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AUTOGESTITO E AUTOFINANZIATO - N. 165 APRILE 2014 - OFFERTA LIBERA -
RG - SPED. ABB. POSTALE ART. 2 COmmA 20/CL 662/96 - FIRENZE - GIO
UNA NUOVA RADIO PER UNA NUOVA RESISTENZA Cosa significa oggi Resistenza? In senso letterale, significa far fronte contro qualcosa che tende a modificare l’impianto di diritti che decenni di lotte popolari hanno conquistato al nostro Paese. La Resistenza, in questo modo, si configura come un’attività tesa a salvaguardare la natura e l’assetto della nostra vita democratica. Le regole del vivere associato, le istituzioni, ovviamente, ma prima ancora il loro ruolo definito in conformità con quella sovranità popolare sancita dall’articolo 1, comma secondo. Resistenza dunque, oggi, significa essenzialmente difesa della Costituzione. Strenua, radicale, senza compromessi. Difesa della Costituzione in quanto espressione dell’altra Resistenza, quella storica, che, lottando contro il fascismo ed il nazismo, seppe ridare dignità e speranza al nostro Paese. Tuttavia la Costituzione, che della
Resistenza e della guerra di libera- ché, a settant’anni dalla lotta partizione rappresenta l’esito più alto, giana, oggi più che mai è necessario oggi più che mai è ‘senza voce’ e far rinasce un mezzo di comunicazione (una radio, dunque in pericolo: non per la si insegna
nelle scuole, il dibattito pubblico ne prescinde, le istituzioni se ne allontanano e la stessa politica ne fa scempio quotidiano. Soprattutto, i cittadini non ne conoscono la valenza progressista e di salvaguardia dei loro diritti. Addirittura c’è chi fa credere loro che conservarla sia un ostacolo al loro benessere. Ecco per-
s u a valenza anche simbolica di voce che parla nel deserto e chiama a raccolta) che possa colmare questo vuoto, facendo della Costituzione non solo il proprio riferimento ideale ma addirittura la propria linea editoriale. La Carta a cui riferirsi in ogni sua attività. Radio Cora - che prende idealmente
il testimone dell’emittente clandestina che fu ‘voce’ dei partigiani fiorentini nella fase più calda della guerra di Liberazione- rinasce dunque perché si avverte l’esigenza di una nuova ‘liberazione’, poggiata sui valori della nostra Costituzione. Una radio libera, indipendente, che trasmette dal Web e si autofinanzia per non essere ‘schiava’ di nessuno. Una radio che informi, intrattenga, racconti, a partire dai territori, in chiave popolare e radicale. Radio Cora ha bisogno di voi! 10 euro all’anno per non spegnere un sogno: quello di riallacciare, intorno alla nostra costituzione, i fili della nostra rinascita democratica. Per contributi ed informazioni info@radiocora.it Vi aspettiamo
Numero moNotematico: Speciale
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SPECIALE RESISTENZA
RADIO
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CORA
Radio CoRa (acronimo di Commissione Radio) fu genti del Comitato Toscano di Liberazione un’emittente clandestina, approntata e gestita da Nazionale. membri del Partito d’Azione a Firenze, fra il gen- L’avvocato Enrico Bocci fu fucilato dopo giorni di naio e giugno 1944. Altre Radio CORA (Milano e tortura, sempre nelle vicinanze. Il suo corpo non è Bari) realizzarono trasmissioni d’informazioni mai stato ritrovato. Tutti gli altri, prima di essere militari per tenere contatti con gli Alleati. A Firenze inviati nei lager, furono torturati a Villa Triste. furono una ventina i principali collaboratori del Gilda La Rocca e Maria Luigia Guaita riuscirono gruppo. Dopo la prima trasmissione di prova, in via però a scappare prima dell’arrivo in Germania. de’ Pucci, Radio CORA continuò a trasmettere inin- Enrico Bocci, Anna Maria Enriques Agnoletti, Italo terrottamente per cinque mesi venendo continua- Piccagli e Luigi Morandi sono stati insigniti della mente spostata per evitare la sua localizzazione. Il Medaglia d’Oro. 7 giugno 1944 i nazisti individuaIL 7 GIUGNO 1944 rono la ricetraCONVENUTI NELLA CASA DI FRONTE smittente in piazza d’Azeglio. Il giovaA CONCORDARVI L’ULTIMA BATTAGLIA ne radiotelegrafiDELLA NOSTRA LIBERAZIONE sta Luigi Morandi ENRICO BOCCI AVVOCATO sorpreso alla radio ITALO PICCAGLI CAPITANO DELL’A.A.R.S. ebbe la prontezza LUIGI MORANDI STUDENTE di sottrarre una pistola ad un solSOLO ARMATI DI COSTANZA FEDE SAPERE dato tedesco e di SORPRESI CON I COMPAGNI DAI NAZIFASCISTI ferirlo a morte, poi DOPO RESISTENZA TORTURE INUMANE CORAGGIO a sua volta venne DETTERO LA VITA colpito e morì due PER GLI IDEALI FINO ALL’ULTIMO VIVI giorni più tardi in ospedale. In quelDI GIUSTIZIA E DI LIBERTÀ l’occasione vennero arrestati Enrico MEDAGLIE D’ORO AL VALOR MILITARE Bocci, Carlo PER UNA CIVILE PACE TRA I POPOLI Campolmi, Maria Luigia Guaita, Giuseppe Cusmano e Franco Girardini. Nelle ore La nuova RADIO CORA sarà prima di tutto una successive furono arrestati anche Gilda La Rocca e grande operazione culturale, indirizzata - attraveril capitano dell’Aeronautica Italo Piccagli che si so una corretta e puntuale informazione - a consegnò ai fascisti sperando di scagionare gli altri. (ri)creare un immaginario condiviso e popolare Il capitano Piccagli, quattro paracadutisti ed un che abbia al centro i valori della Resistenza e della ignoto partigiano cecoslovacco furono fucilati nei Costituzione. Radio Cora si ispirerà in ogni sua attiboschi di Cercina il 12 giugno 1944. Insieme a loro vità ai valori espressi nella nostra Carta fu uccisa anche Anna Maria Enriques Agnoletti per Costituzionale, la cui applicazione concreta, raprappresaglia contro il fratello Enzo, uno dei diri- presenta ancora oggi il presupposto per una rina-
scita (anche economica, oltre che morale, etica, civile, sociale e culturale) del nostro Paese. Per dare fondamenta al progetto contiamo di potere ottenere dei finanziamenti nel quadro delle iniziative sostenute dalla Regione Toscana per il 70esimo anniversario della Liberazione ma purtroppo gli attuali equilibri politici e gli iter burocratici della macchina amministrativa non ci fanno avere certezza alcuna. Radio Cora scalpita però per nascere e per vedere la luce il 25 aprile 2014; per avere voce da quel giorno e dare voce e contenuti ad un panorama informativo e musicale (a partire da quello locale), da troppo tempo e in maniera sempre più sistematica, impoverito. Ti chiediamo dunque uno scatto di partecipazione che ci permetta, attraverso la sottoscrizione individuale ed annuale di 10 euro, di dare gambe alla fase di start up! Occorre inoltre identificare un ‘gruppo’ di persone di particolare visibilità pubblica disposte a mettere in gioco la propria personalità e la propria immagine per promuovere, supportare, ed anche, eventualmente, sponsorizzare la nuova Radio Cora. Per tutto questo siamo a chiedere il tuo interesse a prendere parte al nostro progetto. Segnalazioni, domande e suggerimenti a info@radiocora.it
Morto Ivan Tognarini, presidente dell’Istituto storico della Resistenza Toscana È morto Ivan Tognarini, presidente dell’Istituto storico della Resistenza in Toscana. Docente di storia moderna all’Università di Siena fin dalla metà degli anni Settanta, avrebbe compiuto 70 anni il prossimo 2 giugno. “Dedicheremo e celebreremo anche nel suo ricordo le iniziative per il Settantesimo della Liberazione in Toscana”, sottolineano il presidente della Toscana Enrico Rossi e l’assessore alla cultura Sara Nocentini. “Mai giorno più simbolico avrebbe potuto segnare la sua esistenza e il suo contributo alla storia della nostra regione”, annota Nocentini.
“Ho conosciuto Ivan Tognarini otto anni fa a Calenzano - ricorda l’assessore alla cultura della Toscana - in uno degli innumerevoli eventi a cui Tognarini partecipava per celebrare la memoria dell’ antifascismo e della Resistenza”. “Gli scrissi che avrei avuto piacere di collaborare con lui - racconta ancora Nocentini -, mi chiamò e mi propose di lavorare ad una ricerca su Calenzano nel ventesimo secolo. Ne scaturirono mesi di lavoro negli archivi e a contatto con testimoni locali, che confluirono in due volumi”. “Scoprii - prosegue - un uomo appassionato e verace e iniziai ad apprezzare i suoi studi sulle stragi nazifasciste, sugli infiniti fatti e i protagonisti locali dell’antifascismo e della Resistenza in Toscana, sul movimento operaio e i grandi centri industriali”. Anche l’assessore alle attività produttive Gianfranco Simoncini, nella passata legislatura assessore all’istruzione,
ricorda il professore scomparso. “Lo conoscevo personalmente e lo ricordo per l’impegno profuso nel corso degli anni con la scuola toscana e i territori”, dice. La sua scomparsa – ha concluso – ci priva di un protagonista della vita democratica di Firenze e della Toscana e di un ricercatore instancabile, il cui lavoro è nostro impegno proseguire”. Cordoglio anche dell’Anpi di Firenze. “La scomparsa di Ivan rappresenta una grande perdita – dichiara il presidente dell’Anpi di Firenze, Silvano Sarti- Una persona che ha speso tutta la sua esistenza e la sua vita professionale al fine di conquistare tutti ai valori inscritti in quella C a r t a Costituzionale che oggi si vuole stravolgere: la sua opera e le sue ricerche ci dimostrano come que-
gli ideali abbiano rappresentato ed ancora rappresentino la più grande garanzia per lo sviluppo democratico, sociale ed economico del nostro paese”. “Di lui – conclude Sarti- ricordo con particolare commozione l’impegno instancabile nel riconoscere all’ANPI il ruolo insostituibile di baluardo della difesa dei valori della Costituzione, grazie all’unità di tutte le forze democratiche ed antifasciste che la nostra associazione eminentemente rappresenta”. Fonte: Regione Toscana
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SPECIALE RESISTENZE
Storie di resistenza metropolitana La nascita del movimento di allora un naturale crocevia di biso- quarteri contro gli sfratti, le prime Questore ordinò il "ritiro delle trupgnosi e di sfrattati. Le prime assem- cariche della Polizia, i primi scontri pe"... lotta per la casa
Hasta siempre Parlare di resistenza oggi, porta soprattutto a pensare alle difficoltà del vivere quotidiano, se poi queste si scontrano con leggi e regole degli ultimi tempi, ci troviamo di fronte ad una vera e propria lotta continua per fare valere le nostre condizioni. Resistenza oggi è ostinazione a riprendersi i propri diritti, la libertà, ogni giorno trasformati, nostro malgrado, in una convivenza il cui contesto è sviato dal comando e dall'ostentazione personale, egoismo, indifferenza, razzismo, odio, violenza, tragedie, sono il risultato di un allarme sociale inesistente (sicurezza) che lavora per dividere. Resistenza oggi è l'eroismo di chi ancora riesce a credere nei valori che ci legano e lotta per riappropriarsene contro ingiustizie e soprusi denunciandoli apertamente. Resistenza oggi è riprendersi l'esistenza che ci rubano attraverso una errata informazione e una studiata repressione. Resistenza oggi è remare controcorrente, noi di Fuori Binario teniamo saldi i remi, cerchiamo una corrente buona dove fluire. Auguri Fuori Binario,
Roberto
Grafica: Anna Pes
Sono passati quasi 25 anni dalla nascita del movimento, anni di conflitto costante, di interscambio tra generazioni, di "meticciato", di incroci tra tante diversità. Anni di RESISTENZE, di sofferenze e di rabbia, di gioia, di vittorie e di sconfitte. Di sicuro l'esistenza stessa del movimento rappresenta una spina nel fianco alle istituzioni, un riferimento certo per sfrattati, inquilini, giovani anziani, senza-casa, richiedenti asilo ... solo la sicurezza dell'esistenza del movimento stesso significa un consolidato punto di riferimento per coloro che vivono in prima persona l'emergenza abitativa. Tutto è nato intorno alla vecchia sede del Movimento di Lotta per la Casa e dell'allora Circolo Sportivo spartaco. Alcune famiglie del quartiere Santa Croce erano sotto esecuzione di sfratto. La domanda di solidarietà scontata sin dall'inizio ... ma lo sfratto era già avvenuto ... sopra l'allora Circolo Sportivo erano ubicati alcuni alloggi sfitti, di proprietà del Comune di Firenze, la percezione veloce dell'accompagnamento da "casa a casa" e nacque, quasi spontaneamente, la prima occupazione a scopo abitativo dagli anni '70 (ma quella era un altra storia...). Lo "spazzino" (sede del Circolo Sportivo) ma anche la sede dell'Unione Inquilini diventarono
blee, una sensazione forte di essere parte di un percorso nuovo, la contemporanea nascita di altri e nuovi soggetti sociali, il movimento della Pantera, i Centri Sociali Autogestiti, i primi sindacati di base, un orizzonte nuovo, diverso, che chiudeva gli odiosi anni 80 ... Da lì a poco l'occupazione di Via Del Giglio nel pieno centro di Firenze, un impensabile accozzaglia di giovani coppie, singoli, famiglie ... e ancora Via Delle Casine e sempre in quel periodo le case popolari di Via Manni, una storia che merita un breve racconto: Infatti "quelli" di Via Manni erano giovani coppie che convivevano in Case Popolari con i genitori, fratelli e sorelle... Tre di queste coppie si sposarono in Palazzo Vecchio e alla fine del matrimonio organizzammo l'occupazione, un REGALO del movimento, e che bel regalo... Una stagione vissuta quotidianamente sul campo, i primi PICCHETTI nei
con i fascisti e infine, la vendetta delle Istituzioni ... passando tra i famosi incidenti per la cessione di Baggio alla Rubentus ... Il 12 di luglio la Polizia e i Carabinieri presenti in gran numero per i mondiali SGOMBERARONO ALL'ALBA GLI STABILI di Via Del Giglio e i tre alloggi di Via Delle Casine, uno sgombero VIOLENTO, trovarsi i poliziotti nelle camere da letto all'alba non è scena simpatica ... ma dopo il primo momento di generale sbigottimento in breve la rioccupazione nel tardo pomeriggio di Via Aldini. Una struttura dismessa, un vecchio Ospedale Psichiatrico Infantile, gli occupanti trovarono i lettini contenzione per i bambini, pagine di una memoria del nostra paese che non bisogna cancellare... Mentre il giorno dopo un altro, intero esercito di polziotti e carabinieri si presentarono alle occupazioni delle case popolari di Via Manni ... ma occupanti e movimento si erano organizzati e dopo tre ore di tensione e trattative il
Nel 1993 L'ALLORA ASSESSORE ALLA CASA REQUISI' gli alloggi di Via Manni e consegnò le chiavi alle famiglie occupanti. Mentre oggi, marzo 2014, lo stabile di Via Aldini, tuttora occupato, è parte di un progetto sperimentale di autorecupero.... Sono passati quasi 25 anni e circa 120 occupazioni di case sono state effetuate e sgomberate a Firenze. Migliaia di uomini e donne hanno incrociato destini nella storia del movimento, talvolta le storie sono finite bene altre volte, purtroppo male ... Intere generazioni si sono messe a confonto, portarici di rabbia e disperazione sociale, hanno unito le loro culture per un semplice e difficilissimo diritto. Sopratutto oggi, quando solo qualcuno di quel periodo è rimasto, nuovi nemici (ma la sostanza non cambia...) nuovi soggetti sociali, tanti sfratti per morosità, specchio di una crisi infinita... La rabbia di allora è rimasta intatta, se non è addirittura cresciuta, così come è rimasta intatta la consapevolezza e la ricerca di un società che distrugga i valori di merce e profitti e ricostruisca, da subito, vincoli di eguaglianza tra eguali.... Per questo il movimento deve andare oltre la RESISTENZA, costruire un futuro diverso in una società diversa...
Lorenzo Bargellini
Sono 30anni che vedo le menti migliori della mia generazione. E di quella dopo e di quella dopo ancora, alzarsi presto la mattina, a volte anche la notte, correre verso uno due tre mille sfratti. Correre ed Esserci. Impedire. Correre sapendo che molte volte se arrivano i BLU non vanno di parole ma di mazzate, e che oltre gli anfibi gli scudi sulla schiena alla cilena, volano le persecuzioni in tribunale. Impedire la paura nera di chi fra un'ora sarà per strada senza più oggi, non è reato. Vedo le facce delle donne, dei bimbi dei loro padri, e accanto le menti migliori ed anche le peggiori della mia generazione e quella dopo e quella dopo ancora, sono lì ad impedire gli ordini dall'alto dai creatori di disperazione, di diritti stracciati, di tu-noncontiuncazzo interrompere, frapporsi all'incubo che domina le notti insonni e le mattine senza speranza nella interminabile fila che si sta ingrossando. Setacciati fuori dal più importante diritto primario. Una casa una vita. Difendere gli indifendibili, gli orfani dei loro diritti non è reato. È un crimine non farlo. Adiacente Resistente
SPECIALE RESISTENZE
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SATURNO L’intervista a Giuliano Martelli, recentemente scomparso, per ricordare un grande uomo e un grande partigiano. Martelli Giuliano, nato a Firenze il 1 giugno 1926, partigiano della Brigata Sinigaglia nome di battaglia Saturno Se proprio devo indicare un momento in cui nacque la mia avversione nei confronti del fascismo, questo fu un episodio apparentemente abbastanza secondario ma che racconta il clima in cui si era costretti a vivere in quegli anni. Un clima di violenza e di sopraffazione che non risparmiava nessuno e che il fascismo utilizzava al fine di reprimere anche la minima forma di dissenso. Vedete, la mia era una famiglia modesta, che andava avanti onestamente, senza agi e sempre stando attenti al denaro, perché non c’era da scialare. Così, quando mio fratello andò militare, nel 1937, siccome mio padre che faceva il muratore si trovava già in pensione in quanto era diventato oramai quasi cieco, a me, che avevo all’epoca solo undici anni, toccò di andare a lavorare per contribuire al bilancio domestico. Tutti i soldi che guadagnavo li davo alla mia famiglia. Poi, per avere qualcosa in più, lavoravo anche il sabato e qualche volta addirittura la domenica. Lavorando, non andavo alle adunate degli avanguardisti, e così una sera, avevo 14 anni allora, mi hanno aspettato in cinque, davanti a casa in via dell’Arcolaio, e me le hanno suonate di santa ragione. Mi ricordo che questo fatto mi aveva lasciato dentro una grande di rabbia, non tanto e non solo per le botte prese, quanto per quel sentimento di angoscia che proveniva dalla convinzione di aver subito una profonda ingiustizia e di essere stato vittima di un attacco vigliacco oltre che gratuito. E poi quella bruttissima sensazione di impotenza che nasceva dalla impossibilità di ribellarsi a tutto ciò che rendeva possibile una violenza del genere. Anche questo ha contribuito alla scelta che poi feci di andare in montagna, cosa che accadde in effetti solo qualche anno dopo. Quando? Nel 1943, per evitare di essere spedito al fronte, mi presentai alla TODT, offrendomi di lavorare direttamente presso il genio militare tedesco. Naturalmente l’intenzione era quella di rimanere in città, anche per non allontanarmi dalla famiglia. Invece, dopo qualche settimana ci caricarono tutti su un camion senza darci una spiegazione precisa. Ci bastò poco per capire che ci avrebbero portato via, verso la Germania ed i campi di concentramento. Allora, durante il viaggio, senza farci sentire, io e mio cognato, che si trovava con me, ci accordammo con due altri ragazzi di Grassina ed insieme a loro decidemmo di tentare la fuga. L’occasione si presentò dopo qualche chilometro di strada quando, per un motivo che non conosco la colonna si fermò. Fu un attimo: ci guardammo negli occhi, un balzo, e ce la demmo a gambe levate. Tornammo a Firenze a piedi. E qui viene il bello. Perché, qualche giorno dopo, al cinema Fiorella, incrociai un ragazzo col quale avevo fatto le scuole elementari. Era un mio amico allora, solo che col tempo era diventato un sostenitore del regime, ed infatti girava agghindato come un vero riservista delle camice nere: uccellone d’ordinanza, pistola, pugnale. Fatto sta che mi chiese cosa ci facessi lì, io gli dissi che ero stato preso alla Todt, ma che per l’appunto mi trovavo in permesso straordinario. Naturalmente lui
non ci cascò, mi intimò di andare subito in caserma e mi accusò di essermi imboscato. Al mio diniego, mi tirò uno schiaffo. Non ci vidi più: gli saltai addosso e ci tirammo un paio di cazzotti. Poi ci divisero. Il ricordo di quello che mi era capitato qualche tempo prima aveva fatto la sua parte: solo che questa volta avevo avuto la forza di ribellarmi. Naturalmente però lui non l’aveva presa bene e alla fine mi puntò il dito contro esclamndo: “domani ti mando i tedeschi a casa”. C’era da credergli! A quel punto non avevo più scampo, bisognava che mi dessi alla macchia. Decisi di andare in montagna con mio cognato. Suo genero, che faceva il fruttivendolo, ci caricò su un carrettino, ci coprì con delle casse di verdura per evitare che ci scoprissero, e ci portò a Poggio La Croce. Lì c’era la staffetta che ci condusse a destinazione. Qual fu la prima impressione che ebbe della Brigata? Beh, posso dire che fu un impatto molto forte, perché io mi immaginavo di trovare venti-trenta persone, non di più. Ed invece c’era un mare di gente. Ci dissero che quella era chiamata la brigata Sinigaglia . Mi ricorso che c’era sin da subito un clima di grande amicizia, anche perché la maggior parte erano giovani della nostra età o poco più grandi di noi. Poi di lì a poco furono formate le compagnie e ci divisero in gruppi. A noi toccò di rimanere in difesa della postazione. In poco tempo diventammo in pratica come dei fratelli. Gli uni accanto agli altri, nelle difficoltà più nere, scambiandoci qual poco che c’era. Esattamente quali erano i vostri compiti? Principalmente si trattava di organizzare e di realizzare delle azioni di sabotaggio. Dall’accampamento in cui ci trovavamo, la notte partivano le pattuglie che avevano il compito di minare i tralicci, le linee ferroviarie o altri obiettivi strategici. La mia consegna in particolare era però quella di rimanere a difesa della postazione, per cui raramente prendevo parte alle azioni. Poi c’era da organizzare il vettovagliamento, trovare gli alimenti e tutto quanto serviva per sopravvivere in montagna. Per fare questo avevamo messo in piedi una rete di contatti le fattorie della zona che via via ci rifornivano di viveri o altro, compatibilmente con le loro disponibilità che, naturalmente, erano esse stesse abbastanza scarse. Oltretutto, non di rado, capitava che fossero a loro volta oggetto di razzie da parte dei tedeschi e dunque capitava ce rimanessimo con le mani in mano. Funzionava così e tu non ci potevi fare niente, anche perché era impossibile da prevedere. Poi i collegamenti erano quelli che erano e, per evitare i rastrellamenti, dovevamo usare la massima accortezza negli spostamenti, per cui era tutto dannatamente complicato. Mi ricordo in particolare un volta che eravamo veramente affamati (da giorni si mangiava pochissimo) e a da una delle fattorie con cui eravamo in contatto ci vennero ad avvertire che avevano della farina da darci. Naturalmente non appena ne avemmo l’opportunità ci precipitammo, solocce, quando arrivammo sul posto ci dissero che la notte prima c’erano stati i tedeschi ed avevano portato via tutto.
Immaginatevi la delusione! Comunque alla fine ci dettero un fiasco di vino, una forma di formaggio ed una pagnotta. Per farvi capire come funzionava in montagna, vi racconto questo: noi della pattuglia avevamo una fame da lupi e quello che avevamo di fronte era davvero poca roba; per cui, considerato tutto, ce la saremmo mangiata volentieri da soli. Lo proponemmo a Gianni, il capogruppo, e lui ci rispose con queste poche , lapidarie parole: “questo si porta al campo, senza discussioni e chi lo tocca farà i conti con me”. Così portammo il vino, il formaggio e la pagnotta su al campo e lo dividemmo con tutti quelli della compagnia comando. Ne venne fuori un pezzettino per ciascuno. Tanto piccolocce alla fine nessuno ebbe modo di sfamarsi sul serio. Però tutti avevano avuto la loro parte nessuno escluso. Questa era la lezione di Gianni: la solidarietà e la condivisione venivano prima di tutto. (...) Cosa significava per lei sparare, rischiare di essere colpito, uccidere? Per prima cosa voglio dire che io non ho preso parte a moltissimi scontri. Quando è capitato ho fatto lamia parte, certo. Però riassicuro che non sparavo
tanto per uccidere quanto per difendermi e difendere i miei compagni. Mi ricordo che quando siamo scesi giù a Firenze, l’incubo vero era quello dei primi franchi tiratori. Fascisti irriducibili, per lo più giovanissimi, indottrinati ed esaltati dai gerarchi, che non avevano intenzione di darsi per vinti, e nonostante sapessero di aver oramai perso il controllo della città, continuarono per giorni a sparare su di noi e, quel che è più grave, anche sulla popolazione civile, colpevole, ai loro occhi,di alto tradimento per non aver combattuto al loro fianco. I primi li abbiamo trovati in piazza Gavinana. Fu lì che uno di loro cominciò a prenderci di mira, un colpo dopo l’altro. Noi procedevamo tutti in fila, allora il comandante Gracco mi disse di attraversare la strada e di fare fuoco. Non sapevo a chi, ma sparavo in su, per fare passare gli altri. Alla fine alcuni di noi riuscirono ad entrare nella casa dove erano appostati i cecchini e ne ammazzarono uno che stava scendendo dal lucernario. Sparare voleva dire sopravvivere, ma io non l’ho fatto mai per piacere, o per pura violenza. Io non amavo la guerra, solo che in quel momento per noi giovani in età di leva c’erano tre possibilità: arruolarti nell’esercito della Repubblica Sociale, essere deportati nei campi di concentramento, oppure andare in montagna. Io andai in montagna. Perché? Perché non avevo mai condiviso i valori del fascismo. Da ragazzi certo non avevamo la possibilità di formarci una cultura politica alternativa a quella che il
regime ci forniva attraverso un’educazione basata su motti del tipo “libri e moschetto fascista perfetto”. Quello che ci facevano studiare, le attività cui venivamo chiamati a partecipare, avevano il compito di formare non dei cittadini ma quei soldati che sarebbero andati a combattere le guerre da cui l’Italia avrebbe ricavato quell’impero che, ci dicevano, le spettava per motivi innanzitutto storici. Io venivo da una famiglia di antifascisti e la sera, spesso, ci ritrovavamo con le altre famiglie al fresco, e allora si parlava un po’di politica. Ovviamente senza scoprirsi troppo perché c’era sempre il rischio delle soffiate e dunque di essere perseguitati per attività antifascista. Questo era il clima in cui si viveva… Però, quei pochi discorsi, quelle mezze frasi, quelle allusioni: da ragazzo ti entra nelle orecchie, ti fanno riflettere, anche se non arrivavi a capire fino in fondo. Mi ricordo che quando finì la guerra d’Abissinia a scuola non ci parlavano d’altro che di questo benedetto Impero che l’Italia aveva conquistato, di quanto era importante, del prestigio e della ricchezza che ci avrebbe portato, anche agli occhi del mondo. Allora io tornai a casa estasiato da tutto quello che avevo sentito e dissi a mio padre: “Babbo, e ci s’ha anche l’Impero ora!”. E mi ricordo che mio padre, calmo, mi rispose: “Stai attento! E’ sempre un popolo andato a soggiogare un altro popolo”. Queste furono le sue parole: secche, precise. Non lasciavano scampo. Queste cose, anche se sei un ragazzino, ti fanno riflettere. Poi, a 14 anni, mi capitò l’episodio che vi raccontavo all’inizio, quando quel gruppo di avanguardisti mi solo perché non avevo il tempo per frequentare le adunate fasciste. Da quel momento non ebbi dubbi sulla direzione da prendere. Per me insomma, la scelta tra Salò, i nazi-fascisti, e la montagna dei partigiani, fu molto facile. Scontata direi. Cos’ha significato per lei la Resistenza? Un sacco di cose. La Resistenza ci ha dato tanto. Ci ha formato come uomini, politicamente e socialmente. Ha creato un sentimento di fratellanza che poi ha fatto parte delle nostre vite successive. Non potete immaginare quello che c’era tra noi. Condividevamo tutto. Uno dei momenti più belli era quando le staffette ci recapitavano i pacchi con quei pochi beni di conforto o viveri che i nostri genitori riuscivano a spedirci dalla città. Si metteva in comune ogni cosa. Le sigarette, innanzitutto, che erano una specie di lusso perché non era difficilissimo procurarsele. Allora, quando capitava, ci si metteva i cerchio in gruppi di 4 o 5, si prendeva la sigaretta e si faceva “un peo”, un tiro, per ciascuno. Quel gesto voleva dire tante cose insieme. solidarietà, fratellanza, amicizia. Queste esperienze mi hanno formato, mi hanno fatto uomo. Tenete conto che avevo appena compiuto diciassette anni: ero poco più che un giovinetto. Sono andato alla macchia ragazzo e sono tornato uomo. Poi ho ripreso il mio lavoro in ditta. Sempre la stessa: ci ero entrato il 19 dicembre 1937 e sono andato avanti fino alla pensione, alla fine d’aprile del 1985, dopo quasi cinquant’anni di lavoro. In pratica, una vita Quando eravate alla macchia, in postazione, avevate la coscienza di quello che stavate facendo? E quali erano i vostri obiettivi? Certo, noi volevamo innanzitutto arrivare a Firenze, la nostra città, e liberarla. Ma non solo. A noi quello non ci bastava. La nostra intenzione era quella di lottare per creare una società diversa, un’altra società,
PAGINA 5 non è una democrazia condivisibile. Io credo che se tutte le forze antifasciste collaborassero insieme per creare un Stato migliore, la strada ci potrebbe essere, e allora la nostra democrazia, quella che sognavamo in montagna e che è scritta nella nostra Carta Costituzionale, potrebbe anche essere realizzata a pieno. Mi permetto di dire anche un’altra cosa, perché pure quella sta scritta nella Costituzione: nel mondo si parla tanto di Pace, allora visto che ci sono tante fabbriche di armi – è una delle industrie più redditizieperché non chiediamo che sano riconvertite in luoghi di lavoro, anche per aiutare quei paesi del cosiddetto terzo mondo che bombardiamo con il miraggio di migliorare le loro condizioni di vita? Mi fanno ridere: parlano di pace, di esportare la democrazia, ma chi fa le armi, le deve vendere, e per venderle ci vogliono le guerre. Questo è il problema. Il problema è che non ci può essere pace finché le industrie delle armi saranno floride come adesso. Non ci vuole molto per capire che se tutto quello che spendono gli Stati per le armi fosse destinato alla creazione di strumenti per far nascere occasioni di lavoro, per lottare contro le ingiustizie che ci sono nel mondo, ci sarebbero maggiori possibilità di una vita dignitosa non solo per noi, ma soprattutto per voi e
ca, visto che non sembra essere più in grado di garantire proprio quell’equilibrio tra sviluppo e bisogni collettivi ? E’ questo che manca. Manca la credibilità. Nei politici ed anche nelle istituzioni, colpevoli esse stesse di non aver garantito quel processo di eliminazione delle disuguaglianze che tutti si aspettavano. Anche noi non credevamo nelle istituzioni fasciste, però credevamo fermamente nella politica. In una politica che cambiasse l’ordine delle cose. Personalmente ho cominciato a masticare un pò di politica solo una volta arrivato in montagna. Due o tre volte la settimana ci riunivamo e si discuteva. Innanzitutto però si ascoltavano le testimonianze di quelli che erano stati in galera o al confino, chi cinque, chi dieci, chi anche quindici anni. La politica di cui discutevamo in quelle ore drammatiche ed insieme bellissime, straordinarie, era uno strumento per cambiare il mondo. Per renderlo più giusto. Quando tornammo a casa, dopo la liberazione di Firenze, molti di noi si arruolarono nel nuovo esercito italiano. Io tornai a lavorare, anche per aiutare la mia famiglia che era allo stremo. Altri cominciarono a lavorare nelle case del popolo, facendo politica dal basso, come si direbbe oggi. Mi iscrissi al Pci nel settembre del 1944. Sono sempre stato militante. Poi anche lì abbiamo conosciuto delle grosse delusioni. Ma la fiducia nella politica non può, non deve, venir meno. Io spero che i giovani sappiano trovare dentro di loro abbiano la forza di lottare sempre, proprio per difendere quei valori che animarono la lotta partigiana nella Resistenza e che oggi, purtroppo, si stanno perdendo. Mi auguro che continuino a lottare per migliorare le condizioni di vita di tutti. E poi bisogna sconfiggere l’egoismo: oggi è il male peggiore. Quello che ci fa vedere gli altri come avversari se non come nemici. In questo ritengo che ci siano delle grandissime responsabilità dei genitori. Anche della nostra generazione. Perché le scelte politiche sono individuali, ma si può educare in un certo modo: alla fratellanza, alla solidarietà. Oggi il Fascismo s’è vestito in doppio petto. Forse non ha più il manganello e l’olio di ricino ma ha la tenper prendermene uno a caso ma la segretaria mi fece denza ha ripristinare una certa dittatura. E’ bene che capire che a me spettava quello da un chilo, mentre di questa cosa i giovani, e non solo loro, si rendano agli operai toccava quello da 700 grammi. Quando conto al più presto. mi resi conto di questa cosa, rifiutai tutto: “se panet- Noi da ragazzi non potevamo stare insieme più di tre, tone deve essere, deve essere per tutti uguale” dissi. altrimenti eravamo accusati di ‘sedizione’. Non poteE me ne tornai a casa. La sera sentì suonare il campa- vamo vivere liberamente perché eravamo sempre nello: era il titolare. “Hi ragione-mi disse- ho già dato controllati, irreggimentati nelle maglie del regime. e l’ordine di acquistare una confezione uguale per poi la violenza, le spedizioni punitive, il manganello, tutti” . Un piccolo gestomadigrande valore simbolico. l’olio di ricino, le case degli antifascisti bruciate, la Così un’altra volta: dovevamo fare un ordinativo di galera. dieci mila paia di tacchi e non sapevamo come fare Questo non c’è più pero’? perché già eravamo saturi con il lavoro. Allora la sera, Forse non il quella misura. M a quanto mi risulta che cinque minuti prima della campanella, chiesi agli i fascisti, anche quelli che proprio si definiscono tali, operai se tutti erano disposti a lavorare qualche ora abbiano ricominciato a distruggere vetrine, come in più altrimenti l’ordine non lo prendevamo. Tutti facevano allora: a Roma, Genova, Bologna. dissero sì, accettando di lavorare anche il sabato Hanno ripreso a danneggiare le sedi dell’ANPI. A disegnare svastiche sui muri. State attenti, si cominmattina. Ma tutti d’accordo. Ci vuole condivisione. Con i soprusi e le vessazioni cia così. Anche allora, con il fascismo, tutto cominciò in maniera quasi sommessa .Piccoli episodi,un giornon si ottiene nulla di duraturo. È per episodi così che, quando sono venuto via, anche no uno, poi un altro. E poi, piano piano, poi abbiamo quelli che erano un pò più duri in fabbrica, li hi visti visto dove siamo andati a finire. con le lacrime all’occhio. Con questo non voglio dire Io dico: sono gli inizi di un nuovo fascismo. Credete che io sono stato un santo. No. E’ che ho sempre cer- che si fermino qui ? cato di lavorare per la giustizia sociale, pur all’interno Perché la chiamarono Saturno? Quando arrivai in montagna, sentì che tutti si chiadi un sistema chiaramente capitalista. mavano Sugo, Balena …. Tutti avevano un sopranE non era impossibile. Non è stato impossibile. Lo sviluppo economico ha un senso quando porta ad nome. Siccome a me piaceva guardare il cielo, le un miglioramento delle condizioni di vita per tutti. stelle, dissi “chiamatemi Marte”, ma ce n’era già uno. Altrimenti si riduce a mero sfruttamento dell’uomo E così mi chiamarono Saturno. sull’uomo. Lei dice che il voto oggi è lo strumento più (Tratto da “Ribelli” di Chiara Brilli e importante per difendere la democrazia ma Domenico Guarino) per un giovane che credibilità ha oggi la politi-
ra diversa da come le avevamo immaginate. A Firenze, quando venne eletto Mario Fabiani, il primo sindaco dopo la Liberazione, speravamo che mettesse in pratica le cose che avevamo teorizzato. E noi eravamo fiduciosi che lo facesse. Ci credevamo. Invece. Piano piano il capitalismo, anche quello più bieco, è ritornato a galla, è ricomparso lo sfruttamento, le divisioni. Non era quello per cui avevamo lottato. Ciascuno cominciò a pensare al proprio. I proprietari delle officine più al profitto personale che non al bene degli operai. Vedete, io ho fatto il capofabbrica e qualche volta con gli operai sono stato duro (credo a ragione, per evitare problemi peggiori). Però li ho difesi anche tanto. Noi che avevamo vissuto negli ideali della resistenza, della fratellanza, della solidarietà, che cosa abbiamo provato? Dentro di me ho sempre sentito molto forte il valore della giustizia. Che se non potevamo avere tutti le stesse cose, almeno ci fosse un equilibrio, una giustizia nella ripartizione della ricchezza. Conciliare queste cose non è impossibile, se si volesse si potrebbe realizzare anche subito, senza particolari difficoltà. Vi racconto questo episodio. Un Natale andai in ufficio per fare gli auguri e prendere il panettone e la bottiglia che di solito il principale ci regalava. Stavo
Saturno e Sugo
un altro sistema di vita, con più giustizia. Noi pensavamo di realizzare finalmente un qualcosa che era mancato fino a quel momento. C’era questo dentro di noi. Quindi volevamo arrivare giù il più presto possibile. E poi proseguire nella lotta politica perché quel tipo di società che avevamo sperimentato in montagna, da partigiani, basata su quei valori di giustizia,solidarietà, fratellanza, cui accennavo, potesse realizzarsi anche nel nostro paese. Una società in cui tutti avessero di che vivere, e ciascuno si prendesse cura degli altri. Tutto quello che facevamo in montagna, compreso il cercare qualcosa da mangiare, veniva animato proprio dalla volontà di aiutarci tra di noi e con tutti gli altri. La volontà di realizzare la libertà in assoluto: quello era il nostro intento. Si lottava per quello. Tutti noi. E tutti volevamo costruire uno stato migliore. E alla fine ce l’abbiamo fatta: la libertà per il nostro paese l’abbiamo raggiunta. Certo non nella maniera in cui ci saremmo aspettati che avvenisse. Cioè? Beh, non siamo mica contenti di come ci si trova oggi… Però un po’ di libertà l’abbiamo portata. E io penso che si sia dato un grosso contributo alla realizzazione della nostra Carta Costituzionale, quel capolavoro ideale che oggi ci invidiano un po’ tutti. Quella è nata con la Resistenza e si è basata sugli ideali nostri, dei Partigiani. In occasione di un recente convegno sulle Brigate Garibaldine svoltosi a Firenze ho avuto modo di conoscere un professore americano che stava studiando proprio i giornali dell’epoca. Lui mi raccontò che, quando fu varata la Costituzione, negli stessi Stati Uniti molti la ritennero subito la migliore mai promulgata. Fa un po’ impressione pensare che quella Carta l’abbiamo fatto noi, con la nostra lotta. Oggi sappiamo che s’è vinto una battaglia: importante, per alcuni versi fondamentale, ma non basta. Bisogna continuare per vincere la guerra, e questo spetta soprattutto ai giovani. Dopo la Liberazione sembrava che il fascismo fosse stato sconfitto unna volta per tutte. Lei ha mai provato la sensazione di essere tornato indietro? E quando? Varie volte nel passato anche recente. E sicuramente oggi più che mai: trovarsi dopo 60 anni con gli stessi fascisti al governo non è una bella cosa per chi li ha combattuti a rischio della propria vita e credeva riaverli sconfitti per sempre. Certo, ora i fascisti si vestono in maniera diversa, magari in doppiopetto. Ma le loro dee di sopraffazione e di violenza sono sempre le stesse, consono cambiati. Questo è qualcosa che mi fa stare male. Ora mi vedi vecchio e rimbambito, ma a vent’anni, come si dice noi “avevo poco sonno davvero”. Se vedevo un’ingiustizia il mio istinto era quella di combatterla, di ribellarmi. Qualche volta mi succede anche ora. Questo non è certo lo Stato che si voleva noi. E il bello è che se ne approfittano pure. C’è un insieme di cose che non condivido, così tante che sarebbe impossibile anche solo elencarle. Meno male abbiamo ancora un presidente della Repubblica che regge. Però questo fatto che ci sia uno solo che comanda…Mi sa che piano piano si finisce un’altra volta nella dittatura, invece che nella democrazia. Questo mi fa stare male. Non solo per me, che sono alla fine, ma per i miei figli, i nipoti. I giovani di oggi non hanno prospettive, non hanno un avvenire. E spesso nemmeno la speranza di averlo. Ma se non ci pensa lo Stato chi è che ci deve pensare? E’ questo che mi rimane sullo stomaco! La nostra Repubblica è fondata sul lavoro? Allora, mi chiedo, le vogliamo creare le condizioni per dare lavoro a questa gente oppure no? Non vengono create? Allora vuol dire che questo Stato non è uno Stato democratico! O per lo meno,
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per le generazioni future. (...) Torniamo al momento in cui eravate nel bosco. Ha detto di aver incontrato una società ‘ideale’, fatta di fratellanza, solidarietà, eguaglianza. Non ha mai pensato che fosse solo il frutto della situazione particolarissima in cui vi trovavate, e che dunque sia impossibile replicarla in condizioni di normalità? Lo ripeto: la solidarietà che ho trovato in montagna non mi era mai capitato di viverla. Mai. Nemmeno a scuola o sul lavoro. Lì ci sentivamo davvero tutti fratelli ed uguali, pur nella diversità, anche di nazionalità: con noi infatti c’erano anche russi, americani, canadesi. Senza contare che non tutti avevamo il medesimo orientamento politico o religioso. Però avevamo lo stesso obiettivo che era quello di creare una società in cui tutti potessero stare meglio. Ripeto: la nostra idea politica era essenzialmente di realizzare quello che avevamo provato in montagna, la condivisione dei beni comuni, così da dare a ciascuno in ragione del proprio bisogno. Ciò voleva dire anche saper accontentarsi, perché per uno che ha troppo c’è sempre qualcuno che ha poco o niente. E poi la grande lezione dell’essere al servizio degli altri, soprattutto se si rivestivano ruoli di grande responsabilità. Non a caso, quando dividevamo il pane, il nostro comandante – Gracco – lo prendeva per ultimo! I sacrifici che abbiamo fatto in montagna sono inimmaginabili, questo contribuiva a creare una situazione assolutamente peculiare. Impossibile da riproporre? Non lo so. Certo poi le cose sono andate in manie-
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il quartiere a chi ci vive, non a chi ci specula! Il Nidiaci è uno spazio nell’Oltrarno fiorentino, alle spalle della chiesa del Carmine, costituito da un grande giardino recintato e alcuni palazzi attorno, ma soprattutto è il cuore della resistenza di un intero quartiere.
sale: tra i volontari ci sono vecchie famiglie di artigiani e calcianti di San Frediano, come ci sono senegalesi, albanesi, francesi e americani, muratori, commercianti, disoccupati, architetti, insegnanti, musicisti...
Tutti lo conoscevano come la vecchia ludoteca, e ancora prima asilo, che sarebbe stato concesso in uso alla popolazione di San Frediano, nel lontano 1923, da un avvocato di nome Umberto Nidiaci. Generazione dopo generazione, migliaia di persone sono passate per “il Nidiaci”, che fu anche il luogo simbolo del cattolicesimo sociale e concreto di La Pira, Nidiaci” e che comprendeva non solo la futura ludoteca, ma anche tutti gli Fioretta Mazzei e Don “Cuba”. edifici attorno. Per quasi un secolo, il Nidiaci è stato l’unico spazio riservato all’infanzia di L’avvocato Umberto Nidiaci effettivaun rione allora molto povero, privo di mente aprì il luogo alla popolazione, verde, con vicoli stretti e case buie e ma dopo la sua morte, la finalità originaria è stata lentamente dimenticata, umide, ma intensamente vivo. l’altro affidatario, Carlo-Matteo La vera origine del “Nidiaci” è stata Girard, è scomparso misteriosamente però dimenticata, fino alla scoperta dalle carte; e nel 2008, gli edifici e una l’anno scorso nell’Archivio Notarile di buona fetta del giardino sono finiti in un documento da cui apprendiamo mano a un’impresa immobiliare dall’improbabile nome Amore e Psiche una storia molto diversa. Holding S.p.A. Nel 1920, il colonnello Edward Otis Bartlett Jr, commissario della Croce Nel 2011, oltre 1.400 abitanti di San Rossa statunitense, fece vendere al Frediano firmarono una petizione per commerciante Carlo-Matteo Girard e il recupero del Nidiaci: l’allora sindaall’avvocato Umberto Nidiaci una par- co di Firenze rispose proclamando tita di merci della stessa Croce Rossa, che il mantenimento del Nidiaci era destinando il ricavato “a favore di un “per questa Amministrazione una Ente, che, nel quartiere di San priorità assoluta e irrinunciabile”. Frediano di questa Città, curi la istruzione e la educazione popolare, con Nei tre anni che sono passati da quelspeciale riguardo alla infanzia”. La la irrinunciabile promessa, ludoteca e somma fu investita nell’acquisto del giardino sono stati chiusi, la proprietà complesso che oggi chiamiamo “il ha iniziato un lavoro di radicale ristrutturazione del complesso, per ricavare dagli edifici, appartamenti di lusso, e dal giardino, un parcheggio. L’unica misura presa dal Comune è consistita nel dare le chiavi della parte pubblica del giardino al
Fuori da ogni inquadramento partitico, abbiamo reagito all’ingiustizia, alle promesse non mantenute, alla visione della città come una merce, organizzandoci, informandoci, facendo. E anche divertendoci. Il Nidiaci è aperto alle famiglie, con ingresso da Via privato, per permettergli di farci pas- d’Ardiglione, dalle 17 in poi. Visto che sare i suoi camion. ci hanno privati anche di un tetto, il giardino resta chiuso in caso di piogGli abitanti di San Frediano hanno gia. allora organizzato manifestazioni e costituito l’Associazione Amici del Nidiaci in Oltrarno Onlus, che è riuscita a farsi concedere dal Quartiere 1 la gestione almeno della parte non privatizzata del giardino. L’ultimo corteo per il Nidiaci, con in testa il gonfalone del Drago Verde - simbolo medievale di San Frediano costruito dagli artigiani del rione, ha visto la partecipazione delle famiglie del rione e di tutte le realtà dai Bianchi di Santo Spirito ai Informazioni e contatti: ragazzi dell’occupazione di Via del Leone. http://nidiaci.blogspot.it https://www.facebook.com/Associaz I volontari (in grande maggioranza ioneAmiciDelNidiaciInOltrarno donne) si sono trovati in mano un terreno abbandonato, con i giochi quasi email: giardinonidiaci@gmail.com, tutti smantellati, poche panchine e la telefono: 349-1575238 fornitura di acqua tagliata. Ma tutti si sono dati da fare: qualcuno seguiva come un segugio la pista storica e giuridica, bussando incessantemente alle porte di un’amministrazione sorda (con poche, ma lodevoli eccezioni), una violista americana, dando lezioni all’aperto, ha creato un’orchestra di piccole violiniste, e c’era chi organizzava delle riuscitissime gare di torte tra le mamme. Una caratteristica della mobilitazione per il Nidiaci è la sua natura trasver-
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Morti sul lavoro A oggi, 18 marzo 2014, dall’inizio dell’anno sono morti sui luoghi di lavoro 95 lavoratori e oltre 200 se si aggiungono i morti sulle strade e in itinere. L’Osservatorio l’ho aperto il 1° gennaio 2008, dopo pochi giorni della tragedia della ThyssenKrupp di Torino: cercavo notizie in Internet sulle morti sul lavoro, ma quelle più recenti erano dell’INAIL però vecchie di quasi un anno. Subito mi accorsi che c’era qualcosa che non andava e di poco chiaro, nelle tabelle excel mi risultavano molti più morti si quelli diramati dalle statistiche ufficiali. Denunciavo già d’allora quest’anomalia, ogni anno mi trovavo a registrare mediamente il 30% delle morti in più. Ma su questo argomento, nonostante migliaia di mail, mandate a politici, giornalisti, media ecc. Nessuno si è mai degnato di rispondere. Solo recentemente ho avuto la certezza che quello che scrivevo era corretto. L’INAIL monitora solo i propri assicurati e tantissimi lavoratori morti sul lavoro e in itinere non lo sono. Le Forze Armate tutte, i Vigili del Fuoco, i lavoratori in nero, agenti di commercio, agricoltori già pensionati e soprattutto le partite IVA individuali che hanno un’assicurazione propria. Per non parlare di altre infinite situazioni e contestazioni da parte dei familiari di lavoratori morti o che hanno subito infortuni gravi. Il problema vero e gravissimo è che con queste morti “parziali” che non comprendono tanti lavoratori, si sono alterate le percezioni del fenomeno, si sono fatte leggi contro “la burocrazia” e alleggerite le norme sulla Sicurezza. In realtà, se si monitorano tutte le morti, posso dimostrare che da quell’ormai lontano 1° gennaio 2008 le morti sono sempre state costanti. Credo che tutto questo sia stato fatto con molta leggerezza dalla politica, DI TUTTA LA POLITICA e dei partiti che sono in Parlamento, e anche probabilmente non in buona fede. Grave anche che con i dati così alterati si siano dirottate risorse in direzione di categorie che hanno percentualmente pochi morti, mentre altre come per esempio
gli agricoltori e gli edili avrebbero bisogno di un’attenzione particolare per il semplice fatto che in queste due categorie muoiono ogni anno più della metà di tutti i lavoratori. Occorre anche capire come queste risorse siano state spese e con che criteri. Dovrei fare un “conteggio” accurato ma sui luoghi di lavoro, dal giorno dell’apertura sono morti oltre 6000 lavoratori sui LUOGHI DI LAVORO e se si aggiungono le morti sulle strade, ma qui è impossibile avere dati certi, penso che siano altre 13000 i lavoratori morti complessivamente. Immaginate solo quante milioni di partite IVA individuali si sono create dopo quell’anno e che se muoiono sulle strade, sono classificate genericamente come morti per incidenti stradali. Tutti quanti criticano i sindacati, ma c’è una verità che è impossibile occultare, dove sono presenti le morti sono quasi inesistenti.
devono venire alla luce. E questo cambierà completamente la percezione del fenomeno, i Ministri del lavoro e dell’Agricoltura e lo stesso Primo Ministro Renzi, cui ho mandato mail con la richiesta d’intervenire immediatamente, non potranno non tenerne conto. C’è un ultimo aspetto che mi preoccupa molto, dai dati raccolti risulta che i precari muoiono numerosissimi e questo ha un’ovvia spiegazione. Chi è precario, oltre che bassi stipendi non può opposi neppure alla scarsa sicurezza di un lavoro pena il licenziamento. E pensare che nelle nuove leggi sul lavoro ci sia un’ulteriore liberalizzazione del precariato: in pratica il lavoro a tempo indeterminato, quello che stabilizza oltre che il lavoro (con anche la Sicurezza) anche la famiglia di chi lavora non esisterà più. E che questa precarizzazione sia poi portata a queste estreme conseguenze un
del fenomeno che porta il lutto in oltre mille famiglie ogni anno. Ma la classe dirigente di questo paese, che potrebbe far tanto per alleviare queste tragedie questi problemi poco interessa. Mai nessuno che si sia interessato e ha verificato se quello che scrive l’Osservatorio, cioè se il numero dei morti sul lavoro è molto più elevato di quello che viene diramato dalle statistiche ufficiali. Eppure è tutto documentato, purtroppo esistono morti di seria A di B e anche di C. che non meritano nessuna considerazione. Lettere di Mamme ne ho lette a decine. Ma il cuore di chi è nel parlamento e nei ministeri non viene toccato. Povero paese. Ma coraggio Mamma Graziella e mamma Marianna (parenti di vittime solo per citarne qualcuna) noi vi siamo vicini, siamo cittadini normali e siano centinaia di migliaia con ancora sentimenti di umana solidarietà per quello che vi è capitato. Di loro non vi curate. Sono in un’altra dimensione, che è quella dell’egoismo di casta e di classe, che non vedranno mai un loro caro colpito così tragicamente. NB Ho scritto a Renzi, al ministro del lavoro e quello dell’Industria, vediamo se avranno un atteggiamento diverso. Per ora nessuna risposta.
E solo per questo dovrebbe avere un valore inestimabile per chi lavoro. Io sono sempre stato il primo a criticarli, lo faccio tuttora, ma sono un baluardo contro queste barbarie. Per fortuna che abbiamo un Presidente come Napolitano che ha sempre denunciato queste carneficine e che recentemente, anche se è quasi passato inosservato quello che ha detto, ha dichiarato che le morti delle statistiche ufficiali non comprendono tutte le morti sul lavoro. Finalmente ho pensato io, il nostro Capo dello Stato ha preso atto che ci sono tante morti sul lavoro che non appaiono e che
Ministro del Lavoro che viene dalle Cooperative, lascia una grandissima amarezza.
Carlo Soricelli Curatore dell’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro L’indifferenza regna sovrana. Del resto è così da quando il 1° gennaio 2008 decisi, purtroppo, di aprire l’Osservatorio Indipendente di Bologna morti sul lavoro che con lavoro volontario, credevo di poter dare una mano nella comprensione
[Ndr] Vogliamo ricordare che il prezioso lavoro svolto da Carlo per l’Osservatorio, ha svelato l’ampiezza del problema scontrandosi perennemente con la caparbietà istituzionale che non intende affrontarlo apportando modifiche e controlli alla sicurezza sul lavoro. Negli ultimi tempi lo scoraggiamento per tante mancate risposte alle sue segnalazioni, lo ha spinto ad uno sfogo personale dichiarando di essere pronto a mollare. Noi della redazione, come altre realtà, crediamo nel suo lavoro e vogliamo esprimergli la nostra più sentita solidarietà invitandolo a continuare in questa sua resistenza ch’è di grande utilità sociale
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Manifesto per la liberazione
e l’autodeterminazione
Presentazione Siamo disabili che, nonostante le disabilità, vogliono condurre ciascuna e ciascuno una vita con un grado di libertà comparabile con quello delle altre persone. Quindi, possiamo dire che per noi la Costituzione italiana, soprattutto nei suoi articoli 2 e 3, è essenziale, anche se tutt’altro che sufficiente. Per questo fondamentale motivo, riteniamo di dover stare sulla stessa barca di tutte e tutti coloro che lottano per la difesa della Costituzione e l’affermazione e l’ampliamento dei diritti di ogni essere umano e contro la logica distruttiva.
Quadro generale Ormai da anni, è evidente che il nostro Paese sta regredendo a livelli che una volta si sarebbero definiti “da terzo mondo”. L’implosione dei Paesi cosiddetti a “socialismo reale” ha tolto ogni remora alle politiche di compressione dei diritti economici sociali e di cittadinanza. In Italia, ciò è stato accentuato particolarmente da una totale rinuncia da parte delle istituzioni a perseguire una politica economica che tuteli gli interessi generali. Siamo andati avanti rovinando irreparabilmente il territorio con le “grandi opere” e la cementificazione selvaggia. Inoltre, per farsi accettare come forza di governo da quelli che oggi si chiamano “poteri forti”, gli ex comunisti sono stati i più solerti smantellatori dei diritti, operando in ogni materia un processo di “delegificazione”, cioè di una gestione soprattutto delle prestazioni sociali solo attraverso atti amministrativi. Gli stessi ex comunisti e le forze loro alleate hanno introdotto la precarizzazione del lavoro col “pacchetto Treu” ed hanno introdotto di fatto un servizio pubblico non universalistico creando l’Isee (indicatore della situazione economica equivalente) che provoca un forte impoverimento di chi non è già in miseria. Tutto ciò ha portato alla totale disattenzione sia per gli anziani che per i giovani e per il futuro. Insomma, è purtroppo evidente che ormai in quasi tutto il mondo a chi governa non interessa minimamente perseguire e tutelare il benessere e i diritti delle persone che formano la collettività.
Per la liberazione dei disabili, per la liberazione di tutte e di tutti La presenza del Vaticano ed altre ragioni storiche hanno prodotto in Italia una tradizione per cui i non disabili si sono sempre sentiti autorizzati a comandare sui disabili, o comunque a pretendere di sapere quali fossero le soluzioni migliori per questi ultimi. Il movimento per la vita indipendente nacque a Berkeley (California) nel 1964 nell’ambito della contestazione studentesca e può considerarsi il primo movimento di liberazione dei disabili. Tale movimento ben si è agganciato con quello che
qui in Toscana alcuni disabili avevano iniziato ad elaborare. Mentre la gran parte del “mondo della disabilità” ha continuato a vedere i disabili come incapaci di identificare i loro veri interessi e perciò da considerare solo oggetti (di cura, di prestazioni sociali, ecc.), noi pratichiamo l’autodeterminazione e l’autorganizzazione, cioè l’esatto contrario della logica dei capi o leader che oggi domina la scena politica istituzionale e non solo. Solo noi disabili possiamo sapere davvero di cosa e in che misura abbiamo bisogno. Così come nessuno si scandalizza del fatto che il movimento femminista sia composto di sole donne o il movimento di liberazione degli afroamericani sia composto di soli neri, la stessa cosa deve valere per i disabili. Ciò è ben diverso dal dire che vogliamo essere isolati. Infatti, molti uomini lottano a fianco delle donne femministe e molti bianchi sono a fianco dei neri. Intendendo la vita indipendente come “vita autodeterminata”, ne consegue che una della chiavi fondamentali di essa è l’assistenza personale, cioè la disponibilità per la persona disabile di assistenti personali alle proprie dipendenze, scelti e formati diretta-
Regione impone ai disabili che hanno una famiglia di fare conto su genitori (ormai molto anziani) fratelli o sorelle o partner per soddisfare i loro bisogni di assistenza personale. Ciò è barbarie allo stato puro perché significa costringere disabili e familiari a delle relazioni basate sullo stato di necessità e sui ricatti affettivi. Infatti, nessun familiare si sottrarrà al “dovere” di aiutare la persona disabile, anche se ciò è molto logorante; d’altra parte, la persona disabile si renderà perfettamente conto delle fatiche dei familiari e non sarà affatto libera di svolgere la propria vita. Questi sono esempi di situazioni realmente accadute. Queste forme di violenza riducono di molto la voglia di vivere delle singole persone disabili. Abbiamo già accennato alla perversione dell’Isee in generale. L’applicazione di questo strumento alla disabilità provoca mostruosità ancora più aberranti. Nei passati decenni, prevedendo che i loro figli disabili non avrebbero potuto lavorare e quindi mantenersi, molti genitori avevano messo da parte un po’ di patrimonio proprio per garantire un minimo di futuro a questi figli disabili. D’altra parte, non ci vuole molto a capire che condurre una vita parago-
tivo e in particolare per gli assistenti personali. Comuni e Regione ci costringono a trattare gli assistenti personali come schiavi per le cifre irrisorie che ci danno. Lavorando in queste condizioni, gli assistenti migliori cercheranno e troveranno altri lavori; e noi ci troveremo sempre costretti a cercare nuovi assistenti personali, faticando molto per trovarne di adeguati. Quindi, non ci stancheremo mai di ripetere che le risorse che la Regione Toscana mette in campo per la Vita Indipendente sono vistosamente insufficienti, sia come entità, sia come strumentazione normativa: di fatto i nostri diritti di libertà sono regolati con semplici delibere di Giunta che notoriamente durano un anno e devono essere rinnovate, con la conseguente estrema precarizzazione delle nostre vite. Questo è palesemente incostituzionale. Ancora una volta, ribadiamo che la Regione deve cambiare rotta, aumentando le risorse per la Vita Indipendente delle persone disabili e riconoscendo quest’ultima come diritto soggettivo perfetto. Occorre anche rilevare che dare i soldi ai singoli disabili che vogliono fare vita indipendente potrebbe essere un potente contributo alla ripresa dell’occupazione, assai più del tunnel sotto Firenze e altre menate del genere. Infine, va ricordato che, storicamente, gli attacchi alle condizioni di vita dei disabili sono sempre stati il primo passo per colpire le condizioni di vita della popolazione in generale.
Condivisione di obiettivi
mente dalla stessa singola persona disabile, che l’aiutino a fare tutte quelle cose che non può fare da sola e consentire così di condurre la vita nelle condizioni di libertà richiamate all’inizio. La Regione Toscana costringe i disabili gravi ad alzarsi, mangiare, andare in bagno, pulire la casa e tornare a letto in 4 ore in tutto. Questa è una enorme violenza perpetrata in misura tanto maggiore proprio sulle persone che hanno più necessità di assistenza personale. Così, può succedere ed è successo che per mancanza di assistenza personale un disabile sia costretto a passare la notte sulla carrozzina perché non c’è chi lo aiuta a mettersi a letto. Sempre per mancanza di assistenza personale, altri disabili sono costretti ad assumere farmaci per evacuare una sola volta alla settimana, con conseguenze non certo positive sul loro stato di salute. La mancanza di assistenza personale può costringere una persona disabile ad aspettare ore per bere un bicchier d’acqua o per andare in bagno; o a non uscire di casa per intere settimane o addirittura mesi perché i soli assistenti che trova non hanno la patente di guida. Inoltre, attraverso la burocrazia dei servizi sociali, la
nabile a quella di tutti i cittadini costa moltissimo di più quando si hanno disabilità gravi (casa accessibile, auto adattata, ausili che la Regione non passa, ecc. ecc.). Ne consegue che i disabili ricchi e facoltosi che potrebbero abusare delle prestazioni si contano sulla dita di una mano in Toscana e sicuramente potrebbero essere individuati senza ricorrere all’Isee. Inoltre, con tutta la disoccupazione e tutti gli altri problemi drammatici che ci sono, questa storia dell’isee costringe i pochi disabili gravi che lavorano a licenziarsi per non perdere la gratuità di certi servizi. Per questi motivi, è del tutto evidente che imporre l’Isee sulle prestazioni inerenti la disabilità produce solo ingiustizie. Sostenere il contrario significa solo o essere in malafede o essere nella più abissale ignoranza della realtà vera della vita. Ed è bene ricordare che il PD ha escogitato l’isee per far pagare i servizi sociali a chi li utilizza anziché ai ricconi che non pagano le tasse. In tutti i campi del lavoro, le qualità necessarie sono riconosciute quanto meno mediante una adeguata retribuzione. Non si vede perché questo elementare principio di rispetto non valga per il lavoro riprodut-
È da ritenere che questo sia il periodo più buio del dopoguerra e uno dei periodi più bui della storia dell’umanità; eppure, pur essendoci molto malcontento, ci sono poche lotte, troppo poche proteste rispetto alla gravità del momento. È indispensabile muoversi. Quelli che sono al potere non si fanno il minimo scrupolo a distruggere il mondo, a far morire più o meno lentamente milioni di persone. È certo molto diverso dal nazismo nei modi, nei metodi, negli obiettivi immediati. Però si sta configurando una situazione in cui, per quanto riguarda i disabili, il risultato ultimo non è, e sopratutto non sarà, poi tanto diverso: per la propria ingordigia non esitano a causare morte, distruzione, disperazione. Se si guarda seriamente la situazione, è follia, se non altro perché così facendo, un po’ dopo di noi, ma finiranno anche loro per autodistruzione. È perciò indispensabile agire e lottare tutti insieme. Purtroppo è ormai superato il momento di allearsi, a esempio, per le lotte degli anziani, delle donne, dei disabili. Certo, queste lotte sono indispensabili, ma oggi è indispensabile prima di tutto lottare tutti insieme contro la follia dell’ingordigia del potere, essere tutti uniti contro la distruzione. Perciò, è indispensabile che ognuno di noi partecipi agli incontri degli altri per ascoltare e poi che tutti insieme partecipiamo alle lotte di tutti.
Associazione Vita Indipendente ONLUS
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SPECIALE RESISTENZE
Accoglienza dei lavoratori stagionali Rosarno e la Piana di Gioia Tauro sono rimasti soli Continuano ad essere disastrose le condizioni abitative, igienico-sanitarie e lavorative di alcune migliaia di migranti che ogni anno giungono nella Piana di Gioia Tauro per la stagione della raccolta degli agrumi. In un mese, assistiti dalla clinica mobile di MEDU oltre 150 braccianti, per lo più dell’Africa sub-sahariana, nelle baraccopoli e nei casolari abbandonati dei Comuni di Rosarno, San Ferdinando, Rizziconi e Taurianova. Due migranti visitati su tre possiedono un regolare permesso di soggiorno, quasi un migrante su due è titolare di protezione internazionale o umanitaria. Nessun piano di accoglienza è previsto per la prossima stagione. Necessario un intervento del Governo e della Regione Calabria.
improvvisati fatti di legno e teloni di plastica. Già nello scorso novembre, un giovane migrante che non aveva trovato posto all’interno del campo, è morto di freddo all’interno di un’autovettura. L’intero insediamento è privo dei servizi più essenziali. La fornitura elettrica è mancata del tutto da maggio a gennaio, quando è stata ripristinata esclusivamente l’illuminazione prodotta dai lampioni esterni al campo. Il riscaldamento degli alloggi e dell’acqua come anche la possibilità di cucinare gli alimenti sono esclusivamente affidati ai numerosi fuochi accesi tra le baracche, che contribuiscono a rendere le condizioni di sicurezza dell’insediamento particolarmente precarie. All’interno della tendopoli non è previsto alcun intervento strutturato né vi è alcun ente gestore dal momento che gli unici fondi stanziati in questa stagione – 40.000 euro dal Ministero dell’Interno – Piana di Gioia Tauro, 12 marzo 2014 - Nella giornata sono stati utilizzati per un intervento di disinfestadi ieri un team di Medici per i Diritti Umani (MEDU) zione e per il parziale ripristino della fornitura eletha distribuito sacchi a pelo termici a 120 migranti impiegati come lavoratori stagionali, costretti a vivere in drammatiche condizioni abitative ed igienico sanitarie all’interno di alcuni casolari abbandonati nelle campagne di Taurianova, Rizziconi e Rosarno. In occasione della stagione agrumicola da novembre a marzo, giungono ogni anno nella Piana di Gioia Tauro oltre 2.000 braccianti, per trica. Se le condizioni all’interno della tendopola maggior parte dell’Africa sub-sahariana. li sono pessime, ancora più drammatica è la Nonostante nei territori dei comuni di Rosarno, San situazione abitativa e igienico-sanitaria delle Ferdinando, Gioia Tauro, Rizziconi e Taurianova il centinaia di braccianti stranieri che trovano fenomeno si ripeta ormai da anni con le medesime rifugio nei numerosi ghetti e casolari abbancaratteristiche, le condizioni di lavoro e di accoglien- donati sparsi in tutta la Piana di Gioia Tauro. za di questi migranti - sulle cui spalle si regge lette- Gli edifici diroccati e in condizioni fatiscenti ralmente gran parte del comparto agricolo della visitati dagli operatori di MEDU sono privi di Piana - continuano ad essere disastrose, del tutto elettricità (nei casi più fortunati alcuni incompatibili con quei principi di civiltà che un Paese migranti dispongono di generatori a benzina), rispettoso dei diritti fondamentali della persona di servizi igienici e di acqua potabile che deve dovrebbe sempre e comunque garantire. Poco o essere raccolta spesso a centinaia di metri di nulla sembra essere cambiato rispetto alle condizio- distanza. I migranti si trovano a dormire, anche in ni materiali e ambientali che costituirono l’humus numero di trenta o quaranta, in ambienti freddi e dei drammatici fatti di Rosarno del 2010. Nel gen- angusti, scarsamente areati e privi di luce, tra pareti naio 2012, in occasione dell’inaugurazione della invase dall’umidità e tetti semi-distrutti che lasciano prima tendopoli per i lavoratori stagionali appronta- filtrare l’acqua piovana. Gli spostamenti quotidiani ta in emergenza nel comune di San Ferdinando, l’al- avvengono unicamente a piedi o - nonostante la lora ministro per l’integrazione Riccardi dichiarava: pericolosità delle strade - in bicicletta dal momento “Rosarno non deve restare sola e non sarà sola”. Nei che i trasporti pubblici sono inesistenti. E’ evidente fatti, quest’anno le comunità e i territori della che in condizioni così precarie e malsane parlare di Piana di Gioia Tauro sembrano essere ancora tutela della salute individuale e collettiva non ha più soli che in passato. Ciò che prevale è la per- alcun senso. cezione dell’abbandono e del disimpegno di fronte ai gravi problemi del territorio da parte Dal mese di febbraio ad oggi un team di MEDU ha della Regione Calabria e del Governo. prestato prima assistenza medica e orientamento socio-sanitario a oltre 150 lavoratori migranti presso Nella nuova tendopoli di San Ferdinando, allestita la tendopoli di San Ferdinando e in differenti insedal Ministero dell’Interno circa un anno fa, le tende diamenti isolati e casolari della Piana di Gioia Tauro. possono ospitare fino a 450 persone mentre attual- Si tratta per lo più di giovani uomini – l’80% ha un’emente il campo contiene circa il doppio di migranti, tà inferiore ai 35 anni - provenienti nella maggior stipati, oltre che nelle tende, in baracche e rifugi parte dei casi da Burkina Faso, Mali, Ghana, Costa
d’Avorio e Senegal. In oltre il 70% dei casi i pazienti possedevano un regolare permesso di soggiorno e quasi la metà (45%) era titolare di un permesso per protezione internazionale o per motivi umanitari. Il 95% di essi è in Italia da oltre due anni mentre il 68% ha una conoscenza sufficiente o buona della lingua italiana. L’89 % lavora in nero e il 64% percepisce in media 25 euro per un giorno di lavoro o anche meno. Quasi la metà dei migranti (46%) non riesce a lavorare più di tre giorni alla settimana per turni che sono in genere di 7-8 ore giornaliere anche se un lavoratore su quattro ha dichiarato di lavorare anche 9-10 ore al giorno. Un terzo dei migranti visitati dai medici di MEDU riesce a consumare solo due pasti al giorno mentre la maggior parte delle malattie diagnosticate, in una popolazione giovane e sostanzialmente sana, è legata alle pessime condizioni abitative ed igienico-sanitarie e
alle durissime condizioni di lavoro. Tutti i migranti intervistati dispongono di guanti come presidio di sicurezza durante il lavoro mentre solo il 29% fa anche uso di scarpe anti-infortunistiche. Nel 97% dei casi i braccianti devono acquistare per proprio conto i presidi di sicurezza poiché questi non vengono forniti dai datori di lavoro. Se la grande tendopoli con tutti i suoi abitanti è stata sostanzialmente abbandonata a se stessa dalle istituzioni regionali e nazionali che avevano provveduto ad allestirla e che avrebbero dovuto farsene carico - è del tutto evidente che un piccolo Comune come quello di San Ferdinando non ha la possibilità di gestire una struttura d’accoglienza di quelle dimensioni altri progetti finanziati con fondi ministeriali come il villaggio della solidarietà a Rosarno e i centri di accoglienza di Drosi e Taurianova sono bloccati a causa di un’interdittiva antimafia, nel primo caso, e a problemi tecnico-amministrativi, negli altri due. Sembra dunque mancare del tutto nella Piana di Gioia Tauro, prima ancora che una puntuale pianificazione dell’accoglienza stagionale per i lavoratori immigrati impiegati in agricoltura, una visibile volontà politica nell’affrontare quella che è una delle questioni dell’immigrazione più drammatiche, e anche più vergognose, per il nostro Paese. Una questione che esige delle risposte concrete e coerenti da parte delle istituzioni ed in particolare, in un territorio con problemi sociali, economici e di legalità così profondi, dal Governo e dalla Regione
Calabria. A questa sconcertante noncuranza verso le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti immigrati, risponde nella misura delle sue forze la società civile della Piana con progetti e iniziative che dimostrano come sia possibile sviluppare validi percorsi di accoglienza e integrazione anche con risorse limitate. Nel borgo di Drosi, nei pressi di Rizziconi, un gruppo di cittadini associati nella Caritas locale, ha avviato dal 2010 un progetto che permette di accogliere ogni stagione circa cento lavoratori immigrati in abitazioni sfitte del paese tramite il pagamento di un canone minimo. Medici per i Diritti Umani chiede alle istituzioni nazionali, regionali e locali un impegno concreto affinché da subito si proceda alla predisposizione di un piano che, valorizzando alcune buone prassi già sperimentate dalla società civile sul territorio, possa offrire un’accoglienza adeguata e dignitosa ai lavoratori stagionali che da fine ottobre giungeranno nella Piana per la prossima stagione agrumicola. MEDU rivolge un particolare appello al nuovo Governo e al Presidente del Consiglio Renzi affinché mettano in campo risorse e volontà politica per aggredire lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura, partendo anche dalla Piana di Gioia Tauro e dalla questione dell’accoglienza. Un problema di civiltà che non riguarda solo migliaia di lavoratori immigrati ma tutti i cittadini italiani.
Ufficio stampa – 3343929765 / 0697844892 info@mediciperidirittiumani.org Medici per i Diritti Umani (MEDU), organizzazione umanitaria indipendente , ha avviato a gennaio 2014 il progetto “TERRAGIUSTA. Contro lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura” in collaborazione con l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e il Laboratorio di Teoria e Pratica dei Diritti (LTPD) del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università Roma Tre. Il progetto è realizzato con il supporto della Fondazione Charlemagne, di Open Society Foundations, della Fondazione con il Sud e della Fondazione Nando Peretti. -La salute è un diritto di tutti. Medici per i Diritti Umani onlus www.mediciperidirittiumani.org Via Dei Zeno 10, 00176 Roma Tel. +390697844892/+393343929765 Fax. +390697844892 Via Monsignor Leto Casini 11, 50135 Firenze Tel. +393351853361
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SPECIALE RESISTENZE
Elogio della Clandestinità Nell’ultima assemblea di Firenze in cui si è discussa la bozza del manifesto di Genuino Clandestino si era animata verso la fine un’interessante discussione sulla condizione di clandestinità. C’era qualche comprensibile perplessità, da parte di alcuni, che riportavano una discussione avuta nella loro rete locale, sull’espressione che si trova in calce alla bozza del manifesto “fiero di essere clandestino”. L’obiezione, se non ricordiamo male, era che non si deve essere fieri di una condizione di privazione riconosciuta come negativa in cui si è forzatamente e ingiustamente costretti e che si deve al contrario fare di tutto per uscire da questa condizione, ovvero per fare in modo che la propria legittimità considerata illegale venga anche riconosciuta dalla legge. L’esigenza è più che comprensibile. Dopo quella discussione ci sono venute delle riflessioni che vorremmo condividere. Pensiamo che l’intenzione comunicativa dell’espressione “fiero di essere clandestino” così come fu a suo tempo quella di “genuino clandestino”, sia dichiaratamente provocatoria in una società in cui alla condizione di clandestinità vengono relegati gli ultimi dei migranti e associate parole appartenenti al vocabolario della devianza. Lanciare questa campagna crediamo sia consapevolmente stato fin dall’inizio un tentativo di decontaminazione della parola “clandestino” attraverso l’accostamento di un’altra parola carica di significati positivi qual è “genuino”. Decontaminando la parola si voleva allo stesso tempo restituire dignità e umanità a quelle persone che vengono definite “clandestine” e la cui presenza sul territorio italiano viene considerata illegale. Con questa campagna stiamo dunque dicendo almeno due cose: 1i nostri prodotti contadini sono illegali a causa di leggi ingiuste ma sono genuini quindi noi continueremo a farli e a venderli 2la condizione di clandestinità non è sinonimo di pericolosità: così come rivendichiamo la legittimità dei nostri prodotti clandestini così rivendichiamo la legittimità delle esistenze considerate clandestine ovvero senza documenti a norma di legge Giunti a questo punto in cui la campagna è diventata un movimento, è evidente, come anche è emerso in val Susa, che ogni realtà, a seconda delle situazioni, deciderà localmente come interpretare la propria condizione di clandestinità e di conseguenza il proprio rapporto con le istituzioni; se cioè cercare di ottenere riconoscimenti legali laddove è possibile o se infischiarsene e rivendicare diritti considerati universali a prescindere dalle istituzioni e dalla legge. Detto questo proveremo qui a tessere l’elogio della clandestinità. Nell’espressione “fiero di essere clandestino” vi è implicitamente il rifiuto di considerare la condizione di clandestinità come una condizione di minorità, di menomazione, di mancanza. Si ribadisce cioè chiaramente che la nostra legittimità, così come la legittimità delle esistenze clandestine, non dipende da un foglio di carta. “Fiero di essere clandestino” sta a rivendicare una condizione di forza, di potenzialità inaspettate. Storicamente la clandestinità può essere imposta, auto-imposta o entrambe le cose allo stesso tempo, ma comunque sia è nel momento in cui questa condizione non viene più soltanto subita ma usata anche a proprio vantaggio che compaiono dei movimenti di lotta. Entrare in clandestinità significa da sempre organizzarsi e opporsi a un’oppressione diventata insopportabile: chi si opponeva al regime fascista, nel ventennio come nel biennio 43-45, entrò in clandestinità. Chi è veramente clandestino/a diventa sfuggente,
quasi inafferrabile al controllo. I/le contadini/e forse non potranno mai esserlo totalmente, così ancorati alla terra come sono. Da questa condizione possiamo comunque imparare tante cose, possiamo soprattutto trasformare un’imposizione pensata per opprimere in uno strumento per sfuggire al controllo. La clandestinità, così come l’anonimato e l’invisibilità in cui ci relega il potere, armi che usa per de-umanizzarci, possono diventare, se la nostra umanità è più forte di una parola, armi che noi possiamo rivoltare contro il potere per sfuggire al controllo, disobbedire, non collaborare, sabotare. Niente di nuovo. Ma forse applicato alla terra sì. Per questo il movimento deve essere per noi “fiero di essere clandestino”. Forse dobbiamo smettere di coltivare l’illusione di vivere in uno stato democratico o vagamente democratico, di continuare a pensare che con le istituzioni si possa dialogare e trovare un accordo senza corrompersi, snaturarsi o essere usati e sfruttati. Probabilmente abbiamo sempre vissuto, oggi in maniera più evidente, in un regime “diversamente totalitario” dai vecchi totalitarismi del Novecento, un regime più sofisticato che ha gradualmente sempre meno bisogno dei vecchi eclatanti strumenti di controllo, anche se quando occorre come in val Susa non ne disdegna l’uso, ma non per questo meno oppressivo e pervasivo. Banalizzando, così come sarebbe stato assurdo per gli oppositori clandestini al fascismo cercare un dialogo con le istituzioni fasciste forse è altrettanto inutile cercare un dialogo con le nostre attuali istituzioni pseudodemocratiche. Laddove il dialogo sarà possibile è probabile che ci saranno anche vessazioni e strumentalizzazioni. Da sempre le istituzioni statali ottengono legittimità dalle buone intenzioni e dalla levatura morale delle persone oneste che servono lo Stato. Ma sono esse nelle condizioni di poter cambiare davvero lo Stato o sarà lo Stato nelle condizioni di cambiare, vanificare o annientare loro? Tornando a noi, non si tratta di rivendicare la nostra legittimità davanti alla legge, ovvero di chiedere riconoscimenti a chi ce li ha negati, forse dovremmo alzare il tiro e denunciare l’illegittimità di chi ha stabilito per decreto l’illegalità di cibi ed esistenze. Se prendiamo definitivamente atto di vivere in un regime a nessuno verrà più in mente di lottare contro il sistema cercando il dialogo con il regime. Le energie spese nel dialogo con le istituzioni sono energie sottratte alla creazione di mondi diversi e smettere di dialogare con le istituzioni può allora significare smettere di collaborare. “Fiero di essere clandestino” significa rivendicare questa condizione come l’unica possibile all’interno di un regime o di uno Stato in cui la legge è delinquenziale e i governanti delinquenti. “Fiero di essere clandestino” significa riconoscere in questa condizione l’unica forma di umanità possibile in quanto il più possibile fuori controllo dai dispositivi che regolano l’umanità standardizzata e mercificata della grande macchina globale. Non può che essere clandestina l’umanità superstite in un sistema in cui a norma di legge sono esistenze separate, schiavizzate e barbaramente in balia della tecnologia. “Fiero di essere clandestino” può significare allora per chi lavora la terra e non solo entrare volontariamente e consapevolmente in clandestinità riconoscendo in tale condizione il punto di partenza da cui organizzare nuove e inaspettate forme di lotta.
(i pesantissimi) Marzia e Mattia
MONDEGGI
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VOCI
la fattoria senza padroni che diventa bene comune BENI COMUNI
C’è stato nel tempo chi ha inneggiato alle fabbriche senza padroni (e oggi, in mezzo a tanta crisi, c’è chi ci sta provando); ora esiste anche la fattoria senza padroni. E’ una villa riscattata dall’abbandono a Bagno a Ripoli, in Toscana. Un luogo che è divenuto “bene comune”, terra d’incontro, di relazioni e condivisione. E di legame con la terra, un punto fermo da cui ripartire.
E proprio oggi, lunedì 24 marzo, si tiene l’assemblea di Mondeggi, il confronto tra tutti coloro che hanno accettato la sfida per decidere come procedere. Ma qual è la sfida? Ebbene, una comunità di progetto sta cercando di trasformare una “proprietà pubblica” in “bene comune” ripartendo dall’agricoltura e da una villa trecentesca che il pubblico non può più mantenere e che nessuno comprerebbe perché le cifre sarebbero elevatissime. Allora gli enti locali stanno affidando strutture e terreni a chi è disponibile a coltivarli per fermare la decadenza di Mondeggi e per recuperarla, riattivando i cicli colturali, garantendo l’assetto idrogeologico al terreno, investendo sul lavoro, in modo da donare nuovo valore anche economico alla struttura e da restituire alla comunità ripolese una parte importante della sua cultura e della sua memoria. A Villa Mondeggi aveva sede un’azienda agricola provinciale che è fallita, chiusa con un buco da quasi un milione di euro. Ora l’intenzione è quella di passare dalla viticoltura ai seminativi, prati-pascoli, frutteti, ortaggi, per sviluppare l’allevamento di animali da cortile, bovini, suini e api, per utilizzare le risorse per produrre giochi tradizionali, per meglio collegarsi ad altre realtà locali quali la Siaf, che gestisce la mensa delle scuole e degli ospedali in regime di filiera corta, o i Gruppi di Acquisto Solidale (Gas), o semplicemente i consumatori. Alla base del progetto c’è l’agricoltura tradizionale. Il documento su cui si basa la gestione è stato discusso collettivamente in assemblee pubbliche e in rete e approvato a gennaio. E ora c’è sempre più bisogno anche di un riconoscimento formale, giuridico e definitivo di queste nuove pratiche di gestione collettiva che iniziano a delinearsi come la risposta a molte esigenze. Per esempio, una variegata rete di soggetti (agricoltori, artisti, produttori biologici e biodinamici, cittadini dei GAS, stu-
denti, tecnici, professionisti, giovani laureati) e associazioni si è federata a Firenze nel movimento Terra Bene Comune, con lo scopo di difendere il diritto all’accesso alla terra e di contrastare la vendita dei beni demaniali proponendo in alternativa l’affidamento in comodato di aziende agricole e terreni pubblici a giovani e soggetti della nuova “agricoltura contadina”.
E la Fattoria di Mondeggi è diventata ben presto il simbolo di questa lotta con il costituirsi in forma assembleare del Comitato verso Mondeggi Bene comune molto radicato anche nel territorio locale. L’Azienda agricola di Mondeggi-Lappeggi, situata nei rilievi collinari a sud est di Firenze nel comune di Bagno a Ripoli, è un bene di proprietà della Provincia di Firenze dall’inizio degli anni 60 del secolo scorso. La tenuta, appartenuta a nobili fiorentini come i Bardi, i Portinai, i Della Gerardesca è stata per un breve periodo anche di proprietà di un ente collettivo come lo Spedale di Santa Maria Novella. L’azienda è complessivamente di circa 200 ettari ed è composta approssimativamente da 12.000
olivi, da 22 ettari di vigne in parte da reimpiantare, da 60 ettari fra seminativi e pascoli, da 6 case coloniche e da una villafattoria con annesso parco storico di impianto ottocentesco. Dopo l’acquisto da parte della Provincia, era stato smantellato l’antico assetto poderale che vedeva nella villa la fattoria centro aziendale con funzione di coordinamento dei poderi. La riorganizzazione generale era stata fatta secondo i dettami dall’allora fiorente agroindustria e sta di fatto che la conduzione ha finito per produrre un indebitamento imponente e il degrado progressivo di un patrimonio paesaggistico di enorme valore. Poi la società è stata messa in liquidazione. Il comitato per Mondeggi Bene Comune ha da subito contattato la Provincia nell’intento di ottenere l’affidamento dell’intera azienda; è stata coinvolta la popolazione locale, le modalità di costruzione partecipata della decisione sono struttu-
rate in forme inclusive che coinvolgono tanto i futuri abitanti di Mondeggi – la Fattoria, un gruppo di quasi 40 persone che intende vivere e a lavorare nei poderi traendone sostentamento – quanto gli attivisti che partecipano al progetto e la comunità locale – organizzati nell’assemblea territoriale. Il progetto è articolato, spiegano gli stessi promotori, ma si fonda sull’idea che la reintroduzione dell’agricoltura contadina sia un vantaggio per tutta la società grazie ai servizi ecosistemici che produce, alla salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio insiti nelle forme della suo farsi, alla capacità di creare ricchezza localizzata con un mercati locali che ruotano attorno alla filiera corta e alla vendita diretta. L’agricoltura contadina è naturalmente multifunzionale con possibilità di sviluppare attività didattiche, sportive, turistiche, ricettive, artigianali e ludiche. Una delle primissime azioni dimostrative fatte dal comitato è stata la “festa per la raccolta delle olive di Mondeggi” con quasi
150 persone che hanno lavorato una giornata intera trovando il tempo anche per seguire lezioni di potatura. Il 50% dell’olio prodotto è andato a chi ha fatto la raccolta e il restante è stato redistribuito alla popolazione di Bagno a Ripoli. Nella tenuta si sono svolte affollate passeggiate progettanti, sempre aperte a tutta la popolazione, in cui i partecipanti, in base alle loro competenze, hanno espresso desideri e condiviso informazioni storiche, tecniche e agronomiche. Un’altra iniziativa è stata quella del riconoscimento e della raccolta delle erbe spontanee nelle terre di Mondeggi che ha visto la partecipazione di più di cento persone provenienti luogo massicciamente dal comune di Bagno a Ripoli. Ora si è aperta una fase delicata che vede tutto un paese coinvolto sulle sorti della fattoria perché sia evitata la vendita e venga data in gestione alla comunità. Il Cambiamento sostiene Mondeggi e la comunità che gli si è stretta intorno. di Redazione - il Cambiamento - 24 Marzo 2014
NO TAV
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PRESENTAZIONE VIDEO PER FESTEGGIARE
35 ANNI DELL’UNITÀ SPINALE DI FIRENZE L’Unità Spinale di Firenze è una realtà importante. E’ la prima Unità Spinale Unipolare realizzata in Italia ed è ritenuta una delle migliori anche a livello europeo. Essa copre le necessità di tutta la Toscana ed è riferimento anche per altre regioni italiane. Ogni anno nella nostra regione 70-80 persone subiscono traumi che comportano una lesione del midollo spinale, per infortuni sul lavoro, incidenti stradali o sportivi o altre cause. La lesione del midollo spinale comporta paralisi parziale o totale degli arti inferiori nei casi di paraplegia o di tutto il tronco e quindi anche delle braccia nel caso di tetraplegia. In Toscana sono oltre 1500 le persone con lesione midollare registrate Dopo una lesione midollare nelle Unità Spinali, attualmente, si ricevono le cure più appropriate, per la durata di 4-6 mesi per le paraplegie e di 8-12 mesi per le tetraplegie. E si avvia il processo di riabilitazione e reinserimento scolastico, lavorativo e sociale. Anche se non sarà, nella maggioranza dei casi, più possibile comminare, si può tornare a fare una vita attiva piena e la durata media della vita è aumentata fino ad avvicinarsi a quella media dei cittadini italiani. Prima però non era così. Gabriella smise di camminare a 13 anni, nel 1953. All’inizio degli anni ’60
senti parlare per la prima volta dell’Ospedale inglese di Stoke Mandeville dove curavano quelli come lei, dal Prof. Adriano Milani, fratello di Don Milani, di cui era segretaria. All’inizio della storia che questo video racconta, negli anni ’60 in Italia, la situazione delle persone con para e tetraplegia era disumana e drammatica, la durata prevista della vita, soprattutto per un tetraplegico, era brevissima. La cura negli Ospedali generali, dove venivano ricoverati, era inadeguata al punto che le piaghe erano considerate fisiologiche, le complicazioni urinarie e le infezioni inevitabili e la riabilitazione era inesistente ed erano costretti a
La resistenza delle donne nel ventesimo secolo Vorrei esporre qui alcune delle mie idee a proposito del comportamento delle donne del ventesimo secolo. Vorrei cercare di capire se gli uomini e le donne sono in guerra e quindi parlare delle eroine odierne. I loro problemi e il livello di degradazione in cui stiamo vivendo. Uomini sempre più misogini e donne purtroppo sempre più androgene. Parlando così di resistenza femminile della donna della porta accanto e dell’uomo, il “cocco di mamma” che sfrutta donne che si dividono tutti i giorni fra lavori fuori e quelli casalinghi. È stato stimato il lavoro domestico in circa settemila euro. Se vi aggiungiamo i mille e quattrocento euro del lavoro fuori casa, chi sposasse una tale donna sarebbe un milionario. Ma non finisce qui, ogni giorno leggiamo sul giornale delitti e violenze di tutti i tipi verso la donna, che, nonostante tutto, riesce a campare la famiglia anche da sola. Infatti, sembra che l’essere maschile è mancante di alcuni ormoni che gli impedirebbero di accettare di essere rifiutato. Per esempio, anche per le vip esistono le stesse regole, nessuno vuole essere mollato. Troviamo inoltre il fenomeno delle baby squillo che sono costrette a servizi molto spesso per mantenere la famiglia paterna e per il famoso guardaroba firmato. Credo che sia attualmente uno dei pochi lavori floridi più richiesti. Anche questo “mestiere” presenta rischi notevoli per l’incolumità della donna. Considerando i suicidi che in questo periodo storico avvengono per la mancanza di un lavoro, siamo veramente arrivati a un punto di non ritorno per una società democratica e umana. La resistenza delle donne nel ventesimo secolo.
Sisina
vivere in abitazioni con scale e barriere architettoniche e psicologiche spesso insormontabili. Altrimenti quello che il sistema offriva era la segregazione in grandi istituti religiosi, a vita. Le prime U n i t à S p i n a l i erano state create in Europa, in America ed in Australia n e g l i anni’50. In Europa la spinta fu data anche dall’incremento di persone con l e s i o n i midollari durante la seconda guerra mondiale e negli USA dopo la guerra in Vietnam. Gabriella, anche in seguito a complicanze per la sua salute che cominciavano a verificarsi, poté recarsi all’Unità Spinale dell’Ospedale inglese
di Stoke Mandeville, la prima costruita nel mondo, nel 1971, insieme a Beppe, che si era dovuto licenziare dal suo lavoro per pagare le spese con la liquidazione. La permanenza là si protrasse per oltre un anno. E qui comincia la storia illustrata nel video, dedicato appunto a Gabriella per le lotte che ha dovuto sostenere per molti anni insieme ai suoi compagni para e tetraplegici perché quanto di bene era stato là attuato potesse essere realizzato anche in Italia. Per questa lunga battaglia e per i risultati che ha ottenuto sono stati festeggiati i 35 anni dall’inizio della realizzazione dell’Unità Spinale di Firenze, la prima in Italia, che fu avviata diversi anni dopo l’inizio di questa lotta, dopo lo sciopero della fame di Gabriella ad Heidelberg in Germania nel 1979. Ora che i para e tetraplegici anche in Italia possono essere seguiti e curati adeguatamente e possono avere una durata della vita vicina a quella degli altri, con l’invecchiamento e con l’eventuale insorgere di patologie, all’Unità spinale devono potersi aggiungere altre strutture che per quella di Firenze si chiameranno “Casa Gabriella”. Questo però è l’inizio di un’altra lotta e di un’altra storia, di cui eventualmente parleremo un’altra volta.
Beppe Banchi
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SPECIALE RESISTENZE
Lettera dal carcere Orrori e resistenza nei nuovi giunti del femminile
Carcere - Lettera dal carcere delle il loro malessere psicologico con “invalidità al 100% destro. Ovviamente mentre era in infermeria viene sente male. Soffre di gastrite nervosa. Mi dirai che Vallette di Torino: orrori e resistenza nei neurologica”. Sono già state in diverse strutture OPG fatto il cambio cella per essere poi piantonata. non è una patologia così allarmante, sì se solo non ma ora giacciono qui nei Nuovi Giunti. Io non mi per- “Ovviamente”. Tutto ciò poteva essere evitato ascol- soffrisse di problemi cardiocircolatori. Ha già avuto nuovi giunti del femminile Stralci di una lettera dalle Vallette. (…) Mi trovo tutt’oggi ancora ai Nuovi Giunti. Sono stata trasferita il 22 luglio. Io come altre detenute, siamo al livello di non ritorno dalla quasi pazzia. In teoria nei Nuovi Giunti puoi starci massimo 15 giorni. Dopo svariati mesi da una petizione siamo riuscite a ottenere uno sgabello per cella, poter fare l’aria a uno stesso orario, e non come pecore da pascolo, o tappa-buchi quando le altre sezioni non scendono. Questo era un disagio non da poco. Una mattina alle 9, il giorno dopo alle 11 come veniva comodo a loro e quell’ora d’aria diventava una corsa per poter essere pronte all’improvviso. Questa situazione è da sempre insostenibile. Due ore d’aria e ventidue chiuse senza la possibilità di fare un’attività ricreativa. C’è una bellissima palestra inagibile. Abbiamo ottenuto di poter usufruire della doccia dalle 9 alle 11, orario in cui devi essere già pronta per la così sospirata ora d’aria. Alle 11 passa il vitto. Bene noi al nostro ritorno dall’aria alle 12 abbiamo nei piatti qualcosa di commestibile, di cui non si capisce la fattispecie, messa a giacere per un’ora fino al nostro ritorno in cella. Prima cosa non mi sembra molto corretto e igienico che io debba avere il vitto per un’ora dentro la cella senza neppur vedere cosa mi ci si mette dentro. Io personalmente ho un piccolo aiuto dall’esterno e vado avanti da più di tre mesi a yogurt e frutta. Ma chi non ha la possibilità di fare quel minimo di spesa si fa coraggio chiude gli occhi e butta giù. Le mie compagne mangiano degli alimenti con corpi estranei all’interno! Poi c’è il lusso della doccia dalle 13 alle 15. Alle 15 bisogna essere pronte per l’aria. Quindi in una sezione dove ora siamo 25 ma spesso si è 50 con 2 docce funzionanti e un lavabo bisogna fare coincidere tutto. Voglio puntualizzare che nelle celle non c’è proprio la predisposizione per l’acqua calda a differenza delle docce dove c’è un termostato per la temperatura a piacimento loro. Quello che potrebbe essere un piccolo ritaglio di relax diventa una vera e propria tortura per molte, direi quasi tutte. La temperatura priva di calore rende insostenibile il nostro livello di stabilità. Io personalmente faccio comunque la doccia seppur con la speranza che non mi si geli il cervello. Ma le mie compagne sono tutte comunque di un’età sulla cinquantina anche oltre puoi capire il loro disagio e impossibilità di lavarsi dignitosamente: si prendono a secchiate a vicenda prendendo l’acqua dal lavabo della doccia che è per lo meno tiepida. Potrebbero chiamarsi problematiche sorvolabili invece queste condizioni imposte rendono la nostra permanenza e sopravvivenza insostenibili a un minimo tenore dignitoso. Ho deciso di scrivere questa parte di lettera di sfogo perché vedo crollare la stabilità delle compagne sotto ai miei occhi! E mi sto quasi sentendo impotente a poter solo tendergli la mano. Ci sono detenute che andrebbero spostate in centri che possano aiutarle e non essere imbottite di terapia per non disturbare la quiete delle lavoranti “agenti-assistenti” con il continuo urlo straziante per
metto di chiudere la bocca a nessuno. Così per non sentire queste urla assordanti ho praticamente un trapianto di cuffie alle orecchie. Ho preso realmente coscienza che bisogna fare uscire al di fuori da queste mura la realtà vera, cruda delle carceri italiane. Perché lottando sole facciamo solo numero. Così da questa sera a un mese ognuna di noi farà da passaparola per fare girare la voce nelle carceri italiane. Il 4|12 alle ore 16 faremo una battitura. Nel giro di un mese credo che il passaparola sarà arrivato in tutte le carcere e chi ha la possibilità di mandarci giornalisti al di fuori di queste strutture da degrado, aiuterà a fare uscire oltre queste infinite sbarre il nostro grido di aiuto. Se una persona lotta da sola, resta solo un sogno, quando si lotta assieme la realtà cambia. Qualcuno dovrà pure darci ascolto! Siamo ancora prive di un contatto con il mondo esterno, prive di tv che potrebbe aiutare a distogliere la mente dai nostri pensieri. La posta potrebbe essere un po’ di zucchero per i nostri cuori ma anche lì abbiamo il lusso che ci venga consegnata “dal martedì al venerdì”, forse non avendo contatti con il mondo esterno non siamo a conoscenza che le poste italiane ora lavorano solo quei giorni. Ma non credo sia così. Dopo un mese dal mio trasferimento a questo penitenziario nuova disposizione: tutta la posta deve essere registrata al computer “quando ne hanno tempo”. Altrimenti come oggi seppur lunedì la posta vista da altre detenute non c’è stata consegnata. In prima sezione hanno fatto la battitura, noi nuovi giunti all’aria ci mettiamo sul piede di guerra: minacciamo di non risalire dall’aria. Così per azzittirci la nostra dignitosa ispettrice ci viene a dire che stanno registrando la posta. A chiacchiere: niente posta. Io personalmente una raccomandata l’ho firmata dopo 9 giorni dal suo arrivo! Non veniamo rifornite di niente: generi di prima necessità per l’igiene persona e quant’altro. Solo al nostro arrivo un rotolo di carta igienica, due piatti e due posate di plastica, uno spazzolino e un dentifricio con saponetta. Poi dopo aver dormito senza lenzuola coperte e cuscino se sei fortunato entro un paio di giorni dal tuo arrivo puoi ottenerle e poi niente più. E, mi ripeto, chi non ha un piccolo aiuto dall’esterno economico è privo di tutto. Non viene rifornito neppure dalla carta igienica. Ma per fortuna c’è la domenica di mezzo. Ci viene data gentilmente in regalo Famiglia Cristiana e molti giornali. E molte hanno trovato rimedio a scopo carta. Scrivo terra-terra sdrammatizzando ma siamo nel tunnel degli orrori. Prendendo atto di ciò che è accaduto il 31 ottobre ora do il libero sfogo. Abbiamo sollecitato più volte le assistenti di sezione di tenere sotto osservazione una nostra compagna da giorni in uno stato confusionale e, preoccupate per questa visibile instabilità, abbiamo solo richiesto che venisse applicato il loro ruolo: controllarci. Bene se questo fosse stato fatto con i tempi giusti oggi non ci si troverebbe in questa condizione. Bene siamo scese all’aria alle 15 e al nostro ritorno dopo più di un’ora che eravamo rientrate notiamo un’allarmante via vai di assistenti nella cella di questa nostra compagna. L’hanno trovata priva di sensi con entrambe le braccia tagliate da ferite importanti tanto da procurarsi la sutura di 19 punti al braccio sinistro e 24 al quella
tando le sue ragioni. Non volevano consegnarle la spesa della sua con ciellina uscita liberamente, che aveva fatto tanto di domandina per lasciare la sua spesa a lei. Domandina vista da vari assistenti e poi credo cestinata. Questa è stata la goccia che ha interrotto quel filo sottile della sua stabilità già offuscata. Anche qui sarebbe bastato ascoltare e controllare prima che succedesse l’accaduto. Malgrado piantonata, la stessa notte per la seconda volta ci è andata troppo vicina: si stava soffocando con la sua maglia, e per ritardare l’accesso alla sua cella di piantonamento ha tirato su la branda facendola incastrare nelle sbarre del blindo. Allora tiriamo fuori la realtà, la verità. Non credo che bisogna aspettare che uno sia sottoterra. Questo va ben oltre. Ieri è andata bene, se così si può dire, facciamo qualcosa. Aiutateci. Aiutiamo queste donne, figlie, madri. Per finire in bellezza la stessa notte una compagna si
un arresto cardiaco provocato da questi attacchi. Continuano a farle flebo e punture di “Contramal” per alleviare il suo dolore. Ma in sostanza con i problemi che ha aggrava solo le sue condizioni. Portandola tra le mie braccia di peso sino in infermeria è passata più di un’ora e mezza per fare intervenire la guardia medica. Bene. Io sono allibita da tutto ciò. Ma non smetterò di combattere per me e le mie compagne, il nostro grido di dolore è assordante ma non ci sente nessuno. La guardasigilli Cancellieri si sta muovendo per noi? Per la popolazione carceraria? Ma deve aiutare noi tutte, detenute dal degrado. Un grido di aiuto e un affettuoso saluto le detenute seconda sezione Nuovi Giunti.
M. Seguono le firme di 22 detenute
NO al fascismo, al razzismo, alla violenza, al sessismo SI alla democrazia, ai diritti, alla giustizia sociale, alla solidarietà sociale Quattro sì e quattro no per una cultura antifascista
Firenze, Sabato 5 Aprile 2014, Piazza Santo Spirito, dalle 15,30 alle 18,30 Interventi di Partigiani, e di Andrea Bigalli, Ornella De Zordo, Roberto Zaccaria, Simonetta Soldani musiche e canti: “AMMENTOS “ “ LEMUSIQUORUM “ “I Ribelli” reading- concerto di e con Chiara Brilli e Domenico Guarino; sonorizzazioni partigiane de “I FRATELLI ROSSI” hanno aderito ADINA, ALBA, ARCI, ASSOCIAZIONE ITALO-PALESTINESE, CGIL, COMITATO DIFESA COSTITUZIONE, COMMISSIONE PACE COM.FI, COMUNISTI ITALIANI, CUB/FI, FILO ROSSO, ISTITUTO ERNESTO DE MARTINO, LABORATORIO PER LA LAICITA', LIBERETUTTE, LE MUSIQUORUM, PARTITO DELLA RIFONDAZIONE COMUNISTA (PRC), PARTITO DEMOCRATICO METROPOLITANO, PERUNALTRACITTA’, QUARTIERE 1 RADIO CORA, REDAZIONE FUORI BINARIO, RETE ANTIRAZZISTA, SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' (SEL), SENONORAQUANDO, UDU STUDENTI, UNIONE SINDACATI DI BASE (USB)
SPECIALE RESISTENZE Storia della Stanzina dei Bambini in San Frediano Alla fine del 1980 un gruppo di anziani assieme agli allora operatori di strada, ebbero in concessione gratuita dal quartiere il giardino denominato “il mattonaio”, la stanza annessa e i locali dove ora risiede la redazione di Fuori Binario in via del Leone angolo P.zza Tasso, per crearci uno spazio di volontariato artigianale di manufatti in genere e la cui costruzione era da insegnare ai bambini del quartiere, la nuova generazione che proprio a quei tempi aveva bisogno d’essere allontanata da una piazza in forte degrado sociale. Questa associazione, non costituita ufficialmente (non registrata) venne chiamata “i puri”. Passarono circa una decina d’anni con grandi successi, ma le istituzioni cominciarono a richiedere la restituzione delle stanze sopra e quindi la produzione e le attività vennero concentrate nella stanzina a pianterreno
Questa la traduzione del testo sotto il riquadro con la sua foto: Il grande Angiolino, in questi anni insieme ai suoi collaboratori, insegna gratuitamente ai bambini di questa città a realizzare opere tradizionali, manuali, portando ai bambini felicità, la sua intenzione è di continuare ad insegnare questo mestiere che ormai va scomparendo.
e quando possibile nel giardino. Nel 1998 il Sig. Angiolino Pratellesi essendo arrivato alla pensione cominciò a frequentare lo spazio mettendo a disposizione la propria espe-
Traduzione della pagina interna della rivista: Per primo spiego che la bottega di Angiolino si può solo visitare e nel farlo si deve pensare ad un vecchio negozio. Questa bottega non ha apertura per la vendita in realtà è un laboratorio gestito da anziani per aiutare i bambini insegnando loro a fare burattini, lampade (come quelle cinesi) e carrozze. Tutte le belle cose che sono all’interno, sono state fatte dai bambini di questa città. In Italia ci sono sempre meno persone che lavorano in questo modo utilizzando saperi antichi, ci vuole forte interesse artistico e creativo per continuare, Angiolino lo dice mostrando i tanti capolavori fatti dai bambini. Sebbene tutto ciò non sia in vendita il solo ammirarli lì tutti appesi al soffitto e sugli scaffali ti rende piacere. Ed alla fine anche se non puoi possedere le opere, hai avuto l’occasione di vedere e conoscere gli artigiani che insegnano questa arte. Un esperienza che mi ha reso felice.
PAGINA 14 premier D’Alema. Nel 2003 fummo inseriti in una rivista cinese di Hong Kong con relative foto e commenti dell’attività svolta nella stanzina. L’ultimo personaggio a farci visita è stato il sindaco Renzi. Tanto successo ci venne dal fatto che ci si prestava volentieri a chi ne faceva richiesta per collaborazioni con gli asili nido durante le feste, organizzando natali con slitta, Babbo Natale, doni e dolciumi. Questo anche per altri istituti tipo: Sacro Cuore, Comunità educativa suore pie operaie di San Giuseppe, CTE Istituto privato di riabilitazione e molte altre realtà associative, con in più la partecipazione a manifestazioni di carnevale, rificolona e sportive. Nell’anno 2013 il Sig. Angiolino Pratellesi ha ricevuto una telefonata dal quartiere la quale con poche parole gli imponeva di riconsegnare le chiavi della stanzina poiché lo spazio serviva loro. Egli con forte sconforto, prima di riconsegnare le chiavi si premurò di scrivere una lettera raccomandata al sindaco Matteo Renzi chiedendogli di poter intervenire per non fare chiudere un esperienza valida sul territorio, la risposta non è mai giunta.
rienza e capacità. Passarono altri anni fino a che per volontà del Presidente di quartiere ci fu chiesto di regolarizzare e registrare la nostra associazione. Con la registrazione lo spazio prese il nome di “La stanzina dei Bambini” Dopodiché col passare del tempo il nostro lavoro assunse fama e ci furono le gradite visite del sindaco di Tutti uguali i politici. Bologna Cofferati, accompagnato dal nostro sindaco Domenici e dall’ex Angiolino Pratellesi Primicerio nonché del, a quel tempo,
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SPECIALE RESISTENZE
Storie di donne partigiane Mostra autoprodotta da Donn(ol)a LAB (http://donnola.u-lost.net) dal 25 aprile 2014 al.... ore 16,30-21,30 presso ...., Firenze
tagna, da quelle che nascondevano i subito dopo. Nel dopoguerra si assirenitenti a quelle che facevano azioni ste a una pesante normalizzazione, di sabotaggio e informazione. anche del ruolo delle donne. Da parte Partecipare alla lotta collettiva signi- delle forze moderate, certo, ma anche ficò per queste donne la possibilità di da parte della sinistra, Partito comurompere esplicitamente con i modelli nista compreso. La risposta, unitaria, femminili imposti dal regime (ma che fu l'invito a sacrificarsi, a tirarsi indieriproducevano una realtà di lunga tro. In realtà per tutti ma ancor più Questa mostra nasce dalla lettura di durata), di passare alla un libro, La Resistenza taciuta, dodici rivolta aperta, di essere vite di partigiane piemontesi, di alla pari con gli uomini Bruzzone e Farina. nella ricerca di una vita Il libro, uscito nel 1975 e ripubblicato nuova. Godere di autonodi recente, fu un "cult" del movimento mia di spostamento ed femminista degli anni '70, che rintrac- azione rappresentò per ciava nell'esperienza di queste donne loro il raggiungimento di che avevano combattuto un antece- uno spazio di libertà dente, una linea di discendenza fem- impensabile poco tempo minile a cui riallacciarsi e con cui con- prima. frontarsi. L'esperienza della Partendo da questo libro siamo anda- Resistenza, pur tragica, te alla ricerca di testimonianze e nar- fece scoprire loro la posrazioni di donne attive in quegli anni, sibilità di uscire da quei per cercare di dare voce a chi ne ha ruoli e spazi in cui le sempre avuta poca: donne, donne che donne erano chiuse, di si oppongono, donne del popolo, ope- vivere un'esperienza raie e contadine. totale che superava le Se vogliamo sceglierci delle madri ci barriere tra maschile e piace che siano donne ribelli. femminile, fu l'occasione Ci sembra importante e necessario per instaurare relazioni parlare oggi di resistenza. nuove tra uomini e Infatti qui ci troviamo, ancora a resi- donne, oltre che tra stere, a combattere contro poteri donne e donne. forti, reali e materiali. Che sono sem- L'esperienza della lotta pre gli stessi, ma che sono anche rende reale la possibilità diversi. di condividere, oltre un Le risposte che vanno cercate sono progetto comune di trametodi per destrutturare e distrugge- sformazione politica, re questi poteri, metodi efficaci. In anche nuove forme di questo senso la contrapposizione vio- riconoscimento e rispetlenza-non violenza ci appare essere to reciproco. un falso problema. Si sente dire spes- Le donne furono certaso che utilizzare metodi violenti signi- mente spinte all'azione fica diventare come il potere che si dall'odio per l'ingiustizia combatte. Le storie, i destini, le paro- e il fascismo, dalla lotta di le e il sentimento di queste donne classe, dalla volontà di sembrano smentirlo. Per loro agire è farla finita con l'invasiostata semplicemente una necessità. ne straniera, ma c'era in Forse è invece il ricercare potere più un profondo impulso quello che può rendere simili al pote- alla liberazione personare e far ritornare la ruota al punto di le. partenza. Se c'è qualcosa da mettere In quel breve periodo in in discussione nella storia del cui le donne erano pari Novecento, per quel che riguarda la agli uomini tutto cambianostra parte, non è questo problema va velocemente e la vita dei metodi più o meno violenti; è si inventava giorno per invece, secondo noi, la questione del giorno. La scelta era una potere, delle gerarchie, del centrali- scelta di vita, che comsmo e del partito a cui si deve obbe- portava un capovolgidienza, del militarismo, della necessi- mento di valori. Si poteva tà di avere dei capi, della delega e credere che quella libertà della rappresentanza. femminile sarebbe stata E tocca purtroppo ancora ribadire un segno della nuova che una cosa è la violenza del carnefi- società nata dalla lotta. ce e un'altra quella di chi si ribella alla E invece? carneficina. Come per molte altre Le donne parteciparono in molti modi cose del dopo, e invece alla Resistenza, dalle partigiane com- NO. battenti alle operaie che organizzava- L'incontro tra i generi no scioperi nelle fabbriche, dalle staf- che pareva possibile fette alle donne che preparavano cal- durante la guerra di libezini e cibo per chi combatteva in mon- razione sembra svanire
per le donne. Dopo la liberazione queste donne sembrano essere state dimenticate, taciute, vita pubblica e vita privata precipitano nella dimenticanza. "Alle staffette, nelle sfilate, mettevano la fascia da infermiera".
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Sociale o t ia
Periferie al 20
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APPUNTAmENTI
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ociazio As s n E ci siamo anche noi Fuori Binario, 20 anni di autogestione e autofinanziamento. Nel 1994 partita dall’albergo popolare la nostra “voce” dal basso è riuscita ad irrompere nella quotidianità della città, agli angoli delle strade, nei mercati, davanti ai grandi negozi, ognuno di noi offre la propria visione del momento. La città che ringraziamo di cuore, ha imparato a conoscerci, ad ascoltarci, ad aiutarci, rompendo quel filo di indifferenza che spesso distrugge i rapporti. Ci sono stati anche momenti di difficoltà sempre superati con la volontà di continuare, di non darsi per vinti, la nostra rivincita e resistenza verso una società poco attenta ai bisogni di tutte/i . Ad essa chiediamo, continuando il nostro lavoro, che la città venga vissuta come momento di aggregazione e scambio di culture, in libertà e spazi per ognuno. Grazie e sosteneteci
ONLUS
anni
Programma iniziativa 25 Aprile 2014 • Mattina ore 10.00 – 12.00 Stanzina dei bambini in Via Del Leone 62r – accanto alla Redazione di Fuori Binario
binario giornale di strada dei senza dimora autogestito e autofinanziato
Cento colpi e le sbucciature È la storia del “rosso” e del “voga”, del “lisca”, del “bomba”, del “secco”, di “renatino” e di tanti altri ragazzi che, nel crescere, vivono la Firenze degli anni Trenta, in pieno fascismo, e poi la Resistenza. Quest’ultima coincide con il divenire adulti: essere partigiani è per loro occasione di conoscenza e di incontro con persone appartenenti a classi sociali diverse, significa confrontarsi con idee anche lontane, ma capaci di trovare un linguaggio comune. Un’esperienza che li segna per sempre.
Incontro con: gli anziani del quartiere e i bambini dell’asilo Nidiaci Presentazione del libro: CENTO COLPI E LE SBUCCIATURE con la presenza dell’autrice Fulvia Alidori
Dalla prefazione a cura di Ornella De Zordo
Buffet aperitivo e poi vi consigliamo il pranzo con i partigiani in piazza Poggi • Pomeriggio a San Salvi c/o Chille De La Balanza - Città Aperta Ore 17.00: LA RESISTENZA TACIUTA: Mostra e testimonianze sulla Resistenza delle Donne Ore 18.30: Proiezione video: Gabriella Bertini e la storia dei 35 anni della prima unità spinale unipolare a Firenze e in Italia
La Redazione
[…] Sappiamo che ogni narrazione è sempre di parte, anche quando non lo si dice: la narrazione di Fulvia Alidori ha il pregio di essere autenticamente e dichiaratamente “partigiana”. Per questo è prezioso che sia stata scritta con tanta efficacia e che venga letta; soprattutto da chi per età è sempre più lontano dagli eventi che a lei sono stati direttamente raccontati e che generosamente ha voluto condividere con noi. Affinché la Storia non sia occultata e manipolata, affinché il passato non sia irrimediabilmente perso e perché vengano consegnati alle nuove generazioni gli ideali da cui nasce una democrazia. Oggi più che mai in grave pericolo.
San Salvi - Città Aperta (Via di San Salvi 12 - padiglione 16 Firenze) Prorogata l'esposizione a venerdì 11 aprile 2014
_mostra-79960308/1/#1 I Chille omaggiano un grande (sconosciuto) artista, recentemente scomparso: Francesco Romiti. In collaborazione con Dana ESSER UMANO Simionescu, ecco ESSER UMANO, mostra di disegni di Francesco Romiti e dipinti, largamente riferiti a volti umani. Ingresso libero. Romiti aveva alle spalle una vita avventurosa: figlio Dal lunedì al venerdì 9.30-12.30 / 15.30-18.30 di una famiglia di contadini arrivata a Firenze per lavorare nel giardino della Sinagoga, prima corse il rischio di una deportazione per errore e successivamente, ancora bambino, evitò il ricovero a San Salvi solo per la decisiva opposizione del padre; ed ancora, vedi i casi della vita, dopo uno strano e tardivo matrimonio (e con un figlio mai riconosciuto in vita), ormai anziano si innamorò di una donna rinchiusa proprio a San Salvi ed artista della Tinaia, luogo che frequentò in anni recenti. Dom 10.00-12.30 / 15.30-18.30 e in occasione degli Ma ancora più strana è stata la sua recente morte spettacoli serali. (novembre 2013), con un cadavere ridicolmente conhttp://firenze.repubblica.it/cronaca/2014/03/01/fot teso (ed abbandonato per oltre un mese) tra quattro o/l_artista_che_diceva_l_arte_non_si_vende_in
diversi comuni: Reggello, quello di residenza, San Giovanni Valdarno, dove vive la moglie, Montevarchi, il comune del figlio mai riconosciuto e Firenze dove Romiti è morto in ospedale. Romiti era nato il 1° marzo del 1933 e in questo stesso giorno i Chille e i suoi amici hanno deciso di aprire una personale delle sue straordinarie opere pittoriche, nella speranza che almeno da morto la sua Arte trovi una meritata collocazione: da non perdere i ritratti di visi umani, realizzati con una semplice penna biro su pezzi di carta, e ricavati dal retro di vecchi manifesti.
Venerdì 11 aprile ore 21.15 Incontro con PINO ROVEREDO in occasione dell'uscita del romanzo Ballando con Cecilia (Bompiani) Intervengono Roberto Leonetti, psichiatra – Direttore del dipartimento salute mentale Azienda Sanitaria 10 Firenze Simona Poli, giornalista – La Repubblica. Mise en espace del Laboratorio "Saper essere" della Scuola di Psicologia dell'Università di Firenze sui luoghi del disagio mentale oggi, liberamente tratto
anche dal libro ballando con Cecilia. Evento in collaborazione con Chille de la balanza Ingresso libero. Posti limitati. Si consiglia la prenotazione. Informazioni e prenotazioni tel. 055-6236195 mail info@chille.it