Donne in posizioni di carriera. Esotiche o già normalità?

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Donne in posizioni di carriera Esotiche o giĂ normalitĂ ? Convegno a Merano 17 novembre 2010


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Contenuti del convegno “Donne in posizioni di carriera – Esotiche o già normalità?”, mercoledì, 17 novembre 2010, ore 9.00-13.10, Ospedale di Merano, Sala conferenze, 3. piano, edifico Reha A cura di Comitato per le pari opportunità e la valorizzazione delle differenze di genere dell’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige Segreteria Via Karl-Wolf, 46 – 39012 Merano – Tel: 0473 /264884 In collaborazione con le relatrici Dott.ssa Barbara Poggio Mag.a Elisabeth Stögerer-Schwarz Mag.a Maria Moser-Simmill con la giornalista Susanne Pitro Dirigenza del progetto Ulrike Lösch, Comitato per le pari opportunità e la valorizzazione delle differenze di genere, Merano Traduzione Dott.ssa Cristina Algranati, Trento Controllo testi Dott.ssa Flavia Basili Dr.ssa Ruth Happacher Grafica fuoricittà graphics

@2011 tutti i diritti riservati


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Donne e carriera

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Ruth Happacher

Carriera tra uomini e donne

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Come superare la disparità? Barbara Poggio

Il soffitto di cristallo

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Donne e funzioni dirigenziali: desiderio e realtà Elisabeth Stögerer-Schwarz

Donne in posizioni dirigenziali

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Una realtà dal comune o una normalità? Maria Moser-Simmill

A proposito di percorritrici e di persone abitudinarie Susanne Pitr0

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Donne e carriera La carriera non è un concetto neutro: ciascuna/o di noi attribuisce ad esso, a seconda delle circostanze, aspetti positivi o negativi.

Per questo motivo sarebbe utile cercare altre parole: • avere successo • dare voce al proprio talento • potersi realizzare Ma anche: • affermarsi • essere in grado di dare indicazioni agli altri • non (dover) tenere più conto di Ruth Happacher Presidente del Comitato per le pari opportunità e la valorizzazione delle differenze di genere dell’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige

È soprattutto quest’ultimo aspetto del “fare carriera” che viene spesso criticato. In particolare le donne rifiutano tale comportamento e con ciò anche la carriera stessa. Ma la carriera è necessariamente connessa a questi aspetti negativi? Se si guarda in giro, si trovano esempi positivi di uomini e di donne, che pur progredendo professionalmente non rinunciano a quelle caratteristiche che contraddistinguono le persone di qualità. Naturalmente la carriera significa anche maggiori responsabilità: ciò può risultare spesso faticoso e scomodo, perchè non ogni decisione godrà del consenso da parte di tutti/e: è necessario avere coraggio. Chi ha però un obiettivo chiaro troverà questo coraggio e la forza necessaria a perseverare. Ogni donna (come anche ogni uomo) deve riuscire a scoprire il proprio scopo e capire cosa vuole ottenere dalla propria vita. Bisogna sapersi ascoltare, cercare esempi positivi e trovare, tra le numerose possibilità che, fortunatamente l’odierna società ci offre, quella giusta/ quelle giuste. Il risultato compenserà la fatica. Con il convegno sul tema “donna e carriera“, i cui risultati sono riassunti nel presente volume, il Comitato ha voluto creare una base di discussione. Vuole essere di stimolo per le donne della nostra Azienda, affinchè siano facilitate a fare carriera. Come si evince dai diversi contributi, gli ostacoli lungo questo percorso non si trovano solo dentro di noi, ma in gran parte anche all’esterno. Vanno perciò migliorati gli ordinamenti legislativi, ma soprattutto sono le resistenze dentro la nostra mente che devono essere superate.


5 Ăˆ chiaro che questi processi richiedono tempo, dobbiamo, però, metterli in moto. Tutti/e noi possiamo dare ogni giorno il nostro piccolo contributo al cambiamento secondo il proverbio: la goccia scava la pietra.


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Carriera tra uomini e donne Come superare la disparità?

Le organizzazioni lavorative sono contesti caratterizzati da molte diversità. Una delle più rilevanti è sicuramente quella di genere. Con il termine “genere” mi riferisco non alle differenze biologiche tra donne e uomini, ma alle differenze socio-culturali che – sulla base di corpi diversamente sessuati – vengono progressivamente costruite nel corso della vita e riprodotte nelle pratiche e nelle interazioni quotidiane, dando luogo a situazioni di asimmetria in diversi ambiti. Nonostante la presenza delle donne nel mondo del lavoro sia progressivamente aumentata negli ultimi decenni, continuano tuttavia a permanere diverse asimmetrie. Tra queste richiamerei in particolare la persistenza di fenomeni di discriminazione (nei processi di selezione, nei livelli retributivi... ), di segregazione orizzontale e verticale, ma anche l’emergere di nuove disuguaglianze legate ad esempio alla diffusione di forme di lavoro atipico e di condizioni di precarietà, che vedono un’incidenza maggiore nella componente femminile. Anche laddove vengono adottate misure mirate a supportare la presenza femminile nel mercato del lavoro, favorendo la conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, si rileva l’emergere di fenomeni di riproduzione delle disuguaglianze, perché Barbara Poggio Ricercatrice Università degli Studi di Trento

molto spesso gli strumenti di conciliazione (come ad esempio il part-time) sono visti come alternativi alla carriera professionale. L’asimmetria di genere nel mercato del lavoro ha dei costi rilevanti per la società. In primo luogo dal punto di vista dell’equità, in quanto lede il principio di parità tra donne e uomini, alla base dei moderni regimi democratici. In seconda istanza dal punto di vista dell’opportunità, in quanto riduce i vantaggi derivanti dal confronto e dalla collaborazione tra persone portatrici di diverse istanze e specificità, che dovrebbe rappresentare un obiettivo imprescindibile soprattutto in contesti in cui l’attenzione alla diversificazione dei bisogni dell’utenza è un fine organizzativo. Infine, va richiamato l’argomento dell’utilità, in quanto l’asimmetria genera una perdita di efficacia, privando il sistema del contributo di una parte consistente delle sue risorse. Per spiegare l’esistenza e il permanere delle asimmetrie di genere, sono state adottate molteplici chiavi di lettura, che hanno concentrato la loro attenzione su diversi aspetti. Alcuni approcci hanno evidenziato l’esistenza di differenze funzionali tra uomini e donne, partendo dal presupposto che la differenza fisica tra uomini e donne si riflette in una differenza funzionale, che li rende cioè adatti a svolgere ruoli e compiti diversi. Altre spiegazioni sottolineano invece


7 i vincoli socio-strutturali che ostacolano la possibilità di sviluppo professionale e di carriera delle donne. Ci sono poi letture che si sono concentrate sull’impatto della socializzazione primaria sulla costruzione di diversi tratti di personalità tra uomini e donne, come l’assertività rispetto alla relazionalità, che godono poi di diversi riconoscimenti nei contesti lavorativi. I contributi più recenti si sono invece concentrati sugli aspetti culturali, guardando al genere come ad un costrutto culturale e relazionale, qualcosa che viene costruito attraverso interazioni sociali situate all’interno di specifici contesti organizzativi. Porsi in questa prospettiva significa focalizzare l’attenzione sui sistemi di significato (simboli, valori, norme, discorsi, narrazioni, ecc.) utilizzati dai membri delle organizzazioni non solo per interpretare, ma anche per produrre e riprodurre le differenze tra uomini e donne. Il focus si sposta dunque alle interazioni e alle pratiche sociali che hanno luogo nelle organizzazioni. Il genere non viene visto come qualcosa di esterno alle organizzazioni, ma piuttosto come qualcosa che si produce nelle organizzazioni stesse, attraverso i modelli di gestione organizzativa, tramite le relazioni tra i membri dell’organizzazione. Questi diversi modi di interpretare le asimmetrie di genere hanno implicazioni dirette sulle soluzioni adottate per contrastarle. Se infatti il problema è vi-

Occupanti per settore economico e sesso (Provincia autonoma di Bolzano, 2008)

Maschi = 134.800

8,8% Agricoltura

34,1%

57,1%

Industria

Servizi

Media annua – Composizione percentuale

Femmine = 100.500

84,7%

5,6%

Servizi

Agricoltura

9,7% Industria

Fonte: astat 2009


8 sto come legato all’esistenza di un gap femminile rispetto al modello maschile, dovuto al diverso investimento familiare delle donne, la risposta sarà quella di equipaggiare le donne, puntando ad una sorta di omologazione rispetto agli uomini, prevalentemente attraverso iniziative di carattere formativo per rinforzare le conoscenze o le competenze di cui sembrano essere scarsamente attrezzate. Se l’interpretazione si concentra sui fattori strutturali, gli interventi punteranno invece a ridefinire gli equilibri numerici tra donne e uomini nei luoghi decisionali (ad esempio attraverso le quote) o a supportarle nella gestione dei carichi e delle responsabilità di cura, al fine di promuovere non tanto la parità formale, ma piuttosto condizioni di pari opportunità. Se la chiave di lettura dominante è quella della socializzazione primaria, le soluzioni saranno invece mirate alla valorizzazione della differenza, o meglio della diversity, attraverso una accurata gestione organizzativa che sappia mettere a frutto le diverse specificità (a volte però con il rischio di consolidare vecchie disuguaglianze, o di crearne di nuove). L’ultima opzione, più complessa, ma anche più efficace, è invece quella di agire

Dipendenti pubblici dell’Azienda Sanitaria (a) per qualifica funzionale e sesso (2008)

Valori assoluti Posizione funzionale Maschi Femmine Rapporto di lavoro

3 4 5 6 7 8 9 e più (b)

266 458 202 140 571 63 709

660 916 766 1.212 443 642 343 478 3.430 3.959 50 111 499 1.127

Totale

2.409

6.191 8.445

Distribuzione percentuale

Fonte: astat

3 4 5 6 7 8 9 e più (b)

28,7 37,4 31,3 29,0 14,3 55,8 58,7

71,3 98,9 62,6 99,0 68,7 99,5 71,0 99,0 85,7 99,0 44,2 98,2 41,3 93,3

Totale

28,0 72,0 98,2

(a) Esclusi gli assunti con contratto di diritto privato ed i supplenti (b) Sono compresi anche i dipendenti dei livelli dirigenziali ed i medici


9 Occupanti part-time per sesso (Provonica autonoma di Bolzano, 1998-2008) – Percentuale sugli occupanti

Maschi Femmine 23,1

3,0

23,9

2,5

32,8 26,8

28,9

3,2

2,9

34,4

36,2

37,7

35,9

37,2

28,5

3,0

3,2

4,0

4,1

4,1

5,0

4,8

1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Dipendenti a tempo parziale e unità di lavoro a tempo pieno per sesso nelle amministrazioni locali (a) – (2008) Situazione al 31.12. Dipendenti a tempo parziale (b) Unità di lavoro a tempo pieno (c)

Amministrazioni

Azienda sanitaria

Maschi Femmine Totale

73

2.840

2.913

Maschi Femmine Totale

2.384 5.123

7.507

sulla leva culturale, intervenendo sulle pratiche di genere, ovvero sui modi in cui il genere viene costantemente riprodotto, da donne e uomini, nella quotidianità del lavoro, nelle regole informali delle interazioni organizzative. Tra le azioni che possono rivelarsi di maggiore efficacia per incidere sugli orientamenti culturali si possono segnalare in particolare: •

la realizzazione di percorsi formativi finalizzati non tanto a potenziare le competenze delle donne, quanto piuttosto a favorire una maggiore consapevolezza dei modelli culturali dominanti ed una loro ridefinizione da parte dei diversi attori organizzativi;

l’adozione di interventi mirati a promuovere una ridefinizione dei modelli di organizzazione dei tempi, che riconosca cittadinanza ad altri ambiti vitali sia per le donne che per gli uomini, favorendo una più efficace conciliazione tra vita personale e lavorativa (flessibilità oraria, servizi timesaving, congedi di cura);

lo sviluppo di interventi organizzativi mirati a modificare pratiche che hanno implicazioni discriminanti all’interno dei contesti di lavoro (rivedere i sistemi di reclutamento, favorendo criteri di merito anziché di affiliazione, così come i modelli premianti basati sulla disponibilità di tempo a favore di modelli più basati sul conseguimento degli obiettivi);

Fonte: astat 2009


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la progettazione di strumenti e politiche di conciliazione non destinati in via prioritaria alle donne, con il rischio di riprodurre le tradizionali aspettative ed asimmetrie di ruolo, ma anche, e magari soprattutto, agli uomini, in modo tale da sfidare e mettere in discussione i modelli dominanti;

lo sviluppo di dispositivi mirati a mettere in luce l’impatto di genere di scelte organizzative e politiche, come ad esempio il gender budgeting e il gender auditing, che consentono di misurare le ricadute di genere, in termini economici ed organizzativi, dei comportamenti gestionali, e l’analisi dei costi di non parità, che permette di mettere in evidenza i costi effettivi di politiche gestionali poco sensibili alla questione delle differenze di genere;

la promozione di azioni di sensibilizzazione mirate a scardinare le tradizionali attribuzioni di ruolo sia a livello organizzativo che sociale, come ad esempio le campagne pubblicitarie per incentivare l’utilizzo dei congedi parentali da parte dei padri, favorendo così una ridefinizione dei ruoli e delle aspettative di genere, sia nelle famiglie che nelle organizzazioni.

Visto il forte radicamento dei modelli culturali di genere nell’agire organizzativo, si tratta certamente di interventi ambiziosi, di non facile realizzazione e spesso osteggiati da significative resistenze, ma che rappresentano certamente la strada maestra per apportare effettivi e duraturi cambiamenti nelle pratiche di genere delle organizzazioni.

Riferimenti bibliografici Gherardi S., Poggio B. Donna per fortuna, uomo per destino, Etas, Milano, 2003 Poggio B., Murgia A., De Bon M. Interventi organizzativi e politiche di genere, Carocci, Roma, 2010 Nota Ulteriori materiali sono disponibili sul sito www.unitn.it/gelso


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“Penso che il maggiore ostacolo sia ancora nelle teste delle persone che associano i compiti dirigenziali al sesso maschile.� Britta Venturino, direttrice dell’Ufficio legale del Comprensorio sanitario di Merano


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Il soffitto di cristallo Donne e funzioni dirigenziali: desiderio e realtà

La buona notizia: Negli ultimi anni le donne hanno guadagnato moltissimo terreno ed i maggiori successi di parità sono stati raggiunti nel settore della formazione. Ma vi sono anche notizie meno buone: le ragazze e le giovani donne continuano a concentrarsi in pochi settori professionali tradizionalmente molto femminili, sia nell’apprendistato che nello studio. E nonostante il fatto che le ragazze abbiano maggiore successo scolastico ed universitario e che le donne rappresentino il maggior numero di studenti/studentesse universitari/e, nelle posizioni al vertice sono ancora molto rare – in tutti i settori: politica, economia, nelle scienze. Ci sono quindi donne con una buona ed ottima formazione, ma ai vertici dirigenziali sono presenti in dosi omeopatiche.

Nonostante i successi di parità - proprio a livello legislativo - sono preElisabeth Stögerer-Schwarz Dipartimento donne e pari opportunità regione Tirolo (A)

senti ancora molti concetti stereotipati nelle nostre menti per ciò che riguarda il comportamento conforme al genere: • È consolidata una suddivisione tradizionale del lavoro (familiare) secondo cui è la donna che si occupa della famiglia ed è quindi responsabile della cura della prole, dei parenti malati ed anziani. Il problema della conciliazione è quasi esclusivamente delle donne e non è suddiviso tra i due genitori. • Mentre lo stipendio delle donne è solo “uno stipendio aggiuntivo” per la famiglia, agli uomini viene ancora riconosciuto il ruolo di curare il sostentamento della famiglia. I ragazzi programmano la loro carriera professionale più a lungo termine, perché partono dal presupposto di lavorare per tutta la vita. Le ragazze prendono già in considerazione delle fasi in cui si dedicheranno alla famiglia, quindi fin dall’inizio prevedono di rinunciare alla carriera professionale per la famiglia / la prole. • I modelli comportamentali vengono appresi e rafforzati con l’educazione: nella loro educazione i maschi vengono stimolati a rischiare ed ad essere ambiziosi, mentre nelle ragazze viene lodata la diligenza e la riservatezza. Questi modelli vengono mantenuti anche nell’età adulta. • Inoltre vengono attribuite al genere qualità personali: agli uomini vengono ad esempio attribuite delle forti qualità di leadership, mentre le donne vengo-


13 no associate soprattutto alle competenze assistenziali e di cura, i cosiddetti “soft skills“.

Conclusioni Devono cambiare i concetti nella mente delle persone ed il modo di rapportarsi gli uni agli altri. Per fare questo è necessario rompere gli stereotipi consolidati. Gli stereotipi di genere sono considerati come uno dei fattori chiave che sbarra la via alle donne. Le aziende sprecano risorse umane se valutano le persone in base al loro genere e non in base alle loro prestazioni. Anche la Commissione Europea fornisce delle indicazioni strategiche per inserire più donne negli organi decisionali. La diseguaglianza di trattamento tra donne e uomini costituisce una violazione dei diritti umani. Inoltre, per il settore economico, questa discriminazione ha come conseguenza l’impossibilità di sfruttare appieno il proprio potenziale e la perdita di preziose competenze. La promozione della parità tra uomini e donne è vantaggiosa sia per l’economia, che per le singole imprese. Le donne sono importanti “Stakeholder” ovvero centri di interesse di un’impresa come clienti, collaboratrici, fornitrici ed in quanto tali devono essere rese partecipi delle decisioni e quindi partecipare alla direzione dell’impresa, visto che è nei vertici dirigenziali che vengono prese le importanti decisioni strategiche, economiche e relative al personale, di fondamentale importanza per il futuro dell’impresa. La diversità nella composizione degli organi decisionali, cioè soprattutto la visibile presenza, in maniera rilevante, di donne, è un importante fattore di successo.

Campi d’azione per i cambiamenti Strumenti per aumentare la percentuale femminile: 1. Quote rosa (soprattutto in politica): previste per legge o auto-imposte, le quote sono molto utili per raggiungere un cambiamento veloce. Le quote non sono eleganti, ma efficienti; però come unico strumento non garantiscono il successo. Vanno accompagnate da altre misure. È altresì necessaria una tradizione politica di tipo paritaria e che sia radicata nella rispettiva società. 2. “Codici di Corporate Governance“ sono misure di autoregolazione volontarie per le imprese in generale ed obbligatorie per le imprese quotate in


14 borsa nei rispettivi paesi. Se non è possibile ottemperare alle singole clausole del codice (ad esempio quota rosa), va motivato. 3. Regolamentazioni legislative: • Leggi sulla parità di trattamento • Nel diritto societario: la Norvegia ha inserito nel diritto societario una quota rosa per il consiglio d’amministrazione ed ha attuato questa norma in modo coerente.

Ulteriori provvedimenti: • Programmi di mentoring; • Permettere alle donne pari accesso alla formazione all’interno dell’azienda; • Non svantaggiare la carriera di donne e di uomini con compiti assistenziali / rendere possibile incarichi dirigenziali in regime di part-time; • Sostenere l’orientamento verso la carriera delle donne e facilitare le pari opportunità nella progressione professionale: programmazione della carriera professionale, modelli funzionali/ modelli di ruolo, coaching; • Procedure di selezione delle posizioni dirigenziali trasparenti e bandi neutrali rispetto al genere; • Rendere visibili le prestazioni / le competenze delle donne ad esempio conferendo onorificenze, fare pubblicità, lobbying; • Istituire banche dati; • Porre l’attenzione nella nomina e nell’affiancamento dell’incarico di componenti delle commissioni ad una equilibrata partecipazione di donne e uomini; • Programmi di sostegno alle donne; • “Empowerment” delle donne.


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“Oggi è diventato sicuramente più difficile per le donne raggiungere una posizione dirigenziale rispetto a quanto lo era 10 o 20 anni fa.” Agnes Mayr, primaria dell’Ospedale di Brunico


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Donne in posizioni dirigenziali Una realtà fuori dal comune o una normalità?

A prima vista l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige è un azienda con una forte presenza femminile. Nel settore amministrativo, assistenziale ed anche nei servizi medici la dominante presenza femminile è evidente. Complessivamente quasi tre terzi degli impiegati sono donne. Bisogna dare una seconda occhiata ovvero leggere le statistiche, per vedere come le funzioni dirigenziali e decisionali siano distribuite in modo “diseguale” tra donne e uomini: più del 60% delle posizioni dirigenziali nell’azienda sono occupate da uomini, meno del 40% da donne. Questo squilibrio tra i sessi cresce con l’aumentare del livello professionale e della gerarchia delle posizioni. (vedi tabella sottostante)

Donne in posizioni dirigenziali nell’Azienda sanitaria (dati dell’azienda, 2009)

dirigente sanitario/a di strutture complesse 12 dirigente sanitario/a di strutture semplici

Uomini Donne

114

35

coordinatrici / coordinatori

115 172

62

direttrici / direttori 10 9 di ripartizione

Personale dirigenziale suddiviso per sesso nel settore della sanità Le strutture complesse nel settore medico sono dirette per meno del 10% da donne. Qui si vede in modo evidente come la gerarchia dei gruppi professionali e la suddivisione storica tra i compiti di uomini e donne, si siano riprodotte nel-


17 le categorie professionali (personale medico = uomini, personale assistenziale = donne). Dagli anni 80 questa suddivisione sta subendo forti cambiamenti. Nel frattempo la percentuale di donne che si laureano nelle discipline mediche è tra il 50 ed il 70%. Ma nelle posizioni dirigenziali, al vertice dell’Azienda sanitaria, e nell’amministrazione la presenza femminile diventa rara, ovvero le donne rappresentano ancora un’eccezione. Sussistono quindi ottime ragioni per analizzare i motivi e le cause alla base di questi dati statistici. Perché non è una “normalità” che le donne siano rappresentate in modo corrispondente alla loro percentuale numerica ed alla loro qualificazione professionale anche nelle posizioni dirigenziali? I tentativi per spiegare questo fenomeno e le giustificazioni sono numerose e molto diverse tra loro. Resistono con tenacia i pregiudizi che cercano di giustificare questo “squilibrio” come “normale” o “naturale”.

Motivi per la disparità di genere a livello dirigenziale: pregiudizi o realtà? 1. “Le donne non sono interessate ai compiti dirigenziali o dispongono di minori presupposti professionali o personali rispetto agli uomini”, questo è uno dei tentativi di spiegazione e giustificazione preferiti. 2. Lo squilibrio è cresciuto storicamente e cambierà in modo quasi automatico, nella misura in cui le donne si affermeranno nel settore medico. 3. Nella carriera professionale femminile la creazione di una famiglia e le difficoltà a conciliare la famiglia ed il lavoro fungono da criteri “knock-out” nel tentativo di accedere a compiti dirigenziali. 4. “I compiti dirigenziale sono connotati al maschile” – Le funzioni dirigenziali sono collegate quasi istintivamente al sesso “maschile” e sussistono delle “barriere d‘accesso” (formali o informali) nei bandi, nei concorsi o al momento della nomina per mantenere questo stato “naturale”. Questi pregiudizi e queste supposizioni sono stati studiati e valutati nell’ambito di una ricerca sul tema “carriera delle donne nell’Azienda sanitaria”. Circa 250 dirigenti donne dell’Azienda sanitaria sono state intervistate tramite questionari ed interviste personali per rilevare informazioni sulla motivazione per la propria carriera dirigenziale, sulle esperienze vissute nello svolgere i compiti dirigenziali e sugli ostacoli che hanno incontrato nell’azienda in quanto donne.

Maria Moser-Simmill Consulente di organizzazione e di gender, Linz (A)


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Nel corso del convegno i primi risultati sono stati oggetto di discussione: Le donne vogliono partecipare allo sviluppo e si sentono responsabili. Quali sono state le motivazioni delle donne intervistate ad assumere una posizione dirigenziale? Le più citate sono state: il desiderio di partecipare maggiormente e di influire sullo sviluppo dell’azienda, inoltre, il piacere di condurre collaboratrici e collaboratori e di lavorare in team ed infine la disponibilità ad assumersi maggiori responsabilità. Un ruolo minore hanno avuto le considerazioni di natura economica o le intenzioni di fare carriera ovvero il miglioramento dello status sociale che consegue ad una posizione dirigenziale (“desiderio di carriera”). Da altre indagini si sà che queste ultime motivazioni hanno un ruolo molto più importante per gli uomini per spingerli a candidarsi per una posizione dirigenziale. Le donne contribuiscono da sole al loro “empowerment”. Contrariamente ai preconcetti dominanti, le dirigenti intervistate si sono preparate sia personalmente che professionalmente al loro compito dirigenziale, hanno avuto esperienze pratiche sufficienti e nella fase iniziale hanno ricevuto sostegno dalle colleghe e dai colleghi. Hanno acquisito la necessaria qualificazione per i compiti dirigenziali tramite corsi di management e la possibilità di fare adeguate esperienze nella fase iniziale, lavorando in modo auto-responsabile ed autonomo e costruendosi in questo modo la necessaria sicurezza e competenza professionale. Le donne hanno goduto sostanzialmente in misura minore del sostegno mirato da parte dei superiori o delle reti sociali dominate dagli uomini, rispetto a quanto accade nel caso di dirigenti uomini. Per adempiere ai loro compiti dirigenziali e per rispondere alle esigenze che la loro posizione richiede, le donne intervistate puntano molto sulla formazione e sullo scambio (informale) con gli altri dirigenti e con colleghe e colleghi. Alcune dirigenti si rammaricano dell’assenza di un periodo di inserimento al lavoro e della carenza di riconoscimento o, detto in altre parole, dei pregiudizi dei dirigenti e colleghi uomini. Il “dover dimostrare come donna in una posizione dirigenziale di valere il doppio”, non è ancora un fenomeno del passato nemmeno nell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige. Le dirigenti hanno formulato vari punti di partenza e suggerimenti su come organizzare nel modo migliore e più efficiente i compiti manageriali. Alcuni vengono citati in seguito come esempio: • “Maggiore sostegno da parte del management, ad esempio grazie ad una migliore politica di informazione sull’orientamento strategico, la parteci-


19 pazione agli accordi sugli obiettivi da raggiungere, un appoggio al raggiungimento degli obiettivi ed un miglioramento della qualità”, renderebbero i compiti dirigenziali più facili. “Compiti ed obiettivi ben definiti, una migliore collaborazione tra le persone di contatto interno, come ad esempio la direzione medica, maggiore flessibilità nella pianificazione dell’impiego delle risorse”, sono elementi ulteriori che renderebbero più semplici i compiti delle dirigenti. • A prima vista questi suggerimenti non sono specifici rispetto al genere, bensì indicano un potenziale di ottimizzazione dei processi organizzativi. Nell’analisi del comportamento dirigenziale femminile si osserva spesso che “le donne reagiscono in modo più sensibile e con concrete proposte di miglioramento ai difetti del sistema”, risultato che trova riscontro anche nel sondaggio sulle dirigenti nell’Azienda sanitaria. Le donne interpretano il loro compito manageriale ed il loro ruolo di guida tendenzialmente (senza voler generalizzare!) in modo più concreto, sono più orientate all’obiettivo ed all’efficienza e meno allo status rispetto agli uomini. Per assolvere meglio i compiti manageriali, le donne puntano di più rispetto agli uomini a strumenti di supporto come il coaching personale, la supervisione e lo scambio con colleghe e colleghi in circoli di qualità.

Un/a buon/a dirigente ha qualità di leadership Le “qualità” fondamentali che determinano un/a buon/a dirigente nell’Azienda sanitaria vengono definite, sulla base dell’esperienza personale come dirigente o anche grazie all’esperienza di collaborazione, in modo molto univoco e citando le classiche qualità di leadership come le ”competenze sociali e comunicative”, “essere in grado di voler promuovere, motivare, appoggiare collaboratrici e collaboratori”, “saper imporre le proprie idee ed essere orientati ad uno scopo (avere una visione), “essere in grado di gestire conflitti e di prendere decisioni”, inoltre “fungere da esempio ed essere autentici”. Molte delle donne intervistate lavorano quali dirigenti da più di 10 anni. Alcune di esse si sono inserite in settori che erano di dominio prettamente maschile. I settori in cui le donne erano una rarità sono soprattutto il settore medico, la direzione di strutture complesse ed il management amministrativo. “Più normale” si riteneva la posizione dirigenziale nei settori tradizionalmente dominati da donne come quello assistenziale. Le funzioni delle coordinatrici/ dei coordinatori assistenziali vengono definite come “estremamente impegnative e piene di sfide”, ma sono meno remunerative dal punto di vista economico rispetto ad altre funzioni dirigenziali.


20 La percezione nei riguardi del proprio ruolo “fuori dal comune” può essere descritta come contraddittoria. È evidente che le donne intervistate ritengono indifferente il fatto di vivere il proprio ruolo dirigenziale come uomo o come donna. Al contempo, però, in molti casi si vedono confrontate con una percezione ed una cultura dirigenziale che ha/aveva caratteristiche paternalistiche e che praticamente nega al genere femminile la competenza di svolgere un incarico dirigenziale in quanto tale (le poche dirigenti venivano accettate come eccezione alla regola). Che questa interpretazione del ruolo dirigenziale e questa prassi culturale siano sempre meno efficienti ai fini della professionalizzazione dell’organizzazione e non corrispondano alle esigenze di un moderno management delle aziende sanitarie, è un’altra questione. Lo sviluppo demografico ed il numeroso accesso delle donne nel settore medico, rendono più realistica la previsione, che le donne occuperanno, in futuro, maggiori posizioni dirigenziali. Ciò però non avverrà in modo “automatico”. Dipenderà da come l’organizzazione in toto sarà in grado di sviluppare in modo mirato il potenziale delle donne per i compiti dirigenziali e di sfruttarlo, smantellando i meccanismi di esclusione culturali e storici. Se in futuro non dovesse essere possibile sfruttare questo potenziale, si renderanno carenti le risorse qualificate dotate di personalità dirigenziali. “Quali sono i motivi, quali sono le barriere principali che determinano la bassa percentuale di donne all’interno del gruppo dirigenziale dell’Azienda sanitaria e quali provvedimenti potrebbero essere attuati, dal punto di vista delle dirigenti, per aumentare la percentuale di donne in posizioni dirigenziali?” Nelle interviste e nei questionari abbiamo chiesto alle donne di evidenziare altre cause e di segnalare soprattutto gli ostacoli. La grafica presentata alla fine del testo mostra in modo chiaro i risultati: una grande parte delle intervistate ritiene in modo assoluto che le donne soddisfino i presupposti per occupare una posizione dirigenziale. Anche la mancanza di autostima o il minore riconoscimento da parte dei colleghi viene considerata come una causa da meno della metà delle intervistate. Però circa la metà ritiene che, in fase di concorso, gli uomini vengano privilegiati più spesso. La stessa percentuale ritiene che le donne siano meno interessate a funzioni dirigenziali rispetto agli uomini. Una percentuale molto alta (circa il 70-75% delle donne intervistate) concorda con l’affermazione, che le donne siano meno motivate e sostenute a candidarsi per un incarico dirigenziale, ovvero che gli uomini abbiano maggiori possibilità di qualificarsi per posizioni dirigenziali. Se da un lato la maggior parte delle intervistate non mette in dubbio l’autostima generale delle donne, il fatto che, dall’altro, una grande parte delle intervistate creda che “le donne si sentano meno capaci rispetto agli uomini a svolgere compiti dirigenziali” nelle interviste viene motivato con “una maggiore tendenza delle donne al perfezionismo”, una minore “facilità a gestire i conflitti” ed un minore interesse alle “competizioni maschili”.


21 L’insoddisfacente conciliabilità tra vita familiare e attività professionale rappresenta l’impedimento maggiore alla carriera femminile nell’azienda L’impedimento maggiore ad una carriera dirigenziale, è visto nella responsabilità per gli impegni familiari: il 90% delle intervistate ritengono che questo sia il motivo fondamentale, cioè rappresenti la barriera e la limitazione primaria per le donne nel concorrere a posizioni dirigenziali. I motivi dello squilibrio tra i sessi a livello dirigenziale sono certamente di natura complessa e comprendono una serie di fattori che si influenzano negativamente l’uno con l’altro. Ma quelli sembrano essere le barriere strutturali – come “l’impossibilità di conciliare la vita familiare con la carriera professionale” - e la connotazione della “funzione direttiva” come maschile e come una normalità nella concezione del ruolo maschile. Da un lato mancano esempi positivi di questo ruolo per le donne, i presupposti istituzionali e le condizioni (come la possibilità di raggiungere una work-lifebalance nell’ambito della suddivisione del lavoro tra donne e uomini), dall’altro le donne si danno priorità di vita differenti (i progetti di vita femminile mirano maggiormente alla qualità della vita e all’equilibrio, che non al “potere ed alla carriera”). Credere in se stessa e nelle proprie capacità Come le barriere citate sono, però, numerosi anche i consigli e gli spunti positivi, da parte delle dirigenti intervistate, alle giovani colleghe qualificate ed avviate verso una posizione dirigenziale. Tra questi vi sono l’esortazione ad “una continua formazione e alla frequenza di corsi manageriali”, lo sviluppo di “reti e di contatti utili alla carriera”, “l’avere maggiore fiducia nelle proprie competenze e rendere maggiormente noto il proprio rendimento”, il perseguire in modo mirato il proprio obiettivo e “l’abbandonare gli usuali ed acquisiti schemi comportamentali femminili”, “il mostrare coraggio nell’affrontare nuove sfide”, “il darsi anche la possibilità di fallire”, “il non dover compiacere tutti puntando, a volte, anche sul confronto”. Accanto all’empowerment individuale, l’appoggio reciproco ed il credere nelle proprie capacità, saranno, però, necessarie anche una serie di misure istituzionali. Punti di partenza per un programma diretto ad aumentare la percentuale di donne in posizioni dirigenziali: Se in futuro si vuole sfruttare maggiormente il potenziale delle donne qualificate dell’azienda per svolgere compiti dirigenziali, sarebbe utile adottare una serie di misure:


22 da un lato bisogna facilitare di più la conciliazione tra impegno famigliare ed impegno professionale per le donne e per gli uomini; ciò comporta non solo l’offerta di strumenti istituzionali, ma anche un cambiamento di cultura per quel che riguarda la suddivisione del lavoro tra i sessi (come l’incoraggiamento al congedo parentale per i padri, esempi di lavori dirigenziali part-time o contratti di lavoro ripartito tra il personale dirigenziale ed altro ancora). Dall’altro è necessario sviluppare strategie per il sostegno delle giovani leve dirigenziali (femminili) ed implementare programmi adeguati (come l’incoraggiamento, da parte dei superiori, a sviluppare il proprio potenziale, programmi di mentoring, coaching, training manageriale ed empowerment per rafforzare la fiducia nelle proprie competenze). Questi provvedimenti e programmi necessitano anche di un’organizzazione che sostenga attivamente questo processo ed acquisisca competenze, strada facendo, al fine di portare ad un cambiamento culturale dei concetti di ruolo, ad una rottura del legame tra sesso e competenze dirigenziali ed ad un pari riconoscimento delle prestazioni delle donne nell’organizzazione.


23 Motivi per la minore percentuale di donne in posizioni dirigenziali Area infermieristica

5

sono meno interessate

14

è molto vero

20

non hanno presupposti necessari 0 2

è abbastanza vero

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è per niente vero ricevono meno appoggio a candidarsi

8

godono di meno riconoscimento come dirigenti

21

10

godono meno possibilità nel qualificarsi per una posizione dirigenziale

9

20

13

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sono limitate a causa dei loro compiti in famiglia nelle procedure di reclutamento gli uomini sono privilegiati

10

6

24 3

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le donne si sentono meno competenti per i compiti dirigenziali le donne hanno meno autostima

13 18

11

17

5

2

11

12

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Fonte: Interviste delle Dirigenti nell’area infermieristica

Motivi per la minore percentuale di donne in posizioni dirigenziali Area medica

sono meno interessate

3

9

non hanno presupposti necessari 0 1

è per niente vero

8

godono di meno riconoscimento come dirigenti

5

6

2

4

godono meno possibilità nel qualificarsi per una posizione dirigenziale

6

sono limitate a causa dei loro compiti in famiglia

6

nelle procedure di reclutamento gli uomini sono privilegiati

6

le donne hanno meno autostima 0

è abbastanza vero

14

ricevono meno appoggio a candidarsi

le donne si sentono meno competenti per i compiti dirigenziali

è molto vero

3

7 6

3 8

2

7

4

3

9 7

3 9

Fonte: Interviste delle Dirigenti nell’area medica


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A proposito di percorritrici e di persone abitudinarie

Quanto fuori dal comune sono le dirigenti all’interno dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige, come vivono il loro ruolo e quali ostacoli devono superare? Due dirigenti, due esperte e la vice-presidente del Comitato per le pari opportunità discutono, nel corso del convegno autunnale 2010, con il pubblico del tema provocatorio “donne e attività dirigenziali“. Nell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige le donne in posizioni dirigenziali sono una rarità o rappresentano ormai la normalità? Questo quesito centrale è stato chiarito velocemente e chiaramente, durante il convegno autunnale, grazie ad una ricognizione virtuale tra i piani dirigenziali dell’azienda, presentata da Agnes Mayr, primaria del laboratorio di patologia clinica di Brunico. Dalla sede centrale in via Cassa di Risparmio a Bolzano fino alla Direzione sanitaria e tecnico-amministrativa nei singoli comprensori sanitari, dalle posizioni di primario fino alla direzione tecnico-assistenziale, le colleghe che occupano posizioni di vertice all’interno dell’Azienda sanitaria, si possono contare facilmente sulle dita delle mani, e ciò nonostante una grandissima presenza femminile all’interno dell’azienda. Questo non significa che non vi siano donne in posizione dirigenziale all’interSusanne Pitro Giornalista

no dell’Azienda sanitaria, come mostra il crescente numero di direttrici d’ufficio e l’alto numero di coordinatrici tecnico-assistenziali. Salendo, però, nella gerarchia interna all’azienda e con l’aumentare del riconoscimento legato ad un compito dirigenziale di 2° livello, aumenta la percentuale del personale maschile. Inoltre, come sottolineato dalla primaria Agnes Mayr, non è un caso che le poche posizioni dirigenziali al vertice, detenute da donne, siano spesso in settori marginali come la medicina legale o il servizio dipendenze e non in veri e propri dipartimenti come chirurgia o medicina interna.

Ostacoli e ausili alla scalata Come può un tale ordine mantenersi ancora nel 2010? Quali ostacoli frenano le molte donne qualificate e motivate all’interno dell’azienda nella loro scalata a posizioni dirigenziali al vertice? Dopo aver lungamente ponderato questi quesiti, Britta Venturino, direttrice dell’Ufficio legale del Comprensorio sanitario di


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nna “Una do n può o da sola na cultura. el cambiar ta a fallire.” È destina hwarz, Sc Stögererne Elisabeth Dipartimento don ione el az d tr e is c in ri tt m e dir dell’Am . ortunità e pari opp gionale del Tirolo re

Merano, ha tratto le sue conclusioni: “Penso che il maggiore ostacolo sia ancora nella testa delle persone che associano i compiti dirigenziali al sesso maschile.“ Questa valutazione è stata ampiamente condivisa dai/delle partecipati al convegno. L’eredità del patriarcato è difficile da superare, soprattutto in un paese maschilista come l’Italia e

continua ad influenzare anche le regole del gioco nell’Azienda sanitaria, ritiene Flavia Basili, vice-presidente del Comitato per le pari opportunità e anch’essa direttrice d’ufficio. “Non ci sono ostilità nei riguardi delle donne, ma la norma è rappresentata dall’uomo.“ Così si continua a promuovere i lavoratori e le lavoratrici che svolgono un numero possibilmente alto di ore e si prediligono gli uomini perché devono “sostenere la famiglia“. Oltre che da vecchi modelli di ruolo, gli uomini traggono vantaggio nella loro scalata al vertice anche da un’antica tradizione, ovvero l’arte di crearsi una rete di rapporti. Sia durante la caccia all’alce, sia nella “cantina nella roccia”, gli uomini, grazie all’arte lungamente praticata di curare i contatti in modo informale, hanno i loro candidati per le posizioni dirigenziali già in pole-position, quando le donne hanno appena saputo della posizione, ha detto la direttrice del Dipartimento donne e pari opportunità dell’Amministrazione regionale del Tirolo. Il suo consiglio alle donne con ambizioni di carriera? Concedere più tempo alle “attività cerimoniali“. Considerando gli attuali rapporti di potere negli organi dirigenziali, le donne non devono limitare i loro incontri alle reti tra donne. “Se si vuole avanzare bisogna avere alleati forti e tra questi devono esserci anche uomini potenti.“ Le donne possono quindi raggiungere il potere solo se seguono le regole maschili? La consulente di organizzazione Maria Moser-Simmill pensa di no. Ha consigliato alle donne presenti di fare luce sui meccanismi di potere informale e di richiedere concreti strumenti per superarli – che si tratti di quote, standard univoci per una cultura dirigenziale moderna o strumenti atti a garantire procedure di reclutamento trasparenti. “Fate sapere come stanno le cose e determinate voi, come volete che vadano”, questo è il suo appello. È necessario avere un buon appoggio già solo per il fatto che la concorrenza per le posizioni al vertice sta diventando sempre più accanita. “Oggi è diventato sicuramente più difficile per le donne raggiungere una posizione dirigenziale, rispetto a quanto lo era ai miei tempi“, ha dichiarato la primaria Agnes Mayr che lavora in posizione dirigenziale da vent’anni. Allora, ai tempi in cui le dottoresse


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venivano chiamate nelle lettere dall’ordine ancora “caro collega“, questa decisione richiedeva più coraggio, ma la concorrenza ai concorsi era molto minore rispetto ad oggi, dove le donne devono imporsi nei confronti di un grande numero di concorrenti uomini – e spesso falliscono.

Bisogna farsi le ossa Le donne che sono riuscite ad affrontare con successo il difficile percorso al vertice sanno il fatto loro, dice Agnes Mayr, facendo, però, anche riferimento all’immaginario comune, che associa ancora i compiti dirigenziali all’uomo. “Ho l’impressione che quando una donna ha raggiunto una posizione e la svolge bene, non venga più trattata come una persona fuori dalla norma, ma venga riconosciuta e stimata da colleghe e colleghi, da collaboratrici e collaboratori.” Chiaramente queste donne in posizioni dirigenziali devono farsi le ossa, soprattutto nei primi anni. Lo hanno affermato in modo univoco le partecipanti alla tavola rotonda. Questo vale soprattutto per le dirigenti che entrano per la prima volta in un ambito prettamente maschile. “Queste precorritrici hanno un compito incredibilmente difficile”, ha detto Elisabeth Stögerer-Schwarz, dato che vengono osservate dal pubblico e diventano un simbolo per il genere femminile. Ma, soprattutto, da sole tra gli uomini non hanno la possibilità di introdurre cambiamenti. “Una donna da sola non può cambiare la cultura”, dichiara Stögerer-Schwarz “è destinata a fallire”. Secondo il parere dell’esperta di parità, attiva da anni, solo al raggiungimento di una quantità rilevante pari ad un terzo, possono agire ed influire altre qualità, sia nelle donne che negli uomini.

Una questione di stile Ma le dirigenti hanno veramente uno stile diverso rispetto ai dirigenti? Da cosa è caratterizzato uno stile dirigenziale femminile, viene accettato dalle collaboratrici e dai collaboratori? Riguardo a questa tematica si è accesa una vivace discussione tra i / le partecipanti alla tavola rotonda ed il pubblico. Una primaria tra il pubblico ha dichiarato di “aver lavorato, sofferto ed imparato per vent’anni“ a causa di questo problema, ottenendo l’applauso spontaneo del pubblico quasi esclusivamente femminile. La collega Agnes Mayr, dal canto suo, ha vissuto l’esperienza che le tipiche qualità dirigenziali, come la risolutezza e la capacità di imporsi, vengono attribuite automaticamente agli uomini. Se un uomo le possiede, viene considerato un buon capo. Se le possiede una donna, viene subito considerata “autoritaria o simile ad un mezzo uomo“, dice Mayr.


Nelle organizzazioni in cui si è imposta una concezione moderna di direzione questa categorizzazione delle qualità dirigenziali tipicamente maschili e tipicamente femminili diventa sempre meno importante la consulente di organizzazione Maria Moser-Simmill. Dato che “i / le buoni/e dirigenti, oggi, devono possederle entrambe“. Prima o poi sarà quindi effettivamente indifferente se un incarico dirigenziale sarà svolto da una donna o da un uomo. Oggi sembra che esistano ancora collaboratori per i quali il solo fatto di avere una donna come capo rappresenti un problema. Così è da interpretare il contributo di una dirigente di recente nomina, che seduta tra il pubblico chiedeva “se ci sono coaching grazie ai quali i collaboratori imparino a non sentirsi offesi nell’avere una donna come dirigente.“ La risposta al quesito è giunta da uno dei pochi uomini che hanno partecipato al convegno. “La questione degli uomini e degli occhiali di genere richiede un po’ di tempo”, ha detto citando la propria esperienza. “L’immagine nella testa degli uomini deve cambiare lentamente“, ha detto, “vi preghiamo di avere un po’ di pazienza con gli uomini, dato che quando improvvisamente viene nominata una donna come superiore non riusciamo ad abituarci subito all’idea.“ La via migliore per accompagnare questo processo di adattamento, sarà di rendere normale questa posizione oggi ancora fuori dal comune. Le donne hanno aspettato un tempo davvero abbastanza lungo per poter occupare la sedia di dirigente.

ono “Non ci s iguardi ei r ostilità n e all’interno n delle donnda sanitaria, dell’Azie la norma ma tata n e s e r p è rap o.” dall’uom ente resid sili, vice-p nità Flavia Ba er le pari opportu nere p ge i to d a e it z m n o re del C elle diffe ’Alto Adige. d e n io z e la valuta nda sanitaria dell dell’Azie

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“I buoni dirigenti al giorno d’oggi devono possedere sia qualità dirigenziali tipicamente femminili sia tipicamente maschili.” Maria Moser-Simmill, consulente di organizzazione e di gender, Linz


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