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Andy Rocchelli senza giustizia da 9 anni

IN SINTESI

Rocchelli è stato ucciso nel 2014 in Donbass

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24 anni di galera per il sergente ucraino Markiv nel 2019 ••• Vitalij Markiv è stato assolto un anno dopo

La verità viene sempre a galla». Elisa Signori, già docente di Storia contemporanea all’Università di Pavia, dal 2014 è ancora in cerca di giustizia per suo figlio, Andrea Rocchelli. Andy, giovane fotoreporter, molto apprezzato per le sue foto vicine all’umanità dei protagonisti, fu ucciso a Slovjansk, nel Donbass, il 24 maggio 2014, insieme all’attivista dei diritti umani Andrej Mironov, che aveva collaborato con Memorial e la Politkovskaja. I due si trovavano con il fotogiornalista William Roguelon e il tassista che li aveva accompagnati, entrambi rimasti gravemente feriti, ma sopravvissuti. Vestivano abiti sportivi, definiti «da terroristi» nei documenti resi noti dal governo ucraino nel 2016. Ma Signori spiega che «le forze armate erano munite di binocoli e non c’era dubbio che quelle dei giornalisti al collo fossero macchine fotografiche».

Un processo, in realtà, c’è stato e si è concluso in primo grado nel 2019 con la condanna a 24 anni di reclusione per Vitalij Markiv, militare della Guardia nazionale ucraina, imputato per concorso in omicidio insieme allo Stato ucraino come responsabile civile. Nella sentenza di secondo grado del 2020, però, l’imputato è stato assolto: i testimoni, suoi commilitoni, le cui dichiarazioni avevano portato alla condanna, non erano stati avvertiti della possibilità che la loro deposizione portasse a una imputazione di correità nell’omicidio. E le testimonianze sono state invalidate. La responsabilità, tuttavia, è chiara: l’esercito ucraino e Markiv hanno sparato per uccidere. A differenza del messaggio fatto passare ai tempi dalla stampa sulle ragioni dell’assoluzione: «Confido - continua - che queste motivazioni qualcuno le legga e che la narrazione di un processo sbagliato a danno di un innocente non sia accolta in maniera indiscriminata».

Anche l’opinione pubblica ha avuto un ruolo: in Ucraina il ricordo dei giornalisti è stato sporcato da racconti falsi. «Dopo il processo - spiega la docente - è prevalsa un’attitudine fortemente denigratoria nei confronti della magistratura italiana, accusata di essere al soldo di Putin. Ha avuto la meglio una narrazione eroicizzante di tutti i miliziani della Guardia nazionale». All’assoluzione del sergente è persino seguita una celebrazione sulla collina di Karachun, da cui l’esercito aveva sparato. Ora, un nuovo passo in avanti è stato fatto grazie all’inchiesta per Rainews24 di Andrea Sceresini e Giuseppe Borello. Dal reportage “La disciplina del silenzio” è emerso il nome del comandante che diede l’ordine quel giorno, Mikhail Zabrodkji: un elemento che nel processo era stato tenuto nascosto da tutti i testimoni ucraini. «Fortunatamente - dice Signori - ci sono molte persone che sono ancora interessate alla verità e alla giustizia».

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