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«Non è un paese per ‘cesti’?» Crisi e declino della pallacanestro tricolore. Gli sponsor se ne vanno: ci sarà un futuro?
Calcio o basket? Palazzetto o Stadio? Erbetta o legno? Goal o canestro? Due filosofie distinte, universi distanti, troppo diversi, estremi, paralleli; due mondi che non si incontreranno mai e con un solo comune denominatore: la rete, ma con 7 sportivi su 10 che optano per quella fra i due bianchi pali legnosi. L’Italia è un paese per calciofili, inutile nascondercelo. La quasi totalità delle trasmissioni e dei quotidiani sportivi, parlano di calcio; per gli altri sport, ad eccezione del periodo olimpico, si prospetta sistematicamente un piccolo trafiletto nelle ultime due pagine: tra motociclismo e pallavolo. Quest'ultima, sembra aver addirittura surclassato la pallacanestro. Complice, forse, i numerosi successi degli ultimi quindici anni. Ma come si presentano queste due discipline sportive? Quali solo le peculiarità di calcio e basket? Il primo ci appare assai prodigo: nella raccolta di risorse, nel volume d'affari e per l'enorme risalto mediatico; ma anche assai più ricco di sprechi per gli ingaggi. Un vero fiume di denaro che scorre inarrestabile. Il secondo, decisamente più povero di spettatori, più carente nelle strutture, poco sostenuto dalle economie locali. La nostra pallacanestro è senza dubbio un movimento che appare parco: tanto nella visibilità che nel suo giro d'affari, con gli industriali che tendono a defilarsi. E, come se non bastasse, ci si mette anche la crisi a penalizzarne l'intero movimento. Una crisi che però, paradossalmente, non coinvolge il calcio. Detto ciò, sorge legittima una domanda: ma qual è il loro giro d'affari? Quali numeri muovono questi due sport? Ebbene, diamo un po' di cifre...
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1) il giro d’affari del calcio
(dati ufficiali al
otto anni fa, superava il miliardo e 300mln ma, contemporaneamente, contabilizzava perdite complessive pari a circa un miliardo e 600 mln. In pratica, come si può notare, un'impresa a perdere. Ma questa è tutta un'altra storia, con sempre più banche costrette a riempire i loro portafogli di partecipazioni nei club, pur di garantirne un'agognante sopravvivenza; 2) complessivamente, il nostro campionato, movimenta un giro d'affari di circa 88-90 milioni di €uro (dati al 2011, di cui 2 milioni e 800mila, da Sky) . Restando ai dati 2011, una piazza come Cantù, aveva un budget di circa 5 milioni, 4,5 per Varese e 4 per Sassari (senza sponsor nel 2011). A metà strada c'è Bologna (ma con un significativo taglio per le stagioni a venire, a detta di patron Sabatini); in cima ecco Milano e Siena, che disponevano di un budget pari a circa tre volte quello di Cantù. E oltre che cosa c'è? Be', oltre queste ‘elette’, vi è tutto il residuo di club che annaspa; almeno altre undici società che, con grande sacrificio e dedizione, tentano di salvare le loro posizioni nella massima serie nazionale: la ‘Lega A’. Fra questi sodalizi c'è anche la Juvecaserta che, dal 31/12/213, ha messo i suoi conti a posto, ricavando anche un inatteso avanzo di bilancio. In termini finanziari, e di masse di danaro, il rapporto fra calcio e basket è di 1:14, ossia: il calcio muove 14 volte il business del basket, in Italia. Per la pallacanestro, le cose vanno un po' meglio in Europa e, grazie anche alla ‘Euroleague basketball’ (la kermesse che assegna la coppa alla squadra più forte del continente), il business è il seguente: 375 milioni. A tanto ammonta il volume d’affari totale, di cui: - il 61% dell’intera “torta” deriva dai diritti televisivi. Grecia, Spagna, Israele, Turchia e Russia, a garantire il grosso dei contributi; - il 22% delle entrate proviene da sponsorizzazioni; - il rimanente 17% sono ricavi da merchandising, botteghino, ecc. Ogni squadra ha un budget variabile: da un max di quasi 46 mln €, ad un min. di circa 3 milioni e, in media, un budget di oltre 14mln € a stagione. 2006)
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Lo scarso seguito per la ‘palla a spicchi’, probabilmente è da attribuire anche ai mancati successi internazionali: sia a livello di club che di Nazionale. L'ultimo risultato utile, targato Italia, risale all'argento del 2004, ma non è stato sempre così. Per molti anni, infatti, il basket italiano, a livello di club, ha dominato in Europa. Basti pensare che, alcune nostre squadre, hanno vinto di gran lunga il maggior numero di trofei europei, ben 38 per l'esattezza: 13 Eurolega, 10 Coppe Korac (ora Eurocup) e 15 Coppa delle coppe. La Spagna invece, che è attualmente la più forte, ci segue a quota 28 trofei. Inoltre, è doveroso ricordare che, la ‘serie A’ italiana, era il crocevia di tutti i migliori giocatori non statunitensi. Tanto che, tra la seconda metà degli anni sessanta fino alla fine degli anni ottanta, le formazioni italiane vinsero ben 11 coppe campioni, 10 coppe delle coppe e 6 coppe Korac, raggiungendo in altre 22 occasioni una finale. Ma gli anni d'oro proseguirono: ottimi risultati si raggiunsero anche negli anni novanta, grazie all’emergere di sodalizi come Virtus e Fortitudo Bologna o la Benetton Treviso . Va detto che, in questo periodo, l'A1 italiana era riconosciuta come il miglior campionato europeo: in quel decennio i club italiani vinsero 7 coppe ed altre 11 formazioni conquistarono la finale. E tutto questo, naturalmente, si traduceva in visibilità, appeal e presenza di grandi firme dell'industria. E poi? Cosa accadde poi? Poi ci fu solo un lento declino. Analizziamolo: dopo anni di successi, il nuovo millennio porta un radicale ridimensionamento della palla a spicchi nel bel paese. I dati che rivelano la débâcle emergono sì dai numeri e infatti, dal 2000 ad oggi, i club italiani hanno vinto solo due trofei: l’Eurolega, nella contestata annata del 2001, e la Coppa delle coppe nel 2002 con Siena. Ma il ridimensionamento lo si è avuto anche dal punto di vista dell’appeal mediatico ed economico; le cause sono diverse e sono senz'altro correlate anche alle ben più grosse difficoltà che sta attraversando il nostro paese. Tanto per cominciare, la crisi economica mondiale - che da noi ancora morde - negli ultimi anni ha creato molti problemi a tutti gli sport minori; la pallacanestro italiana, poi, ha sempre basato la sua sopravvivenza sulle sponsorizzazioni e, la società sponsorizzatrice, lega da sempre il proprio marchio al nome della squadra.
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Molte squadre, anche della massima serie, hanno difficoltà nel trovare aziende disposte a sponsorizzarle, senza tralasciare che, la pallacanestro italiana, ha sempre trovato terreno fertile più in provincia piuttosto che nelle grandi metropoli, notoriamente di fede calcistica. Nell’attuale serie A, le uniche due grandi città rappresentate sono Roma e Milano; se escludiamo Bologna e Venezia, nessuna delle altre città rappresentate arriva a 150.000 abitanti. Ad esempio, in Campania (al netto dei continui problemi di Napoli) la squadra più blasonata è Caserta (campione d’Italia nel 1991), in serie A con Avellino e, sommando gli abitanti delle due città, il totale arriva a circa un decimo della città partenopea. Inoltre, la squadra dominatrice degli ultimi campionati è stata Siena, mattatrice in Italia ma con mediocri risultati in Europa: città che, tuttavia, supera di poco i 50.000 abitanti. In Eurolega, invece, le cose hanno un meccanismo diverso: vengono concesse delle licenze pluriennali che danno diritto a partecipare alla competizione indipendentemente dal semplice risultato sportivo e, le città rappresentate, superano almeno i 250.000 abitanti. Ora vi chiederete: che nesso c'è fra il numero di abitanti e l'insuccesso del basket? Direte... ma questo che c'entra? C'entra eccome, e ve lo spiego: è tutta una questione di numeri, di più o meno grandi numeri che noi non abbiamo. Ciò implica che, la mancanza di grande visibilità, scoraggia i grandi sponsor mentre, le aziende locali, che spesso in passato hanno portato avanti con successo una sinergia con le società cestistiche locali, non hanno più la possibilità di contribuire concretamente, complice la pesante contingenza economica nazionale. E questo spiega in parte perché, storici marchi industriali (soprattutto PMI artigiane e manifatturiere), oggi sono spariti dal panorama cestistico e, talvolta, assieme a loro, anche gloriosi club. E non solo: a queste problematiche macroeconomiche domestiche, si deve aggiungere anche un’errata politica della federazione, che negli ultimi anni non è riuscita ad evitare il declino della visibilità mediatica del basket; ma c'è dell'altro: guardiamo un po' i ‘panni sporchi’ di casa nostra, in Campania. Sarebbe intellettualmente disonesto se - per spiegare la carenza di imprese locali impegnate nel basket - noi non considerassimo i numeri di un vero dissesto socio-economico. Diciamoci la verità: quante imprese, da noi, esercitano in ‘nero’? Quanto lavoro ‘irregolare’ - diciamo così - si produce in Campania? Quanto si evade in provincia di Caserta? Ebbene, i ‘numeri’ sono questi: Piemmerre (a free editing blend by Protagonista & Soci ) Based on a work at piemmerre.wordpress.com/ Permissions beyond the scope of this license may be available at: http://ilprotagonista.jimdo.com/ or: protagonistieditori@gmail.com
Protagonista & Soci Produzioni e diffusione creativa indipendente Campania, incidenza lavoro nero su PIL, 10,8% (tot. 299.500 lavoratori irregolari 2013); Caserta, circa 50.000 irregol. - IRPEF a nero: 726mln circa. - v.a. stimato in nero: 1mld e 370mln circa. Incid. su PIL prov.CE: 11,6% (fonte dati CGIA Mestre-anno 2004, quindi ben lungi dalla crisi).
Appare quindi evidente, come: con quasi 50.000 unità non in regola, un
presunto volume d'affari in nero di quasi 1.400mln e con oltre 720mln di IRPEF evasa, nessuna fra queste aziende possa partecipare in modo trasparente al ‘circo della palla a spicchi’. Solo nel 2011 (ben tre anni fa), su 3.105 aziende ispezionate, 1.655 sono risultate irregolari. Quindi è evidente che, da queste oltre 1.600 imprese locali, difficilmente potrà arrivare mai una qualche sponsorizzazione. Inutile guardare i dati ad oggi: sappiamo benissimo che la situazione, rispetto al 2004, 2008 e 2011, è peggiorata. E, probabilmente, nessuno si è mai preoccupato di accostare queste gravi anomalie economiche, al declino del basket: sia locale che nazionale. Be', io modestamente l'ho fatto; a questo punto si potrebbe giungere ad un'amara conclusione: ma allora il basket tricolore è finito? Immagino si tratti di un'errata considerazione, per cui la domanda giusta è: cosa bisogna fare? Da dove ripartire? Dal pubblico e dal marketing. E' da lì bisogna ripartire: dalle tribune e dalle persone e dalle imprese. Dalle ricerche, infatti, è emerso che il massimo campionato italiano di pallacanestro si rivela essere l'evento preferenziale per gli investimenti sponsorizzativi. In tal senso, la serie A di basket, è il canale che attrae la maggior quota di imprenditori e dirigenti di azienda: il 10,4% del totale. Un target particolarmente idoneo per sviluppare, ad esempio, attività “business to business”. Chi può, e vuole investire nel suo brand, deve tenere conto della potenziale platea: nei numeri, nella sua identità e nelle sue tendenze. Vediamo, allora, i valori utili che, un investitore, deve considerare se vuole puntare sulla visibilità nella pallacanestro;
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da una recente ricerca è emerso che: - la Serie A di basket, risulta il campionato indoor più seguito dagli italiani, con una quota che supera gli 8,9 milioni di affezionati, il risultato più alto dal 2002. Rispetto al confronto con lo stesso periodo della scorsa stagione, il progresso è nell’ordine del 15%. Quindi il fenomeno, seppure gradualmente, è in netta crescita; - si tratta di un pubblico di estrazione media-medio/alta e con un buon livello di istruzione. Si riscontra una concentrazione di classi socio economiche superiori, così come dei giovani; - il pubblico è tecnologicamente evoluto e si caratterizza per l’elevata predisposizione all’investimento in prodotti finanziari e assicurativi, una delle più alte in ambito sportivo;
– il
campionato di Serie A, è seguito attraverso una pluralità di mezzi. RaiSport risulta l’emittente più seguita per le telecronache delle gare.
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Seguono: Sportitalia e La7d che quest’anno trasmettono le gare in simulcast. Il ruolo della stampa resta non strategico, ma il pubblico dimostra una particolare attenzione anche per Internet, una delle più alte in ambito sportivo. Insomma, in tutta franchezza, il mio modesto parere, è che si debba partire da questi punti fermi. Ma soprattutto, dai quasi 9 milioni di consumatori: occorre elaborare piani economici ed industriali che tengano conto anche di questa demografia/demoscopia, senza dimenticare la crisi che ancora ci penalizza. Il succo è tutto qui: pubblico e marketing; magari, trovando delle innovative e moderne soluzioni in stile ‘public company’. E' fondamentale comprendere che, la ‘Lega A’, può essere un volano per gli sponsor; moltiplicare e accresce più velocemente la propria notorietà, nel senso che, il ricordo degli sponsor principali, nel basket, è superiore del 33% rispetto al campionato di calcio di serie A. Inoltre, il campionato di basket, è anche il primo torneo a squadre in Italia dopo il football, nel quale, leader per seguito, si attesta la nazionale di calcio con 30,4 milioni di ‘follower’, affezionati. Ripetiamolo, ad oggi, tolti 4-5 club, restano oltre una decina di società che soffrono o debbono fare i conti con budget ridotti all'osso. Ma forse qualcosa si sta muovendo e qualche debole segno di ripresa si intravede, forse. La risoluzione di questi problemi è ancora lungi dall’essere scoperta ma, un primo passo avanti, lo si può riscontrare nel ritorno, al mondo del basket, di una competente personalità: l’ex presidente del Coni Gianni Petrucci. Ma lui, da solo, non può bastare;
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occorre riconsiderare e riconfigurare l'intero apparato cestistico nazionale, magari tenendo conto, modestamente, anche delle osservazioni da me espresse poc'anzi. Aggiungo un'ultima considerazione: sia chiaro, la ripresa del basket passa anche per le mani delle istituzioni locali (come sostegno e non come condizione), magari ‘stimolando’ le imprese, che da fuori investono sul territorio, a promuovere i più profittevoli progetti agonistici. Ed il basket è senz'altro fra essi. In cambio, potrebbero ricevere una qualche forma di sostenibile benefit. Sarebbe il vero aiuto concreto che (regione o provincia che sia) si può riconoscere all'intero movimento. Un valore concretamente misurabile!
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