Gaetano Vicari
Guida alle principali Chiese di Barrafranca ed ai loro tesori nascosti con aggiornamenti dal 1984 ad oggi
Presentazione del dott. Angelo Ligotti
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GAETANO VICARI
Guida alle principali chiese di Barrafranca ed ai loro tesori nascosti con aggiornamenti dal 1984 ad oggi
Presentazione del dott. Angelo Ligotti
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E’ vietatala riproduzione totale o parziale dell’opera. I diritti sono riservati all’autore
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A Fatima e Piero
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PRESENTAZIONE
Il prof. Gaetano Vicari, ottimo insegnante di Lettere, nonché pittore per vocazione familiare, riconosciuto in campo nazionale per vari premi conseguiti in diverse città, dà alle stampe ora un lavoro, nato da una trasmissione radiofonica privata locale. Ho il piacere di presentare questo libro che completa la storia ecclesiastica ed artistica attuale del rev. compianto parroco Luigi Giunta. Il lavoro, pregevole sotto tutti gli aspetti, è un’opera che denota nell’autore il senso artistico ed una grande capacità di giudizio critico ed estetico di persona di studio e di profonda cultura. Speriamo che Vicari continui sia nella sua attività artistica, che nella pubblicazione di altri lavori. Ne saremo veramente lieti, dopo aver letto il libro che ora viene dato alle stampe. Angelo Ligotti
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CAPITOLO PRIMO CHIESA MADONNA DELLE GRAZIE Davanti alla chiesa, la piccola piazzola è rallegrata dalle voci dei bambini che giocano: qui ancora il punto centrale del quartiere è la Parrocchia, che protegge e chiama. La facciata è gaia e chiara, con il tetto appuntito, fiancheggiata dal campanile. Il chiaro della facciata nasconde i quasi tre secoli e mezzo della chiesa, ma non copre il portale semplice e bellissimo, di pietra intagliata, che circonda il portone centrale. Gli intagli delle pietre, eseguiti forse da uno scalpellino di Pietraperzia Chiesa Madre della Divina Grazia: nella seconda metà del 1600, e Facciata con portale precisamente nel 1670, anche se ancora ben visibili, sono un po’ corrosi dal tempo. Entrati in chiesa, la prima cosa che ci colpisce è la pace che vi regna, una serenità che scaturisce da tutto l’insieme pulito, semplice ed ordinato. La chiesa, ad una sola navata, è profonda circa 25 metri e larga 7,ed è ornata dagli stucchi del Fantauzzo. Giuseppe Fantauzzo, nato nel 1851, fu un artista di Barrafranca, il quale operò principalmente nella seconda metà dell’800 in molti paesi della Sicilia con il fratello Amedeo, e fu il bisnonno dello scrittore di quest’opera. Morì nel 1899, a soli 49 anni, in seguito ad una caduta, mentre lavorava nella chiesa del Carmine a Mazzarino. Giriamo un po’ lo sguardo lungo le pareti e la volta della chiesa: l’insieme 9
degli stucchi risulta quasi geometrico ed elegante, ma nello stesso tempo rivela una certa ingenuità sognante. Il Fantauzzo, nell’eseguire quest’opera, ha abbandonato lo stile del suo maestro il Signorelli e ha ritrovato la sua vera fisionomia, che Chiesa Madre della Divina Grazia: Abside e muro di continuerà a sinistra mostrare nella decorazione della cappella del Seminario di Piazza Armerina, forse il suo capolavoro. Come abbiamo detto prima, per più di tre secoli, molte generazioni hanno pregato in questa chiesa, di cui non sappiamo la data esatta della fondazione. Ma, sicuramente, la chiesa non è sempre stata come noi la vediamo, con gli stucchi del Fantauzzo, eseguiti forse tra il 1880 e il 1890, e con il recente restauro del 1971 a cura della Sovrintendenza alle Belle Arti di Catania. La chiesa fu fondata prima del lontano 1650 per popolare la zona circostante, quando il marchesato di Barrafranca apparteneva a Giuseppe Branciforte II, principe di Pietraperzia, vicerè d’Aragona, conte di Raccuglia, vicario generale del Vicerè di Lignè, ecc. ecc.; siamo suppergiù al tempo di Renzo e Lucia dei “Promessi Sposi” del Manzoni. Abbiamo notizia di diversi restauri eseguiti nel corso degli anni ( 1667- 17821841): una volta, siamo nel 1765, era talmente malridotta, che il prete non poteva celebrarvi la messa. Ora l’interno della chiesa è quasi tutto rinnovato, e l’antico e il moderno si fondono perfettamente insieme, in una sintesi quasi perfetta, senza contrasti e stridori.
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Avete mai provato la piacevole e strana sensazione di riscoprire un luogo familiare, osservandolo attentamente? Si vede ciò che prima non si era visto, si scoprono particolari mai prima notati, gli oggetti acquistano luce e dimensione diversa. Ora noi vogliamo farvi riscoprire la chiesa della Madonna Delle Grazie, conducendovi dentro in una visita immaginaria. Entrando a destra, dopo il semplice ed elegante Fonte battesimale di marmo di Carrara del 1960, è collocato l’altare della Madonna della Catena, rifatto in marmo intagliato nel 1956. Una nuova statua di legno, scolpita agli inizi degli anni 50, ha sostituito la vecchia in cartapesta. Da notare gli stucchi intorno alla nicchia eseguiti magistralmente da Santo Scarpulla, un artista barrese morto nel 1961. (Il culto della Madonna della Catena, secondo una delle tante versioni, nacque a Palermo nel Chiesa Madre della Divina Grazia: Interno con 1392, quando la Madonna Altare Maggiore liberò due innocenti, condannati a morte, spezzando le catene con cui erano incatenati). Dello stesso stile di quello dello Scarpulla, ma di livello artistico decisamente inferiore è l’altare del Sacro Cuore, i cui stucchi furono eseguiti nel 1971 da un artigiano di Catania. L’altare maggiore, ripristinato da Santo Scarpulla e nel 1965 rifatto da Falco, è sovrastato da una pregevole statua dell’800, in legno scolpito, della Madonna Delle Grazie. La Madonna, maestosa e dolce nello stesso tempo, essenzialmente materna, si rivolge verso i fedeli. E tutta la vita delle statua sta in questo girarsi, che la scompostezza delle pieghe del manto sottolinea e delimita nello stesso tempo. Decisamente siamo di fronte ad una delle più belle statue di Barrafranca. Sopra la nicchia dell’Altare Maggiore possiamo notare un bassorilievo in stucco della Madonna delle Grazie sempre di Giuseppe Fantauzzo. 11
Continuando la visita immaginaria della chiesa, incontriamo in fondo a sinistra, l’altare in marmo del Crocefisso, con una statua in legno del 1959. (Il crocifisso, anche detto crocefisso o crucifisso, è la rappresentazione della figura di Gesù Cristo messo in croce ed è uno dei simboli più diffusi del Cristianesimo, ed ha significato soteriologico. Esso è il paradigma ermeneutico (cioè la chiave di lettura) della Bibbia). Sempre a sinistra sono poste due tele di vaste proporzioni. La prima rappresenta Sant’ Espedìto Martire, ed è firmata e datata 1905 dal Cav. Domenico Provenzani, un artista siciliano nato nel 1838, discendente dal grande Domenico Provenzani (1736-1794) di Palma di Montechiaro. La qualità del dipinto per la verità non è molto alta; ma nella disposizione devozionale del Santo, nelle proporzioni e nel modellato non sempre consistente, si intuisce un sentimento molto educato di sacralità, pur casalinga, da prospettare un artista Chiesa Madre della Divina Grazia: Interno con vetrate minore, ancorato a posizioni tradizionaliste. (S. Espedito martire (…- 303), capo della legione romana della Cappodacia (regione dell’odierna Turchia), protettore dei mercanti e dei navigatori, è invocato nelle cause disperate ed urgenti. E’ rappresentato che innalza la croce (hodie) e calpesta il corvo (cras), per insegnarci che non dobbiamo dubitare della bontà Dio, né aspettare il domani per pregarlo). Al centro della parete di sinistra è collocata la tela delle Madonna Delle Grazie, il vero gioiello della chiesa ed una delle espressioni artistiche più alte delle opere di Barrafranca. Peccato che il dipinto attualmente risulti malandato! 12
Abbiamo notizia che un quadro della Madonna Delle Grazie stava nella chiesa Madre nel 1745. Il parroco Giunta scrive che questo della Chiesa Grazia forse è il medesimo quadro che si trovava nella chiesa Madre. Lo stesso parroco ancora, parlando delle opere del Vaccaro a Barrafranca, attribuisce il dipinto di Maria SS. delle Grazie appartenente alla chiesa omonima a questo autore, che lo eseguì nel 1818 ( Ignoriamo da dove abbia preso le notizie; molto probabilmente il Giunta parla di due opere differenti) Sappiamo che il primo pittore della famiglia Vaccaro di Caltagirone, Giuseppe, nacque nel 1793 e quindi avrebbe potuto dipingere l’opera in questione a 25 anni, nel 1818 appunto, come nella data del parroco Giunta. Ci scusiamo per questa digressione e speriamo di non avervi annoiati, ma era assolutamente necessaria per collocare nel tempo il dipinto. Sconosciamo purtroppo il nome certo dell’autore ed ogni attribuzione risulterebbe, a nostro avviso, arbitraria. Si notano influssi raffaelleschi nel gruppo della Vergine e del Bambino, e richiami tizianeschi, specialmente per la trasparenza profondamente Chiesa Madre della Divina Grazia : Interno luminosa dei colori. con bussola Benché la Madonna sia al centro della scena, nella posizione degli Angeli è evitata la consueta simmetria tradizionale. E’ opera perfetta sia nella composizione, sia nella piena coerenza delle figure allo sfondo che viene ad essere inserito completamente nell’azione 13
del gruppo, col risultato di una maggiore vita e di una maggiore umanità. La perfezione formale, tuttavia, non è il solo raggiungimento di questo capolavoro. Ciò che dà un fascino particolare a quest’opera è soprattutto la perfetta armonia dell’insieme, la sublime dolcezza dell’espressione dei volti e dell’atteggiamento del Bambino appoggiato alla Mamma, per cui questa può forse ritenersi fra le più sentite e profonde immagini della Vergine che ci abbia dato l’arte siciliana. Vi invitiamo, quando andate in questa chiesa, ad ammirare attentamente questo capolavoro e ad osservare, oltre alla Via Crucis in legno e ai bellissimi lampadari in bronzo, le sette artistiche vetrate ordinate dall’attuale parroco Don Luigi Faraci alla ditta Mellini di Firenze. Rappresentano a sinistra: il Battesimo, l’Eucaristia, l’Ordine Sacro; a destra: la Cresima, la Confessione e il Matrimonio. Al centro è raffigurata la Madonna Delle Grazie, come è venerata nel paese. Ricordiamo che la chiesa è stata elevata a Parrocchia, con il nome di Madre della Divina Grazia ( titolo tradizionale con il quale la Chiesa Cattolica venera Maria, madre di Gesù), il 24 Maggio 1960 con bolla del Vescovo mons. Catarella ed è stata riconosciuta civilmente con Decreto Presidenziale il 16 Dicembre 1960.
Dato alle stampe nel mese di Settembre 1984
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AGGIORNAMENTI PARROCCHIA MADRE DELLA DIVINA GRAZIA A proposito del dipinto di Maria SS. Della Grazie che si trova in questa chiesa riportiamo quanto scritto dal Sac, Luigi Giunta: “Un documento di quest’Archivio Parrocchiale riferisce che nel 1765 questa chiesa era talmente diroccata che D. Pietro Salvaggio – legatario, non poteva celebrarvi per cui celebrava nella chiesa di S. Sebastiano dove era pure un quadro di Maria S.S. Delle Grazie”. Quest’opera è citata anche nell’inventario della Chiesa Madre del 1745, quando è descritto l’altare di S. Sebastiano: “…si trova pure in questo altare il quadro di Sta. Maria della Grazia di pittura con sua cornice di legname intagliata indorata suo velo ….. due corone d’argento una di detta Vergine e l’altra del Bambino…”. Da ciò si potrebbe dedurre che esistevano probabilmente due dipinti della Madonna delle Grazie, uno nelle chiesa delle Grazie ed un altro in quella di San Sebastiano. In seguito il Giunta così scrive parlando della pala:”…Forse è l’identico quadro che come s’è detto si trovava nella chiesa Madre.”(o chiesa di San Sebastiano). I quadri, allora, erano due o uno solo? Infine il Parroco nella Sezione “Arte e Artisti” del suo libro, citando le opere del Vaccaro, così afferma: “Quadro di M. S.S. delle Grazie nella chiesa omonima -anno 1818.”
Chiesa Madre della Divina Grazia: Statua lignea Madonna delle Grazie
(-Attualmente presso i locali della Parrocchia si trova un dipinto di piccole dimensioni della Madonna delle Grazie, datato però 1853, forse appunto del Vaccaro). 15
Siccome il dipinto di Maria S.S. delle Grazie, che attualmente si trova in questa chiesa, aveva bisogno di un accurato restauro, come si è scritto prima, nel lontano 1995 il parroco Salvatore Nicolosi ne fece domanda alla Sovrintendenza di Enna. Dopo molti anni, in seguito alla risposta di assenso, il 6 Gennaio 2011, Antonio Arcidiacono, professore di restauro all’Accademia di Belle Arti di Catania, prelevò il dipinto dalla parrocchia Madre della Divina Grazia per trasferirlo presso il suo laboratorio di Acireale. I lavori di restauro dell’opera, eseguiti dal Professore e dalla sua equipe, terminarono nel Dicembre dello stesso anno, mentre quelli della cornice, in legno intagliato ed indorato, nel Febbraio del 2012. Finalmente il 20 Febbraio 2012, il prof. Arcidiacono, i suoi collaboratori e un rappresentante della Sovrintendenza di Enna consegnarono al Parroco della Chiesa il dipinto e la cornice ritornati al loro antico splendore. Osservando l’opera dopo il restauro, possiamo avanzare le seguenti ipotesi -che questo dovrebbe essere il dipinto del 1818 del Vaccaro (citato dal parroco Giunta), confortati anche dall’opinione del prof. Arcidiacono il quale asserisce che l’opera di pregevole fattura e di grande interesse artistico e storico potrebbe essere collocata agli inizi del ‘800 e che il Vaccaro potrebbe esserne l’autore; -che non potrebbe essere lo stesso quadro della Chiesa Madre, descritto nell’inventario del 1745, in quanto non c’è traccia della corone d’argento o dei buchi che ne testimonierebbero il loro collocamento. Pensiamo che quello della Chiesa Madre sia un altro dipinto della Madonna delle Grazie, (forse di piccole dimensioni, perché collocato nell’altare di S. Sebastiano) andato perduto Concludiamo precisando che, per un’attribuzione e un periodo di esecuzione certi, attendiamo i risultati delle ricerche storiche ed artistiche su questo dipinto, che saranno pubblicate in uno studio della Sovrintendenza alle belle Arti di Enna.
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(Madonna delle Grazie o Madre della Divina Grazia o Maria SS. delle Grazie o Beata Vergine delle Grazie è un titolo tradizionale col quale la Chiesa cattolica venera Maria, madre di Gesù.. Maria appare come una madre amorosa che ottiene tutto ciò che gli uomini necessitano per l'eterna salvezza. Tale titolo nasce dall'episodio biblico noto come "Nozze di Cana": è Maria che spinge Gesù a compiere il miracolo, e sprona i servi dicendo loro: "Fate quello che Lui vi dirà". La Chiesa Cattolica celebra la festività della Madonna delle Grazie il 31 maggio, commemorando la Visitazione di Maria ad Elisabetta). La data più antica concernente questa chiesa è quella del 1650, quando “il Sac. D. Orlando Saporito n’era rettore…e faceva l’inventario dei beni ad essa pertinenti”. Al tempo del parroco Giunta, su una trave dietro l’arco della porta maggiore si trovavano due date: 1667-1841. La prima non sappiamo a quale avvenimento attribuirla, mentre la seconda è la data della riparazione della chiesa eseguita dall’Ab. D. Andrea Vasapolli. Come si è detto prima, nel 1765 la chiesa era talmente diroccata che non era possibile celebrarvi la messa. Dopo 17 anni, nel 1782 era completamente ricostruita, tanto che “il Cappellano, il Sindaco ed i giurati, nonché i deputati della chiesa, chiedevano a Mons. Corrado de Moncada, Vescovo di Catania il permesso di potersi benedire “che per essere detta chiesa antica fu di necessità di restaurarsi dalle fondamenta ed essendosi di già perfezionata ed abbellita si desiderava celebrarvi il S. Sacrificio”. La Curia di Catania rispondeva, dando il suo assenso, il 23 Gennaio 1783”. Dentro la nicchia dell’altare del Sacro Cuore è collocata una statua in legno del 1960, che ha sostituito un antico dipinto del Crocefisso. L’altare di marmo, donato da M. Stella Pinnisi è opera di Michele e Salvatore Arena di Valguarnera del 1964. (Al Sacro Cuore di Gesù i cristiani della Chiesa cattolica rendono culto,
la cui origine risale al tardo Medioevo. Importanti nello sviluppo della 17
devozione al Sacro Cuore risultano tre encicliche: Annum Sacrum di Leone XIII, Miserentissimus Redemptor di Pio XI e soprattutto l'enciclica Haurietis Aquas di Pio XII). La nicchia sopra l’altare Maggiore è contenuta da un tempietto, formato da un arco a tutto sesto, sorretto da quattro colonne, due per ogni lato. L’arco, fiancheggiato da due statue di Vergini, ha al centro un bassorilievo della Madonna delle Grazie ed alla sommità sostiene una raggiera con il simbolo della Vergine. La statua lignea del Crocefisso fu offerta alla chiesa dalla famiglia Chiesa Madre della Divina Ferreri nel 1959; (si narra che i Grazia:Statua lignea Madonna componenti di questa famiglia, guidati delle Grazie: particolare dalla sig.na Grazia, l’abbiano portata a spalla in processione dalla loro casa di via Ferreri Grazia alla chiesa.) L’altare, eseguito nel 1964 da Michele e Salvatore Arena di Valguarnera, è dono della famiglia Ligotti di Barrafranca. L’intervento di ripristino del 1971 rinnovò tutto l’interno della chiesa. All’esterno si ebbe il rifacimento della facciata e il consolidamento della struttura, con un cordolo di cemento armato su cui venne ricostruito il campanile. Le sette vetrate della chiesa sono del 1976. Nel 1987 il parroco di allora don Luigi Faraci, (1960-1993) pensò di abbellire la chiesa con un bassorilievo o una scultura da collocare sotto l’Altare postconciliare. Venne contattato per la realizzazione dell’opera uno dei più grandi scultori italiani di fama internazionale, Floriano Bodini, scomparso a 18
Milano nel 2005. Questi si rese disponibile a scolpire un bassorilievo e inviò tre disegni, perché si scegliesse il più adatto, con il proposito di venire a visitare la chiesa, per rendersi conto di persona dell’ambiente in cui l’opera doveva essere collocata. Fu concordato anche il compenso di massima, ma il tutto naufragò per vari motivi, soprattutto per l’impossibilità del maestro di venire a Barrafranca. Infine una scultura in marmo, ispirata all’Ultima Cena di Leonardo Da Vinci, ritirata da una ditta di Roma, e scolpita forse dallo scultore R. Leoni, fu sistemata sotto l’altare il 3 Ottobre 1988. Il 31 Maggio 1989 il Vescovo mons. Vincenzo Cirrincione consacrò e dedicò solennemente la chiesa e l’Altare postconciliare con il nuovo gruppo scultoreo. (Ultima Cena è il nome con il quale nella religione cristiana si indica solitamente la cena di Gesù con gli apostoli durante la pasqua ebraica, precedente la sua morte. Si tenne nel luogo detto del Cenacolo). Nell’aprile del 2003 don Salvatore Nicolosi, nuovo parroco dal 1 Febbraio 1993, arredò la chiesa con una bussola ornata da vetrate realizzate dalla ditta Salamone di Barrafranca: queste rappresentano “Il Buon Pastore” e “Cristo Risorto” al centro e “Le vie della Croce” ai lati. La pregevole statua della Madonna delle Grazie aveva bisogno di un restauro. A spese della chiesa, l’opera fu affidata alla ditta Oltremare di Giuseppe Gervasi di Enna per un intervento che, togliendo tutte le dipinture fatte nel corso degli anni, la riportasse ai colori e alle condizioni originarie. La
Chiesa Madre della Divina Grazia: Statua lignea Madonna delle Grazie: particolare 19
scultura lignea fu riconsegnata al culto dei fedeli, in tutto il suggestivo splendore originario, il 20 Agosto 2006. (Sul basamento della statua il restauro ha reso visibile la scritta “D. Saverio e D….ppe Bra.(n)?c…”). La chiesa intanto necessitava di nuovi interventi e, dietro interessamento del Parroco don Salvatore Nicolosi, un risanamento interno ed esterno aveva inizio nel Luglio del 2007 sotto la sorveglianza della Soprintendenza alle Belle Arti di Enna. I lavori, eseguiti dall’impresa Bruno di P. Armerina e diretti dall’architetto Calogero La Pusata di Barrafranca, il quale era anche il progettista, si protrassero fino al Febbraio del 2009. La nuova facciata, ridipinta di bianco, è circondata da una larga cornice in rilievo, il cui lato in alto delimita il timpano, che è ornato negli spioventi da un triplice bordo di mattoni inspiegabilmente grigi, ed è sormontato da una croce in metallo dallo stile decisamente moderno. E’ stata rifatta la scalinata pentagonale in pietra intagliata (ricavata da una cava di Aidone) richiamante l’antico portale, il quale è stato consolidato, Chiesa Madre della Divina Grazia:Statua pulito e restaurato. Sul suo lignea Madonna delle Grazie: particolare frontone, sotto una nicchia particolare vuota è reso leggibile il seguente distico: VII NERA CAELESTIS VITAM CV SANGUINERV 20
DI NUC MEA VEXILLU DIRA CORONA TENET ANO DNI III IND. IBBS Interpretato dal parroco Giunta in: Vulnera Coelestis vitam cum sanguine fudi Nunc mea vexillum dira corona tenet Anno D.ni III Ind. – IBBS (1670) e tradotto liberamente dal prof. Diego Aleo Trafitto da frecce versai il mio sangue per Dio Ora sulla mia terribile corona sventola il vessillo. Parlando il distico del martirio di S. Sebastiano, è molto probabile che questo portale del 1670 sia stato trasportato nella chiesa Grazia da quella dedicata al Santo Martire, forse quando la nuova chiesa Madre fu costruita sul posto di quella appunto di San Sebastiano. Sicuramente qui si parla della chiesa di San Sebastiano il Nuovo, perché esisteva “una chiesa di campagna in località sottoserra dedicata a San Sebastiano, e perciò detta di San Sebastiano il Vecchio, la quale doveva per ovvie ragioni essere anteriore a quella che fu la Chiesa di San Sebastiano dentro il Centro abitato, trasformata poi nell’attuale Chiesa Madre…”. (San Sebastiano (Narbona?, 256 – Roma, 20 gennaio 288) fu un santo italiano, di origine francese, venerato come martire dalla Chiesa cattolica. Secondo la leggenda il santo visse sotto Diocleziano e fu alto ufficiale dell'esercito imperiale. Quando Diocleziano scoprì che Sebastiano era cristiano, lo condannò ad essere lasciato morire trafitto da frecce. Credendolo morto, i carnefici lo abbandonarono; ma era ancora vivo. Curato da Santa Cecilia, riuscì a guarire. Cercando il martirio, sarebbe ritornato da Diocleziano per rimproverarlo e questi avrebbe ordinato di flagellarlo a morte, per poi gettarne il corpo nella Cloaca Maxima.). Guardando la facciata ci accorgiamo che manca il vecchio campanile, eliminato nel 2007, con tutte le parti in cemento compreso il cordolo del 1971, su consiglio della Soprintendenza per motivi strutturali (Si ha 21
notizia di un campanile che sorgeva a destra della chiesa, e crollato in seguito al terremoto del 1908). Il piccolo campanile demolito ospitava tre campane, ora conservate nei locali della chiesa. La campana mediana, con una piccola croce e l’anno 1859, è la più antica. La più piccola, la cui fusione dovrebbe risalire alla prima metà del 1900, reca la scritta: “Opera di Pietro Colbachini-Bassano”; in essa si notano in bassorilievo un Crocifisso, un angelo, lo stemma della fonderia e decori floreali. La campana grande è la più recente; in alto i decori, che la circondano, sono interrotti dall’iscrizione: “A TEMPESTATE BELLI LIBERA POPULI”; nella parte anteriore spicca il bassorilievo della Madonna delle Grazie con sotto l’iscrizione: “SAC. IOA FARACI POPULI AUXILIO FECIT A.D. MCMXL” Il muro di sinistra esterno, la parte absidale e quel che resta visibile del muro di destra, deturpato dalle costruzioni degli anni 50 ad esso addossate, sono stati ripristinati in modo da lasciare scoperte le parti in pietra intagliata del muro di sinistra e di tutta l’abside.
Chiesa Madre della Divina Grazia:Statua lignea Madonna delle Grazie: particolare
I lavori di risanamento hanno reso evidente un antecedente ampliamento della navata, che rivela due murature eseguite in epoche diverse. Non possiamo stabilire quando ciò sia avvenuto, perché, come abbiamo prima scritto, abbiamo notizia di diversi interventi succedutisi nel corso degli anni (1667-17821841). Sembra che nello stesso periodo fosse stata realizzata la sopraelevazione del coro.
Entrando in chiesa, dopo il 28 Marzo 2009, data in cui è riaperta al culto, ed osservando attentamente, notiamo alcuni cambiamenti che desideriamo farvi conoscere. 22
Il fonte battesimale, che prima si trovava al centro del primo arco della parete di sinistra, è spostato a destra; in alto è appesa una stampa di San Pio, protettore di uno dei due gruppi ecclesiali che hanno sede in questa parrocchia. (Padre Pio da Pietrelcina, al secolo Francesco Forgione (Pietrelcina, 25 maggio 1887 – San Giovanni Rotondo, 23 settembre 1968), è stato un religioso italiano appartenente all'Ordine dei Frati Minori Cappuccini e sacerdote; nel 2002 è stato proclamato santo da papa Giovanni Paolo II: la sua memoria liturgica viene celebrata il 23 settembre, anniversario della morte. È stato destinatario, ancora imponenti proporzioni, anche in acquisita derivante da presunte è stato anche fatto oggetto di ecclesiastici e non).
in vita, di una venerazione popolare di seguito alla fama di taumaturgo da lui capacità soprannaturali attribuitegli, ma forti critiche e di sospetti in ambienti
Nell’arco di fronte nella parete di sinistra, il dipinto di Santo Espedìto Martire trasferito nel salone parrocchiale, è sostituito da una stampa della Beata Maria Rosa Gattorno, protettrice dell’altro gruppo ecclesiale della chiesa. (Una lapide posta sul muro esterno del nostro Monastero di Piazza Fratelli Messina ricorda che la Beata nel 1895 venne in questo Monastero con le suore figlie di S. Anna). (La beata Anna Rosa Gattorno, al secolo Rosa Maria Benedetta (Genova, 14 ottobre 1831 – Roma 6 maggio 1900), è stata una religiosa italiana, fondatrice della congregazione delle Figlie di Sant'Anna: nel 2000 è stata proclamata beata da papa Giovanni Paolo II, dopo che il Vaticano ritenne miracolosa la guarigione, a lei attribuita, di una suora). Accanto all’Altare postconciliare si erge l’antica Croce rimessa a nuovo, la quale veniva portata in processione dalle due Confraternite che prima avevano sede nella Chiesa , quella del S.S. Sacramento e quella dell’Addolorata.
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Nel 2012 le due cornici di stucco sulle pareti del presbiterio sono state riempite da due dipinti, olio su tela, del pittore Gaetano Vicari, autore di questa Guida. Il dipinto di destra, “Giuditta e Oloferne”, (cm. 183x85) eseguito nel 2012, è stato offerto alla chiesa dal prof. Diego Aleo e da sua sorella Rosa; mentre quello di sinistra, “S. Sebastiano” (cm. 179x86) terminato nel 2011, è stato donato dalla prof. essa Pina Mancuso. Il 13 Agosto 2012 gli stessi donatori hanno portato in processione i dipinti dalla casa del prof. Diego Aleo alla chiesa. (Il Libro di Giuditta (greco Ιουδίθ, iudíth; latino Iudith) è un testo contenuto nella Bibbia cristiana (Settanta e Vulgata) ma non accolto nella Bibbia ebraica (Tanakh). Come gli altri libri deuterocanonici è considerato ispirato nella tradizione cattolica e ortodossa, mentre la tradizione protestante lo considera apocrifo. Ci è pervenuto in una versione greca di circa fine II secolo a.C., sulla base di un prototesto ebraico perduto composto in Giudea attorno a metà II secolo a.C. È composto da 16 capitoli descriventi la storia dell'ebrea Giuditta, ambientata al tempo di Nabucodonosor (605-562 a.C.), "re degli Assiri" [sic]. La città giudea di Betulia è sotto assedio da parte di Oloferne, generale assiro, e viene liberata grazie a Giuditta, che uccide Oloferne dopo un banchetto in cui lo ha fatto ubriacare, decapitandolo e portando poi il capo ai suoi concittadini). La via Crucis è stata restaurata e modificata da Valentino Faraci di Barrafranca, con l’aggiunta di edicole che si ispirano al tempietto del Fantauzzo costruito sopra l’altare Maggiore, mentre i vecchi lampadari sono stati sostituiti da altri in vetro di Murano, stile Impero Pegaso. (La Via Crucis (dal latino, Via della Croce - anche detta Via Dolorosa) è un rito cristiano, della Chiesa cattolica, con cui si ricostruisce e commemora il percorso doloroso di Cristo che si avvia alla crocifissione sul Golgota. Alcuni fanno risalire la storia di questa devozione alle visite di Maria, madre di Gesù, presso i luoghi della Passione a Gerusalemme, ma la 24
maggior parte degli storici riconosce l'inizio della specifica devozione a Francesco d'Assisi o alla tradizione francescana. A volte la Via Crucis viene terminata con una quindicesima stazione, la Risurrezione di Gesù. Chi la aggiunge lo fa nell'idea che la preghiera cristiana nella contemplazione della passione non può fermarsi alla morte, ma deve guardare al di là, allo sbocco di cui i Vangeli ci parlano, alla risurrezione). Per non privare la chiesa del suono della sue campane, il parroco don Salvatore Nicolosi e la comunità parrocchiale hanno incaricato nel 2012 la ditta Asel di Mascalucia di comporre sul terrazzo della canonica l’incastellatura in ferro provvisoria per sostenere cinque campane, fuse nella “Fonderia Ecot Campane” di Mondovì, in attesa della costruzione del nuovo campanile. In ogni campana in alto si notano motivi floreali e simboli; al centro il bassorilievo della Madonna con la scritta: “Madre della Divina GraziaBarrafranca anno 2012”, il marchio della fonderia e i nomi di coloro che l’hanno adottata. Iniziamo dalla campana più grande, in ordine decrescente: la prima (dedicata a Maria S.S. Della Catena) è stata adottata dal Sac. Salvatore Nicolosi e sua sorella Catena; la seconda (dedicata a S. Rosalia) da Luigi Livorno e Rosalia Tambè; la terza (dedicata all’Immacolata Concezione) da Giuseppina Mancuso; la quarta (dedicata a S. Rosa) dal prof. Diego Aleo e sua sorella Rosa; la quinta (dedicata a S. Lucia) da Giuseppe, Lucia e Antonio Giunta. Le campane sono state benedette dal vescovo Mons. Michele Pennisi l’otto Luglio 2012. Per amor di cronaca riportiamo quanto scritto su una lapide posta a sinistra dell’ingresso della chiesa: NINFE E CANCELLO ESTERNO DI QUESTA CHIESA GRAZIA FU FATTO A SPESE DI MANCUSO SALVATORE INTESO TARAGNINO PASTORE E MOGLIE GULINO MARIANNA Barrafranca 1927.
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CAPITOLO SECONDO CHIESA DELLA MADONNA DELL’ITRIA. La chiesa ci appare all’improvviso, appena arrivati nella piccola piazza Itria: la sua prospettiva austera e slanciata nello stesso tempo, anche se vi predominano le linee orizzontali, domina lo spazio circostante e quasi sembra riempirlo tutto. Un portale, severo ed elegante, scolpito nel Seicento, più di trecento anni fa, da uno scalpellino di Pietraperzia, circonda il portone centrale e rappresenta il motivo ispiratore che fu tenuto presente per il rifacimento della facciata. Il prospetto infatti che noi possiamo ammirare risale ai primi Chiesa Madonna dell'Itria: Facciata anni dell’Ottocento, forse al 1821, e richiama gli stessi motivi del portale centrale, come abbiamo detto di epoca anteriore, e ne sembra quasi una continuazione naturale. La parte alta con tre archi che fungono da campanile si distacca un po’ dall’insieme, ma dà alla chiesa un tocco gaio e festoso, quasi provinciale e paesano. In alto, per finire, un arco racchiude un orologio elettronico, istallato di recente. Entriamo in chiesa e guardiamoci intorno: gli stucchi del Fantauzzo la coprono interamente, in un susseguirsi continuo di fiori, piante, angeli, festoni, come se non dovessero finire mai, in un crescendo continuo. Qui Giuseppe Fantauzzo, l’artista barrese di cui abbiamo parlato in occasione della Chiesa Maria S.S. delle Grazie, subisce ancora l’influsso del suo maestro, il Signorelli.
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Anche se riveste tutta la volta e le pareti, l’ornato degli stucchi si presenta contenuto e non soverchia e nasconde la struttura architettonica della chiesa, che risulta nitida e chiara. Dall’insieme degli stucchi possiamo dedurre che forse il Fantauzzo abbia ornato questa chiesa prima di quella di Maria delle Grazie, forse tra 1876 e il 1880. Alziamo un po’ lo sguardo: in alto, la volta è divisa in cinque parti, che racchiudono ovali con bassorilievi, sempre del Fantauzzo, i quali rappresentano: l’Annunciazione, la Madonna dell’Itria, l’Assunta, San Francesco di Paola e la Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù. All’epoca del rifacimento della chiesa da parte del Fantauzzo, gli ovali della volta, quasi sicuramente, dovevano raffigurare i santi venerati sugli altari delle pareti: attualmente non c’è più corrispondenza, perché alcune statue o quadri sono stati cambiati di posto o sono diversi. Guardandola, dopo il ripristino e rinnovo terminati nel 1958, non sembra che debba essere una delle chiese più antiche di Barrafranca, essendo stata costruita quasi quattro secoli fa. Non sappiamo la data esatta della sua fondazione, ma sicuramente la chiesa doveva esistere prima del lontano 1599, pochi anni dopo che l’antico Convicino diventasse Barrafranca, quando il paese era dominata da quel Fabrizio Branciforti, che con seicento cavalieri sulla marina di Scicli assalì i Turchi e li costrinse a fuggire. Ora la chiesa è rinnovata: gli altari sono stati rifatti in marmo, alcune statue vecchie sono state sostituite con delle nuove, la facciata è stata dipinta nel 1958, con un colore che non si adatta, a nostro avviso, all’insieme del prospetto.
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Venite, vi condurremo a visitare la chiesa e ve la faremo riscoprire. A noi importa che, dopo la nostra descrizione, voi guardiate con altri occhi l’insieme e i particolari della chiesa e gustiate ciò che di bello e di gratificante può derivare dalla contemplazione dell’arte. Chiesa Madonna dell'Itria: Interno
La chiesa profonda quasi 35 metri e larga 8,
è ad una sola navata. Entrando, a destra, subito incontriamo la prima tela, il San Rocco dipinto nel 1837 dal Vaccaro, forse da Giuseppe aiutato dal fratello Francesco. Quella dei Vaccaro fu una famiglia di pittori di Caltagirone, la quale operò principalmente in Sicilia entro tutto l’arco dell’Ottocento. Il San Rocco è opera dignitosa e seria che rivela il grande mestiere dell’autore. La lieve inclinazione della figura, il morbido gesto del braccio, l’alzarsi del volto e l’obliquo dello sguardo perso lontano, immergono la figura in un’atmosfera quasi rarefatta ove lo spazio fattosi colore, allargandosi in passaggi preziosi di bruni, si cambia in una nuova dimensione, psicologica, annullando nella brevità dello sguardo e, più, annegando nella tonalità bassa dei colori, l’accenno di un movimento. (S. Rocco, nato a Montpellier e morto a Voghera, visse nella seconda metà del 1300. E’ protettore dei pellegrini, degli appestati, dei contagiati, dei farmacisti e dei becchini. Nella tela del Vaccaro è rappresentato nella sua degenza come appestato, curato da un Angelo e nutrito da un cane). Dopo un arco vuoto, sempre a destra, troviamo l’altare dell’Assunta con una statua in legno scolpito, opera recente, ordinata negli anni cinquanta a Luigi Santifaller di Ortisei. 29
La Vergine è circondata in basso da un ammasso di nuvole e di angeli, che invece di accentuarne lo slancio verso l’alto, sembra bloccarlo e contenerlo. Gli stucchi invece che circondano la nicchia, eseguiti negli anni cinquanta, sono opera raffinata e perfetta dell’artista barrese Santo Scarpulla, il quale nel realizzare quest’opera, si ispirò a quelli dell’altare seguente, opera del Fantauzzo. Il Fantauzzo, quasi sicuramente, dovette fare l’altare dedicato a San Francesco di Paola, nello stesso tempo del rifacimento di tutta la Chiesa: ora la nicchia accoglie una statua del Sacro Cuore, anche questa in legno scolpito, ordinata a Luigi Santifaller di Ortisei nel 1950. In alto, sempre in questo altare con una simbologia elegante, sono raffigurate le tre virtù teologali: Fede, Carità e Speranza. Lo stesso motivo sarà ripreso, però questa volta in modo più appariscente, nel tempietto sopra l’Altare Maggiore. Al di là della balaustrata, nel lato destro del presbiterio si trova un quadro di vaste proporzioni, raffigurante il battesimo di Gesù, opera datata 1975 del pittore Giuseppe Puzzanghera, un artista ancora vivente ed operante nel nostro paese. (Il Battesimo di Gesù nel Cristianesimo si riferisce al battesimo ricevuto da Gesù da parte di Giovanni Battista, così come raccontato nel Vangelo secondo Marco (1,9-11), nel Vangelo secondo Matteo (3,13-17) e nel Vangelo secondo Luca (3,21-22). L'evento è ricordato come il primo dei misteri della luce di cui è composto il rosario. La festa del Battesimo di Gesù viene celebrata dalla Chiesa cattolica nella domenica che cade dal 7 al 13 gennaio). L’Altare Maggiore, rifatto in marmo nel 1954 da Santo Scarpulla, è sormontato da una semicupola, sorretta da otto colonne, quattro per ogni lato. In alto, due statue rappresentanti la Fede e la Speranza; al centro il simbolo della Carità. Ai lati delle colonne sono poste due statue di Angeli, opere pregevoli di Santo Scarpulla del 1954. La nicchia dell’Altare Maggiore racchiude la statua lignea della Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, eseguita nel 1879 senza pretese, e 30
ritirata dai frati minori per la loro chiesa dalla casa Daniel di Parigi. In seguito, non sappiamo il motivo, passò alla chiesa dell’Itria. Continuando la nostra visita immaginaria della chiesa, esaminiamo ora la parete di sinistra. In fondo troviamo l’altare in marmo del Crocefisso, con una statua antica, in legno scolpito, forse ottocentesca. L’altare accanto, dedicato al Cuore di Maria, di cui si può ammirare una statua in legno, recente, firmata alla base "LUIGI SANTIFALLER Ortisei Bolzano", è stato eseguito da un artista barrese Arcangelo Scarpulla, fratello minore di Santo. L’insieme della realizzazione risulta di tono minore e rivela un artista, anche se pur dotato, di livello inferiore a quello del fratello Santo. (Quella del Cuore Immacolato di Maria è una devozione cattolica, la cui memoria liturgica fu estesa a tutta la Chiesa da Papa XII nel 1944, in ricordo della Consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria, da lui fatta nel 1942). Ed eccoci di fronte al quadro più bello della chiesa, la grande tela dell’Annunciazione, opera attribuita dal dott. Ligotti a Mattia Preti e decisamente non al Dorè, come afferma il Nicotra, facendo dipingere il quadro ad un pittore nato dopo l’esecuzione dell’opera. Abbiamo notizia che Mattia Preti, Chiesa Madonna dell'Itria: Parte absidale con Altare Maggiore un artista del seicento originario di Taverna, un paese in provincia di Catanzaro, nel 1661 si sia stabilito a Malta. Probabilmente durante uno dei suoi viaggi, uno ne fece nel 1672, in occasione della morte del fratello Gregorio, fermandosi a Barrafranca, abbia dipinto il quadro, oppure ne 31
abbia avuto la commissione. Il dipinto, quindi, potrebbe essere stato eseguito nell’arco di tempo che va dal 1661 al 1699, anno della morte del Preti. Volendo precisare meglio, abbiamo notizia che il principe C. Maria Carafa, il quale ebbe il Marchesato di Barrafranca dal 1680 al 1695, commissionò al Preti varie opere, tra cui molto probabilmente questa dell’Annunciazione. L’opera nel suo insieme esprime un linguaggio barocco, in cui la drammatica suggestione delle immagini e l’inquietante atmosfera delle azioni, condensano il messaggio della corrente realistico-barocca, che tanta fortuna ebbe a Napoli. La figura della Vergine è tutta piegata in una mossa ritrosa, sì da sembrare appena posata a terra; e l’espressione del volto bellissimo accentua quella ritrosia unita ad una dolorosa rassegnazione. Non meno idealmente sentita la figura dell’angelo, dolcissimo nel gesto, ed al tempo stesso solenne. Il dipinto è ricco di sentimento profondo, di vita nell’espressione delle figure ma, a nostro avviso, confortati anche dall’illustre parere di uno studioso canadese, non è tutto eseguito di mano di Mattia Preti, poiché vi è manifesto l’intervento di qualche aiuto. La composizione è perfetta e il disegno anche; dobbiamo quindi ritenere che il disegno sia di mano del Preti, ma che l’esecuzione pittorica sia dovuta anche a dei discepoli, che in certe parti del quadro ignorano la trasparenza e le preziosità del colore del maestro, ne attenuano la luce e rendono sordi i colori, e più gravi le forme. La tela risultava un po’ rovinata e in alcune parti addirittura strappata, e nel 1982 è stata restaurata presso l’Istituto del Restauro di Palermo. Il primo quadro che incontriamo, entrando a sinistra, rappresenta la Madonna dell’Itria, l’opera più antica, forse nata insieme alla chiesa o immediatamente dopo. Nel quadro è raccontata la storia della Madonna dell’Itria, così come la vuole la leggenda e la narra la tradizione. Questa Madonna fu trovata dentro una cassa galleggiante in mezzo al mare e tratta in salvo da due frati, che ne iniziarono la venerazione. Itria infatti si fa derivare dal greco e viene a corrispondere a “guida della giusta via delle acque”.
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L’artista, purtroppo a noi sconosciuto, nel dipingere quest’opera, pur assimilando gli influssi dei pittori del suo tempo, giunge ad una creazione originale in cui il suo squisito gusto per il colore e la risoluta predilezione per i tono smorzati, si manifestano con la maggiore sapienza. L’insieme della composizione è di una certa grandiosità, mentre il volto della Madonna rivela una pensosità severa. L’acquasantiera di sinistra, in marmo è del 1651: pensate, per più di tre secoli generazioni e generazioni vi hanno intinto le dita per segnarsi prima di entrare o di uscire dalla chiesa! Nel corso dei suoi quattro secoli, la chiesa ha subito vari cambiamenti, rifacimenti, aggiunte , modifiche: abbiamo notizia che nel 1821 il muro di prospetto era talmente diroccato, che per lavorare si portava il Santissimo Sacramento nella sacrestia. Verso il 1956, quando fu rifatto il pavimento con lastre di marmo, durante i lavori, sotto il vecchio impiantito fu scoperto un corridoio sotterraneo che serviva per il seppellimento dei cadaveri. Vi si accedeva mediante due scale: una principale vicino al portone d’ingresso della chiesa; l’altra, secondaria sotto l’altare dell’Assunta. Attualmente completano l’arredo della chiesa: una Via Crucis di Luigi Santifaller del 1962 e dei lampadari in legno scolpito del 1960. La chiesa fu elevata a parrocchia con bolla del Vescovo mons. Sturzo il 2 aprile 1936, ma funzionante dal 1947. Vogliamo concludere con una Chiesa Madonna dell'Itria: Interno con Bussola
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curiosità narrataci nel suo libro dal parroco Giunta: nel 1761 si usava in questa chiesa vestire un bambino povero a capodanno in onore di Gesù Bambino, “ma s’inibiva al sacerdote che lo guidava di non portare cotta e stola”. Il Giunta ci dice che questa usanza veniva ancora praticata nel tempo in cui scriveva il suo libro, cioè nel 1928. Oggi purtroppo questa tradizione si è estinta.
Dato alle stampe nel mese di Settembre 1984
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AGGIORNAMENTI PARROCCHIA MARIA S.S. DELL’ITRIA
Il parroco Giunta ci riferisce che “il primo defunto che troviamo seppellito in questa chiesa è del 1618” La data, invece, del 1651 troviamo incisa alla base dell’acquasantiera di sinistra insieme alla seguente iscrizione: IERONIMUS DE PATTI FECIT P. SPESA SUA 1651. L’attribuzione a Mattia Preti (1613-1699) della pala dell’Annunciazione rimane una questione ancora aperta, perché alcuni, tra cui Vito Librando e Annamaria Ficarra, che videro l’opera nel 1991 in occasione della preparazione del Catalogo della mostra dei fratelli Vaccaro a Caltagirone, negano che il dipinto sia del Preti. Di parere contrario sono altri, come il dott. Angelo Ligotti, il quale non aveva dubbi nell’attribuire il dipinto a Mattia Preti. Mattia Preti: Cristo in gloria e Santi (particolare)
Resta fondamentale, secondo noi, la testimonianza dello studioso d’arte di Ottawa, il quale, a detta del parroco don Liborio Tambè, verso i primi degli anni ottanta, venuto apposta nella chiesa per vedere questa Annunciazione citata in un suo libro d’arte, si soffermò per circa tre ore a studiare la pala ed a prendere appunti. Alla fine riferì al Parroco che riteneva le figure della Vergine e dell’Angelo di mano di Mattia Preti, mentre scorgeva nel resto del quadro l’intervento di aiuti e di allievi. Per approfondire l’argomento, abbiamo studiato ed esaminato l’opera pittorica di Mattia Preti. In certi suoi dipinti abbiamo trovato delle analogie con alcuni personaggi di questa tela dell’Annunciazione, per 35
quanto riguarda gli atteggiamenti, i gesti, il disegno, il modo di dipingere, l’uso dei colori e principalmente l’atmosfera dell’insieme; in particolare nel “Cristo in gloria e Santi”, per la figura della Vergine, e nel “San Paolo degli eremiti”e nel “San Giorgio e il drago”, per quella dell’Angelo. (Pubblichiamo le immagini, perché ognuno possa fare il confronto, e trarre le dovute deduzioni: a noi queste somiglianze sembrano un’ulteriore conferma dell’attribuzione dell’ Annunciazione della chiesa dell’Itria di Barrafranca a Mattia Preti). Sicuramente il dipinto è anteriore al 1745, perché lo troviamo citato nell’inventario dei beni della chiesa dello stesso anno (“’altare di Sta. Maria della Nunciata con un quadro di Sa. Sig.a è nel Mattia Preti: San Giorgio e il drago (particolare) medesmo altri immagini con sua cornice di legname indorata…”). Non può essere attribuito al Dorè (1832-1883), come anacronisticamente afferma il Nicotra Nello stesso inventario si parla tra l’altro dell’altare di S. Silvestro e S. Stefano con un quadro; e, nella sacrestia, di “una testa di San Paolo con sua veste ed ossatura di legname”. (L'Annunciazione è l'annuncio del concepimento verginale e della nascita verginale di Gesù che viene fatto a sua madre Maria (per il Vangelo secondo Luca) e a suo padre Giuseppe (per il Vangelo secondo Matteo) dall'arcangelo Gabriele). Il sac. Giunta riferisce che un altro dipinto della chiesa, il San Rocco dei fratelli Vaccaro, fu offerto nel 1837 dal dott. D. Antonio Geraci, forse lo stesso “Giudice supplente” del nostro paese, citato nel libro su Barrafranca di Licata –Orofino. 36
A proposito di questo quadro Librando-Ficarra hanno scritto tra l’altro nel 1991: “Un massiccio confessionale non ha consentito di ispezionare la parte inferiore della tela per appurare se il Giunta abbia tratto i dati dal dipinto o da documento scritto. Vicari nota la prevalenza della mano di Giuseppe”. In alto a sinistra sono dipinti due putti, che recano in mano un cartiglio con la scritta: ESTO IN PESTE PATRONUS. Fino al 26 Agosto 1879 la nicchia dell’Altare Maggiore racchiudeva una statua “di Nostra Signora con suo Bambino fabbricata di legname…” (come è descritta nell’inventario del 1745), sostituita nello stesso anno con l’attuale della Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù. La vecchia statua della “Nostra Signora”, dopo essere stata riposta per diversi anni nel piccolo ambiente dietro l’altare Maggiore, sarebbe forse passata presso la chiesa di S. Francesco, dove attualmente si trova. Dietro l’Altare Maggiore sarebbe stata conservata anche una statua sempre in legno di San Francesco di Paola, andata perduta. ( Il dott. Ligotti sosteneva che questa statua si trovava sull’Altare Maggiore fino al primo ventennio del 900). In onore della Nostra Signora, il Fantauzzo, quando rivestì di stucchi la chiesa, ornò la sommità dell’arco trionfale con un fregio contenente il Sacro Cuor e sostenuto da due Angeli, dai quali si dipartono due nastri con a sinistra la scritta: NOSTRA DOMINA, ora pro nobis; e a destra: A SACRO CORDE JESUS, 100 dies ind. Pius IX. (Il culto della Nostra Signora del Sacro Cuore, nacque in Francia nella Congregazione dei Missionari del Sacro Cuore. L’immagine attuale si ebbe per desiderio di Pio IX nel 1874. Francesco da Paola (Paola, 27 marzo 1416 – Tours, 2 aprile 1507) è stato un religioso italiano, proclamato santo da papa Leone X nel 1519. Eremita, è il fondatore dell'Ordine dei Minimi. Attualmente, parte delle sue
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reliquie si trovano presso il Santuario di San Francesco di Paola, meta di pellegrini, provenienti da tutto il mondo). Gli anni cinquanta furono tutti un fervore di lavori nella chiesa. La notte del 15 Agosto 1951 un piccolo incendio, causato da una candela lasciata accesa, fece sciogliere la statua in cera della Madonna morta, comunemente chiamata “La Buona Morte” e ridusse in cenere l’artistica urna lignea che la conteneva. Si decise di costruire un nuovo altare dell’Assunta, questa volta con la statua della Vergine assunta in cielo. A tal uopo si chiuse la porta laterale destra e si scavò nella parete una nicchia, la cui sporgenza è visibile anche dall’esterno, per contenere la statua. I lavori furono completati nel 1957 come recita la lapide nel lato sinistro dell’altare: HANC AEDICULAM S. MARIAE ASSUMPTIONIS DICATAM ONOFRII Mattia Preti: San LIGOTTI AD MEMORIAM AETERNAM Paolo degli eremiti FILII BENEDICTUS R/IS. ET DOCTOR (particolare) ANGELUS M.O. ET C.es EREXERUNT ANNO DOMINI MCMLVII. (L'Assunzione di Maria in Cielo è un dogma cattolico (proclamato da papa Pio XII il 1º novembre 1950, anno santo), nel quale viene affermato che Maria, terminato il corso della vita terrena, fu trasferita in Paradiso, sia con l'anima che con il corpo, cioè fu assunta, accolta in cielo). Sempre nel 1951 furono fabbricate alcune stanze, addossate al muro esterno di sinistra che, dopo la costruzione del salone e di altre stanze eseguita dal geom. Salvatore Licata dal 1957 al 1959, risultò del tutto nascosto, con evidente squilibrio dell’architettura esterna della chiesa.
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Sette anni dopo, fu rifatto l’altare del Cuore di Maria, come attesta la lapide laterale: I CONIUGI CALOGERO FERRERI E MARIA CALTAVUTURO IN MEMORIA DEI LORO GENITORI 1958. Quasi sicuramente dello stesso periodo sono anche gli altari del Crocefisso (la cui statua fu restaurata da Santo Scarpulla) e dell’Annunciata, perchè di stile uguale agli altri descritti in precedenza, anche se le lapidi indicano i nomi dei committenti e non la data di esecuzione: LA SIG. SANTA BELLANTI VED. NOTAR. URICO INGRIA E LA SIG. MARIA MUSCARELLO VED. CAV. ONOFRIO VIRONE IN MEMORIA DEI LORO SPOSI (Altare del Crocefisso) ALLA MEMORIA DEL LORO GENITORE ONOFRIO LIGOTTI LE FIGLIE MARIA GIUSEPPINA ROSA E ROSALIA (Altare dell’Annunciata). Per interessamento del parroco don Liborio Tambè, succeduto il 1 Luglio 1969 a don Calogero Guerreri (primo parroco dal 1947), venne installato nel 1975 sulla sommità della facciata un orologio elettronico, i cui congegni furono posti dietro l’altare Maggiore della chiesa con la seguente lapide: AD MEMORIAM AETERNAM CONIUGIS EQUITIS ET Chiesa Madonna dell'Itria: Abside e muro di MAGISTRI DOMINI destra CALOGERI FERRERI, QUONDAM DOMINI PHILIPPI, VIRI DEGNISSIMI EXECELLENTISSIMI ET MINIFICENTISSIMI HUIUS CIVITATIS BARRAFRANCAE. DOMINA MARIA DE CALTAVUTURO, QUONDAM DOMINI ANGELI, UXOR ET FIDELISSIMA SPONSA HUNC HOROLOGIUM SUO SUMPTO IUSSIT FACERE. ANNO DOMINI MCMLXXV.
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La statua lignea della “Nostra Signora”, posta sull’altare Maggiore, aveva bisogno di una nuova dipintura, che sostituisse la vecchia in più parti scrostata. Eseguirono i lavori nel 1981 Pasquale Bellanti, in quel tempo seminarista, e Gaetano Vicari, autore di questa Guida. Nel 1987 l’incarnato della Madonna e del Bambino, in alcune parti macchiato e rovinato, venne rifatto da Giovanni Ruggeri di Barrafranca. Nello stesso anno sempre Giovanni Ruggeri ridipinse le statue del Sacro Cuore e dell’Assunta, che il trascorrere del tempo e l’umidità avevano ridotto in cattivo stato; quest’ultima statua è stata di nuovo ritoccata nel 2009 da Gianluca Schillaci di Piazza Armerina. Nel 1985 l’ingresso della chiesa fu completato con una bussola fatta da Angelo Tambè e ornata da vetrate con vari simboli religiosi incisi con il metodo dell’ insabbiatura dalla Vetreria Privitera di Caltagirone, su disegni del prof. Giulio Francipane (In particolare sulle vetrate si notano le seguenti scritte: nella parte centrale, in alto a sinistra CHARITAS, in basso sempre a sinistra SPES e a destra M; nella porta laterale sinistra, in basso VIA VERITAS VITA-TU ES PETRUSLEX; mentre nella porta destra, in alto COR UNUM.). Chiesa Madonna dell'Itria: Volta con stucchi e bassorilievi del
Per riempire della parete Fantauzzo. confessionale rappresentante “Santa Cecilia”, dipinta nel 1986 Barrafranca.
il secondo arco vuoto di destra, sopra il fu appesa una tela da Roberto Caputo di
Finalmente nel 1994 un restauro esterno, a cura della soprintendenza di Enna, riportò la facciata allo stato originario, togliendo la dipintura 40
rossastra e rendendo visibili i mattoni di cotto. Su una pietra sopra il portale, a sinistra, si leggono le lettere: M G. Con il trascorrere degli anni, la chiesa ha avuto bisogno di un nuovo ripristino interno ed esterno e su richiesta del parroco don Liborio Tambè, i lavori, finanziati dalla Conferenza Episcopale Italiana, hanno avuto inizio nel luglio del 2009 e sono stati completati nel 2011. Le opere, eseguite dalla ditta Bruno di Piazza Armerina con l’approvazione della soprintendenza di Enna, sono state dirette dall’ing. Paolo Bonanno e dall’arch. Alessandro Lo Presti, entrambi di Barrafranca, i quali sono stati anche i progettisti. Fino a questo momento abbiamo notato all’esterno della chiesa degli interventi che, coprendo con intonaco chiaro parte del muro laterale destro, hanno pulito e lasciate scoperte le parti costruite con pietra intagliata sempre del muro laterale destro e di tutta l’abside. Nell’interno sono stati tolti i due confessionali in legno che si trovavano nei primi due archi della parete destra, (uno è collocato nel vestibolo sempre a destra).
Chiesa Madonna dell'Itria: Statua lignea Madonna dell'Itria (particolare)
Al loro posto sono stati costruiti due altari in marmo: il primo, di San Rocco, è stato offerto da Epifania Patti, come si può leggere sulla lapide: ALLA MEMORIA DEI GENITORI ANGELO PATTI E CONCETTA BALSAMO LA FIGLIA EPIFANIA-ANNO DOMINI MMIX; il secondo, fatto a spese delle sorelle Rosalia, Concetta e Pina Ferreri (Lapide: ALLA MEMORIA DEI LORO GENITORI GIUSEPPE FERRERI E MARIANGELA 41
PATTI LE FIGLIE ROSALIA CONCETTA E PINA-ANNO DOMINI MMIX), è attualmente sovrastato da un quadro ad olio del Cristo della Divina Misericordia, opera dipinta nel 2007 da Gaetano Vicari, autore di questa Guida. Su quest’altare nel Gennaio del 2012 è stato posto, dentro una teca di vetro, un reliquiario di bronzo dorato, donato alla chiesa da Giuseppa La Zia. Il reliquiario contiene la reliquia di S. Faustina, proveniente dalla Polonia. I lampadari e le applique in legno scolpito sono stati ripristinati e reintegrati da Denise Tambè e Francesco Paternò (Defra) di Barrafranca (2009), mentre le stoffe, che rivestono la parte interna del tabernacolo e l’interno della porticina, sono state dipinte dall’autore di questa Guida (2010). Dopo il rinnovo, abbiamo notato che le vele della volta a crociera, in corrispondenza degli altari laterali, recano dei cartigli, sorretti da putti, con simboli diversi. Quelli di destra: i simboli di S. Rocco quali il bastone da pellegrino e l’unguento per la cura della peste, il giglio, la “M” di Maria, la raggiera con Charitas, il simbolo dell’Eucarestia; a sinistra: la corona e la palma del martirio, il cespo di rose, il Sacro Cuore, i simboli della Crocifissione, oggetti di Gesù Bambino. Questi gli ultimi cambiamenti che abbiamo visto nella chiesa, dall’inizio dei lavori del 2009 fino alla stesura di questo capitolo. Nel 2011 è stato messo in opera un altro intervento esterno, per eliminare l’infiltrazione d’acqua tra la parte alta del muro di prospetto e il tetto. Desideriamo concludere con una breve spiegazione del termine “Itria”. Secondo il prof. Santi Correnti, è l’abbreviazione dell’antichissimo titolo bizantino di “Odegitria od Odigitria”, che gli imperatori di Costantinopoli diedero alla Madonna, come “Guida nel cammino della vita”. Il culto fu introdotto in Italia nel secolo VIII, durante la persecuzione 42
degli iconoclasti, da due monaci Basiliani, che portarono in Puglia una statua della Vergine da una chiesa di Costantinopoli, e ne diffusero il culto nell’Italia meridionale. Una leggenda narra di un’icona della Madonna dipinta da S. Luca a Costantinopoli, gettata in mare dagli iconoclasti in una cassa insieme a due monaci Basiliani ed emersa in Occidente con i monaci sani e salvi…Un’altra versione parla della parte superiore di una statua della Vergine, non distrutta completamente dai soldati iconoclasti, da questi affidata al mare in una cassa ed accolta in Sicilia dai padri Calogeriani di S. Basilio, che ne diffusero il culto con il titolo di Madonna Odigitria o dell’Itria (dal greco “idros” acqua).
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CAPITOLO TERZO CHIESA MARIA SANTISSIMA DELLA STELLA
La mattina del 20 giugno 1977, in un baleno, per tutta Barrafranca si sparse la notizia del furto sensazionale avvenuto nella Parrocchia Maria Santissima della Stella: durante la notte era stato rubato il quadro della Madonna della Stella, la compatrona di Barrafranca. Noi, appresa la notizia, dopo un primo attimo di sbigottimento, ancora increduli, accorremmo subito in chiesa. Chiesa Maria S.S. della Stella: Facciata con campanile
Appena entrati, gli occhi si posarono là, sull’altare maggiore, nel posto dove sapevamo si trovasse il dipinto: l’altare era come se apparisse diverso, come spogliato e profanato; anche tutta la chiesa sembrava spogliata e profanata. L’arca, che conteneva il dipinto era vuota; e nel telaio i resti della tela sfilacciata, testimoniavano la violenza con cui il quadro era stato strappato. Da allora, fino a questo momento non si è avuta più notizia dell’opera.
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Non sappiamo la data esatta dell’esecuzione di questo quadro, tanto amato dai barresi e purtroppo perduto; ma dalle notizie che siamo riusciti a scoprire cercheremo di ricostruirne la storia. Si crede che il culto di Maria S.S. della Stella, sia stato portato da Militello Val di Catania nel Casale di Convicino, l’antica Barrafranca, dalla famiglia dei Barresi, che comprò il casale nel 1337 per 1100 onze. Se la notizia è esatta, è molto probabile che l’opera sia stata dipinta per l’antico Convicino, di cui forse la Madonna della Stella era compatrona, con la Vergine al centro e ai lati San Giovanni Battista e San Luca. L’uno venerato nel luogo e forse l’antico patrono, l’altro importato dai militellesi con Maria S.S. della Stella. (Giovanni il Battista (in ebraico Iehôhānān, in greco Ιωάννης ο Πρόδροµος, in latino Ioannes Baptista) fu un asceta proveniente da una povera famiglia sacerdotale ebraica originaria della regione montuosa della Giudea Giovanni Battista è una delle personalità più importanti dei Vangeli, e, secondo il Cristianesimo, la sua vita e predicazione sono costantemente intrecciate con l'opera di Gesù.. Morì intorno al 35 a. C, Luca evangelista in greco Λουκάς Loukas (Antiochia, circa 10 d.C. – Tebe?, circa 93 d.C.), venerato come santo da tutte le Chiese cristiane che ne ammettono il culto, è autore del Vangelo secondo Luca e degli Atti degli Apostoli, il terzo ed il quinto libro del Nuovo Testamento. Per i cattolici è il santo patrono degli artisti e dei medici, e viene festeggiato il 18 ottobre.)
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Da un documento riportatoci dal parroco Giunta, il quale parla di “immagine di rilievo di Maria S.S. della Stella”, possiamo dedurre che forse gli immigrati militellesi, arrivati a Convicino, per continuare la tradizione del loro paese, abbiano modellato una statua o un bassorilievo della Vergine. A conferma di ciò a Militello c’è sempre stata la statua di Maria S.S. della Stella e non il quadro. “L’immagine di rilievo” esisteva ancora nel 1699. Da allora non se ne ha più notizia.
Chiesa Maria S.S. della Stella: Abside
Dopo che Convicino divenne Barrafranca, esistevano nel paese due partiti: uno pretendeva come patrono San Giovanni Battista, l’altro Sant’Alessandro, l’attuale patrono, “scelto dal clero e dalla municipalità” e venerato molto
tempo prima. Sorse allora un terzo partito, più forte, che venerò come patrono Sant’Alessandro, siamo sicuramente nel 1572, e scelse come compatrona la Vergine Santissima della Stella, per continuarne forse la venerazione risalente, come abbiamo detto, ai tempi di Convicino. Possiamo pensare che proprio in questo periodo, cioè intorno al 1572, che l’antica immagine della Madonna della Stella sia stata ritoccata, come dice il Giunta, specialmente nella figura di San Luca, che fu adornato con mitra e pastorale e fu trasformato in un Sant’Alessandro; oppure, come dice Pasquale Guarneri nel Dizionario del Nicotra, che tutto il quadro sia stato dipinto in questo periodo.
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Durante il corso degli anni, la tela che era distesa su legno, a causa del tarlo si era sempre più rovinata, specialmente nella figura centrale della Vergine, tanto che le monache del vicino monastero, una volta, la ricoprirono di finte vesti di seta; la figura di san Giovanni Battista fu forse ridipinta, in quanto si discostava dallo stile delle altre due. La Vergine, Chiesa Maria S.S. della maestosamente Stella: Maria S.S. della seduta sotto il Stella di G. Vicari baldacchino, (particolare) allattava il Bambino mentre il suo sguardo materno era perduto lontano, in un punto al di fuori del quadro; ai suoi lati, in piedi due figure di Santi. Nelle figure rappresentate nel dipinto, si notava, Chiesa Maria S.S. della principalmente nella Vergine e nel Stella: : Antica immagine Sant’Alessandro, l’uniformità dei volti: una di Maria S.S. della tipologia unica e senza una sostanziale Stella (particolare) caratterizzazione. Si trattava di una tipologia basilare, che voleva portare in particolare la Vergine al di sopra di ogni precisazione. Anche il repertorio di segni di cui il pittore disponeva era ridotto all’essenziale: erano quattro o cinque in tutto, ma perfettamente rapportati alla semplicità del tessuto pittorico ed alla sintesi delle immagini. L’opera sembrava eseguita perfettamente per rispondere allo scopo prefisso, quello di richiedere con semplicità l’attenzione di gente semplice. E proprio questa gente semplice rimase particolarmente scossa per la perdita della sua Compatrona: l’anno del furto, l’otto settembre giorno della sua festa, Barrafranca non vide passare per le sue vie l’antica immagine, divenuta ormai familiare di Maria Santissima della Stella. 48
Mentre siamo in chiesa, guardiamoci intorno: qui tutto è rimasto come prima del furto; nessuna altra opera è stata sottratta. Entrando a destra, dopo un’elegante acquasantiera di marmo posta nella chiesa nel 1965, incontriamo il primo dipinto di vaste proporzioni. Si tratta del quadro di Santa Lucia, opera del pittore Emanuele Catanese, un artista originario di Gela. Sconosciamo la data esatta dell’esecuzione del dipinto, che possiamo però collocare nella seconda metà dell’ottocento. La Santa si libra nell’aria, circondata da tre angeli, che recano in mano i simboli del martirio e della gloria: una palma, un pugnale ed una corona. La squisita colorazione, l’accordo prezioso di rosa e verde, contrappuntati da toni scuri, giocano nella composizione il ruolo più importante, creando un’atmosfera di gentilezza e di raffinatezza. Eleganza compiuta e candore mistico si intrecciano delicatamente, alleandosi alla delicata luminosità di nitore e chiarezza mattinale. L’unità della scena risulta quindi raggiunta, non da una organizzazione di spazi ottenuta con un mezzo razionale geometrico, quale potrebbe essere la prospettiva, ma dal colore, che nella sua versione tenera e bagnata di luce, proietta un clima squisitamente lirico. (S. Lucia (Siracusa 280-304), patrona della vista, morì martire durante la persecuzione di Diocleziano. Le sue spoglie si trovano nella chiesa di S. Geremia a Venezia.) Avanziamo un po’ sempre lungo la navata di destra: dopo un arco vuoto, troviamo una nicchia con la statua in gesso di Sant’Agnese del 1963. La santa è rappresentata secondo i canoni della più consueta tradizione che la vuole dal gesto molle e delicato e dal viso dolce ed angelico. (S. Agnese (Roma,90-93 – Roma, 305), durante la persecuzione di Diocleziano fu martirizzata all’età di 12-13 anni trafitta con un colpo di spada alla gola, come si uccidevano gli agnelli: per questo è rappresentata con in braccio un agnello.) Nel braccio destro del transetto, si apre la cappella del Santissimo 49
Sacramento, con un altare rifatto in marmo nel 1973. In alto una nicchia racchiude la statua del Cristo Re, in legno scolpito, ordinata negli anni '60 a Giuseppe Runggaldier (Ortisei 1948-) come si legge nella targhetta alla base: GIUSEPPE RUNGGALDIER ARTE SACRA ORTISEI BOLZANO ITALIA. La statua molto bella Chiesa Maria S.S. della Stella: per la verità, Interno con Altare Maggiore rappresenta il Cristo in atteggiamento regale e nello stesso tempo paterno. (La solennità di Cristo Re, fu istituita da papa Pio XI nel 1925.) Sempre in questa cappella davanti a quello di marmo è posto un altro altare di bronzo, di pregevole fattura, con davanti un bassorilievo, sempre in bronzo, raffigurante l’Ultima Cena. Passiamo ora nel presbiterio della chiesa: qui notiamo un ambone, un Fonte Battesimale e un porta-cereo, tutti oggetti semplici ed eleganti, anche questi in bronzo, ordinati ad una ditta di Padova nel 1973. L’Altare Maggiore, rifatto in marmo verso i primi dell’ottocento, sostiene uno pseudo-tempietto, di stile classico, con sei colonne corinzie, scanalate, ricoperte da stucco. Sopra il tempietto sono sedute due statue di stucco rappresentanti la Fede e la Speranza; al centro, in una raggiera dorata, il simbolo della Vergine.
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Dentro il tempietto, sempre sull’altare Maggiore, è posta l’arca che prima conteneva l’antico quadro della Madonna della Stella, opera raffinata e preziosa, scolpita in legno nel 1849 da Angelo Minoldo, un artista originario di Mazzarino, il quale operò principalmente verso la metà dell’Ottocento. Attualmente l’arca contiene un nuovo quadro della Madonna della Stella, dipinto nel 1978 dallo scrittore di questa guida, Gaetano Vicari, un pittore che vive ed opera a Barrafranca. Un anno dopo il furto, infatti, venne bandito un apposito concorso Chiesa Maria S.S. della Stella: al quale Interno con bussola parteciparono otto pittori. La Commissione d’Arte Sacra scelse all’unanimità il dipinto di Gaetano Vicari “ avendo riguardo della continuità storica e della finalità di culto che il nuovo quadro doveva avere”. Continuando la visita immaginaria della chiesa, scendiamo dal presbiterio e dirigiamoci verso il braccio sinistro del transetto. Qui, nella cappella di destra, subito notiamo una lugubre e nello stesso tempo suggestiva urna, mirabilmente scolpita in legno nel 1958 da prof. Panfili, originario di Pietraperzia. L’urna contiene una statua emaciata e martoriata del Cristo Morto, opera in cartapesta, forse del 1800. Sopra l’urna è appesa un’antica croce in legno.
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Sempre nella parte sinistra del transetto troviamo un altare in marmo, rifatto nel 1972, sormontato da una statua in legno scolpito del 1935, di Sant’Alessandro, il Patrono di Barrafranca. Il Santo è seduto su un trono con i paramenti pontificali, maestoso e dolce nello stesso tempo, nell’atto di benedire. Quello che colpisce di più in questa statua è la delicatezza e la morbidezza del modellato, che rende morbido e quasi palpabile tutto l’insieme. Scendendo lungo la navata di sinistra, incontriamo per primo l’altare di S. Lucia, anche questo rifatto in marmo nel 1972, con una statua del 1961, di legno scolpito, proveniente forse da uno stabilimento di Ortisei. Accanto all’altare di Santa Lucia, troviamo il quadro più famoso della chiesa, il Sant’Isidoro Agricola, dipinto intorno al 1620 da Pietro D’Asaro (come scrive Giulia Davì). Questo artista, detto il monocolo di Racalmuto, visse dal 1579 al 1647, e fu discepolo di Filippo Paladini, che nato a Casi presso Firenze verso il 1544, nel 1601 si trasferì in Sicilia e morì a Mazzarino nel 1614. Il dipinto ricalca lo stile del grande maestro; ma il colore è meno brillante e il disegno meno perfetto: non per questo possiamo dire di non trovarci davanti ad un’opera d’arte. Chiesa Maria S.S. della Stella: Abside
Chiesa Maria S.S. della Stella: Particolare degli stucchi di S. e V. Signorelli 52
Relegati nello sfondo gli spunti ambientali e illustrativi, l’attenzione dell’artista si concentra sui personaggi, scanditi su piani prospettici e psicologici, mentre nello sfondo si prospetta la scena dei buoi nell’atto di arare. Le superfici cromatiche si
distendono larghe e solenni specie sui personaggi e sulla figura del Santo, che costituisce quasi il perno su cui ruota tutta la composizione. Ma nell’apparizione della Vergine investita dalla luce che prorompe a cascata dietro di lei, si concentra l’inclinazione a versioni soprannaturali, per il superamento della realtà operata da una fantasia quasi visionaria. L’opera, proveniente dalla vicina chiesa del Purgatorio trasformata in oratorio nel 1956, è firmata dall’artista ma purtroppo non reca la data dell’esecuzione. Il primo quadro, invece che si incontra entrando a sinistra è quello di Sant’Alessandro, dipinto a Caltagirone nel 1859, da Francesco Vaccaro. Quello dei Vaccaro fu una famiglia di pittori, di Caltagirone, che operò principalmente in Sicilia entro tutto l’arco dell’ottocento. Francesco Vaccaro si può collocare sullo stesso livello artistico di quello del fratello Giuseppe, che abbiamo visto nel San Rocco della Chiesa dell’Itria, anche se nel primo si nota la predilezione per tono più vivaci e nello stesso tempo più sfumati. Nel Sant’Alessandro la ricostruzione della scena sembra quasi divenuta spontanea all’artista, con una fedeltà però intelligente e artisticamente con piena validità. La composizione è semplice ma mirabile nel coordinamento tra sfondo e figure, che però sembrano vivere di vita propria e sembrano parlare ai nostri occhi con tutte le loro qualità spirituali e materiali. Questo è tra i più bei quadri che i Vaccaro abbiano dipinto, per pienezza di vita, per acutezza di osservazione psicologica e per felicissima resa pittorica delle forme. Recentemente è stato esposto il dipinto della Madonna dei Raggi dei Vaccaro, al quale furono aggiunte da uno dei Fantauzzo, non sappiamo da chi, le figlie di Maria. Prima di uscire, fermiamoci un po’ vicino al portone d’ingresso e guardiamo la chiesa nel suo insieme: è ordinata e pulita, maestosa ed elegante. I tre archi che separano la navata centrale da quelle laterali, sono sorretti da pilastri, che non appesantiscono la struttura architettonica della chiesa, ma anzi ne aumentano la classica solennità. 53
La chiesa è quasi tutta coperta da stucchi neoclassici, raffinati ed eleganti, che la impreziosiscono e ne sottolineano l’imponenza. Gli stucchi della navata centrale, eseguiti nel 1958, sono opera di Salvatore Signorelli che li modellò su disegni del fratello Vincenzo. I Signorelli furono degli abilissimi stecchisti, dei veri artisti, originari di Siracusa, che operarono nell’ottocento principalmente in Sicilia. Gli stucchi della navata centrale sono sicuramente del Signorelli: quelli invece delle navate laterali, eseguiti con le stesse verso i primi del novecento, si dimostrano opera di Antonino Musolino, aiutato forse dai cugini Carmelo e Calogero Fantauzzo, figli di Giuseppe. Carmelo, nato a Barrafranca nel 1879, morì a 27 anni nel 1906; Calogero, nato nel 1882 sempre a Barrafranca, fu aiutante del fratello ma, morto questi, non si occupò più di arte; è morto a Barrafranca nel 1967. Il Musolino, anche lui di Barrafranca, dopo aver operato in questo paese ed in quelli dei dintorni, nei primi del Novecento emigrò in America, dove è morto di recente. Se guardiamo attentamente, possiamo notare gli interventi di quel soldato di Savona, il quale dopo la seconda guerra mondiale, si fermò a Barrafranca per riparare gli stucchi danneggiati.
Chiesa Maria S.S.della Stella: Arca della Compatrona (particolare del retro prima del restauro)
Come abbiamo potuto capire dalla descrizione precedente, la chiesa è a tre navate, abbastanza ampia: è profonda infatti una quarantina di metri e larga diciotto. Alziamo un po’ lo sguardo ed
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esaminiamo la volta. A parte gli stucchi di cui abbiamo già parlato, possiamo notare, sei grandi ottagoni, che racchiudono altrettanti affreschi raffiguranti: il primo forse “Ester ed Assuero”, non possiamo capirlo tanto, perché il dipinto è rovinato; gli altri “L’Ascensione”, “La Pentecoste”, “La Trasfigurazione”, “Maria Santissima della Stella”, ed infine “”L’Immacolata”. (In base a quanto narrato dal Nuovo Testamento, l'evento noto come Ascensione è l'ultimo episodio della vita terrena di Gesù: questi, quaranta giorni dopo la sua morte e risurrezione, è asceso al cielo. La ricorrenza è celebrata in tutte le confessioni cristiane e, insieme a Pasqua e Pentecoste, è una delle solennità più importanti del calendario ecclesiastico. Pentecoste, dal greco antico pentekostè (heméra) - πεντηκοστή (ἡµὲρα) cioè "cinquantesimo" (giorno), è una festa della religione cristiana, che cade nel cinquantesimo giorno dopo Pasqua (da cui il nome), di domenica, ed è quindi una festa mobile, dipendente dalla data della Pasqua. All'interno del gruppo dei discepoli di Gesù Cristo, seguendo quanto narrato in Atti 2,1-11 la Pentecoste designa la discesa dello Spirito Santo, discesa che segna la nascita della Chiesa, a cominciare dalla comunità paleocristiana di Gerusalemme, o "comunità gerosolimitana" (At 2,42-48). La Trasfigurazione di Gesù è un episodio della vita di Gesù descritto nei vangeli sinottici Matteo 17,1-8; Marco 9,2-8 e Luca 9,28-36. La festa è celebrata il 6 agosto dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e da altre confessioni cristiane in ricordo dell'episodio biblico). Questi affreschi sono opera dignitosa e perfetta, forse di Paolo da Terranova, un artista di Catania, il quale probabilmente li dipinse dopo l’esecuzione degli stucchi. Il parroco Giunta li vuole del Damaggio, pittore anch’esso di Catania. Gli affreschi rivelano il grande mestiere dell’autore, il quale, quando è libero da ogni modello, assurge alle vette dell’arte; peccato che dopo la 55
seconda guerra mondiale, alcuni siano stati ritoccati dal barrese Vincenzo Marotta, che in parte ne rovinò l’originale bellezza, rendendo più aspri i passaggi tonali e meno delicato lo sfumato.
Guardandola, dopo il ripristino ed il consolidamento che durò dal 1968 al 1972, non sembra che debba essere forse la più antica chiesa di Barrafranca, sorta probabilmente molto tempo prima che Matteo III Barresi ristrutturasse Convicino e fondasse Barrafranca, siamo intorno al 1530. Abbiamo notizia che nel corso degli anni la chiesa ha subito varie trasformazioni: una volta siamo nel 1693, fu distrutta a causa di terremoto e riedificata più ampia nel 1699.
Chiesa Maria S.S. della Stella: Arca della Compatrona Compatrona (particolare (particolare deldel retro retro prima ) del restauro)
Nei primi del novecento, quando ne era rettore don Luigi Maria Guerreri. fu trasformata a croce latina e vi furono aggiunte le navate laterali, essendo prima la
chiesa ad una sola navata. Attualmente completano l’arredo della chiesa una via Crucis, in legno scolpito, ordinata a Luigi Santifaller di Ortisei nel 1962; e dei lampadari di vetro di Murano, scelti nel 1970 dal Parroco don Giuseppe Zafarana presso una ditta artigianale di Venezia. Dopo aver visitato la chiesa e dopo averne gustato la bellezza dell’insieme e dei particolari, usciamo fuori ed osserviamo il prospetto. La facciata è semplice e lineare, con il tetto appuntito, fiancheggiata da un sontuoso campanile, costruito verso la fine del seicento, terminante con 56
stile orientaleggiante a forma di pera. La cupola fu forse eseguita o ristrutturata dai Fantauzzo, ma non sappiamo da chi e quando. Il portale in pietra intagliata, che circonda il portone centrale della chiesa richiama subito la nostra attenzione per la bellezza e la finezza del modellato. La pietra però, in alcune parti, è molto corrosa dal tempo. Dato alle stampe nel mese di Settembre 1984
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AGGIORNAMENTI PARROCCHIA MARIA S.S. DELLA STELLA La presenza del Patrono S. Alessandro e della Compatrona Maria S.S. della Stella ha fatto in modo che la chiesa nel corso dei secoli abbia avuto una duplice e incerta denominazione. In un Atto Notorio, redatto dall’Autorità Ecclesiastica nel 1705, è indicata “Chiesa di S. Alessandro”; allo stesso modo la chiamano il Nicotra nel 1907 e il Giunta nel 1928. Contrariamente, nel 1693 un documento ci riferisce che un terremoto abbatté la “Chiesa di Maria S.S. della Stella”; nel 1742 si legge in un altro documento che si concedeva l’indulgenza plenaria di 7 anni alla “ Ecclesiam B.M.V. de Stella”. “Chiesa di M. S.S. della Stella” è denominata in un decreto del 1846 e in un documento del 1931. Nel 1944, infine, assunse il nome attuale di Parrocchia Maria S.S. della Stella. Sull’antico dipinto di Maria S.S. della Stella, compatrona di Barrafranca, rimangono molti dubbi ed incertezze che gli studi, le ricerche e i documenti riescono a risolvere e a fugare in parte. Noi desideriamo soffermarci sulla data e sulla modalità della festa, le quali nel corso degli anni hanno subito vari cambiamenti. Apprendiamo da un documento che nel 1699 si celebrava la festa di Maria S.S. della Stella il 15 Settembre; lo stesso giorno troviamo nella Bolla di Benedetto XIV del 1742. Il Nicotra , che scrive il suo Dizionario nel 1907, ci riferisce che se ne celebrava la festa l’8 Settembre, con la processione “della reliquia, che è formata da un capello della S.S. Vergine. Ogni decennio suole celebrarsi più solennemente; e allora nella processione l’immagine viene portata a spalla dal ceto dei civili, e nei dì 59
precedenti il festino un coro di fanciulli, simboleggianti altrettanti angeli, canta ad intervalli l’inno tradizionale su apposito carro trionfale, che, tirato da buoi, percorre le principali strade della città”. In un documento dell’archivio parrocchiale, infine, leggiamo che nel 1963 “il quadro è ricoperto con vesti più preziose tempestate di oro e di argento (il ricamo è di Giuseppina Sentito). Si decide di celebrare la festa con la processione del quadro ogni anno, invece di ogni 7 anni”. Possiamo quindi dedurre, confortati anche da quanto asseriscono LicataOrofino e Filippo Salvaggio, che anticamente il sacro simulacro veniva portato solennemente in processione il 15 settembre ogni 10 anni. Probabilmente nei primi dell’ottocento la data della festa fu spostata all’8 Settembre; agli inizi del novecento il periodo della processione del quadro da 10 anni si ridusse a 7, fino al 1963, quando si decise di portare in processione il dipinto ogni anno. La leggenda del miracolo delle locuste acquista fondamento storico da un Documento dell’Archivio Chiesa Maria S.S. della Parrocchiale il quale rivela che dal Stella: Statua lignea di S. 1689 al 1711 Barrafranca subì Alessandro l’invasione delle locuste “che varcando il Mediterraneo, vengono come immense nubi dalla costa africana e devastano i seminati, le vigne e gli alberi”…Le locuste tornarono con non meno violenza nel 1784 e nel 1798.
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L’arca, contenente il dipinto della Compatrona e sovrastante l’Altare Maggiore, nel corso degli anni ha subito diverse dipinture, come si può dedurre osservando attentamente la parte posteriore. Il colore originario sembra essere marrone con fregi ed ornati in oro: nel retro in basso è scritto in nero: GLO(RIOSA) MAD. DELLA STELLA PATRON. BARRAFRANCA- ANGELO MINOLDO MAZZARINESE (Q)UESTA (BARA) TRIONFALE A SPESE DI FRANCESCO BONINCONTRO E DELLA POPOLAZIONE FINIVA NEL NOVEMBRE DEL 1849. In seguito la bara trionfale fu dipinta di verde e nero marmorizzato con fregi ed ornati sempre in oro; ultimamente la parte anteriore è stata verniciata con colore avorio, ceruleo e oro Descriviamo in particolare il retro dell’arca, molto bello in verità, che pochi hanno la possibilità di ammirare. E’ diviso in tre parti: al centro campeggia una grande stella caudata con all’interno il simbolo della Vergine e con le otto punte intervallate dalle lettere P-A-N-A-G-I-A (Nome che i cristiani orientali danno a Maria madre di Gesù: dal greco “Tutta Santa”); ai lati si notano due pseudonicchie contenenti, a sinistra, il piccolo bassorilievo di S. Alessandro, rappresentato senza tiara con in mano la palma del martirio e il rotolo delle sacre scritture, a destra S. Giovanni Battista con il bastone terminante a croce, avvolto dal cartiglio dell’ “Ecce agnus dei”. Certamente la cornice che circonda il dipinto non è stata scolpita dallo stesso autore dell’arca, perché più elaborata nella fattura, di epoca decisamente anteriore. Avvalora questa tesi quanto scritto nell’inventario del 1745, dove leggiamo che nell’Altare Maggiore di questa chiesa c’era “un tabernacolo alto in cui si trova una Venerabile Immagine di pittura (Maria S.S. della Stella) con altre immagini, con sua cornice intagliata indorata d’oro…”
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La chiesa alla sommità della facciata esterna fino alla fine della prima metà del Novecento presentava “una bella edicola che racchiudeva, tra cartocci e lesene, un bassorilievo raffigurante la Madonna della Stella fra due Santi, secondo l’assetto iconografico del quadro dipinto”(C.Orofino). Il Salvaggio precisa che il bassorilievo era “fatto di mattoni rossi”. La nuove immagini di Maria S.S. della Stella e del Bambino, dipinte da Gaetano Vicari, autore di questa Guida, nel 1978 furono incoronate solennemente dal Vescovo mons. Sebastiano Rosso con corone e stelle d’argento tempestate da acque marine e topazi, offerte da Maria Caltavuturo ved. Ferreri. Queste corone e le stelle che circondano il capo della Vergine sono opera di Santo Gambino (Ditta Fredi di Catania). (Le stelle, compresa quella della corona, sono dodici; una tredicesima stella fu donata insieme al Diploma di Primo Premio all’autore del dipinto Gaetano Vicari, il 12/08/1978 dal Parroco di allora). Il dipinto di Gaetano Vicari nel corso degli anni ha subito dei ritocchi da parte dello stesso autore: nel 1994, dopo la processione dell’8 Settembre, nella parte superiore del manto della Madonna e nell’aureola di S. Giovanni; nel 2009, sempre dopo la festa, nelle stelle dello “stellario”, che circonda il capo della Vergine. S. Alessandro è il patrono di Barrafranca dal 1572 e tale rimane fino ai nostri giorni. A conferma di ciò riportiamo quanto scritto dal Nicotra: “Un atto notorio del 1705, redatto dall’autorità ecclesiastica, comprovante che nelle chiesa di S. Alessandro fu dispersa la reliquia di detto glorioso patrono per trascurataggine dei procuratori della predetta chiesa… esiste pure un’autentica in data 1748 a firma di fra Serafino provinciale di Barrafranca, con la quale si conferma che S. Alessandro papa e martire è il patrono principale delle terre di Barrafranca”. Pare che nella chiesa non sempre ci sia stata la stessa statua del Santo. Abbiamo notizia, infatti, che nel corso degli anni si siano succeduti diversi simulacri del Patrono, forse a causa delle tipiche corse tradizionali, che
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ne hanno causato la distruzione durante le annuali processioni del 3 Maggio. In un documento del 1679 si parla di una scultura di S. Alessandro e della cassetta delle reliquie. Nell’inventario del 1745 è elencata anche una effige di S. Alessandro, sostituita da una nuova , come riporta il Giunta. Nel 1907 il Nicotra scrive di una figura “del santo, che vestito in abiti pontificali, seduto su un seggiolone, è in atto di benedire il popolo. A piè della statua, che è in grandezza naturale, sta la piccola statua di S.Teodulo, che nel martirio, fu compagno volontario al santo patrono e le reliquie di esso”. Questa figura di gesso, come riportano Licata-Orofino, sarebbe Chiesa Maria S.S. della ruzzolata per terra andando in Stella: Altare ligneo con S. Isidoro di P. D'Asaro e S. frantumi, in seguito ad una rissa dei Luigi di G. Fantauzzo giovani portatori, che volevano deviare secondo il loro capriccio il percorso della “via dei Santi”. Un testimone ci ha riferito invece che dal 1935 sarebbero esistite nella chiesa due statue del Patrono: l’attuale, che era esposta nella nicchia sopra l’altare; e la vecchia, che era portata in processione e che sarebbe caduta a terra, frantumandosi, nella stessa chiesa durante la preparazione per la processione del 1937. Sarebbe rimasta così l’attuale scultura lignea del 1935, la quale nel 2002 fu ridipinta dal parroco don Giuseppe Bonfirraro, Gaetano Vicari, (autore di questa Guida) e Gaetano Orofino, che rifece alcune dita di una mano.
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Questa effige ogni anno il 3 Maggio viene portata in processione con la cassetta delle reliquie, che l’inventario del 1745 così descrive: “Una cassetta di legname indorata d’oro con varie reliquie di S. Alessandro… in due vasi di argento con sua autentica ed attestato (Le reliquie di S. Alessandro si ebbero ad opera del principe Barrese). Item una cassettina di legname coperto di carta di pittura rosa con seta rossa e sigillata di cera di Spagna ove si ritrova parte del corpo di S. Vitale e parte delle gambe di S. Celestina Martire. Item una reliquia di S. Rosalia Panormitana con sua autentica. Item diverse reliquie senza autentica di diversi santi”. L’attuale cassetta reca inserito nella stoffa, che ne riveste l’interno. il seguente documento: “La benedizione di S. Alessandro scenda sulla famiglia di Onofriuccio Ligotti per la donazione dell’urna per le reliquie di S. Alessandro. - 28 Aprile 1951.- Sac. Giovanni Faraci.” Del patrono S. Alessandro esiste nella chiesa anche un grande dipinto di Francesco Vaccaro, attualmente appeso entrando a sinistra sopra il confessionale, al posto del S. Isidoro Agricola di Pietro d’Asaro . Vito Librando ed Annamaria Ficarra scrivono tra l’altro nel 1991: “Lo schema compositivo del Santo benedicente in trono si ricollega ad un modello iconografico molto diffuso in Sicilia…Nella scritta risulta solo il nome di Francesco…Da tener presente che il dipinto appare deteriorato nella parte in cui si trova la scritta, e che la tela è stata ridotta nei lati lunghi: causando la scomparsa dell’anno, 1859 (Vicari ci ha confermato di averlo letto nella scritta).” Ai piedi del Santo, a sinistra, un angelo sostiene un libro aperto nella cui pagina sinistra è scritto: IS CONSTITUIT UT TANTUMODO PANIS ET VINUM IN MI/STERIO OFFERETUR…VINUM AUTEM AQUA MISCERI JUSSIT:, mentre nella pagina destra si legge: ET IN CANONE MISSAE ADDIDIT…QUI PRIDIE QUAM PATERETUR. (Alessandro I (Roma, 80 – 3 Maggio 115), eletto papa a meno di trent’anni, secondo la tradizione fu decapitato a Roma il 3 Maggio.) Il parroco Giunta scrive che questa “è certo tra le più antiche chiese di Barrafranca, poiché dall’Arch. Parr. si rileva che nel 1598 vi si 64
seppellivano i defunti”. (A. Scarpulla ipotizza che ai tempi dei Normanni sia stata l’antica Chiesa Madre del paese). Dopo il terremoto del 1693, la chiesa fu riedificata insieme all’attuale campanile ( per A. Scarpulla un antico minareto arabo), la cui balconata in ferro risale al 1840. Scrive il Giunta: “…un documento di quest’Archivio Parr. in data 2 Ottobre 1699 ci riferisce come a causa dell’anzidetto tremuoto sia andata in rovina la chiesa del Patrono S. Alessandro. Lo stesso documento ci rende noto come in quella occasione l’immagine di rilievo (una statua?) di Maria S.S. della Stella sia stata ricoverata nell’antica Chiesa Madre. La chiesa venne rifabbricata…e si terminava nel 1699. Ribenedetta la nuova chiesa, l’immagine di Maria S.S. fu riportata processionalmente nella nuova dimora…” Il Giunta ancora ci riferisce tra l’altro che nel 1707 venne aumentata di nuove fabbriche, (forse a completamento della sua ricostruzione dopo il terremoto) e che nel 1948 per sopperire alle spese del Governo Rivoluzionario la chiesa donò un calice d’argento con patena indorata e un paio di pendenti. Tutte le fonti e tutti i documenti sono concordi nell’affermare che gli stucchi della navata centrale e della parte absidale della chiesa siano del Signorelli, che li eseguì nel 1858. Nei due archi trionfali della volta il Signorelli rappresentò ed onorò il Patrono e la Compatrona: nel primo si scorgono i simboli del papato con la seguente scritta su un libro aperto: QUI PRIDIE QUAM PATERETUR; nel secondo su un grande cartiglio azzurro si legge: Chiesa Maria S.S. della Stella: Parte absidale con Mensa Eucaristica lignea
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PROTECTIO NOSTRA MARIA TU ES.
Quasi sicuramente in tale data la chiesa doveva essere ancora ad una sola navata, e non come affermano i sac, Giuliana e Zafarana, che sia stata ingrandita a croce latina sul finire del 700. Non sappiamo da dove abbiano attinto la notizia, ma a noi ciò sembra improbabile, altrimenti il Signorelli, che, come abbiamo detto, lavorò nella chiesa nel 1858, avrebbe ornato di stucchi anche il transetto. La chiesa, secondo noi, fu ampliata, successivamente ai lavori del Signorelli, con l’aggiunta del transetto prima, e delle navate laterali dopo. Ciò si può dedurre osservando attentamente gli stucchi che presentano difformità di esecuzione: quelli del transetto, meno raffinati, furono modellati forse da Giuseppe Fantauzzo su imitazione degli stucchi della navata centrale, opera, come abbiamo detto, del suo maestro, il Signorelli; mentre quelli delle navate laterali, di stile completamente diverso, furono eseguiti, subito dopo la costruzione di dette navate, verso i primi del 900’ da Carmelo Fantauzzo e Antonino Musolino. Verso le fine degli anni ’50 furono ripristinati dal geom. S. Licata i portali degli ingressi laterali. Negli anni sessanta la chiesa manifestò dei cedimenti nelle colonne degli archi ed ebbe bisogno di un pronto intervento: i lavori di consolidamento delle basi delle colonne iniziati nel 1968, furono completati nel 1972 (Anni prima Santo Scarpulla aveva ristrutturato i soffitti e gli stucchi). Nel frattempo Giuseppe Puzzanghera eseguiva il ritocco, la riparazione e il rifacimento degli stucchi, coprendone alcuni con lamine di oro zecchino: l’opera di ripristino del Puzzanghera fu completata nel 1974, dopo che la chiesa venne riaperta al culto dei fedeli (12 agosto 1973). Dopo aver presentato tutte le nuove notizie, riguardanti la chiesa durante gli anni antecedenti al 1984, prima di proseguire questo nostro lavoro, riteniamo opportuno elencare i parroci che si sono succeduti nella 66
Parrocchia, precisando che tutte le opere eseguite nella chiesa nel tempo del loro operato apostolico sono dovute al loro impegno ed al loro interessamento: don Giovanni Faraci (28/05/1944-29/10/1960), don Giuseppe Zafarana (30/10/1960-06/09/1987) e don Giuseppe Bonfirraro (07/09/198716/12/2009); a causa dell’impedimento di quest’ultimo per motivi di salute, il 1 Agosto 2004 fu nominato Amministratore Parrocchiale Don Alessandro Geraci, (parroco dal 17/12/2009 al 12/12/2014, data delle sue dimissioni). Dal 13/12/2014 è parroco don Lino Giuliana di Butera.
Dopo la prima stabilizzazione sopra descritta, la chiesa ha subito nuovi interventi di potenziamento e di restauro esterno da parte della Sovrintendenza alle Belle Arti di Enna. Ricordiamo, tra l’altro il rinforzamento esterno dell’abside e la pulitura delle sue pietre intagliate dal 1990 al 1991. Nel 1995 un restauro mise in evidenza la struttura in pietra del Campanile, rendendone visibile lo stato originario. A causa del distacco di alcune tessere di coccio smaltato dalla sua cupola, fortunatamente cadute sopra il tetto, nel 2003 si provvide alla sostituzione delle tessere mancanti. Nel 2009 A. Strazzanti rimise a nuovo il grande portone principale di legno con i simboli dorati del Patrono e della Compatrona. Questo portone, risalente a quando la chiesa fu ricostruita dopo il terremoto, all’interno in alto ha incisa la seguente scritta: M-PH.S-LA PERGOLA F- AN-1699-IN D 8. Entrando, a destra del vestibolo (rinfrescato nel 2011 da Paolo Russo e Fabio Patti) era appeso un grande dipinto circondato da una larga cornice barocca, molto rovinato, recuperato alla visione dei fedeli dai magazzini della chiesa.
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La tela rappresenta S. Eligio Vescovo, patrono dei fabbri, come si legge in basso: SA(N)TUS (E)LIGIUS 66 (il 660 è l’anno della morte del Santo). L’opera è stata tolta dopo il rinnovo del vestibolo del 2011. Sempre a destra l’acquasantiera di marmo del 1965, è stata sostituita con un’altra in pietra scolpita, appartenente alla vicina chiesa del Purgatorio, diroccata nel 1956 e trasformata in oratorio. L’acquasantiera, che si trovava nel cortile dell’oratorio, negli anni novanta fu trasportata in questa chiesa.
Chiesa Maria S.S. della Stella: Affresco della SPES (particolare)
L’interno della chiesa è protetto da una bussola di legno, ordinata dal parroco don Giuseppe Bonfirraro nel 1988 ad una ditta di Genova, con al centro in basso due grandi vetrate rappresentanti l’Angelo Gabriele e l’Annunciata; in alto altre due vetrate più piccole con altrettante stelle, simbolo della Compatrona. Nella navata laterale destra (rinnovata nel 2010 da Paolo Russo e Fabio Patti) accanto all’altare di S. Isidoro Agricola, è appeso un grande dipinto, anch’esso preso dai magazzini della chiesa. Nell’inventario dei beni di questa chiesa del 1745 leggiamo tra l’altro: altare di S. Antonio, con statua di cartapesta; altare di S. Nicolò, con immagine di pittura; altare di S. Francesco di Paola, con statua di legname; altare dello Spirito Santo, con quadro di pittura antico; una statuetta di legname di S. Rosalia e i quadri di S. Biagio e S. Apollonia…
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La tela in questione potrebbe rappresentare un’opera di questo inventario,forse S. Biagio vescovo e medico, che cura la salute del corpo degli ammalati distesi al suoi piedi (i piccoli draghi volanti rappresentano forse il male che fugge dagli infermi). S. Biagio visse tra il III e il IV sec. a Sebaste in Armenia (Asia Minore). Il dipinto probabilmente dei primi del 700, è stato incorniciato recentemente nel 1997. Al posto del quadro di S. Lucia, si trova la pala del S. Isidoro Agricola di Pietro d’Asaro, restaurata nel 1970 dalla Soprintendenza alle Gallerie ed alle Opere d’Arte della Sicilia con sede a Palermo, e incorniciata nel 1997. Il restauro non ha reso più visibile la scritta al piedi del quadro, riportata dal parroco Giunta nel suo libro e vista a suo tempo più volte da noi: INFELIX MONUCULUS RACALMUTENSIS DISCIPULUS PALADINI FECIT. Il Nicotra erroneamente attribuisce quest’opera al Paladini. Il Santo (Madrid 1080 – 1130) è rappresentato durante uno dei suoi miracoli, quando gli Angeli aravano per lui, lasciandogli il tempo di pregare.
Chiesa Maria S.S. della Stella: Affresco della SPES (particolare)
Sotto il dipinto è collocato uno dei due altari lignei trovati nel sotterraneo della chiesa, provenienti forse dalla chiesa del Purgatorio e reintegrati e dipinti nel 1998 da Giuseppe Puzzanghera L’altare, impreziosito nella parte centrale dalla piccola tela della Cena di Emmaus eseguita nel 1999 dal parroco don Giuseppe Bonfirraro, in alto
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sostiene la statua di S. Luigi, pregevole opera in cartapesta di Giuseppe Fantauzzo, ridipinta nel 1987 dal pronipote Giuseppe Vicari (Vigi). (Il passo evangelico della Cena in Emmaus Luca ( 24,35-48) è forse la più poetica delle testimonianze sulla Resurrezione di Cristo. Due discepoli si dirigevano alla volta di Emmaus ed ebbero la gioia di incontrare il Risorto. Gioia che assaporarono solo nel momento in cui il Viandante e Sconosciuto uomo che li accompagna lungo il viaggio, invitato a rimanere con loro, accetta l'invito e poi si fa riconoscere nello spezzare il pane. S Luigi (1568 – Roma 1591) fu un santo gesuita, che durante un’epidemia di peste, trasportando sulle spalle un appestato, rimase contagiato e morì a soli 23 anni.) Il secondo arco del transetto destro, prima vuoto, attualmente contiene in basso uno dei due confessionali in legno, ordinati nel 1988 alla stessa ditta di Genova della bussola. Sopra è appeso il dipinto di S. Lucia di Emanuele Catanese, un pittore che operò in Sicilia intorno alla metà dell’800, specialmente a San Cataldo. Il Giunta attribuisce quest’opera al Vaccaro. Sotto la nicchia, contenente la statua di S. Agnese, ridipinta nel 2005 da Lina Arena, fu costruito, nello stesso anno, un nuovo altare in marmo, che richiama lo stile di quello di fronte, dedicato a S. Lucia. Nella cappella del S.S. Sacramento del braccio destro del transetto, in alto, nel 2000 fu inserita una vetrata, realizzata dalla ditta Roberto Salamone di Barrafranca, rappresentante il Sacro Cuore. L’arco, a sinistra dell’altare del Santissimo, dopo la chiusura di una porta nel 1999, è utilizzato a cappella, che attualmente contiene l’antica statua di cartapesta del Cristo nell’urna, trasformato in Crocefisso e riparata e ridipinto da Rosetta Vitale nel 2007. Saliamo sul presbiterio attraverso una gradinata ovale aggiunta nel 2001. Qui la Mensa postconciliare di marmo, con archi e colonnine, fu sostituita nel 2000 con un’altra lignea, pregevole, proveniente dal vicino monastero di S. Benedetto e ristrutturata e dipinta da Giuseppe 70
Puzzanghera. Il Puzzanghera rinnovò anche l’ambone e ricostruì ex novo, sempre in legno, il fonte battesimale. L’antica Mensa postconciliare presenta nella sua struttura anteriore tre nicchie riempite nel 2002 dalle statuette lignee della Madonna col Bambino al centro, di S. Pietro a sinistra, e S. Paolo a destra. La nicchia del Fonte Battesimale contiene la statuetta di S. Giovanni Battista, mentre quella dell’ambone, il Cristo predicatore. (Pietro (Betsaida, 1 ? – Roma, circa 67) fu uno dei dodici apostoli di Gesù; è considerato dalla Chiesa cattolica il primo Papa. Paolo (o Saulo) di Tarso, più noto come san Paolo (Tarso, 5-10 – Roma, 64-67), è stato l'«apostolo dei Gentili», ovvero il principale (sebbene non il primo) missionario del Vangelo di Gesù tra i pagani greci e romani. A Roma Pietro e Paolo sono stati venerati insieme come colonne della Chiesa, e per questo le Chiese, soprattutto in Oriente, hanno da sempre tributato grande onore alla Chiesa romana, poiché, unica nel mondo, fu fondata dalla predicazione di due Apostoli, non già per un primato pietrino - alquanto dubbio - introdotto soltanto in modo surrettizio in epoca molto più tarda.) Sulla parete destra e sinistra del presbiterio i quattro riquadri contengono altrettanti dipinti, di varie epoche, probabilmente del 700 e dell’800: in alto a destra notiamo la riproduzione di parte della grande tela della Madonna della Mercede, che attualmente si trova nella chiesa Madre; in basso, il dipinto della Madonna del Carmelo con la scritta: PER DIVOZIONE DELLA RIALE MAESTRANZA. ANNO 1821. Sulla parete sinistra in alto è appeso il quadro dell’Addolorata; sotto, la tela della Madonna del Rosario, con una cornice barocca di stile diverso da quello degli altri quadri. L’Altare Maggiore dell’ottocento, che mostra in basso un piccolo bassorilievo ovale in marmo di Maria S.S. della Stella, è stato consolidato nel 2010 da Luciano Bonfirraro. In alto, ai lati delle colonne, notiamo due angeli in gesso, che sostengono altrettanti candelabri a tre bracci. (Le statue provengono dal vicino Monastero di S. Benedetto).
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Sulla parete dell’abside nel 1998 furono scoperti due grandi affreschi della “SPES” e della “FIDES”, rappresentate da due figure di donna tra vari decori, fregi ed arabeschi, la prima con l’ancora, l’altra con il calice e la croce. Questi affreschi dalla narrazione ampia e solenne, testimoniano la validità e la perizia dell’autore che sa rappresentare le Virtù Teologali, con una monumentalità, che deriva dal plasticismo rinascimentale, semplificata da una esecuzione pittorica piena di freschezza. Peccato che l’intonaco è in molte parti staccato e il colore di conseguenza perduto! La scoperta degli affreschi pone alla nostra attenzione diverse considerazioni: ci chiediamo se il ciclo di pitture murali abbia decorato solo l’abside, oppure tutte le pareti della chiesa; se gli affreschi siano stati eseguiti prima del terremoto del 1693, da cui si sarebbe salvata forse parte della chiesa compresa l’abside, oppure dopo la ricostruzione del 1699. A queste domande non abbiamo risposte certe, anche perché nessun documento e nessuna pubblicazione fanno cenno agli affreschi, coperti definitivamente nel 1858 dagli stucchi del Signorelli.
Chiesa Maria S.S. della Stella: Affresco della FIDES (particolare)
Ai piedi dell’Altare Maggiore troneggia infine un’elegante ed argentea Sedia Presidenziale, ripristinata nel 1995 da Angelo Tambè e nel 2011 da Paolo Russo, con lamine d’oro e d’argento.
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Nel 2011 Paolo Russo, Maurizio Russo e Fabio Patti hanno rinnovato tutti gli stucchi del presbiterio e dell’abside (compreso il tempietto sopra l’Altare Maggiore), del transetto destro e della nicchia di S.Agnese. Scendendo nel transetto sinistro, notiamo la cappella del “Cristo Morto nell’urna” completamente rinnovata. L’urna, che un ripristino del 1996, da parte di una ditta di Verona ha reso tutta aurea, contiene una nuova statua lignea del Cristo Morto, ritirata nel 1993 da una ditta di Parma. L'urna originaria di colore avorio con fregi e decori in oro era stata donata alla chiesa nel 1958 dalla sig.ra Alfonsina Scalia in Crapanzano. Alle pareti laterali della cappella spiccano due bassorilievi in pietra con i simboli della passione, realizzati nel 1999 dalla ditta Calabrese di Barrafranca. L’urna lignea è completata con l’aggiunta dell’angioletto centrale nel 2001 (sostituito nel 2012 dal vecchio angelo di cartapesta restaurato da Salvatore Costa) e gradualmente di altri quattro angioletti laterali nel 2002, tutti in legno dorato. Questa cappella è una delle più alte espressioni artistiche del parroco don Giuseppe Bonfirraro, grande artista scomparso nel 2009, il quale ha voluto rappresentare la Resurrezione che vince la Morte e completa la Vita. L’urna, posta su una mensa di marmo, è immersa in una grande luce, preannuncio della Risurrezione, simboleggiata dalla lastra di alabastro luminosa, che campeggia al centro. In questo capolavoro il Bonfirraro ha voluto conciliare i termini strutturali con quelli
Chiesa Maria S.S. della Stella: 73 Affresco della FIDES (particolare)
pittorici, che sono evidenziati dal trattamento levigato e nitido delle superfici, la cui posizione equilibrata viene modellata, dipinta e soprattutto inondata dall’uso sapiente della luce, che rappresenta il principale e il più importante elemento compositivo della struttura. Sempre nel transetto sinistro, sopra l’altare di S. Alessandro (transetto e altare rinnovati nel Marzo 2010 da Alessandro Salamone e Alessandro Gulino) notiamo un’altra vetrata del 2000, realizzata dalla ditta Roberto Salamone di Barrafranca. Passando alla navata di sinistra, ripristinata con l’altare di S, Lucia nel 2009 sempre da A. Salamone ed A. Gulino, dopo l’altro confessionale ordinato alla ditta di Genova nel 1988 con sopra il quadro di S. Alessandro, arriviamo al primo altare. Per amor di cronaca vogliamo riferire che nel citato inventario del 1745 risultava in questa chiesa un altare di S. Lucia con “quadro di pittura con cornice di legname bianca”, di cui non abbiamo notizia. Anche il primo altare della navata di sinistra, come l’altro di fronte, fu recuperato dal sotterraneo, (la cui apertura di accesso si trova nei pressi sul pavimento), ed fu ristrutturato nel 1998 da Giuseppe Puzzanghera, autore del piccolo dipinto centrale di “Gesù e i fanciulli”.
(Il principale brano evangelico che tratta di “Gesù e i fanciulli” è quello di Marco,10:13-14: “Allora, gli furono presentati dei fanciulli, perché li toccasse, ma i discepoli sgridavano coloro che li portavano. E Gesù, nel vedere ciò, si indignò, e disse loro: «Lasciate che i piccoli fanciulli vengano a me e non glielo impedite, perché di tali è il regno di Dio.”)
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Sopra, al posto del quadro di S. Alessandro, è appeso il dipinto della Madonna dei Raggi del Vaccaro, incorniciato nel 1997. (Il culto della Madonna dei raggi nacque nell’800 in seguito alle apparizioni della Vergine ad una monaca francese, suor Caterina della Figlie della Carità. In una sua apparizione la Madonna invitò la suora a far coniare la famosa Medaglia, che diffondesse la Sua devozione.) Spostandoci al centro della chiesa, in alto sulla sommità dell’arco di entrata notiamo un Chiesa Maria S.S. della Stella: medaglione ceruleo con la scritta Maria S.S. della Stella di G. Vicari AVE MARIA, mentre, più in alto, nell'arca restaurata la grande finestra del coro contiene la vetrata dell’Incoronazione di Maria, realizzata nel 2000 sempre dalla ditta Salamone di Barrafranca. Nel 2011 sono stati rimessi a nuovo gli stucchi delle pareti della navata centrale dai fratelli Paolo e Maurizio Russo, aiutati da Fabio Patti; gli stessi hanno completato i lavori nel 2012 con il rinnovo degli stucchi delle volte della navata centrale e del presbiterio. Per quanto riguarda gli affreschi sulla volta di questa navata, possiamo affermare che quasi sicuramente possono essere attribuiti a Raimondo Butera, un pittore di San Cataldo che operò intorno alla metà del 1800. Tale affermazione è suffragata dalle affinità e dalle analogie riscontrate
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con la pala dell’Assunzione della Vergine dello stesso autore nella chiesa Madre di Villarosa. La chiesa è stata eretta a Parrocchia con bolla del Vescovo mons. Sturzo il 31 Maggio 1939, e funzionante dal 1944. In seguito al restauro dell’Arca, eseguito da Valentino Faraci nel 2010, abbiamo potuto conoscere in modo certo le dipinture succedutesi nel corso degli anni. “Il colore originario scoperto durante le fasi preliminari di restauro è avorio (tendente al verdino) con fregi ed ornati in oro zecchino 23 Carati e argento vero; nel retro in basso è scritto in nero: A GLORIA DI MARIA DELLA STELLA PATRONA IN BARRAFRANCA ANGELO MINOLDO MAZZARINESE QUESTA BARA TRIONFALE A SPESE DI FRANCESCA BONINCONTRO E DELLA POPOLAZIONE FINITA NEL NOVEMBRE DEL 1849”. Dopo la “Bara trionfale” fu dipinta di verde e nero marmorizzato con fregi ed ornati rivestiti con falso oro e porporine; infine la parte anteriore fu verniciata con smalti di colore avorio, ceruleo, falso oro e Chiesa Maria S.S. della Stella: porporine”. Retro dell'arca della Compatrona dopo il restauro L’opera è costruita da diverse assi di legno di abete, faggio e tiglio, ornate all’esterno da numerosi intagli floreali (fiori e foglie d’acanto) in legno scolpito. Nella parte posteriore, in particolare, le colonne, i fregi, le statue, intagliati a bassorilievo, sono di faggio e tiglio. 76
All’interno nella parte centrale del soffitto si nota un intaglio, rappresentante una colomba circondata da una raggiera. La parte anteriore esterna è sovrastata da un’altra raggiera, con i raggi che si dipartono da un corpo nuvoloso, il quale circonda una Stella caudata intagliata. All’apice infine è collocato un uovo tornito, intagliato in basso con motivi fitomorfi. L’Arca riportata all’originario splendore ( colore avorio tendente al verdino con colonne, fregi, ornati, intagli e raggiere in oro zecchino ed argento vero), è stata esposta ai fedeli con il dipinto della Compatrona il 5 Settembre 2010 e benedetta solennemente la vigilia della Festa (l’otto Settembre) dal vescovo Mons. Michele Pennisi. Nello stesso anno, durante la Messa solenne dell’”ottava” (l’ottavo giorno dopo la festa, il 15 Settembre) c’è stato il rito del bacio della reliquia, che, come afferma il Nicotra, sarebbe “formata da un capello della S.S. Vergine”.
Chiesa Maria S.S. della Stella: Antica immagine della Compatrona
Questa reliquia, applicata ad uno stendardo con l’immagine di Maria S.S. della Stella, usciva lungo la “via dei Santi” l’otto Settembre, negli anni in cui la festa era meno solenne. In seguito, quando il dipinto di Maria S.S. della Stella venne portato in processione ogni anno, la reliquia ornò le veste preziosa della “Madonna della Giunta”.
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In realtà il piccolo reliquiario rotondo contiene due reliquie: quella di sopra (un pezzettino di stoffa chiara) reca scritto “De vel. B.V.M”; e la seconda ( un altro pezzettino di stoffa chiara): “S. Joseph”, Nel 2011 prima della la messa solenne della vigilia è stata iniziata la cerimonia della discesa della teca con il dipinto di Maria S.S. della Stella. Nello stesso anno, il giorno della festa è uscito per la “via del Santi” il dipinto della Compatrona, accompagnata dalle statue di S. Agnese, S. Lucia, S. Luigi, S. Giovanni Bosco, S. Rita, S. Antonio, S. Francesco e S. Pasquale, secondo l’antica tradizione. Dopo la messa conclusiva dell’ “ottava”, infine, è stata proposta la funzione del sollevamento e del collocamento della teca con il quadro di Maria S.S. della Stella, nella sua nicchia sopra l’Altare Maggiore. Nel 2013 il dipinto della Compatrona è stato portato in processione coperto da una sagoma della veste e del manto su cui è applicato l'oro offerto dai fedeli. Nonostante il parere contrario dell'autore, si è preferito ostentare l'oro e non il dipinto nella sua bellezza originaria. La stessa cosa si è ripetuta durante la processione del 2014. In questo stesso anno Valentino Faraci ha riparato l'Arca, che dopo il restauro del 2010, aveva bisogno di nuovi interventi.
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CAPITOLO QUARTO CHIESA DI S. BENEDETTO Una suora domenicana del Sacro Cuore di Gesù ci accoglie con una gentilezza riservata e discreta. Sparisce in silenzio, così come è apparsa, per ricomparire in compagnia della Madre Superiora.
Chiesa di S.Benedetto: Facciata e copertura di lamiera
Passiamo attraverso una piccola anticamera nel cortile del monastero, circondato, lungo due lati, da un atrio: dappertutto è pace e serenità e l’insieme, anche se vecchio e un po’ malandato, rivela l’intervento amorevole delle suore, che cercano, oltre il limite del possibile, di renderlo accogliente ed accettabile.
Abbiamo l’impressione per un attimo di vivere in un mondo diverso, in un’altra dimensione, in cui lo spazio e il tempo sembrano scanditi dal silenzioso sgusciare delle suore sul pavimento, dopo intervalli di pausa e di immobilità assoluta. Entriamo in una piccola sacrestia, con le pareti scrostate, con la volta ornata da stucchi, appesi ai muri i quadri ad olio del Settecento dei fondatori del monastero di San Benedetto, ed un’immagine annerita della Madonna col Bambino. Attraverso una piccola porta finalmente siamo in chiesa. Aprendosi la porticina della sacrestia nella parte centrale della parete destra, appena entrati, girando intorno lo sguardo, non possiamo subito gustare la bellezza architettonica della chiesa, ma abbiamo chiaramente
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l’intuizione di trovarci di fronte ad una delle più originali chiese di Barrafranca, un vero gioiello dell’arte barocca siciliana. Scendendo in fondo, vicino al portone d’ingresso, troviamo il posto ideale per cogliere la bellezza dell’insieme e per convincerci che l’intuizione avuta prima, trova piena conferma:la chiesa nel suo piccolo, rappresenta una gemma nell’ arte della controriforma in Sicilia: anche se di piccole proporzioni, essa Chiesa di S.Benedetto: Interno con Altare Maggiore ricalca nella sua concezione, lo schema maggiormente diffuso al tempo della sua costruzione: quello dell’ambiente unico a sala rettangolare. In essa le soluzioni architettoniche dell’interno, non sono limitate alla creazione di una decorazione superficiale, ma assumendo una adeguata consistenza, determinano esse stesse la conformazione e la modellazione dello spazio. Infatti le membrature molto sporgenti delle superfici suddividono l’ambiente in varie zone, definendole sia plani metricamente, sia spazialmente. Ciascuna di queste zone ritrova poi, nella forma della sua copertura, la sua coerente conclusione. Passiamo così dalla saletta di davanti a pianta quadrata, sormontata da una cupoletta a calotta su pennacchi, al vano di centro rettangolare con
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volta a crociera, e quindi alla grande nicchia dell’altare Maggiore, in una successione di spazi intelligentemente dosati. Notiamo particolarmente la posizione della cupola, che invece di essere collocata in fondo alla chiesa, vicino all’altare Maggiore, è spostata in avanti presso l’ingresso. Questo crea un risultato prospettico notevole, poiché la dilatazione dello spazio nella zona anteriore dell’ambiente, provoca una convergenza maggiore della visuale verso l’altare Maggiore, eliminando in tal senso ogni dispersione. Le pareti e la volta sono ornate da pochi stucchi, tipici dell’arte barocca, ma la quasi mancanza degli stucchi è compensata dagli affreschi che coprono quasi tutta la chiesa, in un susseguirsi di motivi architettonici e floreali, intervallati da figure e da oggetti simbolici. I pennacchi, che sostengono la cupola, sono decorati con quattro medaglioni rappresentanti gli evangelisti: Matteo, Marco, Luca e Giovanni; la volta a crociera Chiesa di S.Benedetto: Reliquiario e centrale, da festoni ed oggetti Crocifisso religiosi, come messali e candelabri; infine la volta dell’altare maggiore, contiene un affresco con il triangolo, simbolo della Trinità, contenente l’occhio dell’Eterno Padre, con sotto l’agnello, emblema del Cristo.
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(San Matteo apostolo ed evangelista (nato Levi; Cafarnao?, fine del I secolo a.C. – Etiopia?, metà del I secolo d.C.) , di professione esattore delle tasse, fu chiamato da Gesù ad essere uno dei dodici apostoli. San Marco evangelista ( Palestina, circa 20 – Alessandria, seconda metà del I secolo d.C.) fu discepolo dell'apostolo Paolo, e in seguito di Pietro ed è tradizionalmente ritenuto l'autore del vangelo secondo Marco. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Luca evangelista, (Antiochia, circa 10 d.C. – Tebe?, circa 93 d.C.), venerato come santo dalla Chiesa cattolica, è autore del Vangelo secondo Luca e degli Atti degli Apostoli, il terzo ed il quinto libro del Nuovo Testamento. Per i cattolici è il santo patrono degli artisti e dei medici, e viene festeggiato il 18 ottobre Giovanni apostolo ed evangelista (Betsaida?, inizio I secolo – Efeso, fine I secolo) è stato un apostolo di Gesù. La tradizione cristiana lo identifica con l'autore del quarto vangelo e per questo gli viene attribuito anche l'epiteto di evangelista.) Probabilmente questi affreschi furono eseguiti tempo dopo la costruzione della chiesa, forse nel 1902, perché anche se l’insieme architettonico non sembra rifiutarli, ma anzi sembra assorbirli e farli suoi, rivelano uno stile completamente diverso. Sconosciamo purtroppo il nome dell’autore, e non disponiamo neanche di elementi per azzardare qualsiasi congettura. Prima poche volte avevamo avuto l’occasione di entrare in questa chiesa e quelle poche volte l’avevamo guardata con occhi distratti, anche se tra noi ci eravamo fatta l’opinione che si trattasse di una chiesa interessante, tutta da scoprire.
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Dopo la nostra visita e dopo un’attenta, accurata ed amorevole osservazione, abbiamo l’impressione di aver davanti una nuova chiesa, come se la vecchia si fosse aperta per rivelarci i suoi tesori nascosti. Vogliamo augurarci che la stessa cosa accada a voi dopo la lettura di questo nostro scritto. Nella parete di destra notiamo un primo altare di marmo, rifatto nel 1945, e sovrastato da una nicchia Chiesa di S. Benedetto: Altare ligneo del Crocifisso contenente una statua, forse dei primi del 900, di Maria Ausiliatrice, titolo diffuso da S. Giovanni Bosco nell’800. La Vergine con una mano sostiene uno scettro e con l’altra il Bambino Gesù, che tiene a sua volta uno scettro più piccolo. La composizione è perfetta, nell’armonico equilibrio degli spazi e dei volumi, che concorrono a presentarci una Madonna materna e regale nello stesso tempo, la quale aiuta e protegge. Anche l’altare Maggiore è stato rifatto in marmo intarsiato, intorno al 1957. Ai lati sostiene due grandi colonne attorcigliate, che sorreggono un timpano spezzato e ricurvo. Il vuoto centrale della parete di fondo è riempito da un grande quadro dell’Assunzione, circondato da una pesante e massiccia cornice argentata, in legno intagliato e traforato. Sconosciamo il nome dell’autore di questo dipinto, anche se qualcuno ha avanzato l’ipotesi che si tratti di un’opera di Mariano Rossi, un pittore nato a Sciacca nel 1731 e morto a Roma nel 1807. Nelle sue opere,
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Mariano Rossi rimane estraneo all’esperienza neoclassica e si attarda in forme barocche, che sintetizzano gli influssi della scuola romana e di quella napoletana. Anche se quest’opera Chiesa di S. Benedetto: del monastero Cupola affrescata di San Benedetto, oggi delle suore Domenicane del sacro Cuore di Gesù, ricalca gli schemi del barocco meridionale, a noi non sembra, ma possiamo anche sbagliare, doversi attribuire a Mariano Rossi. Possiamo anche, ma molto cautamente, avanzare l’ipotesi che possa essere stata dipinta da un suo allievo o da un suo imitatore, di livello artistico però decisamente inferiore rispetto a quello del maestro. L’autore, anche se risente dell’influsso di Mariano Rossi, ha saputo creare un’opera dignitosa e seria, perfetta nel suo genere e per il fine per cui era stata ideata. In questa Assunzione l’influsso di Mariano Rossi è evidente in vari particolari, ma soprattutto nella disposizione dell’insieme: le numerose figure nella varietà dei loro atteggiamenti non nocciono all’armonia generale della composizione e la loro distribuzione è piacevolmente concepita nell’alternanza dei tipi e nella molteplicità di espressioni e di movimenti. La parte centrale della tela è dominata dalla mirabile figura dell’Assunta che, sostenuta e quasi portata da un’aureola viva di cherubini, risalta sullo sfondo del cielo percorso da nubi, che accentuano la 84
profondità spaziale. Il significato lirico è intensificato non solo dalla finezza della figura della Vergine, ma anche dal vario disporsi delle figure in basso in ginocchio capeggiate a destra da San Benedetto e a sinistra da Santa Scolastica. Qui lo sfondo fa spiccare di più le figure, nei cui volti l’artista è riuscito ad esprimere in maniera sempre nuova e diversa il divino e l’umano che li animano, raggiungendo una certa potenza e grandiosità. La morbidezza della modellatura, la delicatezza dello sfumato nelle carni, anche se derivano da Mariano Rossi, non riescono però a cancellare l’impronta personale dell’artista, che si può considerare un rappresentante, se pur minore, della pittura barocca siciliana. Sconosciamo purtroppo anche la data esatta del dipinto, la cui esecuzione possiamo collocare, quasi sicuramente, intorno alla seconda metà del 1700. L’opera risulta un po’ scrostata in basso. Di fronte a quello di Maria Ausiliatrice, troviamo un altare molto antico del Crocefisso, forse nato con la Chiesa. L’altare è tutto in legno scolpito: un grande reliquiario, anche questo in legno scolpito, fa da sfondo al grande Crocefisso, drammaticamente trasfigurato dall’agonia, con il corpo martoriato e quasi tutto coperto di sangue annerito. Ma la cosa più bella della chiesa è forse la Via Crucis. I dipinti sono mirabilmente eseguiti da Francesco o Giuseppe Vaccaro, mentre le edicole che li contengono furono lavorate dal Sac. Giuseppe Fantauzzo, nato a Barrafranca nel 1887, un artista figlio del grande Giuseppe Fantauzzo, le cui opere ed il cui valore artistico abbiamo detto in precedenza. Le nicchie sono tutte in legno, finemente lavorato e traforato, impreziosite in basso da pennacchi e guglie, che si intrecciano e si susseguono, decrescendo dal centro verso l’esterno. L’opera fu eseguita verso il 1914 ; nello stesso anno l’autore moriva a soli ventisette anni. Vicino all’ingresso a sinistra è appeso un quadro del Battesimo di Cristo, opera eseguita nel 1940 dal pittore barrese Vincenzo Marotta, Il dipinto proviene dalla vicina Parrocchia di Maria Santissima della Stella.
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A ricordarci che questa è la chiesa di un monastero, c’è la cantoria, sistemata sopra l’ingresso della costruzione: le suore che cantavano erano velate e seminascoste da una grata lignea di stile barocco. Altrettante grate coprono le due finestrelle che si aprono sulle pareti laterali della chiesa. Come abbiamo prima detto, la chiesa nella sua struttura architettonica è figlia del suo tempo e ricalca lo stile tardo barocco, allora più diffuso nell’Italia Meridionale. Si può pertanto dedurre che l’architetto, il quale la progettò, non abbia avuto una formazione chiusa e paesana, ma sia stato abbastanza aggiornato e sensibile ai richiami culturali provenienti dai centri maggiori.
Chiesa di S. Benedetto: Parete destra del vano centrale
La chiesa fu fondata nel 1745, otto anni dopo l’apertura del Monastero di San Benedetto, quando il marchesato di Barrafranca toccò a Caterina Branciforti, dopo aver superato un litigio con la sorella Rosalia. Per costruirla fu ostruita una via (la continuazione dell’attuale via Paternò Rossi) che divideva le due case signorili del Catalano e del Bufalini, fondatori del monastero. Dopo la visita non siamo usciti dal portone centrale della chiesa, quasi sempre chiuso, ma abbiamo seguito a ritroso il cammino fatto per entrare. Appena fuori, il nostro sguardo si è alzato ad esaminare il prospetto della chiesa. La facciata è modesta, incorniciata da pilastri di viva pietra, 86
motivo che è richiamato nella grande finestra centrale e nel portale, che circonda il portone principale. Questo portale, finemente ed elegantemente lavorato, si discosta dall’insieme del prospetto, ricollegandosi nella sua struttura barocca, all’interno della chiesa. Non abbiamo elementi per formulare qualsiasi supposizione; solo per amor di cronaca possiamo riferire che alcuni vogliono far risalire addirittura questo portale all’antico castello di Convicino, che sorgeva nelle vicinanze, supponendo che ne dovesse circondare il portone centrale. A noi però sembra che forse abbiano confuso con il vicino portale del Monastero, perché per quanto riguarda l’austerità dello stile, lo riteniamo più adatto all’ingresso di un castello. In alto al centro infine, sotto gli spioventi del tetto, si aprono tre finestrelle ad arco, contenenti altrettante campane.
Chiesa di S. Benedetto: Volta a crociera con affreschi
Attualmente la chiesa è chiusa al pubblico, perché pericolante e un così singolare capolavoro si sta distruggendo nel disinteresse generale Dato alle stampe nel mese di Settembre 1984
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AGGIORNAMENTI CHIESA E MONASTERO DI S. BENEDETTO Il Monastero benedettino della S.S. Trinità, fondato nel 1733, fu completato in soli 4 anni e inaugurato nel 1737, anche perché formato dalle abitazioni signorili già esistenti dei due fondatori, dott. Alessandro Bufalini (edificio di sinistra) e sac. Don Diego Catalano (blocco di destra). Per unire le due case, fu ostruito lo sbocco della via Paternò Rossi con l’attuale Piazza Fratelli Messina, e in parte di questo suolo recuperato fu costruita la Chiesa del Monastero, dedicata a S. Benedetto. Molte furono le donazioni per costruire il monastero. “Il Principe di Butera D. Ercole Branciforti e la moglie D. Caterina con atto presso Notar Leonardo Miceli da Palermo in data 12 Maggio 1733 vi assegnarono varie terre in contrada Bucciarria, riserbandosi il diritto di scelta delle persone che dovevano farne parte. I coniugi D. Alessandro Bufalini e D. Felicia Barresi e le figlie D. Girolama, D, Camilla, D. Antonina e D. Aloysia, con atto 8 Gennaio 1733 presso Notar Giuseppe Fiore, donavano al detto monastero altri beni. D. Diego Catalano, del vero ceppo nobile di Piazza, Vic. Curato di Barrafranca nel 1724 e Parroco di Pietraperzia nel 1740, vi assegnava pure la sua parte di dote”. (Parroco Giunta). Alcuni sostengono che in epoca bizantina la stessa struttura Chiesa di S. Benedetto: doveva essere un Monastero Membratura destra Benedettino maschile.
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Di questo antico monastero benedettino resterebbero le mura del lato nord ed ovest, con gli ingressi dotati di mensole pensili (botteghe?...celle?...magazzini?) e con le alte finestre del primo piano. Angelo Scarpulla ipotizza che questa abazia benedettina, risalente all’alto Medio Evo, doveva essere di dimensioni notevoli, con chiesa (diventata la vecchia Matrice di Convicino) e torre annessi, e doveva comprendere la chiesa del Purgatorio. Bobò Centonze suppone che il giardino interno del monastero sarebbe stato costruito sulle basi “di una basilichetta bizantina esistita nel periodo federiciano ed oltre”. La prima badessa del monastero fu Suor Maria Serafica Catalano, sorella di uno dei fondatori, mentre l’altro fondatore collocò nel Monastero le figlie Girolama, Petronilla, Antonina, Luisa e Caterina. Il Nicotra scrive che la chiesa attuale fu fondata nel 1745, ma noi riteniamo che questa data si debba anticipare di alcuni anni, perché il Giunta ci riferisce che uno dei fondatori, il dott. Bufalini, morto nel 1741, fu seppellito nella chiesa del Monastero. (Anche al Governatore di Barrafranca D. Ferdinando Capra, morto nel 1778, fu concessa la sepoltura nella chiesa). Nell’inventario della chiese di Barrafranca del 1745 è citato anche questo monastero, nella cui chiesa si trovava tra l’altro un altare di S. Michele Arcangelo “con un quadro del Santo con sua cornice lavorata di legno indorata…” Nel 1928 il parroco Giunta scrive che il quadro si conservava all’interno del Collegio di Maria; oggi non ne abbiamo più notizia, come dei due Crocifissi, “uno a statua e l’altro a pittura”, che si trovavano nella sacrestia. Già nel 1797, per i bisogni dello Stato, i Borboni requisirono al monastero 4 candelieri d’argento.
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Nel 1866 fu approvata la legge che disponeva la soppressione dei Conventi in Sicilia e il passaggio al demanio pubblico dei beni ecclesiastici. Nonostante ciò, le suore benedettine rimasero nel Monastero, perché un documento del 1882, pubblicato dal Centonze, riferisce di un tentativo del “Delegato ed altri Ufficiali” di impossessarsi del Monastero. Nel 1889 infine la Chiesa e il Monastero diventarono proprietà del Comune di Barrafranca, come attestano due documenti pubblicati sempre dal Centonze: (5 Aprile: Cessione al Comune di Barrafranca della Chiesa del Monastero; 20 Agosto: Concessione in fitto da parte del Consiglio Comunale delle “botteghe” del Monastero). Anni dopo, in seguito ad un accordo tra il Comune di Barrafranca e la Chiesa locale, il caseggiato a destra della chiesa fu permutato con i locali del Collegio di Maria, abitato dalle Suore del Buon Pastore e fondato accanto alla Chiesa di S. Giuseppe dai Sac. Calcedonio e Gaetano Messina nel 1850. (Attualmente a testimonianza di questo Collegio rimane il loggiato sulle abitazioni accanto all’ex chiesa di S. Giuseppe). Le Suore del Buon Pastore, in seguito a Chiesa di S. Benedetto: questo scambio, si Matroneo di destra trasferirono nell’ala destra del Convento di San Benedetto, che assunse il nome di Collegio di Maria.
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Lo Stato restò però proprietario della Chiesa, concedendone l’uso al clero ed alle suore (dal 1985 la chiesa di S. Benedetto fa parte del patrimonio del F.E.C. Fondo Edifici di Culto-Ministero dell’Interno) Nel 1895 il Collegio di Maria accolse le Suore di S. Anna, fondate dalla beata Rosa Gattorno, le quali vi rimasero fino agli anni 70, quando ad esse subentrarono le Suore Domenicane del Sacro Cuore di Gesù, andate via definitivamente nel 1997. (Salvatore Vaiana ci riferisce che “nel 1897 a Barrafranca fu ripristinato il Collegio di Maria, unico in tutta la provincia di Caltanissetta, frequentato da 17 educande”; non abbiamo notizia però della sede). Negli anni ’30 un’ala del collegio ospitò le scuole elementari femminili. In una foto di questo periodo si notano all’interno della chiesa: un pulpito in legno con baldacchino, collocato sulla parete destra del vano centrale; e una balaustrata in ferro battuto. In un’altra foto si vede la precedente facciata, che “presenta nel frontespizio un loggiato bipartito”(C. Orofino). La parte superiore dell’attuale facciata risale forse agli inizi degli anni 50, perché in un documento dell’archivio parrocchiale si legge che nel 1951 vi fu la benedizione delle nuove campane. Verso la fine degli anni ’50 fu ricostruito il solaio del salone del collegio e fu rivestita la scala di accesso al primo piano con lastre di marmo bianco di Carrara ( lavori eseguiti dal geom. Salvatore Licata). La chiesa fu chiusa al culto verso la fine degli anni 70, perché pericolante, e da allora non è stata riaperta. Prima del 1984, in occasione della preparazione e della stesura di questa Guida, noi visitammo la chiesa, anche se chiusa al pubblico, con il permesso delle suore Domenicane. Le condizioni della chiesa e di tutto il suo contenuto risultavano come descritto nella prima parte di questo capitolo.
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Alcuni anni dopo, in seguito ad una visita al Monastero, notammo che le edicole della Via Crucis erano state trasportate ed appese lungo le pareti di un ambiente, adibito a Cappella, nel piano superiore. Quando però nel 1991, in occasione della preparazione della Mostra dei Fratelli Vaccaro con sede a Caltagirone, ci recammo nel Monastero con Vito Librando ed Annamaria Ficarra per vedere appunto la via Crucis del Vaccaro, ci fu riferito dalla Madre Superiora di allora che le edicole con i dipinti erano state distrutte da un (fantomatico) crollo del soffitto dell’ambiente in cui si trovavano…(?) Nel 1994 crollò la volta della grande nicchia dell’altare Maggiore della chiesa di S. Benedetto. Nel settembre dello stesso anno la Soprintendenza di Enna intervenne con una copertura provvisoria in lamiera di tutto il tetto e con il consolidamento della cupola.
Da allora fino a questo momento, non c’è stato alcun altro intervento per salvare la chiesa; nel 1997, come abbiamo scritto prima, le suore Domenicane lasciarono il Monastero, che fu chiuso. Prima di scrivere questi aggiornamenti abbiamo voluto rivisitare la chiesa per constatare di persona lo stato in cui attualmente si trova. Le foto che pubblichiamo parlano più di tante parole e descrizioni. Noi, durante la visita, abbiamo avuto l’impressione che, nonostante lo stato di degrado e di abbandono in cui si trova, (aggravato anche da altri crolli, da infiltrazioni d’acqua, dalla sporcizia e dallo sterco dei piccioni), la chiesa di S. Benedetto non voglia rassegnarsi ad una distruzione irrimediabile: essa si ostina a mostrare ancora tutta la sua superba bellezza, e sembra chiedere disperatamente aiuto, prima che sia troppo tardi. Il quadro del Battesimo di Cristo di Vincenzo Marotta, che si trovava a sinistra vicino all’ingresso principale, nel 2005 fu trasportato in un locale del Monastero insieme al grande reliquario e all’altare di legno barocco del Crocefisso con la statua di cartapesta.
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(A proposito dell’altare del Crocefisso, il Giunta ci riferisce che uno dei fondatori del Monastero, il Sac. Don Diego Catalano, fu seppellito nel 1749 proprio al piedi di questo altare). In alto di questo altare (citato nell’inventario del 1745: “Abbiamo trovato un Crocifisso grande…alli piedi di detto Crocifisso abbiamo trovato un quadro piccolo di Maria Addolorata…), su un ovale di stucco, si nota la data 1904 (non sappiamo a cosa si riferisca, forse ad un ripristino dell’altare?) La nicchia dell’altare di fronte non contiene più la statua di Maria Ausiliatrice, attualmente sistemata nell’Oratorio “S. Giovanni Bosco”, (ex chiesa di San Giovanni). In alto in un ovale di stucco, si notano due cifre di una data incompleta (..82..) . Gli affreschi della cupola, che copre e completa questa prima saletta, resistono ancora, mostrando, quasi nel complesso, tutta la loro bellezza. Dal centro, in cui si scorge la “M” di Maria Vergine, si dipartono otto Chiesa di S. Benedetto: Volta del presbiterio crollata spicchi, intervallati da altrettanti vasi con fiori diversi. Il primo spicchio contiene l’àncora con la scritta SPERANZA; il secondo, il Cuore dell’Addolorata trafitto dal pugnale; il terzo, il calice con l’Ostia consacrata con scritto CARITA’; il quarto, la Corona con la palma del martirio; il quinto, (affresco poco visibile); il
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sesto, i simboli del papato; il settimo, la Croce con scritto FEDE; l’ottavo infine, il Cuore di Gesù. Dei quattro medaglioni sui pennacchi contenenti l’immagine e il nome degli evangelisti, solo quello di S. Luca è parzialmente rovinato e poco visibile. La volta a crociera del vano centrale presenta ancora gli affreschi quasi intatti. I due triangoli centrali contengono su fiori e festoni, il primo, un volume aperto; l’altro un libro chiuso con scritto sulla copertina SACRA BIBBIA V. 1. Entrambi i triangoli laterali hanno affrescate due testine di putti alati tra nuvole e fiori. Questi ultimi affreschi presentano delle screpolature più vistose, in particolar modo quello di destra. Guardando le pareti e le membrature della chiesa, non possiamo dire la stessa cosa degli affreschi e degli stucchi in esse contenuti, perché molto rovinati, screpolati, corrosi e anneriti dall’umidità e dal tempo. Sono illeggibili anche le date che dovevano contenere i due ovali della cornice di stucco in alto, in corrispondenza delle due porticine nelle pareti del vano centrale (solo in quello di destra si riescono a distinguere appena le cifre: 1….6). La grande nicchia dell’altare Maggiore è la zona della chiesa maggiormente rovinata, in quanto presenta la volta completamente distrutta (1994) e il matroneo destro, che mostra ulteriori crolli succedutisi nel tempo. Sulla parete di sinistra si nota una lapide di marmo con scritto: SS. PP. PIUS VI. SANCTI MONIALIUM HUIUS MONASTERII BARRAFRANCAE S.P. BENEDICTI POSTULATIS BENIGNE ANNUENS ALTARE MAJUS QUOTIDIE AC PERPETUO PRIVILEGIATUM PRO CELEBRANTIBUS, CUM SECULARIBUS TUM REGULARIBUS INDULSIT. DIE XXX JULII MDCCLXXVIII L’altare Maggiore “privilegiato”, di cui parla la lapide, doveva essere quello che ci descrive nel 1928 il parroco Giunta: “E’ un lavoro in legno scolpito di stile barocco, incastonato di specchi e con delle piccole nicchie dove in altri tempi erano le statuette di Santa Scolastica e Santa Gertrude”(Inventario del 1745)
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Questo prezioso altare fu sostituito, non sappiamo il perché, negli anni 50 con l’attuale in marmo intagliato. Sopra l’Altare Maggiore la grande pala dell’Assunzione (citata nell’inventario del 1745) è stata coperta da un telo di plastica, con la speranza che possa essere protetta e salvaguardata dalla sporcizia, dall’umidità e dallo sterco dei piccioni. Riportiamo quello che Chiesa di S. Benedetto: su questo dipinto ha Interno con cantoria scritto il Giunta: “pare che questa tela rassomigli non poco a quella che il valoroso pittore Mariano Rossi da Sciacca dipinse pel monastero benedettino di S. Rosalia in Palermo. Pur non avendo ragioni per dirlo della stessa mano, possiamo giudicare di essere della stessa scuola”. A destra dell’Altare Maggiore era collocata un’edicola in legno lavorato, a modo di teca con vetri, contenente le piccole statue in cartapesta di S. Anna e la Madonna bambina, probabilmente risalente al periodo in cui le suore di S. Anna abitarono il Monastero. Anni fa l’edicola fu trasportata nella Chiesa Madre. Le grate lignee barocche della cantoria sono ancora quasi intatte; sotto la cantoria, l’arco dell’ingresso è ornato da due putti ( ad uno manca la testa) i quali sostengono drappi e festoni con al centro un vuoto contenente la scritta incompleta: LETABITUR VIRGO IN CHORO…. Delle altre grate lignee che ornano la chiesa, quelle del piccolo matroneo destro del presbiterio sono state in parte rovinate e distrutte dal crollo 96
della volta in un primo tempo, e dall’incuria e da altri crolli nel corso degli anni. La facciata esterna non ha subito alcun cambiamento, a parte il portone centrale molto più corroso e rovinato dal tempo. A destra notiamo una lapide in marmo con scritto: GRAZIE A TE, ROSA GATTORNO: QUI VENISTI CON LE TUE FIGLIE NEL 1895. QUI RITORNANO OGGI PER CELEBRARE I 125 ANNI DI FONDAZIONE DEL LORO ISTITUTO ! BARRAFRANCA, 6 DICEMBRE 1992. Nel 2014, in seguito a scavi di sondaggio nel pavimento con una ruspa, sono state rinvenute diverse tombe.
Prima di concludere questo capitolo, vogliamo ricordare che S. Benedetto (Norcia 480 – Montecassino 547) fu il fondatore dell’ordine dei Benedettini e fratello (forse gemello) di S. Scolastica, anche fondatrice e patrona dell’ordine delle monache benedettine.
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CAPITOLO QUINTO CHIESA DEL CONVENTO DI SAN FRANCESCO
Nessuna cosa è più triste di un convento quasi deserto: i corridoi sembrano perdersi nella penombra in un susseguirsi di chiaro e oscuro di archi, che vanno rimpicciolendosi sempre di più; il silenzio profondo ingigantisce anche il minimo rumore, tanto più quello dei passi, o l’eco di una voce, il cui rimbombo rimbalza di arco in arco, fino a svanire nella statua del Santo Frate, immobile e vigile nel fondo. Questa impressione abbiamo quando ci rechiamo nel convento dei Frati Minori Francescani, accolti prima da un bambino che ci apre la porta, e poi gentilmente dal Padre Chiesa di S. Francesco: Facciata Guardiano, l’unico frate abitante il convento. La prima cosa che chiediamo di vedere è la famosissima tavola di Santa Maria degli Angeli, citata in tutte le guide e i libri della Sicilia, un’opera ritenuta addirittura del periodo pregiottesco, forse il quadro più famoso fra tutti quelli presenti a Barrafranca. Ci viene risposto che è molto rovinato e che non si può vedere; possiamo solo accontentarci di apprendere che era una tela di vaste proporzioni, dipinta ad olio, molto scrostata, in alcune parti le figure quasi invisibili. Abbiamo subito l’intuizione che quello, se ancora esiste, non può essere il famosissimo quadro di cui tutti parlano: primo, perché di vaste proporzioni; secondo, perché dipinto su tela; terzo, perché eseguito ad 99
olio: tutti questi accorgimenti non venivano usati nel periodo in cui si dice fosse stata eseguita l’opera. Quella di questa chiesa doveva essere una copia dell’antico quadro, dipinta su tela in epoca molto più recente, forse nel 1700. E il vero quadro, quello di cui parla la tradizione, dove si trova? è realmente esistito? è veramente così antico, come si dice? A queste ed ad altre domande cercheremo di rispondere, dopo aver fatto le dovute ricerche. L’opera originale, che rappresenta la Madonna con Angeli, circondata da piccole scene con i miracoli di San Francesco, esisterebbe realmente e sarebbe arrivata fino a noi. Probabilmente doveva trovarsi presso la Matrice vecchia di Convicino prima, e di Barrafranca in seguito, una chiesa che non esiste più e che era situata all’imbocco della piazza Fratelli Messina, dove attualmente c’è la via Chiesa Vecchia, a ricordo dell’antica costruzione, diroccata fin dal 1727. Il quadro era sicuramente antichissimo, essendo dipinto su tavola, ma non possiamo stabilirne la data certa di esecuzione. Alcuni ritengono che sia del 1224, altri ancora lo collocano nel 1244 (data che sarebbe scritta sull’opera) Queste date si potrebbero accettare, solo supponendo che l’autore abbia conosciuto il Poverello di Assisi o che abbia avuto notizia della sua vita santa. Nel 1524 la tavola di santa Maria degli Angeli sarebbe passata nell’antico Convento di San Francesco, un piccolo monastero, con cinque cellette, fondato da Matteo Barresi, nel luogo che oggi porta il nome di Musciolino, e che si trova dietro la chiesa dell’Itria. L’opera sarebbe rimasta in questo convento per quasi cento anni, fino a quando i Moncada, una famiglia ebrea arricchitasi con la pratica dell’usura, allora conti di Caltanissetta e di Paternò, non presero in affitto il marchesato di Barrafranca. Il quadro sarebbe stato così portato dai Moncada a Caltanissetta, dove attualmente si troverebbe presso il collegio di Maria.(Dott. Angelo Ligotti) Il dipinto originale quindi non si sarebbe mai trovato in questo nuovo convento dei frati francescani, la cui chiesa è oggetto della nostra trattazione, e tutti quelli che ne hanno fatto menzione, lo hanno confuso con la copia, di epoca molto più recente, che si trovava in questo monastero. 100
Il quadro di Santa Maria degli Angeli che è conservato, come abbiamo detto, a Caltanissetta, reca dipinto a sinistra lo stemma dei Moncada, di mano più recente, a destra un altro scudo con dentro scritto: “ Vuoto per non potersi rintracciare”; al centro un altro stemma contenente il simbolo dei francescani. Abbiamo notizia che l’opera fu ritoccata dal pittore Giuseppe Butera e ciò si può capire osservando attentamente il dipinto.(Dott. A. Ligotti) Abbiamo cercato di porre un po’ di ordine alla questione riguardante questa preziosa opera, confortati anche dal parere dell’illustre studioso barrese dott. Angelo Ligotti, ma noi siamo dell’opinion e che il problema rimanga ancora aperto, dal momento che alcuni punti e passaggi risultano oscuri e da chiarire. Chiesa di S. Franceso: Parte alta della facciata
Mentre rimuginiamo nella mente tali pensieri, entriamo in chiesa. La prima impressione che abbiamo è la stessa di quella avuta entrando nel convento: l’insieme ci infonde un senso di tristezza e di abbandono, la stessa sensazione un po’ deludente che si prova entrando in un luogo deserto, dopo una festa. La chiesa infatti, anche se ora un po’ trascurata, reca ancora le tracce della cura amorevole ed un po’ provinciale con cui la trattavano i frati, quando numerosi conducevano serenamente la loro vita nel convento. Ora la chiesa come abbiamo detto è un po’ malandata e delle crepe, per fortuna non pericolose, ne solcano la volta. A destra entrando, sopra un’acquasantiera in marmo di recente collocazione, è posta una pietra, incassata nella parete, e protetta da una reticella apribile. Questa pietra, che fu trovata per caso nel 1923,
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mentre si diroccava lo spigolo della chiesa per rifarlo a nuovo, è molto importante per conoscere notizie riguardanti la fondazione della chiesa. Possiamo così sapere con certezza che la chiesa fu fondata nel 1694, nel periodo in cui i frati francescani dal vecchio convento del Musciolino si trasferirono a quello nuovo, per l’aria malsana. A quei tempi il marchesato di Barrafranca apparteneva a Carlo Maria Carafa, principe di Butera e marchese di Barrafranca, un insigne studioso che tutti lodavano per la sua bontà e munificenza, il quale trovò anche il tempo di fondare Grammichele sulle rovine dell’antica Ocula. Sulla pietra è inciso anche il nome dell’architetto, che la ideò: Micael Angelus a Calatajerone Architectus ( Michele Angelo di Caltagirone Architetto). Sempre a destra incontriamo l’altare dell’Annunciazione, rifatto in marmo di recente. Sopra l’altare domina una grande tela dell’Annunciazione, della quale purtroppo sconosciamo il nome dell’autore e la data dell’esecuzione. L’opera nel suo insieme rivela un artista minore, ancorato ai canoni ed ai modi della tradizione più scadente, cosa che si rivela particolarmente nella staticità e nella teatralità della composizione, ma che si riscatta un po’ nella figura della Vergine, completamente diversa dalle altre, per la sua dolce e soave compostezza, quasi sovrumana. Il secondo altare è quello dell’Immacolata, con la nicchia contenente una pregevole statua dell’Immacolata, bellissima, in legno. L’opera è attribuita a Giuseppe Bagnasco, un artista originario di Palermo, che visse ed operò nella prima metà del 1800, ma non abbiamo elementi per stabilire la veridicità di tale attribuzione. A parte questo, la statua, a nostro parere, è un vero capolavoro. Il volto della Vergine, l’atteggiamento ed ogni altra componente sono prospettati in funzione psicologica: ne deriva un pathos di alta drammaticità e maestosità misto a dolcezza, fissato in un severo silenzio, alieno da ogni compiacenza declamatoria. L’autore dona alla scultura una nuova dignità mediante un linguaggio che sembra illuminarsi per la lezione dei classici, rigorosamente fondato su una misura plastica che esalta superbi equilibri di masse modellate, aperte al fluire della luce. 102
Attraverso l’arco trionfale, il cui affresco barocco è uno dei pochi originali che rimangono dopo i ripetuti restauri, ci accostiamo all’altare Maggiore. Qui domina una dossale a piramide, propria degli altari francescani, in legno scolpito ed in parte intarsiata, ornata da colonnine e edicolette che contenevano statuette, sempre in legno scolpito, rappresentanti Santi Francescani. La nicchietta centrale racchiudeva una piccola statua dell’Immacolata, mentre lo sportello del Tabernacolo reca dipinto il Cristo risorto. (La risurrezione di Gesù è l'evento centrale della narrazione dei Vangeli e degli altri testi del Nuovo Testamento: secondo questi testi, il terzo giorno dalla sua morte in croce Gesù risorse lasciando il sepolcro vuoto e apparendo inizialmente ad alcune donne e quindi anche ad altri apostoli e discepoli. Per il Cristianesimo l'evento è il principio e fondamento della fede, ricordato annualmente nella Pasqua e Chiesa di S. Francesco: Interno settimanalmente nella domenica) Sconosciamo i nome dell’autore di quest’opera tanto pregevole: sappiamo solo che fu progettata e scolpita da un fratello laico francescano. Alcuni vi vogliono vedere la mano e lo stile di fra’ Gagliano, che negli ultimi anni del settecento scolpì nel convento dei Cappuccini di Mazzarino un analogo dossale Ai lati dell’altare Maggiore si innalzano due grandi colonne rivestite di gesso, le quali sorreggono un timpano spezzato e ricurvo, simile a quello che si trova nella chiesa del monastero di San Benedetto. Questa è opera perfetta eseguita negli anni cinquanta da Arcangelo Scarpulla, un artista barrese scomparso di recente, di cui abbiamo avuto modo di parlare in precedenza. 103
Questo pseudo-tempietto incornicia una nicchia che contiene la statua in legno di San Francesco, scolpita da Nicola Mancuso nel 1806, opera che si discosta un po’ dai canoni tradizionali, per quel piegarsi del Santo verso il Crocefisso che reca in mano, gesto di riverenza e di amore, di devozione e di abbandono totale. Dopo aver descritto l’altare Maggiore, continuando la visita immaginaria della chiesa, passiamo alla parete di sinistra dove, come in quella di destra, sono costruiti due altari. Il primo entrando è quello dedicato a Sant’Antonio, un altare prezioso e barocco, sormontato da una statua del Santo dal volto emaciato ed ispirato, che contempla ed adora il Bambino Gesù che tiene in braccio. L’altro altare, dedicato al Crocefisso, è ricoperto di marmo intagliato. Lo sfondo, di legno scolpito, del grande Crocefisso in cartapesta e stucco, richiama un po’ quello della chiesa del Monastero di San Benedetto per lo stile riecheggiante il grande barocco meridionale. Ai lati del Crocifisso sono state collocate due statue in gesso di Maria e Giovanni, donate al Convento nel 1952. In alto, tra un altare e l’altro, sono appese delle tele, circondate da ampie ed arzigogolate cornici barocche in stucco. Di alcuni di questi dipinti purtroppo non abbiamo nessuna notizia, e possiamo fare delle ipotesi anche sulle scene che rappresentano, essendo alcune poco chiare. Il primo a destra, quindi, potrebbe raffigurare il martirio di un Santo; il secondo rappresenta San Pasquale con un Ostensorio, attribuito al Montalto; il primo a sinistra mostra una scena della vita di Sant’Antonio; il secondo, sempre a sinistra, raffigura l’Immacolata venerata da Santi, forse del Vaccaro. Come abbiamo detto prima, sconosciamo di alcuni di questi dipinti sia l’autore che la data di esecuzione: possiamo solo affermare che sono di epoca e di autore diversi, essendo differenti gli stili con cui sono eseguiti. Alle pareti, ancora più in alto, si aprono quattro finestre intervallate da altrettanto affreschi, quelli di destra completamente rovinati, gli altri ancora in buono stato rappresentano scene della vita di San Francesco. Ne completa il ciclo, infine, un ultimo affresco di più vaste proporzioni dei 104
precedenti, realizzato sopra i tre archi della cantoria, il quale raffigura il Martirio di Santi Francescani. Questi affreschi, dai tono caldi e dalla narrazione ampia e solenne, dovettero essere eseguiti probabilmente subito dopo la costruzione della chiesa, i cui ultimi restauri risalgono al 1950. Abbassando lo sguardo, notiamo in questa chiesa un particolare non ancora incontrato nelle altre chiese prima esaminate: la parte inferiore dell’altare Maggiore è adattata ad urna e contiene la statua del cadavere, un po’ lugubre per la verità ed impressionante, di un santo soldato. Chiesa di S. Benedetto: interno
Chiesa di S Francesco: Parete di destra (particolare)
Alcuni pensano che si tratti di S. Lucidiano, ma di questo Santo non abbiamo trovato traccia; altri che sia S. Gerlando, patrono di Agrigento, ma questo santo non è mai stato soldato, ma vescovo.
Dall’altare Maggiore ci spostiamo verso il portone d’ingresso e da questa posizione possiamo cogliere l’effetto dell’insieme senza che ci sfugga anche la visione dei particolari. La chiesa è ad una sola navata. Le pareti e la volta sono ornate da stucchi, che si confondono con gli affreschi: stucchi ed affreschi coprono quasi tutta la chiesa in un susseguirsi pacato di motivi architettonici e floreali.
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Sulla volta, al centro, domina un grande affresco, rappresentante San Francesco che riceve le stigmate, restaurato (o eseguito ex-novo) negli anni cinquanta dall’artista barrese Vincenzo Marotta. Il dipinto rivela che l’autore doveva conoscere bene l’arte pittorica, in quanto l’equilibrio della composizione è perfetto, e buona l’esecuzione. Completano l’ornato della volta due simboli, quello di Sant’Antonio e quello dell’Immacolata, mentre la vele della volta recano, sempre affrescati, degli ovali sorretti da due angeli contenenti gigli e rose. La volta del presbiterio infine reca l’emblema dell’Eucarestia. Anche se gli affreschi e gli ornati della chiesa sono evidentemente di epoche diverse e gran parte della chiesa appare rinnovata, i vari stili, l’antico e il moderno si fondono perfettamente insieme, in una sintesi quasi perfetta. Abbiamo notizia infatti di ripetuti restauri eseguiti in questa chiesa. Ricordiamo quello del 1923, quando fu trovata la famosa pietra, prima descritta. Altri restauri furono eseguiti dal 1946 al 1950, quando fu sopraelevato il soffitto, riparata la volta, rifatti alcuni altari e rinnovato il pavimento. Quando questi lavori, affidati ad un appaltatore di Leonforte, furono quasi completati, la chiesa fu riconsacrata dal Vescovo Monsignor Catarella.
Chiesa di S Francesco: Affresco dell’arco trionfale (particolare)
Ma la cosa più bella e preziosa della chiesa è la Via Crucis mirabilmente dipinta da Francesco e da Giuseppe Vaccaro, i famosi artisti dell’ottocento originari di Caltagirone, dei quali abbiamo avuto modo di parlare in precedenza. Questi quadretti, che furono eseguiti nel 1857, a spese e devozione del Reverendo Bonaventura di Barrafranca, ministro provinciale, rivelano 106
come i Vaccaro ed in particolare Francesco, più che seguire lo stile neoclassico, proprio del loro tempo, risentano della pittura e della moda secentesca. Dei lampadari in bronzo, appesi di recente, nel 1969, completano l’arredo della chiesa. Per quanto riguarda la visione prospettica esterna questa è l’unica chiesa, tra quelle di Barrafranca, a godere di una posizione invidiabile: il bel prospetto, che domina la piazza circostante, è visibile da tutta la via Umberto I, che gli si apre di fronte. La facciata è opera dell’artista barrese Santo Scarpulla, il quale nell’eseguirla trasse quasi sicuramente ispirazione da quella della chiesa dell’Itria, rinnovandola, modificandola e rendendola , insomma, originale e personale. Lo Scarpulla vi lavorò verso il 1923, aiutato da Giuseppe Cavagrotte, un intagliatore pure di Barrafranca, morto di recente. Crediamo che il progetto, oltre ad ispirarsi, come abbiamo detto a quello dell’Itria, abbia seguito lo stile e i modi del portale semplice e maestoso, di età più antica, scolpito nel 1713 dallo scalpellino Filippo La Pergola. Il prospetto infatti che possiamo ammirare, richiama gli stessi motivi del portale centrale, e ne sembra quasi una continuazione naturale. Lo stesso si può dire della parte alta, eseguita nel 1927, dove una finestra bifora, oltre a continuare la zona d’ombra del portone e della grande finestra centrale, serve anche da campanile. Dato alle stampe nel mese di Settembre 1984.
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AGGIORNAMENTI CHIESA E CONVENTO DI S. FRANCESCO In questi nostri aggiornamenti, particolare attenzione vogliamo riservare al problema riguardante la Tavola di Santa Maria degli Angeli, un’opera pregiottesca di inestimabile valore, della quale studiosi ed esperti di Storia dell’Arte hanno scritto nel corso dei secoli. Il documento più attendibile che attesta l’esistenza a Barrafranca della Tavola pregiottesca di S. Maria degli Angeli, è quello dello storico maltese Padre Maestro Filippo Cagliola (1603-1653) che nella sua opera “Almae Siciliensis Provinciae Ordinis Minorum…Venezia 1644”scrive: Locus Barrafrancae datus Fratribus, ut Thossinianus, et concordat M. S. Bidenense, cum scripturis inibi asservatis, anno 1524. Ecclesia D. Francisco sacra, mediocris. Est in hoc templo Tabula S. Mariae Angelorum antiquissima, miraculis S. Patris Francisci affigiatis circumdata, in quibus cum Conventualium Capuccio, Divus inspicitur, signaturque picturae annus 1244. Fama est apud incolas, Iconem hanc ab immemorabili tempore in Matrice Ecclesia Oppidi Chiesa di S Francesco: Dossale lignea (particolare) perstitisse, indeque adventantibus Fratribus pro ara principe, ab Archipresbytero prestitam (praestitam). Locus ad lapidis iactum extra Oppidum, pauper, et angustus. 109
Desideriamo precisare che la chiesa “mediocre” di cui parla il Cagliola è quella del “povero ed angusto” Convento del Musciolino, fondato da Matteo Barresi nella prima metà del 1500 “ad un tiro di pietra” dall’abitato, e dato ai frati nel 1524. Questo fatto è attestato non solo “da Tossignano e da M. S. Bidenense”, ma anche dai documenti del Convento, consultati dallo stesso Cagliola. Il Cagliola tiene a precisare anche che apprende dell’appartenenza di questa icona “da tempo immemorabile” alla Chiesa Madre ( si tratta della Matrice Vecchia, che sorgeva nell’attuale Piazza Fratelli Messina) dalla tradizione orale degli abitanti e non da documenti. ( L’esistenza nella Vecchia Chiesa madre della tavola di Santa Maria degli Angeli è testimoniata dalle pubblicazioni del Dott. Ligotti, il quale riferisce che, “in un nuovo soffio di progresso”, arrivarono nel nostro paese due umanisti di indiscusso valore Niccolò Valla e Cristoforo Scobar. Questi, “chiamati dalla liberalità di Giovanni e del figlio Matteo Barresi per l’educazione del figli e dei loro vassalli”, furono nominati “cappellani e beneficiali della Chiesa Madre”. “Molte furono le lettere che Cristoforo Scobar scrisse in questo periodo (1509-1515) al suo protettore Matteo Barresi da Convicino e precisamente “ex aedicula Sanctae Mariae Angelorum” un altare collocato nella vecchia Chiesa Madre”). Filippo Cagliola fa una descrizione accurata della tavola, nella quale Santa Maria degli Angeli è circondata da piccole scene con i miracoli di S. Francesco, rappresentato con il cappuccio del conventuali, e per di più riferisce che è datata 1244. (Dipinta 18 anni dopo la morte di S. Francesco). Angelo Scarpulla scrive che l’imperatore Federico II (1194-1250) regalò munificamente al nostro paese vari monumenti civili e religiosi (tra cui la vecchia Chiesa Madre); e Bobò Centonze ipotizza che la pala di Santa Maria degli Angeli potrebbe testimoniare l’omaggio da parte di Federico II al Poverello (1182-1226) di Assisi, città in cui l’imperatore ricevette il battesimo. Sempre secondo il Centonze, Federico II avrebbe protetto la 110
frangia più povera dell’Ordine francescano, detta degli Spirituali, dal vertice religioso papale; e si sarebbe onorato di essere stato per tutta la vita un membro del Terz’Ordine francescano Ai tempi del Cagliola, dunque il dipinto si trovava sull’altare Maggiore della chiesetta del Convento del Musciolino. Questo convento subì varie vicissitudini perché, in seguito alla “soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia del 1652”, fu abbandonato dai conventuali di S. Francesco. Questi vi ritornarono nel 1673, per lasciarlo definitivamente il 4 luglio del 1689. Il convento, rimasto vuoto, fu reclamato per sé dai frati Minori Riformati, che lo abitarono dal 1690 fino alla fine del secolo, quando dovettero Chiesa di S Francesco: Parete di fondo con abbandonarlo per tempietto e nicchia centrale l’aria malsana. Non sappiamo se durante questi avvenimenti la tavola di S. Maria degli Angeli sia rimasta sull’altare Maggiore della chiesetta del Convento del Musciolino, o se sia stata trasportata altrove. I frati avevano bisogno di una nuova dimora. Padre Francesco da Barrafranca (morto il 14 gennaio 1703), dopo aver ottenuto dal Principe di 111
Butera un pezzo di terra vicino all’antica chiesa di S. Marco, eresse, con il concorso dei frati e del popolo, un nuovo e ben più vasto convento dotato di un grandioso chiostro ed una bella chiesa con un “corto campanile ( in una cartolina d’epoca degli anni 20 ne è ancora visibile un avanzo, detto “u palummaru”). Il Principe donò la terra ben volentieri ai frati, “anche per rendere più frequentato quel luogo dove il predone assaliva e depredava il passeggero che attraversava la portella di S. Marco, luogo angusto allora e incassato tra due alte rocce.” Angelo Scarpulla avanza l’ipotesi che la scelta del luogo non sarebbe stata causale, ma che i frati l’avrebbero preferito, nonostante fosse lontano dall’abitato ed addossato alla vecchia chiesa di S. Marco, perché la cima del colle barrese sarebbe stato un luogo sacro, sede circa 2500 anni fa dell’ “acropoli”, con antichi templi pagani. In seguito, nella stessa “selva sacra i cristiani, al posto dei templi, avrebbero eretto le proprie chiese, dedicandole a Santi, quali Marco, Sebastiano ecc. e mantenendole a distanza reverenziale dall’abitato”. Con la costruzione dal 1694 al 1697 del convento sull’acropoli nella zona “Silvia”, lontano dall’abitato, i frati inconsapevolmente avrebbero iniziato il processo “di urbanizzazione” della zona sacra, che poté essere invasa, profanata e conquistata dai barresi negli anni successivi, fino ai nostri giorni.(A. Scarpulla). Il parroco Giunta ci riferisce che la data esatta della fondazione del nuovo convento e della chiesa di S. Francesco si è appresa, in seguito al ritrovamento di una pietra cubica con tracce di lettere rozzamente incise, durante il rifacimento dello spigolo della stessa chiesa nel 1923. Riportiamo la sua ricostruzione ed interpretazione dell’iscrizione: “Instante D.no D. Carolo Maria Carafa, Buterae ac S. L. R. Principe ac hujus civitatis Marchione – Super hunc lapidem aedificatur Domus Dei et Oratorium S. Francisci. Anno 16 + 94 – 1 – 7 bris… illa C. S. Regentiae – D. Didacus Vitali – N. D. Thomas Maenza S. C. C. et Sindacus A. P. C. – V. I. D. Philippus Chimera – N. D. Didacus Fiore – Michael Angelus e Calatajerone Architectus – Michael a Ferula”. “Da questo si rileva il nome dell’allora principe di Butera e marchese di Barrafranca, l’epoca della fondazione della chiesa, cioè il 1 Settembre 112
1694, l’architetto che la ideò e il nome delle persone illustri che assistettero alla posa della prima pietra”. Abbiamo notizia che nel 1701 il pianterreno del convento era già abitato dai frati, mentre la costruzione del primo piano avvenne nel 1707, data “rilevata con ciottoli”su un muro dell’atrio ed ancora visibile. E il quadro di S. Maria degli Angeli? Nel 1757 se ne ha notizia nel “Lexicon Topographicum Siculum “ di Vito M. Amico, che riporta suppergiù quanto scritto dal Cagliola. Allo stesso storico si riferisce Fra Dionigi Di Pietraperzia, il quale però nel 1776 scrive una versione un po’ differente: “…nell’antica Chiesa Madre di questo Paese siavvi stato un Altare dedicato al Padre S. Francesco (e non a S. Maria degli Angeli), di cui vedevasi l’antica Pittura, effigiata l’anno 1224 (e non 1244) poco dopo la morte del Santo e poscia venutivi i Padri Chiesa di S Francesco: Volta del presbiterio data loro (particolare) dall’Arciprete…” Fra Dionigi mette in risalto la figura di S. Francesco, non nomina S. Maria degli Angeli, ma un’antica “Pittura”, eseguita in un anno diverso di quello indicato dal Cagliola.. Nel 1848 la Chiesa del Convento dei minori riformati, sopperì alle spese del Governo Rivoluzionario, donando un calice d’argento con relativa patena indorata.
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I frati Minori Riformati rimasero nel Convento fino al 21 ottobre 1866, anno in cui venne approvata la legge che disponeva la soppressione dei conventi in Sicilia e il passaggio al demanio pubblico dei beni ecclesiastici. I locali del Convento di S. Francesco furono adattati a Palazzo Municipale del Comune di Barrafranca e a caserma dei Carabinieri, mentre la chiesa venne “trasformata in magazzino per il grano”(C. Orofino). La biblioteca dei frati fondata nel 1622 (comprendente 1060 opere, in 2500 volumi, e oltre 260 opuscoli), passò al Comune, che nel 1869 l’aprì al pubblico. In seguito il refettorio del Convento fu trasformato in Teatrino Comunale, peraltro ai tempi del Nicotra “tenuto male”. Avendo dovuto lasciare il Convento, i frati si sbandarono e cercarono asilo presso amici o parenti; ad alcuni fu concesso di lasciare l’abito di S. Francesco ed indossare quello dei sacerdoti secolari…I superstiti riuscirono finalmente a comprare un pezzo di terreno sulla rupe di S. Marco, vicino all’antico convento. “L’area si comprò per la somma di L. 1000 dalla Signora D. Concetta Giuliano-Russo, come da atto del notar Ciulla del 20 Dicembre 1884”, e nel Gennaio del 1885 si iniziò la costruzione del nuovo convento (‘u Cummintinu), mediante l’opera attiva dei padri Gaetano Giuliana e Angelo Triolo, e del laico F. Francesco Aleo, che vi lavorò con attività come “capo maestro”. Il 2 Febbraio 1887 i frati Minori Riformati poterono abitare nel nuovo convento “piccolo ma decente, con cellette ben arieggiate ed anche adatto alle esigenze dei tempi”. La famiglia religiosa era composta da “P. Angelo Triolo, Guardiano, P. Gaetano Giuliana, P. Bonaventura Giglio, Ch.co Fra Bennardino Sceba di Mazzarino, F. Pasquale e F. Francesco da Barrafranca, laici professi e F. Mariano da Valguarnera. Fu concesso loro l’uso della chiesa, che rimase con tutto il vecchio convento proprietà dello Stato ( dal 1985 la chiesa di San Francesco fa parte del patrimonio del F.E.C. Fondo Edifici di Culto-Ministero dell’Interno). In una cartolina d’epoca del 1908 risulta ben visibile la primitiva facciata di questa chiesa, “con copertura a capanna” (C. Orofino). In un’altra cartolina del 1921 la facciata “è ancora in pietra a vista e lascia intuire sul lato destro la lapide posta nel 1900 per commemorare l’assassinio di Umberto I°”(C. Orofino). In questo periodo e precisamente nel 1922, venne a mancare il frate francescano Padre Giuseppe 114
Bevilacqua, una delle figure più nobili che abbia avuto Barrafranca, e certamente il religioso più autorevole e prestigioso, stimato in Italia ed all’Estero. I frati abitavano ancora il nuovo convento, quando nel 1907 il Nicotra, parlando della “chiesa convento”, fa cenno al quadro pregiottesco di inestimabile valore di S. Maria degli Angeli, del quale dice “di essere stato fin dal 1224 nella chiesa madre e poscia, alla venuta dei frati loro apprestato dall’arciprete per l’altare maggiore”. Il Nicotra riporta la stessa data errata di Fra Dionigi; pensiamo dunque che abbia appreso la notizia da questo autore, forse senza verificare la fonte originaria, cioè quella del Cagliola. Dal Nicotra apprendiamo che anche nel convento e nella chiesa operava anche Chiesa di S Francesco: Parete di sinistra una congregazione laica di (particolare) “Terziari di S. Framcesco”, gruppo tuttora esistente. La chiesa con il passar del tempo minacciava di crollare e verso il 1923 fu riparata per l’interessamento dei frati, in particolare del Padre Salvatore Cavagrotte di Pietraperzia e del Padre Cav. Bonaventura Asarese di Barrafranca, i quali si impegnarono nella ricostruzione della monumentale prospettiva. Questa facciata, come abbiamo detto fu 115
eseguita dal barrese Santo Scarpulla, il quale ripristinò anche alcuni altari della chiesa. Ritornando a parlare del famoso quadro di S, Maria degli Angeli, riportiamo che il parroco Giunta nel 1928 scrive di aver visto di persona il dipinto, appeso nel coro della chiesa a sinistra in alto. Riferisce che rappresentava S. Maria degli Angeli con accanto la figura di S. Francesco (figura che non c’è nella descrizione del Cagliola) e non aveva dipinti intorno i miracoli del Santo. Descrivendone anche “la freschezza, la vivacità il tono sgargiante dei colori e le linee del disegno di una certa correttezza”, non credeva che fosse un quadro del 1244 ed avanzava timidamente l’ipotesi che fosse stato ritoccato con colori ad olio, i quali avevano coperto anche le scene dei miracoli di S. Francesco. Di questa opinione era anche Padre De Pasquale, autore di un manoscritto conservato dai frati nel convento. I frati Minori Riformati abitarono il “Conventino” fino al 1929; anni dopo, in seguito ai Patti Lateranensi (A. Scarpulla), ritornarono in una parte del loro antico convento. Il 9 giugno 1933 infatti, con delibera del Podestà dott. Giuseppe Mattina, il Comune cede ai frati Minori una porzione del convento già adibita a scuola elementare, precisamente la parte compresa tra il chiostro e la chiesa. Il caseggiato del “Conventino” fu utilizzato dal Comune, in seguito ai bombardamenti del 1943, come ospedale da campo per i feriti civili, e poi come edificio scolastico maschile. Fu abbattuto nel 1971. Negli anni 40 , come riportato prima, furono eseguiti molti lavori per consolidare, ristrutturare ed abbellire la chiesa, e in particolare gli interventi dal 1946 al 1950 furono iniziati da Padre Tarcisio e completati da Padre Ludovico. Allora c’erano nel Convento anche il Padre guardiano Salvatore Bevilacqua, Padre Agnello e Padre Bonaventura Asarese. Nel 1967 i frati francescani del convento si erano ridotti a tre: il Padre guardiano Vincenzo Palermo, Padre Agnello Tinnirello e un Fratello laico.
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Come abbiamo scritto in precedenza, durante la preparazione della prima stesura di questa guida, non ci fu consentito dal Padre Guardiano di allora, l’unico frate rimasto nel convento, di vedere il quadro di S. Maria degli Angeli, anche per verificare direttamente se si trattasse di una copia, di epoca più recente (tesi sostenuta dal Dott. Ligotti.) E senza le dovute verifiche, abbiamo riportato come possibile l’opinione di questo insigne studioso, sostenendo che la tavola originale di S. Maria degli Angeli sarebbe stata trasportata nel 1500 dai Moncada a Caltanissetta, dove attualmente si troverebbe nel Collegio di Maria.
Chiesa di S Francesco: Altare del Crocefisso
Nel 1984 fu data alle stampe la prima edizione di questa guida. Un anno dopo il Padre Guardiano, come abbiamo detto, rimasto solo, lasciò il Convento. La chiesa continuò ad essere utilizzata dal clero della vicina chiesa Madre, ma verso la fine del 1999 fu chiusa al culto, perché pericolante.
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Per fugare ogni dubbio su quanto sostenuto dal Dott. Ligotti, negli anni novanta ci recammo a Caltanissetta per esaminare di persona il dipinto di S. Maria degli Angeli presso la chiesa del Collegio di Maria. Verificammo che si trattava di un quadro ad olio su tela, rappresentante S. Maria degli Angeli, ma notammo che mancavano le scene dei miracoli di S. Francesco; in basso al centro si leggeva una data (M C…..IIII), coperta in parte da tre stemmi. Secondo noi, anche questa sarebbe una delle copie del famosissimo quadro, che quasi sicuramente, dopo la descrizione del Cagliola, acquistò fama e risonanza in tutta la Sicilia. (Fino a questo momento si conoscerebbero la replica del dipinto del convento di S. Francesco di Barrafranca e quella del Collegio di Maria di Caltanissetta, copie scaturite dalla libera interpretazione degli artisti e dalle esigenze dei committenti). Attualmente presso la chiesa del convento di S. Francesco, ancora chiusa al pubblico, non c’è traccia dell’opera descritta dal Giunta e quindi anche quella, da noi ritenuta una copia, è andata perduta. Nessuno degli studiosi di storia locale, né i vecchi parroci ancora in vita ne sanno notizia, anzi alcuni ne ignorano l’esistenza, come la maggior parte dei barresi. La pregevole pala pregiottesca e la copia della Chiesa di S. Francesco, che fine hanno fatto? Si sono perdute, come tante opere d’arte che sono sparite dal nostro paese nell’indifferenza generale. (Il culto di S.Maria degli Angeli è legato alla vita di S.Francesco La Porziuncola infatti, dedicata a S. Maria degli Angeli, fu la terza chiesa riparata da San Francesco dopo la sua vocazione: mentre egli pregava di fronte al crocifisso di San Damiano sentì una voce che diceva: "Va' e ripara la mia chiesa") Intanto nel 2002 sulla piazza antistante alla chiesa è stata costruita una fontana, che tuttora nasconde in parte la bella visione prospettica della facciata dalla via Umberto I .
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Nonostante la chiesa fosse chiusa ed inutilizzata, alcuni cittadini nel 2004, affinché non si aggravasse il suo deterioramento per le infiltrazioni d’acqua, organizzarono la raccolta: “Una tegola per S. Francesco”, per riparare il tetto e rifarne la copertura con nuove tegole. Dopo questo intervento, si sono dovuti aspettare sei anni perché i lavori riprendessero! Finalmente nel Gennaio del 2010 hanno avuto inizio i lavori di “somma urgenza” della messa in sicurezza della Chiesa . Progettista, direttore e responsabile unico dell’intervento è l’arch. Liborio Calascibetta, mentre Concetto Ivan Bruno è il direttore tecnico del cantiere, finanziato con fondi dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e P.I.
Chiesa di S Francesco: Volta centrale (particolare)
Fino a questo momento è stato sopraelevato e rifatto il tetto, per evitare che le capriate continuassero a pressare sulla volta della chiesa e causassero nuove crepe; nello stesso tempo è stata riparata parte della volta interna danneggiata.
Secondo il nostro modesto parere, l’intervento esterno disturba la parte alta del prospetto con la bifora fiancheggiata da ali a voluta, il cui slancio risulta bloccato dall’innalzamento del muro di dietro.
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Alla fine del 2010 i lavori sono stati sospesi per mancanza di fondi e la chiesa è rimasta ancora chiusa. Continuiamo il nostro lavoro presentando, dopo una recente visita della chiesa, le nuove informazioni riguardanti il suo interno. Entrando, nel vestibolo a sinistra, accanto al portone principale, notiamo una lapide tombale ornata da fregi a bassorilievo con la scritta incisa:
SU QUESTA TOMBA DOLOROSA TANTO DOVE SEPOLTO EGIDIO CIULLA GIACE SI SPARGAN FIORI SI CONSACRI PIANTO ED ALL’ANIMA IN CIEL S’IMPLORI PACE FU GIOVINCEL DI BEI COSTUMI ADORNO CUI SI FE NOTTE ALL’APPARIR DEL GIORNO Nato agli XI Marz 1831 Morto ai XXI lugli 1847 Sulla parete di fronte a destra è collocato un recente bassorilievo rotondo rappresentante Gesù coronato di spine. La parete destra della chiesa comprende quattro archi ciechi. Il primo racchiude l’altare dell’Annunciazione con, sotto la mensa, un piccolo bassorilievo rappresentante un Angelo. In alto sulla sommità dell’arco due putti di stucco sorreggono un cartiglio contenente la scritta: VERBUM CARO FACTUM EST Ioan 1-4. Segue un arco più piccolo con un ingresso laterale, con a destra un piccolo fonte in marmo per l’acqua benedetta L’arco è sormontato da un dipinto raffigurante un Santo Martire trafitto al fianco con una spada da un soldato. Il grande arco cieco successivo racchiude l’altare dell’Immacolata. 120
La nicchia negli anni trenta conteneva la statua in legno scolpito della Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, la cui festa , come ci riferisce il Nicotra, si celebrava in questa chiesa ogni prima domenica di Agosto. Questa statua sarebbe probabilmente la stessa che si trovava nella nicchia dell’Altare Maggiore della chiesa dell’Itria sino al 1879, e che è citata nell’inventario del 1745: “Altare Maggiore (Chiesa Itria) con la “statua di Nostra Signora con suo Bambino, fabbricata di legname”. Non abbiamo notizia quando la statua della Nostra Signora sia stata sostituita con l’attuale dell’Immacolata. Il parroco Giunta scrive di un’Immacolata del Vaccaro “(statua e pittura) presso i Frati M.M. di S. Francesco”: si riferiva forse a questa statua? Il dipinto dell’Immacolata del Vaccaro, conservato per molto tempo nel corridoio del Convento, attualmente si trova nella Sacrestia della Chiesa Madre Gli stucchi che circondano la nicchia quasi sicuramente sono opera di Santo Scarpulla, perché ne richiamano lo stile. Sopra l’arco notiamo una composizione di stucco con due putti che portano un cartiglio con la scritta: MACULA NON EST IN TE In Cant. N.7 (Il dogma dell’Immacolata Concezione fu proclamato da Pio IX l’otto Dicembre 1854).
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Chiesa di S Francesco: Volta centrale (particolare)
Completa la parte bassa della parete destra un arco più piccolo con sopra la teta di S. Pasquale Baylon eseguito dal Montalto, come riferisce il parroco Giunta, che parla però di un “bozzetto”.(Di questo artista non
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abbiamo notizie; conosciamo il pittore Giovanni Stefano Danedi detto Montalto (Treviglio 1612- Milano 1690), il quale operò nell’Italia settentrionale.) (S. Pasquale Baylon ( 1540-1542) fu un religioso spagnolo dell’Ordine dei Frati Minori Alcantarini, devoto all’Eucarestia). In alto sopra il cornicione si aprono due finestre in corrispondenza degli altari, intervallate da due affreschi, che completano le decorazioni sopra i due dipinti descritti in precedenza. In questi affreschi completamente rovinati, solo nel primo si riesce a distinguere la sagoma alcuni frati, di cui uno sembra S. Francesco. Passando alla parete sinistra della chiesa, il primo altare, quello di S. Antonio, presenta sotto la mensa un bassorilievo recente del Santo e reca scritto intorno alla parte alta della nicchia: SI QUAERIS…MIRACULA. In alto sopra l’arco cieco due putti di stucco recano la scritta: SAPIENTIAM EIUS ENARRABUNT GENTES Eccl. 39. (S. Antonio (Lisbona 1195-Padova, 13 giugno 1231) monaco agostiniano fino al 1210 e poi frate francescano, fu grande predicatore e Dottore della Chiesa). A sinistra dell’altare di S. Antonio, in basso, notiamo una lapide di marmo con inciso: ANGELO LIGOTTA PADRE DI SUA FAMIGLIA VIGILANZA E DILETTO CITTADINO DELLA PATRIA BENEMERITO SEMPRE NELLA PUBBLICA INOPIA LARGO BENEFICENTE ALLE ABBANDONATE ORFANELLE CELESTE CONFORTO ADDI’XVI LUGLIO MDCCCXLVII COL RAGGIO DEL GIUSTO IN FRONTE SI DIPARTIVA DA NOI 123
E LIBORIO ADDOLORATO FIGLIO QUI NE POSAVA PIANGENDO LE AMATE OSSA. Sul lato destro dello stesso altare cinque anni dopo fu posta la seguente lapide: AL DOTT DON LIBORIO LIGOTTI TRIGONA CUI DIE CULLA L’UMILE CONVICINO AL CITTADINO SOLERTE CHE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE FERVENTE DI PATRIA CARITA’ NORMA DI VIRTU’ MOSTROSSI ALL’UOM CHE MORENDO BUON OLEZZO DI CRISTO TRAMANDA IN MEMORIA DI SE AL TENERO PADRE AL FEDELISSIMO SPOSO CHE DALL’AFFETTUOSA FAMIGLIA DIPARTENDO IL SECONDO GIORNO DI LUGLIO MDCCCLII SIA FATTO DISSE IL VOLER DI DIO A Chiesa di S Francesco: Arco trionfale LUI CH’ ETERNAMANTE VIVE QUESTA MEMORIA LA DOLENTE SPOSA CONSAGRA.
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Segue un arco cieco più piccolo con un antico confessionale. Sopra è appeso un dipinto rappresentante forse una scena della vita di S. Antonio o di S. Francesco… L’altare del Crocefisso si presenta antico e prezioso con marmi di vari colori lavorati ed intarsiati. La porticina del tabernacolo contiene il bassorilievo del Buon Pastore con in alto la scritta ECCE AGNUS DEI. (La pericope del buon Pastore si trova nel Vangelo secondo Giovanni: 10,1-21. In essa Gesù stesso si descrive come il pastore che dona la vita per le sue pecore.
Chiesa di S Francesco: Interno con cantoria
Questo brano, tipico del Vangelo di Giovanni, ha dei richiami negli altri vangeli, soprattutto nella Parabola della pecora
smarrita (Mt 18,12-14 e Lc 15,1-7) ).
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Sulla sommità del grande arco cieco due putti di stucco recano il simbolo della croce: INRI. La parete sinistra termina con un arco più piccolo sormontato dal dipinto dell’Immacolata con Santi, forse “L’Immacolata coronata di stelle” citata dal parroco Giunta come opera minore del Vaccaro, presso i FF.MM. I due affreschi sopra il cornicione sinistro sono più visibili e leggibili. Nel primo si distingue S. Francesco con due Angioletti nella sua cella, il quale prega la Vergine, raffigurata in un quadro; sul tavolo si possono notare un teschio ed una corona del Rosario. Il secondo affresco rappresenta alcuni frati con S. Francesco che battezza degli uomini convertiti.. Passando nel presbiterio, le due pareti laterali continuano il motivo dei grandi archi ciechi. Quello destro contiene un grande dipinto molto rovinato, recuperato dal coro della chiesa, rappresentante la Madonna, S. Anna e Santi, alcuni francescani; mentre l’arco di sinistra è vuoto. Le sommità di questi due archi sono ornate da composizioni in stucco con due putti che sorreggono cartigli con le scritte: MISCUIT VINUM ET (PRO)POSUIT MENSAM (a destra), SAPIENTIA AEDIFICAVIT SIBI DOMUM (a sinistra), tratte dai Proverbi – 9. La parete frontale con il prezioso ciborio ligneo, prima della costruzione negli anni cinquanta del tempietto di Arcangelo Scarpulla, presentava tre nicchie. Quelle laterali (ora eliminate) contenevano le statue lignee di due Santi Francescani, S. Salvatore e S. Pasquale, mentre la nicchia centrale, l’unica rimasta, racchiude la statua di S. Francesco. 126
Questa statua di legno scolpito mostra ai piedi del Santo, fiancheggiato da un Angioletto, un libro aperto con scritto sulla pagina sinistra: REGULA ET VITA FF. MIN. F. FRANC. PREMITTIT; e sulla pagina destra: OBEDIENTIAM, ET REVERENTIAM DNO PP: ET R. ECCL.ROM. Cap. I NICOLAUS MANCUSI SCULPSIT ANNO 1806. Prima, la nicchia centrale era coperta da un quadro di S. Francesco, fatto dipingere nel 1807 a spese di Angelo Ligotti. Attualmente questo dipinto si trova presso la Chiesa Madre. (S. Francesco (Assisi 1182- 3 ottobre 1226) è stato proclamato, assieme a S. Caterina da Siena, Patrono principale d’Italia il 18 giugno 1939 da Papa Pio XII, che lo definì “il più italiano dei Santi e il più Santo degli italiani”). In alto a completamento del tempietto due putti di stucco adorano un Ostensorio con l’Ostia Consacrata, sopra la scritta: ADOREMUS CHRISTUM REGEM. Precisiamo che il grande affresco della volta centrale rappresentante “S. Francesco che riceve le stigmate” reca scritto in basso a destra: MAROTTA VINCENZO FECE 18-8-1949; e che l’arco trionfale, che introduce al presbiterio, è sormontato da una composizione di stucco con due putti che recano un cartiglio contenente il simbolo dei francescani, rappresentante le braccia di S. Francesco e di Cristo incrociate con la Croce al centro. Per completare la descrizione interna della chiesa, presentiamo la parete di fondo, dalla parte dell’ ingresso, divisa in tre parti. In basso un grande arco ellittico divide la chiesa dal vestibolo; al centro campeggiano i tre archi a tutto sesto della cantoria; in alto il grande affresco rettangolare, circondato da una cornice barocca di stucco, conclude l’armonica composizione. 127
Prima di concludere citiamo i dipinti che il parroco Giunta scrive appartenenti a questa chiesa, ma di cui oggi non si ha più notizia: “S. Margherita, S. Giuseppe, l’Epifania, Gesù nell’orto, S. Giuseppe e il Bambino, la Madonna che abbraccia l’infante celeste, tutti dei Vaccaro; La Vergine col bambino lattante, pittura in rame dell’Albani; Mater Infirmorum, del Narbone”. All’esterno il prospetto non presenta alcun cambiamento; la scritta incisa sulla pietra: VADE FRANCISCE REPARA DOMUM MEAM QUAE LABITUR, sembra essere di monito a tutti noi per le condizioni attuali della chiesa.
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CAPITOLO SESTO CHIESA MADRE Quante volte passiamo davanti alla chiesa Madre, tante volte la guardiamo distrattamente, osservando tutt’al più di sfuggita le pietre della parte bassa del prospetto, ma nello stesso tempo rassicurati che sia sempre lì, vigile e materna. Non abbiamo mai il tempo di osservarla ed anche se prima ci fermavamo nella piazzuola davanti, mancava lo spazio necessario per abbracciare tutta la facciata con lo sguardo; per fare ciò era necessario alzare appositamente la testa e con gli occhi arrivare fin alla punta estrema del timpano, sormontato prima da una croce di ferro e di lì girare lo sguardo a destra, ancora più in alto, per scorgere l’altra croce del campanile, con la sua girante banderuola. Attualmente, dopo l’abbattimento della chiesa di S. Giuseppe, iniziato nel 1978 e completato un anno dopo, la piazza si è allargata molto, permettendo una visuale completa della chiesa. Chiesa Madre: Facciata con campanile Il prospetto nella sua semplicità e linearità, è il più maestoso tra tutti quelli delle altre chiese di Barrafranca e ricalca nella sua struttura esterna, l’architettura interna della chiesa. E’ opera imponente, realizzata verso i primi dell’Ottocento e precisamente nel 1830 su progetto dell’architetto Giuseppe Ciulla, originario di Barrafranca. I lavori, che durarono dieci anni, furono eseguiti dal capomastro Giovanni Scarpulla; il portale dall’intagliatore Montes. 129
Lo spazio in verticale è diviso da lesene di pietra in tre parti, quali le ali, la parte centrale e il portone ( eseguito a spese di Liborio Costa nel 1839), mentre nello stesso tempo, in orizzontale, è accentuato lo schema bipartito, formato da terrapieno e primo piano. Questa facciata infatti, nonostante la data ottocentesca, ripropone il modello del tipico prospetto barocco meridionale, con spazi nettamente ripartiti su due piani, con l’aggettare dei pilastri e dei cornicioni, in particolare di quello a timpano ricurvo e spezzato del portone centrale, e infine con quel motivo delle ali laterali a voluta, che tanta fortuna ha avuto nelle chiese seicentesche. Anche il prospetto del campanile quasi sicuramente fu eseguito nello stesso tempo della facciata, cioè nei primi dell’Ottocento; ma se ricordiamo il campanile e la parte sud della chiesa, come erano prima delle costruzioni, che ne hanno deturpato la parte esterna, possiamo avere degli elementi per sostenere, con un certa fondatezza, una nostra tesi sulla sua fondazione. Siamo intorno al 1720, durante gli ultimi anni della vita di Nicolò Placido III Branciforti, che riunì sotto la sua persona i domini degli avi: Principato di Butera e Pietraperzia, Contea di Mazzarino, Grassuliato e Gibilsen, Marchesato di Barrafranca e Militello, Signoria di Chiesa Madre: Particolare Niscemi e Grammichele, Bivieri di Lentini, della facciata Randazzini e Casale, oltre ad essere Magnate di Spagna; la popolazione del marchesato di Barrafranca si è accresciuta molto e l’antica chiesa Madre di Piazza Fratelli Messina è quasi diroccata. 130
Serve assolutamente una nuova chiesa Madre, ampia, per accogliere la popolazione, ed alcuni giustamente pensano di costruirla sulle muraglie, ancora solide, della preesistente. Altri invece hanno l’idea di costruirne una nuova, secondo quando riporta il parroco Giunta, “nell’area della preesistente Chiesa di San Sebastiano, che in quell’occasione venne demolita”. Sicuramente si parla qui della chiesa di San Sebastiano il Nuovo, già esistente prima del 1622. Prevalse l’opinione di questi ultimi, forse perché il paese si era esteso verso quella direzione e la nuova posizione risultava più centrale. La chiesa fu iniziata nel 1728 ad opera degli intagliatori Ignazio Vannelli, Ignazio Mazio, Antonio La Rosa e Antonino Arena tutti di Piazza Armerina. I lavori si protrassero fino a quasi il 1775.
Chiesa Madre: Particolare del campanile e della facciata
Noi però, in disaccordo con il Giunta, crediamo che la vecchia Chiesa di San Sebastiano il Nuovo non sia stata del tutto demolita, ma che sia stata incorporata nella nuova costruzione più vasta. Fino a poco tempo fa, infatti, nel lato rivolto a sud dell’attuale chiesa Madre, si potevano notare chiaramente le vecchie mura della chiesa di San Sebastiano e si poteva intuire che questa doveva essere ad una sola navata e sormontata da merli simili a quelli bizantini,
cioè terminanti ad arco. Anche il campanile, cominciato nel 1744 a spese dei cappellani, diciotto anni dopo l’inizio dei lavori della chiesa, ed ultimato nel 1775, con la parte inferiore diversa da quella superiore, può dare adito alla stessa supposizione, cioè che sia stato costruito, come continuazione di quello vecchio della chiesa di San Sebastiano A sostenere questa tesi, sempre 131
sulla parte bassa del campanile, nel lato che guarda a mezzogiorno, fino ad una cinquantina di anni fa, si potevano notare dei mattoni smaltati raffiguranti il martirio di San Sebastiano. Questo campanile, dalla grandiosità solenne, merita da parte nostra un’ attenzione tutta particolare, in quanto rappresenta il simbolo di Barrafranca, e perché il nostro paese è caratterizzato in modo indimenticabile dalla sua mole imponente. Il campanile è diviso in tre parti, nell’ultima delle quali trova posto la cella campanaria formata da quattro archi con campane, sormontati da altrettanti grandi orologi. Sovrasta il tutto una cupola orientaleggiante coperta da mosaici di cocci smaltati. Dopo aver osservato la parte esterna della chiesa, un po’ deturpata per la verità, come abbiamo accennato prima, dalle recenti costruzioni che ne hanno nascosto l’architettura originaria, avviamoci verso l’interno. Appena entrati, abbiamo subito l’impressione di trovarci davanti ad un tipico esempio di chiesa Chiesa Madre: Particolare del meridionale, dove i diversi stili, in campanile visto dal tetto questo caso con la prevalenza di quello classico, concorrono e contribuiscono a rendere l’insieme armonico e senza pesantezze. La pianta è a croce latina e divisa in tre navate, con cupola sulla crociera, e, come abbiamo detto prima, dominano gli elementi classici, cioè colonne, trabeazioni, archi a sesto pieno, cupole emisferiche. I colonnati classici continuano con pilastri addossati anche lungo i lati delle navate minori e assumono slancio per mezzo delle arcate a tutto sesto. Le fasce sporgenti sui capitelli delle colonne, le cordonature orizzontali, i cornicioni, si raccolgono in linee di fuga, improvvisamente fermate dalla crociera con cupola su pennacchi. Ne deriva un moto solenne, misurato, che pur 132
rimanendo fedele al senso dei volumi tradotti in linee e contorni, accenna a un superamento di quell’incanto statico, che caratterizza le altre chiese di Barrafranca. Ci scusiamo con i nostri lettori, se ci siamo dilungati sull’architettura esterna ed interna di questa chiesa, ma abbiamo creduto opportuno farlo perché, a nostro modesto parere, questa ci sembra una delle chiese più riuscite, per quanto concerne la struttura architettonica, tra tutte quelle esistenti a Barrafranca. Non per niente alcuni dicono che è stata dichiarata Monumento Nazionale. Noi ora vi condurremo a visitare la chiesa e siamo certi che, dopo aver fatto ciò, dopo aver osservato i particolari ed averne compreso l’armonia architettonica e decorativa, la vostra impressione e il vostro giudizio concorderanno con il nostro. A destra entrando dal portone principale, dentro una nicchia, è collocata un’acquasantiera in pietra, a base ottagonale, sulla quale è scolpito uno stemma indecifrabile. Non conosciamo la provenienza di questo fonte, ma possiamo quasi sicuramente collocarlo nel tempo: potrebbe essere stato scolpito nel 1400, nel tempo in cui Barrafranca aveva ancora il nome di Convicino. Proseguendo il nostro cammino lungo la navata di destra, dopo il portone laterale, incontriamo una nicchia scavata in alto nella parete con dentro la statua di Santa Teresa del Bambino Gesù. Questa statua, che ha una quarantina di anni, pur seguendo i modi e gli atteggiamenti della più trita tradizione, presenta un fascino tutto particolare ed una certa dignità artistica, anche se non può considerarsi un’opera d’arte. Nella morbidezza languida dell’atteggiamento delle mani, nella posizione frontale che rifiuta una ben accentuata consistenza spaziale, si coglie la volontà di trasferire la figura nell’ambito del simbolo. Il punto centrale dell’opera è il volto che, con quegli occhi fissanti il vuoto, aperti in un’espressione dolcissima, ci immerge in un’atmosfera psicologicamente estatica. Avanzando ancora sempre lungo la navata di destra, dopo la statua di Santa Teresa, possiamo ammirare la grande tela della Madonna della Mercede. L’opera, di cui purtroppo non conosciamo l’autore, fu fatta dipingere da Giuseppe Anzaldo nel 1693, 35 anni prima che si ponesse 133
mano alla costruzione di questa chiesa Madre. Non abbiamo notizie neanche per stabilire da quale chiesa provenga, se da quella di San Sebastiano, o dalla Matrice Vecchia, oppure da qualche altra antica chiesa di Barrafranca. In quest’opera la piramide compositiva è formata dalla figura della Vergine al centro, con a destra un santo in piedi che sorregge un ostensorio, mentre a sinistra un altro santo in ginocchio, incredibilmente della stessa altezza di quello di destra, sostiene una bandiera. L’autore è riuscito ad attuare una solenne unificazione del gruppo sacro, attorno a cui circola lo spazio, libero e al tempo stesso governato da conchiusi ritmi architettonici. I gesti pacati collaborano a definire tale spazio in profondità. Il superbo blocco centrale della Madre e del Figlio, col suo gioco di masse e volumi, sembra fissato in un duplice rapporto col mondo esterno e Chiesa Madre: Tiburio esterno col sentimento interiore. Dà risalto a questo gruppo centrale della Madonna col Bambino, isolato in un’atmosfera di luce, il convergere delle due figure laterali e di quelle degli angeli, in un alternarsi di ombre e luci. Anche se il colore è di una intonazione piuttosto smorta ed opaca, la composizione mostra originalità di immaginazione e fervida intimità di sentimento. Peccato che quest’opera, come molte altre di Barrafranca, risulti molto rovinata, in alcune parti la tela addirittura rotta. Attraverso un grande arco, accediamo al transetto della chiesa, dove sempre nella parete destra, si trova l’altare del Crocefisso. L’altare, rifatto in marmo di recente, è sormontato da due colonne ricoperte di stucco, di stile composito, e da un timpano, sui cui lati sono seduti due 134
angioletti con i simboli della Passione; al centro altri angioletti sostengono un ovale con una croce. Questo tempietto di ordine, come abbiamo detto, composito racchiude un grande reliquiario con vetri ad occhio colorati, composto nel 1795; apprendiamo con rammarico che le reliquie sono andate in gran parte smarrite. Al centro di questo reliquiario si trova un tabernacolo a forma di croce, infossato nel muro, rivestito di damasco rosso e ricoperto con un dipinto, sempre a forma di croce, del Crocefisso, di cui non conosciamo il nome dell’autore, ma possiamo affermare anteriore al 1745. Dentro il tabernacolo sopra descritto è racchiuso il Crocefisso, in stucco e cartapesta, tanto amato e venerato dalla popolazione barrese, che viene portato in processione per le vie del paese ogni anno per il Venerdì Santo. La tradizione vuole che sia stato trovato sottoterra in una nicchia nel territorio di Rastello. Sconosciamo perché sia stato sotterrato ma, dato il luogo del ritrovamento, non è difficile che sia appartenuto all’antico casale di Albara. Non sappiamo la data del ritrovamento, ma abbiamo notizia che si trovava nella chiesa di San Sebastiano prima del 1662. Presso la famiglia Ingala si conserva Chiesa Madre: Abside ancora l’antica croce, su cui era collocato, esterno e la raggiera in legno, che gli stava intorno. A parte il valore sacro ed affettivo di questo Crocefisso, noi vogliamo soffermarci sul valore artistico dell’opera. L’autore, a noi sconosciuto, ci pone davanti un Cristo umano e sofferente, che coinvolge emotivamente l’osservatore. Il brano chiave della composizione è il torso del Cristo, indagato e fissato con preoccupazioni naturalistiche, che trovano nella presenza corporea il fine di una ricerca precisa, operata sulla realtà visibile. La luce fa risaltare le parti anatomiche e dà vita al modellato in un dettato variatissimo e dinamico, lontano dalla esasperazione tragica. Anche le braccia, pensiamo 135
volutamente sproporzionate con le mani rispetto al resto del corpo, le gambe e il perizoma risultano attentamente risolti. La testa, col rifiuto della angosciata inclinazione su un lato, e i capelli tesi e non sconvolti nel tormento generale, riconfermano le intenzioni emotivamente pacate dello scultore, che concede solamente al particolare della bocca socchiusa la presenza dell’angoscia e della morte. L’opera ha bisogno di un pronto restauro in quanto risulta molto
Chiesa Madre: Interno
rovinata, con il dorso in alcune parti addirittura ammaccato e con le braccia quasi distaccate. A sinistra dell’altare del Crocefisso, nell’angolo, è posta una statua dell’Addolorata, in cartapesta. Questa Vergine Addolorata costituisce, insieme con gli angeli che recano i simboli della passione, un gruppo iconograficamente molto diffuso in Sicilia.
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La drammaticità e la gravità rituale, esaltate dalla composta concentrazione plastica, lievemente sciolta nel calcolato gonfiarsi delle pieghe ritmiche, trovano il loro motivo più straziante nel cauto accenno ad un lento moto del corpo. In questo fremito sottile si riscatta la saldezza della struttura, ancor più sottolineata dall’alzarsi del capo della Vergine verso l’alto. Sempre nella parte destra del transetto, in fondo alla navata, si apre una cappella dedicata al Sacro Cuore di Gesù. La sua struttura, fondamentalmente semplice, tende a perdere ogni peso ed ogni solidità architettonica sotto il parametro decorativo. La cappella accoglie un altare in marmo, lo stesso che prima fungeva da altare Maggiore e Chiesa Madre: Interno con trasportato qui. Sopra di esso si particolare della volta centrale eleva una nicchia contenente una statua del Sacro Cuore, in gesso e stucco, forse del 1900. L’opera assolve perfettamente il compito che le stato affidato, non mancandole tutti i requisiti per fare effetto sui fedeli, ma non ha assolutamente delle pretese artistiche. La statua e la cappella furono ripristinate e riparate a spese dei fedeli nel 1959. Avviamoci ora verso l’abside, dove un tempo sorgeva l’altare Maggiore che, come abbiamo detto prima, è stato rimosso, con conseguente ed evidente squilibrio della parte absidale. A noi sembra che non lo sostituiva affatto il pannello (messo al suo posto ed ora finalmente tolto), specie di paravento in legno, ricavato dalla devastazione, di cui non riusciamo a capacitarci, del bellissimo e prezioso pulpito in legno massiccio scolpito,
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che si trovava nella chiesa, opera perfetta dell’artista barrese Carmelo Musolino eseguita nel 1906. In alto quattro colonne scanalate di stile composito, due per ogni lato, sorreggono due grandi statue sedute, in stucco, rappresentanti i due grandi santi della chiesa, San Pietro con le chiavi e San Paolo con la spada. Fiancheggiano ognuna delle statue due angeli, recanti uno un libro, mentre l’altro indica la meravigliosa e superba raggiera, posta al centro con dentro il simbolo dell’Eucarestia. Queste statue, come gli stucchi originari della chiesa, dei quali in seguito parleremo, sono opera dei fratelli Signorelli, i quali nel fermare l’immagine dei due grandi Santi, si rivelano promotori di una nuova severità stilistica di gusto antico, ma al tempo stesso talenti sensibilissimi al carattere dei loro soggetti, ed ad un certo preziosismo della forma e dei panneggi. Il tempietto barocco-classico sopra descritto, incornicia la tela più famosa della chiesa, restaurata di recente con risultati penosi. L’opera che appartenne all’antica chiesa Madre di piazza Fratelli Messina, dà il titolo alla Parrocchia, chiamata infatti “Maria S.S. della Purificazione”. Incerta la data di esecuzione, che potremmo collocare intorno ai primi del 1600; incerto anche l’autore. Alcuni attribuiscono il dipinto a Cateno Gueli, un artista di Monreale, mentre altri, più recentemente, lo vorrebbero di Filippo Paladini, il celebre pittore toscano morto nel 1614 a Mazzarino, dove nella prima metà del Novecento fu scoperta la tomba. L’attribuzione al Paladini è dovuta al fatto che sul dipinto, prima del restauro, si distingueva una F ed in seguito PAL: non si riusciva a leggere altro. Dallo stile potrebbe sembrare un’opera del tardo periodo del Paladini (1613-14), periodo caratterizzato da un luminismo di chiara eco caravaggesca; si può anche avanzare l’ipotesi che il dipinto sia opera di un suo allievo o della sua scuola. Ma non essere sicuri del nome dell’autore, nulla toglie al grande godimento artistico che la contemplazione di quest’opera d’arte ci procura, anche se il colore in alcune parti è andato completamente perduto. Questo quadro, dalla composizione grandiosa, rivela la capacità 138
d’espressione dell’artista attraverso il colore, la luce e l’ombra. Nella rappresentazione della Vergine, che “presenta” il Bambino al Vecchio Simeone, si rivela una grande abilità nel creare effetti vivamente realistici per mezzo del contrasto tra disegno e colore. L’intera scena è subordinata allo spazio e la luce in questo spazio scuro cade sulle figure, in particolar modo su Maria. Il colore principalmente acquista il potere di
Chiesa Madre: Arco trionfale
rendere le forme realisticamente e di creare saldi legami tra di esse. In questo dipinto trova espressione tutta la curiosità dell’autore rivolta ad afferrare il senso della vita: egli ci mostra un evento straordinario che ha luogo tra le normali attività dell’esistenza. Scendiamo dal presbiterio ed avviamoci verso la parte sinistra del transetto. Qui troviamo una cappella in posizione simmetrica, nella struttura e nell’ornato perfettamente uguale a quella del Sacro Cuore, 139
prima descritta. La nicchia sopra l’altare questa volta accoglie la statua in legno scolpito della Madonna del Carmelo, eseguita nel 1960 da Luigi Santifaller di Ortisei. L’altare della Consolata, si trova di fronte a quello del Crocefisso, prima descritto, ed è perfettamente uguale. Qui, sopra l’altare, al posto del reliquiario, è esposto un grande dipinto. Osserviamolo: ci troviamo davanti ad un’opera sicuramente del 1700, eseguita tra il 1745 e 1777, di cui sconosciamo l’autore, ma certamente di stile differente di quello degli altri dipinti della chiese di Barrafranca. In questa Madonna col Bambino fra due Santi l’autore ha affrontato e risolto il problema Chiesa Madre: Interno della cupola centrale dell’unione tra figure e spazio. Il luminismo cromatico, i sottili passaggi di tono, il preciso senso atmosferico fondono la figura della Vergine all’ampio respiro spaziale dello sfondo, sul quale essa campeggia senza però staccarsene, in una nuova dimensione squisitamente naturalistica. L’ispirazione pittorica giunge in questo quadro ad un punto molto alto. Gli effetti cromatici sono rigenerati dalla spontanea genialità di creare la forma e il movimento solo con i mezzi delle tinte tenui, distese con densità ed intensità, le quali fanno
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emergere, ora con forza ora con delicatezza, le figure e le cose dallo sfondo oscuro La navata di sinistra accoglie due altari, con al centro il grande quadro di Sant’Anna. Il primo entrando, sempre a sinistra, è l’altare di Santa Rita: la parte bassa è stata tolta, mentre la parte alta, rifatta di recente, nella struttura e nell’ornato si differenzia dagli altri altari della chiesa. Nella nicchia sovrasta una statua di Santa Rita, opera tradizionale, senza nessuna pretesa artistica. Avanzando un po’, incontriamo la tela di vaste proporzioni di Sant’Anna. L’opera dipinta forse da Salvatore Spina, è anteriore al 1745. Sotto un cielo con angeli e putti, le molteplici figure di Chiesa Madre: Pennacchio con l’evangelista Luca Sant’Anna, San Gioacchino, Sant’Ignazio in parato da messa, la Vergine con il Bambino e San Giuseppe, sono rappresentate l’una accanto all’altra, in uno schema ad arco, carico di moti centripeti e centrifughi. Campeggia sullo sfondo un vessillo con i simboli dell’Eucarestia, sorretto dal Bambino Gesù.
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Il dipinto, nel quale sono evidenti influssi leonardeschi specie nella figura di Sant’Anna e richiami raffaelleschi nella Vergine col Bambino, è molto rovinato ed in alcune parti il racconto pittorico per niente leggibile. Dopo il quadro di Sant’Anna, è collocato l’altare di San Giuseppe, rifatto in marmo nel 1961, come si legge in una lapide accanto. La grande nicchia che lo sovrasta accoglie una statua di San Giuseppe, preziosa, in legno scolpito. L’opera, che apparteneva alla chiesa di San Giuseppe, posta di fronte alla Chiesa Madre ed ora completamente demolita, è molto antica, potendosi collocare la sue esecuzione probabilmente intorno alla fine del 1600, sicuramente prima del 1745. Il Santo, in piedi ed inclinato verso la sua sinistra, trova il suo equilibrio statico e dinamico nel tenere la mano al piccolo Gesù Bambino, anch’egli in piedi e posto alla sua destra. Vicino alla porta laterale di sinistra, proprio di fronte a quella della Madonna del Carmelo, si trova la Cappella Battesimale. Chiesa Madre: Abside con catino Questa cappella, con la sue esaltazione dei valori plastico-ornamentali, con la sua fitta stesura di forme di fantasia prettamente barocca, rivela lo sbizzarrirsi del Signorelli, il quale nell’eseguirla ha abbandonato un po’ la classica austerità degli altri ornati della chiesa. La parete di fronte è tutto un gonfiarsi di drappeggi e di putti, che circondano il dipinto ovoidale del Battesimo di Gesù, di metri 1,50 x 1,20.
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In quest’opera il pittore, di cui non conosciamo il nome, dà una inusitata profondità alla composizione, il cui movimento è accentuato dai contrasti dei colori delle figure, concepite con grandiosità e dipinte a larghe pennellate. La composizione, maestosa e tenera allo stesso tempo, risalta per una coerenza formale ed espressiva, ed in essa la più alta tradizione settecentesca trova il suo più equilibrato punto d’incontro. L’opera, di non poco pregio, reca scritta la data di esecuzione 1784, e presenta uno strappo. Avviamoci ora verso il portone principale e, dopo aver notato l’acquasantiera di sinistra con lo stemma dei Barresi (sicuramente anteriore alla costruzione della chiesa), da questa posizione soffermiamoci a guardare gli stucchi, che coprono quasi tutto l’interno della chiesa. Sembra di trovarci di fronte ad una specie di “delirio” plastico ornamentale, nel quale gli ornamenti classici e barocchi fioriscono all’infinito, serpeggiano e s’intrecciano senza soluzione di continuità, come le fantasie naturali di un sottobosco. Si nota la più compiuta delle esecuzioni, in perfetta simbiosi tra architettura e stucchi. I pennacchi, che sostengono la cupola, sono ornati con quattro bassorilievi, in stucco, rappresentanti gli evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni; mentre le pareti laterali del presbiterio accolgono sei quadroni, anch’essi di stucco. Quelli della parete destra contengono partendo dal basso una composizione con la menorah, (il candelabro ebraico a sette braccia) circondata dai simboli del sacrificio antico; e il sacrificio nel Vecchio Testamento; in alto, Elia nel deserto. Sulla parete di sinistra, il primo quadrone, in basso, rappresenta un Ostensorio con i simboli del Nuovo Sacrificio, il secondo, la Messa; mentre il terzo, in alto, Gesù con Marta e Maria. In questi bassorilievi il Signorelli con minimo sfoggio plastico e con gradazioni di piani appena percettibili, attraverso cui si realizza la prospettiva lineare, raggiunge la massima densità di forma e di espressione. Questi stucchi ed questi ornati sontuosi, come abbiamo accennato prima, sono opera di Vincenzo Signorelli, aiutato dal fratello Salvatore e 143
dal giovane Giuseppe Fantauzzo, suo allievo. Vincenzo nacque nel 1825 a Siracusa da Gaetano e da Caterina Colombo dei Conti Danieli. Fu professore di Architettura e Disegno Plastico presso le Scuole Magistrali, Tecniche e Normali del Regno d’Italia. Verso la metà del 1800 era a Barrafranca per ornare, coma abbiamo ricordato prima, la chiesa della Madonna della Stella. Non sappiamo se gli stucchi della Chiesa Madre furono eseguiti prima o dopo, ma molto probabilmente dopo, perché abbiamo notizia che la morte colse il Signorelli nel nostro paese nel 1876, all’età di 51 anni. Dobbiamo ricordare che Giuseppe Fantauzzo, allievo di un così grande maestro, proprio durante i lavori di questa chiesa apprese e perfezionò il mestiere di stucchista. Mentre esaminiamo la perfezione e la finezza degli stucchi del Signorelli, ammiriamo anche i grandi quadroni ad olio su tela della volta, tutti contenenti riproduzioni, più o meno riuscite, di quadri famosi. Quelli della navata centrale sono: L’Annunciazione, dipinta da Emma di San Cataldo nel 1965; La Visita ad Elisabetta e La Natività, di Giuseppe Puzzanghera, un Chiesa Madre: Presbiterio con abside pittore nato a Riesi, il quale li dipinse tra il 1962 e il 1965; Gesù tra i Dottori e La Presentazione al Tempio, di Emma del 1962; nella volta del transetto di destra si trova La Coronazione di Spine, sempre di Emma, dipinta nel 1963. Ma quella che stiamo ammirando e descrivendo non è la chiesa originale. Il 18 luglio, infatti, del 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, tre 144
bombe aeree distruggevano la navata centrale, la navata laterale sinistra, due colonne e il lato nord del transetto. Verso il 1946, tre anni dopo, si cominciò a ristrutturare la cupola da parte dei fratelli Scarpulla. Un anno dopo i tetti, i muri, le colonne e la navata laterale erano tutti ricostruiti o riparati. Nel 1948 si provvide alla pavimentazione ed ai lavori di riparazione della volta centrale, che fu rifatta a botte e non a grandi crociere, come probabilmente doveva essere l’originaria. Si doveva arrivare al 1965, per avere la chiesa così come l’ammiriamo, con gli stucchi mancanti tutti rifatti e dorati, e ridipinta con colori a nostro avviso un po’ troppo vivaci. Per prova si fecero eseguire alcune opere a Giuseppe Puzzanghera, uno stucchista e pittore originario di Riesi da una famiglia di artisti, stabilitosi ora a Barrafranca. Superata con onore la prova, nel 1962 al Puzzanghera vennero affidati tutti i lavori e soprattutto la creazione exnovo del progetto degli stucchi della navata centrale. Come la volta, però, anche gli stucchi non seguirono il tracciato ed il disegno originario. L’esecuzione, svolta saltuariamente, fu terminata nel 1965. Altri interventi sono stati eseguiti nel 1978-80, quando si sono rinforzate le fondamenta con cemento armato e si è rifatto il pavimento con lastre di marmo. Ma bisogna precisare che ancora i lavori non sono completati. Per concludere la nostra trattazione, vogliamo ricordare che questa chiesa potrebbe rappresentare il simbolo della generosità del popolo barrese: la sua costruzione, i suoi ornati, la sua riparazione e la sua ristrutturazione sono stati eseguiti quasi sempre a spese del popolo – “Populi sumptibus”. Dato alle stampe nel mese di Settembre 1984
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AGGIORNAMENTI PARROCCHIA MARIA S.S. DELLA PURIFICAZIONE
Una pietra dello zoccolo, a sinistra del portone centrale, reca inciso: ANO DNI 1728 e su un’altra, in alto sulla cantonata, sempre a sinistra, si riesce a leggere: AN DNI 7 IND 2(?)...(il resto è indecifrabile). Per il parroco Giunta queste due pietre testimoniano l’inizio dei lavori della chiesa, in seguito ad un atto stipulato 4 anni prima tra gli intagliatori e i “deputati dell’erigenda chiesa”, in cui si stabilivano le condizioni della lavorazione della pietra. “Così nel 1724 il 28 Dicembre con atto presso Notar Guzzardella, si stipulavano le condizioni per la lavorazione della pietra da costruzione tra gl’intagliatori da una parte, m. Ignazio Vannelli, m. Ignazio Mazio, m. Antonio La Rosa e m. Antonino Arena tutti di Piazza e dall’altra il Vicario D. Girolamo Amarù, D. Giuseppe Maggiore, Vic. For. D. Alessandro Bufalini e il deputato per la nuova fabbrica eletto dalla Princ.essa di Butera e Marchesa di Barrafranca nella persona di D. Giuseppe Gregorio”. Angelo Scarpulla ipotizza che, andando a ritroso nel tempo di 2500 anni, in questa zona probabilmente esisteva il “Bosco Sacro” dell’acropoli, chiamato ancora oggi “Sirvia”, nel cui contesto sorgevano templi con strutture annesse: la Chiesa Madre, costruita sul sito di quella di S. Sebastiano, a sua volta eretta al posto di un antico tempio pagano di questo “Bosco Sacro”, sarebbe, secondo Chiesa Madre: Parte absidale con ancona della Purificazione
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Scarpulla, un prezioso documento monumentale, che testimonierebbe questo fatto. Pensiamo che la chiesa di S. Sebastiano, nonostante i lavori di ampliamento e di trasformazione, continuasse ad essere utilizzata per le cerimonie del culto sacro, perché apprendiamo da un documento del 1729, che “i sac. D. Pietro Costa e D. Cosmo Conte e l’elemosiniere D. Giuseppe Costa supplicavano, quali procuratori della fabbrica, il Vescovo di Catania, D. Pietro Galletti, che per evitare irriverenze si potesse trasportare il SS. Sacramento dalla chiesa di S. Sebastiano in quella vicina chiesa di S. Giuseppe che già esisteva dal 1667”. Si fabbricava a spese del popolo e del Comune, che d’allora assunse il patronato della chiesa. “A concorrere alle ingenti spese si prestava il R. D. Biagio Bevilacqua da questa, esattore dei censi del marchesato di Barrafranca per conto del Principe di Butera. Il Bevilacqua, con lettera da Palermo al Vic. D. Diego Catalano, in data 3 Settembre 1728 e riportata in atto pubblico dal Not. D. Antonino Bonincontro il 10 Marzo 1733, cedeva al detto Vic. Catalano i suoi proventi da esattore per la somma di circa onze 70 e cioè per la durata di anni cinque”.
Chiesa Madre: Catino absidale
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Siccome le uscite erano ingenti e, non essendo sufficiente la
raccolta popolare, “con atto presso il Notar Antonino Bonincontro, sotto il 28 Luglio 1744, il Vicario D. Erasmo Maggiore ed i Cappellani D. Andrea Costa, D. Gaspare Catalano, D. Liberante Cannizzaro e D. Domenico Giunta si tassavano per onze 45 annue sulle primizie loro dovute per condurre a termine il Cappellone e il Campanile della Chiesa, che rimaneva ancora sotto il titolo di S. Sebastiano. Questa somma fu sborsata dai predetti e dai loro successori fino al 1770 come si rileva da un documento della Curia di Catania in data 7 Giugno 1770”. Una pietra della cantonata frontale del campanile ( 1746 X° ) ed un’altra in quella laterale ( SUMPTIBUS CAPPELLANORUM 1746 X IND ), testimoniano questo fatto e l’anno della realizzazione. Quasi sicuramente il nuovo campanile fu costruito come continuazione di quello di S. Sebastiano: sostiene questa ipotesi l’opinione del dott. Ligotti per cui la parte inferiore, vecchia ed originale, mostra evidenti segni architettonici, nelle finestre a feritoia, riconducibili al XIII-XIV sec. Sempre il dott. Ligotti ci ha riferito che sul lato di Mezzogiorno del campanile, si notavano antichi mattoni su cui era dipinta un’immagine di S. Cristoforo. (San Cristoforo è venerato come santo dalla Chiesa cattolica. Secondo la tradizione della Chiesa occidentale subì il martirio in Licia sotto Decio nel 250. Fu colui che avrebbe fatto attraversare un fiume ad un bambino, che poi si rivelò Gesù., portandolo sulle spalle.) I quattro orologi del campanile, fatti installare dal Comune probabilmente nella prima metà del secolo scorso, provengono dalla Ditta “Fratelli Terrile fu Luigi” di Uscio (Genova). Nella vecchia Chiesa Madre di Piazza Fratelli Messina, sebbene fosse in parte diroccata e non del tutto agibile, si continuavano a celebrare le Messe e le funzioni religiose, ma dal 1765 la chiesa fu chiusa al culto.
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Nel 1745 il Vescovo di Catania fece compilare un inventario dei beni delle Chiese di Barrafranca. Apprendiamo che in questa chiesa, chiamata già Chiesa Madre, esistevano: l’altare del S.S. Sacramento, il Battistero, l’altare Maggiore, con il quadro grande di Maria S.S. della Purificazione, due statuette di S. Pietro e S. Paolo, un quadro piccolo di S. Maria del Rosario e un quadro piccolo di S. Maria libera nos a penis inferi; l’altare di S Sebastiano, con statua di stucco e quadro di S Maria della Grazia; a sinistra di questo altare una cappella senza altare con quadro di S. Agata; l’altare di S. Paolo con quadro; l’altare di S. Maria della Mercè con quadro; l’altare di S. Anna con quadro; l’altare di S. Michele Arcangelo con quadro grande; l’altare di S, Maria del Carmine con quadro; l’altare di S. Maria del Soccorso con quadro e l’altare della Pietà con quadro. Vicino all’altare del Santissimo si trovava un tabernacolo di legno incassato nel muro con la statua di stucco del Crocifisso, coperto dal quadro del Crocefisso. Nella sacrestia oltre ad un quadro della Madonna del Carmine, era conservata “la tela grande col misterio della Passione,per la quaresima” (la famosa “tiledda”). Come abbiamo detto prima, nonostante i lavori, la nuova chiesa era utilizzata: abbiamo notizia che il 1 Aprile 1754 vi fu fondata una Collegiata, sospesa fino a nuovo ordine dopo 40 giorni; (Nella Chiesa cattolica con l'espressione Collegiata si intende una chiesa di una certa importanza, nella quale è istituito un Collegio o Capitolo di canonici, con lo scopo di rendere più solenne il culto a Dio). che nel 1765 presso l’altare della Mercede don Giuseppe Anzaldo celebrava “messe legatizie”; (messe che si celebrano dietro mandato)
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e che nello stesso anno, essendo la Chiesa Grazia diroccata, il suo legatario don Pietro Salvaggio, diceva Messa in questa erigenda chiesa, dove era pure un quadro di Maria S.S. delle Grazie.
Nel 1775 furono completate le costruzioni principali ed essenziali e la nuova Chiesa Madre fu aperta ufficialmente al pubblico: era agibile la navata principale, con la sua imponente struttura architettonica, senza gli stucchi e gli ornamenti attuali. Si dovevano costruire ancora, tra l’altro, il transetto e le navate laterali (utilizzando probabilmente lo spazio dei portici che dovevano forse fiancheggiare l’antica chiesa di S. Sebastiano); mancavano i prospetti della chiesa e del campanile (per il momento provvisori); bisognava lastricare il pavimento… Il titolo parrocchiale della vecchia Chiesa Madre “Maria S.S. della Purificazione” passò così a questa e negli antichi atti è chiamata ora Parrocchia di S. Sebastiano, ora della Purificazione. In altri documenti è indicata come “Chiesa di S. Sebastiano sotto il titolo di Maria S.S, della Purificazione”. Nel 1784 il Comune contribuì alle spese per altri interventi riguardanti forse il transetto della chiesa, che era considerata la più importante di Barrafranca, tanto che nel 1821 vi fu seppellito il governatore ed amministratore della città, Dott. Vincenzo Bonfirraro. Già nel 1797 per i bisogni dello Stato, fu requisito alla chiesa da Sua Maestà Borbonica un “lampiere” d’argento e nel 1848, per sopperire alle spese del Governo Rivoluzionario, fu donato un calice d’argento con relativa patena indorata.
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Con il contributo del popolo, del Comune e dei cappellani, i lavori continuarono per tutto il 1800 intensificandosi in particolar nel 1830 , quando furono eseguiti l’attuale e maestosa facciata della chiesa prima e il prospetto del campanile dopo; nel 1844 e nel 1853 con la costruzione da parte del Comune delle due “navicole”; nel 1872, quando il Comune stanziò una somma “per i tetti”; e nel 1880, allorché si cominciò a provvedere per la pavimentazione. Nel frattempo i fratelli Signorelli (Vincenzo impareggiabile disegnatore e Salvatore valentissimo esecutore) ne coprivano l’interno con gli attuali splendidi stucchi. Le somme stanziate però non bastarono per tutta la pavimentazione in marmo e per completarla fu utilizzata la maggior parte del ricavato dalla vendita della “Chiesa Vecchia “ di piazza Fratelli Messina al Comune (documento del 1885, pubblicato da Bobò Centonze). Chiesa Madre: Altare con Crocefisso
Da allora il Comune stabilì, per la manutenzione della nuova Chiesa Madre, un apposito stanziamento annuo, che fu protratto fino a tutto il 1913. Nell’inventario del 1910, contenente le opere d’arte appartenenti alla chiesa, si legge: (Quadri grandi): Della Purificazione, Della Cintura, S. Paolo, Addolorata, Mercede (buon pennello), Del Carmelo; (Medi e piccoli): Il Battesimo di Gesù, S. Michele Arcangelo (in tela), La Via Crucis, 152
quattro piccoli quadri di Santi in sacrestia e cinque ritratti di Sacerdoti, più l’effige del Crocifisso sovrapposta al Crocifisso, Statua di S. Sebastiano. Diciotto anno dopo, il parroco Giunta nel suo libro su Barrafranca, nel descrivere la Chiesa Madre, elenca solo i quadri e le statue per lui degne di nota: la statua del Crocifisso, con la pittura che la copre, la Purificazione, la Mercede, la Pietà, la Consolata, S. Anna e il Battesimo di Gesù. Le altre opere citate nell’inventario e non presenti nel libro del Giunta erano andate perdute, oppure il Parroco non le aveva ritenute degne di nota? Ci stupisce che non abbia fatto cenno alla famosa Via Crucis, opera pregevole, citata dalle Guide e dalle pubblicazioni del tempo. Di quella Via Crucis, si ha testimonianza visiva in una rara foto dell’interno della Chiesa Madre, risalente forse ai primi del 1900. Nella foto, oltre alla Via Crucis, si notano, a destra della navata centrale, il pulpito, in legno massiccio scolpito, con baldacchino, e dietro una pedana in legno, che serviva per le prediche meno solenni. Si scorge la balaustrata in ferro battuto e lavorato che separava il presbiterio dal resto della chiesa e si distinguono le colonne di colore scuro (forse di granito?). Secondo la testimonianza orale del dott. Ligotti, fino al 1920 si potevano vedere due colonne di granito collocate tra l’angolo sinistro e la porta secondaria di via Ingria. Una di queste colonne fu adibita a “cilindro”; l’altra, dopo essere stata usata con la stessa mansione, fu trasportata nella zona del “Signore Ritrovato”. La chiesa fu eretta a Parrocchia il 13 luglio 1911 dal Vescovo Mario Sturzo con la denominazione di “Maria S.S. della Purificazione”, ed essendo la chiesa principale del luogo, acquisiva il titolo di Chiesa Madre di Barrafranca; due anni dopo don Ferdinando Cinque, da sette anni 153
Vicario Curato, fu nominato primo Parroco della nuova Parrocchia. Bisognava aspettare fino al 1 Aprile 1915, perché il re Vittorio Emanuele III concedesse il “regio assenso” alla erezione della Parrocchia. Don Ferdinando Cinque resse la Parrocchia fino al 1934, quando fu destinato a Riesi come Parroco della Basilica Maria S.S. della Catena. Nuovo parroco della Chiesa Madre fu nominato don Luigi Giunta, già Vicario Economo dal 1923, ed autore del libro “Cenni storici su Barrafranca”, pubblicato nel 1928. Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1943, in seguito allo sbarco degli Alleati in Sicilia, Barrafranca subì due bombardamenti aerei: il primo il 10 luglio, da parte dell’aviazione americana, e il secondo il 18 luglio da aerei tedeschi. In entrambi, fu colpita anche la chiesa Madre, che crollò in parte e subì gravi danni. Come abbiamo scritto nella prima parte di questa Guida, i lavori di ricostruzione iniziarono tre anni dopo. Tra l’altro, nel 1949 si cominciarono a rifare gli stucchi della navata sinistra.
Chiesa Madre: Particolare della Cappella della Madonna del Carmelo
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Nell’archivio parrocchiale troviamo la relazione del geometra Salvatore Licata riguardante i lavori di riparazione eseguiti nel 1953 per interessamento del parroco don Luigi Giunta.
Furono riparati il frontino (trabeazione), il portone laterale, e le volte delle navate laterali, dell’altare Maggiore e degli altari laterali; furono eseguite l’intonacatura della volta centrale, la stuccatura della cupola centrale e la coloritura marmorea ad olio della colonne. In seguito, sempre negli anni cinquanta, si intervenne anche sul complesso architettonico del lato destro esterno della chiesa, dietro il campanile, dove per mezzo di una gradinata, con in cima due pilastri laterali di pietra lavorata, si accedeva su un terrapieno, sul quale sorgeva l’ingresso con il portale laterale. Questa caratteristica struttura architettonica fu chiusa con un muro, al centro del quale fu spostato il portale con il portone laterale; dallo spazio rimasto furono ricavate due stanzette e un piccolo salone al primo piano. Nel 1962 fu istituito un Comitato per la raccolta presso i cittadini di fondi, che uniti alla somma stanziata dallo Stato, dovevano servire per il completamento dei lavori di ripristino degli ornati e di rifacimento degli stucchi mancanti di tutta la chiesa: l’esecuzione fu affidata, come abbiamo detto, a Giuseppe Puzzanghera. Morto intanto il parroco don Luigi Giunta, nel 1966 gli successe mons. Giovanni Cravotta, già Vicario Cooperatore dal 1948. Negli anni sessanta si continuò a modificare l’architettura esterna della chiesa con la costruzione di stanze sulle navate laterali e l’abbattimento dell’antica sacrestia, dove sorsero nuovi locali. Nello stesso tempo all’interno, in seguito all’applicazione pedissequa dei dettami del Concilio Vaticano II conclusosi nel 1965, fu tolto l’altare Maggiore e, liberato il presbiterio dalla balaustrata in ferro, vi fu costruito un altare “coram populo”; furono smantellati gli scanni lignei del
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coro e il prezioso pulpito in legno con baldacchino; furono eliminati molti altari laterali… Altri lavori interni ed esterni furono eseguiti durante gli anni settanta, in particolare nel 1976 e nel 1977. Due anni dopo moriva prematuramente, a soli 54 anni mons. Giovanni Cravotta: nuovo parroco fu mons. Giuseppe La Verde (dal 1979 al 1994). Gli scanni del coro, gli altari lignei della chiesa di S. Giuseppe, antichi candelabri ed altri arredi, conservati fino agli anni 80 nei magazzini della chiesa, sono andati perduti. Dopo aver esposto le nuove informazioni da noi apprese riguardanti la chiesa durante gli anni antecedenti al 1984, data di stampa della prima edizione di questa Guida, prima di proseguire il nostro lavoro, riteniamo opportuno ricordare gli altri parroci che si sono succeduti nella Parrocchia: don Alessandro Bernunzo, dal 1994 al 2007, e don Alessandro Geraci, dal 2008, ancora oggi in carica. Continuiamo i nostri aggiornamenti, presentando le modifiche apportate alla chiesa dal 1984 al momento attuale. All’esterno sulla punta del timpano del prospetto principale, al posto dell’antica croce ritenuta troppo pesante, nel 2009 ne è stata collocata una nuova in ferro, che non regge il paragone con quella originale, in ferro battuto e lavorato, appesa attualmente in una parete della piccola piazza, sorta al posto della chiesa di S Giuseppe e riqualificata nel 2002. La chiesa di S. Giuseppe dopo essere stata chiusa, perché pericolante, fu demolita (1978-1979) in seguito ad un accordo tra l’amministratore diocesano mons. Giovanni Faraci e il sindaco di allora Salvatore Faraci : il Comune demoliva la chiesa per farne una pubblica piazza (chiamata nel 2012 piazza S. Giuseppe) e in cambio cedeva un pezzo di terra per costruirvi la nuova chiesa “La Sacra Famiglia”.
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Agli anni 80 risale l’ultima pulitura della facciata, che presenta ancora nell’ala laterale di destra l’impronta di un antico orologio. Nel 1995 la Soprintendenza di Enna provvide al restauro esterno del campanile, il quale con il prospetto fu illuminato artisticamente nei primi anni del 2000. Entrando dal portone centrale, rimesso a nuovo insieme ai portoni laterali nel 2009 da Alessandro Strazzanti, notiamo una grande bussola in legno, utile a proteggere l’interno dai rumori del traffico; davanti alle entrate laterali sono poste altrettante bussole, fatte negli anni ‘80 dalla ditta Sottile-Geraci di Barrafranca. Nel vestibolo, in cima al frontone sopra il portone centrale si trova una composizione in stucco, dove predominano i simboli delle tre virtù teologali e campeggia al centro la scritta: POPULI SUMPTIBUS VINCENTII SIGNORELLI STUDIUM HOC TEMPLUM ORNAVIT. Sempre nel vestibolo, notiamo che nella nicchia di destra, durante l’ultimo collocamento dell’acquasantiera sul “capitello bizantino”, non si è badato a centrare lo stemma indecifrabile, che risulta girato a sinistra. Passando alla navata di destra (rinfrescata e reintegrata nel 2010 da Alessandro Giuliana ed Alessandro Gulino), prima del portone laterale, nell’angolo era collocato un fonte battesimale di marmo, donato alla chiesa alla fine degli anni 60 da Lucia Strazzanti. (Il fonte è stato tolto nel 2011). In alto al centro dell’arco un cartiglio di stucco reca la scritta: LAUDATE EUM DOM= IN CHORDIS ET ORGANO Psal: CL B: Ver.4 scoperta dopo l’intervento del 2010 sotto la precedente: CELEBRA IL SIGNORE O TERRA TUTTA Sal. 9 9,2 (66,1).
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Dopo la bussola laterale, vediamo che nel 2003 è stato ricostruito l’altare in marmo di Santa Teresa. Sopra la mensa si nota una piccola nicchia che racchiude un reliquiario in argento contenente una reliquia della Santa. Sotto, al centro del piccolo ciborio, un bassorilievo con i simboli della Santa e con il motto: L’AMOR CON L’AMOR SI PAGA. In alto, sopra la nicchia con la statua in gesso e cartapesta acquistata negli anni 30 dalla Società Anonima “Rosa Zanazio & C.” di Roma, un cartiglio reca la scritta: SANTA TERESA DI GESU’ BAMBINO E DEL VOLTO SANTO.
Chiesa Madre: Interno con bussola
(Santa Teresa di Lisieux (18731897) fu suora carmelitana e mistica francese. Nota come S. Teresina, per distinguerla da S. Teresa d’Avila, è patrona dei Missionari ed insieme a
Giovanna d’Arco, patrona di Francia.) Sotto la tela della Madonna della Mercede, appesa nell’arco successivo notiamo un confessionale antico in legno lavorato, recuperato dalla chiesa di S. Giuseppe e collocato nel 2009 al posto di quello in muratura degli anni 80. Ai piedi della pala è scritto il seguente distico:
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Mercedis titulum fundasti, Anzalde, Mariae Mercede hac igitur solvis abunde polum 1693 Tradotto dal Parroco Giunta: Rizzar de la Mercè l’ara tua sorte Fu, o Anzaldo, e di Maria per la mercè Aprì abbastanza le celesti porte 1693 Il dipinto rappresenta al centro la Madonna con il manto bianco dei Mercedari, raccolto da un fermaglio con lo stemma di Aragona. Inginocchiato a sinistra, S. Pietro Nolasco, fondatore del Mercedari, il quale indossa l’abito bianco dell’Ordine, donatogli dalla stessa Vergine. Lo stemma, portato sull’abito e riprodotto sul vessillo, è quello di Aragona, concesso dal re Giacomo I, quando l’Ordine dei Mercedari fu fondato nel 1218 a Barcellona. Il santo in piedi a destra, potrebbe essere S. Giovanni dei Sacramenti, oppure, ipotesi più probabile, S. Pietro Pascanio, vescovo e martire, devoto dell’Eucarestia. La tela è stata consolidata, pulita e reintegrata da Grazia Marchì nel 2002. Una copia di questo dipinto, di inferiore qualità artistica, si trova presso la Cattedrale di Piazza Armerina; un’altra è collocata nella Chiesa Madre di Mazzarino. Nel terzo arco della parete destra, dopo il restauro eseguito da Silvano Bonfirraro nel 1993, è stato esposto il dipinto della Madonna del Rosario di Domenico Provenzani, un artista siciliano nato nel 1838, discendente dal grande Domenico Provenzani (1736-1794) di Palma di Montechiaro. La tela, proveniente dalla vicina Chiesa di S. Giuseppe, reca scritto in oro come ornamento della scollatura della veste di Maria: ROSARIO; sul 159
piedistallo del trono: AVE MARIA; in basso al centro: VIVA MARIA S.S.ma DI POMPEI, e a sinistra, a stento leggibile, la firma e la data di esecuzione 1899. (Il dipinto è una delle tante versioni del quadro, attribuito alla scuola di Luca Giordano, del Santuario di Pompei, fondato nel 1876 dal beato Bartolo Longo e dalla contessa Marianna de Fusco. L’origine del culto della Madonna del Rosario, raffigurata per lo più con i santi domenicani S. Domenico Guzman e S. Caterina, è stata attribuita all’apparizione di Maria a S. Domenico Guzman, appunto, nel 1208 a Prouille, nel primo convento da lui fondato.) Sul frontone dell’arco che introduce nel transetto di destra è collocato un cartiglio con la scritta: Paral. Libro II - ET AIT: “OCULI QUOQUE MEI ERUNT APERTI ET AURES MEAE AD ORATIONEM EIUS QUI IN LOCO ISTO ORAVERIT – Cap.7. V.12 (15), (scoperta dopo la ristrutturazione del 2010, sotto l’altra LA MIA CASA SARA’ CASA DI PREGHIERA Lc 19-46), mentre sul frontone opposto dello stesso arco, nel transetto, un altro cartiglio reca scritto: VERE NON EST HIC ALIU(D) NISI DOMUS DEI Gen. Cap.XXVIII Vers.17. Passando nel braccio destro del transetto, troviamo l’altare del Crocifisso, con il reliquiario splendente di oro e d’argento. Alla Chiesa di S. Sebastiano apparteneva la statua in stucco del SS. Crocifisso, al quale i confrati nel 1662 vollero erigere una nuova cappella. In un inventario del 1745, in pieno svolgimento dei lavori di costruzione della nuova Chiesa, si legge questa descrizione: “Vicino l’altare del SS. Sacramento si ritrova un tabernacolo di legname indorato infossato nel muro con l’immagine del SS. Crocifisso posta dentro, di rilievo di stucco ed innanzi il quadro di pittura di detto Crocifisso, con cielo dentro di damasco rosso”.
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Era questa forse la collocazione del Crocifisso nella chiesa di S. Sebastiano, riproposta nella nuova Chiesa Madre, con l’aggiunta dell’altare e nel 1795 del reliquiario in legno, coperto dal “quadro di pittura” ritagliato a forma di croce, per rendere più visibile il nuovo reliquiario? Durante l’invasione delle locuste, che dal 1689 al 1711 flagellarono il nostro paese, furono portati in processione dal popolo la compatrona Maria S.S. della Stella e il Crocifisso di S. Sebastiano. Lo stesso avvenne nel 1710, per la siccità che minacciava il raccolto. La statua in stucco e cartapesta del Crocifisso fu restaurata nel 1988 dal prof. Angelo Cristauro di Acireale. Nel 2007 fu la volta della rimessa a nuovo, da parte di Lillo Magro di Delia, del prezioso reliquiario, e per consentirne la visione completa, fu rifatta ed abbassata l’altare di marmo. Nello stesso tempo furono ricomposte tutte le reliquie e fu pulito il dipinto del Crocefisso a forma di croce, prima poco visibile. Un nuovo intervento di riparazione e di restauro alla statua del Crocifisso, rovinata durante la processione del Venerdì Santo del 2012, si ha avuto nel 2013 sempre da parte del prof. Angelo Cristauro. La statua di cartapesta dell’Addolorata posta negli anni 80 a sinistra dell’altare del Crocefisso, risale agli anni 30. Nel 1995 Giuseppe Puzzanghera rinnovò di nuovo gli stucchi della cappella del Sacro Cuore, rovinati da infiltrazioni d’acqua; un altro rifacimento ha avuto luogo nel 2011, a cura di Alessandro Giuliana ed Alessandro Gulino. Questa cappella, che reca in alto in un cartiglio un arco con due frecce (simboli del martirio di S. Sebastiano), doveva essere probabilmente dedicata al Santo al tempo dell’esecuzione degli stucchi e la nicchia doveva contenere la statua di S. Sebastiano, citata nell’inventario del 1910. 161
Abbiamo appreso che nel dopoguerra vi era collocata l’attuale statua di Santa Teresa In seguito, non sappiamo quanto, fu trasformata in cappella del Sacro Cuore con la vetrata del Cuore di Gesù al centro della raggiera. in alto (Non si ha notizia dell’antica statua di S. Sebastiano, che è andata perduta). Avviandoci verso il presbiterio, notiamo che è stato ingrandito e che l’altare postconciliare è stato rifatto in marmo nel 2002 e spostato più avanti. Ai lati sono posti un ambone e un fonte battesimale in legno della metà degli anni 90. Anche l’altare Maggiore è stato ricostruito nel 2001 in marmo dalla ditta Calabrese di Barrafranca. A noi sembra che questo nuovo altare, il quale vorrebbe essere la copia di quello antico, non regga il confronto con l’originale, per la differente finezza dell’esecuzione e per la scelta non simmetrica delle venature delle lastre frontali. Chiesa Madre: Particolare degli stucchi dei fratelli Signorelli
Al centro è stato inserito un tabernacolo degli anni 90 con la porticina impreziosita da un bassorilievo dorato ed argentato rappresentante la Cena di Emmaus.
Sulla parete destra del presbiterio sotto il quadrone con il bassorilievo di “Elia nel deserto” è scritto: ALZATI E MANGIA, PERCHE’ TI RIMANE DA COMPIERE UN LUNGO CAMMINO ( 1 Re, XIX . 8); mentre il quadrone di fronte, con il bassorilievo di Marta e Maria, reca scritto: UNA SOLA COSA E’ NECESSARIA: MARIA HA SCELTO LA PARTE MIGLIORE , CHE NON LE SARA’ TOLTA (Lc. X , 42).
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(Secondo quanto si legge nei libri dei Re, Elia fu un grande profeta. Ultimo fedele al Dio di Abramo, sfidò e vinse i profeti del dio Baal sul monte Carmelo: qui, dopo che essi furono svenuti, dimostrò la potenza di Dio accendendo, con la preghiera, una pira di legna verde e bagnata. Dopodiché, presso il torrente Kison, scannò tutti i 450 sacerdoti di Baa. Fuggì sul monte Oreb, presso il quale gli porgeva cibo un angelo (scena del bassorilievo), e dove parlò con Dio. Chiamò Eliseo a seguirlo ed a essere il suo successore. Infine venne rapito in cielo con «un carro di fuoco e cavalli di fuoco» Il bassorilievo di “Marta e Maria” narra di quando Gesù, durante il viaggio, si fermò nella casa di Marta. Ella aveva una sorella di nome Maria la quale si prostrò ai piedi di Gesù per ascoltare la sua parola; Marta, distratta dalle faccende di casa, si lamentò con il Signore della sorella che la lasciava sola a lavorare. Questi allora rispose: "Marta, Marta, tu ti inquieti e ti preoccupi di troppe cose, mentre poche ne servono e una sola cosa è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta".) San Cr
Rivolgiamo ora la nostra attenzione all’ancona della Purificazione, che domina l’altare Maggiore. La pala apparteneva all’antica Chiesa Madre, ma nel 1745 era già stata trasportata nella nuova Chiesa, anche se i lavori non erano stati completati, notizia che si evince dall’inventario redatto dal vescovo di Catania in quell’anno. La pittura era molto rovinata intorno al 1928, ai tempi del parroco Giunta, che riteneva il quadro “molto antico per cui si rilevano solo alcuni lineamenti, Si rileva ancora il volto della Madonna…” Il secondo intervento di pulitura e di ritocco del 2009, ha reso un po’ più visibile e fruibile l’insieme della figure rappresentate. Di alta qualità formale e poetica è la donna con bambino in primo rappresentata in tutta la sua dimensione statuaria, avvolta nelle pieghe del mantello a larghe campiture di colore bianco. principalmente dall’uso inconfondibile della luce, traspare da dell’autore la conoscenza e l’influenza della pittura del Caravaggio.
piano, ampie Qui, parte
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Per quanto riguarda l’attribuzione, l’ultimo intervento di pulitura ha rilevato un livello di pittura non troppo alto nell’insieme delle figure e dello sfondo, mentre, come abbiamo scritto in precedenza, la figura della madre col bambino in primo piano si presenta di alta qualità artistica, degna del Paladini. Di quest’opera il Nicotra così scrive: “Nella chiesa madre vi è un bellissimo quadro rappresentante La Purificazione di Maria, opera di Cateno Gueli, di Montereale”; mentre il Giunta: “Nella monografia su Barrafranca compilata dal Signor Pasquale Guarneri e riportata dal dizionario del Nicotra è dato per opera di Cateno Gueli di Montereale. Per conto mio ignoro la fonte di questa notizia”. (Il dipinto rappresenta la Presentazione al Tempio di Gesù, prescritta dalla Legge giudaica per i primogeniti maschi; la festa cade il 2 febbraio ed è popolarmente chiamata della “Candelora”. La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo l'usanza ebraica, una donna era considerata impura per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre, giorno della nascita di Gesù.) Scendendo dal presbiterio, nel transetto di sinistra anche la cappella della Madonna del Carmelo, in posizione simmetrica a quella del Sacro Cuore, è stata rinnovata nel 1995 da Giuseppe Puzzanghera. Questa cappella, dedicata alla Madonna ai tempi dell’esecuzione degli stucchi da parte dei fratelli Signorelli, in alto infatti reca un cartiglio con la scritta AVE MARIA, conteneva forse dai primi del 900 la statua del Sacro Cuore ed dagli anni 60 quella attuale della Madonna del Carmelo. (La Vergine con il Bambino reca in mano lo scapolare, detto comunemente “abitino”, che il 16 luglio 1251 consegnò a S. Simone Stock, priore generale dell’ordine Carmelitano, come segno di salute e di salvezza.) 164
Nelle chiesa esisteva anche altri due dipinti della Madonna del Carmelo, uno citato nell’ inventario del 1745 e l’altro eseguito nel 1837, presente nell’inventario del 1910, ma non menzionato dal parroco Giunta. Abbiamo notizia che esisteva un altare della Madonna del Carmelo, nella vecchia Chiesa Madre di Piazza Fratelli Messina. Il dipinto sull’altare di fronte a quello del Crocifisso rappresenta La Madonna della Cintura (detta dal Parroco Giunta “Consolata”, a meno che non si riferisca ad un altro quadro). Il recente restauro del 2010, ha rivelato che l’opera è stata eseguita su un altro dipinto più antico probabilmente dello stesso soggetto, di cui non abbiamo notizia. Questo fatto avveniva principalmente quando una tela era talmente rovinata, da essere interdetta. Il parroco Giunta scrive che il quadro non è presente nell’inventario del 1745 (forse perché tanto danneggiato, da essere tolto dalla chiesa), ma lo ritrova accennato nel 1777, poco tempo dopo la fine dei principali lavori di costruzione della chiesa (forse quando fu ridipinto). Desideriamo precisare che nell’inventario del 1745 si parla di un altare di S. Maria del Soccorso con quadro: si riferiva forse a questo dipinto? (La devozione alla Madonna della Cintura nacque, secondo la tradizione, dal desiderio di S. Monica (331- 387), madre di S. Agostino (354-430), di imitare la Madonna anche nel modo di vestire: Monica infatti avrebbe chiesto a Maria di farle conoscere in che modo si sarebbe vestita dopo la morte di S. Giuseppe e, soprattutto, come vestiva dopo l’ascesa al cielo di Gesù. Benevolmente la Vergine si rese visibile a S. Monica con una veste dal taglio semplice, di colore scuro, raccolto ai fianchi da una cinta di cuoio che scendeva fino a lambire il terreno. Durante la visione la Madonna la invitò a vestirsi in modo simile e, slacciatasi la cintura, la porse a Monica, che si promise di portarla sempre. Fra i primi ad approfittare di questa opportunità fu proprio S. Agostino, la cui cintura divenne uno dei tratti distintivi dell’ordine degli Agostiniani.)
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Nell’angolo a destra dell’altare nel 2000 è stata esposta la statua in cartapesta di S. Antonio, proveniente dalla vicina Chiesa di S. Francesco. Sulla base di legno è inciso: P.tà DI STELLA INGRIA. Passando nella navata di sinistra, sul frontone dell’arco notiamo un cartiglio con la scritta: Paral: L: II APPARUIT…(SAL.) DOMINUS NOCTE ET AIT: AUDIVI ORATIONEM TUAM ET ELEGI LOCUM ISTUM MIHI IN DOMUM SACRIFICJ Cap: 16 Vers: 12., scoperta dopo il recente ripristino, sotto la scritta anteriore rimossa:….. Nel 2010 infatti sono stati ripristinati gli stucchi di questa navata da Alessandro Giuliana ed Alessandro Gulino, i quali hanno anche rifatto in marmo l’altare di S. Giuseppe e rimodellata la nicchia contenente dagli anni 80 la statua del Santo, ridipinta maldestramente nel 2011. Mancano a questa statua l’antico cuore d’argento e la vecchia collana con medaglione, rubati nel 1974.
Chiesa Madre: Particolare degli stucchi dei fratelli Signorelli
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(Il culto di san Giuseppe, padre putativo di Gesù e simbolo di umiltà e dedizione, ha avuto in Occidente una marcata risonanza solo attorno all'anno Mille. La Chiesa cattolica ricorda san Giuseppe il 19 marzo con una solennità a lui intitolata. In alcuni luoghi (ad esempio in Vaticano, ma non in Italia) è festa di precetto. I primi a celebrarla furono monaci benedettini nel 1030, seguiti dai Servi di Maria nel 1324 e dai Francescani nel 1399. Venne infine promossa dagli interventi dei papi Sisto IV e Pio V e resa obbligatoria nel 1621 da Gregorio VI)
In corrispondenza dell’altare, sul muro esterno di sinistra, è stata collocata una lapide con inciso: CAPPELLA DI MARIA ADDOLORATA EDIFICATA PER COOPERAZIONE DELLA CONFRATIA E POPOLO; sotto la lapide una pietra reca la data 1888. Abbiamo notizia di una tela grande della Pietà, citata nell’inventario del 1745, (l’Addolorata dell’inventario del 1910?), e descritta dal parroco Giunta nel 1928, la quale probabilmente doveva essere posta in questo altare. E’ certo, come attesta la lapide, che questa era prima la cappella dell’Addolorata, la cui nicchia ospitava fino agli anni 80 la statua, posta ora accanto all’altare del Crocefisso. Attualmente nella chiesa non c’è traccia del dipinto della Pietà. (La devozione alla Vergine Addolorata si sviluppò a partire dalla fine dell’XI secolo, con un primo cenno alle celebrazioni dei suoi 5 gaudi e dei suoi cinque dolori, simboleggiati da 5 spade, anticipatrici della celebrazione liturgica istituita più tardi. Questa devozione, tra le popolazioni mediterranee, è tra quelle più sentite tra i culti mariani, forse perché la Vergine è mostrata nella sua condizione più umana. La Sicilia è sicuramente la regione in Italia più importante per il culto dell'Addolorata.) Nell’arco successivo, è stata posta di recente un’edicola in legno lavorato, a modo di teca con vetri, contenente le piccole statue in cartapesta di S. Anna e la Madonna Bambina, proveniente dalla Chiesa del Monastero di S. Benedetto probabilmente risalente al periodo in cui le suore di S. Anna abitarono il Monastero. In alto è appeso il quadro di S. Anna, citato nell’inventario del 1745, ma non in quello del 1910. L’opera, reputata dal parroco Giunta molto più antica del 1745, perché presentava “molteplici abrasioni, a cui recentemente mano inesperta voleva riparare”, nel 2002 è stata consolidata e pulita da Grazia Marchì.
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(S. Anna ( Gerusalemme, I sec. a. C.– ...) è considerata dalla tradizione cristiana la moglie di Gioacchino e la madre di Maria Vergine . La Chiesa cattolica con papa Sisto IV ne ha fissato la data della memoria liturgica al 26 luglio. La santa è invocata come protettrice delle madri e delle partorienti. Anche S. Gioacchino è venerato come santo dalla Chiesa. I genitori di Maria non sono mai nominati nei testi biblici canonici; la loro storia fu narrata per la prima volta negli apocrifi Protovangelo di Giacomo e Vangelo dello pseudo-Matteo, per poi arricchirsi di dettagli agiografici nel corso dei secoli, fino alla Legenda Aurea di Jacopo da Varagine. Nel grande dipinto di S. Anna il parroco Giunta identifica anche S. Ignazio, probabilmente S. Ignazio di Loyola, (Loyola, 24 dicembre 1491 – Roma, 31 luglio 1556), che fu il fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti) Nel 1622 è stato proclamato santo da papa Gregorio XV.) Passando all’altare di S. Rita, notiamo che è stato rifatto in marmo nel 2004 nello stesso stile di quello di fronte, dedicato a S. Teresa. La statua lignea della Santa risale al 1940, come attesta la lapide posta sulla lesena, a sinistra dell’altare: PER VOTO E GRAZIA RICEVUTA LA SIGNORA RUVOLO ASSUNTA OFFRE 1940-XIX-E-F. Una targa alla base della statua reca scritto: “Casa MadonnaStabilimento Arte sacra CRISTIANO DELAGO fornitore pontificio ORTISEI (S. Ulrico) (Val Gardena)”. (S. Rita da Cascia (1381-1447) fu monaca agostiniana ed è chiamata dai suoi devoti “la santa degli impossibili”), Rivolgendoci verso la Cappella battesimale, prima coperta da una tenda e chiusa da un cancello, recuperato dall’antica balaustra, scorgiamo sulla sommità dell’arco un cartiglio con la scritta: CHI CREDERA’ E SARA’ BATTEZZATO SARA’ SALVO. Mc. XVI-16. Fino agli anni 60 la cappella conteneva un fonte battesimale in pietra del 1600, non sappiamo se recuperato dalla chiesa di S. Sebastiano o dalla 168
Matrice Vecchia. Questo fonte, conservato per molto tempo in alcuni locali prestati alla chiesa, verso i primi del 2000 fu prelevato e portato altrove… Nel 2011 gli stucchi della cappella sono stati rinnovati da Alessandro Giuliana ed Alessandro Gulino. Nel frattempo nella cappella è stato ricollocato l’antico fonte in pietra, che è stato recuperato e posto su un piedistallo appositamente ricostruito. L’altare frontale è stato rifatto in marmo con colori troppo vivaci e non in gesso dipinto a finto marmo, come era l’originale, e questo, a nostro parere, contrasta con l’austerità e l’essenzialità del fonte. Il dipinto del Battesimo di Gesù è stato pulito e reso più visibile. (Non c’è traccia però della data 1784, citata dal parroco Giunta, il quale reputa quest’opera una copia d’un lavoro dell’Orcagna, tesi improbabile per la diversità di stile, in quanto l’Orcagna visse ed operò nel 1300). Nel 2012 la tela è stata ulteriormente consolidata e pulita. Avviamoci verso il portone principale e da questa posizione soffermiamoci a guardare i grandi dipinti ad olio della volta centrale, rappresentanti i Misteri Gaudiosi. Dopo il quadrone vuoto sulla cantoria, il primo Mistero Gaudioso “L’annunciazione dell’Angelo a Maria Vergine” reca scritto: EMMA DA S. CATALDO 1965; segue il secondo “La visita di Maria Santissima a S. Elisabetta” con scritto: GIUSEPPE PUZZANGHERA; (La Visitazione della Beata Vergine Maria è una festa liturgica della Chiesa cattolica che si celebra il 31 maggio. Essa ricorda la visita che Maria Vergine fece a sua cugina Elisabetta subito dopo avere ricevuto l'annuncio (Annunciazione) che sarebbe diventata Madre di Gesù per opera dello Spirito Santo. Dopo l'annunciazione e ricevuto lo Spirito Santo, Maria si recò da Nazaret in Galilea a trovare Elisabetta in Giudea, in una città tradizionalmente ritenuta Ain-Karim situata 6 km ad occidente di Gerusalemme. Quando Maria giunse nella casa di Zaccaria, Elisabetta lodò Maria per essere stata disponibile al progetto di Dio. In risposta alla lode, la Vergine Maria espresse il ringraziamento a Dio 169
attraverso quello che è conosciuto come il "Magnificat" riportato dall'evangelista Luca e denso di reminiscenze bibliche. Maria rimase con Elisabetta circa tre mesi, cioè fino alla nascita di suo nipote Giovanni, il futuro Battista) il terzo Mistero “La nascita di Gesù nella capanna di Betlemme” con: GIUSEPPE PUZZANGHERA. (La descrizione della nascita o natività di Gesù (o soltanto Natività, per antonomasia) è contenuta nei vangeli secondo Matteo e secondo Luca oltre che nel Protovangelo di Giacomo. Entrambi i vangeli raccontano inoltre della nascita al "tempo di re Erode", riferiscono il nome dei genitori (Maria, promessa sposa di Giuseppe) e attribuiscono il concepimento verginale all'opera dello Spirito Santo. Le due narrazioni differiscono invece riguardo alle motivazioni per cui Gesù sarebbe nato a Betlemme, agli annunci dell'angelo e alle ragioni per cui la famiglia si recò a Nazaret dopo la nascita. Le differenze tra le due narrazioni sono così rilevanti, che gli studiosi ritengono che queste siano uno degli indizi della redazione indipendente dei due vangeli (la cosiddetta Teoria delle due fonti). La tradizionale datazione della nascita all'anno 1 a.C. è con ogni probabilità un errore compiuto nel VI secolo dal monaco Dionigi il Piccolo. Oggi la maggior parte degli studiosi colloca la nascita di Gesù tra il 7 e il 6 a.C. L'istituzione della festa liturgica del Natale, come ricorrenza della nascita di Gesù, e la sua collocazione al 25 dicembre risale al III-IV secolo). In seguito è rappresentato non il quarto, ma il quinto Mistero Gaudioso “Il ritrovamento di Gesù Tempio”, con la scritta: EMMA 1965 G. (Il Ritrovamento di Gesù al Tempio, anche chiamato Gesù tra i Dottori, è un episodio narrato nel Vangelo di Luca (2,41-50). Rappresenta l'unico episodio descritto dai vangeli circa la tarda infanzia di Gesù. Gesù dodicenne si intrattenne nel tempio di Gerusalemme con i dottori della Legge, all'insaputa dei genitori che lo ritrovarono dopo tre giorni.) La sequenza dei Misteri Gaudiosi è interrotta dall’arco trionfale, che contiene un nastro di stucco con al centro la scritta: VERE DOMINUS 170
EST IN LOCO ISTO, a sinistra “Rifacimento della navata centrale” e a destra “Progetto e manifa.ra G. Puzzanghera” Il quadrone con il quarto Mistero Gaudioso “La presentazione di Gesù al Tempio” si trova, invece, sulla volta del presbiterio, perché dà il titolo alla Parrocchia; sul dipinto è scritto: EMMA GIUS. da S. CATALDO FECE 1962 La volta del transetto di destra contiene il quadrone del terzo Mistero Doloroso “L’incoronazione di spine”, con la scritta: EMMA G. da S. CATALDO 1963; mentre quello della volta del transetto di sinistra è vuoto. (La coronazione di spine (o incoronazione di spine) è un episodio della vita di Gesù narrato nei Vangeli di Matteo (27:29), Marco (15:17) e Giovanni (19:2). La corona di spine è la corona con cui, secondo i testi sacri, fu incoronato Gesù, poco prima della sua condanna a morte, per mano dei soldati romani.) Nel 2011 è stata recuperata e ripristinata la Via Crucis composta da stampe, risalenti intorno agli anni 50’, alle quali le antiche cornici in legno sono state sostituite con altre recenti lavorate ad edicole da Alessandro Faraci di Barrafranca. Questa Via Crucis ha preso il posto della precedente a bassorilievo in bronzo dorato degli anni 80’. Successivamente è stata aggiunta la stampa recente della quindicesima stazione: La Resurrezione. Verso la fine dello stesso anno sono state rifatte le finestre della volta della navata centrale, e sono stati sostituiti i lampadari in vetro, risalenti alla fine degli anni 60, con dei nuovi in legno dorato, ritirati da una Ditta di Delia. Nel 2013 i pannelli del pulpito di Carmelo Musolino del 1906, sono stati adattati da Alessandro Faraci a formare un ingombrante ambone. Possiamo così ammirare gli intagli del legno rappresentanti tra l’altro 171
l’Ancora, la Croce e l’Ostensorio, simboli delle tre virtù teologali. L’ambone è stato collocato alla destra dell’altare postconciliare, consacrato e dedicato insieme alla chiesa il 3 febbraio dello stesso anno. Nel 2014 il tronetto episcopale posto a sinistra del presbiterio è stato completato da una parete di sfondo in legno realizzata dal sac. Benedetto Mallia e da Gino Patti. Durante la fine del 2014 e l'inizio dell'anno 2015 le vecchie bussole sono state sostituite da nuove bussole classicheggianti, opera di Alessandro Faraci, le quali richiamano i colori, i modi e lo stile degli stucchi del Signorelli. Anche se esteticamente accettabili, sono a nostro parere, meno pratiche delle precedenti.
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COMUNICAZIONE DELL’AUTORE
Oltre a riproporre la prima edizione integrale dell’opera, data alle stampe nel 1984, ho ritenuto doveroso negli “Aggiornamenti” far conoscere le modifiche e gli interventi che sono stati eseguiti nelle chiese di Barrafranca dal 1984 al momento attuale; nello stesso tempo mi è sembrato opportuno, sempre negli “Aggiornamenti”, integrare al testo della prima edizione del libro tutte le precisazioni e le notizie, che sono riuscito ad acquisire lungo questi anni sulle chiese di Barrafranca presentate. Desidero specificare che l’argomento resta aperto alla luce di nuovi interventi e di altre notizie che avrò occasione di conoscere nel corso degli anni futuri. Il testo, pertanto, può subire modifiche e cambiamenti: consiglio ai lettori di verificare e controllare periodicamente. Tutte le foto di questa pubblicazione sono state scattate dal sottoscritto: quelle dei Capitoli 1° e 2° nell’anno 2009, quelle del Capitolo 3° negli anni 2009 e 2010, quelle dei Capitoli 4° e 6° nell’anno 2010, e quelle del Capitolo 5° nell’anno 2011. Per nuove notizie, correzioni e precisazioni prego contattarmi via e-mail (gaetavicari@tiscali.it ) o telefonare ai seguenti numeri: 0934/465094, 333/7223200, 389/0488341 Gaetano Vicari
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BIBLIOGRAFIA Almae Siciliensis Provinciae Ordinis Minorum Conventualium S. Francisci…A Patre Magistro Philippo Cagliola a Melita…- Venezia 1644 Inventario della sacra visita della Chiesa Madre e filiali e Monastero…di Barrafranca – Catania 1745 Lexicon Topograficum Siculum …Studio et Labore S.T.D.D. Viti M. Amico et Statella Ordinis S. Benedicti…- Palermo 1757 Fra’ Dionigi: Relazione critico-storica della prodigiosa invenzione d’una immagine di Maria Santissima chiamata comunemente “della Cava di Pietrapercia” Val di Noto 1776 Inventario…dei santi suppellettili della venerabile Chiesa Maria Santis.ma della Grazia – Barrafranca 1790 F. Nicotra: Dizionario illustrato dei Comuni siciliani – Palermo 1907 Sac. L. Giunta: Brevi cenni storici su Barrafranca – Caltanissetta 1928 A Li Gotti: Note sulla Chiesa di S. Niccolò “in territorio Commecini” – Palermo 1955 F. Minissi: Aspetti dell’architettura religiosa del Settecento in Sicilia – 1958 A. Li Gotti: Notizie su Convicino (l’Hibla Galatina Sicula, la Colloniana Romana), detta poi Barrafranca, attraverso nuovi documenti (1091 – 1529) - Palermo 1958 A. Li Gotti: La penetrazione cristiana nella zona di Barrafranca, Piazza, Pietraperzia e Mazzarino secondo le recenti scoperte – Palermo 1965 Enciclopedia Universale dell’Arte – Istituto per la collaborazione culturale - Venezia, Roma 1967 Sac. G. Giuliana: La diocesi di Piazza Armerina – Caltagirone 1967 M. Cinotti: Arte del Rinascimento, Barocco e Rococò – Novara 1969 Enciclopedia Universale Seda dell’Arte Moderna – Milano 1969 E. Boaga: La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia – Roma 1971 C. Munari: Arte Moderna – Novara 1973 Enciclopedia dell’Arte Garzanti – Milano 1973 175
Dizionario Enciclopedico Bolaffi dei Pittori e degli Incisori italiani – Torino 1976 A. M. Astuto: Il Settecento Architettonico a Barrafranca e Pietraperzia – Catania 1976 S. Licata – C. Orofino: Barrafranca Storia – Tradizioni – Cultura popolare – Enna 1980 A. D’Aleo: Mazzarino e la sua storia – Caltanissetta 1980 F. Campagna Cicala: Caravaggio in Sicilia il suo tempo, il suo influsso – Palermo 1985 D. Aleo – G. Vicari: La grande eredità Viaggio attraverso le tradizioni della Settimana Santa nel cuore della Sicilia Fede e Folklore a Barrafranca – Caltanissetta 1986 C. Orofino: Ricordanze fotografiche barresi – Pietraperzia 1986 S. Ciulla: Barrafranca negli anni Trenta – Caltanissetta 1987 B. Centonze: Federico II di Svevia e Bianca Lancia da Mazzarino Splendori, luci ed ombre dell’entroterra di Sicilia con note di araldica – Palermo 1992 J. Hurè: Storia della Sicilia Dalle origini ai nostri giorni – S. Giovanni La Punta 2000 A. Cacciato, M. Campo, P. Russo, V. U. Vicari: Diocesi di Piazza Armerina Evento Giubileo – Caltagirone 2000 S. Vaiana: Una storia siciliana tra Ottocento e Novecento-Lotte politiche Sociali, brigantaggio e mafia, clero e massoneria a Barrafranca e dintorni –Palermo 2000 F. Salvaggio: Il culto di Maria S.S. della Stella a Barrafranca – Barrafranca - 2000 A. Scarpulla: C’era una volta e c’è ancora Barrafranca Contributo alla Storiografia di Barrafranca antica – Rimini 2001 D. Aleo: Dimenticare non si può Padre Cravotta – Barrafranca 2010 P. Giuliana: La Chiesa di Piazza Armerina nel Novecento- Figure del clero - Caltanissetta 2010 Wikipedia (Enciclopedia online) L’autore ringrazia i parroci G. Bonfirraro, L. Faraci, A. Geraci, S. Nicolosi, L. Tambè e G. Zafarana, padre V. Palermo, i sacerdoti L. Crapanzano e B. Mallia, l’ins. G. Orofino, il prof. D. Aleo, il prof. C. Flammà 176
e in particolare l’illustre studioso di fama internazionale dott. A. Ligotti per la gentile collaborazione.
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INDICE
PRESENTAZIONE DEL DOTT. ANGELO LIGOTTI……………………………………………………
pag.
6
CAPITOLO PRIMO-CHIESA MADONNA DELLE GRAZIE………………………………………..
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8
AGGIORNAMENTI-PARROCCHIA MADRE DELLA DIVINA GRAZIA…………………..
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14
CAPITOLO SECONDO-CHIESA DELLA MADONNA DELL’ITRIA………………………….
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26
AGGIORNAMENTI-PARROCCHIA MARIA S.S. DELL’ITRIA………………………………….
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34
CAPITOLO TERZO-CHIESA MARIA SANTISSIMA DELLA STELLA…………………..
“
44
AGGIORNAMENTI-PARROCCHIA MARIA S.S. DELLA STELLA…………………………….
“
58
CAPITOLO QUARTO-CHIESA DI SAN BENEDETTO……………………………………………….
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78
AGGIORNAMENTI-CHIESA E MONASTERO DI S. BENEDETTO………………………...
“
88
CAPITOLO QUINTO-CHIESA DEL CONVENTO DI SAN FRANCESCO……………….
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98
AGGIORNAMENTI-CHIESA E CONVENTO DI S. FRANCESCO…………………………….
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CAPITOLO SESTO-CHIESA MADRE……………………………………………………………………………..
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128
AGGIORNAMENTI-PARROCCHIA MARIA S.S. DELLA PURIFICAZIONE………….
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146
COMUNICAZIONE DELL’AUTORE…………………………………………………………………………………
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BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………………………………………………………………
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