fuoribinario n 155 marzo

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WW.FUORIBINAR

ALE DI STRADA N R

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AUTOGESTITO E AUTOFINANZIATO - N. 155 MARZO 2013 - OFFERTA LIBERA -

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Questo giornale di marzo è un numero speciale dedicato interamente a voci di donne. Ne è nata una ricchezza di idee, di argomenti, di testimonianze, di storie, di poesie, di quadri, di musica, di foto, di attualità. Ma soprattutto si sono incontrate e intrecciate tante realtà diverse e interessanti che arricchiranno il nostro cammino. Perché commemorare non basta, può diventare sterile. Perché se è necessario conservare la memoria di ciò che è stato, conoscere le nostre radici e ricordarci da dove veniamo, è ancora più necessario collegare il passato con l’oggi. Perché è adesso che noi viviamo e possiamo agire. E fascismo, ingiustizia e razzismo sono ancora pane quotidiano. Il passato ci interessa per le sue connessioni con il presente e per l’ombra che getta sul futuro. Qui troverete solo alcuni esempi di storie di donne nel mondo,quelle che ci è piaciuto ricordare, ma di tante altre si sarebbe potuto parlare. LA REDAZIONE

Produrre questo giornale costa al diffusore € 0,70 quello che date in più è il suo guadagno.


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PER NON PERDERSI CENTRI ASCOLTO INFORMAZIONI A.S.S.A. (Ass. Speranza Solidarietà AIDS): Via R. Giuliani, 443 Tel. 055 453580 C.I.A.O. (Centro Info Ascolto Orientamento) Via delle Ruote, 39 - orario 9,30-13,00 pomeriggio su appuntamento - Tel. 055 4630876, associazioneciao@gmail.com.

Baracca 150E - Tel. 055 30609270 - fax 055 0609251 (riferimento: Suor Cristina, Suor Elisabetta). OASI: V. Accursio, 19 - Tel. 055 2320441 PROGETTO ARCOBALENO: V. del Leone, 9 - Tel. 055 280052. COMUNITÁ EMMAUS: Via S. Martino alla Palma - Tel. 768718.

CENTRO ASCOLTO CARITAS: Via San Francesco, 24 Fiesole Tel. 055 599755 Lun. ven. 9 -11; mar. mer. 15 -17. PROGETTO ARCOBALENO: V. del Leone, 9 - Tel. 055 288150. CENTRO AIUTO: Solo donne in gravidanza e madri, P.zza S. Lorenzo - Tel. 055 291516. CENTRO ASCOLTO Caritas Parrocchiale: Via G. Bosco, 33 - Tel. 055 677154 - Lun-sab ore 9-12. ACISjF: Stazione S. Maria Novella - binario 2 - Tel. 055 294635 - Lun-Ven. ore 9,30- 12:30. acisjf.firenze@virgilio.it. Corsi di italiano, inglese, informatica, consulenza legale gratuita. CENTRO ASCOLTO: Via Centostelle, 9 - Tel. 055 603340 - Mar. ore 10 -12. TELEFONO MONDO: Informazioni immigrati, da Lun a Ven 1518 allo 055 2344766. GRUPPI VOLONTARIATO VINCENZIANO: Ascolto: Lun. Mer. Ven. ore 9,30-11,30. Indumenti: Mar. Giov. 9,30-11,30 V. S. Caterina d’Alessandria, 15a - Tel. 055 480491. L.I.L.A. Toscana O.N.L.U.S.: Via delle Casine, 13 Firenze. Tel./fax 055 2479013. C.C.E. (Centro consulenza Extra-giudiziale): L’Altro Diritto; Centro doc. carcere, devianza, marginalità. Borgo de’ Greci, 3 Firenze. E-mail adir@tsd.unifi.it

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PROGETTO S. AGOSTINO: S. LUCIA Via S. Agostino, 19 - Tel. 055 294093 - donne extracomunitarie.

PROGETTO ARCOBALENO: V. del Leone, 9 Tel. 055 288150.

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GLI ANELLI MANCANTI: Via Palazzuolo, 8 Tel. 055 2399533. Corso di lingua italiana per stranieri.

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MENSE - VITTO MENSA S. FRANCESCO: (pranzo) P.zza SS. Annunziata 2 - Tel. 055 282263.

MENSA CARITAS: Via Baracca, 150 (solo pranzo; ritirare buoni in Via dei Pucci, 2)

CENAC: Centro di ascolto di Coverciano: Via E. Rubieri 5r Tel.fax 055/667604.

MENSA ROVEZZANO: Via Aretina, 463.

CENTRO SOCIALE CONSULTORIO FAMILIARE: Via Villani 21a Tel. 055/2298922.

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CENTRO LA PIRA: Tel. 055 219749 (corsi di lingua italiana).

PROGETTO ARCOBALENO: V. del Leone, 9 - Tel. 055 280052.

SPAZIO INTERMEDIO: Via Palazzuolo, 12 Tel. 284823. Collegamento interventi prostituzione.

CENTRO AIUTO FRATERNO: centro d'ascolto, distribuzione di vestiario e generi alimentari a lunga conservazione, Piazza Santi Gervasio e Protasio, 8, lun.- ven. ore 16-18, chiuso in agosto, max 10 persone per giorno.

PARROCCHIA SANTA MARIA AL PIGNONE: P.zza S. M. al Pignone, 1 - mercoledì dalle 9 alle 11. Tel. 055 225643.

CENTRI ACCOGLIENZA FEMMINILI

MOVIMENTO DI LOTTA PER LA CASA: Via Palmieri, 11r Tel./fax 055 0516426.

PORTE APERTE “ALDO TANAS”: Centro di accoglienza diurno a bassa soglia dal lunedì al venerdì, ore 11,00-17,00 - Via del Romito 19 - tel. 055 683627 - email: aperte@tin.it

BAGNI COMUNALI: V. S. Agostino - Tel. 055 284482.

CENTRO DIURNO FIORETTA MAZZEI: Via del Leone, 35. Dal lun. al ven. ore 9,00-12,30 - 14,00-17,30.

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ASS. NOSOTRAS: centro ascolto e informazione per donne straniere, Via del Leone, 35 - Tel. 055 211632.

BAGNI E DOCCE

C.E.I.S.: V. Pilastri - V. de' Pucci, 2 (Centro Accoglienza AURORA ONLUS: Via dei Macci, 11 Tel. 055 2347593 Da mart. Tossicodipendenti senza tetto). a sab. ore 9-12. Colazione. doccia, domicilio postale, telefono.

CARITAS: Via Faentina, 34 - Tel. 055 46389273 lu. ore 14-17, mer. e ven. ore 9-12 per gli stranieri; tel. 055 4638 9274, mar. e gio. ore 9-12 per gli italiani. CENTRO ASCOLTO CARITAS: Via Romana, 55 - Lun, mer: ore 16-19; ven: ore 9-11.

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ASSISTENZA MEDICA CENTRO STENONE: Via del Leone 35 - 055 214 994, lun.-ven. ore 15-19. AMBULATORIO: c/o Albergo Popolare - Via della Chiesa, 66 Ven. 8 - 10. PRONTO SALUTE: per informazioni sulle prestazioni erogate dalle AA.SS.LL. fiorentine tel. 055 287272 o al 167 - 864112, dalle 8 alle 18,30 nei giorni feriali e dalle 8 alle 14 il sabato.

VESTIARIO

via G. Pietri n.1 ang. via Baracca 150/E, Tel. 055 301052 deposito bagagli gratuito; tutti i giorni, orario consegna - ritiro 10 - 14.30.

Pubblicazione periodica mensile Registrazione c/o Tribunale di Firenze n. 4393 del 23/06/94 Proprietà Associazione "Periferie al Centro" DIRETToRE RESPoNSABILE: Domenico Guarino CAPo REDATToRE: Roberto Pelozzi CooRDINAmENTo, RESPoNSAB. EDIToRIALE: Mariapia Passigli GRAFICA E ImPAGINAZIoNE: Sondra Latini REDAZIoNE: Gianna Innocenti, Luca Lovato, Felice Simeone, Francesco Cirigliano, Silvia Prelazzi, Michele Giardiello, Clara, Dimitri Di Bella, Rossella Gilietti, Franco Di Giuseppe, Sandra Abovich, Stefano Galdiero. CoLLABoRAToRI: Mariella Castronovo, Raffaele, Antonietta Di Pietro, Michele, Nanu, Jon, Luca, Marzio, Donella, Teodor. STAmPA: Nuova Cesat - Firenze ------------Abbonamento annuale € 30; socio sostenitore € 50. Effettua il versamento a Banco Desio e della Brianza -V.le Mazzini 1 IBAN - IT37 O 03440 02809 000000 373 000, oppure c.c.p. n. 20267506 intestato a Associazione Periferie al Centro - Via del Leone 76, - causale “adesione all’Associazione”

SAN PAOLINO: Via del Porcellana, 28 - Tel. 055 294707 (inforCENTRO AIUTO FRATERNO: Vestiario adulti, Chiesa di San mazioni: CARITAS Tel. 4630465). ALBERGO POPOLARE: Via della Chiesa, 66 - Tel. 211632 - Gervasio. orari: invernale 6-0:30, estivo 6-1:30 - 25 posti pronta acco- PARROCCHIA DI S.M. AL PIGNONE: Via della Fonderia 81 - Tel 055 229188 ascolto, lunedì pomeriggio, martedì e giovedì matglienza. tina; vestiario e docce mercoledì mattina. SUORE "MADRE TERESA DI CALCUTTA": Via Ponte alle Mosse, 29 - Tel. 055 330052 - dalle 16:30, 24 posti CASA ACCOGLIENZA "IL SAMARITANO": Per ex detenuti - Via

“Periferie al Centro onlus” Via del Leone, 76 - 50124 Firenze Tel/fax 055 2286348 Lunedì, mercoledì, venerdì 15 - 19. email: sito: skype:

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LA BACHECA DI FUORI BINARIO

REDAZIONE APERTA SECONDO APPUNTAMENTO

8 MARZO UNA GIORNATA DEDICATA ALLE DONNE DA COSTRUIRE INSIEME Via del Leone 76 - dalle 11 fino a sera Info: fuoribinarioblog@gmail.com Rossella - 333 4565423 Incontrarsi per stare faccia-a-faccia, per realizzare desideri muti, che siano il mangiar bene e l’allegria, il ballo, la conversazione, le arti della vita; per creare un lavoro artistico in comune, per uscire dalle case, un incoraggiamento a produrre, a "fare", un invito ad uscire dai propri stretti confini, Regalateci storie… poesia arte musica, deliri notturni e sogni diurni, foto collages disegni, diari di viaggio da paesi lontani o dal vostro quartiere, memorie e progetti, urla pianti sospiri risate, inni al sole e ululati alla luna, dichiarazioni d'amore e grandi cattiverie, i vostri sì e i vostri no… Per affermare qualcosa di sé, per ascoltare la storia di un'altra/o per non delegare la propria voce per esprimere 100, 1000 voci diverse per far parlare corpi muti.

Uomini per le donne La prima causa di morte per le donne di ogni parte del mondo, è la violenza maschile. Periodicamente questa tragedia affiora alla coscienza collettiva perché donne coraggiose la denunciano. E allora i giornali ne parlano, le Tv trasmettono documentari speciali, si fanno manifestazioni e nelle sedi istituzionali si propongono rimedi opportuni. Eppure, non possiamo fare a meno di notare un silenzio pesante come il piombo e che per noi è una colpa, è una vergogna: il silenzio degli uomini. Per quanto noi aborriamo la violenza in tutte le sue forme, per quanto la nostra stima nei confronti delle donne sia illimitata, per quanto il nostro dolore per tutte quelle donne morte per mano di un maschio sia straziante, non possiamo dirci estranei, non possiamo ritenerci innocenti. Non possiamo aspettarci, infatti, un atto riparatorio, o una presa di coscienza da chi questa violenza la commette, ma dobbiamo essere noi uomini che invece l’aborriamo a proporre un percorso che ci tiri fuori tutti, a lanciare l’allarme. Noi uomini non abbiamo mai riflettuto su di noi, come le donne fanno da sempre. Sempre più scrittrici, registe, artiste riversano nelle loro opere il disagio che nasce da una comunicazione limitata con gli uomini. Ci separa un abisso di linguaggio, ci mancano molte parole comuni. Il concetto di “specificità di genere” non ci ha mai neanche sfiorati. Non abbiamo mai fatto l’esperienza di qualcosa confrontabile con il femminismo, che nel bene o nel male, è stato un momento importante per la presa di coscienza di se da parte delle donne e dei loro rapporti con il mondo. Noi dobbiamo ancora cominciare: siamo in ritardo di secoli. Il nostro modo di essere uomini è spesso frutto di un’adesione acritica e inconsapevole ai modelli sociali o commerciali di cui non conosciamo ne l´origine ne lo scopo, e certe volte neanche il senso. Non meno delle donne, ed in maniera mforse più subdola, subiamo l’imposizione di stereotipi su cui dobbiamo cominciare a vigilare, a cui dobbiamo cominciare a reagire. Il macho, il don Giovanni, sono figure che hanno ancora un fascino enorme, ma non ci siamo mai chiesti il perché e dimentichiamo ogni volta che solo i peggiori fra di noi lo sono. Il nostro modo di essere padri è spesso il risultato di una concezione familiare che ci colloca sullo sfondo. Noi che al contrario dovremmo fare di tutto per stare in primo piano per recuperare l’assenza di un legame carnale con i figli. È ora di rifiutare di compiacersi di un linguaggio pubblicitario che per qualsiasi cosa ci aggredisce con l’esibizione del corpo femminile. Ma non sentiamo ancora la necessità di ribellarci a questo stato di cose. Dobbiamo cominciare a desiderare di conoscere le donne. Molti autori maschi, anche i grandi, molto spesso si limitano ad idealizzarle, se non addirittura a smaterializzarle. Come amanti abbiamo un’idea del nostro erotismo troppo semplificata, per non dire banale. Abbiamo un’idea egoistica del sesso, e per soddisfarlo siamo capaci delle peggiori nefandezze. Dobbiamo ancora cominciare a fare i conti con il nostro corpo. Diamo troppe cose per scontate. Tutto questo non può essere sufficiente a darsi una ragione di tanta violenza, che sembra essere l’unica cosa che il mondo ricco e quello povero, l’est e l’ovest hanno in comune. Ma quella violenza cieca nasce sicuramente da un difetto di pensiero, da una incapacità di confronto con il mondo. È la conseguenza di un rapporto superficiale con noi stessi. C’è di che rimboccarsi le maniche. Dobbiamo ricostruire una nostra, e solo nostra, autenticità. Dobbiamo maturare una specificità maschile, che magari ci renderà anche più forti, e perché no, più belli. I muscoli usiamoli per costruire ponti, case, e per sollevare in braccio le nostre compagne. La forza usiamola per diventare migliori.

I redattori di Fuori Binario Felice Simeone, Roberto Pelozzi, Francesco Cirigliano, Sergio Bertero, Luca Lovato


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LA PAROLA ALLE DONNE

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L’origine storica dell’8 marzo L’8 marzo era originariamente una giornata di lotta, specialmente nell’ambito delle associazioni femministe: il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli. Tuttavia nel corso degli anni il vero significato di questa ricorrenza è andato un po’ sfumando, lasciando il posto ad una ricorrenza caratterizzata anche - se non soprattutto - da connotati di carattere commerciale

Ipotesi sull’origine L’origine della festività è controversa. Una possibilità è che la sua istituzione risalga al 1910 nel corso della II Conferenza dell’Internazionale socialista di Copenaghen. Sarebbe di Rosa Luxemburg la proposta di dedicare questo giorno alle donne. Alcune femministe italiane, sostengono tuttavia che non c’è nessuna prova documentata a supportare questa ipotesi. Il movimento operaio e socialista di inizio secolo ha celebrato in date molto diverse giornate dedicate ai diritti delle donne e al suffragio femminile. Infatti l’8 marzo 1917 (23 febbraio secondo il calendario non riformato) le operaie di Pietroburgo (Russia) manifestarono, accanto agli uomini, contro la guerra e la penuria di cibo (nell’ambito della rivoluzione

marzo, le operaie dell’industria tessile Cotton iniziarono a scioperare per protestare contro le condizioni in cui erano costrette a lavorare. Lo sciopero proseguì per diversi giorni finché l’8 marzo Mr. Johnson, il proprietario della fabbrica, bloccò tutte le vie di uscita. Poi allo stabilimento venne Inoltre, le già citate femministe italia- appiccato il fuoco (alcune fonti parlane, ipotizzano che per rendere più no di un incendio accidentale). Le 129 universale e meno caratterizzato operaie prigioniere all’interno non politicamente il significato della ebbero scampo. ricorrenza, si preferì omettere il richiamo alla Rivoluzione russa ricol- Questa storia è in realtà un adattalegandosi ad un episodio non reale, mento di un fatto realmente accaduto ma verosimile, della storia del movi- ma con tempi e modalità leggermente diverse. L’incendio in questione mento operaio degli Stati Uniti avvenne nel 1911 (quindi dopo, e non In Italia, nel secondo dopoguerra, la prima della tradizionale data di nascigiornata internazionale della donna ta della festa, il 1910), a New York, fu ripresa e rilanciata dall’UDI nella Triangle Shirtwaist Company. (Unione Donne Italiane) associando Le lavoratrici non erano in sciopero, nel contempo alla data dell’8 marzo ma erano state protagoniste di una l’ormai tradizionale fiore della mimo- importante mobilitazione, durata sa. quattro mesi, nel 1909. L’incendio, per quanto le condizioni di sicurezza La strage della fabbrica del luogo di lavoro abbiano contribuito non poco al disastro, non fu doloso. Cotton (New York) Le vittime furono oltre 140, ma non furono tutte donne, anche se per il In Italia è molto diffusa una leggenda tipo di fabbrica erano la maggior metropolitana che fa risalire l’origine parte. I proprietari della fabbrica si della festa ad un grave fatto di crona- chiamavano Max Blanck e Isaac ca avvenuto negli Stati Uniti, l’incen- Harris, vennero prosciolti nel procesdio della fabbrica Cotton a New York so penale ma persero una causa civinel 1908. Alcuni giorni prima dell’8 le. di febbraio). L’unica data certa è comunque quella dell’ 8 marzo 1911, quando si celebra la prima giornata internazionale delle donne, manifestazioni hanno luogo in Austria, in Danimarca, in Svizzera, in Germania e negli USA.

Citazioni Emma Goldman: (1869 - 1940) «La storia ci ha insegnato che ogniclasse oppressa ha ottenuto la sualiberazione dagli sfruttatori solo grazie alle sue stesse forze. E’ dunque necessario che la donna apprendaquesta lezione, comprendendo che la sua libertà si realizzerà nella misura in cui avrà la forza di realizzarla. Perciò molto più importante per lei cominciare con la sua rigenerazione interna, facendola finita con il fardello di pregiudizi, tradizioni e abitudini». Louise Michel: (1830 - 1905) «Ovunque l’uomo soffre nella società maledetta, ma nessun dolore è paragonabile a quello della donna». «Gli uomini più progressisti applaudono all’idea di uguaglianza dei sessi. Ho potuto constatare che come prima e come sempre ancora gli uomini, senza volerlo, vuoi per abitudini o vecchi pregiudizi, vogliono sì aiutarci, però si accontentano solo di sembrarlo. Prendiamoci allora il nostro posto e non aspettiamo d’averlo». Flora Tristan (1803 - 1844) «L’affrancamento dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi. L’uomo più oppresso può opprimere un altro essere, che è sua moglie. È la proletaria del proletario stesso»

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bERE E/O FUMARE IN PUbbLICO ANDARE A CAVALLO INDOSSANDO PANTALONI

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LA PAROLA ALLE DONNE

Rosa di rivoluzione di Fabrizio Melodia (Astrofilosofo) Solo estirpando alla radice la consuetudine all’obbedienza e al servilismo, la classe lavoratrice acquisterà la comprensione di una nuova forma di disciplina, l’autodisciplina, originata dal libero consenso (Rosa Luxemburg, 1918). Buttata in un fosso, come un rifiuto. Vera e propria spazzatura della società , andava uccisa, per evitare che ammorbasse l’aria pulita del nazionalismo e dell’economia capitalista sempre più spinta. Il giorno 15 gennaio 1918, dopo aver partecipato alla Rivoluzione Tedesca iniziata nel novembre dello stesso anno dopo la disfatta della Germania nella Prima Guerra Mondiale, dopo aver contribuito a fondare il Partito Comunista di Germania fra il dicembre 1918 e il gennaio 1919 Rozalia Luxsemburg, nata a Zamo (oggi in Polonia) il 5 marzo 1871, nota con il nome di battaglia di Rosa Luxemburg, fu rapita e in seguito assassinata dai soldati dei cosiddetti Freikorps agli ordini del governo del socialdemocratico Friedrich Ebert e di Gustav Noske, ministro degli Interni. Fu gettata in un fosso, insieme al suo compagno di lotta, Karl Liebknecht. Spazzatura rivoluzionaria, recuperata in seguito ma sui cui resti sorse un mistero, in quanto Rosa Luxemburg soffriva di una malformazione congenita al femore, afflizione che non appariva nello scheletro recuperato. Solo nel maggio 2009, il settimanale tedesco Der Spiegel ha pubblicato la notizia del ritrovamento da parte del governo dei veri resti di Rosa Luxemburg, conservati ora presso l’ospedale della Charità a Berlino. Per il suo impegno nella lotta di classe e i contributi teorici alla filosofia marxista, Rosa Luxemburg ebbe un monumento, come Karl Liebknecht, a opera dello scultore Ludwig Mies van der Rohe, distrutto poi dal regime nazista. Nata da una famiglia ebraica nel Voivodato di Lublino, all’epoca facente parte dell’Impero Russo, fuggì in Svizzera e studiò poi all’Università di Zurigo, dove fece la conoscenza di figure di spicco del socialismo, come Anatolij Lunarskij e Leo Jogiches. Da sempre avversa al nazionalismo del Partito Operaio Unificato Polacco, fondò nel 1893, assieme a

RoSA LUXEmBURG “Stralci di lettere dal carcere di massima sicurezza” Varsavia, 18-7-1906 A Matilde Wurm (…) Questo è il tempo nel quale viviamo, meraviglioso, cioè io chiamo un tempo meraviglioso quello che produce una massa di problemi enormi che stimolano i pensieri, che fanno emergere passioni, soprattutto un tempo fertile, un tempo gravido che partorisce ogni ora e da ogni nascita emerge di nuovo una gravidanza (…) Caro E., sono molto contenta che Lei stia meglio. Non si stressi e sopratutto non cada in depressione. La RIVOLUZIONE è GRANDIOSA, tutto il resto sono stupidaggini. Dal carcere di Wronke, 28-12-1916

Leo Jogiches e Julian Marchlewski, la rivista Sprawa Robotnicza (La causa dei lavoratori). Auspicava che l’indipendenza della Polonia sarebbe stata possibile solo con una rivoluzione globale in Austria, Germania e Russia, negando sostanzialmente il principio di autodeterminazione delle nazioni, in quanto origine solo di guerre e disaccordi, contrariamente a quanto sostenuto da Lenin, il quale, comunque le inviò una copia del suo libro, Materialismo ed Empiriocriticismo, recensito da lei nel 1909. Nel 1897 ottenne la cittadinanza tedesca, iscrivendosi al Partito Socialdemocratico Tedesco (SPD), il più forte partito socialista in Germania fino al 1914, il cui segretario Karl Kautsky era ritenuto il diretto prosecutore ed erede ortodosso di Marx ed Engels. Rosa Luxemburg iniziò a scrivere e a contribuire all’ortodossia marxista, rivoluzionandola alla base, come il buon Marx auspicava dai suoi compagni. Al riformismo blando, Rosa Luxemburg contrapponeva sempre la parola di una concreta rivoluzione, ribadita e sottolineata nel libro Riforma sociale o rivoluzione? (1899). Fu una convinta aderente al fronte pacifista all’inizio della prima guerra mondiale. Assieme a Karl Liebknecht, nel 1915, creò il Gruppo Internazionale, che sarebbe diventato in seguito la Lega Spartachista, parte in un primo tempo del Partito Socialdemocratico e poi del Partito Socialdemocratico Indipendente, prima di divenire il nucleo del Partito Comunista di Germania. Numerosi i suoi scritti e fondamentali contribuiti a una diversa visione del marxismo, in modo molto più aderente alla realtà. L’accumulazione del capitale (1913) rimane il caposaldo della sua visione, fortemente critica rispetto al riformismo. Vedeva nel capitalismo un mostro che divorava se stesso, un leviatano che, per produrre, aveva sempre bisogno di qualcosa all’esterno di se stesso, di cui doveva nutrirsi, fino a scontrarsi con l’inesistenza di altro da sé, momento in cui, arrivati al tremendo stal-

lo, la scelta dei popoli sarebbe stata fra socialismo o barbarie. Era fortemente critica verso le dirigenze di Partito: la rivoluzione deve necessariamente venire dal basso, dalla libera determinazione delle masse operaie e proletarie, non da organismi burocratici e dirigenziali, i quali imbrigliano in assurde camicie di forza la forza rivoluzionaria. Avversa al nazionalismo che priva delle più elementari libertà civili, vedeva nella libertà di stampa, di

A Matilde Wurm

A Sophie Liebknecht

(…) Piangere è una questione di debolezza, essere uomo significa buttare con gioia tutta la propria vita su questa grande bilancia del destino, se è necessario, ma allo stesso tempo rallegrarsi di ogni giorno di sole e di ogni nuvola bella, io non ho ricette per scrivere come deve essere un uomo, so soltanto come uno lo è.

Wronke, 2-5-1917

(…) Il mondo è così bello malgrado tutti gli orrori e lo sarebbe ancora di più se non esistessero deboli e codardi. La psiche delle masse come il mare eterno nasconde in sé tutte le possibilità latenti: silenzio mortale e tempesta violenta, codardia più bassa e eroismo più selvaggio. La massa è sempre ciò che deve essere secondo le condizioni del periodo storico e sta sempre per diventare qualcosa di totalmente diverso da quello che sembra (…) Essere deluso dalle masse è sempre la cosa più vergognosa per un uomo politico. (…) Questo silenzio sublime dell’infinito nel quale si perdono così tante grida inascoltate risuona in me così forte che non ho più spazio nel mio cuore per il ghetto: mi sento a casa in tutto il mondo, dove esistono nuvole e uccelli e lacrime umane.

associazione e di riunione, la volontà del proletariato di istruirsi e crescere unito nella consapevolezza di se stesso, per seguire il difficile sentiero di un mondo nuovo, più giusto e egualitario. Aveva visto più in là di tanti, Rosa Luxemburg. Come tanti profeti, non poteva essere una veggente in casa propria. Tradita molto spesso dai suoi stessi compagni, dimenticata dai più. Era il tempo di Lenin e della rivoluzione di Ottobre,

(…) Io ho delle volte la sensazione di non essere una vera donna ma qualche uccello o un altro animale in forma di uomo non riuscito. Internamente mi sento qui, in un campo fra i bombi, molto più a casa che all’assemblea del partito. A Lei questo lo posso dire con tranquillità, Lei non annusa subito il tradimento del socialismo, Lei sa che io malgrado questo spero di morire in campo: in una battaglia di strada oppure nel carcere di massima sicurezza. Ma il mio io più interiore appartiene di più alle cinciallegre che ai compagni (…) Il mio crescere interiore inscindibilmente legato alla natura organica prende quasi forme patologiche che hanno a che fare probabilmente con la mia condizione nervosa (…) Breslau, 12-5-1918 Laggiù una coppia di allodole ha partorito un piccolo, gli altri tre probabilmente sono morti e questo qui sa già camminare molto bene. Lei forse ha notato come camminano curiosamente le allodole, con piccoli passi

Rosa Luxemburg aveva compreso come, a causa dell’arretratezza economica della Russia, il governo sarebbe stato costretto a prendere provvedimenti che ben poco avrebbero avuto a che fare con il comunismo e la rivoluzione: da soli nulla si può fare, la sola speranza era che anche gli altri Paesid’Europa insorgessero e rivoluzionassero l’assetto del mondo. Il messaggio di Rosa Luxemburg risuona prepotente nelle nostre orecchie come un monito, soprattutto oggi, con una Destra populista e nazionalista litigiosa ma incattivita e una Sinistra blanda, spaccata dalle beghe interne e tutt’altro che attenta a una rivoluzione che provenga realmente dal basso, con una totale disattenzione alla militanza concreta. Il libero consenso fondato sull’autodisciplina, purtroppo, non è una qualità che si possa riscontrare in un’Italia imbarbarita culturalmente e socialmente arretrata, in cui ognuno pensa per se stesso e tutti sono nemici l’uno con l’altro, dove il Dio Denaro regna sopra tutto e da tutti è lodato e glorificato, e parla per mezzo del profeta televisivo. Rosa Luxemburg continua ad avvisarci che il Dio Denaro è solo un mostro che divora se stesso, che le crisi periodiche cui va incontro sono le purghe necessarie per poter continuare a ingurgitare le masse spropositate di cibo e bevande prodotte dai suoi schiavi agonizzanti. Fino a quando ci sarà comunque qualcuno che avrà in mano la libertà di dire un NO a questo mostro primordiale, a riunirsi liberamente e autodeterminare le scelte fra compagni davvero solidali gli uni verso gli altri, il seme della Rivoluzione potrà scorrere nelle menti di coloro i quali ancora non sono rassegnati a essere carne da pasto per le loro stesse budella. La libertà è sempre la libertà di dissentire. In lingua originale, dissentire è andersdenken, pensare diversamente. E noi diversamente pensiamo. E ricordiamo il 15 gennaio 1919, assassinio di Rosa Luxemburg. svelti, saltellando non come un passero che salta con tutte e due le zampe – sa già volare bene ma ancora non trova abbastanza nutrimento da solo, insetti etc... specialmente in questi giorni freddi. Così appare tutte le sere qui nel cortile, davanti alla mia finestra, e fa pipi a gran voce, e subito le due vecchie appaiono e con un uit-uit ansioso rispondono a bassa voce, poi camminano veloci cercando disperatamente di trovare qualcosa da mangiare prima del tramonto e del freddo, poi si avvicinano a questo piccolo che si lamenta e gli mettono nel becco ciò che hanno trovato. Questo si ripete ogni sera alle otto e mezzo e quando questo pippip lamentoso inizia sotto la mia finestra e vedo l’inquietudine e la preoccupazione di questi genitori mi si spezza il cuore. Invece non posso fare niente perché le allodole sono molto timide e quando uno gli butta il pane volano via, non come i piccioni e i passeri che mi seguono già come dei cani. Io mi dico invano che è ridicolo che io mi senta responsabile per tutte le allodole affamate nel mondo e che non posso piangere per tutti i bufali bastonati che vengono ogni giorno portando grandi sacchi nel cortile. Non serve a niente e io sono veramente malata se sento e vedo tali cose.


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VALIE EX PORT Waltraud Hollinger, austriaca, nata a Linz nel 1940; nel 1967 rinuncia sia al nome paterno che a quello del marito, per adottare una nuova identità ispirata al nome della marca di sigarette più popolare in Austria. VALIE EXPORT – EXPORT SMART è un’opera emblematica, dove l’artista si raffigura in possesso di un pacchetto di sigarette – che sta fumando – sul quale è stampato il suo volto. Fumare quella marca di sigarette (un po’ come le nostre Nazionali senza filtro) era considerato un attributo virile.

Adottando il nome di VALIE EXPORT, “esportatrice di valori e trasformazioni politico sociali”, l’artista compie un atto simbolico di autodeterminazione sociale, politica ed estetica. Da quel momento in poi VALIE EXPORT ha fatto della sua arte un modo di veicolare messaggi forti, concentrando il suo lavoro sul corpo come materiale umano in relazione allo spazio, con intenzione di sfida e un forte impatto provocatorio, denunciando la sua protesta contro la ricorrente violenza sulle donne, sia a livello fisico che psicologico e provocando un dialogo sul ruolo della donna nella società. “Già attorno al 1968 mi sono chiesta quale arte si dovesse mostrare in quanto donna per poter essere vista e rilevata”. Da questa premessa, e cosciente del fatto che le nuove tecnologie mediali hanno provocato un mutamento e una diversa percezione del mondo, utilizza la performance come forma di comunicazione per indagare i limiti fisici e psicologici con l’intento di destabilizzare le ideologie sessiste, documentandola con fotografie e video e diventando così una delle pioniere più significative dell’arte mediale, di performance e cinema concettuali. A questo mirano le azioni che si svolgono alla fine degli anni Sessanta per le strade affollate di Vienna, quando porta al guinzaglio come un cane il suo compagno Peter Weibla. O nelle “Aktionshose: Genitalpanik” (Pantaloni d’azione: panico genitale), con cui compie una vera e propria azione di guerriglia rivoluzionaria per denunciare il ruolo passivo delle donne nel cinema, facendo irruzione in un cinema a luci rosse di Monaco di Baviera, con un grande strappo nei pantaloni a mettere in evidenza il sesso e armata di mitragliatrice, invitando i presenti a toccare i suoi genitali, ma senza nessuna provocazione: così gli uomini si alza-

vano e uscivano. O, ancora, in “Tapp und Tastkino”(Cinema da tastare e palpare), in cui sulla parte superiore del corpo indossava una scatola con un foro chiuso da una tendina – in modo che il seno non potesse vedersi – e i passanti venivano incoraggiati al contatto diretto da Peter Weibel, che attraverso un megafono incitava: “Questo è Touch Cinema. Anche se lo stato non ammette la pornografia, voi potete sentirvi liberi di sperimentarlo ... ma solo per tredici secondi. Quando lo fate, comunque, sarete visti da tutti”. Quindi gli spettatori vengono invitati a partecipare attivamente, con l’intento di distruggere le convenzioni e gli stereotipi dei ruoli sociali e sessuali. Questi lavori sono diventati delle icone della storia dell’arte e dell’impegno femminista di VALIE EXPORT. Il suo impegno contro la violenza sulle donne non si ferma agli anni in cui il fermento sociale era maggiormente sentito dalla vasta quantità femminile: nel 1995, nella video installazione “Violazione-Tagli”, attraverso delle crude immagini proiettate su monitor, denuncia l’atrocità della pratica dell’infibulazione e delle mutilazioni femminili effettuate in Africa. Sin dagli inizi della sua carriera artistica VALIE EXPORT non ferma la sua attenzione solo sulla posizione e sull’immagine della donna nella società; molto importanti sono anche le forme di espressione verbale e non verbale – in un’installazione laser del 1998 si chiedeva: “Esiste qualcosa che non possa essere espresso da un’immagine o un segno?” –; quindi indaga la comunicazione e la forte relazione che intercorre tra noi e lo spazio. Infatti sin dagli inizi degli anni Settanta inizia “Configurazioni di corpi”, una serie di fotografie in contesti urbani e in natura. Assumendo le diverse posizioni che l’architettura o la natura le suggerisce, adatta se stessa alla realtà circostante, suggerendo così l’idea che i nostri corpi vengono modellati da fattori socio-ambientali che creano anche le nostre condizioni interiori. Da qui nasce anche lo studio delle donne rappresentate nella storia dell’arte, sostituendo l’immagine iconica di quelle donne con il proprio corpo. Ma per quanto nella sua opera esistano molti autoritratti, la sua non è auto-rappresentazione, bensì un cercare di capire come si crea il proprio vero io e se la propria identità si costituisca nella nostra mente attraverso la somma delle immagini e delle esperienze individuali immagazzinate nella memoria. Oggetto di studio della sua ricerca artistica è, pertanto, la soggettività perennemente minacciata da strutture sociali di potere, che cercano di tenere separati il corpo e la psiche con processi che generano una percezione di divisione, mettendo così in evidenza la vulnerabilità e il conflitto, ma dandoci anche la forza per una lotta instancabile a difesa della propria esistenza. Ecco quanto scrive in un autoritratto: “Sono nata nella clinica che appartiene alla città di Linz ho bevuto al seno che appartiene a mia mamma mi sono nascosta dalle bombe che appartengono allo stato inglese mi sono vestita con abiti che appartenevano a mia sorella ho pianto mio padre la cui morte apparteneva alla patria ho giocato con i palloni che appartenevano alla scuola d’infanzia ho letto libri che appartenevano alla biblioteca ho viaggiato in treni che appartenevano allo stato mi sono seduta su sedie che appartenevano ad altri ho vissuto del denaro che apparteneva al mio compagno ho respirato l’aria che appartiene a dio questa è la mia vita che appartiene a me ho gridato con la voce che appartiene a me ho morso con denti che appartengono a me ho graffiato con unghie che appartengono a me ho riso con risate che appartengono a me ho baciato con la bocca che appartiene a me ho dormito con sogni che appartengono a me questa è la vita che appartiene a me.” A sottolineare la valenza politica dei suoi lavori, basti dire che per l’esposizione “Tempo e Controtempo” tenuta al Museion di Bolzano nel 2011, si è dovuto chiedere il permesso alla questura, come per una

manifestazione, per poter mettere in mostra un’opera come Kalashnikov, un’installazione di 109 fucili e olio esausto, quindi un’opera anche olfattiva che riconduce le argomentazioni sulla guerra agli interessi racchiusi nella piramide armi, petrolio e denaro. A proposito di quest’opera VALIE EXPORT afferma: “È interessante notare come i paesi che possiedono il petrolio siano molto più ricchi, ma con un grande divario tra poveri e ricchi molto maggiore che nei nostri paesi”.

Nel suo lavoro, in costante evoluzione, compare sempre il tema dello sdoppiamento, una divisione e poi una cucitura. Non come contraddizione, ma per svelarne i vari significati. Così in una delle ultime installazioni, costituita da 45 monitor, entra in scena il tema dell’ago industriale in continuo movimento che, oltre a rappresentare la tecnica di uno dei primi lavori femminili, con il suo movimento ascendente e discendente crea una linea grafica che fende lo spazio e, con un atto aggressivo, ferisce, ma nella risalita dell’ago lo spazio si ricompone. Altro aspetto importante che l’azione del cucire rappresenta è l’unione, essa “mette insieme parti per creare un intero”. Possiamo quindi affermare che nel grande rigore che la caratterizza l’arte di VALIE EXPORT è in costante evoluzione, fermo restando che il messaggio più importante che vuol veicolare “è la consapevolezza della percezione, a cui si collega un cambiamento sociale e politico con il fine di creare una convivenza umana.” Alle domande “Cosa le fa paura? E cosa la indigna?” risponde: “Mi fa paura il fatto che non raggiungiamo mai lo scopo di diventare un’unica umanità. Trovo vergognosa la negazione della corruzione e quindi il fare dello sfruttamento un fine politico.” E mi piace chiudere ancora con le sue parole: “Nel salutarvi vi voglio ricordare che l’arte è anche politica, che può fare moltissimo per cambiare le cose, certo non miracoli, ma davvero può fare molto. Vorrei perciò invitare anche voi a dare un contributo a queste trasformazioni”.

Alba Visconti


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LA PAROLA ALLE DONNE

Canti di donne contadine In un periodo in cui la stampa voyeristica e morbosa sembra attribuire alle donne come unica professione “il lavoro più antico del mondo”, in occasione dell’8 MARZO, vorrei porre all’attenzione la grande forza femminile del passato attraverso alcuni versi popolari composti a metà ‘800 da donne toscane (per lo più contadine). Molti di questi canti testimoniano la profonda coscienza delle dure condizioni di vita della donna nel secolo scorso che, nonostante le grandi trasformazioni sociali, ritornano nella fatica quotidiana del vivere oggi. Uno dei più conosciuti è Il lamento della sposa, in cui il tema della malmaritata è sviluppato con grande spirito e maestria.

IL LAMENTO DELLA SPOSA Aveo le fibbie belle, aveo de be’ vestiti, ora mi so’ spariti in su i’ momento l’orologio d’argento e’ ci teneo appesa una bella catenina ciondoloni, io gli feci i calzoni, calzette e sottoveste e giubba delle feste e un be’ cappello, credeva d’esse’ bello con tutto i’ suo ballare, a me tocca stentare, poverina! La sera e la mattina mi trovo disperata, ho fatto la frittata, e me credete, fui messa nella rete dalla mi’ zia Simona e dalla baccellona della Nena, preso che l’ebbi appena, questo tristo marito, mangiare i’ pan pentito a me conviene, credevo di sta’ bene e pe’ fammi dispetto e’ m’ha venduto i’ letto e i’ cassettone. Ragazze belle e bone, da me tutte imparate, zitelle e maritate, a ave’ giudizio: s’entra in un precipizio appena fatte spose; e so dell’altre cose e ‘un le vo’ dire; con questo vò finire e non vo’ anda’ più ‘n là: polenta e baccalà l’è un boccon bono!

Nel prossimo canto, raccolto nell’area aretina, sul tema della “monacata per forza” (quando la mancanza di una dote spingeva le famiglie a chiudere le figlie in convento) il contrasto si fa serrato tra la ragazza monaca e la cugina contadina che, con grande chiarezza rifiuta la vita monacale scegliendo l’amore e la libertà benché sia consapevole della vita dura di contadina che le si prospetta davanti.

GISMONDA

cinque minuti soli io mi consolo le porte m’apre lui di’ paradiso.

Gismonda amata mia cara cugina, tu vedi mi son fatta monacella fatti anche te nun far la contadina e vieni a fa’ preghiera nella cella.

La luna, le stelle tutto mi fa vede’ e te ‘spetti a morire pe’ salì lassù ne’ ciel.

La vita è un passaggio che presto se ne va e la gloria di Dio è una ‘ternità. Io non mi vo’ far monaca davvero col mi’ Beppino mi vo’ divertire, non mi vo’ rinserra’ ni’ monastero e poi laggiù finirci per morire. Mi giro e mi spasso, quanto mi piace a me a fa’ la vita eterna ci fo’ pensare a te. O si lo vedo o cara mia Gismonda vedo che tu sei forte e ‘nnamorata peccato giorno in giorno ti circonda e quando mori tu sarai dannata. Ed io in convento a fa’ preghiera sto e quando sarò morta in cielo volerò. Ma io prima di te, certo ci volo quando a Beppino glielo bacio il viso

Gismonda, tu mi hai fatto impallidire mi hai fatto palpitare dentro al cuore, via dal convento via io vo’ fuggire lo vo’ provare anch’io cos’è l’amore. Lo vedo, tu vivi tanta felicità, anch’io son nata femmina, all’amore voglio far. Ma questi testi colpiscono soprattutto per quel loro linguaggio sapiente che si sente nasce da una comprensione profonda delle cose, come risuona nelle prossime sestine. “ Sarebbe meglio mattonare il mare che porre amore a chi non lo conosce. Sarebbe meglio in una selva stare mangiando l’erba come fanno l’ orse. Sarebbe meglio darsi disciplina che porre amore a chi non ne fa stima.” ________________________

Angela Batoni

cantante delle tradizioni popolari


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sono io la precaria dello scandalo Mi presento. Mi chiamo Chiara Di Domenico, sono la prima laureata della mia famiglia: una laurea in Lettere, vecchio ordinamento, che pensavo di utilizzare per insegnare, ma poi qualcuno ha deciso che ci voleva una specializzazione, e mi sembrava stupido ripetere gli stessi esami solo perché era stato deciso così. Sono diventata libraia alla libreria Martelli di Firenze (catena Edison, la stessa che ha appena messo in cassa integrazione tutti i suoi dipendenti), dove un incauto business plan ci ha sballottato fuori dalla libreria in 11 e sparpagliati nelle altre librerie, fino a lasciarci per strada. Così ho continuato a lavorare, testardamente, nell’editoria. Ho fatto un master universitario, e senza passare per lo stage ho iniziato a lavorare con le edizioni Fernandel. Chi mi conosce sa la storia dei miei ultimi anni. Non vale la pena ricordarla nel dettaglio qui, perché non è che una delle tante. Proprio per quella storia, che è una storia vincente, visto che oggi posso permettermi di investire 600 dei miei 1.200 euro di stipendio in un monolocale a Roma, il Pd mi ha scelto giovedì per parlare di lavoro. Esordendo l’ho detto: «Sono la precaria ignota», rappresento una categoria che stringe i denti e sacrifica tempo e fatica nella speranza di un po’ di normale stabilità. Non sono tesserata Pd, non sono mai stata tesserata. Insieme ad altri precari da due anni organizziamo un festival, «Mal di Libri», che dà voce ai tanti (bravi) scrittori e lavoratori ignoti che hanno difficoltà a trovare spazi.

Oggi lavoro per una casa editrice che rispetta il mio contratto a progetto. Ieri ho parlato per 8 minuti del nostro lavoro. Di chi si è stancato di firmare un contratto a progetto senza obbligo di ore e si ritrova paradossalmente a fare straordinari che non gli verranno mai pagati. Di chi è costretto ad aprirsi la partita iva pur avendo un solo datore di lavoro. Di chi viene mandato a casa, sostituito da un apprendista, perché così è lo stato a pagare le tasse, e non il suo datore di lavoro. Per anni accetti. Ti metti in gioco. Poi ti accorgi che passano gli anni e niente cambia. Per anni mandi lettere, come un San Girolamo dal deserto, ai giornalisti, ai direttori di testate, agli uomini e donne di spettacolo e di cultura. Alcune sono diventate note sul mio profilo facebook. Una volta ho invitato il direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano a venire nel mio quartiere a conoscere i precari di cui parlava spesso. Ha voluto il mio numero, mi ha detto «La contatteranno». Silenzio. Ho scritto una lettera a Federico Fubini, giornalista del Corriere della Sera, che portando ad esempio Angelo Sraffa dice che siamo incapaci di farci sentire. L’ho invitato a una cena collettiva, lui mi ha proposto un incontro nella sua città. Allora ho deciso di farci sentire. C’è un elefante, nel salotto letterario dove lavori ogni giorno. È davanti agli occhi di tutti, ma tutti fanno finta di niente. E quell’elefante è un ricco collage di ruoli e nomi noti. È forte a destra come a sinistra, e

ORNELLA

decurtare lo stipendio pur di avere un lavoro, a chi si ritrova a pagare migliaia di euro di tasse perché il suo datore di lavoro lo vuole ma non vuole prendersi i rischi di un’assunzione. Chi prende i tram, chi ascolta i discorsi per strada, lo sa quanto questo è diventato frequente. Troppo frequente. Io sono solo un topo, che ha osato guardare negli occhi un elefante. Mi hanno accusato di un «attacco ingiusto». Non ho mai alzato la voce. Non ha mai minacciato. Mi sono solo chiesta come si possa andare avanti a fare finta di niente. A guardare indifferenti chi non ce la fa più. A vedere le differenze e dire che siamo uguali. Io sono uguale a V. a cui è stato proposto di licenziarsi dal suo tempo indeterminato per farsi riassumere quando avrà finito il periodo di maternità. Sono uguale a chi non dorme più. E tutta l’istruzione, tutta la cultura illuminista, e i diritti acquisiti negli ultimi cinquant’anni, mi dicono che anche il figlio di un tramviere ha diritto di fare, bene, e sereno, il lavoro per cui ha studiato. E se molte persone hanno la fortuna di crescere con una bella biblioteca in casa, anche altri hanno diritto di usufruire delle biblioteche e delle scuole pubbliche. Quelle che stanno cercando di toglierci, quelle per cui fino ad ora si è fatto troppo poco. È lotta di classe questa? A me interessa solo che i diritti valgano per tutti. E che si regolamenti, finalmente, il mercato del lavoro, sui diritti, e non, come qualcuno ha detto, sulla fortuna. Facciamo delle nuove quote. Dopo le quote rosa, facciamo le «quote qualunque»: per ogni cognome eccellente assunto, due ignoti meritevoli assunti. Non è una provocazione, non è aggressione, forse sì, è lotta di classe.

Chiara Di Domenico

“Deportati da San Salvi” L'ingiustizia che, ancora una volta, si è perpetrata su un gruppo di persone che vivevano nell'area di San Salvi, presso la Residenza "I Girasoli", sradicandoli da quelli che, a suo tempo furono chiamati "Miniappartamenti", è l'ennesima dimostrazione dell'insensibilità delle "società civili". Le istituzioni, anche quelle di sinistra, i cittadini, anche quelli di sinistra, gli operatori sociali, sanitari, economici, insomma, i così detti "normali", molto spesso pensano quello che è bene per coloro che considerano fuori dalla normalità o,più propriamente, fuori dalla maggioranza che, in quanto tale, si arroga il diritto di considerarsi "normale". Pertanto, le ragioni delle scelte sono sempre le ragioni di chi sta dentro le norme e mai di chi dalle norme deroga o ha derogato, e questo, sia quando le motivazioni delle scelte sono di ordine economico, pratico, logico, sia quando sono di altro tipo. Insomma, anche in questo caso, per tornare al tema dei "deportati" di San Salvi, (ma può valere per moltissime altre situazioni) queste persone non sono considerate tali. Non si pensa mai: "ma cosa desiderano veramente?" e, poichè non siamo più capaci di immaginarlo, non si ritiene doveroso chiederglielo: si decide per loro, convinti di fare, il più delle volte, il loro bene. Ricordo invece che, tanti anni fa, quando si cominciò a pensare a come mettere in atto la legge Basaglia, anche a Firenze, (e non sto enfatizzando quel periodo che ebbe anche i suoi nei!) si domandava ai pazienti del Manicomio cosa desiderassero fare, ora che le porte erano state aperte. Alcune persone erano spaventate dall'idea di uscire da una realtà orribile, ma familiare come quella dell'Ospedale Psichiatrico, ma a nessuno sembrava una perdita di tempo coinvolgere direttamente gli interessati nelle scelte che riguardavano il loro futuro e nessuno si permetteva di giudicarli, anche quando chiedevano di restare dove erano sempre stati. Questo voleva dire considerarli persone.

Disegno di Margherita della Tinaia

Mi chiamo ornella e ho 46 anni. Non ho capito subito che cosa avrei fatto nella vita, infatti ho fatto altre scelte prima di quella che poi è diventata per la mia vita, la mia vita fino ad ora. Nessuna scelta comunque è stata inutile, anzi riguardando indietro credo che tutto mi sia servito per crescere e decrescere. Ho recuperato tutto e trasformato, sono un’ottima cuoca degli avanzi. Quando mi resi conto che andare ad un esame mi provocava una paura atavica, mi accorsi del terrore che provavo del giudizio, non solo quello di qualsiasi altra persona ma forse ancor di più quello che davo a me stessa. Da piccola recitavo, così sono andata a fare un corso di teatro. All’inizio è stato durissimo, non riuscivo ad uscire da un guscio troppo duro, poi un giorno, facendo il mare ho provato un grande piacere, e dal piacere è rinata la mia vita. Da allora ho cominciato a frequentare corsi di teatro, di varie scuole e discipline, quasi tutte le sere. Me li pagavo con piccoli lavoretti durante il giorno. Da uno di questi corsi è nata la prima scrittura in una compagnia, e così sono diventata un’attrice professionista. All’inizio non riuscivo neanche a dire “faccio l’attrice”, non ci credevo. Purtroppo nel nostro paese non ci crede nessuno, non è veramente considerata una professione, invece è un’arte artigiana, un mestiere, e come tale ha bisogno di pratica, di molta pratica. Bene, non è così semplice. Ho capito che la strada dei provini non faceva per me e ora ho una mia compagnia nella quale faccio di tutto, organizzo, scrivo, recito, dirigo, tutto in piccolo, ma lo faccio. Per questo credo che sia utile dire: “fallo, se hai un desiderio cerca di realizzarlo”. Quando mi sono voluta fermare perché volevo dei figli, benché mi dicessero che non avrei più potuto fare l’attrice, mi sono fermata e ho fatto due figli meravigliosi, e da allora oltre che recitare ho cominciato anche ad insegnare teatro. Questo nuovo aspetto della mia professione, mi ha aperto un mondo nuovo che io adoro, perché mi permette di conoscere tante persone, di incontrarle e di amarle e di lasciarmi amare. Ora come ora non saprei fare altro nella vita, ma chissà forse un giorno mi stufo e cambio idea!

quella parte sinistra fa ancora più male. Io ieri ne ho fatto uno di questi nomi, non per attaccare, ma perché in questo paese, in un sistema di informazione ormai improntato solo sullo scandalismo, devi fare scandalo per fare sentire la voce tua e della classe che rappresenti. Ho fatto un nome che conosco, quello di Giulia Ichino, perché mi ha colpito leggere che è stata assunta da Mondadori negli stessi anni in cui in Italia si attuava la Legge Biagi. Mi ha colpito che fosse stata assunta a 23 anni quando molti di noi a quell’età hanno giusto la possibilità di uno stage non retribuito. In questo paese è ancora legittimo stupirsi e avere libertà di parola. Ho detto che c’era un elefante nel salotto letterario. E l’elefante finalmente si è accorto del topolino. Si è alzato, ha gridato «Allo squadrismo». Ha detto che ero strumentalizzata dal Pd, come se non sapessi leggere e pensare da sola. Non importa. Non sono una squadrista. La libertà di parola vale per me e per tutti. Ma è importante riportare l’attenzione sui precari, chè è il motivo di tutto questo rumore. Giovedì l’ho detto a Bersani e a tutto il gotha del Pd presente: chi ha potere ha responsabilità. Ha responsabilità Bersani, nel proporsi come prossimo Presidente del Consiglio, nel riformulare una legge sul lavoro che permetta un futuro, una casa, un’istruzione e una pensione agli italiani di oggi e di domani. Ma ha una responsabilità anche chi ricopre ruoli stabili nelle aziende, nel tutelare chi è più debole. In Mondadori non sono tutti assunti. Molti lavorano a contratto a progetto, peggio a partita Iva. Chi è testimone di questa disuguaglianza deve intervenire. Ora che tutti guardano l’elefante bisogna intervenire, e occuparsi di chi è costretto a non partorire, a vedersi

Giorgia Massai


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Antisessismo Antisessismo

È necessario abbattere tutte le forme le nel quotidiano. tendono a dividere i dominati (popodi discriminazione e non solo quelle La discriminazione sessista è da con- lo), ponendoli, in un contesto gerarIl sessismo è una grave forma di che fanno comodo. siderare come funzionale al sistema chico, gli uni contro gli altri. La divisione è funzionale al mantenimento intolleranza basata sull’apparte- L’antisessismo non signidello Status quo. nenza ad un genere sessuale fica solo combattere i Il razzismo ed il piuttosto che all’altro e alla con- meccanismi espliciti del sessismo è stato seguente presunta superiorità sessismo (stupro, vioarticolarmente p lenze domestiche, e lindi un genere sull’altro. utilizzato dai guaggio sessista), vuol padroni e dalle cordire anche rimettere in Riflessioni poration, per divigioco i rapporti personadere il movimento li, sfidare le idee che sull’antisessismo lavoratori e dei creano la cultura del Crescendo in una società sessista delle lavoratrici per patriarcato, e il modo nasce quasi spontaneamente, spesso indebolire i sindacon cui le persone sociainconsciamente, il concetto che le (soprattutto cati lizzano. Non sono quefemmine siano inferiori ai maschi. quelli meno avvezzi stioni convenienti per Tali preconcetti con cui le persone scendere a coma cui combattere perché crescono vanno chiaramente combatpromessi con i bisogna lavorare nel tuti, in ogni aspetto della vita, altri“padroni”). profondo di se stessi, menti essi si radicalizzeranno e creritornare sui passi dello I gruppi vengono sceranno dentro i comportamenti e sviluppo umano, e dedimessi in competigli atteggiamenti degli individui. care tempo ai processi di zione gli uni con gli crescita e cambiamenaltri per il lavoro. I to. bianchi vengono aizzati contro gli immigrati, gli occupati contro i disoccupati, i maschi contro le femmine ecc. Per questa ragione molti libertari e libertarie ritengono che l’antisessismo non Il sessismo è radicato possa essere disprofondamente nella giunto dall’antirazcultura dominante, zismo, dall’antidi conseguenza non di potere vigente. La storia insegna ci consideriamo immuni ad esso, che le classi dominanti, in qualunque specismo, dall’anticapitalismo, dalma ne dovremmo analizzare le forma di dominio si presentino (ditta- l’antiautoritarismo ecc. dinamiche e tentare di annullar- tura, monarchia, democrazia ecc.),

è necessario rifiutare le idee ed i comportamenti che ripropongono il sessismo, sia nei rapporti personali che nei gruppi e nei movimenti.

Donatella

evolUzione, pRogResso, dinamismo

miglioRamento cUltURale Troppo spesso oggi le persone lottano per affermarsi in un ruolo sociale o status, inteso come posizione economica che riscuote successo prevalentemente con il denaro sottovalutando l’ enorme importanza che si accompagna alla vera giustizia nell’ agire e nel vivere partendo dal basso. La lotta acquista un senso maggiore se collocata per comprendere in modo più completo possibile la possibilità di agire nell’ambito di una sana identità, rilevante e degna di nota per la soddisfazione personale. Così preferisco definire il concetto di successo. Un ostacolo che si frappone a questo tipo di percorso in un discorso di attualità legata al momento storico è come in una visione allucinata la diversità etnica tra le varie popolazioni del mondo. L’epoca della globalizzazione ci mette a confronto in modo da scoprire cose nuove e mai viste prima, per ritrovarci poi in un’ ottica di omologia che ci riscopre invece come un’unica popolazione planetaria. Dividere la società in base al colore della pelle dando una specifica connotazione alle due possibilità come particolarità peculiari di ognuna distintiva dell’ altra,

significa invece accettare una dualità categorica in qualsiasi contesto ci si ponga ovvero affrontare una divisione sociale, religiosa, politica, culturale o ricreativa, come anche nella divisione dei ruoli tra uomo e donna frutto di una visione sessista. Accettare una dualità porta a posizioni contrastanti e opposte e alla necessità di combattere per affermarsi permettendo di infiltrarsi alla legge dei mercati economici mondiali basati sulla competizione e sui capitali economici dei padroni del mondo. È più comodo e prolifico cercare di ritrovare la strada che porta all’unicità dialogando per ritornare all’individuo inteso come essere indipendente, unico e spiegabile umanamente con una sua interezza certa e senza ombra di dubbio. Nessuno dà senza ricevere e viceversa e lo scambio sembra il mescolarsi di due vasi che si uniscono per ritornare allo stesso livello con una matrice identica e arricchita di altre qualità al suo interno. Sto cercando di comunicare che per essere veramente completi si deve anche passare attraverso aspetti apparentemente discordanti perché lo sono in modo

esclusivamente concettuale, sotto l’influenza della mente che produce delle concezioni invece di altre perché figlie di una società imposta dall’uomo e sotto la sua influenza, dove si può intervenire per eventualmente modificare per tendere verso un’uguaglianza comune a tutti. Non c’è da spaventarsi quando le cose non tornano, né provare rabbia o rancore o voglia di vendetta e neanche dolore, la diversità è solo fittizia. C’è allora da calmarsi e drizzare bene le orecchie per sentire ciò che il mondo ha da spiegarci attraverso il racconto di cose nuove. Preservare la diversità è talvolta anche concesso per la conservazione di aspetti particolari o peculiari ed è da intendere come una interpretazione della finalità dell’ atto ovvero cosa stiamo facendo, ma anche della sua modalità ovvero nel come ci sappiamo spiegare per capire ciò che non era stato compreso, svelare segreti per godere della giustizia, dell’amorevolezza e dell’uguaglianza, la vera forza del nostro nuovo pianeta. Chiedo che si rifletta su questo e che se il dualismo

non è ancora pronto a finire e cessare e se proprio deve ancora momentaneamente esistere, rimanga solo per dividerci da una società opposta ingiusta e violenta. Per dirla in toni letterari come Shakespeare disse secoli or sono: “Essere o non essere? Questo è il dilemma.” E nel caso in cui si voglia essere, come essere? È più semplice di quello che sembra basta essere sinceri con se stessi e fermarsi di fronte al proprio male e quello degli altri per riflettere su cos’ altro c’è. Si trova sempre una soluzione, lo dico per esperienza e vi potete fidare. Augurandomi che venga compreso il tutto, autonomamente o con l’ aiuto di altri, per una culturalizazzione individualizzata, personale, completa e efficace, aperta a chi si voglia confrontare confrontandosi per trovarsi sulla giusta strada. È un bene non materiale quindi infinito a disposizione di chi vuole attingere a tale risorsa inesauribile.

Clara


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Da sempre la mia vita ... Centro. Erano impegnati nel redigere un libro bianco Giuliani cambiò tutto invece. La violenza con cui gran parte della mia vita, nella vita del centro, lo sullo spaccio di eroina e le connivenze che c’erano hanno agito in quei giorni era così palesemente sento una parte del mio corpo. Io sono una parte del con elementi di estrema destra. Libro sparito. E’ li che ingiusta, per chi viveva quel Movimento, che si sono Leoncavallo, il Leoncavallo è una parte di me. Per ho conosciuto la perseveranza di voglia di verità e perse le linee guida e anche noi abbiamo iniziato a esempio, ho scelto di non frequentare le superiori, giustizia delle compagne e i compagni che in questi guardare il dito, invece che la luna. I movimenti si ma di partecipare ad una vita lavorativa in senso All’interno del Leoncavallo ho imparato tutto quello anni continuano a ricordarli. Ho imparato a piangere sono impoveriti e per tanto tempo non hanno sapu- cooperativo, di non cedere quasi mai alle proposte di lavoro esterne perché ho sempre creduto di che so fare. Mi sono quasi sempre occupata partecipare ad un‘alternativa possibile e in di organizzare eventi politici, sociali e cultuqualche modo esemplificativa. Certo forse rali di ogni tipo: il primo in assoluto "Parco un modo arrogante e confortante per dirmi Lambro 1991" a Milano, con la prima trache continuo ad andare nella direzione smissione illegale su una frequenza occugiusta. Ma di una cosa sono convinta che pata per trasmettere una voce libera attratenere la posizione è una cosa importante. verso la nostra radio: Onda diretta! Ultima Certo, si rischia di essere il fortino o il ghetreminescenza della contronformazione to, ma visto quello che è successo politicaanni ’70. Ci sembrava fondamentale poter mente in questi anni, tenere la posizione, è gridare contro il sovraffollamento delle carrisultato vincente. Il Leoncavallo rimane un ceri, dire quanto erano dannose le leggi punto possibile dove pensare e praticare proibizioniste, manifestare contro il nucleaalternativa in tutti i sensi. Sono convinta re o contro il sovraffollamento delle carceri, che il gruppo di persone che ora anima il per la chiusura dei CPT (prima sigla a cui ne Leoncavallo, generazione di età tra i 20 e i sono seguite tante altre): potevamo conti30 anni, hanno almeno la possibilità di potersi autornuare a non dimenticare tanti fatti del passato che per persone che nemmeno conoscevo, ma che senti- to rigenerarsi. La ferita era troppo grande. ganizzare ancora, mettendo in comune le proprie venivano sempre riletti a piacimento dei potenti di vo miei compagni. Sono tante le lotte che ho fatto turno. Primo tra tutti, per me, l’assassinio di Fausto e con il Leoncavallo, ma sono tante anche le cose che Anni difficili al Leoncavallo, scazzi furenti e continui sensibilità e le proprie esigenze che non è cosa da Jaio, compagni sono cambiate: l’esperienza del "Forum Sociale che disgregavano, piano piano tutti i miei compagni poco: se qualcuno non ci crede vorrà dire che dovrò del Leoncavallo Mondiale" tenutosi a Porto Alegre (Brasile) per una sceglievano un’altra strada, migliore o peggiore non continuare a pensare che guarda il dito e non la uccisi dai fascisti globalizzazione alternativa, con migliaia di delegati era questo il problema, ma intanto ci contavamo su luna…. proprio mentre da tutto il mondo, ci portava a Genova 2001, forti di due mani. Per molti è stato normale e giusto non andavano ad un sapere che potevamo gridare in trecentomila che un sentirsi legati ad un posto per darsi un’ identità, per Elisa Silva concerto blues al mondo diverso era possibile. La morte di Carlo me era ed è diverso. Investendo il cuore e tutta la taci sorriso di donna. Donna sofferente, per lui, per i piccoli. Ancora attaccati al sangue del tuo, Dado ha tre anni, dorme ignaro stanotte, non sa che domattina, menseno. tre sarà all’asilo, verranno a sfrattare i suoi genitori. Che il mistero Quando sento Verranno con i poliziotti, della vita gelosissima per in vita venendo mantieni. verranno con il fabbro che cambierà la serratura, al nascendo il pianto d’un bimbo Cos’è questo baccano verranno a sfrattare la sua infanzia, a quel sento credo…. in tutta la casa. verranno a sfrattare la speranza di una cura che aiuti la sua mamma a Al dolente, donna dolendo E’ come un vortice, vincere una malattia che non perdona. che sconvolge la casa? per il frutto del seme di tuo seme amor…. Una cura che esige calma, stabilità e assenza di ansia. E via siamo pronti in segno di parto per la terra di scaldo Le assistenti sociali ormai sono allenate a sfinire i numerosi utenti, per l’ultima tragedia. alla luce del sol Un cazzotto in bocca...... piuttosto che offrire loro aiuto concreto, informazione, orientamento. dalla grande gioia mamma gioita E urla e alti lamenti. Si coprono gli occhi, le orecchie, la bocca. per il tuo frutto nel dormo respiro Uno due tre, Così sono gli ordini dall’alto. in profumi odore, di braccia cuore ti amo. Smembrano le famiglie senza casa, accompagnano tanti bambini in forze di vita in forza d’amore Non uccidermi, all’Istituto degli Innocenti, o li danno in affido. Donna! non massacrare la tua come le perle Smembrano un futuro che vorremmo dignitoso. stessa vita. I bambini fra le braccia sul filo del seta Tutti quelli “che contano” stanno preparando generazioni di disagiati, della madre al pendo dall’albero vita cresciuti in stanze anonime di affittacamere, ammassati in purgatori cosÏ sfregiata. in questo quadro creato di convivenze forzate, aspettando un’assegnazione che non arriva Un cazzotto in bocca. pendono le vite mai! Basta Coprilo dal freddo col caldo copro Una casa che non arriva mai! urliamo, urliamo.... di seno stretta al cuore palpito Dormi Dado…dormi. Non sono cascata Vai donna! A viso alto…. dalle scale. Se dall’Alto dicono NO Quando sento Mi hanno inferto noi dal Basso rispondiamo NO. per in vita venendo delle violenze inaudite. Il nostro è per la vita, e il tuo Da chi? al nascendo papà e la tua mamma E’ duro ammetterlo. il pianto d’un bimbo domattina non saranMio marito non Ë a quel sento… Fonti di vita no soli, mai più. pi˘ il mio sangue IO CREDO sorgendo dai grembi aprËs moi la delouge. Dormi Dado dormi. che ci hanno dato la vita Un valzer perduto. Mai più soli. Sergio Bertero posando sulle vostre forze E adesso grazie al cielo. la libert‡!... Anna Pes Donne questa poesia è Taci sorriso di donna. (Movimento di Lotta Sergio Bertero dedicata a voi per la Casa) Sisina Sono Elisa ho 38 anni e nella vita ho fatto un sacco di lavori, tutti precari. Partecipo alla vita del Leoncavallo dall’età di 16 anni. Sono Fiorentina di nascita e Milanese di vita.

Taci sorriso di donna

DADO DORME …

A QUEL SENTO CREDO

DONNE


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la percezione del femmin e della violenza re da casa pregano Dio di non incontrare un balordo che le violenta e le uccide e di incontrare, invece, un uomo buono le aiuta. La morte comunque è lì, brutale non solo quando conosci personalmente la vittima, ma anche quando ricordi che tu stessa l’hai scampata. Io l’ho scampata…! E tantissime Isoke Aikpitanyi, per conto dell’Associazione vit- hanno rischiato o sono scampate. time ed ex vittime della tratta, spiega come cam- Che 100 e più donne italiane possano essere uccise è bia la tua percezione del femminicidio e della osceno, ma se le italiane fossero uccise con la stessa freviolenza se sei una donna immigrata o una citta- quenza con la quale sono uccise le nigeriane, le donne dina italiana. uccise in Italia sarebbero quattro mila! Per fortuna questa è solo un’ipotesi, ma è solo considerandola che le donne italiane potranno capire cosa si agita Che succederebbe se le donne uccise in Italia non fosnell’animo di tante altre donne straniere e, quanto sero 100 ma quattro mila? meno nell’animo delle nigeriane. È un’ipotesi, una provocazione? No, è un calcolo proSe poi aggiungiamo la morte e la violenza che queporzionale riferito alle nigeriane uccise in Italia… ste donne subiscono durante i loro viaggi, il quadro per non dire delle donne dell’est, delle latine e delle di insieme che ne esce diventerà insopportabile. altre straniere. Ricordo, inoltre, quando mi intervistarono sugli stuIl numero di donne italiane uccise nel 2012 ha supepri patiti dalle vittime della tratta: un giorno si e l’alrato le 120 unità; ogni giorno durante tutto l’anno è tro anche… – risposi – tanto che mi venne da dire uscito un vero bollettino di guerra con nuove vittime che ogni africana violentata è una donna bianca che del femminicidio. la scampa… Lo dissi intervenendo alla Casa Nei giorni scorsi alcune ragazze nigeriane che con me Internazionale della donna, a Roma. portano avanti l’associazione vittime ed ex vittime Mi dicono sempre che è una frase terribidella tratta, dando accoglienza e sostegno a giovani le, ma è vera ed è anche peggio perché vittime, ed io ci siamo incontrate a Genova per decinoi siamo lo sfogatoio sessuale e di viodere come operare nel 2013. lenza dei maschi in Italia, maschi non Tira un’aria molto brutta per le nigeriane… eppure solo italiani, si badi. continuano ad arrivare in Europa e in Italia. Questa nota ha lo scopo di evidenziare Solo nel 2012 in Italia sono state assassinate dieci che contro il femminicidio bisogna metnigeriane. tere in campo molte energie, energie difDieci che rientrano nel numero delle donne vittime ferenziate, ma che bisogna anche mettedi femminicidio? Alcune sì, altre no. Perché non tutte re in campo molte sensibilità diverse e le donne italiane e non tutte le donne impegnate bisogna avere la lucidità per conoscere il contro il femminicidio contano tutte le donne assasproblema sotto tutti i suoi aspetti; il che sinate e perché comunque non esiste una lista del vuol dire che la percezione della gravità tutto attendibile sul numero complessivo delle del problema è diversa per le donne donne uccise. straniere e per le donne italiane, e vuol Ma anche quando avremo superato questo problema dire anche individuare che cosa bisogna e tutte saranno sempre e comunque conteggiate e fare per stroncare questo dramma. considerate, noi vittime della tratta faremo fatica a Noi vittime ed ex vittime della tratta sapfar capire che la percezione della morte e della violen- piamo, per esperienza, che i centri antiviza, fra noi è molto più forte e drammatica che fra le donne italiane. Non è una questione banale: è che dieci nigeriane uccise su quindici mila (tante sarebbero secondo alcune stime e tante sono “tutte” quelle che secondo le stime sarebbero presenti in Italia) sono un’enormità.

Nell’indagine che tre vittime della tratta hanno realizzato nel 2011, avvicinando mille ragazze nigeriane in Italia, è emerso che ciascuna di quelle mille ne conosce circa 10 o 15 altre: è come se attraverso di loro mille le avessimo avvicinate tutte quindici mila. E quando una è uccisa, sicuramente o la conoscevamo di persona o la conoscevano altre a noi molto vicine. Questa prossimità umana, questa conoscenza diretta e personale rende più penoso il dramma e rende più grave il terrore di poter essere uccise. Ho scritto nel mio primo libro che le ragazze che sono costrette ad andare in strada, ogni sera prima di usci-

olenza non sono operativi a nostro favore e lo sono solo in parte a favore delle donne straniere; non è un’accusa o una critica. È che i centri antiviolenza sono nati per una tipologia di attività rivolte soprattutto alle donne italiane; sono aperti anche alle straniere che,

però, conoscono poco i servizi ai quali potrebbero rivolgersi per avere sostegno. E non è certo colpa loro, di queste donne. Basterebbe analizzare i dati dei centri antiviolenza per scoprire che questo è vero e che, quindi ci vorrebbero, tanto per cominciare, più attività di mediazione per far conoscere i servizi alle straniere e per accompagnarle ai servizi. Per assurdo anche in un conto generico del numero delle donne uccise, una variante tra il 15 e il 25% delle donne vittime di femminicidio è costituita da donne straniere, ma le donne straniere non sono il 15

o 25% della popolazione femminile, sono molte di meno, il che evidenza ancor più che proporzionalmente, il numero delle straniere uccise è molto elevato. A favore delle vittime della tratta sono previsti servizi diversi dai centri antiviolenza; ma se contro il femminicidio si chiede solo di rafforzare i centri antiviolenza, vuol dire che per le vittime della tratta si fa poco; i servizi antitratta sono quasi tutti a rischio di chiusura, sono privi di finanziamento, lo ha detto perfino don Gallo, alla Commenda, domenica 16 dicembre. Quindi contro il femminicidio bisognerebbe chiedere il rafforzamento dei centri antiviolenza e dei servizi antitratta. Altrimenti ad un problema gravissimo come il femminicidio, si rischia di rispondere con una proposta risolutiva che lo affronta solo in parte. Bisognerebbe anche mettere in campo la capacità di analizzare seriamente e serenamente cosa è stato fatto prima che i centri antiviolenza (e i servizi antitratta) perdessero la maggior parte delle risorse. Bisognerebbe guardare i risultati ottenuti e quelli non ottenuti e, magari, cambiare qualcosa. Questo perché se le lotte delle donne e, in particolare, di Se Non Ora Quando (SNOQ) contribuiranno ad aumentare il numero delle donne impegnate in politica e nel governo, a me e a noi vittime ed ex vittime,

icidio mento di operatrici pari o di mediatrici che provengono dagli stessi paesi delle donne alle quali bisogna parlare. Il numero di queste donne “operatrici” è molto basso; chiediamoci allora come mai apparentemente mentre a molte donne italiane e a molti uomini è stata offerta la possibilità di lavorare, con uno stipendio, nella realtà della tratta, pochissime vittime ed ex vittime hanno avuto questa opportunità, quando è chiaro che le operatrici pari detengono la capacità spontanea di esser concrete. Formare e valorizzare queste capacità spontanee sarebbe stato un investimento positivo, ma NON è stato fatto nulla in tale direzione. Anzi neppure tutte le mediatrici in campo sono delle “pari”, ma sono semplicemente donne che provengono dallo stesso continente: è come se a sostenere una donna sarda che proviene dalla profonda Barbagia, si impegnasse una finlandese, solo perché sono entrambe europee. A stento riusciranno a parlarsi. Non aver favorito l’autorappresentatività delle vittime e delle ex vittime è un problema concreto: se lo propo-

neva tanti anni or sono Leopoldo Grosso, numero due del Gruppo Abele e io gli ho dato ascolto fondando l’associazione vittime ed ex vittime della tratta che, però fatica a farsi ascoltare, perché io fatico a rappresentarla operando in modo autogestito ed autofinessuna donna che sta correndo in politica o che nanziato, e perché non mi si riconosce – a me e alle sostiene donne che correranno in politica, ha ancora altre che operano con me – l’autorevolezza di quel detto che cosa farà per affrontare i problemi del fem- che diciamo. minicidio delle donne italiane e di quelle straniere: Invece di ascoltarci le donne italiane preferiscono fare il dobbiamo aspettare che siano elette per conoscere i possibile per rappresentarci loro, prendendosi tutto lo spazio, cercando di capire, interpretare e rappresentare noi che vorremmo farlo direttamente. In que-

sto modo si creano difficoltà tali che molte rinunciano e molte si adattano: alcune si adattano a prostituirsi, anche se non volevano prostituirsi, altre si adattano a diventare operatrici in un sistema che fa quel che può, (certo, non si riuscirà mai a fare molto!) anche se sono consapevoli che si potrebbe fare molto di più. Il titolo di questo breve documento, spiega quale è la percezione del femminicidio e della violenza tra le donne vittime ed ex vittime della tratta e, in particolare, tra le nigeriane che hanno un minimo di organizzazione per rappresentarsi, per autorappresentarsi.

loro programmi in merito? Tutte queste criticità alimentano un senso di isolamento delle vittime della tratta dal resto della società civile, il che vuol dire che non credono nella possibilità di uscire dalla tratta e di inserirsi normalmente nella società civile, quindi non credono nei servizi, non credono nelle persone che parlano di loro, di noi, senza dire esattamente che cosa intendono fare. Questo è un problema che riguarda le donne, perché queste rassicurazioni, gli impegni conseguenti e le decisioni nuove che dovrebbero essere adottate, le donne italiane DEVONO renderli espliciti a tutte le donne, utilizzando soprattutto il canale e lo stru-

Le nigeriane sono escluse dalla società bianca, vivono all’interno della loro comunità africana, percepiscono suoni esterni che, per loro, sono tutti suoni spaventosi, ma se a sfruttarle contribuisce il pastore pentecostale al quale si affidano, anche questo è peggio di ciò che le donne italiane subiscono dalle parole vergognose di un prete cattolico sessuofobo: i pastori, i finti pastori nigeriani, spesso sono i nostri sfruttatori… nessuno scende in piazza per questo e noi non possiamo farlo, perché siamo sole. Provate ad immaginare, allora se non 100 ma quattro mila donne italiane fossero uccise ogni anno, pensate a quale angoscia, terrore vero si impadronirebbero delle donne se il dramma fosse questo. Beh per noi vittime ed ex vittime, la situazione è esattamente questa.

Isoke Aikpitanyi, Per conto dell’Associazione vittime ed ex vittime della tratta


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Campagna in difesa del latte materno come “Campagna Carissimi, Nazionale in difesa del latte materno dai contaminanti ambientali” abbiamo predisposto le 10 domande ai candidati premier scaricabili al seguente link e sotto riportate in word. http://difesalattematerno.wordpress.com/2012/12/16/10-domandeai-candidati-per-le-prossime-elezioni/ Le stiamo inviando con lettera raccomandata a tutti i candidati ed le stiamo postando sui vari siti. Mi potete aiutare a diffondere? Grazie Patrizia Gentilini 10 domande ai candidati per le prossime elezioni Noi promotori della Campagna per la difesa del latte materno dai contaminanti ambientali riteniamo che in Italia gli ultimi anni sono stati segnati da scelte politiche che hanno impattato in modo non più tollerabile la salute dei cittadini, la salubrità dell’ambiente e la possibilità di una vita in salute per le future generazioni. - Sempre più diffuse sono le malattie riconducibili all’inquinamento ambientale, sia esso di tipo chimico o elettromagnetico: parliamo di malattie cardio-vascolari, malattie dell’apparato riproduttivo (sterilità, aborti, malformazioni), disturbi neurologici, tumori. • Questo va a colpire specialmente le nuove generazioni, perché esposte agli inquinanti già a partire dalla vita intrauterina: ad esempio, in Italia, il tasso di tumori infantili è in rapido aumento, più degli altri paesi europei e degli Stati Uniti (in Italia l’aumento annuo è del 2%, del 3,2% quello di tumori di bambini da 0 a 12 mesi. In Europa è 1,1%, in Usa 0,6%). • Negli ultimi anni abbiamo assistito a numerose dimostrazioni, sia a livello locale che nazionale, di come scelte poco lungimiranti abbiano prodotto distruzione del territorio, peggioramento della qualità della vita per gli abitanti, danni enormi alla loro salute, scarsa o nulla occupazione, e grande spreco di denaro pubblico. • Tuttavia, non solo non vediamo segnali tangibili di una inversione di tendenza, ma anzi, con il pretesto della crisi economica, si assiste ad un generale indebolimento delle politiche a tutela dell’ambiente, della biodiversità e della salute, mentre non viene risolto il problema della disoccupazione. Riteniamo che la tutela della salute e della qualità della vita dei cittadini presenti e futuri sia imprescindibile dalla tutela del territorio (di cui non siamo proprietari ma ospiti temporanei e custodi), e non vada contro alla lotta alla disoccupazione!

Per questo, dovrebbe essere una delle priorità del nuovo Governo. Ciò significa affrontare i problemi con una nuova visione, secondo cui le malattie si devono prevenire alla radice, privilegiando e sostenendo tecnologie pulite e processi produttivi sicuri per l’ambiente. Noi crediamo che questo processo non sia solo necessario e doveroso, ma sia addirittura vantaggioso perché potrebbe comportare un aumento degli investimenti nelle comunità locali, producendo occupazione e facilitando la ripresa da questa crisi non solo economica ma anche di identità e valori. Sottoponiamo quindi ai candidati le seguenti 10 domande: 1) Convenzione di Stoccolma e controllo fonti di inquinamento Nel suo programma di Governo è inserita la ratifica della Convenzione di Stoccolma1 sui POP, insieme all’adozione di un

sistema di monitoraggio continuo ed efficace sulle attuali emissioni di impianti industriali, centrali energetiche, fonti di radiazioni elettromagnetiche, sistemi agricoli e di allevamento, centrali di trattamento dei rifiuti, visto che le attuali (dove esistono) sono evidentemente insufficienti? 2) bio-monitoraggio È previsto un bio-monitoraggio delle matrici umane e alimentari, compreso quello del latte materno2 effettuato secondo i criteri OMS, in tutto il territorio e specialmente in aree in cui sono presenti riconosciute fonti inquinanti come inceneritori, impianti industriali, coltivazioni agricole di tipo intensivo? 3) Stato di salute della popolazione in relazione alle malattie ambientali È previsto un sistema di monitoraggio affinché siano conosciute in termini di incidenza, prevalenza e mortalità le malattie correlate all’inqui-

namento ambientale nella popolazione e soprattutto nei bambini, anche mediante l’istituzione di RePP, Registri di Popolazione Pediatrici? 4) Rifiuti Sono previsti piani con obiettivi misurabili per la riduzione dei rifiuti alla fonte, compresa la pressione sulle ditte commerciali di preoccuparsi dell’intero ciclo di vita delle loro merci, inclusi contenitori ed imballaggi, insieme a piani di gestione dei rifiuti sostenibili a lungo termine, che prevedano il progressivo abbandono dell’incenerimento a vantaggio di pratiche come riuso, recupero, riciclaggio e trattamento a freddo dei residui non riciclabili per andare ad una società del riciclo totale? 5) Reti wireless È previsto il progressivo abbandono delle reti wireless a partire dalle scuole, e la contemporanea promo-

zione di reti via cavo in fibra ottica, che rappresentano ad oggi l’unica tecnologia per la trasmissione di voci e dati efficiente e allo stesso tempo priva di controindicazioni per la salute? 6) Agricoltura biologica È previsto un reale incentivo all’agricoltura biologica non tanto come produzione “alternativa” o di nicchia, quanto come obbligata strategia di conversione che ogni paese civile dovrebbe praticare, perché economicamente e turisticamente vantaggiosa, sostenibile per i ridotti costi esterni e sanitari ed in grado di sfamare le comunità creando nel contempo sviluppo economico locale, aggregazione, senso della comunità e tutela del territorio, con particolare attenzione alla valorizzazione delle piccole e piccolissime aziende locali? 7) Fonti energetiche È prevista la disincentivazione di impianti di incenerimento e combustione come fonti energetiche, e

quindi un reale incentivo all’uso delle energie veramente sostenibili e rinnovabili, che favoriscano piccole aziende ed impianti locali, nell’ottica dell’autosufficienza energetica delle comunità, purché non impattino negativamente sul territorio agro-forestale? 8) Edilizia È previsto un reale incentivo alle tecniche sostenibili di bio-architettura che aumentino l’efficienza energetica degli edifici, promuovendo l’uso di materiali locali ecologici, salubri e non inquinanti? 9) Legge per un marchio “dioxinfree” È prevista l’elaborazione di una legge3 per la certificazione dei prodotti alimentari “dioxin-free”? 10) Sanzioni per chi inquina Sono previste reali multe per chi inquina, compresi disincentivi di tipo fiscale per le aziende grandi o piccole che si rifiutano di adottare le necessarie misure di controllo e contenimento delle sostanze inquinanti nei loro processi produttivi? Riteniamo fondamentale che queste informazioni arrivino chiare alla maggior parte dei cittadini che così potranno scegliere i futuri governanti ed amministratori anche in base alle loro scelte politiche in ambito di protezione dell’ambiente, della salute e pianificazione del territorio. ___________________________________________ 1 La Convenzione di Stoccolma sui POP è un provvedimento adottato a livello mondiale per controllare le emissioni di queste sostanze pericolose (POP sta per Persistent Organic Pollutants o Inquinanti Organici Persistenti) sia mediante bandi alla loro produzione volontaria o involontaria, sia mediante controllo e abbattimento delle emissioni attuali. Vedi:http://www.salute.gov.it/sicure zzaChimica/documenti/Convenzione Stoccolma.pdf 2 L’analisi del latte materno è usata in tutto il mondo perché è il modo più semplice per valutare l’impatto degli agenti inquinanti sugli esseri umani; il latte materno è il tessuto umano più facile da ottenere ed analizzare. Si vedano le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: http://www.who.int/foodsafety/chem/POPprotocol.pdf http://www.who.int/foodsafety/che m/pops_biomonitoring/en/index.ht ml 3 http://eworkshop.senatoperiragazzi.it/ddl/marchio-dioxin-free


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Il racconto di Bedria Bejzak: sotto le bombe

Dal libro “Nomadismo forzato” di Adem Bejzak Le bombe della NATO sono cominciate a cadere alle quattro di mattina del 24 marzo 1999. Sono stata a casa sotto le bombe con 17 bambini della mia famiglia allargata, mia nuora e mia figlia più grande.

Per far dimenticare i traumi ai bambini, giocavo tutto il giorno con loro, diventavo come una bambina, gli cantavo, gli raccontavo favole di principi e principesse, gli raccontavo cose belle del mio passato … come la prima volta che sono andata al cinema a Pristina. Cercavo in ogni modo di farli felici, per non farli pensare a cose brutte. Ogni giorno mettevo una grande pentola d’acqua sul fuoco per scaldare l’acqua per lavare i bambini, pensavo che così, anche se morivano, almeno sarebbero morti puliti. Noi donne non siamo mai uscite dalla casa oltre il giardino. I nostri uomini ci portavano da mangiare e facevano la guardia alla porta e alle finestre. Ricordo che hanno bombardato il

cimitero serbo vicino alla nostra casa e che i vetri e le tegole del nostro tetto sono volati via. Dormivamo nelle stalle delle mucche. Il nostro cane cercava di scavarsi una buca nel pavimento della nostra casa, era terrorizzato e stava sempre vicino ai bambini. Un giorno sono venuti quattro albanesi con dei fucili, erano dell’ UCK. Hanno parlato con mio suocero e gli hanno detto di lasciare la casa e di scappare via. Il 17 giugno sono venuti dei militari stranieri e siamo scappati alle sette della mattina con l’autobus di mio cognato (un autista del “Kosovo Trans”) in una lunga fila di gente in fuga tra le colonne di militari. La fila era lunghissima, penso almeno trenta chilometri. Il nostro autobus camminava così lentamente che quasi volevamo scendere e andare a piedi. Le strade e i ponti erano tutti distrutti. La gente scappava su trattori, cavalli ed asini. Alle dieci di sera siamo arrivati a Nis al campo allestito dalla Croce Rossa/Acnur nel giardino del “Hotel Nais”. Pioveva forte, era come se anche Dio piangesse. Lì siamo rimasti per cinque giorni. Non ho voglia di raccontare tutto

quello che ho passato perché è una cosa terribile, prego a Dio che nessun altro deve passare quel dolore che abbiamo passato noi.

La vita continua … a Firenze Sono stata l’ultima ad entrare nel Campo dell’Olmatello nell’agosto del 1999. La graduatoria era terminata il primo agosto, io sono arrivata il 21 agosto. Ero fuori di me quando ho visto il campo per la prima volta. Pensavo che Adem mi avesse fatto uno scherzo. Avevo visto queste cose soltanto nei film. Non sapevo che Adem viveva così in Italia, non mi raccontava mai niente quando tornava in Kosovo dall’Italia. Io gli chiedevo perché non mi porti in Italia con te? Pensavo che si faceva una vita bella, pensavo che in Italia i soldi crescevano sugli alberi … un sogno … un paradiso. Quando sono entrata nella roulotte ho sentito un treno che passava dietro il campo, in Kosovo sono cresciuta e tutti i miei bambini sono nati in una casa vicino ad una ferrovia, e ho pensato, Dio… è vero che in ogni posto che vado corrono sempre i treni dietro di me. Ho pianto, avevo una tale rabbia dentro di me. Ero molto triste. Fuori della roulotte c’era un letto senza niente, mi sono messa sulla rete

e lì sono rimasta come una pietra, un sasso per una settimana. Non potevo dormire, contavo i topi che passavano, pensavo al Kosovo. La cosa peggiore è come mi sentivo male per i miei bambini, soffrivo per loro perché vedevo come stavano male. Dopo una settimana ho ricominciato a cucinare e lavare ed a guardare mio nipotino Denis di nove mesi, che correva dappertutto, anche fuori verso la strada, era senza dogana, senza frontiera! Ma ho fatto il grande sbaglio di

non andare ad imparare l’italiano. Ora come ora, non voglio tornare in Kosovo, non è sicuro da nessuna parte. Tutto quello che era bello è andato distrutto. Può darsi che un domani quando sistemeranno le cose ci andrò. Adesso quando torno in Serbia con Adem per trovare i suoi genitori a Nis, mi si aprono delle ferite. Mi sento un po’ persa quando faccio visita ai miei suoceri, perché quando vedo il loro amore per lui, mi ricordano i miei genitori e mi mancano tanto.

L’acchiappasole Dipinto di Anna Pes Vivo sola, al secondo piano di un’isola, in centro. Nella mia casa entra poco sole e tanta puzza di topi morti, fritti nel Pub qui sotto. Non accende l’aspiratore. Ho sigillato le finestre di camera con lo scotch per pacchi per evitare quel lezzo che sfocia sempre in emicrania crudele. Con dei pezzi di specchio catturo il sole e lo devio a casa mia dove altri pezzi di specchio lo lanciano sul soffitto; a volte anche la luna approfitta del passaggio, secondo stagioni e orari. Prevengo il torcicollo piazzando un vecchio, enorme deflettore da camion sul davanzale di cucina e vedo

un pezzo di cielo, senza dovermi storpiare ogni volta. Al piano di sopra abita una famiglia di buddisti che recitano il gongjo. Al piano di sotto vive una famiglia di magrebini festosi, ma io, con Jimi Hendrix tolleriamo qualsiasi cantilena. Vivo sola perché credo nell’amore. Quando sento che la carogna che mi abita si sta per svegliare, stirando le braccine e arrotando i denti, scappo dalla mia isola, anche se zoppico, vado a rincorrere tramonti sui Ponti Vecchi delle Grazie e di S. Trinita e già sento che la carogna si riassopisce … Allora posso fermarmi e mi sento come scampata a

un foglio di Via. Sento un’ intima gratitudine, una sottile contentezza, respiro la tavolozza che si specchia sul fiume e anche le pantegane e le nutrie che ci sguazzano mi sono simpatiche. La fiducia riaffiora innocente come una bimbetta … e mi sento fortunata. Guardo i miei simili, con la faccia livida di freddo e di rassegnazione, li guardo con pudore mentre si preparano i loro letti di cartone per la notte. Le loro mani paonazze parlano di vite strappate alla dignità, dove le case che sarebbero destinate a loro sono state privatizzate e messe all’asta dal Comune

alle Immobiliari, per “sanare il bilancio”. Guardo i mie simili, assopiti, sfiniti nei loro cartoni abitati e dal cuore mi parte un pugno che mi stringe la gola e mi punge gli occhi di acqua salata. Io sono laica, ma ora so dove Cristo ha la residenza: tra le persone senza fissa dimora. So anche dove sta Giuda e so dove si trovano i Romani. Mi fa male il petto, ho la testa in fiamme mentre torno nella mia isola, in centro. La carogna che mi abita è ormai un pulcino che fa yoga. Fa sempre così quando divento Doloroso Furore.

Anna Pes


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LA PAROLA ALLE DONNE

Frida Kalho

Città del Messico 1907 - 1954 Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón nasce da genitori ebrei tedeschi emigrati dall’Ungheria a Città del Messico, il 6 luglio del 1907, anche se lei dichiarava di essere nata nel 1910, con la rivoluzione, con il nuovo Messico. Del padre, Frida dice «grazie a mio padre ebbi un’infanzia meravigliosa, infatti, pur essendo molto malato (ogni mese e mezzo aveva un attacco epilettico, nda) fu per me un magnifico modello di tenerezza, bravura (come fotografo e pittore, nda) e soprattutto di comprensione per tutti i miei problemi». Della madre, invece, diceva che era molto simpatica, attiva e intelligente, ma anche calcolatrice, crudele e religiosa in modo fanatico. A 6 anni Frida si ammala di poliomelite: piede e gamba destra rimangono deformi, tanto che Frida li nasconde prima con pantaloni e poi con lunghe gonne messicane. Così, se quando è piccola viene soprannominata dagli altri bambini “Frida pata de palo” (gamba di legno), quando diventa grande è ammirata per il suo aspetto esotico. Nel 1922, a 18 anni, dopo il liceo presso il Colegio Alemán, la scuola tedesca in Messico, Frida si iscrive alla Escuela Nacional Preparatoria di Città del Messico con l’obiettivo di diventare medico. Durante questo periodo Frida fa parte dei “cachucas”, un gruppo di studenti che sostiene le idee socialiste nazionaliste del ministro della pubblica istruzione, Vasconcelos, richiedendo riforme scolastiche; inoltre mostra interesse per le arti figurative ma non ha ancora pensato di intraprendere la carriera artistica. Il 17 settembre 1925, l’autobus diretto a Coyoacàn, su cui Frida Kahlo era salita con il suo ragazzo, Alejandro Gomez, per tornare a casa dopo la scuola, si scontra con un tram. «Salii sull’autobus con Alejandro.. Poco dopo, l’autobus e un treno della linea di Xochimilco si urtarono.. Fu uno strano scontro; non violento, ma sordo, lento e massacrò tutti. Me più degli altri. È falso dire che ci si rende conto dell’urto, falso dire che si piange. Non versai alcuna lacrima. L’urto ci trascinò in avanti e il corrimano mi attraversò come la spada il toro». Frida rimane tra le aste metalliche del tram. Il corrimano si spezza e la trapassa da parte a parte… Alejandro la raccoglie e nota che Frida ha un pezzo di metallo piantato nel corpo. Un uomo appoggia un ginocchio sul corpo di Frida ed estrae il pezzo di metallo. La prima diagnosi seria sopraggiunge un anno dopo l’incidente: frattura della terza e della quarta vertebra lombare, tre fratture del bacino, undici fratture al piede destro, lussazione del gomito sinistro, ferita profonda dell’addome, prodotta da una barra di ferro entrata dall’anca destra e uscita dal sesso, strappando il labbro sinistro. Peritonite acuta. All’ammalata

viene prescritto di portare un busto di gesso per 9 mesi, e il completo riposo a letto per almeno 2 mesi dopo le dimissioni dall’ospedale. «Da molti anni mio padre teneva...una scatola di colori a olio, un paio di pennelli in un vecchio bicchiere e una tavolozza.. nel periodo in cui dovetti rimanere a lungo a letto approfittai dell’occasione e chiesi a mio padre di darmela…Mia madre fece preparare un cavalletto, da applicare al mio letto, perché il busto di gesso non mi permetteva di stare dritta. Così cominciai a dipingere il mio primo quadro». La madre di Frida, Matilde, poi trasforma il letto di Frida in un letto a baldacchino e ci monta sopra un enorme specchio, in modo che Frida, immobilizzata, possa almeno vedersi. Così nascono quegli autoritratti che ce la ricordano, con i suoi occhi sovrastati dalle sopracciglia scure, particolarmente marcate, che si uniscono alla radice del naso come ali d’uccello: «dipingo me stessa perché trascorro molto tempo da sola e perché sono il soggetto che conosco meglio». Con queste rappresentazioni Frida infrange i tabù relativi al corpo e alla sessualità femminile. Diego Rivera, suo futuro marito, dirà di lei «la prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta ed inesorabile schiettezza, in modo spietato ma al

contempo pacato, quei temi generali e particolari che riguardano esclusivamente le donne». Via via che i mesi passano, Frida si dedica con crescente consapevolezza alla pittura. Avanza lentamente, produce a piccole dosi e piccoli formati: ciò che la sua salute le permette di fare, a seconda del fatto che riesca a star seduta o solamente distesa: «i miei quadri sono dipinti bene, non con leggerezza bensì con pazienza. La mia pittura porta in sé il messaggio del dolore». Più di un anno dopo, verso la fine del 1927 si riprende, tanto da poter condurre una vita abbastanza normale, nonostante i dolori dovuti ai vari busti, e le

cicatrici derivate dalle diverse operazioni. Nel 1928 Frida si unisce ad un gruppo di artisti e di intellettuali che sostengono un’arte messicana indipendente, lontana dall’accademismo e legata all’espressione popolare: il mexicanismo, che si esprime nella pittura murale, particolarmente incoraggiata dallo Stato anche per le sue finalità edificanti e la possibilità di raccontare la storia nazionale anche alla grande massa analfabeta. Frida, dal canto suo, per esprimere idee e sentimenti, crea un proprio linguaggio figurativo; il mondo contenuto nelle opere di Frida si rifà soprattutto all’arte popolare messicana e alla cultura precolombiana; vi sono infatti, immagini votive popolari, raffigurazioni di martiri e santi cristiani, ancorati nella fede del popolo; negli autoritratti, inoltre, Frida si rappresenta quasi sempre in abiti di campagna o con costume indio. Del Messico, poi, ritroviamo, nelle opere di Frida, la flora e la fauna, i cactus, le piante della giungla, le scimmie, i cani itzcuintli, i cervi e i pappagalli. Nei primi mesi del 1928, German del Campo, uno dei suoi amici del movimento studentesco, le fa conoscere un gruppo di giovani raccolto intorno al comunista cubano Julio Antonio Mella, che si trova in esilio in Messico e che ha una relazione con la fotografa Tina Modotti. È proprio Tina a far conoscere a Frida Diego Rivera: un pittore e muralista molto famoso, anche se i due, in realtà si erano già conosciuti nel 1923, mentre Diego lavorava nell’anfiteatro Bolivar. Di quell’incontro Diego ricorda di questa ragazza «... aveva una dignità e una sicurezza di sé del tutto inusuali e negli occhi le brillava uno strano fuoco». Quando Frida incontra Diego per la seconda volta, lui è un uomo pesante, gigantesco, Frida lo prende in giro chiamandolo “elefante”: è già stato sposato due volte e ha quattro figli. Il 21 agosto del 1929 si sposano. Lei ha 22 anni, lui quasi 43. A causa della malformazione pelvica, dovuta all’incidente, Frida non riesce a portare a termine le sue gravidanze, e così, 3 mesi dopo il matrimonio, Frida deve abortire. È la prima volta. Nel novembre del 1930 Frida e Diego si trasferiscono per 4 anni negli Stati Uniti per motivi artistici e politici. A Detroit Frida rimane incinta per la seconda volta, ma la tripla frattura delle ossa del bacino ostacola la corretta posizione del bambino. Frida decide comunque di tenere il bambino, nonostante la sua pessima condizione fisica ed il rischio. Tuttavia, il 4 luglio perde il bambino per un aborto spontaneo. Nel 1934 ritornano in Messico, Frida è costretta ad abortire per la terza volta, e si separa da Diego che, nel frattempo, aveva avuto diverse avventure con altre donne, compresa la sorella di Frida, Cristina. Frida comincia ad avere rapporti con altri uomini e con donne e ad essere molto attiva anche dal punto

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di vista politico. Nel 1936 in Spagna scoppia la guerra civile e se, Tina Modotti, l’amica di Frida, lascia immediatamente Mosca per andare in Spagna, lei si impegna a distanza nella lotta per la difesa della Repubblica Spagnola, organizzando riunioni, scrivendo lettere, raccogliendo viveri di prima necessità, pacchi di vestiti e di medicine per inviarli al fronte. Nel 1937, poi, nella sua Casa Azul, ospita Lev e Natalja Trotskij, i quali sono in viaggio dal 1929, espulsi dall’Unione Sovietica. Negli anni Quaranta, la fama di Frida è talmente grande che le sue opere vengono richieste per quasi tutte le mostre collettive allestite in Messico. Nel 1943 viene chiamata ad insegnare, assieme ad altri artisti, alla nuova scuola d’arte della pedagogia popolare e liberale: l’Esmeralda. Frida, per ragioni di salute, è presto costretta a tenere le lezioni nella sua casa. I suoi metodi sono poco ortodossi: «Muchacos, chiusi qui dentro, a scuola, non possiamo fare niente. Andiamo fuori, in strada, dipingiamo la vita della strada». I suoi alunni la ricordano: «l’unico aiuto che ci dava era quello di stimolarci….non diceva niente sul modo in cui dovevamo dipingere o sullo stile, come faceva il maestro Diego...Ci insegnò soprattutto l’amore per la gente, ci fece amare l’arte popolare». Nel 1950 subisce sette operazioni alla colonna vertebrale e trascorre nove mesi in ospedale. Dopo il 1951, a causa dei dolori, non riesce più a lavorare se non ricorrendo a farmaci antidolorifici; forse è proprio dovuta a questi la pennellata più morbida, meno accurata, il colore più spesso e l’esecuzione più imprecisa dei dettagli. Nel 1953, alla sua prima mostra personale, allestita dalla amica fotografa Lola Alvarez Bravo, partecipa sdraiata su un letto, dato che se i medici le hanno assolutamente proibito di alzarsi. È Diego ad avere l’idea di trasportare il grande letto a baldacchino di Frida fin nel centro di Città del Messico. Stordita dai farmaci, partecipa alla festa rimanendo a letto, bevendo e cantando con il pubblico accorso numeroso. Nell’agosto dello stesso anno, i medici decidono di amputarle la gamba destra fino al ginocchio. Nel 1954 si ammala di polmonite. Durante la convalescenza, il 2 luglio, partecipa ad un dimostrazione contro l’intervento statunitense in Guatemala, reggendo un cartello con il simbolo della colomba che reca un messaggio di pace. Muore per embolia polmonare la notte del 13 luglio, nella sua Casa Azul, sette giorni dopo il suo quarantasettesimo compleanno. La sera prima di morire, con le parole «sento che presto ti lascerò», aveva dato a Diego il regalo per le loro nozze d’argento.

Irene Bertazzo


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Birmingham (Alabama) 1944. Angela Yvonne Davis è una figura fondamentale per il movimento femminista nero degli anni Settanta. Nata il 26 gennaio da una coppia di insegnanti, relativamente benestante (il padre prese in gestione un distributore di benzina), visse i drammi del razzismo del profondo Sud. Abitava in una zona chiamata Dynamite Hill perché spesso, lì, le case dei neri che vi si trasferivano venivano fatte saltare con la dinamite; con la dinamite fu fatta saltare una chiesa dove morirono tre sue amiche. Laureata con lode in letteratura francese, passò poi agli studi di filosofia e visse a Parigi e Francoforte dove fu allieva di Adorno, per ritornare poi negli Stati Uniti, dove fu allieva di Herbert Marcuse. In California continuò la sua attività di lotta politica aderendo al SNCC, un comitato di coordinamento della lotta non violenta degli studenti, e successivamente al movimento delle Black Panthers. Dopo l’assassinio di Martin Luther King aderì al Partito Comunista. Conseguita la laurea in filosofia, ottenne la cattedra all’Università di Los Angeles, che le venne dapprima revocata in quanto comunista, ma la revoca fu dichiarata incostituzionale e poté continuare ad insegnare. Tuttavia venne espulsa dall’università quando nel 1970 si adoperò in difesa dei Soledad Brothers,

LA PAROLA ALLE DONNE

Angela Davis tre detenuti neri accusati di aver ucciso una guardia, e anche in seguito alla sua partecipazione al movimento delle Black Panthers, che andava assumendo sempre più carattere di lotta, anche armata. Successivamente fu accusata di cospirazione, rapimento e omicidio in relazione al fallito tentativo di un gruppo di attivisti delle Black Panthers, di liberare il detenuto nero George Jackson in un’aula di tribunale: la pistola utilizzata era intestata a suo nome, e Jackson era il grande amore della sua vita (non risulta infatti che Angela abbia avuto altri legami importanti e duraturi); fu quindi arrestata e processata. L’appassionata difesa che condusse personalmente ed efficacemente nel corso del processo, le consentì di diffondere le sue idee in tutto il mondo, diventando così popolare da mobilitare a suo favore un gran numero di persone che si riunirono in comitati e organizzazioni, non solo negli Stati Uniti ma anche in molti altri paesi. La sua vicenda portò alla ribalta la sua figura di donna che aveva sempre combattuto per i diritti civili e per i diritti delle donne, scontrandosi talvolta anche con altri appartenenti al Movimento. Sin dagli inizi della sua attività infatti, le sue qualità intellettuali e le sue grandi capacità organizzative l’avevano portata ad assumere responsabilità e ruoli direttivi. Angela venne criticata molto pesantemente dai maschi del movimento perché “svolgeva un lavoro da uomo” e si vide contestare perfino il fatto che le donne volevano impadronirsi dell’organizzazione. La Davis si rese conto di essere venuta così a contatto con un complesso assai diffuso e radicato tra certi

attivisti neri che consideravano la mascolinità nera come qualcosa di separato dalla femminilità nera, e l’impegno diretto delle donne una minaccia all’affermazione della loro virilità. Questa mentalità affermatasi soprattutto con l’islamismo di Louis Farrakhan, contribuì certamente a determinare l’uscita della Davis dal Movimento stesso. Attraverso il suo intenso lavoro, scritti, conferenze, lezioni universitarie e interviste, Angela Davis condusse un’intensa campagna per interpretare e smontare quello che lei indicava come un mito creato dalla cultura e dalla letteratura dei bianchi per dividere la razza nera e ostacolare il movimento di liberazione, il mito della società matriarcale nera. Da qui la necessità per la Davis di combattere il carattere oppressivo del ruolo attribuito alla donna nella società americana in generale. Angela Davis ha dedicato la sua vita alla soluzione politica dei problemi del razzismo e dei diritti civili, e le sue vicende personali e il rilievo che ebbero in tutto il mondo la portarono ad essere, in quanto donna e afroamericana, un simbolo sia del femminismo che dell’uguaglianza razziale. La Davis aveva fatto capire alle donne che il

lavoro fuori casa non solo rappresentava un importante sostegno economico e motivo di indipendenza, ma anche l’importanza di avere una vita all’esterno della famiglia, con l’opportunità di svolgere un lavoro interessante e realizzare le proprie aspirazioni. Angela insieme ad altre figure, quali Shirley Chisholm, prima donna afroamericana eletta al Congresso americano, hanno mostrato alle donne afroamericane la strada e la possibilità di modificare la propria vita. Attualmente la Davis insegna Storia della Coscienza all’Università della California, dove dirige anche il Women Institute. Non è più iscritta al Partito Comunista statunitense, ma continua a sostenere gli ideali e i principi di sempre, con quel senso critico che l’ha portata a scagliarsi anche contro la degenerazione del movimento afroamericano verso il fondamentalismo islamico, rappresentato da Nation of Islam di Louis Farrakhan, movimento islamista e maschilista, che ha riempito il vuoto lasciato dalla scomparsa delle laiche e progressiste Pantere Nere.

Alessia Rao Torres

Nina Simone

Tyron (North Carolina) 1933 - Carry-le-Rouet 2003 Con l’affermazione del blues, i temi dell’uguaglianza e dell’integrazione trovarono un significativo veicolo di comunicazione nella musica. In una società come quella americana che negava agli afroamericani la dignità, l’uguaglianza e persino i mezzi per conquistarla, le grandi cantanti blues come “Ma” Rainey, Bessie Smith, Billie Holiday e molte altre dovevano il loro successo e la loro popolarità proprio all’intima conoscenza e personale esperienza “blues” della vita degli afroamericani; esse divennero simboli e portavoci della comunità nera e avrebbero contribuito grandemente a indicare alle donne un lento e difficile processo di emancipazione. L’importanza delle donne, nella storia del blues, non è stata mai abbastanza riconosciuta.

L’interprete che negli anni Sessanta raccolse maggiormente questa eredità fu Nina Simone, nome d’arte di Eunice Kathleen Waymon, nata a Tryon, cittadina della Carolina del Nord. Trascorse l’infanzia e l’adolescenza sottomettendosi alle leggi e ai divieti che la pratica della segregazione imponeva alla sua comunità, e questo la segnò profondamente. Bambina prodigio, aveva un talento ineguagliabile per la musica tanto che a sei anni iniziò la sua formazione classica. Lorraine Hansberry le mostrò la strada: fu infatti la prima autrice di colore a conoscere il successo a Broadway con la pièce Raisin in the Sun nel 1958, che vinse il primo New York Drama Critics Circle Award assegnato ad una donna di colore. Nel 1963 in seguito ad un attentato dinamitardo in cui persero la vita quattro bambine afroamericane, Nina Simone compose la sua prima canzone di protesta, Mississippi Goddam (Maledetto Mississippi). «All I want is equality, For my sister, my broche, my people, and me». Nina Simone lasciò che musica e politica riempissero interamente la sua esistenza, sollecitata dai giovani attivisti della causa nera che ne ammiravano la personalità e la capacità di comunicare. Mise progressivamente la sua musica a servizio delle battaglie per i diritti civili. Grazie al suo carattere istrionico e alla

sua attitudine a punzecchiare e stimolare la platea, raggiunse l’obiettivo di far amare i suoi concerti a ogni genere di pubblico. La sua musica divenne una cassa di risonanza perfetta degli avvenimenti che dilaniavano l’America: un mix di jazz, classica, gospel, folk e ballate, che essa stessa definì Black Classical Music, una formula che cercava di scuotere la coscienza bianca e che esprimeva la fierezza di un’intera comunità di artisti e militanti neri. Uno dei brani più importanti e rivoluzionari interpretati da Nina Simone durante la sua carriera fu Strange Fruit, che riprende la ballata resa celebre da Billy Holliday, nella quale si parla di un impiccato nero, vittima di un linciaggio, appeso a un albero, appunto come uno strano frutto. Questa canzone ebbe il merito di raccontare di nuovo gli orrori del razzismo e delle violenze dei bianchi sugli afroamericani, accettati passivamente da molti e di riportarli alla attenzione generale. Billie Holiday aveva inciso la canzone negli anni Quaranta, e poco tempo dopo fu pubblicata sul «Times» una foto della Holiday (la prima immagine di una donna di colore pubblicata su una rivista). Una canzone femminista per eccellenza di Nina Simone è senza dubbio Four Women; la Simone esplora i sentimenti di quattro donne nere e attraverso di loro traccia un ritratto caustico della sottomissione della donna nera americana, che per sopravvivere è schiava della sua bellezza o della sua situazione sociale. Nella lotta per l’affermazione dei diritti dei neri la Simone ebbe l’appoggio di molti altri attivisti, uomini e donne. In particolare si legò a Miriam Makeba,

cantante sudafricana, che in America diventerà un’infaticabile oppositrice del regime di apartheid sudafricano, denunciando pubblicamente il regime di Pretoria, e pronunciando un discorso che avrà grande risonanza alle Nazioni Unite. Nina Simone incise circa venti album e ricevette importanti riconoscimenti dentro e fuori gli Stati Uniti Considerata da molti come la cantante jazz più raffinata di quegli anni, dotata di una straordinaria presenza scenica e di un’enorme capacità di legarsi al suo pubblico, venne chiamata The High Prestiess of Soul, la grande sacerdotessa dell’anima. Nina ha girato il mondo, e ha vissuto a Barbados, in Liberia, in Egitto, in Turchia, in Olanda e in Svizzera. La sua vita non è stata facile: ha avuto rapporti complicati con uomini potenti e violenti (come il suo marito-manager). Si è sposata due volte e nel 1964 ha avuto una figlia. In seguito si è legata a Earl Barrowl, primo ministro delle Barbados, e nel 1980 un suo amante C.C. Dennis, importante politico locale, è stato ucciso. In seguito al polemico abbandono degli Stati Uniti i suoi album vennero pubblicati solo di rado; ma dopo che negli anni Ottanta la Chanel utilizzò, per una pubblicità televisiva, la sua My Baby Just Cares For Me, molti hanno riscoperto la sua musica e Nina è diventata un’icona del jazz. Nel 1987 questo brano di quasi trent’anni prima entra prepotentemente nelle classifiche inglesi, senza che a Nina venga riconosciuto alcun diritto. Si moltiplicano antologie e ristampe dei suoi dischi. Dopo questi successi, si ripresenta con un nuovo album, Nina’s Back, del 1989, seguito da Live & Kickin.


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LA PAROLA ALLE DONNE

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la bontà disarmata (e un po’ loffia) di Daniele Barbieri Una quindicina di anni fa un gruppo di associazioni impegnate nel sociale lanciò (senza successo) una campagna che – se la memoria non mi tradisce – era intitolata «Il gatto e la volpe». Denunciava che proprio in chi era più impegnato nella solidarietà era forte lo sconcerto nel vedere che una minoranza di ong (e/o di onlus, insomma il nome conta poco) doveva subire la cattiva fama di molte altre che chiedevano soldi per scopi “personali” se non truffaldini; si chiedeva una nuova e buona legge che purtroppo non arrivò. Da allora la situazione è peggiorata. A fare il punto sulla situazione torna utile «L’industria della carità» (sotto-titolo «Da storie e testimonianze inedite il volto nascosto della beneficenza», prefazione di Alex Zanotelli) che a gennaio Valentina Furlanetto – giornalista fra l’altro a

Radio 24 – ha pubblicato con Chiarelettere (248 pagine per 13,90 euri). «Per salvaguardare oceani, balene, foreste, ambiente Greenpeace Italia ha utilizzato due milioni 349mila euro, meno di quanto spenda per pubblicizzarsi e cercare nuovi iscritti: 2 milioni 482mila euro»: così il bilancio 2011 dell’associazione. Questa è una delle frasicivetta che, come abitudine per i libri di Chiarelettere, apre l’indagine di Furlanetto. Stiamo parlando di Greenpeace, dunque di un’associazione al di sopra di ogni sospetto, che deve però fare i conti con gli altissimi costi della pubblicità-informazione per sostenersi. E’ uno dei problemi, non l’unico. Un altro, molto più complesso, è affidato – sempre a inizio libro - a un’altra frase-riassunto, in questo caso una citazione di Antonio Gramsci: «La bontà disarmata, incauta, inesperta e senza accorgimento non è neppure bontà, è ingenuità stolta e provoca solo disastri». Furlanetto è molto brava a far parlare i numeri e le persone. Il volume si divide in tre sezioni con titoli molto espliciti: «Il circo umanitario»; «Questione di marketing»; «Il lato oscuro di Robin Hood»; infine l’impressionante «Il supermarket dei bambini» sugli imbrogli e

sulle molte zone oscure delle adozioni internazionali. Nel suo epilogo, Valentina Furlanetto ricorda che «la filantropia ha fatto cose importanti», non è da biasimare, anzi. Però «fare beneficenza vuol dire esercitare molto potere […] e il potere senza la supervisione e il controllo democratico può causare seri danni». Quanto all’informazione l’autrice colpisce nel segno quando rammenta che «un cronista che parte per l’Africa al seguito di un’associazione umanitaria […] non è diverso dal giornalista embedded che parte con l’esercito». Gli elmetti più pericolosi, si sa, non stanno sopra la testa ma dentro il cervello: vale per giornalisti e per tutte/i noi. Sagge le parole conclusive del libro: «Sarebbe sbagliato se, arrivati fin qui, vi foste convinti a non donare più un euro, a scansare il banchetto con l’azalea, a non fidarvi più di nessuno. Se però, quando qualcuno ci chiederà soldi per una buona causa, non guarderete solo l’immagine del bambino su tra-

GRAZIE A FUORI BINARIO CHE MI HA DATO TANTO

Ci sono momenti della vita in cui succedono cose che da tempo attendevamo. Io quando ho letto la prima volta F. B., sei anni fa e poi ho sentito un’intervista a Roberto Pelozzi per il giornale su Nova Radio, ho capito che c’ero anch’io, che ero come loro, che sarei voluta essere una di loro. Libera. Libera di essere me stessa, libera dai tanti pregiudizi borghesi e fascisti, libera di giudicare da sola ciò che per me è bene e male. Ho sentito che c’era uno spirito creativo in quello che scrivevano e si capiva dall’intervista, da come si presentavano, anche parlando delle cose più serie, a volte anche tragiche. E quando sono entrata per la prima volta in redazione con un articolo sui miei problemi ho trovato l’ambiente come me l’aspettavo. Sono stata “accolta”, dico accolta perché non ci sono porte chiuse nel mondo e così è per F.B. nella realtà, solo e tanto tanto rispetto umano, e così in questi anni di collaborazione nei momenti duri come in quelli belli è quello che ho sempre trovato. Grazie Fuori Binario. IO E L’AMORE Si potrebbe dire di Sisina, la nostra autrice, amica fedele di Fuori Binario, anche “Io e la solitudine’’ o “Io e il dolore’’, “Io e la femminilità”, “Io e la realtà”. Così all’infinito. La poesia vera è sempre un canto nel deserto e ha mille echi. Il deserto è metafora della vita, quella che soffoca e affatica ma spinge avanti nello spazio. E il canto che la riempie è fatto di tutti i possibili elementi. Il primo di questi è l’amore . (tratto dalla prefazione di Alberta Bigagli)

monto africano […] ma controllerete soprattutto la serietà e i conti di quell’ associazione, allora queste pagine avranno avuto un senso». Nella prefazione Zanotelli si rammarica che dai tempi (1985) in cui denunciò la «mala cooperazione» quasi nulla è mutato: «Al momento – scrive – l’unica cooperazione portata avanti sia dal governo Berlusconi sia dal governo Monti è il business». Si addolora Zanotelli perché – spiega – «gli italiani sono un popolo generoso» ma «la generosità non deve servire a scaricarci la coscienza». Insomma: «basta con la carità, c’è bisogno di giustizia». E conclude: «La liberazione viene sempre dal basso, dai poveri, mai dai ricchi». Ecco le questioni di fondo che si intrecciano con le altre (più contingenti però importanti nell’immediato) che Furlanetto ci pone, in bell’ordine, sotto gli occhi. Sì, «è importante questo libro», ha ragione Zanotelli.


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