fine del bicameralismo perfetto quale elemento imprescindibile. Quindi una sola Camera con funzioni legislative (notevolmente ridotta nel numero dei componenti), il Senato federale, il rafforzamento del ruolo del presidente del Consiglio, la revisione delle funzioni di altri organi costituzionali e così via. Dalla Bozza Violante occorre ripartire per cambiare le Istituzioni democratiche del Paese, oggi notevolmente appesantite e lente. Ma occorre mettere mani anche alle Regioni, macchine costosissime e burocratiche; ed intervenire sulle Province e gli Enti Locali per renderli più efficienti. Via i carrozzoni improduttivi! 57
Nel fermo-immagine, un momento dello spot
Gli sbronzi di Riace 8 Giugno 2011
La Regione Calabria spende 2,5 milioni di euro per uno spot in cui i Bronzi, animati (?), parlano con accento calabrese e si contendono la meta delle vacanze: “Pari montagna, dispari mare”. È il modo in cui la regione a più alto tasso di costruzioni abusive che annientano la Bellezza delle sue coste, decide coerentemente di promuovere (?) il turismo: banalizzando e deturpando, appunto, il resto del proprio patrimonio. È un’Italia, quella calabrese, in mano a persone che non la hanno a cuore; e che non ne comprendono l’identità. La nostra nazione, il giornale della politica italiana lo scrive ogni giorno, può avere l’ambizione di tornare ad essere la culla della civiltà, ma, per farlo, deve ridarsi valore. Il contrario della provincializzazione spinta (in tutti i sensi) da Scopelliti in Calabria. Ce ne parla il deputato del Pd.
Dopo
il break biblico degli “ultimi”, firmato e appiccicato senz’appello ai calabresi da Toscani, la comunicazione istituzionale della Regione Calabria è tornata ad impiegare un registro ammiccante per promuovere le sue bellezze. L´anno scorso è ripartita offrendo il cuore: ancora poca roba, rispetto alle stagioni in cui invitava a scoprire tutto il suo Mediterraneo. Quest´anno, nonostante la filosofia del “pensiero mediterraneo” lasciasse presagire una campagna più ricercata ed eterea, ecco sul set l´esuberanza dei due guerrieri adamitici che il mondo ci invidia, Buttiglione e Giovanardi guardano con sospetto, e i ministri di casa tentano di molestare, schiantandosi contro il muro di chi sventerà sempre volgari ratti mascherati da pseudo-esigenze di una più allargata fruizione culturale delle opere. I Bronzi di Riace, testimonial 2011 del turismo calabrese, danno lustro alla nostra terra e la rendono più appetibile. Gli “sbronzi” di Riace protagonisti dello spot trasmesso in questi giorni rischiano di accreditarsi presso il pubblico (si spera, o ahimè, anche internazionale) come l´ennesima macchietta che una regione schiacciata da stereotipi più o meno meritati, dovrebbe risparmiarsi. Tanto più se la materia da comunicare è importante come il turismo, che, insieme all´agricoltura, è fonte di sostentamento per molti, e costituisce la più realistica speranza per uno sviluppo futuro. 58
Non è deficit di ironia ciò che mi porta a criticare uno spot che, se non avesse una valenza istituzionale, (e strategica) per i motivi sopra addotti, sarebbe anche gradevole per la sua fattura leggera. Le generose doppie, le vocali aperte, la cadenza coatta, che uno si aspetta, si deve aspettare da un calabrese altrimenti qualcosa non torna, potrebbero strappare anche più di un sorriso se il palcoscenico fosse un altro e se non si rischiasse di vampirizzare con tutta questa calabresità debordante la mission principale: comunicare la nostre bellezze. Certo, uno si chiede pure perché nessuno abbia mai pensato di promuovere la Paolina Bonaparte doppiata dalla compianta sora Lella o sentito “smadonnare” il David di Michelangelo per bocca di Ceccherini, ma la sobrietà a noi non spetta, e se insistiamo, passa per seriosità. Molti apprezzeranno il siparietto surreale dei due guerrieri, lo premieranno con click su Youtube e simili, incuriositi dall´originalità, ma quanto sarà convincente per trasformare telespettatori, radioascoltatori, cybernauti in turisti? Le nostre splendide cartoline naturali sono state relegate sullo sfondo e, con buona pace dei bravi, illuminati creativi, se non si solletica il desiderio del bello, insito in ogni turista e viaggiatore, è difficile attendersi grossi flussi, tenuto conto dell´attuale congiuntura, della concorrenza e delle scoraggianti infrastrutture che tagliano in due l´Italia. La promozione, sappiamo, è solo un aspetto del complicato pianeta turismo, che non può reggersi su una generica e forse incrinata cultura dell´ ospitalità, che ancora stenta a coniugare qualità del servizio e professionalità degli operatori: binomio “sacro” per giustificare impennate di prezzi, attribuibili altrimenti all´ansia di concentrare le entrate in un breve periodo per compensare i mancati guadagni dell´anno. Una promozione calibrata può però incuriosire il popolo dei vacanzieri che della Calabria conosce poco, senza abbagliare o intrattenere. Affidiamoci alle nostre bellezze e teniamo incrociate le dita affinché i destinatari di questo battage pubblicitario, tra “pari montagna e dispari mare”, non rinuncino alla conta. Calabria, Mediterraneo da scoprire! Non suonava meglio?
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Nella foto, Giuseppe Scopelliti
Scopelliti, l’uomo che sussurrava ai Gasparri! 14 maggio 2011
Storia di un presidente da ‘favola’. Mentre la Calabria affonda tra debiti, spazzatura e dilagare della malavita organizzata. La firma è del deputato del Pd
Jack
«la trottola» - un incrocio tra Jack Kerouac, invidiato nello stile di vita “on the road”, e Gigi «la trottola», cestista iperattivo dei cartoni - è il protagonista della nostra storia. Spenta l´ardente fiamma con l´umida brama di pilotare carrelli di maggior cilindrata, si trasferisce dalle nostalgiche botteghe alla grande distribuzione organizzata di incarichi. Uomo di “quantità”, istruito a smistare merci per gli indisturbati attaccanti, Jack, in tuta acetata, è giunto alla cassa quando una straziante sirena lo fa trasalire. Evita la caduta aggrappandosi con la mano libera a una liana di salsicce dondolanti. Nell´altra stringe la cartella di lavoro, su cui è appiccicato l´adesivo dei Power Rangers che copre un altro capoccione meno androgino, visibile in controluce. Rinsavito, agita l´indice come un tergicristalli, determinato stavolta a contestare l´antitaccheggio. Cambia espressione quando gli comunicano un´inattesa promozione: col merito di essersi trovato nel posto giusto, al momento giusto, l´atleta-garzone viene spedito tra banchi importanti. Gli esordi non sono felici. Blindato in un completo d´ordinanza, si fa notare per gli esuberanti colli e cravatte, gli angusti mocassini e i seriosi occhiali, inforcati, nonostante i dieci decimi, per risultare comunque intelligente. Lievita anche nelle forme: sarebbe bastata qualche alzata di mano in più per combattere l´indolenza, sfamata invece con cibo spazzatura e Nintendo. Guarito nello spirito, ma con la schiena a pezzi per i troppi “arigatò” serviti caldi ai giusti interlocutori, cambia nel giro di pochi anni più case: sempre più prestigiose, sempre meno assolate. La saudade per i miraggi della Fata Morgana, la paura delle accresciute responsabilità, 60
lo catapultano di nuovo in un cono d´ombra. Davanti alla noia, “s-compare Jack”, come lo hanno ribattezzato i suoi collaboratori, ingrana la marcia e sgomma verso mete più o meno esotiche: avanti e indietro come un servizio di linea. Fatica a condurre la vita di routine e rinunce che il nuovo ruolo gli imporrebbe. Niente costose serate vip ravvivate dalle conversazioni peripatetiche con starlette e tronisti. Niente sete di movida, seguendo l´esempio dei suoi cittadini che avevano già represso lo stimolo di bere la più banale acqua. Cestinata anche l´ambizione di affiancare alla stele di un finto comico la propria scultura da sirenetto, che, circondata da pesci grossi, avrebbe guardato al mare proprio come l´originale danese, e con un motivo in più: non vedere cosa succede alle sue spalle. Unica concessione in un clima di rigore, i matrimoni: quelli indispensabili, animati col taglio della cravatta affidato, come da prassi, al più bravo del locale, chirurgico nel ricavare francobolli infinitesimali da distribuire agli invitati. Insensibile alla corte di chi gli fa i conti in tasca e sollecita gli amministrati a dotarsi di salvagente, Jack taccia di meteoropatia coloro che anneriscono le nuvole che si stanno addensando sulla sua testa. A diradarle ci pensa l´onorevole Gasparri, unito a Jack dall´hobby della solidarietà reciproca. È lui il solo a comprendere i disturbi di personalità del suo delfino, legati a un´inconfessata e debilitante acrofobia che lo porta ad essere elettrico sui tre colli, sedato sui sette, sotto ipnosi quando sale di quota per affrontare due, o peggio, tre-monti! Attorno ai tavoli romani, massicci o di vimini, l´onorevole Gasparri rischia una cefalea muscolo-tensiva nel costante sforzo di aggrottare le sopracciglia per recepire i sussurri dello svogliato Jack, che pasticcia ogni indicazione su un foglio, producendo ghirigori inutili e più convulsi di quelli della sensitiva Teodora Stefanova: lei scrive sotto dettatura aliena, i suggeritori di Jack sono più terrestri, più… terra terra! Con la faccia gonfia di sberle, Jack strappa al Palazzo la promessa che qualcuno farà riemergere i resti di Fas, Zfu, Asp, 106, A3…, che ora giacciono in fondo al mare. Alla prima occasione utile, l´incaricato glieli consegnerà brevi manu, e si dedicherà a ricomporli con la saliva, magari su un palco, in una piazza affollata di cittadini con gli occhi sempre meno sgranati. L´opinione pubblica, insoddisfatta, gli rimprovera di aver fatto il palo mentre i ladri agivano indisturbati mettendo a soqquadro il territorio. Lo accusa addirittura di plagio: la finalità strategica di questi tagli indiscriminati è chiara quanto la «bizona» del mitico Canà, che ha ispirato tutti quei politici che per confondere i cittadini adottano complicati moduli nei quali si avvicendano sempre gli stessi giocatori. Jack si tappa le orecchie agitando la lingua per coprire gli ingenerosi commenti. E quando provengono da colleghi impertinenti, cade in trance, cancellando al risveglio le generalità dei detrattori: classico vuoto di mente! Stordito, colleziona sbadatamente doppioni di incarichi: assessorili e commissariali. Il cane Rex è costretto a delle levatacce per impedire che il suo antagonista, conosciuto in un meeting di agility dog, si rechi sul set di Vienna con la scusa della Sachertorte per sottrargli il grado di commissario. Nell´ultimo dei suoi copioni, invaso da fiumare di parole tronche, Jack annuncia di strapazzare lo sfortunato Burundi sul numero di letti accatastabili in una stanza d´ospedale, e umiliare gli egiziani costruendo piramidi umane all´interno dei pronto soccorso. Un´occasione da Show dei Record per pubblicizzare il genio calabrese nell´uso razionale degli spazi: alla faccia del Feng Shui coi suoi capricciosi precetti! Dopo quest´ultimo “parto”, Jack è tornato sulle piste per sciogliere lo stress. Neppure la polvere e qualche sussulto di troppo, gli rovinano il piacere del vento tra i capelli, dell´abbronzatura al braccio sinistro, dei mille convegni nei quali fermarsi giusto per un rifornimento. Noi gli auguriamo un imminente futuro da viaggiatore. La sartoria, infatti, non è mestier suo: brandire le forbici orientandole dal basso verso l´alto; tagliare, senza saper ricucire il tessuto lacerato dal passaggio delle lame, sono errori che denunciano una mancata vocazione che il nostro osservato speciale condivide coi suoi cattivi maestri. 61
Nella foto, ilarità generale; Silvio brinda
Camera con svista
L’adrenalina schizza a mille 19 Aprile 2011
Uscito dagli archivi (postumi) dell’Istituto Luce, servizio di (cine) giornale (della politica italiana) su come il premier trascorre le ore dell’approvazione del processo breve alla Camera.
La
seduta fiume sul “processo breve” ha impegnato la Camera fino a tarda notte e messo a nudo per l´ennesima volta le storture di questa maggioranza: ligia nel rispettare il calendario delle “presenze intelligenti” stilato dal capo; compatta nell´affollare i banchi del Parlamento nelle sole giornate da bollino rosso. Di buon´ora, il Premier è giunto a Montecitorio con l´abito della festa, i postumi dei festini, un incarnato liscio e luminoso: non un solco, scavato magari da un´antica varicella o acne, comuni a molti; non una cicatrice, testimone di lesioni più o meno recenti, subìte o procuratesi. Due lunghe ali di folla al femminile, disegnate e agitate da una mora, più brava a spremere che a produrre succo, hanno cominciato a scandire al suo passaggio lo slogan neofemminista “Il porco è mio e lo gestisco io!”. Tra il compiacimento del Presidente e la soddisfazione di mamme, papà, fratelli… che, in preda a deliranti languori, incitavano da lontano le rispettive congiunte a sbracciarsi ed ammiccare più delle altre. La scena da “Polvere di stelle”, con le famiglie armate di ambizione fino ai denti nel difendere il presunto jus primae noctis acquisito sul campo dalle figlie, ha indispettito il codazzo dei gelosi onorevoli al seguito, ordinati in fila per due, col resto di venti “responsabili”, offertisi per concludere la parata e parare l´inconfessabile, in cambio di una vigorosa pacca a sud delle spalle. Gli infastiditi parlamentari, prima di essere inghiottiti dal Palazzo, si sono congedati dalle impertinenti rivali con cori da stadio decadenti: “Ma `ndo vai se il Banano non ce 62
l´hai?”. Nulla di nuovo. Questa rilassatezza nei costumi è penetrata già da tempo nelle sacre aule delle istituzioni, in linea con la volontà dell´attuale leader di centrodestra di accelerare il cambio di destinazione d´uso degli storici palazzi. L´avvio dei lavori ha rievocato, per le modalità di svolgimento, alcuni giochi popolari: il silenzio, rubabandiera e la classica bottiglia. Se da un lato la maggioranza si è rivelata formidabile nel tacere dinanzi ad un disegno di legge spudoratamente ad personam, salvo qualche timido singulto prontamente ingoiato e attribuito all´allergia da gesso; l´opposizione ha macinato chilometri per sottrarre agli avversari il pericoloso cancellino, arrendendosi all´evidenza di un gioco falsato dal principio, nel quale l´ambìto oggetto era sempre stato nelle mani del Premier, unico arbitro della partita. Questi, erudendo il suo ministro più ubbidiente con la pazienza che si usa con un bambino nell´insegnargli ad attraversare la strada, si è assentato spesso dalla chiassosa e improduttiva aula. Una talpa ha monitorato i suoi spostamenti nell´arco della giornata, notte compresa, e ha fatto trapelare all´esterno indiscrezioni piccanti. Nel pomeriggio, il pedinato ha varcato la soglia di un accogliente studio di Montecitorio, accompagnato da alcune parlamentari, con le quali ha improvvisato il suddetto gioco della bottiglia, rimpiazzata da un cancellino astutamente tarato per vincere a mani basse. Ad altezza gonna, per la precisione. All´ora dell´aperitivo, intonando un impudìco “Libiamo!”, ha alzato il calice davanti alla buvette, assediata dalle disinvolte ragazze che fuori lo avevano acclamato, per ricordare l´ex amico Gheddafi, che fino all´ultimo non ha inteso disturbare. Colui che, grazie al petrolio, lo ha tenuto caldo più di un pullover di lana… ma sempre meno di una bella sottana, sia chiaro! Ha quindi posato il bicchiere, attraversato da un prepotente mal d´Africa discioltosi in generosa acquolina dal retrogusto amaro: conclusa la legislatura, orfano di una preziosa guida come quella del Colonnello, che ne sarebbe stato del suo progetto africano di realizzare ospedali, formare infermiere, partecipare a safari selvaggi? Per scacciare i brutti fantasmi e neutralizzare quelli ancora più brutti, da disintossicare magari in Africa, dove il ricorso alla denuncia (nascite comprese) è meno impulsivo, si è diretto in aula per seguire lo sviluppo del dibattimento e assicurarsi che ciascuno dei suoi soldatini avesse ricevuto il cestino per scongiurare fatali assenze durante le votazioni. Le oltre trecento strenne, reazione a una nuova crisi di shopping compulsivo, stavolta avevano incontrato i gusti dei destinatari. Dinanzi alla patetica melina di un´opposizione frustrata, dedita a bruciare il tempo leggendo regole superflue, con un appeal inferiore alle istruzioni contenute in un qualsiasi libretto di elettrodomestici, è uscito dall´aula, e con un fischio da pastore inflessibile ha richiamato a sé le vivaci fanciulle parcheggiate in buvette. Avvinghiato ai fianchi di due fortunate, grazie a braccia tentacolari e mani battitrici libere capaci di sondare nervosamente anche gli altri corpi in un primo momento trascurati, si è tuffato in sala relax, accessibile solo agli amici del “club della prostata” e ai commessi incaricati di trasportare champagne per spegnere incendi o – malignano – per truccare la performance agli occhi femminili. Con l´aria stravolta per la faticosa sessione di mosca cieca, nella quale è venuta a galla la sua vocazione repressa di carabiniere, il Premier ha raggiunto la sua “stanza ovale” per svolgere un po´ di attività istituzionale, in attesa di stimoli inediti per ricreare artificialmente un nuovo plateau attraverso una pompetta affacciata alla sua tasca che ricordava l’appendice di un manometro. 63
Assistito da una stenografa con un taccuino pasticciato, si è messo in contatto col Vaticano, incassando un attestato di moralità politica costato un occhio benevolo verso la scuola privata e l´antipatica Ici. Riguardo al sostegno della natalità, con cui saldare il debito, il Premier ha confessato di non poter far più molto, con suo rammarico e quello della riservatissima nuova compagna. Irraggiungibili i suoi colleghi premier per una curiosa congestione della rete internazionale, ha ripiegato mettendosi in contatto con Lampedusa, ribadendo svogliatamente al sindaco gli investimenti annunciati e dichiarando la personale disponibilità ad ospitare donne profughe: intenzione sdrammatizzata dalla richiesta di escludere racchie e perditempo, e impreziosita dall´inevitabile barzelletta ad orologeria. Consumata la frugale cena – resa più divertente dagli aeroplanini di pasta fatti decollare dalla segretaria e dirottati dal dispettoso inappetente in direzione della stessa, con lo scopo di avvicinare le sue labbra e condividere lo spaghetto in un remake trash di Lilly e il Vagabondo – ha fatto irruzione nella stanza l´incontenibile mora, responsabile dei casting, che ha annunciato smaniosa un bastimento carico di starlette in arrivo. Alla notizia, il Presidente è saltato sulla sedia, provocando la rovinosa caduta della sua assistente, ospitata sulle gambe. Lasciata a terra, per la fretta di predisporre una degna accoglienza, l´”ammaccata” ragazza si è consolata all´idea di aver scampato la breccia di Porta Pia, nella revisione storica offertale dal Premier all´interno della sua opinabile lectio magistralis. Due ore di preparativi, rallentati dal frastuono proveniente dall´Aula, per trasformare un ampio salone in un accampamento berbero dotato di pali da lap dance e ingentilito da una soffice e originale neve che sale dal basso, brevettata in Colombia. Senza dimenticare la musica e un goccino di alcool per rendere più frizzante il pigiama party più esclusivo della Camera. Con l´adrenalina schizzata a mille, il Presidente è uscito dal palazzo per andare incontro al pullman delle gradite ospiti di cui i bodyguard avevano segnalato l´arrivo. Insensibile al freddo, pungente nonostante la notte serena, ha subìto un violento shock termico ed emotivo nel constatare che le guest star agognate erano arzille vecchine della casa di riposo “Starlette”, entusiaste della loro prima notte bianca tra i monumenti della capitale. Morso dal disappunto, ha preteso chiarimenti dalla responsabile mora, che, costernata, ha ammesso la grossolana svista nella compilazione dell´ordine. La situazione stava prendendo una brutta piega, quando in Aula si è levata un´ovazione, così deflagrante da risuonare in tutto il vecchio Palazzo, affacciarsi in strada e lambire le coste degli esìli dorati. L´esito positivo della votazione, riportato in via ufficiosa da voci di corridoio, è stato confermato dai suoi ragazzi, usciti dall´Aula al suono della campanella e impazienti di fargli le feste. Il Presidente, visibilmente commosso, li ha ringraziati per la lealtà e la coesione dimostrate. Smaltita la delusione di qualche minuto prima, ha invitato un numero ristretto di deputate a seguirlo. C´era il costo di una megatenda e spese accessorie da ammortizzare. Un serio imprenditore-governante non tollera sprechi, né mette mano al portafoglio degli italiani con insistenza. Si accontenta di fugaci toccatine.
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Nella foto, il capo dello Stato stamane all’Altare della patria
Napolitano simbolo della nostra nazione 17 Marzo 2011
In un Paese che, costretto ad un lungo digiuno dalla nostra politica autoreferenziale di oggi, desidera più di ogni altra cosa ritrovare punti di riferimento morali che sappiano motivarne la riscossa, il capo dello Stato incarna con sempre maggiore autorevolezza la figura del padre (politico) di cui siamo orfani. Applaudito nel corso di tutta la giornata di celebrazioni per il centocinquantenario, sullo sfondo di una Lega ritiratasi su un Aventino illegittimo, trincerata nell’isolamento di un rancore inspiegabile, con un presidente del Consiglio costretto ad uscire alla chetichella dalla chiesa in cui si celebra la messa solenne per non essere sommerso da una pioggia di fischi, in questo contesto il comunista Napolitano rappresenta il ritorno della politica vera, non a caso incarnata da un già esponente di una Prima Repubblica che, riaffacciandosi sulla scena, fa fare la figura del nano a quella di oggi. È, scrive il deputato del Pd, il trionfo di un passato che si prende un presente che non c’è più, anzi, non c’è mai stato. In attesa del futuro.
150
anni! Il passato si è preso il presente. Si è mangiato un tempo che non c’è più, e che forse non c’è mai stato. Centocinquant’anni. Nel Parlamento in seduta comune, l’unico che ne esce vittorioso, vivo, forte, è il presidente Napolitano. Col suo ingresso lieve e solenne, salutato da un’autentica ovazione dei parlamentari e delle più alte cariche dello Stato. Tutti in piedi per lui, simbolo di una Patria rinata. Molti di noi si sono commossi nell’ascoltare il Pre65
sidente. Nessun altro come Napolitano, uomo del passato, appare come un eroe del presente. Anzi, solo un altro uomo, anche lui appartenente al passato, ha meritato un autentico e sentito trionfo alla Camera: Carlo Azeglio Ciampi, il vecchio e malato presidente, col viso stravolto dalla malattia che lo tiene da almeno 3 anni lontano dalle scene pubbliche. Il suo incedere barcollante ha commosso l’Aula del Parlamento. A lui ogni onore per essere stato il presidente che ha riportato in alto i valori della Patria e della Bandiera. Il passato, con Napolitano, Ciampi, Oscar Luigi Scalfaro, si è ripreso la rivincita su questo strano presente in eterna transizione. Le toccanti e forti parole di Napolitano per i 150 anni dell’Unità cozzano terribilmente con il presente di un Berlusconi in affanno, contestato al mattino davanti all’Altare della Patria, contestato nel pomeriggio in almeno altre due occasioni solenni. E sempre il solito urlo dalla folla: “Vattene, dimettiti!…”. Segni di un tempo che sta drammaticamente consumandosi. Ma Qualcuno non vuole capirlo. Il presente è anche quello della inconsistenza della Lega Nord-Padania, apparsa improvvisamente così vuota, così rozza, così insopportabile. Tanto che ovunque, soprattutto al Nord, i Tricolori sventolavano contro i volti rabbiosi dei leghisti: contro quello del presidente piemontese Cota, rimasto in Regione “a lavorare”, mentre tutti i torinesi erano in piazza a festeggiare. E sventolavano contro i deputati e senatori del Carroccio rimasti a casa mentre il Parlamento celebrava l’Unità del Paese; contro i consiglieri regionali leghisti che nelle rispettive regioni uscivano fuori mentre in Aula suonava l’Inno d’Italia. La Lega da oggi è chiaramente la forza più arretrata e pericolosa del Paese. Com’è brutto questo nostro presente, fatto di uomini sempre più inadeguati, superati, autori di grandi inganni politici, che hanno prodotto fallimenti economici, crisi insopportabili, immoralità galoppante, corruzione devastante. La Prima Repubblica è sempre più viva e forte, davanti ad una sedicente Seconda Repubblica fatta da piccoli uomini. Davanti ad un Paese sottomesso alle voglie del Padrone e ai suoi volgari Bunga Bunga, emerge forte la personalità del presidente della Repubblica, nel giorno in cui il Tricolore sventola su quasi tutti i luoghi del Paese: ne ho visto uno persino in una chiesa romana, la chiesetta storica di San Nicola in via dei Prefetti. Un tricolore che sventola in una chiesa cattolica di Roma, beh! è davvero una bella immagine. Centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Un solo colore: il Tricolore che sventola nell’intero Paese. Un grande simbolo di unità: il Presidente della Repubblica, l’anziano comunista che tutta l’Italia ama e apprezza. E poi l’Inno di Mameli: mi ha colpito vedere in Parlamento lo storico leader leghista costretto ad alzarsi mentre la banda dei carabinieri intonava le prime note dell’Inno. Sopra di lui il presidente della Repubblica. Sopra tutti un tripudio di gigantesche bandiere tricolori.
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Nella foto da sinistra, Silvio Berlusconi, Giulio Tremonti e Umberto Bossi
Ma attenti, il Paese è ad un passo dal baratro 16 Dicembre 2010
E serve quel cambio di passo teorizzato dal giornale della politica italiana, producendo il quale possiamo non solo salvarci, ma ora tornare grandi, altrimenti metteremo anche l’altro piede sulla strada che scende e ci avvieremo ad un declino inesorabile. In questa chiave «sei mesi, un anno» di galleggiamento, in attesa che si verifichino le condizioni migliori (per chi?) per andare al voto, non ce li possiamo permettere. Quindi, o il governo governa, mettendo in atto possibilmente quella rivoluzione liberale che è la ricetta che la destra può offrire per rilanciare il nostro Paese, oppure è meglio andare a votare, e a quel punto toccherà a tutti noi assumerci le nostre responsabilità facendo la scelta migliore per il futuro dell’Italia. Ammesso che, nel frattempo, qualcosa di questo tipo di “migliore” si sia profilato all’orizzonte. In attesa che il Pd batta un colpo, rispondendo alla chiamata della Storia, che lo vuole “partito dell’Italia” che si carica sulle spalle e salva e rifà grande in un solo tempo questo Paese, il deputato (proprio) del Partito Democratico analizza il passaggio da un’epoca di autoreferenzialità a (si teme) un’altra, con un centrodestra menomato e, rispetto al recente passato (che è quello più berlusconiano di tutti) ancora più berlusconiano.
Il
14 dicembre è una data che sarà ricordata a lungo. Per alcune ragioni importanti. La prima. Ha segnato il tramonto della Seconda Repubblica. È´ finito il centrodestra così com´era stato concepito e poi votato da una valanga di elettori per 15 anni consecutivi. È finita la politica berlusconiana che ormai si aggrappa miseramente ai voti di un Razzi qualunque o di uno Scilipoti di turno per sopravvivere. Peggio che nella Prima Repubblica, certamente non estranea a questi metodi. Da oggi finisce il bipolarismo, su cui 67
si reggeva l´intero impianto della Seconda Repubblica. Finisce la devastante “coabitazione” fra la struttura istituzionale di tipo proporzionale e l´attuale assetto maggioritario e pseudopresidenziale, che poggiava la sua ragione d´essere nella cosiddetta costituzione materiale. Cosa nascerà da oggi in poi nessuno lo sa, ma che tutto sia finito l´hanno capito in tanti. La seconda. Il ritorno della tragica violenza degli anni `70. La violenza di piazza, la guerriglia sulle strade, lo scontro diretto con le Forze dell´Ordine. Sono tutti pericolosi segnali di una vasta rete di aggressività che cova da tempo sotto le ceneri di un profondissimo malcontento, anzi di una rottura tra il Paese e le sue classi dirigenti. I cittadini stanno sempre peggio, intere categorie sociali sono come tramortite da una crisi senza fine, le nuove generazioni sembrano vivere come sospese: non hanno memoria del loro passato, non vedono il futuro. E, cosa che hanno capito tutti, il peggio potrebbe ancora venire se non ci sarà un cambio di passo, perché il Paese non ha più risorse, ha bruciato tutto negli anni passati, non ha saputo fare scelte in termini di rigore e austerità, non cresce più in termini di sviluppo, occupazione e quindi di Pil. La terza. La blindatura del Parlamento proprio mentre in Aula si decideva il destino del governo e della stessa legislatura. Faceva un effetto terribile vedere i blindati della Polizia e centinaia di militari circondare le Camere, isolarle dal resto del Paese, impedire a chiunque di avvicinarsi, tenere di fatto chiusi, come prigionieri, i parlamentari. Fino a sera tardi. Immagine cruenta di una democrazia ferita: le Camere segregate, mentre fuori la città andava a fuoco, e decine di migliaia di manifestanti “veri” (le mamme di Terzigno, i terremotati dell´Aquila, i giovani universitari anti-Gelmini) venivano sopraffatti dalla violenza di un centinaio di Black bloc e dalla cecità di un governo che gioca a (non) risolvere i problemi della gente! La classe al potere ha paura della gente, non ha più argomenti convincenti per provare la sua stessa esistenza, e così scappa via, per non dovere ammettere il suo fallimento. In tutti questi motivi si legge la profonda crisi della politica, che non sa trovare più soluzioni e che si chiude nei palazzi in cerca di qualche deputato da corrompere. È´ la crisi di un Paese che vive come smarrito, che non riesce più a trovare punti di riferimento, idee per un futuro da costruire. Nella fine di un´epoca, sancita paradossalmente da quei tre voti in più conquistati dalla maggioranza di governo, non c´è traccia dell´inizio di una nuova storia. Con il rischio di un lungo e pericoloso galleggiamento. Il Paese oggi ha bisogno di essere governato, gestito, di veder tracciati nuovi obiettivi, nuovi traguardi. Proprio mentre scrivo, ad irrobustire quanto appena affermato, giungono alcuni dati davvero preoccupanti: sono dati dell’Ocse relativi alla pressione fiscale che in Italia ha raggiunto il 43.5%, in aumento rispetto al 43,3% dell´anno precedente. Il nostro Paese ha superato il Belgio e ora ha davanti soltanto la Danimarca (48,2%) e la Svezia (46,4%). La media nell’area dell’Organizzazione è del 33,7%, in calo sia rispetto all’anno precedente che al 2007. Nel frattempo sono giunti anche i dati di un nuovo record del debito pubblico. Quindi il Paese si indebita sempre di più, le entrate fiscali continuano a calare, i consumi sono al palo, la disoccupazione è al livello di allarme rosso, la pressione fiscale raggiunge picchi elevatissimi e ormai insopportabili. In queste condizioni il Governo spera di galleggiare per 6 mesi, o forse un anno ancora. Difficile non capire che in sei mesi possono accadere cose drammatiche, che nessuno sarà più in grado di gestire o controllare.
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Nella foto, Domenico Scilipoti
Il mercato dei deputati 10 Dicembre 2010
Una “categoria”, quella dei nostri rappresentanti, infangata dallo spettacolo (?) al quale assistiamo (ancora una volta) in queste ore, ma che non comprende solo personaggi come quelli balzati al (dis)onore delle cronache (ma il giornale della politica italiana, come avete visto, si occupa appunto di politica, continuando a lavorare per la costruzione del futuro dell’Italia). Il deputato del Pd appartiene alla maggioranza (?) sana dei parlamentari. E di fronte a tutto questo decide di dire la sua. Scegliendo come sempre il suo giornale.
Deputati
straccioni e in vendita?! Confesso di provare un forte senso di vergogna nell´assistere all´indecente mercato dei parlamentari. Un senso di vergogna e di nausea per chi compra e per chi si vende. Ed una domanda subito sale: ma come può accadere questo? A che punto è scesa la dignità di un uomo, di un capo di Governo che utilizza qualsiasi mezzo per rimanere a galla, e di quei deputati, chiamati a rappresentare il popolo sovrano, sulle cui gote non c’è traccia di rossore per aver messo sul mercato, all´asta, la propria dignità, la propria storia, i principi? Qui non si tratta nemmeno di questa o quella legge elettorale. Prostituirsi politicamente per l´estinzione di un mutuo, la cancellazione di un debito, equipara il deputato ad uno spregiudicato uomo senza valori e ritegno. Un uomo che non teme niente e nessuno, che non ha paura di essere messo alla berlina, di finire in pasto alle giuste reazioni della gente, degli elettori, dell´opinione pubblica. Un uomo da marciapiede, una nuova categoria di escort delle istituzioni! 69
Quanto vale un deputato? Qual è il suo prezzo? Dopo quello che sta accadendo in questi giorni (ma che già con il governo Prodi è accaduto al Senato dove una manciata di senatori cambiando casacca sotto pressing e promesse dell´allora capo dell´opposizione ha determinato la fine anticipata della legislatura), ogni parlamentare sarà considerato ufficialmente merce in vendita, prodotto da bassa macelleria che si acquista al prezzo giusto. Approvare una legge? Convertire un decreto? Garantire il voto di fiducia al governo? Eleggere i giudici costituzionali o il capo dello Stato? No problem! Dal 14 dicembre, il parlamento della Repubblica sarà sempre di più una sorta di colossale asta, un libero mercato, l´hard discount della politica! Chi offre di più?! Scompariranno definitivamente i colori politici, l´appartenenza ad un gruppo piuttosto che ad un altro, non ci sarà più alcun limite nella funzione parlamentare. Per colpa di quei 7-8 senatori della scorsa legislatura che vendendosi provocarono la fine del governo e lo scioglimento delle Camere, per colpa ancora di quel manipolo di spregiudicati deputati che in queste ore trattano la resa e si trasferiscono armi e bagagli sull´altra parte del fronte, per colpa loro sono caduti tutti i muri, è stata cancellata la differenza tra maggioranza e opposizione, tra rosso e nero, tra destra e sinistra, tra onesti e disonesti. Inizia la stagione della raccolta indifferenziata degli eletti! Che dire, infine, di uno degli uomini più ricchi del mondo, conosciuto per la sua allergia alle norme, all´etica, alla morale, che è disposto a tutto pur di vincere la sua personale guerra contro gli oppositori interni? Un uomo che odia il parlamento, non sopporta i controlli, calpesta le leggi e la costituzione. Che dire di lui e della sua spropositata mania di gloria e di grandezza? Niente, non c´è niente da dire. Comunque vada il 14 dicembre alla Camera, quest´uomo passerà alla storia per avere corrotto e distrutto dal di dentro la coscienza civile, politica e morale del Paese! I posteri sapranno giudicare con maggiore libertà e senza condizionamenti il ventennio berlusconiano e le sue gravi conseguenze sulle istituzioni.
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Nella foto, il ministro dell’Interno: «Per favore siamo precisi» (?)
Un governo omertoso sulla mafia 8 Ottobre 2010
Il nostro deputato del Pd e la parlamentare di Futuro e Libertà in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata. Ieri un’interpellanza al governo. Che però (non) risponde (vagamente). Laratta e Napoli scelgono il giornale della politica italiana per criticare la scelta del ministro Maroni di non comparire in aula (è proprio il caso di dirlo?) e per raccontare la situazione calabrese, dove migliaia di cittadini onesti che «hanno tanta paura ma anche tanta voglia di dire basta» sono scesi in piazza e attendono, ora, la sponda dell’esecutivo.
Ben
32 deputati di diversi partiti avevano chiesto conto al ministro dell´Interno sui fatti di Reggio Calabria. Chiedevamo a Maroni, con una interpellanza urgente, di sapere qualcosa sui “misteri” di Reggio, e lo facevamo anche alla luce della “storica” manifestazione del 25 settembre promossa dal Quotidiano: quei 40mila, quasi tutti giovani, quasi tutti onesti e preoccupati calabresi, meritavano di sapere, di conoscere, di poter sperare. Ieri mattina alle 9.30 nell´Aula di Montecitorio il ministro Maroni non si è fatto vedere: era impegnato altrove. Al suo posto un sottosegretario, Natalino D´Amico, della Lega Nord Padania, avrebbe risposto sulle vicende di mafia e di ‘ndrangheta che da alcuni anni soffocano la Calabria. Un leghista che risponde sulle drammatiche vicende di Calabria: già questo era per noi un chiaro messaggio del governo. Dopo l´illustrazione dell´interpellanza urgente, con una serie di dubbi e di domande precise che venivano sottoposte al governo, il buon sottosegretario leghista risponde sciorinando una 71
serie di dati e di cifre sui grandi risultati della lotta alla mafia, sugli arresti eccellenti, sulla confisca dei beni, sui tribunali e gli uffici giudiziari che hanno il personale sufficiente e cosi via. Una fredda e distaccata relazione del sottosegretario, del tutto estranea ai drammi che vive la Calabria. Schivare le precise domande poste nella nostra interpellanza (silenzio assoluto su tutto!) è stato un atteggiamento che dalle nostre parti si chiamerebbe omertà. Il governo nell´Aula della Camera ha taciuto sugli attentati numerosi e sulle tantissime minacce ai danni dei magistrati reggini: sul perché di questi attentati anomali e sui possibili mandanti e beneficiari. Nulla quindi sul clima da “strategia stragistica” di stampo palermitano che si respira a Reggio, sui depistaggi, sulle automobili lasciate cariche di armi ed esplosivi, soprattutto sul chiaro e ormai accertato ruolo dei Servizi e della massoneria deviati, sulla gravissima vicenda del tritolo fatto trovare nel municipio reggino quando era sindaco Scopelliti. Silenzio tombale sul rapporto mafia-politica, sulle frequentazioni assai imbarazzanti di personaggi di primissimo piano della politica reggina con famiglie ben note negli ambienti malavitosi. Nulla di nulla sullo scambio di favori tra esponenti locali delle cosche e gli eletti ai vari livelli istituzionali. Rumorosissimo silenzio sulla gravissima situazione finanziaria del comune di Reggio e su tutto ciò che questo significa. Abbiamo visto ieri alla Camera un governo distratto davanti alle difficili condizioni in cui operano la magistratura e le forze di polizia, prive di qualsiasi mezzo e risorsa, impossibilitati a contrastare con efficacia e durezza l´attacco criminale della `ndrangheta e di quanti hanno come scopo la devastazione della Calabria, compiendo azioni di disturbo in vista di altri e ben più gravi obiettivi che al governo sfuggono. Un sottosegretario che non ha raccolto le nostre preoccupate sollecitazioni, né ha inteso avviare un ragionamento, una riflessione del perché la Calabria sia ripiombata in questo clima cupo nonostante gli sbandierati e per certi versi veritieri successi nella lotta alle cosche. Ci aspettavamo una considerazione alta, una proposta vera, che non fosse pura propaganda, un progetto che puntasse a valorizzare e a dare risposte a quei 40mila in corteo a Reggio Calabria. Ed invece nulla. Nemmeno una riflessione, ad esempio, sulla “legge Lazzati”, approvata in via definitiva dal Senato dopo anni di battaglie parlamentari che ci hanno consentito di trovare un vasto schieramento trasversale che ne ha reso possibile finalmente la sua approvazione. Una legge, e ne scriveva bene proprio ieri Vittorio Grevi sul Corriere, che può essere determinante nella lotta alle infiltrazioni mafiose nella politica e nelle istituzioni. Ma neanche di questo il Governo ha inteso riflettere in Aula. Non è per noi che il ministro Maroni avrebbe dovuto essere lui e personalmente lui alla Camera a rispondere. Non è per i tanti colleghi che hanno firmato l´interpellanza, ma la risposta era dovuta ai tanti calabresi onesti che hanno tanta paura, ma anche tantissima voglia di dire basta. E di sapere che c´è un governo che manderà più magistrati, poliziotti, risorse, mezzi, moderna tecnologia per contrastare la ‘ndrangheta. Altro che Esercito! (tema su cui il sottosegretario ha taciuto). Il ministro Maroni avrebbe dovuto dirci perché pezzi dello Stato girano per le strade di Reggio con esplosivi ed armi, che cosa intende fare per quelle amministrazioni locali in cui la mafia si è stabilita e ne controlla scelte e decisioni, come agire a difesa e a tutela dei magistrati, dei giornalisti minacciati (abbiamo citato in Aula ben 30 casi di cronisti presi di mira dai boss locali) e di quei calabresi onesti che non vogliono piegarsi alla prepotenza della criminalità. Una risposta era dovuta al popolo di Reggio, a quei 40 mila che ancora vogliono credere nello Stato. Ma la risposta non c´è stata. E nemmeno il ministro si è visto! 72
Nella foto, Silvio Berlusconi
La satira preventiva.
Il discorso di Silvio (in anteprima)! 29 Settembre 2010
Il Presidente del Consiglio ha appena cominciato il suo atteso intervento, che potete seguire in diretta video su Repubblica Tv. Ha scelto, almeno per l’approccio, la linea che gli indica da mesi il giornale della politica italiana, quella della responsabilità. Ne parleremo con la dovuta serietà a discorso concluso. Ma c’è chi, dai banchi dell’opposizione, proprio non crede alle parole del premier. Che il deputato del Pd è in grado con un po’ di ironia di anticipare. Sentiamo.
In
anteprima il clamoroso discorso alla Camera di Berlusconi: Fisco, Giustizia, Impresa e lavoro, Sud. Il Primo Ministro è appena entrato nell’Aula di Montecitorio. Capita raramente, e quindi già questo è di per sé una notizia. A dispetto di tutte le anticipazioni della vigilia, il Premier darà risposte concrete alla crisi che attanaglia e soffoca il Paese. 73
Ecco in sintesi il discorso. Impresa e lavoro: Da domani 1 milione di posti di lavoro in più. Saranno riassunti tutti i lavoratori licenziati, i cassintegrati, i precari della scuola e della P.A.. Stipendio mensile di 800 euro a tutti i giovani. Scuole e università libere e gratuite per tutti gli studenti meritevoli. Immediata assunzione per chi eccelle negli studi. (La borsa alle 11.20 segna subito un +0,80%). Giustizia: Processo breve per tutti. Avvocati pagati dallo Stato. Copertura del 100% dei posti vacanti in Magistratura (e qui si parla di 50 mila nuovi posti di lavoro). Via al Piano carceri con la costruzione di 250 penitenziari (il che vale uno 0.45% del Pil nel prossimo anno e altri 45 mila nuovi posti di lavoro). Fisco: Basta con le tasse che stritolano le imprese e le famiglie. L’imposizione fiscale non potrà superare il 20-30% a seconda del reddito. (Borsa alle 11.30 a +1,6%). Esenzione da qualsiasi tipo di tassazione per i redditi delle famiglie fino a 20mila euro annui. Zero tasse per le microimprese, abbattimento del costo del lavoro. (Misure che secondo il Presidente, porteranno il Pil al 2% nel 2011 e l’occupazione a registrare un incremento di 190mila nuovi posti di lavoro). Sud: Mezzogiorno area no tax per tutte le imprese. Sconfitta della mafia con il rafforzamento delle Forze di Polizia in uomini, mezzi, risorse, tecnologia. Un carabiniere ogni 3 meridionali, un giudice ogni 100, l’esercito nelle zone controllate dalla mafia. Via alla costruzione del Ponte dal 24 dicembre 2010. Nuove scuole, strade, ospedali, ferrovie in Campania, Calabria, Sicilia. Previsti 300 mila nuovi posti di lavoro, il Pil al 3%. (Alle 12 la Borsa è a + 4.9%, record dalla Seconda guerra mondiale). Finito il discorso del Premier, ovazione in Aula: una gigantesca torta viene portata dai commessi (è il compleanno del Primo Ministro), mentre fuochi d’artificio accendono il cielo richiamando alle finestre i presenti, che non staccano gli occhi dallo spettacolo fino al sopraggiungere del colpo di grazia. Tornati ai banchi, il capo dell’opposizione chiede di intervenire. Si dice disposto a votare il programma. Fa una sola domanda: “Ma i soldi? i soldi dove li trovate per finanziare questo straordinario piano?”. In Aula cala un improvviso silenzio. Tutti sono ammutoliti, spiazzati. Il Primo Ministro si alza, accende il microfono, si sistema la cravatta, guarda verso la destra dell’Aula, poi fissa la telecamera in alto. E con un sorriso splendido afferma: “Ghe pensi mi!”. Il ministro dell’Economia lascia l’Aula di scatto, proprio mentre un gigantesco applauso esplode, e le urla festanti dei deputati del Pd segnano la fine della seduta. (Alle 12,30 la Borsa crolla al -8%!)
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Nella foto, celle di prigione
Dalle carceri si può e si deve uscire 16 Agosto 2010
Ad un anno di distanza, il deputato del Partito Democratico rivive l’esperienza del Ferragosto con i detenuti. E, oltre a porci delle domande sul modo in cui finora il tema della detenzione (non) è stato affrontato, ci racconta una storia. La storia di un ragazzo finito in carcere troppo presto. Ma, anche grazie alla sensibilità del direttore del penitenziario di Cosenza e alla “complicità” degli altri detenuti, quel ragazzo, seguito a distanza da Laratta, è riuscito, alla fine, a laurearsi. Sconterà ancora qualche anno di pena, ma poi potrà ricostruirsi un’esistenza. E sarà (tanto più) una risorsa per il Paese. È questo il senso della pena detentiva, al quale il parlamentare del Pd invita la politica italiana a tornare a fare riferimento. Laratta, dunque.
Come
lo scorso anno, anche questo weekend di Ferragosto in carcere! Il programma “Ferragosto in carcere” non è un gioco né una passeggiata: con i problemi dei carcerati non si fanno voti! Ed è forse per questo che i governi del Paese non puntano mai sul superamento delle gravissime condizioni in cui si vive nelle carceri italiane: solo quest´anno siamo a 40 suicidi! Che fine ha fatto il “Piano carceri” del ministro Alfano? E la legge per far scontare a domicilio l´ultimo anno di pena? E quando si mette mano alle pene alternative al carcere? E più in generale al caos giustizia in Italia che con i suoi processi lentissimi rappresenta un vero e proprio scandalo? “Ferragosto nelle carceri” impegna parlamentari ed istituzioni a prendere coscienza di quel “girone infernale” che è il carcere, di quanto sia brutale la permanenza in questo girone, di quanta violenza e miseria umana si consumino nelle celle. È un altro pianeta, che prende in “prestito” per qualche tempo quei cittadini del pianeta terra che si sono macchiati di gravi reati. Per poi restituirli alla società. Ma le domande che mi faccio sono due (sarebbero molte di 75
più): Avrà capito la società che non le servono carcerati violentati dalle condizioni disumane del carcere (in aperto contrasto coi principi costituzionali e del buon senso)? avrà capito che riavere, al termine della pena, cittadini rinati, non delinquenti incarogniti, è un vantaggio per tutti? Inoltre e vengo all’altro interrogativo -, perché si trova in carcere un numero enorme di cittadini in attesa di giudizio? Lo sanno gli italiani che il 40% della popolazione carceraria non è lì perché condannata a seguito di regolare e giusto processo? Detenuti senza processo attendono in cella per mesi prima di potersi difendere dalle accuse. E nel frattempo subiscono quell’inferno che li segnerà per tutta la vita, lasciando ferite profonde che non guariranno mai. Molti di loro risulteranno innocenti al processo, o comunque non saranno mai condannati per diverse ragioni. Nel carcere di Cosenza, colpito da sovraffollamento, carenze di mezzi e risorse, con poco personale, pochissimi servizi, si potrebbe fare molto di più. Là, anni addietro, incontrai un ragazzo lontano dalla ressa delle accaldate celle. Era sistemato in un apposito spazio, intento a studiare, messo in condizione di potersi concentrare, sostenuto in questo dalla direzione e dal personale, all´apparenza non ostacolato dai colleghi carcerati. Un ragazzo che da giovanissimo si è macchiato di un grave reato e nello scontare la pena ha deciso di impegnarsi con tenacia per non farsi inghiottire dal quel vortice di disperazione e di angoscia nel quale rapidamente si finisce in ogni carcere. Nelle nostre carceri! L´ho incoraggiato e sostenuto. Nel suo viso si leggeva la voglia di riscatto, insieme alla paura di non farcela. Qualche giorno fa, sono tornato nel carcere di Cosenza e ho chiesto al direttore dove fosse quel ragazzo conosciuto in cella anni prima. Dopo una ventina di minuti lo hanno accompagnato da me, timido e riservato come la prima volta, ma con un’ espressione più sicura. È lui stesso a darmi la bella notizia: aveva da poco conseguito la laurea in Giurisprudenza. Aveva vinto la sua sfida. Il ragazzo dovrà scontare ancora qualche anno di carcere. In cella, mi dice, continuerà a studiare, ha altri obiettivi da raggiungere. Abbiamo parlato qualche minuto, l´ho incoraggiato ad andare avanti, a non fermarsi mai. Lui mi ha ringraziato per l´interessamento. Nella sua cella conserva un quadretto con un mio commento apparso sul Quotidiano della Calabria, nel quale raccontavo la sua vicenda personale. Per un attimo mi è sembrato di scorgere un´espressione felice nel suo sguardo. Uno sguardo dal quale traspare tutta la sua storia, il suo dramma, le sue colpe e la durezza del carcere. Ma quel ragazzo ce la farà. L´inferno del carcere non lo ha avuto. Tornerà presto ad essere un cittadino come tanti altri, proverà a far dimenticare il suo passato, a rinascere e a rifarsi una vita. Ecco, è questa la missione del carcere. Ed è questo che la società civile deve pretendere.
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Nella foto, il capo dello Stato Giorgio Napolitano
Corruzione. “Abbiamo anticorpi” Ma è del tutto vero che sia (sempre) così? 23 Luglio 2010
Il capo dello Stato parla della magistratura, certo, gli attacchi alla quale da parte della destra risultano ancora più irresponsabili considerato che, a parte le «mele marce» emerse in questi giorni, è evidente si tratti di uno dei settori più sani del Paese. E la magistratura (appunto) c’è e invitiamo tutti ad averne grande fiducia. Ma poi c’è il Paese reale. In questo grande pezzo-denuncia che state per leggere, il deputato del Partito Democratico squarcia il velo della nostra ipocrisia e, senza sentimenti “anti”, traccia un ritratto sconsolante ma realistico (di una parte) dell’Italia profonda, quella per la quale la (presunta) “furbizia” è il solo mezzo considerato (il)lecito per “sopravvivere” nella giungla della nostra società. Ma, e in questo il presidente della Repubblica ha sicuramente ragione, c’è anche un’altra Italia sana che non aspetta altro che di tornare a farla da padrone in questo Paese per troppo tempo abbandonato nelle mani di qualcuno che non gli vuole bene (o che vuole più bene a se stesso). Laratta, ora. Sulla corruzione.
Il
marcio è dentro di noi, nelle nostre azioni quotidiane, nelle nostre professioni, nei nostri rapporti personali, nelle scelte e nelle assunzioni di responsabilità. Il marcio è così marcio che ormai nessuno lo nota più, nessuno avverte la sua forza devastante, i rischi per la tenuta sociale, per i rapporti economici che vengono alterati, per gli equilibri che sconvolge, per le ingiustizie che provoca. Tutto è marcio perché tutti siamo portatori sani di corruzione! Una mamma, qualche tempo fa, mi chiedeva se c’era un modo per far cantare la sua brava e amata figliola a XFactor. Un carabiniere era interessato a passare il concorso di maresciallo. Qualcuno aveva bisogno di una mano (una volta si diceva di “un calcio”!) per superare un concorso. C’è chi puntualmente telefona per far ricoverare subito un parente o almeno per scavalcare la lista di attesa per la tac. E c’è chi deve passare l’esame all’università dopo alcuni tentativi a vuoto. 77
Ti chiedono di tutto, con una genuinità, e a volte con una leggerezza, dalle quali dedurre che nessuno si rende più conto di quello che chiede. Ormai non ci si accorge nemmeno di commettere un illecito. L’illegalità è diventata norma, regola condivisa e accettata. Un po’ dappertutto ci sono politici corrotti, e qui siamo nella quasi normalità; ma a delinquere sono anche preti e monsignori finiti in galera, magistrati coinvolti in inchieste piuttosto gravi, dirigenti e professionisti dietro le sbarre, imprenditori in accordo con i clan mafiosi, ditte che fanno finti lavori, tecnici che dichiarano il falso, medici che accertano di tutto. Quella attuale è una società corrotta nel profondo, inquinata dall’imbroglio, dall’illecito. Ovunque capita di sentirsi chiedere soldi per ottenere un favore, per avere una pratica approvata, per garantire la buona riuscita di un’impresa. Il falso è penetrato nel cuore, nelle vene, nel cervello di una società che ha smarrito il senso della legalità, del rispetto delle regole. Si poteva salvare il Paese, nell’epoca del berlusconismo, da questo marcio travolgente? No, non si poteva salvare. Al contrario, rispetto alla Prima Repubblica, il marcio è ancora più marcio, e la montagna di corruzione su cui è seduta la nostra società ancora più alta. Oggi la corruzione più “light” si assomma alla malavita e alla criminalità organizzata; l’imprenditore condivide i suoi affari con i malavitosi; i clan mafiosi controllano vaste porzioni del territorio meridionale e impongono le loro regole, la loro legge. E tutti la rispettano perché non hanno la forza o il coraggio per reagire. E la ‘ndrangheta calabrese è ormai padrona di altre regioni italiane, fa affari nella ricca Lombardia, ha notevoli proprietà a Roma e nel Lazio. E, come non bastasse, è penetrata in Germania, nel Centro America, ha messo gli occhi su un pezzo d’Africa e tratta con le tigri asiatiche sempre più ruggenti nei settori dell’economia mondiale. La classe politica dominante non solo non erige muri contro corruzione e malaffare, ma si rivela così permeabile a tali infiltrazioni, come confermerebbero le indagini in corso, che alla prossima abbondante precipitazione si rischia l’allagamento e il crollo di questo impero di carta.
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Nella foto, un Vespa contrariato (per la fuga di notizie?)
Racconti d’estate
Svelati i misteri della cena a casa Vespa 19 Luglio 2010
Che cosa ci facevano il presidente del Consiglio, Casini (è proprio il caso di scriverlo così?), il governatore di Bankitalia Draghi e il cardinal Bertone (più Letta) a casa del conduttore di Porta a porta una sera di due settimane fa? Festeggiavano il 50esimo anniversario del primo articolo di Vespa sul Tempo, naturalmente. Smentite dunque le indiscrezioni che volevano Silvio impegnato in un tentativo di riannettersi il leader Udc (a compensare lo smarcamento di Fini), abbiamo seguito la pista giusta. Ecco che cosa ne è scaturito…
Ma
cosa si sono detti a cena i potenti del Paese? Invitati da Bruno Vespa, di cosa avranno mai parlato il cardinal Tarcisio Bertone, il presidente del Consiglio Berlusconi, il governatore della Banca d’Italia, Draghi, il presidente dell’Udc, Casini, il sottosegretario Gianni Letta? Del futuro del governo? No, giurano di no. Della manovra fiscale? Nemmeno. Di Fini e delle vendette? Assolutamente no. La cena a casa Vespa (un ampio ed elegantissimo appartamento nel cuore di Roma, che Bruno ha ottenuto in fitto da Propaganda Fide al modico prezzo di diecimila euro al mese!) è stata l’occasione per celebrare i suoi 50 anni di giornalismo, quindi per discutere dei palinsesti Rai della prossima stagione televisiva. Una stagione tv che sta molto a cuore al Primo ministro italiano, che ha posticipato di qualche ora gli appuntamenti galanti per presenziare alla cena e verificare quanto tali palinsesti siano graditi ai potenti. «Gli annunciati tagli non hanno pregiudicato la qualità e il pluralismo dovuti ai telespettatori » ha esordito Vespa, che evidentemente parlava a nome del direttore generale della Rai, Masi, assente alla cena, senza che alcuno se ne fosse accorto. 79
Ecco l’offerta: Fazio, spedito nel deserto dell’Atacama a trasmettere la sua “Che tempo che fa“, troverà in Saviano il suo salvatore, che lo porterà via con sé in tutti i luoghi e in tutti i laghi. Lì potrà reidratarsi, sempre che le permalose società dell’acqua non chiudano anzitempo i rubinetti o svuotino i letti. L’ossigenato Santoro condurrà “Taglio Zero“, un format dedicato al mondo delle acconciature. Ansiosi della piega che darà al nuovo talk, è ufficiale che esso riaccoglierà Vauro, mandato nel frattempo a zappare le (in)colte vignette, e Travaglio, che, asportato un fastidioso porro sullo stomaco preservando il pelo circostante, è impaziente di sgrassare gli unti dal Signùr che gli contestano vecchie, chiacchierate frequentazioni. Tutti insieme romperanno il ghiaccio (e i suoi derivati) col tema: “Virtù e danni della decolorazione: dopo gli -anta, rassegnarsi al tupè o confidare nella tenuta delle chiome… fini e ribelli?”. Monica Setta, la “rivelazione mediatica da trecento euro a puntata”, che con la sua procace esuberanza ha fatto impennare lo share nella pigra ora della siesta, presenterà in autunno il suo “Stranamore”, ribattezzato “Solo per amore“: effetto della tolleranza zero voluta dai leghisti contro le “robe strane” seminate dagli sporcaccioni di sinistra per corrompere i costumi dei padani, allevati nelle virtù delle valli e, ahimè, svezzati sempre più ai margini delle tangenziali riscaldate dai falò carioca. Il momento più atteso della serata ha avuto come protagonista la Raiuno targata Mazza- Minzolini. La programmazione della Rete ammiraglia è stata salutata con entusiasmo, prim’ancora che si entrasse nel merito dei contenuti. D’altronde, rubando un fortunato slogan: “Raiuno vuol dire fiducia”. Solo un commensale, reso esuberante da qualche bicchiere di troppo, ha biascicato: «Il solito voluminoso pacco!». E il pacco, bandendo le ironie e rassicurando l’alticcio provocatore, è di quelli grossi! In esso sono presenti molte fiction (santi e beati per come richiesto dal cardinal Bertone, e poi donnine, commissari e poliziotti, i soggetti più gettonati). Non meno numerosi quiz e varietà: la risposta più seria alle nevrosi di un Paese che somatizza le crisi e rottama così l’ingombrante spirito critico. Accurato restyling, invece, per l’informazione. Con la supervisione del Premier, molto sensibile al tema, Minzolini confezionerà un tg autenticamente rosa, fatto da giovani collaboratrici che hanno ripudiato le cattive maestre dalla matita blu, riluttanti a scendere dalla cattedra. Alla speaker – si legge in una circolare ad uso interno -, tassativamente di bella presenza, saranno cancellate le sgradevoli linee d’ espressione che contaminano le notizie, costruite col rigore del “Forse che sì forse che no” della Settimana Enigmistica. Ella dovrà usare toni concilianti, sconfinando persino nella bugia bianca e in tutto ciò che ricalchi l’atteggiamento del saggio genitore che prepara il figlio all’ annuncio della morte del gatto. Attori del teatro Kabuki rappresenteranno il fatto del giorno, commentato in studio dal direttore e dal mimo Marcel Marceau, chiamato per il contraddittorio. Programma di punta di Rai Uno (e di tacco, visti gli autori) resta l’ intoccabile “Porta a Porta”. E su questo annuncio, tutti insieme, visibilmente commossi e soddisfatti (Bertone, Berlusconi, Casini, Draghi e Letta), si sono alzati improvvisando una ola e sommergendo di complimenti il padrone di casa, Bruno Vespa, gratificato anche da uno spontaneo e sentito applauso. È seguito un brindisi bagnato da pregiato champagne e allietato da quel buontempone di Silvio che ne ha approfittato per infilare la solita Jamme jamme ‘ncoppa jamme ia! L’eccitazione era grande: il Cardinale, euforico, ha improvvisato un duetto canoro con Silvio, che poi lo ha rimorchiato formando una sorta di trenino al quale si sono agganciati Casini, Draghi e Letta. Vespa, su una nobile poltrona Luigi XVI, scimmiottava un improbabile ca80
postazione che al grido di hippy hippy urrà! esortava Silvio a recidere i freni e raccontare una dozzina di barzellette a sfondo erotico. Le invidiose malelingue che a proposito del format di Vespa avevano sollecitato i sigilli a una porta, riceveranno il ben servito: quest’anno, chiusa una porta, si aprirà un portone. Ciò significa più puntate e nessun vincolo di durata per ciascuna. Gli ospiti saranno concordati volta per volta tra Silvio e il conduttore. Casini sarà presente quando vorrà, Letta manderà in studio Bertolaso, Quagliariello, Capezzone; il Cardinale si accontenterà di alcune puntate monografiche su temi d’attualità religiosa (a patto che non venga mai invitato il collega Bagnasco!). Ebbro di soddisfazione, Vespa si è lasciato serenamente andare a qualche anticipazione sugli argomenti delle prime dieci puntate, sponsorizzate a tutti i costi dalla Regione Calabria, schiava ancora del suo mecenatismo compulsivo: 1) Cloonalis (leggi George Clooney ed Elisabetta Canalis, ndr) e il complicato rapporto col maialino di casa; 2) i trionfi della Protezione civile e la dilagante passione per le operette negli ambienti più insospettabili; 3) l’affannosa ricerca del latitante punto ‘g’ ( ‘g’ come ‘glorioso’, nel senso di… gloria di Dio!); 4) il calcio della nazionale azzurra e i calci sudafricani (presi); 5) i colossali eventi del Governo italiano: ingresso omaggio per le donne under 30 e consumazione per chi arriva dopo la mezzanotte; 6) i Maya e la profezia del 2012; 7) Don Verzè e Silvio: storia di due grandi del II e III millennio; 8) il definitivo tramonto della sinistra nel mondo; 9) I miti della tv: Belen Rodriguez o Fabrizio Corona? Il tema di Via col Vento, sparato dagli altoparlanti in terrazza, ha messo fine alla riuscitissima serata. L’euforico gruppetto di potenti, in procinto di abbandonare Casa Vespa, si è imbattuto in una trafelata Gabriella Carlucci, che, in ritardo imperdonabile, ha sbarrato loro la strada, e cominciato a cantilenare incurante il liberticida, perciò sacrosanto, disegno di legge sui media che avrebbe voluto illustrare. I distratti e stanchi interlocutori non hanno trattenuto la fragorosa risata covata sin dai primi commi, e, impazienti di raggiungere la discoteca, hanno ricordato all’ex soubrette, in un italiano impastato, che non servono leggi per metter su una televisione disciplinata, “singolarista”. Bastano quattro amici al bar, pane e giochi da circo.
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‘Ndrangheta d’Italia 14 Luglio 2010
Il deputato del Partito Democratico, membro della commissione antimafia, sceglie il giornale della politica italiana per dire la sua sul tema della diffusione della criminalità organizzata nel nord del nostro Paese. Una penetrazione nel tessuto sociale, affaristico e ora anche politico portata alla luce dall’inchiesta condotta da Ilda Boccasini sulla ’ndrangheta lombarda. Laratta lancia un appello: è necessario creare un clima di maggiore solidarietà nei confronti di quanti lottano contro le mafie, e tocca allo Stato fare il primo passo. Sentiamo.
E
così finalmente il Paese l´ha capito: la `ndrangheta non è solo una questione calabrese. Come la camorra non appartiene solo a Napoli e dintorni, e la mafia solo alla Sicilia. In più occasioni è stato lanciato l´allarme da bravi magistrati inquirenti, da competenti giornalisti, e da quanti al fenomeno malavitoso dedicano tempo e studio. In Commissione parlamentare antimafia l´ho sentito dire più volte: il fenomeno mafioso riguarda tutta Italia. Eppure, per la grande informazione, per “quelli del Nord”, per qualche prefetto lombardo, la `ndrangheta era e rimaneva una vicenda tutta calabrese, al massimo meridionale. Un’ organizzazione che gestiva territori, e al loro interno affari, malaffare e appalti. Ma tutto in salsa calabrese. In realtà, le famiglie della `ndrangheta calabrese erano già in affari nel Lazio, soprattutto a Roma. Da anni facevano importanti investimenti, acquistavano ristoranti, alberghi di lusso, catene commerciali con i soldi sporchi di sangue, droga, armi e ricavati dalla tratta dei moderni schiavi. Imponevano le loro regole all´ impresa, dettavano tempi e modi nel commercio. Allacciavano rapporti con la politica che conta, trovavano strade aperte per il controllo di pezzi importanti dell´economia del Centro Italia. Col passare del tempo, le famiglie mafiose calabresi sono sbarcate in altre regioni: Emilia, Piemonte, Veneto, Liguria, Lombardia. E al Nord, la tradizionale forma di mafia “orizzontale”, quella che federava clan e famiglie organizzate, diventa subito una vera e propria cupola, con un´organizzazione piramidale che non ha precedenti, i cui vertici decidono operazioni strategiche, interventi, investimenti. La mafia conclude affari importanti e penetra nelle istituzioni del Nord (nessuno della Lega sa niente? Possibile mai per una forza che sta sul territorio, tra la gente, e da una ventina di anni pure nei Palazzi?). Indisturbate, le principali cosche assoldano centinaia di persone e puntano ad Expo 2015, entrano nella sanità, nelle cliniche, negli appalti, nell´edilizia, nel controllo dell´immigrazione, nell´agricoltura. La cupola, quindi, non è più “cosa calabrese”, cosa nostra, da anni ormai. Ed ora lo sanno tutti, e cominciano ad avere paura. La nostra `ndrangheta si è evoluta, è diventata ricca e potente, da questa grande crisi economica e finanziaria uscirà ancora più forte grazie al controllo di centinaia di aziende in crisi. La cupola è ormai un´emergenza nazionale. E come al Sud ha saputo infiltrarsi nelle istituzioni, nella politica, nell´economia, altrettanto ha fatto nel Nord. Mafia, politica, impresa: un grande accordo per fare affari insieme, per confermare il controllo sugli apparati pubblici, sulle istituzioni, per conquistare fette importanti del mercato, degli appalti, dei grandi affari economico-finanziari nazionali ed internazionali. 82
La “Cupola spa” è adesso al centro dell´interesse nazionale. In un Paese prostrato dalla corruzione, dalle cricche, dai grandi affari illeciti, non sarà facile estirpare la mala pianta della malavita organizzata che cresce, si sviluppa, colonizza nuovi e ricchi territori. Il Paese, del resto, è stanco, non ha voglia di reagire, di scandalizzarsi, di mettere in circolazione potenti anticorpi sociali e culturali in grado di espellere il male. Il Paese guarda con occhi sbalorditi, attoniti, il livello di degrado morale che ha colpito lo Stato, le sue istituzioni, gli uomini di governo. Ma dobbiamo necessariamente creare un clima di solidarietà e sostegno a quanti lottano da anni contro la cupola calabrese, oggi cupola nazionale, contro tutte le forme di mafia e corruzione. Va creato un clima sociale più forte, più vivo, più deciso nel respingere il malaffare e la corruzione che è penetrata in ogni dove, che si nasconde nel governo del Paese, tocca in profondità partiti, istituzioni e pezzi dello Stato, lambisce persino la chiesa, la magistratura, le forze dell´ordine. Un esempio, forte, fortissimo, dovrebbe venire dallo Stato, dalle sue Istituzioni, dal governo, che dovrebbero pressare personaggi come il potente sottosegretario Cosentino a rassegnare le dimissioni, estendendo l’invito ad altri parlamentari condannati a 7 e 9 anni di carcere (Dell´Utri, Cuffaro & Co), che risultano chiaramente coinvolti in affari loschi e illeciti. Un segnale come questo, al di là della condanna penale passata o no in giudicato, sarebbe un grande gesto di civiltà, di democrazia, di pulizia. E suonerebbe come un campanello d´allarme rivolto a quanti occupano partiti, governi e istituzioni, nazionali e regionali, per affarismo, per costruire imperi e perpetuare il loro potere. Sarebbe un bel segnale per quei magistrati coraggiosi (Bocassini, Pignatone, Gratteri e altri) e per le Forze dell´ordine che, in battaglie come questa contro la cupola e le mafie, rischiano in ogni istante la loro vita!
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Nella foto, il grande cantautore americano
I tempi stanno cambiando. Con una canzone di Bob Dylan 18 Giugno 2010
È un vero e proprio “canto” quello che il deputato del Partito Democratico ci propone sul presente (e sul futuro) del nostro Paese. Un canto “disperato”. “Accompagnato” (è proprio il caso di dirlo) dalle parole (e, idealmente, dalle note) di The Times They Are A-Changin’. Laratta affronta il tema del degrado politico, sociale e culturale del nostro Paese (ma soprattutto politico, “motore” si fa per dire di tutto il resto). Ma attraverso (anche) la canzone di Dylan lascia uno spiraglio per il futuro. Anzi, spalanca un portone. Quello del Paese moderno al quale questo giornale aspira e tende ogni giorno. E alla cui verrebbe da dire (ri) generazione cercheremo di dare sempre di più un contributo maggiore. Laratta, dunque. Con Dylan.
Con
The Times They Are A-Changin’ di BOB DYLAN Vogliamo davvero sperare che i tempi stiano cambiando. Tempi brutti quelli di oggi. Tempi durissimi per un giovane che non trova lavoro e forse non lo troverà mai più! Tempi terribili per l’operaio che non potrà più vantare alcun diritto, nemmeno di andare in pensione. Come gather ’round people Wherever you roam And admit that the waters Around you have grown And accept it that soon You’ll be drenched to the bone. If your time to you Is worth savin’ Then you better start swimmin’ Or you’ll sink like a stone 84
For the times they are a-changin’. (Venite intorno gente dovunque voi vagate ed ammettete che le acque attorno a voi stanno crescendo ed accettate che presto sarete inzuppati fino all’osso. E se il tempo per voi rappresenta qualcosa fareste meglio ad incominciare a nuotare o affonderete come pietre perché i tempi stanno cambiando). Verranno tempi ancora più brutti. La gente scenderà nelle piazze, griderà la sua rabbia lungo le strade, le Università torneranno a bruciare. Il Caimano riderà più di prima, griderà le sue miserie e le sue note stonate. Ma gli crederà sempre meno gente. Come writers and critics Who prophesize with your pen And keep your eyes wide The chance won’t come again And don’t speak too soon For the wheel’s still in spin And there’s no tellin’ who That it’s namin’. For the loser now Will be later to win For the times they are a-changin’. (Venite scrittori e critici che profetizzate con le vostre penne e tenete gli occhi ben aperti l’occasione non tornerà e non parlate troppo presto perché la ruota sta ancora girando e non c’è nessuno che può dire chi sarà scelto. Perché il perdente adesso sarà il vincente di domani perché i tempi stanno cambiando). Il governo ruberà i nostri soldi, metterà mano nelle tasche dei lavoratori e delle famiglie. Lascerà le banche crescere, i conti esteri rientrare serenamente, la cricca continuare a rubare. Non ci saranno case per la povera gente, fioccheranno ville per i corrotti e truffatori di Stato. Il terremoto non finirà mai, come i rifiuti che riempono le anime sporche. Come mothers and fathers Throughout the land And don’t criticize What you can’t understand Your sons and your daughters 85
Are beyond your command Your old road is Rapidly agin’. Please get out of the new one If you can’t lend your hand For the times they are a-changin). (Venite madri e padri da ogni parte del Paese e non criticate quello che non potete capire i vostri figli e le vostre figlie sono al dì là dei vostri comandi la vostra vecchia strada sta rapidamente invecchiando. Per favore andate via dalla nuova se non potete dare una mano perché i tempi stanno cambiando). Ci saranno meno fabbriche, meno chiese, meno scuole. I giovani scopriranno la violenza, gli anziani moriranno soli. Gli ospedali saranno per pochi. Il governo deve tagliare. Il governo deve abbattere il debito. Il governo deve pensare al futuro. Ma la gente del nostro Paese non ha più un futuro. The line it is drawn The curse it is cast The slow one now Will later be fast As the present now Will later be past The order is Rapidly fadin’. And the first one now Will later be last For the times they are a-changin’. (La linea è tracciata La maledizione è lanciata Il più lento adesso Sarà il più veloce poi Ed il presente adesso Sarà il passato poi L’ordine sta rapidamente scomparendo. Ed il primo ora Sarà l’ultimo poi Perché i tempi stanno cambiando). Finirà la speranza, tornerà la paura. Solo dopo tanti disastri e infinite tragedie, la banda che governa avrà finito. Sarà annientata dal tempo impietoso, dall’odio che ha seminato, dai furti che per venti anni ha perpetrato. I tempi stanno cambiando. Il futuro chiuderà le porte al tragico presente! 86
Nella foto, un tratto (e una coda) della Salerno-Reggio Calabria
A3. “Non è nemmeno una vera autostrada…” 28 Maggio 2010 Nella precedente legislatura propose di vendere il patrimonio delle spiagge del nostro Paese. E forse anche il Colosseo. Corrado Guzzanti (a proposito: a quando il ritorno in Rai?…) lo ritrae mentre annuncia che la Sardegna è sul mercato. Il ministro dell’Economia abbassa un po’ il tiro, ma non smette di trovare soluzioni paradossali e, a modo loro, “creative” ai nostri problemi di bilancio. L’ultima venuta è l’idea di fare pagare il pedaggio sulla nostra strada più “famosa” (o sarebbe meglio dire famigerata), a sua volta entrata nell’immaginario collettivo come protagonista di battute, sketch, ironie (ingenerose) nei confronti del nostro Sud e come esempio del male atavico del nostro Paese della pesantezza, dell’inconcludenza, della collusione?, del nostro apparato statale (e in particolare delle opere pubbliche). È una fonte inesauribile di introiti per la mafia che banchetta tra cantieri e appalti di risistemazione, e soprattutto un cruccio per chi deve percorrere il collo e la punta del nostro stivale, alla quale arriva (quando non si verificano, purtroppo, tragici incidenti) al termine di giorni e notti trascorsi in interminabili code nel gelo dell’inverno (il tracciato fu deviato in quota) o sotto il sole cocente dell’estate. Dunque non esattamente un “servizio” da farci pagare. Anche perché, è il racconto dello scrittore calabrese, che ieri per primo ha fatto esplodere il bubbone nelle mani del ministro, non si tratta in realtà neppure di una vera autostrada… Un pezzo che, almeno nello stile, richiama Sciascia e che ha molto di “nostro” anche perché racconta un pezzo di politica italiana di anni ’70.
Una
mulattiera chiamata A3! Della nostra autostrada si sa tutto. O quasi. Si sa ad esempio che sulla nostra autostrada si muore. Si muore col sole d’estate, con le alluvioni d’inverno, perfino con la neve da dicembre a marzo. Si muore perché frana una montagna, perché la nebbia è così spessa, perché le temperature vanno sotto zero e il ghiaccio si nasconde ad ogni curva. Si sa, ad esempio, che nel suo primo tracciato non era previsto che attraversasse le fredde montagne di Lauria e Lagonegro, né doveva passare dalla Valle del Crati e da Piano Lago. Non doveva nemmeno passare da Cosenza! Poi sappiamo com’è andata a finire. Si sa, ad esempio, che l’A3 si inerpica fino ai 1.027 metri s.l.m. di Campotenese (Pollino); scende, e risale a 640 metri in prossimità di Piano Lago-Rogliano, sfiorando la Sila. Tra mare, 87
collina, montagne, pioggia, vento, neve e nebbia, l’A3 è in continua manutenzione, perennemente assistita, curata, coccolata da Nostra Signora Mafia che con l’A3 ha conquistato il più grosso ed eterno cantiere a cielo aperto! Ma non si sa che l’A3, meglio conosciuta nel mondo come l’Autostrada della morte, non doveva essere un’autostrada vera e propria. In realtà venne concepita e progettata per essere una Superstrada a quattro corsie. Anche per non pagare il pedaggio! Vi racconto il fatto per come esattamente avvenne. I lavori per realizzare la famigerata A3 Salerno-Reggio Calabria ebbero inizio nel 1962 e vennero completati nel 1974. Furono anni complicatissimi, carichi di grandi tensioni, sfide straordinarie, lavori difficilissimi, ma anche di indagini, accuse di aste truccate, tangenti, corruzione, infiltrazioni criminali. Più in là negli anni, ci sarebbero state altre indagini e tanti arresti. Ma una sera del 15 marzo 1974, al ministero dei Lavori pubblici in Roma, un tal sottosegretario, on. Giuseppe Maria Volani, si intrattiene fino a tardi con la sua segretaria di una vita, Maria Antonietta Di Giuseppe, una donna un po’ acida e altrettanto sorda, che alle soglie della pensione non lasciava mai da solo il suo amato padre padrone, l’onorevole sottosegretario Volani, anche lui prossimo al congedo. L’on. Volani chiede alla segretaria di comunicare all’Anas la data di inaugurazione dell’A3, la Superstrada del Sud, a 4 corsie: 2 verso sud e 2 in direzione nord, una delle più grandi arterie mai realizzate. Un capolavoro dell’ingegneria civile del nostro Paese. La signora Di Giuseppe, nello scrivere la lettera sotto dettatura, confonde (l’udito ormai cede giorno dopo giorno) “superstrada” con “AUTOSTRADA”. La vecchia Olivetti del ministero è lenta e rumorosa, ma non sbaglia mai. Come la segretaria: conosciuta per non avere mai sbagliato una virgola in 40 anni di onorato servizio al Ministero. Sin dai tempi del Duce! Così, il direttore generale dell’ Anas, comm., gr. uff., ing. Antonio Filippo De Fonseca, quando lesse la lettera con la data di inaugurazione dell’AUTOSTRADA Salerno-Cosenza-Reggio Calabria, il 13 giugno 1974 alla presenza delle più Alte cariche dello Stato, gli venne un dubbio per una sola frazione di secondo. Ma poi, pensando alla puntigliosità e alla permalosità del sottosegretario Giuseppe Maria Volani, e alla precisissima sua segretaria Maria Antonietta Di Giuseppe, al direttore generale non rimase che dare il via alle celebrazioni per l’inaugurazione dell’AUTOSTRADA Salerno-Cosenza-Reggio Calabria. I geometri dell’Anas, che avevano già predisposto i cartelli verdi con su scritto “SuperStrada A3”, dovettero immediatamente cambiarli tutti. Qualcuno di loro si lamentò di brutto: “Però, sti politici. Cosa non farebbero per farsi vedere grandi. Questa la chiamano autostrada. Ma chi ci crede?”. Il 13 giugno, festa di Sant’Antonio da Padova, l’Autostrada A3 venne inaugurata in pompa magna. Gli ingegneri progettisti si meravigliarono assai nello scoprire che la Superstrada A3 da loro progettata era improvvisamente stata denominata Autostrada. Ma non poterono dire nulla in quel momento di festa. E del resto, a cosa sarebbe ormai servito? Anche loro pensarono ad una “manovra politica” per far prendere più voti al Ministro dei Lavori Pubblici, il quale già aveva loro imposto di spostare il tracciato che in precedenza avevano disegnato: via dal mare e dalle coste, per salire su su fino alle montagne lucane e quelle silane! Ma tant’è. Ora, chi lo spiega al ministro Tremonti che quella che lui vuole tassare con il pedaggio non è un’autostrada? O meglio: che l’A3, autostrada lo è diventata per colpa della sordità di una segretaria del sottosegretario, ormai anziana e quasi senza udito? 88
Nella foto, Bruno Vespa
Vespa. Fa informazione? 20 Maggio 2010
Fare buona televisione significa contribuire a rifare grande questo Paese. Dalla prima alfabetizzazione e all’unificazione del(la) lingua(ggio) ad un input decisivo ad una nuova alfabetizzazione culturale. Un Paese-campus a cielo aperto che abbia al vertice del proprio sistema economico l’innovazione e quindi la ricerca, che sia però solo la punta di un iceberg che preveda anche una rete di formazione permanente nella chiave di risolvere il problema del lavoro e insieme di modernizzarci, certo, ma anche in funzione di quella rivoluzione culturale. Che la tivù può dare un contributo decisivo a realizzare. La tivù pubblica dev’essere un grande centro, plurale, di elaborazione (insieme ai cittadini) della cultura di questo Paese fatta dell’offerta, vivace, delle sue migliori sensibilità. Naturalmente con il minimo comun denominatore dell’onestà e della responsabilità. Altrimenti finisce come ieri sera: quando Porta a porta ha dato uno schiaffo alle varie crisi in corso in queste ore occupandosi di altro. Una scelta contro la quale si “scatena” l’invettiva (ironica) di Franco Laratta.
La
giornata di mercoledì scorso non è stata delle migliori. Borse ancora a picco. Pronti i tagli da 28 miliardi. Via libera al federalismo demaniale. Aspre polemiche in parlamento per la stretta sulle intercettazioni. Morto un fotoreporter italiano in Afghanistan. Ma Vespa cosa fa a Porta a Porta su Raiuno? Scodella come tema della serata: “In forma a passo di danza”! Con un imperdibile collegamento dal salone nazionale del fitness. Siamo ormai al ridicolo. Come fa la tv di Stato a non occuparsi dei grandi temi dell’attualità nazio89
nale ed internazionale? Come si fa a non approfondire temi stringenti come la drammatica crisi dell’Euro e l’allarme lanciato da Angela Merkel sulla tenuta dell’Unione? Come si può non anticipare i contenuti della manovra finanziaria che Tremonti aveva appena illustrato a Berlusconi? Come si fa a non discutere dell’articolo approvato in Commissione al Senato che prevede due mesi di carcere, con la sospensione dalla professione, per i giornalisti che pubblicano stralci di intercettazioni? Niente, niente di tutto questo. La serata di mercoledì scorso è stata tutta occupata dai problemi legati alla dieta degli italiani (Dio quanto mangiamo!), dalla necessità di fare esercizio fisico (almeno 3 volte a settimana), dall’obbligo per tutti di essere belli e sexy in vista dell’estate (via pancette e fuori i muscoli, dai!). Siamo davvero alla fine dell’informazione pubblica. Dopo il profumatissimo addio del “Santoro dalle uova d’oro” che chiude Annozero in cambio di qualche milione di euro (alla faccia del moralista!), dopo l’attacco a Rainews24 e le minacce a Parla con me, rimane libero e intoccabile il mitico Bruno Vespa, maggiordomo di Stato da circa 20 anni, gran ciambellano di corte, ossequioso e mite moderatore (?) dei celebri monologhi berlusconiani (è lui il notaio davanti al quale Berlusconi ha firmato lo storico Contratto con gli italiani). E solo uno come lui, con la sua forza, la sua potenza, il suo perduto senso del ridicolo, si può occupare in diretta tv di fitness e di danza, mentre l’euro va a picco e l’Unione europea rischia di crollare. Ah, dimenticavo. Nello studio di Vespa c’erano il ministro Galan (qualcuno si è accorto che è ministro?), l’inossidabile Sandra Milo, l’onnipresente nutrizionista di Stato Giorgio Calabrese. Quest’ultimo, sul finire della dotta trasmissione “ballerina”, ha suggerito “quale dieta per la prova costume”, con belle fanciulle che sfilavano in studio con costumi «in stile orientale»! Vespa, a quando uno spogliarello dal vivo? Dai, verso l’una si può! E siamo quindi giunti alla fine della trasmissione a discutere della dieta vegetariana “che compensa tutte le necessità”. Sì, va bene, ha obiettato qualcuno, ma come la mettiamo con la vitamina B12? E quindi l’aitante Rossano Rubicondi (ma chi è?) ha cantato “Come ti amo”. Davvero troppo! E a quel punto non ho retto più (ok, era l’una e mezzo, e gli occhi già si chiudevano…) e senza attendere i titoli di coda (tanto non li legge mai nessuno) sono così passato alla mia personale ed esclusiva prova pigiama (se a qualcuno dovesse interessare è di un bel colore rossonero, stile Milan). Buona notte a Vespa, buona notte all’informazione, buona notte all’Italia. Domani è un altro giorno, si vedrà.
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Nella foto la processione dell’ Affruntata a Sant’Onofrio (VV)
Ecco come la “mia” Calabria combatte l’ndrangheta 12 Aprile 2010 «Convertitevi alla gioia e all’amore»: con queste parole il vescovo di Mileto Luigi Renzo si rivolge ai boss durante la celebrazione dell’Affruntata, la processione che fino allo scorso anno era stata nelle mani delle cosche. Quest’anno, come il giornale della politica italiana vi ha raccontato sabato, la ribellione. A partire da questo episodio il deputato del Partito Democratico ci racconta in che condizioni si combatte (o no) la “guerra” alla criminalità organizzata.
Dai
Vattienti all´Affruntata. La Calabria del sangue e dei misteri. Oggi la ‘ndrangheta è un po’ più debole. C´è qualcosa di antico e di profano in questa nostra terra. Anche nelle sue più sorprendenti cerimonie religiose (spesso malviste dalla Chiesa stessa), la fede popolare detta il tempo, i modi, i ritmi. Avvolge tutto nel mistero del sangue e della fede, fonde il sapere della civiltà con il sapore del primitivo, sfida le certezze di un secolo che sembra non guardare più al futuro. Sacro e profano, mistero e conoscenza, sangue e preghiera. La Calabria dei suoi mille riti e delle sue secolari cerimonie religiose resiste alle tentazioni della modernità, alla irrealtà di Facebook, al valore della materia. Quando a Verbicaro (Cs), la notte dello scorso Giovedi Santo, ho visto i Vattienti battersi a sangue lungo le strade del paese, il pensiero è volato rapidamente alle più cupe storie del nostro Medioevo; ma i rumori dei bar del paese, aperti tutta la notte per servire whisky e coca in abbondanza a decine e decine di giovani curiosi provenienti da lontano, riportavano immediatamente il tempo ai giorni nostri, alle sue miserie e ai suoi peccati. Whisky e Vattienti, antico e moderno, fede e bestemmia. 91
Le contraddizioni di una società che lotta tra passato e presente, tra futuro e mistero, tra sangue e whisky! “Convertitevi. Gesù è morto e risorto anche per voi. E anche per voi si devono spalancare le porte del Sepolcro per la gioia e l’amore”. La voce del vescovo di Mileto, Monsignor Luigi Renzo, è giunta forte nell’omelia seguita alla cerimonia religiosa dell’Affruntata, la celebrazione religiosa sospesa a Sant’Onofrio il giorno di Pasqua a causa di un’intimidazione nei confronti del priore della Confraternita, e ripresa ieri, domenica. Fede e speranza, mafia e mistero, lutto e resurrezione. Sant´Onofrio si è ripreso la sua Affruntata, perché era ed è solo sua, oggi e per sempre. Una processione, un rito forte e suggestivo, carico di angoscia e di mistero. I tentacoli della `ndrangheta, a Sant´Onofrio (VV) come in decine di altri comuni calabresi, condizionano da sempre i riti e le cerimonie religiose. Nell´indifferenza generale. Gli uomini d´onore sono anche uomini di “fede”. E pregano, invocano, si inginocchiano, partecipano ai riti, e utilizzano persino i Sacramenti per affermare il loro potere. Lo denunciò, moltissimi anni addietro, l´allora arcivescovo di Crotone, Mons. Giuseppe Agostino, che pose un freno ai “padrini” delle cresime, che così confermavano davanti all´altare il legame con ilcresimando e con la sua famiglia. E da quel momento il rapporto diventava ancora più forte, quasi indissolubile, tra il ragazzo appena cresimato e il suo padrino, un rapporto di devozione e sottomissione. Per sempre! a presenza delle istituzioni all´Affruntata di Sant´Onofrio (finalmente riuscita dopo il rinvio di domenica scorsa), voleva e doveva essere solo presenza di testimonianza e solidarietà. Nulla di più. Né di meno. Poi ognuno deve affrontare con il suo lavoro, la sua professione, il suo impegno di uomo pubblico, la lotta a tutte le forme di criminalità, di minaccia e di violenza. Al di là delle parate, mi pare ovvio. La Calabria della gente comune e quella delle Istituzioni deve imparare a dire con forza i suoi no, alti e inequivocabili, in tutte le occasioni possibili, non lasciando mai da soli coloro che hanno coraggio e rischiano la loro vita nell´opporsi alla forza delle cosche. Come ha fatto la Chiesa di Mileto e di Sant´Onofrio, come ha fatto a suo tempo Mons. Agostino, come fanno i magistrati e le forze dell´ordine, gli amministratori locali e gli uomini delle istituzioni che resistono, combattono, attaccano la criminalità organizzata. E un duro attacco alla mafia è arrivato da una legge approvata di recente alla Camera (nonostante qualche centinaio di assenti… ingiustificabili!) che spezza il legame tra criminalità e politica, tra mafia e voto, tra clan ed eletti. È la cosiddetta “Legge Lazzati”, proposta dal magistrato calabrese Romano De Grazia, che alcuni di noi hanno “adottato” e fatto approvare dopo anni di attesa. De Grazia è un uomo valoroso, la Calabria non dimentichi la sua forza e il suo coraggio. Conoscendolo da vicino (con lui ho tenuto una decina di incontri pubblici per promuovere la “Legge Lazzati”) ho avuto modo di capire e apprezzare la sua ostinazione. Fede e mistero, sangue e coca, mafia e politica. La Calabria dei misteri è viva e forte. A volte cede, a volte resiste. Se lotta, e lo fa con convinzione, impara a vincere, sa che può sconfiggere anche le cosche: come a Sant´Onofrio stamattina.
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Nella foto, Bossi e Berlusconi: «Che te lo dico a fa’…»
L’arretratezza della politica italiana 8 Aprile 2010
Franco Laratta è uomo del Mezzogiorno che osserva da sempre, con gli occhi di chi lo deve raccontare (il grande scrittore calabrese) e guidare (il parlamentare Democratico), la propria terra (vetrino su cui scrutare al “macroscopio” una possibile deformazione di quanto avviene, tuttavia, anche in tutto il resto del Paese). Il deputato del Pd è dunque una delle persone giuste con cui provare a capire il fenomeno leghista al Nord, del clientelismo al Sud (con successo di Berlusconi). A partire dalla propria Calabria, il deputato Democratico ci svela un Paese (socialmente, e quindi culturalmente) arretrato che vota ancora sulla base delle proprie istanze individualistiche. Non dirmi ciò che farai per tutti e quindi anche per me ma ciò che farai (solo) per me. L’estremo opposto a quello al quale deve tendere la politica italiana per il futuro, che deve puntare a fare dell’Italia un Paese avanzato nel quale si riducano al minimo le sacche di povertà (culturale), ma che viva tutto insieme un processo di ri-alfabetizzazione (appunto avanzata) che gli consenta di riversarsi tutto insieme nell’alveo dell’innovazione tornando a poter essere, nel tempo, la culla (culturale, e quindi economica) del pianeta intero. Il saggio di Laratta, dunque.
I
mali e i problemi della Calabria non hanno il carattere dell’ unicità e dell’ esclusività. Sono mali comuni all´intero Paese. Il problema sta nel carattere patologico, questo sì, unico ed esclusivo, che assumono nel nostro territorio. Prendiamo la vituperata sanità. Non è una “questione meridionale”; il sistema così configurato non può che comportare perdite esorbitanti, da nord a sud. La sanità “gratis” per tutte le fasce di reddito è un costo troppo alto: solo due (tre?) regioni appaiono “virtuose”, mentre le restanti sono alle prese con problemi di bilancio, di inefficienza gestionale dei servizi, su cui la Calabria, smentendo il luogo comune, non ha il copyright. Anche un’eccellenza come l’ospedale “Gemelli” di Roma non è immune da disfunzioni, più contenute se si prende una stanza a pagamento, In Calabria, però, le criticità presenti anche altrove acquisiscono contorni macroscopici perché a concorrervi ci sono clientele e intrecci tra politica e amministrazione più spinti, e un malcostume diffuso tra il personale ospedaliero (dai vertici fino ai 93
livelli più bassi) che spesso incide sulla percezione dei cittadini più dei numeri e delle inadeguatezze materiali e immateriali. Ma prendiamo un altro caso. Quello del voto sganciato dagli “ideali”. Sarebbe ipocrita sostenere che nelle altre regioni d´Italia si voti per un ideale più che per la persona; e che l´eletto operi per il bene comune anziché per l´esclusivo interesse dei suoi elettori e del suo bacino territoriale. Il divieto di mandato imperativo, affermato dall´art 67 della Costituzione, come noto, ha natura formale, è disposizione sostanzialmente inattuata. Si dà conto agli elettori: gli stessi che a fine legislatura chiedono il “consuntivo” (la consulenza mi è arrivata? L´assunzione di mio figlio o di mio nipote c´è stata? Le strade ed il quartiere in cui abito sono migliorati?). Problema comune quindi, che in Calabria, ancora una volta, diventa cronico, perché lo squilibrio tra chi vota per un ideale (troppo pochi) e chi per soddisfare domande personali (tanti, troppi!) è marcato. Si spiega così la proliferazione di “filantropi” dell’ultima ora, indubbiamente nuovi e premiati per questo, ma che molto spesso scendono in politica per salvare se stessi prim’ancora degli altri. Poco importa se sono a digiuno delle più elementari nozioni camuffabili sotto un sempre apprezzato populismo: efficace ma con una scadenza ravvicinata. La politica è una cosa seria, difficile; che presuppone un livello culturale ed intellettuale non indifferente; non è facile conoscere i problemi, spesso pervasi da un eccessivo tecnicismo; non è facile dunque decodificare, farsi un’ idea su temi (spesso anche di grande attualità ed importanza), che la televisione banalizza, tratta alla stregua di merci da “magazzini generali”. Non tutti poi conoscono la storia dei partiti, delle idee, delle forme di pensiero. Non ci si può meravigliare, allora, del fatto che l´elettore, dinanzi a questi esempi, non si faccia portatore di chissà quali ideali, e che, di conseguenza, voti sulla base di uno schema eminentemente clientelare Le resistenze culturali al cambiamento, il bisogno e la povertà (più incombenti al Sud rispetto ad altri territori) sono variabili sufficienti a spiegare questa cronica patologia che si accompagna ad un approccio “acritico” verso qualunque proposta che tenga viva la speranza; verso qualunque proponente che offra quell’occasione negata in passato. Troppo spesso, e lo ribadiamo, al danno si aggiunge la beffa, perché il sedicente “salvatore”, finito l’incantesimo, riacquista i panni di meschino dispensatore di illusioni. Quando hai un lavoro stabile, una impresa, una certa solidità economica, è più facile votare per un´idea: e quella è la sola Politica, che persegue interessi generali che comprendono le quote latte ma non si fonda su esse; che affronta la disoccupazione ma non fa casting per assicurare al Tizio o al Caio più “grati” posti di lavoro; che s’impegna per migliorare il Paese, abbandonando il do ut des e rifiutando di agire seguendo matrici di favori e aspettative. Tra il modello più utopistico e quello di eccessiva dipendenza dalla politica per domande minute, personali, si inserisce quello in cui l’elettore, affrancato da bisogni primari, chiede al rappresentante una tutela per la sua categoria o il suo territorio. Ecco che in questa logica la Lega ha gioco facile. A tutti gli altri, invece, pensa Berlusconi, provetto fantino nel cavalcare le miserie altrui, salvo poi guardarsi bene dallo scendere a terra per i soccorsi. E la sinistra? Che fine fa? Nei confronti di questa tipologia di elettori è impotente; non riesce come la Lega a farsi espressione, nonché portatrice, di interessi settoriali e specifici. E non potrebbe essere altrimenti. Una politica delle idee prescinde dalle quote latte. Non riesce neppure ad “ammaliare” l´altra tipologia di elettorato, chiusa nel suo pseudo intellettualismo; prigioniera della sua presunta superiorità (anche morale), rispetto a Berlusconi. Ecco che le sue promesse non hanno lo stesso impatto. La sua presunta superiorità intellettuale e morale crea ilarità o al più distacco, disinteresse . 94
Nella foto, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
Il capo del governo 25 Marzo 2010
Il deputato del Partito Democratico ci propone questo ritratto straordinario del capo del governo. Un pezzo da non perdere. Sul giornale della politica italiana.
“…
un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, le sue manie di grandezza, offensivo per il buonsenso della gente… In Italia è diventato il capo del governo!”. “Il capo del Governo si macchiò ripetutamente, durante la sua carriera, di delitti che, al cospetto di un popolo onesto, gli avrebbero meritato la condanna, la vergogna e la privazione di ogni autorità di governo. Perché il popolo tollerò e addirittura applaudì questi crimini? Una parte per insensibilità morale, una parte per astuzia, una parte per interesse e tornaconto personale. La maggioranza si rendeva naturalmente conto delle sue attività criminali, ma preferiva dare il suo voto al forte piuttosto che al giusto. Purtroppo il popolo italiano, se deve scegliere tra il dovere e il tornaconto, pur conoscendo quale sarebbe il suo dovere, sceglie sempre il tornaconto. Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei. Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buonsenso della gente e causa delsuo stile enfatico e impudico. In Italia è diventato il capo del governo. Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano. Ammiratore in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia ma con numerose amanti, si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare”. *Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, che è del 1945, si riferisce a Benito Mussolini…*. Recuperato da Elsa Morante. P.S. Ogni riferimento a personaggi viventi è puro frutto della fantasia del lettore! 95
Il presidente del Consiglio applaude: l’aula vuota di ieri o quella stracolma per il legittimo impedimento?
In 590 in aula per il legittimo impedimento
Solo 350 per la confisca dei beni mafiosi Ecco i due mondi che confrontavamo ieri 12 Marzo 2010
Franco Laratta che ci propone questo “specchietto” (per le allodole?) sui due mondi che si contrappongono oggi nella nostra politica: quello reale (che guarda anche al virtuale di internet), ben simboleggiato dal presidente della Camera; quello autoreferenziale e fine a se stesso, che contraddice il primo e il Paese reale. Sentiamo.
La
legge per la confisca del patrimonio mafioso: presenti al voto 350 deputati. Legge sul legittimo impedimento del premier: presenti al voto 590 deputati! La Camera ha approvato, all’unanimità dei presenti, la legge che istituisce l´Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Una legge importante per la lotta alle mafie, che sono particolarmente sensibili ai loro patrimoni e ai beni in loro possesso. Nonostante alcuni importanti emendamenti migliorativi dell’opposizione non siano stati accolti, la legge è un buon passo avanti, una bella occasione per lo Stato, che ora ha un’arma in più per combattere la malavita organizzata e le mafie del nostro Paese. PECCATO, dico davvero peccato, che al voto finale di conversione in legge del decreto-legge 4 febbraio 2010 di cui sopra fossero presenti in aula solo circa 350 deputati (moltissimi gli assenti nel centro-destra, qualche ministro presente al momento del voto)! MENTRE all’approvazione della legge sul legittimo impedimento del premier erano presenti e votanti ben 590 deputati (la destra al gran completo, il governo al gran completo compresa la ministra Gelmini con il materno pancione in bella evidenza!). Davvero peccato. 96
Nella foto, il senatore Nicola Di Girolamo con il boss dell’ndrangheta Franco Pugliese
Mafia&politica, forse il giocattolo si è rotto Ecco decadenza (e ineleggibilità) degli “eletti” . 26 Febbraio 2010
Non solo: ai mafiosi, che già erano (ovviamente) ineleggibili, sarà d’ora in poi vietato anche di fare campagna elettorale. Si chiama legge Lazzati e porta la firma, tra gli altri, di due parlamentari dei due opposti schieramenti che al giornale della politica italiana stanno molto a cuore: Franco Laratta e Angela Napoli. Ed è proprio il deputato del Pd che ci racconta come, con molta fatica, si è arrivati a questo traguardo storico (alla Camera; bisognerà comunque attendere il “sì” definitivo del Senato) per la lotta, appunto, alle infiltrazioni mafiose e all’intreccio tra la nostra politica e la criminalità organizzata. Sentiamo, dunque, Laratta. Solo sul giornale della politica italiana.
Legge
Lazzati. Il coraggio del giudice Romano De Grazia! Dobbiamo dire davvero grazie al giudice calabrese della Corte di Cassazione, Romano De Grazia, per la cosiddetta «legge Lazzati», approvata l´altro ieri dalla Camera dei deputati. Una legge che è un importante strumento di lotta alla mafia e alla corruzione politica. Romano De Grazia combatte da anni una dura e aperta battaglia contro il disonorevole intreccio mafia-politica. La legge Lazzati, ispirata da De Grazia e dal suo centro studi, prova a rompere energicamente l´intreccio. Intanto stabilendo un reato nuovo: la propaganda elettorale da parte dei mafiosi e sorvegliati speciali. Finora, un boss 97
poteva essere interdetto dal voto, ma fare tranquillamente campagna elettorale per favorire l’elezione di un sindaco, un consigliere regionale, un parlamentare a lui contigui. Ora è un reato punito con 5 anni di carcere. Ma non è punito solo il boss che fa campagna elettorale, sarà punito anche il beneficiato. Cioè il sindaco, il consigliere regionale, il parlamentare. Coloro, cioè, che hanno richiesto e ottenuto l´appoggio elettorale del boss mafioso per farsi eleggere. Per essi è prevista la decadenza immediata! Una pena, dunque, durissima. Decadenza, e successiva ineleggibilità, che sarà automatica, senza margini di discrezionalità nell’interpretazione. La Camera ha approvato la legge a conclusione di un iter lunghissimo, non senza una forte lacerazione nel centro-destra (ben più di un centinaio di deputati si sono assentati, 35 astenuti, 7 contrari) e non senza il goffo e disperato tentativo di alcuni deputati del Pdl che con i loro emendamenti (quelli di Pecorella in particolare) hanno tentato di svuotare, banalizzare, vanificare la legge, rendendola inoffensiva. In Aula di Montecitorio ci sono state ore concitate e momenti di tensione altissima. Mentre la relatrice della legge, la coraggiosa Angela Napoli (che per le sue battaglie e la sua storia meritava molto di più dal suo schieramento politico) era assediata dai suoi, nel dibattito parlamentare si sono distinti i parlamentari calabresi (Oliverio, Occhiuto, Villecco, Laganà, Lo Moro), mentre è toccato al sottoscritto (mi si perdoni l´autocitazione, ma a questa legge credevo moltissimo) rifiutare alcune ipotesi di intesa al ribasso proposte dal centro-destra. Durissima anche Doris Lo Moro che come me ha lottato per evitare il ridimensionamento delle norme. In difesa del testo della legge e dei suoi principi irrinunciabili, abbiamo coinvolto i membri del Pd della Commissione giustizia e lo stesso capogruppo Franceschini che ci è stato di grande aiuto. Alla fine gli emendamenti sono stati tutti ritirati. Quando tra il 2006 e il 2008 ho accompagnato Romano De Grazia in giro per la Calabria per spiegare, in decine di convegni pubblici, il valore e la portata storica di questa legge, non avrei mai immaginato che venisse approvata. Considerate anche le ostilità mostrate da tanti parlamentari, e le numerose accuse di incostituzionalità che abbiamo sempre respinto con energia, grazie anche al sostegno di magistrati autorevoli, giuristi di altro profilo (per tutti Vittorio Grevi sul Corriere della Sera), presidenti emeriti della Corte costituzionale: tutti scesi in difesa della legge Lazzati! In difesa della legge sono scese molte istituzioni, enti locali, il consiglio regionale, tante associazioni. Ora la Camera ha approvato il testo con poche modifiche rispetto alla nostra prima formulazione; testo che passa al vaglio del Senato. Se davvero si riuscisse ad approvarlo definitivamente prima delle regionali, sarebbe un ulteriore successo. In ogni caso, avremo presto uno strumento di grande importanza, direi di portata storica, nella lotta contro l´intreccio mafia-politica. D´ora in poi combattere l´infiltrazione mafiosa nelle istituzioni sarà più facile; così come colpire quei politici che si serviranno dei voti della malavita organizzata per farsi eleggere. Non è una risposta definitiva, ma è certamente uno straordinario strumento a disposizione degli inquirenti, delle forze di polizia e dei giudici. Tutto questo grazie ad un magistrato coraggioso, determinato e instancabile che ha offerto al Parlamento e al Paese una proposta di legge che segna un traguardo storico.
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Nella foto, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: rassegnato?
Quindicennio, è l’inizio della fine 20 Febbraio 2010
Nel solco della tradizione dei grandi quotidiani americani, già battuto nei giorni delle primarie per la segreteria del Partito Democratico in cui il Politico.it fece il suo endorsement e poi diede spazio anche ad opinioni differenti, il giornale della politica italiana propone quasi ogni giorno editoriali che non necessariamente rappresentano la linea del giornale. Ma sono contributi autorevoli al dibattito pubblico della nostra politica che sempre più si svolge in primo luogo su queste colonne. Quello di oggi è firmato dal grande giornalista e scrittore calabrese, nonché deputato Democratico, e parla della crisi, morale, di consenso e diremmo “istituzionale” (ovvero non solo nell’immediata mancata approvazione da parte dei cittadini bensì anche proprio nell’incapacità di assolvere alla propria funzione al di là di ogni più o meno fondato consenso contingente) della nostra politica e in particolare di quella metà traversale che governa il Paese ai suoi diversi livelli, a cominciare naturalmente da quello, dominante, di Palazzo Chigi. L’interpretazione è che tutto questo, la corruzione, il crollo nei sondaggi, la difficoltà montante siano i segnali che questo quindicennio sta finendo. Sentiamo.
Non
so se è una mera sensazione. O un falso allarme. O un desiderio. Eppure, questa volta, molti credono che il castello di corruzione, inganni. bugie, messo in campo in 15 anni, in un crescendo furioso che non ha precedenti nel mondo, sta cominciando a vacillare. Sappiamo tutti che prima o poi dovrà succedere. È già successo in altre epoche, in altri Paesi. Il regime quando scoppia di salute, quando sembra avere un consenso smisurato, quando governa con il pugno duro, sprezzante delle leggi e perfino della Costituzione, quando al suo interno si scatena una guerra per la spartizione del potere… allora la fine è vicina. È capitato ai “regimi popolari”, ai sistemi con a capo ducetti di periferia, agli Stati presi in ostaggio da dittatori senza scrupoli, perfino ai sistemi democratici che nel `900 hanno governato alcuni Paesi europei per decenni. Succederà anche ora, dopo quasi un ventennio, a questo nostro Paese, ostaggio di un gruppo di potere che ha messo in piedi un sistema basato 99
sul controllo dell´informazione, sulle menzogne più violente, su un populismo sfrenato che ha ingannato per anni il cittadino-telespettatore-elettore. Un “regime democratico” che ha sconvolto la Costituzione, messo a tacere il Parlamento, aggredito la Magistratura, ingannato gli italiani. Qualcosa si vede già. Il consenso popolare comincia lentamente a scemare; le indagini della magistratura rivelano un livello di corruzione spaventoso; lo stesso Primo Ministro indagato su più fronti ha dovuto inventarsi più leggi ad personam per sfuggire alle condanne penali; le contestazioni pubbliche sempre più forti e sempre ben oscurate dai Tg; i cittadini dell´Aquila che hanno messo a nudo il grande imbroglio del terremoto; la gelatinosa vicenda della Protezione civile che sta esplodendo con tutta la sua potenza; le Brambilla di governo che ormai sembrano maschere della democrazia del can-can; i rapporti tesissimi con la Chiesa, la sfiducia degli industriali, dei lavoratori, dei disoccupati; la faccia sempre più nera di un Primo Ministro che ormai nemmeno ride più di se stesso e delle sue barzellette; la guerra casalinga per il controllo dell´impero di famiglia; l´addio della consorte e la sua invettiva sulla malattia di un marito dedito ai vizi più inconfessabili! In un anno è successo di tutto; negli ultimi mesi è successo di peggio; negli ultimi giorni il clima è sempre più da fine regime. Il Premier, astuto e abile venditore di fumo, aveva capito, già un anno fa, che il terreno stavacedendo. Già da alcuni mesi cercava qualcosa ad effetto, un´idea geniale tipo predellino, da poter sfruttare per tornare ad essere il più amato dagli italiani. Soprattutto dopo le storiacce delle minorenni, le vicende delle escort e il bordello di Stato che era diventato tutto quello che lo circondava. Mesi e mesi a cercare qualcosa per stupire gli italiani. Poi il colpo geniale c´è stato davvero, ma è stato un fattaccio improvviso e imprevedibile, che lui ha colto al volo e utilizzato per mostrarsi vittima sanguinante del clima di odio messo in scena da comunisti e magistrati. L´Italia si è commossa, il mondo si è preoccupato, lui si è concesso una clausura troppo lunga e tanto misteriosa, che doveva creare un clima di grande attesa per il ritorno sulle scene, ma è stato trattato come un fattaccio che il Paese stanco e provato ha digerito in pochi giorni. Ed ora che gli scandali e la corruzione imperversano, che il malaffare di Stato viene alla luce nella sua gravità, che gli “scodinzolini” televisivi provocano un rigetto molto pericoloso… il Presidente annusa che qualcosa non va davvero; che il clima si è fatto pesante; che il regime democratico e affaristico da lui messo in piedi si sta esaurendo. Qualcuno ha cominciato a contare davvero. Forse passerà un anno, forse due. Ma, forse prima del previsto, qualcosa di grave accadrà. Con gli elementi che oggi abbiamo in possesso e che si espandono a vista d´occhio, possiamo dire tranquillamente che l´inizio della fine è cominciato! Sarà una fine rovinosa, che farà molti danni. Ma nessuno la può più fermare.
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Nella foto, Renato Brunetta appisolato
Brunetta, vietato ai maggiori di 18 anni 20 Gennaio 2010
Straordinario pezzo a metà tra satira (e) politica del deputato del Partito Democratico e grande giornalista e scrittore calabrese. Laratta “affonda” nei confronti del ministro della Pubblica amministrazione sottoposto al fuoco di fila dell’opposizione per la sua proposta di una legge (che oggi dice: «Era solo una provocazione ») che costringesse i ragazzi a lasciare casa raggiunti i 18 anni di età. Dopo la coordinatrice nazionale dei giovani Idv, direttamente tirata in causa da Brunetta, sono i Democratici a scegliere il Politico.it per rispondere all’esponente dell’esecutivo che, del resto, ha dovuto fare i conti anche con la freddezza dei propri colleghi di governo, a cominciare dal ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Ma il pezzo del parlamentare del Pd è molto di più: è un ritratto di polemica politica, che contiene però anche idee per i giovani, le politiche familiari e della casa nel nostro Paese. Buona lettura.
L’
anno non poteva cominciare senza l’ennesima eruzione del vulcanico ministro Brunetta, volenteroso garzone di bottega che ha ereditato dal capomastro la peculiare abilità di vomitare magma incandescente che evapora nelle ventiquattro-quarantotto ore successive. I cittadini ormai attendono le sue colate con l’impazienza che si riserva alle feste comandate. Lo spirito, invece, è quello che accompagna la visione dei Cinepanettoni: tanto vituperati, tanto frequentati, tanto deludenti all’uscita dalle sale, ma prodigiosi per la propria autostima. Dal suo insediamento ad oggi, il titolare della Funzione pubblica si è esibito in un crescendo rossiniano di enormità, che nessuno meglio del Trio Medusa potrebbe qualificare. La trilogia fantasy, iniziata con i fannulloni e proseguita coi poliziotti panzoni, si è conclusa giorni addietro con la lotta ai bamboccioni: ultimo episodio di una saga dal finale aperto, com’è nello stile del ministro, ora trepidante di salire in gondoletta pur di sottrarsi all’annunciato flop. 101
«Fuori di casa a diciotto anni!» ha tuonato. Con una sentenza lapidaria, eccessiva persino per il commentatore più qualunquista dei tribunali televisivi, scritturato per aggredire e non ponderare, in omaggio allo spettacolo. «Fuori per legge!» ha rincarato, coprendo d’imbarazzo la sua maggioranza, tanto da disturbare la gestazione del ministro Gelmini, che, interpellata sull’argomento, ha auspicato per i giovani una tempestiva emancipazione dalla famiglia, omettendo, causa improvvisa doglia, la modalità. È intervenuto addirittura un sorprendentemente moderato Calderoli, che ha richiamato il collega utilizzando un’incisiva espressione con la quale pure stavolta non ha tradito il suo inconfondibile buon gusto. Quello di Brunetta è vero che sarebbe stato uno dei pochi provvedimenti adottati da questo governo per un numero di destinatari superiore all’unità. Ma annunciare il superamento di un problema drammatico per le nuove e… seminuove generazioni, invocando una misura che invece di rimuovere le cause punisce gli attori deboli e biasima la solidarietà dell’istituto famiglia, unico ammortizzatore sociale su piazza in un sistema sclerotizzato, è cinica fantapolitica. Anzi no, è la loro politica! Un ministro “stana” i bamboccioni agendo su welfare, formazione, lavoro, abbinando meritocrazia ad equità sociale, promuovendo sostegno ai redditi bassi, erogazione di assegni mensili ai disoccupati, periodica formazione, tasse universitarie e affitti accessibili, incentivi all’imprenditoria… L’elenco è lungo. E la sua applicazione rigorosa toglierebbe tempo e spazio alla fame di visibilità dalle radici psichiche profonde che istiga Brunetta a spargere con nonchalance i suoi “si salvi chi può” mascherati dietro ricette inconsistenti. Un governo normale procede per gradi: mette prima in campo gli strumenti e a successo registrato si compiace della propria azione. Quello in carica salta i passaggi preliminari. Un governo non autoreferenziale adotta politiche serie: premia coloro che sanno cogliere le opportunità, i quali, superando abusati luoghi comuni, alle tagliatelle di Nonna Pina preferiscono una solida indipendenza che non li faccia rincasare a distanza di tempo con più umiliazione di quando erano partiti; rispetta però anche i bamboccioni impenitenti, liberi di seguire il proprio stile di vita senza accampare pretese. E come potrebbe essere altrimenti, se lo stesso ministro ha candidamente ammesso di aver militato a lungo tra le loro file? Proprio questo coraggioso coming-out insinua un’inedita chiave di lettura delle esternazioni di Brunetta. Crediamo che il pretestuoso attacco ai bamboccioni celi uno scaltro uso privatistico dei media. Dichiarare di aver imparato a riordinare il letto, a cucinare due uova al tegamino e cavarsela nelle piccole faccende domestiche è un inequivocabile messaggio di rassicurazione per la sua futura sposa. Laddove soldi e professione non hanno risolto il complesso di aver accanto una compagna attraente, con questi talenti in dote, il narciso ministro certifica l’acquisita emancipazione e offre garanzie sulle eventuali ingerenze materne, precondizioni perché la sua “metà” acconsenta alle nozze. Ma le garanzie sono sempre revocabili. E se la stizzita sposina rinfaccerà al marito di abbandonarla nei weekend preferendole i pranzi di mammà, lui potrà difendersi ricordandole che la legge, la sua legge, obbliga alla gentilezza!
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Quegli immigrati? La nostra Africa 10 Gennaio 2010
Appena rientrato da Rosarno, dove si è recato per seguire personalmente l’evolversi della situazione, il deputato del Partito Democratico consegna al giornale della politica italiana questa riflessione a caldo sui fatti di questi giorni. Un pezzo indignato, che lo scrittore calabrese rivolge ai propri corregionali dimentichi di una Storia che scrive Laratta li accomuna alle persone che ora pretendono di scacciare, in nome di una ”civiltà” che tradiscono ogni giorno. Un ritratto delle mille Rosarno che costituiscono il nostro Paese e che si coprono gli occhi di fronte al loro (Continente) nero quotidiano. Buona (per quanto possibile) lettura.
Quante
immagini di disperazione e di angoscia. E quanta Calabria c’è in questa Africa che ricompare d’improvviso e turba i sogni di un Paese distratto. Loro, gli africani di Rosarno, sono lì da sempre. Sono servi, schiavi, bestie che fanno ciò che i calabresi, gli italiani, da tempo non fanno più. E lo fanno a poco prezzo, senza alcun diritto, senza alcuna pretesa. Anche 14 ore di lavoro consecutive, poi giù nel profondo della nostra miseria, rinchiusi come bestie, maltrattati come schiavi. Sono i calabresi d’un tempo, quegli emigranti senza diritti che vagavano come fantasmi nel mondo che voleva farsi ricco al prezzo del loro sangue. Loro sono oggi quello che i calabresi sono stati per troppo tempo. Quante Rosarno ci sono in Italia, in Europa? Quante ce ne saranno ancora? Le Rosarno che diventano sempre più intolleranti, che mal sopportano i loro schiavi, che li vogliono obbedienti fino alla morte. E quando lo schiavo osa alzare la voce, o perfino protestare, e finisce per abbandonarsi all’odio, allora le mille Rosarno si riscoprono “civili”. E invocano civiltà! Un Paese sempre più civile che pratica i respingimenti, che guarda senza pietà alcuna all’immenso cimitero d’acqua che bagna le nostre coste, che vuole cacciare i diversi, coloro che hanno una pelle di un colore diverso, che pregano un dio diverso, che hanno una legge diversa. Questa Italia dalle mille Rosarno, oggi si difende da sé, ha voglia di chiudere con le proprie mani i conti con i disperati delle nostre periferie, con i derelitti e gli appestati del terzo millennio, con coloro che sporcano i nostri giardini, violentano le nostre donne, rubano nelle nostre case. Giustizia sommaria, rapida, veloce: qualche pullman del ministero e via gli appestati nei moderni centri di concentramento, rinchiusi per mesi in attesa di chissà che cosa. Quanti di loro alla fine mancheranno all’appello, quanti moriranno ammazzati e bruciati da qualche parte, quanti semplicemente non esisteranno più sin da ora… La nostra Africa, la nostra coscienza sporca di gente per bene, di onesti cittadini, di riconosciuti cattolici, apostolici, romani, di bravi italiani che stuprano e ammazzano la vicina di casa, che calpestano i diritti degli altri, evadono il fisco, si drogano, si assentano dal lavoro, eleggono politici corrotti, convivono con mafia, camorra e ‘ndrangheta, che non vedono, non sentono, non parlano. Bravi cittadini noi. Loro, la nostra Africa quotidiana.
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Nella foto, Mina Mazzini
Ma il 25 marzo è anche la festa di un mito
Grande Mina compie 70 anni: voce e idee. Ed ecco l’omaggio della politica italiana 19 Marzo 2010
La nostra politica sceglie il suo giornale per celebrare pubblicamente il compleanno della «voce bianca più bella del mondo», che è anche una grande intellettuale. Lo fa per la penna di un amico, di Mina, il “nostro” Franco Laratta, che firma il ritratto che stiamo per proporvi. Un pilastro, della musica ma anche (più in generale) della cultura (civile) italiana degli ultimi cinquant’anni che non è più possibile ascoltare dal vivo dopo il suo ritiro, ormai 30 anni fa, dalle scene. Ma che gli italiani continuano ad ascoltare nella sua rubrica settimanale su la Stampa, e negli interventi sulle più prestigiose testate del Paese. Brevissima pausa (ma fino a che punto?) dalla politica italiana per questi auguri speciali a Mina.
Quando
Carlo Azeglio Ciampi lascia il Quirinale, dice di voler seguire il “metodo-Mina”. Ovvero continuare a lavorare, ad esserci, senza più apparire. Basta tv, basta in-
terviste, basta incontri pubblici. Il “metodo-Mina” a cui fa riferimento il presidente emerito è stato per molti un suicidio artistico annunciato. Fu così per la Divina Greta Garbo, morta in condizioni di totale abbandono e isolamento nel suo rifugio; fu così per Lucio Battisti, che per colpa del suo ritiro dalle scene e da ogni contatto umano, non riuscì più a trovare un’etichetta che distribuisse i suoi ultimi controversi album. Fu così per illustri personaggi della storia e della politica. Non è stato così per Mina. A 30 anni di distanza dal suo ritiro dalle scene (ma in realtà smise di fare film a fine anni ’60; lasciò la tv nel 1974 dopo 15 anni di trionfi al sabato sera, quindi abbandonò i concerti dal vivo nel 1978), lei non solo non ha subìto alcuna conseguenza 104
in termini di successo e di vendita di dischi. Al contrario, è diventata una leggenda vivente, un’assenza più forte della presenza stessa. Lei è tuttora osannata, amata, desiderata da tutto il mondo dello spettacolo. Continua a vendere dischi nonostante la grave crisi del settore discografico. Continua a scrivere deliziosi fondi su alcuni giornali e riviste, e continua a interessarsi di musica e delle nuove generazioni che coccola e sostiene. Il 25 marzo Mina compie settant’anni. In spregio alle tante mode buone per una stagione, ai progetti discografici usa e getta dove l’immagine fagocita la musica, appaltata agli autotune delle sale d’incisione, miracolosi nel raddrizzare stonature sui “tormentoni in serie”, impietosi nello standardizzare l’emozione, la Tigre di Cremona, come la ribattezzò Natalia Aspesi, non conosce “acciacchi”, e ruggisce incontrastata col suo regale, inconfondibile strumento: “la più bella voce bianca del mondo” secondo Louis Armstrong e molte altre star internazionali (Sinatra, Minnelli, Fitzgerald…), rapite dallo straordinario talento musicale della signora Mazzini. Tre ottave percorse con funambolica agilità e un timbro originale, caldo, che con la maturità si è colorato di nuance più scure valorizzando la già spiccata forza interpretativa, costituiscono il ricco bagaglio tecnico e di temperamento con il quale Mina ha attraversato cinquant’anni di successi, da poco ricordati nonostante la sua rispettabile insofferenza a tutto ciò che ha il sapore di anniversario o celebrazione. Le ineguagliate qualità vocali e un repertorio ampio, policromo e di ottima fattura, assemblato d’istinto e slegato da vincoli stilistici, non sono tuttavia sufficienti a dipanare un personaggio così complesso; tanto meno a spiegare come l’interprete italiana per antonomasia, disobbedendo alle più elementari regole sulla costruzione sociale dei divi, sia riuscita a scavalcare il recinto delle canzonette e guadagnarsi presso i diversi strati della società un’autorevolezza di donna comune circondata dall’aura del mito che, per quanto ella stessa si ostini a cancellare, le rimane tatuato indelebilmente sulla pelle. Ciò accade perché Mina non è solo la splendida cantante, prima urlatrice, poi sofisticata, ma sempre anticonformista e innovativa. È da cinquant’anni la voce del nostro Paese, imbrigliato nelle sue mille contraddizioni. Sin dagli esordi, non si è limitata a raccontare le pagine della storia, ma ha contribuito a rovesciare i gusti e il costume di un’Italia provinciale e bigotta che usciva dalla guerra e cominciava a sentire il profumo di nuovi fermenti sociali, economici e culturali. L’esuberante presenza scenica di una spilungona di 1,78, mediamente più alta dei suoi talvolta imbarazzati colleghi maschi, era una novità per il mondo dello spettacolo. Gli occhi grandi, le labbra carnose, un sorriso avvolgente, e gambe lunghe che sfoggiarono le prime minigonne in tv, turbavano gli ambienti meno progressisti. Totò l’accostò ad “[...] un contrabbasso, con quelle carni bianche da gelato alla crema. Ma se si spengono le luci e comincia a cantare, da quella voce escono grandi palcoscenici, pianto e risate”. Mina mette in naftalina le mise inamidate, gioca sul look, a tratti eccessivo ma mai volgare, e diventa presto un’icona per le ragazze degli anni ’60, che ne imitavano il trucco, l’abbigliamento, lo stile. Ai fraseggi morbidi, predilige un uso della voce ora divertito, ora sfacciato, accompagnato da gesti frenetici per scandire ritmi estranei alla tradizione melodica di quegli anni. Adotta invece la sensualità per interpretare testi “forti”, ammiccanti, su cui la solerte censura del tempo non risparmiò la sciagurata mannaia (Ancora ancora ancora, L’importante è finire, Nuda). Domina le scene, presta il volto e la voce alla televisione, lancia le mode, cambia la mu sica 105
italiana, apre la strada del successo a quei cantautori che diversamente sarebbero stati dimenticati (Il cielo in una stanza di Gino Paoli diventa un clamoroso successo solo dopo l’interpretazione di Mina. Stesso discorso per La canzone di Marinella di De Andrè, a proposito della quale l’autore scrisse : «Se una voce miracolosa non avesse interpretato nel 1967 La canzone di Marinella, con tutta probabilità avrei terminato gli studi in legge per dedicarmi all’avvocatura. Ringrazio Mina per aver truccato le carte a mio favore e soprattutto a vantaggio dei miei virtuali assistiti»). Mina deborda dall’angusto perimetro dello spettacolo grazie alla sua personalità: la impiega tanto nelle canzoni quanto nel difendere le proprie scelte di vita, scoperchiando le ipocrisie di un Paese profondamente arretrato che mortificava la condizione femminile aggrappandosi ad un retaggio farcito di conformismo culturale e invadente clericalismo. La scelta di tenere il bambino (Massimiliano Pani) concepito con un uomo già sposato le costa l’allontanamento dallo show del sabato sera. Era il 1963, la Rai e parte della stampa additano, biasimano quella ragazza trasgressiva a cui è giusto precludere il video. L’ostracismo riservato alla “peccatrice” non condizionò l’amore che il pubblico nutriva nei suoi confronti. Lo testimoniano la spasmodica attesa per un suo ritorno sulle scene e i tantissimi attestati di solidarietà espressi: « Mai vista - dichiara la cantante ad un intervistatore - una serie così di regali da tutta Italia, di lettere. ‘Stai tranquilla,’ per la strada mi dicevano ‘non ti devi preoccupare’». Quel suo gesto produsse una prima clamorosa reazione nell’opinione pubblica, S’infranse un tabù che opprimeva le donne italiane. Nei ceti più progressisti e nei contesti metropolitani si cominciava a parlare di liberazione femminile. Per tutto questo, Mina è considerata un illuminato e illuminante personaggio della storia moderna del nostro Paese, che ha accompagnato gli italiani nelle tappe sociali, economiche, culturali di cinque decenni. Dal boom economico (La canzone di Marinella, Tintarella di Luna, Nessuno, Il cielo in una stanza) ai difficili anni ’70 (Grande grande, Parole parole, E poi, L’importante è finire, Ancora ancora ancora); dagli anni ’80 dell’ ‘edonismo reaganiano’ (Questione di feeling, Via di qua, Serpenti) agli anni ’90 dei grandi cambiamenti politici e sociali (Mina trionfa in classifica con eleganti e raffinati album: Cremona, Napoli, Mina Celentano), fino agli inizi del terzo millennio che segnano eventi drammatici in tutto il mondo (Mina dà il meglio di sé con album di indiscusso valore: Dalla Terra ovvero mille anni di musica sacra in latino, Todavia, con il quale torna sui mercati latino-americani, Sulla tua bocca lo dirò, omaggio a Puccini). Per lei si sono spesi grandi artisti a livello mondiale. Frank Sinatra la voleva negli States per una serie di concerti insieme. Federico Fellini la voleva nei suoi film. Mina, che poteva diventare una grande attrice, dice di Fellini: “Un uomo di genio toccato dalla grazia. Mi rendevo perfettamente conto di essere di fronte a una di quelle rarissime miracolose creature che scendono sulla terra per consolarci e migliorarci. [...] sono quelle genialità imprevedibili, quelle umanità inspiegabili coi criteri razionalistici, che innestano un pezzetto di cielo nella nostra quotidianità…”. “E la controprova del genio - prosegue la cantante - è che gli viene tutto facile, che la melodia scorre come l’acqua di un ruscello e si fissa sul pentagramma, come per Mozart che non aveva bisogno di cancellature”. Ma né con Sinatra né con Fellini, Mina volle far qualcosa. E proprio all’apice della sua carriera, consacrata regina della canzone, dei juke box, della 106
tv e della stampa specializzata, abbandona le scene: al 1974 risale l’ultimo show televisivo, Milleluci, in coppia con Raffaella Carrà (sua, la profetica sigla finale Non gioco più); il 1978 è l’anno del suo ultimo concerto, tenutosi alla Bussola di Viareggio e replicato per 15 serate durante l’estate. Nessuno conosce le ragioni di questa scelta. Forse per la sua pigrizia, forse perché già troppo oppressa da tv, spettacoli, concerti dal vivo. Quasi certamente perché braccata dai giornalisti che le rendevano la vita impossibile, sempre a caccia di scoop e di fatti clamorosi che la riguardassero. Di sicuro, lei ha sempre desiderato fare l’interprete, essere solo cantante, a tempo pieno, scegliere lei come, quando e soprattutto cosa cantare. “Io voglio solo cantare” dirà sin dal primo momento, anche se finirà per essere una diva a tutto campo. Grazie alla casa discografica fondata nel 1967, la Pdu, si libera dai condizionamenti dei discografici, se ne va in Svizzera e diventa padrona di se stessa. La Mina che oggi compie settant’ anni vive nella sua Lugano, rifiuta le tv e la scena pubblica. Per nulla rivolta al passato, segue dal suo rifugio le mode e la musica, affascinata dalle novità, dai segni del cambiamento, dall’originalità. Continua ad incidere un disco doppio all’anno (e per venticinque anni, caso unico al mondo). Con la sua etichetta, libera e indipendente, esplora il mondo musicale spaziando tra i diversi generi, ribadendo la sua innata versatilità: canta l’America degli ’30 e ’40 (Plurale); incide i brani dei più importanti artisti (Minacantalucio, Mina quasi Jannacci; Mina canta i Beatles, L’Allieva, dedicato a Frank Sinatra, Mina Celentano); passa dalla sua grande passione, il jazz (Lochness), alla musica sacra (Dalla Terra); riprende in maniera splendida la musica napoletana (Napoli e Napoli secondo estratto); si diverte con musica di qualità, strizzando l’occhio alla novità (Attila, Kyrie, Bula Bula, Veleno, Facile), per culminare nel suo delizioso e rispettoso omaggio al melodramma italiano (Sulla tua bocca lo dirò). Mantiene i contatti coi grandi nomi italiani e stranieri della musica, ma non trascura le nuove generazioni di autori e interpreti che con generosità e immutata lungimiranza coinvolge in collaborazioni artistiche (nel suo ultimo cd, canta con Manuel Agnelli degli Afterhours e Boosta dei Subsonica). Scrive su quotidiani e settimanali, confermandosi donna colta e ironica, attentissima ai temi dell’attualità (basti leggere ogni sabato la sua nota sulla prima pagina della Stampa). Telefona ogni tanto ad amici e conoscenti per esternare il suo pensiero (nel marzo 2010 ha chiamato anche me, ma questo è irrilevante nel contesto). Nel 2001 la cantante torna a sorpresa sulle scene, ma solo attraverso Internet, sul portale Wind, dove vengono trasmesse le riprese di alcune sessioni di registrazione. Dalle riprese verrà tratto il DVD Mina in studio, con vendite record che supereranno le 50.000 copie (la media vendite dei DVD non supera in quegli anni le 3.000 copie per titolo). L’evento, con un record di 15 milioni di contatti da tutto il mondo, è stato fra i più seguiti di tutti i tempi in Italia. Il 17 febbraio 2009 Mina torna a stupire: appare a sorpresa in televisione con un video, sigla di apertura del 59º Festival di Sanremo. In esso interpreta dal vivo con l’orchestra di Gianni Ferrio Nessun dorma dalla Turandot di Giacomo Puccini. Il brano fa parte del nuovo album di arie classiche uscito il 20 febbraio 2009 dal titolo Sulla tua bocca lo dirò. L’album viene pubblicato in tutto il mondo su etichetta Sony Classical. Dietro a buona parte di queste clamorose operazioni c’è sempre lui, Massimiliano Pani: autore, compositore, arrangiatore, produttore apprezzato. Da oltre 20 anni è l’anima della Pdu, l’ombra fedele di Mina, l’interfaccia garbata e intelligente dell’artista con il mondo esterno. 107
È il figlio dello “scandalo del ‘63”, per il quale Mina avrebbe anche sacrificato la sua carriera! Per il resto, nessuno la vede, la incontra, ma tutti la ricordano con nostalgia. I tanti fan attendono i suoi album annuali con lo spirito delle feste comandate. Quando Carlo Azeglio Ciampi (che l’aveva insignita del prestigioso riconoscimento di “Grande Ufficiale della Repubblica”) lasciò il Quirinale, dichiarò al Corriere della Sera - e con le sue parole abbiamo aperto il pezzo - che avrebbe seguito il “metodo Mina”: lavorare senza più apparire. Che Mina sia diventata già leggenda lo dice la sua vita, la sua storia, la sua immensa voce. Ma anche il fatto che i ventenni di oggi ascoltano la sua musica, che i maggiori artisti americani l’apprezzano, che nel mondo è ancora ricordata come una delle più belle voci viventi, che i giovani interpreti italiani, e non solo, cercano disperatamente un contatto con lei. L’intramontabile popolarità, conservata e, forse, lievitata dopo il ritiro dalle scene, è la magia che Mina ha saputo compiere. Scomparire ma essere presente, affidarsi alla sola voce, annullare l’immagine, fondamentale nella moderna comunicazione per non cadere nell’oblio, è stato un azzardo a quel tempo, la garanzia, oggi, che Mina non passerà mai di moda. La sua assenza-presenza alimenta uno dei pochi autentici miti prodotti dal nostro starsystem. Un mito che non fa nulla per esserlo e, messi in soffitta i lustrini, ha scelto di condurre un’esistenza “normale” dall’alto della sua eccellenza artistica. Il suo segreto forse è stato quello di assecondare sempre i suoi desideri, di respingere il compromesso, di essere, banalmente, ma saggiamente per chi ci riesce, se stessa… Mina! Con 70 anni di età, 50 di carriera, 100 milioni di dischi venduti, i numeri di Mina sono da capogiro. Come le emozioni che ha saputo suscitare con le sue splendide interpretazioni, mai uguali a se stesse. Per molti di noi Mina è stata ed è la colonna sonora della nostra vita.
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...A colorare libertà.
Il viaggio nel pensiero dei VillaZuk, la band calabrese che spopola fra i giovani, cantando la libertà, l’amore per la natura, la lotta al razzismo. 3 Febbraio 2010
I
Villazuk sono un’interessante band folk-rock calabrese. Il nome si presta a ingenue storpiature, e solletica velleità enigmistiche, frustrate dal fitto silenzio che circonda il suo etimo. Un gruppo così originale sulla scena musicale, anche per effetto del nomen omen, non poteva peccare di “onomastica prevedibile”. Nulla è scontato in questa giovane formazione, divertita a scollarsi di dosso le etichette e a scavalcare i muri eretti dalla discografia mainstream, che troppo di frequente “buca” talenti perché guarda alla contaminazione dei generi e alle personalità artistiche non omologate con la mente aperta e il portafoglio blindato. Ma i cinque amici di VillaZuk, che ancora non hanno un contratto, approdano sulla loro «isola felice» ogni volta che suonano, e vestiti di sola musica, senza sponsor e mecenati, liberano nel vento e in qualunque direzione « il lungo filo di storie e racconti » trascinato da un aquilone a pezze colorate. La loro musica è un inno alla libertà: si occupano di temi attuali con il linguaggio diretto, pulito, netto dei giovani di oggi. Non sono una band “politica”, ma è forte l’ispirazione sociale e una cultura “post”. Sono degli “indignados”, ma la loro forza è attinta e si esprime attraverso una musica che grida la voglia di nuovo, di cambiamento, di pulizia. Grazie al pre-tecnologico passaparola prima, al web 2.0 in seguito, sempre più gente ha acquisito familiarità con quell’aquilone multicoloured che fende i cieli calabresi: i Villazuk, orfani di manager, etichetta, distribuzione e promozione, sono diventati un fenomeno cult meridionale a cui guardano molti giovani e che in pochi mesi ha risalito lo Stivale con destinazione Radiouno Rai e le altre antenne private sensibili alla musica indie di qualità. La 109
libertà, con la quale battezzano la loro prima autoproduzione uscita mesi addietro, “… a colorare Libertà”, poteva rivelarsi una pericolosa buccia: scivolare nella banalità è un rischio molto concreto quando ci si accosta a temi universali, già affrontati (e sbrodolati!) in tutte le salse. Nel cd, reperibile online sul sito della band, o durante i loro live (agosto tutto esaurito! Niente male per una self-made band), si viene morsi dalla spontaneità di chi sta esprimendo il proprio modo di vivere, di guardare alle cose, e lo fa senza ansie da prestazione commerciali. Per questo, quella dei VillaZuk non è una libertà “da esposizione” resa attraente da uno stylist dei buoni sentimenti e rispondente a logiche di marketing, ma un’insopprimibile esigenza creativa dall’aroma persistente e dal gusto autentico. Le dodici tracce lo testimoniano: scorrono fluide grazie alla melodia accattivante e ad indovinati arrangiamenti. Più il cd invecchia nell’autoradio, gli mp3 si rincorrono nell’I-pod, e sfumature inedite vengono catturate dall’orecchio. Si gode della bellezza dei testi, cruciali per scongiurare che un bel motivetto non si trasformi nel tormentone che all’ennesimo ascolto si ha la tentazione di rottamare. E il loro non è un disco di effimeri tormentoni estivi. Si tratta di un lavoro importante per i temi che tratta, per l’impegno che lo attraversa, anche per il parziale recupero di cultura e tradizioni del Sud. Ma chi lo ha concepito non ha rinunciato alla “leggerezza” che si deve ai temi importanti per renderli comprensibili a tutti e gradevoli. I VillaZuk invitano i ragazzi alla “rivolta” morale, predicano il ritorno alle cose semplici, alla bellezza della natura, quasi fossero novelli francescani (c’è tutto il pensiero “ambientalista” di Francesco d’Assisi), ma forse più semplicemente perché i 5 ragazzi vivono ai piedi dello splendido Altopiano della Sila Grande cosentina. Liberi nello spirito e da condizionamenti “industriali”, a bordo della loro arte percorrono strade vecchie e nuove mostrandosi un gruppo versatile, interessato alla sperimentazione ma con lo sguardo che non si stacca dalle radici della tradizione. Si definiscono folk-rock non disdegnando una puntatina allo ska, e poi sono capaci di regalare pezzi di cantautorato che, sfidando la lesa maestà, ricordano le atmosfere di De Andrè, e mi convincono che dietro tale maturità compositiva non ci sono debuttanti naif ma portatori sani di gavetta (ne ho la conferma, apprendendo che il loro pezzo di punta Fiorecrì è stato inserito nell’album Primo Maggio Tutto l’Anno 2007: “Non si spiega perché due parole di difesa si traducono in te come stuzzicante offesa. Chi lo ha scritto che i fiumi della razionalità sono rigidi canali, paralleli ad ogni età? Non si sbaglia quando cambi direzione, ma soltanto quando vieti un’opinione lascia stare chi ti ordina di farlo ma rispetta il suo pensiero sopportando”. Hanno un’allure metropolitana (traducono e cantano in tedesco Fiorecrì con risultati sorprendenti), ma poi mi smentiscono rifiutando, in Preferisco respirare, la città di Futuristica perché «sulu a ce pensare me sientu morire senz’ u friscu ca a muntagna porte la matina, na iurnata e sule sutta alla jumara. Cicciu sona fischia e canta nu bicchier’e vinu »: una dichiarazione d’amore per la montagna e la natura, che Dodo, splendida voce del gruppo, intona in dialetto calabro-silano (sono di Casole Bruzio, Cosenza), smussandone le asprezze e compiendo un’operazione culturale che ci riscatta in quei quattro minuti dalla storica subalternità nei confronti della tradizione linguistica napoletana, romana, fiorentina… C’è spazio anche per temi scottanti quali il razzismo, affrontati senza scorciatoie retoriche: “Sogno un risveglio da non dimenticare, popolazioni e canti da ballare, scambi d’affetto tra gialli neri e bianchi, mille sapori in uno stesso piatto. Bianco quando sei normale, rosso se ti scotti al sole, scuro una stagione al mare, giallo se ti senti male, verde quando sei già morto, 110
pallido se fumi troppo come fai a nominare me ... un uomo di colore. …Solo un motivo mi lascia da pensare, non c’è ragione io non lo so spiegare, solo sfiducia la pelle mia trasmette: io sono nero non posso lavorare”. (Fama nera). In una recente chiacchierata, il solista mi ha ribadito quanto le passioni, l’amore per la libertà, l’infanzia nella sua amata Presila, il rapporto con gli adorati amici, il suo paese, la gente di strada, siano fonti di ispirazione irrinunciabili per la stesura dei pezzi. In quella occasione, ho anche scoperto l’amore immenso per la musica, che pone al primo posto fra le diverse forme d’arte, e con lui condivido questo e poi anche una profonda ammirazione per la più bella voce del mondo, quella di Mina, che a casa, da piccolo, gli facevano già sentire. La stessa Mina che oggi, dall’alto della sua straordinaria storia che sconfina nella leggenda, si appresta ad ascoltare il cd dei VillaZuk! Domenico Scarcello, Eugenio Ferraro, Andrea Minervini, Domenico Battista e Carlo De Donato, ovvero i VillaZuk, sono qualcosa in più di una promessa. Sono già grandi, e il bello è che non lo sanno, e sono rimasti veri, vivi, autentici. Fanno ottima musica, lanciano segnali di “rivolta culturale”, predicano uno stile di vita semplice, invocano il ritorno alle origini e alla natura, lottano contro le discriminazioni. E già spopolano fra i giovani! L’aquilone di questi straordinari ragazzi raggiungerà presto quote altissime.
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Finito di stampare nel mese di marzo 2012 da Pubblisfera San Giovanni in Fiore (CS)
FRANCO LARATTA
FRANCO LARATTA
Mentre il popolo condanna la ‘casta’, nell’oscuro palazzo di Montecitorio spicca un Deputato. Quello che non ti aspetti, quello che affianca nei loro scioperi, lavoratori di un porto e dipendenti delle ferrovie, quello che scende in campo come un Teppista per difendere il diritto di vivere di una donna straniera e la libertà di un giovane operatore di pace, rapito in una lontana terra, dove la pace è un’utopia.
Deputato al Parlamento dal 2006 Componente organi parlamentari: - IX Commissione (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) - Commissione bicamerale speciale sulle Semplificazioni - Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (fino al 2010).
La Teppista
Attività Parlamentare: Proposte di Legge
- come primo firmatario: 8 - come co-firmatario: 153
Interpellanze urgenti: 6 Cronache di
Euro 9,00
ISBN 0978-88-88637-59-4
Interrogazioni Il parlamentare calabrese, deputato “giovane” sia politicamente sia (in fondo, ancora) anagraficamente anche grazie alla contaminazione reciproca con il giornale della nuova politica, del rinnovamento (stesso), della “costruzione (appunto) del futuro” ha saputo trasformare i legami con la politica vecchia da un possibile punto di debolezza in un punto di forza. In una progressione di cui questa raccolta offre una perfetta rappresentazione, Laratta si è sempre più fatto portatore di apertura e “pontiere” tra la vecchia classe dirigente e il futuro della nostra nazione, rappresentato sia da quei volti nuovi che pure la nostra politica autoreferenziale di oggi sapeva (o doveva: suo malgrado?) proporre, sia dalle nuove correnti (ma solo) di pensiero che emergevano negli spazi della politica del domani, sia, infine, dalle istanze di rinnovamento che provenivano direttamente dalla società.
Matteo Patrone
direttore de “il Politico.it”
- a risposta immediata in Assemblea: 2 - a risposta scritta: 78 - a risposta in Commissione: 11
Ordini del giorno
- in Assemblea 13 - sul bilancio 1
Interventi alla Camera - su PdLe in Assemblea: 9 - altri in Assemblea: 10
Presenze in Aula: 87,21% Fonte: www.camera.it
Cronache di fine Impero, mentre i Palazzi bruciano e il Paese crolla. Tra scandali e corruzione va in scena il teatrino della peggiore politica italiana da sempre.
Ha pubblicato:
Padre Antonio Pignanelli a 25 anni dalla morte (2011) - Miseria e Nobiltà della politica, della società (2009) - La lunga notte della Calabria* (2006) - Riflessioni Libere* (2004) - Il Villaggio svanito* (1999) - Quando in Sila cade la neve* (1994) - La villa dei sette piani* (1992) - Non sparate sul cronista* (1990) - Biografia di P. Antonio Pignanelli* (1987). * esaurito
FRANCO LARATTA
FRANCO LARATTA
Mentre il popolo condanna la ‘casta’, nell’oscuro palazzo di Montecitorio spicca un Deputato. Quello che non ti aspetti, quello che affianca nei loro scioperi, lavoratori di un porto e dipendenti delle ferrovie, quello che scende in campo come un Teppista per difendere il diritto di vivere di una donna straniera e la libertà di un giovane operatore di pace, rapito in una lontana terra, dove la pace è un’utopia.
Deputato al Parlamento dal 2006 Componente organi parlamentari: - IX Commissione (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) - Commissione bicamerale speciale sulle Semplificazioni - Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere (fino al 2010).
La Teppista
Attività Parlamentare: Proposte di Legge
- come primo firmatario: 8 - come co-firmatario: 153
Interpellanze urgenti: 6
mentre i Palazzi bruciano e il Paese crolla.
Il parlamentare calabrese, deputato “giovane” sia politicamente sia (in fondo, ancora) anagraficamente anche grazie alla contaminazione reciproca con il giornale della nuova politica, del rinnovamento (stesso), della “costruzione (appunto) del futuro” ha saputo trasformare i legami con la politica vecchia da un possibile punto di debolezza in un punto di forza. In una progressione di cui questa raccolta offre una perfetta rappresentazione, Laratta si è sempre più fatto portatore di apertura e “pontiere” tra la vecchia classe dirigente e il futuro della nostra nazione, rappresentato sia da quei volti nuovi che pure la nostra politica autoreferenziale di oggi sapeva (o doveva: suo malgrado?) proporre, sia dalle nuove correnti (ma solo) di pensiero che emergevano negli spazi della politica del domani, sia, infine, dalle istanze di rinnovamento che provenivano direttamente dalla società.
Matteo Patrone
direttore de “il Politico.it”
Interrogazioni
Cronache di
Cronache di fine Impero,
- a risposta immediata in Assemblea: 2 - a risposta scritta: 78 - a risposta in Commissione: 11
Ordini del giorno - in Assemblea 13 - sul bilancio 1
Tra scandali e corruzione va in scena il teatrino
Interventi alla Camera - su PdLe in Assemblea: 9
della peggiore politica italiana da sempre.
- altri in Assemblea: 10
FRANCO LARATTA
Cronache di Euro 9,00
ISBN 0978-88-88637-59-4
Presenze in Aula: 87,21% Fonte: www.camera.it
Ha pubblicato:
Padre Antonio Pignanelli a 25 anni dalla morte (2011) - Miseria e Nobiltà della politica, della società (2009) - La lunga notte della Calabria* (2006) - Riflessioni Libere* (2004) - Il Villaggio svanito* (1999) - Quando in Sila cade la neve* (1994) - La villa dei sette piani* (1992) - Non sparate sul cronista* (1990) - Biografia di P. Antonio Pignanelli* (1987). * esaurito