UTOGESTITO E AUTOFINANZIATO - N. 161 OTTObRE/NOvEmbRE 2013 - OFFERTA LI
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“Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”
MORIRE CERCANDO LA VITA
Don Lorenzo Milani Questa l’idea più dolorosa che sorge di fronte alle scene dell’ennesima e annunciata tragedia di Lampedusa. Abbandonando ogni “prudenza”, cercando con ostinazione l’umano, queste donne e questi uomini avevano fuggito l’odio, e dimenticato che l’ipocrisia può essere persino più letale. Gli spettatori del naufragio, al sicuro, ancora una volta osservano, enumerano, promettono. Per questo disturba ascoltare l’unanime commozione di queste ore. Lo strep-tease del nostro umanismo, scriveva Sartre cinquant’anni fa … Quanti corpi ancora, accasciati su una spiaggia, o per sempre perduti nel Mediterraneo o nel Sahara, dovremo osservare prima di riconoscere che quelle donne e quegli uomini non sono stati uccisi dalle onde o dalla sete ma dalle leggi sulla migrazione? Quante menzogne dovremo ancora tollerare prima di sentirli ammettere che è la nostra “legalità” ad alimentare un’economia di morte che nei passeurs, negli scafisti ha solo il prestanome per ministri, legislatori e governanti? Vivere in un paese dove il razzismo trova le sue più rozze espressioni nelle fauci di questo o quel senatore, accresce ancor più l’amarezza e la rabbia, soprattutto in chi, come noi, ogni giorno ascolta il dolore e la confusione di tanti immigrati. Perseguitati, trattenuti in ghetti o prigioni, dimenticati da una burocrazia indifferente, essi si chiedono perché il diritto dei deboli, dei giusti, debba ancora attendere. Un sistema di leggi ini-
que, in Europa, ma non solo, trasforma gli immigrati senza permesso di soggiorno in criminali, in “infiltrati” (così recita una legge del 1954, la “Prevention Infiltration Law” che, in Israele, consente di deportare, o trattenere nei centri di detenzione senza limiti di tempo, gli stranieri privi di documenti). È bene ricordarlo: questa economia di morte, che ossessiona la difesa dei confini nazionali e dei privilegi di pochi, nutre un’economia dell’emergenza e della coercizione, e viceversa ne viene alimentata. Questa stessa economia di morte giunge a punire persino chi soccorre e protegge i clandestini. Una legge provò del resto, solo qualche
anno fa, a imporre l’obbligo di denunciare alle autorità giudiziarie i cittadini stranieri senza permesso di soggiorno: a imporne l’obbligo pure a chi aveva come unico dovere solo quello della cura ... Quando una legge è ingiusta, disumana, razzista, noi disobbediamo: intendiamo essere “complici” di questi clandestini. I morti di Lampedusa ce lo impongono. Ora chiedono silenzio. Lo ingiungono a chi osa fingere commozione. Noi rimaniamo, come sempre, accanto a loro, accanto a questi corpi perduti, morti di una guerra condotta contro un nemico inesistente, uccisi da armi invisibili (circolari, decreti, commissioni). È
il momento di abrogare immediatamente una legge perversa, in Italia e in Europa. Quella nuova non dovrà avere il nome di nessuno. Ne ha già troppi: i nomi di tutti coloro che sono morti cercando la vita. Siamo vicini agli abitanti di Lampedusa e al coraggio della sua sindaca Giusi Nicolini, al loro restare umani. Siamo vicini al muto ripiegarsi dei sopravvissuti. La cura del presente, delle loro (e delle nostre) incertezze, è anche la necessità di curare questi morti. Lo dobbiamo a coloro che li hanno perduti.
Gli operatori del Centro Fanon
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TELEFONO MONDO: Informazioni immigrati, da Lun a Ven 1518 allo 055 2344766. GRUPPI VOLONTARIATO VINCENZIANO: Ascolto: Lun. Mer. Ven. ore 9,30-11,30. Indumenti: Mar. Giov. 9,30-11,30 V. S. Caterina d’Alessandria, 15a - Tel. 055 480491.
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SPECIALE ImmIGRAZIONE
Centri per migranti
Centri di accoglienza e centri di identificazione per stranieri: sono centri creati per l’accoglienza, l’ospitalità e il trattenimento dello straniero. Hanno status giuridici differenti a seconda delle finalità per cui sono stati istituiti.
Centro di Soccorso e Prima Accoglienza (CSPA): sono strut-
Centri di Accoglienza (CDA): istituiti con la Legge n. 563/95 rappresentano i primi centri di accoglienza destinati agli stranieri. Si tratta di strutture in cui vengono trasferiti i migranti appena arrivati, indipendentemente dal loro status giuridico, per garantire loro primo soccorso e accoglienza ed emanare un provvedimento che ne legittimi la presenza sul territorio o ne disponga l’allontanamento. Pur non essendo previsto un limite temporale preciso, la legge prescrive che il periodo di permanenza nel centro debba essere quello strettamente necessario.
ture istituite con decreto interministeriale del 16 febbraio 2006 dove i migranti sono trattenuti mediamente 48 ore per consentire le attività di soccorso e prima accoglienza, da quando vengono intercettati in mare a quando vengono trasferiti presso altre strutture come i Centri di Accoglienza (CDA), Centri per Richiedenti Asilo e Rifugiati (CARA) e Centri per l’Accoglienza per i Centri di Identificazione ed espulsio- Richiedenti Asilo (CARA): i ne (CIE). CARA sono strutture nate con il decreto l e g g e 25/2008 dove possono essere trattenuti coloro che si trovano in Italia per richiesta di asilo e che vengono fermati privi di documenti di riconoscimento o che hanno eluso i controlli alla frontiera. Vanno considerati una evoluzione
dei Centri di Identificazione (DPR 303/2004). I tempi previsti di permanenza includono tutto il periodo che va dalla richiesta asilo all’esito della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Per il ricorso al diniego dello status di rifugiati i tempi sono dimezzati, cioè 15 giorni rispetto ai 30 che sono previsti per coloro che sono in accoglienza allo SPRAR o non godono di accoglienza alcuna. L’ente gestore deve fornire i servizi necessari che garantiscano un’adeguata accoglienza e l’accesso alle associazioni e agli enti di tutela è ammesso. Non sono invece previsti servizi di integrazione territoriali tipici dello SPRAR.
Sistema Per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR): è un sistema diffuso sul territorio che vede gli enti locali, con il prezioso supporto delle realtà del terzo settore, garantire interventi di “accoglienza integrata” che superano la sola distribuzione di vitto e alloggio, prevedendo in modo complementare anche misure di informazione, accompagnamento, assistenza e orientamento, attraverso la costruzione di percorsi individuali di inserimento socio-economico. Lo SPRAR si avvale del coordinamento del Servizio Centrale che, tra le sue variegate attività, svolge funzione di assistenza, consulenza e monitoraggio dei progetti. Attualmente sul territorio sono 138 i progetti e contengono al suo interno 3000 posti di cui 501 a disposizione per categorie vulnerabili.
Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE): così denominati con decreto legge 23 maggio 2008, n.
QUELLO CHE VERAMENTE OCCORRE Quello che veramente occorre per far cessare immediatamente e definitivamente le stragi nel Mediterraneo e lo schiavismo razzista in Europa, è una legge che riconosca a tutti gli esseri umani il diritto di libera circolazione sull’unico pianeta in cui l’intera umanità vive, sull’unico pianeta che è la casa comune dell’umanità tutta. Sia il parlamento italiano a riconoscere questo diritto, coerente con la Costituzione della Repubblica Italiana nata dalla Resistenza antifascista. Se non si legifera questo, il nostro paese resta mandante e complice della violenza razzista, delle stragi dei migranti, dello schiavismo, delle mafie assassine. Vi è una sola umanità, e tutti gli esseri umani ne fanno parte con i medesimi diritti. Peppe Sini, responsabile del “Centro di ricerca per la pace e i diritti umani” di Viterbo Viterbo, 7 ottobre 2013
92, sono gli ex “Centri di permanenza temporanea ed assistenza, CPTA”: strutture destinate al trattenimento, convalidato dal giudice, e all’identificazione degli stranieri irregolari destinati all’espulsione. Previsti dall’art. 14 del T.U. sull’immigrazione 286/98, successivamente modificato dall’art. 12 della legge 189/2002, tali centri trattengono i migranti sottoposti a provvedimento di espulsione o di respingimento con accompagnamento coattivo alla frontiera non immediatamente eseguibile. Il termine massimo di permanenza nel centro passa da 30 giorni inizialmente previsti dalla legge 286/98 a 60 giorni con la c.d. Bossi-Fini, per poi aumentare a 180 giorni con il Pacchetto Sicurezza fino ad arrivare a 18 mesi complessivi con il DecretoLegge n. 89 del 23 giugno 2011, convertito in legge n. 129/2011.
Convenzione di Dublino La Convenzione di Dublino fissa i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità Europea da un cittadino di un paese terzo. Gli obbiettivi specifici della Convenzione sono: ridurre il numero delle domande di asilo “multiple”, ossia presentate simultaneamente in diversi Stati dallo stesso individuo (c.d. Asylum-shopping); ridurre il fenomeno dei rifugiati in orbita, ossia individui che vengono rinviati da un Paese all’altro, a causa di una ripetuta declinazione di responsabilità da parte dei Governi chiamati in causa. I mezzi attraverso i quali la Convenzione di Dublino persegue tali obbiettivi sono: l’individuazione secondo criteri prestabiliti, di un solo Stato responsabile dell’esame della domanda d’asilo; l’obbligo di esame della domanda da parte dello Stato competente; lo scambio reciproco di informazioni. Nel 2003 questa convenzione è stata sostituita con il c.d. Dublino II (regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003), che intendeva individuare forme più rapide ed efficaci di determinare la competenza degli Stati nonché trovare nuovi strumenti per ridurre le domande d’asilo multiple. Tra i firmatari non figurano solo gli Stati membri dell’UE ma anche p.e. Svizzera e Norvegia.
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I paesi d’origine
Somalia È proseguito il conflitto armato tra le forze filogovernative, la Missione dell’Au in Somalia (African Mission to Somalia – Amisom) e il gruppo armato islamista al-Shabab, nella zona meridionale e centrale della Somalia. Le forze filogovernative hanno sottratto al controllo di alShabab alcune città di primaria importanza, compreso il porto di Kismayo. La transizione politica ha posto fine al mandato del governo federale di transizione (Transitional Federal Government – Tfg). Ad agosto è stato designato un nuovo parlamento, a settembre è stato nominato un nuovo presidente e a ottobre il nuovo primo ministro. A causa del conflitto armato e della violenza generalizzata migliaia di civili sono stati uccisi, feriti o sfollati. L’accesso delle agenzie umanitarie è rimasto limitato dai combattimenti, dall’insicurezza e dalle restrizioni imposte dalle parti belligeranti. Sono stati uccisi 18 giornalisti; altri sono stati attaccati, vessati e costretti all’esilio. Anche dipendenti delle agenzie umanitarie e operatori dei diritti umani hanno subito abusi. I gruppi armati hanno continuato ad attuare reclutamenti forzati, anche di minori, e a rapire, torturare e compiere uccisioni illegali. Gravi violazioni dei diritti umani, compresi crimini di guerra, sono rimaste impunite. Nel Somaliland, la libertà d’espressione si è deteriorata; un giornalista è stato ucciso.
(tratto dal Rapporto sui diritti civili 2013 di Amnesty International)
Eritrea
Chi sono? Erano soprattutto somali, ghanesi ed eritrei, stando alle prime ricostruzioni, i migranti vittime dell’incendio del loro barcone davanti alle coste siciliane. Erano eritrei i 13 migranti morti pochi giorni fa a pochi metri dalla spiaggia di Scicli, sempre in Sicilia: sullo sfondo delle immagini dei corpi coperti dalle lenzuola si poteva vedere la vecchia tonnara, apparsa varie volte nella serie tv del Commissario Montalbano, girata proprio su quelle spiagge. Erano ancora eritrei, ma anche marocchini e sudanesi, i 118 migranti sbarcati ad Augusta lo scorso 26 settembre.
L’elenco potrebbe continuare a lungo e delineare una precisa geografia dei paesi di fuga, tra cui spicca l’Eritrea. Governata dal 1993, anno di indipendenza dall’Etiopia dopo una pluridecennale guerriglia di liberazione, da Isaias Afwerki, l’Eritrea è uno dei paesi più chiusi del mondo, anche se sempre di più al centro di una complicata partita geopolitica a causa delle sue risorse minerarie e della sua posizione strategica vicina al “collo di bottiglia” che chiude il Mar Rosso. Secondo l’ultimo rapporto annuale di Amnesty International, la situazio-
Ghana
masto nazionale è ri e ar it il m to en rL’arruolam tempo inde- te a so te es so es sp ddeobbligatorio e torio anche l’a ga li b b o to as m Le reclute minato. È ri per i minori. e ar it il m to forzastramen svolgere lavori er p te ga ie p e pri- giosono state im ri di coscienza ie n o gi ri p i d a eteti. Migliai ato a essere d u n ti n co o n an ventonieri politici h condizioni spain te en am ri nuti arbitra altrattamenti è m i tr al e ra u rt i to erati se. L’impiego d . Non erano toll so fu if d o en m formastato un feno zione, mezzi d’in si o p p ’o d ci ti li ella partiti po a- nizzazioni d rg o d o ti en d i erano zione indipen uattro religion q to an lt So . le società civi altre erano viele e tt tu ; o at st lo sti ad autorizzate dal o stati sottopo n so i ac gu se i hanno tate e i loro Cittadini eritre i. n o zi en et d e arresti paese. e in massa dal ir gg fu a o at u n conti
ne dei diritti umani nel paese è drammatica: “L’arruolamento militare nazionale è rimasto obbligatorio e spesso esteso a tempo indeterminato. E’ rimasto obbligatorio anche l’addestramento militare per i minori. Le reclute sono state impiegate per svolgere lavori forzati. Migliaia di prigionieri di coscienza e prigionieri politici hanno continuato ad essere detenuti arbitrariamente in condizioni spaventose. L’impiego di tortura ed altri maltrattamenti è stato un fenomeno diffuso. Non erano tollerati partiti politici d’opposizione, mezzi di informazione indipendenti od organizzazioni della società civile. Soltanto quattro religioni erano autorizzate dallo stato; tutte le altre erano vietate e i loro seguaci sono stati sottoposti ad arresti e detenzioni. Cittadini eritrei hanno continuato a fuggire in massa dal paese”.
Secondo Amnesty, proprio il servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato è una delle principali ragioni di fuga dal paese – grande circa un terzo dell’Italia e con meno di cinque milioni di abitanti. La “fuga” viene punita duramente: “Per coloro che venivano colti nel tentativo di varcare
Oltre 1000 persone sono state sgomberate con la forza dalle loro abitazioni nella capitale Accra. Altre migliaia rimanevano a rischio di sgombero forzato. È proseguita la violenza contro persone sospettate di relazioni omosessuali, che continuavano ad avere una scarsa se non inesistente tutela giuridica. La violenza contro donne e ragazze ha continuato a essere dilagante, con quasi 10.000 denunce ricevute durante l’anno dall’unità d’assistenza contro la violenza domestica della polizia del Ghana. Non ci sono state esecuzioni. La pena di morte continuava a essere prevista nella legislazione, malgrado il governo abbia recepito le raccomandazioni per la sua abolizione. Il sistema di giustizia penale è rimasto lento.
il confine con l’Etiopia è rimasta in vigore la prassi di ‘sparare per uccidere’. Persone colte mentre cercavano di varcare il confine con il Sudan sono state arbitrariamente detenute e duramente percosse. Familiari di persone che erano riuscite a fuggire sono state costrette a pagare multe per non finire in carcere”. Dato questo contesto, aggravato peraltro da una situazione economica durissima, nonostante l’espansione del settore minerario, Amnesty ha chiesto a molti stati, anche europei, di interrompere la pratica del rimpatrio forzato degli esuli eritrei. Fino a quando a Tripoli c’era Gheddafi, l’Italia se la cavava lasciando che fossero le forze armate libiche a fare il lavoro di “contenere” i fuggiaschi. Ora la diga è bucata. Secondo l’ultimo aggiornamento dell’UNHCR, risalente ad agosto scorso, le autorità libiche ora collaborano con l’Onu per la protezione dei migranti e dei richiedenti asilo, ma “l’UNHCR rimane preoccupata per la mancanza di sicurezza e protezione per rifugiati e richiedenti asilo”. Le detenzioni arbitrarie di migranti nei centri sparsi per il paese, soprattutto nell’est, continuano e le condizioni di vita in questi centri sono drammatiche. La mancanza di un sistema legale e di protezione di migranti, rifugiati e potenziali richiedenti asilo, alimenta il mercato dell’emigrazione illegale e del traffico di esseri umani. Ad agosto scorso, secondo l’UNHCR, 27 imbarcazioni sono partite dalla Libia verso l’Italia, per un totale di 3044 persone a bordo, in
grandissima parte eritrei, somali ed etiopi. La guardia costiera libica ha intercettato un certo numero – non si sa esattamente quante – di imbarcazioni e i migranti “bloccati” sono stati riportati in Libia e detenuti con l’accusa di aver lasciato illegalmente il paese. La situazione non è uguale per tutti: i circa 13mila rifugiati siriani che all’agosto scorso erano stati registrati nel paese dall’UNHCR hanno delle forme di assistenza e protezione, sia internazionale che da parte del governo libico – per esempio, i bambini possono andare a scuola. Gli altri, dall’Africa subsahariana o dal Corno, sono invece i più vulnerabili, esposti agli abusi e al rischio di rimpatrio forzato. Per loro, la traversata del Canale di Sicilia rimane ancora l’opzione migliore, anzi, l’unica possibile . di Joseph Zarlingo - Il Fatto Quotidiano, 3 ottobre2013
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SPECIALE ImmIGRAZIONE
In fuga dall’Eritrea: il deserto, il mare e i ghetti di Roma
Tor Vergata, periferia est di Roma. A due passi dal Grande raccordo anulare, che con un abbraccio di traffico, bestemmie e fumi di scarico circonda la capitale 24 ore al giorno, la vecchia sede dell’Università Roma 2 specchia sui vetri neri delle finestre la luce del sole di un pomeriggio d’estate. Arrivo dopo pranzo. Il palazzo è occupato da un paio d’anni da circa 300 giovani, in maggioranza eritrei, etiopi, somali e sudanesi. Non ho le carte in regola per avere un visto d’ingresso in Libia, così ho deciso di ripercorrere la geografia dei racconti di chi a Tripoli ci ha passato mesi, e più spesso anni, prima di raggiungere Lampedusa. Abraham è uno di loro. Mi aspetta al terzo piano. Tre settimane fa la moglie Anna è arrivata in Sicilia con il piccolo Daniel. Il viaggio è durato sei anni, eppure dalle porte di Roma, senza documenti e lavoro, la terra promessa sembra ancora lontana. Abraham ha 27 anni, dall’Eritrea è partito nel 2000, in fuga con un’intera generazione dalla coscrizione militare obbligatoria imposta dal presidente Isaias Afwerki. Per l’indipendenza dall’Etiopia le truppe eritree hanno combattuto trent’anni, dal 1961 al 1991, e il conflitto è riesploso tra il 1998 e il 2000 per l’assegnazione dei confini. Eppure, ancora oggi, la pace è lontana. Compiuta la maggiore età, uomini e donne, sono chiamati a impugnare le armi per sorvegliare la frontiera militarizzata con il gigante vicino, l’Etiopia. Quattro milioni di eritrei contro 75 milioni di etiopi, ovvero un popolo contro un esercito. A togliere l’uniforme prima dei 40 anni sono autorizzate solo le donne incinte, i malati e gli studenti universitari. Per tutti gli altri il mandato è a tempo indeterminato. Ad Asmara non rimangono che vecchi e bambini. Ma intanto al fronte sempre più ventenni rifiutano di gettare via gli anni migliori abbracciati a un fucile. Sfidano l’accusa di alto tradimento e lasciano il Paese sognando l’Europa. Di eritrei in Sicilia nel 2006 ne sono arrivati 2.859, tra cui 308 donne e 116 bambini. Nel 2005 erano stati 1.974. Abraham è uno di loro. La sua prima tappa è stata Khartum, in Sudan, dove uno zio era emigrato anni prima. Lì è sbocciato l’amore con Anna, anche lei eritrea ma nata e cresciuta in Sudan, e dopo un paio d’anni è arrivato Daniel. Un bambino prodigio, visto che a soli 15 giorni di vita ha attraversato i mille chilometri di deserto del Sahara, avvolto in un turbante nero per proteggerlo dal sole e dalla sabbia, stretto tra le braccia di mamma e papà. Sul fuoristrada pick-up erano in 32. La macchi-
na girava di giorno, tra le dune e le buche, sotto l’arsura del sole. Ogni sera i motori si spegnevano, per un po’ di riposo, stretti gli uni sugli altri, per cercare un minimo di tepore nelle gelide notti del Sahara, ma soprattutto per non mostrare la luce dei fari ai posti militari della frontiera. Alla fine, dopo un numero imprecisato di giorni, l’alba ha mostrato lontano, bagnata da un miraggio, la città di Kufrah, il primo avamposto libico sul lungo cammino verso il Mediterraneo. L’impresa non ha fatto entrare Daniel nel guinnes dei primati, ma in Europa sì. Prima però ha dovuto sfidare due volte le acque del Canale di Sicilia. Luglio 2005, il primo viaggio. Sessantaquattro persone su un vecchio legno, che imbarca acqua dalle fessure tra le tavole dello scafo. I crampi alle gambe, la nausea e il rumore assordante del motore tengono svegli nel buio. Ognuno con delle bottiglie di plastica tagliate raccoglie l’acqua tra i piedi, sul fondo, per poi gettarla in mare. Sperare. All’alba il motore va in panne. Silenzio tra le onde. Mentre qualcuno svita a casaccio con una maledetta pinza di ferro, arrivano i soccorsi degli operai di una piattaforma petrolifera nella zona. «Italiani» dice Abraham, che ricorda le croci appese alle catenine d’oro. Lungo le rotte libiche si trova l’impianto Eni di Bahr Essalam, ma Abraham non era abbastanza vicino alla piattaforma per leggere. Fatto sta che l’equipaggio prende a bordo solo donne e bambini, per poi lasciare alla deriva gli altri passeggeri, intercettati due giorni dopo da un elicottero italiano. Abraham è salvo. Il primo pensiero al centro di accoglienza di Lampedusa va alla moglie e al piccolino. Disperato, cerca di denunciarne la scomparsa. Inutile, non viene ascoltato. «Noi non possiamo fare niente». Nelle stesse ore, dall’altro lato del Canale, Anna viene rimpatriata in Libia e arrestata. Il suo telefono rimane spento per quattro mesi. «Mi ero trasferito a Milano, lavoravo alla fiera di Rho. In città era appena arrivata Suzi, una delle donne che era con noi sulla barca a luglio. Fu lei a raccontarmi cos’era accaduto a mia moglie». Un camion parcheggia davanti al commissariato di Zuwarah. Una decina di donne con i rispettivi bambini, di pochi anni o neonati, sono fatte salire, insieme ad altre 60 persone,
dentro a un container di ferro caricato sull’autorimorchio. I motori sono già accesi. Le porte si chiudono sul carico umano. Fa buio. Si parte, direzione Kufrah, 1.500 chilometri più a sud, al confine col Sudan. Presto sotto il sole di luglio il container diventa un forno, l’aria si fa pesante, non si vede a un palmo dal naso. I bambini piangono. Il viaggio dura una ventina d’ore. A bordo non c’è niente da bere né da mangiare. Presto l’odore diventa insopportabile: vomito, feci, urine, gasolio e sudore. La morsa del sole non si allenta, la gente boccheggia. La gola brucia dalla sete, chi ha una bottiglietta raccoglie le urine per berle. Finché, finalmente, stremati dal viaggio, i portelloni si aprono sulla notte di un paesaggio desertico, di fronte al carcere dell’ultima città libica prima del Sudan, Kufrah. I deportati attraversano i cancelli derisi dai militari. Molti conoscono già le grate di ferro di Kufrah. Ricordi di lividi, fame e ferite. Vengono perquisiti. Soldi, telefonini e braccialetti se li prendono gli agenti. Le celle si chiudono. Tre mesi dopo, alle luci dell’alba, senza nessun preavviso, un camion verde militare carica una sessantina di persone a bordo. Sono state condannate all’espulsione in Sudan. Tra loro ci sono anche Anna e il piccolo Daniel, sei mesi. Il camion si avvia tra le buche di una pista di terra tra le dune del deserto. Li aspetta un viaggio lunghissimo, ma i motori si fermano dopo sì e no un paio d’ore. L’autista fa scendere tutti. Il sole del mattino già inizia a bruciare, e un orizzonte di sabbia e miraggi blocca sul nascere qualsiasi idea di fuga. Le opzioni sono due, spiegano in arabo i militari a un ragazzo che fa da interprete. «Duecento dollari a testa e vi riportiamo in città. Oppure proseguiamo». La polizia sa di giocarsi un carico d’oro. Nel giro di un’ora di trattative si trova l’accordo. Molti sono riusciti a nascondere i soldi al momento dell’arresto, cuciti addosso nell’orlo dei pantaloni o dentro le scarpe. Chi ha più dollari paga la quota per le donne e i bambini rimasti senza un centesimo. Raggiunta la periferia di Kufrah, gli stessi militari li mettono in contatto con dei passeurs amici. Chi ha altri soldi parte subito sui fuoristrada diretti a Benghazi, al nord. Anna e il piccolo sono salvi. Appena Abraham ha notizie della moglie le versa con
un Western Union i due ultimi stipendi per pagare l’affitto a Tripoli e comprare un altro viaggio in barca. «Certo che avevo paura per il bambino. Ma era l’unica soluzione. Fin dall’inizio lei non aveva mai accettato che partissi da solo e aveva insistito perché la portassi con me. Diceva che nessuno muore prima del suo tempo. Adesso era in Libia, ogni giorno rischiava d’essere arrestata e mandata di nuovo a morire nel deserto. Le era già andata bene una volta. E tornare in aereo era impossibile, era clandestina, e se si fosse presentata all’ambasciata eritrea l’avrebbero arrestata immediatamente. Era in trappola, e se dovevano morire, meglio che morissero in mare, piuttosto che in mezzo al deserto o in un carcere». A maggio 2006 tutto è pronto per partire, ma la notte dell’imbarco una retata della polizia coglie di sorpresa una cinquantina di giovani nascosti in un rudere vicino al mare in attesa dei passeurs. Scoppia il panico. Gli agenti menano a destra e sinistra. La gente scappa. Con la forza della disperazione Anna riesce ad arrampicarsi su un albero con il bimbo legato alla schiena con un lenzuolo. È salva di nuovo e di nuovo non le resta che partire ancora. Col marito si sentono una volta a settimana, su Internet. Anna ha paura di uscire di casa. Finalmente Abraham trova altri soldi, il vecchio biglietto è scaduto. Tre mesi dopo, luglio 2006, la moglie e il bambino sbarcano a Lampedusa. Abraham li aspettava da un anno. Niente di speciale. La loro è una storia come tante, basterebbe chiedere a caso a uno dei 19.099 uomini, delle 1.037 donne o dei 1.264 bambini sbarcati in Sicilia nel 2006. Ognuno di loro ricorda un inferno. Migliaia di altre persone non lo potranno mai raccontare. La traversata negli ultimi dieci anni è costata la vita a più di duemila persone. Ma tutto questo il piccolo Daniel non lo sa. Nella sua affollata cameretta con vista sull’autostrada romana gioca a far scontrare due colorate Micro Machines, mentre Anna mi offre un tè in un bicchiere di plastica. Qui non c’è il deserto, non ci sono le sbarre di una galera, divise che strillano e voci che piangono in camerate di gente ammucchiata, e non ci sono nemmeno le onde del mare la notte o il rumore assordante del motore ore e ore. Ma a due anni Daniel è già un piccolo ometto, e presto saprà abituarsi anche alla normalità. Etichette: Eritrea, Reportage Tratto da “Mamadou va a morire”
Lampedusa, perché i profughi lasciavano l’Eritrea Dietro la nuova strage del barcone andato a fuoco nelle acque di Lampedusa, c’è il dramma di migliaia di migranti provenienti all’Africa subsahariana o dal Corno. Come negli sbarchi di Augusta lo scorso 26 ottobre e le persone morte pochi giorni fa a qualche metro dalla spiaggia di Scicli, anche in questo caso si tratta soprattutto di somali, ghanesi ed eritrei ma anche sudanesi e marocchini, stando alle prime ricostruzioni. Per loro – anche se vulnerabili, esposti agli abusi e al rischio di rimpatrio forzato – la traversata del Canale di Sicilia rimane ancora l’opzione migliore, anzi l’unica possibile. Tra i Paesi di provenienza a spiccare è però proprio l’Eritrea. Asmara ha un governo proprio solo dal 1993, anno di indipendenza dall’Etiopia dopo anni di guerriglia per ottenere la liberazione. Al potere del
Paese, una repubblica presidenziale monopartitica, sempre lo stesso uomo: Isaias Afwerki. L’Eritrea è uno degli Stati più chiusi al mondo, ma sempre più centrale sul piano geopolitico a ragione delle sue risorse minerarie e della sua posizione strategica vicina al “collo di bottiglia” che chiude il Mar Rosso. Un Paese dove i diritti umani sono sostanzialmente calpestati, come rilevano tutte le organizzazioni internazionali a cominciare da Amnesty International, che nel suo ultimo rapporto annuale descrive un Paese dove “l’arruolamento militare nazionale è rimasto obbligatorio e spesso esteso a tempo indeterminato. È rimasto obbligatorio anche l’addestramento militare per i minori. Le reclute sono state impiegate per svolgere lavori forzati. Migliaia di prigionieri di coscienza e prigionieri politici hanno continuato ad essere detenu-
ti arbitrariamente in condizioni spaventose. L’impiego di tortura ed altri maltrattamenti è stato un fenomeno diffuso. Non erano tollerati partiti politici d’opposizione, mezzi di informazione indipendenti od organizzazioni della società civile. Soltanto quattro religioni erano autorizzate dallo Stato; tutte le altre erano vietate e i loro seguaci sono stati sottoposti ad arresti e detenzioni“. Per la ong, sono questi i motivi principali che inducono cittadini eritrei a continuare a fuggire in massa dal Paese, delle dimensioni di un terzo dell’Italia e con meno di cinque milioni di abitanti. Ma nemmeno lasciare l’Eritrea è semplice. Sempre Amnesty spiega che “per coloro che venivano colti nel tentativo di varcare il confine con l’Etiopia è rimasta in vigore la prassi di “sparare per uccidere”. Persone colte mentre cercavano di varcare il confine con il Sudan sono state arbitrariamente detenute e dura-
mente percosse. Familiari di persone che erano riuscite a fuggire sono state costrette a pagare multe per non finire in carcere“. A causa di questa situazione, inasprita da condizioni economiche severissime, la ong e l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’Unhcr, hanno rivolto a molte nazioni anche europee l’invito a non rimpatriare forzatamente gli esuli eritrei. Quanto all’Italia, – venuto meno il “filtro” del regime libico di muhammar Gheddafi che “conteneva” con la violenza l’arrivo di rifugiati dall’Africa – questa è tornata ad essere ciò che era per i migranti fino a non molto tempo fa: una terra di speranza, ma purtroppo anche di morte.
03/10/2013 - Michele Pierri
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Egitto: lettera di un prigioniero eritreo
Fortress Europe 25/8/2008 Abbiamo ricevuto una lettera scritta da un eritreo detenuto nelle carceri egiziane perchè sprovvisto di un titolo di soggiorno. Per ragioni di sicurezza abbiamo omesso il suo nome e il nome della città nella quale è detenuto. La lettera è stata fatta uscire dal carcere nel mese di febbraio 2008. Secondo Amnesty International almeno 810 eritrei sono stati deportati dall'Egitto nella seconda metà di giugno 2008, su un totale di 1.600 eritrei detenuti. Sono soprattutto richiedenti asilo politico, disertori dell'esercito eritreo, che viaggiano in direzione di Israele. Si tratta della più grande deportazione mai organizzata negli ultimi anni dall'Egitto. Una deportazione che segna il passo di una nuova stagione di repressione, fatta di arresti e omicidi lungo la frontiera. Gentile Signore/a, Noi profughi di cui sopra vorremmo fare appello a voi circa la nostra situazione e la sofferenza che stiamo affrontando nelle seguenti ... cellule della stazione di polizia. Siamo scappati dal nostro paese per sfuggire al duro trattamento inflittoci dal nostro governo. Abbiamo viaggiato attraverso il Sudan e siamo entrati in Egitto senza documenti legali. Lo abbiamo fatto per salvare le nostre vite. Dopo aver attraversato il confine, siamo stati catturati dalle guardie di frontiera egiziane che ci hanno portato alla stazione di polizia di ...... Gentile Signore/a, la sofferenza che affrontiamo nelle celle della polizia può essere così descritta: 1. Quando siamo stati arrestati siamo stati chiamati in giudizio presso tribunali militari. Ci hanno parlato in
arabo, che non abbiamo capito. Non abbiamo avuto la minima idea di che cosa ci stavano dicendo e non abbiamo avuto un rappresentante legale o un traduttore. Non sapevamo che quale fosse la nostra accusa, né la sentenza che ci veniva imposta. Loro non ci hanno dato alcun documento legale circa la decisione della corte. Siamo stati riportati di nuovo alle celle della stazione di polizia dove le guardie ci hanno informato che eravamo prigionieri, ma anche loro non sapevamo per quanto tempo saremmo dovuti rimanere in carcere. Ora siamo prigionieri senza aver commesso alcun crimine apparente. Il nostro unico problema era che siamo entrati in Egitto al fine di salvare le nostre vite dalla sicurezza eritrea repressiva. 2. Siamo stati tenuti in celle minuscole, piene di detenuti. Ci hanno messi assieme ai criminali egiziani che sono stati accusati di omicidio, rapina, traffico di droga e altri reati. La maggior parte dei detenuti egiziani consumano farmaci nelle cellule. Il fumo delle droghe che fumano riempie le celle e ci provoca forte mal di testa e talvolta vertigini. In aggiunta a questo, quando i detenuti diventano intossicati, iniziano a colpirsi a vicenda e a utilizzare lame di rasoio e aghi cosicchè tagliano se stessi e gli altri detenuti. Molte volte i nostri corpi e vestiti erano macchiati di sangue. È spaventoso vivere in queste celle. Non siamo in grado di dormire la notte. Alcuni nostri compagni eritrei sono minorenni, ma vengono lasciati in questa situazione. Questo ci sta causando un sacco di danni morali e psicologici.
Abbiamo provato a lamentarci con la polizia, ma nes- noi per diversi giorni nella stessa prigione. Poi le autorità le hanno portate via. È ormai più di tre mesi e non suno se ne frega. si sa dove sono e come stanno. 3. La maggior parte di noi sono cristiani, mentre tutti i detenuti egiziani sono musulmani. Quando si prega, ci 6. A causa dell’affollamento e l'ambiente insalubre chiedono di pregare con loro. Quando ci rifiutiamo, ci nelle cellule, siamo esposti a infezioni e malattie. chiamano infedeli e iniziano minacciando che noi ci Nonostante questo, il carcere non offre alcuna assimeritiamo la morte. Invece, quando vogliamo pregare, stenza medica. Di conseguenza, una delle nostre comcominciano prendendo gioco di noi o, a volte ci minac- pagne rifugiate con il nome .... è morta tre settimane ciano con conseguenze disastrose se osiamo pregare. fa. Il corpo è ancora insepolto dato che nessuno lo ha rivendicato. Tre giorni fa, mentre stavamo scrivendo 4. Alcuni di noi sono stati trattenuti qui per oltre sei questa lettera, un nostro compagno si è seriamente mesi. Le uniche visite che abbiamo avuto sono state da ammalato. Abbiamo implorato la guardia di fare qualenti religiosi. Ma anche il momento in cui sono autocosa, ma hanno ignorato le nostre suppliche. Questa mattina è stato così grave che abbiamo iniziato a urlare e sbattere le porte della prigione per richiamare l'attenzione delle guardie. Dopo diverse ore di urla, sono venuti e lo hanno portato via. Speriamo che lo abbiano curato. Se questa situazione si protrae ancora per qualche tempo, è improbabile che riusciremo a uscire da questo posto vivi e sicuramente se uno ha la fortuna di sopravvivere a questa prova fisicamente, si rizzati a vederci, la loro visita è limitata. Siamo così potrebbe rimanere provati psicologicamente per il tanti qui dentro che non possono vedere tutti noi nel resto della vita. poco tempo concesso loro. Sarebbero disposti a darci Gentile Signore/a, La preghiamo imploriamo di venire cibo, medicine, ecc, ma molte volte non sono autoriz- a vedere la nostra situazione, indagare a fondo e di zati. intraprendere le azioni necessarie. 5. Quando siamo stati arrestati al confine abbiamo Se volete maggiori informazioni è possibile contattare avuto alcune donne e bambini con noi. Alcune di loro ..... (nome omesso per motivi di sicurezza) sono le nostre mogli, sorelle e figli. Sono rimasti con Vi ringraziamo in anticipo per il vostro tempo e aiuto.
PER MARE RACCOGLIAMO SCARPE E RABBIA 3 ottobre 2013 at 20:15 Stamattina appena alzato ricevo la telefonata di Alessandra, mia moglie, uscita per accompagnare Abele, nostro figlio, a scuola, la sento sconvolta mi dice che ha incontrato un amico al bar, lo ha avvicinato per dirgli come andava, perche lo aveva visto strano, con una giacca sporca con cui si copriva, come se volesse coprire qualcosa di più grande del suo corpo, Lui guarda Alessandra, dicendogli che ne avevano preso una quarantina, mia moglie gli risponde, che gli faceva piacere, credendo che l’amico parlasse di pesci, ma poi si accorge che c’è qualcosa che non va, e lui comincia a raccontare del suo risveglio in mare sulla barca, con altri amici, un risveglio fatto di urla, e di gente che soffocava in mare, di bambini e donne che con le ultime forze provavano a raggiungere la loro barca. Quaranta ne abbiamo presi. Dopo lei sento Annalisa, Francesca, e gli altri di Askavusa, mentre il telefono sembra impazzito, ricevo molte chiamate da amici, giornalisti, compagni. Al molo trovo Totò e Paolo, con cui stiamo a guardare attoniti, tramortiti, le salme che continuano ad arrivare, ci chiediamo cosa possiamo fare, perche ci sentiamo schiacciati dall’impotenza. Non è la prima volta, che vediamo questo orrore, ma non ci si abitua mai. Dopo circa un’ora il comandante della Guardia Costiera ci
dice che se vogliamo possiamo perlustrare con una barca dalla Tabbaccara fino a capo Ponente, ci mettiamo in mare insieme ad un turista di Bergamo che come noi è triste e molto arrabbiato, parliamo in barca, della imminente visita di politici,
anche delle implicazioni che l’Europa ha nelle varie guerre in Africa, delle produzioni di armi in Europa, della destabilizzazione della Siria e di tutta quell’area. Fa rabbia vedere che dopo tanti anni si permetta ancora a queste persone che sono quasi tutte richie-
siamo tutti d’accordo che sarebbe da prenderli e buttarli in mare per qualche ora, perche è da anni che i politici vengono a fare le loro passerelle qui quando trovano l’occasione, ma non hanno mai risolto niente, anzi la situazione si è aggravata, si parla
denti asilo politico di viaggiare in queste condizioni, di morire in queste condizioni. Non sarebbe più facile, aprire un corridoio umanitario dalla Libia per l’Europa? Cosi si eliminerebbero queste tragedie, ed anche sprechi di denaro, ricordiamo che ogni
persona paga per uno di questi viaggi dalle mille alle duemila euro, che si dice vanno ad organizzazioni criminali, l’Europa dovrebbe avere come primo punto politico imminente l’apertura di un corridoio umanitario. Per mare raccogliamo scarpe, succhi di frutta prodotti in Libia, e cornetti ancora imbustati, non aperti, che sembrano italiani, per le scritte. Ci avviciniamo ad una grossa chiazza di gasolio, in mare ci sono molte vedette ed elicotteri in cielo che perlustrano la zona. Si capisce che quello è il punto del naufragio, siamo molto vicini all’isola. Ritorniamo in porto dandoci appuntamento per stasera, per cercare di capire cosa si può fare, di sicuro lanciare un appello per l’apertura di un corridoio umanitario. Mi porto a casa l’immagine degli aironi che volavano liberi e del mare pieno di scarpe e gasolio, mi porto dentro le immagini dei cadaveri sul molo. Mi porto la rabbia e il dolore per una tragedia che dura da anni e oggi ha visto uno dei suoi culmini, la rabbia per una classe politica che ancora una volta cerca di giustificare i propri errori scaricando la colpa su altri e facendo le loro passerelle e dichiarazioni di cordoglio. Siamo stanchi ma non ci siamo arresi.
Giacomo Sferlazzo “Askavusa”, Lampedusa
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Il mio viaggio all’inferno
Storia di Tareke Brhane raccontata il 3 ottobre 2013 a Lilli Gruber sulla 7 Tareke Brhane sbarca in Sicilia nel 2005 proveniente dall’Eritrea, dopo un’odissea durata anni, facendo lo stesso percorso che la notte del 3 ottobre, a Lampedusa, è costata la vita a oltre 300 persone, delle 500 che erano sul barcone.
con benzina,.così la potevi bere. Per mangiare mettevamo un po' d'acqua nella farina e la bevevamo con la farina. Di qui è ancora più triste, vedere quelle donne e quei bambini, ancora di cinque, sei, sette anni... Vorrei sottolineare, a proposito delle donne, che a volte le donne... cioè la donna subisce il 99% della violenza dai tutti, dai loro connazionali e dai trafficanti, La prima cosa che ho pensato quando la gente di tutta questa tragedia. ho appreso la notizia del naufragio è Da lì arrivavamo al confine, alla fine che ho avuto la fortuna di vivere tu diventi una merce, perché tu hai un’altra vita. Nello stesso momento pagato per andare in Libia. mi è venuta la tristezza di vedere que- Abbiamo pagato circa 300 dollari, per sta gente ( sono in Italia da quasi 7 arrivare però in una città chiamata anni), che continua a morire per met- Benagasi, oltre 1000 chilometri da tere la propria vita in salvo. È una ver- Tripoli. Però alla fine non arrivi lì, gogna e dobbiamo chiederci perché arrivi al confine, però loro ti vendono ciò accade a poche centinaia di metri ad altri trafficandalle vostre coste. ti, ti chiudono in Nonostante tutto ho deciso di abban- una casa e ti donare la mia patria, l’Eritrea, perché r i c a t t a n o : “ O non avevo scelta: parliamo di un paghi, oppure paese dove c’è una dittatura feroce da chiami un famitanti anni. (…) liare o chiunque La gente non si rende conto, ma anche sia nel mondo, per circolare nel mio stesso paese ci fai arrivare i vuole il permesso, come per andare soldi, o tu di qui negli Stati Uniti ci vuole il visto. non ti sposti”. E Uscire dal Paese, comunque, non è se tua madre, tua una scelta facile, è irregolare, devi sorella, sono lì abbandonare tutto e tutti. (…) con te, non avrai L’ho deciso con mia madre, perché più il coraggio di era l’ultima rimasta. Anche per lei sof- guardarle in facfro, non ha avuto la fortuna come me cia per tutto il di vedere questa vita, di riposare su resto della tua un bel letto caldo…Lei ha voluto met- vita, perché loro termi in sicurezza, ero ancora giova- subiscono la vione, e voleva investire su di me (…) lenza, vengono Siamo andati in un campo profughi in stuprate davanti Sudan, viaggiare, oltre a essere molto ai tuoi occhi. rischioso, richiede tatnti soldi, non è Praticamente tu stato facile. Mia madre mi ha detto diventi come una “Vai! Ormai per me…” merce, diventi come un barattolo di Sono stato tanto male a lasciare mia pomodoro, quello ti venderà a quello, madre a rischiare tutta la vita, a quello a quell'altro, soldi, soldi, soldi. nascondersi dalla guerra, dai bom- Tutte le volte sempre soldi. Ora, giubardamenti, da essere violentata.(…) stamente, voi vi chiederete da dove Così ho deciso di andare verso la arrivano tutti questi soldi? I soldi Libia, dove incontri dei mediatori che arrivano da tutte le persone che ti mettono poi in contatto con i traffi- hanno visto la violenza, conoscono il canti. passato, cercano di mandare qualche Per entrare in contatto con i traffi- cento, duecento euro. Potrebbe essecanti arrivi in una zona, tipo un bar re la tua speranza, raggiungere il tuo specifico e dici “Io vorrei andare in obiettivo. Libia” e loro subito ti mettono in con- E da lì sono arrivato a Bengasi, dal tatto con quei signori. Ti prendono Kufra e poi a Bengasi. Poi per arrivare uno ad uno, finché hanno un certo a Tripoli devi fare un'altra procedura, numero e fanno partire delle Land altri documenti, documenti falsi, devi Rover. Mettevano 34, 35 persone, fare, inventare altre nazionalità. come una spesa, dove non c'entrava- Tripoli è molto interessante, cercavano nemmeno le persone e non c'era mo di nascondere la nostra nazionaliposto nemmeno per l'acqua, di modo tà. Per qualsiasi motivo puoi rischiare che avrebbero potuto darci almeno di tornare al tuo paese. Per uno giuda bere, attraversando il deserto. Il stamente tornare lì è ancora peggio. deserto è anche peggiore del mare... Quando mi chiedevano la nazionalità io una volta preferivo morire nel rispondevo a seconda della situaziomare piuttosto che morire nel deser- ne. Io posso sembrare di essere di to. Vedere quella sofferenza... siamo quattro paesi: Sudanese, Eritreo, stati per oltre dieci giorni a bere l'ac- Somalo, Etiope, assomiglio un po’a qua di benzina, cioè l'acqua mescolata tutti, conoscendo anche varie lingue
so adattarmi., essendo stato in vari campi profughi e conoscendo tanta gente. Da noi, come minimo si parla quattro o cinque lingue, per fortuna anche se siamo persone del “ Terzo Mondo”. Quando siamo arrivati a Tripoli, giustamente io dico che voglio andare in Italia. Il momento peggiore è stato più che in mare nelle carceri libiche, quello è stato il momento peggiore. Sono riuscito a partire, sono stato parcheggiato per mesi in campagna, finché arrivavamo ad un numero, in stanze chiuse, senza il bagno, non potevi mangiare. Tu già parti che non hai più energie, ma se vuoi raggiungere il tuo obiettivo sei disposto a tutto. Ho preso la barca, la barca della speranza, molti si chiedono come si fa a prendere queste barche così oiccole, dove non si sa chi la guida, noi non vediamo nulla, quando arrivano ad un certo numero, poniamo ad un numero di 300 persone, arrivano di notte con un camion, come ho già detto come la spesa, dove dal posto dove parti fai due ore con le macchine, arrivi nella spiaggia tutto buio con i bastoni ti fanno scendere dalle macchine, eravamo in trecento in venti metri di barcone e c'erano tanti bambini, non si vergognavano, talmente da non mettere un bidone d'acqua, quindi non potevi neanche bere. Dopo dieci ore di navigazione, siamo rimasti fermi per cinque giorni. Alle volte si incontravano anche delle barche commerciali, nessuno ti guardava e ti prendeva in considerazione. Dopo cinque giorni è arrivata una nave, mi ricordo ancora di una signora anziana che era contentissima perché aveva visto la bandiera maltese, si potrà anche contestare, però c'era la bandiera maltese e sua figlia era a Malta ed era contentissima, urlava di gioia e diceva “La voglio rivedere!”. Per la gioia e la gentilezza, in due o tre l'abbiamo alzata, la barca si stava per rovesciare. Ci hanno fermato verso le tre, con una corda tiravano il nostro barcone fino alle sette di sera. Ad un certo punto un signore che si intendeva un po' di stelle ha detto, “Guardate che ci stanno riportando in Libia. E lì
è stato il panico, urlavano “no, lasciateci qui, vogliamo morire qui, perché tornare in Libia e morire in mare era, è uguale, non c'è nessuna differenza. Alla fine dopo cinque giorni di viaggio, stremati, ci hanno portato negli scafi, ci hanno dato pugni. Ci hanno portato in questo camion chiuso , c'erano due finestrini stretti, mettevano duecento persone tutte insieme, con quattrocento gradi fuori, ottocento gradi dentro, affamati assetati, così e finisci in questi carceri libiche, lì il problema è che non sai quanto tempo puoi rimanere, un mese, dieci mesi, un anno, vent'anni, nessuno ti chiede perché sei finito lì, non sai perché ci sei finito, lì ti tengono in attesa, aspettando se qualcuno ti può salvare. Ti fanno cambiare carceri, e torni ancora più indietro al confine con il Sudan, di nuovo a Kufra, eravamo in celle da quattro metri quadrati, 78 persone chiuse dentro, senza un bagno: se c'era un bagno, non funzionava, l'acqua non te la davano, per farti respirare l'aria buona, lo facevano quando ci portavano fuori per contarci, pensavano che si potesse scappare, nel deserto non scappi. Ci portavano per dieci minuti lì e poi ricominciava il viaggio, ti vendevano i poliziotti stessi, venivano e sceglievano 25 persone, per farti uscire volevano dei soldi. Tu non sei una persona, sei una merce. Vorrei dire una cosa importante sulle donne, perché subiscono delle cose veramente vergognose il 99 %, ho lavorato anch'io in polizia, diciamo il 90% sono state stuprate, spesso quando succede questo, nascondono la cosa nella loro comunità, spesso hanno figli, danno il nome di qualcuno per nascondersi, se subisci violenza sei costretto a nasconderlo agli altri. Io al 99% pensavo di non poter arrivare però non avevo scelta, il mio sogno non era un gran cosa ma di mettere la mia vita in salvo. La seconda imbarcazione era abbastanza decente, ma chi la guidava non era esperto come l'ottanta per cento degli scafisti sono disperati che hanno bisogno di soldi, li mettono a fare una prova, gli danno questa barca. Se noi guardiamo tutte le statistiche, le barche non arrivavano tutte in spiaggia, ma i soccorsi arrivavano al largo, vuol dire che non sei esperto, perchè se sei bravo ci metti poco ad arrivare al limite delle spiagge, però ci sono anche quelli esperti che fanno queste missioni. Adesso sono in Italia, lavoro come mediatore culturale, ho lavorato per Save the children, per Medici senza frontiere, ho avuto fortuna. Ho avuto la fortuna, quella che non ho avuto io di darlo agli altri.
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Fortress Europa: LA STRAGE Un giorno a Lampedusa e a Zuwarah, a Evros e a Samos, a Las Palmas e a Motril saranno eretti dei sacrari con i nomi delle vittime di questi anni di repressione della libertà di movimento. E ai nostri nipoti non potremo neanche dire che non lo sapevamo. Dal 1988 sono morte lungo le frontiere dell'Europa almeno 19.372 persone. Di cui 2.352 soltanto nel corso del 2011, almeno 590 nel 2012 e già 695 nel 2013. Il dato è aggiornato al 12 ottobre 2013 e si basa sulle notizie censite negli archivi della stampa internazionale degli ultimi 26 anni. Di seguito trovate soltanto gli incidenti degli ultimi mesi. Per consultare la documentazione di Fortress Europe dal 1988, visitate il nostro speciale La strage. Per un'analisi statistica, frontiera per frontiera, leggete la scheda Fortezza Europa. http://fortresseurope.blogspot.it 11/10/13 Italia 11/10/13 Italia 11/10/13 Egitto 08/10/13 Italia 03/10/13 Italia 30/09/13 Italia 19/09/13 Egitto 17/09/13 Spagna 17/09/13 Spagna 11/08/13 Italia 10/08/13 Italia 01/08/13 Spagna 28/07/13 Italia 27/07/13 Grecia 26/07/13 Grecia 25/07/13 Grecia 25/07/13 Spagna 15/06/13 Italia 15/05/13 Grecia 18/04/13 Spagna 18/04/13 Marocco 16/03/13 Spagna 02/03/13 Spagna 22/01/13 Grecia 14/01/13 Grecia
Naufragio nel Canale di Sicilia, a 70 miglia da Lampedusa. Un'imbarcazione si rovescia in mare durante i soccorsi. Recuperati i corpi di 34 vittime, compresi una decina di bambini. Secondo il racconto Repubblica dei 206 superstiti, i dispersi in mare sarebbero 160 Sale a 339 il numero dei corpi senza vita ripescati dalle acque di Lampedusa dopo il naufragio del 3 ottobre. Ancora dispersi in mare 24 dei naufraghi Repubblica Fa naufragio al largo di Alessandria, un'imbarcazione diretta in Sicilia. Recuperati i corpi di 12 vittime, ancora dispersi 22 dei passeggeri Repubblica Sale a 289 il numero dei corpi senza vita ripescati dalle acque di Lampedusa dopo il naufragio del 3 ottobre. Ancora dispersi in mare 74 dei naufraghi Lettera 43 Lampedusa, affonda imbarcazione dopo un incendio a bordo, davanti all'isola dei conigli. Recuperati 143 cadaveri, tra cui 4 bambini e 49 donne. Secondo il racconto dei 155 superstiti, sul peschereccio viaggiavano 518 passeggeri. Restano disperse in mare altre 220 persone. Il bilancio della strage è di 363 morti Repubblica Sbarco nel catanese, costretti a tuffarsi in mare dagli scafisti, annegano 13 persone Repubblica La guardia costiera egiziana apre il fuoco su un’imbarcazione carica di siriani diretti in Italia sulla rotta del contrabbando. Due morti a bordo, tra cui una donna. Repubblica Naufragio nelle acque di Ceuta, si cercano 12 dispersi in mare Diario Sur Ritrovata a poche miglia da Punta Almina, a Ceuta, una piccola barca capovolta in mare insieme al corpo senza vita di uno dei suoi passeggeri Abc Una imbarcazione si arena a soli 15 metri dalla riva, nel catanese. Nello sbarco, annegano 6 dei passeggeri Repubblica Un recluso marocchino di 31 anni muore nel Centro di identificazione e espulsione (CIE) di Crotone per un malore, in circostanze non ancora chiariteRepubblica Imbarcazione alla deriva tra Tangeri e Tarifa, nello Stretto di Gibilterra. Nonostante i soccorsi della guardia costiera spagnola, uno degli otto passeggeri muore a bordo Abc Gommone diretto a Lampedusa si rovescia in mare a 29 miglia dalle coste libiche, annegano 31 dei 53 passeggeri, comprese 9 donne Repubblica Ritrovati altri due corpi nelle acque di Kos dopo il naufragio di ieri. Si tratta di due bambini, uno di cinque anni e l’altro di otto Ekathimerini Naufragio davanti all’isola di Kos, un solo superstite. Ritrovati i corpi senza vita di una bambina, 2 donne e un uomo. Ancora dispersi altri 8 passeggeri Ekathimerini Naufragio nelle acque dell’isola di Oinusses, un uomo disperso in mare Ekathimerini Una quarantina di uomini assalgono la barriera sul confine dell’enclave spagnola di Melilla, in Marocco, e riescono a passare la frontiera. Uno di loro però muore per un attacco cardiorespiratorio Abc Donna muore durante il parto su un barca salpata dalla Turchia e sbarcata a Roccella Jonica, in Calabria. Il corpo è stato abbandonato in mare Repubblica Naufragio davanti alle coste dell’isola Farmakonisi, muore annegata una bambina di sei anni Ekathimerini Muore annegato uno dei passeggeri di un gommone soccorso davanti alle coste di TarifaDiario Sur Naufragio davanti alle coste di Al Hoceima, sulla rotta per la Spagna, morti 10 dei 34 passeggeri Diario Sur Un uomo e una donna sono dispersi in mare al largo di Tarifa dopo il naufragio del gommone su cui viaggiavano con altri otto passeggeri El Pais Naufragio nello Stretto di Gibilterra, al largo di Tarifa, di un piccolo gommone con a bordo sei passeggeri. 2 morti e 2 dispersi in mare El Pais Ritrovato sulle rive del fiume Evros, al confine tra Turhia e Grecia, il corpo senza vita di un sedicenne morto assiderato tentando di passare la frontiera Ekathimerini I corpi di 3 naufraghi ripescati nelle acque dell’isola di Chios Ekathimerini
Strage di Lampedusa, i sopravvissuti accusati di immigrazione clandestina Prima un giorno di lutto nazionale per i morti, e subito dopo l’iscrizione a registro degli indagati per i sopravvissuti con l’accusa di immigrazione clandestina. E’ un misto di ipocrisia e schizofrenia quella che circonda l’ultima tragedia di Lampedusa. L’ipocrisia dei politici che vengono sull’isola a manifestare la solidarietà del governo e che magari candidano anche quest’ultimo lembo d’Italia prima dell’Africa a premio Nobel per la pace, ma che allo stesso tempo difendono a spada tratta la legge sull’immigrazione, la stessa che, se non sei morto, adesso ti incrimina e può arrivare a sanzionarti con una multa fino 5.000 euro. Che è proprio quello che prevede la Bossi-Fini. Diciamolo subito: la decisione di iscrivere sul registro degli indagati i nomi di quasi tutti i 155 sopravvissuti al naufragio di giovedì - si salvano sono i minori - non dipende dalla procura di Agrigento che ha solo fatto quello che la legge gli impone di fare. «E’ un atto dovuto, non potevamo fare altrimenti», spiega il procuratore capo Renato Di Natale che continua a interrogare i sopravvissuti alla ricerca di testimonianze contro lo scafista, un tunisino arrestato poche ore dopo il naufragio. «Stiamo facendo riscontri testimoniali ma le cose sono un po’ più difficili perché sono indagati», prosegue il procuratore. Secondo il racconto fatto dai migranti, potrebbero essere 360 le vittime del naufragio, e la maggioranza di esse sarebbero donne. Il calcolo è stato fatto dagli stessi africani, che ad alcu-
porto. «Noi cercavamo con tutte le forze di tirare su quanta gente possibile. Invece sulla motovedetta della Capitaneria c’era gente che pensava a fare fotografie e video» ha raccontato Vito Fiorino, che la notte del naufragio dormiva in rada a bordo della sua barca, la «Gamar». E’ stato lui il primo a sentire le urla disperate degli immigrati che stavano affondando. Fiorino conferma anche quanto raccontato nei giorni scorsi da un turista. «Noi portavamo su i profughi quattro alla volta, poi quando la mia barca era troppo piena e rischiava di affondare abbiamo chiesto alla capitaneria di farli trasbordare e continuare con il salvataggio. Invece ci hanno detto che non potevano perché doveva aspettare il protocollo. Incredibile». La polemica riguarda anche il tempismo con cui la Capitaneria di porto sarebbe intervenuta. Fiorino dice infatti di aver dato l’ordine di chiamare la Guardia costiera al massimo alle 6,40 e la prima motovedetta sarebbe arrivata alle 7,30, quasi un’ora dopo. Una versione smentita ieri da un comunicato della Capitaneria, secondo la quale le operazioni di soccorso sarebbero scattate subito dopo aver ricevuto l’allarme, intorno alle 7 del mattino, e una volta sul posto le motovedette «hanno a loro volta imbarcato con una cerimonia che si è tenuta nell’hangar finiscono. Dopo le accuse ai pescatori (alcuni quante più persone possibili». dell’aeroporto dell’isola trasformato in obitorio immigrati hanno parlato di tre pescherecci che e alla quale ha partecipato anche il presidente si sarebbero allontanati dal barcone già in fiamdella Camera Laura Boldrini. Sul pavimento 111 me), ieri sono stati alcuni dei soccorritori a punIl Manifesto, Leo Lancari bare allineate, ognuna con un fiore sopra. In tare il dito. Questa volta contro la Capitaneria di ni deputati hanno raccontato di aver contato il numero dei pulmini che al momento della partenza li hanno condotti a Misurata. Se così fosse, questo vorrebbe dire che a bordo dell’imbarcazione, che si trova a oltre 40 metri sotto il mare, si troverebbero ancora 252 corpi. Lampedusa intanto ricorda le prime vittime della tragedia, quelle i cui corpi sono stati recuperati
prima fila, quattro piccole bare bianche. Su ogni bara c’è un numero, e a ogni numero corrisponde un volto. Servirà un domani per un’eventuale identificazione. Dal punto di vista delle indagini, invece, la procura ha smentito l’apertura di un fascicolo per i presunti ritardi nei soccorsi. Ma le polemiche su quanto accaduto nelle prime ore di giovedì non
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Basta vittime innocenti nelle continue tragedie nel Mediterraneo L’Unione europea riveda la sua politica sul monitoraggio delle frontiere esterne, sul soccorso in mare e sulla gestione delle emergenze umanitarie L’ennesima tragedia accaduta oggi a Lampedusa, al pari delle altre che si continuamente nel ripetono Mediterraneo, non deve essere considerata una tragica fatalità .Essa chiama in causa le evidenti gravi responsabilità della politica dell’Unione Europea e dell’Italia sull’immigrazione e sull’asilo. L’Europa da anni pone in atto politiche di contrasto del traffico dei migranti, impegnando massicce risorse economiche e l’ utilizzo di forze di polizia mentre non vengono
adottate adeguate misure per la realizzazione di un più efficace monitoraggio delle presenze delle imbarcazioni di migranti nel Mediterraneo e nel canale di Sicilia. Vanno, perciò, riviste profondamente le politiche dell’Unione sulla gestione delle crisi umanitarie ai suoi confini e sulla gestione degli interventi di soccorso verso i migranti in mare o alle frontiere esterne terrestri. L’ASGI chiede: - un più efficace monitoraggio delle presenze delle imbarcazioni di migranti nel Mediterraneo e nel canale di Sicilia, in particolare al fine di realizzare misure di soccorso effica-
ci e coordinate a livello comunitario; transito, costretti a raggiungere l’Europa (dove spesso vivono fami- programmi a livello europeo di gliari e parenti) servendosi dell’unico aiuto umanitario nei confronti di canale realmente disponibile, migranti e profughi che si trovino nei ovvero le organizzazioni criminali paesi di transito, oltre che di piani internazionali che proliferano prod’azione di tutela dei diritti umani e di prio sulle carenze delle politiche gestione delle politiche migratorie e dell’Unione sulla materia. dell’asilo in paesi terzi fortemente interessati dal transito di migranti L’ASGI esprime cordoglio per le vittiverso l’Unione europea, piani di me, ma anche sdegno per le dichiaraazione già previsti dal Programma zioni irresponsabili di taluni esponenti della Lega Nord che, a soccorsi di Stoccolma; ancora in corso, della sciagura avve- una nuova politica dell’Italia e nuta fanno mezzo di propaganda polidell’Unione europea nella realizza- tica infamante e disonesta intelletzione di canali umanitari e di ade- tualmente. guati programmi di reinsediamento di rifugiati che si trovano in condizioA.S.G.I. Associazione per gli studi ni di gravissimo pericolo nei paesi in giuridici sull’immigrazione
Un sogno, una suggestione e già una proposta Ripartiamo da Lampedusa per disegnare una nuova Europa direttive UE, il cui termine di recepimento era stato monaco e vi è il rischio concreto che la politica fatto abbondantemente scadere, a qualche aggiu- istituzionale dica di voler cambiare tutto per stamento normativo. Tutto condito dalla retorica poi invece non cambiare in concreto nulla, Perché pur essendone stati i promotori, siamo consa- della lotta ai trafficanti, del rispetto dei diritti umani, affogando nuovamente le speranze di milioni di donne e uomini nelle acque torbide delle pevoli del fatto che nonostante questi appelli abbia- della solidarietà europea. no contribuito ad aprire una discussione, non sono Il dramma di Lampedusa ha di fatto messo in discus- larghe intese e degli egoismi europei. sufficiente a produrre invece una trasformazione sione la legittimità delle politiche europee ed italia- Tocca a tutti noi giocare la partita che si è aperta perreale delle regole che disegnano lo scenario in cui si ne in materia di immigrazione. Di conseguenza le ché ogni discorso di cambiamento prenda un’altra consumano le stragi del Mediterraneo e le violazione istituzioni europee e nazionali si trovano di fronte traiettoria. E ancora oggi, mentre dopo la morte di 300 persone dei diritti di milioni di cittadini non riconosciuti all’in- alla necessità di riscriverne le regole, o alcune di queNon esistono scorciatoie. Esiste invece la possisi accendono finalmente i riflettori anche sulle “Porta di Lampedusa – Porta d’Europa” di Mimmo Paladino bilità di ripartire insieme perché l’incredibile altre 20.000 inghiottite dal Mediterraneo negli Monumento alla memoria dei migranti deceduti in mare disponibilità a mettersi in gioco che abbiamo ultimi anni, per l’ennesima volta troppe voci registrato da parte di molti dopo i tragici avvestanno usando Lampedusa in modo strumennimenti di giovedì scorso, possa trasformarsi in tale, come accade con il susseguirsi di passerelun percorso di migliaia di persone, in una riscritle di politici sull’Isola che sta scatenando nuotura delle regole attraverso un’elaborazione giuvamente la giusta rabbia degli abitanti. ridica, politica, culturale, che sia veramente colParlare di Lampedusa, ripartire da lettiva. Lampedusa, deve avere adesso invece un In questi anni ci abbiamo provato in molti. Ma significato completamente diverso. oggi abbiamo la possibilità di farlo in tantissimi. Da troppi anni si strumentalizzano Lampedusa e lo “spettacolo” della sua frontiera per alimentare ansie da “invasione”, per raccontare che l’unica soluzione sono il controllo e l’approccio securitario alle migrazioni, per non parlare mai, paradossalmente, delle ragioni e delle storie di quelle migliaia di donne e uomini che migrano fuggendo da quell’ingiustizia sociale e globale che li rende le ultime e gli ultimi della terra.
Ma per farlo abbiamo bisogno di metterci in cammino abbandonando l’idea che qualcuno possa farlo al posto nostro.
In questo senso dalle pagine de Il Manifesto il Sindaco Giusy Nicolini, invoca un cambiamento vero delle norme, della politica, dell’Europa intera, proponendo di ospitare questo auspicato processo proprio nell’Isola. Dal canto nostro sappiamo che la scrittura di nuove regole può avere segni differenti. E se proprio da Lampedusa ripartisse dal basso una spinta per cambiare radicalmente l’Europa, questo Paese, le sue norme e la sua politica?
terno dei confini europei. Migliaia di firme insomma ste, di raffinarne i meccanismi, di annunciarne la non si trasformeranno automaticamente in decisioni cancellazione di attenuarne le spigolature, con lo Dopo la strage di giovedì scorso, anche grazie all’apscopo di poter riaffermare, nella sostanza, l’impianto pello per un canale umanitario che insieme a tantis- politiche. simi abbiamo promosso dalle pagine di Melting Pot C’è poi un secondo aspetto, estremamente delicato, stesso dell’Europa Fortezza. Europa, si è aperto un dibattito inedito, impensabile su cui è necessario fare chiarezza. Lo spazio di discus- Anche la paventata abolizione del reato di ingresso e fino a pochi giorni fa. Cosa ci dice la petizione on-line sione che si è aperto e l’idea di rivisitazione delle soggiorno irregolare (che da sola cambia poco o proposta da La Repubblica per cancellare la legge regole di cui oggi parlano tutti, da Napolitano a nulla) parla lo stesso linguaggio. Per la politica istituBossi-Fini se non questo? Di cosa ci parla la proposta Barroso, da Alfano a Letta, non ha certo una direzio- zionale è urgente l’abbandono della simbologia e di cancellazione del reato di clandestinità? ne scontata. La discussione verte tutta intorno al delle retoriche del pugno di ferro per mostrarsi oggi Agire questo spazio, mantenerlo aperto, provare a potenziamento dei pattugliamenti di Frontex, alla commossa, così da recuperare sul terreno della lavorare affinché si trasformi in azioni concrete, è, riscrittura degli accordi bilaterali, all’appalto delle governance quel consenso che le morti di Lampedusa domande d’asilo ai Paesi Terzi, al recepimento delle hanno affievolito. Ma come sappiamo l’abito non fa il crediamo, un dovere di noi tutti.
A partire da Lampedusa. Ritrovandoci a stretto giro insieme sull’Isola, con chi sull’Isola oggi chiede un cambiamento, insieme a chi ha sottoscritto gli appelli di questi giorni, insieme a chi in questi anni ha elaborato proposte, a chi vuole giocare questa sfida fino in fondo, per dare vita ad un grande meeting, un momento di discussione aperto, tra associazioni, collettivi, organizzazioni e singoli. Per un momento di elaborazione di proposte ma anche di costruzione di una campagna nazionale ed europea per un’Italia senza la legge Bossi-Fini, per un’Europa diversa, senza detenzione, respingimenti, cittadinanze negate e diritti violati. Per far si che proprio il luogo che in questi anni ha dovuto subire le scelte della politica europea, diventi invece motore di un’ipotesi di cambiamento. Ritroviamoci a Lampedusa per scrivere insieme la Carta di Lampedusa.
Progetto Melting Pot Europa
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Tragedie e ipocrisia
Si susseguono le onde da una riva all’altra del Mediterraneo e su queste navigano barconi, bagnarole del mare, piene zeppe di uomini, donne, bambini, esseri umani. I loro sono pensieri di perseguitati in fuga dai loro paesi, idee e speranze di libertà, lavoro, vita nuova, tranquillità, pace. Il mare è grande, enorme e si muove indeterminatamente, a volte calmo fa sognare e creare, ma il più delle volte si muove agitato, fa paura! E succede, in nome del profitto continua a succedere che le persone muoiono inghiottite dalla incolpevole forza della natura. Troppi, tanti, troppi!! a centinaia, migliaia, più di 20.000
negli ultimi dieci anni, senza più idee a due passi dalla terraferma. Mentre qualcuno grida alla vergogna, altri si ostinano a dare colpe dal risvolto razzista e xenofobo. Nessuno cresce la consapevolezza che la colpa di tutto sono il controllo e l’approccio securitario alle migrazioni, che hanno sortito la paura di avere nemici, specie in loro, trasformandoli in possibili predatori dei nostri averi. Continuiamo a non vedere le cose come stanno effettivamente, essi vengono da paesi martoriati da dittature, guerre civili e lotte intestine, a non capire che il mondo è terra di ognuno, non di conquista e dominio, che la
conoscenza e l’accoglienza sono fattore di crescita, proprietà ora sepolte sotto cumuli di orgoglio e indifferenza. Gli stessi politici che ora si dispiacciono, lo scorso giugno hanno deciso di escludere dalle depenalizzazioni anche i reati in materia di immigrazione. Dobbiamo crescere una consapevole rinnovata cultura dell’accoglienza, smetterla di pensarli come invasori, attuare una responsabilità civile che esuli dagli stereotipi, regolando senza repressioni l’affluenza dei migranti in Europa e nel mondo, soprattutto i richiedenti asilo politico partendo anche da qui, da Firenze dove come i
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suoi predecessori, continuando ad omettere agli obblighi di legge, il sindaco Matteo Renzi 2 anni fa il 25 Aprile giorno della Liberazione, dopo aver posato la corona in Piazza dell’Unità ordinava lo sgombero dell’occupazione al Fosso Macinante delle Cascine da parte di Eritrei con asilo politico, da anni in attesa di casa e lavoro. Smetterla di essere ipocriticamente coinvolti solo a tragedia avvenuta e dare risposte concrete al diritto di libertà a tutte/i di vivere al mondo.
Roberto Pelozzi
LA STRAGE È DI STATO Nel mar Mediterraneo si è consumata l’ennesima tragedia di un barcone il cui carico era formato da pura disperazione: cinquecento persone in fuga da miseria, povertà, violenza, fame, sfruttamento e guerra. Il peschereccio su cui erano imbarcati, a mezzo miglio nautico (926 metri se calcolati sulla terra) dalla spiaggia dei conigli dell’isola di Lampedusa, è affondato e tra morti e dispersi si contano almeno trecento persone, tra cui bambini e donne incinte. Nell’Italia della crisi si tenta di contrabbandare questo delitto come una tragedia dovuta alla fatalità ed alla malvagità dello scafista di turno per difendere, scagionare e alla fine assolvere quelli che sono i veri responsabili di questo crimine contro l’umanità. I nostri governanti, con l’ipocrisia e la disumanità che li ha sempre contraddistinti, oggi ostentano commozione e piangono a telecamere accese (ieri è stato il turno di Alfano e Napolitano su tutte le reti tv) mentre ognuno di loro si era già reso responsabile di aver votato leggi contro l’immigrazione (la famigerata Turco/Napolitano e in seguito la ancor più famigerata Bossi/Fini) e dopo di questo di aver suffragato la scelta di guerre imperialiste, spacciandole come necessarie a importare la democrazia ma funzionali solo a un sistematico e rigoroso saccheggio delle risorse proprie dei paesi del sud del mediterraneo (Iraq, Jugoslavia, Libia, Siria), dopo bombardamenti
che hanno demolito e cancellato interi paesi provocando la fuga di milioni di persone. L’occidente, strillando la sua indignazione e solidarietà per le popolazioni civili maciullate, ha contemporaneamente finanziato bande armate di delinquenti, vere e proprie compagini di carnefici, che hanno avuto e hanno il solo scopo di destabilizzare, per consentire a chi li paga, di depredare territori e popoli, riducendo la gente alla fame e alla disperazione costringendola a fuggire da
tutto questo – e non a caso è la parola “fuggire” che meglio aderisce a questa realtà, perchè la parola “emigrare” nasce da presupposti diversi. Quando non si è intervenuti con le bombe, si è cercato di sostenere governi criminali che favorissero gli interessi occidentali (Tunisia, Egitto, Bahrein, ecc), ma nel contempo si sono approvate leggi razziali per impedire a queste persone di fuggire e, a coronamento del tutto, sono stati istituiti i CIE (centri di identificazione ed espulsione, prima chiamati CTP - centri di permanenza temporanea). Nei CIE, quanti vi sono trattenuti non sono considerati detenuti, essi vengono eufemisticamente definiti ospiti della struttura,
in realtà si tratta veri e propri luoghi gli interessi di questi organismi. di detenzione, lager utilizzati per rin- Solo un governo dei lavoratori (italiachiudere quanti sono fuggiti dai pro- ni e migranti) può cambiare la situapri orrori e trattenerli in attesa di zione, abolendo tutte le leggi razziste e con la libera circolazione delle perrestituirli a questi. La fortezza Europa blinda le proprie sone. frontiere e assieme a questa manovra Via le leggi razziste Turco-Napolitano viene rarefatta la subdola operazione e Bossi-Fini per la libera circolazione, di fomentare campagne terroristiche contro ogni forma di razzismo. Unità verso i questi fuggiaschi, definendoli dei lavoratori italiani e migranti conuna minaccia per la cultura e le radici tro i governi del capitale. dei cittadini europei. Una politica che porta ad alimentare l’odio verso il PCL Firenze diverso, verso il più UN APPELLO AL povero, verso il più sfruttato; si mettono PARLAMENTO ITALIANO: contro lavoratori itaFACCIA CESSARE liani e lavoratori immigrati, si aizzano LE STRAGI NEL MEDITERRANEO campagne di vero e proprio rancore contro questi considera- Rivolgiamo un appello al parlamento ti “diversi” prenden- italiano: faccia cessare le stragi nel do a pretesto singoli Mediterraneo legiferando il diritto e isolati fatti di cro- per tutti gli esseri umani ad entrare naca, si alimenta una in Italia - ed attraverso l’Italia in sorta di guerra fra poveri che favorisce Europa - in modo legale e sicuro. solo e soltanto quan- Ogni essere umano ha diritto alla ti speculano sulle vita. Ogni essere umano ha diritto altrui vite. Quella di alla libera circolazione sull’unico piaLampedusa non è una neta casa comune dell’umanità intefatalità, non è un tragico ra. Vi è una sola umanità e tutti gli incidente ma un omicidio di massa, con la connota- esseri umani ne fanno parte. zione di una vera e propria strage di stato, i cui Il “Centro di ricerca per la pace e i responsabili hanno nome diritti umani” di Viterbo e cognome, Livia Turco, Giorgio Napolitano, Viterbo, 14 ottobre 2013 Umberto Bossi, Gianfranco Fini, Silvio “Centro di ricerca per la pace e i diritBerlusconi, Gianni Letta e ti umani” di Viterbo, strada S. un unico mandante: i Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail poteri forti internazionali, Unione Europea, Banca nbawac@tin.it Centrale, Fondo centropacevt@gmail.com, Monetario, Nato e quanti agiscono di concerto con http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
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Gli immigrati tornano a casa, noi siamo più poveri Gli stranieri invertono le rotte dell’immigrazione verso Romania, Marocco, Cina o Albania. E senza di loro il fisco italiano perde 87 milioni di Irpef. Le balle leghiste sull’immigrato parassita, che ruba il lavoro agli italiani, non reggono più. Molti stranieri, infatti, se ne vanno dal nostro Paese. Le coordinate dei flussi migratori sono diverse dal passato e da tempo gli immigrati invertono rotta, scegliendo la Romania, il Marocco, la Cina o l’Albania. Solo nel 2011 in 32 mila hanno scelto di emigrare ancora. Ma non senza lasciare un vuoto: oltre a perdere storie, esperienze culturali e capacità lavorative, il nostro paese diventa economicamente più povero. Con gli immigrati che se ne vanno, infatti, le casse dell’erario si svuotano di 87 milioni di euro di Irpef ogni anno. Sono i dati pubblicati nel Rapporto Annuale sull’Economia dell’immigrazione 2013 realizzato dalla Fondazione Leone Moressa. I risultati del rapporto parlano chiaro: gli stra-
nieri contano per il 4,3 per cento sull’Irpef nazionale e rappresentano il 5,4 per cento dei redditi complessivi versati nel nostro paese, ovvero 43,6 miliardi di euro. Non solo un costo, dunque, ma una risorsa economica importante per l’Italia, nonostante il dato negativo delle partenze, visto che il nostro paese in crisi continua a perdere ricchezza, specializzazione professionale e posti di lavoro. Secondo i dati raccolti dalla Fondazione Moressa l’Irpef più alta è quella pagata dai migranti lombardi: 3.700 euro, ovvero 800 euro in più rispetto alla media nazionale. Mentre le famiglie di stranieri dichiarano in media 12.880 euro di reddito annuo 6.780 in meno rispetto agli italiani -, e si tratta quasi esclusivamente di redditi da lavoro dipendente. Nonostante l’immigrazione sia ormai organica nel sistema Italia da oltre 20 anni, il lavoro degli stranieri continua ad essere sottopagato, anche rispetto alle qualifiche. Se tra il 2005 e il 2011 le retribuzioni medie sono cresciute del 15 per
cento, quelle degli immigrati solo del 3,3. Un dato allarmante, perché se da un lato l’unica ricchezza per un immigrato è il lavoro - perso quello non ha molte ragioni per restare -, dall’altro significa che l’Italia non ha lavorato al meglio sull’opportunità delle presenze straniere in patria, consumando di fatto ricchezza. Ma quando si parla di immigrazione che porta via il lavoro agli italiani e di conti economici in rosso per pagare le rette di asili nido, libri, affitti di case per stranieri, assistenza sanitaria più gratuita di quella degli italiani, bisogna stare attenti a non cadere nella banalità dei luoghi comuni. Uno dei dati più significativi della presenza di immigrazione nel nostro paese riguarda i contributi al nostro sistema previdenziale. Gli stranieri contribuiscono, infatti, a pagare le pensioni degli italiani con circa 5 miliardi di euro all’anno (dati Inps). E pochissimi di loro vedranno tornare indietro questo sforzo. Primo perché la maggior parte è troppo giovane oggi; secondo perché al momento della pensione - con ogni pro-
babilità - molti saranno tornati nel proprio paese di origine o emigrati da qualche altra parte. Ecco dunque che cambiando prospettiva, si trasforma anche il peso che l’immigrazione ha nel nostro paese. E questo riguarda anche le 450 mila imprese straniere, che oltre a creare auto-occupazione, creano opportunità di lavoro per altri lavoratori. Ora - considerando che la questione immigrazione è molto più articolata e merita attenti approfondimenti, che sono difficili in un articolo che affronta solo alcuni aspetti del tema - una considerazione da italiano in patria: se gli immigrati se ne vanno perché in Italia manca il lavoro, allora vuol dire che ce n’è poco anche per noi indigeni. E questo è un problema - e bello grosso - che dovremmo risolvere con chi ci governa.
Massimo Lauria da popoff-globalist.it
Sono loro il nostro prossimo... Ci si può commuovere tutti i giorni, o c’è bisogno di una pausa, di una tregua - non so, una settimana, almeno un paio di giorni - fra una tragedia e l’altra? O commuoversi comunque quando la cifra dei morti è così esorbitante? Quando ci sono i bambini (le donne incinte ci sono sempre), e c’è ogni volta un dettaglio nuovo. Questa volta è il fuoco acceso dentro una carretta con 500 persone, come accendere un falò in un autobus all’ora di punta, con le porte che non si aprono. Riescono sempre a procurarsi un dettaglio nuovo, queste disgrazie. A Catania è in rianimazione il migrante eritreo scampato a tutto, anche alla spiaggia di Sampieri coi cadaveri allineati dei suoi compagni, e investito da un’auto. I dettagli di ieri saranno troppi per raccoglierli, i soccorritori pensano a soccorrere, magari piangendo, e i superstiti, una volta rifocillati e sbattuti in qualche Centro di Indifferenza ed Espulsione, non saranno più interessanti, coi confini spinati e i deserti e i mari che hanno attraversato, i cadaveri che hanno urtato, le preghiere che hanno pregato. Non avranno voglia di raccontarlo, e non troveranno chi abbia voglia di starli a sentire. Guarderanno l’Isola dei famosi, la sera, e capiranno tutto. Dunque si è quasi offesi, da una giornata simile: centinaia di morti, l’ennesima, più lunga fila di sacchi da monnezza, non si può pretendere che ci commuoviamo ogni giorno che Dio manda, perbacco, e all’indomani di un allegro rilancio del governo, che prima era di necessità e ora è d’amore e d’accordo. Che c’entra il governo con la strage della barcaccia? Niente, appunto. Niente e nessuno, c’entra. È stata una disgrazia. Cioè: il cinismo degli scafisti, l’imprudenza dei passeggeri, il panico di tutti. I superstiti non presentavano problemi molto gravi, ha detto un bravissimo medico, qualcuno aveva bevuto, con l’acqua salata, parecchia nafta. Non c’entra nessuno, accusare, inventarsi dei colpevoli, è un lusso da salotto. (I leghisti sanno di chi è la colpa: di due signore). Però il papa ha detto: è una vergogna. Allora bisogna che qualcuno si vergogni, o che ci vergogniamo tutti.
Di che cosa? Di tutto: della guerra civile in Siria, del ieri un soccorritore, promuovendoli involontariamattatoio somalo, della violenza nigeriana che ricac- mente a creature marine, quei viaggiatori che non cia indietro i ghanesi. Ah, va bene, campa cavallo! sapevano nuotaretiene a restare, secondo lui, freddo Vediamo più da vicino, allora. Controllare meglio e lucido. “Non possiamo mica accogliere tutti i fugquel tratto di mare? Ci sono occhi meccanici cui non giaschi del mondo”. No, infatti, non possiamo. Ma sfugge un branco di sardine. Chi se ne intende dice non stanno arrivando tutti i fuggiaschi del mondo. E che il lavoro che fanno la nostra capitaneria, la mari- ragionevole prevedere che ne arriveranno molti di na militare, la guardia di finanza, e anche i mezzi più. Siccome ci si compiace a credere che l’alternatimercantili e da diporto è ammirevole, che i radar non va sia fra buonismo e cattivismo, e chi non è né buobastano a vedere tutto, soprattutto con imbarcazioni nista né cattivista possa solo raccomandare l’anima e il corpo altrui a Dio, proverò a rispondere. piccole e mare mosso e sotto costa. Bene: eppure qualcosa occorre fare. Perché ieri non Ammettiamo pure il caso più ottuso: che siate rigoeravamo solo commossi fino alle lacrime, ma anche rosamente contrari all’immigrazione, che ve ne fotesasperati e furiosi. Perché anche piangendo, si tiate di tutte le avvertenze (“ma i nostri nonni, e il pensa. Si pensa che in Giordania, in Libano, in padre del papa Francesco, sono emigrati...”; e “gli immigrati oggi coprono il 10 per cento del Pil italiano”, e così via). Bene. E ammettiamo ora che voi, i del tutto contrari, stiate bordeggiando sotto l’isola dei Conigli, e avvistiate una disgraziata che viene da Aleppo o da Samaria e che agita le braccia e annaspa: o la soccorrete, o no. Se non la soccorrete, siete davvero coerenti con la vostra convinzione, e il diavolo vi porti: l’avete meritato. Se la soccorrete, com’è infinitamente più probabile, non avrete affatto ripudiato la vostra convinzione, avrete saputo che c’era una cosa più importante. Che quando succede proprio a voi di imbattervi nella persona in pericolo, che da voi dipende la sua salvezza, le conTurchia, in Iraq, ci sono oggi un paio di milioni di pro- vinzioni politiche o demografiche si eclissano, e fughi siriani, e da noi ne sono arrivati due o tremila; senza riflettere un momento lanciate il vostro salvagente o la vostra cima. (E non voglio ancora complecui vanno sottratti - 250, 300? - quelli di ieri. Si pensa che due giorni fa sono state pubblicate le tare l’esempio, sicché succeda a voi di annaspare e nuove cifre sugli immigrati in Italia, e quattro su dieci agitare le braccia, venendo da Bergamo Alta, ed si propongono di tornare a casa o andare altrove, e essere soccorso da una carretta di scafisti siriani). molti l’hanno già fatto. Si pensa che in Grecia, tanto Questa non è la soluzione, ma è una gran parte della più povera di noi, e tanto sorella nostra -”stessa fac- soluzione. La soluzione implica che in Siria finisca la cia, stessa razza”- gli immigrati dall’Europa orientale guerra civile, che Dublino 2 non metta in croce la e dall’Asia e dall’Africa entrano per terra e per mare in Grecia, che la Germania non si scandalizzi per l’arrivo numero assai superiore ai nostri, e poi ci restano di sbarcati a Scicli o a Riace, che l’Europa sia l’Europa. chiusi, in omaggio a Dublino, in balia dei nazisti di Cose grosse. Si possono affrontare, anche se sembrano così grosse. Ma intanto c’è la gran parte della Alba Dorata. E poi, si pensa alle obiezioni di chi, anche in mezzo a soluzione, che consiste nel comportarsi seriamente, tutti questi morti -“una marea di cadaveri”, ha detto efficacemente, come si fa col disgraziato in cui vi
siete imbattuti. Per esempio, quando in uno scampolo d’estate vi capita di fronte una di quelle barche di disperati, su una spiaggia siracusana o ragusana, o calabrese o pugliese, e fate una catena umana. Una catena umana - è gran parte della soluzione. Ma sarebbe ipocrita lasciarla al caso. Se il samaritano avesse saputo che tutti i giorni, sulla famosa strada, i briganti lasciavano tramortito un passeggero, avrebbe chiesto alla polizia di occuparsi dei briganti, e intanto avrebbe improvvisato con altri volontari il pronto soccorso a quell’angolo di strada. Tutti i migranti che si mettono in viaggio alla nostra volta, e pagano caro il biglietto per la morte o la vita, tutti, sono il nostro prossimo: che siamo buoni o cattivi, che vediamo di buon occhio o furibondo la questione dell’immigrazione. Per questo è così odiosa, oltre che criminale, la politica dei “respingimenti”. Li respingi nei campi libici, a essere violati e bastonati e venduti. Li respingi “a casa loro”, dove gliela faranno pagare con la tortura e la pelle. E soprattutto li respingi: agitano le braccia, annaspano, gridano aiuto proprio a te, e li respingi. Perché questo non avviene, non abbastanza? Dobbiamo dirlo chiaramente. Perché le autorità, essendo responsabili (ciò che per molte di loro vuol dire ciniche) preferiscono un migrante annegato a un clandestino vivo che si aggiri per l’Europa. Un anonimo morto a un rifugiato vivo. Lo preferiscono, davvero, magari non dicendoselo così chiaro: se no non lo farebbero. Pensano (infatti pensano): “Se questi disperati arrivassero tutti vivi, sempre più disperati sarebbero incoraggiati a venire”. Bene: se pensano così, anche se non se lo dicono, stanno favorendo le stragi come quella di ieri, “magari non così grosse, non tanti in una volta”. Ciascuno, autorità o persona comune, può liberamente decidere che cosa pensa dell’immigrazione e dei migranti in carne e ossa - il nostro prossimo. Ma bisogna che sappia che cosa sta decidendo, e ne segua le conseguenze fino alla banchina di Lampedusa con la fila dei fagotti da monnezza. Resta da lodare ancora Lampedusa: perché quegli annegati non sono di nessuno, né del paese da cui fuggono, né di quello in cui sognavano di arrivare. Sono del mare, e di Lampedusa.
di Adriano Sofri – da La Repubblica
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Gli scafisti siamo noi ...
Il Manifesto, 4 ottobre 2013 Dopo questa strage, la più grave degli ultimi anni, le principali autorità pubbliche, tranne rare eccezioni, stanno proponendo il peggio del repertorio sicuritario, anche se ancora una volta le vittime sono tutte, evidentemente, potenziali richiedenti asilo. Ma per qualcuno se non attentano alla sicurezza sono un pericolo per la sopravvivenza dei disoccupati. Ancora guerra tra poveri alimentata ad arte da chi vuole nascondere le vere responsabilità della crisi. Ma questa volta, forse, non potranno dire che “se la sono andata a cercare”, come hanno fatto in passato. O dimenticarli subito, come al solito. Se la prendono solo con gli scafisti per nascondere le loro responsabilità, le responsabilità istituzionali, a partire da Napolitano, dagli organi periferici che “detengono per accogliere” e accolgono in centri informali di trattenimento. Responsabilità estese che vanno dalle istituzioni europee capaci solo di rinforzare le missioni antimmigrazione di Frontex ai tanti prefetti che ritengono che tra questi disperati alcuni, come gli egiziani, possano essere rimpatriati con un volo charter anche poche ore dopo l’ingresso nel territorio dello stato. Come se la corte Europea dei diritti dell’Uomo non avesse mai condannato l’Italia per i
Lamp Zo Basta affiancare per un attimo la tragedia di Lampedusa, - in cui sono morti centinaia di migranti, donne, neonati, bambini, anziani - alla buffonata parla-
respingimenti in Libia, dei quali Maroni si vantava ancora pochi giorni fa, come se il Consiglio d’Europa non avesse continuato a criticare le politiche dell’Italia in materia di asilo e immigrazione. L’inasprimento dei controlli di frontiera ha già prodotto centinaia di morti, vogliono continuare ancora nella stessa direzione. Una gigantesca vigliaccata. Una pedagogia del cinismo collettivo. È partita per l’ennesima volta una straordinaria campagna di disinformazione che addita come responsabili di questa strage i soliti scafisti, o quei migranti che per farsi vedere avrebbero dato fuoco a una coperta. La responsabilità di questa immane tragedia non ricade sugli scafisti ma sui governanti europei che pensano solo alle misure di contrasto dell’immigrazione clandestina, l’unica che hanno reso possibile e che adesso pensano solo a rinforzare la missione Frontex. Come mai nessuno li ha visti prima? Come mai questo barcone non è stato segnalato dai radar? Potevano essere tutti salvi se non fossero stati costretti a rotte sempre più pericolose. In passato queste barche entravano in porto direttamente a Lampedusa o a Siracusa. Oggi scappano tutti, puntano verso i
tratti della costa più idonei a fuggire, per non restare intrappolati nei centri di accoglienza/detenzione in Sicilia. Dai quali sono già fuggiti a centinaia, anche minori non accompagnati, alimentando un altro giro del racket. E l’ Europa rimane cinicamente a guardare e invia “intervistatori” che pressano i migranti appena sbarcati per conoscere le tappe del loro viaggio, nell’improbabile ricerca delle reti criminali che li hanno gestiti. Di quelli
che sono ancora in attesa della partenza, incarcerati o massacrati nei deserti della Libia o presi a fucilate dalla polizia egiziana non interessa niente a nessuno. Occorre promuovere da subito una
: edu sa r
gole persone, come gli abitanti di Lampedusa che si prodigano in queste ore per salvare i dispersi; non a caso governati dall’ottima sindaca Giusi Nicolini che oggi invita il primo ministro Letta a scuotersi e ad andare sull’isola “a contare i morti”. Quelle di Lampedusa sono le ennesime morti annunciate, figlie di politiche nazionali agite con scopi elettorali e incapaci di affrontare gli ineludibili flussi migratori con umanità e nel rispetto della Costituzione. I respingimenti degli menimmigrati verso tare di ieri paesi come la Libia, per capire l’idove rischiano la tortura e la vita, la gestione dei Cie, la decisionadeguatezza e il cinismo che avvolge la classe politica ne di dichiarare continuamente lo stato d’emergenza per adottare misudirigente del nostro paese. La parola “accoglienza” non è più una re straordinarie al di là dei limiti fisparola patrimonio dello Stato. Nel sati dalle leggi nazionali e internaziomigliore dei casi viene agita dalle sin- nali, l’assurdo perseverare con la
campagna per il diritto di asilo europeo e sostituire le missioni Frontex per il contrasto dell’immigrazione clandestina, con missioni internazionali al solo scopo di salvataggio dei profughi in mare. Consentire visti di ingresso in Europa nei paesi di transito e sospendere il Regolamento Dublino 2. Gli stati dell’Unione Europea hanno il dovere di aprire corridoi umanitari dalla Siria, dall’Egitto e dalla Libia. Che i profughi possano partire per l’Europa con un visto di ingresso. Tutto il resto, compresa la caccia agli pseudo scafisti, cementa omertà e riproduce emarginazione sociale e clandestinità. Per qualcuno è meglio che muoiano o che fuggano dai centri di prima accoglienza rendendosi invisibili. Basta con le stragi conseguenza delle politiche di sbarramento della fortezza Europa. E basta con l’inutile pietismo delle visite ufficiali che lasciano immutate tutte le condizioni che hanno permesso queste tragedie, a partire dagli accordi bilaterali con paesi come Malta, Tunisia, Libia, Egitto, accordi stipulati e attuati al solo scopo di bloccare la cosiddetta immigrazione clandestina. Chi li mantiene in vigore non pianga una sola lacrima su questi morti. Immagine dal blog “dallapartedeltorto”
di Fulvio Vassallo Paleologo
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e d
legge Bossi-Fini che produce solo sofferenza e ingiustizia è la cifra disumana che chi governa il Paese grazie alla “pacificazione” - Partito Democratico e Popolo della Libertà in primo luogo - impone. E destano sdegno le parole del presidente Napolitano affranto dalla tragedia, considerato che è stato il primo - con la legge TurcoNapolitano - a togliere dignità e diritti ai migranti nel nostro Paese. L’Italia è quindi un Paese fuori legge nel rapporto con i migranti. La nostra credibilità all’estero è pari a zero: non più tardi di ieri il Consiglio d’Europa all’unanimità ha bocciato le nostre politiche migratorie votando un report in cui si sottolinea che sono semplicemente “sbagliate o controproducenti”. È questa l’Italia politica del 2013. Incapace di fare i conti con la realtà contemporanea, gestita da persone che farebbero danni anche nell’amministrare un condominio e a cui in troppi continuano a dare fiducia in maniera quasi dogmatica.
LET IT BE Let it be, se il mondo andasse in rovina. Let it be. Appare un sentimento di disastro, che ci lascia sbigottiti davanti al male e alla ingiustizia. Sicuramente siamo in mano alle organizzazioni a delinquere. Per esempio immigrati dell'Africa sub-sahariana, riescono a pagare un prezzo come duemila dollari sia pur guadagnando un dollaro al giorno. Il disastro di Lampedusa, è il primo sicuramente di tanti altri perchè l'Italia non è organizzata. Let it be e tu Mustafà di Casablanca eri sempre il the best. Anche quando il 7 gennaio ti hanno espulso perchè eri clandestino, Caro, ti amo sempre. Let it be.
Sisina
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Cancellare subito lo scandalo della Bossi-Fini
LE TERRIBILI tragedie collettive sono ormai diventate grandi rappresentazioni pubbliche, che vedono tra i loro attori i rappresentanti delle istituzioni, ben allenati ormai nel recitare il ruolo di chi deve dare voce ai sentimenti di cordoglio, dire che il dramma non si ripeterà, promettere che «nulla sarà come prima». Il pellegrinaggio a Lampedusa era ovviamente doveroso, arriverà anche il presidente della Commissione europea Barroso, si è già fatta sentire la voce del primo ministro francese perché sia anche l’Unione europea a discutere la questione. Sembra così che sia stata soddisfatta la richiesta del governo italiano di considerare il tema in questa più larga dimensione, guardando alle coste del nostro paese come alla frontiera sud dell’Unione. Attenzione, però, a non operare una sorta di rimozione, rimettendoci alle istituzioni europee e non considerando primario l’obbligo di mettere ordine in casa nostra. Lunga, e ben nota da tempo, è la lista delle questioni da affrontare, a cominciare dalla condizione dei centri di accoglienza dove troppo spesso ai migranti viene negato il rispetto della dignità, anzi della loro stessa umanità. Ma oggi possiamo ben dire che vi è una priorità assoluta, che deve essere affrontata e che può esserlo senza che si obietti, come accade per i centri di accoglienza, che mancano le risorse necessarie. Questa priorità è la cosiddetta legge Bossi-Fini.
LA BOSSI-FINI è quasi un compendio di inciviltà per le motivazioni profonde che l’hanno generata e per le regole che ne hanno costituito la traduzione concreta. Per questa legge l’emigrazione deve essere considerata come un problema di ordine pubblico, con conseguente ricorso massiccio alle norme penali e agli interventi di polizia. All’origine vi è il rifiuto dell’altro, del diverso, del lontano, che con il solo suo insediarsi nel nostro paese ne mette in pericolo i fondamenti culturali e religiosi. Un attentato perenne, dunque, da contrastare in ogni modo. Inutile insistere sulla radice razzista di questo atteggiamento e sul fatto che, considerando pregiudizialmente il migrante irregolare come il responsabile di un reato, viene così potentemente e pericolosamente rafforzata la propensione al rifiuto. Non dimentichiamo che a Milano si cercò di impedire l’iscrizione alle scuole per l’infanzia dei figli dei migranti irregolari, che si è cercato di escludere tutti questi migranti dall’accesso alle cure mediche, pena la denuncia penale. In questi anni sono stati soltanto i pericolosi giudici, la detestata Corte costituzionale, a cercar di porre parzialmente riparo a questa vergognosa situazione, a reagire a questa perversa “cultura”. Già nel 2001 la Corte costituzionale aveva scritto che vi sono garanzie costituzionali che valgono per tutte le persone, cittadini dello Stato o stranieri, “non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in
quanto esseri umani”, sì che “lo straniero presente, pericolosa per i migranti, sì che non deve sorprendeanche irregolarmente, nello Stato ha il diritto di frui- re che proprio in questi giorni il Consiglio d’Europa re di tutte le prestazioni che risultino indifferibili e abbia definito sbagliate e pregiudizievoli le politiche urgenti”. Un orientamento, questo, ripetutamente italiane nella materia dell’immigrazione. confermato negli anni seguenti, motivato riferendo- L’unica seria risposta istituzionale alla tragedia di si all’“insopprimibile tutela della persona umana”. Lampedusa è l’abrogazione della legge Bossi-Fini, Le persone che ci spingono alla commozione, allora, sostituendola con norme rispettose dei diritti delle non possono essere soltanto quelle chiuse in una persone. Contro una misura così ragionevole e urgenschiera di bare destinata ad allungarsi. Sono i soprav- te si leveranno certamente le obiezioni e i distinguo vissuti che, con “atto dovuto” della magistratura”, di chi invoca la necessità di non turbare i fragili equisono stati denunciati per il reato di immigrazione libri politici, di fare i conti con le varie “sensibilità” clandestina. Di essi non possiamo disinteressarci, rin- all’interno dell’attuale maggioranza. Miserie di una viando tutto ad una auspicata strategia comune politica che, in tal modo, rivelerebbe una volta di più la sua incapacità di cogliere i grandi temi del nostro europea. I rappresentanti delle istituzioni, presenti a tempo. Siano i cittadini attivi, spesso protagonisti Lampedusa o prodighi di dichiarazioni a distanza, vincenti di un’“altra politica”, ad indicare imperiosanon possono ignorare questo problema, mille volte mente quali siano le vie che, in nome dell’umanità e segnalato e mille volte eluso. Così come non possono dei diritti, devono essere seguite. ignorare il fatto che lo stesso soccorso “umanitario” ai Stefano Rodotà - La Repubblica migranti in pericolo di vita è istituzionalmente ostacolato da una norma che, prevedendo il reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, fa sì che il soccorritore possa essere incriminato. A tutto questo si aggiunge la pratica dei respingimenti in mare, anch’essa illegittima e
CIE, ius soli, Bossi-Fini:
appunti per una nuova agenda comune sull’immigrazione di Nicola Grigion e Luca Tornatore Alle volte le parole rompono silenzi che paiono inviolabili. In altri momenti risuonano come insufficienti esercizi retorici. Proprio per non ricadere ritualmente a breve in una retorica vittimistica e penosa sulla condizione dei migranti in Italia, questo momento richiede di non disperdere la rabbia e l’indignazione accumulate nelle scorse ore e di cercare di indirizzare il discorso sulla chiusura dei CIE, tornato alla ribalda in maniera tragica e dirompente in questi giorni, verso azioni concrete nei mesi che seguono. Si tratta, crediamo, di allargare e percorrere un varco aperto da ciò che è accaduto di recente a Gradisca e Crotone, per andare oltre. Le vicende di questi giorni non sono molto diverse da quelle che per mesi, per anni, hanno segnato le biografie più o meno lunghe degli “ospiti” trattenuti nei tanti centri dell’orrore sparsi per la penisola. Condizioni di vita disumane, diritti fondamentali calpestati, censura, false verità ufficiali, atti di autolesionismo, ricoveri e morti sospette, restrizioni della libertà personale convalidate o prorogate con la stessa leggerezza con cui si mette la firma su un biglietto d’auguri, intervento massiccio di reparti anti-sommossa per reprimere la voglia di libertà che neppure la somministrazione massiccia di psicofarmaci riesce a sedare. Eppure non c’è stato momento in questi anni che come ora abbia saputo restituire con tanta chiarezza l’urgenza di mettere fine all’orribile esperienza dei CIE, nello stesso momento in cui altre centinaia di migranti (siriani ed egiziani) approdano sulle nostre coste rischiando, grazie alle perversioni del nostro sistema d’asilo, di finire anch’essi nel circuito della detenzione amministrativa, già trattenuti illegittimamente presso strutture informali al momento del loro arrivo. L’archivio delle violazioni è così infinito da aver riempito decine e decine di rapporti, tanto di organizza-
zioni per la tutela dei diritti (MSF, Emergency, Amnesty, HRW, MEDU...), quanto di organismi istituzionali (Commissione UE, Camere Penali, Consiglio d’Europa, Corte dei Conti, etc...). E ricchi sono anche il bagaglio di esperienze, la qualità del lavoro, la passione e gli sforzi di chi in questi anni ha cercato di opporsi in molti modi ai CIE: denunciando, costruendo azioni legali, documentando, protestando. Quali siano i motivi dei questa rinnovata attenzione mainstream intorno ai CIE o alle coste – merito delle mobilitazioni, frutto delle rivolte, horror vacui nel nulla estivo – importa poco. Ciò che importa è che abbiamo oggi l’occasione di riaprire uno spazio di dibattito vero sul tema immigrazione, in questi mesi occupato in maniera pressoché totale dalle discussioni sui caschi di banane, sugli oranghi o dalle sparate di un manipoli di imbecilli contro il colore della pelle di Cècile Kyenge. Un discorso nebuloso che ha messo al centro della scena un ministero pressoché inutile, quello all’integrazione, regalando la possibilità di agire in una zona grigia in cui tutto è possibile a chi invece su CIE, asilo e cittadinanza la fa da padrone: il Ministero dell’Interno. Non facciamoci sfuggire allora l’opportunità che ci viene offerta dai drammi di queste settimane, di riprendere il filo di un discorso non facile da tessere: quello intorno alle vicende dell’immigrazione nel nostro paese, che anche grazie alla contraddittoria nomina del Ministro all’Integrazione può trovare un inedito spazio. Non che di lotte su questo terreno, anche significative, in questi anni, non ce ne siano state. La battaglia contro la sanatoria truffa, quella per l’accoglienza dei “profughi” del Nordafrica, sono state certo questioni importanti, così come importanti sono diversi terreni su cui i migranti si ritrovano a lottare: dalla casa, con occupazioni e resistenze agli sfratti, al lavoro, nella logistica ed in altri settori. Troppo spesso però queste battaglie non hanno saputo andare oltre la dimensione territoriale, o il carattere parcellizzato e fram-
mentato che le ha condizionate, oppure semplicemente si sono svolte praticando giustamente l’obiettivo, fin dove era chiaro e condiviso. oggi però dobbiamo immaginare ed imporre una nuova agenda politica in cui trovino piena cittadinanza questioni cruciali sulle quali si giocano parte della dignità, della democrazia e del destino della nostra società. Con la poca ambizione di un pieno Agosto, ma con la convinzione della necessità impellente di aprire una ricerca comune, uno spazio di convergenza, una possibile complicità, ci sembra che i punti seguenti siano inevitabili ed inaggirabili. La chiusura dei CIE. Non è un’ipotesi di lavoro: è una necessità oggi più che mai evidente ed urgente. In quei luoghi quotidianamente si vìola la dignità umana dei reclusi, e di noi tutti, dentro i confini di questo Paese, celatamente agli occhi dei media, fuori da ogni regola dello stato di diritto. I CIE, un tempo CPT, furono messi in discussione fin dal loro nascere da un imponente movimento di protesta ed opinione, poi dalle rivolte interne ed in fine colpevolmente rilegittimati dalla retorica dell’umanizzazione prima e della sicurezza poi. Oggi, fuori da questa ipocrisia del linguaggio, quella di chi dice che occorre “superarli”, o meglio ”andare oltre”, quella delle impossibili umanizzazioni per dei luoghi in cui, come ci ha ricordato il giudice di Crotone nel dicembre 2012, “è un apparato dello stato a mettere in discussione i diritti fondamentali” configurando come legittima difesa il comportamento di chi si ribella, deve essere possibile immaginare insieme una campagna, una coalizione che ponga con forza il tema della loro chiusura. È una sfida non da poco, perché il livello di conflitto espresso dalle rivolte interne, che non deve risultare sterile, disperato o semplicemente inutile, ci impone di costruire al di fuori dei centri un conflitto egualmente all’altezza della posta in palio: intelligente, determinato, condiviso, non certo timido o strumen-
tale. La cancellazione della legge Bossi-Fini. E con essa delle sue macroscopiche aberrazioni, dei meccanismi controversi che la caratterizzano, delle restrizioni che impone all’unità familiare, dei ricatti a cui costringe nel mercato del lavoro, dei perversi dispositivi che prevede per gli ingressi regolari, della sua produzione di clandestinità. Di quel disegno che per anni ha costretto ad una posizione subordinata, una “cittadinanza differenziata”, milioni di cittadini in questo Paese. Anche questa non è un’ipotesi di lavoro ma un impellente necessità per la nostra democrazia. L’introduzione del principio dello ius soli. Perché chi nasce e cresce senza aver calcato suolo se non quello di questo Paese, aver conosciuto amici, frequentato scuole, sposato stili di vita, costruito i suoi progetti se non in questa provincia dell’Europa abbia la possibilità di confrontarsi alla pari dei suoi coetanei con questa crisi che stringe l’Euro-Zona nella morsa di un processo di restrizione dei diritti politici, sociali, economici, civili, senza precedenti. In ballo c’è il destino di noi tutti, la capacità di riscrivere uno spazio della cittadinanza, europea prima ancora che confinata alle frontiere di questo Stato, inclusiva e aperta, un nuovo statuto dei diritti in cui a scrivere e decidere le regole sia chi abita questi luoghi. Questa che proponiamo alla riflessione collettiva, come spunto per tessere una nuova trama di discussione, non è che una traccia incompleta, sono alcuni appunti scarni e verrebbe da dire banali. Tuttavia, proprio il fatto che pur essendo così banali siano ancora così incombenti e necessari restituisce l’urgenza di trovare una possibile traiettoria di azione comune su cui confrontarci nel prossimo autunno. Consapevoli che non sono le piattaforme che fanno la differenza, ma come e quanto migliaia, milioni di persone le sostengono, le praticano, sono in grado di coalizzarsi per riempire le le piazze e conquistarle. Vale la pena di provarci. Noi ci siamo.
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a un fatto puramente formale.
Più che mai insieme per affermare e difendere i diritti delle e dei migranti, rifugiati e sfollati! Il 18 dicembre del 1990 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie. L'obiettivo di questa convenzione, frutto di quasi vent'anni di dibattiti e compromessi, era appunto la tutela dei diritti dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie. Sono passati 23 anni dall'approvazione di questa convenzione e, purtroppo, la salvaguarda dei diritti delle e dei migranti, rifugiati e sfollati è ancora un traguardo da raggiungere. Nessun paese del cosiddetto “Nord” del mondo l’ha ancora sottoscritta e in molti degli Stati in cui è stata ratificata non viene assolutamente rispettata. È necessario continuare una battaglia affinché essa venga adottata da sempre più paesi nel mondo e soprattutto affinché l’adozione non si limiti
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lavoratori e lavoratrici domestiche e non soltanto) e che può essere rinchiusa e privata della propria liberta contro qualsiasi logica di diritto, espulsa e deportata verso luoghi in cui rischia la vita.
Le violazioni dei diritti umani che quotidianamente vivono nel mondo i/le migranti, rifugiati ed sfollati evidenziano l’urgenza della costruzione di percorsi di lotta e di rivendicazione che possano affermare un maggiore In quasi tutti gli Stati si criminalizza la figura delle e dei migranti, rifugiati e rispetto dei loro diritti. sfollati. Vengono presentati alla popoQueste violazioni avvengono in diver- lazione autoctona come delinquenti, si luoghi e a diversi livelli. Accadono come quelli che rubano il lavoro, sempre di più lungo le rotte migrato- responsabili della crisi e dell’insicurie, nei luoghi di transito diventati a volte soste permanenti. Luoghi in cui la violenza è brutale e mortale come lo dimostrano il trattenimento e le deportazioni dei migranti subsahariani ad opera dei governi nordafricani con l’aiuto dell’Europa Fortezza, o nelle frontiere nord e sud del México dove mafie e criminali commettono orribile massacri in complicità con lo Stato. In quelle rotte, i migranti e le migranti sono dimenticati, vengono trattenuti ed uccisi, scompaiono o rezza cittadina, dei capri espiatori muoiono senza che nessun governo usati dai governi per distogliere l’atfaccia niente, anzi! Ed spesso alcuni tenzione delle società dai veri responcadaveri non sono mai ritrovati. sabili della crisi mondiale. Si violano i diritti delle e dei migranti, rifugiati e sfollati quotidianamente nei paesi di “accoglienza” dove non li si considera essere umani o lavoratori e quindi soggetti di diritto, ma manodopera da sfruttare o da schiavizzare (come capita spesso con i
La campagna nazionale è promossa da 19 organizzazioni della società civile: Acli, Arci, AsgiAssociazione studi giuridici sull’immigrazione, Caritas Italiana, Centro Astalli, Cgil, CncaCoordinamento nazionale delle comunità d’accoglienza, Comitato 1° Marzo, Emmaus Italia, Fcei – Federazione Chiese Evangeliche In Italia, F o n d a z i o n e Migrantes, Libera, Lunaria, Il Razzismo Brutta Storia, Rete G2 - Seconde Generazioni, Tavola della Pace e Coordinamento nazionale degli enti per la pace e i diritti umani, Terra del Fuoco, Ugl Sei e dall’editore Carlo Feltrinelli. Presidente del Comitato promotore è il Sindaco di Reggio Emilia, Graziano Delrio. Una riforma del diritto di cittadinanza che preveda che anche i bambini nati in Italia da genitori stranieri regolari possano essere cittadini italiani e una nuova norma che permetta il diritto elettorale amministrativo ai lavoratori regolarmente presenti in Italia da cinque anni. Per raggiungere questi obiettivi le due proposte di legge di iniziativa popolare debbono raccogliere 50mila firme entro la fine di febbraio 2012. Ci sono oltre cento città al lavoro con altrettanti comitati e migliaia di volontari che stanno raccogliendo firme.
Noi, associazioni e organizzazioni di migranti, rifugiati ed sfollati e di solidarietà con essi, vogliamo lanciare un forte segnale questo 18 dicembre 2013, Terza Giornata d’Azione Globale per i Diritti delle e dei
Migranti, Rifugiati e Sfollati affinché si fermino questo massacro continuo e la violazione permanente dei loro diritti. Un messaggio da far arrivare alle istituzioni internazionali, agli Stati e ai governi, ma anche alle società civili del mondo intero. Le migrazioni ci stanno offrendo la possibilità di ridisegnare un mondo nuovo, un mondo in cui i diritti non siano un privilegio di chi è nato nelle zone geografiche “giuste” ma qualcosa di valido per tutti e tutte e che quindi non costringa nessuno a rischiare la propria vita per avere un futuro migliore. Un mondo dove migrare o non migrare sia una decisione presa per libera scelta e non per costrizione. Un mondo in cui la libertà di circolazione non sia concepita solo per le merci, ma dove le persone possano anche circolare liberamente, installarsi o non essere sfollate forzatamente. Un mondo in cui ogni essere umano abbia un lavoro degno e si rispetti il principio che essi sono portatori di diritti non solo nei luoghi in cui sono nati ma oltre e al di là delle frontiere. Un mondo nel quale nessun essere umano, nessun lavoratore o lavoratrice, sia illegale! Info: info@globalmigrantsaction.org
Lacrime di coccodrillo Il commento del Naga al nuovo naufragio. Milano 3/10/2013. Leggiamo del nuovo naufragio di stanotte sulle coste siciliane e al dolore si aggiunge la rabbia per quello che è successo e per come viene interpretato. “Si attribuisce la responsabilità delle morti in mare agli scafisti, alle condizioni atmosferiche, al caso: la responsabilità è invece dei Paesi europei, della politica dei respingimenti e della mancata accoglienza”. Dichiara il presidente del Naga Cinzia Colombo. “Il mondo cambia: la crisi economica incide profondamente sull’immigrazione riducendo gli ingressi e facendo aumentare gli spostamenti interni e i rientri; i Paesi sulle coste africane del mediterraneo vivono sconvolgimenti politici e sociali. Ma la risposta europea rimane sempre la stessa: rafforzare la Fortezza Europa. Una fortezza sempre più vecchia, che cerca di conservare, chiudendosi, un passato e una presunta identità in disfacimento, senza nuove idee per affrontare la realtà e tantomeno il futuro” prosegue il Presiedente del Naga. “O si troverà una soluzione politica per affrontare quella che non è un’emergenza, ma un fenomeno del presente, o le morti in mare continueranno, come le lacrime di coccodrillo” conclude Cinzia Colombo. Info Naga: 349.1603305 - 02.58102599 - naga@naga.it
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SPECIALE ImmIGRAZIONE
Carta Mondiale dei Migranti Senegal: a febbraio 2011 si è discusso e deciso la realizzazione di una giornata di azione globale per i diritti dei migranti, rifugiati ed sfollati il 18 dicembre, data in cui le Nazioni Unite hanno adottato la Convenzione per i diritti dei lavoratori Migranti e le loro famiglie. Questa giornata vuole anche contribuire a diffondere a livello mondiale la “Carta Mondiale per i diritti dei Migranti” la cui versione definitiva Come nasce l’idea della Giornata di Azione Globale In diverse occasioni, durante le riunioni nei vari Forum Mondiale e in altri eventi, il movimento dei migranti, rifugiati ed sfollati ha potuto costatare il bisogno di realizzare una azione comune a livello mondiale, perché mondiale è il nemico con il quale ci scontriamo quotidianamente. Inoltre questa azione potrebbe rappresentare un momento importante tramite il quale riconoscerci come movimento di lotta a livello mondiale. Per questa ragione durante il Forum Mondiale delle Migrazioni realizzato a Quito (Ecuador) a ottobre 2010 y durante il Forum Mondiale a Dakar è stata approvata a Gorée il 4 febbraio 2011
Carta Mondiale dei Migranti approvata a nostra spontanea volontà e che viviamo permanen- Lavoro e sicurezza devono essere garantiti a tutte le deve essere garantita a tutte le persone migranti, temente o temporaneamente in un'altra parte del persone migranti. Ogni lavoratore deve essere libero allo stesso titolo dei nazionali e dei cittadini dei paesi Gorée il 4 febbraio 2011
mondo, riunite il 3 e 4 febbraio 2011 sull’Isola di di aderire a un sindacato e/o di fondarne uno con Le persone migranti sono bersaglio di politiche Gorée in Senegal, altre persone. Le persone migranti devono ricevere ingiuste. A detrimento dei diritti universalmente un salario per un lavoro uguale, avere la possibilità di riconosciuti ad ogni persona umana, queste mettono Noi proclamiamo, trasferire il frutto del proprio lavoro, ricevere le pregli esseri umani gli uni contro gli altri attraverso stra- Poiché appartiene alla Terra, qualsiasi persona ha il stazioni sociali e godere della pensione, senza restritegie discriminatorie, basate sulla preferenza nazio- diritto di scegliere il luogo della sua residenza, di zione alcuna. Questo contribuendo al sistema di solinale, l’appartenenza etnica, religiosa o di genere. restare laddove vive o di andare ed istallarsi libera- darietà necessario alla società del Paese di residenza o di transito. Tali politiche sono imposte da sistemi conservatori mente e senza costrizioni in qualsiasi altra parte di ed egemonici che per cercare di mantenere i propri questa Terra. L’accesso ai servizi bancari e finanziari deve essere assiprivilegi sfruttano la forza di lavoro, fisica e intellet- Ogni persona, senza esclusione, ha il diritto di spo- curato a tutte le persone migranti nello stesso modo tuale dei migranti. A questo scopo, tali sistemi, uti- starsi liberamente dalla campagna verso la città, dei nazionali e cittadini del paese di accoglienza. lizzano le esorbitanti prerogative consentite dal dalla città verso la campagna, da un provincia verso potere arbitrario dello Stato-Nazione e dal sistema un’altra. Ogni persona ha il diritto di lasciare un qual- Tutti, uomini e donne, hanno diritto alla terra. La terra deve essere condivisa tra quanti ci vivono e la mondiale di dominazione, ereditato dalla colonizza- siasi Paese per andare in un altro e di ritornarci. lavorano. Restrizioni alla proprietà della terra impozione e dalla deportazione. Questo sistema è, nel medesimo tempo, caduco, obsoleto e causa di crimini contro l’umanità. Per questa ragione deve essere abolito. Le politiche di sicurezza attuate dagli Stati Nazione inducono a credere che le migrazioni siano un problema e una minaccia, mentre costituiscono un fatto storico naturale, complesso, certo, ma che, lungi dall’essere una calamità per i paesi di residenza, costituisce un contributo economico, sociale e culturale di valore inestimabile. Ovunque i migranti sono privati del pieno esercizio del loro diritto alla libertà di movimento e di istallazione sul nostro pianeta. Inoltre i migranti sono privati dei loro diritti alla pace, economici, sociali, culturali, civili e politici, nonostante tali diritti siano garantiti da diverse convenzioni internazionali. Solo un’ampia alleanza tra persone migranti potrà promuovere l’emergere di nuovi diritti per ogni persona, per nascita e senza distinzione di origine, sesso, credo, e colore della pelle.
di accoglienza e di transito, con un attenzione particolare alle persone vulnerabili. A tutte le persone migranti portatrici di handicap, devono essere garantiti i diritti alla salute, i diritti sociali e culturali. La legge deve garantire a qualsiasi persona migrante il diritto di scegliere il proprio partner, di fondare una famiglia e di vivere in famiglia. La riunificazione familiare non le può essere rifiutata e non si può separarla o mantenerla lontana dai propri figli. Le donne in particolare, devono essere protette contro ogni forma di violenza e di traffico. Hanno il diritto di controllare il proprio corpo e di rifiutarne lo sfruttamento. In materia di condizioni lavorative, di salute materna e infantile come nel caso di cambiamento del proprio statuto giuridico e matrimoniale, le donne migranti devono godere di una protezione particolarmente rafforzata. I migranti minorenni devono essere protetti dalle leggi nazionali in materia di protezione dell’infanzia, allo stesso titoli dei nazionali e dei cittadini dei paesi di residenza e di transito. Deve essere garantito il diritto all’educazione e all’istruzione.
Qualsivoglia disposizione e misura restrittiva della libertà di circolazione e istallazione deve essere abolita (leggi relative ai visti, lascia-passare e autorizzazioni, così come qualsiasi altra legge relativa alla libertà di circolazione). Le persone migranti del mondo intero devono godere degli stessi diritti dei nazionali e dei cittadini dei paesi di residenza o di transito e assumere le medesime responsabilità in tutti gli ambiti essenziali della vita economica, politica, culturale, sociale ed educativa. Devono avere il diritto di votare e di essere eleggibili in ogni organo legislativo a livello locale, regionale e nazionale, assumendo le loro responsabilità fino al termine del mandato.
L'alleanza dei migranti, basata su principi etici, dovrà permettere loro di contribuire all’elaborazione di nuove politiche economiche e sociali, così come la rifondazione del concetto di territorialità e del sistema di governance mondiale dominante, unitamente ai fondamenti economici ed ideologici che gli sono Le persone migranti devono avere il diritto di parlare sottesi. e condividere la loro lingua madre, di sviluppare e far conoscere le loro culture e i loro costumi tradizionali, Ecco perché noi, migranti di tutto il mondo, sulla ad eccezione di quanto arreca danno all’integrità fisibase dalle proposte ricevute a partire dal 2006 e ca e morale delle persone, nel rispetto dei diritti dopo ampio dibattito su scala planetaria, adottiamo umani. Le persone migranti devono avere il diritto di la presente Carta Mondiale dei Migranti. praticare la propria religione e il proprio culto. Sulla base delle situazioni vissute dai migranti nel Le persone migranti devono avere il diritto di esercimondo, la nostra ambizione è di far valere il diritto tare un attività commerciale dove desiderano, di per tutti di circolare e stabilire liberamente la propria dedicarsi all’industria o ad esercitare qualsiasi residenza sul nostro pianeta e contribuire a costruire mestiere o professione legittima, alla pari dei cittadiun mondo senza muri. ni del Paese di accoglienza e di transito, in modo da
Per questo, noi, persone migranti che abbiamo consentire loro di responsabilizzarsi nella produzione lasciato la nostra regione o paese, per costrizione o di della ricchezza necessaria allo sviluppo e alla realizzazione di tutti.
ste per motivi etnici e/o di nazionalità e/o di genere, devono essere abolite, a vantaggio della visione nuova di una relazione responsabile tra gli esseri umani e la terra, nel rispetto delle esigenze di uno sviluppo duraturo. Le persone migranti devono essere uguali davanti alla legge, allo stesso titolo dei nazionali e dei cittadini dei paesi di residenza o di transito. Nessuno deve essere sequestrato, imprigionato, deportato o vedersi limitare la propria libertà senza che prima sia stata ascoltata e difesa la sua causa, in modo equo e in una lingua di sua scelta. Le persone migranti hanno il diritto all’integrità fisica e a non essere molestati, espulsi, perseguitati, arrestati arbitrariamente o uccisi a causa del loro statuto o perché difendono i propri diritti.
L'accesso all’educazione e all’istruzione, a partire dalla scuola dell’infanzia fino all’insegnamento superiore, deve essere garantito alle persone migranti e ai loro figli. L'istruzione è gratuita e uguale per tutti i bambini. L'istruzione superiore e la formazione tecnica devono essere accessibili a tutti sulla base di una nuova visione del dialogo e dello scambio tra le culture. Nella vita culturale, sportiva ed educativa ogni distinzione fondata sull’origine nazionale deve essere abolita. Le persone migranti devono avere diritto alla casa. Ciascuno deve avere il diritto ad abitare nel luogo di sua scelta, di vivere in un habitat dignitoso ed avere accesso alla proprietà immobiliare così come di mantenere la propria famiglia in condizioni confortevoli e di sicurezza allo stesso titolo dei nazionali e dei cittadini dei paesi di accoglienza e di transito. Ad ogni persona migrante deve essere garantito il diritto ad un’alimentazione sana e sufficiente insieme all’accesso all’acqua potabile.
Ogni legge che prevede una discriminazione basata sull'origine nazionale, il genere, la situazione matrimoniale e/o giuridica o sulle convinzioni deve essere abolita, a prescindere dallo statuto della persona umana.
Le persone migranti aspirano ad ottenere opportunità e responsabilità allo stesso titolo dei nazionali e dei cittadini del paese di accoglienza e di transito, di affrontare insieme le sfide attuali (alloggio, alimentazione, salute, realizzazione personale, ...).
I diritti umani sono inalienabili e indivisibili e devono essere gli stessi per tutti. La legge deve garantire a tutte le persone migranti il diritto alla libertà di espressione, il diritto di organizzazione, il diritto alla libertà di riunione e il diritto di pubblicazione.
Noi, persone migranti, ci impegnamo a rispettare e promuovere i valori e i principi sopra espressi e, in questo modo, a contribuire alla scomparsa di qualsiasi sistema di sfruttamento sgregazionaista e all’avvento di un mondo plurale, responsabile e solidale.
L’accesso ai servizi di cura e all’assistenza sanitaria
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L’istruzione prima di tutto
Malala Yousafzai all’ONU
Cari fratelli e sorelle ricordate una non-violenza che ho appreso da cosa. La giornata di Malala non è la Gandhi, Bacha Khan e Madre Teresa. mia giornata. Oggi è la giornata di E questo è il perdono che ho imparaogni donna, di ogni bambino, di ogni to da mio padre e da mia madre. bambina che ha alzato la voce per Questo è quello che la mia anima mi reclamare i suoi diritti. Ci sono centinaia di attivisti e di assistenti sociali che non soltanto chiedono il rispetto dei diritti umani, ma lottano anche per assicurare istruzione a tutti in tutto il mondo, per raggiungere i loro obiettivi di istruzione, pace e uguaglianza. Migliaia di persone sono state uccise dai terroristi e migliaia di altre sono state ferite da loro. Io sono soltanto una di loro. Io sono qui, una ragazza tra tante, e non parlo per me, ma per tutti i bambini e le bambine. Voglio far sentire la mia voce non perché posso gridare, ma perché coloro che non l’hanno siano ascoltati. Coloro che lottano per i loro diritti: il diritto di vivere in pace, il diritto di essere trattati con dignità, il diritto di avere pari opportunità e il diritto di ricevere un’istruzione. Cari amici, nella notte del 9 ottobre 2012 i Taliban mi hanno sparato sul lato sinistro della fronte. Hanno sparato anche ai miei amici. Pensavano che le loro pallottole ci avrebbero messo a tacere. Ma hanno fallito. E da quel silenzio si sono levate migliaia di voci. I terroristi pensavano che sparando avrebbero cambiato i nostri obiettivi e fermato le nostre ambizioni, ma niente nella mia vita è cambiato tranne questo: la debolezza, la paura e la disperazione sono morte. La forza, il potere e il coraggio sono nati. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono le stesse. Così pure le mie speranze sono le stesse. Cari fratelli e sorelle io non sono contro nessuno. Nemmeno contro i terroristi. Non sono qui a parlare in termini di vendetta personale contro i Taliban o qualsiasi altro gruppo terrorista. Sono qui a parlare a favore del diritto all’istruzione di ogni bambino. Io voglio che tutti i figli e le figlie degli estremisti, soprattutto Taliban, ricevano un’istruzione. Non odio neppure il Taliban che mi ha sparato. Anche se avessi una pistola in mano ed egli mi stesse davanti e stesse per spararmi, io non sparerei. Questa è la compassione che ho appreso da Mohamed, il profeta misericordioso, da Gesù Cristo e dal Buddha. Questa è il lascito che ho ricevuto da Martin Luther King, Nelson Mandela e Muhammed Ali Jinnah. Questa è la filosofia della
dice: siate in pace e amatevi l’un l’altro. Cari fratelli e sorelle, tutti ci rendiamo conto dell’importanza della luce quando ci troviamo al buio, e tutti ci rendiamo conto dell’importanza della voce quando c’è il silenzio. E nello stesso modo quando eravamo nello Swat, in Pakistan, noi ci siamo resi conto dell’importanza dei libri e delle penne quando abbiamo visto le armi. I saggi dicevano che la penna uccide più della spada, ed è vero. Gli estremisti avevano e hanno paura dell’istruzione, dei libri e delle penne. Hanno paura del potere dell’istruzione. Hanno paura delle donne. Il potere della voce delle donne li spaventa. Ed è per questo che hanno appena ucciso a Quetta 14 innocenti studenti di medicina. È per questo che fanno saltare scuole in aria tutti i giorni. È per questo che uccidono i volontari antipolio nel Khyber Pukhtoonkhwa e nelle Fata. Perché hanno avuto e hanno paura del cambiamento, dell’uguaglianza che essa porterebbero nella nostra società. Un giorno ricordo che un bambino della nostra scuola chiese a un giornalista perché i Taliban sono contrari all’istruzione. Il giornalista rispose con grande semplicità. Indicando un libro disse: “I Taliban hanno paura dei libri perché non sanno che cosa c’è scritto dentro”. Pensano che Dio sia un piccolo essere conservatore che manderebbe le bambine all’inferno soltanto perché vogliono andare a scuola. I terroristi usano a sproposito il nome dell’Islam e la società pashtun per il loro tornaconto
personale. Il Pakistan è un paese democratico che ama la pace e che vorrebbe trasmettere istruzione ai suoi figli. L’Islam dice che non soltanto è diritto di ogni bambino essere educato, ma anche che quello è il suo dovere e la sua responsabilità.
donne, così che possano stare bene e prosperare. Non potremo avere successo come razza umana, se la metà di noi resta indietro. Facciamo appello a tutte le sorelle nel mondo affinché siano coraggiose, per abbracciare la forza che è in loro e cercare di realizzarsi al massimo delle loro possibilità.
Onorevole Signor Segretario generale, per l’istruzione è necessaria la pace, ma in molti paesi del mondo c’è la guerra. E noi siamo veramente stufi di queste guerre. In molti paesi del mondo donne e bambini soffrono in altri modi. In India i bambini poveri sono vittime del lavoro infantile. Molte scuole sono state distrutte in Nigeria. In Afghanistan la popolazione è oppressa dalle conseguenze dell’estremismo da decenni. Le giovani donne sono costrette a lavorare e a sposarsi in tenera età. Povertà, ignoranza, ingiustizia, razzismo e privazione dei diritti umani di base sono i problemi principali con i quali devono fare i conti sia gli uomini sia le donne.
Cari fratelli e sorelle vogliamo scuole, vogliamo istruzione per tutti i bambini per garantire loro un luminoso futuro. Ci faremo sentire, parleremo per i nostri diritti e così cambieremo le cose. Dobbiamo credere nella potenza e nella forza delle nostre parole. Le nostre parole possono cambiare il mondo. Perché siamo tutti uniti, riuniti per la causa dell’istruzione e se vogliamo raggiungere questo obiettivo dovreste aiutarci a conquistare potere tramite le armi della conoscenza e lasciarci schierare le une accanto alle altre con unità e senso di coesione.
Cari fratelli e sorelle non dobbiamo dimenticare che milioni di persone soffrono per ignoranza, povertà e ingiustizia. Non dobbiamo dimenticare che milioni di persone non hanno Cari fratelli e sorelle, è giunta l’ora di scuole. Lasciateci ingaggiare dunque farsi sentire, di lottare per cambiare una lotta globale contro l’analfabetiquesto mondo e quindi oggi facciamo smo, la povertà e il terrorismo e lasciateci prendere in mano libri e penne. Queste sono le nostre armi più potenti. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo. L’istruzione è la sola soluzione ai mali del mondo. L’istruzione potrà salvare il mondo. Malala Yousafzai, 16 anni
Migranti 2013
appello ai leader di tutto il mondo affinché proteggano i diritti delle donne e dei bambini. Facciamo appello alle nazioni sviluppate affinché garantiscano sostegno ed espandano le pari opportunità di istruzione alle bambine nei paesi in via di sviluppo. Facciamo appello a tutte comunità di essere tolleranti, di respingere i pregiudizi basati sulla casta, sulla fede, sulla setta, sulla fede o sul genere. Per garantire libertà e eguaglianza alle
Fuggono!! La vita è impossibile guerra, fame, odio, potere. la porta è il mare infinita distesa d'acqua la strada per la libertà. Ore giorni mesi, al buio in silenzio vessati stuprati, merce di scambio 3.000 euro x 500 = 150.000 euro. Poi ... resi come schiavi, stipati, schiacciati, ammassati, abbracciati corpi in balia della speranza, delle onde. Chi li attende prega.
Roberto Pelozzi