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Dispense del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido Guizzi e Teresa Murino

a.a. 2019/2020

Dispense del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi

Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale)

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 1. INDUSTRY 4.0 Industry 4.0 è un’espressione di origine tedesca pronunciata per la prima volta alla Fiera annuale di Hannover nel 2011 da un gruppo di lavoro, con la presentazione della relazione dal titolo “Industrie 4.0: Mit dem Internet der Dinge auf dem Weg zur 4. Industriellen Revolution” (“Industria 4.0: sulla strada per la quarta rivoluzione industriale con l’Internet delle Cose”). L’Industry 4.0 è la formalizzazione di un paradigma industriale basato su sistemi informatici con una forte capacità di interagire con i sistemi fisici in cui operano, dotati di capacità computazionale, di comunicazione e di controllo. Seppur ritenuta tuttora in corso Industry 4.0 è ormai da tutti definita una vera e propria rivoluzione industriale. A differenza delle precedenti, la rivoluzione preannunciata del XXI secolo non si baserà su una singola tecnologia abilitante, qual è stata il telaio meccanico e il vapore nel XVIII sec., l’elettrificazione nel XIX sec., l’informatica del XX sec., ma piuttosto sull’implementazione di un insieme di tecnologie abilitanti che si aggregano in nuovi scenari produttivi alla base di innovazioni di diversa natura: di prodotto, di processo, organizzative e di modello di business. (Figura 1.1) All’iniziativa tedesca hanno fatto eco, tra le tante, quella statunitense “Manufacturing USA”, francese “Industrie du Futur”, inglese “Future of Manufacturing”, olandese e svedese “Smart Industry”, spagnola “Industria Conectada 4.0” e - nel 2016 – italiana “Piano Industria 4.0”. Il comune denominatore nei diversi paesi è stato la Digital Transformation: la transizione verso un’industria completamente interconnessa ed automatizzata. E’ importante tuttavia sottolineare come l’Industry 4.0 non andrebbe semplicemente considerata come la digitalizzazione delle industrie attuali ma come un’evoluzione nelle logiche operative di esse. Con Industry 4.0 si vuole introdurre una differente visione della gestione operativa dell’impianto, resa possibile dalla digitalizzazione della passata Terza Rivoluzione Industriale. Per chiarire, distingueremo tra il concetto di automatizzazione ed automazione: la prima rende automatica una certa operazione o processo come avviene nelle più tecnologiche e potenti macchine a controllo numerico (CNC) mentre la seconda intende l’automazione di un’intera logica di produzione manifatturiera. La singola macchina, la stazione produttiva o l’intera linea di produzione non è più solo automatica nel senso delle operazioni ma è capace di interagire e prendere decisioni sul come o quale operazione condurre. Questa capacità è resa possibile Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO dall’acquisizione di informazioni real-time sullo stato di ogni oggetto connesso ed è impensabile per ambienti produttivi non in ottica 4.0.

Figura 1.1 Le rivoluzioni industriali nella storia La visione di Industry 4.0 concorre all’implementazione di un’industria che grazie alle tecnologie ICT (Information and Communication Technologies) diventa un CyberPhysical System (CPS) e cioè un sistema in cui tecnologie di elaborazione, di comunicazione e di controllo convivono, concorrono ed interagiscono tra loro con l’obiettivo di realizzare una catena del valore, automatica e dinamica includendo i sistemi di produzione e le infrastrutture industriali fino ai consumatori finali. La natura di questa rivoluzione implica che la linea di confine tra manifattura e servizi divenga sempre meno netta con una separazione meno marcata tra componente fisica e parte digitale della produzione. Il sistema produttivo evolve verso modelli cyber-fisici e i modelli di business evolvono verso modelli industriali di servizio. Il risultato è la visione di una Smart Factory caratterizzata dall’uso dei dati e dal networking di tutte le fasi e di tutti i processi della produzione in cui i nuovi fattori chiave per la competitività saranno l’interazione e la condivisione, le competenze del lavoro e della comunicazione, la flessibilità, la creatività e l’innovazione.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Le Tecnologie abilitanti Come emerso precedentemente, il concetto di Industry 4.0 ha avuto una rilevanza mondiale ed è andato particolarizzandosi nei diversi Paesi, negli ambienti industriali e nella ricerca al punto tale che non ne esiste una vera e propria definizione. Gli strumenti che hanno coinvolto questa rivoluzione non sono sempre stati chiari e questo perché rappresentati da tecnologie nuove non ancora utilizzate su grossa scala nelle realtà industriali. Con il passar del tempo si sono delineate una serie di tecnologie abilitanti di Industry 4.0 capaci di garantire, attraverso una corretta implementazione ed un utilizzo intelligente, un vantaggio economico e di competitività sul mercato. In questo capitolo si presterà particolare attenzione a quattro ambiti tecnologici che risultano importanti per l’implementazione di Industry 4.0: Smart Factory, CyberPhysical System (CPS), Internet of Things e Big Data, Cyber Security. Tuttavia, non si vuole limitare un paradigma di eco internazionale ad una serie di tecnologie ma si vogliono approfondire quelle che vengono considerate una base per l’implementazione.

Smart Factory Il concetto di Smart Factory (Fabbrica Intelligente) definisce la capacità da parte di un ambiente produttivo di operare in modo intelligente tramite l’integrazione dei sistemi informatici nelle attività svolte. Questa forte interazione ed integrazione mostrata schematicamente in Figura 1.2 e realizzata grazie alle tecnologie ICT supporta in maniera dinamica le decisioni relative alla progettazione di prodotto, processo e di programmazione e controllo della produzione nel mondo reale.

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Figura 1.2 I tre principi della Smart Factory moderna Questo sarà reso possibile attraverso un insieme eterogeneo di strumenti software che vanno dal CAD/CAM al PLM (Product Life-cycle Management), dalla simulazione a eventi discreti alla simulazione dinamica, dalla realtà virtuale alla realtà aumentata, da sistemi ERP (Enterprise Resource Planning) a strumenti di schedulazione e supervisione. Il vantaggio di una Smart Factory è rappresentato proprio dalla possibilità di far interagire tra di loro strumenti software eterogenei. L’interoperabilità fra gli strumenti sarà abilitata dall’uso di standard sia per la modellazione dell’informazione che per quanto riguarda i protocolli di comunicazione e le modalità di scambio dati. In una Smart Factory saranno messi a disposizione sistemi di acquisizione dei dati (che attualmente fanno parte dei sistemi MES - Manufacturing Execution Systems) e sarà possibile la gestione intelligente delle informazioni e di funzionalità analitiche e computazionali attraverso l’acquisizione real-time di dati su macchine, stati dell’ordine, garanzie, tempi personali e guasti. Tutto questo porterà alla capacità di adattarsi ad una produzione variabile con prodotti fortemente personalizzati e a reagire dinamicamente nel corso dell’esercizio alle condizioni a cui si va incontro. La Smart Factory si comporrà di una rete di oggetti, quali macchine, stazioni e punti di controllo ognuno con un proprio potere decisionale. A questo proposito si evolverà verso un Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO decentralizzazione essendo un controllo centralizzato di scarsa efficacia visto il grande numero di variabili ed attività diverse coinvolte. La presenza di computer integrati fornirà capacità di calcolo locale e la rete permetterà lo scambio di informazioni in modo tale che il sistema CPS funzioni nel suo complesso con decisioni prese localmente.

Cyber-Physical System (CPS) Non è emersa una chiara ed univoca definizione di Cyber Physical System (CPS) dagli articoli in letteratura. Tale sistema cibernetico dovrebbe, come suggerisce il nome, essere costituito da una parte “cyber”, somma di capacità computazionali e comunicative, e una parte fisica della macchina industriale opportunamente integrate tra loro, sia sul dominio delle lavorazioni che con l’ambiente produttivo. In altre parole, esso fa riferimento ad un sistema meccatronico capace di interagire con un sistema fisico controllato e con tutti gli altri sistemi CPSs interconnessi. La visione promossa da Industry 4.0 prevede sistemi di automazione “auto-organizzati”, composti da prodotti e risorse produttive intelligenti ed autonomi che interagiscono all’interno di architetture decentralizzate. Lo scenario odierno di automazione, basato tradizionalmente su logiche di controllo precostituite implementate dal programmatore all’interno delle singole unità di esecuzione, lascerà quindi il posto a quello in cui sistemi autonomi sono in grado di identificare dinamicamente la strategia ottimale di controllo del sistema produttivo massimizzandone le performance in ciascuna condizione operativa. Di conseguenza, prodotti e macchine intelligenti saranno in grado di collaborare e decidere autonomamente quali azioni intraprendere al fine di raggiungere obiettivi produttivi quali l’allocazione dinamica di prodotti sui macchinari in base alla capacità e alla disponibilità delle macchine e l’identificazione di quale risorsa utilizzare. La possibilità dello scambio automatizzato di informazione con un sistema CPS parte dal prodotto stesso e ne permette una personalizzazione operando con batch di piccole dimensione, fino ad arrivare idealmente ad un lotto unitario. Il prodotto stesso è un oggetto connesso e racchiude elementi che ne permettono la tracciabilità in tutte le sue fasi sia nel modo fisico che virtuale.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La catena di valore gestita dal CPS permette di introdurre soluzioni specifiche per il cliente e per il prodotto all’interno delle linee produttive: si attuano variazioni coordinate di design, configurazione, pianificazione, produzione e logistica. Ci sarà così un’organizzazione più dinamica, basata sul sistema ciberfisico e decentralizzato. La linea produttiva reagisce ai colli di bottiglia e a problemi logistici attraverso l’alternanza di sequenze per uniformare i tempi di lavoro. Così facendo si potranno adottare variazioni dell’ultimo minuto e senza grandi sconvolgimenti. I pilastri fondamentali dei sistemi di automazione e controllo saranno decentralizzazione ed autonomia per garantire flessibilità, robustezza, efficienza produttiva ed ottimizzazione dei consumi energetici. Da un punto di vista dell’interazione con l’uomo, all’interno di una Smart Factory, l’implementazione di un CPS richiede che gli operatori siano preparati al suo uso e a gestirne al meglio le sue funzionalità. La comunicazione tra uomo e CPS avviene tramite interfacce, ne consegue che la loro progettazione sarà fondamentale per fornire solo i dati rilevanti e le possibilità di interazioni corrette, filtrando gli eccessi di opzioni e la sovrabbondanza di dati. Un’interfaccia capace di adattarsi alla situazione risulta più facile all’uso, fornendo solo le informazioni ed i controlli necessari. Il sistema si presenta cosciente del contesto in cui opera registrando attività, tracciando il posizionamento di operatori, mezzi e macchinari per fornire un avviso direttamente a chi interessato. E’ necessario definire l’architettura di un CPS che segue una struttura gerarchica a 5 livelli come mostrato in Figura 1.3.

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Figura 1.3 L’architettura di un Cyber Physical System (CPS)

Smart Connection Level: è il livello di connessione in cui i dati generati da ogni Asset, quali macchine, strumenti o prodotti connessi, sono raccolti ed organizzati per il trasferimento al livello successivo;

Data to Information Conversion Level: i dati vengono valutati e confermati in informazioni utili. Infatti, è bene precisare che i dati grezzi non presentino una cosiddetta leggibilità diretta della macchina ma con opportuni algoritmi di natura prognostica è possibile estrarre informazioni sullo stato di salute da questa tipologia di dati e utilizzarla per stimare importanti informazioni sulla macchina;

Cyber Level: in questo livello vengono acquisite le informazioni dal livello sottostante e vengono elaborate insieme alla ricerca di informazioni di correlazioni aggiuntive. Questo livello funge da hub informativo per il CPS eseguendo analisi di correlazione di maggiore complessità tra i suoi stessi componenti. Se esso è rappresentato, ad esempio, da più postazioni di lavoro, tramite opportuni algoritmi è possibile bilanciare localmente e puntualmente il carico di lavoro sulle diverse postazioni di lavoro che lo compongono.

Cognition Level: in questo livello prendono forma le stime e le decisioni più complesse. Il confronto tra Asset simili rende possibile l’esecuzione di algoritmi o metodologie di gestione organizzativa. Tramite esecuzione di algoritmi di apprendimento approfondito è possibile, inoltre, identificare pattern di

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO malfunzionamento e prendere decisioni di tipo organizzativo in una logica di collaborazione reciproca tra Asset industriali con il fine condiviso di una più efficace gestione di ogni singola risorsa. A livello cognitivo la macchina stessa dovrebbe essere in grado di trarre un diretto vantaggio dal monitoraggio online per diagnosticare i propri potenziali fallimenti, prendendo coscienza in anticipo, rispetto ad un evidente degradazione fisica, del suo stato di salute. •

Configuration Level: una macchina in grado di stimare e tracciare il proprio stato può, infine, inviare ai sistemi aziendali le informazioni sullo stato di salute e di performance media attesa. Gli operatori e i responsabili di fabbrica potranno, a loro volta, utilizzare queste informazioni per prendere decisioni informate. In ottica controllistica sarà proprio la macchina stessa che, con l’informazione del suo stato di salute regolerà il proprio carico di lavoro o programma di produzione con il fine di ridurre i tempi di inattività dovuti ad inefficienze di gestione o malfunzionamenti imprevisti delle macchine. L’obiettivo generale di questo livello è quello di produrre un sistema resiliente e capace di “difendersi” dalle difficoltà che si dovessero palesare, riconfigurandosi o «spingendo» a cambiamenti di gestione, prevenendo inefficienze e/o fallimenti iterati.

Internet of Things e Big Data IoT e Big Data sono considerate, spesso in modo accoppiato, due delle tecnologie abilitanti per Industry 4.0. Quando si parla di IoT, si evidenziano gli elementi di miniaturizzazione delle tecnologie di sensing e di comunicazione wireless che fanno ormai parte di ogni dispositivo fisico (sistemi embedded) per la raccolta di informazioni dall’ambiente e la loro comunicazione in rete. Per oggetti che nascono privi di tali dispositivi è ormai possibile aggiungerli in un secondo tempo in maniera molto semplice; pertanto, praticamente ogni oggetto fisico ha la capacità di generare dati sul suo stato e sullo stato dell’ambiente di cui fa parte. La disponibilità di reti wireless ad elevata capacità permette di raccogliere una grande quantità di dati e di connettere praticamente qualsiasi oggetto fisico. Questo consente sia la raccolta e la condivisione dei dati generati dai dispositivi embedded che la capacità di configurarli per poter agire

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO da remoto sugli oggetti fisici e sull’ambiente circostante: l’insieme di questi due elementi costituisce la base tecnologica dell’IoT. Da un punto di vista tecnologico, l’Internet of Things è quindi l’estensione dell’Internet tradizionale - pensato per far comunicare oggetti specifici quali i computer senza un particolare legame con il mondo fisico circostante - ad una rete che permette agli oggetti stessi di comunicare direttamente tra loro e di interagire con le persone. Se da un lato la presenza di una tale mole di dati fornisce opportunità eccezionali dall’altro diventa più che mai necessario accoppiare le suddette tecnologie IoT ad altrettante tecnologie specifiche per la gestione, integrazione ed estrazione di conoscenza dai dati grezzi generati dai dispositivi IoT, chiamate comunemente Big Data Analytics. Questo richiede, a sua volta, infrastrutture di calcolo ad alta capacità per poter immagazzinare ed analizzare tali quantità di dati, attualmente fornite tramite piattaforme di Cloud Storage and Computing. La sinergia tra tecnologie IoT e Big Data è una delle basi della Cyber-Physical Convergence e dei corrispondenti Cyber-Physical Production Systems – CPPS. Nel mondo cyber, le tecnologie Big Data permettono di analizzare i dati raccolti estraendone conoscenza. Sulla base di tale conoscenza diventa possibile individuare azioni da compiere sugli oggetti stessi per configurarli e per agire opportunamente e tempestivamente sul mondo fisico che li circonda.

Cybersecurity E’ praticamente impossibile parlare di Industry 4.0 senza un’adeguata protezione alle infrastrutture informatiche. La rete di informazioni è usata ormai nelle realtà aziendali di tutti i tipi a partire da quelle mediche, finanziarie finendo agli istituti scolastici e viene utilizzata per l’acquisizione, elaborazione, archiviazione e condivisione di grandi quantità di informazioni digitali. Pertanto, la protezione dei sistemi informatici e quindi la cyber security sono elementi necessari nello sviluppo di tale tecnologia. Oggi, il cyber crime è diventato un mercato in cui le metodologie e gli strumenti di attacco possono essere acquisiti ed acquistati come servizio nel dark web e pagati con moneta elettronica come i bitcoins: cyber crime as a service. Le tecnologie per la cyber security permettono di proteggere i sistemi informatici e quindi di evitare o limitare i danni a tali sistemi e più in generale ai sistemi che dipendono da questi. Nel momento in cui c’è una

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO evidente convergenza di sistemi cyber e quelli fisici (Cyber Physical Convergence) tali attacchi possono espandersi diventando un pericolo per la sicurezza delle persone fisiche e delle strutture ed infrastrutture industriali. Una linea guida per la sicurezza informatica di un’azienda è rappresentata dalla triade CIA (Confidentially, Integrity e Availability) in cui emergono tre importanti fattori: riservatezza, integrità e disponibilità. Figura 1.4 La riservatezza garantisce la privacy dei dati restringendo l'accesso tramite la crittografia di autenticazione. Le policy aziendali devono limitare l’accesso delle informazioni al personale e garantire che solo le persone autorizzate possano visualizzare tali dati. I dati possono essere suddivisi in scomparti in base alla sicurezza o ai livelli di sensibilità delle informazioni. L’integrità garantisce l’accuratezza e l’affidabilità dei dati nell’intero ciclo di vita del prodotto. I dati devono rimanere inalterati durante la loro trasmissione e preservati da entità non autorizzate. Il controllo delle versioni può essere usato per prevenire modifiche accidentali da parte di utenti autorizzati. I backup devono essere disponibili per il ripristino dei dati corrotti e l’hashing delle checksum può essere usato per verificare l’integrità dei dati durante il trasferimento. La disponibilità garantisce che solo gli utenti autorizzati possano accedere alle informazioni. La manutenzione delle apparecchiature, le riparazioni hardware, l’aggiornamento di sistemi operativi e software e la creazione di backup garantisce la disponibilità di rete e dati agli utenti autorizzati. È necessario avere in atto dei piani per il rapido ripristino da disastri naturali o provocati dall’uomo.

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Figura 1.4 Rappresentazione schematica dell’interazione della triade CIA

Architetture e Modelli di Riferimento per l’IoT Al momento per quanto riguarda le Reference Architectures specifiche per l’Industry 4.0 non è ancora chiaro un modello di riferimento consolidato e questo perché Industry 4.0 è una rivoluzione su scala globale che è andata personalizzandosi con le proprie sfumature nei diversi Paesi coinvolti. A questo proposito sono stati prodotti diversi modelli di riferimento utilizzando strutture multi-dimensionali. In questa sede considereremo il modello tedesco RAMI 4.0, per via del suo maggior dettaglio e condivisone all’interno della letteratura scientifica. La piattaforma Industrie 4.0 ha aperto la strada con la definizione del «Reference Architecture Model Industrie 4.0», mostrato in Figura 1.5, che rappresenta un adattamento del modello CENELEC per Smart Grid Architecture Model SGAM al caso della fabbrica intelligente.

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Figura 1.5 Reference Architecture Model Industrie 4.0 (RAMI 4.0)

L’asse verticale rappresenta le proprietà strutturali di un Asset o di un insieme di Asset che nel linguaggio 4.0 rappresenta un componente o un insieme di componenti della fabbrica: si tratterà di un semplice sensore o di un insieme di elementi semplici.

Partendo dal basso si analizzeranno i sei Layers: •

Asset: rappresenta gli oggetti reali in termini di ingombri, servizi, schemi di collegamento, archivi.

Integration: rappresenta il livello di interfaccia tra il mondo fisico ed il mondo delle informazioni, che si occupa di gestire le proprietà e le funzioni degli Asset. Questo Layer può includere: descrizione elettronica degli Asset, manuali, disegni, HMI, specifiche funzionali;

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Communication: descrive le modalità di accesso alle informazioni ed alle funzioni di un Asset connesso ad altri Asset. In altri termini, descrive quali dati sono utilizzati, dove sono utilizzati e in che modo sono distribuiti;

Information: descrive i dati che sono utilizzati, generati, o modificati dalle funzionalità tecniche dell’Asset, e prevede: esecuzione di regole, verifica dell’integrità dei dati, acquisizione ed elaborazione di dati;

Functional: descrive le funzioni tecniche di un Asset in relazione al sistema Industry 4.0, ed include: descrizione formale delle funzioni, piattaforma per l’integrazione orizzontale del device, servizi e funzioni runtime;

Business: descrive gli aspetti commerciali, quali ad esempio: costi, organizzazione di vendita, risultati di vendita, ricezione ordini;

Riassumendo, una volta identificato l’Asset nel piano di base, è possibile andare a specificarne le diverse proprietà strutturali. Si vuole chiarire che la norma non impone la compilazione di ogni Layer per ogni Asset ma solo di quelli relativi a funzionalità o proprietà realmente presenti. Il primo asse orizzontale, invece, è rappresentativo del ciclo di vita della fabbrica e di tutti gli Asset al suo interno, definito in accordo con la Norma IEC 62890 “Life-cycle management for systems and products used in industrial process measurement, control and automation”. In realtà la situazione è complessa perché esistono diversi cicli di vita che interagiscono tra loro: il ciclo di vita di un ordine (dall’approvvigionamento della materia prima fino alla consegna del prodotto), della Supply-Chain, di un prodotto, della fabbrica in sé, e così via.

In ogni istante sono attivi nella fabbrica diversi cicli di vita, come chiarito dalla Figura 1.6. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Figura 1.6 Cicili di vita interagenti nella fabbrica

Probabilmente, la definizione di tale asse non è sufficiente a rappresentare con efficacia la realtà produttiva di tutti i possibili Asset e si rende quindi necessaria maggiore attenzione su questo punto da parte della ricerca. Il secondo asse orizzontale, infine, fa riferimento al classico modello piramidale dell’automazione industriale, già definito dalle Norme IEC 62264/61512 (ANSI/ISA 95/88) in un’iconografica di Figura 1.7. A tal proposito si vuole osservare che all’interno di RAMI 4.0 sono presenti tre ulteriori livelli specifici per Industry 4.0: Product, Field Device e Connected World.

Figura 1.7 Modello classico di automazione industriale – ANSI/ISA 95

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La parte inferiore della piramide è il cosiddetto campo o shop-floor: la comunicazione tra controllo e campo avviene attraverso fieldbus specifici supportati da associazioni di produttori (quali, ad esempio, Profibus/Profinet, FieldComm Group, Ethercat) o da produttori singoli (quali DeviceNet, Interbus). I più diffusi fieldbus sono ormai anche standard pubblici, essendo stati recepiti dalla IEC e raggruppati nella vasta famiglia di standard IEC 61158. Il livello più alto della piramide, sopra lo SCADA (Supervisory Control And Data Acquisition), è costituito dal Manufacturing Execution System (MES) che ha lo scopo di gestire e monitorare la produzione della fabbrica e dall’Enterprise Resource Planning (ERP) che integra i software gestionali aziendali. Lo scopo primario della Norma ANSI/ISA 95 è la definizione delle interazioni B2M e M2B (dove B=Business e M=Manufacturing) per gestire lo scambio dati. Le transazioni avvengono mediante un meccanismo provider/consumer che scambia file XML con schemi predefiniti (B2M Markup Language). Ogni programma di gestione dell’azienda può interagire con altri programmi scambiandosi file XML standardizzati. Se, ad esempio, la funzione controllo costi vuole acquisire i dati di produzione non farà altro che richiedere alla funzione controllo del processo l’invio del file XML che li contiene. Per quanto riguarda i problemi comunicativi, infine, nella visione proposta da RAMI 4.0, ogni Asset possiede una Administration Shell che ne immagazzina tutti i dati e funziona come interfaccia di comunicazione verso la rete. Figura 1.8 Più apparati possono costituire una unità funzionale (ad es. una macchina) che potrà avere la sua Administration Shell: più unità funzionali possono costituire un impianto con la sua Administration Shell, e così via. In estrema sintesi le Administration Shell sono la rappresentazione digitale di oggetti reali del mondo fisico. RAMI 4.0 prevede l’impiego di OPC Unified Architecture (OPC UA) come tecnologia di scambio dati. OPC UA, ormai svincolata da una specifica piattaforma, sta passando da essere uno strumento per lo scambio dati ad essere uno strumento per lo scambio di modelli informativi. Si sta infatti implementando una serie di companion specification per lo scambio di modelli dati, quali, ad esempio, quelli previsti da RAMI 4.0. A questo proposito, un gruppo di lavoro della OPC Foundation sta sviluppando un nuovo modello di comunicazione per OPC UA, non basato su un meccanismo client-server come l’esistente, ma su un meccanismo di tipo publisher/subscriber che è specificatamente teso a supportare servizi M2M e IoT. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Questi nuovi modi di comunicazione impattano solo sul Layer Trasporto, per cui tutti i contenuti della comunicazione restano inalterati. In altri termini, il modo di comunicazione è trasparente per le applicazioni che non richiedono personalizzazioni o modifiche. OPC UA è uno strumento di comunicazione che può essere utilizzato per trasferire contenuti diversi.

Figura 1.8 Modello Industrie 4.0 Component – Administration Shell

2. LA METODOLOGIA DEL WORLD CLASS MANUFACTURING

1 PREMESSA La World Class Manufacturing, "WCM" è un termine coniato da Richard Schonberger nel 1986 per portare avanti un insieme di principi di eccellenza per i competitori a livello mondiale. Egli raccolse decine di casi, esperienze e testimonianze di aziende che avevano intrapreso la strada del miglioramento continuo "Kaizen" verso l'eccellenza nella produzione, cercando di dare una sistematizzazione concettuale alle varie prassi e metodologie esaminate. Queste tecniche erano note da tempo, ma attraverso l'approccio WCM, di Schonberger, si è ottenuto un insieme perfettamente integrato, con la massima flessibilità organizzativa, in grado di rendere competitiva l'azienda con prodotti di elevata qualità a prezzi concorrenziali, in linea con le esigenze del cliente.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO In quegli anni gli Americani erano intenti a riprendersi da una forte crisi che portò il Giappone a superarli. Gli anni, per intenderci, del famoso libro di Deming 'Out of the Crisis'. Motorola e GE non avevano ancora lanciato il Six Sigma e Schonberger, nel suo testo 'World Class Manufacturing: the lessons of semplicity applied', metteva in evidenza come le aziende americane eccellenti di fine anni '80 stessero investendo su 'pilastri' quali il TQC, il JIT, il miglioramento continuo, il coinvolgimento di tutto il personale e molti altri.

All'inizio degli anni 2000 il WCM cadde nel dimenticatoio, ormai eclissato da modelli quali la Lean Manufacturing di Womack e Jones, trasposizione occidentale del Toyota Production System, e il Six Sigma grande erede del mondo TQM - TQC. L'interessante 'revival' del WCM di questi anni è dovuto all'era Marchionne in FIAT Group. Il modello principale cui il WCM si ispira è il sistema Toyota Production System (TPS), un metodo di organizzazione alternativo alla produzione in serie basato sulla catena di montaggio di Henry Ford; e si fonda su pochi principi fondamentali: •

il coinvolgimento delle persone è la chiave del cambiamento;

non è semplicemente un progetto, ma un nuovo modo di lavorare,

la prevenzione degli infortuni rimane un "valore" non derogabile;

la voce del cliente deve arrivare in tutti i reparti e uffici;

tutti i Capi devono esigere il rispetto per gli standard prefissati;

i metodi devono essere applicati con costanza e rigore;

ogni forma di spreco è una Muda non tollerabile;

tutte le anomalie devono essere rese visibili;

Il WCM prende tradizionalmente in considerazione discipline già note e si po’ ritenere come somma di

WCM=LM+TQM+TPM+SCM+EI In cui: LM = LEAN MANUFACTURING Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO TQM =TOTAL QUALITY MANAGEMENT TPM = TOTAL PREVENTIVE MAINTENANCE SCM = SUPPLY CHAIN MANAGEMENT EI = EMPLOYEE INVOLVEMENT

Secondo Fiat Group, la WCM è: un sistema di produzione strutturato e integrato che abbraccia tutti i processi dello stabilimento, dalla sicurezza all’ambiente, dalla manutenzione alla logistica e alla qualità. L’obiettivo è quello di migliorare continuamente le performance produttive, ricercando una progressiva eliminazione degli sprechi, in modo da garantire la qualità del prodotto e la massima flessibilità nel rispondere alle richieste del cliente, attraverso il coinvolgimento e la motivazione delle persone che lavorano negli stabilimenti. (Fonte Fiat)

Il WCM infatti adotta tutti i concetti chiave del Lean thinking, ma rispetto ad esso presenta un’importante novità, infatti, prima che qualsiasi azione strategica d’intervento diventi attuabile, la metodologia del WCM consiglia l’attuazione di un’analisi fatta attraverso il Cost Deployment (CD). Quest’ultimo, oltre ad essere uno dei pilastri sulla quale si fonda il WCM, è una metodologia che, attraverso l’utilizzo di una serie di strumenti gestionali, valuta in modo scientifico e sistematico l’impatto economico che qualsiasi azione di miglioramento avrebbe sul bilancio aziendale attraverso quella che è nota come analisi costi-benefici. Con la metodologia WCM i target da prendere in considerazione sono quelli che vengono chiamati “I nove zeri”; infatti il riconoscimento di azienda World Class passa attraverso l’adempimento delle seguenti situazioni: 1.

Zero Insoddisfazione del cliente.

2.

Zero Disallineamenti.

3.

Zero Burocrazia.

4.

Zero Insoddisfazione degli azionisti.

5.

Zero Sprechi.

6.

Zero Attività a non valore aggiunto.

7.

Zero Fermate.

8.

Zero Opportunità Perse.

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Zero Informazioni Perse.

Il punto chiave diventa quindi, non solo la creazione del valore aggiunto, ma anche l’innovazione e il cambiamento per supportare l’azienda nella gestione dei momenti di crisi, che passa attraverso l’approfondita conoscenza degli strumenti che fornisce la metodologia, che se applicati correttamente possono essere in grado di trovare le soluzioni più efficaci per le varie inefficienze aziendali. Nel WCM per ogni problema individuato si sceglie un metodo giusto con strumenti adeguati dal momento che non esiste un approccio universale per risolvere tutti i problemi.

I Pilastri del WCM

Per rappresentare al meglio e in maniera schematica l’approccio del WCM si è soliti considerare un tempio formato da dieci colonne le quali rappresentano gli strumenti operativi principali e prendono il nome di pilastri tecnici. Alla base di queste colonne, si rappresentano dieci mattoncini che prendono il nome di pilastri manageriali, che hanno il fine di guidare il management dell’impresa verso il giusto processo decisionale in modo da incrementare i risultati ed ottimizzare i processi di miglioramento ed integrazione tra i pilastri tecnici.

. Fig.2.1: Il tempio del WCM.

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In particolare, i Pilastri Tecnici risultano essere: •

Safety

Cost Deployment

Focused Improvement

Autonomous Maintenance and Workplace Organization

Professional Maintenance

Quality Control

Logistics and customer service

Early product and equipment management

People Development

Environment

Inoltre, i pilastri manageriali risultano essere: •

Management Commitment

Clarity of Objectives

Route Map of WCM

Allocation of Highly Qualified People

Commitment of Organization

Competence of Organization

Time and Budget

Level of Detail

Level of Expansion

Motivation of Operators

Nelle sezioni successive sarà illustrato il metodo di lavoro utilizzato da ogni pilastro, ma risulta ora importante soffermarsi su quello che è il principio applicativo che accomuna tutti i pilastri, ovvero il numero 7. Ogni pilastro tecnico, infatti, presenta 7 steps in successione ordinata con il vincolo che non è possibile passare allo step successivo se non si è concluso quello precedente.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Inoltre, a prescindere dal pilastro a cui fanno riferimento, essi sono organizzati in base all’approccio necessario per la loro implementazione:

1. Reattivo in cui viene individuato il problema e in seguito si mettono in pratica azioni correttive per ridurne gli effetti negativi. 2. Preventivo dove vengono studiati i processi e i relativi problemi per identificare le cause e rimuoverle, in modo da potenziare definitivamente il processo. 3. Proattivo in cui si studia il processo e le sue possibili problematiche per prevenire, migliorando il processo e gli standard di lavoro.

Fig.2.2: I sette Steps che caratterizzano l'evoluzione di ogni pilastro.

In aggiunta a ciò, il lavoro di ogni pilastro si sviluppa seguendo due direzioni: •

Profondità: ogni azione di miglioramento deve essere individuata in un’area ristretta. Inizialmente ogni pilastro lavora in quella che viene chiamata “Model Area”, la quale rappresenta l’area produttiva che presenta la maggiore perdita all’interno del processo produttivo e che quindi occorre subito “attaccare”. L’individuazione di questa area limitata permette ad ogni pilastro di sperimentare il WCM, applicando i 7 step previsti.

Estensione: il progetto WCM non deve rimanere nella Model Area ma deve essere diffuso a poco a poco, applicando di volta in volta i 7 steps in aree diverse fino a coprire tutti i reparti dello stabilimento.

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Fig. 2.3: Logica di espansione del WCM.

Il sistema di audit La metodologia, quindi, prevede per ogni pilastro 7 steps, e la realizzazione di ogni step deve essere certificata. Il processo di certificazione viene realizzato attraverso un sistema di audit interni (svolti da dipendenti esperti della stessa azienda nominati dalla direzione) o esterni (svolti da enti esterni all’azienda), durante i quale si vanno a confrontare i risultati ottenuti con quelli attesi. Particolarmente importanti risultano essere gli audit esterni, di solito svolti da membri della WCM Association. Tali audit oltre a verificare oggettivamente i risultati raggiunti, grazie all’introduzione di un sistema premiale, mettono in competizione le varie aziende in merito all’applicazione della metodologia e sul grado di avanzamento di essa all’interno del sito produttivo. In sostanza ad ogni pilastro viene assegnato di norma un punteggio da 1 a 5 a seconda degli obiettivi realizzati e al grado di implementazione di esso. Quindi, andando a sommare il punteggio attribuito ad ogni pilastro si ottiene il cosiddetto WCM Score, ed al crescere di questo è possibile raggiungere quattro livelli di certificazione mondiale: •

Bronzo con un WCM Score ≥ 50 punti

Argento con un WCM Score ≥ 60 punti

Oro con un WCM Score ≥ 70 punti

World Class con un WCM Score compreso tra 85÷100 punti

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Fig. 2.4: Livelli di riconoscimento WCM.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 3 COST DEPLOYMENT

Le aziende che lavorano in ottica World Class Manufacturing affrontano le diverse problematiche aziendali (es. logistiche, manutentive, qualitative, di sicurezza, organizzative ecc.) anche sulla base della loro incidenza economica. In un progetto di miglioramento è fondamentale valutare l’impatto che le attività del progetto determinano in termini di riduzione dei costi. Il Cost Deployment (CD) consente al management di applicare un efficace progetto di miglioramento per eliminare le cause di perdita più rilevanti e raggiungere il massimo livello di incremento aziendale. Il CD è una metodologia che definisce in modo scientifico e sistematico un programma di riduzione dei costi basato sulla cooperazione di risorse di Produzione e Finanze. Il Cost Deployment si pone quindi come obiettivo quello di individuare sistematicamente gli sprechi e le perdite che si generano nei processi, trasformandoli in costi, e poi eliminarli fornendo delle priorità di intervento. In questo modo i benefici dell’intervento sono riscontrabili immediatamente nel monitoraggio periodico dei costi relativi agli sprechi, ma soprattutto nel miglioramento economico aziendale. La struttura e gli obiettivi di tale pilastro sono rappresentati nella Figura seguente.

Fig.1

Come si può notare dalla figura precedente il CD - come il pilastro Safety - comprende aspetti quali il miglioramento dell'organizzazione delle postazioni di lavoro, della qualità, Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO della manutenzione e della Logistica utilizzando rispettivamente metodologie e standard quali il Total Industrial Engineering (TIE), il Total Quality Control (TQC), la Total Productive Maintenance (TPM) e JIT, focalizzandosi sulla produttività, miglioramento qualità, efficienza tecnica e livello di servizio puntando ad obiettivi quali zero sprechi, zero difetti, zero guasti e zero scorte. II principio base del CD è che nessuna metodologia produttiva è soddisfacente se non è in grado di proporre una valutazione dei costi tra attività di miglioramento e il relativo beneficio che si ottiene; infatti uno dei principali inconvenienti delle precedenti metodologie è la loro mancanza di collegamento tra attività e relativo beneficio. Il CD permette quindi di individuare le relazioni tra fattori di costo e i processi che generano i costi e i vari tipi di sprechi e perdite; trovare le relazioni tra sprechi e perdite e loro riduzioni; chiarire se è disponibile il Know-how per la riduzione di sprechi e perdite; classificare i progetti sulla base dell'Analisi Costo/Beneficio. Il CD confronta i risultati operativi (normalmente misurati con indicatori quali efficienza, disponibilità, numero di difetti, ore di di saturazione ecc. spesso non confrontabili fra loro) con quelli economici, in termini di costi, fornendo un linguaggio comune e consentendo un'efficace definizione delle priorità per il miglioramento. L'obiettivo del CD, come detto, è quello di fornire delle priorità agli interventi di miglioramento in modo da ottimizzare i vantaggi dei progetti, ma per poterlo fare è indispensabile allocare correttamente i valori economici alle attività e, in seguito, evidenziarne gli sprechi. Il punto di partenza per la lotta allo spreco è identificare ciò che crea valore per il cliente, avere la chiara comprensione di che cosa è il valore, che in generale è definito come ogni processo, attività e/o azione per cui il cliente finale sarebbe disposto a pagare, perché arricchisce il prodotto o servizio acquistati. Una volta identificato il valore al prodotto, bisogna determinare un costo basato sull'ammontare delle risorse, del lavoro e del tempo. Come è noto un'impresa fissa un prezzo di vendita osservando il mercato, ed organizza il proprio lavoro per arrivare ad un livello di profitto accettabile. Così facendo si arriva a determinare il target costing in cui il calcolo dei costi è basato sulla definizione di un costo obiettivo a cui tutta l'organizzazione deve tendere, partendo delle caratteristiche funzionali del prodotto richieste dal cliente e dal risultato economico atteso. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Il Target Costing nasce dalla logica "Market-Oriented", rivolta non solo alla determinazione del costo "vero" di prodotto, ma anche a quella del costo "obiettivo", fondamentale per le scelte del management, ed è uno strumento utilizzato durante lo sviluppo e la progettazione dei prodotti oltre che all'industrializzazione degli stessi. In un sistema produttivo ci sono normalmente enormi quantità di sprechi e perdite, come per esempio: guasti delle macchine, setup, difettosità, microfermate, ecc. L’analisi dei costi consente di individuare gli sprechi e le perdite e, lavorando sulle loro cause, consente di eliminarli. Per esempio, un guasto macchina può dipendere da un errore di progettazione dell’impianto ovvero da una scarsa o inadeguata manutenzione. Invece, un'azienda snella guarda sia al prezzo di vendita sia alla produzione cercando di individuare i costi che si potrebbero eliminare agendo con la logica Lean; l'aspetto caratterizzante è la sistematica ricerca di realizzare performance di costo sempre migliori utilizzando il kaizen costing; tale approccio consiste nel produrre continui sforzi volti all'ottenimento di ulteriori risparmi di costo lungo il processo di produzione (quando le caratteristiche di base del prodotto sono ben delimitate e non sono più modificabili). II punto principale del kaizen costing è di diminuire, mentre si sostengono i costi, ad un livello meno elevato di quello dei soliti costi prestabiliti in sede di budget. Il tutto si realizza col miglioramento continuo del processo produttivo che complessivamente genera risparmi nelle risorse impiegate. Punto di partenza del CD è che i costi utilizzati devono essere noti e facili da aggiornare da parte del team, ma soprattutto devono essere certificati e oggettivi in modo tale che il relativo andamento possa essere diretta conseguenza delle attività intraprese. Come è noto i costi sono le risorse consumate al fine di effettuare una generica lavorazione, ovvero i costi sono la valorizzazione dei fattori produttivi impiegati in un certo tempo per un determinato scopo. Per il calcolo di una generica lavorazione occorre considerare sia il costo delle lavorazioni sia l'eventuale costo di set-up. Il costo orario delle lavorazioni o di trasformazione (Cl) - che rappresenta il vero valore aggiunto che fornisce l'azienda al cliente - è pari alla somma dei costi di tutte le fasi di lavorazione comprese nel ciclo di lavorazione e di controllo per il tempo necessario ad effettuare quella operazione (TI). Le fasi di lavoro si possono suddividere in lavorazioni interne, lavorazioni esterne, operazioni di controllo ed attività logistiche (imballaggio, Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO immagazzinamento, spedizione). Ogni fase di lavoro svolta internamente può richiedere o meno un'operazione di setup o attrezzaggio macchina - eseguita una volta per ogni commessa di lavorazione e comprende una lavorazione vera e propria effettuata su ogni singolo pezzo oppure sull'intero lotto produttivo a cui possiamo associare un costo orario di setup (Cs) ed un tempo di setup (TS). Dunque il costo della fase i-esima (Cf) è pari a ogni fase di lavoro ha un costo pari a: Cf = (Cs * TS) + (Cl * Tl) Concentrandosi su un'area model, si possono rilevare in modo semplice gli elementi economici inerenti alle attività in oggetto (manodopera, materia prima, materiali sussidiari ecc.) o relativi alle attrezzature (quota ammortamento macchinari, leasing, energia elettrica, gas ecc.) e infrastrutture (stabilimento, ufficio acquisti ecc.) utilizzate per eseguirle. Questo approccio permette di conoscere e ripartire i costi indiretti sulle attività, secondo dei criteri logici e oggettivi, e impone di valorizzare le perdite per poter priorizzare gli interventi di miglioramento controllandone i benefici. Il reperimento delle informazioni di costo e la relativa verticalizzazione sugli sprechi è solo il primo passo per schedulare i progetti di miglioramento: è necessario analizzare attentamente la composizione di costo delle perdite e valutarne ogni singola voce. Alcune componenti non sono riducibili perché sono strettamente legate alle modalità di investimento intraprese dall'azienda e non si dispone di adeguate leve per diminuirle o eliminarle: in particolare ci si riferisce agli ammortamenti (macchinari, attrezzature, capannoni ecc.). Altri costi, invece, devono essere oggetto di progetti di miglioramento, ma possono non avere un immediato impatto sul conto economico aziendale. L'utilizzo di manodopera per svolgere un'attività può essere ottimizzato, ma l'effetto della riduzione di costo è evidente solo se si analizza il processo in oggetto e non a livello aziendale: quella stessa manodopera potrebbe essere stata reimpiegata in altri reparti o semplicemente riqualificata in altre mansioni. Proprio a causa delle eccezioni sopra indicate, per utilizzare in modo adeguato la metodologia di CD è opportuno identificarne il perimetro di riferimento, in modo da concentrarsi unicamente su quelle tipologie di costo per le quali si possiedono i mezzi per ridurle e la valenza complessiva, in modo da lavorare in prima battuta su quegli sprechi la cui riduzione di costi possa essere riscontrata velocemente anche a livello di Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO conto economico generale. Per questo motivo, a paritĂ di qualsiasi altro elemento (semplicitĂ di intervento, benefici attesi ecc.), non sempre gli sprechi che presentano un costo piĂš elevato sono i primi a dover essere aggrediti; infatti è opportuno indirizzare le proprie attenzioni sulle perdite che hanno un perimetro di riferimento importante, ma anche una valenza complessiva elevata. AI fine di poter implementare in maniera ottimale il pillar occorre individuare quali sono i dati numerici che possono portare a rilevare le giuste aree da aggredire per la riduzione degli sprechi e le relative perdite, in modo da fare capire se le contromisure adottate sono realmente efficaci. Per misurare gli sprechi e le perdite possiamo prendere in considerazione gli indici Efficienza ed Efficacia; infatti questi due indicatori sono espressi entrambi come un rapporto tra Input e Output solo che per l'Efficienza, a fronte di un output costante, si vuole minimizzare l'input, mentre per l'Efficacia, a fronte di un input costante si vuole massimizzare l'output. đ?‘’đ?‘“đ?‘“đ?‘–đ?‘?đ?‘–đ?‘’đ?‘›đ?‘§đ?‘Ž =

đ?‘’đ?‘“đ?‘“đ?‘–đ?‘?đ?‘Žđ?‘?đ?‘–đ?‘Ž =

đ?‘œđ?‘˘đ?‘Ąđ?‘?đ?‘˘đ?‘Ą (đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›đ?‘Ąđ?‘’) đ?‘–đ?‘›đ?‘?đ?‘˘đ?‘Ą (đ?‘šđ?‘–đ?‘›đ?‘–đ?‘šđ?‘–đ?‘§đ?‘§đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘’)

đ?‘œđ?‘˘đ?‘Ąđ?‘?đ?‘˘đ?‘Ą (đ?‘šđ?‘Žđ?‘ đ?‘ đ?‘–đ?‘šđ?‘–đ?‘§đ?‘§đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘’) đ?‘–đ?‘›đ?‘?đ?‘˘đ?‘Ą (đ?‘?đ?‘œđ?‘ đ?‘Ąđ?‘Žđ?‘›đ?‘Ąđ?‘’)

Considerando tali indici possiamo evidenziare che l'eccesso di quantità di input è uno spreco, mentre un utilizzo non efficace di input è una perdita. In generale in qualunque realtà produttiva si possono rilevare due tipologie di perdite sporadiche e croniche. Le prime sono perdite che avvengono o una volta sola o molto raramente nel tempo; quando l'impatto del fenomeno è rilevante occorre un'immediata attenzione e necessita di risoluzione in tempi stretti. Il suo ripristino permette di ritornare alle condizioni iniziali o standard; se le soluzioni intraprese per la risoluzione non sono appropriate il fenomeno sporadico può diventare ricorrente. Mentre un fenomeno cronico è un problema - che sia pure con fluttuazioni di livello piÚ o meno grandi è costantemente presente nell'impianto produttivo-, in generale il suo impatto non è rilevante, ma può succedere che il protrarsi nel tempo crei molto disturbo nel processo. A volte è considerato inevitabile ed è accettato e gestito giorno per giorno cercando di limitarne il piÚ possibile gli effetti. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La Figura seguente identifica diverse tipologie di perdite secondo una logica sempre più affinata di ricerca delle perdite e degli sprechi.

ln generale si possono definire: •

perdita di tipo A, ossia perdita generata da una deviazione rispetto allo standard (perdita a budget, come per esempio il costo delle ore delle attività non a valore aggiunto previste per la realizzazione di un montaggio). Sono le perdite più macroscopiche, rilevate normalmente nella prima applicazione del Cost Deployment;

perdita di tipo B, ossia perdita generata dalla deviazione degli attuali processi rispetto alla situazione teorica standard (derivante ad esempio da benchmark interno). Per eliminare questo tipo di perdita occorre osservare i principi operativi, comprenderne gli standard operativi ed eliminare i difetti una volta individuati (esempio: PPA);

perdita di tipo C, ossia identificata a livello ideale, prescindendo dalle costrizioni della situazione attuale, oppure attraverso benchmarking esterno, oppure derivante da una idea innovativa. Per eliminare questo tipo di perdita può essere

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO necessario riprogettare gli impianti e/o reingegnerizzare il processo o il prodotto attuale (esempio: Advanced Kaizen).

Il passo successivo è, quindi, quello di associare un valore economico a tale perdita/spreco. Ăˆ fondamentale dare una misura a tutte le perdite che vengono identificate nel processo in valutazione e, per fare ciò occorre trovare un indicatore tecnico (le perdite sono misurate in unitĂ fisiche come ad esempio ore, unitĂ , KWh e poi vengono trasformate in costi) che consenta di quantificare la perdita e di valorizzarla economicamente; in generale si considera il prodotto tra la singola perdita/spreco ed il costo unitario associato ad esso. Ad esempio, se consideriamo la perdita per guasto (â‚Ź/anno), è pari al prodotto del costo unitario del guasto (ore/anno) per il costo orario di manodopera (â‚Ź/ore), quindi:

đ??śđ?‘œđ?‘ đ?‘Ąđ?‘œ [

â‚Ź â„Ž â‚Ź ] = đ??şđ?‘˘đ?‘Žđ?‘ đ?‘Ąđ?‘– [ ] ∗ đ?‘‡đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘–đ?‘“đ?‘“đ?‘Ž [ ] đ?‘Žđ?‘›đ?‘›đ?‘œ đ?‘Žđ?‘›đ?‘›đ?‘œ â„Ž

Giova qui ricordare che uno spreco è una qualsiasi attività che consuma piÚ risorse del necessario (manodopera, materiali, mezzi di produzione, energia, ecc.) senza creare valore. Si può affermare che lo spreco si annida nel mondo delle RI cioè Rilavorazione, Rielaborare, Riparare, Riaprire un turno. ln un impianto industriale si possono rilevare oltre 60 di tipologie diverse di perdite/sprechi; tutte queste perdite devono poi essere raggruppate in 4 macro-voci: impianti, manodopera, materiali ed energia.

Impianti/macchine Le perdite legate agli impianti sono suddivise in efficienza dell'impianto e tempo di disponibilità L'efficacia complessiva dell'impianto (Overall Equipment Effectiveness - OEE) è uno strumento semplice e potente per controllare il processo di miglioramento di una linea, di un impianto o di una macchina operatrice ed è un indicatore che misura il tasso di qualità , l'efficienza della prestazione e la disponibilità tecnica della macchina.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La grande diffusione di questo parametro è dovuta al fatto che la misurazione riguarda direttamente la capacità produttiva dell'impianto e tramite OEE si può risalire a quali sono le cause di inefficienza dell'impianto o della macchina, che hanno condotto alla mancata produzione come ad esempio: •

il periodo di andata a regime della macchina che può prevedere una fase di produttività crescente fino al massimo;

la velocità della linea che può essere inferiore a quella teorica per problemi di impostazione, di conduzione, di manutenzione;

le piccole fermate dell'impianto, che non vengono considerate attentamente proprio per la breve durata; queste tuttavia interrompono la produzione per periodi brevi ma pur sempre significativi nella somma complessiva;

la produzione di scarti che può essere ricondotta tanto alla manutenzione quanto a cause esterne come le materie

i guasti veri e propri, che hanno necessità di tempo per essere riparati;

il set-up della macchina, che comporta la perdita di tempo per l'impostazione dei parametri in riavvio;

la regolazione di alcuni parametri che incidono sulla velocità.

L'OEE è definito dalla seguente espressione, calcolata per un intervallo di tempo t (esempio un turno di lavoro) O.E.E (t) = A(t) x E(t) x Q(t)

(eq.1)

Dove A(t) = Availability, ovvero la disponibilità dell'impianto E(t) = Efficiency, ovvero l'efficienza di lavorazione Q(t) = Quality, ovvero il tasso di qualità t = rappresenta un generico intervallo di tempo (esempio: un turno di lavoro) in cui viene condotta l'analisi. (NB: deve essere al netto dei periodi di non produzione come ad esempio i casi eccezionali di mancanza ordini) Spesso si è portati a focalizzare uno solo dei tre parametri a scapito degli altri, per esempio si può pensare di massimizzare la qualità a scapito dell'efficienza della prestazione e della disponibilità dell'impianto altri casi si pensa di massimizzare gli

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO output a scapito della qualità e della disponibilità dell'impianto o invece di ottimizzare la disponibilità della macchina a scapito della qualità e dell'efficienza. Una volta che sia stato stabilito quali sono le perdite principali e siano state misurate le stesse per ciascuna tipologia, occorre stabilire quanto ciascuna di queste incide sull'efficacia complessiva per focalizzare l'attenzione sulle più rilevanti e risolverle, o quanto meno migliorarle. Per analizzare in dettaglio le variabili occorre introdurre i concetti di tempo di apertura impianto e di stato possibile di impianto Infatti il tempo effettivo di lavorazione risulta pari al tempo di apertura dell'impianto, ovvero tempo solare meno il tempo di non apertura per festività, ferie, eventi imprevisti (come ad

esempio terremoti , alluvioni ,ecc.) detratto dei tempi di mancato

funzionamento per i quali l'impianto stesso risulta potenzialmente disponibile, ma inattivo e non funzionante. I tempi di non funzionamento dell'impianto possono essere dovute ad: ▪

non utilizzo per mancanza ordini (TMo), mancanza materiali (TMm), scioperi (TSc)

assenteismo, prove e campionature (TPr)

attese per cambio turno, microassenteismo, pause, assenza di materiali a bordo macchina pur essendo presente a magazzino, problemi organizzativi del reparto (TO)

fermi per guasti e malfunzionamenti (TG)

fermi per manutenzione preventiva o programmata (TM)

fermi per riattrezzaggio (TS)

fermate minori o microfilmate riduzioni di velocità rispetto al ritmo standard scarti e rilavorazioni prodotti difettosi

Il tempo effettivo di produzione, pari al tempo impiegato per realizzare la produzione buona (QB), quella di scarto (QS) e il connesso tempo di set up (TS), risulta pertanto pari al tempo di apertura impianto, al netto dei tempi variamente assorbiti dai diversi stati di impianto classificati. Dati dunque T e i vari tempi connessi allo stato del macchinario, è possibile calcolare la potenzialità teorica (Pt) di un macchinario, come il prodotto della potenzialità di targa (altrove definita nominale odi punta) PT, per il coefficiente di disponibilità A: Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

đ??´=

T − TMo − TMm − TSc − TO − TG − TM tempo effettivo di utilizzo = T − Mo − TMm − TSc − TO tempo teorico di utilizzo

Detratte al numeratore e al denominatore le fermate per cause non imputabili all'impianto, il coefficiente di disponibilità risulta dal rapporto del tempo effettivo di utilizzo dell'impianto (ovvero del tempo di teorico utilizzo al netto delle indisponibilità per guasti e manutenzioni), rispetto al tempo di teorico utilizzo lordo. Nel determinare l'indice di disponibilità , si detraggono i tempi di non funzionamento TMo, TMm, TSc, TO, nella giusta considerazione che l'incidenza di guasti e fermate debba essere rapportata al tempo in cui l'impianto è funzionante. Noti la potenzialità di mix (Pmix) e il coefficiente di disponibilità A, è possibile stimare per un tempo T la potenzialità attesa di periodo, ovvero la capacità produttiva disponibile standard: CPD = Pmix * A * T' (unità ) dove T' = T -TPr -TSc -To in quanto, nel caso di stima di capacità produttiva, si considera la medesima incidenza di

prove, scioperi e pause organizzative desunta dal passato, mentre restano

imponderabili, e non auspicabili in sede di previsione, gli elementi TMo e TMm. ln ciò si ravvisa la distinzione tra i concetti di potenzialità produttiva e di capacità produttiva: il primo si riferisce a una misura di flusso, espressa in unità /periodo, mentre il secondo è una misura di volume (capacità ), espressa in unità , e pari all'applicazione della misura di potenzialità per un intervallo temporale definito (T = settimana, mese, anno ecc.).

Il secondo termine dell'eq.1 rappresenta l'efficienza di lavorazione, E(t), che deve esser calcolata confrontando la produzione ottenuta con il massimo potenziale della macchina in funzionamento tenendo in considerazione le eventuali perdite che impattano sul tempo di produzione effettivo netto. đ??¸(đ?‘Ą) =

đ?‘‡đ?‘’đ?‘šđ?‘?đ?‘œ đ?‘?đ?‘–đ?‘?đ?‘™đ?‘œ đ?‘–đ?‘‘đ?‘’đ?‘Žđ?‘™đ?‘’ ∗ đ?‘›° đ?‘?đ?‘’đ?‘§đ?‘§đ?‘– đ?‘‡đ?‘’đ?‘šđ?‘?đ?‘œ đ?‘œđ?‘?đ?‘’đ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘–đ?‘Łđ?‘œ

Tali perdite possono essere:

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ➢ Perdita per microfermate e attese dell'impianto (blocco sensori, blocco discensori). Non sono veri e propri guasti ma piccoli problemi che però possono causare molte fermate e compromettere l'efficienza dell'impianto. Sono dei tempi persi molto difficili da rilevare a causa della loro breve durata e vengono ignorati e non analizzati correttamente poichĂŠ, in modo superficiale, vengono considerati appartenenti al normale funzionamento di un impianto; in realtĂ ciò non è vero dal momento che possono penalizzare fortemente le prestazioni delle macchine. La durata di queste fermate può andare da qualche secondo fino a qualche minuto, ma comunque sono tutte ascrivibili a dei malfunzionamenti temporanei delle attrezzature, che possono essere generalmente ripristinate nel loro funzionamento normale dagli operatori delle macchine in tempi brevi. Se il numero e la durata complessiva delle microfermate è consistente, esse possono andare a ridurre notevolmente la produttivitĂ di un sistema, portando a ritardi, mancate produzioni, necessitĂ di una rischedulazione degli ordini di produzione, tempi ciclo piĂš lunghi, lead time allungati, mancate evasioni degli ordini, mancata soddisfazione delle esigenze dei clienti, minore flessibilitĂ interna. ➢ Perdita per tempo ciclo rallentato, dovuta al fatto che il tempo ciclo dell'impianto è superiore a quello teorico di progetto

Il terzo termine dell'eq.1 considera il tasso di qualitĂ , Q(t), ovvero le perdite dovute ai difetti (l'impianto non produce pezzi qualitativamente accettabili) ed alle rilavorazioni. Tali perdite devono essere registrate misurando scarti/lavorazioni ed impattano sul tempo effettivo di produzione. đ?‘‡đ?‘’đ?‘šđ?‘?đ?‘œ đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘œđ?‘‘đ?‘˘đ?‘§đ?‘–đ?‘œđ?‘›đ?‘’ đ?‘‘đ?‘–đ?‘“đ?‘’đ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘– đ?‘‡đ?‘’đ?‘šđ?‘?đ?‘œ đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘œđ?‘‘đ?‘˘đ?‘§đ?‘–đ?‘œđ?‘›đ?‘’ đ?‘Ąđ?‘œđ?‘Ąđ?‘Žđ?‘™đ?‘’ Ăˆ evidente che per le strategie di miglioramento potranno essere diverse; in particolare đ?‘„(đ?‘Ą) = 1 −

si potrĂ agire sui parametri di conduzione dell'impianto, sull'organizzazione della manutenzione, ecc. Manodopera Le perdite riferibili alla macrovoce manodopera sono dovute al contenuto di lavoro; la produttivitĂ della manodopera si ottiene dividendo le quantitĂ effettivamente prodotte

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO (volume di prodotto) contabilizzate in ore standard (tempo prodotto) per le ore complessivamente pagate agli addetti (costo del lavoro) Nell'ottica Lean, ogni attività viene classificata come attività a Valore Aggiunto (VA), attività a Semi Valore Aggiunto (SVA) ed attività non Valore Aggiunto (NVA). Tuttavia, va notato che anche alcune attività percepite NVA potrebbero essere necessarie per conformarsi a determinati requisiti. •

Attività a valore aggiunto (value added - VA): le operazioni utili sono tutte quelle azioni che sono previste nel tempo ciclo di lavorazione e direttamente legate alla trasformazione del prodotto ad esempio: stringere, tenere preparazioni, caricare, stendere, scaricare, posizionamento, ecc. o che trasformano, ad esempio assemblare, avvitare, tagliare, saldare

Attività a non valore aggiunto o perdite nei movimenti operativi (Operating Motion Losses): NVA (Not Value Added), sono attività che non migliorano l'immagine del prodotto o servizio al cliente e non supportano il processo di business. L’attività potrebbe essere rimossa dal processo senza alcun effetto sul prodotto finale o servizio.

Le NVA sono da intendersi come tutti quei movimenti presenti nel ciclo di lavorazione che non arricchiscono di valore il prodotto. Sono perdite che sono incluse nel costo del prodotto e che vengono pagate dal cliente, ma che non comportano la trasformazione del prodotto. Ad esempio: o il tempo di inattività dell'operatore durante una microfermata o le operazioni che lo stesso deve fare per riavviare la macchina sono da intendersi come perdite causa guasto (la microfermata è di fatto un piccolo guasto) o trasporto tutti i movimenti non necessari alla trasformazione: doppi carichi, scarichi di materiale, percorsi non ottimizzati, ecc. o movimento delle persone che non aggiunge valore: camminare, cercare, osservare, piegarsi. controlli ecc., o attesa: tempo di inattività generato quando il materiale, le informazioni, le persone o le attrezzature non sono al posto giusto nel momento giusto o processo: azioni non necessari alla trasformazione, ad esempio dividere, selezionare, contare, misurare, ruotare.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Queste attività o processi, pur non aggiungendo valore per il cliente finale, sono necessarie nelle attuali condizioni di lavoro (ovvero non possono essere direttamente eliminate). Materiali Le perdite derivanti dalla macrovoce materiali costituiscono uno spreco per i tempi "non strettamente necessari” al ciclo di fabbricazione del prodotto dovuti ad esempio nell'utilizzo di materiali diretti e di consumo per impiego di materiali o componenti con difetti qualitativi, al tempo occorrente per selezionare il materiale in ingresso, al tempo per scartare un prodotto o un semilavorato, ecc. Rimuovere tutte le cause che possono causare ritardi e/o attese lungo il normale flusso produttivo può essere talvolta difficile e in alcuni casi molto costoso, tuttavia va considerato che ogni unità di prodotto "ferma" nel ciclo produttivo equivale ad un costo (valore) immobilizzato. ln conclusione deve essere fatta una attenta valutazione dei tempi di attesa dei prodotti/materiali, ove possibile tradotta in "costi" e, in virtù del risultato, definire la migliore strategia "possibile" per eliminare/ridurre tutti i "ritardi non necessari" nel normale flusso produttivo. Energia L'energia può costituire una componente importante dei costi di gestione di qualsiasi impresa, sia industriale sia di servizi perché i sistemi industriali risultano essere particolarmente energivori e determinano un costo del prodotto finale elevato indipendentemente dal prezzo delle materie prime utilizzate II consumo di energia nei comparti produttivi e nel terziario costituisce, comunque, una voce nei bilanci aziendali, la cui riduzione comporta un risparmio diretto per le imprese. Purtroppo per le imprese l'energia è una semplice voce di costo nei bilanci di esercizio, come costo fisso senza alcuna possibilità di negoziazione e di gestione. La valutazione dei possibili risparmi non riguardare solo l'illuminazione, la climatizzazione degli ambienti o l'isolamento termico ma è necessario valutare tutti gli aspetti in cui l'azienda consuma energia, dalla produzione alla logistica. Con il termine "efficienza energetica" si fa riferimento ad una serie di azioni di programmazione, pianificazione, progettazione e realizzazione che permettono, a parità

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO di servizi offerti, di consumare meno energia il cui obiettivo finale è la riduzione dei consumi, e quindi dei costi mantenendo costante il livello produttivo, garantendo l'erogazione di un servizio attraverso l'utilizzo della minor quantità di energia possibile. Come è noto le aziende acquistano i vettori primari energetici che sono necessari per poter eseguire l'attività produttiva, come acqua, gas ed energia elettrica che, attraverso la trasformazione e la distribuzione (cablaggi e tubazioni), arrivano al punto di utilizzo alimentando gli impianti e permettendone il funzionamento sotto forma di vettori energetici secondari. Le possibili perdite possono essere: ▪

Associate al punto di utilizzo in cui si possono avere perdite per consumi inutili: perdite per consumi energetici in periodi non produttivi, utenze che restano accese durante la chiusura dello stabilimento, oppure macchinari in azione in periodi di non produzione (guasti, fermi macchina) e perdite per utilizzi non necessari: utenze che servono luoghi vuoti;

Perdite per sovraconsumo che possono riguardare: set-point troppo elevati: quando nei macchinari si riscontrano degli assorbimenti maggiori rispetto ai valori nominali misurati in fase di prima installazione e avvio (ad esempio la macchina deve consumare 30W ne consuma 40W);

Obsolescenza, bassa saturazione: la saturazione degli impianti viene calcolata come rapporto tra quantità prodotta e quantità massima producibile, quindi se il macchinario acquistato mi consente di produrre 20.000 pezzi l'anno ed io ne produco 4000 la percentuale di saturazione è del 20%.

Perdite per non ottimizzazione che sono associabili all'utilizzo o meno di tecnologie efficienti sotto il punto di vista energetico, ovvero: esistenza di una tecnologia migliore sul mercato per l'impianto utilizzato; impianti che lavorano in condizioni di non progetto, dovuto al mancato utilizzo dei metodi/tecnologie e dispositivi atti a migliorare le prestazioni in termini di efficienza. ln questo caso si individuano i picchi di assorbimenti durante il ciclo di lavoro e non al completo assorbimento degli impianti.

Perdite per non utilizzo di energie residue; si fa riferimento alle metodologie per recuperare l'energia evitando gli sprechi.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO â–Ş

Perdite legate al mezzo di trasmissione, tutte quelle che si possono verificare nella linea di distribuzione dell'energia che conduce agli impianti, come: Perdite sala compressori; Fori nelle tubazioni; Basso isolamento; Dispersioni.

Gli ultimi due gruppi di perdite definiscono perdite che riguardano sia la trasformazione dell'energia che la stessa sorgente di energia. L’energia tende a passare da una forma all'altra e le varie forme di energia non restano perennemente tali, ma si trasformano le une nelle altre; infatti, con un generatore elettrico si può trasformare l'energia meccanica in energia elettrica, mentre con un motore elettrico, si trasforma l'energia elettrica in energia meccanica che permette il funzionamento degli impianti.

I sette Step del Cost Deployment

Fig 2.

Nello Step 1 del CD occorre identificare il costo CI del processo in esame e stabilire un target di riduzione dei costi

Il CI si compone di due macrovoci del costo del lavoro ed altre spese; in particolare il costo del lavoro è rappresentato dai costi di manodopera diretta ed indiretta mentre le

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO altre spese sono rappresentate da: energia, materiali di consumo, scarto dei materiali diretti, materiali e servizi di manutenzione, handling, trasporti, pulizia tecnica. Come si nota oltre ai materiali diretti non si prendono in considerazione altre voci di costo come ammortamenti, spese straordinarie di esercizio, costi pluriennali, trasporti Inbound e outbound perchĂŠ non possano essere valutati direttamente in termini di sprechi e perdite.

Nello Step 2, note le voci di costo da prendere in considerazione, occorre identificare qualitativamente gli sprechi e le perdite sulla base di dati storici (se disponibili) o se non sono disponibili individuare una misura qualitativa di sprechi e perdite. A tal fine si utilizza la Matrice A che fornisce una prima valutazione qualitativa, e poi un'analisi quantitativa, delle maggiori perdite e sprechi come riportata in figura.

Fig. Matrice A

Sulle righe della Matrice A sono riportate un elenco delle perdite specifiche dello stabilimento, indicando per ciascuna di esse se sono Perdite Causali, Risultanti o Causali e Risultanti. Le Perdite Causali sono delle perdite che generano altre perdite, è una perdita causata da un problema del processo o dell'impianto ed è una perdita direttamente collegabile alla causa radice del problema, mentre le Perdite Risultanti sono delle perdite generate

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO da altre perdite. È ovvio che una perdita causale può generare più perdite risultanti e una perdita risultante può essere generata da più perdite causali. Le perdite causali sono delle perdite che generano altre perdite nello stesso processo (perdita statica) e/o in altri processi a monte o a valle (perdita dinamica).

Le perdite dinamiche sono tutte quelle perdite la cui causa origine provoca un fermo linea nel ciclo giornaliero di produzione. Sono dunque esprimibili dimensionalmente in termini di tempo o prodotti persi per fermo linea. Mentre quelle statiche sono tutte quelle perdite la cui causa origine non provoca un fermo linea. Esse sono legate a decisioni di impostazione gestionale delle linee e al numero prodotti da produrre nell'unità di tempo di osservazione ed hanno una sola risultante: la manodopera diretta. Le perdite risultanti sono perdite di materiali, di manodopera, di energia ecc. conseguenti ad una perdita di un altro processo o impianto. Sulle colonne della Matrice A sono riportate le fasi del Processo, dove per processo si indica una porzione dello stabilimento o del processo globale. La valutazione dell'impatto di ciascuna perdita in ciascun processo, in questa fase iniziale, è effettuata sull'esperienza e sulla conoscenza dei processi perché solo chi conosce i processi di stabilimento può dare indicazioni sulle perdite e sugli sprechi che lo affliggono. Negli incroci si valuta l'impatto di ciascuna perdita in ciascun processo, utilizzando colori diversi: rosso per impatto alto, giallo medio, verde basso, bianco nullo, o valori numerici: 1, 2 o 3, dove 3 ha la priorità più alta e 1 quella più bassa. In questo modo si ottiene una prima valutazione qualitativa delle principali perdite di stabilimento e delle aree maggiormente affette da esse.

Nello Step 3 si separano le perdite causali e le perdite risultanti individuate nella matrice A; infatti se si vogliono eliminare le perdite definitivamente occorre individuare e ridurre le perdite causali, derivanti da un problema del processo o dell'impianto. Se si focalizza l'attenzione su una perdita risultante non si risolve la causa della perdita sul processo, lo scopo dell’attività è identificare le cause di ciascuna perdita in ciascun processo. Questa distinzione viene fatta in quanto non esiste una soluzione diretta per attaccare

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO una perdita risultante, in quanto non può essere ridotta a meno che la causa radice non venga individuata.

Fig. Matrice B

Sulle righe della Matrice B vengono riportate le sole perdite causali, divise per processo, e individuati dalla Matrice A, mentre sulle colonne vi sono le perdite risultanti suddivise per processo. Per ciascuna riga gli incroci rappresentano la relazione tra perdite causali e perdite risultanti.

Quando si compila la Matrice B per la prima volta è utile indicare sulle colonne tutte le perdite (sia causali che risultanti) per effettuare una sorta di "check' della classificazione delle perdite in Causali/Risultanti fatta nella Matrice A; se nella cella relativa alla perdita compare la sola diagonale, allora quella perdita è una Causale, mentre se compare una sorta di scacchiera quella perdita è una Risultante. Una volta ultimata la Matrice B si avrà una chiara idea riguardo quali perdite generano altre perdite e tutti i collegamenti tra processi. Nello Step 4 del CD si calcolano i costi delle perdite e sprechi. Per poter calcolare il valore delle perdite occorre definire la struttura di costo delle perdite e raccogliere i dati che definiscono le perdite risultanti, collegandoli alla perdita causale. Successivamente Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO occorre tradurre i parametri fisici in costi, manodopera diretta, indiretta ed esterna, i costi dell'energia elettromotrice, i costi di illuminazione, dell'acqua, i costi dei materiali, i materiali diretti da fornitori e da altri stabilimenti, i materiali indiretti, ecc. I dati necessari alle valorizzazioni nelle matrici di CD possono richiedere una raccolta dati costante o semplicemente risiedere in sistemi di fabbrica a seconda che la natura del dato possa essere considerata dinamica o statica. La valorizzazione delle perdite deve essere fatta considerando un arco temporale di tre mesi al fine di ricavarne poi una fotografia media mensile o annuale. L'obiettivo è dunque quello di quantificare le perdite in termini economici attraverso lo strumento della Matrice C; tale matrice valorizza il costo delle perdite sorgenti, dandone la priorità e mette in luce i costi derivanti dalle perdite causali nei processi, cioè, le perdite che portano maggiori costi. Costituisce quindi il legame fra sprechi e perdite e la struttura dei costi dello stabilimento. Dopo aver identificato le cause origine, occorre quantificarle e classificarle in costi utilizzando la struttura dei costi di stabilimento.

Fig. Matrice C

Le righe della Matrice C rappresentano le perdite declinate per processi, ovvero sono le stesse della Matrice B, mentre le colonne sono le voci di costo: manodopera diretta, manodopera indiretta, energia, materiali di consumo, materiali di manutenzione. Con questa struttura si procede alla quantificazione delle perdite causali andando a Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO quantificare ogni cella individuata nella Matrice B e individuando delle formule che portino alla costificazione di ogni perdita.

Fig. Processo di costificazione delle perdite

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Fig. esempi formule per costificazione perdite

La matrice C produce un insieme di dati che devono essere analizzati tramite stratificazione in diversi modi per fornire informazioni relative al tipo e al valore delle perdite generate, alla localizzazione delle perdite, alla relazione tra i costi di trasformazione e la struttura dei costi delle perdite. La stratificazione è uno strumento che consente di analizzare i dati disponibili esplodendoli fino all'ultimo livello possibile. Ovvero si stratificano i dati per permette di individuare le aree su cui intervenire attraverso l'esplosione reiterata della perdita principale, operata a livelli di dettaglio sempre maggiori. Per identificare le perdite principali e le aree piÚ critiche si può utilizzare - ad esempio - l'analisi di Pareto (Successivamente bisogna prendere la perdita principale, ripetere il processo sulla perdita oggetto dell'analisi fino a che non si trovino dei modelli e/o delle distribuzioni all'interno dei dati che chiariscono il probabile problema)

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L'analisi di Pareto (che prende il nome dal suo ideatore Vilfredo Pareto, uno dei maggiori economisti italiani) è uno strumento molto utilizzato per valutare l'importanza dei motivi delle perdite. Il principio base di questo tipo di analisi è la cosiddetta regola dell'80-20, cioè dall'80% al 20% delle cause; in termini di qualità si potrebbe esprimere dicendo che il 20% dei tipi possibili di guasto in un processo produttivo genera l'80% delle difettosità totali. Indipendentemente dalle percentuali tale principio è fondamentale perché mette in luce come agendo solo su una piccola parte dei problemi si possano ottenere grandi benefici. ln particolare in un ambiente produttivo ciò significa, ad esempio, concentrarsi sulle macchine critiche e sulle sue principali problematiche, in modo da comprendere come eliminare o ridurre i tempi persi. Per costruire il diagramma di Pareto è necessario procedere per fasi: 1) si definisce un obiettivo (es. ridurre la difettosità del 30%) 2) si stabiliscono i fattori di stratificazione 3) si raccolgono i dati e si determina la relativa frequenza 4) si dispongono gli elementi in una tabella in ordine decrescente 5) si determinano i valori cumulativi 6) si determinano le percentuali sul totale e le percentuali cumulative Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 7) si riportano i valori così trovati in un diagramma. Nel grafico finale si ha un istogramma del fattore da analizzare realizzato in ordine decrescente di significatività e una linea rappresentante la percentuale cumulata; in questo modo è possibile concentrarsi sulle cause che determinano la percentuale cumulata desiderata (generalmente 1'80%).

Nello Step 5 del Cost Deployment si identificano i metodi per recuperare le perdite e gli sprechi. Una volta identificate le perdite che hanno maggior valore economico è necessario scegliere i metodi appropriati per la loro riduzione/eliminazione. ln generale esistono due tipi di approcci che utilizzano strumentazioni proprie specifiche.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO L'approccio di miglioramento focalizzato è orientato alla soluzione di tematiche specifiche e univocamente identificabili, si concentra sul singolo problema e ottiene risultati in tempi brevi. L'approccio di miglioramento sistematico è orientato alla soluzione di tematiche di carattere generale e non univocamente identificabili, richiede un maggior tempo ma ha un impatto più esteso e previene nel tempo il verificarsi di altre perdite. Gli strumenti tipici dell'approccio sistematico sono organizzati nei pillar tecnici del WCM: Safety, Autonomous Maintenance, Workplace Organization, Professional Maintenance, Quality Control, Logistics, People Development.

Per poter scegliere quali perdite occorre iniziare ad attaccare, si utilizza l'indice ICE che permette di sottoporre le più importanti perdite causali identificate dalla matrice C a una valutazione degli impatti, del costo e della facilità di attacco. Tale indice è dato da:

ICE = I x C x E dove:

I = esprime qualitativamente, con un ranking da 1 a 5, l'impatto o il valore economico della perdita individuata.

C = esprime qualitativamente, con un ranking da 1 a 5, il valore economico dei costi da sostenere per l'attuazione del miglioramento.

E = esprime qualitativamente, con un ranking da 1 a 5, il livello di facilità nell'affrontare la perdita (tempi e risorse).

Dunque, l'indice ICE, esprime qualitativamente con un ranking da 1 a 125 il livello di attaccabilità della perdita.

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Fig. Matrice D

Nella matrice D nelle righe vi sono sempre le perdite Causali declinate per processi mentre sulle colonne vi sono i Pilastri WCM, i Key Performance Index e l'indice ICE ovvero l'impatto (basato sul valore della perdita), il Costo per attaccare la perdita e l'Easiness ovvero la facilità nel ridurre la perdita. Una volta completata la matrice D sarà chiaro su quali perdite lavorare prima e con quali metodologie.

Nello Step 6 del Cost Deployment occorre stimare i costi dei miglioramenti e l'ammontare della possibile riduzione costo. Dopo aver identificato i metodi più appropriati per ridurre le perdite importanti dei vari processi, è necessario eseguire un bilancio economico fra costo di implementazione del nuovo metodo e beneficio derivante dalla riduzione della perdita. A questo scopo si utilizza la matrice E basandosi quindi sull'analisi costi/benefici; è infine possibile scegliere quali iniziative di miglioramento intraprendere per prime. I risparmi sono per definizione stimati in base alla struttura di costo dello stabilimento, alle tariffe, alle condizioni produttive di riferimento, ma richiedono un processo di consuntivazione certificato dalla funzione Amministrazione e Controllo.

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L'obiettivo è creare una lista globale ed una pianificazione dei progetti attraverso la Matrice E.

Esempio Matrice E

Sulle righe ci sono tutti i progetti definiti per la riduzione delle perdite individuate mentre sulle colonne sono indicati lo stabilimento, l'area impattata dalla perdita, l'impianto, la categoria di perdita, il tipo di perdita, il nome del progetto, il responsabile del progetto, il pilastro WCM, gli strumenti WCM, la perdita mensile, la perdita annuale, il costo e le scadenze del progetto e i Savings previsti. La Matrice E rappresenta la visione d'insieme dei progetti di miglioramento WCM avviati, ed elenca per ogni progetto i valori pianificati ed effettivi in termini di Costi/Benefici e impatto sui KPI di stabilimento.

Nello Step 7 occorre stabilire un piano di miglioramento e la sua implementazione; in particolare occorre definire ed implementare un piano di monitoraggio dei progetti Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO tramite la Matrice F e collegare i Savings dei progetti ai valori di Budget tramite la Matrice G.

Fig. Matrice F

Nella matrice F sulle righe si trovano i vari progetti indicando la perdita attaccata e il livello a cui essa è localizzata, mentre sulle colonne vi sono i Savings divisi in: •

Budget Saving ovvero il saving previsto a Budget per l'anno corrente;

Rolling Forecast ovvero l'ultima previsione del saving previsto a budget;

Actual ovvero il valore di saving ottenuti da ciascun progetto.

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Fig. Matrice G

4 WORKPLACE ORGANIZATION La Workplace Organization (WO) rappresenta l’altra attività autonoma ma, invece di riguardare gli impianti, si focalizza sulle aree ad intensità di attività manuali. All’interno della Lean tale pilastro è molto importante poiché si tratta di un’azienda labour intensive e quindi prevale il lavoro dell’uomo invece che delle macchine. Il pillar WO è costituito da un insieme di criteri tecnici, di metodi, e di strumenti atti a creare un posto di lavoro ideale per ottenere la migliore qualità, la massima sicurezza e il valore massimo (garantire l’ergonomia, garantire la sicurezza del posto di lavoro, assicurare la qualità del prodotto ecc); l’analisi sulle operazioni di lavoro è finalizzata a individuare tutti quei movimenti che possono generare impatti negativi sulla qualità, sui costi, sulla sicurezza e sul benessere, perché sbagliati, inutili, faticosi e pericolosi. Ciò si realizza attraverso il coinvolgimento degli operatori sia a livello di team che individualmente. Il pillar

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO provvede al trasferimento agli operatori delle competenze e delle capacità idonee a realizzare il miglioramento continuo del processo di lavoro e dei risultati di lavoro di cui risultano responsabili. I risultati attesi delle attività svolte attraverso il pilastro WO consistono in una riduzione delle principali perdite legate alla non qualità del prodotto e alla ridotta produttività del processo, nel miglioramento dell’ergonomia e nella riduzione della movimentazione del materiale. Il ruolo di pillar leader può essere ricoperto, oltre che dal responsabile dell’Unita Operativa, dal responsabile di produzione, dal responsabile dell’ingegneria, dal responsabile della Logistica, dal referente per l’ergonomia e la sicurezza dell’unità operativa e dal responsabile della qualità. La strumentazione che viene utilizzata in questo pilastro per analizzare le criticità che si presentano nel posto di lavoro a causa del modo in cui si lavora, vanno dalle tecniche più semplici quali 5S, 5Whys ai più complessi che riguardano l’analisi ergonomica delle postazioni di lavoro e lo studio delle operazioni a non valore aggiunto. Tutte le attività a non valore aggiunto devono essere eliminate e tale percorso può essere schematizzato in 5 step: 1. Rendere l’esecuzione delle operazioni più facile; 2. Miglioramento delle operazioni; 3. Eliminazione delle operazioni a non valore aggiunto; 4. Riorganizzazione del processo; 5. Introduzione dell’automazione. Perché è un’attività autonoma?

La Workplace Organization è un pilastro che deve essere sviluppato con il pieno coinvolgimento degli operatori. Il coinvolgimento di questi ultimi è fondamentale in quanto dovranno raggiungere, alla fine del percorso di sviluppo del pilastro, un livello di autonomia tale da poter gestire la linea da soli. Per far ciò è fondamentale far crescere le loro competenze. La chiave per raggiungere questo risultato è il loro coinvolgimento nello sviluppo di tutte le attività.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO L’obiettivo principale della Workplace Organization è l’incremento della Produttività nelle aree Labour intensive rispettando il principio del Minimal Handling. Il principio del Minimal Handling da un punto di vista MACROSCOPICO intende minimizzare gli spostamenti dei materiali mentre da un punto di vista MICROSCOPICO intende minimizzare i movimenti delle persone. Il pilastro della Workplace Organization si concentrerà sulla minimizzazione dei movimenti delle persone. Inoltre si deve: •

Garantire l’ergonomia e la sicurezza del lavoro

Assicurare la qualità del prodotto mediante un processo robusto e a prova di errore

Rispettare i piani di produzione e realizzare il livello di servizio richiesto dalla Rete.

Concetti chiave Definizione di Valore Aggiunto. Il valore aggiunto (VA) in un processo produttivo è il tempo necessario per eseguire le attività (job element) che attualmente trasformano e aggiungono valore al prodotto. Definizione di Semi Valore Aggiunto. Il semi valore aggiunto è il tempo necessario per eseguire le attività (job element) che sono necessarie allo svolgimento dell’attività a valore aggiunto e che però non aggiungono valore al prodotto.

Definizione di Non Valore Aggiunto. Il non valore aggiunto è il tempo necessario per eseguire le attività (job element) che sono inutili e non necessarie allo svolgimento dell’attività a valore aggiunto e che non aggiungono valore al prodotto. [Prelevare il componente dal contenitore risulta necessario (SVA) per poterlo poi montare sul prodotto (VA). Camminare (NVA) risulta non necessario in quanto basta avvicinare il contenitore alla postazione di lavoro per eliminare questa attività.]

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Definizione di Takt Time e Tempo Ciclo. Il Takt Time e il ritmo della produzione necessario affinché si possa soddisfare la domanda del mercato. si calcola come tempo totale disponibile al giorno diviso il numero di pezzi richiesti dal cliente al giorno. Il takt time non è da confondere con il tempo ciclo, che è il tempo lavorativo manuale necessario al completamento dell’operazione di assemblaggio. Dalla conoscenza del Tt e Tempo ciclo manuale totale si ricava un importante parametro del processo che è il numero di operatori che è uguale proprio al tempo ciclo manuale totale diviso il Takt Time. Definizione di dissaturazione. E’ la differenza tra il Takt Time e il tempo ciclo della linea, che è determinato dal tempo ciclo dell’operazione Bottleneck. Definizione di sbilanciamento. E’ la differenza tra il tempo ciclo dell0operazione bottleneck e il tempo ciclo della singola operazione. Definizione di One Piece flow. One piece flow vuol dire avere un flusso produttivo in cui, dopo aver eseguito un’operazione su un pezzo, questo viene mandato all’operazione successiva senza passare per un buffer intermedio. Il One Piece Flow si contrappone alla produzione a lotti in cui, i pezzi vengono inviati alla postazione successiva solo dopo aver completato il lotto di appartenenza.

Definizione di One Point Lesson. La One Point Lesson è uno strumento che ha l’obiettivo di consolidare il training e le competenze, focalizzandosi su un singolo problema, da svolgersi in poco tempo e in un solo foglio. Deve essere semplice da capire, immediata e deve essere fatta, come la SOP, dall’80% di immagini.

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Definizione SOP La SOP (Standard Operating Procedure) è la descrizione di un’attività così come dovrebbe essere eseguita. si presenta sotto forma di documento da esporre nelle aree dove l’attività in questione deve essere svolta. Deve essere ben chiaro, ben visibile e forato per almeno un 80% di sketches. Un’ immagine dice più di 1000 parole.

Il percorso di implementazione del Workplace Organization Il percorso di implementazione del pilastro Workplace Organization è costituito da sette step, raffigurati nella figura seguente:

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STEP 0: Attività Preliminari Di fondamentale importanza è il team di pilastro della WO il quale ha come compito quello di guidare nella realizzazione dei progetti di miglioramento delle postazioni di lavoro. All’interno del team devono essere presenti, oltre alle persone chiave che gestiscono normalmente le aree labour intensive, anche persone che si occupano di qualità, logistica, people development e sicurezza. Poi abbiamo la radar chart nella quale ci sono le competenze che devono avere i membri del team di pilastro in fase reattiva. Perché si classificano le aree? La classificazione delle aree serve a: indirizzare meglio le risorse. Andando a lavorare in aree dove ci sono maggiori perdite si ha la possibilità, a parità di risorse utilizzate, di avere una maggiore riduzione delle perdite. Attaccando poi le aree con maggiori perdite si ha la possibilità, soprattutto nella fase iniziale di affrontare un numero maggiore di problemi. Risolvendo questi problemi si ha la possibilità di creare più Know How. Infine lavorando bene su un’area con molte perdite i miglioramenti sono immediatamente visibili e il personale si sente più motivato.

La classificazione delle aree sulla base del Cost Deployment Nel diagramma di Pareto della matrice C (perdite-costi) di stabilimento ci sono tutte le perdite identificate nello stabilimento. Isolare la frazione di perdite relative a: NVA Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO (Attività a non valore aggiunto), sbilanciamento, dissaturazione, scarti/rilavorazioni dovuti ad errori umani nelle aree labour intensive.

Sulla base del diagramma di Pareto costruito, classificare le postazioni in: -AA aree particolarmente critiche Le prime postazioni del Pareto, corrispondenti a circa il 50% delle perdite; -A aree critiche Circa il 20% delle perdite, successive alle AA nel Pareto; -B aree meno critiche Circa il 20% delle perdite, successive alle A nel Pareto; C aree con priorità bassa. Per individuare le aree di miglioramento, le postazioni, ove possibile, devono essere raggruppate in linee o tratti di linea a secondo della loro criticità. Le attività di WO si focalizzano inizialmente su aree del modello selezionate tra le AA, fonti principali di perdita. La successiva estensione graduale delle attività seguirà le priorità indicate dal cost deployment (AA-A-B-C).

Key Performance Indicator Per valutare l’efficacia delle azioni applicate, occorre monitorare ed analizzare valori ed andamento dei KPI e dei KAI (Key Activities Indicator) della WO: I KPI della WO sono: •

Produttività operatori diretti

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Produttività totale (diretti più logistici)

%NVA (tempo di NVA calcolato in percentuale rispetto al tempo ciclo)

%FTQ di linea (vedere QC book)

% dissaturazione (tempo di dissaturazione calcolata in percentuale rispetto al Tt)

%sbliaciamento linea (media dei tempi di sbilanciamento calcolata in percentuale rispetto al Tc del bottleneck)

Tempi di pulizia (min/sett)

Rapporto benefici/costi

Calcolo del B/C Il calcolo del rapporto benefici/costo permette di capire se le azioni implementate/da implementare, durante gli step di WO, hanno generato /genereranno un beneficio superiore ai costi necessari per ottenerlo. Il beneficio e la somma di tutto ciò che era perdita e viene recuperato. Il costo e la somma di tutto ciò che si investe per realizzare lo step. IL RAPPORTO BENEFICI/COSTI DEVE ESSERE NECESSARIAMENTE MAGGIORE DI 1. Key Activities Indicator I KAI della WO sono: •

Numero di persone coinvolte nelle attività di WO (considerando come perimetro il totale degli operatori diretti e indiretti che lavorano nelle aree labour intensive)

Numero di kaizen di WO

Numero di suggestion di WO

Numero di cartellini (WO TAG). Calcolato come la percentuale dei cartellini evasi rispetto al totale dei cartellini emessi

Numero di SOP

Numero di OPL

Numero di fool proof/error proofing

STEP 1 – Pulizia iniziale L’attività principale dello step 1 è l’applicazione delle 5S. Lo scopo e quello di rendere la linea / postazione pulita, ordinata ed organizzata. Questo viene fatto in contemporanea con il primo step della logistica. Questa collaborazione avviene Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO soprattutto durante l’applicazione della seconda S (seiton). Nella terza S (seiso) gli operatori, durante la pulizia toccano ogni parte della postazione e osservano la stessa in ogni angolo. in questa maniera si avrà una totale ispezione della postazione di lavoro con conseguente eliminazione dei problemi. Le 5S aiutano a creare in tutti l’abitudine mentale di mantenere il proprio posto di lavoro ordinato pulito e di realizzare piccoli ma continui miglioramenti nelle condizioni di lavoro. Un posto per ogni cosa e ogni cosa al suo posto. La metodologia 5S e propedeutica all’applicazione di qualsiasi altra attività di miglioramento. Un processo sotto controllo (bassa variabilità) è il punto di partenza per perseguire il miglioramento continuo. Le 5S creano un ambiente di lavoro che si ordina e si migliora da solo (visual workplace). In un visual workplace le situazioni fuori dagli standards risaltano immediatamente agli occhi e in questa maniera tutti possono accorgersi del problema e porvi rimedio. Quando tutto e pulito si ottiene migliore controllo del processo e dunque una maggiore qualità del prodotto. Quando tutto e ben organizzato, l’efficienza ne trae beneficio, aumenta la sicurezza, migliora l’ergonomia e favorisce la comunicazione e quindi il coinvolgimento.

SEIRI - Separare, ordinare Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO -FINALITA’: eliminare dal posto di lavoro il superfluo e ordinare le cose necessarie. -AZIONI: Distinguere tutto ci che serve da ciò che non serve. -I PASSI PRINCIPALI: 1. Rilevare la situazione iniziale (foto) 2. Separare le cose che servono da quelle che non servono 3. Analizzare i singoli casi e spostare gli oggetti inutilizzabili in apposite aree 4. Definire quantità massime e minime dei materiali in uso nella postazione 5. Trovare

una

sistemazione

alternativa

per

utensili,

parti,

attrezzature,

equipaggiamenti necessari ma non usati tutti i giorni. 6. Rilevare la nuova situazione ed esporre i risultati(foto) Cartellino rosso: serve a identificare ciò che serve da ciò che non serve. Passi da seguire: 1. Identificare ciò che serve da ciò che non serve 2. Separare le cose non necessarie mediante l’apposizione su ognuna di esse di un cartellino rosso 3. Riporre le cose inutili in un’apposita area e assegnare la responsabilità dell’evasione anomalia 4. Risolvere le anomalie segnalate mediante cartellino 5. Cercare modi per migliorare il posto di lavoro affinché le cose inutili non si accumulino e continuare a utilizzare il cartellino rosso. Area di quarantena Organizzare un’area delimitata e ben visibile per accogliere il materiale non necessario. Depositare i singoli oggetti non necessari ed etichettare con il tag specifico. SEITON- Sistemare, organizzare -FINALITA’: Ricercare le modalità di collocazione delle cose in modo da soddisfare sicurezza qualità efficienza.

-AZIONI: •

ideare e/o procurare i sistemi di collocazione (armadi, contenitori);

delimitare e identificare gli spazi;

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identificare e disporre gli oggetti per una facile e immediata reperibilità.

-PASSI PRINCIPALI 1. Eliminati gli oggetti superflui, identificare quelli necessari con una breve descrizione e valutarne la frequenza d’uso. 2. Definire i posti per ogni oggetto fissando un criterio di classificazione: Frequenza d’uso

Direttive

BASSA (una volta al mese)

Stoccare in un luogo lontano

MEDIA (almeno una volta a settimana)

Stoccare in un luogo accessibile

ALTA (almeno una volta al giorno/turno)

Stoccare vicino alla postazione di lavoro

3. Etichettare allo stesso modo le posizioni di stoccaggio e gli oggetti da riporre in modo tale da averne una visione immediata (gestione visuale) 4. Riorganizzare e codificare gli spazi, gli scaffali, (dopo averli individuati) utilizzandone il minimo necessario 5. Annotare in ciascuna postazione di lavoro dove sono posizionati gli attrezzi SEISO-Sgrassare, pulire -FINALITA’: Tenere pulito il posto di lavoro. -AZIONI: Dopo la pulizia iniziale eliminare le fonti dello sporco rendendo la postazione di lavoro perfettamente pulita. 1. Pulizia iniziale in profondità. 2. Emissione del cartellino bianco (pulizia ispettiva): scoprire le fonti dello sporco (punti origine delle perdite di olio, acqua, polveri) e fare in modo che siano eliminate o prevedere opportune forme di contenimento. 3. Pulizia approfondita e dettagliata a completamento delle attività realizzate (lavaggio dell’olio che impregna il pavimento, stesura di cera o vernice, estensione della pulizia alle pareti, agli scaffali, ai corridoi..)

Pulire significa ispezionare La pulizia e lo sforzo che deve essere fatto per rimuovere dalla stazione, dai pallet, dagli utensili e dalle attrezzature in genere la polvere, il grasso e tutta la sporcizia precedentemente accumulatasi, e non con lo scopo di avere una postazione pulita ma Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO semplicemente per esporre i difetti nascosti per una facile rimozione degli stessi e per una loro successiva ed efficace ispezione. Gli effetti dello sporco, della polvere, del grasso etc che si trovano su una postazione interferiscono con i vari impianti della stessa. Durante la pulizia iniziale gli operatori toccano ogni parte della postazione e osservano la stessa in ogni angolo. questo consente di scoprire i difetti nascosti come vibrazioni anomale, rumorista, surriscaldamenti etc. I tag per segnalare anomalie Durante la fase di pulizia nel caso l’operatore veda un’anomalia, occorre che la segnali utilizzando gli appositi cartellini. Il cartellino non deve essere rimosso finché il problema non viene risolto. La soluzione al problema può essere sia un ripristino delle condizioni iniziali sia un miglioramento. SEIKETSU-Standardizzare, mantenere. -FINALITA’: Definire le attività che servono a mantenere nel tempo le condizioni di organizzazione, ordine e pulizia. -AZIONI: Adottare misure di controllo a vista, adottare piani di pulizia e ispezione, adottare check-list di autovalutazione e certificazione. -PASSI PRINCIPALI: 1. Trovato il lay-out ideale di attrezzature, materiali, mobili dell’area di lavoro, ufficializzarlo. 2. Definire in dettaglio le attività standard per mantenere la situazione ideale (con apposite istruzioni di lavoro). 3. Gestire piccole eventuali azioni correttive mediante OPL. 4. Strutturare il controllo a vista anche mediante check list. 5. Definire le fermate da prevedere a ciclo per le attività di 5S. 6. Standardizzare la segnaletica di delimitazione colorata. 7. Definire gli appositi contenitori specifici per la raccolta dei vari materiali. 8. Migliorare continuamente lo standard. SHITSUKE – Seguire le regole -FINALITA’: Garantire il mantenimento dello stato raggiunto e rendere le prime 3S pratica quotidiana -AZIONI: Insegnare, motivare, assistere, presidiare -PASSI PRINCIPALI: Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 1. Verificare che gli standard siano rispettati (mediante le check list) 2. Mettere in evidenza i casi di non allineamento 3. Fare in modo che gli standard siano rispettati 4. Miglioramento continuo degli standard 5. Diffondere la cultura sul rispetto delle regole 6. Illustrare e prescrivere il rispetto del ciclo di lavoro 7. Utilizzare le attrezzature previste rispettando le scadenze di taratura e controllo: rispetto dei cicli 8. Aggiornare i tabelloni 9. Continuare a utilizzare i cartellini 10. Rispettare il posizionamento degli oggetti STEP 2- Riordino del processo L’attività principale dello step 2 e attaccare le perdite dovute alle 3 M nella corretta sequenza MURI MURA MUDA. Lo scopo e quello di avere una linea dove si lavora in modo sicuro, facile, efficace senza perdite di tempo in modo tale da eliminare tutti gli sprechi. Gli effetti dei Muri (fatica) sono riduzione di velocità di esecuzione delle attività, infortuni, assenze dal lavoro per malattia, insoddisfazione dei dipendenti ed una conseguente riduzione di produttività. Mura(variabilità) è la madre di tutti gli sprechi perché genera instabilità del sistema con produttività variabile. Muda (NVA) indica gli sprechi veri e propri. I Muda sono tutte quelle attività che non generano un valore aggiunto al prodotto o al servizio riconosciuto dal cliente. Si avrà una collaborazione con il primo step della logistica. Questa collaborazione avviene collocando i componenti in posizione ergonomica (MURI), con un numero limitato di pezzi all’interno dei contenitori (mura) e il più vicino possibile alla posizione di lavoro(muda). Perché è importante applicare le 3 M nella corretta sequenza. E’ molto importante seguire la corretta sequenza nell’applicazione dell’analisi 3 M. 1 Si attaccano i Muri in modo da creare un posto di lavoro dove gli operatori si sentono stimolati a migliorare. Inoltre si riduce la fatica che è fonte di variabilità nel tempo (a fine turno il tempo per compiere l’operazione sarà più lungo rispetto a inizio turno). Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 2 Poi si eliminano i Mura, in modo da stabilizzare e standardizzare il processo e porre le basi per poter vedere e attaccare le perdite. 3 Infine si attaccano i Muda. in modo da eliminare le attività a non valore aggiunto. Video monitoring method Per effettuare l’analisi 3M in modo ottimale, come primo passo, sarebbe opportuno effettuare delle riprese delle attività di assemblaggio, al fine di creare un database di tutti i problemi dell’area da attaccare. Successivamente i vari membri del team possono meglio analizzare tutti i fattori critici e consentire la pianificazione delle contromisure atte a ripristinare le migliori condizioni possibili. MURI Muri = movimenti che causano fatica. Operazioni che richiedono forza

Fatica muscolare

Posizioni innaturali

Fatica dovuta alla postura

Operazioni che richiedono attenzione

Fatica mentale

Operazioni spiacevoli

Fatica emozionale

Per agevolare la totale eliminazione dei muri bisogna, con la collaborazione del Safety Pillar, costruire la matrice di valutazione per poter poi valutare le criticità e di conseguenza i risultati. La matrice ha nelle righe tutte le operazioni eseguite e in colonna la valutazione ergonomica (9 criteri) dei singoli movimenti. Il punteggio sarà: 3 Per il livello 1 → Molto critico 2 Per il livello 2 → Critico 1 Per il livello 3 → Ammissibile Ogni operazione quindi potrà avere un valore minimo di 9 e un max di 27. L’obiettivo è quello di avere tutte le operazioni a livello 3 per tutti i 9 criteri.

VALUTAZIONE ERGONOMICA A LIVELLO DEL MOVIMENTO

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MATRICE DI VALUTAZIONE In colonna la valutazione ergonomica (9 criteri) dei singoli movimenti. IL punteggio sarà: 3 per il primo livello

– molto critico

2 per il secondo livello – critico 1 per il terzo livello

– ammissibile

La matrice ha nelle righe tutte le operazioni eseguite Ogni operazione quindi potrà avere un valore minimo di 9 e un max di 27. In questo modo possiamo visualizzare le operazioni più critiche. Per agevolare la totale eliminazione dei muri bisogna, con la collaborazione del Safety pillar, costruire la matrice di valutazione per poter, poi, valutare le criticità e di conseguenza i risultati.

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CONCETTO DI STRIKE ZONE E STRIKE POINT Al fine di eliminare i muri tutte le operazioni devono essere svolte in Strike point sul piano verticale e in Strike zone sul piano orizzontale.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO In piedi in posizione operativa senza piegare il collo, la vita, le ginocchia.

Strike point

Strike zone

Giù e su

Destra e sinistra /davanti e dietro

Tra i gomiti e le spalle

Tra le spalle (senza stendere i gomiti)

Tra gli occhi e le ginocchia

All’interno dell’area compresa a destra (45°)e sinistra (45°) stendendo i gomiti

MURA MURA = operazioni irregolari (differenti punti di asservimento, problemi di prelievo, guide o tools, comportamento, mancanza di standard, cicli errati). Linee guida per il miglioramento dei metodi operativi: i.

medesima altezza dei piani di lavoro

ii.

superficie di moto del pezzo priva di scabrosità

iii.

Pezzo in lavorazione facile da caricare, scaricare e manipolare

iv.

Movimenti del pezzo in lavorazione bi-monodimensionali

v.

Movimentazione del pezzo minima e il più possibile lineare

APPROCCIO: 1. Analisi della variazione del tempo di ciclo di ciascun operatore/operazione 2. Ridurre la variazione del tempo di ciclo dell’operatore con la variazione maggiore tra tutti (Attaccando l’operatore con la più alta variabilità si ha l’occasione di correggere un maggior numero di comportamenti errati. L’operatore con più alta variabilità sarà quello che esegue il ciclo compiendo un maggior numero di errori. ) 3. Valutazione del tempo medio di ciclo di cascun operatore/operazione 4. Migliorare il tempo medio di ciclo di cascun operatore /operazione verso il valore del migliore operatore /operazione 5. Operazione attuale-operazione VA =operazione NVA 6. Ridurre o eliminare le operazioni NVA 7. Ripartire dallo step 1 e ripetere step 1-7 fino a completa eliminazione del problema Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO MUDA DEFINIZIONE: Attività che non aggiungono valore al prodotto. I Muda sono le attività a non valore aggiunto (solo per gli operatori diretti e non per quelli indiretti). Le attività a non valore aggiunto rimangono tali anche se previste dal cartellino operazione e quindi considerate standard da Analisi Lavoro.

Concetto di golden zone: Al fine di eliminare gli sprechi dovuti a movimenti dell’operatore tutte le attività dell’operatore devono stare nel perimetro AA (Golden Zone). Tutte le attività dell’operatore devono stare nel perimetro dell’area AA.

Priorità a impianti e materiali L’operatore si adegua

Priorità ai movimenti dell’operatore Impianti e materiali si adeguano

STEP 3 – Standard iniziali Lo scopo del terzo step è quello di creare gli standard e di eliminare le perdite per dissaturazione e sbilanciamento della linea. BILANCIAMENTO DELLA LINEA L’attività principale dello step 3 è il bilanciamento della linea e la definizione degli standard. Lo scopo è quello di avere una perfetta corrispondenza tra le operazioni standard definite (metodo/operazione) e quelle effettivamente operative sulla linea. Nel secondo step grazie all’eliminazione del NVA si è ottenuta una riduzione del tempo ciclo delle operazioni. Tutto ciò ha creato la possibilità, spostando alcune attività da un’operazione ad un’altra ,di effettuare il bilanciamento della linea. In questo modo un operatore completamente dissaturo può essere adibito ad altra attività e la produttività della linea viene incrementata. Definito, quindi, il nuovo ciclo di lavoro si passa alla

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO standardizzazione dello stesso e alla sua corretta esecuzione facilitata dal visual management. Nel secondo step grazie all’eliminazione del NVA si è ottenuta una riduzione del tempo ciclo delle operazioni. Tutto ciò ha creato la possibilità, al terzo step ,di spostare alcune attività da un’operazione ad un’altra , di effettuare il bilanciamento della linea. In questo modo un operatore completamente dissaturo può essere adibito ad altra attività e la produttività della linea viene incrementata. Standard Operative Procedure: S.O.P. Lo standard work è l’insieme delle procedure che l’operatore deve svolgere all’interno del ciclo di lavoro. Lo standard work dipende principalmente da tre fattori: i.

Il Takt time

ii.

La sequenza di lavoro, in accordo alla quale l’operatore svolge le proprie mansioni all’interno del Tt

iii.

Le apparecchiature standard, cioè l’insieme delle macchine e delle attrezzature richieste per portare a compimento agevolmente il proprio lavoro.

Lo standard work stabilisce la migliore interazione delle persone con il proprio ambiente di lavoro al fine di migliorare l’efficienza, eliminare gli errori e la variabilità delle operazioni, facilitare il training a nuovi operatori e porre le basi per successivi miglioramenti (kaizen). Lo standard work viene visualizzato tramite la S.O.P. L’obiettivo delle S.O.P. non è solo quello di descrivere la sequenza di lavoro, ma è soprattutto quello di visualizzare come deve essere eseguita, per questo è fondamentale includere un gran numero di immagini. Un’immagine dice più di mille parole. L’80% delle informazioni devono essere presentate sotto forma di sketches, il 20 % in forma scritta, un’immagine contiene molte più informazioni ed è di gran lunga più immediata. La SOP deve spiegare cosa, come ed in che tempo eseguire la sequenza operativa. Nella sop bisogna specificare anche perché è necessario farlo. La SOP è un foglio che deve essere esposto nel campo visivo dell’operatore e molto vicino al punto di assemblaggio in modo tale che l’operatore non perda tempo a guardare la SOP. Revisione degli standard Durante lo step 1 sono stati definiti gli standard di pulizia ed ispezione della postazione di lavoro. Lo step 2 ha generato una serie di modifiche della postazione di lavoro. Allo Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO step 3 la linea è stata ribilanciata. Il numero di operatori potrebbe essere diverso rispetto agli step precedenti. ➔ Per questi motivi occorre rivedere gli standard fin qui definiti e aggiornarli ➔ Occorre aggiornare sia i calendari sia il sistema di verifica delle attività Visual Management VISIBILITA’: qualsiasi anomalia deve essere individuabile immediatamente a distanza. Idealmente ogni cosa deve essere visibile ad altezza uomo. Gli impianti produttivi devono essere fatti in modo che qualunque anomalia possa essere subito individuata. Per questo motivo è importante avere una disposizione delle attrezzature e una gestione tale da garantire una buona visibilità. Per questo motivo sia i macchinari che il punto di lavoro devono essere chiaramente visibili dalla normale altezza degli occhi. Se alcune aree non sono visibili, occorre garantirne la visibilità con altri mezzi. Deve essere tutti visibile a distanza con uno sguardo. Le anomalie devono essere immediatamente messe in evidenza. Devono essere prevenute dimenticanze e disattenzioni. Il controllo e le ispezioni devono essere più rapidi ed efficienti. Rendono la fabbrica chiara snella ed ordinata.

Sprechi e anomalie devono poter essere

riconosciute da chiunque in maniera immediata. Mostrano come la qualità viene costruita in un processo.

CARATTERISTICHE i.

Deve utilizzare il più possibile colori e segnali luminosi, in modo che non sia sempre necessario leggerlo.

ii.

L’osservazione deve essere semplice

iii.

I messaggi che si vogliono comunicare devono essere facilmente compresi

iv.

Gli strumenti di visual management devono essere fatti in modo da attirare l’attenzione delle persone.

v.

Devono essere visibili da chiunque

vi.

Devono essere visibili a distanza di uno sguardo

vii.

Devono essere posizionati su ciò che deve essere controllato

viii.

Evidenziano in maniera semplice le anomalie

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STEP 4 L'obiettivo di questo passaggio è diffondere e consolidare tutti i tipi di strutture e funzioni di prodotti al fine di fornire qualità di produzione e supporto al servizio della macchina operazioni (manutenzione autonoma e professionale). Questo passaggio viene eseguito migliorando la coscienza dei lavoratori all'interno del 'proprio' processo di controllo della qualità, che si traduce in una possibilità di eliminare potenziali minacce e intraprendere azioni preventive. Lo step "4" mira a: •

definizione di problemi di qualità di base nei processi "propri",

implementare buone pratiche e dispositivi speciali (poka yoke) che eliminino le possibilità di errore,

semplificando il funzionamento del dispositivo,

creare una base per una potenziale implementazione del TPM,

formazione dei lavoratori sui metodi di rilevazione degli errori nei processi

STEP 5 Nel passaggio 5 la sincronizzazione di tutte le attività viene eseguita in base alla regola "just in time". Tale sincronizzazione porta molto spesso al bilanciamento del tempo di durata di attività particolari, sia di base che aggiuntive. La sincronizzazione consente anche il passaggio flessibile dalla produzione di grandi lotti a un'organizzazione snella, consentendo in questo modo la differenziazione dell'assortimento. Il passaggio "5" mira a: •

ottimizzazione dell'alimentazione del materiale (farfalla),

sincronizzazione di particolari fasi del processo riducendo al minimo l'archiviazione,

creare un posizionamento post ottimizzato che garantisca la riduzione del trasporto.

STEP 6

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Il passaggio 6 mira a ridefinire gli standard iniziali e renderli più efficienti in modo da consentire prestazioni operative più rapide e semplici. Mira, tra l'altro, a: •

riduzione delle operazioni irregolari,

standardizzazione dei componenti,

impostazione della stimolazione dell'operazione al fine di ridurre l'arduità introducendo sequenze di movimento secondo il ritmo naturale,

confrontare i processi con gli standard iniziali al fine di adeguare le procedure a processi predefiniti.

STEP 7 In questa fase viene eseguita la standardizzazione delle sequenze di lavoro e delle operazioni di servizio al fine di ridurre la fluttuazione della qualità. Il passaggio viene rilasciato attraverso: • determinazione degli standard di lavoro, • rendere i processi flessibili al minimo costo (agile), • sviluppare le competenze focali dei lavoratori, •

sostenere azioni innovative dei lavoratori (inoltro di nuovi kaizen).

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 5 CONTROLLO DI QUALITA’ Il Quality Control è un insieme di attività che definiscono le condizioni del processo in modo da impedire la generazione di Non Conformità e mantengono nel tempo le condizioni precedentemente definite per garantire una produzione perfettamente conforme. La Mission del Quality Control consiste nel: •

Assicurare prodotti di qualità per i clienti minimizzando i costi;

Definire le condizioni dei sistemi produttivi tali da impedire la comparsa di Non

Conformità; •

Mantenere le condizioni definite per garantire la conformità nel tempo;

Accrescere le competenze degli addetti sulla soluzione di problemi di qualità.

Nei principi del QC, le caratteristiche del prodotto che vengono percepite come “Qualità” dal mercato vengono correlate logicamente e rigorosamente con le specifiche di materiale, con i metodi di produzione, con le conoscenze della manodopera e con le caratteristiche delle macchine/processi. Queste correlazioni generano un insieme di condizioni relative al processo e a tutto ciò che ruota attorno ad esso per evitare le Non Conformità. Spesso nelle fabbriche ci si limita a misurare alcune caratteristiche del prodotto ma per essere eccellenti e competitivi occorre cambiare la logica dal controllo del prodotto al rispetto delle condizioni sul processo. I risultati attesi dal QC possono essere riassunti nei seguenti punti: •

Crescita della soddisfazione del cliente;

Riduzione significativa di difetti, scarti, rilavorazioni e quindi dei costi della non

qualità; •

Diffusione delle competenze di Problem Solving;

Aumento delle proposte di miglioramento della qualità del prodotto.

Si ha una “Non Conformità” quando una caratteristica di un componente/prodotto finito si scosta dalle specifiche previste. Questo significa che per rilevare le Non Conformità occorre definire chiaramente le specifiche caratteristiche del prodotto o del componente. È possibile distinguere due tipi di Non Conformità: -

Non Conformità rilevata nel processo interno;

-

Non Conformità rilevata dal cliente finale.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La Matrice QA (da “Quality Assurance” ossia “Assicurazione della Qualità”) è una matrice che evidenzia la correlazione tra le Non Conformità e il processo di produzione. La Matrice QA deve elencare i difetti riportando le principali anomalie specificando frequenza, costi e gravità al fine di individuare la priorità. Tra i principali contenuti di questa matrice vi sono: -

Data inserimento segnalazione;

-

Fonte della segnalazione;

-

Descrizione del problema;

-

Valore attribuito mediante indice di Criticità.

Le modalità operative con cui si realizza la Matrice QA consistono nel raccogliere tutte le anomalie provenienti da indicatori esterni e indicatori interni e nel far corrispondere ad ogni riga, un difetto per priorità di frequenza, costo totale, gravità e rilevazione. Il valore della Frequenza dell’anomalia, per ogni difetto specifico, è classificato tra 1 (min) - 5 (max). Gli intervalli di frequenza sono determinati, da ogni stabilimento, in base alle regole delle quantità e specificati nella tabella 1:

Tabella 1: Intervalli di Frequenza

I costi, considerando materiale e manodopera, sono classificati secondo un valore da 1 (min) a 5 (max). Il numero verrà determinato in corrispondenza del valore economico, calcolato secondo quanto definito nella seguente tabella 2: Tabella 2: Intervalli di Costo

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Per la GravitĂ , il valore da inserire parte da un minimo di 1 ad un massimo di 5 in base alla seguente scala di situazioni: 1.

Problema non avvertibile dal Cliente;

2.

Problema che provoca lieve disagio/malcontento al Cliente;

3.

Problema che provoca forte disagio al Cliente;

4.

Problema che limita fortemente il Cliente nell’utilizzo del prodotto e condiziona

l’eventuale riacquisto; 5.

Problema che provoca l’inutilizzo del prodotto

o concerne la sicurezza o

comporta l’eventuale rifiuto dello stesso da parte del cliente. Infine, per la Rilevazione, la gravitĂ del problema aumenta quanto piĂš a valle viene rilevata nel processo ed è inoltre necessario inserire il valore di gravitĂ corrispondente per ciascuna fase di controllo del processo, comprendendo, eventualmente le segnalazioni percepite dal Cliente finale, che avranno peso maggiore. A questo punto è possibile calcolare l’Indice di CriticitĂ applicando la formula: đ??źđ??ś = đ??šđ?‘&#x;đ?‘’đ?‘žđ?‘˘đ?‘’đ?‘›đ?‘§đ?‘Ž ∗ đ??śđ?‘œđ?‘ đ?‘Ąđ?‘œ ∗ đ??şđ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘Łđ?‘–đ?‘ĄĂ ∗ ∑ đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘’đ?‘’ đ?‘‘đ?‘– đ?‘…đ?‘–đ?‘™đ?‘’đ?‘Łđ?‘Žđ?‘§đ?‘–đ?‘œđ?‘›đ?‘’ đ??´đ?‘›đ?‘œđ?‘šđ?‘Žđ?‘™đ?‘–đ?‘Ž

(1)

A questo punto occorre ordinare le problematiche inserite nella Matrice QA per IC decrescente, definire top di prioritĂ e i processi critici e definire l’approccio da applicare basandosi sui Diagrammi Causa-Effetto. Un esempio di Matrice QA è rappresentato in figura 3:

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Figura 3 : Esempio di Matrice QA del Quality Control Dalla Matrice QA scaturisce dunque l’Analisi 4M ovvero le diverse cause radici legate alle macrocause Macchina, Metodo, Manodopera e Materiale e da queste ultime si analizzano la Quality Maintenance e il Problem Solving Formula come mostrato in figura 4:

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Figura 4 : Quality Maintenance e Problem Solving Formula

5.1 I sette Step del Quality Maintenance

In figura 5 sono mostrati i sette Step del Quality Maintenance utilizzati per gestire le problematiche relative alla macrocausa Macchine.

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Figura 5: I sette Step del Quality Maintenance

Nello Step 1 del Quality Maintenance si effettua una •

Indagine sulle condizioni attuali

ovvero si effettua un chiarimento delle relazioni fra le caratteristiche di qualità, gli impianti ed il metodo operativo adottato, tramite gli strumenti della FMEA di processo (Analisi dei guasti e dei loro effetti su operazioni di processo e attrezzatura) e della Matrice QA precedentemente descritta. Nello Step 2 del Quality Maintenance si effettua un •

Ripristino e miglioramento degli standard operativi

in modo da ripristinare le corrette condizioni di lavoro a fronte di cause di perdita singole. Si utilizzano strumenti quali il Diagramma di Ishikawa delle 4M, che serve ad analizzare un fenomeno facendo l’elenco dei possibili fattori che stanno all’origine di quel fenomeno, le 5W-1H che è uno strumento di analisi logica con lo scopo di assicurare all’analisi di un problema una visione completa su tutti i suoi aspetti fondamentali, e i 5 Perché che mirano a ricercare le cause d’origine di un fenomeno anomalo. Nello Step 3 del Quality Maintenance si va ad effettuare una •

Analisi dei fattori di perdita cronici Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO con l’obiettivo di analizzare le cause complesse tramite il Kaizen ovvero il Miglioramento Continuo, e l’Analisi del Punto di Processo (PPA). Nello Step 4 del Quality Maintenance si effettua la •

Riduzione ed eliminazione di tutte le possibili cause di perdita croniche

analizzando i risultati del PPA e del Kaizen. Nello Step 5 del Quality Maintenance occorre •

Stabilire le condizioni idonee per avere zero difetti

utilizzando degli standard di ispezione tramite strumenti quali la Matrice X, la Matrice QM, i Calendari di Manutenzione ed il Visual Management. La Matrice X è uno strumento di miglioramento della qualità, che consente di confrontare due coppie di elenchi di elementi per evidenziare le correlazioni esistenti tra un elenco e i due elenchi adiacenti. Nella fattispecie è una matrice che collega la Tipologia del difetto con la Causa del Fenomeno anomalo, con le Attrezzature e i Componenti della macchina e con i Parametri del Processo in maniera ciclica determinando le relazioni tra essi. L’applicazione corretta della Matrice X è uno strumento potente di analisi, ma richiede una conoscenza approfondita dei fenomeni fisici e dei legami tra il prodotto e il processo che lo genera. Un esempio di Matrice X è mostrato in figura 6:

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Figura 6: Esempio di Matrice X

Dalla Matrice X si ricava la Matrice QM ovvero la Matrice Manutenzione per la Qualità (in figura 7), che è uno strumento per definire e mantenere condizioni operative delle macchine che assicurino prestazioni della qualità desiderata, ed è costituito da un insieme di tabelle che stabiliscono, per ogni componente della macchina che influenza la qualità del prodotto, quali devono essere le condizioni operative e i controlli per evitare le Non Conformità. Tale matrice presenta dunque il Componente interessato, i Parametri del Processo e i Controlli effettuati prima e dopo l’analisi. Inoltre, presenta ulteriori righe con le domande per avere zero difetti.

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Figura 7: Esempio di Matrice QM

Infine, si realizza il Calendario AM per effettuare le dovute ispezioni. Nello Step 6 del Quality Maintenance si effettua il •

Mantenimento delle condizioni per avere zero difetti

eseguendo ispezioni giornaliere ed ispezioni pianificate secondo i moduli standard di ispezione tramite check-list e carte di controllo. Nello Step 7 del Quality Maintenance infine si punta al •

Miglioramento dei metodi di mantenimento delle condizioni per zero difetti

con lo scopo di effettuare un controllo rapido ed efficiente delle condizioni ottimali e dei trends dei parametri critici.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 5.2 I sette Step del Quality Control Problem Solving

I sette Step del QC Problem Solving (rappresentati in figura 8) sono organizzati secondo la logica del Plan, Do, Check, Act del Ciclo di Deming e sono utilizzati per gestire le problematiche relative alle macrocause Manodopera, Materiali e Metodo.

Figura 8: I sette Step del QC Problem Solving

Essi consistono nel: •

Selezionare l’argomento;

Capire la situazione e stabilire gli obiettivi;

Pianificare le attività;

Analizzare le cause;

Studiare ed implementare contromisure;

Controllare i risultati;

Standardizzare ed impostare metodi di controllo.

Occorre considerare che gestire i Materiali significa garantire la qualità giusta e la quantità giusta e un processo di immissione dei materiali al giusto momento con le Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO condizioni buone. Per la Manodopera occorre considerare che l’errore umano è generato da eccessiva confidenza, immaturità, da cattive abitudini dovute alle esperienze precedenti, da cali di attenzione (problemi di salute, stress, distrazione) e da giudizi errati e operazioni sbagliate, per cui occorre prevenire ed eliminare questi errori trovando la giusta causa radice mediante azioni di formazione degli individui e introducendo sistemi Poka-Yoke, che servono ad impedire che questi errori accadano o a renderli (almeno) evidenti nel momento in cui essi avvengono. Infine, occorre standardizzare il Metodo e far sì che gli operatori lo usino e lo seguano correttamente.

5.3 LA METODOLOGIA SIX SIGMA

5.3.1 1987: alla Motorola nasce il Six Sigma Nel corso degli anni Settanta e della prima metà degli anni Ottanta molte società impegnate nel settore tecnologico hanno conosciuto una rapida crescita ed un consistente sviluppo. Ciò è stato garantito principalmente dalla possibilità di innovare continuamente ed in tempi brevi i propri prodotti grazie alla notevole disponibilità di risorse tecnologiche. In questo scenario di accesa competizione sul piano dell’innovazione tecnologica, l’attenzione è stata rivolta, in misura sempre crescente, alla fase di progettazione e di realizzazione del prodotto, tendendo a trascurare le aspettative del cliente. La presa di coscienza di un imminente scollamento dal mercato, inteso come esigenza del consumatore, unita alla crescente competizione sviluppatasi nella seconda metà degli anni ottanta, ha definitivamente evidenziato che il successo avrebbe arriso a quelle aziende che non si sarebbero impegnate esclusivamente sul terreno della tecnologia, ma che sarebbero state in grado di intendere, nelle sue molteplici sfaccettature, le caratteristiche della domanda, indirizzando verso di essa lo sviluppo tecnologico.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO In questo contesto la Motorola è stata una delle aziende che si è distinta per aver intuito la necessità di spostare la propria attività da una base orientata al prodotto e alla tecnologia ad una guidata viceversa dal mercato e dal cliente. Puntando in questa direzione, nel gennaio del 1987, si è sostituito ai “Top 10 Corporate Goals” un unico obiettivo fondamentale: la “Total Customer Satisfaction”. Soddisfare completamente il cliente significa non solo accogliere, ma superare ogni sua richiesta; non significa semplicemente fornirgli un prodotto soddisfacente, ma significa assicurargli assistenza tecnica, disponibilità di prodotti, competenza da parte dei rappresentanti ed altro ancora. Peccare nella soddisfazione del cliente, sia egli il consumatore finale o il responsabile della fase di processo successiva, equivale a generare un difetto. È proprio in relazione ad un livello di difettosità misurato in termini di total defects per unit che si quantifica la qualità del prodotto, laddove la riduzione dei total defects per unit non solo permette di ridurre il tempo di ciclo per unità, ma si traduce anche in un minor numero di difetti nel prodotto finito e in una più bassa “mortalità infantile” del prodotto; il risultato netto è una maggiore soddisfazione del cliente ed una diminuzione dei costi di garanzia e di produzione per ogni singola unità. È nel 1987 quindi che, in questo quadro evolutivo dell’azienda, trova applicazione il Six Sigma, il cui padre è da individuarsi in Bill Smith, senior engineer and scientist del settore prodotti per la comunicazione della Motorola, che era stato l’ideatore delle nuove formule e delle nuove statistiche che rappresentavano l’origine di quella che sarebbe diventata la cultura del Six Sigma. Bill Smith trovò il sostegno di Bob Galvin, all’epoca CEO (Chief Executive Officer) dell’azienda, che lo spronò ad andare avanti affinché il Six Sigma divenisse l’elemento portante della cultura aziendale. Poiché le risorse di cui disponeva per lo sviluppo di questo progetto erano piuttosto limitate, si rivolse alla Motorola University per la concretizzazione di quella che sembrava soltanto un’idea. In breve tempo si diede diffusione all’interno dell’azienda dei concetti base della nuova filosofia e furono organizzati corsi ed esercitazioni rivolti a tutti i dipendenti; il risultato fu che il linguaggio della qualità divenne il linguaggio comune, un terreno sul quale tutti erano disposti a confrontarsi e sul quale tutti riuscivano a muoversi con un certo agio. La preparazione e la diffusione dei concetti non furono limitate soltanto al settore produttivo, ma riguardarono tutto il personale della Motorola e, nonostante le reticenze Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO di alcuni e lo scetticismo di altri, il mandato fu rispettato. Il risultato fu la nascita di una vera e propria cultura della qualità che permeò l’intera azienda e condusse ad un periodo di crescita e di vendite mai registrato in precedenza. La novità e la funzionalità del progetto Six Sigma trovarono un importante riconoscimento già nel 1988; fu in quell’anno infatti che la Motorola si aggiudicò il Malcolm Baldrige National Quality Award, un premio di grande prestigio ideato qualche anno prima per promuovere il concetto di qualità e pubblicizzarne le strategie di successo (Wiggenhorn 1999). Il piano della Motorola per il conseguimento degli obiettivi Six Sigma è partito dalla base di un esistente progetto costruito per garantire un continuo miglioramento qualitativo, fondato su un SPC (Statistical Process Control) e articolato in dieci fasi. Queste fasi, illustrate nel diagramma di flusso Figura 9 (Breyfogle 1999), sono state rese operative grazie al supporto di procedure statistiche di certo non nuove nel panorama industriale; tuttavia il piano progettuale ha previsto un’eccellente preparazione della più alta struttura dirigenziale all’uso corretto e all’ottimizzazione dei concetti statistici. Si tenga presente che queste dieci fasi di applicazione e sviluppo del progetto sono state pensate in relazione ad un processo manifatturiero; questo comunque non significa che, con le debite variazioni, questa sequenza di operazioni non sia applicabile ad altri settori. Nel corso degli ultimi otto mesi del 1987 la compagnia tenne un corso rivolto a tutti gli ingegneri e denominato Motorola’s Design for Manufacturability. Tale corso mirava a preparare il personale al lancio del progetto che doveva portare al conseguimento degli obiettivi Six Sigma. Nell’ambito di questi insegnamenti, che negli anni successivi sarebbero stati “venduti” con successo a molte altre aziende, si prescriveva un processo in passi per la progettazione di nuovi prodotti.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Scegliere le opportunità prioritarie per il miglioramento Selezionare il gruppo di lavoro migliore Descrizione dell’intero processo

Eseguire studio di “process capability”

Capable process Process non capable

Perfezionare l’analisi dei sistemi di misura

Applicare le condizioni operative e metodologie di controllo ottimali

Identific.e descrivere i prodotti /processi potenzialm. più critici

Visualizzare l’andamento del processo nel tempo

Isolare e verificare i processi critici

Ridurre la variabilità connessa con le cause comuni

Azioni sul processo

Figura 9: Approccio Six Sigma Questo metodo permette di definire quantitativamente le caratteristiche del processo cosicché all’atto della produzione vera e propria difficilmente si registrano brutte sorprese in termini di effettiva capacità e qualità produttiva (Smith 1993). A questo punto, stabilito che l’obiettivo doveva essere la Total Customer Satisfaction, identificato nel Six Sigma uno strumento basilare a tal fine e preparato il personale con i suddetti corsi, il passo successivo era quello di rendere operativo il programma. La prima mossa fu quella di dare incarico ad un divisional project manager di sovrintendere al Six Sigma Programme, identificando gli eventuali ostacoli ed approntando le relative contromisure atte a superarli. La sua prima responsabilità fu di impiantare un’attività trasversale che abbracciasse tutti i settori aziendali, demandando a ciascun dipartimento il compito di stilare un piano quadriennale di incremento del livello qualitativo in relazione alle proprie funzioni; infatti si partiva dal presupposto che soltanto attraverso il coinvolgimento totale di tutte le attività fosse possibile raggiungere un obiettivo di portata generale. I piani dovevano prestare particolare attenzione a quegli aspetti che interessavano direttamente la soddisfazione del cliente; al termine di ogni annata fu assegnata a Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ciascun division general manager la responsabilità di rivedere e opportunamente ritoccare i progetti, laddove ne emergesse la necessità, a seguito dell’analisi dei risultati intermedi registrati regolarmente ad intervalli quadrimestrali. Questo innovativo progetto di sviluppo globale fu evidentemente ostacolato da tutta una serie di impedimenti di varia natura ed entità. Una delle difficoltà maggiori fu indubbiamente quella di trasformare un’azienda organizzata per funzioni in una struttura integrata orizzontalmente. Difatti, poiché la Motorola fino al 1987 era stata una compagnia “technology driven” e “inward looking”, la sua struttura decisionale era caratterizzata da una forte integrazione verticale che si sviluppava gerarchicamente dal general manager, attraverso le individual functions, fino alle individual responsabilities. Questo produceva uno scollamento fra le varie attività “basse”, proprio per la mancanza di un rapporto diretto tra di esse; ciò si traduceva nella nascita di incomprensioni e disconnessioni che producevano un impatto disastroso sulla capacità di soddisfare il cliente. La maggiore integrazione orizzontale e soprattutto il coinvolgimento di tutte le attività nello sviluppo delle strategie aziendali permise di superare questo ostacolo di carattere strutturale. Un’altra mossa fondamentale fu, come già rimarcato in precedenza, l’istituzione di corsi volti a preparare in particolare gli ingegneri all’applicazione degli strumenti statistici adatti allo sviluppo del programma sia a livello di processo che di prodotto. Ulteriore accorgimento fu quello di assegnare quadrimestralmente dei premi ai teams o alle persone che avevano ottenuto i migliori tre risultati in termini di miglioramento della loro attività; questo permise di contrastare quel naturale scetticismo che inevitabilmente nasce all’inizio di una fase nuova e che altrettanto naturalmente va scemando quando il nuovo corso si afferma con risultati di evidente successo. Venne ritenuto un ostacolo da superare anche il “dislivello” che si sarebbe creato e che stava già manifestandosi tra la Motorola e i suoi fornitori; questo portò alla nascita di un’intensa attività didattica presso i fornitori per trasferire loro gli strumenti atti a promuovere il desiderato incremento qualitativo. Questo straordinario programma, che ha portato al raggiungimento dello standard Six Sigma già nel 1992, è in continuo sviluppo tanto che alla Motorola University sono alla ricerca della nuova generazione di strumenti e modelli matematico-statistici per il conseguimento degli obiettivi Six Sigma.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Per capire l’importanza del Six Sigma Programme basterà dire che la Motorola è stata individuata come “international benchmark of Total Quality Management”; i veri beneficiari del successo del programma sono da una parte i clienti che hanno usufruito di prodotti migliori a prezzi più bassi e dall’altra i dipendenti che hanno tratto maggiore soddisfazione dal proprio lavoro all’interno di una compagnia in continua ascesa anche in termini di quota di mercato. Oggi si può fare già un parziale bilancio; in sintesi si può affermare che il successo del Six Sigma, sia in termini di risultati acquisiti che in termini di diffusione della filosofia, è andato ben oltre le più ottimistiche previsioni. Parlare di bilancio è però forse riduttivo: il Six Sigma è un fenomeno vivissimo, le cui prospettive di sviluppo sono ancora in gran parte da scoprire. 5.3.2 Caratteristiche dell’approccio “Six Sigma” Gli aspetti caratterizzanti dell’approccio Six Sigma sono: L’interazione continua azienda-mercato Un programma Six Sigma richiede un’attenta conoscenza del mercato da parte della azienda. Infatti, attraverso una accurata analisi dei requisiti di mercato sono identificate le dimensioni critiche (affidabilità, performance, assistenza, impatto ambientale, estetica, difettosità, sicurezza, durata) della qualità del prodotto, sono definiti i bisogni da soddisfare del cliente/mercato, sono identificati e definiti gli obiettivi connessi. Alla definizione degli obiettivi fa seguito una pianificazione delle attività necessarie per il loro raggiungimento. La sequenza clienti - priorità - processi rappresenta l’elemento determinante per la nascita dei processi di miglioramento. Attraverso la conoscenza delle esigenze dei clienti si è in grado di stabilire la priorità dei processi e quindi l’ordine di intervento su di essi.

L’importanza della progettazione Il programma Six Sigma enfatizza poi l’importanza della progettazione come mezzo per raggiungere elevate prestazioni ed affidabilità dei processi/prodotti. Come evidenzia il secondo punto, la progettazione statistica (o probabilistica), conosciuta come DFSS

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO (Design For Six Sigma) permette di progettare processi o prodotti in modo praticamente perfetto, eliminando o meglio riducendo al minimo i tempi necessari per la loro messa a punto. Questa tecnica è usata non solo per la progettazione di un nuovo prodotto, ma anche per l’ottimizzazione di un prodotto o componente esistente. In più, il DFSS coinvolge anche i processi di natura transazionale, visto che la progettazione riguarda non solo i prodotti/servizi, ma anche tutti i processi aziendali quali ad esempio logistica, gestione delle risorse umane, acquisti, vendite, finanza, ecc. Il DFSS parte dalla conoscenza delle Caratteristiche Critiche di Qualità (dette CTQ, Critical To Quality, meglio definite in seguito) individuate attraverso strumenti statistici quali il Quality Function Deployment (QFD). Si viene a realizzare “l’industrializzazione” dell’innovazione in quanto almeno il 20% della

popolazione

aziendale

deve

avere

conoscenze

per

progettare

prodotti/servizi/processi robusti. In questo modo si arriva alle specifiche di progetto dall’analisi dei bisogni del cliente per cui il progetto/prodotto è orientato verso le reali esigenze dell’utente finale. Il DFSS è facilitato dall’utilizzo di strumenti statistici avanzati e metodi di simulazione.

Gli aspetti economici Assicurata la soddisfazione del cliente, l’altro obiettivo del programma è il risultato economico delle azioni intraprese. La riduzione dei difetti, del tempo ciclo e dei costi ha impatto rilevante sul profitto. E’ necessario pertanto, saper quantificare i risultati economici nel senso che tutto il personale coinvolto nel programma deve saper valutare le conseguenze connesse alle scelte effettuate. Per ogni progetto è necessario valutare in fase di planning i costi/investimenti e i benefici, i possibili rischi e, a posteriori, i risultati economici utilizzando una metodologia standardizzata in modo che sia possibile un calcolo facile, il confronto e l’informatizzazione. La metodologia standardizzata prevede come possibili benefici: ➢ La riduzione degli scarti, delle penali e delle garanzie; ➢ La riduzione delle spese operative (materiali, risorse, trasporti);

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ➢ La riduzione delle spese per interessi; ➢ Guadagni incrementali (aumenti delle vendite, aumenti dei margini).

Il coinvolgimento dell’intera azienda Generalmente il 60-70% dei progetti riguardano la cosiddetta area “transaction”, quella non direttamente legata alle prestazioni e alla qualità del prodotto/servizio. Se un processo è schematizzato come un insieme di ingressi al quale corrisponde un insieme di uscite e se si considera che tutti i processi hanno clienti e fornitori e mostrano variazione, allora anche nell’area transaction si può parlare di processi. I processi “transazionali” sono quelli che maggiormente necessitano di una metodologia strutturata e sistematica come il “Six Sigma” in quanto a differenza dei processi ingegneristici

e

produttivi

fanno

meno

affidamento

su

metodi

scientifici.

L’implementazione del “Six Sigma” nei processi non produttivi è semplice e la differenza con quella nei processi ingegneristici e produttivi è lieve e risiede soltanto negli strumenti statistici inclusi nell’addestramento.

I fornitori “Six Sigma” prevede anche una stretta comunicazione tra azienda e fornitori, per cui è necessario lo sviluppo di metodi rigorosi che consentano la comprensione reciproca e la facile valutazione degli input da ambo le parti. Sono previsti a tal proposito programmi di formazione simili in modo che sia i fornitori che l’azienda utilizzino lo stesso linguaggio, progetti comuni (fare qualità ed avere un linguaggio comune), comarkeship e sistemi di comunicazione e di valutazione simili ai dashboard utilizzati per i clienti (utilizzando con i fornitori le metodologie di relazione impostate con i clienti).

Il sistema di feedback Il sistema di feedback si basa su una rete di indicatori, gestita in modo dinamico. Si utilizzano dashboard per monitorare la soddisfazione dei clienti, le prestazioni dei fornitori ed evidenziare gli aspetti critici. Si definiscono metriche generali interne relative a tutta la società e metriche specifiche di ogni priorità/area di miglioramento.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO L’andamento delle metriche è verificato periodicamente (in genere ogni mese) e il risultato complessivo è articolato in modo da individuare i colli di bottiglia all’interno di ogni priorità/area di miglioramento. Le possibili metriche interne sono: ➢ costi di non qualità ➢ prestazioni dei fornitori (qualità, tempi di consegna, servizio, flessibilità) ➢ capability dei processi principali ➢ valore aggiunto nelle diverse fasi del processo ➢ indicatori di redditività (ROI, ROE).

Osservazioni Non c’è dubbio che il Six Sigma ha aiutato diverse compagnie a conseguire alti livelli di prestazioni. La ricerca ha mostrato che le aziende che hanno implementato con successo il Six Sigma conseguono performance migliori in praticamente tutte le categorie del business, incluso il ROS (Return On Sales), il ROI (Return On Investiment), la crescita del numero dei dipendenti e per quanto riguarda l’innalzamento della quota di mercato. E’ stato osservato che il Six Sigma è la più importante opportunità che si sia mai presentata per gli statistici, in particolare per coloro che tra questi si occupano di business e di gestione aziendale. Chiaramente, gli statistici e gli ingegneri giocano un ruolo fondamentale nella diffusione della metodologia a quante più aziende possibile. Comunque, bisogna riconoscere che la sola statistica non basta ad assicurare un consistente successo. Anzi, si può prevedere che molte compagnie imbarcatesi in progetti Six Sigma potrebbero non godere dei benefici decantati da altre, a causa (e ciò va rimarcato) del loro concentrarsi sul training fortemente statistico dei Black Belt e della contemporanea negligenza nel diffondere e supportare un’adeguata cultura aziendale. Il successo del Six Sigma è ancora più rimarchevole se si considera che esso è stato conseguito anche in aziende che, pur non dichiarando ufficialmente di seguire un approccio di questo genere, possedevano parecchi degli elementi essenziali che sono imprescindibili nello sviluppo di un tal tipo di progetto. Di conseguenza, c’è qualcosa di nuovo tra quelli che sono stati descritti come elementi essenziali di un progetto Six Sigma: ad esempio, la figura del Black Belt è certamente

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO una novità nel contesto del business industriale. Naturalmente, ci sono sempre state delle figure motivate e orientate al miglioramento dei processi, ma poche raggiungevano i livelli di successo evidenziati in queste righe. Difatti i Black Belt posseggono sì motivazioni, ma anche e soprattutto abilità e opportunità: l’abilità è assicurata dalla capacità di selezionare dipendenti altamente capaci e dalla possibilità di sottoporli a un training statistico approfondito, l’opportunità è assicurata dalla cultura aziendale, che offre ai Black Belt l’incrollabile supporto del management. Dunque, il successo del Six Sigma

non

può essere

attribuito alla sua

“novità”, in quanto

l’approccio

fondamentalmente non è nuovo. La sua forza risiede nella combinazione di tutti gli elementi che lo costituiscono ma soprattutto nel modo in cui tali elementi si supportato l’un l’altro. Si auspica quindi che le compagnie che intraprendono questa strada siano in grado di comprendere che il successo non è solo dipendente dai singoli elementi, ma anche e principalmente dalle loro interazioni.

5.3.3 Struttura organizzativa Il Six Sigma, rinunciando a gran parte della complessità che caratterizza il TQM (Total Quality Management), si serve di strumenti e metodi ben consolidati e sperimentati che sono stati in auge per decadi: infatti, è possibile contare almeno 400 tra strumenti e tecniche riguardanti il TQM. Col Six Sigma si estrapola un numero ridotto di metodi altamente consolidati e si addestra un piccolo organico di leader tecnici interni, noti come Six Sigma Black Belts, a un alto livello di confidenza e padronanza nell’applicazione di tali tecniche avanzate, incluso l’utilizzo della più aggiornata tecnologia informatica. Una significativa caratteristica del Six Sigma è proprio la creazione di un’efficace infrastruttura in grado di assicurare che alle diverse attività di miglioramento delle prestazioni vengano assegnate le appropriate risorse: è opinione di molti esperti del settore che nell’incapacità di fornire tale apparato infrastrutturale vada cercata la causa numero uno di fallimento nell’80 % dei casi in cui l’implementazione del TQM è in passato naufragata. Il Six Sigma introduce significative modificazioni all’interno del sistema per mezzo del lavoro full-time di una piccola ma influente percentuale del personale organizzativo: sono proprio questi agenti full-time che catalizzano e

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO istituzionalizzano i cambiamenti all’interno dell’azienda. Questo sforzo (che spesso può trovare anche l’opposizione di forti barriere organizzative e di mentalità) non può essere sostenuto da altri se non dal CEO, che è responsabile della performance e dell’intera organizzazione. Come dunque si asseriva anche in precedenza, il Six Sigma va implementato con un modalità top-down. Le risorse umane che si richiedono per l’implementazione di un progetto Six Sigma sono (Figura 1010): ➢ Quality Leader ➢ Il Champion o Sponsor ➢ Il Master Black Belt ➢ Il Black Belt ➢ Il Green Belt

Figura 10: Struttura organizzativa di un progetto Six Sigma. Nello specifico il Quality Leader è il responsabile, solitamente unico, dello sviluppo della metodologia in azienda; il suo compito è quello di scegliere il percorso formativo del personale e di promuovere e verificare lo sviluppo dei Progetti Six Sigma. Il Champion o Sponsor, solitamente, va ricercato tra i dirigenti di alto livello in grado di comprendere la metodologia, all’altezza quindi di rendersi responsabili del successo del progetto. Nelle grosse imprese, il Six Sigma è condotto da un champion di alto livello, ad esempio un vice-presidente esecutivo, che si dedichi a tempo pieno a tale attività. In tutte le organizzazioni, tra i champion sono inclusi leader informali che utilizzano il Six Sigma nel loro lavoro giornaliero e diffondono la sua filosofia ovunque sia possibile. Gli sponsor possiedono processi e sistemi che aiutano a far partire e a coordinare le attività

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO di miglioramento nelle loro aree di competenza. Il periodo di training per tali figure dura di solito non più di una settimana, suddivisa in due sezioni di cui la prima si occupa sulla filosofia, teoria, pratica e applicazione dinamica delle tecniche relative al Six Sigma, la seconda riguarda la selezione dei Black Belt, l’identificazione dei progetti critici e lo sviluppo di strategie di miglioramento all’interno dell’azienda. Il Master Black Belt rappresenta il più alto livello di competenza tecnica e organizzativa: egli si occupa della leadership tecnica nell’ambito di un programma Six Sigma, lavorando a tempo pieno sui vari progetti riguardanti questa metodologia. Pertanto, gli vengono richieste quanto meno le medesime conoscenze di un Black Belt per quel che riguarda la comprensione delle tecniche matematiche più avanzate su cui sono basati i metodi statistici. Il Master Black Belt deve essere in grado di coadiuvare i Black Belt nell’applicazione corretta di tali tecniche anche nelle condizioni più inusuali. Qualora sia possibile, i corsi riguardanti i metodi statistici dovrebbero essere condotti soltanto dal Master Black Belt, nell’ottica di prevenire l’usuale fenomeno della “propagazione degli errori”, caratterizzato dal passaggio di errori dai Black Belt ai Green Belt, che a loro volta passano gli errori a membri e a sottomembri del gruppo di lavoro. Perciò, qualora Black e Green Belt avessero bisogno di un corso di formazione, sarebbe buona norma che tale training fosse condotto dal Master Black Belt stesso. Ad esempio, per facilitare la comunicazione, al Black Belt può venire chiesto di fornire assistenza al Master durante le esercitazioni e le discussioni in classe. Vista la natura delle mansioni di un Master Black Belt, la capacità di comunicazione e l’abilità nell’insegnamento sono importanti quanto le competenze tecniche. I candidati alla carica di Black Belt sono individui dalle spiccate competenze tecniche, tenuti in grande considerazione dagli altri membri dell’azienda. Essi sono attivamente coinvolti nel processo di sviluppo e miglioramento dell’organizzazione. Possono provenire da diverse educazioni e discipline, né è strettamente necessario che siano statistici o ingegneri: tuttavia, poiché si attende da loro che imparino a padroneggiare in poco tempo una grande varietà di strumenti tecnico-statistici, essi molto probabilmente dovranno possedere un background culturale comprendente conoscenze matematiche a livello universitario e gli strumenti base dell’analisi quantitativa. Un corso di metodi statistici può essere considerato una forte competenza aggiuntiva o addirittura un prerequisito. Per quanto riguarda l’addestramento, un aspirante Black Belt si sottopone Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO a un corso in classe di 160 ore riguardante le più disparate tecniche statistiche e della qualità, più un training one-on-one riguardante un progetto concreto, sotto la guida diretta del Master Black Belt o di un consulente. In seguito, i candidati dovranno assumere assoluta familiarità col calcolatore, dovendo conoscere come minimo uno o più sistemi operativi, fogli elettronici, database manageriali, programmi di presentazione e word processors. Come parte fondamentale del training sarà loro richiesto di divenire assolutamente competenti nell’utilizzo di uno o più pacchetti software avanzati per l’analisi statistica. I Black Belt lavorano per estrarre dai database dell’azienda dati utili su cui operare in un’ottica di miglioramento qualitativo: per assicurare l’accesso alle informazioni richieste, le attività del Six Sigma devono essere strettamente integrate col sistema informativo dell’organizzazione, quindi le capacità e la formazione dei Black Belt dovranno essere coadiuvate da un considerevole investimento in hardware e software. Sarebbe un nonsenso vanificare le competenze di questi esperti per risparmiare qualche dollaro in computer e programmi. Generalmente a un Black Belt viene assegnata la carica di Master solo dopo aver condotto con successo almeno 20 progetti di breaktrought (ovvero tendenti alla “rottura” degli standard qualitativi preesistenti per innalzare la compagnia verso un livello di performance più alto). Infine, i Green Belt sono i project leader capaci di formare e supportare i gruppi di lavoro Six Sigma e di condurre un progetto dalla fase di concepimento a quella di compimento. I Green Belt dedicano alla gestione dei loro progetti Six Sigma, potendosi dedicare frattanto anche ad altre iniziative, una percentuale del loro tempo che va dal 10 al 50 %, sebbene tale frazione è destinata ad aumentare, in quanto di pari passo con l’implementazione della metodologia cominceranno sempre più a inglobare le nozioni imparate durante le loro attività giornaliere, balzando ad un livello di coinvolgimento sempre più elevato. Il training di un Green Belt si articola in poco meno di due settimane ed è condotto in concomitanza con i progetti Six Sigma: durante il corso si affrontano argomenti riguardanti il management di progetto, gli strumenti di gestione e controllo della qualità, la risoluzione dei problemi e l’analisi descrittiva dei dati. Solitamente, prima dell’addestramento i Black Belt supportano i Green Belt nella fase preliminare di definizione dei progetti e li assistono nella fase successiva del loro sviluppo.

Si osservi che il numero di persone impiegate a tempo pieno in un progetto Six Sigma Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO non è molto elevato. I più maturi programmi d’implementazione del Six Sigma, alla Motorola, alla General Electric, alla Allied Signal e alla Johnson & Johnson, annoverano tra i Black Belt non più dell’un percento della forza lavoro. Solitamente c’è un Master Black Belt ogni 10 Black Belt, o anche un Master Black Belt ogni 1.000 dipendenti circa. Un Black Belt generalmente porta a termine dai 5 ai 7 progetti all’anno. E si ricordi che i gruppi di progetto sono guidati dai Green Belt che, a differenza di Black Belt e Master Black Belt, non sono impiegati in tali progetti a tempo pieno. I risparmi attesi per ciascun progetto variano da un’azienda all’altra in maniera anche considerevole: i dati riportano che i risultati variano tra i 150.000 e i 243.000 dollari. Ovviamente questi dati non si riferiscono agli enormi progetti seguiti dalla reingegnerizzazione. Portando a termine 5 o 7 progetti l’anno per ciascun Black Belt, la compagnia sarà in grado di aggiungere più di un milione di dollari all’anno per ogni Black Belt alla voce dei profitti nel proprio rendiconto finanziario. Per un’azienda di 1.000 dipendenti i numeri saranno pressappoco questi: • Master Black Belt: 1 • Black Belt: 10 • Progetti: 50 o 70 (5 o 7 per ciascun Black Belt) • Risparmi stimati: dai 9 ai 14,6 milioni di dollari l’anno (14.580 dollari per dipendente) Poiché i risparmi del Six Sigma hanno impatto diretto soltanto sui costi che non aggiungono valore al prodotto, è possibile ascriverli direttamente alla voce dei profitti nel bilancio dell’attività economica. Nel caso delle P.M.I. è però necessario affermare come non sempre sia possibile introdurre una struttura così ramificata e diversificata all'interno della propria organizzazione. In generale, quando non è possibile avere tutte le figure coinvolte all'interno della propria azienda, è possibile ricorrere ad outsourcing e sviluppare dei progetti mirati con la collaborazione di consulenti (Master Black Belt o Balck Belt) che siano in grado di gestire il team di lavoro, composto da personale interno, seguendo le fasi del Sei Sigma in modo rigoroso.Il team potrà in questo caso essere composto da una Green Belt interna, capace quindi di interpretare la raccolta dati in modo più efficiente rispetto ai consulenti esterni, e da esperti del settore. Questa soluzione permette alle PMI di sostenere un costo di formazione sicuramente minore e di ricorrere ai progetti Six Sigma solo per quelle tematiche che rivestono importanza strategica ed Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO economica rilevante. Solo in questo modo è possibile modificare con successo l’azienda, i prodotti e i processi. Esistono molte società di consulenza che forniscono il training necessario a formare le figure di cui sopra, addirittura con corsi on line, ma le specificità dei corsi offerti variano da società a società. L’International Quality Federation (IQF) sta muovendo i primi passi per standardizzare le competenze necessarie alle varie figure, iniziando con una certificazione per la figura di Black Belt. A tal fine è stata intrapresa una disputa legale per rendere il termine “Black Belt” di pubblico dominio e non di esclusiva proprietà di qualche società di consulenza. La certificazione proposta dall’IQF richiede che si affronti un vero e proprio esame sugli argomenti che costituiscono il bagaglio di conoscenze proprie del BB (Body of Knowledge “BOK”), come definite dalla stessa IQF. Per restare coerenti con la metodologia, che differisce dalla TQM soprattutto per l’enfasi posta sui risultati tangibili, la certificazione di BB non può risultare solo dal superamento di un semplice esame, ma deve anche avere dei riscontri pratici sulle capacità acquisite. Il migliore giudice di ciò non può che essere la stessa compagnia cui il candidato appartiene, per questo il modello sviluppato richiede che il candidato sia certificato dall’IQF e dalla sua società, agente da sponsor. Si comprende a questo punto l’importanza dell’oggettività del giudizio dello sponsor garantita dal buon esito dei progetti condotti dal candidato. Per far sì che anche imprenditori di piccole imprese possano divenire BB certificati, è necessario che l’ente agente da sponsor non sia la stessa compagnia ma un’università, ad esempio, inoltre l’interessato deve aver condotto con successo almeno due progetti Six Sigma.

DMAIC o DFSS? Dalla quantificazione del divario esistente tra le richieste del cliente e le capacità di processo, si può decidere se migliorare quest’ultimo (approccio DMAIC) o crearne uno ex novo (approccio Define Measure Analyse Define V erify o Design For Six Sigma). Nel primo caso procederemo ad un miglioramento iterativo del processo esistente, conseguendo minori rischi e tempi di sviluppo più brevi; nel secondo caso affronteremo una riorganizzazione sostanziale del processo, che comporta maggiori rischi e tempi di

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO sviluppo e l’individuazione delle nuove CTQ. Si possono presentare alcune situazioni nelle quali l’approccio DFSS (o DMADV) si rivela insostituibile: ➢ Aspettative del cliente variabili: nel momento in cui si risolvono i problemi esistenti, ne emergono di nuovi. ➢ Sviluppo tecnologico: le nuove tecnologie consentono di soddisfare le esigenze dei clienti ad un costo minore oppure ottenendo un vantaggio competitivo. ➢ Nuova generazione di prodotto: la vita utile del prodotto esistente è breve; è necessario, quindi, prevedere ben presto un suo successore ➢ Limiti di sistema: il divario nelle prestazioni è causato da configurazioni di sistema e modelli di attività che non possono essere mutati oppure la tecnologia disponibile non soddisfa i criteri CTQ. ➢ Processo completamente da rivedere: il processo esistente non si conforma a molti CTQ e richiede un numero eccessivo di progetti DMAIC consecutivi.Il modello DFSS (o DMADV) presenta, rispetto all’approccio tradizionale alla progettazione alcuni grossi vantaggi (analoghi a quelli conseguibili dal QFD): ➢ Riduzione dei tempi di realizzazione di prodotti. ➢ Riduzione dei costi di sviluppo e produzione. ➢ Riduzione al minimo del rischio di fallimento. ➢ Riduzione al minimo delle modifiche alla progettazione dopo il rilascio. ➢ Vantaggio sulla concorrenza, determinato dalla fornitura di prodotti e servizi di più alta qualità e a prezzo minore, nel rispetto dei requisiti dei clienti. 5.3.4 Le fasi del ciclo DMAIC Dal punto di vista operativo il Six Sigma non è altro che un’applicazione rigorosa, fortemente orientata all’obiettivo e altamente efficiente di tecniche statistiche e principi di qualità; la metodologia fa ampio uso dei mezzi propri della tradizione della qualità aziendale, puntando a renderli più efficaci con lo scopo di giungere ad una performance globale pressoché esente da difetti. Un progetto Six Sigma si articola in cinque fasi secondo il ciclo comunemente detto “DMAIC”: Define (fase di definizione) - è la fase in cui si definiscono gli obiettivi che, attraverso

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO l’attività di miglioramento, ci si propone di conseguire. Al livello top gli obiettivi sono obiettivi strategici dell’azienda come incremento del ROI o della quota di mercato, al livello operations un obiettivo può essere il miglioramento del “throughput” di un dipartimento produttivo, mentre al livello di progetto un obiettivo è per esempio la riduzione del livello di difettosità. Measure (fase di misura) – è la fase di valutazione dello stato del sistema o dell’attività in questione; attraverso l’uso di sistemi di misura efficienti ed affidabili si è in grado di monitorare lo stato evolutivo verso l’obiettivo preventivamente fissato partendo dallo stato iniziale (baseline). Analyze (fase di analisi) – è la fase nella quale si individua il modo di eliminare il gap esistente tra la performance attuale del sistema o del processo e quella desiderata. Improve (fase di miglioramento) – è la fase cruciale nella quale bisogna far sì che ogni attività risulti migliore, più economica o più veloce. Control (fase di controllo) – è la fase di verifica di tutto ciò che si è messo in atto.

5.3.4.1 La fase di definizione In tale fase è specificato: ➢ Il tema specifico da affrontare (ovvero che cosa si vuole analizzare). ➢ Gli obiettivi del miglioramento. ➢ Le risorse necessarie per realizzare il progetto (competenze necessarie, capacità di gestione, implicazioni a valle/clienti ed a monte/fornitori). ➢ Il tempo necessario per portarlo a termine. Obiettivo di tale fase è anche, e soprattutto, l’ottenimento di un’intesa sul progetto tra il management e coloro che devono realizzarlo: ciò consente di concentrarsi su un progetto, fornire prove del cambiamento, concordare su risorse e tempi necessari, evidenziare collegamenti strategici. È infatti abbastanza evidente che i progetti avranno un maggior successo se il problema oggetto dell’analisi è connesso con un’area aziendale chiave o comunque è legato a un processo chiaramente definito (del quale siano identificabili il punto di partenza e di arrivo) e se è possibile identificare i clienti interni o esterni che utilizzano o ricevono gli output di questo processo. Se è possibile

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO dimostrare come i miglioramenti possano potenziare le prestazioni economiche allora molto probabilmente esisterà anche un supporto adeguato da parte dell’azienda. In molti progetti è facile imbattersi in uno o più dei problemi seguenti: ➢ Progetto irrilevante per i clienti o per le necessità commerciali ➢ Campo d’azione del progetto troppo vasto; manca l'autorità per impegnare tempo e risorse o attuare cambiamenti al processo; non è facile identificare i punti di partenza e di arrivo ➢ I dati rilevanti sono difficili da raccogliere o eccessivamente numerosi ➢ Impossibile definire il difetto ➢ Il processo non si ripete con la frequenza necessaria ➢ Il problema è stato esposto come soluzione ➢ Sono avvenuti cambiamenti recenti nel processo. Molte società di consulenza raccomandano di cominciare con la costruzione del documento di riferimento, cui prima si faceva cenno, detto “carta del progetto”, in cui sono descritti gli scopi dell’iniziativa e le risorse a disposizione. In altre parole, vi sono riassunte le notizie essenziali con lo scopo di avere, sempre, l’attenzione dei membri del team focalizzata sui reali obiettivi (in linea con le priorità aziendali) e di creare una visione globale per chiunque sia interessato all’iniziativa. Nella Figura 11 si dà un possibile modello di questo documento, i cui campi sono chiariti dai punti che seguono. 1) Nome del progetto. Il nome da assegnare dovrà essere quanto più possibile autoesplicativo del fine che ci si propone, questo per permettere a tutti coloro che in futuro intraprendano una iniziativa simile di identificare e utilizzare il progetto in questione come riferimento. 2) Scopo. Ad esempio, ridurre il numero di prodotti difettosi su una certa linea. 3) Obiettivo. Si identifica la situazione di partenza dall’analisi di dati storici e si definisce un obiettivo realistico. Ad esempio, ridurre il tasso di difettosi dal 14 % (condizione attuale) al 7 % (obiettivo). 4) Risultati previsti per il business.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Si definisce cosa comporterà il raggiungimento dell’obbiettivo fissato. Ad esempio la riduzione del tasso comporterà un taglio del 25% del costo dei materiali e un incremento del 17% della capacità. 5) Membri del team di lavoro. Sono identificate tutte le persone che fanno parte del gruppo di lavoro. 6) Supporto richiesto. Ad esempio, si richiede la disponibilità di una stanza in cui organizzare gli incontri del gruppo di lavoro. 7) Benefici per il cliente. Ad esempio, prodotti di qualità più stabile. 8) Schedulazione delle fasi. Si elencano le fasi di lavoro e i relativi tempi d’esecuzione (previsionali).

Figura 11: La carta del progetto

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La compilazione della carta del progetto è compito del champion che si avvale dell’aiuto del MBB e del BB. Dato che la sua definizione è molto condizionata dalla descrizione del processo e dalla definizione dei bisogni del cliente, come si può capire dai campi presenti, la prima stesura sarà piuttosto rozza ed andrà rivisitata e modificata ogni volta che il grado di conoscenza del processo aumenterà.

Analisi finanziaria di un progetto Six Sigma Il calcolo dei profitti, dei guadagni, dei risparmi e delle conseguenze finanziarie del loro conseguimento sono tra i maggiori punti di attenzione dei progetti Six Sigma. Traducendo i rischi in k€, il manager del progetto permette a chi deve prendere le decisioni di priorizzare correttamente il progetto in relazione ad altre attività, in modo da renderlo fattivo e da assicurare la professionalità nel processo decisionale. I vantaggi sono divisi in quattro grandi categorie che compaiono nel project charter: ➢ Riduzione dei costi per l’entità aziendale nella quale il progetto è sviluppato; ➢ Riduzione dei costi per il Gruppo al di fuori della suddetta entità; ➢ Proventi degli affari nella ragione in cui il progetto incrementa le vendite; ➢ Riduzione dei rischi nella ragione in cui il progetto rende possibile la riduzione o persino l’eliminazione dei rischi tecnici relativi a problemi di scarsa qualità. Per la riduzione dei costi per l’entità aziendale o per il Gruppo si usa la seguente classificazione (Figura 12): ➢ Riduzioni reali dei costi: questi sono tutti i tipi di costi che sono realmente eliminati e non compaiono più sul conto P&L una volta che il progetto è concluso. ➢ Riduzioni potenziali dei costi: queste sono riduzioni dei costi che sono state identificate all’interno dell’ambito del progetto che affinché siano realizzate richiedono l’azione del management in aggiunta a quella del manager di progetto.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

PERIMETRO DEI COSTI DI MANAGEMENT PERIMETRO DEI COSTI DEL CAPO PROGETTO 6 SIGMA

GUADAGNO DEL PROGETTO

AZIONE DEL MANAGER

POTENZIALI Guadagni visibili nel conto di risultato

POTENZIALI (riduzione di costo del progetto ma non per il perimetro)

POTENZIALI (costi evitati)

Figura 12: Riduzioni di costi in un progetto Six Sigma

SIPOC e diagrammi di flusso Con la creazione della carta del progetto sono stati scelti i membri del team di lavoro e chiariti gli obiettivi, il passo successivo è la costruzione di una mappa di alto livello del processo che contenga un’indicazione dei fornitori (Suppliers), dei fattori in ingresso (Inputs), del processo stesso (Process), dei risultati (Outputs) e dei clienti (Customers).

Sviluppare

Tracciare

Ascoltare la voce

business case e

una mappa

del cliente

team charter

del processo Figura 13: Sottofasi del Define.

La qualità si giudica in base al risultato di un processo. La qualità di un risultato a sua

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO volta viene migliorata analizzando le variabili in ingresso e le variabili di processo. Porre l’enfasi sul lavoro di un solo operatore non porta a un grande miglioramento della qualità: per migliorare considerevolmente il livello qualitativo è necessario migliorare il processo. In quest’ottica, una mappa SIPOC è utile per: ➢ sviluppare una visione sintetica del processo; ➢ evitare di allontanarsi dall'ambito; ➢ evidenziare le aree da migliorare; ➢ garantire la focalizzazione sul cliente. Il SIPOC è uno strumento di comunicazione molto efficiente: assicura oltretutto che i membri del team abbiano la medesima visione del processo e che il management sia informato circa ciò su cui il team sta effettivamente lavorando. Per questo va tracciato allo stadio iniziale del progetto. Di solito, il processo viene mappato ad un livello piuttosto alto (4-7 step) e si comincia a lavorare “dalla destra”, identificando i clienti e via via il resto. I punti fondamentali per la creazione di una mappa SIPOC sono i seguenti: ➢ Assegnare un nome al processo; ➢ Chiarire il punto di partenza e di arrivo (parametri limite) del processo; ➢ Elencare gli output chiave e i clienti principali; ➢ Elencare gli input chiave e i fornitori principali; ➢ Identificare, nominare e ordinare le fasi principali del processo. Nella Figura 14 è fornito un esempio di modello per la formalizzazione di un SIPOC.

Figura 14: Esempio di una mappa SIPOC per un semplice processo.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO A volte è utile, nel caso di processi produttivi che includono un gran numero di step critici, completare la mappa di alto livello con un’indicazione del rendimento delle varie fasi e dell’intero processo attraverso rispettivamente il Throughput Yield (YTP) e il Rolled Throughput Yield (YRT), definiti meglio in seguito. Ciò può in alcuni casi indurre a riesaminare l’obiettivo del progetto o può aiutare a identificare un constraint (“collo di bottiglia” che pregiudica il rendimento dell’intero processo) su cui focalizzare l’attenzione. Quindi differenze significative nel rendimento delle diverse fasi suggeriscono la necessità di creare una nuova mappa per la fase con rendimento minore. Inizio

Fine RRAcc

lass???

Resa

95%

44% Resa

95%

Resa

60%

Resa

90%

Resa

90%

Figura 15: Flusso di processo con constraint. Altro strumento utile per la visualizzazione dettagliata del processo sono i diagrammi di flusso (flow chart). I diagrammi di flusso rendono ben visibile un processo perché seguono la sua evoluzione fase per fase, a un livello di dettaglio piuttosto elevato. L'uso di un diagramma di flusso: ➢ Contribuisce alla comprensione comune del processo. ➢ Chiarisce tutte le fasi del processo. ➢ Aiuta a identificare le opportunità di miglioramento nel processo (complessità, sprechi, ritardi, inefficienze, perdite di rendimento ed eventuali colli di bottiglia). ➢ Aiuta a scoprire i problemi insiti nel processo. ➢ Aiuta a rivelare la modalità di svolgimento del processo.

Esistono varie tipologie di diagrammi che possono essere classificati secondo tre grandi famiglie. 1)

Diagramma di flusso di base.

Sono rappresentati solo i macrostep del processo e non sono compresi punti di decisione e rilavorazione. Solitamente sono disegnati in senso orizzontale in modo che, Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO sotto ogni macrostep potrà essere sviluppato, all’occorrenza, un diagramma più dettagliato. 2)

Diagramma di flusso del processo.

Individua le sequenze di attività di un processo in maniera molto dettagliata, includendo tutte quelle che riguardano decisioni o rilavorazioni. 3)

Diagramma di flusso dispiegato.

Conosciuto come diagramma di flusso a due dimensioni o funzionale, mostra chi fa che cosa, dimostra le interazioni fra le persone, i dipartimenti, ecc, oltre ad evidenziare le diverse fasi del processo. In Figura 17 è fornito un semplice esempio dei tre casi precedenti che descrive il processo di fare la spesa in un supermarket. Per la sua costruzione esistono un insieme di simboli standard (Figura 1616). Azione che da il via al processo o alla parte rappresentata nel diagramma. Rappresenta un punto in cui viene presa una decisione. Rappresenta un’azione o un’attività. Conclusione del processo o della parte rappresentata, traiettorie differenti potrebbero avere diversi punti di fine.

Rappresenta documenti di lavoro. Usato come connessione di più percorsi o per indicare, nei flussi a due dimensioni, unità che potrebbero collaborare allo svolgimento della fase del processo. Figura 16: simboli standard

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

Diagramma di base

Acquirente

Cassiere

Prende carrello Fare la spesa

Pagare

L’acquirente prende il carrello

L’acquirente Attendere in fila alla cassa

Prelevare la spesa

Il cassiere fornisce una busta

Il cassiere fa il conto

L’acquirente preleva prodotti dagli scaffali

L’acquirente pone i prodotti nella busta

L’acquirente paga

C’è resto si

Preleva prodotti dagli scaffali Attende in fila alla cassa

Fa il conto

Paga

C’è resto

no

si Da il resto

no

Diagramma del processo

Il cassiere da il resto

Pone i prodotti nella busta

Fornisce una busta

Diagramma dispiegato

Figura 17: Diverse tipologie dei diagrammi di flusso Lo sviluppo di tali diagrammi avviene solitamente durante delle riunioni, cui sono presenti tutte le persone che lavorano al processo da rappresentare, in modo da essere sicuri di descrivere ogni fase in maniera corretta, infatti difficilmente una singola persona conosce tutto il processo perfettamente. Identificazione della voce del cliente (VOC) La dicitura “voce del cliente” (VOC, Voice Of the Customer) descrive l’elenco delle esigenze dei clienti e il modo in cui essi percepiscono un determinato prodotto o servizio. I dati VOC servono ad un’azienda per: ➢ Decidere quali prodotti e servizi offrire; ➢ Identificare le caratteristiche e le specifiche fondamentali per quei prodotti e servizi; ➢ Decidere dove concentrare gli sforzi di miglioramento; ➢ Ottenere una misurazione di base della soddisfazione del cliente rispetto cui misurare il miglioramento; ➢ Identificare gli elementi trainanti chiave della soddisfazione del cliente.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Attraverso il completamento delle fasi descritte nella Figura 19, è possibile formulare le CTQ (Critical to Quality).

Identificazione

Raccolta e analisi

Analisi dei dati

Traduzione

Definizione

dei clienti

dei dati

per creare una

del linguaggio

delle specifiche

e definizione di

provenienti da un

lista

del cliente

per i CTQ

ciò che è

sistema reattivo e

delle esigenze

in CTQ

necessario

successiva

chiave

sapere

integrazione

dei clienti

mediante un

nel loro

sistema proattivo

linguaggio

Figura 19: Attività di un processo VOC A questo punto, nell’ambito di una visione dinamica degli obiettivi di progetto, potrebbe presentarsi l’esigenza o la possibilità di un riesame del charter e in generale dello scopo del progetto, domandandosi come l’obiettivo dello studio si rapporta all’esigenza del cliente. Gli obiettivi vanno cioè vagliati in funzione di ciò che il cliente richiede: in tale fase non è raro accorgersi che fin qui in realtà si è focalizzata l’attenzione su aspetti ininfluenti ai fini della soddisfazione della clientela. Il sistema di raccolta delle informazioni può essere sia reattivo che proattivo: nel primo caso, l’organizzazione riceve le informazioni anche senza fare nulla; nel secondo caso l’azienda deve mettere in pista dei piani di raccolta informazioni e quindi deve effettuare degli sforzi anche notevoli. In genere i sistemi reattivi raccolgono dati su questioni o problemi dei clienti attuali o precedenti, esigenze dei clienti attuali e precedenti non soddisfatte, interesse corrente e precedente dei clienti verso prodotti e servizi particolari: sistemi reattivi tipici sono reclami dei clienti (per telefono o per iscritto), numeri di supporto clienti per problemi o assistenza, chiamate di supporto tecnico, chiamate di servizio clienti, richieste, crediti, pagamenti contestati, rapporti di vendita, informazioni di ritorno sul prodotto, richieste in garanzia, attività di pagine web. Viceversa, tipici sistemi proattivi sono interviste, gruppi di interesse, indagini, schede commenti, raccolta dei dati durante visite o telefonate commerciali, osservazione diretta del cliente, ricerca di mercato, monitoraggio del mercato, benchmarking, schede segnapunti qualità. Una volta che sono state individuate le aspettative e le preferenze del cliente sul prodotto o servizio, esse vanno tradotte in specifiche quantitative riguardanti il prodotto Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO stesso. L’albero CTQ è un comodo strumento adibito a tale funzione: difatti le esigenze dei clienti sono spesso vaghe ed è quindi richiesta una loro trasposizione in specifiche caratteristiche definite, misurabili e critiche per la qualità (Critical To Quality, CTQ). Tale strumento, perciò, garantisce che vengano considerati tutti gli aspetti delle richieste e aiuta il team a spostarsi da specifiche di livello alto a specifiche dettagliate. Gli step fondamentali per la stesura di un albero CTQ esaustivo sono: ➢ Elencare le esigenze dei clienti. ➢ Identificare i principali elementi trainanti per queste esigenze (cioè gli elementi che garantiscono che l’esigenza sia presa in considerazione). ➢ Analizzare ciascun elemento trainante in dettagli maggiori. ➢ Interrompere

l’analisi

di

ciascun

livello

una

volta

raggiunte

informazioni

sufficientemente dettagliate e misurabili. Le caratteristiche all’ultimo livello, le foglie dell’albero, prendono il nome di CTQ (caratteristica critica per la qualità). Nella Figura 2020 è riportato un esempio di albero CTQ:

Esigenza

Elementi trainanti

CTQ Bassa professionalità dell’operatore

Funzionamento

Facile da mettere a punto (addestramento/documentazione) Controllo digitale

Facilità di funzionamento e manutenzione

Manutenzione

Modifica

Generale Difficile da misurare

MTBF Controllo errori Abilità e competenza Documentazione controllo errori Utensili/attrezzature speciali minimi necessari

Specifico Facile da misurare

Figura 20: Determinazione delle CTQs a partire dalle vaghe richieste del cliente. Definite le CTQ, bisogna identificare i loro limiti d’accettabilità (detti anche customer specification, CS). Generalmente nel settore manifatturiero derivano da richieste Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO tecniche, altrimenti possono essere fissati considerando la curva della customer satisfaction che lega la percentuale di soddisfatti ai valori della variabile CTQ in questione. I limiti di specifica sono individuati da quei particolari valori della CTQ in corrispondenza dei quali la soddisfazione dei clienti comincia a diminuire sensibilmente. Ad esempio considerando la CTQ tempo di risposta di un call center, nella Figura 21 è riportata la curva di customer satisfaction, si può notare che essa inizia a decrescere rapidamente nell’intorno del valore 5 minuti (gli utenti iniziano ad essere impazienti), tale tempo diviene il limite di accettabilità della CTQ in questione.

100%

% soddisfatti

Limite di accettabilità

0 0

2

5 7 Tempo di risposta (min)

Figura 21: Determinazione dei limiti di specifica.

5.3.4.2 La fase di misura Questa fase è di fondamentale importanza per tutto lo svolgimento dell’attività di miglioramento, giacché costituisce la base su cui si fonda tutto il lavoro successivo. Come detto il Six Sigma, oltre i connotati di filosofia di qualità che assume nella sua globalità, si presenta come un approccio scientifico a tutta una serie di problematiche; in primo luogo esso prevede un’accurata definizione della baseline, cioè dello stato di partenza dell’attività o del sistema che si vuole sviluppare. Questa prima fase si fonda su una serie di strumenti in grado di assicurare una misurazione precisa; tali strumenti

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO sono principalmente quelli statistici tradizionalmente noti a chi si interessa di qualità 1. Come per ogni fase di un percorso Six Sigma bisogna avere la capacità di utilizzare, tra quelli disponibili, gli strumenti più idonei alla situazione contingente; è necessario cioè adottare il giusto mix in modo da misurare minuziosamente ogni elemento dell’attività senza incappare in inutili ripetizioni né tantomeno in gravi omissioni. È del tutto evidente che una cattiva fase di misura rischia di rendere inefficaci le fasi seguenti, anche se ben condotte; inoltre porta inevitabilmente a trarre conclusioni errate al termine di un intero progetto. D’altra parte, uno dei principi del Six Sigma è proprio quello di operare in maniera essenziale, puntando sempre fortemente l’obiettivo sui punti critici, per cui la cura e l’attenzione poste nelle varie fasi sono proprio un principio base della metodologia. Nella fase di Misura, l’obiettivo è quello di localizzare in maniera quanto più precisa possibile la fonte o la locazione fisica dei problemi, costruendo una comprensione effettiva delle condizioni esistenti del processo e delle problematiche ad esso connesse. Questo insieme di conoscenze sarà utile per restringere il range di cause potenziali che dovranno, poi, essere investigate nella successiva fase di Analisi (Figura 22). Raccogliere dati di base su difetti e cause possibili

Sviluppare una strategia di campionamento

Convalidare il sistema di misurazione mediante Gage R&R

Analizzare le tendenze nei dati

Determinare la capability di processo

Figura 22: Step della fase di Misura. In tutto ciò, è imprescindibile l’importanza della qualità dei dati e della modalità della loro raccolta. Per permettere tutto ciò i dati raccolti devono essere quanto più è possibile: sufficienti, rilevanti, rappresentativi, contestuali (Figura 23). Caratteristiche dei dati Sufficienti I dati collezionati sono tanti da poter considerare il loro comportamento reale. Rilevanti

1

Si ricordino a tal proposito i sette strumenti statistici della qualità: raccolta dati, Istogramma, Diagramma causa/effetto, Diagramma di Pareto, Analisi per stratificazione, La correlazione, Le carte di controllo. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Caratteristiche dei dati I dati aiuteranno a comprendere o a puntare al problema che stiamo provando a risolvere Rappresentativi Il range completo del processo è ritrovato nei dati. Contestuali Collezionati assieme ad altre informazioni che descrivono cosa è successo nel corso del tempo. Figura 23: Caratteristiche dei dati In generale è possibile scrivere:

Y = f ( x1 , x2 , x3 ,...,xn )

(1)

in cui Y è un parametro correlato all’output del processo e gli xi sono parametri correlati alle variabili di ingresso e di processo. Allora per caratterizzare il legame funzionale è necessario raccogliere dati relativi alle xi e corrispondenti ai valori di Y

Identificazione delle misure fondamentali Partendo dal concetto che i bisogni del cliente sono stati tradotti in CTQ, si può asserire che non tutte le variabili di input e di processo sono fondamentali allo scopo, bensì ognuna avrà una data importanza riguardo al bisogno esaminato. Tale importanza va quantificata al fine di selezionare quelle variabili (di processo e input) che consentono un monitoraggio delle caratteristiche in osservazione. È importante quindi focalizzare l’attenzione su un certo numero di misure chiave. Uno degli strumenti da poter utilizzare per operare tale scelta è la matrice delle priorità. Le due principali applicazioni della matrice delle priorità riguardano: ➢ Associare le variabili di output con i requisiti del cliente: individuare il grado di correlazione tra le esigenze del cliente e le variabili in output. ➢ Associare le variabili in input e di processo con le variabili in output: individuare il grado di correlazione tra le variabili in output e quelle in input e di processo. Un esempio di utilizzo di questo strumento è riportato nella Figura 24.

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Carico di rottura

Qualità di superficie

Diametro

Colata / Direzione

Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

9

9

5

5

Velocità

1

5

1

1

64

Temperatura

9

9

5

1

192

Pressione

1

9

1

1

100

Stampo

5

9

9

5

196

Svolgimento

1

5

1

1

64

Lubrificante

1

5

5

9

124

Filo

1

5

1

1

64

Variabili in output

Variabile in input

Variabile di processo

Peso

Totale

Figura 24: Esempio della matrice delle priorità. Si noti come sulle righe della matrice delle priorità siano state listate tutte le variabili di input e di processo, mentre sulle colonne quelle di output rappresentino in sostanza della CTQ. Nelle caselle d’intersezione vengono poi inseriti dei coefficienti di peso che indicano la “forza” della relazione variabile riga - variabile colonna. In genere si assume che: ➢ 0 la relazione è assente ➢ 1 la relazione è molto bassa ➢ 5 la relazione è moderata ➢ 9 la relazione è molto forte. Nella colonna “Totale” viene apposta l’informazione fondamentale per la selezione delle variabili critiche, cioè il grado d’importanza assunto dalla particolare variabile di processo o di input in ottica cliente. Chiaramente le variabili a maggiore criticità sono quelle a cui è associato un valore più elevato in questa colonna (cfr. QFD).

Stratificazione e tipi di dati Prima di iniziare la raccolta dati, nel tentativo di rimuovere le ambiguità e rendere oggettivo il giudizio di ogni operatore, è necessario creare una procedura in cui sono specificati: una definizione del misurando, i passi da percorrere nell’effettuare la misura e i modelli per la registrazione (check sheet).

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Nella strutturazione dei modelli bisogna sempre considerare la possibilità di collezionare dati

cosiddetti

diagnostici,

ovvero

ricchi

di

informazioni,

che

consentano

successivamente stratificazioni tali da permettere un loro studio multivariato, cioè di analizzare i dati da diverse prospettive. La stratificazione si riferisce alla suddivisione dei dati in gruppi (strati) sulla base di caratteristiche chiave. Una “caratteristica chiave” è un aspetto dei dati ritenuto d’aiuto nella spiegazione di quando, dove e perché esiste un dato problema. L’obiettivo della suddivisione dei dati in gruppi è di individuare una caratteristica localizzata in termini di tempo, luogo o condizioni. I gruppi tipici si fondano sulle categorie seguenti: CHI - individui, gruppi, reparti o unità implicati. COSA - macchine, apparecchiature, prodotti, servizi. DOVE - ubicazione fisica del difetto. QUANDO - ora del giorno, giorno della settimana, fase del processo. Un esempio di visualizzazione stratificata dei dati è riportato nella Figura 25: Sito A

6

5

4

3

Tempo richiesto per completare la lubrificazione (tutti i siti)

2

1

0 7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

19

20

21

Sito B

6

6

18

5

Conteggio

4

5

3

4

2

1

3 0 7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

19

20

21

2 6

Sito C

1 5

4

8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 Minuti

3

2

1

0 7

8

9

10

11

12

13

14

15

16

17

18

19

20

21

Figura 25: Esempi di dati stratificati. Come è evidente, nella visualizzazione dei dati stratificati i punti relativi ai dati sono solitamente codificati in modo da separare visivamente i gruppi. In genere, la codifica avviene per etichette, colori o simboli diversi e diagrammi differenti tracciati in modo affiancato.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Si noti poi che per quanto riguarda le tipologie di dati esiste la seguente distinzione (Figura 26):

Dati continui

Dati discreti

Ottenuti spesso facendo ricorso a un sistema di misurazione.

L'utilità dei dati dipende dalla qualità del sistema di misurazione.

Percentuali = la proporzione di elementi con una data caratteristica; è necessario contare gli eventi verificatisi e quelli non avvenuti.

È preferibile considerare gli eventi non infrequenti come dati continui.

Per i conteggi, è praticamente impossibile contare gli eventi non avvenuti; l'evento deve essere raro.

Include percentuali, conteggi, attributi, ordinali.

Gli eventi verificatisi devono essere indipendenti.

Figura 26: Tipologie di dati e loro caratteristiche. Per quanto riguarda i dati continui, alcuni esempi che si possono rinvenire nell’ambito della produzione riguardano il tempo di ciclo, la purezza di un metallo, il tasso di produzione; nell’ambito dei servizi invece si possono segnalare il tempo trascorso per effettuare una transazione, la durata media delle telefonate. Per quanto riguarda invece i dati discreti, nell’ambito della produzione esempi tipici sono proporzione di articoli difettosi (percentuale), avarie dei macchinari e incidenti (conteggio), tipo di prodotto (attributo); nell’area dei servizi si segnalano proporzione di applicazioni tardive e fatturazione errata (percentuale), numero di errori e reclami (conteggio), tipo di applicazione e tipo di richiesta (attributo).

Il campionamento o “Sampling” Il campionamento è la raccolta di una parte di tutti i dati e l’utilizzo di questa parte per giungere a conclusioni per mezzo dell’inferenza statistica. La principale utilità del campionamento risiede nell’ovvia considerazione che osservare tutti i dati potrebbe essere troppo costoso, richiedere troppo tempo e necessitare di una serie di test distruttivi (che incidono fortemente su ambedue le categorie di tempo e di costo). Conclusioni attendibili si possono trarre da un numero di dati relativamente piccolo,

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO purché questo numero seppur esiguo venga scelto nella maniera idonea cioè in modo da risultare rappresentativo dell’intera produzione del processo. Prima di passare alla raccolta dei dati bisogna decidere la giusta dimensione del campione da prelevare dalla popolazione (ampiezza campionaria n). La risposta è determinata in genere da quattro fattori: 1. Il tipo di dati: è importante effettuare una prima distinzione tra dati discreti e continui. 2. Obiettivo della raccolta: descrivere la caratteristica di un gruppo nel suo insieme (valori medi o proporzioni) entro un certo margine di precisione (± unità) o comparare la stessa caratteristica di due gruppi (trovare le differenze tra le medie o le proporzioni di due gruppi) con una determinata efficacia (intesa come la probabilità con cui si desidera essere in grado di individuare la suddetta differenza). 3. Il valore ipotizzato della deviazione standard (o proporzione) della popolazione 4. Il livello di confidenza che si desidera conseguire: si noti che quanto più è elevato il livello di confidenza tanto più è bassa la probabilità di commettere errore. Normalmente il livello di confidenza che si assume si assesta al 95 %. Per precisione (d) si intende la misura in cui deve essere ristretto il campo di variazione di una certa caratteristica stimata (ad esempio stima del tempo di ciclo con scarto di ± 2 giorni, stima della percentuale di difettosità con scarto di ± 3%). La precisione è pari alla metà dell’ampiezza dell’intervallo di confidenza con cui si vuole stimare la caratteristica in esame. A titolo d’esempio, si fa notare che un intervallo di confidenza (IC) del 95% = (48 , 52) per un ciclo produttivo (misurato in giorni) significa che con una probabilità del 95% il ciclo produttivo si svolge entro 48-52 giorni: nel caso, ampiezza dell’IC = 4 giorni, precisione = d = 2 giorni (cioè la stima cade tra ± 2 giorni). Per effettuare un campionamento corretto deve essere scelta la precisione desiderata, tenendo presente che essa è inversamente proporzionale alla radice quadrata dell’ampiezza campionaria: quindi si nota subito che per migliorare la precisione occorre aumentare l’ampiezza del campione, il che implica costi maggiori. Non esiste una risposta univoca circa la scelta della precisione, in quanto essa dipende dagli effetti sul business dell’uso di tale stima, effetti che vanno valutati volta per volta.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Come anticipato le formule per determinare la dimensione del campione dipendono dallo scopo del campionamento stesso; per una stima del valore medio e della proporziona si usano le formule in Figura 27. Scopo del campionamento

Formula

Stima del valore medio

 2s  n=   d 

(es. determinare il tempo di ciclo)

2

(Dove d = precisione: ± __ unità) Stima della proporzione (es. determinare la % di difettosità)

2

 2 n =   (p )(1 − p )  d (Dove d = precisione: ± __ unità)

Figura 27: Formule per la determinazione dell’ampiezza campionaria Nelle formule mostrate (che si riferiscono al caso di campionamento da popolazione infinta: n<<N, dove N è la numerosità dell’intera popolazione), per s s’intende una stima della deviazione standard del processo, ottenuta usando dati di un processo simile (utilizzando un diagramma di controllo relativo a tale processo), dati storici o prelevando un piccolo campione dal processo in esame); p indica, invece, la probabilità che un evento dia esito positivo (si suppone che il processo in esame sia assimilabile al modello binomiale). Nella stima del valore medio “2s” rappresenta il 95% dell’area della curva normale, ovvero la grandezza del campione è adeguata alla stima con la precisione fissata (d) ad un livello di fiducia del 95%. Se risulta complicata o impossibile una valutazione di s, possiamo aggirare tale difficoltà semplicemente esprimendo la precisione d desiderata in funzione di s, come nella Figura 28

Precisione ( d )

 2s  n=  d 

1s

4

1/2 s

16

1/3 s

36

1/4 s

64

1/8 s

256

2

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Figura 28: Dimensione del campione per diversi valori della precisione Si è accennato che le formule per la determinazione della dimensione del campione si basano sull’assunto che la dimensione campionaria (n) sia piccola rispetto a quella della popolazione (N). Se

đ?‘› đ?‘

> 0,05 , ovvero se il campione è costituito da oltre il 5 % della

popolazione, è possibile correggere la dimensione campionaria utilizzando la formula valida nel caso di campionamento da Popolazione Finita:

n finito =

n 1+ n

1

N

Se, invece, il nostro scopo è confrontare la caratteristica di due gruppi, realizziamo un test d’ipotesi per i quali si rimanda a testi specialistici. Si vuole, ora, brevemente soffermarsi sulle differenze esistenti tra popolazione e processo; quando si parla di popolazione è possibile definire operativamente i limiti di un intero gruppo esistente, in modo che ogni unitĂ del gruppo possa essere identificata e numerata. Lo scopo del campionamento è proprio la descrizione delle caratteristiche di tale gruppo. Invece un processo è un evento dinamico e in continuo cambiamento: le unitĂ del processo non possono essere tutte identificate poichĂŠ alcune non esistono ancora (per esempio quelle che devono essere ancora prodotte). Scopo del campionamento è stavolta la comprensione del processo stesso, per decidere se effettuare miglioramenti oppure per predirne l’andamento futuro. Le formule per la determinazione della dimensione del campione sono state sviluppate per popolazioni statiche (spesso solo teoriche) e ben definite. Tuttavia, gran parte delle campionature si riferiscono a processi dinamici, futuri o comunque sconosciuti. L’applicazione delle stesse formule nel campionamento dei processi può condurre a conclusioni falsate, sempre che alcune condizioni siano soddisfatte. AffinchĂŠ l’inferenza sia valida, un campione deve essere abbastanza rappresentativo della popolazione o del processo: diverse strategie di campionamento sono necessarie sia per le popolazioni sia per i processi, al fine di assicurare la rappresentativitĂ del campione.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Le formule per la dimensione del campione possono essere applicate ai processi solamente se questi sono stabili (Figura 29).

(Processo stabile e prevedibile) 65

60

55

50

45

40 1

3

5

7

9

11

13

15

17

19

21

23

25

27

29

31

33

35

37

39

41

Figura 29: Esempio di processo stabile. Se il processo è instabile, è ancora possibile utilizzare le formule viste che restituiscono, questa volta, il numero minimo di unità da raccogliere; è perciò consigliabile raccogliere i dati da un numero maggiore di unità. Per utilizzare le formule suddette occorre, inoltre, valutare come le cause speciali possano influenzare la stima di s (oppure p) e modificare questa ultima opportunamente in base al valore che si ritiene possa rappresentare l’andamento futuro del processo.

Validazione di un sistema di misura: il Gage R&R Come anticipato il Six Sigma è un sistema fortemente basato su valutazione ed elaborazione di dati numerici; la qualità dei sistemi di misura delle caratteristiche di interesse riveste quindi un’importanza fondamentale. La variabilità delle misure relative ad un prodotto/processo è in parte dovuta alla variabilità intrinseca del prodotto/processo, ed in parte alla variabilità insita nel sistema di misurazione. Anche il procedimento di misura è ineluttabilmente affetto da errore; è quindi necessario individuare le fonti di errore, misurare l’errore stesso e controllarlo perché non superi dei limiti prestabiliti e considerati accettabili per le finalità dello studio. Dalla misurazione delle variabili continue si esigono le seguenti caratteristiche: ➢ Accuratezza: la misura è accurata quando il valore misurato devia poco da quello Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO effettivo. L’accuratezza è normalmente testata confrontando la media di misurazioni ripetute con un valore standard noto per quella unità. ➢ Ripetitività: se una misurazione effettuata dalla stessa persona sulla stessa unità dà lo stesso risultato, allora la ripetitività è sufficiente. ➢ Riproducibilità: la misura è riproducibile quando la misurazione dello stesso elemento o carattere effettuata da una terza persona (o con un altro strumento o in un altro laboratorio) presenta i medesimi risultati. ➢ Stabilità: una misura è stabile quando la variabilità delle misurazioni effettuate dalla stessa persona nel tempo è molto contenuta ➢ Risoluzione adeguata: la risoluzione dello strumento di rilevazione è sufficiente se la misurazione del prodotto può mostrare più di un valore. Di norma, un sistema di misura deve avere un potere risolutivo tale da poter osservare almeno 5 valori distinti. Nella Figura 30 si riportano alcuni esempi delle caratteristiche richieste ad un sistema di misura affidabile. a)

L’ accuratezza è buona se la differenza è piccola*

b)

La ripetitività è buona se la differenza è piccola*

Valore standard

Valore osservato

c)

d)

Dati di misurazioni ripetute dello stesso elemento

Rilevatori dati 1

Tempo 1

Dato dalla Parte X

Rilevatore dati 2

e)

Valore osservato

Dato dalla Parte X

Tempo 2

X X X X X X 5.3

La riproducibilità è buona se la differenza è piccola*

X 5.1

X X X X 5.2

X X X 5.4

Valore osservato

X X 5.5

La stabilità è buona se la differenza è piccola*

Figura 30:Caratteristiche della misura di variabili continue; a) accuratezza, b) ripetibilità, c) riproducibilità, d) stabilità, e) risoluzione adeguata.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Un sistema di misura comprende strumenti di misurazione, procedure, definizioni, persone/operatori, ambiente. Per migliorare il sistema di misurazione occorre valutarne l’attuale bontà di funzionamento (chiedersi cioè quale parte della variazione osservata nei dati dipende dal sistema di misurazione), analizzare i risultati e sviluppare strategie di miglioramento. Si pone, quindi, il problema di valutare l’accuratezza, ripetibilità e riproducibilità di un sistema di rilevazione continuo. L’analisi Gage R&R consente di valutare la prestazione del sistema di misurazione e raccolta di dati continui: viene generalmente usata nell’industria manifatturiera o in altre applicazioni dove i “gage” (calibri) o altri strumenti sono usati per misurare importanti caratteristiche fisiche di tipo continuo. L’analisi Gage R&R consiste nel pianificare un insieme di prove condotte su un campione estratto dal processo, per determinare la ripetitività e riproducibilità del sistema di misurazione: si svolge facendo in modo che diversi operatori misurino diverse unità diverse volte (ad esempio, 3 operatori misurano ognuno 7 unità due volte). In questo caso è da preferire una “prova cieca”: è meglio che l’operatore non sappia che la misura è oggetto di un test particolare; o almeno che non conosca in anticipo il valore della caratteristica o la tipologia delle parti, sottoposte a test, che sta misurando. Le unità o gli elementi da misurare vanno selezionati in modo da rappresentare il campo totale di variabilità osservabile generalmente nel processo: spesso i sistemi di misurazione sono maggiormente accurati in alcune parti del campo di variabilità piuttosto che in altre. In generale è possibile affermare che la variazione totale osservata nelle misure è dovuta a (31): 1.Variazioni tra pezzo e pezzo o “part-to-part”: variazione reale tra le unità sottoposte a misurazione. 2.Ripetitività o errore puro: difformità nel modo in cui una data persona effettua le misurazioni (elevata difformità = alta variabilità = poca ripetitività). 3.Riproducibilità: difformità nel modo in cui persone diverse effettuano le misurazioni (elevata difformità = alta variabilità = poca riproducibilità). 4.Interazione operatore-pezzo: persone diverse misurano elementi diversi in modi diversi (es. l’altezza potrebbe influire nella misurazione poiché certe persone potrebbero avere difficoltà a misurare certe parti per via dell’illuminazione, della prospettiva, ecc.). Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Figura 31: Scomposizione della variabilità. Se la variabilità prodotta dalla ripetitività o dalla riproducibilità si rivela eccessiva (rispetto alla variabilità intrinseca tra le parti), occorre correggere o migliorare il processo di misurazione. La valutazione di un sistema di misura può essere fatta attraverso i seguenti indici: ➢ %R&R Descrive la variazione del sistema di misurazione rispetto alla variazione totale delle parti del processo:

%R & R =

S sdm S totale

3

➢ %P/T Descrive la variazione del sistema di misurazione rispetto alla tolleranza delle parti: %P / T =

5,15  S sdm Tolerances

4

Un’altra informazione utile che possiamo dedurre dall’analisi precedente è il numero di classi di dati che il sistema di misura è capace di discriminare:

Numero di categorie distinte =

 part to part   1.41 =  1.41  sdm  sdm

2

Vediamo, adesso, i criteri guida per l’interpretazione di un’analisi Gage R&R. Per quanto riguarda l’indice %R&R il suo valore si deve mantenere al di sotto del 30% poiché in caso contrario il sistema di misurazione risulterebbe inadeguato a raccogliere Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO le variazioni del processo attuale (Figura 32)

Non accettabile

Desiderabile

0%

Accettabile

10%

Caso limite

20%

30%

100%

Figura 331: Valori accettabili per l’indice %R&R Per quanto riguarda il numero delle categorie distinte, almeno 4 classi devono essere discriminabili: se il risultato è < 4, la variabilità della misurazione è troppo ampia per distinguere la variabilità tra le parti. Per quanto riguarda l’indice %P/T, un suo valore>30% indica che il sistema di misurazione è inadeguato rispetto ai limiti di specifica del processo.

Variabilità di un processo: cause speciali e cause comuni Un processo, per quanto possa essere ben concepito ed affidabile, non potrà mai dar luogo a un output perfettamente uniforme: concorreranno sempre un insieme di cause che tenderanno ad allontanarlo dal proprio target. Se tali fattori possono essere considerati come delle variabili casuali che agiscono in maniera indipendente l’una dall’altra, per il teorema del limite centrale si può affermare che la distribuzione seguita dai dati reali del processo è una gaussiana. Questa distribuzione può essere caratterizzata da due parametri la media (μ) dei dati e la deviazione standard (σ), il valore 6σ (±3σ) viene chiamato variazione naturale e rappresenta l’ampiezza ricoperta dal 99,73% dei dati. Si ricordi che nell’approccio tradizionale alla qualità ogni valore presente nelle specifiche è ugualmente buono, per cui le aziende concentravano i propri sforzi sul solo perseguimento di valori delle caratteristiche di prodotto e di servizio che rientrassero nelle specifiche definite dal cliente. Nell’approccio più recente (Genichi Taguchi, 1960), invece, nel momento in cui una caratteristica devia dall’obiettivo si sostiene una certa perdita, inoltre maggiore è la variabilità, più grande è tale perdita (Figura 34).

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Figura 34: Perdita di valore: a) nell’approccio tradizionale, b) secondo Taguchi. L’entità delle variazioni in un processo è una misura della sua affidabilità: e si può definire la “Voce del processo”; le specifiche del processo, invece, indicano cosa si vuole che il processo sia in grado di fare cioè ciò che è già stato definito come la “Voce del cliente”. La quantificazione, quindi, della variabilità di un processo rappresenta un passo indispensabile verso il miglioramento, inoltre la comprensione del tipo di causa che ha determinato la variabilità definisce le modalità di stima delle stessa ed aiuta a prendere quelle decisioni che probabilmente condurranno a miglioramenti durevoli nel tempo. In generale è possibile distinguere due grandi categorie di cause di variabilità di un processo: ➢ Cause speciali: nascono da eventi particolari che avvengono in un certo momento o in un certo luogo. ➢ Cause comuni: sono sempre presenti in una certa misura nei processi. La parte di variazione del processo imputabile solo a cause comuni è chiamata variazione a breve termine (short-term variation, sST), invece quella dovuta sia a cause comuni che a cause speciali è detta a lungo termine (long-term variation, sLT). Le azioni correttive sono molto differenti nei due casi di variabilità. Per l’eliminazione di cause speciali che danno luogo a instabilità nel processo (variazione nel tempo di media e varianza del processo), è opportuno rilevare tempestivamente i dati in modo che le cause speciali siano identificate al più presto e prendere provvedimenti immediati per rimediare ai danni. In seguito, è necessario sviluppare dei piani d’intervento per evitare che quella causa speciale si manifesti di nuovo. Al contrario per diminuire l’effetto delle cause comuni, responsabili della dispersione della curva di distribuzione dei dati, è necessaria una sostanziale modifica del processo. Bisogna essere accorti nel discernere tra i due tipi di cause, in quanto l’azione conseguente potrebbe provocare un peggioramento delle condizioni del processo, Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO come evidenziato nella Figura 35. Tipo di azione

Cause comuni Cause speciali

Tipo di variazione

Cause speciali

Cause comuni

Analizzare le differenze tra i punti singoli

Operare un intervento per prevenire le differenze osservate

Studiare tutti i dati

Perdita di tempo

Incremento della variazione

Migliore Riduzione della conoscenza del variazione sistema

Importanti informazioni guadagnate sul processo

Riduzione della variazione

Perdita di tempo nel rispondere ai problemi

Effettuare una modifica significativa sul processo

Perdita di produttività, la variazione può aumentare

Figura 35: Strategie per la riduzione della variabilità. Strumenti grafici per lo studio della variabilità Gli strumenti grafici per studiare la variabilità di un processo sono: ➢ grafico delle serie storiche o “run chart”; ➢ carte di controllo; ➢ istogrammi di frequenza; ➢ diagrammi di pareto. In particolare, il run chart è uno strumento utilizzato alternativamente alle carte di controllo per evidenziare cause speciali, anche se solitamente viene usato a posteriori e non in linea, come avviene per le carte di controllo. Una serie storica è in sostanza una raccolta periodica di dati di un processo produttivo. L’ordine cronologico è fondamentale: le condizioni in cui si svolge un processo possono variare notevolmente nel tempo, per cui il valore osservato in un momento può non essere confrontabile con quello rilevato in un altro. Quando si analizzano serie storiche bisogna osservare la variabilità, ovvero il modo in cui il valore dei dati cambia tra i punti: il modo in cui si presenta la variabilità dei dati fornisce informazioni sull’origine dei problemi del processo produttivo (Figura 36).

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO a)

65 60 55 50

Cambiamento repentino nel processo

45 40 1

3

5

7

1

3

5

7

9

11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39 41

9

11 13

65 60 55 50

b)

45 40 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39 41

4 punti si collocano in posizioni molto diverse dal resto

Figura 36: Run Chart: dipendenza temporale dei risultati di un processo; a) variazione del processo, b) presenza di cause speciali. La variabilità dovuta a cause comuni non può quasi mai essere ridotta cercando di spiegare la differenza tra i singoli punti: quando s’intende migliorare un sistema stabile non si devono isolare uno o due dati, bensì occorre guardare ai dati nel loro insieme. Di conseguenza il miglioramento di un processo stabile è più complesso dell’identificazione di una causa speciale: servono più tempo e maggiori risorse per analizzare il processo2. Un run è un insieme di punti successivi tutti da un lato rispetto alla mediana3 (nella Figura 37 i run sono racchiusi in cerchi, i punti sulla mediana vengono ignorati, in quanto essi non allungano né eliminano una sequenza).

2

Molti dei dati che si osservano sono aggregati, se si disaggregano questi valori, è spesso possibile

rilevare degli andamenti particolari, che risultano mascherati nell’aggregato. 3

La mediana, 50-percentile della distribuzione cumulata, risente di meno rispetto alla media della presenza di cause speciali. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 45 40 Mediana

35 30 25 20 15 10

0

5

10

15

20

25

Figura 37: Esempi sulla sequenza di Run. Nel contare le sequenze, se due valori di seguito hanno lo stesso valore, ignorare il secondo punto. Per evidenziare la presenza di cause speciali sono definiti i seguenti test: ➢ A seconda del numero di dati riportati nel grafico, si dovranno ritrovare un determinato numero di run: pochi run possono indicare o uno shift nella media del processo o un ciclo; invece troppi run farebbero presagire o la presenza di un campionamento da diverse fonti o la presenza di errori nella misurazione. ➢ La presenza di trend4, può indicare che la media del processo si sta spostando. ➢ Almeno 8 punti consecutivi sullo stesso lato della mediana (shift). ➢ Almeno 14 punti consecutivi che si alternano sopra e sotto la mediana. Le carte di controllo sono dei grafici in cui i risultati del processo sono ordinati cronologicamente al pari dei grafici di serie storiche; ma a differenza di queste ultime riportano anche i limiti di controllo statistici del processo5 e si riportano, come linea centrale, la media e non la mediana. I limiti di controllo statistico stabiliscono la stabilità del processo: rappresentano un altro modo di separare la variabilità dovuta a cause speciali da quella dovuta a cause comuni6. Ulteriori strumenti che permettono di mettere in evidenza le caratteristiche dei dati sono 4

Si definisce trend una sequenza di sei o più punti con andamento crescente o decrescente. Si osservi che i limiti di controllo non sono legati in alcun modo ai “limiti di specifica” cui è soggetto il processo. 6 I punti al di fuori di limiti statistici sono il segnale di una causa speciale 5

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO i diagrammi di frequenza e i diagrammi di Pareto. Un diagramma di frequenza mostra la forma ovvero la distribuzione dei dati riportando su un piano cartesiano la frequenza con cui essi si verificano. Si ricorre ai diagrammi di frequenza per rappresentare insiemi molto numerosi di dati (che altrimenti sarebbero difficili da interpretare se presentati in forma tabellare), per mostrare la frequenza relativa del manifestarsi dei diversi valori, per identificare i valori medi, il campo di variazione e la variabilità dei dati. Un diagramma di frequenza può mettere in luce un particolare andamento sintomo di problemi specifici e può consentire di verificare se la distribuzione dei dati segue la curva normale. Un esempio di diagramma di frequenza nella tipica notazione Dot Plot è illustrato nella Figura 38. Riempimento eccessivo su 100 scatole di cereali

25

Numero

20 15 10 5 0 0.0

0.2

0.4

0.6

0.8

Once in eccesso rispetto al peso sulla confezione

Figura 38: Diagramma di frequenza. Si possono prospettare le seguenti eventualità: Se un diagramma di frequenza presenta una distribuzione simmetrica e a forma di campana: • Conclusioni: la distribuzione non denota la presenza di cause speciali; è possibile che i dati provengano da un processo stabile (eventuali cause speciali potrebbero apparire sul grafico della serie storica oppure sulla carta di controllo). • Intervento: effettuare cambiamenti radicali per migliorare la stabilità del processo (strategia della causa comune). Se un diagramma di frequenza mostra una distribuzione con due “gobbe”, ovvero bimodale: • Conclusioni: ciò che si riteneva essere un solo processo, in realtà opera come fossero due (due gruppi di condizioni operative). Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO • Intervento: utilizzare la stratificazione o altre tecniche d’analisi per scoprire il motivo delle due gobbe. Se un diagramma di frequenza mostra una distribuzione quasi piatta: • Conclusioni: si potrebbe essere in presenza di uno slittamento del processo nel tempo o il processo stesso potrebbe essere la risultante di più condizioni operative. • Intervento: utilizzare i grafici delle serie storiche per vedere l’andamento nel tempo; cercare la presenza di fattori di stratificazione; standardizzare il processo. Se un diagramma di frequenza identifica uno o più punti anomali (ovvero molto distanti dagli altri lungo l’asse orizzontale): • Conclusioni: è probabile che i punti anomali siano il risultato di un errore nella immissione o raccolta dei dati. • Intervento: assicurarsi che i dati anomali non siano dovuti ad errori nella raccolta o registrazione dei dati; trattarli alla stregua di una causa speciale. Se una distribuzione di frequenza indica meno di cinque valori distinti: • Conclusioni: lo strumento di rilevazione non è abbastanza sensibile oppure la scala di misurazione non è abbastanza definita. • Intervento: occorre effettuare delle misurazioni più approfondite, adottando nella registrazione un maggior numero di cifre significative. Se una distribuzione di frequenza denota punti che si accumulano attorno ad un valore: • Conclusioni: un punto di separazione netto è il segno che lo strumento di misurazione non è in grado di leggere tutti i dati oppure che gli operatori non considerano quei valori che superano un certo limite. • Intervento: occorre migliorare gli strumenti di misurazione e tranquillizzare gli operatori rispetto alla raccolta di dati inaccettabili. Accade in determinati contesti che per effettuare un’analisi migliore e più focalizzata sia opportuno suddividere i dati in categorie e non seguire solamente il loro sviluppo cronologico. Un diagramma di Pareto7 rappresenta uno degli strumenti migliori per valutare le

7

Il Diagramma di Pareto prende il nome da Vilfredo Pareto, un economista italiano che agli inizi del Novecento osservò che un numero relativamente basso di persone deteneva la maggior parte della

ricchezza. Negli anni Cinquanta il Dr. Joseph Juran ha reso noto questo principio identificandolo in moltissime situazioni, in particolar modo nelle questioni legate a problemi di qualità.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO caratteristiche dei dati suddivisi in categorie. Un diagramma di tal tipo si utilizza quando si vuole: ➢ Capire in quanti modi si verifica un problema. ➢ Giudicare l’impatto relativo delle diverse componenti di un problema. ➢ Identificare la causa principale di un problema. ➢ Decidere dove concentrare gli interventi. Un diagramma di Pareto è uno strumento grafico che aiuta a suddividere un problema nelle sue componenti più piccole e ad identificare quali tra esse sono le più importanti: esso si basa su un principio descritto spesso come la regola 80/20 secondo la quale in molte situazioni circa l’80 % dei problemi è causato solamente dal 20 % delle cause. In base a tale principio, molto spesso è possibile risolvere un problema identificando poche questioni critiche e concentrandosi su di esse (Figura 39). Si badi che la barra relativa alla categoria “Altro” non sia troppo alta: in tal caso, gli elementi relativi a tale barra andrebbero ridistribuiti nelle altre categorie o in una categoria di nuova creazione. Nella costruzione di un diagramma di Pareto, inoltre, bisogna prestare attenzione all’altezza attribuita all’asse delle Y. Infatti, quando questa ultima eguaglia l’altezza della barra più grande, automaticamente si osservano le barre in relazione l’una con l’altra e non rispetto al problema nel suo complesso. In questi casi si potrebbe male interpretare un diagramma identificando un effetto Pareto quando in realtà non è presente. Periodo d’inattività dei computer agosto 1–31

Offerte di contratti perse gennaio – dicembre

100

200 70

90

Valore dei contratti (migliaia di dollari)

150

70

Ore

50

100

60 40

50

30

40

Percentuali sul totale

80

60

30 20

50

20 10

0

10 0 Inesplicabili

Black-out

Bug nel software

Caricam. nuove versioni

Manut.enzione programmata

Altro

Guasti dell’hardware

Ragione

Personalità

Termini

Prezzo

Mancanza di competenza

Mancanza di capacità

0

Ragione

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Figura 39: Esempi di diagramma di Pareto. Nella Figura 40 si riportano alcuni esempi sulle diverse forme che può assumere il diagramma di Pareto. Il principio di Pareto è valido: una o poche categorie risultano essere la causa di gran parte del problema.

Concentrare l’attenzione su azioni di miglioramento relative ad una o due categorie. Il principio di Pareto non è valido: le barre sono

tutte

pressoché

della

stessa

dimensione. Non vale la pena identificare la barra più alta. Occorre trovare altri modi per suddividere i dati in categorie oppure trovare dati diversi per analizzare questo problema.

Figura 40: Esempi sulla validità del diagramma di Pareto.

Stima della performance del processo Lo studio di capability o di performance ha l’obiettivo di valutare l’andamento di un processo in relazione ai parametri stabiliti dalle specifiche; questo può essere fatto sia in sede preventiva, cioè prima di iniziare l’attività di miglioramento, che in fase progressiva, cioè durante la fase di implementazione metodologica. Lo scopo è sempre quello di valutare e controllare la varianza della distribuzione normale rappresentativa della classe sotto esame e di assicurarsi che la posizione della media della stessa distribuzione non oscilli oltre dei limiti prefissati.

La capacità intrinseca di un processo La capacità intrinseca di un processo è la misura del grado di prestazione di un certo Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO processo, ovvero verifica se un generico processo è in grado o meno di soddisfare la tolleranza richiesta per una certa caratteristica. La ricerca di tale misura permette di determinare la tendenza centrale e la variabilità di un processo, di una macchina, di un attrezzo per un periodo di tempo prestabilito e in condizioni ben controllate. Giova osservare che i valori della generica caratteristica rilevati sul processo in esame sono relativi ad unità prodotte consecutivamente; noti tali valori si calcolano la media  e la devianza standard  in modo da poter definire la stima dell’effettiva tendenza centrale e dell’entità della variazione. La distribuzione normale è l’elemento fondamentale per emettere giudizi statistici in uno studio di capacità di processo; infatti, rappresenta una buona descrizione del modo in cui variano la maggior parte delle caratteristiche di qualità nei processi industriali. In una distribuzione normale i valori che vanno da  - 3 a  + 3 hanno una probabilità totale pari al 99,73% e quindi l’intervallo [ - 3 ,  + 3] viene definito intervallo di variabilità naturale del processo. Se, cioè, si considera un valore qualsiasi appartenente alla distribuzione considerata, la probabilità che esso sia racchiuso in tale intervallo è del 99,73%. Si ritengono, quindi, fisiologiche (o naturali) le variazioni di 3 rispetto a , croniche (o speciali) quelle maggiori. Le variazioni fisiologiche sono dovute ad una miriade di parametri che vengono ritenuti incontrollabili o perché lo sono effettivamente, o perché risulterebbe troppo costoso controllarle. Le variazioni croniche, invece, sono riconducibili ad una delle quattro cause speciali, metodi, macchine, materiali e manodopera, che possono e devono essere controllate. I passi necessari per procedere allo studio della capacità intrinseca di processo sono: 1. scegliere una singola macchina o attrezzatura; 2. scegliere la tipologia di materiale entrante, che dovrà avere una certa uniformità in modo da eliminare l’influenza della variabilità del materiale; 3. scegliere un operatore o un ispettore, con buona esperienza; 4. avviare la produzione della macchina in modo da raggiungere le normali condizioni operative, regolandola opportunamente; 5. prelevare un campione di unità prodotte consecutivamente (da 50 a 150) rilevando i dati relativi alla determinata caratteristica da esaminare; 6. compilare una distribuzione di frequenza, calcolando la media e la deviazione Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO standard; 7. determinare il limite superiore di processo (ipotesi di distribuzione normale) e il limite inferiore di processo; 8. calcolare la capacità di processo, definita come la differenza tra il limite superiore ed il limite inferiore di processo, ovvero il noto 6; 9. confrontare la capacità di processo e le specifiche definite per la caratteristica in esame. Detti Upper Specification Limit (USL) e Lower Specification Limit (LSL) i limiti di specifica superiore ed inferiore della caratteristica, definiamo tolleranza la distanza tra i limiti di specifica:

Tollerenza = USL − LSL

(6)

e valore nominale o target il punto medio di tale distanza (Figura 41).

LSL

USL

Intervallo di tolleranza

Valore nominale o target

Figura 41: Intervallo di confidenza e valore di target Se la tolleranza ammessa dalle specifiche sarà più ampia della capacità di processo (tolleranza naturale del processo), la macchina sarà in grado di soddisfare le specifiche; ma per una migliore valutazione e interpretazione del comportamento di un certo processo possiamo definire due indici di funzionalità Cp e Cpk. L’indice Cp è definito come:

Cp =

Tollerenza USL − LSL = dispersione naturale 6

7

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Si osservi che i valori di Cp sono sempre maggiori o uguali a zero. Quando Cp1, la tolleranza è minore dell’ampiezza 6 della distribuzione, il processo è inadeguato; quando Cp1, la tolleranza è maggiore dell’ampiezza 6 della distribuzione, il processo è adeguato. Più grande è il valore di Cp migliore sarà la funzionalità del processo. L’indice Cp, però, è solo una misura della dispersione o ampiezza della distribuzione, non fornisce alcuna informazione circa la posizione della distribuzione in relazione al target. Infatti, si osserva dalla Figura 42 che delle due distribuzioni, con gli stessi limiti di specifica e lo stesso valore di Cp, una è compresa nei limiti di specifica mentre l’altra è quasi tutta al di fuori dei limiti.

LSL

USL

LSL

  target

a)

USL

target

b)

Figura 42: Posizionamento relativo tra i limiti di specifica e la curva di distribuzione Per questo Cp non è largamente usato come misura di funzionalità, da solo non permette di capire se il processo è funzionale, ma solo se il processo ha la capacità teorica di esserlo. È necessario che il processo sia centrato per far sì che il valore di Cp assuma significato. Ecco quindi che viene usato l’indice Cpk. Il Cpk, tiene conto sia della dispersione, sia della centratura, cioè della ampiezza della distribuzione e di come questa è posta rispetto al punto medio della specifica.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

Cpk = Cp (1 - k)

con

k=

 - valore medio

3

1 (USL - LSL) 2

con: µ = media della caratteristica qualitativa. valore medio = centro dell’intervallo di specifica = (LSL + USL)/2

oppure semplicemente:

USL − media media − LSL  C pk = min  ;  3 3  

4

Scegliendo il valore minore si trova quanto è capace il nostro processo sul lato peggiore. Maggiore è tale valore migliore sarà la funzionalità del processo. Dalle formule si può notare che: • un Cpk1 significa che l’ampiezza 6 dei dati rientra nei limiti di specifica; • un Cpk=1 l’ampiezza 6 ricade giusto nei limiti di specifica; • un Cpk compreso tra 0 e 1 significa che parte dell’ampiezza 6 cade oltre i limiti; • un Cpk negativo significa che il valore medio non rientra nei limiti di specifica. • un Cpk<-1 significa che tutti i valori della caratteristica qualitativa cadono fuori dall’intervallo di specifica Dalle formule, inoltre risulta che Cpk non può essere maggiore di Cp; se la media è esattamente centrata al valore di target, allora i due indici coincidono. Il Cp indica quanto migliore sarebbe Cpk se il processo fosse attuato in modo che la media della distribuzione fosse più vicino al punto medio della specifica. Supponiamo adesso che il valore nominale sia centrato con il valore di target e di avere Cp=1. La probabilità che un pezzo sia in specifica sarà pari al 99.73% (è l’area al di sotto di una gaussiana nell’intervallo [ - 3,  + 3]), e cioè in media si avrà lo 0,27% di produzione difettosa e, quindi ci saranno in media 2700 unità difettose circa su di un milione di unità prodotte (in sintesi si scrive 2700 PPM, Parti Per Milione). Ma nel caso in cui il processo si sposti dal centro (target) di una grandezza pari a  risulta che la percentuale passa da 99.73% a 97.72% quindi aumenta la percentuale dei Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO pezzi fuori specifica, passando da circa 2700 PPM a circa 22781 PPM. Tale tipo di variazione può essere dovuta a vari fattori non sempre controllabili o controllabili con forte aumento delle spese di produzione, cioè ambiente, usura, etc. Per rendere il processo insensibile a tali fattori è necessario che la variabilità del processo sia più piccola possibile. Sulla base di ciò possiamo notare che se Cp=2 e se il processo si sposta dal valore di target di una quantità pari a  la percentuale di pezzi in specifica passa da 99.9999998%, quindi 0.002PPM, a 99.999971%, 0.29 PPM; la variazione può essere quindi definita virtualmente nulla. Questo significa che il processo è insensibile alla variabilità dei fattori. Per cui si può affermare che l’obiettivo che deve porsi un’azienda è quello di realizzare dei processi con un Cp=2 cioè produrre a sei sigma. Solo in questo modo si ottiene un prodotto robusto, insensibile a tutti quei fattori ambientali e di processo che inducono una maggiore variabilità. Nella maggior parte dei processi industriali si verifica nel tempo uno spostamento della media rispetto al valore di target dovuta a fattori come l’usura degli utensili o la stanchezza fisica, che può essere stimata pari a  1.5. In tali condizioni un processo a 6 sigma, cioè con Cp=2, a seguito di tale spostamento di 1.5 passerà ad un PPM=3.4 e 99.99966% pezzi in specifica con C pk=1.5 (Figura 43).

A3 A4 A5 A6

Distribuzione

Movimento

della Movimento

della

centrata

distribuzione 1

distribuzione 1.5

2700 PPM

22700 PPM

66810 PPM

99.73 % yield

97.72% yield

93.32% yield

63 PPM

1350 PPM

6210 PPM

99.9937% yield

993865% yield

99.379% yield

0.57 PPM

32 PPM

233 PPM

99.999943% yield

99.9968% yield

99.977% yield

0.002 PPM

0.29 PPM

3.4 PPM

99.9999998% yield

99.999971% yield

99.99966% yield

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Figura 43: Effetto dello spostamento della media del processo sul suo rendimento

Gli indici di misura È necessario, a questo punto, introdurre degli strumenti che permettano la misura del livello di qualità di una linea di produzione. La prima e semplice misura del livello di qualità di una linea di produzione è quella di esprimere il numero di unità difettose rilevate al termine del processo produttivo, in termini di percentuale di difettosità. Altra misura è quella che si basa sul concetto di parti per milione (PPM), che fa riferimento al numero di unità difettose che sono presenti al termine di un processo produttivo per milione di unità prodotte. Giova osservare che per abbassare il valore del PPM si va alla ricerca sempre più esasperata degli scarti di linea attraverso rilevazioni, ispezioni intermedie e finali che sono operazioni a valore aggiunto nullo. Il valore di PPM, quindi, non fornisce indicazioni sulla manufacturing excellence, ovvero sulla qualità del progetto del prodotto e del processo, e sulla eccellenza operativa. L’obiettivo da raggiungere è quello della massima producibilità, intesa come la capacità di riprodurre le varie unità con la minima variazione possibile, soddisfacendo, contemporaneamente, i requisiti dell’azienda (profitti, tempi ciclo, utilizzazione ottimale delle capacità) e del cliente (specifiche, tempi, costi). Solo se ogni operazione del processo produttivo presenta una elevata capacità di produrre entro i suoi limiti di specifica si ottiene che: • gli scarti di linea ed i tempi ciclo sono minimi; • le capacità installate sono sfruttate in maniera ottimale; • la qualità del prodotto è garantita al cliente come qualità naturale del processo; • ispezioni e rilavorazioni sono evitate. Occorre, dunque una nuova misura di qualità interna, che sostituisca il PPM e permetta di valutare la qualità del prodotto/processo.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Difetti per unità (DPU) Il DPU (Defects Per Unit) è il numero medio di difetti prodotti da una certa operazione del processo produttivo. I difetti che si considerano, quindi, non sono i difetti che si trovano nel prodotto al termine del processo produttivo, ma tutti i difetti che si producono o rilevano nelle singole operazioni. L’indice DPU conta i difetti e non i pezzi difettosi: se lo stesso pezzo ha due difetti indipendenti, i difetti da considerare sono due e non uno solo.

DPU =

numero _ di _ difetti _ registrati unità _ controllate

10

Ogni operazione avrà, dunque, un proprio DPU, in quanto introduce, in qualche misura una certa difettosità nei pezzi. Un processo produttivo, fatto di molte operazioni consecutive, produrrà mediamente un numero di difetti dato dalla somma delle difettosità medie delle singole operazioni: m

TDU =  DPUi

5

i =1

con TDU (Total Defects per Units) è il numero totale medio di difetti ed m il numero di operazioni in cui è suddiviso il processo. La variabile aleatoria discreta x, che rappresenta il numero di difetti rilevati in una generica unità a valle dell’operazione i, è una v.a. di Poisson di media DPUi:

DPUi e− DPUi P( x ) = x! x

6

La probabilità che nell’unità controllata non ci siano difetti è ottenuta ponendo x=0 nella (12):

DPUi e− DPUi P(0) = = e−DPUi 0! 0

13

Altri indici comunemente utilizzati per definire l’andamento qualitativo di una linea di produzione sono:

ProcessYield =

pezzi completati pezzi iniziati

7

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

Test Yield =

pezzi che hanno superatoil test pezzi sottopostial test

đ?‘­đ?’Šđ?’“đ?’”đ?’• đ?‘ťđ?’Šđ?’Žđ?’† đ?’€đ?’Šđ?’†đ?’?đ?’… =

Rolled Yield =

8

đ?’‘đ?’†đ?’›đ?’›đ?’Š đ?’?đ?’Œ đ?’‚đ?’? đ?’‘đ?’“đ?’Šđ?’Žđ?’? đ?’‘đ?’‚đ?’”đ?’”đ?’‚đ?’ˆđ?’ˆđ?’Šđ?’?

9

đ?’‘đ?’†đ?’›đ?’›đ?’Š đ?’‘đ?’“đ?’?đ?’„đ?’†đ?’”đ?’”đ?’‚đ?’•đ?’Š

pezzi che hanno subito intero processosenza difetti pezzi processati

10

Dalla (17) si deduce che il Rolled Yield risulta essere la probabilità che ha un pezzo di superare tutte le operazioni di processo senza contrarre difetti. Dalle precedenti definizioni si ha che per prodotti riparabili (rilavorabili) il Process Yield è tipicamente molto elevato (prossimo al 100%) in quanto si ha un pezzo completato per ogni pezzo iniziato, ma il Rolled Yield può essere molto basso. Per i prodotti non riparabili, invece, il Rolled Yield è uguale al Process Yield. Nel caso di prodotti riparabili, per valutare le effettive possibilità di miglioramento di un processo conviene riferirsi al Rolled Yield. Si osservi ora che il First Time Yeld (FTY) non rappresenta altro che la probabilità che le unità processate non presentino alcun difetto a valle della generica fase i, per cui:

DPUi e − DPUi P(0) = = e −DPUi = FTYi 0! 0

DPU i = - ln FTYi

11 12

Nella pratica spesso accade che:

DPU i  0.10

13

da cui si può ricavare

FTYi =1 − DPUi

14

Infatti, per bassi valori della difettositĂ , un’unitĂ ha al massimo un difetto, per cui il numero dei pezzi difettosi è uguale al numero dei difetti, cosa evidentemente non vera quando la difettosità è alta. Il FTYi si riferisce al prodotto che è stato interessato da una singola operazione del processo produttivo; il prodotto che passa attraverso varie fasi del processo produttivo sarĂ caratterizzato da un valore di FTYi per ciascuna fase. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Lo Yield dell’intero processo rappresenta la probabilità che il prodotto esca da tutte le consecutive fasi del processo senza difetti ed è quindi data dalla probabilità congiunta delle singole probabilità di successo relative a ciascuna fase; quindi il valore di questo indice, detto Rolled Yield (RY), è dato dal prodotto dei singoli FTYi delle m fasi del processo:

RY = i =1 FTYi m

15

Attraverso la (22) è possibile ricavare la (11), difatti:

FTYi = e − DPUi

DPU i = - ln FTYi

16

in maniera del tutto analoga, sempre secondo definizione, si ha che:

TDU = − ln(RY )

17

m m  m  TDU = − ln (RY ) = − ln   FTYi  = − ln (FTYi ) =  DPUi i =1 i =1  i =1 

18

RY = e −TDU

quindi

Difetti per milione di opportunità Essere in grado di creare una vera e propria cultura nella valutazione della qualità di un processo è di fatto il primo importante passo verso il miglioramento. Alcune organizzazioni continuano ancora oggi ad utilizzare un semplice tasso di difettosità (numero di unità difettose/numero di unità prodotte espresso in percentuale calcolato al termine del processo) come indice di riferimento. Rispetto a questo tipo di misura il DPU presenta già notevoli punti di forza: infatti conteggia il numero totale di difetti, non limitandosi semplicemente a classificare come difettosa una singola unità che potrebbe contenere più difetti; questo fa sì che il DPU ha la proprietà di tendere ad essere proporzionale al numero di occasioni di generare difetti in un prodotto. Il fatto che il DPU sia legato, sebbene in misura non rigorosamente esatta ma solo come

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO tendenza, alle opportunità di creare difetti, esistenti all’interno di un processo produttivo, lo rende un indice rispondente alle funzionalità oggi richieste. Infatti, ai fini del benchmarking (ovvero dell’operazione di confronto tra processi), è necessario non solo determinare il numero di difetti in rapporto alle unità prodotte, ma diventa fondamentale rapportarsi anche alle occasioni nelle quali, nel corso del processo, esiste la possibilità di generare un difetto. Diventa importante, quindi, individuare prima di tutto queste occasioni cioè queste potenziali fonti di difettosità, classificandole e mettendole in relazione alle caratteristiche del processo. Per esempio, nel campo degli equipaggiamenti il DPU tende ad essere proporzionale alle parti costituenti, oppure nel software il DPU tende ad essere proporzionale al numero di linee di un codice, oppure ancora per i semiconduttori il DPU tende ad essere proporzionale alla complessità fisica. Bisogna servirsi di un indice rigorosamente proporzionale alle opportunità di generare difetti (quanto maggiori sono tali opportunità tanto più grande si suppone che sia la complessità del processo) per poter effettuare una corretta operazione di benchmarking. A tal fine si utilizza l’indice DPO (Defects Per total Opportunities) definito da: DPO =

DPU OP

19

essendo OP le opportunità di creare difetti per ogni unità8. Normalmente però ci si riferisce a questo indice riportato al milione di opportunità, ottenendo così l’indice di assoluto riferimento per la misura della qualità di un processo produttivo che rappresenta la base di partenza per il benchmarking; tale indice è detto DPMO (Defect Per Million Opportunities) ed è dato da:

DPMO = DPO  1,000,000 =

DPU  1,000,000 opportunità _ per _ unità

20

Tra le opportunità di generare difetti si possono annoverare: •

per processi produttivi: numero di parti, connessioni saldate, operazioni delle

macchine, etc.; •

per processi non produttivi: campi in una tabella di dati, parole in una pagina

8

Considerando un processo produttivo di assemblaggio essendo questo suddivisibile in operazioni che non aggiungono componenti e in operazioni che aggiungono componenti, un possibile modo di calcolare OP è: OP = (2*numero parti componenti il prodotto + numero di operazioni che non aggiungono componenti)

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO scritta, numero di operazioni da effettuare, linee di un codice, etc.. Nel calcolo del DPMO i difetti vanno classificati a seconda del tipo e per ciascun tipo si riportano i rispettivi valori insieme alle opportunità di generare quel tipo di difetto; normalmente per ogni tipo di difetto si redige una tabella articolata come la Tabella 1: Caratteristica

Difetti

Unità

Opportunità

Opportunità

Difetti

Totali

Unità

Per Difetti

Per Difetti Per Milione di

Opportunità

Opportunità

Totali

Descrizione

D

U

OP

TOP=UxOP

DPU=D/U

DPO=D/TOP

DPMO=DPOx106

Tabella 1: Calcolo del DPMO L’ultima riga della tabella riporta le voci dei totali dalle quali si ricava il DPO e il DPMO dell’intero processo. Spesso alla tabella precedente si accompagna un istogramma o un diagramma di Pareto che permette di visualizzare su quale tipo di difetto focalizzare lo sforzo di miglioramento del processo. Un esempio di applicazione del DPMO all’industria elettronica può essere il processo di saldatura dei componenti sulle piastre dei circuiti stampati. In questo caso il numero totale di opportunità di generare un difetto potrebbe essere dato dal numero di componenti più il numero dei punti di saldatura. Un beneficio derivante dall’uso del DPMO in una situazione del genere è legato al fatto che molte parti differenti passano attraverso un processo di assemblaggio di piastre di circuiti stampati, ciascuna delle quali tipicamente caratterizzata da un diverso numero di componenti e punti di saldatura. Con la metrica DPMO si può ottenere una misura uniforme dell’efficienza del processo e non semplicemente della bontà del prodotto. Tutte le misure che focalizzano l’attenzione sul processo, piuttosto che sul prodotto, conducono in maniera più diretta verso attività volte all’effettivo miglioramento del processo stesso. Il DPMO può essere utilizzato: •

come misura della capacità della linea, infatti, dal DPMO si può valutare il livello

di sigma, per esprimere la producibilità del prodotto; •

per confrontare più linee di produzione diverse senza ispezione finale;

per consentire un confronto tra prodotti di diversa complessità;

per stimolare la prevenzione dei difetti.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Il DPMO però non misura la qualità percepita dal cliente è sostanzialmente un sistema di misura interno, a cui bisogna sempre affiancare una misura della percezione esterna della qualità, che può essere ad esempio il PPM. Il DPMO è collegato alla qualità naturale della linea di produzione e collega gli aspetti di progettazione (del prodotto e del processo) e di produzione con le performance attese dal prodotto. Per i nuovi prodotti è necessaria un’analisi sei-sigma che comprende: •

flow-chart di processo

stima dei livelli di difettosità che ci si aspetta per ogni operazione

calcolo delle opportunità di creare i difetti

calcolo preventivo del DPMO e del livello di sigma.

Sigma Level di un processo () La metodologia si focalizza sulla riduzione della variabilità del processo attraverso l’abbattimento dei difetti. È quindi importante esprimere la capacità del processo in funzione della sua deviazione standard. Il sigma level è il numero di volte che la deviazione standard è contenuta nella distanza tra la media di un processo e il limite di specifica più vicino ed è definito dalla relazione:

USL − media media − LSL  Sigma level = min  ;     

21

Se si tiene in considerazione lo shift di 1,5σ che la media di un processo, stabile e sottocontrollo, può subire nel lungo periodo si ottiene un indice analogo al precedente che si riferisce, però, al breve periodo e non al lungo periodo:

 ST =  LT + 1.5

22

Dall’indice DPMO alla misura in PROCESS SIGMA  La trasformazione del DPMO (l’indice più completo e corretto per la valutazione del processo) in sigma level, utilizzato molto spesso nella fase di benchmarking di processi, si può ottenere con l’ausilio del grafico riportato in Figura 2. Dal valore del DPMO letto sulle ordinate si può passare al sigma level, riportato sulle ascisse, utilizzando una delle due curve. La prima è relativa ad una distribuzione normale con media centrata sul valore di target; questa ipotesi viene generalmente ritenuta accettabile nel lungo termine. La seconda è relativa ad una distribuzione Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO normale con media shiftata di 1.5 rispetto al valore di target; questa è l’ipotesi adottata relativamente al breve termine.

Figura 2: Relazione tra sigma level e DPMO Volendo calcolare il sigma quality level a partire dal PPM piuttosto che dal DPMO si può utilizzare la seguente equazione (Schmidt e Laundsby, 1997):

Sigma _ quality _ level = 0.8406 + 29.37 − 2.221 ln (PPM )

23

che considera uno shift della media pari a 1.5. In ogni caso si può far riferimento a numerose tabelle disponibili in letteratura per leggere il sigma quality level in relazione alla difettosità espressa in PPM sia nel caso di media centrata che di media shiftata di 1.5. Un altro sistema per passare dagli indici di misura al sigma quality level prevede l’uso della v.a. normale standard Z come approssimazione della distribuzione di Poisson dei difetti (si confonde la coda della distribuzione di Poisson con quella della gaussiana standard). Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La Z è la v.a. di una distribuzione normale di media zero e deviazione standard 1; di conseguenza la Z è essa stessa rappresentativa del sigma quality level per distribuzioni centrate sul target. Avvalendosi della tabella della distribuzione normale standard si può passare dal DPU alla Z equivalente (Zequiv) che, essendo centrata sulla media, è rappresentativa della performance del processo sul lungo termine (ZLT). Per ottenere il valore di Z rappresentativo del risultato sul breve termine (ZST) basta sommare a ZLT il valore 1,5:

Z ST = Z LT + 1.5shift

24

Se per esempio si registrano 5 difetti su 467 unità controllate, si avrà un DPU=5/467=0.01071; in corrispondenza di questo valore (area della coda) si ottiene un valore di Zequiv dalla pdf normale standard pari a: Zequiv=ZLT=2.30

e

ZST=2.30+1.5=3.8

Il processo è quindi caratterizzato da un sigma quality level pari a 3.8. Se si dispone invece dello Yield si può calcolare, come complemento a 1, l’area relativa alla coda della zeta e quindi la Z (in realtà il calcolo non è preciso perché si confonde una coda di una Poisson con una coda di una normale standard, ma stante la generale esiguità delle code, l’approssimazione è accettabile). Se, per esempio, un processo ha un FTY pari a 0.92, si entra nella tabella della normale standard con il suo complemento a 1 (1-0.92=0.08); si ottiene, quindi, una Zequiv=1.405 da cui si ricava, con l’aggiunta dello shift, il valore ricercato. Nel caso di un processo multipasso, per ottenere una misura di rendimento che non risenta del numero di fasi, si usa lo Yield normalizzato, definito come:

Ynorm = m RY

25

da questo si ricava il DPU normalizzato:

DPUnorm = − ln (Ynorm )

26

che, con l’ausilio della tabella della normale standard, fornisce ZYnorm e di conseguenza il valore usato per il benchmarking di processi:

Z Benchmark = ZYnorm + 1.5

27

Se ad esempio un processo costituito da 10 fasi successive ha un Rolled Yield pari a RY=0.47774 si ha:

Ynorm = 10 0.47774 = 0.92879 Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

DPUnorm = − ln (0.92879) = 0.07387

ZYnorm = 1.47 Z Benchmark = 1.47 + 1.5 = 2.97 5.3.4.3 L’approccio QFD Il QFD può essere considerato come un approccio organizzato per lo sviluppo e la traduzione delle richieste del cliente in appropriati attributi del prodotto, riuscendo cosi a garantire la qualità di un nuovo prodotto fin dalle fasi di progettazione e di sviluppo. In pratica il QFD ha il compito di portare la voce del cliente direttamente nella fabbrica. Nell’approccio classico alla progettazione vengono direttamente studiati i sottosistemi ed i componenti del prodotto, determinandone con grande attenzione le loro caratteristiche; non viene invece fatto altrettanto con i bisogni espressi e nascosti del cliente, per la loro peculiarità di essere vaghi e generici. In altri termini l’errore che di solito si commette è quello di non sviluppare il prodotto a livello globale, cosi come espresso dal cliente, ma piuttosto lo si sviluppa a livello di sistema, sottosistema o singola parte. Il punto focale consiste, invece, nella capacità di progettare il prodotto attentamente nella sua fase iniziale, dedicando un grande sforzo a comprendere le richieste del cliente e a scomporle in elementi di base misurabili e correlabili in termini di importanza a quelle che saranno le caratteristiche del prodotto e dei suoi componenti. Tutto ciò richiede un grande sforzo iniziale, visto che si devono studiare a fondo non solo le caratteristiche tecniche del prodotto e le sue implicazioni in produzione, ma anche i bisogni espressi e latenti del cliente. La lacuna che si avverte nelle fasi iniziali di studio del prodotto viene brillantemente colmata tramite l’utilizzo del QFD. Con il QFD è quindi possibile definire concretamente il prodotto e la sua qualità fin dalle fasi iniziali di “sviluppo dell’idea”, garantendo la coerenza e l’integrazione tra le diverse funzioni associate a ciascun settore dell’azienda. Il QFD evita in pratica la realizzazione di un prodotto in cui “tutti i parametri sono nelle specifiche, ma che nessuno vuole”.

Obiettivi e finalità Diverse sono le finalità che stanno alla base dell’adozione del Quality Function

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Deployment; le principali sono: 1. Orientare al cliente la progettazione. Il processo di sviluppo prodotti, come visto, è molto trasversale e tocca molte funzioni aziendali. Orientare al cliente la progettazione vuol dire far sì che tutto il processo di sviluppo prodotti si basi costantemente, cioè a livello macro e a livello della scelta di ogni dettaglio, sulle domande: «chi è il cliente?»; «quali sono le sue esigenze?». Rispondere a queste domande e far sì che queste risposte guidino tutto il processo di sviluppo è la principale finalità del Quality Function Deployment. 2. Promuovere l’innovazione. In generale, l’innovazione può essere sviluppata su tre direttrici, e il Quality Function Deployment fornisce un contributo a ciascuna di esse: • innovazione intesa come superamento di trade off tra esigenze. Si intende cioè l’offerta di soluzioni che permettono di soddisfare esigenze viste in precedenza come antitetiche tra loro. Ad esempio i sistemi di lettura con codici a barre nei supermercati, che permettono di conciliare le esigenze di rapidità con quelle di precisione e accuratezza; • l’identificazione di nuove esigenze (la qualità attraente); • il superamento dei livelli di performance attualmente offerti su esigenze ormai consolidate (ad esempio una silenziosità particolarmente elevata in un abitacolo ecc.). 3. Ridurre i tempi e i costi di sviluppo. Il quality function deployment consegue contemporaneamente la riduzione dei tempi e dei costi di sviluppo attraverso una drastica riduzione del numero delle modifiche che accompagnano normalmente il processo di sviluppo. Questa metodologia si basa infatti molto sulla traduzione in pratica del concetto “fai le cose giuste la prima volta”, attraverso un’accurata analisi, sin dalle prime fasi, di tutte le problematiche e le esigenze (esterne e interne), nel modo più completo possibile. 4. Ridurre gli errori di lancio. Questo aspetto è strettamente legato al punto precedente, infatti gli errori nelle fasi di lancio non sono altro che problemi sfuggiti a tutte le fasi di controllo interno. 5.Migliorare la qualità del prodotto. È un punto profondamente interconnesso al primo, in quanto con qualità del prodotto (o del servizio) si intende la piena rispondenza a tutte le esigenze del cliente.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO In quest’ottica il quality function deployment aiuta a ricordarsi sempre la domanda «le scelte che stiamo facendo, contribuiscono ad aumentare la soddisfazione del cliente?». Ciò guida la progettazione aiutando scelte, magari tecnologicamente innovative, ma non percepite come di valore da parte dei clienti. Con il quality function deployment è peraltro possibile sviluppare prodotti che, in ogni loro dettaglio, siano pensati per soddisfare le esigenze implicite, espresse e attraenti dei singoli clienti. Allo stesso tempo però, proprio perché l’analisi delle esigenze è estremamente anticipata, articolata e strutturata, è possibile concepire intere famiglie di prodotti, conciliando i concetti di standardizzazione nelle fasi iniziali di sviluppo e nei primi livelli di distinta base, con differenziazione e personalizzazione nelle fasi di progettazione di dettaglio e agli ultimi livelli della distinta base (“mushroom concept”). 6. Conservare e diffondere le conoscenze acquisite. Riassumendo in forma grafica tutto il percorso seguito dalla progettazione, non solo del prodotto, ma anche del processo produttivo, il quality function deployment rappresenta un eccellente strumento di memoria storica.

Benefici ottenibili con il QFD Il QFD è un sistema relativamente semplice ma molto dettagliato. Ad una prima valutazione potrebbe quindi apparire troppo oneroso, sì da non meritare lo sforzo richiesto per il suo espletamento. Ma i risultati ottenuti nel corso degli anni ‘80 da parte delle aziende giapponesi parlano chiaro. A questo proposito il grafico riportato in Figura 3 mette in evidenza le modifiche apportate al prodotto, prima e dopo il lancio, da parte di una compagnia (A) che utilizza il QFD in sede di progetto, e da parte di una seconda azienda (B) che segue invece l’iter procedurale di tipo tradizionale. Per quanto riguarda l’azienda A, il numero complessivo delle modifiche apportate al prodotto risulta essere sensibilmente minore rispetto a quello effettuato dall’azienda B, ma quello che è significativo è lo scheduling con cui queste modifiche vengono condotte, cioè la loro distribuzione nel tempo.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Si nota allora che oltre il 90% delle variazioni sono compiute più di anno prima dell’inizio della produzione. E queste modifiche sono più significative e meno costose, perché vengono fatte “su carta”, e tendono a prevenire i problemi piuttosto che a risolverli. Questo tipo di approccio tende a risparmiare non solo denaro ma anche tempo. Infatti si raggiunge una drastica riduzione dei tempi di sviluppo di un nuovo prodotto, che diventano 1/3 o 1/2 di quelli normalmente impiegati.

Modifiche apportate

Azienda che Azienda che

non impiega il

impiega il

QFD

QFD

Tempo INIZIO DELLA PRODUZIONE

Figura 3: Benefici ottenibili dall’applicazione del QFD

Questo vantaggio risulta tanto più importante quanto più si pensi al ruolo determinante della tecnologia come fattore chiave nello sviluppo di un nuovo prodotto. Infatti il tempo che intercorre dalla decisione di studiare un nuovo prodotto alla sua messa a disposizione sul mercato, cioè il lead time, è uno dei principali fattori di competitività. Altro punto chiave del successo riscosso dal QFD è che lo sviluppo preventivo, piuttosto che quello reattivo, ha come diretta conseguenza la riduzione dei problemi e dei costi legati al lancio di un nuovo prodotto. L’esempio riportato nella Figura 4 è relativo alla Toyota. Esso mostra l’impatto del QFD dopo sette anni di applicazione, durante i quali sono stati lanciati quattro nuovi modelli di furgoni tipo minivan. L’area tratteggiata rappresenta i costi sostenuti dopo il lancio in Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO produzione. Alla Toyota questi costi sono considerati delle perdite, che devono perciò essere ridotte a zero. L’area in bianco rappresenta i costi di preparazione, principalmente costituiti dall’addestramento degli operatori. Come si può facilmente notare, in sette anni è stato ottenuto il 61% di riduzione dei costi di startup. Ma il risparmio sui costi prosegue anche oltre la fase di lancio del prodotto, e si esplica attraverso una riduzione dei problemi per il cliente e conseguentemente un abbattimento dei costi di garanzia.

GEN 1977

OTT 1977

INDICE

INDICE 80

100

INIZIO PRODUZIONE

INIZIO PRODUZIONE

NOV 1982

APR 1984

INDICE 62

INDICE 39

INIZIO PRODUZIONE

INIZIO PRODUZIONE

Figura 4: Costi di inizio produzione in Toyota In definitiva è possibile riassumere i vantaggi derivanti dall’impiego del QFD in tre principali categorie, che qui di seguito si riportiamo, e che sono connesse a tre momenti chiave della vita del prodotto: Benefici nella fase di progettazione e sviluppo • Piena comprensione delle richieste dei clienti. Una volta individuati i bisogni del Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO cliente, con il QFD si ha la possibilità li non disperdere tali esigenze lungo il percorso di sviluppo del prodotto. • Riduzione del lead-time. Aumentando gli investimenti (in particolare nelle risorse umane) nella progettazione si ottiene un successivo risparmio nei tempi di sviluppo del prodotto. • Riduzione dei costi di sviluppo. L’utilizzo del QFD porta ad una razionalizzazione delle risorse, e ciò, ovviamente, influisce positivamente anche sui costi di sviluppo. Benefici nella fase di ingegnerizzazione e produzione • Minimizzazione degli errori di lancio: i prodotti pianificati e progettati correttamente insieme alla produzione e all’assemblaggio, richiedono meno modifiche quando passano in produzione. • Riduzione dei costi di lancio: il miglioramento della pianificazione e delle prove effettuato nelle prime fasi del processo di sviluppo, si traduce in minori costi, e le modifiche effettuate 12 mesi prima del lancio costano ovviamente meno di quelle effettuate 3 mesi prima dello stesso. • Miglioramento della qualità del prodotto: i prodotti meglio progettati avranno maggiore successo. • Aumento della produttività: i prodotti meglio progettati generano meno problemi in fase di produzione ed assemblaggio; ciò si traduce in aumento della produttività, migliore utilizzo degli impianti e degli strumenti e minori costi. • Miglioramento della comunicazione: la progettazione con il QFD rende informati i responsabili delle varie fasi del processo circa le relazioni tra le caratteristiche dell’output ad ogni stadio e le caratteristiche finali del prodotto.

Benefici in fase dì collocamento del prodotto sul mercato • Riduzione dei guasti e perciò anche dei costi legati alle riparazioni in garanzia. • Aumento della soddisfazione del cliente. • Continuità del Know-how: l’impiego del QFD diventa un modello valido per le nuove risorse che entrano in azienda, ed evita che si disperdano importanti conoscenze tecniche quando altre lasciano l’azienda. In definitiva è possibile concludere affermando che i vantaggi competitivi del QFD Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO possono essere riassunti in migliore qualità, minori costi e risparmio di tempo.

Le fasi del QFD Ai fini pratici, il QFD può essere pensato come un processo articolato in quattro fasi: 1.Definizione degli aspetti globali di prodotto (Product Planning), una volta individuate e definite le richieste di mercato. 2.Analisi della soluzione di progetto ottimale e determinazione delle parti o caratteristiche “critiche” (Part Deployment). 3.Determinazione della combinazione ottimale tra parametri di processo e specifiche di progetto, e individuazione delle variabili “critiche” del processo (Process Planning). 4.Definizione delle azioni operative da intraprendere al fine di migliorare la capacità del prodotto a soddisfare le attese del cliente (Production Planning). L’ultima fase costituisce l’apice del processo di sviluppo del QFD, durante la quale tutte le caratteristiche determinate nei passi antecedenti, vengono tradotte in una serie di azioni operative da compiere all’interno dell’azienda. In pratica il Production Planning è completamente dedicato alla realizzazione della Quality Assurance all’interno dell’azienda, e si esplica attraverso una serie di tabelle e grafici che servono come mezzo di comunicazione per l’addestramento, la pianificazione e la programmazione delle attività operative. Nel corso del presente studio ci occuperemo principalmente delle prime due fasi (Product Planning e Part Deployment) del QFD, che sono quelle strettamente attinenti alle funzioni di progettazione e sviluppo del prodotto, e rientrano quindi nella logica del design to quality. Nei passi successivi il controllo e l’attenzione si spostano principalmente verso le aree di produzione e pianificazione, esulando quindi dai termini di questa trattazione.

Fase 1: Pianificazione del prodotto Gli obiettivi principali perseguiti durante lo svolgimento di questa fase (Product Planning) possono essere cosi elencati: • Completa individuazione delle attese del cliente. • Definizione delle opportunità di mercato. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO • Identificazione dei requisiti globali di prodotto. • Determinazione dei valori di target. • Selezione dei concetti per un ulteriore sviluppo. Il processo logico che sta alla base del metodo QFD può essere spiegato attraverso una serie di tabelle molto particolari, che a prima vista possono apparire di aspetto piuttosto complesso. Tuttavia, una volta impadronitisi del contenuto e dei significati relativi a ciascun settore o parte di dette tabelle, queste si riveleranno uno strumento di estrema utilità, grazie all’enorme quantità di informazioni che ognuna di esse ci consente di tenere contemporaneamente sottomano. Al cuore della prima fase del QFD vi sono le matrici, o tabelle, denominate casa della qualità, appellativo dovuto alla caratteristica forma “a tetto” che esse assumono nella parte superiore. Ciascuna casa viene quindi suddivisa in più “stanze”, ognuna delle quali è sede di un particolare tipo di informazione. La Figura 5 descrive il contenuto e la forma di ognuna di queste stanze. Si esplora ora il significato delle zone caratteristiche della tabella riportata nella suddetta figura attraverso la descrizione delle fasi principali che portano al compimento della casa della qualità.

Richieste del cliente: WHAT Il QFD inizia con un elenco di obiettivi definiti in modo approssimativo: i “cosa” (WHAT) che si vuole ottenere, che sono le esigenze di base del cliente. Questi primi cosa saranno generalmente vaghi e richiederanno ulteriori definizioni di dettaglio e per questo vanno più dettagliatamente analizzati selezionati ed organizzati sino ad ottenere ulteriori cosa più dettagliati. Si ottiene così una struttura ad albero, in cui l’elenco delle attese corrispondenti all’ultimo livello costituisce la lista di obiettivi che il QFD si propone di raggiungere e ottimizzare. Caratteristiche del prodotto: HOW Le caratteristiche del prodotto vengono sviluppate direttamente a partire dalla lista delle richieste del cliente; ciò si realizza attraverso un delicato processo di traduzione di Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ciascuna voce appartenente all’elenco dei “cosa”, in una o più caratteristiche globali di prodotto che vengono definite come design requirements. In pratica si tratta di tradurre la qualità richiesta in caratteristiche misurabili e rappresentabili in maniera precisa e concreta; il risultato che si ottiene è costituito dall’elenco dei “come” (HOW), posizionato nella parte alta della matrice. Sicuramente si tratta della fase più delicata dell’intero processo: un errore può portare a conclusioni completamente errate.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO RELAZIONI:

CORRELAZIONI:

9 Forte 3 Media

Fortemente +

1 Debole

Positiva Negativa Fortemente -

HOW (CARATTERISTICHE DEL PRODOTTO)

REQUIRMENTS

COME

COSA

WHAT (RICHIESTE DEL CLIENTE)

Primary

Secondary

Tertiary

…… …… …… …… …… …… …… …… …… …… …… …… …… ……

MATRICE DELLE RELAZIONI

……

……

……

……

……

……

……

……

……

CUSTOMER

……

control

……

Final product

VERIFICA COMPETITIVITA’ IN OTTICA UTENTE

MATRICE DELLE CORRELAZIONI

HOW MUCH (VALUTAZIONE QUANTITATIVA) QUANTO

VERIFICA COMPETITIVITA’ TECNICA Figura 5: La CASA della qualità

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

Matrice delle relazioni Il processo di traduzione dei cosa in come è complicato dal fatto che i come influenzano più cosa e possono influenzarsi reciprocamente. Il QFD fornisce uno strumento per districare questa fitta ragnatela di relazioni, costituito da una matrice formata dai come e dai cosa che definisce le loro reciproche relazioni: la Matrice delle relazioni. Come si può vedere dalla Figura 5, i cosa definiti dal cliente sono elencati nella prima colonna della matrice; i come sono riportati sulla prima riga. Le relazioni tra i come ed i cosa sono poi rappresentate in modo simbolico.

Valutazione quantitativa: HOW MUCH Parallelamente all’asse dei come, sull’ultima riga della matrice, vi è una terza zona: l’asse dei quanto (HOW MUCH). In questo campo viene immessa una misura per la valutazione numerica degli obiettivi da realizzare, cioè dei come. Questi valori hanno lo scopo di rappresentare in termini quantitativi la soddisfazione del cliente, e di essi ci si serve quali valori di target per i successivi sviluppi dell’analisi. I quanto forniscono sia un mezzo obiettivo per garantire che le esigenze siano soddisfatte, sia obiettivi per ulteriori dettagli dello sviluppo. Quando è possibile, i come dovrebbero essere grandezze misurabili; se capita che un elemento relativo alla lista dei “modi” non può essere misurabile quantitativamente, ciò è sintomo di uno scarso grado di approfondimento e particolarizzazione dei passi precedenti.

La matrice delle correlazioni Come si può vedere dalla Figura 5, la matrice delle correlazioni, che per la sua forma triangolare rappresenta il “tetto” della casa delle qualità, è posta sopra l’asse dei come e parallelamente ad esso. Questa matrice descrive le correlazioni tra i vari come mediante simboli che rappresentano l’andamento positivo o negativo più o meno intenso di ciascuna

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO correlazione. Evidenziando le relazioni conflittuali (negative o fortemente negative), la matrice favorisce le soluzioni tempestive ed i giusti compromessi. La matrice viene, quindi, utilizzata per identificare quali come si supportano a vicenda e quali sono invece in conflitto; naturalmente nelle correlazioni positive un come supporta un altro come, mentre in quelle negative i due come sono in conflitto. Sia le correlazioni positive che quelle negative forniscono importanti informazioni: − Le correlazioni positive aiutano ad identificare i come che sono in relazione stretta, evitando così duplicazioni di sforzi; − Le correlazioni negative rappresentano situazioni che probabilmente richiedono giusti compromessi risolti mediante aggiustamenti sui quanto, situazioni che non dovrebbero mai essere ignorate poiché altrimenti potrebbero condurre alla non completa soddisfazione del cliente.

La verifica della competitività I due grafici relativi alla verifica della competitività forniscono un confronto voce per voce tra il prodotto dell’azienda e quelli simili della concorrenza. Il primo di tali grafici, posto in verticale sulla destra, corrisponde ai cosa ed il secondo, in orizzontale in basso, corrisponde ai come. La verifica della competitività relativa ai cosa è detta anche verifica della competitività in ottica utente, in quanto utilizza tipicamente le informazioni che sono orientate all’utente; la verifica della competitività relativa ai come viene invece detta verifica della competitività tecnica, poiché utilizza tipicamente informazioni generate a livello tecnico. I grafici relativi alla verifica della competitività possono venire impiegati per stabilire dei valori quanto competitivi rispetto agli altri e favoriscono perciò il piazzamento dei prodotti sul mercato. Sono anche estremamente utili se usati per rivelare scostamenti o errori nel giudizio dei tecnici, evidenziando quei casi nei quali le valutazioni interne non coincidono con la voce del cliente. Se i come sono stati appropriatamente derivati dai cosa, le rispettive verifiche della competitività daranno risultati simili.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Le valutazioni e l’attribuzione dei pesi In genere si ricorre a grafici e tabelle per valutare e pesare i cosa e di conseguenza i come in termini di risultato finale atteso. come

cosa

5 3 2 1 5 2 4 2

=1 =3 =9

33

89

9

13

21

25

21

18

quanto

Figura 6: La prioritizzazione dei come attraverso la valutazione di importanza dei cosa La valutazione che riflette l’importanza relativa per il cliente di ogni cosa, ottenuta utilizzando una scala graduata da 1 a 5, è piazzata su una colonna a destra di ciascun cosa. Queste valutazioni sono poi moltiplicate per il peso assegnato a ciascun simbolo (debole, medio, forte), utilizzando in genere il sistema standard di pesatura 9, 3, 1. I risultati di questa operazione sono poi registrati su un asse orizzontale sotto le voci dei quanto. Ciò determina l’identificazione delle esigenze critiche per il prodotto (che si traducono in esigenze critiche del cliente) ed aiutano nel processo di ricerca dei compromessi più appropriati (Figura 6).

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Analisi e diagnosi della matrice di prodotto A questo punto è terminato il processo di composizione della matrice di prodotto: resta quindi da analizzare i principali passi che ci hanno guidato lungo il nostro cammino, e i risultati cui siamo pervenuti. Per valutare questi ultimi è opportuno considerare determinati criteri di rilevazione, che si basano principalmente sull’osservazione della matrice e sulla corretta esecuzione di alcuni controlli finali. L’analisi viene eseguita in 10 passi fondamentali di seguito descritti: 1. Righe bianche. Rivelano la presenza di una richiesta non espressamente soddisfatta. 2. Colonne bianche. Evidenziano una caratteristica di qualità non relazionata alle richieste del cliente. 3. Conflitti tra comparazione di mercato e comparazione tecnica. È necessario eliminare questo genere di contrasto che quasi sicuramente è dovuto ad un errore di valutazione commesso o nel raffronto tecnico tra i prodotti, o nell’analisi delle correlazioni. 4. Necessità di compromessi. Una caratteristica tecnica che si collega con un gran numero di richieste del cliente, sarà probabilmente correlata negativamente con altre caratteristiche di qualità. Si identifica in questo modo una possibile area di futuri problemi, all’interno

della

quale

sarà

necessario

intraprendere

decisioni di

ottimizzazione. 5. Punti di forza per il mercato. Devono essere chiaramente circoscritti al fine di individuare l’impostazione da dare al prodotto. Se dalle indagini di mercato risulta che l’azienda e le sue concorrenti non soddisfino adeguatamente alle necessità dei clienti, la ragione può essere attribuita a una deficienza tecnica: occorrerà realizzare un breakthrough tecnologico per migliorare la qualità del proprio prodotto, giocando in anticipo rispetto ai diretti antagonisti. 6. Opportunità di copiare. Se si ritiene che le aziende rivali stiano operando in maniera adeguata e al di sopra dei nostri mezzi, è conveniente considerare la possibilità di copiarne il design. Copiare è un arte, ed è sicuramente una soluzione molto economica e rapida. 7. Determinare il livello di qualità. Consiste nello stabilire anticipatamente la nostra posizione nell’ambito del customer competitive assessment, considerando i vincoli di tempo e di denaro. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 8. Risolvere le correlazioni negative. In particolar modo ottimizzando i valori di target tra le caratteristiche contrastanti. 9. Stabilire gli obiettivi finali. Comporta l’adattamento dei valori di target in funzione del livello di qualità prestabilito. 10.

Identificare i design requirements da portare avanti per il successivo sviluppo

delle parti (seconda fase). Questi vengono scelti in base a tre criteri: importanza, difficoltà tecnica nella realizzazione e contenuto innovativo.

Trasferimento dati attraverso le matrici di base Per fare in modo che le attese del cliente siano avvertite presso ogni reparto e funzione dell’azienda, si rende quindi necessario lo sviluppo di una opportuna serie di matrici attinenti alle diverse fasi di sviluppo del QFD. Nel passaggio ad una nuova fase le voci appartenenti alla lista dei modi (HOW) della matrice corrente, diventano i punti di base (WHAT) della carta successiva (Figura 7) La selezione delle voci avviene attraverso l’applicazione del principio di Pareto, che ci consente di individuare i termini critici del problema: di conseguenza solo quelle voci che appariranno essere nuove, importanti, o di difficile realizzazione -e quindi ad alto rischio per l’organizzazione- verranno prese in considerazione per la fase successiva del QFD. Analogamente, le valutazioni quantitative associate a ciascuna caratteristica (HOW MUCH) vengono trasferite nella nuova matrice al fine di facilitare l’intercomunicazione, assicurando di non disperdere i valori presi a riferimento (target). La Figura 7 mostra in maniera evidente le modalità secondo le quali si realizza il trasferimento dati tra una matrice e l’altra. Sebbene sia possibile conseguire risultati tangibili già dallo sviluppo del QFD a livello di parti caratteristiche (seconda matrice), i maggiori successi si realizzano solo quando il processo viene progredito fino alla determinazione delle specifiche di produzione (production requirements) necessarie alla soddisfazione dei bisogni del cliente (customer requirements).

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Come Cosa

Come

Quanto Cosa

Quanto

Figura 7: Trasferimento dati tra matrici successive Fase 2: Sviluppo delle parti Gli obiettivi principali, perseguiti durante lo svolgimento di questa fase (Part Deployment), possono essere cosi elencati: • Selezione della migliore soluzione di progetto • Definizione parti e componenti critiche • Determinazione caratteristiche critiche delle parti • Selezione voci per un ulteriore sviluppo L’uso del termine “parte”, per lo sviluppo di questa fase, è appropriato per i sistemi meccanici, ma può generare confusioni per processi chimici o per prodotti astratti. Molti dei concetti approfonditi sono comunque validi: basterà sostituire di volta in volta la parola “parte”, con “ingrediente”, “servizio” o qualsiasi altro termine appropriato all’applicazione in esame. Nella Figura 8 sono rappresentati i passi fondamentali che permettono lo sviluppo della matrice delle parti.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Selezione delle caratteristiche critiche

Accettazione caratteristiche

Completamento matrice delle relazioni

Scelta dei requisiti funzionali

Concetto di

SI

Calcolo gradi di importanza relativi ed assoluti

base giĂ definito

NO

Analisi e diagnosi della matrice

Valutazione dei punti di forza dei concorrenti Albero dei guasti per le voci ad alto rischio

Sviluppo concetti alternativi

Selezione e sintesi

Ottimizzazione dei parametri di progettazione

del concetto finale

Composizione della distinta base

Selezione delle parti critiche

Determinazione valori di target delle parti

Selezione delle voci per ulteriore sviluppo QFD

Figura 8: Sviluppo della matrice delle parti

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Requisiti funzionali del prodotto Le caratteristiche sostitutive di qualità sviluppate nella prima matrice erano venute in risposta alle inchieste del produttore presso i propri potenziali clienti. Appare lecito a questo punto domandarsi se gli attributi del prodotto, in questo modo definiti, debbano coincidere o meno con le caratteristiche finali da assegnare allo stesso. In risposta a questo quesito viene in aiuto il diagramma di Kano (Figura 9), in cui viene messa in relazione la soddisfazione del cliente con il grado di adempimento fisico alle specifiche (da lui richieste). Secondo il modello di Kano esistono due differenti tipi di qualità: • quella che il cliente richiede espressamente (qualità parlata di tipo spoken) • quella di cui il cliente non parla, o perché non ne è a conoscenza o perché la ritiene implicita nel prodotto (qualità di tipo unspoken).

Soddisfazione

del cliente

EXCITEMENT (UNSPOKEN)

PERFORMANCE (SPOKEN)

Grado di adempimento

BASIC

(UNSPOKEN)

Figura 9: Diagramma di Kano Con riferimento alla Figura 9, la freccia centrale simboleggia quelle caratteristiche Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO prestazionali che il cliente solitamente esprime attraverso le indagini di mercato (spoken performance o qualità richiesta). Si tratta quindi del classico caso in cui il consumatore esprime con esattezza ciò che desidera, il produttore lo realizza, e il cliente rimane soddisfatto. La freccia inferiore del grafico, invece, rappresenta le caratteristiche di base che il cliente si aspetta già di trovare sul prodotto, indipendentemente dalle sue necessità e aspirazioni. Poiché questi attributi sono già sottintesi da parte del cliente, egli è molto meno propenso ad esprimerli o a discuterne durante le interviste: per questo motivo si parla di caratteristiche di base attese (basic unspoken o qualità attesa). Di esse fanno parte un gran numero di requisiti funzionali; requisiti che molto spesso riguardano parti o componenti del sistema nascoste, e quindi completamente ignoti al consumatore. Infine c’è da considerare la freccia superiore, simboleggiante quegli attributi di qualità latente che vanno al di là delle effettive richieste ed attese del cliente. Quest’ultimo ha, infatti, delle esigenze potenziali che non hanno limiti, che il più delle volte non è in grado di precisare e che quindi dobbiamo scoprire. Si ha la qualità latente quando al cliente viene dato qualcosa che egli non si aspettava, anche se potenzialmente ne aveva bisogno. La qualità latente viene anche detta qualità eccitante (excitement unspoken), perché quando la proviamo ci entusiasma, proprio perché non ne conoscevamo l’esistenza. Il futuro di un’azienda è tutto basato sulla qualità latente: i nostri clienti, infatti, non si accontentano mai e desiderano sempre qualcosa di nuovo. Dopo quanto detto appare ora evidente come la lista delle caratteristiche, dettagliata nella prima matrice in seguito allo sviluppo dei customer requirements, contenga solo alcuni, dei requisiti fondamentali da attribuire al prodotto; in particolare, riferendoci al modello di Kano, le caratteristiche sin ora considerate appartengono alle voci della qualità richiesta (spoken). A queste bisogna quindi aggiungere le caratteristiche di qualità attesa e latente (unspoken), che consisteranno in una serie di attributi funzionali del prodotto, stabiliti dal gruppo di lavoro in accordo con gli obiettivi prefissati. Solitamente queste funzioni addizionali vanno poi dettagliate in una struttura ad albero simile a quelle precedentemente studiate. Una funzione viene solitamente definita come tutto ciò che rende possibile il funzionamento o la vendita del prodotto. Essa può essere descritta da un verbo e un Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO sostantivo (“garantire il funzionamento”, “migliorare l’aspetto”, “prevenire la rottura” etc.). Se ad esempio si considera come prodotto l’unità centrale di un computer, una funzione che rende il prodotto operativo è sicuramente quella di tener unite tra di loro le varie parti al suo interno, mentre una funzione che stimola l’acquisto del prodotto è quella di dotarlo di una piacevole apparenza esterna. Lo sviluppo definitivo dell’albero funzionale rappresenta il set completo delle caratteristiche finali del sistema; ovviamente esso comprende anche quelle individuate nella prima matrice a seguito delle interviste rivolte ai clienti. Le caratteristiche funzionali trovano posto, insieme ai loro valori di target, sulle righe addizionali della matrice delle parti. Un‘ultima annotazione va fatta sui valori di importanza attribuiti a ciascuna di dette voci. In questo caso infatti, in assenza del parere interessato del cliente, è stesso il team a valutare di volta in volta il “peso” da attribuire a ogni singola funzione.

Determinazione dei concetti di base In alcuni casi può accadere che il principio di funzionamento e le caratteristiche strutturali del prodotto siano già determinate, e difficilmente possono essere variate. Questo può accadere, ad esempio, quando una preesistente linea di prodotto deve essere ulteriormente ampliata con il minimo dispiego di risorse. In realtà l’utilizzo del QFD in questi casi è alquanto discutibile: restrizioni di tempo o di denaro non consentono infatti l’analisi e la valutazione di soluzioni alternative di progetto. Ad ogni modo, l’azienda può essere unicamente interessata alla valutazione del grado di apprezzamento del cliente nei confronti del prodotto, preferendo conservare il più possibile il design originale. In questo caso è possibile direttamente passare alle fasi successive di analisi e selezione dei componenti critici: l’azienda ha già pronta la distinta base per il prodotto, e non dovrà partire da zero sviluppando le soluzioni alternative.

Sviluppo della distinta base e determinazione delle parti critiche Una volta che il concetto di base è stato definito attraverso le precedenti fasi, si rende ora necessario lo sviluppo di alcune attività tradizionali sul prodotto. Tra queste, il disegno e la realizzazione dei particolari, la generazione dei profili e delle forme, e in Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ultimo la stesura della distinta base. L’importanza di questa ultima è dovuto al fatto che tutte le parti necessarie allo sviluppo del progetto prescelto, possano essere preventivamente identificate e conosciute. Le informazioni contenute nella lista dei materiali, sono strumento essenziale ai fini della fase successiva, in cui viene redatta la lista delle parti e delle loro caratteristiche critiche. La valutazione viene solitamente condotta sulla base dell’esperienza dei componenti il gruppo di studio, con l’aiuto di alcuni metodi di problem solving. Le fasi successive, di valutazione delle interrelazioni, determinazione degli indici, analisi e diagnosi della matrice, sono concettualmente simili a quelle già viste in occasione della prima parte del QFD.

Analisi dei guasti e ottimizzazione dei parametri di progetto L’obiettivo principale della matrice QFD delle parti è la determinazione delle caratteristiche critiche e dei loro valori di target. Molte tecniche possono essere adoperate per l’approfondimento di questi studi; in particolar modo è opportuno ricordare l’estrema utilità di alcune di esse, quali l’FMEA (Failure mode and Effect Analysys) di progetto, l’analisi dell’albero dei guasti (FTA Fault Tree Analysys), ed infine l’ottimizzazione dei parametri di design (Parameter Design optimization) sviluppata dal Dr. Tauguchi. Lo scopo fondamentale dell’utilizzo di queste tecniche è quello di determinare il tipo di guasti in cui il prodotto può incorrere, e conseguentemente adoperare queste informazioni come punto di base per un azione preventiva. L’analisi dei guasti FTA descrive il processo di guasto a cui il prodotto può essere sottoposto. Ogni guasto viene considerato come “il fallimento di una funzione”; per questo motivo, l’albero delle funzioni del prodotto, precedentemente sviluppato, ci sarà di grande aiuto nello svolgimento di questa indagine. I Failure Modes considerati includono due elementi di base: le variabili di controllo, che possono essere opportunamente regolate sul progetto di base, e le variabili di disturbo, così dette perché sfuggono al dominio del progettista (essendo il risultato di condizioni d’uso ed ambientali, oltre che della capacità di processo ed assemblaggio del produttore).

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Per assicurarsi buone prestazioni del prodotto, nell’uso che ne fa il cliente, il suo design deve risultare insensibile ai cambiamenti delle variabili da cui esso dipende: un design di questo tipo viene detto “robusto”. Un design robusto può essere raggiunto attraverso l’applicazione dei metodi di Taguchi sulla parameter design optimization. Secondo questa tecnica, una volta individuati i fattori di controllo e quelli di disturbo, attraverso la determinazione dell’albero dei guasti, è possibile stimare dei valori per dette variabili, tali da minimizzarne l’influenza sulle prestazioni del prodotto. Detta stima avviene tramite sperimentazioni e test sul sistema e sui suoi componenti. Una volta terminati tutti gli studi e le analisi sulle parti e sulle loro caratteristiche è giunto infine il momento di assegnare dei valori di target a queste ultime. Il compito è affidato principalmente all’abilità degli ingegneri e alla loro esperienza. Dove l’analisi dei guasti e il relativo albero hanno rilevato la presenza di elementi ad alto rischio, è stata sicuramente condotta un analisi degli esperimenti. I risultati di questa ultima verranno allora presi come valore di target per dette voci. Per tutte le altre, il giudizio sarà basato su una combinazione tra esperienza di gruppo, e apprendimenti ricevuti dallo sviluppo dell’analisi della concorrenza. Infine, come ultimo passo, la selezione delle voci che verranno portate avanti nella successiva matrice di processo, che saranno quelle che risultano maggiormente sensibili alle variazioni di processo e di produzione. Le Figura 10 e Figura 11 mostrano due casi pratici della compilazione della parte centrale della casa della qualità, che possono risultare utili al fine di una migliore comprensione del metodo.

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Figura 10: Esempio di utilizzo della casa della qualitĂ

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Figura 11: Esempio di impiego della CASA

5.3.4.2 La fase di analisi Nella fase di Analisi verranno sostanzialmente sviluppate delle teorie sulle cause fondamentali dei problemi, si cercherà di confermare tali teorie col supporto dei dati finché alla fine sarà possibile esprimere giudizi obiettivi sulle cause stesse. Lo studio delle cause, avallato dai dati e dagli esperimenti, costituirà la base per la formulazione delle soluzioni e dei suggerimenti di miglioramento nella fase successiva (Figura 12).

Inquadrare Inquadrareilil problema problema

Process Processdoor door vs vs Data Datadoor door

Organizzazione Organizzazione delle dellecause cause potenziali potenziali

Verifica Verificadelle delle ipotesi ipotesieeanalisi analisi della dellaregressione regressione

Progettazione Progettazione degli degliesperimenti esperimenti

Figura 12: Schema logico della fase d’analisi. Si vuole preliminarmente rilevare l’importanza di una definizione focalizzata del problema: spesso si pensa che lavorando su un problema ampio sia possibile apportare Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO grandi miglioramenti o conseguire notevoli risparmi. Normalmente questo approccio fallisce, perché è facile bloccarsi quando si tenta di fare troppo in un colpo solo, mentre in pratica è più efficace ed economico concentrarsi su una componente specifica di un problema. Finora è stato seguito un approccio basato fondamentalmente sul processo, un nuovo approccio che caratterizza completamente la fase di Analisi è suggerito dai dati. L’osservazione dei dati permette, infatti, allo studioso di svincolarsi in un certo qual modo dall’osservazione diretta del processo, essendosi procurato, col lavoro delle fasi precedenti, un’esaustiva visione basata sulla “fotografia” che di esso è offerta dai dati. A questo punto avendo definito il problema in maniera chiara, si può passare ad analizzarne le cause. L’esperienza dei membri del team, in tale contesto, è di fondamentale importanza, giacché questi possono aver già maturato delle idee in merito ad alcuni fattori che costituiscono il nocciolo del problema in esame. Se questo accade e se tutto il gruppo di lavoro è d’accordo, si può passare subito alla verifica delle ipotesi utilizzando tecniche statistiche, altrimenti sarà necessario ricorrere a metodi grafici che consentono di individuare i fattori, potenzialmente, più rilevanti. Una volta selezionate un insieme di cause, esse potranno essere organizzate e scrutate graficamente con strumenti quali diagrammi di frequenza stratificati, diagrammi di dispersione, diagrammi causa-effetto e diagrammi ad albero.

Diagrammi di dispersione Un diagramma di dispersione aiuta ad avere una visione d’insieme sulla correlazione tra due variabili: questo tipo di grafico può essere utile per capire se una variabile sia legata a un’altra ed è un metodo efficace per illustrare le relazioni individuate. Un diagramma di dispersione è utile allorché si vogliono studiare le relazioni possibili tra le variazioni osservate in due gruppi diversi di variabili: in particolare quando si intende stabilire se esiste una semplice correlazione tra due variabili o se è necessario comprovare una relazione di causa/effetto. È importante sottolineare che quando due variabili mostrano avere una relazione (sono dette correlate), ciò non significa necessariamente che siano legate da una relazione causa – effetto;

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO • Correlazione significa che due variabili variano assieme • Causalità significa che un cambio in una variabile provoca una variazione anche nell’altra (Figura 13). Diagramma di dispersione del tempo necessario per assemblare il prodotto in relazione all’anzianità dall’operaio

Tempo (minuti) 10 9 8 7 6 5

2 2

2 Prodotto A

4

Prodotto B 3 2

2 1 1

2

3

4

5

6

7

8

9

10

11

12 >12

Mesi dall’assunzione

Figura 13: Diagrammi di dispersione Tendenze diverse indicano tipi diversi di relazione tra due variabili. Una chiara comprensione della relazione tra due variabili aiuta a capire come regolarne una per ottenere effetti positivi sull’altra, quando tra di esse è stata stabilita una relazione di causa-effetto. Per interpretare in maniera corretta il diagramma, è necessario identificare i punti marginali (ovvero i punti che si dispongono totalmente fuori dalla “nuvola” dei dati) e interpretare la tendenza formatasi dalla dispersione dei punti di dati. I punti marginali cioè quelli che sono lontani dalla tendenza formata dal resto dei punti: vanno considerati come segnali di cause speciali. In tal caso è opportuno controllare i dati, controllare la misurazione e considerare le possibili divergenze relative ai punti. Più i punti sono raggruppati, più la correlazione è forte. Una tendenza con pendenza che parte dalla porzione bassa di sinistra e si dirige in alto a destra indica che all’aumentare della variabile sull’asse x anche la variabile sull’asse y riflette tale andamento: questa correlazione è positiva. Una tendenza con pendenza che parte dalla porzione alta di sinistra e si dirige in basso a destra indica che al diminuire della variabile Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO sull’asse x, la variabile sull’asse y mostra andamento opposto: questa correlazione è negativa (Figura 14). Un diagramma a dispersione dei tempi di consegna degli ordini rispetto al numero di operatori per turno mostrerà presumibilmente una correlazione negativa dato che, con l’aumentare degli operatori, i tempi di consegna degli ordini si riducono.

Forte correlazione positiva

Forte correlazione negativa

Possibile correlazione positiva

Possibile correlazione negativa

Nessuna correlazione

Altra tendenza

Figura 14: Esempi di correlazione tra variabili. Come già anticipato, una forte correlazione nel diagramma a dispersione non implica necessariamente un rapporto di causa-effetto tra le due variabili. A titolo di esempio, si osservi la Figura 15 (diagramma della popolazione di Oldenburg al termine di ogni anno nel periodo 1930-1936 rispetto al numero di cicogne avvistate nello stesso anno):

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Figura 15: Esempio di semplice relazione tra le variabili. D’altro canto, il fatto che non esista una correlazione non è sintomo che non esista neppure una relazione causa-effetto: potrebbe, infatti, esistere una relazione se si prende in analisi una più vasta gamma di dati o una porzione diversa dei dati nello stesso intervallo. I dati originali potrebbero non essere altro che un piccolo campione che non riflette l’intera gamma di valori del processo: in tal caso, si può giungere a conclusioni definitive solo tenendo presente il quadro operativo generale.

Organizzazione delle cause potenziali La visualizzazione grafica è utile a strutturare e a comprendere in maniera più rapida ed esaustiva le cause possibili e a trovare le relazioni che chiariscono il problema. I diagrammi causa-effetto si pongono proprio lo scopo di visualizzare le cause potenziali di un problema, onde trarne i vantaggi suddetti Il diagramma causa-effetto è noto anche col nome di diagramma a “lisca di pesce” per la sua forma, o diagramma di Ishikawa dal nome del suo inventore. Costruire un diagramma di causa-effetto utile ai propri scopi non è un compito semplice, i passi fondamentali per una corretta costruzione sono: •

determinare la caratteristica qualitativa;

scrivere la caratteristica qualitativa sul lato destro di un foglio di carta, tracciare

la lisca principale da sinistra a destra e inquadrare la caratteristica in un rettangolo. Successivamente, scrivere le cause principali che influenzano la caratteristica qualitativa, rappresentandole come grandi lische che vanno a confluire in quella

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO principale e inquadrare anch’esse in un rettangolo; •

scrivere le cause secondarie che influenzano le grandi lische (cause principali),

rappresentandole come lische medie, e successivamente, descrivere le cause terziarie che influenzano le lische medie rappresentandole come lische piccole; •

dopo aver classificato in ordine di importanza ogni fattore o causa, segnare le

cause particolarmente importanti, cioè quelle che hanno un effetto significativo sulla caratteristica qualitativa. Spesso non è facile individuare i legami di causa-effetto, in tal caso conviene considerare le variazioni della caratteristica qualitativa in relazione alle lische grandi, poiché una variazione dell’effetto deve essere causata da variazioni dei fattori che determinano tale effetto. Adottando la stessa logica nell’analisi delle relazioni tra la caratteristica qualitativa e le lische medie e le lische piccole, è possibile costruire un diagramma causa-effetto molto efficace. Infine bisogna inserire ogni altra informazione che si ritiene utile nel diagramma: il titolo, il nome del prodotto, il processo o il reparto, una lista delle persone che hanno partecipato alla costruzione del diagramma (Figura 16). Per l’utilizzo corretto dei diagrammi causa-effetto non ci si deve basare soltanto su percezioni soggettive o impressioni, ma classificare in ordine di importanza i fattori in modo obiettivo è più scientifico e più logico.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

Causa 2.1.1 CAUSA 1

CAUSA 2

CAUSA 2.1

EFFETTO

CAUSA 3.1 CAUSA 3

CAUSA 4

CAUSA 4.1

Figura 16: Diagramma causa-effetto Verifica delle ipotesi Dopo aver identificato “poche” cause potenziali si deve verificare in maniera quantitativa che le ipotesi formulate siano esatte. Anche nell’ambito della scelta degli opportuni strumenti statistici per la verifica delle ipotesi, non si può prescindere dalla tipologia dei dati in osservazione. Infatti in funzione delle caratteristiche dell’input e dell’output, è possibile utilizzare strumenti differenti (Figura 17).

Discreti (proporzioni)

Continui

Discreti (Gruppi)

Test T Test T a coppie ANOVA

Chi2

Continui

Regressione

Regressione logistica

Figura 17: Possibili strumenti statistici in funzione della natura dei dati.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Per destreggiarsi nella scelta dei vari possibili strumenti, si può utilizzare l’algoritmo fornito in Figura 18. start ANOVA

Regressione

NO

Le Xs sono discrete?

Confronto solo 2 gruppi?

SI

NO

Le Ys sono continue?

SI

SI

I campioni Y sono appaiati? SI

Chi2

NO

T test

NO Paired T test

Figura 18: Scelta degli strumenti statistici disponibili in funzione della natura dei dati.

Analisi di regressione L’oggetto di un’analisi di regressione è quello di spiegare la variabile del fenomeno in studio (variabile dipendente, Y) attraverso l’interazione con altre variabili relative anche ad altri fenomeni (variabili esplicative o indipendenti, X). L’output di un’analisi di regressione è in sostanza una funzione, una retta nel caso di modello lineare, che quantifica la relazione tra X e Y. Si segnala, comunque, che esistono anche modelli di regressione più complicati che ricorrono a modelli quadratici, cubici, multipli, logistici ecc.. I vantaggi di un siffatto strumento riguardano soprattutto le previsioni (l’equazione può essere utilizzata per prevedere le Y future inserendo un valore X) e il controllo (se X è controllabile, è possibile manipolare le condizioni di processo per evitare risultati indesiderati o viceversa generare risultati desiderati). In pratica l’analisi della regressione fornisce un’equazione che: •

Spiega le variazioni di Y.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO •

Consente di prevedere l’impatto che può produrre il controllo di una variabile di

processo (X). •

Permette di prevedere la futura performance del processo per certi valori di X.

Identifica le poche X vitali che influenzano Y.

Allorché si ricorre ad un modello lineare per la regressione, il legame tra le variabili si può esprimere come segue:

Y = 0 + 1 X + e

28

L’ultimo addendo della (35) rappresenta la variabile aleatoria che esprime l’insieme di effetti che impediscono al legame tra X e Y di essere un legame deterministico: il termine e rappresenta in altri termini una componente stocastica correttiva della componente deterministica costituita dalla prima parte dell’equazione. Per maggiori dettagli sulla determinazione dei coefficienti del modello e sulla verifica di adeguatezza del modello stesso si rimanda a testi specialistici.

La progettazione degli esperimenti (Design Of Experiments) La progettazione degli esperimenti (Design Of Experiments, o semplicemente DOE) è una tecnica statistica di cui ci si serve per indagare in maniera quantitativa, efficace ed efficiente la relazione di causa-effetto esistente tra le numerose variabili di un processo (X) e il suo output, ossia la performance del processo stesso (Y). Una sperimentazione ben condotta: • identifica le poche cause essenziali (vital few) della variazione (X), ovvero quelle con il maggior impatto sul risultato • quantifica gli effetti delle X più influenti, comprese le interazioni esistenti • genera un’equazione che quantifica la relazione tra X e Y: indirettamente consente, quindi, di prevedere l’entità del guadagno o della perdita in conseguenza di variazioni nelle condizioni del processo. Fare esperimenti sul processo è molto utile per prevederne comportamenti e tendenze, oltre che per individuare le possibile strategie di miglioramento. Come infatti riferisce George E. P. Box, “Per determinare il comportamento di un processo quando interferite con esso, non è sufficiente osservarlo, bensì dovete interferire con esso”. Per dettagli sull’applicazione della tecnica si rimanda all’ampia bibliografia in merito. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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5.3.4.3 Fase di Miglioramento (IMPROVEMENT) La fase di miglioramento rappresenta il momento in cui bisogna essere in grado di sviluppare, attuare e valutare le soluzioni identificate come rimedio alle cause comprovate del problema. L’obiettivo consiste nel voler dimostrare (sulla base dei dati raccolti) che le soluzioni proposte pongono rimedio al problema e portano a un miglioramento: quindi la maggior parte del lavoro svolto nelle fasi precedenti della metodologia DMAIC viene finalizzato in questa fase. Il miglioramento innovativo è l’occasione per dimostrare creatività e immaginare ciò che è attuabile. Per fare ciò, è utile: ➢ Decidere se migliorare il processo esistente o creare un processo completamente nuovo (DMAIC o DFSS). ➢ Fare brainstorming per trovare nuove idee, siano esse stravaganti o comprovate. ➢ Decidere quali criteri usare per soppesare le soluzioni alternative. ➢ Analizzare i rischi associati alla soluzione. ➢ Eseguire un test pilota della soluzione prescelta; metterla in atto su piccola scala per valutarne l’efficacia in una situazione reale. ➢ Sviluppare e realizzare piani che prevedano anche il metodo di controllo dei risultati. Una delle fasi meno considerate durante il miglioramento, è proprio il controllo. Accade spesso, infatti, che un team efficace nel determinare le cause e sviluppare le soluzioni adeguate, si concentri totalmente sulla fase d’implementazione, senza sapere se le misure adottate avranno un impatto significativo sul processo. In Figura 19 sono riportate le tre sottofasi in cui è possibile articolare il miglioramento.

Generare, Generare, valutare valutare ee selezionare selezionare soluzioni per le soluzioni a cause critiche

identificate

Soppesare i Soppesare rischi e pilotare e testare soluzioni le soluzioni

Sviluppare Sviluppare piani di la realizzazione implementazione dei piani

Figura 19: Schema logico della fase di miglioramento. 5.3.4.4 La fase di controllo Una volta che il processo è stato studiato a fondo, che si sono individuati parametri e Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO fattori critici, che si sono analizzate interazioni e funzionamenti e che infine si è trovato il miglior equilibrio per tutti gli elementi del processo, diventa importantissimo avere il continuo dominio della situazione tenendo sotto controllo tutti i parametri di modo che ogni cosa funzioni come previsto. In particolare è necessario essere sempre certi che le variabili, ed in particolar modo quelle critiche, non si discostino dal valore di target fissato oltre certi limiti prestabiliti. Lo strumento più utilizzato a tale scopo continua ad essere rappresentato dalle carte di controllo, utilizzate nelle loro varie forme; in particolare i più utilizzati programmi di SPC (Statistical process control) utilizzano il minimo numero di carte che allo stesso tempo massimizzano l’utilità delle carte stesse. Queste ultime sono ancora un mezzo efficace per determinare il corretto andamento di tutte le variabili in ogni istante, per avere un continuo monitoraggio di tutto il processo, per evidenziare in maniera chiara l’eventuale presenza di cause speciali distinguendole da quelle comuni, per mostrare eventuali tendenze sgradite consentendo così un intervento preventivo su variabili che altrimenti sarebbero uscite dall’intervallo di specifica etc..

5.3.5 Lettura critica del fenomeno Six Sigma Innanzitutto bisogna osservare che, sebbene le metodologie adottate in campo Six Sigma sfruttino molti degli strumenti statistici sviluppati nell’ambito di altri programmi per la qualità, in questo caso sono applicati secondo uno stile sistematicamente orientato alla progettualità attraverso il ciclo DMAIC (Define, Measure, Analyze, Improve, Control). Inoltre, si sono ottenuti dei progressi che hanno facilitato l’applicazione di questi strumenti e si è promosso l’uso dei più moderni software statistici, in modo da supportare nel modo più completo il personale specializzato in materia. Stranamente una delle critiche mosse al Six Sigma è che non ha un carattere sufficientemente preventivo nei confronti dei problemi, essendo piuttosto un sistema di misura e correzione; in realtà è molto più di questo dal momento che prevede la preparazione dell’intero apparato aziendale e la creazione di un team di esperti che si concentra sui progetti per migliorare la qualità, la riduzione dei tempi e quella dei costi. Per di più questo tipo di giudizio sottintende che i programmi di valutazione siano inutili; ebbene ciò è grossolanamente errato, dal momento che costituiscono una

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO fondamentale base di partenza per l’individuazione delle aree che necessitano di sviluppo e miglioramenti. Come si potrebbe pensare di migliorare una situazione se non valutandone prima lo stato e poi apportando le debite correzioni? Certo sarebbe preferibile progettare ex novo un intero sistema, ma anche in tal caso ci sono incognite di partenza con cui confrontarsi. Qualcuno tiene a rimarcare che il successo dei programmi volti all’ottenimento della qualità, indipendentemente dal fatto che abbiano una vocazione preventiva o correttiva, dipende soprattutto dalla capacità di inculcare la giusta cultura all’intera organizzazione piuttosto che dalle caratteristiche del programma stesso. Ma la filosofia Six Sigma non nega affatto questo tipo di considerazione! A differenza di molti dei più datati programmi, il sistema di preparazione Six Sigma fa proprio leva sull’importanza dell’allargamento a tutto il settore aziendale delle attività per la qualità. Inoltre viene assolutamente riconosciuta l’importanza del problema culturale e del ruolo primario della dirigenza nell’affrontarlo; senza il supporto, la partecipazione e la guida dell’alta e media dirigenza, qualunque programma è destinato a diventare soltanto l’ultima moda passeggera. In realtà il Six Sigma è una strategia che si fonda su temi che erano stati sottovalutati da precedenti programmi. Molti CEO delle maggiori industrie americane sono estremamente soddisfatti delle iniziative Six Sigma da loro promosse, e molti professionisti della qualità e statistici industriali concordano sulle grosse potenzialità del Six Sigma. A guidare la schiera degli entusiasti ci sono i CEO della Motorola – dove il Six Sigma è nato –, della General Electric – dove il Six Sigma ha trovato la più larga applicazione – e della AlliedSignal. Gli ultimi due in particolare (Jack Welch e Larry Bossidy rispettivamente) sono i grandi sostenitori del fenomeno. Oltre a tenere alto l’entusiasmo invitando i propri dipendenti alla collaborazione con quelli dell’altra compagnia, si fanno promotori della diffusione del Six Sigma sfruttando la fama di cui godono nel mondo degli affari americano. La GE comunica di aver investito 200 milioni di dollari nel Six Sigma ottenendo un taglio globale dei costi di 170 milioni di dollari, nell’anno 1996; e di aver investito 380 milioni di dollari ottenendo un risparmio di ben 700 milioni di dollari per l’anno 1997; la prospettiva per il 1998 era di tagliare 1200 milioni di dollari a fronte di un investimento di 450 milioni di dollari. La AlliedSignal riferisce di essere sulla strada Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO dei 3000 milioni di dollari in termini di taglio annuale delle spese. Un settore nel quale la procedura Six Sigma non trova applicazione è quello del software. Nonostante si persegua di continuo il perfezionamento del software e del suo livello di qualità, esistono almeno tre buoni motivi per i quali il modello Six Sigma non si adatta ad esso: 1.i processi – i processi software sono piuttosto indistinti. Ogni “parte” di un software è prodotta da un processo che è l’esatto contrario del prevedibile meccanismo di produzione di una parte fisica. Il comportamento di un “processo” software è un massa amorfa se confrontato con il ben definito comportamento di uno stampo o di una macchina a controllo numerico. 2.le caratteristiche – le caratteristiche di merito di un software non possono essere accuratamente espresse mediante valori e tolleranze; ciò che rende un software corretto o meno non può essere semplicemente misurato come se fosse un peso o una distanza. Inoltre un software può solo essere ritenuto conforme o non conforme; non esiste alcuna possibilità di stilare una graduatoria di rispondenza alle specifiche. Un ulteriore elemento di singolarità è dato dal fatto che un’anomalia non è necessariamente da ritenersi un difetto e un difetto potrebbe non essere originato dal software in questione, ma da un altro programma che interagisce con esso. 3.l’unicità – il software non è soggetto a produzione di massa. In definitiva è proprio il concetto di difettosità e di affidabilità che, nel caso del software, assume significato completamente diverso da quello del settore manifatturiero.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 6 SAFETY

La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è argomento che, negli ultimi due secoli, ha suscitato notevole interesse. Il tema in questione è così discusso che ha condotto nel corso degli anni a notevoli e radicali cambiamenti dal punto di vista normativo. L’articolo 1 del D.Lgs. n.81 del 2008, indica le finalità del provvedimento, ovvero “un riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo”. Appare, dunque, evidente che la gestione della sicurezza sui posti di lavoro non rappresenta solo un obbligo legislativo ma un’opportunità di crescita per le aziende. Il pilastro tecnico Safety si propone il miglioramento continuo dell'ambiente di lavoro e l'eliminazione delle condizioni che potrebbero generare infortuni e incidenti, nonché l’eliminazione, per quanto possibile, di tutti i rischi. Questo obiettivo viene perseguito attraverso la: -

Diffusione della sicurezza a tutti i livelli dell’organizzazione;

-

Valutazione del rischio e azzeramento degli incidenti;

-

Realizzazione di programmi di formazione e sensibilizzazione relativi agli aspetti normativi, economici ed etici. Tali programmi sono destinati progressivamente a tutto il personale.

Obiettivo finale di tale pilastro è ovviamente il raggiungimento di Zero Infortuni. Questo pilastro serve a ridurre drasticamente il numero di incidenti, a sviluppare la cultura della prevenzione per quanto riguarda la sicurezza, a migliorare continuamente l'ergonomia del posto di lavoro e a sviluppare competenze professionali specifiche. L’attività di eliminazione dei rischi passa attraverso l’analisi e il miglioramento del sistema uomo/macchina e dell’organizzazione aziendale. Come in tutti i sistemi, per migliorare è necessario misurare, cioè definire opportuni KPI (Key Process Indicator) per prevenire e valutare le performance del processo con particolare riferimento a: •

Comportamenti che possono generare errori (uomo);

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Deterioramenti che possono generare infortuni (macchine);

Disorganizzazione e quindi misure per migliorare l’organizzazione.

Le principali attività da effettuare per raggiungere tali obiettivi sono audit interni periodici sulla sicurezza degli impianti, l'identificazione e la valutazione dei rischi, l'analisi sistematica degli incidenti avvenuti, l'implementazione di miglioramenti tecnici sulle macchine e sul posto di lavoro e la continua formazione del personale .

I sette Step della Safety I sette step di implementazione del pilastro Safety sono mostrati in figura:

Prima di passare all'implementazione di questo pilastro con i suoi step, occorre svolgere una serie di attività preliminari definendo la Politica e la Mission del pilastro stesso. Queste attività consistono nel: ▪

Analizzare le conformità alle leggi vigenti sulla sicurezza nel territorio nazionale

Istituire e diffondere la politica della sicurezza dello stabilimento

Definire il team e attribuire ruoli e responsabilità

Realizzare una pianificazione delle attività del pilastro

Realizzare la Matrice S

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ▪

Realizzare la Piramide di Heinrich stratificando gli eventi secondo le tipologie standard

Identificare, tramite classificazione ABC, l'area più critica

Definire KPI e KAI

Impostare l'Activity Board (Tabella delle Attività)

La Matrice S è uno strumento che permette di suddividere gli eventi di infortunio secondo le seguenti informazioni: •

Zona della lesione (Mani-dita, arto inferiore, arto superiore, testa, colonna vertebrale, occhio, torace, piede, altro)

Gravità degli eventi

Tipologia di infortunio (Contusione, lussazione-distrazione-distorsione, lesione da altri agenti, corpi estranei, lesioni da sforzo, ferita, altro)

Causa radice

Area dell'evento

L'input della Matrice S è il modulo S EWO, attraverso cui si effettua l'analisi degli infortuni e la ricerca della causa radice fino all'identificazione della contromisura cercando di favorire il non ripetersi di casi simili. Il modulo S EWO, rappresentato in figura, agisce secondo la logica PDCA e si suddivide in quattro sezioni in cui vengono individuati: o Causa radice o Contromisure o Controllo delle Contromisure o Piano di estensione ad aree simili.

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La Piramide di Heinrich è uno strumento che si usa per quantificare e stratificare gli elementi anomali per la sicurezza, in relazione alla loro gravità, comparandoli nel tempo. A seconda delle aziende e delle tipologie di infortuni che esse registrano, possono esservi diverse versioni della Piramide in questione con diversi livelli di attenzione per ogni infortunio, e inoltre, può essere prevista anche la registrazione di mancati infortuni. Un esempio di Piramide di Heinrich è mostrato in figura:

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Occorre dunque definire le varie componenti della stratificazione degli infortuni per cui è possibile avere: 1. Unsafe Acts (Azione Insicura): è determinata da un non corretto comportamento da parte di un operatore 2. Unsafe Conditions (Condizione di Non Sicurezza): è una situazione di pericolo presente nella postazione di lavoro o in luoghi comuni 3. Near Misses (Mancato Infortunio): rappresenta un evento che si è verificato, ma che fortunatamente non ha provocato infortunio 4. First Aid (Medicazione): si ha quando l'addetto si reca in infermeria, viene medicato e poi ritorna sul posto di lavoro e riprende l'attività 5. Lost Time Accident (Evento Infortunistico): accade tutte le volte che un addetto durante lo svolgimento della sua mansione si fa male ed è impossibilitato, almeno per l'immediato, a

proseguire il suo lavoro per cui ha la necessità di recarsi

presso l'infermeria 6. Severe (Infortunio Grave) 7. Fatal (Infortunio Letale)

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

Dopo la compilazione della Piramide di Heinrich segue una classificazione ABC dell'area piĂš critica, l'individuazione di KPI e KAI quali l'indice di Frequenza, l'Indice di GravitĂ e la Durata Media definiti dalle seguenti formule:

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Infine si può iniziare a predisporre l'Activity Board nella zona individuata come critica sulla quale avviare il progetto WCM Safety.

Nello Step 1 della Safety si va ad effettuare una: •

Analisi degli infortuni e delle relative cause

andando ad analizzare gli infortuni relativamente alla parte del corpo colpita ed al tipo di lesione, andando ad effettuare una mappatura degli infortuni in modo da comprendere eventuali correlazioni e comunanze in merito ai problemi di sicurezza nello stabilimento. Dopo questa prima fase di analisi, si va a ricercare la causa radice e ad individuare le relative contromisure ponendosi nella logica PDCA. Può cosÏ iniziare una raccolta di Near Miss e di Unsafe Condition considerandoli come se l'infortunio fosse realmente accaduto e definendo le norme di sicurezza per percorsi pedonali, veicoli, lavori in quota, fino alla realizzazione del Piano di Evacuazione.

Lo Step 2 della Safety prevede: •

la messa in atto di contromisure ed estensione nelle aree simili

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ovvero quelle aree che presentano lo stesso rischio potenziale. Si va quindi a realizzare il sistema di comunicazione della sicurezza e ad analizzare il divario con gli standard di sicurezza. Lo Step 3 della Safety consiste dunque nel garantire: •

Standard di sicurezza iniziali.

ln una prima fase si effettua una analisi del trend degli infortuni al fine di individuare le cause più comuni ed evitarne il ripetersi valutando ad esempio l'ora del giorno, l'esperienza lavorativa, il tipo di lavoro svolto, il tipo di materiale utilizzato, gli eventi stagionali. Dopo questa fase si procede ad un'analisi dei rischi identificando il pericolo, valutando il rischio tramite una matrice dei rischi e delle persone esposte per ogni postazione, realizzando un elenco delle contromisure adottate e dei Dispositivi di Protezione Individuali usati e realizzando infine un programma di miglioramento delle misure di protezione e prevenzione. Terminato ciò si realizza la Mappatura dei rischi, si valuta l'ergonomia delle postazioni di lavoro e si realizzano o migliorano le istruzioni di lavoro andando ad utilizzare anche degli standard di gestione a vista.

Gli Step dal 4 al 7 della Safety prevedono le seguenti attività basate su di una serie di ispezioni volte a realizzare un sistema della sicurezza che non si limiti ad essere solo reattivo agli incidenti, ma che sia preventivo e proattivo nel tempo: •

Ispezione generale per sicurezza

Ispezione autonoma

Standard autonomi di sicurezza (ispezione complessiva del livello di sicurezza)

Implementazione del sistema di gestione della sicurezza.

Una volta terminate queste attività si può richiedere Certificazione di conformità alle norme per la sicurezza quali il sistema delle ISO 18000.

7 PEOPLE DEVELOPMENT

People Development, ovvero Sviluppo delle competenze del personale. La gestione delle risorse umane, e quindi la capacità di sviluppare le competenze di ciascuna Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO risorsa, consente di identificare e ridurre i gap esistenti tra conoscenze e competenze espresse e necessarie. L’obiettivo è di valorizzare al massimo le “persone”, capitalizzando conoscenze e competenze che sono elementi centrali di un’azienda eccellente. Un’azienda che punta all’eccellenza deve avere al suo interno personale preparato, responsabile, e motivato a lavorare in un’ottica di miglioramento continuo. Questo pilastro tecnico si riferisce, dunque, allo sviluppo delle competenze delle persone, fattore fondamentale di competitività per il raggiungimento dell’eccellenza. Le attività di questo pilastro tecnico devono garantire, attraverso un sistema di training ben strutturato, che per ogni posizione lavorativa vi siano adeguate competenze e qualifiche. L’aumento delle competenze delle persone rappresenta il prerequisito per la messa a punto del WCM, in quanto, il conseguimento dei risultati prefissati dipende dalle persone. People Development crea nello stabilimento un sistema di espansione delle competenze delle persone, ed è fondato sulla valutazione dei gap di competenze e sulla definizione delle modalità formative per eliminare tali differenze, e sulla gestione dei percorsi di apprendimento. Il WCM propone lo sviluppo delle persone con attività che hanno il fine di annullare gli errori umani, generare motivazione nelle persone, responsabilizzare il personale nei confronti del miglioramento continuo, sviluppare il personale tecnico di alto livello, aumentare il livello di versatilità dei lavoratori nello svolgere le diverse mansioni. Lo sviluppo di personale tecnico di alto livello e l’adattabilità occorrono per fare in modo che, qualora l’operatore addetto ad una macchina sia assente, possa essere sostituito con un altro, oppure, se una macchina si guasta, l’operatore che lavora su quella macchina possa utilizzarne un’altra. Inoltre, è il personale tecnico di alto livello che è pronto a formare in seguito gli altri dipendenti. Le attività principali, come l’identificazione delle conoscenze necessarie e di quelle possedute, la definizione dei livelli di addestramento, l’allestimento del Training Center, mirano al raggiungimento dell’obiettivo “zero errori umani”, alla riduzione di incidenti e al miglioramento del clima lavorativo. Lo sviluppo delle risorse è fondamentale per il successo del World Class Manufacturing poiché come ogni processo Lean, se non si riesce a coinvolgere il personale, gli operatori e lo stesso management, si rischia di avere un processo perfetto solo sulla carta, che difficilmente potrà attuarsi. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La formazione e il training devono basarsi ed essere priorizzate, secondo: • Problemi di sicurezza • Problemi di qualità • Perdite e sprechi • Guasti • Micro-fermate • Errori umani (impatto su vari indicatori, es. Sicurezza, qualità, guasti) Questi problemi sono spesso legati ad una mancanza di competenze nelle risorse, a vari livelli della piramide gerarchica. La formazione specifica deve essere organizzata e i risultati operativi del training devono essere attentamente valutati. L’iniziativa di People Development deve partire dal responsabile del plant perché: •

La performance dello stabilimento dipende dalla competenza del suo responsabile

Il responsabile dello stabilimento ha il compito di creare un buon team in grado di padroneggiare e sviluppare il WCM

Il responsabile dello stabilimento ha la consapevolezza di dover ottenere il coinvolgimento di tutte le risorse e fare in modo che ciascuno possa creare il massimo del valore.

Per cominciare le attività da svolgere sono: •

Istruire il Plant manager, per la visione strategica completa alla comprensione e priorizzazione delle attività di tutti i pilastri.

Istruire i capi pilastro, alla comprensione e priorizzazione delle attività di pilastro e alla risoluzione dei problemi. (SA, QC, CD, FI, PD, etc)

Istruire gli impiegati alla risoluzione dei problemi, attraverso l’approfondita analisi delle cause.

Istruire gli operatori a identificare (vedere e comprendere) e segnalare prontamente i problemi.

Formare gli operatori a risolvere i problemi più semplici

Per le conoscenze e competenze ritenute necessarie occorre valutare i gap iniziali e conseguentemente programmare un piano di formazione. Le conoscenze si riferiscono al sapere senza una capacità applicativa mentre le competenze si riferiscono alla capacità del fare. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Una volta erogata la formazione occorre valutare l’effettiva copertura dei gap, sia in termini di conoscenza (subito dopo la formazione), sia in termini di competenza (dopo una o più applicazioni sul campo di quanto appreso). La formazione deve essere mirata a colmare i gap (no training) e deve adottare le modalità più efficienti (non necessariamente in aula). 1. Non conosce: mancanza delle conoscenze di base anche teoriche necessarie per svolgere correttamente il lavoro 2. Conosce, ma non è in grado di applicare: conoscenze di base anche teoriche necessarie per svolgere correttamente il lavoro 3. Sa applicare, ma non con un buon livello di confidenza: sa applicare ma non è in grado di riprodurre in modo standard e accurato. Necessita ancora di una supervisione. 4. Sa applicare: sa applicare ed è in grado di riprodurre, in diverse situazione, in modo standard e accurato. 5. Specialista anche in grado di insegnare: conosce a fondo e sa applicare in maniera accurata. Inoltre conosce la teoria ed è in grado di insegnare ad altri. Creare un sistema per valutare esattamente le conoscenze e competenze di ciascun dipendente (ruolo e strumenti necessari al miglioramento). La valutazione di conoscenze e competenze segue il flusso piramidale (dall’alto verso il basso) come mostrato nella figura seguente:

Flusso di diffusione della conoscenza (piramide gerarchica) Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Inoltre un grafico tipo radar visualizza in maniera chiara i gap da colmare come mostrato di seguito:

Esempio valutazione di un manutentore Per un’efficace gestione degli errori umani è necessario impostare all’interno della realtà produttiva un «contenitore» di rapida e facile consultazione dove giornalmente il responsabile possa reperire tutte le informazioni necessarie (quale errore, quale causa, dove si è verificato, chi lo ha commesso, quali e quante soluzioni sono già state applicate etc..) per elaborare immediatamente le contromisure necessarie affinché lo stesso errore non debba mai più ripetersi. Gli strumenti Poka Yoke servono per impedire l’errore nella realizzazione delle operazioni di lavoro (prevenzione dei difetti). Es: Si creano asimmetrie sul componente o sul macchinario per evitare posizionamenti errati.

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Flusso logico per risoluzioni ed esempio di Poka-Yoke Il coinvolgimento di tutte le risorse di stabilimento è un fattore critico per il successo del programma WCM. Un indicatore chiave per misurare il coinvolgimento è dato dalla propositività, ovvero dal n. di proposte (suggerimenti) per addetto. E’ necessario quindi stimolare le persone all’elaborazione di idee tendenti al miglioramento di prodotti, servizi, attività e altro ancora. E’ sottointeso che tutti i suggerimenti ritenuti validi devono essere realizzati. Il percorso di implementazione del People Development: i sette Step Di seguito è descritto il processo di miglioramento continuo del pilastro tecnico People Development:

Figura 26 I sette step del pilastro People Development [Adattata da: CNHi, 2009] Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La fase reattiva del pilastro tecnico People Development è costituita dagli step 1, 2 e 3. In questa fase si individuano le principali perdite connesse al processo di sviluppo delle persone, che sono rappresentate da errori umani, al fine di definire le giuste azioni correttive. Si valutano quindi costi e i benefici dei training da attuare. Nella fase preventiva, rappresentata dallo step 4, si definiscono i metodi per sviluppare e valorizzare le competenze e le conoscenze possedute dalle persone e ci si concentra per eliminare i problemi che rappresentano la causa della mancanza di abilità e conoscenza. I primi quattro step devono essere ripetuti per sviluppare il livello di consapevolezza dei processi e le competenze dei lavoratori. Nella fase proattiva, ci si concentra sulla formazione delle persone a tutti i livelli di conoscenza e a competenze sempre più complesse, al fine di preparare l’organizzazione a sfide future e di creare persone altamente qualificate, che possano sostenere l’azienda attraverso l’applicazione dei principi del WCM.

8 FOCUSED IMPROVEMENT

Uno dei pilastri su cui si fonda la Qualità Totale è il miglioramento continuo. Nella cultura occidentale il miglioramento è solitamente perseguito con operazioni drastiche di cambiamento, da cui si aspetta un immediato ritorno dell’investimento. In Giappone invece per il miglioramento continuo s’intende un approccio alla gestione di una generica attività (per esempio produzione, progettazione, servizi ecc.) basato su due metodologie: •

Miglioramento tramite un intervento concentrato, caratterizzato da un grande sforzo organizzativo, tecnico e finanziario, detto kairyo.

Miglioramento

tramite

successivi

piccoli

interventi

distribuiti,

ciascuno

organizzativamente ed economicamente non molto impegnativo, detto kaizen.

Il Pilastro Focused Improvement è un approccio focalizzato alla soluzione di tematiche specifiche e univocamente identificabili che si propone di ottenere un risultato a breve termine, con un beneficio elevato in termine di riduzione dei costi dovuti alle perdite e agli sprechi. Esso applica tecniche, strumenti e metodi specifici per la soluzione di Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO problemi di difficoltà crescente in relazione alla complessità delle cause degli sprechi e delle perdite da rimuovere con l’obiettivo di eliminare le grandi perdite risultanti dal Cost Deployment che impattano sul budget e sui KPI di stabilimento, ripristinare gli standard operativi o innovare attraverso l’introduzione di nuovi standard.

Utilizza la logica del miglioramento focalizzato, secondo la quale, a fronte di un problema, inteso come deviazione dallo standard, non ci si limita a individuare una soluzione tampone ma si instaura un ciclo finalizzato a individuare le cause della deviazione dallo standard e a rimuoverle definitivamente per ripristinare lo standard o per innovare attraverso l’introduzione di un nuovo standard. La logica del miglioramento si basa sul ciclo PDCA, o miglioramento continuo, che consiste nel ripetere più volte i cicli Plan, Do, Check, Act. Miglioramento continuo significa che un’azienda deve essere orientata costantemente verso il miglioramento, non solo nei grandi salti (ad esempio una linea produttiva nuova, una tecnologia di processo innovativa, un nuovo impianto produttivo etc.), ma anche e soprattutto nel day by day di tutti i processi di creazione del valore, da quelli primari a quelli ausiliari. Questo significa cercare di ridurre continuamente i costi a fronte dei risultati, di abbreviare i tempi di lavoro, di eliminare alla radice le non conformità, di essere più flessibili, di soddisfare più rapidamente le esigenze dei clienti senza aumentare la capacità produttiva. Ovvero di avere processi efficienti, il che significa fare di più con le stesse risorse, o fare lo stesso con minori risorse. Il ciclo del miglioramento si definisce PDCA (figura 1), dove Plan significa capire il problema, identificare le cause, verificare le cause, identificare le soluzioni e metterle in ordine di priorità, Do significa applicare la soluzione, Check significa verificare l’efficacia della soluzione e monitorarla, Act standardizzare la nuova soluzione implementata e diffondere la soluzione orizzontalmente alle situazioni simili.

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Figura 1: Ciclo PDCA Il ciclo tende all’infinito in quanto lo standard ripristinato o il nuovo standard può essere ulteriormente sfidato da nuove soluzioni di miglioramento. Attraverso l’applicazione degli strumenti del miglioramento focalizzato si crea nello stabilimento un bagaglio di conoscenza anche rispetto all’applicazione dei metodi e degli strumenti stessi. La conoscenza così creata comprende, nelle prime fasi, anche l’applicazione dei pillar sistematici del WCM (per esempio Autonomous Maintenance, Professional Maintenance, Quality Control) da diffondere nello sviluppo del percorso verso il WCM (Route Map).Infatti il pilastro del FI, attraverso le aree modello, cura anche lo sviluppo della conoscenza dei metodi di miglioramento sistemico in affiancamento ai pilastri direttamente coinvolti (AM, PM, QC) oltre che di quelli definiti focalizzati di cui si occupa specificamente questo pilastro

8.1 I sette Step del Focused Improvement

I sette Step del Focused Improvement sono rappresentati in figura 2:

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Figura 2: I sette Step del Focused Improvement

Nello Step 1 del Focused Improvement occorre: •

Definire le aree importanti

ovvero si va a riconoscere i differenti tipi di perdite, a definire le priorità delle perdite e a identificare l’area di intervento attraverso l’applicazione del CD, (ciò che si prende in considerazione è la matrice C del Cost deployment, i dati che provengono dalla QA Matrix e dai KPI di stabilimento) così da identificare l’area di intervento utilizzando il metodo ICE; La tabella rappresentata nella figura seguente identifica diverse tipologie di perdite secondo una logica sempre più affinata di ricerca delle perdite e degli sprechi (figura 3). Esse sono: – perdita di tipo A, ossia perdita generata da una deviazione rispetto allo standard (perdita a budget, come per esempio il costo delle ore delle attività non a valore aggiunto previste per la realizzazione di un montaggio). Sono le perdite più macroscopiche, rilevate normalmente nella prima applicazione del Cost Deployment; Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO – perdita di tipo B, ossia perdita generata dalla deviazione degli attuali processi rispetto alla situazione teorica a standard (derivante ad esempio da benchmark interno). Per eliminare questo tipo di perdita occorre osservare i principi operativi, comprenderne gli standard operativi ed eliminare i difetti una volta individuati (esempio: PPA); -perdita di tipo C, ossia perdita identificata a livello ideale, prescindendo dalle costrizioni della situazione attuale, oppure attraverso benchmarking esterno oppure derivante da una idea innovativa. Per eliminare questo tipo di perdita può essere necessario riprogettare gli impianti e/o reingegnerizzare il processo o il prodotto attuale (esempio:Advanced Kaizen).

Figura 3: Identificazione delle perdite Definire le prioritĂ delle perdite da attaccare con il Focused Improvement. A partire dalla matrice C del Cost Deployment, dai dati che provengono dalla QA Matrix e dai KPI di stabilimento, condurre una riflessione che consenta di definire le perdite maggiori, la cui rimozione abbia un forte impatto economico. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Identificare l’area di intervento utilizzando il metodo ICE che classifica i singoli progetti per la riduzione delle perdite e degli sprechi, precisamente: • L’impatto (I) esprime qualitativamente, con un ranking da 1 a 5, il valore economico della perdita individuata. • Il costo (C) esprime qualitativamente, con un ranking da 1 a 5, il valore economico dei costi da sostenere per l’attuazione del miglioramento. • La facilità (E) infine, esprime qualitativamente, con un ranking da 1 a 5, il livello di facilità nell’affrontare la perdita (tempi e risorse). Dunque, l’indice ICE, esprime qualitativamente con un ranking da 1 a 125 il livello di attaccabilità della perdita.

Nello Step 2 del Focused Improvement si effettua una: •

Stratificazione delle perdite

ovvero si effettua un Pareto delle perdite e si reitera il processo di stratificazione al fine di individuare le cause del problema e associare quindi i processi Kaizen (miglioramento) necessari alla risoluzione, così come mostrato in figura 4. La scelta tra le aree di perdita da approcciare con il miglioramento focalizzato e quelle da sottoporre invece a miglioramenti sistematici quali a AM e PM dipende prima di tutto dalla velocità con la quale si vogliono risolvere le perdite che hanno un grande impatto sui costi di trasformazione.

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Figura 4: Stratificazione delle perdite L’approccio di miglioramento focalizzato è un approccio che si propone di ottenere i risultati nel minor tempo possibile, nell’arco al massimo di circa tre mesi. Un altro aspetto importante per la scelta è quello della qualità della stratificazione, che deve consentire di individuare in maniera specifica e univoca la macchina causa del guasto o del difetto ecc. Se con i dati a disposizione dello stabilimento, per esempio i borderò degli impianti, per il caso dei guasti, che registrano le fermate per guasto, le fermate ripetitive o le altre fermate, si riesce a fare una analisi sufficientemente stratificata e a individuare come maggiore componente critico una macchina o una famiglia di impianti precisa e a concludere che quella macchina o quell’impianto è quello che perde di più e genera la parte più rilevante delle perdite (20% secondo Pareto) allora conviene intervenire con un Focused Improvement. Non solo le informazioni che derivano dai borderò di linea, ma anche i dati raccolti

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO attraverso l’analisi lavoro, per esempio dati sulle dissaturazioni o sulla presenza di minore valore aggiunto generato dalle attività delle persone operative sulla linea, consentono di agire in modo focalizzato, di operare ribilanciamenti o ridisegni del layout della linea in modo veloce. L’attivazione di progetti di FI, per ragioni di velocità, non esclude di attivare, ove risulti il metodo più appropriato, un miglioramento sistematico come AM, PM o QC. Anche nel corso dei primi tre step dei pillar di miglioramento sistematico si possono presentare ulteriori occasioni per attivare progetti di miglioramento focalizzato perché si incontrano problemi che per tecnologia richiedono un team contenente competenze focalizzate su quel problema oppure, ad esempio, per affrontare problemi cronici che richiedono strumenti di risoluzione più sofisticati. Il principale vantaggio del Focused Improvement è la velocità con cui si raggiungono i risultati, ciò consente di liberare le risorse che possono essere utilizzate in nuovi cantieri di miglioramento sistematico, che hanno un arco temporale di medio/lungo periodo.

Nello Step 3 del Focused Improvement si va a: •

Selezionare il progetto

Qui avviene la scelta del tema del miglioramento e la preparazione del piano di realizzazione, prendendo in considerazione la matrice E del Cost Deployment relativa ai progetti di FI. È da precisare che ciascun progetto di FI necessita di un investimento da prevedere a budget in termini di persone, tempo e risorse finanziarie. Ovviamente ciascun progetto richiede un tempo variabile in funzione della complessità del tema affrontato e degli strumenti utilizzati. Nella scelta del tema è fondamentale effettuare analisi economiche di tipo costi/benefici.

Nello Step 4 del Focused Improvement occorre: •

Definire il team di lavoro

nel senso che si definisce il team che dovrà implementare il miglioramento, con le competenze sul prodotto/processo necessarie ad affrontare il problema e si definisce il Team Leader e gli altri supporti organizzativi. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Nello Step 5 del Focused Improvement vi è la fase di: •

Sviluppo del progetto

che prevede la scelta della tecnica di problem solving più appropriata in funzione del fenomeno da affrontare nell’ottica del PDCA, andando a trovare la soluzione, ad implementare la soluzione, a testare i risultati e infine a standardizzare come rappresentato in figura 5:

Figura 5: Ciclo PDCA

Esiste una gerarchia degli strumenti di Problem Solving che possono essere usati a seconda della complessità del problema e del tempo necessario per risolvere il problema infatti se il tempo necessario è di circa una settimana e la complessità del problema non è elevata, si utilizzeranno le metodologie delle 5G, dei 5W+1H o dei 5

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Perché mentre se la complessità aumenta e i tempi si allungano si utilizzeranno via via dei Kaizen più avanzati come mostrato in figura 6:

Figura 6: Gerarchia degli strumenti di Problem Solving Le 5G (figura 7) rappresentato un metodo che si basa sull’osservazione dei fatti e sull’uso

Figura 7: Rappresentazione del metodo 5G

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO dei cinque sensi con lo scopo di ripristinare le condizioni standard di base ed è un buon metodo per la soluzione di tipologie di perdite, sporadiche o croniche. Esso deve essere effettuato nell’officina, andando direttamente a vedere il fenomeno problematico dove questo accade Le 5G derivano da cinque parole giapponesi ovvero nell’ordine: 1.

Gemba: vai al punto; rappresenta il luogo dell’azione, laddove il problema si

manifesta, la postazione di lavoro o l’impianto, dove è necessario scendere per prendere contatto con la realtà e rendersi conto personalmente di cosa viene fatto, di quali siano i comportamenti agiti e di come si svolge il processo. 2.

Gembutsu: verifica il fenomeno, l’oggetto; la sola presenza, per quanto

necessaria, non è sufficiente a comprendere un fenomeno, occorre saper osservare, apprezzare i dettagli, farsi domande annotando come le operazioni vengano svolte, in quali condizioni ambientali, con quale divisione del lavoro e a quali varianze, sprechi, instabilità e anomalie si debba far fronte. 3.

Genjitsu: verifica i fatti e i dati; scoperti i fenomeni da aggredire bisogna dar loro

un peso, valutarne gli effetti, sostanziare in modo oggettivo congetture e intuizioni, comprendere e valorizzare i vincoli operativi, in una parola, di nuovo, misurare. 4.

Genri : riferisciti alla teoria; rilevata la situazione esistente ci si riconduce a ciò

che si dovrebbe eseguire, tornando alla teoria espressa dalle istruzioni di lavoro, dalle procedure esecutive, dalle condizioni in cui si era dato il benestare a produrre, ovvero, in sintesi, occorre applicare le buone pratiche dell’ingegneria industriale. 5.

Gensoku: segui gli standard operativi. La soluzione ai problemi, ancorché

confermata da un controllo a posteriori, non è completa se non se ne verifica l’applicazione con un’attività non di mera ispezione ma di sostegno e comunicazione.

Le 5W+1H sono semplici domande che in inglese iniziano con le lettere W e H e sono uno strumento che serve a descrivere un problema, un’anomalia rilevata nei processi produttivi, infatti solo rispondendo a queste domande (figura 8) si riesce già a definire un problema, e ciò è utile anche nella fase di analisi dello stesso. In particolare, le domande sono: Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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1.

What: quale problema/difetto si è verificato;

2.

When: quando si è verificato il problema, in quale fase della sequenza di

partenza, funzionamento, arresto; 3.

Where: dove si è verificato il problema, sull’attrezzatura o sul prodotto;

4.

Who: chi svolge l’attività, le operazioni vengono effettuate da un solo operatore

o da più di uno; 5.

Which: il fenomeno si verifica in maniera del tutto casuale, è più frequente ad

avvio impianto e/o dopo un cambio; 6.

How: le attrezzature risultano integre, con quale frequenza si verifica il problema.

Figura 8: Rappresentazione del metodo 5W+1H

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Le 4M rappresentano uno strumento che serve ad analizzare un problema e rappresenta l’Analisi Causa Effetto di Ishikawa, ovvero si va ad effettuare un elenco dei possibili fattori che causano un fenomeno, seguendo le quattro macro-cause, secondo uno schema detto “a lisca di pesce” (figura 9-10): 1. Metodi: I metodi comprendono le procedure di lavoro, la documentazione, le specifiche. Inserisci nel diagramma di Ishikawa le potenziali cause del difetto dovute al Metodo. Le procedure di lavoro sono chiare e standardizzate su tutti i turni di lavoro? Gli operatori lavorano tutti allo stesso modo? La documentazione è sufficiente e pertinente? Le specifiche sono chiare a tutti? Il flusso di lavoro è standardizzato? Ogni operatore usa gli stessi strumenti?

2. Materiali: Parliamo dei materiali utilizzati per realizzare l’articolo. Il materiale è a specifica? Il lotto è conforme? Potrebbe essere stato inquinato? Potrebbe essere stato scelto il materiale sbagliato già in fase di progettazione? Il materiale soddisfa i bisogni di utilizzo?

3. Manodopera: L’uomo è sicuramente una componente importante all’interno della maggior parte dei processi produttivi. È colui che fisicamente esegue le operazioni, che programma o Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO attrezza le macchine, colui che controlla i prodotti. Dovrebbero essere sempre prese in considerazione le operazioni manuali. Di seguito qualche domanda che dovresti farti in fase di analisi: Il problema riscontrato può essere figlio di una azione manuale non eseguita correttamente? L’attività dell’operatore ha influenza diretta sul problema? Gli operatori impiegati hanno la giusta esperienza? Hanno la giusta formazione? 4. Macchine: Comprende sia l’attrezzatura che produce l’articolo sia tutte le macchine di supporto che possono avere un effetto diretto sul problema riscontrato. La macchina è omologata? È stata fatta manutenzione in modo corretto? Presenta danneggiamenti? Ha subito delle manomissioni?

Figura 9: Diagramma di Ishikawa

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Es. Supponiamo di avere un problema su un prodotto verniciato. Abbiamo un effetto indesiderato nella verniciatura come per esempio l’effetto buccia d’arancia. Decidiamo quindi di cercare le cause radici di questo difetto. Per ogni categoria, andare ad elencare le possibili cause. In questo momento non è importante effettuare una scrematura, ma tutto quello che viene in mente.

Figura 10: Esempio applicato del diagramma di Ishikawa Alcuni rami partono altri rami secondari. Questo è molto utile nel caso in cui ci siano diversi fattori che fanno parte della stessa causa e che dovranno essere analizzati più precisamente. Si giunge alla causa radice del problema. L’applicazione del metodo 4 M deve seguire i seguenti step: – identificare le cause potenziali; – clusterizzare, ovvero aggregare le idee per identificare le cause principali; – clusterizzare, ovvero aggregare per identificare le cause minori; – creare il diagramma Fishbone; –sviluppare completamente il diagramma Fishbone, verifica e conferma delle possibili cause

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO I 5 Perché sono uno strumento volto a ricercare le cause di un fenomeno anomalo attraverso una serie consecutiva di domande (figura 11) in modo da identificare la causa di un inconveniente alla radice, per eliminarla totalmente e ad abituare le persone a porsi domande e a trovare risposte. Quindi si va a stimolare la nostra capacità di analisi, mettendo in evidenza quel processo di clustering (cioè di costruzione di una catena di pensieri collegati tra loro) attraverso la quale si arriva alla radice della causa, la cosiddetta “root cause” del problema.

Figura 11: Metodo dei 5Perchè

Punto fondamentale per il FI è il Kaizen ovvero letteralmente la composizione di due termini giapponesi, “Kai”, che significa cambiamento/miglioramento, e “Zen”, che significa buono/migliore. Pertanto esso rappresenta una strategia di management che si prefigge di “cambiare in meglio” ovvero “miglioramento lento e continuo” per diventare migliore attraverso azioni di piccola entità realizzate in modo continuativo.

Il kaizen si contrappone al kairyo (grande miglioramento) e al kakushin (innovazione). Kairyo e kakushin sono decisi dal Top Management e necessitano di un grande investimento, mentre il kaizen viene attuato ogni giorno da tutto il personale.

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Figura 12: Esempio di Kaizen L’approccio Kaizen (dal giapponese KAI “cambiamento” e ZEN “benessere”) costituisce uno

degli

esempi

più

significativi

di

miglioramento

continuo

nell’ambito

industriale/produttivo, come mostrato in figura 12, e può considerarsi elemento chiave nella crescita economica del Giappone. Basandosi sul principio filosofico secondo cui “ogni cosa merita di essere migliorata”, insito nel modo di pensare giapponese, punta al miglioramento continuo e graduale di un’attività con lo scopo di ottenere un maggior valore e, allo stesso tempo, minori sprechi. La realtà industriale occidentale, al contrario, associa il cambiamento esclusivamente a grandi innovazioni e a investimenti onerosi. L’approccio volto alla grande innovazione, Kairyo, si caratterizza per una durata limitata nel tempo e il coinvolgimento di un gruppo ristretto di persone (generalmente la direzione, in quanto comporta grandi investimenti). L’innovazione introdotta in questa maniera comporta vantaggi nell’immediato che, in linea teorica, restano immutati fino all’introduzione di una nuova innovazione; tuttavia, non essendo coinvolto direttamente lo shop floor e non essendo richiesta una conoscenza approfondita dei processi, questi possono affievolirsi e scomparire nel tempo nel caso in cui si ripresentino problemi non risolti. Il continuo sforzo garantisce il mantenere e miglioramento dello standard raggiunto. Quanto detto, (figura 13) suggerisce che un sistema di gestione è in grado di

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO raggiungere risultati ottimali se riesce a combinare i due sistemi precedentemente descritti. L’approccio che ne deriva prevedrà quindi di: I. Fare uso del Kaizen per raggiungere tramite miglioramento graduale e continuo il limite prestazionale dei processi; II. Superare tali limiti attraverso l’introduzione di innovazione (Kairyo); III. Riapplicare il Kaizen per far sì che le innovazioni si mantengano efficaci con il passare del tempo.

Figura 13: Differenze tra Kairyo e Kaizen

Nel WCM il Kaizen viene suddiviso in: •

Quick Kaizen: ovvero dei miglioramenti veloci che seguono l’approccio PDCA e

che vengono proposti dagli operatori. •

Standard Kaizen: forniscono le basi per dare visibilità ai problemi ed è applicato

da un team di persone in modo da supportare il mantenimento dei risultati raggiunti; •

Major Kaizen: strumento fondamentale per la soluzione di problemi cronici

mediamente complessi e che abbraccia più team e periodi più lunghi in modo da coinvolgere l’intero processo e poter trovare soluzioni che siano anche vendibili all’esterno.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Quick Kaizen (Speedy Kaizen). Questo metodo utilizza un ciclo di PDCA. Richiede maggiori dettagli dei precedenti strumenti e può avvalersi dei precedenti specialmente nella fase di Plan, va applicato nel caso di miglioramenti semplici. Proprio per la sua logicità si presta come strumento di coinvolgimento esteso delle persone nella soluzione dei problemi e rappresenta un efficace mezzo nello sviluppo di un sistema di suggerimenti. Si usa individualmente o in team di due persone e si compone di attività diverse per fase: – le attività da effettuare nella fase Plan sono: fornire una chiara descrizione del fenomeno, definire qual è la perdita risultante, qual è il costo della perdita, determinare la causa radice, considerare le soluzioni possibili, definire il target; – le attività da effettuare nella fase di Do sono: dettagliare la soluzione prescelta, definire chi è responsabile della sua implementazione e quali sono i costi dell’implementazione; – le attività da effettuare nella fase di Check sono: definire quali ulteriori azioni sono necessarie per raggiungere il target, quali ulteriori azioni sono necessarie per assicurare che il nuovo standard sia applicato a tutti i turni, valutare se il Quick Kaizen effettuato può essere applicato altrove; – le attività da effettuare nella fase di Act sono: valutare quale livello di miglioramento è stato fornito dalla nuova soluzione e se i target sono stati raggiunti, definire quali azioni sono richieste per la standardizzazione e il controllo.

Major Kaizen. Questo metodo serve per approcciare problemi complessi. Necessita di un team di almeno tre/cinque persone opportunamente formate su questa metodologia. I risultati devono essere registrati su un foglio di tabellone, uno per ciascuno step del Major Kaizen. Il processo da seguire per realizzare un Major Kaizen è quello PDCA, con più profondità, come può essere rappresentato nella figura che segue e che comprende queste fasi: – assicurarsi di essere sul problema (5G), definire qual è l’impatto del problema (tempo, soldi), svolgere precise osservazioni, utilizzare i cinque sensi; – comprendere come funziona il sistema o il processo (5G); – definire il problema con chiarezza, raccogliere e analizzare i fatti (Catturare i dati, 5W e 1H), scrivere una descrizione sintetica del fenomeno; – utilizzare i metodi di analisi delle cause (Analisi 4M, 5 Whys ecc.); Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO – validare sul campo; – generare diverse soluzioni; – assegnare una priorità alle soluzioni individuate: il tempo per la loro implementazione, i costi per la loro implementazione, la possibilità che la soluzione funzioni; – completare le contromisure; – verificare i risultati misurabili; – implementate altre soluzioni per raggiungere o consolidare l’obiettivo, controllare e riprodurre i risultati.

Advanced Kaizen. Questo metodo approccia problemi complessi e fornisce soluzioni migliorative profonde relative, per esempio, alla tecnologia di processo.

PPA, Processing Point Analysis. È un metodo finalizzato al ripristino delle condizioni di sistemi complessi. È un metodo di Focused Improvement avanzato adatto per attaccare perdite che hanno cause multiple e interconnesse e quindi è molto adatto alla soluzione delle perdite croniche in sistemi complessi dove non sia conosciuta la relazione causa effetto tra aspetti di controllo del processo ed effetti sul prodotto. Analizza il punto di contatto di uno strumento di lavorazione sull’oggetto lavorato (Processing Point), ossia il punto dove avviene un’interazione fisica, la trasformazione, manuale o automatizzata che genera un cambiamento nello stato sia del prodotto che del materiale esplodendolo nel minimo dettaglio. Le difettosità infatti si originano se l’interazione non si realizza ogni volta in modo perfetto.

La presenza di deviazioni nel punto di trasformazione è determinata dallo stato dei sottosistemi che contribuiscono alla funzione del punto di trasformazione stesso. Quando una macchina produce difetti è perché uno dei molti sottosistemi in una certa linea e in un certo sistema non funziona correttamente. In funzione della complessità e delle finalità, la macchina in oggetto può avere alcuni o tutti i sistemi elencati o addirittura può essere necessario specificare altri sistemi per completare la descrizione. Questi sono, più in generale, riconducibili ad almeno sei sistemi: sistema di lubrificazione (1); sistema idraulico (2); sistema di pressione dell’aria

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO (3); sistema di trasmissione di potenza (4); sistema di controllo elettrico (5); sistema principale della macchina (6). Viene condotta quindi un’analisi dettagliata dei sottosistemi che influenzano il punto di lavorazione per trovare l’origine delle deviazioni. Si analizzano i sottosistemi secondo: nome, scopo, funzione, componente (sistemi e sottosistemi del componente), principi operativi e standard operativi. Si valutano i parametri per comprendere quali possono influenzare quel punto, si definiscono quindi le condizioni standard per ciascuno di questi e si istituisce un ciclo di mantenimento. Nel punto di trasformazione si opera secondo principi operativi e secondo standard operativi. L’applicazione del metodo PPA prevede sette passi. Step 1 - Raccolta e analisi dei dati e stratificazione e selezione dell’area di studio. Step 2 - Schematizzazione del punto di processo, valutazione dei principi di funzionamento e degli standard operativi. Step 3 - Elencazione dei sistemi e dei sottosistemi collegati a quel punto di processo che ne assicurano la posizione e il suo mantenimento. Step 4 - Studio dei fenomeni di difetto in relazione al punto di trasformazione e agli standard operativi, valutazione delle funzioni e delle condizioni di trasformazione con effettuazione dei controlli necessari sui sistemi afferenti a quel punto di processo. Step 5 - Definizione chiara delle condizioni di trasformazione, delle condizioni della macchina e dei dettagli necessari per il loro controllo. Step 6 - Sintesi di quanto raccolto ai fini del mantenimento della qualità attraverso la realizzazione della QM-Quality Matrix(7). Step 7 - Miglioramento continuo dell’efficienza nel mantenimento della qualità attraverso l’analisi delle condizioni per il mantenimento della qualità (5 domande per zero difetti)(8).

Step 6 Analisi Costi/Benefici Una buona selezione di temi di FI normalmente genera progetti con rapporto costibenefici superiori a 1 a 4, ma può facilmente raggiungere 1 a 10 o essere superiore.

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Step 7 Follow up ed espansione orizzontale In questa fase è particolarmente critico il ruolo del pilastro del Focused Improvement in quanto responsabile dello sviluppo e della diffusione della conoscenza o meglio del know how. Infatti, per realizzare l’espansione orizzontale è necessario

aver

standardizzato

i

risultati

ottenuti sull’area o macchina modello oggetto Figura 14: Effetti del WCM

del

primo

miglioramento.

Quindi

bisogna

accertarsi di avere raggiunto il risultato prefissato portando a zero la perdita per cui il progetto è stato avviato, applicando con rigore il metodo. Se il risultato non è ancora raggiunto, nonostante un sostanziale miglioramento, è essenziale chiedersi il motivo di questo parziale risultato e apportare le correzioni necessarie fino al raggiungimento completo prima di procedere a una espansione orizzontale. Per sostenere l’espansione orizzontale, in funzione del tipo di problema, si può ricorrere ad esempio ai seguenti tools: •

OPL (One Point Lesson) Lezioni in un punto;

Procedure Standard: SOP (Standard Operating Procedures)

Schede how-to

Cicli Standard di Manutenzione (Autonoma o Professionale)

Visual Control (Gestione a vista)

MP-Info (Maintenance Prevention Information);

In conclusione, il primo e il secondo step (equiparabili alla fase Plan del ciclo PDCA) sono finalizzati ad individuare le perdite sulle quali intervenire e a capire il problema; devono inoltre integrarsi con il Cost Deployment per lo sviluppo del percorso verso il WCM. I successivi tre step (equiparabili alla fase Do del ciclo PDCA) sono finalizzati a selezionare i problemi sui quali intervenire, a definire il team di progetto e a selezionare gli strumenti di FI adatti alla soluzione del problema e a identificare cause e soluzioni. Il sesto step (equiparabile alla fase Check del ciclo PDCA) è finalizzato a verificare la Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO soluzione implementata attraverso l’analisi costi/benefici ed infine, il settimo step (equiparabile alla fase Act del ciclo PDCA) ha lo scopo di standardizzare la soluzione implementata espandendola orizzontalmente. Concludendo, per quanto riguarda la valutazione del pilastro, abbiamo: •

Mancanza di progetti o programmi basati sul CD. Tutti i progetti sono scelti ad hoc e non è impiegato un approccio sistematico o un metodo opportuno;

I costi e le perdite dello stabilimento sono compresi e prioritarizzati. Non viene fatta l’analisi costi/benefici e non esiste un sistema adatto ad espandere orizzontalmente la conoscenza acquisita in seguito a ciascun FI;

Sulla base del CD vengono scelti appropriati argomenti per il FI. Costi e benefici sono conosciuti per ogni FI completo e sono mensilmente monitorati in collaborazione con l’Amministrazione;

È presente una cultura e una conoscenza sostanziale nell’eliminazione o riduzione delle perdite e degli sprechi. Sono utilizzate ad ogni livello dell’organizzazione sia le tecniche FI di base che quelle intermedie;

Vengono utilizzati strumenti avanzati come il PPA e DOE per risolvere e aggredire problemi non affrontati;

9 LOGISTICS E CUSTOMER SERVICE

Premessa Il vocabolo "logistica" ha origini antichissime. Dal greco "lògos” significa "parola" o "ordine"; per i greci infatti i due concetti erano strettamente collegati ed espressi con lo stesso grafema ovvero "segno grafico". La logistica moderna, come quella antica, si sviluppa essenzialmente nell'ambito dell'arte militare e occorre aspettare la fine della Seconda guerra mondiale affinché le tecniche apprese in tale contesto vengano utilizzate per la gestione delle aziende, al fine di organizzare la produzione e il flusso dei materiali. Solo allora si è iniziato a sentire il bisogno di assicurare la disponibilità dei prodotti sui diversi mercati e contemporaneamente diminuire il volume degli stock e dell'immobilizzazione dei capitali Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ad esso connessi. Già a partire dagli anni Settanta tale funzione, orientata a ottimizzare la distribuzione fisica dei prodotti sul mercato, va evolvendosi per le mutate condizioni degli scambi commerciali, in un mercato sempre più allargato e attento a soddisfare le esigenze dei clienti in tempi ancor più rapidi.

Negli

ultimi due decenni la globalizzazione dei mercati e la riduzione del ciclo di vita dei prodotti hanno richiesto tempi di produzione e distribuzione sempre più brevi, sia per l'aumento dei problemi riguardanti il ruolo dei flussi fisici e informativi che per il peso che l'organizzazione delle filiere e delle catene del valore rivestono nella creazione e nel mantenimento del vantaggio competitivo. La logistica è l’insieme dei flussi informativi e dei flussi fisici dei materiali che consentono di soddisfare il cliente garantendo che i componenti e i manufatti prodotti o da produrre si trovino: nel posto giusto, al momento giusto, nella quantità giusta, con la qualità giusta. Da quanto detto si evince quindi che la logistica assume un significato molto più ampio della tradizionale gestione dei materiali, dei magazzini e dei trasporti. Essa coinvolge tre processi diversi dell’azienda: •

Il processo commerciale e le vendite

Il manufacturing

Gli acquisti e la distribuzione dei componenti.

Per perseguire queste finalità, la logistica deve affrontare problemi diversi, ma strettamente collegati tra loro: •

La logistica commerciale, affronta i problemi relativi a:

-

Ubicazione dei centri di distribuzione del prodotto finale, così da garantire il collegamento alla rete di vendita;

-

Selezione e organizzazione efficace delle vie e dei mezzi di trasporto;

-

Analisi delle richieste di mercato ed elaborazione di un piano di vendita a breve termine;

-

Gestione e controllo delle consegne ai centri di distribuzione.

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La logistica di produzione si occupa invece di definire il flusso produttivo, in modo da creare il massimo valore per il cliente esterno e interno. Ciò si realizza attraverso l’implementazione di sistemi produttivi a flusso, in grado di produrre per piccoli lotti (idealmente a pezzo unico: one piece flow), con elevato mix produttivo, con tempi di set up molto ridotti, con processi a elevata qualità, con un approvvigionamento di materiali appropriato, con una forte motivazione del personale e un basso livello di assenteismo.

La logistica degli approvvigionamenti si occupa invece dei flussi e dei sistemi informativi da e verso i fornitori dei componenti, della individuazione delle strade e dei mezzi di trasporto più efficienti, della gestione ottimale dei materiali e dei magazzini.

Queste tre aree creano valore per il cliente quanto più operano in termini di Total Cost, ovvero di bilancio netto positivo e non di ottimizzazione di uno solo di questi aspetti. In queste attività di gestione dei flussi fisici e informativi che consentono di soddisfare i bisogni del cliente sono insite diverse perdite tra cui quelle dovute alle scorte quali l’eccesso di scorta, la scorta di sicurezza, l’eccesso di manodopera, le perdite di produttività della manodopera, le perdite di spazio per l’immagazzinamento dei materiali e le perdite dovute alla movimentazione del materiale. Occorre dunque creare un flusso controllato sincronizzando la produzione con le vendite per soddisfare pienamente il cliente, creando un flusso continuo attraverso la riduzione delle scorte e minimizzando la manipolazione dei materiali. Inoltre una logistica World Class richiede una perfetta affidabilità dei sistemi tecnici ovvero zero fermate, zero tempi di set-up, zero difetti. Il Logistics e il Customer Service (LCS) ha a disposizione una serie di strumenti.

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Tra essi vi sono il Value Stream Mapping, il routing, il layout, i sistemi di packaging, l’handling, il Kanban, lo scheduling, i trasporti intermodali. L’avvio di un progetto LCS prevede una serie di attività preliminari quali: •

Analisi delle perdite;

Definizione del team di intervento;

Coordinamento con gli altri pilastri per il miglioramento delle performance

operative necessarie.

Obiettivi: 1. aumentare la soddisfazione del cliente (sia per la qualità che per i tempi di consegna);

2. ridurre i costi del capitale investito nei semilavorati e nel work in progress;

3. ridurre i costi di movimentazione dei componenti, che possono essere molto elevati.

4. aumentare la produttività attraverso una migliore presentazione dei materiali all'operatore

Principi guida Per raggiungere tali finalità la Logistica utilizza i seguenti principi guida:

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livellamento tra produzione e vendita, nel modo più perfetto possibile, per soddisfare pienamente il cliente. L'applicazione di questo principio richiede la riduzione al minimo dei componenti e dei semilavorati che circolano nelle fabbriche al fine di ridurre i tempi di consegna, sino a soddisfare pienamente il cliente. Il livellamento tra produzione e vendita comporta di riuscire a produrre esattamente i prodotti necessari alla soddisfazione della domanda, al momento giusto per consegnarli in tempo e nella esatta quantità richiesta.

riduzione al minimo del magazzino per creare un flusso produttivo continuo. Infatti, arrivare a produrre il prodotto finale e tutte le sue parti con una sequenza predefinita bilanciata e per quantità uguali, cioè con un flusso continuo, consente di ridurre al minimo la sovrapproduzione e di conseguenza le scorte e quindi di aumentare l'efficienza del capitale investito. L'obiettivo è quello di aumentare la produttività del sistema e delle postazioni di lavoro riducendo i movimenti (riduzione dell'attività a non valore aggiunto: NVAA e gli stock inutili) e quindi diminuendo il capitale investito in work in progress.

riduzione al minimo dello spostamento e della manipolazione dei materiali. Ogni spostamento inutile, ripetuto o evitabile, aumenta i costi e non crea valore. Ciò è molto importante perché in una produzione di massa, come per esempio quella dell'automobile, bisogna spostare moltissimi componenti e materiali e quindi ci possono essere molti movimenti inutili e molti sprechi a cui in passato non si era fatto caso. L'obiettivo è quello di ridurre al minimo i costi dello spostamento dei materiali e di utilizzo degli spazi contribuendo alla riduzione dei costi perseguita anche da altri metodi, con miglioramenti di tipo logistico.

Il percorso di implementazione e i 7 step

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Le attività dei primi 3 step hanno lo scopo di creare un flusso logistico all'interno dello stabilimento con la re-ingegnerizzazione delle linee e della logistica interna ed esterna. Obiettivi tipici degli step 1, 2 e 3 sono la riduzione del lead time, la riduzione dei tempi di set up e della dimensione dei lotti, l'eliminazione della movimentazione inutile dei materiali e degli altri sprechi logistici, la pulizia e il riordino degli ambienti e dei materiali da gestire con logica FIFO. Gli step 4 e 5 hanno lo scopo di creare un flusso continuo sincronizzando e livellando tutta la produzione, in modo che ogni reparto produca solo ciò che serve a valle, e intervenendo sulla logistica interna ed esterna per raggiungere gli zero difetti, le zero fermate e il rifornimento Just in Time dei componenti che lo richiedono. Gli step 6 e 7 conducono a un flusso accurato e controllato, sincronizzando completamente vendite, produzione e approvvigionamenti e adottando una sequenza basata su una programmazione a tempi prefissati e controllati.

Step 1 Re-ingegnerizzare le linee per soddisfare il cliente L’ obiettivo dello step 1 è:

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO re-ingegnerizzare le linee per soddisfare il cliente. Questo implica di capire i fabbisogni dei clienti a valle e i divari più rilevanti rispetto alla situazione attuale, per definire le priorità e un piano di miglioramento tempificato Prevede le seguenti attività: -

identificare e comprendere le necessità del cliente finale;

-

definire gli obiettivi della logistica e analizzare la situazione di partenza;

-

fare un'analisi dei gap tra i target e la situazione attuale;

-

definire un piano di miglioramento tempificato.

In particolare, la scelta del flusso da migliorare, che rappresenta la prima fase, può essere

fatta

o

con

un

metodo

analitico

o

con

un

metodo

induttivo.

Il metodo analitico si realizza attraverso il Cost Deployment delle perdite della logistica. Il metodo induttivo si realizza attraverso l'analisi dei materiali e dei codici prodotti. E’ più rapido ma che potrebbe non evidenziare in modo preciso le priorità. Infatti, l’uso dell'analisi dei codici prodotti e la loro classificazione in classi (es. A, B, C) presuppone che le caratteristiche dei codici prodotti ovvero numerosità delle varianti, dimensioni e valore siano di per sé un indicatore di criticità. ln tale contesto risulta fondamentale la definizione del Lead Time, che nel caso di un processo produttivo dipende dai Lead Time generati dalle diverse parti dell'azienda. ln particolare avremo: il Lead Time di approvvigionamento è il tempo che intercorre tra l'emissione di una richiesta a un fornitore e il ricevimento della merce; il Lead Time di "stoccaggio" a magazzino che rappresenta il tempo che intercorre tra il deposito di merce a magazzino ed il suo prelievo; il Lead Time di produzione definito come il tempo che intercorre tra l'emissione di un ordine di produzione e il momento in cui si rende disponibile il prodotto finito. Per misurare i Lead Time è necessario definire: 1. il flusso dei processi; 2. il flusso degli operatori; 3. il flusso dei materiali; FLUSSO DEI PROCESSI Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Tale analisi può essere effettuata con l'uso della VSM (Value State Map) con la quale andiamo ad effettuare l'analisi degli sprechi e definiamo il flusso del processo. Il VSM è una tecnica grafica che fornisce come risultato una mappa o disegno dell'insieme di processi ed attività che concorrono alla realizzazione di un prodotto o un servizio, dal fornitore fino al cliente finale, passando per ogni stazione. Questo strumento è anche utile per la definizione di ipotesi alternative ed il ridisegno dei flussi, dove si andrà a valutare la soluzione migliore attraverso considerazioni quantitative. È fondamentale nel processo di ricerca e di abbattimento degli sprechi. Per questo motivo, il VSM può essere paragonato ad una foto istantanea in tempo reale che permette di conoscere la situazione del sistema produttivo e che, quindi, sarà la base per una possibile implementazione di future modifiche. Nel fare questo, la VSM si propone

di

esplicitare

la

presenza

del

flusso

materiale

ed

informativo.

Altre caratteristiche importanti della VSM sono la sua visione sistemica e semplicità realizzativa. Lo schema concettuale che si deve seguire nell'utilizzo della VSM è riportato in figura, ove i riquadri identificano gli stati del sistema, ed il passaggio da uno stato all'altro è ottenibile attraverso i passaggi riportati nella Figura seguente:

1)

Dal

sistema

produttivo

alla

Current State Map (CSM): il risultato di questo

primo

step

consiste

nella

mappatura dello stato attuale; partendo da un'osservazione diretta, oggettiva e accurata del sistema produttivo così com'è,

si procede a

rappresentarlo

attraverso delle icone. 2) Dalla CSM alla Muda Analysis: dalla mappatura attuale si passa all'analisi degli sprechi e attraverso una serie di linee guida si procede ad individuare i punti critici del processo; ricordiamo che i muda sono sintomi e non cause, e che le soluzioni devono colpire le cause e non i sintomi.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 3) Dall'individuazione delle cause radice degli sprechi si passa Future State Map (FSM): si apportano modifiche al CSM laddove si sono evidenziate lacune, cercando di eliminare o almeno ridurre gli sprechi. 4) dalla FSM al action plan: una volta stabiliti i miglioramenti da apportare si deve definire un piano d'azione. Si definisce quindi chi, come, quando, con che risorse ed in che ordine fa che cosa. Infine, conclusa la fase progettuale, si passa all'implementazione vera e propria, che si propone di trasferire fisicamente i cambiamenti programmati nella realtà produttiva. Il punto di partenza per sviluppare un VSM è l'individuazione dell'output di processo. La scelta solitamente cade sulla rappresentazione di una famiglia di prodotti, ovvero un gruppo di prodotti che presentano tratti analoghi nel loro routing, sia nelle stazioni attraversate che nella loro sequenzialità. ln generale si può affermare che risulta controproducente e confusionario rappresentare più di una famiglia in una singola CSM. Successivamente, si procede a ritroso nel routing del prodotto, risalendo la catena di operazioni cui esso è stato sottoposto, fino ad arrivare alle origini del flusso dei materiali. Solitamente si posizionano nella parte del disegno in alto a destra il cliente, e nella parte in alto a sinistra il fornitore (o i fornitori), quindi il flusso di produzione si troverà a scorrere da sinistra verso destra, mentre il flusso informativo potrà seguire percorsi diversi. Tali flussi verranno rappresentati su due livelli diversi nella VSM. (vedi figura)

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Infine, si aggiunge la Timeline che rappresenta il tempo impiegato da un prodotto per attraversare tutte le fasi della catena del valore. Durante la mappatura verranno quindi registrati e catalogati diversi valori temporali che permettono di comprendere in modo piĂš completo lo stato della linea/sistema produttivo. Nella Timeline sono riportati sopra la linea dei tempi i valori NVA, e sotto di essa i "tempi a valore" (VA). Un compito importante del VSM è quello di segnalare e mantenere sotto controllo i valori di tempo VA e NVA, permettendo di visualizzare e comprendere le cause che portano a questi valori. Una volta misurati ed indicati questi tempi, essi vengono sommati per ottenere il flow time medio di produzione (comprendente sia tempi NVA che VA) ed il valor medio del tempo VA totale (che ovviamente comprende solo i tempi VA). Poi è possibile calcolare l’indice di flusso (IF):

IF=

đ?‘‡đ?‘’đ?‘šđ?‘?đ?‘œ đ?‘Ąđ?‘œđ?‘Ąđ?‘Žđ?‘™đ?‘’ đ?‘‘đ?‘– đ?‘Žđ?‘Ąđ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘Łđ?‘’đ?‘&#x;đ?‘ đ?‘Žđ?‘šđ?‘’đ?‘›đ?‘Ąđ?‘œ đ?‘‡đ?‘’đ?‘šđ?‘?đ?‘œ đ?‘›đ?‘’đ?‘?đ?‘’đ?‘ đ?‘ đ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘–đ?‘œ đ?‘Žđ?‘™đ?‘™đ?‘Ž đ?‘Ąđ?‘&#x;đ?‘Žđ?‘ đ?‘“đ?‘œđ?‘&#x;đ?‘šđ?‘§đ?‘–đ?‘œđ?‘›đ?‘’

L’obiettivo della trasformazione è abbassare l’indice di flusso fino al suo minimo teorico di 1. Per la mappatura della VSM sono tipicamente utilizzate icone semplici e schematiche, cosĂŹ da favorire la loro comprensione ed il loro utilizzo. (Vedi figura)

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I dati raccolti durante la mappatura e riportati nel data box sono descritti, qui di seguito: Takt Time (TT): è il tempo massimo entro il quale bisogna produrre un prodotto o effettuare un servizio per poter soddisfare la domanda del cliente, ovvero la velocità alla quale il sistema deve produrre un prodotto finito per essere allineato con la richiesta di mercato. Il Tempo di Takt non è il ritmo con cui il cliente richiede prodotti ma è rappresentativo del ritmo che il sistema produttivo deve avere in relazione alla domanda media del cliente nel periodo considerato. Cycle Time (C/T): parametro temporale di una singola stazione, indica il tempo medio richiesto dalla stazione per la lavorazione di un pezzo, ovvero è il tempo che intercorre

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO tra un rilascio e l'altro di parti o Iotti di materiale da parte di una fase del processo. Si noti che esso può essere inferiore al tempo medio richiesto da una macchina/postazione di lavoro nel caso in cui una stazione contenesse più macchine/postazioni di lavoro. Il valore deve rappresentare ciò che l'impianto è in grado di produrre in una giornata tipica, non in una giornata perfetta Dal confronto tra TT e CT di un sistema si deduce se il sistema è in grado di soddisfare la domanda dei consumatori oppure se è necessario intervenire per cercare di rimediare alla quota di domanda non soddisfatta dal sistema. Inoltre, la conoscenza dei CT delle singole stazioni permette di individuare i bottlenecks del sistema, nei pressi dei quali è possibile individuare la creazione di code di pezzi in attesa che possono degradare le performances del sistema (FT, livelli di WIP, dimensioni dei magazzini a bordo macchina etc.). Pur neo essendo necessariamente un male, la presenza di stazioni collo di bottiglia deve essere strettamente monitorata per la loro criticità. Changeover Time: è il tempo di setup necessario per eseguire le modifiche di un'attrezzatura che le consentano di cambiare il tipo di pezzo lavorato (ma senza comprendere il C/T per la produzione di quest'ultimo). Al crescere del valore del tempo di setup sarà via via più conveniente raggruppare i prodotti in grossi lotti al fine di ridurre il tempo totale di cambio formato Up Time: U/T è il tempo percentuale di lavoro giornaliero di una stazione rispetto al tempo lavorativo giornaliero lordo e tiene conto sia delle fermate controllabili sia di quelle incontrollabili. Work Content: indica il contenuto di lavoro presente in una determinata stazione del processo, ovvero la sommatoria dei tempi VA e NVA lavorati da ciascun addetto/a della stazione. Si indica come W/C. Defect Rate: rappresenta le percentuali di pezzi difettosi prodotti da una stazione. Availability of Equipment, Availability of Personnel: rappresenta la percentuale di tempo in cui un'attrezzatura/utensile (AOE) o il personale (AOP) condiviso da più routings è disponibile per quel routing/famiglia di prodotti. Queste grandezze sono più caratteristiche della fomitura di servizi, e sono trascurate quando gli utensili o il personale non sono condivisi. Travel Distance Line: strumento di mappatura che tiene in considerazione le distanze percorse dal prodotto e/o dagli addetti all'interno del processo. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO A questo punto giunti si ha a disposizione la mappa dello stato attuale del sistema, un prezioso strumento per individuare e rimuovere gli sprechi.

FLUSSO DEGLI OPERATORI

Nelle linee di assemblaggio un aspetto chiave, spesso sottovalutato, è certamente la definizione del sistema logistico di alimentazione e movimentazione dei materiali. I materiali devono infatti poter fluire sulle stazioni di montaggio il più possibile in modo sincronizzato ed efficiente, evitando quindi i mancanti sulle linee e le inutili movimentazioni e sprechi nella loro gestione. Partendo da una corretta progettazione delle unità e sistemi di movimentazione, delle logiche di riordino dei materiali sulle linee di assemblaggio è possibile anche integrare meglio i fornitori e semplificare le logiche di approvvigionamento con importanti risparmi nei costi logistici complessivi. Su una

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO linea di assemblaggio, ed in particolare su ciascuna stazione di lavoro, vi sono tre flussi fondamentali che devono essere necessariamente sincronizzati: •

il flusso del pezzo (il prodotto che viene progressivamente assemblato avanzando sulla linea)

il flusso delle operazioni (sequenza del ciclo di assemblaggio)

il flusso dei materiali (componenti da assemblare).

L'esigenza di sincronizzare i flussi dei materiali determina la necessità di prevedere dei buffer interoperazionali (allo scopo di svincolare il flusso dei pezzi collettore da quello delle operazioni) e lo stoccaggio di materiali presso le stazioni, per svincolare il flusso delle operazioni e quello dei materiali. Il flusso del pezzo collettore prevede l'attraversamento in successione delle stazioni di assemblaggio secondo la sequenza prevista dal ciclo di montaggio. I lotti con cui si decide di realizzare i diversi modelli di prodotto sulla linea, sono dimensionati in base a logiche che si prefiggono di minimizzare i problemi legati al set up della linea e di massimizzare il livello di servizio verso il magazzino prodotti finiti/mercato. Le caratteristiche del flusso del pezzo collettore (ad es. l'esigenza di disaccoppiare il ritmo di lavoro delle stazioni, con la predisposizione di buffer interoperazionali) determinano le caratteristiche funzionali del sistema di material handling. Il flusso dei componenti è determinato dalle caratteristiche spazio-temporali dei fabbisogni delle stazioni di assemblaggio. Senza alimentazione ottimale di materiale, per un'impresa è quasi impossibile fare miglioramenti al sistema nel suo complesso; come è noto grandi scorte di materiali impediscono il flusso e sottrae risorse alle attività non a valore aggiunto. Il

Visual

Management

(VM)

è

una

strategia

manageriale

per

integrare

consapevolmente le informazioni visive (sensoriali) nei processi, per aumentare la trasparenza del processo e le capacità di autogestione in un luogo di lavoro, Viene generalmente adottato a livello operativo. Alcuni vantaggi de VM includono una maggiore condivisione e collaborazione di informazioni, l'autonomia dei lavoratori, l'eliminazione delle attività a non valore aggiunto (ad esempio, chiedere, contare,

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO chiedere, pensare, cercare, testare ecc.), ridurre i difetti / errori operativi, favorire un miglioramento continuo ed una veloce esposizione delle anomalie.

Per avere un flusso continuo di produzione bisogna migliorare i percorsi all'interno dello stabilimento, inoltre esiste la regola generale secondo la quale chiunque dovrebbe essere in grado di camminare in un luogo di lavoro e di identificare la sequenza del lavoro svolto entro 60 secondi.

A tal fine si utilizza il metodo delle 5T (Tei-ji, Teiichi, Tei-hyouji, Tei-ryou, Teishoku):

1) Tei-ji (Dove passare): in questo step si segnalano i percorsi al fine di poter ottimizzare i flussi di prodotti, delle informazioni, delle attrezzature e delle persone. Si disegnano delle linee in cui far passare le merci e le persone. Con i colori giusti nei posti giusti, si possono facilmente indirizzare i lavoratori sul percorso individuare le apparecchiature e aree di stoccaggio, aree pericolose, il traffico di carrelli elevatori e altro ancora.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Uno dei modi piÚ semplici e piÚ efficaci per realizzare visivamente questo Obiettivo è attraverso l'uso di nastro di marcatura. L'uso corretto del nastro di marcatura contribuisce a creare ordine e ritmo di lavoro nella propria struttura, ed elimina la confusione all'interno di una zona di lavoro. ln generale si utilizzano i seguenti colori:

2)Tei-chi (quale posizione): in questo step occorre definire le corrette locazioni per ogni cosa in modo che siano reperibili in modo facile, veloce e sicuro.

3)Tei-hyouji ( facile da cercare): organizzare il posto di lavoro in modo da standardizzare il posizionamento di ogni articolo, in modo che sia facile e veloce da cercarlo.

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4)Tei-ryou (quanto costa): definire il numero di materiale da tenere nel reparto al fine di controllarne la quantità.

5)Tei-shoku (come distinguo): al fine di prevenire errori, usare i colori. Gli Standard di colore di processo vengono utilizzati per organizzare i dati e per comunicare lo stato e la priorità del processo in atto con efficienza, senza parole e senza domande. Esse completano le istruzioni di lavoro esistenti e permettono di comunicare a colpo d'occhio. Senza questi standard, il tempo viene speso alla ricerca di ciò che è necessario aumentando il tempo a valore non aggiunto.

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FLUSSO DEI MATERIALI

Da un punto di vista logistico dobbiamo considerare che ogni componente di un prodotto deve essere consegnato dai magazzini interni fino alla fase di montaggio, senza difetti e nella migliore condizione d'uso. In generale ogni articolo (componente o materia prima acquistato) da consegnare ad un processo produttivo ha la sua complessità logistica, di seguito elencata in ordine di importanza: 1.il costo dell'articolo: dobbiamo considerare che più è alto il costo degli articoli, più il valore dell'inventario che si deve gestire aumenterà e, dal punto di vista economico, solo quando il pezzo è montato sul prodotto finito e poi venduto si avrà un ritorno di cassa. Ciò quindi significa che gli articoli più costosi sono molto complessi da gestire da un punto di vista logistico. 2.le caratteristiche fisiche dell'elemento: le dimensioni fisiche, il volume, il peso, la fragilità e le caratteristiche di obsolescenza possono richiedere un'attenzione particolare dal un punto di vista della gestione logistica; ad esempio l'utilizzo extra di spazio, gli sforzi fisici necessari per la manipolazione o ai mezzi di manipolazione specifici, l'uso di imballaggi specifici, ecc. Ciò comporta una difficile ed attenta gestione dei materiali da stoccare e da manipolare; 3. il numero di varianti di ogni singolo elemento: se le configurazioni del prodotto permettono opzioni speciali per il cliente, potrebbe essere che per ogni singola fornitura abbiamo un gran numero di varianti e ciò potrebbe richiedere l'utilizzo di spazio extra sulle linee, nonché nel magazzino, e potrebbe anche obbligare gli operatori ad impegnarsi in numerose attività NVAA.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Combinando questi tre criteri, è possibile valutare la complessità logistica per ogni elemento e assegnare una classifica ad ognuno di essi, che rappresenta il punto di partenza per ogni decisione relativa ai flussi di gestione dei materiali. Possiamo ipotizzare che un componente costoso e ingombrante, con molte varianti, resterà in cima alla classificazione, mentre i dadi e bulloni piccoli, economici e comuni occuperanno le ultime posizioni; Quindi, idealmente, il componente ingombrante e costoso non verrà immagazzinato nel magazzino ma sarà fornito direttamente al posto di lavoro, mentre i bulloni potranno essere gestiti anche da un magazzino interno. Una volta classificati, è possibile indentificare un modo per consegnare i materiali alla linea produttiva. -

Per esempio, usando uno dei seguenti criteri:

Sequenza del flusso: consegnando i materiali con la stessa sequenza di mix produttivo con cui vengono realizzati;

-

Flusso diretto: consegna dei materiali utilizzando sistemi Kanban;

-

Flusso indiretto: creando buffer intermedi o magazzini;

Una volta che conosciamo le politiche per alimentazione di parti e componenti al processo, dobbiamo determinare l'unità di movimentazione (quantità di elementi, merci che dobbiamo gestire durante una singola movimentazione) e la frequenza di alimentazione di ciascuno di essi al reparto. Per ogni elemento k la frequenza è determinata come: FFk=

đ?‘˘Ă—đ?‘ƒâ„Ž đ?‘ˆđ?‘˜

Dove: -đ?‘ˆđ?‘˜ è il numero di elementi inclusi nell’unitĂ di produzione - đ?‘ƒâ„Ž è la produzione teorica oraria ottenibile senza modifiche di lavorazione, ovvero: đ?‘ƒâ„Ž =60/đ?‘‡đ?‘ -đ?‘‡đ?‘ è il tempo di funzionamento standard, ovvero il tempo necessario per un ciclo di lavorazione

Il numero necessario di missioni di trasporto merci (Mn) per alimentare i sistemi di produzione con continuità , entro un certo periodo di tempo di lavoro (turno di lavoro, settimana, ‌), corrisponde a: Mn=OEE*FFk*Hp/N Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Dove: -Hp è l’orario di lavoro programmato del sistema(ore); -OEE è l’efficienza complessiva del sistema; -N è il numero di unità trasportate contemporaneamente, in relazione alla capacità dei vettori impiegati e alla composizione del trasporto dei lotti economici.

Step 2 Risistemare la logistica interna L'obiettivo dello step 2 è rivedere le modalità della logistica interna per ridurre i buffer e le

attività

non

a

valore

aggiunto

e

gli

altri

sprechi

logistici.

La logistica interna considera tutte le fasi che vanno dalla ricezione delle parti fino alla disposizione negli scaffali e/o nei contenitori appropriati che andranno successivamente sulla linea.

La merce ricevuta dal fornitore o dal corriere è

presa in carico dall'ufficio approvvigionamento, e, se non viene direttamente consegnata alla linea le parti devono essere prima immagazzinati e poi sequenziati in contenitori come definito dalla sequenza di montaggio della linea. Successivamente, i contenitori sono forniti alla linea, ad esempio con carrelli o con AGV, e, infine, le parti sono scaricati sulla linea, ad esempio, posizionando i contenitori su una cremagliera direttamente accessibile da un addetto all'assemblaggio. Tra gli obiettivi dello step è quello di asservire i materiali all'operatore in maniera efficiente ricercando la massima produttività fra WO e logistica nel rispetto dei principi ergonomici dei posti di lavoro, in cui gli operatori possono muoversi più facilmente riducendo al minimo lo sforzo fisico. L'ergonomia della postazione di lavoro si pone come obiettivo centrale la creazione di condizioni adeguate al lavoro dell'uomo e all'utilizzo delle apparecchiature tecniche e degli attrezzi.

MINIMAL MATERIAL HANDLING impiego di opportuni metodi e strumenti per la riduzione dei movimenti inutili e degli sprechi ad essi riconducibili. Tutti i componenti che non si possono prendere e assemblare facilmente sulla linea di montaggio richiedono vari movimenti che possono essere eliminati con una più accurata preparazione e predisposizione dei materiali. I sistemi di material handling devono Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO considerare anche i problemi della sicurezza (delle merci e delle persone) e della gestione delle informazioni associate alle merci stesse

I sistemi di material handling posso andare dalle semplici scaffalature porta pallet, ai carrelli elevatori, sino ai piĂš sofisticati sistemi di movimentazione (magazzini automatici, carrelli robotizzati LGV, trasportatori con decision point, shuttle, sorter, etc.).

Nell'ambito del material handling possono rientrare anche i robot di manipolazione, i vari tipi di pallettizzatori, i sistemi di fine linea di confezionamento e imballaggio (nastratrici, filmatrici, etc.). Oltre al miglioramento del posto di lavoro per migliorare la logistica interna occorre rivedere il layout aziendale. I diversi tipi di layout Produttivi che si possono avere vanno dalla tradizionale produzione a isole con buffer intermedi molto elevati, e fonte di sprechi, fino al flusso continuo basato su celle senza scorte intermedie. Per passare dalle isole alla produzione a celle, si può passare attraverso le soluzioni intermedie di isole connesse, ovvero dotate di convogliatori per il trasporto dei semilavorati, a isole connesse con sistemi di controllo che avvisano (segnale Pull) quando il semilavorato è pronto per la lavorazione successiva eliminando cosÏ i buffer.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Nella tabella seguente si riportano caratteristiche di efficienza, lead time, qualità e altri sprechi dei diversi layout. Giova osservare che la soluzione a celle è la migliore, tuttavia non sempre è applicabile immediatamente e bisogna quindi transitare attraverso le soluzioni intermedie. La configurazione del layout a flusso continuo dovrebbe essere ad l, a L o a U.

Oltre a intervenire sul layout della produzione si può modificare anche il layout dei magazzini a lato linea. Per effettuare le operazioni di picking o kitting si può adottare un layout con scaffalature facilmente accessibili disposte a U, ma caso per caso, è possibile evolverne la forma sulla base del principio di minimum material handling e della saturazione migliore delle attività di picking o kitting. Nella figura seguente si vede come un addetto con un carrello tipo supermercato passi tra le scaffalature e componga facilmente il carrello con il mix di materiali necessario a ciascuno dei punti di utilizzo riforniti sulla sezione di linea interessata.

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Passi necessari per definire il layout di un’area di picking: 1. Creare la lista dei part numbers per la linea di assemblaggio/lavoro che deve essere alimentata 1. Valutare il massimo livello d’inventario di ogni part number necessario per le operazioni 2. Identificare il contenitore appropriato e valutare la quantità di contenitori necessaria (andando a prendere in considerazione le confezioni e le quantità che arrivano dai fornitori) 3. Trovare una o più postazioni per posizionare gli elementi e i loro stock. Prendere in considerazione differenti postazioni e ipotesi di layout (U-shape, S-shape, UU-shape, I-shape). Di solito la forma ad U permette di ridurre il numero di passi. 4. Usare una matrice di valutazione per valutare differenti ipotesi basate su parametri come: la distanza, lo spazio a disposizione, etc. L’area di picking dovrebbe essere posizionata quanto più vicino possibile alla linea d’assemblaggio (la scelta è condizionata dallo spazio che si ha).

I principali vantaggi sono: •

Riduzione del buffer tra l’area di picking e il lato linea.

Nessuna sovrapproduzione: i carrelli vuoti sono il segnale per far partire un nuovo KIT.

Nessun lead-time nel consegnare il KIT (l’allestimento inizia vicino a dove escono i carrelli vuoti dalla linea d’assemblaggio ed è completato vicino al punto dove il KIT deve essere consegnato).

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La consegna è manuale e non richiede nessun mezzo di trasporto.

L’operatore incaricato della preparazione del KIT può vedere cosa accade sulla linea, e se avvengono inconvenienti può intervenire direttamente.

LAYOUT AD U La forma ad U è quella ideale per un area di picking. Permette di:

1. Ridurre le NVAA per il picker 2. Separare i 3 flussi di materiali: quello per il rifornimento dell’area di picking, quello per la preparazione dei kit/carrelli di sequenziamento e quello per la consegna alla linea d’assemblaggio. 3. Posizionare i carrelli pieni e vuoti in modo da ridurre i movimenti di entrambi i picker

Esempio layout ad U

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ALTRI TIPI DI LAYOUT Se il layout ad U non è fattibile a causa del poco spazio a disposizione e per l’elevato numero di elementi che devono essere movimentati all’interno dell’area di picking, possono essere utilizzate delle combinazioni del layout ad U.

SUPERMARKET II supermarket è un impianto di stoccaggio presente all'interno dello stabilimento, in cui gli operatori, che svolgono le attività caratterizzanti i vari processi produttivi, possono prelevare i materiali, le parti, i componenti e, in alcuni casi, i prodotti finiti. Il concetto baso del supermarket è di avere la stessa facilità nel prelievo dei prodotti che si ha quando si va in un normale supermercato. Le merci sono disposte in maniera ordinata su degli scaffali e l'unica cosa da fare è prendere quello che serve e passare allo scaffale successivo. Quindi il supermarket è una sorta di magazzino che segue delle regole ben precise: •

presenta una collocazione fissa per ogni codice;

permette un accesso facile per il prelievo dei pezzi;

permette una gestione visual;

garantisce il principio FIFO, first in first out;

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è progettato in modo tale da consentire il flusso di contenitori piccoli, contenitori su ruote e carrelli.

È un magazzino gestito, che consente di implementare un sistema pull. È situato tra i processi e consente un ammontare predeterminato di componenti. Un supermarket serve per diversi scopi: • fornire un modo per controllare la produzione tra flussi scollegati; • fornire istruzioni di produzione senza schedulazione oraria; • prevenire la sovrapproduzione.

SUPERMARKET LAYOUT •

Esistono diverse opzioni per i layouts dei supermarket: I-shape, II-shape, Lshape.

Il miglior layout possibile si basa su vari parametri come: – Numero di items gestito dal supermarket – Spazio disponibile

Layout supermarket

La strutturazione dei rifornimenti di logistica interna deve rispettare il concetto di consegna di quantità fisse a tempi variabili. Questa tipologia di sistemi di consegna è utilizzata per poter assorbire eventuali anomalie che si verificano sulla linea ed evitare sprechi quali sovrapproduzioni e attese. Note le quantità ed i tempi di consegna un altro problema è come far arrivare il materiale in reparto. I materiali devono infatti poter fluire sulle stazioni il più possibile in modo sincronizzato ed efficiente, evitando quindi la mancanza di materiale sulle linee, le movimentazioni inutili e gli sprechi nella loro gestione.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Sulle linee, ed in particolare su ciascuna stazione di lavoro, vi sono tre flussi fondamentali che devono essere necessariamente sincronizzati: il flusso prodotto che viene progressivamente assemblato avanzando sulla linea, il flusso delle operazioni o sequenza del ciclo di assemblaggio ed il flusso dei materiali o componenti da assemblare. L'esigenza di sincronizzare i flussi dei materiali determina la necessitĂ di prevedere dei buffer interoperazionali e lo stoccaggio di materiali presso le stazioni, per svincolare il flusso delle operazioni e quello dei materiali.

Il flusso del prodotto che viene progressivamente assemblato avanzando sulla linea prevede l'attraversamento in successione delle stazioni di assemblaggio secondo la sequenza prevista dal ciclo di montaggio. I lotti con cui si decide di realizzare i diversi modelli di prodotto sulla linea, sono dimensionati in base a logiche che si prefiggono di minimizzare i problemi legati al set up della linea e di massimizzare il livello di servizio verso il magazzino prodotti finiti/mercato. Le caratteristiche del flusso prodotto che viene progressivamente assemblato avanzando sulla linea (ad es. l'esigenza di disaccoppiare il ritmo di lavoro delle stazioni, con la predisposizione di buffer interoperazionali) determinano

le

caratteristiche

funzionali

del

sistema

di

material

handling.

Per raggiungere una gestione ottimale del flusso logistico è importante individuare quali sono i tempi intercorrenti tra la generazione della informazione di richiesta del materiale e il momento in cui, con i mezzi a disposizione, si è in grado di consegnare i materiali richiesti al punto di utilizzo. In base alla scelta del tipo di flusso, è possibile, o meno, ridurre

eventuali ritardi dovuti

alla

consegna

della merce oppure

al loro

approvvigionamento. Nella figura seguente sono rappresentati in maniera schematica le differenti tipologie di flusso, che si possono essere implementate tra un fornitore e il suo cliente:

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Ogni tipologia ha caratteristiche specifiche.

Nel caso di flusso JIT (just in time) i diversi prodotti sono ordinati al fornitore che, solo dopo aver ricevuto l'ordine, li produce e li invia alla linea di produzione. Se dapprima l'ottica comune sulla gestione della produzione era di genere "push" in cui il prodotto veniva "spinto" dalle fasi iniziali (materie prime) fino all'uscita (prodotto finito), ora si parla di produzione "pull" in cui si produce solo ciò che il cliente vuole, nelle quantità che vuole, quando vuole. Questo significa che la produzione è tirata dall'ordine del cliente ed estremizzando i lotti di produzione possono essere ridotti fino ad un unico pezzo (concetto del "one piece flow"). È quindi il flusso più snello possibile: ci sono poche scorte, cioè solo quelle sulla linea di produzione del fornitore e la merce in viaggio o in movimento in fabbrica. Il tempo di attesa tra il momento in cui si emette l'ordine e il momento in cui arriva a disposizione dell'operatore in linea (Lead Time) è pari al tempo di produzione del fornitore più il tempo di trasporto e di movimentazione interna alla fabbrica. Tale flusso tipico del TPS è volto a ridurre ogni forma di spreco, in quanto i componenti vengono consegnati nella quantità in cui saranno consumati, seguendo quello che può anche essere definito flusso teso. I componenti vengono consegnati in specifiche aree di stoccaggio momentaneo situate vicino al punto di utilizzo. Non esiste Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO un magazzino di elementi, il che permette di avere bassi livelli di stock, bassi i lead time e bassi costi di movimentazione.

Nel caso di Sequenziamento Esterno, i diversi prodotti sono ordinati al fornitore che, dopo aver ricevuto l'ordine, preleva dal suo magazzino i prodotti e allestisce la spedizione per la linea produttiva. I prodotti erano quindi già presenti nel magazzino del fornitore. ln questo caso, quindi, è necessario che il fornitore abbia un magazzino di prodotti diversi. Il lead time è, in questo caso, pari al tempo necessario per prelevare, allestire la spedizione nel magazzino del fornitore, più il tempo di trasporto e di movimentazione interna alla fabbrica. È bene sottolineare che Just ln Sequence è un Just ln Time organizzato a seconda delle logiche di assemblaggio. Si possono avere diversi modelli di organizzazione del JIS.

JIS 1 La caratteristica principale di questo tipo di flusso è il fatto che il sequenziamento avviene già in casa del fornitore; in questo modo, dunque, la sequenza di assemblaggio comanda la produzione il più a monte possibile. Come possiamo dunque facilmente comprendere questo tipo I flusso e quello che maggiormente rispetta le logiche Lean.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO JIS 2 La caratteristica principale di questa seconda JIS sta nel fatto che le logiche di assemblaggio non vengono più rispettate il più a monte possibile, ma si fermano "al di fuori" della linea del fornitore; in altre parole il fornitore produce con le logiche secondo lui più consone, dopodiché utilizza un'apposita area denominata area di sequenziamento all'interno della quale ordina gli elementi secondo quelle che saranno le sequenze di assemblaggio, prelevandoli da uno stock di prodotti finiti ed inviando il tutto, rigorosamente nell'ordine corretto, al cliente. Se quella precedente era una produzione in sequenza, questo può essere definito trasporto in sequenza.

JIS 3 Questo particolare tipo di flusso è indiretto; il fornitore, in questo caso, invia la merce in ordine sparso senza seguire le logiche di assemblaggio imposte dagli ordini del cliente a valle. Vi è un punto intermedio tra stabilimento del fornitore e stabilimento del cliente rappresentato da un magazzino, all'interno del quale le merci in arrivo vengono stoccate per poi essere sequenziate a seconda degli ordini che arrivano dal plant secondo quella che è una logica kanban. Quindi la sequenza di assemblaggio influenza solamente il carico/scarico delle merci presso il magazzino cliente. Come possiamo dunque intuire ogni variante del just in Sequence rappresenta un passo in più verso l'allontanamento dalle logiche lean. A supporto di questa affermazione vi è il fatto che sorgono stock di entità sempre maggiore. Inoltre, man mano che ci si allontana dalla condizione ideale, crescono lead time, costo di movimentazione e livello di stock.

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JIS 4/5 Entrambe queste tipologie di JIS prevedono che il sequenziamento avvenga all’interno di un’apposita area all’interno dello stabilimento cliente dopo il trasporto dal magazzino. Entrambe queste ultime due tipologie di processo potranno essere accoppiate con un precedente flusso Just In Time o con uno Indiretto che verranno analizzati successivamente

JIS 4 In questo caso il sequenziamento è svolto nell’area di produzione da dipendenti interni dell’azienda. JIS 5 In questo caso, invece, sono dipendenti esterni coloro che sono preposti al sequenziamento.

FLUSSO INDIRETTO 1 Nel caso di Flusso Indiretto, ciascun codice viene ordinato al fornitore che provvede a prelevare dal suo magazzino e a spedire alla linea di produzione un contenitore che Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO contiene solo pezzi di quel codice. Anche qui il fornitore ha un magazzino di prodotti, ma in questo caso non deve comporre la spedizione con prodotti diversi. La logica tipica di questo particolare flusso è caratterizzata da una produzione volta a creare stock (push). Con questa soluzione, dunque, il lead time, cioè il tempo che intercorre tra quando un elemento entra in produzione e quando esce sotto forma di prodotto finito, si dilata, così come i costi di movimentazione dovuti alla presenza di magazzini temporanei, i quali vengono comunque collocati in aree limitrofe al punto di utilizzo per evitare che i tempi si dilatino ulteriormente e che si vengano dunque a creare gravi inefficienze logistiche.

FLUSSO INDIRETTO 2 La differenza tra Indiretto 1 ed Indiretto 2 sta nella tipologia di stoccaggio: nel primo caso lo stoccaggio è temporaneo, ha cioè una durata inferiore, mentre nel secondo caso si parla di veri e propri magazzini; di conseguenza il lead time ed il livello di inventario aumentano ulteriormente

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO FLUSSO INDIRETTO 3/4 ad esempio, in cui si operi con un flusso indiretto 3 e poi dalla zona di consolidamento gli elementi vengano sequenziati oppure venga creato un kit andando ad inserire in un apposito contenitore elementi provenienti da più fornitori. Anche in questo caso la differenza tra Indiretto 3 ed Indiretto 4 sta in chi gestisce le operazioni logistiche: nel primo caso si tratta di dipendenti dell'azienda cliente, mentre nel secondo di dipendenti appartenenti ad un operatore logistico.

FLUSSO DI SEQUENZIAMENTO INTERNO Il flusso di Sequenziamento Interno, si differenzia a seconda che il materiale arrivi direttamente

sulla

linea

produttiva

(Flusso

Diretto)

o

se

avvenga

un

sequenziamento in un'area del magazzino o in un'area di sequenziamento (Picking) prossima al punto di utilizzo. Nel caso di sequenziamento nel magazzino, i prodotti arrivano dai fornitori in contenitori diversi e quando la linea ha bisogno di una certa sequenza o di un certo kit, questo viene allestito presso il magazzino. Nel caso di area di sequenziamento applicabile nella condizione di scarso tempo di Precessione disponibile per rifornire il materiale sequenziato, si alimenterà l'area di sequenziamento (Picking) dal magazzino interno (double handling) o di preferenza direttamente dal fornitore quando tecnicamente possibile. ln questo caso il lead time è pari al tempo necessario in azienda per sequenziare o allestire il kit e trasportarlo alla

linea

di

produzione.

Giova qui definire cosa s’intende per “Area di picking”, essa consiste in una struttura di magazzino interno/esterno o di officina in prossimità della linea appositamente Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO predisposta per svolgere le attività di picking o prelievo di un mix di materiali di diversa tipologia organizzato per famiglie e codici, per consentire il rifornimento di un mix coerente con gli effettivi assorbimenti, migliorando il livello di presentazione dei materiali nel Punto di Utilizzo.

FLUSSO DIRETTO (LINE STOCKING) Il metodo più semplice di alimentazione dei materiali è lo stoccaggio di linea, a volte indicato anche come alimentazione di massa, rifornimento continuo, o flusso Diretto. ln questo caso ciascun codice viene ordinato al fornitore che provvede a prelevare dal suo magazzino e a spedire alla linea di produzione un contenitore che contiene solo pezzi di quel codice. Anche qui il fornitore ha un magazzino di prodotti, ma in questo caso non deve comporre la spedizione con prodotti diversi. ln tale ambito le parti sono forniti alla linea di montaggio in quantità maggiori di uno, all'interno di un apposito contenitore. ln un sistema a due bin un nuovo ordine viene effettuato quando il primo contenitore è esaurito. Il secondo bidone poi copre il lead time di consegna e fornisce anche una scorta di sicurezza. Prima che il secondo contenitore sia finito il nuovo ordine sarà arrivato.

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DOWNSIZING Oltre all'approvvigionamento diretto sulla linea, a volte le parti sono prima preconfezionati, ovvero dai grandi contenitori arrivano in recipienti più piccoli prima di essere forniti alla linea. Questo sistema di materiali di alimentazioni è chiamato ‘ridimensionamento’.

SEQUENZIAMENTO Il sequenziamento significa che le parti non sono posizionati a bordo linea in massa ma sono forniti alla linea al momento e quantità necessaria secondo il programma di assemblaggio.

Nel caso di flusso Sequenziamento Interno,

esso si divide in due a seconda che il sequenziamento

avvenga direttamente in

un'area del magazzino o in un'area di sequenziamento (Picking) prossima al punto di utilizzo.

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Nel caso del magazzino, arrivano i prodotti dai fornitori in contenitori diversi e quando la linea ha bisogno di una certa sequenza o di un certo kit, questo viene allestito presso il magazzino. Infine, le parti possono anche essere raggruppati in kit, prima di essere forniti alla linea. Un kit quindi supporta uno o più operazioni di assemblaggio per un dato prodotto finale. Specialmente in un ambiente con un'alta varianza mixed-model ogni kit sarà differente e ogni kit sarà sequenziato secondo il programma di assemblaggio.

La quantità esatta di componenti necessari sono memorizzati nei contenitori del kit vicino le postazioni di montaggio a bordo della linea e i riordini sono effettuati secondo il programma di assemblaggio che si basa sul ciclo di assemblaggio o sul takt time. ln genere è applicabile nella condizione di scarso tempo di precessione disponibile per rifornire il materiale sequenziato, si alimenterà l'area di sequenziamento (Picking) dal Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO magazzino interno (double handling) o di preferenza direttamente dal fornitore quando tecnicamente possibile. ln questo caso il lead time è pari al tempo necessario in azienda per sequenziare o allestire il kit e trasportarlo alla linea di produzione.

Flusso Disaccoppiato Nel caso di Flusso Disaccoppiato, ciascun prodotto si trova nel magazzino da cui viene prelevato singolarmente quando la linea lo richiede; in questo caso occorre prevedere un sistema di “chiamata” dei materiali nel reparto. I sistemi di chiamata: Il patrolling o chiamata "a vista" è il sistema di chiamata materiale. Per patrolling si intende l'utilizzo di pattugliatori, cioè persone dedicate che percorrono le linee ispezionando i contenitori di materiale per verificare il livello di scorta rimanente e provvedono a fare una chiamata per il rifornimento al magazzino. Si tratta di un sistema destrutturato che porta al paradosso della gestione del materiale: le linee sono sature di materiale in attesa di essere lavorato ma il materiale necessario non si trova. La logistica lean ha cambiato radicalmente la modalità di chiamata dei materiali a bordo linea sostituendo la tradizionale 'Chiamata a Vista’ o Pattugliamento con quelle più strutturate ed efficienti: -

con Pulsante

-

con Countdown

ln aggiunta all'utilizzo di contenitori standardizzati e di piccole dimensioni, può risultare conveniente realizzare un'alimentazione sincronizzata/sequenziata per i componenti ingombranti o di valore, trasferendo a monte (fornitore o terzista) questa logica. I sistemi di chiamata sono i sistemi utilizzati per segnalare la necessità di rifornimento del materiale tra il processo cliente e il processo fornitore siano essi intesi come entità distinte quali ad esempio stabilimento cliente e stabilimento fornitore siano essi intesi come tratti diversi dello stesso processo connessi tra loro. Il Kanban è il sistema di chiamata più semplice ed economico che esista. Letteralmente Kanban significa cartellino e sta ad indicare il supporto attraverso il quale vengono trasmessi gli ordini di produzione e di prelievo del materiale tra le diverse fasi produttive. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Attraverso il kanban vengono riforniti solo i pezzi necessari per rimpiazzare quelli consumati. Funzionamento: -La cassetta o il contenitore contenente il materiale si svuota, l'operatore di linea ripone la cassetta nello spazio per i vuoti; -L'operatore logistico trasporta la cassetta vuota fino al magazzino; - Nel magazzino lo stesso operatore logistico provvede a sostituire la cassetta vuota con una piena; - la cassetta piena viene consegnata alla linea. La chiamata tramite pulsante è utilizzata per minimizzare le scorte sulla linea. Rispetto al kanban infatti (che necessita due contenitori per ogni materiale sulla linea) i sistemi che sfruttano la chiamata tramite pulsante permettono di utilizzare un solo contenitore sulla linea. Tale sistema viene utilizzato principalmente per i materiali sequenziati, specialmente bulky. Funzionamento: -Il contenitore a lato linea raggiunge il livello di scorta minima a cui è necessario far partire l'ordine, l'operatore preme il pulsante per segnalare la necessità di rifornimento; -La chiamata viene Inviata al magazzino dove un segnale (generalmente luminoso) segnala la necessità di rifornimento; -L'operatore a magazzino prepara il materiale; -il materiale viene consegnato alla linea

La chiamata tramite Bill of Material (BOM) o countdown è utilizzata per minimizzare le scorte sulla linea e svincolare la chiamata dall’intervento umano. La chiamata è realizzata da un sistema che leggendo la sequenza che passa sulla linea calcola la necessità di materiale e invia un segnale al magazzino. Funzionamento: -Il sistema legge la sequenza sulla linea calcolando il fabbisogno di materiale; - Il sistema invia la chiamata al magazzino dove un segnale (generalmente luminoso) segnala la necessità di rifornimento; -L'operatore a magazzino prepara il materiale; -Il materiale viene consegnato alla linea. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Water Spider o Mizusumashi La persona responsabile dell'alimentazione in linea tra l'area del supermercato / Kitting sequenziamento dove raccoglie le parti e dove li consegna può avere diversi compiti: -

floater se gli operatori sono addestrati a spostarsi tutto il giorno tra le diverse posizioni a seconda del takt time o tempo di ciclo e il fabbisogno di materiale;

Il Mizusumashi (o Water Strider) è un operatore a cui viene assegnato un compito specifico come ad esempio il rifornimento delle scorte di materie prime, comunicare lo stato della produzione, mantenere metriche visive, ecc ... Un water spider è come ‘un'equipaggio di un pit stop per il team di produzione, senza il quale sarebbe impossibile vincere o anche correre la gara.

Step 3 Risistemare la logistica esterna L'obiettivo dello step 3 è di rivedere la logistica esterna in particolare il rapporto con i fornitori e il sistema di trasporto allo scopo di ridurre gli sprechi, aumentare l'efficienza dei mezzi e mettere a flusso la produzione e gli approvvigionamenti. Ci sono 5 interventi tipici che sono usati per migliorare le performance della logistica esterna. I primi due sono il trasporto misto e il carico misto (milk run). ln questi casi si caricano sullo stesso camion prodotti che vengono da fornitori diversi; ovvero il fornitore invece di mandare il suo camion a prendere la merce presso ogni singolo fornitore vi è un solo un camion che fa il giro di tutti i fornitori. ln questo modo, ciascun fornitore può fare spedizioni più piccole poiché il camion sarà riempito con i prodotti anche degli altri fornitori.

Questa soluzione ha il vantaggio di aumentare la saturazione dei camion e di ingrandire la frequenza di arrivo dei componenti e quindi di ridurre le dimensioni medie del "lotto” di consegna con conseguente riduzione delle scorte di stabilimento. Un terzo intervento tipico che si può svolgere per ridurre gli sprechi è la standardizzazione degli imballi. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Un quarto intervento consiste nel ricorrere il più possibile a consegne dirette dal fornitore alla linea di produzione, senza lasciare la merce in magazzini intermedi. Infine per ridurre i costi, bisogna utilizzare i trasporti disponibili internamente, anche per il trasporto esterno. Step 4 Livellare la produzione L'obiettivo dello step 4 è livellare la produzione in ogni fase per fare in modo che tra le diverse parti del sistema produttivo non ci siano buffer intermedi. Questo significa che per esempio il reparto 1 deve produrre solo la quantità richiesta dal reparto 2. Per fare questo bisogna arrivare a un sistema produttivo che in tutte le sue parti riesce a produrre basse quantità e elevata varietà, producendo solo quello che serve rispettando il piano, ad esempio anche per i set up.

ONE PIECE FLOW

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LINEA CHAKU-CHAKU

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Step 5 Raffinare la logistica interna ed esterna L'obiettivo dello step 5 è perfezionare la logistica esterna ed interna intervenendo in particolare sull'intero ciclo di fornitura delle parti alle linee di assemblaggio e sulla realizzazione di identici lotti produzione nelle diverse fasi di lavoro. Avere la stessa dimensione dei lotti nelle diverse fasi e lo sforzo per produrli nella stessa sequenza e al tempo opportuno, trasportandoli al momento opportuno, conduce a una sincronizzazione dell'intero sistema: •

Rifornimento ciclico.

Cadenza/lotto unico.

Linearizzare i flussi (streamline flows).

Cambio imballi.

Step 6 Integrare rete di vendita, produzione e acquisti Nello step 6 l'integrazione e la sincronizzazione vengono estesi alle vendite, alla distribuzione e agli acquisti per raggiungere un sistema logistico integrato e creare un flusso accurato. Questo si ottiene per esempio migliorando la flessibilità e la capacità di handling e definendo metodi e procedure standard per la ricezione e fornitura dei componenti. Lo step 6 si realizza anche attraverso un sistema di decisioni che consente di orientare le vendite in relazione al beneficio che questo procura nel flusso manifatturiero (livellamento), inteso come produzione in catena delle forniture. Le decisioni che ne scaturiscono consentono di ottimizzare i risultati complessivi, attraverso una negoziazione interna che deve essere basata sul valore apportato all'azienda dalle singole scelte, le quali devono essere guidate sempre da una valutazione benefici/costi. Step 7 Adottare una sequenza-metodo di programmazione a tempo prefissato Nello step 7 l'obiettivo è di arrivare ad adottare un metodo di schedulazione basato su una sequenza a tempo prefissato in modo da creare un flusso totalmente sotto controllo. Questo si ottiene migliorando ulteriormente il sistema logistico sino a poter applicare un sistema di schedulazione a tempi prefissati e certi. Questo porta a raggiungere la piena sincronizzazione tra vendite, produzione, acquisti e fornitori raggiungendo lo stock minimo di articoli a magazzino.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Non essendoci scarti e dato che la produzione rispetta perfettamente il piano, i particolari richiesti sono prodotti in tempo e possono essere consegnati al cliente esattamente come concordato. Il flusso sarĂ allora totalmente sotto controllo.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 10 MANUTENZIONE PROFESSIONALE ED AUTONOMA

La manutenzione si trova al centro di un crocevia strategico per il progresso e lo sviluppo della vita dell’uomo. Infatti, è del tutto evidente che il “mantenimento” di un bene, cioè il complesso di azioni necessarie a far sì che questo svolga efficientemente la funzione per cui è stato realizzato, è un’attività che ha ricadute fondamentali non solo sull’economia ma anche sull’ambiente, sulla sicurezza e sulla società in generale. Le ricadute economiche sono evidenti. Come vedremo nel seguito, ogni bene di qualunque tipo deve essere considerato come elemento avente un ciclo di vita definito, per il quale occorre valutare preventivamente non solo i costi iniziali (studio, progettazione e realizzazione) ma anche quelli di esercizio (esercizio e manutenzione) nonché quelli finali (dismissione o riqualificazione). La manutenzione non ha soltanto scopi relativi all’efficienza e quindi alla resa economica di un bene bensì anche alla sicurezza dei lavoratori (e/o utilizzatori) e alla salvaguardia dell’ambiente. Se il primo aspetto, quello economico, va considerato come un obiettivo che il gestore del bene si pone, gli ultimi due aspetti, ambiente e sicurezza, vanno considerati dei veri e propri vincoli per l’azione di gestione. La Manutenzione si configura ormai come disciplina autonoma e indipendente rispetto al bene a cui si riferisce. L’ingegneria di manutenzione, infatti, assicura il passaggio dall’analisi del sistema progettato e realizzato alla progettazione e gestione della manutenzione. Pur essendo del tutto evidente la necessaria integrazione tra le discipline di progettazione del bene e della progettazione della sua manutenzione, quest’ultima presenta alcune peculiarità e metodologie proprie. In particolare, occorre sottolineare che progettare la manutenzione implica l’introduzione di elementi di incertezza aggiuntivi rispetto alla consueta progettazione dei beni e servizi. L’ingegneria di manutenzione richiede pertanto: -

Metodologie di analisi qualitative e quantitative

-

Tecniche analitiche

-

Tecniche di simulazione

-

Tecniche informatiche

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Tali tecniche vengono oggi integrate da metodologie operative ed organizzative che sfruttano la disponibilità, a costi sempre più competitivi, di strumenti tecnologici per la diagnostica e la trasmissione dati. La specializzazione in questo campo fa sì che sia possibile che i sistemi vengano monitorati in remoto da gestori, eventualmente esterni all’azienda, pronti ad intervenire solo quando è effettivamente necessario. La gestione della manutenzione vede oggi il consolidarsi di approcci quali: − la manutenzione produttiva (TPM: Total Productive Maintenance), che si ispira alle filosofie di management giapponesi (TQC, JIT, Lean Production) e che prevede l’obiettivo di ridurre a zero le perdite per guasti e per scarti mediante un pieno coinvolgimento del personale di produzione nella risoluzione delle problematiche di manutenzione, sia attraverso un’analisi accurata e con metodologie appropriate di ogni singolo guasto sia mediante l’applicazione di piccoli interventi di manutenzione da parte del personale dio produzione stesso (automanutenzione); − l’outsourcing e il Global Service: l’intera gestione del processo di manutenzione viene sempre più affidata ad aziende di servizio esterne dotate di specifiche competenze e con mission integralmente focalizzata sulla manutenzione; il massimo beneficio di questo tipo di operazione si realizza con il cosiddetto contratto di Global Service, dove l’assuntore esterno è unico per diverse categorie di servizi (con ovvi benefici economici complessivi) e soprattutto il contratto è basato sui risultati; − il controllo in remoto, attraverso strumenti di diagnostica sofisticati collegati alla rete mediante server dedicati, che consente di “esternalizzare” anche fisicamente una parte rilevante (ingegneria e controllo) del processo manutentivo.

10.1

L’EVOLUZIONE DEL SERVIZIO MANUTENTIVO

Per comprendere meglio il moderno concetto di manutenzione e del servizio richiesto a questa funzione nei contesti aziendali attuali, è utile ripercorrerne in breve l’evoluzione. Nella prima metà del ventesimo secolo le aziende manifatturiere cominciarono a mostrare interesse verso le tematiche manutentive, spinte dall’esigenza di mitigare l’effetto dell’evento di guasto. Impianti strutturalmente semplici venivano così forzatamente sovradimensionati rendendo sufficiente ricorrere alla sola strategia di manutenzione correttiva (a guasto): in caso di guasto gli impianti, in virtù del loro

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO sovradimensionamento, erano in grado di recuperare in poco tempo il fermo dovuto all’intervento manutentivo. Con l’avvento della Seconda guerra mondiale diventò urgente aumentare la produttività delle aziende meccaniche, le quali ricorsero perciò ad impianti più complessi ed costosi. La maggiore complessità implica un incremento della probabilità di rottura del macchinario e per evitare di subire frequenti fermi produttivi si cominciò e preferire la manutenzione preventiva a quella correttiva. Il boom economico degli anni Sessanta cambiò radicalmente il modo di produrre grazie alle nuove strategie e alle nuove politiche che si introdussero per ottenere quella flessibilità operativa fondamentale nel fronteggiare il nuovo mercato. Nuove strategie e nuove politiche furono adottate dalle imprese anche per gli aspetti manutentivi, per non risultare vittime del progresso tecnologico in piena espansione. Nacque il concetto di manutenzione su condizione, secondo il quale l’intervento risolutivo va realizzato basandosi sullo stato di operatività degli impianti stessi, che andò ad affiancare le politiche manutentive precedenti comunque ancora impiegate. Allo stesso tempo, maggiore interesse fu prestato alla gestione dei materiali di ricambio e alla programmazione degli interventi sugli equipments industriali. Inoltre, si avvertì il bisogno di avvalersi di una serie di valori e indicatori oggettivi del livello prestazionale degli impianti che portarono allo sviluppo e alle prime applicazioni della teoria affidabilistica. Da questa breve introduzione emerge in maniera evidente quanto l’evoluzione del mercato abbia condizionato fortemente l’evoluzione stessa della funzione manutentiva: si è passato, nel corso degli anni, dalla semplice manutenzione a guasto all’adozione di strategie molto più complesse e ragionate. Gli stessi conduttori degli impianti hanno visto mutare il loro ruolo e sottoporsi ad un inevitabile accrescimento delle proprie conoscenze per poter svolgere le attività e assumersi quelle responsabilità che in precedenza erano demandate solo ai manutentori. In aggiunta, per riuscire a prevedere il comportamento degli equipments e le possibili cause all’origine delle failure, in modo tale da poter anticipare spiacevoli fermi produttivi, sono state affinate le diverse tecniche già a disposizione e ne sono state introdotte di nuove, come: •

La teoria affidabilistica;

• •

Le tecniche di Fault Tree Analysis; I modelli di ottimizzazione per le politiche ispettive e preventive;

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO •

Gli algoritmi di gestione e previsione del fabbisogno di ricambi;

Adeguati sistemi informativi.

Come anticipato, negli ultimi anni, macchinari e impianti industriali hanno raggiunto un livello di automazione e complessità molto elevato, di conseguenza anche i capitali investiti sono aumentati in pari misura, obbligando le aziende ad impegni finanziari gravosi e prolungati nel tempo. Diventa, quindi, importante fare in modo che l’impianto, una volta realizzato, non sia interessato da fermate causate da guasti o difettosità, così da scongiurare ripercussioni pesanti sui costi e sui tempi di produzione. A queste considerazioni vanno aggiunte quelle in merito all’aumento della competitività che ha interessato il mercato intero, il tutto per dedurre il ruolo che la manutenzione ha assunto nel diventare una leva mirante all’ottenimento di un vantaggio competitivo e al miglioramento continuo. Questa nuova prospettiva obbliga una visione integrata tra produzione e manutenzione, con quest’ultima capace di operare su tutti gli aspetti operativi e di prevedere il comportamento degli impianti per evitare fenomeni di rottura. Gli strumenti a disposizione sono quelli già descritti, sostanzialmente più efficaci che nel passato: la teoria affidabilistica, i modelli di ottimizzazione, gli strumenti informatici e diagnostici di ultima generazione e un ampio bagaglio di conoscenze, sono un valido supporto per le attività che la manutenzione deve svolgere. In sintesi, la fondamentale differenza dal passato è dettata dalla forte spinta “proattiva” che la manutenzione è obbligata a sostenere a causa del fatto che il perfetto funzionamento di un centro di lavoro dipende da un numero molto maggiore di parametri. Quanto messo in luce evidenzia che nel passato la manutenzione era condotta secondo un approccio “intuitivo”, quindi non con gli stessi criteri di ottimizzazione con cui si è sviluppato il moderno approccio al miglioramento continuo. Solo recentemente alla manutenzione è stato riconosciuto il compito di funzione corresponsabile del buon andamento dell’impresa e ad inquadrarla con maggior precisione all’interno delle attività produttiva. Non a caso il gestore del servizio manutentivo ha perso nel tempo il semplice ruolo di operatore/caposquadra per assumere sempre più il ruolo di manager, occupandosi sia dell’aspetto tecnico che di quello economico e progettuale, inserendo così una nuova figura nell’organigramma aziendale. In tal senso risulta evidente l’importanza delle relazioni che, un servizio complesso come questo, deve gestire con le altre funzioni. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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10.2 Definizioni Si riportano di seguito alcune definizioni fondamentali utili per entrare nel campo disciplinare della manutenzione.

Entità “Ogni parte, componente, dispositivo, sottosistema, unità funzionale, apparecchiatura o sistema che può essere considerata individualmente.” Un’entità può essere hardware o/e software e può includere, se del caso, anche delle persone.

Manutenzione (UNI 9910) “Combinazione di tutte le azioni tecniche ed amministrative, incluse le azioni di supervisione, volte a mantenere o a riportare un’entità in uno stato in cui possa eseguire la funzione richiesta”. Si evidenziano nella definizione dell’UNI tre concetti fondamentali: − la varietà e la complessità delle azioni incluse nella dizione manutenzione (progettazione, programmazione, esecuzione, controllo, miglioramento continuo, ecc.); − “mantenere o riportare”: sono parte integrante della manutenzione sia le azioni correttive (dopo il guasto) sia le azioni preventive o migliorative volte alla prevenzione del guasto; − la finalità della manutenzione è mantenere o riportare l’elemento nelle condizioni di svolgere la “funzione richiesta”.

Guasto (UNI 13306) “Il guasto è la cessazione dell’attitudine di un’entità a eseguire la funzione richiesta. Il guasto determina quindi, come conseguenza del suo accadimento, l’inabilità dell’entità ad eseguire la funzione cui è preposta”.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La definizione pone in luce ancora il concetto di guasto in riferimento alla funzione attesa dall’elemento. In questo senso non vi è descrizione fisica (rottura, interruzione ecc.) bensì unicamente la cessazione dell’erogazione della funzione richiesta. In questo senso le definizioni che precedono possono essere applicate a qualunque componente o sistema di qualunque complessità, finalizzato a realizzare la produzione di un bene o di un servizio a svolgere una determinata attività avente valore per l’utente finale. I guasti possono essere classificati in base: a) Alla causa scatenante. A tale proposito si riconoscono: •

guasti dovuti alla progettazione (mancata considerazione di effetti o casi d’uso)

guasti legati alla produzione (mancato rispetto delle specifiche di progetto)

guasti legati all'utilizzo (utilizzo improprio)

guasti legati all'invecchiamento o all'usura

b) Alla modalità di verificarsi. In tal senso vanno distinti i guasti dovuti a: •

rotture istantanee (es: foratura di uno pneumatico);

accumulazione di servizio prestato (es: perdita di aria dello pneumatico per

usura); •

rilassamento, legati all'aumento di probabilità di guasto a seguito del guasto di

altri componenti (es: esplosione dello pneumatico per irrigidimento della sospensione); •

più cause combinate

Affidabilità “Si definisce affidabilità la probabilità che un componente (elemento industriale) stia lavorando regolarmente (secondo gli standard di servizio assegnati) dopo un certo tempo e secondo certe condizioni di lavoro”. La definizione mette in luce l’elemento di incertezza inevitabilmente legato al concetto di manutenzione. Infatti, l’affidabilità è la probabilità che un dato componente non si guasti (ovvero non presenti deviazioni dal comportamento descritto nella specifica) in un determinato lasso di tempo. Esempio n.1: - L’affidabilità di una lampada al neon può essere del 98% a 2000 ore in interni. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO - Per la stessa lampada, installata esternamente, R=93% a 2000 ore. Esempio n.2: A paritĂ di condizioni di lavoro, un impianto produttivo ha un’affidabilitĂ del 90% dopo 300 ore di lavoro e dell’80% dopo 500 ore di lavoro. Cioè la probabilitĂ che l’impianto non si guasti dopo 300 ore di lavoro è del 90%. Tale probabilitĂ scende all’80% dopo 500 ore di lavoro.

10.3 Elementi di Teoria dell’AffidabilitĂ 10.3.1 Grandezze affidabilistiche Il concetto di affidabilità è strettamente legato a quello di funzionamento, ovvero di non funzionamento, e pertanto al processo di rottura di un generico componente o sistema. Questo processo dipende da numerosi fattori, molti dei quali non controllabili. Possiamo definire l’affidabilitĂ come la probabilitĂ per il singolo componente (o sistema) di essere ancora funzionante al tempo t (ovvero dopo un intervallo di tempo da 0 a t). Quindi se consideriamo un campione di componenti costituito da un grande numero N 0 di elementi uguali e funzionanti al tempo t=0 in determinate condizioni operative e ambientali, detto Nv il numero degli oggetti funzionanti al tempo t e Ng il numero di oggetti guasti al tempo t, possiamo dire che l’affidabilitĂ R(t) è pari a: đ?‘…(đ?‘Ą) =

đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) đ?‘ 0

L’inaffidabilitĂ , invece, è la probabilitĂ che il singolo componente sia guasto al tempo t (ovvero dopo un intervallo di tempo da 0 a t): đ??š(đ?‘Ą) =

đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą) đ?‘ 0

Quindi, il tempo a guasto, cioè il tempo che intercorre dall’inizio dell’operativitĂ del componente fino al suo guasto (cessazione della funzione), non è un a grandezza deterministica ma casuale. Indicata questa variabile aleatoria con la lettera t, si può definire la distribuzione di probabilitĂ (pdf - probability density function, o frequenza di guasto nel caso discreto) come quella funzione f(t) tale che la probabilitĂ infinitesima che il componente si guasti al tempo t o in un suo intorno infinitesimo dt è pari a f(t)dt. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Figura 1 – funzione densitĂ di probabilitĂ di guasto Per questa funzione vale la ben nota condizione di normalizzazione: ∞

âˆŤ đ?‘“(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą = 1

(1)

0

La esprime il fatto che la probabilitĂ che si verifichi un guasto in un tempo operativo infinito è pari all’unitĂ , che equivale a dire che un qualunque componente ha la certezza di guastarsi se fatto lavorare indefinitamente.

Un altro modo per definire la funzione densitĂ di probabilitĂ di guasto è il seguente: consideriamo le variazioni della funzione F(t) ad intervalli discreti di ampiezza Δt, si può definire la funzione f(t) come đ?‘“(đ?‘Ą) =

ΔF(t) ΔNđ?‘” (đ?‘Ą) 1 = ∙ Δt Δt đ?‘ 0

Per Δt→0, se la F(t) è una funzione continua, si ha: đ?‘“(đ?‘Ą) =

đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą + Δt) − đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą) 1 đ?‘‘đ?‘ đ?‘” 1 đ?‘‘đ??š(đ?‘Ą) = lim ∙ = ∙ Δt→0 đ?‘‘đ?‘Ą Δt đ?‘ 0 đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘ 0

Un’altra grandezza rilevante è il tasso di guasto istantaneo ď Ź(t), che è definito come la frequenza di guasto in valore relativo rispetto al totale degli oggetti superstiti al tempo t: đ?œ†(đ?‘Ą) =

đ?‘“(đ?‘Ą) đ?‘ 0 đ?‘‘đ??š(đ?‘Ą) đ?‘ 0 )∙ = đ?‘“(đ?‘Ą) ∙ =( đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) â „đ?‘ 0

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Pertanto, la funzione đ?œ†(đ?‘Ą) è la frazione di popolazione che si guasta in un intervallo di tempo Δt rapportata al numero dei componenti ancora funzionanti al tempo t. Se il tasso di guasto si mantiene costante nel tempo, verrĂ indicato semplicemente con đ?œ†. Un altro modo di vedere la frequenza di guasto e il tasso di guasto parte dalla seguente considerazione: đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą) + đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) = đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą + Δđ?‘Ą) + đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą + Δđ?‘Ą) â&#x;š đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą + Δđ?‘Ą) − đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą) = đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) − đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą + Δđ?‘Ą)

Pertanto, la frequenza di guasto è quindi: đ?‘“(đ?‘Ą) = lim

đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą+Δt)−đ?‘ đ?‘” (đ?‘Ą)

Δt→0

Δt

1

∙ đ?‘ = lim 0

đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą)−đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą+Δt) Δt

Δt→0

1

∙đ?‘ =− 0

đ?‘‘đ?‘ đ?‘Ł đ?‘‘đ?‘Ą

1

∙đ?‘ =− 0

đ?‘‘đ?‘…(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą

(2)

Il tasso di guasto si può esprimere anche come: đ?œ†(đ?‘Ą) = đ?‘“(đ?‘Ą) ∙

đ?‘ 0 đ?‘‘đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) 1 đ?‘ 0 đ?‘‘đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) 1 đ?‘“(đ?‘Ą) = (− ∙ )∙ =− ∙ = đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘ 0 đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą đ?‘ đ?‘Ł (đ?‘Ą) đ?‘…(đ?‘Ą)

Pertanto, risulta: đ?œ†(đ?‘Ą) =

đ?‘“(đ?‘Ą) đ?‘“(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘…(đ?‘Ą) 1 ⇒ đ?‘…(đ?‘Ą) = =− ∙ đ?‘…(đ?‘Ą) đ?œ†(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą đ?œ†(đ?‘Ą)

Se il tasso di guasto si mantiene costante nel tempo si ha: đ?‘…(đ?‘Ą) = −

đ?‘‘đ?‘…(đ?‘Ą) 1 đ?‘‘đ?‘Ą

∙ đ?œ† ⇒ đ?‘…(đ?‘Ą) = đ?‘’ −đ?œ†đ?‘Ą

(3)

Da tale equazione si evince come l’affidabilitĂ di un componente dipenda esclusivamente dal tasso di guasto che, a sua volta, è dipendente dal tempo operativo. Ăˆ evidente quindi che il tasso di guasto rappresenta la grandezza fondamentale ai fini dello studio dell’affidabilitĂ di un sistema. Un’altra grandezza rilevante è la probabilitĂ di guasto F(t), cioè la probabilitĂ che il componente si guasti prima del tempo T, è pari all’integrale tra 0 e T della distribuzione di probabilitĂ . đ?‘‡

đ?‘ƒ(đ?‘Ą ≤ đ?‘‡) = đ??š(đ?‘‡) = âˆŤ0 đ?‘“(đ?‘Ľ)đ?‘‘đ?‘Ľ

(4)

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Sulla base della (4) è possibile dire che l’affidabilitĂ R(t) del componente al tempo T, cioè la probabilitĂ che esso non si guasti fino al tempo T, è il complemento a 1 della probabilitĂ di guasto al tempo T: ∞

đ?‘…(đ?‘‡) = 1 − đ??š(đ?‘‡) = âˆŤđ?‘‡ đ?‘“(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą

(5)

Ci sono alcune grandezze che sono rilevanti nelle applicazioni pratiche in quanto forniscono informazioni essenziali per stabilire le politiche manutentive di sistemi e componenti: •

La grandezza tempo al verificarsi di un guasto è una variabile aleatoria e come tale si può definire il suo valore atteso che è il tempo medio al guasto (MTTF). Tale grandezza viene considerata per i sistemi non riparabili in quanto si ipotizza che al guasto il componente debba essere sostituito.

•

Per i sistemi riparabili, invece, si parla di tempo medio tra i guasti (Mean Time Between Failure – MTBF). In riferimento ai sistemi riparabili esiste una relazione che lega MTBF e MTTF. In particolare: MTBF=MTTF+MTTR Dove MTTR è il Mean Time to Repair e cioè il tempo medio per la riparazione. In generale, nella pratica, il MTBF si può calcolare come: đ?‘€đ?‘‡đ??ľđ??š =

đ?‘‡đ?‘œđ?‘Ąđ?‘Žđ?‘™ đ?‘˘đ?‘?đ?‘Ąđ?‘–đ?‘šđ?‘’ đ?‘›đ?‘˘đ?‘šđ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; đ?‘œđ?‘“ đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’đ?‘Žđ?‘˜đ?‘‘đ?‘œđ?‘¤đ?‘›

E cioè il tempo totale di funzionamento diviso il numero di guasti. Mentre il MTTR, nella pratica, si può calcolare come: đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ?‘… =

đ?‘‡đ?‘œđ?‘Ąđ?‘Žđ?‘™ đ?‘‘đ?‘œđ?‘¤đ?‘›đ?‘Ąđ?‘–đ?‘šđ?‘’ đ?‘›đ?‘˘đ?‘šđ?‘?đ?‘’đ?‘&#x; đ?‘œđ?‘“ đ?‘?đ?‘&#x;đ?‘’đ?‘Žđ?‘˜đ?‘‘đ?‘œđ?‘¤đ?‘›

E cioè il tempo totale di fermo impianto (per guasto) diviso il numero di guasti.

Da un punto di vista matematico possiamo esprimere il MTTF come il valore atteso del tempo al guasto: Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ∞

(6)

đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ??š = âˆŤ0 đ?‘Ą â‹… đ?‘“(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą Si dimostra che: ∞

đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ??š = âˆŤ0 đ?‘…(đ?‘Ą)

(7)

Infatti, sostituendo la (2) nella (6) si ottiene che ∞

đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ??š = − âˆŤ đ?‘Ą ∙ 0

∞ đ?‘‘đ?‘…(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą = − âˆŤ đ?‘Ą ∙ đ?‘‘đ?‘…(đ?‘Ą) đ?‘‘đ?‘Ą 0

Integrando per parti: ∞

đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ??š = [đ?‘Ą ∙

đ?‘…(đ?‘Ą)]∞ 0

+ âˆŤ đ?‘…(đ?‘Ą)đ?‘‘đ?‘Ą 0

per lim đ?‘Ą ∙ đ?‘…(đ?‘Ą) → 0 đ?‘’ lim đ?‘Ą ∙ đ?‘…(đ?‘Ą) → 0 đ?‘Ąâ†’0

đ?‘Ąâ†’∞

Dalla (7) e dalla (3), si ha che: 1

đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ??š = đ?œ†

(8)

In sistemi riparabili, nei quali dopo la riparazione il componente o sistema viene ripristinato “good as newâ€? e cioè nelle medesime condizioni del prodotto nuovo, e se il sistema è altamente affidabile (MTTF elevato) ovvero velocemente riparabile (MTTR basso), si ha

MTBF=MTTF

(9)

Per introdurre ad una panoramica su alcuni metodi di analisi RAM (Reliability, Availability, Maintenability), occorre dare alcune definizioni essenziali.

10.3.2 Descrizione della vita dei componenti Stabilite le relazioni fondamentali tra le grandezze probabilistiche è possibile studiare il comportamento dei componenti durante la vita di esercizio.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Ad esempio, l’andamento tipico del tasso di guasto dei componenti meccanici varia lungo nel corso del tempo operativo del componente come illustrato nella curva a “vasca da bagno” presentata nella Figura 2.

a

nt ili

as ti

f Guasti in

per usu ra

(t)

tA

Vita utile

Gu

tB

t

Figura 2 - tasso di guasto: andamento a “vasca da bagno”

Si nota come la prima fase di esercizio sia caratterizzata da un tasso di guasto elevato che decresce nel tempo. Si tratta dei cosiddetti “guasti infantili” dovuti ad errori di progettazione o installazione o rodaggio dell’apparecchiatura. In seguito, il tasso di guasto segue un andamento quasi costante per un periodo che viene indicato come vita utile del componente. Verso la fine della vita utile si nota un andamento rapidamente crescente del tasso di guasto dovuto all’usura del componente. Occorre identificare le distribuzioni di probabilità che meglio possano descrivere l’andamento del tasso di guasto e dell’affidabilità del componente lungo le varie fasi dell’esercizio. Una delle più utilizzate è la distribuzione di Weibull che, grazie alla sua duttilità, può essere usata per esprimere la funzione affidabilità sia durante la fase dei guasti infantili, sia durante la vita utile. Essa è caratterizzata da due parametri α e β positivi e assume la seguente forma:

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R(t ) = e

 t  −  

(11)

Il parametro α ha la dimensione di un tempo ed è definito vita caratteristica del componente. Il parametro adimensionale β è il parametro di forma, al variare del quale la funzione può assumere forme completamente diverse come si vede in Figura 3. Proprio quest’ultima caratteristica consente di adottare la distribuzione di Weibull per rappresentare diversi andamenti dell’affidabilità semplicemente modificando il parametro di forma.

1,8 1,6 1,4 =3

1,2 1

=2

0,8 0,6

=1

0,4 0,2

=0.6

53

49

45

41

37

33

29

25

21

17

13

9

5

1

0

Figura 3 – Distribuzione di Weibull

La fase di vita iniziale di un componente può essere rappresentata mediante la (11) con un parametro di forma minore di 1. Noto l’andamento dell’affidabilità è possibile calcolare la probabilità di guasto al tempo t mediante la (5).

Esempio La vita di un condensatore è rappresentata da una distribuzione di Weibull con α=100.000 ore e β=0.5. Dopo un anno di servizio (8760 ore) la probabilità di cedimento è:

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO F(8760) = 1 − e

ďƒŚ 8760 ďƒś âˆ’ďƒ§ ďƒˇ ďƒ¨ 100000 ďƒ¸

0.5

= 0.26 = 26% → R(8760) = 74%

La piĂš semplice funzione di distribuzione dell’affidabilità è la distribuzione esponenziale negativa con tasso di guasto costante. In questo caso infatti l’affidabilitĂ può essere espressa come segue:

đ?‘…(đ?‘Ą) = đ?‘’ −đ?œ†đ?‘Ą

(2)

dove ď Ź è un valore costante nel tempo. In questo caso si ottiene:

đ??š(đ?‘Ą) = 1 − đ?‘’ −đ?œ†đ?‘Ą

(3)

đ?‘“(đ?‘Ą) = đ?œ† â‹… đ?‘’ −đ?œ†đ?‘Ą

(4)

Il tasso di guasto costante implica che non c’è un istante di tempo piĂš probabile in cui il componente si possa rompere. In altre parole, la velocitĂ di rottura non dipende dal tempo: il guasto è un processo puramente casuale (o alla Poisson). Questo tipo di andamento può descrivere bene il comportamento dei componenti elettronici (guasti casuali e imprevedibili) mentre può essere utilizzato per quelli meccanici solo per rappresentare la vita utile.

10.3.3 DisponibilitĂ e ManutenibilitĂ Il fine della manutenzione è garantire la produttivitĂ del processo o dell’impianto attraverso la massimizzazione della sua disponibilitĂ (Availability), cioè della capacitĂ di un componente o sistema ad un certo istante di svolgere correttamente la propria funzione.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La disponibilità è legata non solo all’affidabilità del sistema, cioè alla probabilità di funzionare ad un certo istante, ma anche al tempo che è necessario per riparare o sostituire il componente guasto e rimetterlo poi in esercizio. Questo tempo è legato alla manutenibilità, cioè “l’attitudine di un’entità, in assegnate condizioni di utilizzazione, a essere mantenuta o riportata in uno stato nel quale essa può svolgere la funzione richiesta, quando la manutenzione è eseguita nelle condizioni date, con procedure e mezzi prescritti” (UNI 9910). Per comprendere meglio il legame tra disponibilità, affidabilità e disponibilità è utile approfondire lo studio del processo funzionamento – guasto – riparazione rappresentato in Figura 4.

Figura 4 – uptime e downtime

Nel diagramma sono riportati i tempi di funzionamento (UT uptime) in grigio chiaro e quelli di non funzionamento (DT downtime) in grigio scuro. L’uptime è pari al TBF Time Between Failure, cioè il tempo tra un guasto e il successivo che è legato all’affidabilità, mentre il downtime è pari al TTR Time To Restoration, cioè il tempo necessario a rimettere in esercizio l’impianto legato alla manutenibilità. Date queste definizioni è chiaro che la disponibilità del sistema avrà la seguente espressione:

A=

UT UT + DT

(5)

Per ricavare il DT occorre comprendere quali sono le attività che vengono svolte nel TTR. A questo scopo è necessario distinguere il caso in cui si effettui manutenzione

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO correttiva sul sistema, cioè dopo il guasto, ovvero manutenzione preventiva, cioè prima che il guasto si verifichi. Nel caso di manutenzione correttiva (Figura 5), le grandezze da prendere in considerazione sono: − MTBF: Mean Time Between Failure: tempo operativo medio fra due guasti (fra la messa in funzione e il primo e definitivo guasto per sistemi non riparabili); − Td: tempo medio di diagnosi (tempo medio intercorrente fra l’evento guasto e l’individuazione dell’avaria); − Ta: tempo medio di attivazione dell’intervento: intervallo di tempo che intercorre in media tra il momento in cui il guasto è stato individuato e il momento in cui si inizia l’intervento di manutenzione (è la somma del ritardo logistico e del ritardo amministrativo); − Trs: tempo di rimessa in servizio: tempo occorrente alla ripresa della produzione dopo la riparazione − MTTR: Mean Time To Restoration (tempo medio di ripristino): somma dei tempi medi di diagnosi, di attivazione, di riparazione e di rimessa in servizio.

Figura 5 – MTTR per la manutenzione correttiva

Nel caso di manutenzione preventiva (Figura 6), le attività da svolgere sono più semplici:

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO − MTBM: Mean Time Between Maintenance: tempo medio tra due interventi di manutenzione; − MRT: Mean Repair Time (tempo medio di riparazione): tempo medio necessario allo svolgimento delle operazioni di rimessa in funzione di un’entità; − Trs: tempo medio di rimessa in servizio: tempo medio che intercorre tra il completamento delle operazioni di manutenzione e il momento in cui l’entità ritorna nello stato di corretto funzionamento; − MTTR:

Mean

Time

To

Restoration

(tempo

medio

di

ripristino):

somma dei tempi medi di riparazione e di rimessa in servizio.

Figura 6 – MTTR per la manutenzione preventiva

È evidente che il tempo necessario alla manutenzione è una variabile aleatoria legata tanto a fattori tecnologici che organizzativi. Alcuni dei fattori che possono influire sulla manutenibilità sono: − accessibilità (accessibility): un’entità è accessibile se è garantita la facilità di accesso alle sue parti più soggette a riparazioni, ispezioni, revisioni, sostituzioni.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO − EstraibilitĂ : un’entitĂ ha caratteristiche di estraibilitĂ se, per effettuare lo smontaggio di una sua parte, non vi è l’obbligo di smontare altre parti non direttamente interessate dallo specifico intervento. − manipolabilitĂ (handiness): un’entitĂ ha le caratteristiche di manipolabilitĂ se le parti soggette a smontaggio possono essere facilmente trasportate. Hanno impatto sulla manipolabilitĂ caratteristiche quali peso, forma e tossicitĂ ad esempio. − pulibilitĂ (cleaning – friendliness): un’entità è pulibile se le parti soggette a pulizia sono facilmente accessibili e individuabili. − modularitĂ (standardization): un’entitĂ ha caratteristiche di modularitĂ se quando è costituita da sotto assiemi, funzionalmente completi, che possono essere rapidamente sostituiti a bordo macchina da personale anche non specializzato, rimandando la sostituzione delle parti usurate ad una revisione del modulo in officina. − intercambiabilitĂ (interchangeability): un’entitĂ ha caratteristiche di intercambiabilitĂ se le parti soggette a smontaggio possono essere sostituite da parti intercambiabili, compatibili per forma e funzione realizzata. A monte c’è sempre uno studio di standardizzazione, volto alla definizione di componenti standard, comuni piĂš entitĂ da mantenere. Ăˆ un fattore fondamentale per ridurre il tempo di reperimento dei ricambi. − testabilitĂ (testability): un’entità è testabile se si è in grado (con il supporto di strumentazione di misura installata direttamente a bordo dell’entitĂ o trasportabile e allacciabile) di collaudare le funzionalitĂ dell’entitĂ e di diagnosticare eventuali avarie. Ăˆ un fattore che ha un impatto pesante sulla durata delle attivitĂ diagnostiche.

In questa ottica, si può definire manutenibilitĂ la grandezza probabilistica che esprime il tempo medio necessario per riparare un dispositivo o un impianto. Lo studio di questa grandezza viene svolto in maniera del tutto analoga a quanto visto al paragrafo 10.3.1 per l’affidabilitĂ . In particolare, viene introdotto il tasso di riparazione ď ­, che ha la dimensione dell’inverso di un tempo e rappresenta il numero di riparazioni nell’unitĂ di tempo. Ricordando la (5) si può scrivere: đ?‘€đ?‘‡đ??ľđ??š

đ??´ = đ?‘€đ?‘‡đ??ľđ??š+đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ?‘…

(6)

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Nell’ipotesi di tassi di guasto e riparazione costanti nel tempo, vale la seguente relazione. 1

1

đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ?‘… = đ?œ‡ e đ?‘€đ?‘‡đ??ľđ??š = đ?œ†

A(t) =

1 đ?œ† 1 1 + đ?œ† đ?œ‡

=

1 đ?œ† 1+đ?œ‡

=

đ?œ‡ đ?œ‡+đ?œ†

(7)

10.3.4 Analisi di affidabilitĂ combinatoria L’analisi di affidabilitĂ combinatoria si occupa dei metodi che consentono di rappresentare il comportamento di un sistema complesso sulla base della conoscenza dei parametri di affidabilitĂ dei singoli componenti. Essa fornisce modelli per lo studio di diverse strutture di connessioni tra i vari componenti di ciascun sistema. Infatti, l’interazione del componente in analisi con il resto del sistema avviene attraverso connessioni fisiche e connessioni logiche: − le connessioni fisiche dipendono da come è strutturato il sistema; − le connessioni logiche si fondano sulle risposte che i vari componenti forniscono durante le diverse fasi operative; in tal senso, per la ricerca dell’affidabilitĂ di un sistema, occorre analizzare l’influenza che un guasto di ciascun componente ha sulla funzionalitĂ di quelli di contorno e/o sull’intero sistema.

Per definire un buon modello logico del sistema che ne definisca i rapporti tra le parti e le prestazioni sulla base di un modello dei dati storici, che costituiscono la base per l’analisi, occorre definire alcuni concetti generali alla base della modellazione logica: Un sistema è un insieme di m>1 componenti (parti dell’impianto o stazioni del processo) che realizza un processo produttivo. Il componente è uno degli elementi del sistema che svolge una specifica funzione nell’ambito del sistema.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Lo stato del sistema o del componente è un parametro che ne indica il funzionamento (funziona/non funziona, in avaria, velocità nominale/funzionamento degradato, ecc.). Il sistema ha un proprio indicatore di stato dipendente dallo stato di funzionamento dei suoi componenti e dalla funzione richiesta al sistema. Il sistema ha un proprio vettore di stato dato dagli indicatori di stato dei singoli componenti del sistema. Lo spazio degli stati del sistema è l’insieme di tutti i possibili vettori di stato del sistema.

Esempio Si riporta di seguito la sezione elettrica e idraulica di un impianto con funzione di alimentazione idrica, la relativa suddivisione nei suoi componenti principali e la rappresentazione dello spazio degli stati del sistema in questione.

Figura 7 – descrizione del sistema

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Figura 8 – spazio degli stati del sistema

10.3.5 Calcolo di probabilità nello spazio degli stati del sistema Questo metodo analitico prevede il calcolo della probabilità che il sistema si trovi in un certo stato di funzionamento (tipicamente: funzionante o non funzionante) a partire dalla probabilità degli stati dei suoi singoli componenti. L’ipotesi fondamentale alla base del metodo è che i componenti siano a funzionamento indipendente, cioè il fatto che uno dei componenti funzioni o non funzioni non influenza il funzionamento degli altri (si escludono i casi di probabilità condizionata). Nelle suddette ipotesi, si afferma che la probabilità che un sistema si trovi nello stato Sj al tempo t è data dalla probabilità che si trovino nello stato S i,j gli i componenti del sistema, laddove lo stato Sj è rappresentato da uno dei vettori di stato del sistema e Si,j sono gli stati degli i componenti rappresentati dallo stesso vettore. La probabilità dello stato Sj del sistema si calcola come di seguito.

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Figura 9 – spazio degli stati del sistema

Poiché interessa l’affidabilità del sistema, non resta che calcolare la probabilità che il sistema si trovi nello stato funzionante come somma delle probabilità degli stati S i di sistema “funzionante”. In questo caso si suppone che i vari stati del sistema siano mutuamente esclusivi, cioè che l’avverarsi dell’uno escluda la possibilità dell’avverarsi dell’altro. La probabilità dello stato “funzionante” si calcola come segue.

Figura 10 – spazio degli stati del sistema

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La metodologia presentata può essere adatta a sistemi non particolarmente complessi e con leggi di affidabilità dei componenti note. Naturalmente, come per tutti i metodi analitici, al crescere della complessità del sistema il metodo non risulta più applicabile perché i calcoli diventano rapidamente ingestibili.

10.3.6

RBD – Reliability Block Diagram (Diagramma a blocchi di affidabilità)

Per ovviare ai problemi di calcolo insiti nelle metodologie analitiche, si presenta questo metodo che consente un processo di modellazione e calcolo delle probabilità più rapido grazie alla conoscenza della struttura delle connessioni logiche del sistema. Questa struttura viene mappata secondo alcuni schemi logici tipici di riferimento, che sono i reliability networks (reti di affidabilità). Le connessioni logiche si fondano sempre sulla conoscenza dell’influenza del guasto di un componente sulla funzionalità dell’intero sistema. I reliability networks di connessione tra i componenti sono esprimibili seguendo alcune semplici regole di mappatura logico funzionale e grafica: si ottengono i cosiddetti reliability block diagram (RBD). Il calcolo di probabilità è conseguente alla mappatura logica RBD, e pertanto risulta semplificato rispetto al caso precedente perché viene ricondotto a calcoli di probabilità di schemi semplici di base. Di seguito si riportano i due modelli di connessione fondamentali per la costruzione di un RBD.

10.3.7 Modello di connessione in serie Due (o più) componenti sono connessi in serie se il guasto di un singolo componente genera il guasto dell’intero sistema. Una connessione in serie può essere rappresentata attraverso uno schema di flusso (Reliability Block Diagram, RBD) in cui i componenti funzionanti sono indicati con Xi, i componenti fuori servizio con X’i.

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Figura 11 – RBD di un sistema in serie

Data la definizione di connessione in serie, l’affidabilitĂ del sistema risulta essere: R s (t) = P(x1 , x 2 ,...,xn ) = P(x1 ) ďƒ— P(x 2 | x1 ) ďƒ— P(x 3 | x1 x 2 ) ďƒ— ... ďƒ— P(x 3 | x1 x 2 ...xn−1 )

(18)

La (18) esprime il fatto che la probabilitĂ di funzionamento del sistema è legata alla probabilitĂ di funzionamento di un componente condizionata al funzionamento di tutti gli altri. Se si formula l’ipotesi di guasti ad accadimento statisticamente indipendente, cioè il guasto di un componente non influenza il comportamento dell’altro, la probabilitĂ che il sistema funzioni è data dalla probabilitĂ che tutti i componenti in serie funzionino. Quindi si ha che l’affidabilitĂ del sistema al tempo t è data dal prodotto delle affidabilitĂ di tutti i componenti al tempo t.

đ?‘…đ?‘ (đ?‘Ą) = âˆ?đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘…đ?‘– (đ?‘Ą) = đ?‘…1 (đ?‘Ą) â‹… đ?‘…2 (đ?‘Ą) â‹…. . .â‹… đ?‘…đ?‘› (đ?‘Ą)

(19)

Supponendo una distribuzione esponenziale negativa per tutti i componenti del sistema la (19) diventa: đ?‘Ą

đ?‘Ą

đ?‘Ą

đ?‘›

đ?‘…đ?‘ (đ?‘Ą) = đ?‘’ − âˆŤ0 đ?œ†đ?‘ (đ?œ?)đ?‘‘đ?œ? = âˆ?đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘…đ?‘– (đ?‘Ą) = âˆ?đ?‘›đ?‘–=1 đ?‘’ − âˆŤ0 đ?œ†đ?‘– (đ?œ?)đ?‘‘đ?œ? = đ?‘’ − âˆŤ0 ∑đ?‘–=1 đ?œ†đ?‘– (đ?œ?)đ?‘‘đ?œ? → đ?œ†đ?‘ (đ?‘Ą) =

(20)

∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?œ†đ?‘– (đ?‘Ą)

Dalla (20) si evince che il tasso di guasto del sistema è pari alla sommatoria dei tassi di guasto di tutti i componenti. Nell’ipotesi che i tassi di guasto dei componenti fossero costanti nel tempo si avrebbe: Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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đ?‘›

đ?‘…đ?‘ (đ?‘Ą) = đ?‘’ −đ?œ†đ?‘ đ?‘Ą = đ?‘’ − ∑đ?‘–=1 đ?œ†đ?‘– đ?‘Ą → đ?œ†đ?‘ = ∑đ?‘›đ?‘–=1 đ?œ†đ?‘– 1

đ?‘€đ?‘‡đ??ľđ??šđ?‘ = đ?œ† = ∑đ?‘› đ?‘

1

đ?‘–=1 đ?œ†đ?‘–

(81)

(22)

Dalle (81) e si evince che il tasso di guasto del sistema è piÚ elevato di quello dei singoli componenti e, di conseguenza, il MTBF è minore di quello dei componenti. In sostanza, un sistema in serie risulta essere meno affidabile del suo componente meno peggiore.

10.3.7 Modello di connessione in parallelo Due o piĂš componenti sono connessi in parallelo se, per garantire la funzionalitĂ del sistema è sufficiente un solo componente attivo in funzionamento. Una connessione parallela può essere rappresentata attraverso uno schema di flusso (Reliability Block Diagram, RBD) in cui i componenti funzionanti sono indicati con Xi, i componenti fuori servizio con Xi’.

Figura 12 – RBD di un sistema in parallelo

Formulando anche in questo caso l’ipotesi di guasti ad accadimento statisticamente indipendente, è possibile calcolare facilmente la probabilitĂ che il sistema non funzioni come prodotto delle probabilitĂ di non funzionamento di tutti i componenti, mentre l’affidabilitĂ viene calcolata come complemento a 1 della probabilitĂ di non funzionamento.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO In questo caso il calcolo dell’affidabilità del sistema in parallelo si calcola come segue.

đ?‘…đ?‘ (đ?‘Ą) = đ?‘ƒ(đ?‘Ľ1 + đ?‘Ľ2 +. . . +đ?‘Ľđ?‘› ) = 1 − đ?‘ƒ(đ?‘Ľ1 â‹… đ?‘Ľ2 â‹…. . .â‹… đ?‘Ľđ?‘› ) = 1 − âˆ?đ?‘›đ?‘–=1 đ??šđ?‘– (đ?‘Ą)

(93)

Nella (93) la produttoria delle probabilitĂ di guasto dei singoli componenti rappresenta la probabilitĂ di guasto del sistema. Di conseguenza il suo complemento a 1 ne rappresenta la probabilitĂ di funzionamento.

Un sistema parallelo può essere in ridondanza totale quando un solo elemento è in grado di supportare l’intero carico del sistema. Si tratta del caso descritto precedentemente. Si può avere, diversamente, ridondanza parziale quando un gruppo di elementi è in grado di sopportare il carico del sistema. In questo caso l’affidabilitĂ del sistema è pari a: đ?‘› đ?‘…đ?‘ = đ?‘ƒ(đ?‘&#x; ≤ đ?‘— ≤ đ?‘›) = ∑đ?‘›đ?‘—=đ?‘&#x; ( đ?‘— ) đ?‘… đ?‘— (1 − đ?‘…)đ?‘›âˆ’đ?‘—

(104)

Dove9: Rs: affidabilitĂ del sistema parzialmente ridondato per un tempo t determinato; n: numero di componenti del sistema; r: numero di componenti necessari al funzionamento.

10.4 Ciclo vita di un sistema soggetto a manutenzione

9

Come noto, il coefficiente binomiale ha l’espressione:

ďƒŚnďƒś n! ďƒ§ďƒ§ ďƒˇďƒˇ = ďƒ¨ j ďƒ¸ j! (n − j)!

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Il tema della manutenzione e dei costi ad essa legati conduce ad introdurre il concetto di ciclo vita di un sistema o di un bene, intendendo con esso l’insieme delle fasi che il sistema attraversa dalla sua ideazione fino alla sua morte/dismissione. In fase di valutazione di un investimento occorre pertanto analizzare con ogni attenzione tutti i costi legati alla vita del bene e non solo quelli tipicamente legati all’investimento iniziale. Questi ultimi infatti, pur essendo molto evidenti in quanto rappresentano una risorsa elevata da smaltire in un tempo breve, sono in genere inferiori rispetto al costo di esercizio che, più basso in senso assoluto, incide però su tutto il tempo della vita del sistema. Occorre allora definire il costo globale di un bene come la somma di tutte le risorse impiegate per realizzarlo, gestirlo durante il ciclo vita e dismetterlo oppure riqualificarlo a fine ciclo vita. Il diagramma che segue mostra quali sono i costi legati all’intero ciclo vita e la loro distribuzione.

Figura 13 – distribuzione dei costi nel ciclo vita

Il Life Cycle Cost consente di attuare una politica di investimenti realmente oculata, che tenga conto di ogni singola spesa necessaria alla vita del bene in oggetto. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Nel definire il Life Cycle Cost occorre però individuare quale sia la vita effettiva del bene oggetto di manutenzione. A questo scopo è necessario dare alcune definizioni.

Vita fisica Per vita fisica si intende il periodo di tempo al termine del quale l'attrezzatura non è più fisicamente in grado di fornire il servizio richiesto (al livello di qualità considerato come accettabile). L’invecchiamento è la causa interna di deterioramento dell’attrezzatura che porta all'aumento di costi nel suo esercizio (a causa di oneri di manutenzione crescenti, aumento degli sfridi, peggioramento della qualità del prodotto o del servizio, ecc.).

Vita utile Sempre inferiore alla vita fisica, è il periodo al termine del quale, pur essendo l'attrezzatura ancora in grado, dal punto di vista tecnico, di fornire il servizio richiesto, è però economicamente conveniente la sua sostituzione con un sistema nuovo e/o tecnicamente aggiornato, in grado di dar luogo ad un costo globale di possesso inferiore. Alla vita utile è legato il processo di obsolescenza che è la causa esterna della diminuzione di convenienza nell’esercizio dell’attrezzatura, cosa che ha origine per effetto della introduzione di nuove attrezzature aggiornate che permettono di ottenere il servizio o il prodotto a un costo inferiore.

Vita possibile Maggiore o minore della vita utile, ma minore della vita fisica, è il periodo al termine del quale si rende necessaria la sostituzione dell’attrezzatura a causa della possibile insufficienza sia della capacità del servizio fornito (es. capacità produttiva, capacità di trasporto), sia del livello qualitativo erogato in relazione a mutate esigenze del cliente o del mercato. È determinata dal fenomeno di inadeguatezza che è l’insufficienza della capacità di servizio erogata dall'attrezzatura a fronte delle mutate esigenze quantitative o qualitative richieste.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Esempio Acquisto un computer per lavorare come professionista e produrre documenti utili per i miei clienti. La vita fisica del computer, cioè quella legata all’effettiva usura delle parti che lo compongono, è lunghissima, nell’ordine delle decine di anni almeno. La vita utile del computer è legata alla sua obsolescenza: l’innovazione continua in campo hardware e software fa sì che dopo 4 – 5 anni al massimo dall’acquisto sia conveniente sostituirlo con uno più potente che consente di avere più funzioni e maggiore produttività. Ma se dopo anche solo 1 anno dall’acquisto, viene prodotto un computer totalmente nuovo che consente ad esempio di collegarmi via wireless con i clienti e scambiare i dati real time, probabilmente non posso proprio più permettermi di usare questo computer, diventato ormai inadeguato, perché rischierei di perdere i miei clienti.

10.5 Costi della manutenzione Qualunque organizzazione finalizzata al mantenimento dei beni aziendali ha lo scopo di ridurre il costo globale di manutenzione, risultante dalla somma dei costi diretti e dei costi indiretti. La manutenzione però non deve essere vista unicamente come un centro di costo, in quanto produce anch’essa “valore” in termini di risparmio di costi conseguenti ai guasti che la manutenzione permette di evitare e come fattore d’incremento delle opportunità di profitto conseguenti ad un miglior funzionamento degli impianti e delle attrezzature. È opportuno perciò, nel valutare la manutenzione da un punto di vista economico, considerare non solo il costo delle risorse utilizzate per eseguirla (materiali, attrezzature, personale), ma quantificare anche il valore che essa produce in termini di servizio erogato e risparmio permesso.

Andando ad analizzare più nel dettaglio i costi relativi alla manutenzione ordinaria si possono distinguere le seguenti categorie: •

costi propri diretti, che si articolano in costi per la manodopera interna, costi per la manodopera esterna (prestazioni di terzi) e costi dei materiali e parti di ricambio, sono relativi alle risorse direttamente associabili all’esecuzione degli interventi manutentivi.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO •

costi propri indiretti, che si articolano invece in costi della struttura di manutenzione (costi della manodopera indiretta di manutenzione, come ad esempio costo dei capi officina, dei capi squadra, del personale di ingegneria di manutenzione, del gestore del magazzino materiali), costi dei servizi tecnici ed attrezzature di funzionamento (comprendono i costi annui delle attrezzature, del materiale d’esercizio generale, del materiale ausiliario e dei servizi tecnici necessari per lo svolgimento delle attività di manutenzione), costi di immobilizzo dei materiali di ricambio e dei materiali di consumo diretto (costi di immobilizzo a magazzino dei materiali di manutenzione) e costi dei servizi ausiliari (sistema informativo di manutenzione), sono relativi alle risorse impiegate a livello organizzativo nell’esecuzione degli interventi manutentivi, ma non direttamente associabili a questi.

costi indotti nascono come conseguenza dell’interruzione del servizio/funzione di un impianto o una macchina, interruzione che può avere due diverse origini: il guasto (interruzione casuale ed estemporanea del servizio); o la volontaria interruzione per effettuare interventi di mantenimento.

Essi sono quindi

esprimibili come la valorizzazione economica di mancate prestazioni rispetto ad obiettivi fissati per gli impianti e macchine oggetto di manutenzione. Il concetto di mancata prestazione può riguardare diversi aspetti, fra cui: o i costi di mancata produzione a causa della ridotta disponibilità degli impianti; i costi di mancata qualità (ad esempio scarti di prodotto a causa della riduzione della capacità del processo); o i costi dovuti all’inefficienza del servizio (riduzione dei livelli di servizio, tempi di consegna di un prodotto, a causa di ritardi nell’esecuzione dei piani di produzione); o allungamento

dei

tempi

di manutenzione, in quanto gli interventi a

guasto, imprevisti, richiedono tempi “amministrativi” più lunghi; o i costi dovuti al degrado degli impianti (la loro cattiva conservazione porta a rotture frequenti e riduzione della capacità di processo);

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO o i costi dovuti al mantenimento a scorta dei ricambi (Il livello dei magazzini è sempre alto se si adotta una politica di attesa del guasto. Solo con una politica preventiva è possibile ridurre il livello medio di giacenza ed ottimizzare la composizione del magazzino); o i costi dovuti agli sprechi di energia; i costi imputabili alla mancata sicurezza (aumento del rischio di incidenti ed infortuni). I costi propri diretti possono essere ridotti attuando un miglior controllo degli interventi standard: è possibile, anche mediante un’analisi storica sulle tipologie dei guasti accaduti, definire una serie di interventi di routine per i quali siano definibili nel dettaglio le modalità operative, tempistiche, attrezzature, quantità e specializzazioni del personale. I costi propri indiretti, invece, possono essere ridotti solo attuando una politica preventiva: svincolarsi dal rischio di guasto improvviso costituisce l’obiettivo finale di una moderna manutenzione, che ha tre scopi principali: 1. Riparare i guasti; 2. Impedire la loro insorgenza; 3. Migliorare le prestazioni degli impianti.

Nella figura seguente sono rappresentate le curve dei costi propri (Costi Diretti di Manutenzione), di quelli indotti (Costi di Mancata Produzione) e di quelli totali, somma delle due precedenti curve.

Figura 144 – I costi diretti e indiretti di manutenzione Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Altri costi indotti

Costi indotti sul processo produttivo •

extra costi per usura degli impianti dovuti all’extra consumo di energia, olio;

Costi indotti sul processo manutentivo • Costi di mantenimento a magazzino dei materiali di ricambio (dovuti al costo di immobilizzo del capitale destinato al materiale di ricambio acquistato, al rischio di obsolescenza, all’area occupata, …) per assicurare un supporto logistico elevato agli interventi di manutenzione • Costo di disservizio logistico per la mancanza di materiali di ricambio (possono essere costi di mancata produzione dell’impianto per fermo, costi di ridotta resa velocità ...)

10.6 PROFESSIONAL MAINTENANCE

La Manutenzione Professionale è il pilastro che interviene laddove la Manutenzione Autonoma non può operare, perché sono richieste delle competenze specifiche del settore che gli operatori di linea non possiedono. Tale pilastro si propone i seguenti obiettivi: 1.

Ottimizzare l’affidabilità degli impianti ad un costo economicamente sostenibile in

modo da ridurre le perdite di qualità e il rischio di infortuni; 2.

Sviluppare le attività di manutenzione pianificate, riducendo la manutenzione a

guasto; 3.

Usare il mix più opportuno di tipologie di manutenzione per stabilire e mantenere

le condizioni ottimali degli impianti a costi contenuti e in modo efficiente; 4.

Sviluppare le competenze di operatori e manutentori;

5.

Promuovere una buona pianificazione delle attività per minimizzare i tempi di

fermata programmati per la manutenzione degli impianti; 6.

Creare la cultura di “zero guasti”.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Prima di analizzare nello specifico il pilastro PM occorre considerare che le cause di guasto possono essere molteplici ma possono essere ricondotte a tre tipologie: 1.

Deterioramento;

2.

Eccesso di stress;

3.

Robustezza insufficiente.

Queste possono essere dovute a mancanza di condizioni base, mancanza di manutenzione, mancata osservanza delle condizioni operative, debolezza di progetto, conoscenza insufficiente di operatori e manutentori. Esistono tre diverse tipologie di manutenzione che vengono utilizzate in diverse aziende, ognuna delle quali non esclude l’altra, anzi, a seconda delle caratteristiche dell’impianto e degli specifici componenti che lo costituiscono, si utilizzerà una tipologia o un’altra costituendo una Manutenzione Professionale che ingloba tutte e tre le tipologie. Esse possono essere riassunte nella seguente figura 16:

Figura 16 : Tipologie di Manutenzione Si evince dunque l’esistenza di: 1.

Manutenzione Pianificata

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO -

Preventiva (Ciclica, Predittiva, Autonoma)

-

Migliorativa

2.

Manutenzione Non Pianificata o a guasto.

Come detto in precedenza queste tipologie vengono utilizzate a seconda dell’importanza dell’impianto, per cui, per impianti essenziali si utilizzano tutte le tipologie prediligendo la manutenzione predittiva e migliorativa mentre per impianti non essenziali può essere utilizzata una manutenzione a guasto, fermo restando che per entrambe le tipologie di impianto debbano essere eseguite le operazioni di pulizia, lubrificazione e ispezione come previsto da Manutenzione Autonoma. Tutto ciò è riassunto nella seguente figura 17:

Figura 17 : Selezione delle tipologie di manutenzione

10.6.1 CURVA PF Per illustrare la progressiva diminuzione della resistenza al guasto di un oggetto useremo la curva PF, per deterioramento o usura (in inglese: P-F Curve, dove P = Potential failure e F = Failure). Il punto P rappresenta la condizione in cui il processo di deterioramento, che porterà al guasto nell’istante F, diventa praticamente rilevabile.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Se il guasto potenziale viene rilevato, è possibile prevenirlo, purché l’intervallo di tempo tra P e F (P-F Interval) sia sufficientemente ampio. In particolare, la curva PF mostra che come un deterioramento della prestazione si manifesta, il componente degrada in un punto in cui può eventualmente essere rilevato (P). Se il degrado non viene rilevato e attenuato, continua fino a quando un guasto "hard" si verifica (F). L'intervallo di tempo tra P e F, comunemente chiamato intervallo PF, è la finestra durante il quale controlli possono eventualmente rilevare il guasto imminente. Il monitoraggio delle condizioni deve avvenire a intervalli minori di P-F, che per altro è una variabile casuale, spesso difficile da quantificare. In alcuni casi l’andamento della curva P-F è pressoché lineare (es.: usura di un pneumatico); è il campo tipico di applicazione della Manutenzione periodica.

10.6.2 Politiche manutentive

La

manutenzione

a

guasto

(BDM-

Breakdown

Maintenance) è la forma tradizionale di manutenzione che consiste nell’intervenire per riparare il componente dopo che lo stesso si è guastato. Attualmente la manutenzione

su

guasto

(after

failure)

viene

considerata una politica applicabile solo ad elementi estremamente

semplici,

poco

costosi, facilmente

sostituibili o comunque componenti la cui rottura non incide sul processo complessivo. Per il resto, la manutenzione su guasto va effettuata esclusivamente in via residuale, cioè quando le varie politiche di manutenzione hanno fallito e pertanto è avvenuto il guasto. La TPM (total Productive Maintenance) spinge avanti questo concetto fino a porsi l’obiettivo di “zero guasti” e quindi manutenzione a guasto nulla. La BDM, se applicata correttamente, può essere adeguata ed efficace, per esempio, se l’impatto di un guasto è riconosciuto come basso o nullo in termini di: sicurezza, produzione, qualità, costo, e produttività. Presenta i seguenti vantaggi

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO • Basso costo, ove applicata correttamente • Non richiede altra pianificazione che la disponibilità delle parti di ricambio • Richiede competenze manutentive limitate alle competenze di diagnosi e sostituzione e i seguenti svantaggi: • Non ci sono preavvisi di guasto (rischio anche per la sicurezza) • Perdite di produzione incontrollate • Richiede un gran numero di manutentori disponibili

La manutenzione ciclica o periodica

TBM

(Time Based Maintenance) viene effettuata ad ogni predeterminato intervallo di tempo (a data costante) oppure al raggiungimento di una certa età del componente (a periodo costante). Nel primo caso l’intervento di manutenzione o sostituzione è indipendente da quello che succede

durante

gli

intervalli

di

tempo

preventivati; si interviene comunque dopo un tempo predeterminato anche nel caso in cui siano stati effettuati nel frattempo interventi di sostituzione/riparazione su guasto. Nel secondo caso il componente viene sostituito nel momento in cui si raggiungano certe età o ore di utilizzo; questo significa che il tempo viene calcolato a partire dall’ultimo intervento di sostituzione/riparazione effettuato. Nel disegno che segue si schematizzano le due possibilità.

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Figura 18 – manutenzione ciclica La TBM è applicabile se il costo globale dell’intervento preventivo è minore dell’intervento a guasto. Le attività sono spesso raggruppate in occasione di pause lavorative, in modo da minimizzare il numero totale di fermate pianificate. Presenta i seguenti vantaggi • Riduzione dei guasti • Utilizzo più efficiente della manodopera manutentiva • Attività manutentiva pianificata (manodopera e materiali) e i seguenti svantaggi: •Non viene utilizzata completamente la vita utile del componente, inoltre l’intervento prematuro può causare guasti da mortalità infantile • Viene eseguita della manutenzione invasiva e non necessaria • Applicabile principalmente al deterioramento legato all’usura Questa strategia non è ottimale se la mancanza delle condizioni di base rendono difficoltosa la valutazione delle frequenze di sostituzione Al contrario, una volta ripristinate le condizioni iniziali, la Ciclica è un’ottima strategia e può essere propedeutica alla Manutenzione Predittiva La manutenzione su condizione consiste nell’intervenire prima che il componente si guasti, sulla base di un rilevamento delle sue condizioni. Si tratta quindi di una forma di manutenzione preventiva più sofisticata di quella ciclica, in quanto l’intervento non è

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO legato ad un periodo di tempo prefissato, ma ad un monitoraggio delle reali condizioni di funzionamento di un componente al fine di provvedere alla riparazione/sostituzione solo quando questa è veramente necessaria. Naturalmente la possibilità di scegliere questa politica manutentiva è connessa alla disponibilità di una strumentazione capace di effettuare il monitoraggio dei parametri critici e alla conoscenza delle soglie di tali parametri che definiscono la vita utile del componente. Il costo totale di manutenzione in questo caso è, quindi, legato anche al costo di ispezione, inteso come complessivo dei costi per l’apparecchiatura di rilevamento, la trasmissione e l’immagazzinamento dei dati nonché dei tempi uomo necessari al rilevamento e, se necessario, all’analisi di tali dati. Si tratta, pertanto, di una politica manutentiva che richiede investimenti in tecnologie e competenze e che si adatta bene quindi all’analisi di componenti particolarmente critici ai fini del processo o particolarmente rilevanti ai fini della sicurezza e della salvaguardia ambientale. Il punto chiave della manutenzione su condizione è l’individuazione della soglia limite oltre la quale intervenire; se la soglia viene, ad esempio, posta troppo in alto c’è il rischio che intervenga un guasto prima del raggiungimento della soglia con conseguente vanificazione di tutta la politica manutentiva; se invece la soglia fosse posta troppo in basso, si rischierebbe di accorciare troppo la vita utile del componente con conseguente dispendio di risorse economiche. La manutenzione su condizione è ben tarata se il costo globale della politica manutentiva su condizione è inferiore al costo globale di quella correttiva e di quella ciclica. La previsione delle condizioni del componente si può basare su un sintomo premonitore o su una stima statistica; in ogni caso, questo implica il monitoraggio di una o più variabili che caratterizzano il processo di usura, quali ad esempio: temperatura, densità, emissioni di gas, vibrazioni, ecc. Mediante un sistema informativo di controllo, i dati rilevati possono essere acquisiti in tempo reale, archiviati ed eventualmente analizzati al fine di prendere delle decisioni.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO La manutenzione predittiva è una evoluzione più sofisticata ed avanzata della manutenzione su condizione. Essa è basata sulla valutazione non dello stato del singolo componente ma dell’andamento di uno o più parametri, che sono chiaramente legati al processo di usura, e prevede che l’intervento manutentivo venga effettuato sulla base di una previsione delle condizioni future del componente e della sua rottura. Si basa sull’osservazione che la maggior parte dei guasti non avviene istantaneamente e improvvisamente, ma si sviluppa in un certo periodo di tempo, quindi, attraverso lo “stato di salute” di ciascun componente, permette di pianificare gli interventi basandosi sulle reali condizioni di funzionamento e non sulla conoscenza statistica del fenomeno. Gli interventi sono più mirati e tempestivi, aumentando la disponibilità del sistema.

È possibile attuare una politica manutentiva di questo tipo quando si hanno a disposizione non solo gli strumenti di diagnostica adatti, ma anche un sistema informativo in grado di elaborare in tempo reale i dati e di stimare il trend di un dato parametro nel tempo, identificando quindi il momento in cui l’usura del componente

parametro

accelera.

tempo

Figura 19 – Manutenzione predittiva

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Si tratta di una politica manutentiva costosa da prendere in considerazione per componenti particolarmente critici dal punto di vista economico (costi dei guasti molto elevati) oppure dal punto di vista della sicurezza e della salvaguardia ambientale (possibilità di incidenti non sopportabili).

La manutenzione migliorativa non è una politica manutentiva vera e propria, ma piuttosto un insieme di norme organizzative e gestionali che consentono di migliorare le prestazioni del sistema manutenzione nel suo complesso, attraverso strategie di intervento che integrano le normali politiche manutentive. In particolare, si segnala la manutenzione su opportunità che è la politica di effettuare gli interventi di manutenzione e/o sostituzione di alcuni componenti (anche se non arrivati a fine vita) in corrispondenza di un arresto delle macchine o del processo produttivo, dovuto ad interventi di manutenzione correttiva o preventiva. Si tratta, insomma, di approfittare dei tempi di fermata programmati o indotti da guasti per effettuare altre operazioni di ispezione o manutenzione oltre a quelle programmate o comunque necessarie. In un impianto complesso la possibilità di effettuare la manutenzione su opportunità va attentamente valutata sulla base di diversi parametri: costi e tempi di fermata e di setup, disponibilità di risorse della manutenzione, tempi necessari ad effettuare la manutenzione, vita utile residua dei componenti su cui effettuare la manutenzione su opportunità, ecc. Ad esempio, tanto più alto è il costo di fermata e di riavvio del sistema, tanto più conveniente sarà la sostituzione di componenti non ancora in guasto, anche se questo comporta la riduzione della vita utile degli stessi. Parallelamente, durante una fermata, vanno sicuramente effettuate tutte quelle attività di pulizia, controllo, lubrificazione ecc. che non sono possibili con l’impianto in moto o che risultano particolarmente agevoli durante le fermate. Il limite alla possibilità di effettuare tutte queste operazioni è costituito dall’effettiva disponibilità delle risorse di manutenzione. Si segnala, inoltre, la manutenzione evolutiva (o produttiva) è una politica di manutenzione che prevede un intervento di revisione, finalizzato a migliorare il valore o Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO la prestazione di un sistema o di una parte di esso. L'azione manutentiva non è subordinata a malfunzionamenti ma deriva da esigenze di miglioramento espresse sia dall'utilizzatore sia dal manutentore. Nella Manutenzione evolutiva, l'azione manutentiva concorre invece ad aumentare il valore del sistema e/o a migliorarne le prestazioni. La qualità delle azioni migliorative e la loro necessità, discende dal fatto che molti mezzi utilizzati dall'industria per produrre sono realizzati a livello prototipale o in piccolissime serie e conseguentemente il progetto di questi sistemi, in genere relativamente complessi, non è qualitativamente paragonabile con il progetto di sistemi fortemente serializzati (come l'automobile), seppur altrettanto complessi, dove il progetto subisce numerose revisioni ricevendo feed-back dalla messa in opera di un certo numero di prototipi (nell'ordine della decina e fino al centinaio per sistemi che dovranno raggiungere il milione di esemplari). Per questo, almeno a livello industriale, o in quei settori dove si riscontrano sistemi dalle caratteristiche analoghe (complessità unita a bassissima serializzazione), la Manutenzione evolutiva è così importante al punto che è uno degli elementi centrali della Total Productive Maintenance.

Esempio di applicazione delle politiche manutentivi Per i vari componenti di un’automobile vengono previste diverse politiche manutentive: − Per le pasticche dei freni, che costituiscono un elemento critico per la sicurezza degli utenti, è prevista la manutenzione predittiva: un sensore ne rileva costantemente lo stato di usura e quando questo inizia ad avere un certo andamento, l’utente viene avvisato tramite una spia; a quel punto si deve effettuare la sostituzione. − L’autoradio non costituisce un elemento critico sotto nessun aspetto e si applica la politica correttiva; in caso di guasti si ripara o si sostituisce. − Per i pneumatici si ricorre alla manutenzione su condizione; quando lo spessore del battistrada raggiunge un valore soglia, si devono sostituire. − L’olio di lubrificazione è soggetto a sostituzione ciclica. − Un esempio di manutenzione produttiva potrebbe essere l’installazione di un radiatore dell’olio che consenta di mantenerne la temperatura ad un livello controllato, migliorando così l’usura e la capacità di lubrificazione. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Come si vede anche dall’esempio, non esiste una sola politica di manutenzione buona per ogni sistema, ma un mix ideale di politiche da attuare per ogni componente del sistema con lo scopo di minimizzare il costo globale di manutenzione. La definizione del mix corretto di politiche manutentive è uno dei principali compiti dell’ingegneria di manutenzione. Occorre valutare i seguenti punti:

1

Innanzitutto, decidere se è meglio aspettare il guasto di un certo componente o

tentare

di

prevenirlo

attraverso

azioni

preventive.

Questa

scelta

dipende

essenzialmente dalla criticità del componente e dal costo di un eventuale guasto (frequenza del guasto, tempo di riparazione, necessità di fermare l’impianto in caso di guasto, capacità di riparazione con risorse interne, disponibilità dei ricambi ecc.)

2

In caso di azioni preventive, decidere quali adottare: ciclica, su condizione,

predittiva. La scelta dipende dal costo che siamo disposti a sostenere per la manutenzione del componente: una manutenzione ciclica può costare meno di una su condizione (visto che esclude la diagnostica) ma può non risultare efficace nel prevenire il guasto. Inoltre, la scelta di politiche più sofisticate come quella su condizione o predittiva è sempre legata all’effettiva disponibilità di apparecchiatura di diagnostica adatte al tipo di impianto/processo.

3

Contemporaneamente

valutare

l’opportunità

di

implementare

azioni

di

manutenzione migliorativa per incrementare le prestazioni dell’impianto e/o processo per prevenire i guasti. Tali azioni, come detto, affiancano la normale manutenzione dell’impianto e possono richiedere costi di investimento oppure una riorganizzazione delle attività di manutenzione e produzione.

Di seguito si riporta un diagramma qualitativo che indica come variano i costi globali di manutenzione preventiva e correttiva all’aumentare delle azioni di manutenzione preventiva. Si vede come al crescere delle azioni di Preventive Maintenance (PM)

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO corrisponde un aumento dei relativi costi, come è ovvio, e parallelamente una riduzione dei costi legati alla manutenzione a guasto, dovuto alla riduzione dei guasti. Evidentemente la politica manutentiva ideale (il mix ideale) si ottiene minimizzando il costo globale di manutenzione (PM + CM).

Costi esterni dei difetti (riparazione e sostituzione prodotti in uso, resi)

Costi interni dei difetti (scarti, rilavorazione di pezzi non conformi)

Costi di Figura 20 – mix di politiche manutentive in funzione del costo globale

Nel diagramma che segue, invece, si mette in evidenza l’influenza esercitata dalla frequenza dei guasti e dal loro valore sulla scelta delle politiche di manutenzione. È chiaro che quanto maggiori sono i due parametri, tanto più risulterà conveniente investire in politiche manutentive sofisticate e costose, fino al limite di dover rivedere il progetto del prodotto/processo nel caso in cui la frequenza ed il valore dei guasti dovessero essere così elevati da non consentire un’efficiente politica manutentiva.

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Figura 21– politiche manutentive in funzione della rilevanza dei guasti

10.6.3 FMECA – Failure Mode, Effects and Criticality Analisys

Il metodo FMECA, o anche MAGEC (Metodologia Analisi Guasti e Criticità), viene utilizzato per uno studio sistematico dei guasti che occorrono in un sistema ad elevata complessità (prodotto, impianto, servizio di impianto, ecc.), sia per la progettazione di sistema che per impostare la gestione della manutenzione del sistema in uso. Gli obiettivi fondamentali del metodo sono quelli di individuare: 1. le cause di guasto 2. i componenti di sistema più critici 3. le possibili azioni/leve per ridurre o eliminare le criticità (proposte di miglioramento)

La metodologia FMECA si basa innanzitutto sulla individuazione dei modi e delle cause di guasto per ciascuna macchina critica selezionata per lo studio.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Obiettivo dell’analisi FMECA è quello di individuare, attraverso uno studio di causaeffetto, tutti i possibili guasti degli elementi del sistema in esame, valutarne le conseguenze e classificare, seppur in termini qualitativi, i diversi componenti secondo un ordine di criticità. L’applicazione di questa tecnica permette, quindi, non solo di definire la più conveniente politica di gestione della manutenzione, ma anche di individuare delle azioni di miglioramento atte ad incrementare l’affidabilità e la manutenibilità del sistema; con ciò è possibile anche ottenere uno snellimento delle procedure di diagnosi con un benefico effetto sui tempi d’intervento. L’analisi si fonda sul lavoro di team svolto da una squadra multidisciplinare (cui si richiede una profonda conoscenza del sistema), supportata da ingegneri della manutenzione, e prevede la compilazione di una serie di tabelle in cui siano evidenziati, per ciascun componente, i relativi modi di guasto e le conseguenze del guasto stesso a livello sia locale che globale (sistema o impianto). Il lavoro si articola in cinque fasi successive: 1. Individuare le aree critiche del sistema (macchina o linea) 2. Individuare i componenti critici il cui guasto può avere conseguenze gravi (danneggiamenti, sicurezza, funzionalità) 3. Individuare le modalità di guasto e analizzare le criticità 4. Analizzare le cause di guasto 5. Proporre strategie di miglioramento

Nel disegno che segue vengono schematizzate le varie fasi di lavoro, mettendo in evidenza le fasi di analisi e quelle di proposta.

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Figura 22 – fasi della FMECA

Nella prima fase si seleziona la “macchina critica”, cioè l’elemento del sistema che dà luogo al maggior numero o durata di fermi impianto. Generalmente, un’alta percentuale del tempo di “fuori servizio” è imputabile a piccoli eventi ad alta ricorrenza, piuttosto che a episodi di grande incidenza, ma sporadici. Nella seconda fase si procede alla scomposizione della “macchina critica” effettuandone un’esplosione logica in quattro livelli: − Livello 1: stazione, macchina o operazione considerata; − Livello 2: gruppo funzionale della macchina o fase del processo; − Livello 3: sottosistemi che eseguono le operazioni elementari relative ad ogni funzione; − Livello 4: componenti critici, nei quali si sviluppa il guasto che si trasmette ai livelli superiori.

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Figura 23 – esempio di scomposizione

Questa scomposizione porterà ad un risultato come quello che segue.

Società Reparto Attrezzatura Operazione Cod

Livello 1

1 Trattore

Cod.

Livello 2

1 Motore

Cod.

Livello 3 1 Sistema di combustione 2 Filtro gasolio

Cod

Livello 4

3 Pompa iniezione 4 Iniettori 5 Sistema di aspirazione 6 Filtri aria 7 Silenziatore 8 Alimentatore 9 Sistema di raffreddamento 10 Pompa acqua 11 Radiatore Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO 12 Termostati 13 Sistema di lubrificazione 14 Raffreddament o olio 15 Gruppo blocco motore 2 Treno di potenza

1 Convertitore 2 Trasmissione 3 Differenziale 4 Freni

… …

… …

Figura 24 – esempio di scheda

La terza fase è dedicata all’individuazione delle modalità di guasto ed all’analisi delle criticità. Nella quarta ed ultima fase si effettua un’analisi delle cause di guasto e si individuano i componenti critici. Nelle Fasi 3 e 4 la squadra è supportata del “Modulo FMECA del mezzo di lavoro” riportati nelle figure di seguito.

Individuazione dei modi di guasto, della criticità e quantificazione degli effetti

Codice

Numero

Tipo di

di

guasto

elementi correlato

Frequenza (volte/anno)

Impatto sul prodotto

Riparazione provvisoria

Tempo di fermata (h)

Indisponibilità (h/anno)

Figura 25 – modulo FMECA del mezzo di lavoro

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Questo modulo permette di stabilire quali sintomi il componente fornisce e, quindi, il segnale che consente di identificare il componente che non opera correttamente, nella sezione B, quale sia la causa che ha generato il sintomo.

Analisi della causa di guasto e individuazione del componente critico

Criticità Indice Codice

del

di

Tipo di

Causa del

guasto del guasto del

processo criticità componente componente

Parte di Codice

Sintomi Sintomi

ricambio ricambio osservabili esterni

Figura 26 – modulo FMECA del mezzo di lavoro

La scala in base alla quale attribuire i valori all’indice di criticità (terza colonna) può essere variata in funzione delle esigenze, ma è consigliabile usare al massimo quattro o cinque livelli, assegnando, ad ognuno di essi, un preciso significato (un esempio è riportato di seguito) Indice 1

Caratteristiche Nessuna criticità qualitativa. Il guasto non influisce sulla qualità del prodotto o servizio

2

Marginalmente critico. Qualità accettabile, nei limiti dello standard

3

Poco critica. Qualità non accettabile

4

Critico Molto critico. Qualità non accettabile, rischio di inviare al cliente un

5

prodotto fuori standard. Possibili rischi per il personale Figura 27 – indici di criticità

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO L’analisi viene effettuata considerando i guasti indipendentemente dalle loro possibili interazioni; essa, pertanto, darà indicazioni sul comportamento del sistema deteriorato da “guasto singolo” e non da combinazioni di più guasti. In altre parole, quando si determinano le conseguenze di un modo di guasto, si ipotizza che tutti gli altri modi di guasto, dello stesso componente o di altri componenti, non intervengano. Per i sistemi ridondanti, in cui sono presenti dei componenti “in attesa”, gli effetti dei modi di guasto sono valutati sia considerando il guasto singolo del componente, sia ipotizzando che sia già intervenuto un guasto altrove e che l’elemento in esame sia chiamato ad intervenire. In questo caso è necessario inserire un opportuno commento, nella colonna delle note, che indichi che l’analisi è stata effettuata trascurando il vincolo del guasto singolo. Analizzando componenti simili, sarà cura dell’analista utilizzare sempre gli stessi modi di guasto, definendoli in modo coerente ed attribuendo loro gli stessi valori di probabilità. Le indicazioni di frequenza dei guasti possono essere sia di natura qualitativa che quantitativa. Nel secondo caso si dovrà ricorrere ai dati affidabilistici raccolti sulle banche dati commerciali o rilevati sul campo. In base alle cause ed alle frequenze, è possibile classificare gli elementi in ordine di criticità ed indicare quale sia la cadenza di ispezione più adatta (a turno, quotidiana, settimanale) e se l’intervento deve o meno essere effettuato a macchina ferma.

Di seguito si riportano alcuni strumenti di analisi che vengono tipicamente utilizzati nella metodologia FMECA. Per l’analisi delle criticità all’interno dell’impianto o per l’individuazione dei componenti critici di una macchina si può ricorrere all’analisi di Pareto, che è uno strumento che consente di individuare quella parte minima dei componenti del sistema che è responsabile della maggior parte dei problemi manutentivi. Di seguito un esempio di analisi di Pareto condotta a livello macchina individuando il numero di interventi a seguito di guasto svolti in un certo periodo di tempo sui componenti di una macchina; dall’analisi del grafico in rosso, che rappresenta il progressivo del numero di interventi in percentuale sul totale, si nota come i primi tre componenti siano responsabili per circa il 70-80% dei guasti e pertanto su di essi andrà focalizzata l’attenzione dell’ingegneria di manutenzione per individuare strategie di miglioramento dell’affidabilità del sistema. Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Figura 28 – digramma di Pareto Una volta identificate le macchine su cui intervenire, per individuare l’origine dei guasti che determina le performance affidabilistiche precedentemente misurate, viene utilizzata la Root Cause Analysis (RCA) o analisi della causa radice. Si tratta di una metodologia che mira ad individuare componenti e modi di guasto critici, ricostruendo l’albero delle cause del guasto e dei componenti della macchina. L'analisi delle cause alla radice (RCA) è un modo per identificare la ragione principale di un guasto in un processo o in un prodotto in modo da poter individuare la soluzione giusta. L'RCA può progredire più rapidamente ed efficacemente accoppiando un diagramma di Ishikawa con il metodo scientifico del noto ciclo di Deming plan-do-check-act (PDCA) per indagare empiricamente il fallimento. Spesso, le indagini sui fallimenti iniziano con un brainstorming delle possibili cause e la loro elencazione in un diagramma di Ishikawa. Una volta formato un team per la risoluzione dei problemi, il primo passo in un RCA è quello di creare una descrizione del problema. Sebbene sia fondamentale per l'avvio di un RCA, la descrizione del problema viene spesso trascurata, troppo semplice o non ben ponderata. La dichiarazione del problema dovrebbe includere tutti i dettagli oggettivi disponibili all'inizio dell'indagine, tra cui: •

Quale prodotto non ha funzionato;

Le failure rilevate;

Il numero di unità difettose;

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO •

Descrizione del guasto da parte del cliente;

La descrizione del cliente non deve necessariamente essere corretta; deve riflettere le parole del cliente ed essere chiaro che si tratta di un commento e non di un'osservazione. Ad esempio, una dichiarazione di problema può iniziare con "Il cliente X segnala che il prodotto A non funziona". Il resto della descrizione del problema chiarirebbe poi cosa significa "non funziona" in termini tecnici sulla base dei dati o delle prove disponibili. Una buona dichiarazione del problema sarebbe: "Il cliente X segnala 2 alberi con codice 546ABC, trovati nel reparto di montaggio del cliente dovrebbero avere una lunghezza nominale 14,5 +/-2 mm, ma invece misurano 14,12 mm e 14,11 mm". Un diagramma di Ishikawa (o lisca di pesce) dovrebbe essere creato una volta che la descrizione del problema è stata scritta e i dati sono stati raccolti. Un diagramma di Ishikawa dovrebbe essere visto come una rappresentazione grafica di ipotesi che potrebbero spiegare il fallimento in esame. Serve a comunicare rapidamente queste ipotesi ai membri del team, ai clienti e al management.

Figura 29 – Albero delle cause di guasto – Diagramma di Ishikawa

Il grafico viene ricostruito a ritroso a partire dall’effetto rilevante (il guasto) inserendo lungo l’albero le varie componenti del sistema che potrebbero averlo determinato. Poi per ciascuna di esse si procede ad un’ulteriore suddivisione sempre più dettagliata dei sub-componenti e poi, nello stesso grafico, si riportano i modi di guasto dei vari subcomponenti, arrivando così alla definizione dell’origine del guasto dell’intero sistema (si veda l’esempio di seguito). Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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Figura 30 – esempio di RCA

Gli elementi del diagramma di Ishikawa dovrebbero essere in grado di spiegare come si è verificato il guasto in termini di rapporto causa-effetto. Solitamente le cause di guasto vanno ricercate tra le cosiddette 6M: •

Man: il personale/operaio, quindi errore umano o errore dovuto ad una scarsa conoscenza

Methods: il metodo, ovvero la procedura, che si utilizza per effettuare certe operazioni

Machines: la macchina, quindi problemi connessi con la scarsa affidabilità di quest’ultima

Materials: materiali, qui si considera la qualità dei materiali grezzi o semilavorati oggetto della lavorazione o comunque del processo.

Measurement: il sistema di misurazione; talvolta quest’ultimo non riesce a rilevare correttamente i KPI ovvero dei parametri che poi generano problemi durante una lavorazione

Mother Nature: l’ambiente, il contesto nel quale è presente la macchina, le condizioni operative (es. temperatura, umidità, vibrazioni etc)

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Nell’ambito della FMECA, l’analisi delle criticità consente di attribuire un punteggio ai vari modi di guasto sulla base di una valutazione qualitativa e quantitativa dei seguenti parametri: − I = Impatto del guasto: rappresenta una misura della gravità delle conseguenze del guasto stesso. − P = Probabilità di accadimento: rappresenta una stima della frequenza con cui si presenta il guasto ed è legato all’affidabilità del componente. − R = Capacità di rilevazione anticipata: misura la possibilità di tenere sotto controllo il componente in questione e di prevenire quindi l’eventuale guasto. Sulla base dei suddetti parametri, è possibile definire per ogni guasto un indice di priorità di rischio dato dal prodotto dei tre parametri precedenti.

Questo indice consente di classificare tutti i guasti possibili in funzione della loro “pericolosità” ed eventualmente, attraverso un’analisi di Pareto, di individuare i componenti ed i modi di guasto critici. Inoltre, sarà possibile individuare un indice soglia, superato il quale i componenti vanno studiati ed analizzati al fine di individuare proposte di miglioramento per ridurre la gravità del guasto, la sua frequenza o per aumentare la capacità di rilevazione. Per quanto riguarda il metodo di attribuzione dei punteggi, occorre osservare quanto segue. Il Grado di Severità può essere definito in diverse maniere, in dipendenza dagli obiettivi: − sicurezza sulle persone (ad esempio la possibilità di incidenti in produzione oppure di un danno durante l’uso da parte del cliente finale) − sicurezza ambientale (ad esempio il rischio di rilascio sostanze inquinanti) − perdita/degradazione delle funzioni del sistema (ad esempio la ridotta potenzialità produttiva oppure il degrado della qualità di produzione)

La Probabilità di Accadimento può essere stimata disponendo di dati di affidabilità significativi sui vari componenti del sistema. La Capacità di Rilevazione consiste nello stimare la capacità del metodo di rilevazione considerando ineliminabili il guasto e la sua causa; in genere si tratta di una misura

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO qualitativa che viene trasformata in un punteggio tanto più alto quanto più bassa è la capacità di rilevazione. Nelle figure che seguono si riporta un esempio di un tabulato risultato di un’analisi FMECA con l’individuazione dei punteggi di criticità per ogni causa di guasto.

Figura 31 – esempio di calcolo dell’IPR

10.6.4 I sette Step della Professional Maintenance

In figura 32 sono riassunti i sette Step del pilastro di Professional Maintenance.

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Figura 32 : I sette Step della Professional Maintenance

Le attività dei primi tre step hanno lo scopo di stabilizzare il tempo medio tra i guasti - MTBF (Mean Time Between Failures) attraverso l’eliminazione e la prevenzione del degrado accelerato, l’analisi dei guasti e la definizione degli standard

di

manutenzione preventiva. L’approccio è quello della manutenzione preventiva. Al termine dei primi tre step i guasti sulle macchine critiche devono essere portati a zero. Il quarto e il sesto step hanno lo scopo di allungare il ciclo di vita delle macchine attraverso attività di manutenzione preventiva e predittiva. Il quinto step ha lo scopo ripristinare il deterioramento in modo periodico attraverso la costruzione di un sistema di manutenzione preventiva. Il settimo step ha lo scopo di istituzionalizzare il sistema di manutenzione, di gestirlo e di valutarlo.

Step 0 Attività preliminari di preparazione Questo step si propone di creare un sistema per la gestione della manutenzione completo di mappatura

e classificazione degli impianti e delle macchine; le

procedure da seguire in caso di guasto;

il sistema di raccolta

dei dati e di

documentazione; la modalità di gestione degli EWO, Emergency Work Orders, Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO ossia degli ordini di lavoro che vengono emessi in caso di guasto; la preparazione delle infrastrutture

necessarie quali il box della manutenzione; il sistema

computerizzato per la gestione della manutenzione integrato con la gestione dei ricambi e la gestione dei lubrificanti; la modalità di monitoraggio dei KPI. Prima di passare agli Step di PM occorre effettuare una serie di attività preliminari di preparazione quali: •

la definizione di impianti e priorità,

la gestione dei ricambi,

la definizione del box di manutenzione di officina,

la gestione dei lubrificanti,

la definizione delle modalità di lavoro,

la gestione degli ordini di lavoro e il tracciamento dei KPI.

La definizione di impianti e priorità Nella classificazione delle macchine si realizza una “classificazione ABC delle macchine”, e lo strumento a cui si ricorre è l’Equipment ABC Priorization. Si tratta di uno strumento ideato appositamente per classificare e suddividere gli impianti basandosi sulla loro criticità, in modo da poter riuscire ad ottimizzare al meglio l’impiego delle risorse manutentive, sia umane sia economiche: in questo modo si allineano le priorità manutentive con gli obiettivi aziendali, coerentemente al Cost Deployment. In altre parole, serve a determinare quali macchinari ricoprono maggiore importanza per la produzione, in quanto impattano notevolmente sulla sicurezza, sulla qualità finale del bene prodotto, sui costi di manutenzione, sui consumi energetici, sull’ambiente e sulle prestazioni dell’intero processo di produzione, ottenendo contemporaneamente un elevato coefficiente di utilizzo. Il processo di classificazione è stato impostato in fasi distinte. Si definiscono e si elencano tutti gli impianti presenti in stabilimento, ricorrendo ad un foglio di lavoro. Gli impianti vengono classificati secondo il tempo di riparazione; il livello di influenza sulla qualità, sulla sicurezza, sull’ambiente, sulla perdita di energia; la probabilità del guasto e la criticità dell’impianto relativa alle conseguenti fermate di linea. A partire da questo elenco si procede con la classificazione dei macchinari attraverso la Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO metodologica TDPC, ossia andando a calcolare il Punteggio di Priorità dell’impianto sommando il valore dei seguenti quattro parametri: • T – Tempo di Riparazione; • D– Grado di Influenza; • P – Probabilità di Guasto • C – Criticità dell’impianto; Quindi l’equipment è suddiviso ulteriormente in 4 classi sulla scorta del risultato ottenuto dal calcolo del Punteggio di Priorità: • Classe C: < 20%; • Classe B: 20% - 80%; • Classe A: 80% - 95%; • Classe AA: >95%;

Criteri di classificazione delle macchine secondo la metodologia TDPC – gli impianti di classe AA hanno un indicatore TDPC pari a 95-100% del valore massimo e su di loro conviene fare manutenzione migliorativa (evolutiva);

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO – gli impianti di classe A hanno un indicatore TDPC pari a 80-95% del valore massimo e su di loro conviene fare manutenzione predittiva; – gli impianti di classe B hanno un indicatore TDPC pari a 20-80% del valore massimo e su di loro conviene fare manutenzione preventiva; – gli impianti di classe C hanno un indicatore TDPC <20% del valore massimo e su di loro conviene fare manutenzione a guasto.

La gestione dei ricambi e dei lubrificanti Tra i metodi da mettere a punto in questo step vi è la gestione delle parti di ricambio, ossia la corretta allocazione, l'identificazione dei materiali, la definizione delle quantità minime per ogni tipologia di materiale anche in funzione della criticità della frequenza di guasti, le regole di ordine e di pulizia del magazzino, la gestione degli oli e dei lubrificanti attraverso la creazione di una zona dove vanno depositati e l'identificazione di ogni singola tipologia di olio e di lubrificante. La gestione dei ricambi e dei lubrificanti comprende anche la gestione e la movimentazione dei materiali di manutenzione e dei lubrificanti e delle attrezzature; le condizioni di conservazione degli oli e la scelta delle tipologie degli oli e/o dei lubrificanti che possano avere delle performance superiori a quelle standard

in modo da

migliorare le performance delle attrezzature. Un altro aspetto importante è rivedere i criteri di acquisto dei materiali di manutenzione e condividere le strategie di acquisto dei materiali con il dipartimento di manutenzione.

Gli obiettivi della gestione ricambi sono: • La gestione ricambi e materiali ha un ruolo vitale nel supportare l’esecuzione dei lavori e assicurare la disponibilità degli impianti. • La sua funzione primaria deve rispondere ad entrambe le esigenze: avere il componente al magazzino e / o provvedere veloci vie per l’acquisizione.

La gestione ricambi può essere difficile, ha obiettivi conflittuali:

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Mantenere basso il capitale investito e, contemporaneamente Assicurare che i ricambi siano sempre disponibili.

Le tecniche di previsione per i ricambi e materiali si possono applicare per ottimizzare i livelli, ma sono ugualmente importanti gli accordi quadro con i fornitori per l’acquisto dei ricambi con basso lead-time, etc.

La definizione del box di manutenzione di officina

Definizione delle modalità di lavoro, Il sistema dell’Ordine di Lavoro di Emergenza (EWO) viene utilizzato per registrare i dettagli rilevanti di un guasto. Incorpora i seguenti strumenti: •

5W-1H

Quick Kaizen

Analisi delle Cause Origine (Root Cause Analysis)

Contromisure

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Il sistema deve essere creato in modo di assicurarsi che le informazioni prese durante la modalità Lavoro di Emergenza siano raccolte, fascicolate, analizzate e, se necessario, archiviate.

Come creare il sistema 1.

Preparazione di un sistema per la raccolta dei dettagli e l’analisi dei guasti

L’efficienza viene misurata in termini più larghi che la sola correzione o riparazione fisica. Questo richiede i seguenti dettagli: •

Il tempo dal guasto all’ inizio dei lavori di riparazione.

Tempo di riparazione; tempo dall’inizio della riparazione alla ripresa in carico dalla produzione.

Registro storico dei guasti

2. Impostare il sistema di raccolta e cartellinare le parti danneggiati per le analisi guasti. 3. Addestrare i manutentori all’utilizzo del modulo EWO e organizzare la gestione degli interventi di miglioramento e la correzione delle anomalie. 4. Impostare il sistema per la gestione dei guasti e le prestazioni degli impianti (incluso rendimento).

In questo step è fondamentale predisporre e realizzare la formazione del team di manutenzione sull’impiego di questo tool.

Step 1 Eliminazione e prevenzione del degrado accelerato Nello Step 1 del pilastro PM si svolgono le attività di Eliminazione e prevenzione del degrado accelerato cercando di stabilizzare l’indice MTBF, recuperando il degrado, mantenendo le condizioni di base, effettuando i report guasti, creando il Machine Ledger per ciascuna macchina.

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Questo step ha l’obiettivo di ridurre il tempo medio di riparazione, MTTR, attraverso il potenziamento delle competenze dei conduttori/operatori, il miglioramento della gestione delle parti di ricambio, il miglioramento dell’accessibilità degli impianti, l’applicazione delle 5 S nell’area di lavoro. Si propone inoltre di fornire una prima stabilizzazione del tempo medio tra i guasti, MTBF, attraverso il ripristino del deterioramento, il mantenimento delle condizioni di base e l’eliminazione dell’ambiente di deterioramento forzato (supporto alle attività di AM). Obiettivi specifici di PM di questo step sono la comprensione delle condizioni attuali delle macchine, attraverso una serie di attività preparatorie all’analisi dei guasti (step 2) e la comprensione delle condizioni ottimali attraverso la predisposizione del registro della macchina machine ledger.

Registro della macchina (machine ledger) Il machine ledger è un documento articolato che va realizzato per le macchine critiche (classificate AA). Sul machine ledger sono riportati tutti gli elementi che servono a caratterizzare la macchina e gli eventi della biografia: la scomposizione a livello di componente, la strategia di manutenzione utilizzata e gli eventi di guasto che occorrono mese dopo mese. Vi è anche l’indicazione del MTBF e della varianza del TBF del singolo componente e della famiglia del componente. Il machine ledger consente la gestione a vista dei guasti per ogni componente. Per creare il machine ledger occorre realizzare le seguenti attività: – classificare gli impianti e preparare il registro dell’impianto; – identificare tutti i sotto-assiemi dell’impianto; – realizzare il disegno dettagliato di tutti i componenti dell’impianto; – raccogliere e formalizzare informazioni dettagliate sui componenti dell’impianto;

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO – registrare i guasti sulla mappa dei guasti per creare la storia dei guasti.

Step 2 Analisi dei guasti (Breakdown Analysis ) Lo step 2 ha lo scopo di evitare il ripetersi di guasti gravi e di ridurre la ricorrenza delle micro-fermate (fermo impianto che dura meno di dieci minuti ) migliorando il rendimento del processo per perdite dovute a guasti (un fermo impianto che dura piĂš di dieci minuti), di ridurre i difetti e le anomalie di prodotto dovuti allo stato degli impianti e di sviluppare

tecniche

di analisi

dei guasti e di Problem Solving,

documentando con rigore i risultati (aggiornamento sistema EWO). Attraverso la rimozione della causa radice del guasto si pongono le basi per la stabilizzazione del tempo medio tra la ricorrenza dei guasti MTBF.

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Il grafico riporta due curve gaussiane, che rappresentano la probabilità co n cui si presenta l’occorrenza della variabile TBF (Time Between Failures). La gaussiana più ampia significa che c’è variabilità tra i TBF, quella più stretta significa che vi è meno variabilità e di conseguenza si possono introdurre modalità di manutenzione predittiva. L’obiettivo è di portare a un valore minore di due la varianza, ossia la variabilità della distribuzione statistica. A quel punto è possibile definire il primo tentativo di Piano di manutenzione professionale

Nello Step 2 del pilastro PM si svolgono le attività di: controllo dei guasti gravi e ripetitivi prevenendone la ricorrenza e aumentando l’efficienza e riducendo le fermate per guasto. Si crea dunque la mappa dei guasti, da effettuare s u tutti i sottogruppi e relativi componenti della macchina, completa de lla tempificazione dell’evento-guasto. Questo permette di costruire la storia dei guasti della linea a livello di componente e di aggiornare con questi dati il machine ledger. Si effettua la stratificazione dei guasti per tipologia, si analizzano i report di manutenzione, si etichettano i componenti danneggiati e si definisce un sistema uniforme di gestione dei guasti.

Dopo aver ripristinato il guasto, che cosa occorre fare per garantire che il guasto non si verifichi nuovamente?

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Se il guasto deriva da scarsa robustezza del componente la causa radice può essere rappresentata da un’influenza esterna, dovuta a materiali o ricambi che non sono idonei, oppure una debolezza nella progettazione. In questi c a s i , p e r evitare ch e il guasto s i ripeta, se le cause

sono le influenze esterne, occorre fare una

segnalazione al costruttore relativa al problema, se invece il problema era di progettazione, occorrerà rivedere gli standard. Se invece il componente si è rotto per sollecitazioni eccessive, e se ciò è dovuto a influenze esterne, si chiede al fornitore di eseguire un’analisi dettagliata della rottura del componente (compilazione di EWO da parte del fornitore); se invece la sollecitazione eccessiva è dovuta alla scarsa competenza degli operatori e dei manutentori, che

non utilizzano propriamente l’impianto, si valutano i gap di

competenza e si realizzano le One Point Lessons. Se la sollecitazione eccessiva fosse invece dovuta a un mancato ripristino delle anomalie, si adatta il calendario di attività di Professional Maintenance. Se infine la rottura del componente è dovuta a degrado, componente sporco, non lubrificato, non ispezionato o regolato correttamente, è lo standard di automanutenzione che non ha funzionato e deve essere perciò rivisto. Se il componente si rompe, per mancata osservanza delle condizioni operative o per insufficienti competenze degli operatori, si utilizzano le aree specifiche di training del team di

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO manutenzione; se invece è un problema di materiali, occorre fare la segnalazione al fornitore.

Step 3 Definizione degli standard di manutenzione periodica La manutenzione periodica ha lo scopo di intervenire in modo programmato sull’impianto, la macchina e il componente attraverso sostituzioni, lubrificazioni, ispezioni, settaggi, regolazioni, test, calibrazioni e revisioni meccaniche, elettriche e idrauliche. Ciò al fine di anticipare il verificarsi del guasto. Una volta che le condizioni di base sono state ripristinate attraverso gli step precedenti, questo

tipo di manutenzione risulta eccellente e costituisce le

premesse per la manutenzione su condizione (CBM) e/o di tipo predittivo. Se invece le condizioni di base sono deteriorate e di conseguenza risulta molto difficile prevedere la frequenza di sostituzione, questo tipo di manutenzione è inefficace.

Nello Step 3 del pilastro PM occorre effettuare una: •

Definizione di standard manutentivi Costruendo il sistema di standard della manutenzione ciclica, sviluppando le istruzioni di lavoro, introducendo il calendario delle attività, monitorando le conformità delle attività di PM e introducendo un monitoraggio post-intervento.

Valutazione dei componenti critici secondo la procedura TDPC: Tempo Medio di Riparazione (MTTR), grado di impatto, probabilità dell’evento, criticità. In uscita dalla valutazione un risultato maggiore del 95% del punteggio massimo indica la maggiore criticità del componente (AA), un risultato tra i valori 80% e 95% (del punteggio massimo) indica un criticità elevata (A), un risultato minore all’80% del punteggio massimo indica una criticità media (B) o bassa (C).

Definizione dei contenuti degli standard di manutenzione periodica.

Definizione delle modalità degli standard di manutenzione periodica.

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Definizione di quale, quando, chi, dove, come (specifiche di parametri) di ciascuna specifica attività di manutenzione periodica.

Redazione delle procedure standard di manutenzione.

Implementazione delle attività di manutenzione periodica, monitoraggio dei risultati e ritaratura degli interventi.

Step 4 Realizzazione di contromisure sui punti deboli delle macchine e allungamento del ciclo di vita degli impianti Scopo di questo s t e p è di allungare il ciclo di vita delle macchine attraverso interventi di manutenzione migliorativa.

Individuare i punti deboli delle macchine. Il miglioramento dell’MTBF (dal terzo step PM consolidato) di un componente avviene solo se si riesce a migliorare la debolezza intrinseca del componente, ovvero se si riesce a migliorare il limite strutturale del componente che in genere è definito dal progetto e qualche volta dalle condizioni di funzionamento operative.

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Condurre attività di miglioramento focalizzato (FI). Individuare la soluzione di miglioramento dei punti deboli. Effettuare l’analisi costi/benefici della soluzione di miglioramento. Implementare la soluzione di miglioramento, effettuare il monitoraggio, esaminare il trend ed effettuare la sostenibilità.

Step 5 Costruzione di un sistema di manutenzione preventiva Sulla base dello standard di manutenzione definito nello step 3 e della sua applicazione, scopo di questo step è di migliorare la manutenibilità, la gestione ed il controllo, e la sicurezza della macchina.

Analizzare i sintomi anomali che segnalano il deterioramento dei componenti. Mettere in opera le contromisure sui punti deboli della realizzazione dell’ispezione.

Step 6 Costruzione di un sistema di manutenzione predittiva e di manutenzione della qualità QM La manutenzione predittiva fa riferimento al fatto che la maggioranza dei guasti non avviene improvvisamente ma si sviluppa in un dato periodo di tempo. Scopo di

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO questo step è di saper predire il ciclo di vita dei componenti attraverso la registrazione di dati significativi per dare indicazioni sulle condizioni delle macchine, per esempio un aumento di temperatura su una superficie isolante. L’obiettivo è intervenire prima che il guasto si verifichi sulla base dell’analisi di dati di contesto che consentano di raccogliere indizi della tendenza che il guasto si verifichi. Il monitoraggio delle condizioni non avviene soltanto attraverso apparecchiature raffinate, ma soprattutto proviene dalle percezioni degli operatori che lavorano quotidianamente con le macchine e che sono in grado di udire un rumore o una vibrazione inusuali. Successivamente si svolge un’analisi con strumenti più raffinati per identificare meglio i parametri.

Si utilizzano strumenti di rilevazione delle

particelle (ferrografia), delle vibrazioni (dinamica), della temperatura (termografia) per verificare la tendenza a non assicurare le prestazioni e a guastarsi di uno specifico componente. Se la tendenza è al guasto si sostituisce, se la tendenza non è al guasto, non lo si sostituisce.

Figura 5.31 Manutenzione predittiva

Attività: •

Approfondire le tecniche e le tecnologie per la manutenzione predittiva

Scegliere i componenti più critici (valutazione TDPC).

Sviluppare

tecnologie

e

apparecchiature

diagnostiche.

Valutare

i

costi/benefici. •

Effettuare le attività di diagnosi predittiva.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Step 7 Istituzionalizzazione del sistema di manutenzione e gestione dei costi di manutenzione Scopo di questo step è di realizzare la piena utilizzazione degli impianti attraverso l’istituzionalizzazione del sistema di manutenzione e la gestione dei costi di manutenzione.

Attività– •

Costruire un sistema di gestione del budget di manutenzione.

Valutare i risparmi.

Valutare il sistema di manutenzione applicato.

Valutare il miglioramento dell’affidabilità: numero dei guasti e delle microfermate, frequenza dei guasti, MTBF.

Valutare il miglioramento della manutenibilità: percentuale di manutenzione periodica, percentuale di manutenzione preventiva, MTTR.

10.7 AUTONOMOUS MAINTENANCE La manutenzione autonoma, nota anche con il termine automanutenzione, è uno degli aspetti principali e di vera innovazione portati dal TPM e può essere definita come il complesso delle attività di manutenzione e conduzione svolte dal personale di produzione. Il concetto chiave dell'automanutenzione è di far "crescere" gli operatori macchina, ed incrementare il loro know-how ed abilità assegnando loro l'esecuzione di attività base di manutenzione (pulizia "intelligente", lubrificazione, serraggi, piccole riparazioni, settaggi elementari, ispezioni programmate, ecc.). In tal modo, gli operatori imparano a "conoscere" bene le macchine, e sono presto in grado di individuare segnali anche deboli di "logorio" ed "usura", fin dagli stadi iniziali. Il che assicura interventi manutentivi più tempestivi e previene la crescita ed il propagarsi del deterioramento.

Il pilastro Autonomous Maintenance si pone come obiettivo il miglioramento della disponibilità dei mezzi di lavoro e della qualità dei prodotti, attraverso il coinvolgimento Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO degli addetti alla produzione, assegnando loro maggiori responsabilità nella gestione e manutenzione dei macchinari e delle attrezzature, realizzando i controlli ispettivi, la lubrificazione, l’immediata individuazione delle anomalie e la sostituzione di alcuni componenti o piccole riparazioni. La Manutenzione Autonoma realizza dunque le attività che devono essere eseguite principalmente dagli operatori macchina allo scopo di: •

ristabilire le condizioni di base degli impianti;

fermare il deterioramento accelerato;

sviluppare le competenze sul prodotto e sull’impianto;

definire e realizzare i cicli di mantenimento;

creare postazioni di lavoro tali da eliminare anomalie, fermate e difetti qualità.

Attraverso una corretta implementazione di tale approccio è possibile: • •

misurare il degrado, attraverso sistematiche ispezioni giornalieri ed il controllo delle condizioni operative; prevenire il degrado, attraverso una corretta gestione delle anomalie ed una sistematica esecuzione di azioni pulizia, lubrificazione, serraggi e regolazioni minori;

rimediare al degrado, rilevando le anomalie prontamente, studiandone le opportune contromisure, ed eseguendo piccole riparazioni preventive

Si deve quindi fare un salto di qualità rispetto al passato: la cura degli impianti non deve essere più solo compito dei manutentori, in quanto tale prassi rende difficile l'eliminazione tempestiva dei guasti e dei difetti. Con il WCM, invece, i guasti e i difetti possono essere eliminati mediante la manutenzione autonoma, svolta dagli operatori che sono a contatto quotidiano con gli impianti. La parola d'ordine per gli operatori deve essere quindi "Prendersi cura personalmente dei propri impianti", diventando protagonisti sul lavoro Nuovo profilo dell’operatore

Conduttore-manutentore

È in grado di “prendersi cura” della macchina a lui affidata, svolgendo, oltre alla normale attività di conduzione, anche piccoli interventi di manutenzione.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Nuovo ruolo del manutentore Manutentore d’area polivalente

Allarga le proprie conoscenze e competenze ed è in grado di valutare gli effetti che l’attività manutentiva ha sul processo produttivo

10.7.1 Attività tipiche Svolgere attività di manutenzione autonoma significa prendersi cura personalmente delle macchine, partendo dalla pulizia della postazione di lavoro, per arrivare all’esecuzione di ispezioni di alcuni componenti, riparazioni di semplice esecuzione, lubrificazione delle parti in movimento, sostituzioni di componenti, monitoraggio dello stato di salute, ecc. Tali attività di manutenzione giornaliera di controllo ed eliminazione delle fonti di contaminazione, finalizzate ad arrestare il deterioramento forzato, sono affidate agli operatori di linea. Infatti, nessuno più di loro è ne conosce meglio le condizioni di funzionamento ed è in grado di percepirne i segnali, spesso deboli, premonitori di un guasto imminente. La manutenzione autonoma si traduce quindi nelle attività di: •

pulizia delle attrezzature per assicurarne il corretto stato di funzionamento e facilitarne;

l’individuazione delle anomalie (5S);

lubrificazione e l’ingrassaggio degli ritardarne;

l’usura e ridurre le perdite di energia;

ispezione quotidiana dei propri impianti (Visual Control);

visite sistematiche per regolazioni, riavvitamento dei bulloni, piccoli interventi, ecc.;

riparazioni e sostituzioni di componenti guasti o difettosi;

controllo delle tolleranze e delle condizioni di funzionamento.

elementi meccanici per

evitarne o

10.7.2 I sette Step dell’Autonomous Maintenance

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO I sette Step del pilastro Autonomous Maintenance sono rappresentati in figura 33:

Figura 33 : I sette Step dell’Autonomous Maintenance

Prima di passare agli Step di AM occorre effettuare una serie di attività preliminari di preparazione quali la definizione dell’area di intervento, la definizione e la formazione del team di lavoro, la preparazione degli attrezzi di pulizia e del tabellone delle attività. Le attività di sviluppo della AM possono avere un costo non trascurabile, che va calcolato in maniera accurata e che comprende i costi della manodopera, delle attrezzature e dei materiali ausiliari.

Perché le macchine si guastano?

Le macchine possono guastarsi a causa del deterioramento, di un aumento dello stress a cui sono sottoposte, per la perdita delle condizioni base. Inoltre si possono guastare a causa di un errore umano o per errori di progettazione

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Il deterioramento avviene nel tempo a causa di una manutenzione inefficace

che non si

preoccupa di mantenere le condizioni di base degli impianti o per una mancanza di competenze degli operatori che non effettuano correttamente le ispezioni. L’aumento dello stress e la sollecitazione eccessiva degli impianti è dovuta invece a errori nello svolgimento delle operazioni (mancanza di competenze degli operatori) e delle riparazioni o al fatto che le condizioni operative non sono osservate con rigore dagli operatori e al mancato mantenimento delle condizioni di base. La scarsa robustezza della macchina è invece il risultato di errori o debolezze nella progettazione della macchina

o del componente, di errori nella produzione o

nell’istallazione. Per evitare il deterioramento degli impianti occorre assicurare il mantenimento delle condizioni di base. Ciò si realizza attraverso la manutenzione preventiva, le cui attività rientrano nei pillar Autonomous Maintenance e Professional Maintenance. Per evitare gli errori degli operatori e dei manutentori, che sono causa dell’aumento dello stress, si interviene con la formazione. Contro gli errori di progettazione si interviene

con le attività del pillar Early

Equipment Management.

La logica del percorso di realizzazione della manutenzione autonoma prevede che: si riportino gli impianti alle condizioni di base (step 1); si individuino le sorgenti di contaminazione e si implementino le relative contromisure (step 2); si prevenga il deterioramento forzato ottimizzando il primo standard di manutenzione autonoma (step 3); successivamente si inizino a individuare sulle macchine le condizioni per la qualità del prodotto e si provi a migliorare l’attuale standard di manutenzione autonoma, rendendolo più efficiente (step 4 e 5); infine le nuove regole e modalità vengono interiorizzate dalle persone che diventano in questo modo in grado di realizzare le attività di manutenzione autonoma in piena autonomia (step 6 e 7) Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


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I primi tre step hanno lo scopo di generare un cambiamento nelle macchine, passando da condizioni di sporcizia, di difficoltà nel pulire le macchine, pericolosità, lentezza, inaffidabilità e di fermata e guasto a condizioni di pulizia, sicurezza, affidabilità, zero fermate e zero guasti. Lo step 2 è lo step critico per l’ottenimento dei vantaggi che derivano dalla manutenzione autonoma. Le attività dei primi due step sono tipiche di un approccio reattivo. L’applicazione degli step 1-3 è la chiave per determinare le condizioni di base degli impianti. Il quarto e il quinto step sono finalizzati a generare un cambiamento nelle persone, infatti l’ispezione condotta direttamente dagli operatori produce la comprensione e l’assunzione di responsabilità verso che cosa e come controllare, anche verso la qualità, e rende più facile il lavoro. Gli operatori gradualmente assumono una capacità di realizzare in autonomia le attività di manutenzione pari alla cura che i genitori esercitano nei confronti della salute dei figli e che consente loro di fare ricorso al medico di famiglia, che può essere paragonato al tecnico manutentore nel caso delle macchine, quando ve ne sia veramente il bisogno. Occorre considerare che l’implementazione dello step 4 è costosa in termini di tempo e di denaro. Bisogna quindi fare un’attenta valutazione dei costi benefici di questo step per giustificarne anche economicamente l’implementazione. Gli step 3, 4 e 5 sono tipici step dove le attività sono svolte con approccio di tipo preventivo. Il sesto e il settimo step hanno lo scopo di determinare un cambiamento duraturo nella gestione della manutenzione, attraverso l’andata a regime del nuovo sistema di manutenzione autonoma dove l’addetto è responsabile della propria area di lavoro in termini di qualità e affidabilità delle macchine.

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AM: il contenuto dei sette step

Step 0 Preparazione Realizzazione delle attività preliminari necessarie alla corretta definizione e implementazione del sistema di manutenzione autonoma. Noto la Matrice C del cost deployment, si possono sviluppare le seguenti attività: •

Analisi della matrice C del Cost Deployment e individuazione delle perdite che hanno origine da guasti di macchine e linee.

Analisi del layout dei macchinari e classificazione dei macchinari (le attività di manutenzione autonoma sono indirizzate primariamente alle macchine di tipo AA e A, con graduale estensione alle classi B e C.

Definizione dei target dei progetti di manutenzione autonoma (es.

90% di

riduzione del tempo di pulizia nel totale delle model area, massimo una fermata al mese per model area, zero guasti sulla macchina critica dovuti a mancanza delle condizioni base). •

Individuazione delle model area (area o tratto di Ute).

Costituzione del gruppo di lavoro.

Pianificazione dei Progetti di manutenzione autonoma

Formazione degli operatori della model area da parte dei manutentori “il team leader e il conduttore devono diventare padroni della macchina” (promuovere

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO la comprensione di come accade il deterioramento forzato, diffondere la consapevolezza relativamente all’importanza della sicurezza nelle attività di AM, sviluppare la comprensione di come

la macchina funziona e opera) e

analisi/realizzazione degli schemi di funzionamento delle macchine. •

Predisposizione dei materiali necessari alla realizzazione delle

attività

(il

necessario per accedere al macchinario e per le pulizie, la modulistica per la raccolta dei dati, i cartellini AM e le schede per la raccolta delle anomalie riscontrate)

Dalle attività precedenti si ottiene la mappa degli skill di AM per i team coinvolti e Piano dei 100 giorni che contiene la pianificazione delle attività previste per ciascuno dei primi quattro step (da 0 a 3) di AM, comprese, per ciascuno step, le attività di audit e le azioni correttive necessarie per risolvere le criticità riscontrate durante l’audit.

Step 1 Pulizia iniziale e ispezione La pulizia è il punto di partenza della buona manutenzione. Consente di effettuare un’ispezione, che può portare a scoprire ed eliminare anomalie altrimenti nascoste.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Risolvendo gli inconvenienti emersi possono essere attuate modifiche o contromisure per evitare le cause che l’hanno prodotta: in questo modo si innesca il circolo virtuoso del miglioramento continuo.

La realizzazione di questa fase consente di riportare la macchina esattamente allo stato originario (situazione ideale): è infatti importante che avvenga il ripristino dell’impianto alle normali condizioni di funzionamento. Questa fase, apparentemente semplice ed ovvia, costituisce un primo passo verso la conoscenza della macchina e delle sue corrette condizioni di funzionamento: la pulizia è ispezione -> l’ispezione è scoperta degli inconvenienti -> gli inconvenienti sono il punto di partenza e lo stimolo per il ripristino dei macchinari o per il loro miglioramento. Occorre identificare le perdite derivanti da una scarsa pulizia quali: 1.

Guasto: lo sporco e l’infiltrazione di corpi estranei nelle parti rotanti, scorrevoli,

nei sistemi pneumatici, idraulici e elettrici determinano una scarsa precisione, un funzionamento scorretto e guasti dovuti ad usura, ostruzione, resistenza e alimentazione di corrente inadeguata; 2.

Difetti: l’infiltrazione di corpi estranei nei prodotti e il funzionamento scorretto dei

macchinari provocano difetti; 3.

Deterioramento forzato: la polvere e gli spargimenti rendono difficoltosi i controlli

e l’individuazione di allentamenti, crepe, gioghi, esaurimento di oli con conseguente deterioramento forzato continuo; 4.

Cali di velocità: la scarsa pulizia aumenta la resistenza allo scorrimento con

conseguente riduzione di capacità, fermi macchina e cali di velocità. Lo Step 1 mira quindi ad avvicinare gli operatori alle macchine, far capire che la pulizia è ispezione, educare le persone a scoprire i problemi, addestrare gli operatori a identificare le fonti di sporco e a conoscere meglio le macchine. Occorre dunque pulire, ispezionare individuando le anomalie, individuare i punti dove solo i manutentori possono intervenire e lasciare loro il compito di intervenire, intervenire dove è possibile, compilare l’elenco anomalie e valutare l’avanzamento delle attività.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Pulizia non vuol dire semplicemente lucidare le parti principali dell’impianto, le centraline elettriche, le calotte di protezione e così via. Significa eliminare completamente lo sporco che per lunghi anni si è formato anche negli angoli più nascosti. Si devono aprire le diverse calotte di protezione e i vari sportelli di chiusura, si deve estrarre l’olio dal serbatoio, toccare con le mani anche gli angoli più nascosti e mai analizzati, pulirli alla perfezione. Inoltre, la pulizia consente di conoscere i vari punti sospetti e di riflettere su come dovevano essere originariamente gli impianti. Una pulizia che non fa scoprire le anomalie e gli inconvenienti dell’impianto, perciò è semplicemente pulizia e non può chiamarsi “pulizia che diventa ispezione”.

Le

macchine, inoltre, a causa della polvere e della sporcizia, sono soggette ad un lento degrado che provoca difetti e guasti sulle stesse. Quando si parla di degrado devono essere distinti il degrado naturale da quello forzato: •

In un impianto, anche se utilizzato correttamente, si verifica usura tra componente e componente, nei punti di contatto. In questo modo, col tempo si assiste ad un tipo di degrado che viene chiamato degrado naturale.

Il degrado forzato, invece, è il degrado che avviene per comportamenti non corretti: non vengono puliti i posti da pulire, non vengono lubrificate le zone che necessitano di attività periodiche di lubrificazione, oppure non si interviene nonostante ci siano sovraccarichi o rumori ripetuti.

In questa fase gli operatori, dopo aver acquisito le nozioni di base sulla sicurezza, su come deve essere effettuata la pulizia, sugli strumenti e sugli attrezzi necessari per effettuare la pulizia e sulle attenzioni da tenere muovendosi dentro la linea e avendo cura delle macchine, effettuano la pulizia iniziale. Si rimuove tutto lo sporco che esiste sulla macchina e mentre si rimuove lo sporco si effettua una ispezione che permette di individuare difetti, anomalie e guasti nascosti, che vengono segnalati apponendo sulle macchine i cartellini o AM tag. I cartellini blu sono quelli a carico degli operatori, i cartellini rossi sono quelli a carico dei manutentori.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO

OBIETTIVI ATTIVITA’ Eliminare completamente polvere e sporcizia sugli impianti. Lubrificare e stringere i bulloni; scoprire e correggere i piccoli problemi dell’impianto. Rimuovere le cose non necessarie; pulire e sistemare gli attrezzi e le macchine necessarie.

PER L’IMPIANTO Prevenire il deterioramento forzato provocato da polvere e sporcizia. Scoprire e correggere piccoli difetti attraverso la pulizia. Rimuovere le cose non necessarie dall’area intorno all’impianto/macch ina. Razionalizzar ee lubrificazione.

PER GLI OPERATORI Creare un senso di consapevolezza e padronanza dell’impianto toccandolo e maneggiandolo. Coltivare l’abilità di individuare piccoli difetti dell’impianto Riconoscere l’importanza della pulizia.

RUOLO DELLA DIREZIONE Identificare le aree prioritarie da pulire e guidare le attività. Istruire sull’importanza della pulizia (formazione). Preparare delle schede diagnostiche. Assumere responsabilità nelle operazioni e nell’implementazi one delle attività.

Tabella 1 – Step 1 della Manutenzione Autonoma: Ispezione & Pulizia Iniziale.

AM tag è un cartellino che viene affisso sulla macchina, in corrispondenza dei punti critici individuati, e può segnalare problemi, dare indicazioni per ripristinare una condizione iniziale, fornire suggerimenti per migliorare.

Gli indicatori di questa fase sono:

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO •

Numero di cartellini emessi per settimana. (Si consideri che per una macchina mediamente complessa nelle prime due/tre settimane di attività di pulizia e di ispezione un indicatore di successo è l’emissione dai 300 ai 400 cartellini).

Cartellini evasi su cartellini emessi per settimana. Numero dei Quick Kaizen realizzati.

Saving su pulizie tecniche area modello.

Rispetto al calendario degli interventi di pulizia sulle linee: ore totali su settimana, ore di pulizia effettuate in orario di lavoro straordinario

Step 2 Individuare le fonti di sporco e realizzare le contromisure In questa fase vengono messe in atto tutte le misure per eliminare o diminuire le fonti di contaminazione e ridurre il tempo necessario per ripristinare la pulizia. In questo modo si incentiva l’interesse e la volontà di migliorare gli impianti, attraverso: •

la localizzazione e l’eliminazione delle cause che danno origine a sporco;

a ricerca e l’eliminazione di perdite di liquidi o polveri;

la riduzione al minimo dello spazio dove si genera lo sporco;

la realizzazione di miglioramenti per facilitare la pulizia e le ispezioni.

In questa fase trovano valida applicazione ripari, sportelli di ispezione, sistemi per arrivare rapidamente alle zone interessate, sostituzioni di viti con leve o altri sistemi rapidi di bloccaggio.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Le protezioni consentono di prevenire la dispersione di trucioli, polveri, ecc., in zone della macchina dove lo sporco è presente maggiormente; queste però se estese a grandi aree possono produrre al contrario i seguenti problemi: •

il degrado forzato viene tralasciato e questo provoca l’insorgenza di guasti;

pulizia, lubrificazione ed ispezioni sono disagevoli e, perciò, non è possibile effettuare una manutenzione corretta e si attende il guasto;

le operazioni di attrezzaggio sono disagevoli e comportano tempi lunghi.

Oltre agli inconvenienti sopra citati, le protezioni comportano un aumento dei costi di fabbricazione, nonché la necessità di maggiore tempo per la pulizia e l’esecuzione degli interventi di manutenzione autonoma. Per eliminare questo tipo di inconveniente è necessario ridurre al massimo le dimensioni delle protezioni e limitare la dispersione dei materiali in una piccola area vicino al punto di origine: di qui il concetto di “localizzazione” delle protezioni in zone specifiche.

Inoltre, occorre rendere le macchine facili da ispezionare realizzando aperture idonee per monitorare gli strumenti di misurazione in modo da non dover necessariamente fermare le macchine. Infine, occorre rendere visibili i punti di ispezione nascosti, collocarli all’altezza degli occhi e rendere visibili le parti nascoste praticando il controllo visuale. Alcuni indicatori utili per monitorare le attività di pulizia possono essere: •

riduzione dei tempi di ispezione, degli scarti, del consumo di lubrificante e del numero di persone coinvolte.

Numero di contromisure realizzate in relazione alle fonti di sporco individuate.

Efficacia della contromisura: per esempio, costo dei materiali di protezione eliminati (come cartone o cellophane utilizzati per proteggere la macchina dallo sporco) in seguito alla eliminazione della sorgente di sporco.

Quantificazione costi benefici dello step.

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OBIETTIVI ATTIVITA’

RUOLO PER L’IMPIANTO

PER

GLI

DELLA

DIREZIONE

OPERATORI Eliminare tutte le fonti di contaminazione che possono causare deterioramento (polvere, sporcizia) e

Migliorare Facilitare pulizia e

l’ispezione e prevenire perdite di olio. dell’impianto Eliminare tutti i luoghi attraverso

Fornire i concetti e

continuamente nella mettere in pratica il messa in pratica di miglioramento

prescrizioni a breve e continuo degli impianti. padroneggiare inaccessibili dove sono l’eliminazione delle Preparare i criteri di l’applicazione del difficili pulizia ed lavoro e gli standard fonti di polvere e metodo e delle ispezioni (migliorare le sporcizia nelle aree in work. concezioni del operazioni per cui è difficile la pulizia Implementare il miglioramento abbreviare il tempo e l’ispezione. controllo a vista e le continuo. necessario alla pulizia istruzioni sullo Migliorare la Fare piacevolmente ed alle riparazioni). sviluppo dei Manutenibilità l’attività di Stabilire priorità delle dell’impianto. dispositivi. miglioramento parti in cui effettuare continuo (piacere nel l’ispezione giornaliera. lavoro manuale). Confermare il miglioramento continuo ed i suoi effetti.

Step 3 Realizzazione dello standard iniziale di auto-manutenzione Individuate le sorgenti di contaminazione, le relative contromisure diventano il primo standard di pulizia e controllo. •

Creare standard iniziali di pulizia, ispezione, lubrificazione, piccoli serraggi,

controlli visivi, che consentano di effettuare le operazioni con il minore tempo e sforzo Materiale ad uso esclusivo degli allievi del Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi. Vietata la riproduzione (anche parziale).


Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO (specificano luoghi e parti del macchinario, tempi, realizzazione/standard

di

regolazione,

frequenze,

attribuzione

della

modalità

responsabilità

di di

realizzazione). •

Migliorare l’efficacia del controllo introducendo strumenti di gestione a vista del

controllo. •

Azzerare i guasti dovuti a mancanza di condizioni

base

(ossia

dovuti a

mancanza di AM) sulle macchine critiche. l’attività di creazione di standard di pulizia, ispezione e lubrificazione perseguendo obiettivi di definizione di standard, di ottimizzazione dei sistemi di lubrificazione, applicando le attività definite in fase di planning e completando i cicli di pulizia e ispezione con il supporto di specialisti. Per definire uno standard occorre determinare luoghi, parti del macchinario, metodi di regolazione, tempi/frequenze, ruoli e responsabilità, e gli obiettivi. Questo step è difficile da eseguire perché gli addetti macchina potrebbero non applicare gli standard definiti infatti il principale ostacolo all’applicazione di uno standard, si ha quando la persona che deve applicarlo non è colui che lo ha generato. Occorre dunque far decidere gli standard a chi lavora sugli impianti e sulle postazioni.

Step 4 Condurre una ispezione generale degli impianti Se i primi 3 step hanno l’obiettivo di prevenire il deterioramento delle macchine e mantenere le condizioni di base (di pulizia, di ispezione e di lubrificazione) per il loro corretto

funzionamento, per lo step 4 sono

fondamentali la formazione

l’addestramento degli addetti sulle caratteristiche tecniche

e

degli impianti, per

accrescere la loro abilità a scoprire i malfunzionamenti e, con l’aiuto degli specialisti, per elaborare il piano di ispezione generale. In questo step è fondamentale anche la formazione su aspetti qualitativi della macchina e del prodotto, ovvero attraverso quali parametri la macchina influisce sugli aspetti qualitativi del prodotto.

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Dispense del corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi a.a. 2019/2020 Proff. Guido GUIZZI e Teresa MURINO Le attività da sviluppare sono: •

Sviluppare le competenze per l’ispezione.

Sviluppare le competenze degli operatori/addetti in termini di qualità del prodotto e di come la macchina incida sulla qualità del prodotto.

Portare tutti gli impianti al massimo delle loro condizioni sottoponendoli a una ispezione generale.

Operare modifiche sugli impianti per facilitare i controlli. Estendere i controlli visivi per facilitare l’ispezione.

Step 6 Istituzionalizzare la manutenzione autonoma Scopo di questo step è di ridurre la variazione del tempo ciclo istituendo procedure e standard chiari per una manutenzione autonoma sicura e migliorando le procedure di set up e di work in process. Scopo di questo step è inoltre istituire un sistema di autogestione dei flussi del posto di lavoro, dei ricambi, degli attrezzi, dei prodotti finali, dei dati. Step 7 Praticare la completa autogestione della manutenzione autonoma Scopo di questo step è di migliorare le attività e di standardizzare i miglioramenti in linea con le politiche e gli obiettivi di stabilimento e di ridurre i costi eliminando gli sprechi nel posto di lavoro. Gli Step che vanno dal 4 al 7 del pilastro AM prevedono le attività di: •

Ispezione generale;

Ispezione autonoma;

Standardizzazione;

Programmazione di AM totalmente implementata (Gestione Autonoma).

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Nozioni di base sulla variabilità e i Sistemi a Code Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità e Casualità

Variabilità e casualità • Una definizione formale di variabilità è la caratteristica di non uniformità di una classe di entità. • Le dimensioni fisiche, i tempi di processo, i tempi di guasto/riparazione della macchina, le misure di qualità, le temperature, i tempi di messa a punto e così via sono esempi di caratteristiche soggette a non uniformità. • La variabilità è strettamente associata (ma non identica) alla aleatorietà. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità e Casualità

• Ci sono due diversi tipi di variabilità: – Variazione controllabile, quella che si verifica come diretta conseguenza di decisioni (ad es. lotti di produzione, e così via). – Variazione casuale, quella che è una conseguenza di eventi al di fuori del nostro immediato controllo (orari di arrivo degli ordini dei clienti, guasti e riparazioni delle postazioni di lavoro, e così via).

• Anche se entrambi i tipi di variazione possono essere rilevanti in un impianto, gli effetti della variazione casuale sono più subdoli e richiedono strumenti più sofisticati per essere descritti. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ e CasualitĂ

• Data una variabile casuale X definiamo: Media: đ?‘‹ŕ´¤ Vđ?‘Žđ?‘&#x;đ?‘–đ?‘Žđ?‘›đ?‘§đ?‘Ž: đ?œŽ đ?‘‹2

đ?œŽđ?‘‹ Coefficiente di variazione CV : đ?‘?đ?‘‹ = đ?‘‹ŕ´¤ Coefficiente di variazione quadratico SCV : đ?‘? đ?‘‹2

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đ?œŽ đ?‘‹2 = 2 đ?‘‹ŕ´¤

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità dei tempi di processamento

Variabilità dei tempi di processamento • I tempi di processamento possono essere influenzati da diverse cause di variabilità (variabilità naturale, variabilità dovuta ad interruzioni, setup, guasti, e così via).

Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità dei tempi di processamento

• Una variabilità da moderata ad alta diminuisce le prestazioni del sistema, anche se il valore medio è relativamente piccolo. Ciò è dovuto alla generazione di fenomeni di coda.

Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità dei tempi di processamento

• I tempi di processamento ad alta variabilità sono tipicamente generati da fenomeni che avvengono con una bassa frequenza ma con un'alta intensità (interruzioni). • In questo caso, la coda della distribuzione è significativa.

Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità

Cause di Variabilità • Per identificare le strategie di gestione dei sistemi di produzione a fronte della variabilità, è importante innanzitutto comprendere le cause della variabilità. • Le fonti di variabilità più diffuse negli ambienti di produzione sono le seguenti: – Variabilità naturale, che include piccole fluttuazioni nel tempo di processo dovute a differenze negli operatori, nelle macchine e nei materiali. – Interruzioni casuali. – Setups. – Disponibilità degli operatori. – Ricicli. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità – Variabilità Naturale

Variabilità Naturale • La variabilità naturale è la variabilità insita nel tempo naturale del processo, che esclude: – tempi di fermo macchina casuali; – setups; – qualsiasi altra influenza esterna.

• La variabilità naturale tiene conto di fonti di variabilità che non sono state esplicitamente richiamate. • Queste fonti sono tipicamente legate all'operatore, quindi c'è una variabilità più naturale nei processi manuali che in quelli automatizzati. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità Naturale

• t0 e Ďƒ0 la media e la deviazione standard dei tempi naturali di processamento • Il coefficiente di variazione dei tempi naturali di processamento: đ?œŽ0 đ?‘?0 = đ?‘Ą0 • Nella maggior parte dei sistemi, i tempi naturali di processo hanno LV e pertanto c0 < 0.75. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità – Variabilità Naturale

• I tempi di processo naturali sono solo il punto di partenza per valutare i tempi di processo effettivi. • In qualsiasi sistema di produzione reale, le postazioni di lavoro sono soggette a vari detrattori, – tempi di fermo macchina, – setups, – Indisponibilità dell’operatore unavailability, –…

che contribuiscono ad incrementare sia la media che la varianza dei tempi effettivi del processo. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

Variabilità da interruzioni preemptive • Le interruzioni preemptive si verificano senza nessuna possibilità di controllo da parte dell’uomo, e tipicamente sono le principali cause di variabilità nei sistemi produttivi. • Interruzioni preemptive comuni, sono: – – – –

guasti; interruzioni di corrente; mancanza di materiali di consumo; …

• Tratteremo tutte queste cause come semplici guasti, dato che gli effetti sono gli stessi. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• Per vedere come le interruzioni della macchina causino la variabilità, consideriamo due macchine diverse. M1

M2

• Entrambe le machine hanno la stessa capacità nominale di 4 job/ora, e devono soddisfare una domanda giornaliera di 69 jobs (2,875 job/ora). Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• Supponiamo che entrambe le macchine abbiano la stessa variabilitĂ naturale, rappresentata da una deviazione standard Ďƒ0 = 3.35 min. đ?‘Ą0 = 15 min đ?œŽ0 = 3.35 min

đ?‘? 20

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đ?œŽ0 = đ?‘Ą0

2

3.35 = 15

2

= 0.05

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• Inoltre, entrambe le macchine sono soggette a guasti e hanno la stessa disponibilità a lungo termine del 75%. • Tuttavia, l'M1 ha interruzioni lunghe ma poco frequenti, mentre l'M2 ha interruzioni brevi e frequenti.

đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ??šđ?‘€1 = đ?‘šđ?‘“1 = 744 min

đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ?‘…đ?‘€1 = đ?‘šđ?‘&#x;1 = 248 min đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ??šđ?‘€2 = đ?‘šđ?‘“2 = 114 min đ?‘€đ?‘‡đ?‘‡đ?‘…đ?‘€2 = đ?‘šđ?‘&#x;2 = 38 min Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• Calcolo della disponibilitĂ a lungo termine: đ?‘šđ?‘“1 744 đ??´1 = = = 0.75 đ?‘šđ?‘“1 + đ?‘šđ?‘&#x;1 744 + 248 đ?‘šđ?‘“2 114 đ??´2 = = = 0.75 đ?‘šđ?‘“2 + đ?‘šđ?‘&#x;2 114 + 38 đ??´ = đ??´1 = đ??´2 = 0.75

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• Il tempo effettivo di processamento di entrambe le macchine può essere calcolato, in modo da tener conto dell'effetto medio dell'indisponibilitĂ :

đ?‘Ą0 15 đ?‘Ąđ?‘’ = = = 20 min đ??´ 0.75 • La capacitĂ effettiva (rate): đ?‘&#x;đ?‘’ =

1 đ?‘Ąđ?‘’

=

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1 đ??´ đ?‘Ą0

=

0.75 15

= 0.05 job/min = 3 job/ora

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• Considerando solo gli effetti medi dei guasti, entrambe le macchine sembrano essere equivalenti. • Tuttavia, se includiamo gli effetti di variabilità, le postazioni di lavoro sono molto diverse. • Ad esempio, se volessimo coprire un guasto generico medio delle macchine con uno stock messo immediatamente a valle, il WIP delle due macchine sarebbe diverso. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

WIP Mx

đ?‘Šđ??źđ?‘ƒđ?‘€1

đ?‘Šđ??źđ?‘ƒđ?‘€2

Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

248 = ∙ 2.875 = 11.88 jobs 60 38 = ∙ 2.875 = 1.82 jobs 60 Š 2020 – Corso di Sistemi di Produzione di Beni e Servizi

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• Poiché i guasti sono casuali, M1 ha bisogno di un elevato WIP per compensare gli effetti di variabilità rispetto a M2. • Il risultato è che una linea con M1 sarà meno efficiente (cioè avrà un tempo di ciclo e WIP più elevato per ottenere la stessa produttività) rispetto alla stessa linea con M2. • Quindi, considerando gli effetti della variabilità, M2 è migliore di M1 anche se sembrano essere gli stessi se si considera solo il comportamento medio. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive of variability – Variability from preemptive outages

• Supponendo che le TTF siano distribuite in modo esponenziale, possiamo ottenere alcune equazioni per stimare la variabilitĂ dei guasti. đ?‘Ą0 đ?‘Ąđ?‘’ = đ??´

đ?œŽ0 2 đ?œŽđ?‘’ = đ??´ đ?œŽđ?‘’ 2 cđ?‘’ = đ?‘Ąđ?‘’

Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

2

2

đ?‘š 2đ?‘&#x; + đ?œŽ 2đ?‘&#x; ∙ 1 − đ??´ ∙ đ?‘Ą0 + đ??´ ∙ đ?‘šđ?‘&#x; =

c 20

+ 1

+ c 2đ?‘&#x;

đ?‘šđ?‘&#x; ∙đ??´âˆ™ 1−đ??´ ∙ đ?‘Ą0

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• L'ultima equazione può anche essere riscritta come segue: c 2đ?‘’

=

c 20

đ?‘šđ?‘&#x; đ?‘šđ?‘&#x; 2 +đ??´âˆ™ 1−đ??´ ∙ + cđ?‘&#x; ∙ đ??´ ∙ 1 − đ??´ ∙ đ?‘Ą0 đ?‘Ą0

• Possiamo vedere che anche un tempo di riparazione deterministico causa variabilitĂ . • Ciò è dovuto al fatto che una riparazione produce un arresto del flusso anche se il tempo di riparazione è deterministico. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni preemptive

• Calcolando la variabilità delle due macchine (assumendo cr = 1), si ottiene: c �21 c �22

248 = 0.05 + 1 + 1 ∙ 0.75 ∙ 1 − 0.75 ∙ = 6.25 15 38 = 0.05 + 1 + 1 ∙ 0.75 ∙ 1 − 0.75 ∙ = 1.0 15

• Questa analisi porta alla conclusione che una macchina con interruzioni frequenti ma brevi è preferibile ad una macchina con interruzioni poco frequenti ma lunghe, a condizione che le disponibilitĂ siano le stesse. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

Variabiità da interruzioni non-preemptive • Le interruzioni non-preemptive rappresentano tempi di inattività che inevitabilmente si verificheranno, ma per i quali abbiamo un certo controllo sul momento esatto in cui si verificano. • Alcuni esempi sono i setup, i piccoli arresti dovuti alle ispezioni e alle normative delle macchine, e così via. • Quindi, in una interruzione non-preemptive, il job termina il processo prima che l’interruzione si verifichi. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• Poiché la fonte più comune di interruzioni nonpreemptive è la configurazione delle macchine, inquadreremo la nostra discussione in questi termini. • Come nel caso delle interruzioni preemptive, il calcolo della capacità media non analizza completamente gli impatti di setup non-preemptive. • L'analisi della capacità media ci dice solo che le configurazioni brevi sono migliori di quelle lunghe. Non può valutare le differenze tra una macchina lenta con setup corti e una veloce con setup lunghi che hanno la stessa capacità effettiva. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• Supponiamo di confrontare due macchine, M1 e M2, che elaborano sequenze di job. Quando il tipo di job cambia, è necessario un setup sulla macchina. • La macchina 1 è la piĂš veloce, ma richiede un tempo di setup significativo. đ?‘Ą0đ?‘€1 = 1 h đ?‘Ąđ?‘ đ?‘€1 = 2 h Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• La macchina 2 è la piĂš lenta, ma ha una flessibilitĂ cosĂŹ alta che non c'è bisogno di effettuare i setup (cioè, il tempo di setup è 0). đ?‘Ą0đ?‘€2 = 1.2 h đ?‘Ąđ?‘ đ?‘€2 = 0 h • Le sequenze di job possono avere una lunghezza diversa, ma la lunghezza media delle sequenze è: đ?‘ đ?‘ = 10 jobs Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• I parametri medi che caratterizzano le nostre macchine possono essere calcolati come segue: đ?‘Ąđ?‘ đ?‘Ąđ?‘’ = đ?‘Ą0 + đ?‘ đ?‘ 1 1 đ?‘&#x;đ?‘’ = = đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘Ą + đ?‘Ąđ?‘ 0 đ?‘ đ?‘

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• Quindi, possiamo calcolare: đ?‘&#x;đ?‘’đ?‘€1

1 1 1 = = = = 0.833 job/h đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘Ą + đ?‘Ąđ?‘ 1 + 2 0 đ?‘ đ?‘ 10

đ?‘&#x;đ?‘’đ?‘€2

1 1 1 = = = = 0.833 job/h đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘Ą0 1.2

• Considerando i tassi medi di processo, le due macchine sembrano essere equivalenti. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• Analizziamo ora le due macchine dal punto di vista della variabilitĂ . • Se ipotizziamo che il numero di job processati tra un setup e l'altro derivi da un processo senza memoria, possiamo ottenere: 2 đ?œŽ đ?‘ − 1 đ?‘ đ?‘ 2 2 đ?œŽ 2đ?‘’ = đ?œŽ 0 + + ∙ đ?‘Ą đ?‘ 2 đ?‘ đ?‘ đ?‘ đ?‘ 2 đ?œŽ đ?‘’ 2 cđ?‘’ = 2 đ?‘Ąđ?‘’ Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• L'ipotesi fatta è realistica quando la media e la deviazione standard del numero di job processati tra i setup sono uguali, quindi đ?‘?đ?‘ đ?‘ = 1 • Applichiamo la formula sopra riportata al nostro caso, supponendo che M1 sia una macchina automatica con: đ?‘?0đ?‘€1 = 0.25

đ?‘?đ?‘ đ?‘€1 = 0.25 Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• M2 deve essere azionato manualmente, quindi il coefficiente di variazione del tempo di processamento è superiore a quello di M1: đ?‘?0đ?‘€2 = 0.5 • Calcoliamo ora i coefficienti di variazione al quadrato delle due macchine, ricordando che đ?œŽ2 = đ?‘?2 ∙ đ?‘Ą2 Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

2 2 0.25 ∙ 2 10 − 1 2 2 2 2 đ?œŽ đ?‘’đ?‘€1 = 0.25 ∙ 1 + + ∙2 2 10 10 = 0.4475 2

c đ?‘’đ?‘€1 = c đ?‘’đ?‘€22

0.4475 2

= 0.31

2 1+ 10 = c 0đ?‘€22 = 0.52 = 0.25

Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Cause di Variabilità – Variabilità da interruzioni non-preemptive

• CosĂŹ, la macchina M2, la macchina piĂš variabile senza setup, ha meno variabilitĂ complessiva rispetto alla macchina M1, la macchina meno variabile con setup. • Naturalmente, questa conclusione è stata una conseguenza dei numeri specifici dell'esempio. Per esempio, se M1 avesse un setup piĂš breve (ts = 1 ore) dopo una media di Ns = 5, la capacitĂ effettiva rimarrebbe invariata, ma la variabilitĂ effettiva diminuirebbe a c 2đ?‘’ = 0.16, quindi meno di quello di M2. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità del flusso

Variabilità del flusso • Il flusso si riferisce al trasferimento di lavori o parti da una stazione all'altra. • Chiaramente, se una stazione di lavoro a monte ha tempi di processo altamente variabili, il flusso che alimenta le stazioni di lavoro a valle sarà anch'esso altamente variabile. • Pertanto, per analizzare l'effetto della variabilità sulla linea, dobbiamo caratterizzare la variabilità dei flussi. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità del flusso

• Il punto di partenza per lo studio dei flussi è l'arrivo dei lavori ad una singola postazione di lavoro. • La partenza da questa postazione di lavoro sarà a sua volta l'arrivo ad altre postazioni di lavoro. • Quindi, per caratterizzare la variabilità del flusso, dobbiamo descrivere la variabilità degli arrivi ad una postazione di lavoro e determinare come questo influisca sulla variabilità delle partenze da quella postazione. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ del flusso

• Il primo indicatore degli arrivi ad una postazione di lavoro è il tasso di arrivo, ra, misurato in job per unitĂ di tempo. • Il tasso di arrivo è il reciproco del tempo medio tra gli arrivi ta. 1 đ?‘&#x;đ?‘Ž = đ?‘Ąđ?‘Ž

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ del flusso

• AffinchĂŠ la postazione di lavoro sia in grado di tenere il passo con gli arrivi, è essenziale che la capacitĂ superi il tasso di arrivo, quindi đ?‘&#x;đ?‘’ > đ?‘&#x;đ?‘Ž • Nei casi realistici, cioè in presenza di variabilitĂ , la capacitĂ deve essere strettamente superiore al tasso di arrivo per evitare che la stazione si sovraccarichi. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ del flusso

• Come per il tempo di processamento, possiamo definire la variabilitĂ dei tempi di interarrivo attraverso il coefficiente di variazione(CV). đ?œŽđ?‘Ž đ?‘?đ?‘Ž = đ?‘Ąđ?‘Ž

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ del flusso

• Per caratterizzare le partenze dalla postazione di lavoro, possiamo utilizzare misure analoghe a quelle utilizzate per descrivere gli arrivi (tempo medio tra le partenze td, tasso di partenza rd). 1 đ?‘&#x;đ?‘‘ = đ?‘Ąđ?‘‘ đ?œŽđ?‘‘ đ?‘?đ?‘‘ = đ?‘Ąđ?‘‘ Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità del flusso

• In una linea di produzione in serie (o produzione a flusso), dove tutta l'uscita dalla stazione di lavoro i diventa ingresso alla stazione di lavoro i + 1, il tasso di partenza da i deve essere uguale al tasso di arrivo a i + 1.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità del flusso

• Infatti, in una linea di produzione in serie senza perdita di rendimento o rilavorazione, il tasso di arrivo ad ogni postazione di lavoro è pari al TH della linea. • Inoltre, in una linea seriale dove le partenze da i diventano arrivi a i + 1, il CV di partenza della stazione di lavoro i è lo stesso del CV di arrivo della stazione di lavoro i + 1.

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Nozioni di base sulla variabilità

Variabilità del flusso

• L'unico problema che resta da risolvere riguardo alla variabilità dei flussi è come caratterizzare la variabilità delle partenze da una stazione in termini di informazioni sulla variabilità degli arrivi e dei tempi di processamento. • La variabilità delle partenze da una stazione è il risultato sia della variabilità degli arrivi alla stazione che della variabilità dei tempi di processamento. • Il contributo relativo di questi due fattori dipende dall'utilizzo della postazione di lavoro. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ del flusso

• L'utilizzo di una postazione di lavoro, u, è la frazione di tempo che è occupata nel lungo periodo, quindi, per una postazione di lavoro formata da m macchine identiche: đ?‘&#x;đ?‘Ž ∙ đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘˘= đ?‘š • PoichĂŠ il limite superiore per u è 1, il tempo effettivo del processo deve soddisfare: đ?‘š đ?‘Ąđ?‘’ < đ?‘&#x;đ?‘Ž Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ del flusso

• Se u è vicino a 1, la stazione è quasi sempre occupata. Pertanto, in queste condizioni, gli intertempi di partenza dalla stazione saranno essenzialmente identici ai tempi di processo. CosĂŹ ci aspetteremmo anche đ?‘?đ?‘‘ = đ?‘?đ?‘’ . • All'altro estremo, quando u è vicino a 0, la stazione è molto scarica. Praticamente ogni volta che un job è finito, la stazione deve aspettare a lungo prima che un altro lavoro arrivi. Quindi, in queste condizioni ci si aspetterebbe đ?‘?đ?‘‘ = đ?‘?đ?‘Ž . Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ del flusso

• Un buon e semplice metodo per l'interpolazione tra questi due estremi è quello di utilizzare il quadrato dell'utilizzo come segue: đ?‘? đ?‘‘2 = đ?‘˘2 ∙ đ?‘? 2đ?‘’ + 1 − đ?‘˘2 ∙ đ?‘? đ?‘Ž2 • Come si può vedere, per i livelli intermedi di u, il SCV di partenza è la combinazione del SCV di arrivo e del tempo di processamento.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

VariabilitĂ del flusso

• Quando c'è piĂš di una macchina in una stazione đ?‘š > 1 , , il seguente è un modo ragionevole per stimare đ?‘? đ?‘‘2 : đ?‘? đ?‘‘2 = 1 + 1 − đ?‘˘2

2 đ?‘˘ ∙ đ?‘? đ?‘Ž2 − 1 + ∙ đ?‘? 2đ?‘’ − 1 đ?‘š

• Per altri stimatori si veda il libro di Buzacott e Shanthikumar (1993). Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Interazione della variabilità – Queueing

Interazione della variabilità – Queueing

• I risultati precedenti relativi alla variabilità dei tempi di processamento e alla variabilità dei flussi sono elementi costitutivi per caratterizzare gli effetti della variabilità nell'intera linea di produzione. • Passiamo ora al problema di valutare l'impatto di questo tipo di variabilità sulle misure chiave delle prestazioni di una linea, ovvero WIP, tempo di ciclo e produttività. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Interazione della variabilità – Queueing

• La variabilità produce tempi di attesa, che vengono spesi dai job in coda quando arrivano ad una postazione di lavoro. • La scienza che modella i fenomeni di accodamento è la teoria delle code. • Un sistema di code combina i componenti che sono stati considerati finora: un processo di arrivo, un processo di servizio (cioè di produzione) e una coda. • Il compito della teoria delle code è quello di caratterizzare le misure di performance in termini di parametri descrittivi. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing

• Useremo la notazione di Kendall per definire un sistema di code: đ??´âˆ•đ??ľâˆ•đ?‘šâˆ•đ?‘? dove: – A e B descrivono rispettivamente la distribuzione dei tempi di interarrivo e dei tempi di processamento. – m è il numero di macchine (in parallelo) presenti nella stazione. – b è il numero massimo di job che possono essere presenti nel sistema. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing

• I valori tipici per A e B sono: – D: distribuzione costante (deterministica); – M: markoviano, dunque una distribuzione esponenziale che rappresenta un processo di Poisson; – Ek: Distribuzione di Erlang con fasi k; – G: distribuzione completamente generale (ad es. normale, uniforme, ecc.).

• In molti casi, la dimensione delle code non è limitata. Indichiamo questo caso come đ??´ ∕ đ??ľ ∕ đ?‘š ∕ ∞ or simply as đ??´ ∕ đ??ľ ∕ đ?‘š . Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing

Alcune relazioni fondamentali • Utilizzo della stazione: đ?‘&#x;đ?‘Ž đ?‘&#x;đ?‘Ž ∙ đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘˘= = đ?‘&#x;đ?‘’ đ?‘š

• Il tempo di ciclo trascorso alla stazione e quello trascorso in coda: đ??śđ?‘‡ = đ??śđ?‘‡đ?‘ž + đ?‘Ąđ?‘’ Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing

• La legge di Little applicata alla stazione e alla coda: đ?‘Šđ??źđ?‘ƒ = đ?‘‡đ??ť ∙ đ??śđ?‘‡ đ?‘Šđ??źđ?‘ƒđ?‘ž = đ?‘‡đ??ť ∙ đ??śđ?‘‡đ?‘ž • Dove đ?‘‡đ??ť = đ?‘&#x;đ?‘Ž se la coda non è limitata nelle dimensioni (gđ?‘&#x;đ?‘’ > đ?‘&#x;đ?‘Ž ), altrimenti il throughput deve essere calcolato in modo specifico.

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Nozioni di base sulla variabilità

Interazione della variabilità – Queueing – M/M/1

Il modello di coda M/M/1 • Questo è il modello di coda più semplice, dato che le ipotesi sono tempi di interarrivo e di processo esponenziali, macchina singola, protocollo "first-come first-served" e spazio illimitato per i lavori in attesa in coda.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – M/M/1

• Le misure di performance sono: đ?‘Šđ??źđ?‘ƒ

đ?‘€âˆ•đ?‘€âˆ•1

đ?‘˘ = 1−đ?‘˘

đ?‘€âˆ•đ?‘€âˆ•1 đ?‘Šđ??źđ?‘ƒ 1 đ?‘€âˆ•đ?‘€âˆ•1 đ??śđ?‘‡ = = â‹… đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘&#x;đ?‘Ž 1−đ?‘˘ đ?‘˘ đ?‘€âˆ•đ?‘€âˆ•1 đ?‘€âˆ•đ?‘€âˆ•1 đ??śđ?‘‡đ?‘ž = đ??śđ?‘‡ − đ?‘Ąđ?‘’ = â‹… đ?‘Ąđ?‘’ 1−đ?‘˘ 2 đ?‘˘ đ?‘€Τđ?‘€Τ1 đ?‘€âˆ•đ?‘€âˆ•1 đ?‘Šđ??źđ?‘ƒđ?‘ž = đ?‘&#x;đ?‘Ž â‹… đ??śđ?‘‡đ?‘ž = 1−đ?‘˘ Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Interazione della variabilità – Queueing – M/M/1

• Le misure delle prestazioni sono esatte poiché il sistema è markoviano. • Possiamo osservare che tutte le misure di performance aumentano all’aumentare di u. • Inoltre, fissato u, CT e CTq aumentano al crescere di te. Quindi, per un dato livello di utilizzo, le macchine più lente causano più tempo di attesa. • Poiché le espressioni hanno il termine 1 - u nel denominatore, tutte le misure di congestione esplodono quando ci si avvicina ad 1. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – M/M/1

• Per esempio, consideriamo una macchina che deve soddisfare una domanda media đ?‘&#x;đ?‘Ž = 2.875 job/h e avendo un tempo di processamento effettivo 1 đ?‘Ąđ?‘’ = h ; đ?‘&#x;đ?‘’ = 3 job/h 3 • Supponiamo che sia i tempi di arrivo che quelli di processamento siano distribuiti in modo esponenziale.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – M/M/1

• Quindi, possiamo modellare il sistema come una coda M/M/1. đ?‘&#x;đ?‘Ž 2.875 đ?‘˘= = = 0.9583 đ?‘&#x;đ?‘’ 3 đ?‘˘ 0.9583 đ?‘Šđ??źđ?‘ƒ = = = 23 job 1 − đ?‘˘ 1 − 0.9583 đ?‘Šđ??źđ?‘ƒ 23 đ??śđ?‘‡ = = =8h đ?‘&#x;đ?‘Ž 2.875 Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Interazione della variabilità – Queueing – M/M/1

• Possiamo notare che un elevato utilizzo della macchina, circa il 96%, porta ad un significativo livello medio di WIP e tempo di ciclo. • Inoltre, dobbiamo considerare che le misure di performance calcolate rappresentano i valori medi nel lungo periodo, quindi ci sono ovviamente periodi in cui la coda raggiunge valori più grandi rispetto alla media.

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Nozioni di base sulla variabilità

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

Il modello di coda G/G/1 • Questo modello permette di stimare il tempo di ciclo in un sistema caratterizzato da tempi di arrivo generali e tempi di processamento generali. • Poiché il processo non è più privo di memoria, le misure di performance ottenute sono influenzate da un'approssimazione. • Tuttavia, le approssimazioni sono ragionevolmente accurate quando i CV non superano di molto 1 e u tra 0,1 e 0,95. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1 – Queueing – G/G/1

• Il tempo medio del ciclo è dato da (vedi Medhi, J., 1991. Stochastic Models in Queueing Theory. Boston, MA: Academic Press) đ??śđ?‘‡đ?‘ž

đ??şâˆ•đ??şâˆ•1

đ?‘? đ?‘Ž2 + đ?‘? 2đ?‘’ = 2 đ?‘‰

đ?‘˘ â‹… â‹… đ?‘Ąŕ¸“đ?‘’ 1−đ?‘˘ đ?‘ˆ

�

• Questa formulazione è chiamata equazione di Kingman, e separa chiaramente i contributi dei CV, l'utilizzazione e il tempo effettivo di processamento. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

• Questa formulazione può essere ridotta all'esatta soluzione della coda M/M/1 sostituendo đ?‘? đ?‘Ž2 = đ?‘? 2đ?‘’ = 1. • Inoltre, si può dimostrare che

đ??śđ?‘‡đ?‘ž

đ?‘€âˆ•đ??şâˆ•1

1 + đ?‘? 2đ?‘’ = 2

đ?‘˘ â‹… â‹… đ?‘Ąđ?‘’ 1−đ?‘˘

è una formulazione esatta. • Può essere derivata dall'equazione di PollaczekKhinchin. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilità

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

Esempio: propagazione della variabilità in un flusso • Consideriamo una linea con due macchine che formano una serie. M1

M2

• Le due macchine hanno le stesse caratteristiche di quelle considerate nell'esempio delle interruzioni preemptive. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

đ?‘Ą01 = đ?‘Ą02 = đ?‘Ą0 = 15 min đ??´1 = đ??´2 = đ??´ = 0.75 đ?‘Ąđ?‘’1 = đ?‘Ąđ?‘’2

đ?‘Ą0 15 = đ?‘Ąđ?‘’ = = = 20 min đ??´ 0.75

1 đ??´ 0.75 đ?‘&#x;đ?‘’1 = đ?‘&#x;đ?‘’2 = đ?‘&#x;đ?‘’ = = = = 0.05 job/min = 3 job/h đ?‘Ąđ?‘’ đ?‘Ą0 15 248 2 đ?‘? đ?‘’1 = 0.05 + 1 + 1 â‹… 0.75 â‹… 1 − 0.75 â‹… = 6.25 15 38 2 đ?‘? đ?‘’2 = 0.05 + 1 + 1 â‹… 0.75 â‹… 1 − 0.75 â‹… = 1.0 15 Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

• Supponiamo che gli arrivi alla prima macchina siano esponenziali con un tasso medio di arrivo pari a 2.875 job/h, quindi đ?‘? 2 đ?‘Ž1 = 1 đ?‘&#x;đ?‘Ž1 = 2.875 job/h • Possiamo quindi calcolare l'utilizzo đ?‘&#x;đ?‘Ž1 2.875 đ?‘˘1 = = = 0.9583 đ?‘&#x;đ?‘’ 3 Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

• Il tempo medio di attesa per i job alla M1 è 1 + 6.25 0.9583 đ??śđ?‘‡đ?‘ž1 = â‹… â‹… 20 2 1 − 0.9583 = 1667.5 min = 27.79 h • PoichĂŠ l'M1 ha un elevato utilizzo e un'elevata variabilitĂ del tempo di processo, ci aspettiamo che anche la variabilitĂ delle partenze sia elevata.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

• Quindi, abbiamo đ?‘&#x;đ?‘‘1 = đ?‘&#x;đ?‘Ž1 = 2.875 job/h

đ?‘? 2 đ?‘‘1 = đ?‘? 2 đ?‘’1 â‹… đ?‘˘ 21 + đ?‘? 2 đ?‘Ž1 â‹… 1 − đ?‘˘ 21

=

= 6.25 â‹… 0.95832 + 1 â‹… 1 − 0.95832 = = 5.8216 • Ora possiamo ottenere i parametri del flusso che entra nella macchina M2.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

• Quindi, abbiamo đ?‘&#x;đ?‘Ž2 = đ?‘&#x;đ?‘‘1 = 2.875 job/h

đ?‘? 2 đ?‘Ž2 = đ?‘? 2 đ?‘‘1 = 5.8216 • L’utilizzazione della M2 è

đ?‘&#x;đ?‘Ž2 2.875 đ?‘˘2 = = = 0.9583 đ?‘&#x;đ?‘’ 3

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

• Ora possiamo calcolare il tempo medio di coda trascorso dai job in M2 5.82 + 1 0.9583 đ??śđ?‘‡đ?‘ž2 = â‹… â‹… 20 2 1 − 0.9583 = 1568.97 min = 26.15 h

• Anche se M2 ha un tempo di processo caratterizzato da una bassa variabilità , l'alta variabilità degli arrivi prodotti da M1 ha generato l'alto tempo di ciclo in coda a M2. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

• Se M2 fosse alimentato da arrivi moderatamente variabili, come ad esempio con đ?‘?đ?‘Ž = 1, allora la sua performance sarebbe rappresentata dalla coda M/M/1, con un tempo medio di coda pari a đ??śđ?‘‡đ?‘ž2

đ?‘€âˆ•đ?‘€âˆ•1

0.9583 = ⋅ 20 = 459.61 min 1 − 0.9583

= 7.66 h

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Nozioni di base sulla variabilitĂ

Interazione della variabilità – Queueing – G/G/1

• Infine, è interessante dare un'occhiata a ciò che accade nel flusso in partenza da M2 đ?‘&#x;đ?‘‘2 = đ?‘&#x;đ?‘Ž2 = 2.875 job/h

đ?‘? 2 đ?‘‘2 = đ?‘? 2 đ?‘’2 â‹… đ?‘˘ 22 + đ?‘? 2 đ?‘Ž2 â‹… 1 − đ?‘˘ 22

=

= 1 â‹… 0.95832 + 5.8216 â‹… 1 − 0.95832 = = 1.3937 • Come si può vedere, M2 mitiga la propagazione della variabilitĂ grazie al suo tempo di processo stabile insieme all'elevato utilizzo. Prof. Guido Guizzi, Ph.D.

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