Domenico Gentile - Indagando le sottili trame - 2020 - Museo Civico Goffredo Bellini - Asola

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DOMENICO GENTILE

indagando le sottili trame



Chi lavora con le sue mani è un lavoratore. Chi lavora con le sue mani e la sua testa è un artigiano. Chi lavora con le mani e la sua testa e il suo cuore è un artista. San Francesco da Assisi


Comune di Asola Assessorato alla cultura

Museo Civico “Goffredo Bellini”

Sindaco:

Giordano Busi Assessore alla Cultura:

Cecilia Antonioli Progettazione:

Federica Zani Barbara Puttini Beatrice Pastorio Nicoletta Gentile Testi:

Carlo Micheli Beatrice Pastorio Grafica catalogo:

Carlo Micheli - Vania Elettra Tam

mediapartners:

Fotografie:

Luca Morandini Stampa catalogo:

Manfredini - Mantova Organizzazione e segreteria:

Museo Civico “Goffredo Bellini”

con la collaborazione di:

lucamorandini F O T O G R A F O

Un particolare ringraziamento a Nicoletta Gentile per l’imprescindibile contributo dato alla realizzazione dell’iniziativa.


DOMENICO GENTILE Indagando le sottili trame a cura di

Carlo Micheli / Beatrice Pastorio

Asola - Museo Civico “Goffredo Bellini” 25 ottobre - 20 dicembre 2020


Nel 2011 Domenico Gentile viene insignito del titolo di “cittadino benemerito” e, in quell’occasione, dona ad Asola l’opera “Gita in Padania” a fianco riprodotta. Qui sotto riportiamo la lettera di ringraziamento con la quale esprime al Sindaco la propria gratitudine e la propria soddisfazione di Asolano a tutti gli effetti.

Gita in Padania - 1984 - cm 100x80 - tecnica mista su tela



Asola - Paesaggio urbano - 1977 - 40x50 cm - olio su tela (opera non in mostra)


Cecilia Antonioli

Assessore alla Cultura

Far conoscere l’artista Domenico Gentile agli Asolani attraverso una mostra a lui dedicata, è per me motivo d’orgoglio oltre che un atto dovuto per l’Amministrazione Comunale cui appartengo. Domenico Gentile scelse Asola all’inizio della sua carriera di medico ospedaliero e poi vi rimase per tutta la vita, divenendo parte integrante della nostra comunità, senza tuttavia mai dimenticare le proprie origini salernitane, che emergono nei colori brillanti e mediterranei riscontrabili nella sua originale pittura. Artista di talento e professionista stimato, sempre al centro della vivace temperie culturale mantovana di quegli anni, sodale di Alfonso Gatto e Filiberto Menna, non ostentò mai le sue virtù e fu lusingato quanto sinceramente sorpreso del riconoscimento di “cittadino benemerito” conferitogli nel marzo 2011 dall’allora sindaco Giordano Busi. Un vero onore, per noi Asolani, averlo avuto come concittadino. Ringrazio Beatrice Pastorio per aver ideato e proposto questa mostra a lui dedicata, in collaborazione con il critico Carlo Micheli e ringrazio per la generosa disponibilità Nicoletta Gentile che, nell’acconsentire all’allestimento di questa mostra inedita, ha voluto dar voce alla volontà del padre di essere ricordato senza mestizie, attraverso la viva e gioiosa testimonianza delle sue opere senza tempo.


Asola - Circonvallazione sud - 1977 - 35x50 cm - olio su tela (opera non in mostra)


Beatrice Pastorio

(…) Cerca ai segni di coccio la sabbia delle mura, il ricordo del sole, i lustri scarabocchi dell’umido, le viole.(...) “Qualcosa da ricordare per l’oblio“ Alfonso Gatto

Quando penso a Mimmo echeggiano in me le parole di Alfonso Gatto, poeta e grande amico di Domenico. Gatto descrive con pochi essenziali elementi immagini del meridione e, per me, è come se raccontasse l’immaginario artistico di Domenico. Ogni volta che mi trovo di fronte alle sue opere colgo l’impulso creativo che animava la sua arte, fatta dell’essenza dei ricordi, rievocazione cromatica della sua terra natia, il Sud, raccontato come uno spazio invaso di linee pure, di poesia, di verità e fantasticheria insieme, di luce intensa. Domenico narrava la realtà tangibile attraversata dal suo mondo interiore, una realtà che si fa gioco gioioso: pennellate decise di colore in reti geometriche; soggetti che si scompongono e ricompongono in impressioni liriche. Dell’artista Domenico Gentile è già stato scritto molto; queste mie parole, pensate per la personale allestita presso il Museo Bellini di Asola e da me proposta, vogliono essere un omaggio e il ricordo non solo di un grande artista, ma soprattutto di un caro amico.


Asola - Via Galilei - 1977 - 35x25 cm - olio su tela (opera non in mostra)


Carlo Micheli I colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni. Pablo Picasso

La ricerca artistica di Domenico Gentile si coglie, nella sua globalità, solo indagando le sottili trame che intrecciano la sua raffinata ed esclusiva visione della realtà con quella collettiva, in un costante rimando di suggestioni derivanti dai ricordi, dalla poesia, dalla letteratura, dal cinema. Sollecitazioni eterogenee, in apparenza dissonanti -se non addirittura contradditorieche tuttavia si fondono, in perfetto, reciproco equilibrio, nel ristretto microcosmo della tela, nel complesso della sua produzione pittorica. Inutile cercare una linea evolutiva netta, un passaggio dalla figurazione all’astrazione, ad esempio, perchè il frequente sconfinamento di campo, il tornare sui propri passi, la costante ripresa e il repentino, provvisorio abbandono delle tematiche predilette, fa parte del gioco sottile di Gentile, condotto sul filo delle emozioni, in un costante “tourbillon” di razionalità e di abbandoni. Gentile è stato uomo di cultura umanista, un intellettuale prestato, per così dire, tanto alla professione medica quanto alla pittura, impossibile da rinchiudere in un campo specifico, univoco, un osservatore attento e partecipe dell’evoluzione del costume italiano, sodale


di Alfonso Gatto e Filiberto Menna negli anni salernitani e in seguito partecipe di quel clima culturale che si instaurò magicamente a Mantova tra gli Anni ‘60/70, intorno alla Libreria Greco e alla rivista “Il Portico”. Un impegno culturale e sociale che è alla base di certe componenti dell’arte di Domenico Gentile, come la sua capacità di usare registri tanto diversi, passando dalla pura astrazione a geometrismi che richiamano le opere ludiche di Fortunato Depero, dal paesaggio tradizionale ad una pittura al limite del naif, alla ricerca di una efficace formula comunicativa capace di esprimere, senza la pretesa di impartire lezioni, il proprio punto di vista, il forte disagio nei confronti di un mondo che andava e va deteriorandosi. Le zucche, i funghi, i bottoni, i formaggi, i barattoli che affollano i suoi quadri, iterazione parossistica di moduli apparentemente identici tra loro, altro non sono che la rappresentazione, ambiguamente colorata e smagliante, di una società che tende ad omologare le persone, cancellandone l’individualità, dove persino il cielo è negato, dove non c’è più spessore nè profondità. Come un saggio lupo di mare, dalla coffa elevata del suo studio/osservatorio, Gentile scrutava il mondo con tenerezza e fatalismo, con una sorta di distaccata partecipazione, consapevole delle scontate dinamiche del gioco, come un maestro di scacchi cui bastano poche mosse per prevedere l’evolversi della sfida. Gentile di nome e di fatto, Domenico si sfilava con eleganza dalle polemiche, affidando ai suoi lavori la lettura e il superamento delle controversie.


La rilettura delle sue opere, grazie all’affettuosa, mirata selezione compiuta da Beatrice Pastorio e dalla figlia Nicoletta Gentile, ci consente un affascinante attraversamento trasversale delle poetiche del secondo Novecento, fino all’avvento del Terzo Millennio, con echi di Beat, di Pop, di avanguardie e transavanguardie, di citazionismo e realismo magico, di surrealismo e astrattismo, ma soprattutto ci lascia intuire l’importanza per Gentile delle proprie radici, l’amore per la mai scordata Salerno, per le luci e i colori del Sud, ma anche per la sua città adottiva, Asola, e per la sua gente. Un legame mai dimenticato e un altro fortemente voluto, affinità elettive come quella mai interrotta col suo grande concittadino, Alfonso Gatto, i cui versi sembrano esaltare la ricerca artistica di Domenico (ma è vero pure il contrario) creando una sinestesia pittorico-letteraria profonda e vibrante, a volte giocosa e quasi infantile, di cui si dà conto in questo catalogo. Mi si perdonerà se invece della puntuale lettura critica del fare artistico di Gentile ho preferito puntare l’obiettivo su Domenico, sulla intensità di una persona cui ho voluto davvero bene e che ho profondamente stimato, come uomo e come artista. In considerazione poi di come i suoi quadri sappiano parlare al cuore della gente senza bisogno di alcuna mediazione, ho preferito dare spazio ai suoi pensieri, alle sue considerazioni, alle parole che mi hanno visto come interlocutore privilegiato, nella speranza di avere contribuito alla sua conoscenza.



DOMENICO GENTILE

indagando le sottili trame opere scelte

Sottolineature poetiche tratte da “Alfonso Gatto - Tutte le poesie� a cura di Silvio Ramat 2017 - Mondadori


E rivedremo il bianco letto d’aria, le case apparse d’un sol lume in fondo ai vicoli che il sonno sale e scende di voce in voce‌

Passaggio a livello -1953 - cm 45x30 - olio su tela



La nebbia rosa e l’aria dei freddi vapori arrugginiti con la sera il fischio del battello che sparve nel largo delle campane.

Per Nicoletta -1982 - cm 40x50 - olio su tela



Si resta a volte soli nella veglia di un racconto sospeso, allora soli, ignoti l’uno all’altro, ed ora uniti dal ricordo che un nulla ci divise.

Chiaroscuro -1982 - cm 80x60 - acrilico su tela



Si vidi il mare rompere nel treno bluastro e il fumo reggere la notte, le colonne irruenti d’un teatro.

Dal finestrino -1982 - cm 120x100 - olio su tela



E distratto cosÏ nel farmi intento al mio segreto sorgere del nulla trovavo nella voce le parole da raggiungere, padre, madre, culla, la terra che s’illumina nel sole.

Tutte zucche per Francesco -1982 - cm 80x80 - tecnica mista su tela



Un giorno anche la morte ritornerà serena e come un’aria in piena la luce delle porte spalancherà nel mare tutto il nuovo colore del mondo che riappare.

Marchingegno con paesaggio incorporato -1983 - cm 120x100 - tecnica mista su tela



Dipingere che cosa? Il timido rigoglio di una piccola rosa che s’alza dal bicchiere le foglie del cadere? Basta un segno, l’invoglio che s’apre dalle carte alla luce degli occhi dipingere l’ascolto e metterlo da parte, le mani sui ginocchi in bilico sul volto. Dipinta per figura una presenza pura che non avrà mai nome e non saper mai come è nata dalla prova del segno che la trova sul foglio e sulla tela può essere la mela.

Un gelato per tutti -1984 - cm 60x80 - olio su tela



Il passato non cessa di passare e l’odore che sparve è l’aria calda che ferma gli oleandri lungo il mare in un soffio di mandorla e di cialda.

Storie di gelati - 1984 - cm 80x60 - olio su tela



RitornerĂ sul mare la dolcezza dei venti a schiuder le acque chiare nel verde delle correnti.

Aquarium -1984 - cm 140x120 - olio su tela



Splende a distesa il giorno rosato alla pianura, la tremula calura richiama a lungo intorno dall’alto il visibilio dei passeri nel sole.

In piena estate -1984 - cm 80x80 - olio su tela



lo sono pazzo di tutti i colori, il rosso è forte come un cazzotto, il verde sprilla bibite di fiori, il bianco ha sacchi di neve e brina...

Pentagoni esagoni e affini -1984 - cm 80x60 - olio su tela



Come in nostro passato s’illumina nel velo della nebbia serale, ed è quasi parola la luna che risale nel cielo e splende sola.

Sull’ansa del Po -1984 - cm 100x80 - olio su tela



Tu sei speranza e paura pensiero eterno e breve d’ogni pensiero, vetro che torna all’alba e tutto il mare ripete il mare, solo un canto di parole perdute trova amore.

Anonimo -1985 - cm 120x90 - olio su tela



Che vuoi? La notte chiama i suoi rimorsi, vede lampade accese.

Zona Industriale -1985 - cm140x120 - olio su tela



Piove dolcezza nel verde, il sole giunge a far gialle le foglie di primavera. ‌Domani sarà un’altra storia, la pioggia che illumina gialle le foglie della memoria.

Nel parco -1985 - cm 120x100 - olio su tela



È già finita la sera e come nata dalla luce un’altra sera s’allontana dove… …dove sospesa la pioggia vapora sfumando nei colori.

Febbre del weekend -1988 - cm 140x200 - olio su tela



Salerno, rima d’inverno, o dolcissimo inverno. Salerno, rima d’eterno.

Anonimo grande -1999 - cm 200x140 - olio su tela



Quello a fianco riprodotto è l’ultimo dipinto di Domenico Gentile, realizzato durante il suo soggiorno a Villa Carpaneda di Rodigo, nell’ambito dell’attività di arteterapia introdotta, con passione e dedizione, da Luciana Chioatto. Con quest’ultimo lavoro si chiude idealmente il cerchio iniziato con “Passaggio a livello”, l’opera del 1953 che apre questo catalogo.

Partenze - 2017 - cm 28x38 - gessetto su carta




DOMENICO GENTILE

nota biografica


Domenico Gentile alla Personale del 2010 nei Tinelli di Palazzo Te. Credit Elena Bugada


Domenico Gentile (Salerno 1933 – Asola 2017) ha compiuto studi classici fino alla laurea in medicina, maturando parallelamente la sua formazione culturale e le prime esperienze pittoriche nell’ambito di gruppi intellettuali cittadini nei primi anni ’50. Influenza fondamentale, se non decisiva, in questo senso hanno avuto per lui l’incontro e i lunghi sodalizi con Mario Carotenuto, Filiberto Menna, Alfonso Gatto e Tullio Lenza, tra gli altri. Era il tempo della “ricostruzione” post-bellica e nella Libreria Macchiaroli, nello studio di Mario Carotenuto, al “Circolo Democratico” si viveva un clima di comune fervore di recupero, di lotta contro il vecchio e lo scontato; e con intransigenza, quando non proprio con intolleranza. In quel periodo ha preso parte a molte “collettive” tra Salerno e Napoli, organizzate da “L’Arco” (un gruppo culturale di cui fu fondatore con altri), da “Salerno-Quadrante” (una delle prime riviste culturali del Mezzogiorno edite nel dopo-guerra), da “I Giovani Realisti Salernitani”, dalla “Corda Fratres”. Negli anni successivi, per vicende personali, ha avuto modo di incontrare e confrontarsi con culture diverse, in altri ambienti. Dapprima ed a lungo a Roma, quindi a Firenze, infine in Lombardia. Dalla metà degli anni ‘60 è stabilmente a Mantova, legato al gruppo della Libreria-Galleria “Greco”, vicino alla rivista “II Portico”. L’atmosfera mantovana (e la frequentazione di Francesco Bartoli, Gino Baratta, Renzo Schirolli, Sergio Sermidi ed altri ancora) non è certo estranea ai nuovi itinerari della sua pittura, come generalmente registrato dalla critica.



DOMENICO GENTILE

attivitĂ espositiva con indicazioni bibliografiche


Tinelli di Palazzo Te, 2010 Personale di Domenico Gentile Credit Elena Bugada


MOSTRE PERSONALI: 1981 Galleria Rossi, Parma, presentazione in catalogo di Francesco Bartoli. 1982 Galleria Teatro Minimo, Mantova, presentazione di Francesco Bartoli. 1983 Galleria Il Catalogo, Salerno, presentazione in catalogo di Filiberto Menna. 1984 Museo d’arte moderna dell’alto mantovano - Gazoldo degli Ippoliti (MN), “Itinerari Cromatici”, testi in catalogo di Renzo Margonari e Giovanna Barbero. 1986 Galleria La Nuova Sfera, Milano, “La città”, presentazione di Miklos N. Varga. 1986 Circolo Olaf Palme, Roma, “L’immagine ambigua”, presentazione di Adriano Villata. 1987 Galleria Micrò, Torino, presentazione di Albino Galvano. 1988 Galleria Vinciana, Milano, presentazione di Albino Galvano. 1990 Galleria S. Michele, Brescia, “Tatuaggi recenti”, presentazione di Miklos N. Varga. 1992 Galleria Vinciana, Milano, “Mirabilia”, presentazione di Miklos N. Varga. 1995 Torre Civica di Medole (MN), “ColorLavoro”, testo in catalogo di Giorgio Seveso. 1998 Ex Credito Cooperativo di Acquanegra sul Chiese (MN), “35x50 venti opere di Domenico Gentile”, presentazione di G. M. Erbesato. 2001 Palazzo del Senato -Archivio di Stato, Milano, “Tatuaggi 1990-2000”, catalogo con presentazione di Paolo Bertelli e intervista di Paola Artoni. 2005 Torre Civica, Medole (MN) “ColorLavoro 2005”, testo in catalogo di Giusi Nobilini. 2006 Palazzo Sibilla, Colliano (SA) “Opere anni ‘60”, presentazione di Antonio Tateo. 2009 Villa Comunale di Gazoldo degli Ippoliti (MN), “Anteprima” presentazione di N. Rossi. 2009 Muvi, Viadana (MN), “Occhio all’apparenza!”, testo in catalogo di Afro Somenzari. 2010 Tinelli di Palazzo Te. Mantova, “Opere scelte”, testo in catalogo di Carlo Micheli. 2011 Galleria “ai gradini” Catiglione d.S., testo in catalogo di Cristiano Casarotti. 2017 Galleria Arianna Sartori, Mantova, “Visioni”, presentazione di Arianna Sartori. PRINCIPALI MOSTRE COLLETTIVE: 2000 “Arte a Mantova 1950-1999” testi in catalogo di Claudio Cerritelli e Carlo Micheli (MN). 2001 “Omaggio a D’Annunzio“ Roma. 2005 “Solid Arte“, Casina Pompeiana, Villa Comunale (NA). 2006 ”Art. 1”, Palazzo della Ragione testi in catalogo di Pietro Sanguanini e Carlo Micheli (MN). 2014 “Porto Franco” gli artisti sdoganati da Vittorio Sgarbi con catalogo (PA). Gentile partecipò inoltre, a partire dagli Anni ‘80, alle numerose iniziative promosse dall’amico e pittore Gianni Baldo di Reggiolo cui lo legava un’affettuosa amicizia.



DOMENICO GENTILE

a proposito dell’artista


Intervista di Paola Artoni tratta dal catalogo “Tatuaggi 1990-2000” realizzato in occasione della personale tenutasi al Palazzo del Senato di Milano nel 2001. In mostra troviamo i “Tatuaggi”, dipinti, forse incisi, sulla pelle, sul vissuto. Cos’è la pittura per Domenico Gentile? Ho la sensazione di aver dipinto queste opere sulla mia pelle: sono tatuaggi perché sono segni indelebili, testimonianza della mia fede nella pittura. I miei genitori erano sarti e mi ricordo quando da bambino disegnavo con il loro gesso sui pavimenti di casa e ricordo ancora la prima volta che ho aperto un colore a olio: era bianco, ne sento ancora l’odore. L’olio è la mia tecnica: prendo pennelli e tubetti e cerco il colore sulla tela. Le mie prime esperienze pittoriche risalgono intorno al 1948. Dai primi acquerelli passai successivamente alla pittura ad olio, avvalendomi degli insegnamenti di pittori, dei quali nel frattempo ero diventato amico. Si andava a dipingere in gruppo, all’aria aperta, inquadrando tutti lo stesso soggetto, naturalmente il paesaggio, quello mediterraneo di Salerno. Tutto nei “tatuaggi” è intreccio, ogni angolo dei dipinti è una concentrazione di segno e colore, si direbbe quasi un’ossessione. Si potrebbe pensare all’eco di un viaggio interiore… È vero, i miei segni sono maglie strette, il ritmo è serrato, senza scampo. qualcuno già negli Anni Ottanta parlava di horror vacui. In effetti, se non riempivo la tela stavo male. È la paura della morte, della solitudine, è un ripiegamento in se stessi: un viaggio scomodo. Ecco allora che ci si scava delle vie di fuga. Negli ultimi anni ci sono degli scorci che prima non c’erano: qua e là appare la visione di un paesaggio e tra questi intrecci c’è spesso spazio per il cielo, il mare, le forme sfaccettate dei frangi-onde, che da ragazzo mi riparavano

sulla spiaggia. Il mio modo di dipingere si basa fondamentalmente sull’uso del colore, affidando alla forma il compito di delimitarlo in superfici geometriche di facile impatto comunicativo. Quanto di più lontano dalla figura, che ha bisogno della forma, del riferimento verista, realista in primo luogo. Allo stesso tempo per questi intrecci si potrebbe avanzare anche una motivazione ludica? Ammetto che ci sono anche dei momenti di divertissement. Ecco allora che, come nell’antica Grecia, il dramma si conclude nella festa e l’epilogo è per me la salvezza. Non riesco a reggere il dramma fino in fondo, così scelgo di alleggerire il peso della rappresentazione. È una sorta di meccanismo di difesa sia per me, sia per l’osservatore. E questa voglia di ironia e di autoironia, quest’aspetto ludico si ritrova più nelle opere realizzate al nord che in quelle che ho realizzato al sud. Gentile pittore e Gentile medico radiologo: una convivenza lunga una vita. Questo dualismo è stato più un limite o una risorsa? Ho tenuto separate le due attività: il “Gentile pittore” non saprebbe che dire del “Gentile medico”. Il problema vero era tenere questi due mondi uno all’oscuro dell’altro e portare avanti le due attività aggiornandole continuamente. Da ragazzo dipingevo, ma in casa si aspettavano che mi laureassi. Non mi sono mai sentito di fare una scelta definitiva, ho vissuto la coesistenza con difficoltà. Ho avuta molta fortuna incontrando le persone giuste al momento giusto. Ho sempre temuto la facile etichetta di medico-pittore, cioè di hobbista. Certo, l’attività professionale di medico qualche ostacolo alla pittura lo ha pure creato, ma in termini di facciata, di presenze e partecipazioni. Nel mio caso era importante spingere le due attività fino al momento di


incanalare tutte le energie nella pittura. Protagoniste di molti dipinti sono le fabbriche: le costruzioni si ergono come cattedrali, le ciminiere si protendono al cielo come mani tese. Esiste un motivo particolare che ha suscitato tanto interesse? Ho dipinto moltissimo le fabbriche del sud, quelle fabbriche che oggi non esistono più. Ricordo le mattonaie, come quella di Torre Annunziata, vicino al mare. Ho amato andarci a dipingere in gruppo. Dipingere le fabbriche era un modo di partecipare al lavoro, a cose concrete: la fabbrica creava un ordine in cui ci si poteva riconoscere in molti. In questi ultimi anni la fabbrica è scomparsa nel suo aspetto tradizionale, sia all’interno che all’esterno. La progressiva umanizzazione del lavoro e le nuove tecnologie l’hanno resa anonima, indistinguibile da altri edifici, anche nelle periferie urbane. Quella che a volte sembrava una chiesa romanica è ora archeologia industriale. Nei dipinti recenti ne ho salvato l’aspetto simbolico più esteriore e vistoso: il fumaiolo, la ciminiera. Salerno, Roma, Firenze, Mantova: tante esperienze ed incontri dagli anni 50 ad oggi. Come è cambiata la cultura del nostro Paese? Intanto bisognerebbe avere una definizione univoca del termine “cultura”. Di culture ce ne sono tante, influenzate da molti fattori esterni, in particolare dall’evoluzione tecnologica. Basti pensare a quello che ha provocato l’informatica. Se è vero che ogni scoperta crea una scienza è altrettanto vero che determina poi una cultura. Ricordo che sul finire degli Anni Cinquanta a Firenze gli intellettuali che frequentavano in caffè Paszkowski al momento dell’inizio delle trasmissioni televisive (all’epoca

le venti e trenta) pagavano frettolosamente il conto e uscivano in massa. Ma qualche anno più tardi era possibile ritrovarli in televisione a commemorare Disney o come protagonisti di lunghe interviste. Il “mostro” era entrato nella cultura e viceversa. E ancora negli Anni Settanta un poeta, poi premio Nobel, commentava indignato il primo trapianto cardiaco: ”il cuore non si tocca!”. Barnard aveva sbagliato. Una posizione che nessuna cultura accetterebbe ai nostri giorni. E si potrebbe continuare. Dagli Anni Cinquanta a oggi, avanguardie a parte, è stato il progresso tecnologico a determinare mutamenti ed evoluzioni culturali significative, favorendone oltretutto la diffusione. Per alcuni critici tra gli Anni Sessanta e Settanta si sono alternate pause e riprese, quasi per un bisogno di prendere respiro. È stato Francesco Bartoli a parlare di un “silenzio” tra la fine degli Anni Sessanta e i primi Anni Settanta, attribuendolo al clima storico-politico di quel tempo. Anni di caos, di estremismi, da cui non volevo essere coinvolto, condizionato. Le correnti social-realistiche, alle quali avevo aderito negli Anni Cinquanta, erano state spazzate via e la pittura messa in discussione nel suo specifico. Non mi restava che dipingere, nascondendo il risultato persino agli amici più vicini, peraltro ampiamente implicati nella bagarre politico-culturale. È lo stesso Bartoli a riassumere il mio disagio di allora, annotando “come non fosse di facile risoluzione il problema di esprimersi da parte di chi, mantenendosi fuori dal mercato, intendeva comunque salvaguardare le sue radici emotive e culturali e parlare un linguaggio avanzato sull’onda della contemporaneità”. Ci fu un silenzio, certamente, ma solo “espositivo”, un rallentamento, ma non interruzioni o abbandoni.


Testo di Francesco Bartoli realizzato in occasione delle mostre personali tenutesi alla Galleria Rossi (PR) nel 1981 e alla Galleria Teatro Minimo (MN) nel 1982. …oltre agli effetti del silenzio, v’è la lettura della contemporaneità, l’esercizio privato dello sguardo intorno ai fatti della visione, anche di quelli lontani ed assunti per ragioni di contraggenio nel lavoro riflessivo. Contrario si rivela infatti (per l’emozione) il puramente mentale, la smaterializzazione dell’oggettivo giacché dipingere qui vuoi dire mettere insieme, confrontare ed accumulare elementi sensibili: dar luogo ad una rappresentazione perfino murata, ispessita di corpi cromatici, di presenze ed esistenze. Con in più il ribadimento della procedura d’origine: la finzione della finestra, della tela e del cavalletto. L’ossessione della radice fornisce i modi del comporre. Si badi alla massiccia emergenza dei primi piani, veri e propri parapetti visivi sui quali si innesta l’ordito del quadro. Le forme colorate, ritagliate e addossate come le tessere di una

scacchiera, materializzano pesi plastici e si annodano lungo cerniere figurali. Prendono corpo dentro i perimetri delle cose, ritmandosi nella ricerca delle consonanze e nei passaggi armonici di tono. Si centripeta l’aereo a vantaggio del terrestre, dell’architettonico. Ne deriva un curioso rapporto con l’oggetto, che è rispettato come schema e configurazione, ma poi alterato nell’interpretazione emotiva, quasi sognata. Come dire che l’immaginazione si prende la rivincita dall’interno, ingigantendo, raddoppiando o comunque trasformando l’immagine, dopo averla estratta dall’universo visibile. Così un cono di gelato può diventare un edificio, un vaso di fori dar luogo ad una scenografia; o un paesaggio metamorfosarsi nella articolazione di piani astratti, in una costruzione di quinte e fondali…


Testo di Giorgio Seveso tratto dal catalogo “ColorLavoro” realizzato in occasione della personale tenutasi presso la Torre Civica di Medole nel 1995. Tutto un percorso, dalle prime tele sulle quali non c’è proprio da sbagliarsi, immerse come sono con appassionata identificazione nel clima generoso ma un po’ arruffato della pittura realista di allora, passando poi, per immagini, nelle quali si vedono affermarsi e progressivamente trasformarsi gli stilemi di gusto pop, con quella caratteristica di pittura fumettisticamente semplice e descrittiva, per giungere infine, ad una graduale sintesi dei quadri, ad una visione più essenziale e suggestivamente lirica. C’è un massimo comune denominatore che diventa sintesi tra le varie trasformazioni dell’artista: il segno. Insomma, la sua personalità, sempre riconoscibile che, al di là delle trasformazioni e delle evoluzioni, reca in ogni occasione l’identità dell’autore, la sua precisa ed individuale “calligrafia” poetica ed emozionale. Quasi per incantamento, quella di Domenico è una magica contemplazione delle asprezze della vita e delle cose, un’atmosfera limpida e pura in cui si respirano da sempre le sue geometrie, fatte

di scene urbane e d’oggetti, tracce recuperate come dal ricordo effimero e labile di visioni insieme antiche e contemporanee. Soprattutto quando il tema di fondo è il lavoro, inteso come lo spazio delle alienazioni tra gasometri e ciminiere, tra asfalti e supermarket. È curioso, infatti, il rapporto che l’artista riesce a stabilire tra garbata citazione “realista”, da una parte ed esempi particolarmente avanzati d’avanguardia, dall’altra. Come quando, con una sorta di intrigante istinto di sintesi, riesce a rivelare e ad annodare qualche comune filo segreto addirittura con le forme futuristiche di un Depero o di un Boccioni, cogliendovi richiami che divengono sorprendenti per gli esiti cui danno luogo. Ecco perché (ma certo molte altre cose si dovrebbero dire) in buona sostanza considero Gentile un artista (e poeta) completo, capace si direbbe di rinnovarsi costantemente pur conservando sempre una sua precisa coerenza interiore, una sua qualità lirica assolutamente intima.


Testo di Carlo Micheli tratto dal catalogo “Opere scelte” realizzato in occasione della personale tenutasi ai Tinelli di Palazzo Te a Mantova nel 2010 Dell’inizio degli Anni Sessanta sono i paesaggi, spesso materici e realizzati a spatola, accecanti di luce, violenti, quasi, per il peso di un colore usato allo stato puro, steso in larghe campiture. Non è che il preludio ad una disgregazione della rappresentazione a favore di geometrie “quasi” astratte, che hanno per tema i luoghi di lavoro, fabbriche, cantieri, depositi, ridotti a relitti di archeologia industriale, rigorosamente disabitati dall’uomo e caratterizzati da un “cielo negato”, assente in molti casi, per lo più compresso e malato. Questa poetica, in costante equilibrio tra realismo e astrazione, si protrae fino ai primi Anni ’80, allorché l’artista pare “zoomare” su alcuni elementi (bulloni, libri, scatole, monete, sigarette, coni gelati, funghi, rottami) iterati all’infinito, proponendo quelli che Francesco Bartoli definirà degli “accumuli” ma che, a ben guardare, paiono più degli “oggetti moltiplicati”, cui la ripetizione ossessiva regala una parvenza di dinamismo.

Curiosamente gli oggetti/personaggi di queste opere non mutano coll’evolversi dello stile e della ricerca: sono ancora i fumaioli delle fabbriche, i libri, le lattine, i fogli arrotolati, le stelle comete, le girandole, le spirali, i bottoni, gli stessi elementi degli inizi, ma cambia l’approccio culturale, il gusto per la rivisitazione, nella necessità di confrontarsi coi propri dei, azzardando di tanto in tanto un lacerto di Cubismo, un omaggio a Severini, un passaggio alla Braque e, perché no, un tocco alla Jacovitti… Ora il colore si incupisce e i singoli oggetti si liberano dall’abbraccio della massa multiforme, a cercare uno spazio autonomo, un linguaggio più intimo, una vibrazione interiore. L’evidente “sfocatura” degli ultimi lavori, il ricorrere a toni cromatici meno accesi e più naturali, stanno ad indicare una sorta di emancipazione del singolo elemento, l’acquisizione, se così si può dire, di una diversa “dignità rappresentativa”.


Testo di Vittorio Sgarbi tratto da “Porto Franco - Gli artisti sdoganati da Vittorio Sgarbi” EA Editore del 2014 e pubblicato anche sul Calatogo d’arte Sartori del 2020 Alziamo appena lo sguardo e scopriamo cubi, cilindri, coni e sfere. E ancora quadrati, triangoli e cerchi. Tutto ciò che ci circonda deriva da forme geometriche. Domenico Gentile le individua, le spoglia del superfluo e di ogni traccia di narrazione e decoro, per fissarle nude ed essenziali sulla tela. Come fossero mattoni privi di calce, una sopra l’altra in un instabile ma eterno equilibrio, l’artista le adotta per comporre e scomporre oggetti, paesaggi, visioni e sensazioni. Sono itinerari cromatici, come egli stesso ama definirli, attraverso di essi l’artista racconta spaccati di vita e vedute urbane. Spinto da una formazione d’impronta classica, fin da giovanissimo ha trovato nell’arte un terreno fertile per esprimere i suoi moti interiori. Pittore autodidatta, a soli 15 anni ha realizzato i suoi primi acqerelli e si è avvicinato alle correnti neorealiste dei fervidi Anni Cinquanta. Le sue opera risultano di forte impatto per I colori intensi e variegati, distesi per ampie campiture,

spesso luminosi, più raramente come avvolti da un’ombra grigia. Ma, mascherato da una pittura definibile al limite del naif, per l’ingenuità e la leggerezza che appaiono ad un primo e veloce sguardo, è il messaggio che sottintendono a colpire davvero. L’artista salernitano è attento testimone del suo tempo, e, di conseguenza, inerme e preoccupato spettatore del barbarico operato dell’uomo. Egli non ha soluzioni da proporre né consigli da impartire, non si erge come giudice o precettore, semplicemente mostra quel che vede, ponendoci davanti ad una realtà decadente, per quanto si cerchi di ricoprire di colore la superficie. Così, attraverso un labirintco gioco di forme geometriche, Gentile invita chi osserva le sue opere a soffermarsi, a unire gli elementi scomposti per ricercarne origine e fine.


credit Elena Bugada


HANNO SCRITTO DI LUI: Odette Alloati, Sabrina Arosio, Paola Artoni, Paolo Bertelli, Giovanna Barbero, Francesco Bartoli, Massimo Bignardi, Vincenzo Bonassisi, Vittorio Bottino, Antonio Carbè, Renata Casarin, Cristiano Casarotti, Antonio Castaldi, Mario Cattafesta, Gianni Cavazzini, Miranda Colombo, Mauro Corradini, Maria Cucciniello, Mariella Da Mondovì, Giacomo Danesi, Fedora d’Errico, Angelo Dragone, Gianmaria Erbesato, Giorgio e Marco Falossi, Michele Fuoco, Albino Galvano, Alfredo Gianolio, Paolo Gianolio, Margherita Goberti, Werther Gorni, Domenico Guzzi, Paolo Levi, Fausto Lorenzi, Giovanni Magnani, Renzo Margonari, Filiberto Menna, Carlo Micheli, Angelo Mistrangelo, Elisabetta Muritti, Federico Napoli, Giusi Nobilini, Laura Parenti, Dino Pasquali, Beatrice Pastorio, Enrico Pirondini, Franco Pone, Ennio Pouchard, Stefania Provinciali, Gaetano Rispoli, Anzia Saccomandi, Arianna Sartori, M. Grazia Savoia, Giorgio Segato, Giorgio Seveso, Vittorio Sgarbi, Afro Somenzari, Luigi Tallarico, Adelaide Trabucco, Gabriele Turola, Miklos N. Varga, Adriano Villata, Augusto Visconti.


Carlo Micheli / Beatrice Pastorio - DOMENICO GENTILE - Indagando le sottili trame


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