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Introduzione
Tra Caos E Ordine
“In principio era il caos...”: i miti originari greci e giudaici e altri di popoli antichi usano questa parola per tracciare un limite chiaro tra un prima della creazione, caratterizzato dalla confusione, dalla materia informe, dall’oscurità, e un dopo, dove l’avvento di una Ragione universale corrisponde con l’imposizione di un ordine, che si esprime nella delimitazione di spazi, assegnazione di ruoli e definizione di identità. Sono questi i fondamenti del mondo giudaico-cristiano.
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Nella Bibbia, questo momento è identificato con la creazione, che è descritta in termini di separazione: ciò che prima è informe è separato, frammentato, diviso, dissociato, per lasciar apparire l’ordine con i diversi elementi ed esseri che compongono il cosmo. È come aprire una scatola chiusa di cui non si conosce il contenuto e, a poco a poco, far emergere ciò che vi si trovava nascosto e nell’anonimato, dando loro visibilità e identità. Nel libro della Genesi (1,1-27), l’azione creativa di Dio si esprime attraverso lo spirito creativo (in ebraico: ruah) e della parola divina (in ebraico: dabar) che fanno apparire la luce, separata dalle tenebre; le acque superiori distinte dalle acque del mare; il mare e la terra; la vegetazione, gli uccelli, gli animali e, infine, l’essere umano, maschio e femmina. Il plurale ed il multiplo derivano dall’informe, come in un processo di separazione, divisione e frammentazione. Però, tutto è regolamentato e sottoposto a un ordine superiore, rappresentato dall’immagine del creatore, Dio (Gn 1,28-31), che trasforma il caos in cosmo. L’ordine divino si basa sulla separazione di funzioni, compiti, finalità di ogni elemento: in questo modo il mito proietta l’immagine di un organismo armonioso, che si fonda sulla molteplicità e pluralità, ma il cui equilibrio è garantito dal rispetto dei limiti imposti a ciascun elemento, all’essere e all’intero organismo nel suo insieme.
Recenti studi sulla teoria del caos, che dalla fisica si applica a tutti i campi della conoscenza (scienze naturali, sociali, tecnologiche, economiche, mediche, ecc.), considerano il caos positivo perché rappresenta la rottura di un equilibrio precedente giunto al suo climax, creando la possibilità di una nuova configurazione e organizzazione.1 Infatti, il racconto biblico opera una giustapposizione tra il caos iniziale e l’ordine della creazione posteriore, affermando la bontà di quest’ultimo (1,31). Per la cosmovisione antica, l’ordine cosmico è necessario, poiché consente all’organismo di funzionare armoniosamente. Il mancato rispetto dei limiti imposti e la loro trasgressione causa la rottura dell’ordine e dell’armonia originari.
È il caso di Genesi 3, dove compare la figura simbolico/ mitica del Diavolo che, nella sua astuzia, suggerisce alla prima coppia umana la trasgressione dell’ordine divino, riassunta nel comando di non mangiare i frutti degli alberi proibiti. Le conseguenze della disobbedienza furono, secondo il racconto mitico, terribili: la rottura delle relazioni armoniche tra l’umanità e Dio, l’umanità e il resto del creato, e tra l’uomo e la donna. La maledizione del serpente, del maschio e della femmina riporterà il caos iniziale. La sequenza di quel testo, in Genesi 4, sarà la violenza umana, tra i fratelli Caino e Abele, e la crescita del male sulla terra, fino a quando Dio si pentirà della sua opera e scatenerà la forza distruttiva e caotica del diluvio (Gn 6-7). Nonostante ciò, il male non viene sradicato dalla terra, raggiungendo al suo apice nell’episodio della Torre di Babele (Gn 11,1-9), dove l’umanità si unisce contro Dio. La divisione e la dispersione dei popoli a partire dall’emergere delle differenti lingue, cioè la pluralità, rappresenterà la strategia per poter controllare il male caotico, che ricompare continuamente, sfidando l’ordine divino.
1 Per Ilya Prigogine la realtà è dinamica e fluttuante, sempre alla ricerca di equilibrio. In questo contesto, la vita cosmica sarebbe il risultato di una situazione di caos, dal quale, per la connettività tra le parti, si è generato un nuovo ordine, in: Ilya PrIgogIne e Isabelle stengers, Order out of Chaos. Man’s New Dialogue with Nature, London 1984, Heinemann.
Caos e cosmo, disordine e ordine sono due aspetti della stessa realtà, paragonabili al movimento del pendolo, delimitato dalla chiusura e dall’apertura, dall’uniformità e dalla pluralità, dall’imposizione e dalla trasgressione, dalla legge e dalla sua trasgressione, da un dentro e un fuori. La vita è in continuo movimento tra questi poli: è così che si trasforma, cambia, si rinnova e innova.
Separazione, divisione, limiti sono necessari per la definizione di un’identità, una familiarità, una società, contro la minaccia dell’informe, del caos, dell’anomalo, del disordine. Separare per conoscere, controllare e dominare (il famoso “divide et impera” dei romani): questa sembra essere la dinamica di fondo, che rivela la difficoltà di vivere nell’incertezza, nell’ignoto, nella pluralità. «Pensare a un limite, costruire un recinto significa inventare un’area e chiuderla, circoscrivendola con elementi che ne mostrano le dimensioni, la forma, le funzioni. Significa: rendere chiaramente riconoscibili sia gli elementi che gli appartengono sia quelli che ne restano esclusi» (Zanini, 1997, 75). Infatti, l’estraneo, l’ignoto e lo sconosciuto sfuggono a classificazioni e leggi, diventando minacce per il normale e lo stabilito.
Ritornando al racconto mitico di Genesi 1, il testo fa riferimento a un contesto storico e geografico in cui caos e cosmo fanno parte della vita quotidiana dei popoli mesopotamici dell’antichità. Gli imperi sorti in quelle terre (Caldei, Babilonesi, Persiani) strutturarono la loro vita attorno ai grandi fiumi, il Tigri e l’Eufrate, trasformando il controllo dell’acqua e della terra in garanzia di sopravvivenza, vita e potere. Questo rende possibile intendere la funzione dello Stato come il garante dell’organizzazione sociale e politica che si sviluppava attorno a fiumi, canali e acque in genere e, tra le sue attribuzioni, c’era anche lo svolgimento del culto e del sacrificio agli astri divinizzati, come garanzia del susseguirsi ordinato del ciclo di piogge e stagioni. Un equilibrio instabile e precario, che in qualsiasi momento poteva essere alterato e sconvolto da elementi estranei e alieni, che potevano trarre di volta il caos.
Separare è generare spazi per, allo stesso tempo, controllarli; è conoscere e dare nome a ciò che non si conosce, alle parti- colarità, per organizzarle imponendo loro un ordine; coincide anche con l’emergere delle identità, della cultura, della società, della tradizione, la lingua, la politica, la religione, dello spazio, che consentono la definizione dell’appartenenza. La delimitazione di frontiere rappresenta, quindi, la definizione di «uno spazio proprio dove stabilire le proprie regole, un’autonomia visibile anche dall’esterno, il riconoscimento di una diversità. Fin dalla sua prima apparizione, il confine mostra quello che sembra essere il suo carattere fondamentale: segnalare il luogo di una differenza, reale o presunta che sia» (Zanini, 1997, 5).
Però, tracciare un limite implica sempre assumere un’ambiguità di fondo: è una linea virtuale e/o materiale, che si trova tra realtà diverse, separandole e mantenendole distinte, e allo stesso tempo collegandole e connettendole. È lo spazio dell’opposizione, della chiusura, nonché dell’apertura e dell’incontro con il diverso, che proietta oltre l’orizzonte ristretto e chiuso, per confrontarsi con la complessità e la pluralità della realtà. Giustapposizione e antinomie, inclusione ed esclusione, contraddizione e creatività sono elementi caratteristici che definiscono il confine come uno spazio altamente creativo e interessante.
La domanda che guida questo lavoro è come concepire la frontiera, che delimita un interno ed un esterno, in possibilità di incontro e diventi opportunità di rinnovamento e di trasformazione.
Il libro si compone di cinque capitoli
Il primo affronta il tema della frontiera come spazio chiuso, da diverse prospettive: simbolica, filosofica, politica, culturale, sociale e religiosa.
Il secondo capitolo tratta dell’uscita dalla frontiera, verso lo spazio aperto della “terra di nessuno” e di chi vive tra i confini. È un cammino difficile, che richiede la rinuncia a certezze, credenze e verità definite e all’uniformità che caratterizza la vita tra le mura, per accettare la sfida della diversità, che cambia e trasforma.
Il terzo capitolo focalizza l’al di là del confine, il superamen- to del dualismo, delle opposizioni, a favore della convivialità dalla pluralità di modi di vita e di visioni, che renda giustizia alla diversità e complessità di popoli, società e culture. In questo ambito, si farà riferimento a concetti come l’interrelazione e l’interculturalità, con i quali analizzeremo criticamente alcune delle strutture epistemiche della Modernità: l’autoreferenzialità, l’antropocentrismo, il patriarcato, le relazioni di genere, il colonialismo, il razzismo, il sessismo.
Gli ultimi due capitoli cercano di immaginare una società oltre i confini. L’etica della diversità, nel quarto capitolo, propone la questione essenziale dell’etica, per la visibilità e il protagonismo di tutti, specialmente di tante donne e uomini che sono stati tradizionalmente messi a tacere, resi invisibili e considerati inferiori da una visione classificatrice delle relazioni.
Il quinto ed ultimo capitolo affronta il tema della spiritualità come fonte che alimenta uno spirito di incontro, di vincolarità per la costruzione della convivialità nella “casa comune”.