di Nicola Calso
(un contributo) Dal Nord Est di Lupiae a Brundisium
I MESSAPI EDIZIONI PUBLIGRAFIC
di Nicola Calso
(un contributo) Dal Nord Est di Lupiae a Brundisium
I MESSAPI
Agenzia di sviluppo locale
In copertina: pianta del territorio e feudi sottoposti alla giurisdizione della terra di Squinzano, a. 1761
Nicola Calso è nato a Trepuzzi (Le) nel 1950. Diplomato aII’I.T.I.S. “E.Fermi” di Lecce. Dal 1973 opera nell’attività artigianale per la produzione di lampadari. Nel 1976, in seguito alla scomparsa del padre, costituisce con i fratelli una s.n.c.,la “Eredi di Calso C. di Calso Nicola s.n.c. & C.”.Tale attività lo ha portato in alcuni Paesi del Bacino del Mediterraneo (Egitto, Libia, ecc.) da cui è tornato con grande passione per la storia e soprattutto per l’archeologia.
A mio padre Nicola Calso
Ancora siano i segni
Ancora siano i segni sulle rocce a dischiudere il tempo profili di guerrieri e bisonti in corsa, sotto un piccolo sole in forma di stella… … vibra un dolmen poco lontano con forza immobile convoca mani e rami Tre pietre - minima famiglia sfuggita al diluvio in silenzio guardarle nella notte accostando l’orecchio al tronco dell’ulivo sentirsi roccia linfa voce arca approdata e fusa in terra Ancora siano i segni sulle pagine a traghettare il tempo:… Annamaria Ferramosca da: Curve di livello, Marsilio, Venezia 2006.
«Mi considero un ignorante di cose messapiche: Ciò dipende dal fatto che nessuno sa nulla dei Messapi» ORONZO PARLANGELI
Nicola CALSO
I MESSAPI
(un contributo) Dal Nord-Est di Lupiae a Brundisium
Con il patrocinio della Provincia di Lecce prot. n. 1973 del 14 gennaio 2008
Provincia di Lecce
Comune di Trepuzzi
Fotografie: Ottica Petrucci Impostazione grafica: Donato Luigi Rampino Stampa: Publigrafic - Via David Ricardo - Trepuzzi (Le) Finito di stampare nel mese di Aprile 2008
Ringraziamenti
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Ringraziamenti L’autore ringrazia: il prof. Salvatore (Totuccio) Capodieci per la sua supervisione e collaborazione durante la stesura del testo. L’ing. Piero Capodieci di Trepuzzi, il dott. Ettore Ferramosca di Lecce, Raffaele Martina di Surbo, il Cav. Grand’uff. dott. Michele Morelli di Trepuzzi, Piero Pampo di Lecce, il dott. Raffaele Rampino di Trepuzzi e il prof. avv. Ernesto Sticchi Damiani di Lecce per i loro preziosi consigli e la loro generosità; il prof. Antonio Salvatore Elia e i dott.ri Alessandro Capodieci, Luigi Mazzotta, Fernando Monte, Elena Palladino, Gaetano Papadia, Antonio Perrone, Claudio Petrucci, Sandro Rimini Martucci e Luigi Tafuro per le lunghe conversazioni sull’argomento; il dott. Ciro Petrucci per la sua abilità fotografica; i sigg. Saverio Bianco, Cosimo Calso, Valeria Cordara, Cosimo Margilio, Pier Luigi Marinelli, Giovanni Napolitano, Pasquale Quarta e Fabrizio Valzano. Un ringraziamento particolare viene rivolto al prof. Amedeo Maizza di Squinzano, agli avv. Francesca Conte di Lecce, Lea Cosentino di Lecce, Antonio Natrella di Lecce, Mario Sansonetti di Lecce, Antonio Savoia di Trepuzzi, Antonio Tanza di Galatina, Sergio Tognon di Padova e Maurizio Villani di Lecce per la loro sensibilità verso le tradizioni e la storia del nostro territorio. Last but not least, l’autore ringrazia Donato Luigi Rampino e Renato Caldarola, sin dall’inizio preziosi compagni di questa gravosa avventura che, con il loro amore verso la nostra terra, l’ammirazione per la sua pluriennale storia, hanno sorretto questa mia fatica.
Sommario
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SOMMARIO - Introduzione
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- Prefazione
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- Presentazione
19 PARTE PRIMA
- Lettera di A. Galateo a Giovan Battista Spinelli Conte di Cariati
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- Antonio Galateo Medico
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- LA TRADIZIONE MESSAPICA
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- CENNI STORICI SUI MESSAPI
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- CENNI SULLA RELIGIONE DEI MESSAPI - CENNI SULLE CERAMICHE E ARTIGIANATO DEL SALENTO
43 48
- CENNI SUI CENTRI MESSAPICI DI PRESUNTA MONETAZIONE - CENNI SULLE EPIGRAFI DEL NOSTRO TERRITORIO - CENNI SUI COMMERCI NEL SALTUS E NELLA PIANA DEI MESSAPI
56 58 61
L’età del ferro Il periodo cosiddetto protourbano Il periodo ellenistico
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Sommairio
PARTE SECONDA
- CONTRADA VALESIO (BALESIUM) NORD TORCHIAROLO (BR)
69
- ILLUSTRAZIONI DI RINVENIMENTI MONETALI FORTUITI NEL SITO DI VALESIO
78
- Taranto. Cenni storici
81
- Terina. Cenni storici
89
- Crotone. Cenni storici
93
- Ambrakia (Epiro). Cenni storici
99
- CONTRADA AFRA
110
- ILLUSTRAZIONI DI RINVENIMENTI MONETALI FORTUITI NEL SITO DI AFRA
116
- Storia della moneta ad epigrafe ΥΡΙΑ−ΤΙΝΩΝ
119
- Cenni storici sull’asse romano
124
- Timoleonte di Corinto e Siracusa (345-336 a.C.)
130
- Siracusa. Cenni storici
131
- CONTRADA CISTERNO
136
- ILLUSTRAZIONE DI RINVENIMENTI MONETALI FORTUITI NEL SITO DI CISTERNO
138
- ZEUGITANA - MURO MAURIZIO
148 154
Sommario
13
- Dyrrachium-Epidamno. Cenni storici Storia della moneta ad epigrafe ∆ΥΡ
158
- ILLUSTRAZIONE DI REPERTI NEL SITO DI MURO MAURIZIO
176
- CONCLUSIONI
177
- BIBLIOGRAFIA
181
- GLOSSARIO
195
- INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI
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Introduzione
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INTRODUZIONE Possano i nostri concittadini sentirsi orgogliosi figli del glorioso passato1 e artefici di un altrettanto glorioso avvenire. Il miracolo, forse, fu nell’essere uomini nella terra tra i due mari, sintesi vivente della molteplicità e delle diversità etniche e razziali. La lettura di queste pagine sia «Poca favilla gran fiamma seconda». Nicola Calso
1) «Ecco perché noi figli dei Messapi dobbiamo andar superbi d’essere appartenuti a quella stirpe mediterranea la quale, col sole della sua più volte millenaria civiltà, illuminò il mondo intiero e continuerà ad illuminarlo anche nei secoli che si leveranno dietro i tempi» (P. MAGGIULLI, Sull’origine dei Messapi, in “Rinascenza Salentina”, Lecce XII (1934), p. 36).
Prefazione
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PREFAZIONE Per molti secoli la storia è stata tramandata oralmente di generazione in generazione. La conoscenza della scrittura e la capacità di leggere i documenti erano infatti un privilegio quasi esclusivo delle più influenti e facoltose classi sociali. Favole, canti, proverbi, aneddoti e racconti di vario tipo che i genitori narravano ai figli, i nonni ai nipoti e, più in generale, gli adulti ai giovani, avevano la funzione di non far dimenticare il proprio vissuto storico. Di bocca in bocca, soprattutto nelle fredde sere d’inverno, nelle stalle, vicino ai grandi camini domestici, nelle piazze e ovunque vi fossero luoghi di socializzazione, gli anziani raccontavano le piccole vicende locali che hanno contribuito a formare le nostre comunità e le nostre terre. Oggi l’aumentata possibilità di accedere ai sempre più numerosi strumenti della conoscenza, da Internet alla televisione, ma anche la nostra frenesia, la nostra minore capacità di ascoltare, la nostra minore disponibilità a prestare attenzione alle vicende che circondano il nostro agire quotidiano, ci hanno portato lentamente alla dimenticanza e all’oblio del nostro passato, sia esso recente o remoto. Il locale si intreccia con il generale in un continuo rapporto dialettico; non solo quindi identificazione tout court con le grandi civiltà (Greci, Romani, ecc.), con grandi personaggi (Napoleone, Garibaldi ecc.), con grandi eventi (le Guerre Mondiali ecc.), ma lo studio delle diverse sfumature di una realtà, per evitare schemi interpretativi generici e spesso mistificanti. Si tratta di una visione storiografica ed una acquisizione relativamente recenti, che si possono far risalire a poco prima della metà del secolo scorso, che tendono a valorizzare i legami, le interconnessioni, le “contaminazioni” tra le comunità e le culture del proprio territorio per consentire e ritrovare la propria identità culturale. In questo solco mi pare si possa inserire il lavoro di Nicola Calso che ha voluto dare organicità e sistematicità allo sforzo di approfondimento della storia patria, studiando un periodo che risale ad alcuni secoli prima della nascita di Cristo, e un popolo, i Messapi, che non ebbe mai aspirazioni espansionistiche o indole aggressiva, in un’epoca in cui “avanzare e conquistare” era un fatto naturale. La dedizione e la passione per l’archeologia e gli studi sull’antichità del nostro concittadino, la fierezza e la mitezza dei nostri antichi progenitori possano costituire esempio per i nostri contemporanei, anche ad ascoltare le “voci” del nostro passato per meglio conoscere la nostra genesi, le nostre origini, le nostre tradizioni. Don Fernando Filograna
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Presentazione
PRESENTAZIONE La Puglia è tra le regioni d’Italia più ricche di tesori archeologici, perché da sempre crocevia di culture, susseguitesi senza conoscere soluzioni di continuità. La Puglia antica vide la convivenza di genti greche ed indigene. Tale convivenza si protrasse per oltre cinque secoli, sino alla totale e salda conquista romana della fine del III secolo a.C.. Gli Iapigi, un ethnos già formato all’inizio del X secolo a.C. e culturalmente ben caratterizzato, occupavano la Puglia dal Gargano al capo di Santa Maria di Leuca, ed erano articolati in tre principali gruppi: Dauni, Peucezi, Messapi. Il confronto tra colonizzatori greci e civiltà indigene (nel nostro specifico tra Tarantini e Messapi) comportò una conflittualità costante, insanabile, anche se variamente intensa. Agli Italioti, come si accennava, subentrarono i Romani. I Messapi, la loro storia, la loro lingua sono oggetto da tempo di intenso studio. Le antiche fonti storiche a noi pervenute non sono generose di informazioni sui Messapi: tutto quello che possiamo ricavare dalle fonti letterarie si riduce ad una esilissima trama di riferimenti e vicende per lo più belliche. La storia è scritta dai vincitori! Risulta, pertanto, complesso il compito dello storico moderno, che può integrare la tradizione scritta con la documentazione in continuo accrescimento, della cosiddetta “cultura materiale”, con i risultati dell’intensa attività archeologica (ci riferiamo agli scavi “ufficiali”) che, soprattutto in questi ultimi tempi, si rivela sempre più attenta a cogliere, con rigore metodologico, ogni indizio atto a portar luce sugli aspetti della vita dei nostri progenitori. Se le fonti storiche hanno fornito una trama generica sulla storia, è l’investigazione archeologica che ha consentito di comporre un quadro storico preciso. Ho conosciuto Nicola Calso su presentazione di Michele Caldarola. Egli mi comunicò il suo grande amore per il Salento, nonché la passione per le monete antiche. Causa l’istintiva diffidenza nei confronti dei collezionisti moderni, rimasi alquanto meravigliato della loro conoscenza. Ho frequentemente rincontrato Calso, sempre presente alle mie conferenze, anche al di fuori del Salento, sulla numismatica, convincendomi che il suo era “vero amore” per le monete, un grande amore che può
Presentazione
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sempre diventare “pericoloso”. Quando mi ha chiesto di scrivere la presentazione, però, poiché risulta impossibile fermare la “forza della natura”, ho, infine, accettato l’invito. Il libro di Calso è rivolto ad un pubblico ampio, non di specialisti, costituito anche da giovanissimi, pubblico interessato alla storia delle epoche passate ed alle sue testimonianze viste come parte dell’identità della collettività e della storia del territorio. Calso rivolge particolare attenzione alla documentazione numismatica, cioè sia alla produzione monetale dei centri della Messapia sia alla circolazione monetale nel territorio considerato. Il bene culturale “moneta” è da sempre testimone diretto di avvenimenti e di realtà politico-sociali, oltre che economiche, e chiave di lettura privilegiata della mentalità dei popoli, delle loro ideologie, della loro organizzazione politica elitaria o democratica. Le monete sono anche un veicolo di diffusione di messaggi, perché nelle mani di tutti. Chi sa interrogarle è in grado di conoscere un mondo lontano attraverso il quale capire meglio la nostra storia. La numismatica, oggi, si stacca da una tradizione di studi, fondamentalmente derivata da un nobilissimo ma secolare collezionismo, e affronta la moneta per quello che è realmente e concretamente: monumento fondamentale per la conoscenza di innumerevoli aspetti, storici, antiquari, giuridici, economici, sociali del mondo antico. Fondamentale, a tal proposito, che le monete provenienti dal terreno restino strettamente collegate al luogo ed alla giacitura di provenienza, il “contesto”. Anche il recupero di una sola moneta da un sito archeologico, da una sepoltura, da uno dei tanti possibili luoghi di deposito antico può costituire un dato scientifico incommensurabile e un acquisto prezioso per la collezione di un museo pubblico, dove l’oggetto resterà patrimonio inalienabile di tutta la comunità. Se recuperata da un “cacciatore di tesori”, spesso dotato di un metal-detector, e così inghiottita in una collezione privata o prontamente immessa, priva di qualunque dato di provenienza, nel commercio numismatico magari straniero, spesso privo di scrupoli, quel testimone di una cultura monetaria antica resterà muto, potendo solo parlare per i tipi e le leggende e per il valore commerciale che i capricci del mercato gli avranno attribuito. Importante che si diffonda nella cultura media del nostro paese la convinzione che chi scopre fortuitamente beni immobili o mobili indicati dalla legge ne debba denunciare alle autorità competenti, con il necessario corollario che le cose ritrovate appartengono allo Stato.
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Presentazione
In conclusione, la più antica storia della nostra terra si riflette, come in uno specchio, nelle monete che di quelle vicende furono, di volta in volta, testimoni. Ma perché la loro testimonianza sia esplicita e completa occorre che questi documenti possano essere considerati nella loro integrità, correlati con il loro ambiente e col tempo che li espresse, valutati nell’ambito delle circostanze in cui sono tornati alla luce. Altrimenti essi potranno, in molti casi, essere oggetto di curiosa ammirazione o di cupido desiderio, ma non potranno certamente contribuire a narrarci la storia del nostro passato. E la storia è di tutti! Il libro presenta una documentazione quasi sempre inedita, quindi utile perché ci aiuta a conoscere la nostra memoria e a non disperderla. Questo lavoro non rimarrà inutile se desterà in chi lo leggerà una qualche curiosità. Il nostro augurio è che i lettori non vengano sollecitati a recuperare personalmente la propria storia (=oggetti antichi). Il nostro auspicio è che gli oggetti di interesse storico-archeologico in proprietà privata possano passare ad Enti pubblici preposti, con l’impegno di tutelarli, renderli fruibili e valorizzarli. Aldo Siciliano
Prof. ALDO SICILIANO: Direttore Dipartimento Beni Culturali - Università del Salento, Ordinario di Numismatica Greco-Romana.
Antonio Galateo al Conte di Cariati
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Antonio Galateo All’illustrissimo uomo Giovan Battista Spinelli Conte di Cariati «In hac Hydruntum, Callipolis, Neritum, et unde mihi antiqua origo est, Catalana, Brundisium, Tarentum, Metapontus, Heraclea, Thurii, Sybaris, Croton, Locri, Rhegium, Messana, Syracusae, et ut mihi constituam, tales erant, quondam hae urbes, quales, quae nunc in Italia habent nobilissimae. Hic a Pherecide Syro fluxit Italica philosophia, hic pythagorica disciplina, hic mores, hic apud Graecos (teste Aristotele) prima benevivendi instituta, primi convictus. Primi leges scriptas dedere Thurii, apud quos graecae historiae pater Herodutus suas scripsit Musas. Nunc tempore, et vetustate omnia collapsa sunt. Nunc inconstans, ac lubrica fortuna, quae res hominum, atque imperia ipsa, nunc huc, nunc illuc, agitans, omnia permiscet ac perturbat, alio vertit sua numera»2. «In questa regione si vedevano Otranto, Gallipoli, Nardò e Galatone, donde traggo la mia antica origine, Brindisi, Taranto, Metaponto, Eraclea, Turio, Sibari, Crotone, Locri, Reggio, Messina e Siracusa, le quali a mio credere erano allora, come adesso si hanno le più rinomate città d’Italia. Qui da Ferecide Sirio scaturì l’Italica filosofia, qui fiorirono la disciplina di Pitagora, il buon costume, i rudimenti del ben vivere appo i greci, come Aristotele attesta, e le prime società conversanti. Quei di Turio, i primi, promulgarono leggi scritte, presso i quali Erodoto padre della storia greca scrisse le sue Muse. Ora nulla di ciò si rinviene sendo tutto consumato dall’antichità e voracità del tempo. L’incostante e scorrevole fortuna, la quale, agitando le cose degli uomini e degli imperii, mesce e perturba ogni cosa, ha rivolto altrove i suoi doni».
2) A. DE FERRARIIS, Epistole Salentine, a.c. di M. Paone, Congedo Ed., Galatina 1974, pp. 73-75.
Antonio Galateo Medico
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Antonio Galateo Medico «Salentinos obsedit milite campos Lictius Idomeneus Hic eiectis, aut subactis Iapygibus, fere omnem peninsulam Cretensium coloniam fecit: lingua, et literas graecas invexit, lingua et literis messapiis abolitis: assumptis graecis forte cultioribus, aut quia illis victores utebantur. Solent enim victi populi in victorem, et linguam, et mores, et vestes transire, neque indocilis est infoelix Italia ad peregrinos et mores, et habitus capessendos. Cretenses quondam mari imperasse, et omnes graecas insulas, aut subegisse, aut habitasse, auctor est Aristoteles. Ait etiam: Videtur enim insula optime posita ad imperandum toti mari. Quinetiam, et Cretenses Athenarum potiti sunt, et Cyrenaicam provinciam habitaverunt. Illorum et nos sumus colonia»3. «Ne’ Salentini I suoi Cretesi Idomeneo condusse. Costui, discacciati o soggiogati gli Iapigi, rese quasi tutta la penisola una colonia cretese […] che i Cretesi una volta stati siano padroni del mare, che abbiano soggiogato o abitato tutte l’isole greche ne parla Aristotele, il quale ancora soggiunge che Creta sembra bellamente situata per comandare a tutto il mare. I Cretesi si resero padroni di Atene, ed abitarono la provincia di Cirene, e noi parimenti siamo colonie di quelli». «Alii (ut Aristoteles Herodotusque) Iapygiam dixere: alii Salentinam: Peuceciam alii, alii a Duce Mesapo, Mesapiam, alii magnam Graeciam, alii Apuliam»4. «Alcuni, come Aristotele ed Erodoto, la chiamarono Iapigia, altri Salentina, chi Peucezia, chi Messapia dal capitano Messapo, chi Apulia».
3) Idem, p. 141. 4) Idem, p. 85.
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Antonio Galateo Medico
«Pausania, che aperta differenza fà da’ Peucezi a’ Tarantini, come da questi a’ Messapi. Diogene Laerzio, toccando di quei che alle lezioni accorrevano di Pitagora, da’ Peucezi ben distingue i Messapi, e Malco afferma, che il tarentino Aristosseno, discepolo di Aristotele, riferisce che i Lucani, i Messapi, i Peucezi ed i Romani si recan tutti ad ascoltare Pitagora»5.
5) A. LOPICCOLI, Compendio storico di Manduria, manoscritto inedito del 1884, Provveduto Ed., Manduria 2000, p. 27. Vedi anche ARISTOSSENO DI TARANTO (IV-inizi III sec. a.C.) fr. 17 Wehrli, conservato presso PORFIRIO, La vita di Pitagora, 22: «[…] tra i suoi seguaci (di Pitagora) vi furono anche Lucani e Messapi e Peucezi e Romani» (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia nelle fonti letterarie greche e latine, a cura di M. Lombardo, Congedo Ed., Galatina 1992, p. 31; d’ora in avanti I Messapi e la Messapia..., cit.).
PARTE PRIMA
La tradizione messapica
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LA TRADIZIONE MESSAPICA Il semplice osservatore di cose messapiche che si avventura nella ricerca delle proprie origini e scruta nelle testimonianze di un’epoca scomparsa degli abitatori di queste terre, pieno di molti dubbi e infinite ipotesi, è spesso senza risposta. Eppure quel mistero popola di fantasmi le contrade delle terre salentine o le sconfinate pianure dove riaffiorano ossa senza corpi, senza identità, e dove l’aratro continua ad inceppare in sarcofaghi (Foto 1) dai segni incomprensibili, che tuttavia mandano richiami di fratellanza. Il più insignificante oggetto rinvenuto acquista un significato nuovo e diventa quasi il simbolo di una continuità. Questo popolo di eroi sepolti attende anch’esso la sua resurrezione, la sua rinascita. Ancora una volta il destino dei Messapi, accomunato a quello di altri popoli grandiosi, a conferma del sentimento di nobiltà decaduta a quell’alfabeto muto (Foto 2), diventa sì il segno di una sconfitta, ma anche di una scommessa futura, di una vittoria possibile6. La speranza è che gli sforzi di O. Parlangeli, J. Unterman, M. Lejeune, Carlo De Simone ed altri possano un giorno farci leggere la storia di questi nostri progenitori.
6) Cfr. D. VALLI, La tradizione messapica nella moderna letteratura del Salento, Prolusione a I Messapi, Atti del XXX Convegno di Studi sulla Magna Grecia, TarantoLecce, 4-9 ottobre 1990, Stab. “Arte Tipografica s.a.s.”, Napoli 1993, pp. 7-32; d’ora in avanti I Messapi ..., Atti del XXX ..., cit..
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La tradizione messapica
(Foto 1) Illustrazione di lastrone tombale.
La tradizione messapica
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(Foto 2) Esempio di scrittura messapica*
Vedi Klaohi Zis. Il culto di Zeus a Ugento, a cura di F. D’Andria e A. Dell’Aglio, Edizioni Moscara Associati, Cavallino (Le) 2002.
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Cenni storici sui Messapi
CENNI STORICI SUI MESSAPI La popolazione dei Messapi ha avuto indubbiamente una sua propria identità, come si rileva dai dati che si vanno acquisendo negli scavi archeologici. Va detto, peraltro, che gli stessi greci riconoscevano ad essa caratteristiche particolari, tanto da definire con un nome specifico il territorio oggi racchiuso nel comparto archeologico di cui mi sto occupando, evidentemente per distinguerlo da altre aree in cui vivevano comunità portatrici di una cultura diversa7. Comunque i Messapi8 ebbero stretti collegamenti con la cultura ellenica9, tanto che essi, ritenendo,
7) «Diciannove secoli prima dell’era cristiana, secondo le vetuste tradizioni dei greci, il mezzogiorno dell’italiana penisola invaso venne da una doppia corrente avventuriera di Pelasgi, uomini di tempra oltremodo energica, fattiva e creatrice. Peucezio ed Enotro, nepoti audacissimi del divo Pelasgo menarono, quali duci, queste due colonie uscite dall’Arcadia che, l’una dopo l’altra, di quà e colà si sparsero per la Calabria, la Puglia, la Lucania e la Iapigia. I Dauni, i Peucezi, e Lucani ed i Messapi furono di siffatte colonie discendenti. Gli Enotri ed i Tirreni ch’erano tribù di Pelasgi abbastanza ordinate, operose ed ardite, sopraffatti dalle forze maggiori di Deucalione, sfrattarono dalla Tessaglia […] e nelle coste della Messapia, non è improbabile che desse fondo. Quivi dalla ubertà del suolo e dalla mitezza del clima attirati vi si fermarono […] cogl’indigeni a bonaria composizione venuti […] Le vetuste narrazioni ascrivono la edificazione della città di Oria all’accidentale migrazione di quei Cretesi che bramosi di vendicare sopra Còculo, tiranno di Camico, la violenta morte del loro re Minosse, ebbero duramente avversa la fortuna. La loro improvvisa comparsa […] venne un secolo e più dopo che la maggior parte della bassa Italia viveva sotto il freno della signoria Pelasga-Tirrena. E quivi […] costretti dall’incontro di condizioni affatto peculiari ad accettare, a lasciar di Cretesi il nome ed a chiamarsi invece Iapigi-Messapi» (A. LOPICCOLI, Op. cit., pp. 21-24). 8) «1. Licaone, l’autoctono, ebbe per figli Iapige, Daunio e Peucetio. Radunato un esercito essi giunsero sulla costa adriatica dell’Italia, ed avendo cacciato gli Ausoni che vi abitavano, vi si stabilirono essi stessi. 2. Il grosso del loro esercito era formato da coloni Illiri aggiuntisi ad essi sotto la guida di Messapio. Essi quindi divisero in tre parti sia l’esercito che il territorio e chiamarono i tre gruppi, dal nome di colui che fu posto a capo di ciascuno di essi, Dauni, Peucezi e Messapi. La regione che si estende da Taranto fino all’estremità dell’Italia divenne il paese dei Messapi, in cui si trova la città di Brindisi, la regione contigua ad essa al di qua di Taranto, divenne il paese dei Peucezi e, i Dauni occuparono gran parte della regione costiera. E all’intero popolo diedero il nome di Iapigi […]» (NICANDRO DI COLOFONE [II sec. a.C., floruit nella seconda metà], fr. 47 Schneider, conservato presso ANTONINO LIBERALE, Metamorfosi, XXXI. I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 6-7, cit., pp. 42-44). 9) Cfr. S. TREVISANI, Viaggio nella Puglia archeologica, Capone Ed., Lecce 2001, p. 40 (Interviste a G. Andreassi, A. Alessio, M. Corrente, M. Mazzei e D. Venturo).
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giustamente, quella greca una cultura di livello superiore, si avvalevano di oggetti che appartenevano ad una produzione artistica molto apprezzata. Nella maggior parte dei casi si tratta di oggetti acquistati sul mercato, che in genere vengono utilizzati sia in vita sia per accompagnare i defunti nella morte. I Messapi fanno il loro ingresso nella storia con Erodoto10, il quale racconta che, dopo la morte di Minosse11 in Sicilia, i Cretesi, spinti dal volere degli dei, avevano fatto una spedizione in massa per vendicare l’uccisione del loro re. Ma, dopo un assedio durato cinque anni alla roccaforte di Camico, sulla via del ritorno in patria erano incappati in una terribile tempesta che li aveva gettati sulle coste della Iapigia; vistisi costretti a restare 10) Cfr. HERODOTUS, Historiae, VII, 170 (Ed. C. Hude, Oxonii 1927) (I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 6-7).
11) «La venticinquesima narrazione riferisce che Minosse, figlio di Zeus e di Europa e re di Creta, per andare alla ricerca di Dedalo navigò con una flotta alla volta della Sicania e venne assassinato dalle figlie di Cocalo, che regnava sui Siculi. E i Cretesi fecero guerra ai Siculi per vendicare […]» (CONONE [I sec. a.C., I sec. d.C. ] fr. 1. XXV Jacoby, conservato presso FOZIO, Biblioteca, 186, 25) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 107-108). 12) Sulla interpretazione di questo passo e la collocazione di Hyrie vi sono diverse ipotesi formulate dagli storici. Alcuni credono che sia Oria (l’erodotea Hyrìa) e derivi dal greco “OROS”. Altri, invece, ritengono che derivi da “IRIS”, dea dell’arcobaleno, pensando ad una sua probabile apparizione dopo la tempesta che distrusse le navi dei cretesi, facendole naufragare sulla costa della Iapigia, presagio di pace e buone speranze. Gaspare Papatodero, storico oritano, fa derivare il suo nome da “HYR”, un vocabolo ebraico significante città, popolazione, e ne sostiene la tesi affermando che i cretesi che avevano fatto naufragio sulle coste pugliesi dovevano essere dei filistei. Il nome Hyrìa e simili, del resto, sono molto frequenti nella tradizione letteraria greca classica per indicare nomi sia di divinità sia di persone e di località. Omero, inoltre, conosceva con il nome di Hyrìa una località dell’Aulide, e Strabone una città tra Tebe ed Argo chiamata Hyrìa; Tucidide, infine, dice che Zacinto un tempo si chiamava Hyrìa. La diffusione di questo nome, pertanto, ci riporta alla mente il costume degli antichi coloni greci che, sbarcati in una terra lontana, le assegnavano il nome della loro madre patria, specialmente se questa aveva il nome di una divinità (cfr. G. D’AMICO, Da Hyrìa cretese ad Uria romana, Italgrafica, Oria 1989, pp. 13-15). Il Pais, consapevole della stretta analogia fonetica tra l’antico centro di Vereto e quello di Oria, riteneva che i cretesi, una volta sbarcati sulle coste salentine, si fossero stanziati, in un primo momento, in una zona nei pressi del mare, dove avrebbero edificato una Hyrìa marittima (Veretum), e solo successivamente si fossero spostati verso l’entroterra, edificando una Hyrìa mediterranea, identificabile con il centro di Oria (cfr. E. PAIS, Storia della Sicilia e della Magna Grecia (1894), Forni Ed., Sala Bolognese 1984, pp. 551-552). «I nostri Iapigi, i nostri Salentini non furono in origine se non Filistei, nome derivante dall’ebreo fils, che significa straniero, viaggiatore, peregrino. Ma coloro i quali addiman-
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nella regione senza navi, vi avevano fondato la città di Hyrie12, trasformandosi quindi da Cretesi in Iepyghes–Messapioi13. Muovendo poi da Hyrie, avevano fondato numerose città. Secondo Erodoto, seguì anche un periodo di sviluppo e di benessere per i nuovi venuti, ormai acclimatatisi, se, dopo una prima sconfitta subita ad opera dei Tarantini desiderosi di espandersi verso sud-est, riuscirono in tempi relativamente brevi a riorganizzarsi e ad infliggere una terribile sconfitta intorno al 473 a.C. ai baldanzosi Tarantini. Lo stesso Erodoto è ricco di particolari nel descrivere questa vicenda e, tra l’altro, ci riferisce di una alleanza fra Taranto e Reggio Calabria comandata da Micito contro gli Iapigi14. davansi filistei non erano in specie se non un’agglomerazione di genti orientali, tra’ quali primeggiavano i Fenici […] Essi formarono colonie e stazioni nell’Illiria, nella Sicilia, nella Corsica, nella Sardegna, nell’Italia, nella Gallia e fino a Cadice» (G. ARDITI, La Leuca salentina, presso l’Ufficio del Messaggero del Sacro Cuore, Bologna 1875, p. 8). 13) Arcangelo Alessio, nel fare una analisi del passo erodoteo, pensa che la frequentazione micenea fu, forse, utilizzata dai Messapi, dal momento che i Cretesi venivano considerati progenitori degli Iapigi-Messapi, al fine di potersi avvalere della tradizione per testimoniare di fronte ai Greci di avere anche loro una salda origine da contrapporre alla Taranto greca (Cfr. S. TREVISANI, Viaggio nella Puglia Archeologica, cit., p. 46). «Avremo sempre che i Messapi dominarono fin nella Daunia, prima dello avvento Diomedeo, che Iapigi e Messapi furono reputati di una razza istessa; tradizione oggi confirmata dall’antropologia, come era stata provata dalla filologia e […] tramandataci dall’antichità» (L.G. DE SIMONE, Note Iapygo-Messapiche, Stamperia Reale, Torino 1877, p. 4). «Ora, se i Messapi e i Iapigi fossero stati di una stessa nazionalità, come spiegare l’assenza di iscrizioni e di nomi messapici fuori della Messapia, e nel resto della Iapigia, la quale si estendeva sino al Gargano? […] Sembra perciò che si siano interamente ingannati tutti coloro che prima e dopo del principe della critica storica contemporanea, hanno ritenuto insieme con lui che i due antichi popoli dell’odierna provincia di Lecce abbiano avuto ugualmente uguaglianza di stirpe e di nazionalità» (A.R. MURA, I Messapi e Iapigi nella penisola salentina, Tip. B. Conti, Matera 1910, p. 10). «Non può quindi riconoscersi tra i nomi di Iapigi e di Messapi altra distinzione che quella tra un termine più ed uno meno comprensivo […] Ciò mostra quanto sia erronea l’opinione moderna che gli Iapigi siano Illiri giunti per terra nella Puglia settentrionale, mentre i Messapi sarebbero greci giunti per mare […] Pertanto è inammissibile una distinzione etnica tra Messapi e Iapigi […] Messapia è voce greca […] Invece è da credere che le tribù di Terra d’Otranto, che portavano il nome di Calabri, e di Sallentini e quello più generico di Iapigi, furono denominati dai Greci Messapi e Messapia il loro paese, al modo stesso che Fenici con nome ellenico furono detti dai Greci popoli che chiamavano se stessi Cananei» (G. DE SANTIS, Storia dei Romani, La Nuova Italia, Firenze 1956, p. 160). 14) «Erodoto, nel suo excursus sulle antiche origini cretesi degli Iapigi-Messapi, riferisce che, molto tempo dopo l’insediamento di costoro in Iapigia con relativa fondazione
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A questo fatto accenna persino Aristotele che scriveva a distanza di almeno un secolo dalla data della cruenta battaglia: «A Taranto, quando un gran numero di notabili vennero sconfitti e uccisi dagli Iapigi poco dopo le guerre persiane la politica si trasformò in democrazia»15. A questa considerazione si aggiunge anche la testimonianza di un altro famoso storico, Diodoro Siculo, che sentì il dovere di accogliere la battaglia in oggetto tra gli eventi più importanti della storia italiota prima dell’avvento di Roma e del conseguente inesorabile processo di romanizzazione16. Tra gli storici dell’età moderna il più ricco di notizie al riguardo è Girolamo Marciano di Leverano17, mentre Luigi Maggiulli entra maggiormente nei particolari della vicenda18. Giuseppe Nenci mette in risalto la tendenza tarantina a considerare la Iapigia un serbatoio naturale di mano d’opera servile cui attingere con incursioni e razzie, una terra di nessuno. Si può constatare che esiste una concomitanza cronologica fra le razzie tarantine e il fatto che le città messapiche erigano tutte grandi cinte murarie. di polèis, i tarantini, cercando di distruggere e spopolare tali città, avevano subito, insieme ai reggini costretti a portar loro aiuto dal tiranno Micito, una tremenda sconfitta che si era tradotta nella più grande strage di greci di cui si abbia conoscenza. La prospettiva che orienta questa “notizia” erodotea appare chiaramente ostile a Taranto, presentata qui come protagonista di una politica di feroce aggressione (finita peraltro nel disastro) ai danni delle antiche polèis iapigio-messapiche, e di matrice verosimilmente turina. Com’è noto Erodoto fu cittadino della colonia di Turi, che subito dopo la fondazione fu impegnata in guerra contro Taranto per il possesso della Siritide, nel corso della quale strinse, forse, rapporti con una parte dei messapi» (M. LOMBARDO, Aspetti della storia del Salento nell’antichità, in “Atti del Convegno Nazionale A.I.C.C.”, 1989, Capone Ed., Cavallino di Lecce 1992, p. 84). 15) ARISTOTELES, Politica, Lipsiae, Ed. O. Immisch, 1929, V3,7, 1302b-1303° (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 20-21).
16) DIODORUS SICULUS, Bibliotheca Historica, Lipsiae, Edd. E. Vogel – C.T. Fischer, 1888-1906, XI 52, 1-5 (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 59-61).
17) Cfr. G. MARCIANO, Descrizione, origine e successi della provincia d’Otranto, Stamperie dell’Iride, Napoli 1855, pp. 266-267. «Nacque ne’ tempi di Archita Tarentino una crudelissima ed intestina guerra tra i Tarentini ed i Iapigi, ovvero Messapi […] per causa di alcune loro differenze de’ vicini territori. I Iapigi dunque, fatta la scelta de’ suoi, si congiunsero in confederazione con gran numero di con vicini, e fecero un esercito di venti mila uomini […] Usciti gli uni e gli altri in battaglia, si attaccò una crudelissima pugna. Nella qual battaglia […] gli Iapigi ottennero la vittoria» (Ibidem).
18) Il Maggiulli riferisce che «i Tarantini appoggiandosi al dritto della forza schierò in campo 30.000 fanti e 3000 cavalieri per cacciarli contro i Messapi. Ed in fatto mosse
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Gli scavi archeologici condotti nella mitica Delfi hanno portato alla luce i resti di due complessi statuari e relative dediche, una sorta di ex voto, offerti dai Tarantini ad Apollo Delfo e commemorativi di altrettante vittorie di Taranto su gente Iapigia. Secondo il racconto di Pausania19, delle due dediche la prima sarebbe opera di Agelada Argivo20, la seconda di Onata di Egina21; entrambi questi artisti furono attivi intorno alla metà del V sec. a.C. La datazione proposta dal Nenci per i due donativi: il primo il 473 a.C., poco prima della sconfitta di Taranto; per il secondo il 433 a.C. L’usanza di fare dei doni preziosi a famosi santuari dovette essere molto diffuso nell’antica Grecia, se nello stesso periodo anche Roma seguiva l’esempio al fine di celebrare il trionfo del dittatore Marco Furio Camillo sulla città di Veio. Altro punto fondamentale nella storia dei Messapi è costituito dal giugno 413 a.C. Due le fonti quasi coeve dell’antichità, Tucidide22 e Demetrio23 commediografo, che riferiscono di una presunta alleanza tra Atene e i Messapi. E’ Cosimo Pagliara lo studioso che al riguardo ha fornito il quadro più completo di quella situazione: gli strateghi ateniesi Demostene ed Eurimedonte si muovono a capo della flotta ateniese alla volta della guerra a quei popoli che gli erano fratelli, ne menò strage accumulando ruine e ruine […] Orgogliosa della vittoria sguinzagliò le sue legioni contro i Iapigi, che valorosamente pugnando furono prostrati e vinti […] Ma […].non appena mosse altra guerra ai Iapigi ed ai Messapi, questi con 20.000 guerrieri sgominarono e macellarono le legioni Tarantine, seguendole con la spada ai reni fin sotto le mure della città» (L. MAGGIULLI, Monografia numismatica della provincia di Terra d’Otranto (1871), Forni Ed., Sala Bolognese 1977, pp. 2-3). 19) Cfr. PAUSANIAS, Graeciae Descriptio, Lipsiae, Edd. H. Hitzig – H. Blümner, 18961910, X 10, 6-8 (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 152-154).
20) L’opera ordinata ad Agelada argivo quale donativo, consiste in numerose statue bronzee di cavalli e “donne prigioniere”, poste su un lungo basamento all’inizio della via sacra di Delfo (Cfr. M. LOMBARDO, I Messapi e la Messapia..., cit., p. 88).
21) Onata egineta è l’autore del secondo donativo di Taranto consistente in statue di fanti e cavalieri, nonché di quella di Opis (re dei Messapi), rappresentato come morto in battaglia (cfr. Idem, p. 89).
22) Cfr. THUCYDIDES, Historiae, Edd. H.S. Jones – J.E. Powell, Oxonii 1942, VII 33, 34 (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 13-14). 23) DEMETRIO COMICO, fr. 1 Kassel-Austin, conservato presso ATENEO, I Sofisti a banchetto, III 108 F-109A, Edd. R. Kassel - C. Austin, V, Berolini et Novi Eboraci 1986 (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 16).
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Sicilia, per portare aiuto al corpo di spedizione lì inviato con l’obiettivo di occupare la città di Siracusa24. Intanto è da precisare che due anni prima, nel 415 a.C., sempre secondo il racconto di Tucidide, al passaggio del grosso della flotta ateniese diretta in Sicilia, Taranto e Locri proibirono agli Ateniesi di avvicinarsi alle loro coste per il normale rifornimento di acqua potabile25. Da 24) Cfr. C. PAGLIARA, La presunta alleanza tra Atene e Messapi, e la tradizione relativa ad Arta, in “Annali dell’Università di Lecce”, Facoltà di Lettere e Filosofia, vol. IV (1967-68), (1968-1969), Milella ed., Lecce 1971, pp. 33-51. Bisogna inoltre precisare che il rapporto tra il messapico Arta e gli strateghi ateniesi rivestiva un carattere privato e personale; si tratta, insomma, di un’amicizia tra persone investite in quel momento di gravi responsabilità. Tale amicizia risaliva a 13 anni prima, cioè al 426 a.C., in occasione dell’appoggio dei Messapi alla città di Turi, colonia ateniese e alleata della città madre, in guerra contro la città di Siris, il cui territorio, la Siriade, era a cavallo del confine delle attuali regioni della Basilicata, della Campania e della Calabria. Arta, in nome della vecchia alleanza, fornisce agli Ateniesi 150 lanciatori di giavellotto. Il Rosafio concorda con quanto siamo andati argomentando: «I 150 saettatori messapi, dati da Arta a Demostene, saranno stati della terra di Vereto. Il signore (re) dal quale gli Ateniesi ebbero prestati gli arcieri, dovette essere vicino al promontorio. Non sarà stato di Leuca per la semplice ragione che essa era città troppo piccola. Sarà stato di Vereto, essendo l’unico centro vicino al promontorio che poteva disporre di arcieri» (V. ROSAFIO, Vereto città Messapica nel basso Salento, I.T.E.S., Lecce 1968, p. 67). Per onestà di informazione, in merito alla vicenda di Demostene e Eurimedonte, e per dimostrare la varietà delle opinioni dei vari studiosi nel corso del tempo, citiamo il parere del Ribezzo, il quale sostiene che la polis governata da Arta dovrebbe essere «una città sotto Taranto e a sud delle isole Choerades, retta da un δυναστηζ di nome “Αρταζ” […] città da identificare in Manduria, piuttosto che nelle più interne Uria e Rudiae messapiche» (F. RIBEZZO, Sopravvivenze mediterranee nella primitiva organizzazione politica dei Messapi, in “Rinascenza Salentina”, IV(1936) (Nuova Serie), XIV-XV, Tip. “La Modernissima”, Lecce 1936-XV, p. 156, nota n° 2). E’ importante, però, riportare il passo tucidideo che ha dato luogo a tali discussioni: «[413 a.C.] Demostene ed Eurimedonte dal canto loro, essendo ormai pronto l’esercito raccolto a Corcira e nel continente, traversarono con tutta l’armata lo Ionio verso il capo iapigio. E muovendosi da lì raggiunsero le Cheradi, isole della Iapigia, e imbarcarono sulle loro navi dei lanciatori di giavellotto iapigi, in numero di centocinquanta, appartenenti alla stirpe messapica; e avendo rinnovato un antico patto di amicizia con Arta, colui che, essendo un dinasta, aveva anche fornito loro i lanciatori di giavellotto, giunsero a Metaponto, in Italia» (THUCYDIDES, Historiae, Edd. H.S. Jones – J.E. Powell, Oxonii 1942, VII 33, 3-4). (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 13).
25) «[415 a.C.] Tutte queste imbarcazioni [diverse centinaia, tra navi da guerra, navi onerarie e mercantili], allora, fecero insieme, partendo da Corcira, la traversata del Golfo Ionio. E quando tutto l’apparato di spedizione ebbe raggiunto il capo iapigio, o Taranto,
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qui si evince l’ostilità di Taranto nei confronti di Atene; è chiaro, quindi, che i due strateghi Demostene e Eurimedonte si erano già procurato l’appoggio della città messapica di Veretum, che controllava proprio il primo approdo sulla costa italiana. Gli Ateniesi approdarono, quindi (secondo Pagliara), sull’isola di Sant’Andrea, fra la cala di San Gregorio e Gallipoli, cioè in terra messapica. La tradizione, invece, vuole che lo sbarco sia stato effettuato nelle isole di S. Pietro e Paolo nella rada di Taranto, ma l’ostilità di tale città verso Atene rende improbabile la veridicità di tale tradizione e quindi, a mio sommesso parere, la versione di Pagliara è la più probabile. L’intrusione ateniese in Messapia rappresenta l’eccezione ad una regola che era valsa in passato e che continuò a valere in futuro, quella cioè dell’isolamento politico dei Messapi, che erano troppo alla periferia del mondo greco orientale e di quello occidentale per poter svolgere in qualche modo un ruolo politico di rilievo. Lo stato di grave tensione fra Taranto e i Messapi è destinato a protrarsi nei secoli in una lotta fratricida, data la comune ascendenza, fino al graduale assorbimento da parte della potenza di Roma. I Tarantini, che un tempo furono molto potenti e con una forte economia, erano retti da un regime democratico, ma a causa degli agi acquisiti il loro stato sociale andò peggiorando. Uno dei segni di tale decadenza politica è il ricorso a generali stranieri, come ad esempio, Archidamo26, figlio di Agesilao, re di Sparta, che era stato chiamato nel 346 a.C. dai Tarantini per guerreggiare contro i Messapi e che morì per mano di questi sotto le mura di Manduria nel 338 a.C. Pochi anni dopo è la volta di Alessandro il Molosso, re dell’Epiro e zio di Alessandro Magno: chiamato dai Tarantini, con tutta probabilità nel 335 a.C., a combattere i Messapi e i Lucani27, morì in terra messapio qualunque altro punto in cui ciascuno aveva potuto toccar terra, navigarono lungo la costa dell’Italia, dove le città non li accolsero con un mercato né li fecero entrare nell’abitato, pur accordando loro acqua e ormeggio, ma Taranto e Locri neppure questo, finché giunsero a Reggio, estremo promontorio dell’Italia» (THUCYDIDES, Historiae, Edd. H.S. Jones – J.E. Powell, Oxonii 1942, VI 44, 1-2) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 13). 26) «Lo Spartano Archidamo, essendosi allontanato dal modo di vita tradizionale, adottò costumi stranieri ed effeminati, per cui non poteva sopportare di vivere in patria, ma faceva di tutto per stare sempre all’estero onde soddisfare la sua intemperanza. Ed avendo i Tarantini inviato un’ambasceria […]» (THEOPOMPUS [fine IV sec. a.C. ], Fragmenta, Ed. Jacoby, FGr Hist 115) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 25). 27) Nella guerra contro il Molosso i Lucani e i Messapi gli tesero un agguato presso il
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ca nel 330 a.C. Circa 30 anni dopo si svolge l’avventura di Cleonimo, altro re spartano che nel 302 mette insieme una grande flotta con 20.000 uomini e parte per la Sicilia a combattere Agatocle ribelle alla volontà di Sparta. Poiché Cleonimo sceglie il Salento come base per le proprie operazioni, entra in guerra con Taranto, piomba sulla parte orientale della penisola salentina, prende Thuriae28 e la saccheggia. Gli avvenimenti successivi alla battaglia di Turi videro Cleonimo passare da un fallimento all’altro fino al ritorno poco glorioso in patria29. fiume Acheronte, distruggendogli tutte le falangi. Ad Alessandro, dunque, non rimase altro che tentare, con la spada sguainata, di darsi alla fuga, spingendo il proprio cavallo dall’altra parte del fiume, dove, però, fu trafitto dal giavellotto di un Lucano. La corrente spinse il cadavere verso l’esercito messapico-lucano, che lo mutilò orrendamente: tagliatolo in due, gli italici ne mandarono una parte a Cosenza, l’altra parte tennero per farne ludibrio. Mentre di lontano ne facevano bersaglio con lancio di pietre, una donna (messapica) li supplicò di farne scambio con i nemici di suo marito e dei suoi figli prigionieri. Allora si pose fine allo strazio di quel che rimaneva delle membra. Le spoglie furono prima sepolte a Cosenza; successivamente le ossa furono inviate ai nemici a Metaponto, che provvidero a trasportarle in Epiro presso la moglie Cleopatra e la sorella Olimpiade (Cfr. T. LIVIO, Storie, libro VIII, a cura di L. Perelli, UTET, Torino 1979, pp. 362-365).
28) Fra le ipotesi avanzate in merito alla localizzazione della città salentina di Thuriae, è quella del Micalella, fatta propria dal Colella, che identifica Turi con Roca nel feudo di Melendugno. «Perciò su questa spiaggia dobbiamo noi rintracciare l’approdo di Cleonimo e quindi la Thuriae Salentina. Ora, proprio sulla costa fra Otranto e Brindisi noi troviamo i ruderi d’una città antica di qualche importanza, della cui sola fortezza Gualtieri di Brienne fece una piccola città, che chiamò Roca, anch’essa ora distrutta» (M.A. MICALELLA, Hyria, Thuriae e Sybaris nella Messapia, in “Rivista Storica Salentina”, anno VI, Stab. Tip. Giurdignano, Lecce 1909, p. 17). «La Thuriae messapica era indubbiamente una città marittima, sull’Adriatico, al di sotto di Brindisi, quasi dirimpetto a Corcira. Fu questa certamente la città distrutta da Cleonimo nel 302 av. Cr.» (G. COLELLA, Toponomastica pugliese dalle origini alla fine del Medioevo, Vecchi e C., Trani 1941, XIX , p. 219). «Il problema della identificazione della città, o meglio delle varie città di Turi, ancora oggi non risolto, ha avuto una storia abbastanza variegata. E’ da precisare, appunto, che nell’antica Italia meridionale sono esistite varie città denominate Turi o Thuriae, Thuria, Turia, Thyria, Thyrea, Turio […]» (C. DAQUINO, I Messapi e Vereto, Capone Ed., Cavallino di Lecce 1991, pp. 42-46). 29) «Contro Cleonimo fu mandato il console Emilio, che in una sola battaglia lo mise in fuga costringendolo a cercare scampo sulle navi. Circumnavigata poi la punta di Brindisi e spinto dai venti in mezzo al Mare Adriatico […] si spinse avanti finché giunse presso le coste dei Veneti […] Sbarcati colà e lasciato un piccolo presidio presso le navi, espu-
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Tra il 280 e il 275 a.C. si colloca l’avventura di Pirro, considerato all’epoca il più grande condottiero del mondo ellenistico; chiamato dalla città di Taranto in aiuto contro Roma, giunse in Italia con 30.000 uomini, una nutrita cavalleria e 20 elefanti, chiamati dai romani “buoi di Lucania”. Pirro, dopo una campagna favorevole con le battaglie di Eraclea e di Ascoli Satriano, sconfitto a Benevento, dovette assistere al fallimento del suo sogno di riunire tutti i greci d’Italia e di Sicilia sotto il suo comando. I Messapi in questo periodo storico si unirono ai Tarantini, loro antichi nemici, per difendersi della inesorabile espansione romana. Roma, però, non vuole più perdere tempo e incalza ormai Salentini e Messapi fino al 266 a.C., data unanimamente riconosciuta dagli storici come quella dell’annessione del Salento allo Stato di Roma30. I due consoli trionfanti furono Numerio Fabio Pittore e Decio Giunio Pera. Nel corso della guerra annibalica (Seconda Guerra Punica – 218-201 a.C.) la maggior parte della penisola salentina rimase fedele a Roma, con alcune città che passano dalla parte di Annibale: ciò era dovuto alla posizione che veniva assunta dalle famiglie più nobili che determinavano il potere politico ed economico. Nella battaglia di Canne (216 a.C.) i Messapi furono dalla parte di Annibale31. L’ultimo sussulto che fece svegliare nelle genti messapiche l’antico istinto di libertà e di autonomia prima della definitiva romanizzazione avvenne in occasione della guerra sociale nell’anno 90 a.C., quando scoppiò la rivolta degli Italici in maniera sanguinosa dalla valle gnarono i villaggi, incendiarono case, catturarono uomini e bestiame […] Quando giunse a Padova la notizia di questi avvenimenti, gli abitanti divisero le loro forze in due parti […] Uccise le sentinelle, colte di sorpresa, diedero l’assalto alle navi […] così i nemici furono presi in mezzo e massacrati; i patavini, prese e incendiate alcune navi, ritornarono vittoriosi. Cleonimo si allontanò con appena un quinto della flotta, senza aver incontrato fortuna in alcuna parte del Mare Adriatico […] vi incontrò invece la morte» (T. LIVIO, Storie, vol. II, libri VI-X, a c. di L. Perelli, UTET, Torino 1986, l. X, pp. 562-565).
30) Anno 487 ab Urbe condita.
31) Cfr. Anno 437 ab Urbe condita. Nella battaglia di Canne, oltre ad una parte dei Messapi, si allearono con i Cartaginesi i seguenti popoli: Campani, Atellani, Calatini, Irpini, ecc. Lo stesso Tito Livio ci informa che i Romani, al comando del console Quinto Fabio, saccheggiarono per prima la città di Manduria (209 a.C.) e successivamente posero l’assedio a Taranto (che fu conquistata nel 208). 32) «Se poi per nostra curiosità volessimo rintracciare il preciso tempo, in cui questo re
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Padana fino all’estremo sud, coinvolgendo Oschi e Sabelli, Marsi e Sanniti, Lucani e Messapi. All’inizio dell’88 a.C. l’insurrezione era del tutto domata: si concluse così il definitivo assoggettamento a Roma del Salento. Roma in questo evento aveva mandato in campo i suoi uomini migliori, Gneo Pompeo e Lucio Porcio Catone, consoli nell’89 a.C., e Silla, console nell’88 a.C. Diverse fonti ci hanno tramandato i nomi di alcuni re dei Messapi; conosciamo già la storia di Arta32, diventato poi nella satira “Re Pane”33; altri re sarebbero stati Opis, Malennio, Dasummio e lo stesso Messapo34. Intorno a quest’ultimo si è scatenata la fantasia di molti storici. È il Marciano35 colui che, attingendo da compilatori latini, riassume quanto sia stato scritto in passato sull’argomento. Arta risiedeva in Oria, e dominava nella Messapia, non ci riuscirà difficile provarlo, poiché secondo la cronologia appostavi al luogo di Tucidide […] questo trattato tra gli Ateniesi e il re Arta successe nell’anno 414 prima della nascita di Cristo: cioè 340 anni dopo la fondazione di Roma» (G. PAPATODERO, Della fortuna di Oria, Stamperia dei Fratelli Raimondi, Napoli 1755, p. 131).
33) «Mentre Ulpiano stava ancora scherzando in tal guisa, Cinulco esclamò: “c’è bisogno di pane [Artos], e non mi riferisco al re dei Messapi in Iapigia […] Un ospite davvero gentile lì era grande e illustre. Non di questo Artos c’è ora l’esigenza, ma dei pani inventati da Demetra”» (DEMETRIO COMICO (fine V sec. a.C.), fr. III 108 F 109 A) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 33).
34) «Messapo è il solito patronimico individuatore, creato dai Messapi, allorché vollero un capostipite illustre. Il processo dei patronimici è un capitolo della storia generale antica, e sarebbe assurdo rifiutarsi di ammetterlo proprio per i Messapi, tanto poco conosciuti e misteriosi. Messapo è senz’altro il patronimico della gente messapica» (M. LEONE, Terra d’Otranto, dalle origini alla colonizzazione romana, Milella Ed., Lecce 1969, p. 37). 35) Cfr. G. MARCIANO, Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto, cit., pp. 27-28. «Partitosi dunque Messapo co’ suoi dal regno de’ Sicionii gli anni del mondo 2215, dal diluvio 559, con armata navale […] e venuto in Italia per vedere i fratelli che quivi regnavano, sperando avervi qualche dominio, come, dopo gli successe che nel ritorno passando per i mari e provincie d’Italia, si compiaque di questo braccio di terra […] vi si fermò, ed assalito il paese, ne discacciò gli antichi abitanti Ausoni, ed annullando in tutto il loro nome, chiamò la provincia dal suo nome Messapia […] vi portò dal Peloponneso le antiche lettere greche le quali dopo furono dette messapie per averle quivi portate Messapo». Altri brani del Marciano in proposito: «Ritornando al nostro paese, dopo la venuta di Ausone-Armeno venne appreso ed ottenne la provincia d’Otranto Messapo, figlio di Nettuno, nella quale edificò città e castelli, e da esso questa nostra provincia ebbe il nome di Messapia» (Idem, p. 23). «E Messapo venne dal Peloponneso per mare in Italia col fratello Tara che dopo edificò Taranto, Messapo dal regno dei Sicionii […] Il nono re di questi Sicionii fu Messapo» (Idem, p. 25).
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È verosimile, quindi, che non un singolo popolo abbia costruito la nazione messapica, bensì l’apporto di elementi di diverse provenienze tra le quali assunsero un ruolo prevalente gli Illiri36, gli Elleni ed i Fenici. Tucidide, il più grande storico della Grecia antica, vissuto tra il 460 e il 400 a.C., in un famoso passo individua nei Messapi una delle numerose genti della Locride, regione situata al centro della Grecia. “ I Mionei, gli Ipniei, I Messapi e i Tritei”. Con un riferimento breve, il grande storico si lascia completamente alle spalle l’identità erodotea di Iapigi-Messapi37 e la derivazione di questi da un originario nucleo Cretese, per porre sul tappeto come teoria la grecità continentale dei Messapi. E’ bene ricordare che questo popolo dei Messapi in nessuna occasione, in assoluto, ha minimamente cercato di espandere i propri domini ai danni delle popolazioni vicine o lontane, non ha mai pensato a guerre di conquista, ha solo difeso fino all’ultimo respiro la terra iapigia nella 36) «Che gli Iapigi fossero Illirici, risponde oggi all’opinione comune: e che venissero per via di terra e non per mare, riesce comprensibile non solo per le considerazioni concernenti la posizione geografica e il clima delle due regioni, ma soprattutto perché, trattandosi di una vera invasione di popolo occupante una larga estensione di paese, non apparirebbe verosimile che esso venisse in sì gran numero e con navi da vari punti delle coste illiriche» (A. ANTONACI, Questo è il Salento, Paiano Ed., Galatina 1956, p. 13). «Devesi attribuire il popolo messapico alla stirpe mediterranea, non all’indoeuropea […] Se infatti i Messapi fossero appartenuti alla stirpe indoeuropea, voluta aria, indubbiamente nelle nuove regioni, avrebbero dovuto avere e trasmettere ai loro discendenti, per una dura e inflessibile legge di natura antropologica, caratteri scheletrici della loro stessa stirpe, e quindi soprattutto cranio brachicefalo, nelle sue diverse forme, come l’ebbero gli indoeuropei, gli Illiri loro discendenti, e lo hanno nella grandissima loro maggioranza, i moderni albanesi. Ebbene […] si sono scoperchiati non pochi sepolcri messapici e mai negli stessi si è visto un cranio brachicefalo, ma sempre crani dolicocefali […] Questo è fatto innegabile […] e che quindi i Messapi appartennero alla stirpe mediterranea, non alla indoeuropea e che inoltre vennero dall’oriente, non da settentrione, né dalla Illiria arianizzata» (P. MAGGIULLI, Sull’origine dei Messapi, cit., pp. 33-34). 37) «Le leggende fanno derivare gli Iapigi dagli Arcadi, sia quella che fa loro progenitore Iapige, Dauno e Peucezio, figli dell’arcade Licaone, sia quella che fa Peucezio fratello di Enotro e figlio di Licaone e trovano la loro ragione nella tendenza dei narratori greci a spiegare le oscure origini dei popoli attribuendole ai misteriosi Pelasgi che furono ben presto localizzati nella più antica regione dell’Ellade, l’Arcadia […] In sostanza, dunque, ragioni politiche, da parte dei coloni greci, e la tendenza a far dimenticare la loro origine barbara, da parte di più antichi abitanti, hanno nella massima parte contribuito alla formazione delle leggende che danno agli Iapigi origine ellenica» (M.A. MICALELLA, Gli Iapigi e i più antichi abitatori delle terre da loro occupate, Ed. Leccese Edoardo Bortone e C., Lecce 1909, pp. 8-12).
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quale da tempo immemorabile aveva stabilito la propria dimora. Sotto questo aspetto il loro problema è stato quello di doversi costantemente difendere da Taranto38 e da tutti gli avventurieri stranieri chiamati in Puglia. Questo Salento è noto in tutto il mondo per la sua funzione di ponte nella dinamica delle rotte mediterranee, pronto ad accogliere ogni influsso che viene da fuori, anche la leggenda e il mito, se possono glorificare origini oscure39.
38) Il primo evento bellico collocato da vari studiosi nel quadro dei rapporti tra Taranto e gli Iapigi nel V sec. a.C. si ritrova in un frammento di Clearco riportato da Ateneo e fu quello della conquista e devastazione di Carbinia da parte dei Tarantini, che, nella circostanza, si sarebbero macchiati di sacrilega hybris (stragi efferate) e, pertanto, vennero puniti in maniera terribile dalla divinità: annientati dalla folgore divina nessuno di loro avrebbe più fatto ritorno a Taranto. In conseguenza di ciò, afferma Clearco, i Tarantini, nell’anniversario della strage, invece di compiere i normali riti di commemorazione per i morti della spedizione in Iapigia, offrono doni a Zeus Kataibates sulle stele poste in suo onore dinanzi alle loro case in segno di richiesta di perdono (Cfr. M. LOMBARDO, Aspetti della storia del Salento nell’antichità, cit., pp. 87-88). La conflittualità tra Taranto e i Messapi nacque, probabilmente, nel VI sec. a.C. con la presa della città di Carbinia (forse l’attuale Carovigno) da parte dei greci. Nella conquista di questa città messapica, i greci ebbero a compiere degli atti di particolare violenza, come ad esempio la successiva esposizione di donne e fanciulli nudi nei templi della città. I tarantini dovettero scontare questa particolare violenza, che aveva attirato su di loro l’ira della divinità. Tutti coloro che avevano partecipato alla spedizione furono, infatti, costretti ad erigere stele dedicate a Zeus Kataibathes presso le quali venivano fatti sacrifici di espiazione (Cfr. S. TREVISANI, Viaggio nella Puglia archeologica, cit., p. 54). Vedi anche CLEARCO (ca. 342 – ca. 350 a.C.), fr. 48 Wenrli, conservato presso ATENEO, I Sofisti a banchetto, XII 522 D-F) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia ..., cit., pp. 32-33): «Ma più tardi, spinti dal lusso alla tracotanza, devastarono una città degli Iapigi, Carbina, i cui fanciulli, fanciulle e donne nel fiore dell’età essi raccolsero insieme nei templi dei Carbinati; ed essendosi lì accampati, esponevano agli sguardi di tutti, durante il giorno, i loro corpi nudi, e chiunque volesse, lanciandosi come su uno sventurato gregge, poteva soddisfare le sue voglie con la bellezza delle vittime ammassate in quel luogo, e tutti guardavano, ma soprattutto coloro a cui essi meno pensavano, gli dei. E la divinità si adirò a tal punto da fulminare tutti i Tarantini che a Carbina si erano resi colpevoli […]». 39) Cfr. C. DAQUINO, I Messapi e Vereto, cit., passim.
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LAPIDE CON ISCRIZIONE MESSAPICA
Altri Vastan: [...], si rinvenne una lapide con l’iscrizione, che qui piacermi trascrivere, [...]. Perì interamente la lingua messapa [...], nel modo istesso, con cui perirono l’egiziana, la punica [...] poste in disuso dall’antichità tenebrosa [...]. A. DE FERRARIIS, Epistole Salentine, cit., pp. 151-153.
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CENNI SULLA RELIGIONE DEI MESSAPI Da alcuni anni lo studio della Messapia viene condotto in una prospettiva diacronica con particolare attenzione alle forme di occupazione del territorio. In questo ambito un tema di notevole interesse è quello della presenza e della funzione dei luoghi di culto. Nel Salento le attestazioni archeologiche di forme cultuali sono attestate a partire dall’VIII sec. a.C. A Leuca, verso la fine dell’VIII sec. a.C., in corrispondenza dell’insenatura più occidentale della baia, su un pendio terrazzato, venne impiantata una area sacra centrata intorno ad una eschara40, un grande focolare delimitato da una cortina muraria di grossi blocchi informi, disposti con andamento curvilineo. La collocazione in prossimità di un facile approdo, sulla rotta che dall’Oriente portava in Italia meridionale, rappresenta la principale connotazione del luogo di culto ma sicuramente non l’unica. L’area doveva rappresentare un punto di riferimento per quanti erano impegnati in attività legate al mare. Nel corso del VI sec. a.C. sembra assumere un ruolo prevalente il carattere “emporico” del complesso cultuale dove gli scambi tra greci e messapi avvenivano sotto la protezione della divinità. Iscrizioni graffite su materiali ceramici ne documentano il nome: dediche in greco, nella formula dell’oggetto parlante, attestano il nome Batas, mentre le iscrizioni messapiche con le varianti idde, iddi, idi, si dovrebbero riferire al teonimo messapico Zis. La divinità maschile Zis Batas, caratterizzata come “fulguratrice”, assumeva il ruolo di dominatrice degli eventi atmosferici e, quindi, protettrice della navigazione. A Porto Cesareo è stata messa in luce un’area sacra dove, su un frammento ceramico, un graffito attesta il teonimo Thana accostabile alla divinità greca Artemis (Diana). Ad Oria, tra il IV e il III sec. a.C., il luogo di culto di Monte Papalucio documenta una più ampia partecipazione collettiva ai riti religiosi. I manufatti, unitamente ai resti faunistici e botanici, consentono di riconoscere, oltre alle singole offerte, una congerie di materiali funzio-
40) L’eschara era una struttura circolare, una specie di piattaforma destinata alle funzioni religiose oggi svolte, ad esempio, dall’altare maggiore in una chiesa; l’unica differenza consiste nel fatto che la struttura non presentava elementi o interventi in verticale, ma a contatto col suolo.
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nali alle pratiche di sacrificio, libagione e consumo di pasti rituali. In particolare, le iscrizioni ed i materiali coroplastici permettono di riferire il culto a divinitĂ femminili, identificabili con Demetra (Vedi Foto) e Persefone.
(Foto 3) Statuetta votiva di Demetra (ubicazione sconosciuta). Coroplastica, argilla nocciola. Figura femminile nuda, seduta su un trono (molto probabilmente). Le braccia corrono parallelamente al corpo fino ad appoggiarsi sulle cosce, le mani tengono due rosette. La resa anatomica è superficiale, con la sola eccezione della testa, dove si nota una buona cura delle fattezze ed una elaborata acconciatura coperta da un velo nuziale. Le rosette ed il velo ci permettono di indentificare la figura femminile con Demetra. Cronologia: fine del V secolo a.C. Demeter: Demetra: Cerere (alias: Erinys in Arcadia): nuda terra, figlia di Cronos e di Rea, sorella di Zeus, per i Greci era la dea delle messi e dell’agricoltura in genere, come la Cerere per i Romani. Onorato come figlio di Demetra era Dionysos, sposo di Cora (Persefone o Proserpina), rapita da Ades (Plutone).
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A Torre Ovo è segnalata la presenza di una statuetta di Eracle. Le attestazioni archeologiche del culto di questa divinità nella Messapia sono piuttosto esigue41. Sulla costa adriatica del Salento un’importante area sacra è stata individuata a Rocavecchia. Le sue pareti sono fittamente segnate da iscrizioni e figurazioni incise. Le iscrizioni sono in lingua messapica, greca e latina. L’analisi linguistica ha consentito di riconoscere nelle iscrizioni messapiche il nome con appellativo, al dativo, Thaotor Andirabas: esso corrisponde ad una divinità maschile che nei testi latini redatti con la formula dello “scioglimento del voto” viene indicata come Tutor Andraios42. Non sono certo molti, nelle fonti letterarie superstiti, i riferimenti a culti e luoghi di culto messapici, come quelli riguardanti AtenaMinerva43, con il suo tempio ubicato sulla rocca di un insediamento
41) Tra le poche attestazioni del culto di Ercole, una è ben visibile sulle emissioni monetali di Uxentum (Ugento); infatti, tra il III e il II sec. a.C., su assi, semis e quadranti (monete di differente valore), sul rovescio è raffigurato Herakles stante di fronte con cornucopia e clava, coronato da Nike in volo, con la scritta OZAN. Il ritrovamento di statuette bronzee di Eracle in varie zone della regione apula (significatamente anche a Uxentum), databili tra il III e il I sec. a.C., testimonia la diffusione della venerazione dell’eroe, anche, in forma di culto domestico. «Dicono che presso il capo Iapigio vi sia un luogo in cui, così si favoleggia, si svolse la battaglia di Ercole contro i Giganti; da questo luogo, si dice, sgorga un enorme flusso di icore (sangue putrefatto) tale da rendere impossibile, per il gran fetore, la navigazione nel tratto di mare prospiciente il luogo […]» (PSEUDO ARISTOTELE, Racconti meravigliosi [operetta pervenutaci nel Corpus aristotelico, ma certamente spuria: databile tra il I e il II sec. d.C.]) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 23).
42) Cfr. G. MASTRONUZZI, Il culto di Zeus ed altri culti maschili in Messapia, in Klaohi Zis, (a cura di), F. D’ANDRIA, A. DELL’AGLIO, cit., pp. 62-67.
43) «Nel sito ove oggidì esiste il venerato Santuario di Santa Maria di Leuca sull’estrema punta del promontorio, esisteva nei tempi gentileschi il famoso tempio della dea Minerva, venerata con un culto speciale dai Salentini […] e credevasi edificato secondo alcuni dal re Idomeneo, o siccome altri scrissero da Iapige, allorquando con una colonia di Cretesi approdò in questo promontorio, in traccia del suo padre Dedalo, fuggiasco dalla patria, ed inseguito da Minosse» (M.N. CATALDI, Prospetto della penisola salentina ossia cenno storico degli antichi popoli salentini colla descrizione della loro città ecc., Tipografia del Reale Ospizio San Ferdinando nel Palazzo d’indipendenza, Lecce 1857, p. 105). «[…] Idomeneo […] Essendo stata abbandonata (Locri) per timore di lui la città egli la occupò e fondò diversi centri tra i quali Uria e la famosissima Castrum Minervae»
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costiero, sul versante adriatico della penisola salentina (Castro o forse Rocavecchia). L’unico riferimento a Zeus-Jupiter figura in un interessante frammento del latino Festo, relativo ai sacrifici di cavalli che, a suo dire, sarebbero stati diffusi presso molte genti. A riprova di ciò egli richiama alcuni casi, ed in primo luogo la pratica degli spartani di immolare un cavallo ai venti sul Monte Taigeto, facendo in modo che le ceneri del sacrificio venissero dai venti stessi sparse sul loro territorio. Festo cita quindi i Sallentini, presso i quali un cavallo consacrato a Jupiter Menzanas viene gettato vivo nel fuoco. Questa testimonianza appare assai interessante nella nostra prospettiva ugentina, dato il riferimento ai Sallentini e cioè a quell’articolazione del mondo messapico che Strabone e i geografi di età romana collocano nella parte più meridionale della Penisola Salentina44. Altro riferimento al culto di Zeus è legato al rapporto che questi ha con la quercia di Dodona; tale particolare viene già ricordato da Omero, sia nell’Iliade sia nell’Odissea, e da Esiodo. La tradizione ci tramanda l’esistenza di un importante oracolo a Dodona, in Epiro, in cui lo stormire delle foglie della quercia sacra a Zeus veniva interpretato profeticamente dalle sacerdotesse. Una suggestiva ipotesi di lavoro sembra venire dal ritrovamento della statua di Zeus a Ugento che testimonia un forte legame culturale tra le due sponde dell’Adriatico. Infatti la diffusione del culto di Zeus dodoneo in altre regioni dell’Ellade è variamente attestata dalle fonti anche attraverso la riproduzione della quercia oracolare. La conoscenza da parte degli antichi del meccanismo riproduttivo delle querce attraverso le ghiande rappresenta una traccia importante per avanzare un’ipotesi sulle dinamiche di diffusione della quercia vallonea nel Salento ad opera dell’uomo già a partire dalla colonizzazione greca45. (TERENZIUS VARRO [116-27 a.C. ], Antiquitates Rerum Humanarum, fr. {Ed. P. Mirsch, Leipziger Studien 5, 1882}) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 4950). «Dicono che i Salentini siano coloni dei Cretesi; presso di loro si trova il santuario di Atena, che un tempo era noto per la sua ricchezza» (STRABONE [64/63 a.C. – post 23 d.C.], Geografia, VI 3,5 {c-281}) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia ..., cit., pp. 97-98). 44) Cfr. M. LOMBARDO, Fonti letterarie, in Klaohi Zis, (a cura di), F. D’ANDRIA, A. DELL’AGLIO, cit., pp. 68-71. 45) Cfr. G. FIORENTINO, La quercia dell’oracolo da Dodona al Salento, in Klaohi Zis, (a cura di), F. D’ANDRIA, A. DELL’AGLIO, cit., pp. 78-83.
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L’attestazione più importante di tale culto è riscontrabile nel ritrovamento del famoso bronzo di Zeus Saettante di Ugento, che, pur rivelando in alcuni dettagli l’intervento di una committenza messapica, è opera di un artista greco, probabilmente tarantino. In un vaso tipicamente messapico, la trozzella, il dio appare invece raffigurato da un artigiano indigeno, ciò offre una rarissima attestazione di come la sua immagine potesse essere percepita in un contesto culturale non greco, anche se attivo nell’intrecciare rapporti con il mondo ellenico. Questo importante documento si trova attualmente in Danimarca ed è custodito nel museo Ny Carlsberg a Copenhagen, dove giunse attraverso vari passaggi non ufficiali. Nell’area di Cavallino non è stato ancora individuato uno specifico luogo di culto come nei centri messapici di Vaste, Oria e Leuca. Tuttavia, su un peso da telaio più grande è incisa la dedica ad una divinità mai attestata prima, Arzeria46. Da quanto detto in precedenza risulta evidente come i Messapi associassero le loro divinità a quelle dell’antica Grecia, anche se era profondamente radicato in essi il concetto dell’immortalità dell’anima e questo spiega la grande venerazione per i loro defunti. Questo non deve far pensare, però, che i Messapi non godessero del gusto della vita. Anzi, come viene attestato su numerosi vasi con figure, essi usavano vestire anche durante i riti funebri in modo raffinato: generalmente gli uomini indossavano una tunica che arrivava quasi al ginocchio, mentre le donne vestivano lunghe tuniche e si ornavano il capo con una specie di corona; entrambi, per calzari, usavano una specie di sandalo. Tutte manifestazioni, queste, di amore per la vita e di imperturbabilità di fronte all’evento misterioso della morte; la stessa presenza dei sepolcri “intra moenia” è la manifestazione più autentica di tale sentimento di serenità della creatura terrena nei confronti dell’aldilà.
46) Cfr. F. D’ANDRIA, Lo Zeus nella trozzella di Copenhagen, in Klaohi Zis, (a cura di), F. D’ANDRIA, A. DELL’AGLIO, cit., pp. 59-60. Si precisa che il titolo del testo curato da D’Andria e dalla Dell’Aglio, Klaohi Zis, è una tipica espressione dell’antica lingua messapica, presente in numerose iscrizioni, databili in prevalenza tra il IV ed il III sec. a.C. alla quale i glottologi danno come traduzione “Ascolta, Zeus”, associandola all’invocazione latina “Audi, Jupiter”. G. MASTRONUZZI, Cavallino, pietre, case e città della Messapia arcaica, (a cura di) F. D’ANDRIA, Progettipercomunicare snc, Ceglie Messapica (Br) 2005, pp. 80-81.
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CENNI SU CERAMICHE E ARTIGIANATO DEL SALENTO In primo luogo ho accennato allo spinoso problema dei nomi utilizzati dagli autori antichi per indicare una popolazione che corrisponde grosso modo ai Messapi. Mi riferisco a termini quali Iapigi, Messapi, Salentini e Calabri, che possono indicare tutti lo stesso gruppo etnico del Salento47. Questi termini si riferiscono a società indigene coinvolte in complessi processi evolutivi. La cultura messapica non è un fenomeno isolato, in quanto essa è stata soggetta ad influssi esterni che, insieme con la dinamica interna di questa cultura, portarono ad un notevole grado di evoluzione sia la cultura materiale sia la cultura in senso più ampio della parola. Douwe Yntema48 divide in tre periodi la crescente articolazione e complessità dell’artigianato: a) IX sec. a.C. - metà del VII, periodo caratterizzato da un’organizzazione di carattere tribale (età del ferro); b) seconda metà del VI - primi decenni del V sec. a.C., definibile come “protourbano”; c) fine del IV sec. a.C. - III, quando il mondo messapico raggiunse il cosiddetto livello di “Stato”. L’ETÀ DEL FERRO La società indigena dell’età del ferro nel Salento è poco complessa. L’insediamento è formato da gruppi di capanne, probabilmente abitate da unità familiari. La costruzione della capanna, che non esige certamente un lavoro specializzato, veniva con tutta probabilità effettuata dagli stessi membri della famiglia. 47) «La regione che si circumnaviga andando da Taranto a Brindisi somiglia a una penisola […] che i più chiamano con un unico nome Messapia, o anche Iapigia o Calabria o Salentina; alcuni invece, come si è detto prima, distinguono in essa più parti» (STRABONE, Geografia, VI 3, 5 (c 281) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 100-101). 48) Cfr. D.G. YNTEMA, Attività della missione olandese a Valesio, in “Ricerche e Studi”, 13(1980–87), Brindisi 1987, p. 77 ss.; cfr. D.G. YNTEMA, Traces of an Archaic Dwelling in Contrada Parietone, in “StAnt”, 5(1988), Oria (Br) 1988, pp. 149-160.
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I prodotti di artigiani specializzati, invece, sono da ricercarsi nelle ceramiche e negli oggetti in metallo. I manufatti in bronzo e ferro nei contesti di abitato nel Salento in questo periodo sono rarissimi. La ceramica dell’età del ferro si suddivide in tre classi: 1) ceramica ad impasto grossolano (impasto bruno); 2) ceramica ad impasto con superficie levigata (impasto nero); 3) ceramica a pasta chiara, dipinta o acroma (cosiddetta ceramica iapigia). La prima classe non è da attribuirsi ad un artigianato specializzato; l’unica forma vascolare di questo tipo diffusa nel Salento è il pithos, grande contenitore per la conservazione alimentare come, ad esempio, il grano. La seconda classe, l’impasto nero a superficie levigata, richiede un livello di specializzazione leggermente maggiore della classe precedente. La forma più diffusa di tale classe è la scodella ad orlo rientrante con diverse varianti. La terza classe, la ceramica dipinta (iapigia), è il prodotto di un artigianato specializzato: gli ornamenti sono di tipo geometrico, la vernice a base di manganese è argillosa. I vasi vengono plasmati a mano e cotti ad una temperatura tra gli 800 e i 900 gradi, ciò che presuppone l’impiego di una fornace chiusa. IL PERIODO COSIDDETTO PROTOURBANO In questo periodo si assiste ad una rapida evoluzione del mondo messapico. I suoi fondamentali elementi architettonici, caratterizzanti soprattutto gli abitati maggiori, nel periodo in questione sono le fortificazioni, le strade, le case con alzate in pietra o in mattoni crudi e tetti di tegola, che vengono a sostituirsi alle capanne dell’abitato arcaico. Già in base a questi dati si potrebbe ipotizzare un artigianato più evoluto rispetto a quello della precedente età del ferro. Le terrecotte vengono realizzate con materia prima locale, ma, poiché i modelli imitati nel Salento sono di origine greca, non è da escludere la presenza di artigiani greci negli insediamenti messapici del periodo arcaico a cui dovettero venir affidati l’esecuzione di lavori più complicati e l’insegnamento alla mano d’opera indigena. La somiglianza tra alcuni pezzi architettonici rinvenuti a Cavallino di
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Lecce e le terrecotte di Corcira suggerisce che le innovazioni non siano dovute solo ai greci della Magna Grecia ma anche a quelli delle colonie greche dell’altra sponda dell’Adriatico, poiché in questo periodo i rapporti con il Salento sono molto intensi49, cosa che sembra ulteriormente confermata dalle inserzioni in lingua greca rinvenute su oggetti arcaici di uso comune di produzione indigena50. Per quanto riguarda la produzione di oggetti in metallo le informazioni sono poche; il pregevole vasellame in bronzo (ritrovamenti dalle tombe) è quasi sicuramente produzione del mondo greco51; potrebbero fare eccezione le numerose fibule (Foto 4), la più diffusa delle quali è quella ad arco ingrossato e a staffa lunga. Totalmente nuova è la ceramica decorata a fasce e bande, plasmata al tornio veloce. Essa, pur essendo molto simile alla produzione grecocoloniale, se ne distingue per alcuni elementi riguardanti soprattutto la forma. Le forme di produzione indigene sono molto limitate: fra esse troviamo il cratere a fungo (probabilmente per le tombe degli uomini), la trozzella (forse per le tombe delle donne) e la lekythos (spesso nelle tombe dei bambini).
49) Cfr. F. D’ANDRIA, Messapi e Peuceti, in Italia Omnium Terrarum Alumna, a cura di G. Pugliese Carratelli, Libri Scheiwiller, Stamperia Valdonega di Verona, Verona 1988, pp. 651-715.
50) Per le iscrizioni greche incise sulle ceramiche arcaiche nel Salento, vedi C. PAGLIARA, Materiali arcaici iscritti del Salento (II), in “Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, (Lettere, Storia, Filosofia), 13(1983), pp. 21-89.
51) Cfr. C. ROLLEY, La produzione artistica e artigianale, in I Messapi ..., Atti del XXX ..., cit., pp. 161-162.
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(Foto 4) Fibule Il tipo ad arco cavo a sezione circolare con andamento a semicerchio irregolare, ingrossato al centro con molla a due avvolgimenti e priva di staffa, può essere inquadrato in un periodo di tempo che va dalla fine del V secolo a.C. al primo quarto del IV secolo a.C.1. La prima fibula potrebbe essere assimilabile allo stesso periodo2.
1) Cfr. M. MAZZEI. Taras. Rivista di archeologia, Congedo Editore, Galatina 1982, pp. 189-200 tav. 58. 2) Cfr: R. DE FRANCESCO - F. LONGO. Taras. Rivista di archeologia, Scorpione Editore, Taranto 1983, pp. 95-100, Tav XXXVII.
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(Foto 5) Cratere a campana a figure rosse (ubicazione sconosciuta). MetĂ IV secolo a.C. Le tombe degli uomini di rango elevato, oltre alla presenza di un cratere, sono contraddistinte da altri oggetti quali lo strigile, gli speroni, le armi da caccia, una pelike o uno skyphos.
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(Foto 6) Trozzella acroma (ubicazione sconosciuta). Metà V secolo a. C. Dei corredi femminili fanno parte oggetti legati alle pratiche domestiche, quali vasi per raccogliere l’acqua (come la trozzella e l’idria) o pesi da telaio.
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(Foto 7) Lekythos di Gnathia (ubicazione sconosciuta). Argilla rosata, vernice nera lucente con decorazione svanita. Corpo ovoide su piede ad anello tornito, alto collo, bocchello a labbro espanso, ansa a robusto nastro verticale. Sulla spalla e nella parte inferiore del vaso c’è una decorazione a kyma incisa che delimita il campo del disegno di cui ci rimangono soltanto le linee incise dei contorni. Il disegno rappresentato è quello di un erote (con molta probabilità) seduto su una pietra a destra con entrambe la braccia alzate, ai lati della figura c’è una decorazione di girali e rosette sovradipinte. Cronologia 350/340; da attribuire al “Pittore della Rosa” appartenente al “Gruppo di Konnakis”. Le tombe di bambini erano contraddistinte, oltre dal Lekythos, da oggetti in miniatura e tintinnabula. Il rito documentato per tutte le classi di età e per i due sessi è l’inumazione.
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IL PERIODO ELLENISTICO Nel periodo ellenistico l’architettura presenta una maggiore specializzazione artigianale, come si può osservare, per esempio, nelle poderose cinte murarie che circondano tutti gli insediamenti di una certa dimensione. Terrecotte architettoniche in argilla locale, capitelli ionici e dorici, rocchi di colonna tutti in pietra locale fanno supporre la presenza di edifici di un certo rilievo sia pubblici sia privati. La scultura messapica, quasi esclusivamente funeraria, si limita a pochi esempi, tra cui l’ipogeo delle cariatidi di Vaste e l’ipogeo Palmieri di Lecce. La produzione fittile di oggetti è molto varia (ceramiche di uso comune); negli abitati le forme più diffuse sono i bicchieri di vino, come lo skyphos e il kantaros, i piatti di tipo patera, la coppa cratere, piattini e lucerne. Partendo dalle evidenze architettoniche possiamo ritenere che gli artigiani salentini di epoca ellenistica vivessero in abitati non troppo diversi dalle modeste poleis greche. In conclusione, si può dedurre che l’artigianato, pressoché assente nella fase tribale dell’età del ferro prende fiato nel periodo “proto-urbano”, per raggiungere nel periodo ellenistico forme insediative simili a quelle dell’area della Magna Grecia.
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CENNI SUI CENTRI MESSAPICI DI PRESUNTA MONETAZIONE Lo studio dei centri del Salento che nell’antichità hanno emesso moneta ha presentato serie difficoltà, sia per l’incerta localizzazione di alcune zecche, sia per la presunta monetazione di alcuni centri. Negli ultimi quaranta anni esso ha conosciuto significativi sviluppi legati per più versi all’impegno di Aldo Siciliano e all’affermarsi di più rigorose metodologie, determinate dai progressi dell’indagine archeologica. I risultati di queste indagini hanno portato a ritenere che l’emissione monetaria del Salento fu di breve durata e limitata ad alcune ristrette aree geografiche. Le varie ricerche hanno confermato la sicura attribuzione di tre soli centri di emissione monetale: Brundisium (Brindisi), Orra (Oria) e Uzentum (Ugento). A questi possiamo aggiungerne altri su cui, però, gravano diverse incertezze. Questi sono Baletium (Valesio, presso Torchiarolo nel Brindisino), oppure Aletium (Alezio, nell’entroterra Gallipolino)52. Caelia (Ceglie Messapica), oppure Ceglie del Campo (presso Bari)53. Neretum (Nardò, prov. di Lecce); ci sono delle perplessità per l’attribuzione a questa città delle monete a legenda NAP54. Graxa55: Zecca incerta. 52) Recenti studi propendono ad assegnare le monete ad epigrafe ΒΑΛΕΘΛS al centro di Valesio (a nord di Torchiarolo, in provincia di Brindisi) e non ad Alezio (Cfr. A. SICILIANO, Le Zecche della Messapia, in I Messapi, Atti del XXX ..., cit., p. 226). In pubblicazioni più recenti, 2002-2005, il Siciliano conferma come zecca attiva nel V sec. a.C., alla prima esperienza il centro indigeno di Valesio. Cfr.: A. SICILIANO, Immagini e simboli di Zeus nella monetazione della Puglia, in Klaohi Zis a cura di, F. D’ANDRIA e A. DELL’AGLIO, cit., pp. 76-77. Cfr.: A. SICILIANO, Rinvenimenti monetali, Cavallino ..., a cura di, F. D’ANDRIA, cit., pp.88-91. 53) La moderna ricerca ha attribuito le emissioni ad epigrafe KAIΛINΩN, KAIΛI, KAI, a Ceglie del Campo, a poca distanza da Bari, e non a Ceglie Messapica (Cfr. A. SICILIANO, Le Zecche della Messapia, in I Messapi ..., Atti del XXX ..., cit., p. 253).
54) Le monete ad epigrafe ΝΑΡ sono, con molta incertezza, attribuibili a Neretum (antica Nardò, prov. di Lecce) (Cfr. A. SICILIANO, Le Zecche della Messapia, in I Messapi ..., Atti del XXX ..., cit, p. 225).
55) L’esatta localizzazione del centro di emissione delle monete ad epigrafe ΓPAEA – ΓPA non è stata ancora individuata. Siciliano avanza l’ipotesi che queste emissioni potrebbero appartenere ad una zecca della Messapia. Infatti nel Salento vi sono una con-
Cenni sui centri messapici di presunta monetazione
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Sturnium56 (Ostuni, prov. di Brindisi). Osserviamo che le emissioni monetarie in Messapia sono tutte effettuate da città, mentre non vi è nessun caso di emissione a nome del popolo, come in altre regioni dell’Italia meridionale (Brettii, Lucani, Sanniti). L’incisione sulle monete risulta in lingua messapica a Baletium, Orra e Uzentum, in greco (?) a Graxa e Sturnium, in latino solo a Brundisium, colonia latina57. L’individuazione delle emissioni salentine diventa difficile per l’impossibilità di conoscere le località in cui le monete furono rinvenute, elemento estremamente importante per la localizzazione della Zecca. Tale carenza ha reso impossibile associare alle monete materiale archeologico di genere diverso, strumento per un più puntuale inquadramento storico-temporale. In molti altri casi, poi, l’illeggibilità del materiale numismatico ha reso difficoltosa la conoscenza dei dati intrinseci, come la lettura delle legende. A complicare tutto il quadro, alcuni antiquari, spinti da una sorta di “patriottismo locale”, studiarono le fonti classiche interpretandole a modo loro e falsificandone spesso il vero significato. Ne è risultata una serie di ipotesi fantasiose, che ha fatto diventare alcune città sedi di Zecche. Esempio di ciò è Otranto, che è stato al centro di un interesse di questo tipo per via di una moneta con epigrafe Υ∆Ρ (IDR), insieme con i centri di Manduria (per via di una moneta con epigrafe ΜΑΝ), Carovigno (per una moneta con legenda CARB–BRUN), Galatina (per via di un esemplare con epigrafe ΓΑΛΑΤΙΝΩΝ [GALATINON]), Lecce (per delle monete con legenda ΛΥΚΙΑΝΩΝ [LYCIANON]), ed infine Vereto (per una moneta con epigrafe ΥΡΙΑΤΙΝΩΝ [URIATINON]).
trada Casarana, un centro Castrano, giudicando dai rinvenimenti in regolari campagne archeologiche recenti, sembrerebbe che vada cercato nell’area tra Fasano ed Egnazia. Resta aperto il problema dell’identificazione della Zecca (cfr. Idem, pp. 237-240). Vedi anche A. SICILIANO, Le emissioni monetali a legenda ΓPAEA – ΓPA, in “Atti del IV Convegno di Studi sulla Puglia Romana, Mesagne 19-20 gennaio 1996”, Galatina, Congedo, 1998, pp. 151-158. 56) Il centro di emissione delle monete ad epigrafe ΣΤΥ, ipoteticamente individuato presso Ostuni in Provincia di Brindisi, attende ancora una concreta conferma archeologica (cfr. Idem, pp. 251).
57) Cfr. A. SICILIANO, Le Zecche della Messapia, in I Messapi ..., Atti del XXX ..., cit., p. 226.
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Cenni sulle epigrafi del nostro territorio
CENNI SULLE EPIGRAFI DEL NOSTRO TERRITORIO Questo nostro territorio, cioè quello compreso tra i due capoluoghi attuali Lecce e Brindisi, era composto da ville situate nelle campagne che una fitta rete di strade collegava alle tre città di Brindisi (Brundisium), Lecce (Lupiae) e Valesio (Balesium); la stessa rete che per ultimi i romani utilizzarono creando o inglobando parte di essa in arterie principali quale la nostra Traiana. Intorno a queste direttrici di viaggio sono sorte masserie fortificate o palazziali quali S. Maria di Cerrate, Nocita, Lubelli, Santa Maria dell’Alto, Abbadessa, Bagnara, Curti Petrizzi, Esperti Nuovi, Calce, Muro Maurizio, Torricella, Prete, San Luca, San Lasi di Sopra e S. Lasi di Sotto, ecc. Non è un caso che si riscontrino, nei pressi di queste masserie, frammenti di embrici, vasellame comune, parti di contenitori di derrate, parti di ceramiche più fini databili al II sec. d.C., fibule, anelli, frombole, rinvenimenti monetali ed epigrafi58 (vedi foto 8).
Masseria San Lasi di Sopra. 58) A conferma di ciò, è visibile, sull’arco della Masseria S. Lasi (San Biagio), una epigrafe dove si legge chiaramente che nel 1665 i signori che abitavano in questo luogo avevano di fronte dei resti romani. Si aggiunga che contadini del posto ci avevano fatto vedere delle medaglie portafortuna che altro non erano che dei nummi centenionali, piccole monete in rame note come “denarius nummus” di Graziano o Valentiniano. Sarebbe pertanto auspicabile studiare bene la zona circostante questa masseria.
Cenni sulle epigrafi del nostro territorio
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D.O.M. D. BLASIO INFULATO LAUREATO FAUCIU VINDICI CUIUS GAUDET NOME CLAEVI (O CLAEVE?) A GAUDET ET PATROCINIO HIC AGER HIC FUNDUS OPPIDUM QUONDAM VIDES RUDERA AUDES FAMAM TANTI HEROI AMBITIOSU PUTELAE MAGNORUM (MERITORUM? O) MENTORUM EXIGUM MONUMENTU DOCTOR JOANNES DOMINICUS PIZZINIACUS LUCIENSU IATROPINU (?) SICUS D.D.A.S. MDCLXV (Questo campo, questo podere, un giorno piazzaforte, è di D. Blasio, che si fregiò delle Bende sacre e dell’alloro, garante (o vendicatore?) della gens dei Fauci, del cui nome e patrocinio si compiace. Tu vedi i ruderi, odi la fama di un così illustre grand’uomo (………..) una piccola testimonianza di grandi meriti (………..) Dott. Giovanni Domenico Pizzianico di Lecce (……………..) 1665)
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Cenni sulle epigrafi del nostro territorio
Queste ultime59 sono di notevole importanza documentale, in quanto attestano delibere delle più alte assemblee cittadine per la concessione di suolo pubblico destinato a sepoltura oppure alla collocazione di statue. Le decine di epigrafi ritrovate nel nostro territorio ci permettono una ricostruzione storica documentata; esse sono evidenze individuali scolpite, dipinte, graffite su materia dura o su oggetti come anfore, lucerne, ceramiche, tegole, ecc. con propositi celebrativi ed espositivi finalizzati alla divulgazione e alla lettura collettiva. Occorre distinguere fra iscrizioni sacre, funerarie e onorarie: per sacre si intendono quelle impresse su oggetti offerti ad una divinità; quelle funerarie sono relative ad un sepolcro, mentre quelle onorarie hanno lo scopo di commemorare un individuo. Oltre a queste abbiamo i monumenti che si classificano in vari tipi: ara (usata per monumenti con destinazione sia sepolcrale sia onoraria); cippo (usato come semata tombale o come termine di confine); lapide (monumento tramandato dalla tradizione antiquaria); stele (monumento a due dimensioni, a forma di parallelepipedo, lunetta ecc.). Fra gli innumerevoli reperti di questa tipologia di monumenti mi sembra importante segnalare la stele attualmente conservata presso l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate, sulla provinciale Squinzano-Casalabate. Si tratta di una stele60 databile attorno al II sec. d.C. su cui compare un’epigrafe onorario-funeraria che un gentilizio di origini messapiche, Tutorius, dedica ai congiunti defunti.
59) Per maggiori approfondimenti sulle epigrafi, cfr. G.C. SUSINI, Problematica dell’epigrafia classica nella regione Apula e Salentina, in “ArchStorPugl”, XXII, 1969, pp. 38-48.
60) «Base ortogonale in calcare. Resta problematico individuare il luogo di origine. La base, i cui spigoli sono ornati di […] scanalate con basette di derivazione ionica e capitellini fogliati con elementi separativi a punte di lancia […] La struttura dell’iscrizione è accurata […] Il testo è impaginato su tredici righi di altezza uniforme scanditi da segni d’interruzione regolare […] Per la presenza delle hederae insieme alla struttura compositiva del testo, si può proporre una datazione tra il II e il III secolo d.C. D(is) M(anibus). / P(ublius) Tutorius / P(ublii) F(ilius) CAM(ilia) TRIBU / HERMETIANUS, / DEC(urio), V(ixit) A(nnuis) (duodecime) / ET AELIA TETIS, / QUAE V(ixit) A(nnis) (trigintaseptem), / H(ie) S(iti) S(unt). / P(ublius) TUTORIUS / HILARIANUS / FILIO DULCIS / SIMO ET UXORI / SANCTISSIMAE. E’ la dedica che Publius Tutorius Hilarianus offre ai propri congiunti Publius Tutorius Hermatianus e Aelia Tetis, in qualità di padre e marito […] Il gentilizio Tutorius rientra in quelli di origine messapica: diffuso a Brundisium, figura a Canusium e saltuariamente a Tarentum e ad Herdonia (Ortona)» (M.D. LARVA, Le epigrafi romane di Lecce, Publigrafic, Trepuzzi 2001, pp. 113-115).
Cenni sui commerci nel Saltus e nella piana dei Messapi
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CENNI SUI COMMERCI NEL SALTUS E NELLA PIANA DEI MESSAPI Nel rettangolo che racchiude il territorio da Brindisi61 (Brundisium) a Lecce (Lupiae) con il centro in Valesio (Balesium)62, i cui vertici sono Brindisi-Mesagne-Lecce-Villa Convento, ove oggi esistono i paesi di Surbo, Trepuzzi, Novoli, Campi Salentina, Squinzano, San Donaci, Cellino San Marco, San Pietro Vernotico, Torchiarolo, Tuturano e Mesagne, è storicamente accertato che esistevano dei casali distrutti da Guglielmo I, detto il Malo, nel 1157 d.C., o abbandonati per altre cause. I casali corrispondono ai nomi di Afra, Bagnara, Cisterno, Terenzano, Cerrate, Feudo Nobile, Firmigliano, Aurio, Porziano, Caliano, Muro Maurizio, ecc. Sul terreno ove esistevano questi casali oggi si rinviene del materiale fittile, composto soprattutto da ceramica, elementi di copertura (tegole e laterizi), coroplastica e reperti numismatici. I reperti archeologici si presentano come dispersione di materiali sul terreno, dovuta soprattutto alle attività agricole, segnatamente all’azione dell’aratro che, intervenendo sull’humus di superficie, intacca gli strati archeologici conservati al di sotto del terreno agricolo. Simile azione invasiva crea una certa visibilità del sito, che varia a seconda della profondità dell’azione dell’aratro, della durata delle attività agricole, della ricchezza degli strati archeologici presenti nel terreno e dei fattori ambientali che caratterizzano una determinata regione nel corso degli anni. Per ricavare il maggior numero di informazioni si esegue l’indagine infrasito63, grazie alla quale si possono dedurre la cronologia (per lo più definita dalla ceramica), l’estensione (definita dalle dimensioni della dispersione dei reperti presenti sul terreno) e la tipologia del sito rinve-
61) Brindisi da tempi remoti è chiamato il porto mercantile dei Messapi. Il poeta latino Lucano, vissuto nella prima metà del I sec. d.C., parlando di Brindisi scriveva: «Il grande Pompeo trovò ricetto nelle sicure rocche di Brindisi. Questa città fu un tempo possesso dei coloni Dittei, che navi cecropie trasportarono, profughi, attraverso il mare di Creta» (M.A. LUCANO [39-65 d.C.], La guerra civile, trad. it. Di R. Badali, UTET, Torino 1988, Libro II, vv. 609-612, p. 130). 62) Vedi foto copertina.
63) Cfr. G.J. BURGERS, The Survey at Muro Maurizio (Mesagne), in Constructing Messapian Landscapes, Amsterdam 1998, pp. 94-127.
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Cenni sui commerci nel Saltus e nella piana dei Messapi
nuto (ottenuta in base alle associazioni di materiale)64. Quindi, queste zone meriterebbero maggiore attenzione come studio di sinergia tra pubblico e privato, con piani di programmazione dell’intero territorio salentino, nell’ambito del quale si potrebbero realizzare progetti di zona che coinvolgerebbero i comuni di appartenenza che abbiano una certa affinità produttiva e paesaggistica, indicata dagli stessi comuni in collaborazione con le risorse culturali locali. In questo nostro territorio (tra Brindisi e Lecce) vi è una zona pianeggiante, la cui parte bassa è costituita da un settore della Piana di Messapi, che è fertilissima e coltivata prevalentemente a vigneti, e quella alta dal Saltus, con varietà colturali tra le quali prevale quella dell’ulivo, con alberi spesso ultrasecolari, veri monumenti della natura, che forniscono un paesaggio attraente e unico. E’ proprio grazie a questi tipi di colture che i nostri progenitori “Messapi”, esportando i loro prodotti65, rendevano ricco il nostro territorio. I recenti scavi effettuati dall’Università di Lecce in piazzetta Castromediano (sotto la direzione del prof. F. D’Andria) hanno portato alla luce un grande impianto di produzione di quell’olio d’oliva che veniva esportato anche nel Mediterraneo orientale66. 64) Per la comprensione di questi fenomeni nel Salento vedi: G.J. BURGERS, The Settlement of Muro Tenente. First Interim Report, in “Babeschs”, 1971, pp. 103-113; F. D’ANDRIA, Insediamenti e territorio: l’età storica, in I Messapi, cit., pp. 393-478; F. D’ANDRIA, Le trasformazioni dell’insediamento. Cavallino, pietre, case e città della Messapia arcaica, Ed. Progettipercomunicare s.n.c., Mottola (TA) 2005, pp. 35-43; F. D’ANDRIA, Messapi e Peuceti, cit., pp. 653-715.
65) «Mandrie (di asini) sono di norma possedute (solo) dai mercanti, come quelli che dalla regione di Brindisi e dall’Apulia trasportano al mare olio o vino o ancora grano o altri prodotti con asini da soma» (VARRONE (116-27 a.C.), Res Rusticae, II 6,5 [Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 51]). 66) «Le anfore del Brindisino hanno corpo ovoidale espanso, con spalle arrotondate, breve collo cilindrico, ingrossato, anse a bastone, con sezione circolare, puntale corto e tozzo, talvolta sagomato a bottone. L’argilla è compatta, di colore giallo-rosato o marrone, con piccoli inclusi bianchi. L’altezza è di 75 cm circa. Il periodo di produzione è tra la fine del II e la fine del I sec. a.C. Tali Anfore venivano utilizzate essenzialmente per il trasporto dell’olio d’oliva» (Cfr. N. CALSO, R. CALDAROLA, Squinzano e Trepuzzi. Feudi e siti minori, Publigrafic, Trepuzzi 2005, pp. 22-24). Un riscontro indiretto di tale commercio si trova nel porto franco di Delo (isola sacra ad Apollo), dove i negoziatori italici si recavano proprio per commercializzare il nostro olio. Qui sono state rinvenute anfore di produzione salentina, del tipo prodotto ad Apani (antico insediamento a nord di Brindisi in cui furono rinvenute per la prima volta). Al proposito vedi anche A. CARAVALE, I. TOFFOLETTI, Anfore antiche, conoscerle e identificarle, Ireco, Fornello 1997, pp. 104-106.
Cenni sui commerci nel Saltus e nella piana dei Messapi
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Quanto sia antico il commercio del nostro territorio Clelia Laviosa67 dimostra in una lucida sintesi sulla navigazione micenea. Gino Lo Porto68, invece, si chiede che cosa contenessero l’anforone e il dolio raccolti in frammenti di Porto Perone di produzione argolica, presenti a Micene nel XIII sec. a.C. L’ipotesi più probabile (secondo Lo Porto) è che essi servissero per il trasporto di derrate alimentari come cereali69, miele70 o anche vino71 e olio di oliva72; tutti generi riscontrabili negli ideogrammi delle tavolette micenee. I citati vasi di Porto Perone sono di produzione micenea ed è certo, quindi, che furono usati per il trasporto di andata di merci di scambio ed acquisti. Tra le numerose prove ne citerò una che sembra importante, cioè il ritrovamento del 3 maggio 1988 in un cantiere di Mesagne alla via S.
67) Clelia Laviosa riferisce l’opinione di alcuni studiosi secondo i quali in età micenea la forte richiesta di lino da parte dei palazzi aveva limitato in Argolide la coltivazione di grano e dell’orzo a vantaggio, appunto, del lino. Ciò determinò la necessità dell’approvvigianamento di cereali in Puglia onde superare eventuali carestie. Si spiegherebbe così il ritrovamento nel continente elladico di resti di vasi d’impasto d’importazione italiana, verosimilmente usati per il trasporto di ritorno di tali derrate (Cfr. C. LAVIOSA, La navigazione micenea dal mito alle testimonianze archeologiche, in “MGMM, I,1982, pp. 321-335). 68) Cfr. F. G. LO PORTO, Insediamenti protostorici costieri del Salento, in I Messapi, Atti del XXX ..., cit., pp. 383-390.
69) [172 a.C. - Roma] «Tre commissari vennero inviati a comprare grano per la flotta e l’esercito in Apulia e in Calabria» (TITO LIVIO, a.U.c., XLII 27, 8, cit.,) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 91).
70) «Nella Calabria […] dove si produce il miele migliore» (POMPONIO PORFIRIONE [IIIII sec. d.C.], Commentari in Horatii Carmina, Ed. A. Holder, Ad Aeni Pontem, 1894 Hildesheim 1967, III 16, 33) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 171).
71) «Ehi tu, Iapix (Iapige), miscelalo più schietto (si intende il vino miscelato con acqua nel cratere, secondo l’uso dei greci)» (Antifane Comico [IV sec. a.C., prima metà], fr. 139 Koek, conservato presso ATENEO, I Sofisti a banchetto, X, 423 D) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 17).
72) «Quale coltivazione di olive supera quella messapica, daunia, sabina e di molti altri popoli? Quale regione coltivata a vite può dirsi superiore al territorio messapico e albano, che sono mirabilmente atti alla viticoltura e con il minimo di cure da parte dell’uomo producono le migliori uve delle più numerose varietà» (DIONISIO DI ALICARNASSO, Storia di Roma arcaica, a cura di F. Cantarelli, Rusconi, Milano 1984, Libro I, 37, p. 71).
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Cenni sui commerci nel Saltus e nella piana dei Messapi
Pancrazio, durante lo sradicamento di una palma secolare, di una tomba a semicamera monumentale databile tra il III e il II sec. a.C.73, che nel corredo funerario, tra i tanti vasi, ora esposti nel locale museo archeologico, comprendeva un’anfora di Rodi ed una di Cnidia74. Anfore di questo tipo nel terzo e secondo sec. a.C., servivano per il trasporto di olio dal nostro territorio verso il bacino mediterraneo. A conferma ulteriore dei commerci, citeremo i ripostigli monetari tra Brindisi e Lecce: quello di Mesagne del 1969, nella Masseria Tenente, e quello del 1976 della Masseria Muro Maurizio, sita fra San Donaci e Mesagne. Questi ritrovamenti fortuiti confermano la presenza di monete campane e della sponda orientale dell’Adriatico, accanto alle magno-greche d’argento, prevalentemente divisionali, ed alle bronzee, locali e puniche. Proviene da Valesio il gruzzolo più antico che si sia rinvenuto in area messapica (Valesio, 1957), databile agli inizi del V sec. a.C., comprendente esclusivamente stateri incusi di Metapontum, Sibaris, Caulonia. Interessante il tesoretto di Surbo (1928) che comprendeva oltre 59 stateri tarantini, uno statere di Heraclea, uno di Metaponto, uno di Argos, nonché tre quadrigati. Altri ritrovamenti fortuiti e da scavo: Lecce, Mesagne, Squinzano, Trepuzzi, San Pietro Vernotico e Brindisi75. In conclusione, le ricerche condotte da F. D’Andria76 hanno permesso di decifrare, attraverso lo studio dell’arrivo di oggetti negli insediamenti Iapigi nel Salento da Corinto, Corfù e dalla Grecia continentale e orientale, consistenti in anfore commerciali destinate al trasporto di vino, il quadro delle relazioni commerciali tra la nostra zona e tali città.
73) A. NITTI, Tomba a semicamera dalla necropoli meridionale di Mesagne, in “Castrum medianum”, Quaderni di storia, arte, archeologia, Tradizioni popolari (4), Centro studi “G. Antonucci” Mesagne 1989-1990, Stampa Grafischena, Fasano 1991, pp. 11-18.
74) Anfora Rodia: argilla chiara, rosata all’interno. Puntale a tacco; anse a sezione circolare piegate a gomito. Collo cilindrico; orlo ingrossato. Bolli circolari alle sommità delle anse, altezza cm 81; diametro orlo cm 12,5. Anfora cnidia: argilla rosata, puntale conico con elemento di raccordo. Anse a sezione ellittica impostate poco al disotto dell’orlo ingrossato non a gomito. Collo largo poco rastremato verso l’orlo. Alla sommità delle anse bolli rettangolari. Altezza cm 86, diametro orlo cm 11 (Cfr. Idem, pp. 57-58).
75) Cfr. A. TRAVAGLINI, Presenze monetali in Messapia, cit., pp. 255-285.
76) Cfr. G. SEMERARO, Commerci e scambi, in Cavallino..., op., cit., a cura di, F. D’ANDRIA, pp. 93-96.
PARTE SECONDA
Parte seconda
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In questa seconda parte tratterò di ritrovamenti fortuiti sulla superficie del terreno da parte di abitanti della zona, che da tempo mi avevano fatto delle segnalazioni. Con molta pazienza sono riuscito a fotografare77 una notevole messe di materiale proveniente da Afra, Cisterno, Muro Maurizio e Valesio, prima che i reperti andassero consegnati alle preposte autorità, ovvero in ignote collezioni private. Ne sono risultate ulteriori testimonianze dei commerci che la nostra zona, da Lupiae a Brundisium, aveva con l’entroterra e il bacino del Mediterraneo. Di taluno di questi ritrovamenti ho ritenuto valesse la pena riportare dei cenni storici, allo scopo di rendere meno lacunosa la mia trattazione.
77) Le foto non rispecchiano le reali misure dei ritrovamenti. Le illustrazioni dei rinvenimenti monetali non sono presentate secondo l’ordine cronologico di emissione delle monete o in funzione del loro valore nominale, in quanto, non lo ritengo un manuale numismatico. Le loro schede esplicative presentano più richiami bibliografici al fine di far rilevare lo sviluppo delle metodologie che permettono di assegnare con un minimo margine di errore la datazione delle stesse. Pertanto, a mio parere, le metodologie più accreditate paiono quelle riportate nei volumi Historia Numorum Italy e Sylloge Nummorum Graecorum Italy.
Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
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CONTRADA VALESIO (BALESIUM) NORD-TORCHIAROLO (BR) «[...] Portus Tarentinus, statio Miltopes, Lupia, Balesium, Caelia, Brundisium, L M passuum ab Hydrunte, in primis Italiae portu nobile [...]»78. Cosimo De Giorgi79, in Bozzetti di viaggio, dice: «Valesio si trova menzionato da Plinio, da Strabone e dalla “Tavola di Peutingero” con i nomi di Balesium, Baletium e Balentium, con quello di Valentia nell’itinerario gerosolimitano, e da Pomponio Mela fu detta Valetium. Restava a mezza strada tra Brindisi e Lecce, lungo la via Traiana80, continuazio-
78) C. PLINII SECUNDI (Plinio il Vecchio), Storia naturale, Estratti del Libro III, vol. 1, Torino, Einaudi, 1982, p. 434.
79) C. DE GIORGI, La Provincia di Lecce, Bozzetti di Viaggio, 2 voll., Congedo Ed., Galatina 1975, vol. II, pp. 309-312.
80) Sentiamo a tal proposito Antonio Salvatore Elia: «Probabilmente queste tre antiche città in tempi molto remoti erano state collegate tra loro da strade indirette, che si dipartivano da questi centri urbani murati e si irradiavano nel territorio circostante dove avevano luogo la maggior parte delle attività produttive, costituite in prevalenza dall’agricoltura e dalla pastorizia. Erano quindi queste ramificazioni a congiungersi e creare il legame viario tra queste tre città. Venuti i romani nella metà del III sec. a.C., in seguito alla disfatta della coalizione che aveva visto alleati i Messapi, i Salentini, i Tarantini e Pirro re dell’Epiro, le strade del Salento furono in qualche modo pianificate e quindi fu costituita un’anulare che circondava tutto il tacco della penisola salentina congiungendo ed armonizzando tra loro precedenti tragitti che erano serviti agli spostamenti delle popolazioni locali. S’ebbe così la strada che prese la denominazione di Augusta-Sallentia. Ma con Traiano, ritenuto il più grande costruttore e riammodernatore delle strade romane, fu costruita una nuova via, detta appunto Traiana, che era più spedita, agevole e razionale rispetto alla vecchia Augusta-Sallentia e che metteva in comunicazione più diretta i centri più importanti del Salento. Questa Traiana salentina (109 d.C.) costituiva il prolungamento della Traiana, costruita qualche anno prima e che si dipartiva da Benevento, attraversava la Daunia, passava per Egnazia ed era stata fermata a Brindisi. Traiano fu sollecitato a costruire questo prolungamento anche dalla necessità di costituire nel porto di Otranto un polo alternativo al porto di Brindisi. La Tavola Peutingeriana costituiva una guida utile per chi doveva viaggiare sulle strade romane in tutto il mondo in quanto vi erano indicati percorsi e distanze tra le diverse città dell’impero romano, oltre che i luoghi di sosta e di ristoro con i cambi dei cavalli. A volte erano indicati anche i pozzi e le cisterne d’acqua presenti lungo le strade per la sete ed i bisogni dei viandanti e delle loro bestie. Osservando il tracciato si nota una direzione quasi rettilinea, frutto di una scelta precisa per congiungere i tre centri importanti Lecce, Valesio e Brindisi. In conclusione il tracciato delle grandi strade romane tralascia i piccoli centri per mirare a quelli di notevole importanza ed alle città murate. Vedasi il tracciato ricostruito nella Tav. 1 [riportata alla pagina 70 del presente volume].
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Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
(Tav. 1) Via Traiana Ricostruzione della Via Traiana nel tratto Lecce-Valesio. Elaborazione di Antonio Salvatore Elia.
Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
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(Tav. 2) Ricostruzione della Traiana (C. Pagliara, Studi di Antichità, 2° volume 1980, Tav. 70) A mia conoscenza - continua A.S. Elia - [il pensiero del] prof. C. Pagliara, del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Lecce, collima con il mio ragionamento e ricostruzione della via Traiana, in quanto indica il tracciato del quale stiamo trattando ipotesi di strada imperiale romana (Tav. 2 [riportata alla pagina 71 del presente volume])» (A.S. ELIA, Le strade Brindisi-Valesio-Lecce, in “Rivista di Cultura Nostrana”, 3 (1984), A.P.C.T. (Associazione per il patrimonio culturale di Torchiarolo), San Pietro Vernotico, Tip. Sampietrana, p. 34). Vedi anche C. PAGLIARA, Note di epigrafia salentina, in “StAnt”, vol. II, Congedo Ed., Galatina 1980, pp. 205-235.
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Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
ne dell’Appia, che tagliava la città nel mezzo. Valesio, prima di essere città greca e romana, fu uno dei centri della popolazione messapica. Molti scrittori dell’era volgare ne hanno parlato: il Galateo81 il Marciano, il Tasselli, il Cataldi e più di recente il De Simone, il Maggiulli e il Castromediano. Io l’ho visitata nel 2 giugno del 1886 prosegue il De Giorgi - per confrontare con lo stato presente della città quello descritto dal Galateo nei primi del XVI secolo, quando egli si recò dalla sua villa di Trepuzzi per osservare molti cimeli in terra cotta [...] Della distruzione di questa città non fa motto il Galateo; ma vien riferita dal Ferrari, dal Marciano e da altri con quella di Lecce, di Rusce, di Vaste e di Columito, a Guglielmo normanno, detto il Malo [...] Le parole del Galateo mi tornarono alla mente appena valicato il muro di cinta, presso la Casina Marangi della signora Maddalena De Anna di Squinzano. La città è diruta, anzi affatto distrutta! Gli edifizi tutti atterrati, la necropoli messapica, greca e romana, nell’interno e fuori della cinta, frugata e saccheggiata, i cimelii dispersi in tutti i musei d’Europa e convertiti in moneta sonante da avidi speculatori. Restano appena i nomi dei luoghi, ed anche su questi ci sarebbe da ridire. Così la via che traversa oggi l’area interna di Valesio, e che forse corrispondeva alla Traiana, viene detta Via del Teatro. Unica reliquia tutt’ora in piedi, sono le mura; ma anche queste crollate in parte, interrando il fosso di circonvallazione, ed in parte coverte da fitti spineti o mutate in sentieri campestri. Queste mura presentano due tipi assai distinti: uno antico, e messapico secondo alcuni, ma forse anche romano; ed un altro certamente del medio evo. Un bel tratto del muro antico, largo sei metri, potremo vederlo nel giardino di dietro, del Casino Marangi [...] Le mura antiche, alle quali i patrii scrittori assegnano il titolo cronologico di messapiche, sono formate di grandi massi parallelepipedi bene squadrati di calcare sabbioso locale, detto volgarmente càrparo, addossati gli uni sugli altri in corsi 81) Val la pena di riportare le parole testuali del Galateo: «Baleso dista 3 miglia dal mare. In questo tratto si son ritrovate molte tombe di bianco marmo. Stando io nella mia piccola villa lungi sei miglia da questo luogo, un contadino mentre scavava un pozzo, rinvenne alcune lapidi di candido marmo. Tosto mi chiama: io vi accorro con molti contadini. Vi ritrovo innumerevoli stoviglie, lapidi marmoree e molte specie di vasi: mi sembrarono opere di buon artefice, e pertinenti a qualche ricco personaggio, infatti erano terme di lavoro assai pregiato [...] Infra le sue ruine poi nei tempi degli avi nostri un tal Marsilio povero contadino di Lecce ritrovò gran quantità di argento. Non è menzogna avutone di ciò lingua Maria contessa leccese, che poscia, divenne consorte di re Ladislao, se ne impadronì, e dopo la morte di costui, lo impiegò nelle grandi spese della guerra, che avea sostenuto a favore di Alfonso» (A. DE FERRARIIS, Epistole salentine, cit., pp. 133-135).
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paralleli, come nelle costruzioni prettamente isodome dei romani ed in quelle che pur si rinvengono nelle nostre città messapiche di Vaste, di Muro e di Manduria. Quelle del medio evo son formate di piccoli pezzi in parte squadrati, in parte no, e legati gli uni con gli altri con cemento di calce, che manca in quelle antiche, dove i massi si sorreggono per proprio peso. Per delimitare le mura, delle quali il De Simone fece la pianta topografica, aggiungerò che a partire dal Casino Marange su riferito, si passa in quello di Paolino Bianco da San Pietro Vernotico, dove esiste una rustica casetta; poi sulle mura si rinviene un casolare campestre, uno dei nostri truddwi. Quindi seguono la casina di Anton Maria Elia, il fondo del sacerdote Michele Ghezzi e quello di Vito Nicolì; gli altri eredi Imperio, in contrada S. Stefano, quello di Giuseppe Cleopazzo da Squinzano, ed infine quelli pertinenti alle due masserie grande e piccola dei signori Corallo di Lecce [...] L’interno di Valesio è tutto formato di campi sementabili. Un fosso di scolo, detto Canale Infocaciucci, perché d’inverno riduce tutta questa contrada ad un vero pantano intransitabile e fornita di aria pestifera, divide la città da ponente a levante e va a scaricarsi nell’Adriatico. E’ forse il torrente vantato dal Galateo, e dal quale egli prese l’avviata per fare una escursione a modo suo nel campo della idrografia. Questo canale, che proviene dal territorio di San Pier Vernotico, traversa, uscendo da Valesio, il territorio di Torchiarolo tra la Masseria Case Bianche e la chiesa della Madonna di Caliano, che ci ricorda quest’altro casale di Caliano nominato nei diplomi normanni e forse distrutto insieme con Valesio. Le iscrizioni messapiche e latine rinvenute in Valesio sono state in piccola parte raccolte dal museo provinciale di Lecce, ed in massima parte disperse82 o distrutte; e la stessa sorte han subito i vasi in terra cotta grezza o figurata e smaltata, tra i quali se ne ammirano alcuni bellissimi del più perfetto tipo greco. 82) «Copiata e favoritaci dall’orefice Scarambone di Lecce, da lui trovata nel sepolcro di una sua terra a Valesio. [...], ma noi ocularmente non vedemmo ancora l’originale». Le iscrizioni messapiche di Valesio (CXVIII inedita) raccolte dai cav. LUIGI MAGGIULLI e DUCA SIGISMONDO CASTROMEDIANO, Tipografica Editrice Salentina, Lecce MDCCCLXXI.
83) Nella storia delle emissioni e rinvenimenti monetali relativi al Salento, il posto occupato dalla Zecca di Valesio, raro esempio di zecca attiva nella metà del IV sec. a.C., è di primissimo piano. Un progetto presentato da Aldo Siciliano (direttore Dipartimento Beni Culturali Università di Lecce) intende valorizzare il patrimonio numismatico nell’ottica di una ricostruzione del contesto dell’antica civiltà messapica in cui il bene culturale “moneta”, testimone diretto del passato, diventa chiave di lettura della mentalità dei popoli e della loro organizzazione politica.
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Con le monete di argento di zecca locale83 il Cavedoni e il De Luynes confermarono, non è guari, l’esistenza e l’importanza di questa città messapica, oltre le corniole incise, ricordate dal Galateo. Alcuni di questi cimelii mi furon mostrati in Squinzano dai signori Giuseppe Cleopazzo e da Raffaele De Anna; e non passa anno che non segni qualche nuovo rinvenimento nella necropoli interna della città ed in quella esterna, in parte ancora inesplorata». Fin qui il De Giorgi, la cui lunga citazione valeva la pena riportare per la precisione dell’autore. Valesio, dai torchiarolesi chiamata “Valisu”, come la zona in cui si trovano i suoi resti, fu prima un importante centro messapico, come attestano le ceramiche più antiche rinvenute, risalenti all’VIII sec. a.C., e poi romano. Nella provincia di Brindisi è la più importante area archeologica dopo Egnatia. I primi scavi furono effettuati tra il 1984 e il 1990 da un’èquipe olandese guidata da Johannes Boersma della Libera Università di Amsterdam. Fu scoperto un complesso termale di epoca imperiale romana (foto 9), eretto sui resti di un insediamento capannico-
(Foto 9) Mosaico del complesso termale romano, costruito tra la fine del III e la prima metà del IV secolo d.C.
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lo dell’VIII sec. a.C. Nel IV sec. a.C. il sito assunse le dimensioni e la forma di un agglomerato urbano esteso ettari 8884 e cinto da 3 km di mura alte 4 metri e larghe altrettanto85 (foto 10). Seguì le sorti di Brindisi (Brundisium), alleata di Roma nella guerra annibalica, nella buona e cat-
(Foto 10) Valesio: un tratto della cinta muraria a Nord-Est dell’abitato.
84) Cfr. F. D’ANDRIA, Insediamenti e territorio: l’età storica, in I Messapi ..., Atti del XXX ..., cit., pp. 446-447.
85) Le fortificazioni sono l’evidenza archeologica meglio studiata fin dal XVI secolo d.C. Il loro intero percorso, però, venne identificato soltanto verso la fine degli anni ‘60 del ‘900 grazie all’utilizzo della fotografia aerea. In seguito, le ripetute campagne di scavo, con ricognizioni territoriali e prospezioni con il geo-radar hanno permesso di acquisire molti aspetti tecnici determinando una cronologia dell’intero circuito databile intorno alla fine del IV secolo a.C. J. BOERSMA - G.J. BURGES, Fortificazioni messapiche nel brindisino, in Scritti di antichità in memoria di Benita Sciarra Bardano, a cura di C. Marangio e A. Nitti, Fasano 1994, pp. 27-38.
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(Foto 10) Valesio: un tratto della cinta muraria a Nord-Est dell’abitato.
tiva sorte. Attraversata dalla via Traiano-Calabra al tempo di Costantino I il Grande (280-337), Valesio divenne stazione viaria del servizio postale imperiale: situata com’è a metà distanza tra Brindisi e Lecce, fu sede di mutatio (posto di cambio di cavalli o muli) e fornita di servizi tra i quali un complesso termale. Nell’ultimo tratto della via Traiana solo Brindisi, Lecce e Otranto erano fornite di alberghi (mansiones). I viaggiatori passavano la notte a Lecce (Lupiae) mentre le cavalcature venivano cambiate alla mutatio Valentia (Valesio). Nel 1157 viene distrutta da Guglielmo I il Malo, in occasione di una spedizione punitiva contro il conte di Lecce. Ridotta a Casale, Valesio fu donata ai monaci leccesi che sulle rovine delle terme costruirono una chiesa consacrata a Santo Stefano. Abbiamo indicazioni precise sulla consistenza della popolazione esistente dalla carta del gennaio del 118286, che contiene un elenco nominativo dei villani residenti a Valesio, Caliano e Olive, compresi quelli che in quel momento risultavano abitare nei casali limitrofi di Terenzano, di 86) Cfr. C.D. POSO, Il Salento normanno. Territorio, istituzioni, società, Congedo Ed., Galatina 1988, pp. 201-202.
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Cisterno e di Torchiarolo. In questo elenco figurano complessivamente residenti in Valesio e Caliano, fra villani (tributarii) e affittuari (staliati), 21 uomini (più il fratello di un tal Andrea e quello di un certo Carlo) e 7 in Olive (ai quali vanno aggiunti i fratelli di un tal Niceforo e gli uomini dipendenti dal vescovo di Ostuni, detentore di una parte del casale). Gli abitanti dei tre casali considerati, compresi i non residenti, assommavano quindi ad un totale di 143 persone (considerando ogni capo famiglia a 3, 5 entità). I superstiti, solidali nella sventura che li aveva colpiti e per il forte attaccamento alla generosa terra, che per loro costituiva una vera ricchezza, anziché andare a cercare miglior fortuna altrove, stazionarono nella zona e fondarono un nuovo centro abitato a breve distanza dalla città distrutta. Questo nuovo paese prese il nome di Turcalurum come risulta in un documento del 1181. Il nome non fa riferimento ai Turchi, anche se lo stemma comunale mostra un turco incatenato, ma ad un attrezzo comune usato per la vinificazione e l’estrazione dell’olio: il torchio (dal lat. torculum); mentre gli operai che lo usavano venivano detti “torchialori”. Per finire, un solo rimpianto: l’area archeologica non ha mai subito scavi sistematici e a tutt’oggi risulta essere ancora interrata. Rimangono il silenzio delle cose passate e la curiosità di scoprire fra i ruderi qualche vaso antico, una lucerna, un segno mai scoperti dall’archeologo.
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ILLUSTRAZIONI DI RINVENIMENTI MONETALI FORTUITI NEL SITO DI VALESIO
Diritto
Rovescio
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Provenienza:
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Autorità emittente:
Taranto (Tarentum, ΤΑΡΑΣ)
Zecca:
Taranto (Tarentum, ΤΑΡΑΣ)
Nominale:
Statere
Metallo:
AR -
Pos. Coni:
2 (due)
Diritto:
Giovane cavaliere in atto di coronare il cavallo al passo a d., tra le zampe del cavallo, NEY/MH. In alto a d., ΑΡΙΣ.
Rovescio:
Giovane su delfino a s., con elmo nella mano d. protesa, la s. sul dorso del delfino. Sotto ΤΑΡΑΣ a s. e d. stella a dodici raggi.
Cronologia:
281-272 a.C. (periodo VII Evans). 340-325 a.C. (gruppo 58)
Bibliografia:
Descriptive Catalogue of the Collection of Tarantine Coins Formed by M.P. Vasto, compiled by Oscar E. Ravel, London 1947, p. 86, n° 747. Wolfgang Fischer-Bossert, Chronologie der Didrachmenpragung, von Tarent Walter De Gruyter, Berlin, New York 1999, pp. 239-240.
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TIPOLOGIA La figura impressa sugli stateri, un giovane su un delfino, ha suscitato accese discussioni: Taras o Falanto? Pausania racconta che prima di giungere in Italia Falanto avesse fatto naufragio nel golfo Criseo e fosse stato portato a riva da un delfino. Aristotele, secondo quanto ci tramanda Polluce, identifica con Taras il personaggio raffigurato sulle monete tarantine, trasportato da un delfino di Poseidone87. Il Corsano88, riesaminando il mito della fondazione di Taranto, attribuisce a Taras l’eroe indigeno a Falanto l’eroe spartano. Probabile l’ipotesi che il giovane su delfino debba aver cambiato identità tra la prima metà del V e la seconda del IV secolo a.C.
87) I Messapi, Atti del XXX ..., cit., pp. 230-231. 88) M. CORSANO, Sparte et Tarente: le Mythe de la Fondation d’une Colonie, in “RHR”, CXCVI, 2(1979), pp. 139-140.
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TARANTO. CENNI STORICI Taranto prendeva il nome dall’omonimo eroe, ΤΑΡΑΣ, figlio di Poseidone; sorse verso il 706 a.C. ad opera di coloni spartani, guidati, secondo la tradizione, da Falanto, duce dei Parteni89, in territorio probabilmente messapico, sul sito di un insediamento miceneo, risalente probabilmente al XIV sec. a.C. La città raggiunse il culmine della sua prosperità con il filosofo pitagorico Archita (prima metà del IV sec. a.C.), uomo politico e scienziato, sotto il quale tra il 367 ed il 361 Taranto fu a
89) «Parlando della fondazione [di Taranto] Antioco dice che, alla fine della guerra messenica, quelli degli Spartani che non avevano partecipato alla spedizione vennero dichiarati schiavi e chiamati Ilioti. Tutti i figli nati durante la spedizione li chiamarono Parteni e li privarono dei pieni diritti di cittadinanza; ma questi ultimi, che erano numerosi, non sopportando questa condizione, organizzarono un complotto contro i cittadini costituenti l’assemblea del popolo [...] il complotto, alla cui testa era Falanto, viene sventato; alcuni dei congiurati fuggono, altri chiedono grazia [...] Falanto fu invece inviato a Delfi per consultare il dio sulla fondazione di una colonia. Il dio rispose: “Ti dono Satyrion e ti concedo anche di abitare il ricco paese di Taranto e di diventare flagello per gli Iapigi”. I Parteni andarono dunque con Falanto e li accolsero i barbari e i Cretesi che in precedenza si erano insediati sul luogo. Dicono che si trattasse di quelli che avevano navigato con Minosse alla volta della Sicilia e che, dopo la morte di questi, avvenuta a Camico presso Cocalo, erano andati via dall’isola, venendo poi, nel viaggio di ritorno sbattuti su questa costa [...] Dicono che tutti gli abitanti di questa regione fino alla Daunia si chiamarono Iapigi da Iapige, che era nato a Dedalo da una donna cretese e che aveva guidato i Cretesi. La città la chiamarono Taranto dal nome di un eroe» (ANTIOCUS SYRACUSANUS [V sec. a.c. ], fr. 13, Ed. Jacoby, FGr Hist. 555) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 10-11). «Essendo sopravvenuta [a Sparta] una sedizione, i Parteni, sconfitti, abbandonarono volontariamente la città, e avendo inviato una deputazione a Delfi, ne ricevettero un oracolo che prescriveva loro di navigare verso l’Italia e, quando avessero trovato una località della Iapigia chiamata Satyrion e un fiume di nome Taras, di stabilirsi là dove avrebbero visto un montone in atto di bagnare la sua barba nel mare. Dopo aver navigato, essi trovarono il fiume e videro una vite abbarbicata ad un fico selvatico cresciuto in riva al mare, uno di quei viticci [epitragoi] pendeva fino a bagnarsi nell’acqua. Comprendendo che era questo il “montone” [tragos] che il dio aveva prescritto loro di vedere mentre si bagnava la barba al mare, fermatisi lì, fecero guerra agli Iapigi e fondarono la città che dal nome del fiume chiamarono Taranto» (DIONYSIUS HALICARNASSENSIS [I sec. a.C., prima metà], Antiquitates Romane, Ed. C. Jacoby, Lipsiae 1885-1905) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., pp. 79-80). «Essi [scil. i Parteni] così partirono (da Sparta, per la spedizione coloniale a Taranto), e trovati gli Achei che combattevano coi barbari, condivisero con essi i rischi della guerra e fondarono Taranto» (EFORO [405-330 a.C.], fr. 216, Jacoby apud Strab., Geogr., VI 3, 3 [C 280]) (Traduzione tratta da I Messapi e la Messapia..., cit., p. 20).
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capo della confederazione italiota, che, con capitale Eraclea, raggiunse sulle popolazioni indigene di tutta la regione pugliese il massimo dell’influenza sull’arte e civiltà. Restii a combattere personalmente, i tarantini ricorsero in misura crescente all’aiuto mercenario di sovrani greci: prima assoldarono Archidamo di Sparta, figlio di Agiselao, sconfitto dai Messapi a Manduria (338 a.C.), poi Alessandro il Molosso re dell’Epiro (335-330 a.C.), quindi Cleonimo di Sparta (302 a.C.), infine Pirro, re dell’Epiro, quando la città venne a conflitto con Roma (280-275 a.C.). In seguito Taranto si alleò con Annibale e per questo fu saccheggiata nel 209 a.C. dal console Fabio Massimo. Sembra che fino a quel momento la conquista romana non avesse, tuttavia, provocato notevoli mutamenti costituzionali, poiché l’éthnos greco continuò a gestire lo sviluppo della comunità. Dopo il 209 Taranto fu sottoposta all’obbligo, tra gli altri, di fornire navi da guerra. La politica di Roma sembra garantire l’esistenza dello stato tarantino. Il porto della città costituisce un nodo fondamentale nelle comunicazioni tra il Mediterraneo orientale e la Penisola prima della deduzione della colonia di Brindisi nel 244 a.C. e della costruzione di quella grande direttrice di espansione che fu la via Appia e successivamente la Traiana. Dopo il periodo annibalico Roma intervenne direttamente nella vita stessa della città, ricordata come sede di un pretore: Quinzio Flaminino nel 208 a.C., Cornelio Mammola nel 191 a.C., L. Pupio nel 183 a.C., ecc. L’attività di questi magistrati si rivolse all’amministrazione della regione; in rare occasioni ebbe scopi militari90. Nel 209 perse, oltre a diversi territori, forse, il diritto di battere moneta91. Corredi tombali attestano la straordinaria floridezza della città antica a partire dal VII sec. a.C. Le fonti ci parlano di una grandiosa agorà con una colossale statua di Zeus92, opera di Lisippo, e di numerosi templi tra i quali l’edificio di Persefone in cui si dice fosse collocata la stupenda 90) Cfr. E. LIPPOLIS, Alcune considerazioni topografiche su Taranto romana, in “Taras”, Vol. I,1(1981), Congedo Ed., Galatina 1981, pp. 81-82. 91) Cfr. A. STAZIO, Aspetti e momenti della monetazione tarantina, in Atti del X convegno Magna Grecia, 1970, pp. 147-181.
92) Con molta probabilità Taranto imitò l’isola amica di Rodi, costruendo a protezione simbolica del proprio porto una imponente statua in bronzo, che era ritenuta la più grande dell’antichità, dopo il Colosso di Rodi.
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statua della dea in trono, ora nel museo di Berlino. Esuberante, fantasiosa, con esemplari unici l’oreficeria, tra cui primeggia il “diadema fiorito di Canosa”. Particolarmente raffinate sono le parure, gli anelli e le collane ornate dalla protome di leone. Vale la pena di ricordare che le collane non venivano portate al collo ma erano appuntate sulle vesti. Solo in un secondo momento venne realizzato il girocollo che, a differenza di oggi, veniva indossato con la chiusura sul davanti, per mettere in evidenza la ricca decorazione presente sul gancio di chiusura. Nella produzione di tali ornamenti gli orafi tarantini mostrarono grande perizia. Tra gli anelli rinvenuti merita di essere ricordato il magnifico esemplare proveniente da Mottola, con raffigurazione della testa di Berenice, moglie di Tolomeo I Soter, ove l’incisione è riuscita a rendere in maniera stupenda la pettinatura (a spicchio di melone) della principessa. Ricchissima è la produzione coroplastica, favorita dall’abbondanza e dalla bontà dell’argilla locale, anche se Taranto importava opere d’arte dalla Grecia; sappiamo inoltre che nella città operarono artisti greci di diverse scuole e tendenze e questo favorì la crescita di maestri locali, i quali elaborarono un’arte, forse meno pura, ma sicuramente più varia ed eclettica. Fra le tante opere ricorderemo lo “Zeus” di Ugento, eccezionale opera in bronzo di uno scultore tarantino del 530 a.C93.
Fibula (ubicazione sconosciuta) 93) Migliaia di tali opere sono visibili presso il Museo Nazionale di Taranto, di cui mi limito a ricordare le celebri due coppe con pesci (del pittore dei pesci) del 600 a.C., la kylix con Zeus e l’aquila, la kylix con elegante figura di stambecco (del pittore della caccia) databile tra il IV e il III sec. a.C., il notevole gruppo di bellissime kotylai (del pittore di Teseo), sempre databili tra il IV e il III secolo. I cenni storici di Taranto sono tratti da: Enciclopedia Italiana Ist. della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma ed. 1950, pp. 256-262, ristampa fotolitica del vol. XXXIII, pubblicato 1936. Enciclopedia dell’Arte, vol. VII, pp.603-616. La data dello Zeus di Ugento è di A. Dell’Aglio: in Klaohi Zis, a cura di F. D’Andria e A. Dell’Aglio, ed. Moscara Associati, 2002, Cavallino (Le), pp. 36-41.
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Diritto
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TERINA
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Provenienza: AutoritĂ emittente: Zecca:
Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br) Terina
Terina
Nominale:
Statere
Pos. Con.:
2 (due)
Rovescio:
Nike stante con ali aperte rivolte a s.
Metallo: Diritto:
Cronologia:
Bibliografia:
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AR
Testa di Terina in corona di lauro a d.
480-356 a.C. 480-360 a.C. 460-300 a.C. 460-440 a.C.
K. REGLING, Terina66, Berlino 1906.
P. ATTIANESE, Calabria greca, 2 voll., De Luca Ed., Santa Severina (CZ) (Italy) 1974, vol. I, p. 338. R.R. HOLLOWAY, G.K. JENKINS, Terina, Bellinzona 1983.
Historia Numorum Italy, Principal Editor N.K. RUTTER, The Trustees of the British Museum Press, London 2001, p. 193, plate 41, fig. 2569.
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TIPOLOGIA La testa giovanile muliebre del Diritto si identifica con quella della ninfa Terina, la divinità eponima della città. Vi è stato, tuttavia, chi ritenne, come Pasquale Attianese, cosa migliore non considerare l’epigrafe “ΤΕΡςΝΑ” che si legge nelle più antiche monete, e riconoscere nella figura delle monete di Terina la sirena Lygea, il cui mito era localizzato nel territorio della città. Sul Rovescio di tutte queste monete vi è un’altra figura femminile che però è rappresentata intera e, sui tipi più antichi, senza ali. In genere si vuole riconoscere in essa una NIKE e pensare che stia a rappresentare le prospere sorti di Terina e Crotone nel periodo in cui quest’ultima città estese la sua egemonia su tutta la regione94. La sua prosperità è chiaramente dimostrata dalle magnifiche monete che formano una delle serie più ricche e più belle tra tutte quelle delle Zecche della Magna Grecia, eguagliando i lavori dei discepoli di Evenetos, Kimon e altri. Lo studio della monetazione di Terina pubblicato nel 1906 da Kurt Regling95, che si basava solo su stateri, fu fatto su circa 500 monete. Questo lavoro, illustrato da fotografie su calchi a grandezza naturale, non ha reso giustizia alla qualità artistica delle monete. Il Regling suddivide in sette gruppi (I-VII) gli stateri esaminati in base allo stile e copre un arco di tempo che va dal 480 a.C. al 356 a.C., mentre indica i coni all’interno di ogni gruppo con le lettere dell’alfabeto (A-PP). Chi fornisce aggiornamenti al lavoro del Regling sulla monetazione
94) P. ATTIANESE, Calabria Greca, Greek Coins of Calabria, 2 voll., De Luca ed., Santa Severina (Cz) Italy 1974, vol. I, pp. 334-335; d’ora in avanti P. ATTIANESE, Calabria Greca, cit.. Il mito della sirena Lygea, dice l’Attianese, venne proposto dall’Eckhel, come ipotesi, avendo confrontato la testa muliebre dei nummi terinei con quella delle monete di Neapolis e Sorrento dove si trovavano i templi della sirena Lygea. Sempre l’Attianese ricorda, ipotesi del Giannelli, che la sirena Lygea nell’agro terineo, sarebbe un portato della localizzazione del mito di Ulisse su quei lidi. GIULIO GIANNELLI, Culti e miti della Magna Grecia, Sansoni ed., Firenze 1963. Infine per quanto riguarda Terina e Crotone, l’Attianese, a tal proposito consiglia quanto afferma ETTORE PAIS in Ricerche, p. 68, nota 4, il quale attribuisce la legenda Nika a vittorie comuni di Terina e Crotone. 95) Cfr. K. REGLING, Terina 66, Berlino 1906.
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di Terina è l’opera realizzata da l’Holloway e lo Jenkins96, poiché affrontano, oltre alla coniazione di stateri, le frazioni d’argento di bronzo. I due autori suddividono le monete di Terina in nove gruppi (A-I) sulla base di considerazioni stilistiche, tenendo conto, oltre che degli stateri, delle dracme, degli oboli, dei dioboli, dei trioboli presenti nei gruppi (A-G); gli stateri corinzi sono inseriti nel gruppo H, mentre la monetazione in bronzo del IV e III sec. a.C. fa parte del gruppo I, suddiviso, a sua volta, in due serie (A-B). Secondo gli autori, i vari gruppi coprono il periodo che va dal 460 a.C. al 300 a.C., in contrapposizione con il Regling che aveva fissato il 480 come inizio della monetazione a doppio rilievo. Sempre in base a considerazioni stilistiche, i primi esemplari sono caratterizzati da uno stile antico e presentano al D/ una testa femminile di profilo verso d. identificata con la legenda ΤΕΡςΝΑ: la caratteristica della testa raffigurata è l’acconciatura dei capelli che si presenta molto elaborata. In genere non porta orecchini, ma spesso una collana. Nell’emissione successiva, la figura femminile in piedi tiene un ramo o una ghirlanda, non vi è legenda al R/, e si identifica come Vittoria e tale rimarrà per tutta la coniazione. Lo stile delle dee del R/ di questo gruppo sembra ispirarsi alla scultura dei frontoni del tempio dedicato a Zeus ad Olimpia nel 450 a.C. ca. Nell’emissione successiva97, la testa femminile del D/ si trova indifferentemente a d. e a s., l’acconciatura dei capelli subisce delle variazioni, la Vittoria alata presenta una varietà di attributi (il caduceo, un uccello, una palla, un ramo di ulivo, ecc.) e siede su uno sgabello, una lastra di pietra o un‘hidria. In quest’ultimo caso, l’associazione con l’acqua ha suggerito che la Vittoria alata rappresenti la ninfa Terina, dea del fiume locale, rappresentando, quindi, la personificazione della città. La monetazione di Terina, negli ultimi due decenni del V ed i primi anni del IV sec. a.C., presenta sulle emissioni le lettere Φ e Γ98, a carattere minuscolo sul D/ o R/99. Le teste del D/ sono del più nobile stile classico, le cui caratteristiche provengono dallo stile della ceramica dei Greci del Sud-Italia, che pre-
96) Cfr. R.R. HOLLOWAY, G.K. JENKINS, Terina, Bellinzona 1983. 97) Historia Numorum Italy, cit., p. 193. 98) Cfr. R.R. HOLLOWAY, G.K. JENKINS, Terina, cit., Gruppo D (420-400 a.C.), pp. 5053; Historia Numorum Italy, cit., (420-400 a.C.), p. 194. 99) Vedasi figura 13, pp. 132-133.
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senta volti raffinati e pieni di vivace vitalità100. Un discorso a parte merita lo statere col tipo del tripode di Crotone che porta le iscrizioni TE e PO (per Crotone); sembrerebbe, secondo il Garrucci101, essere la prima moneta di Terina, nel qual caso la zecca avrebbe cominciato a battere moneta nei primi anni del V sec. a.C., posizione questa confermata successivamente prima dal Babelon102 e poi dal Gorini103, smentiti però dall’Holloway e dallo Jenkins104 che attribuiscono tali emissioni a Temsa (Temessa).
100) Regling identificò le lettere Φ e Γ come le firme degli incisori del relativo conio che le presentano. Egli assegna, infatti, le monete con la lettera Φ a Phrygillos (?), artista che dette inizio ad una nuova fase nella storia della coniazione, mentre identifica con un diverso incisore le monete con la lettera Γ e ne divide in tre fasi la sua produzione. La prima fase è più varia delle monete a firma Φ, senza però raggiungerne il livello qualitativo dell’incisione, la cui caratteristica precipua in queste monete è che la testa raffigurata è più carnosa, ma presenta figure più snelle e lineari. La seconda fase emula il lavoro dell’incisore Phrygillos. La terza fase, invece, è quella di una produzione meno pregiata nella quale vengono utilizzate teste di aspetto molto pesante. E’ probabile, però, che la produzione monetale di questa fase sia opera di un solo artista, poiché la comparsa del segno Γ sulle diverse frazioni indebolisce – a mio parere – l’opinione di chi lo ritiene marchio di valore in un sistema di valuta bimetallica, e conferma invece l’ipotesi che esso rappresenti la firma dell’incisore (Cfr. K. REGLING, Terina66, Berlino 1906). 101) Cfr. P. ATTIANESE, Calabria Greca, cit., p. 329. 102) Cfr. E. BABELON, Traité des monnais greques et ronaines, Parigi 1907-1932, vol. II, I-II, 2. 103) Cfr. G. GORINI, La monetazione incusa della Magna Grecia, Milano 1975, p. 173. 104) Cfr. R.R. HOLLOWAY, G.K. JENKINS, Terina, cit., p. 16.
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TERINA. CENNI STORICI Molte questioni sono state sollevate sull’ubicazione della città di Terina da parte degli storici moderni. Il Lenormant la vorrebbe sotto il suolo dell’attuale Nocera Terinese (CZ); è chiaro, però, che l’aggettivo “terinese” è un titolo abusivo dato in epoca modena. Le testimonianze più attendibili circa l’ubicazione della città sono nella Periegesi dello Pseudo Scimno, il quale afferma che Terina è situata in riva al mare. Lycofrone scrive che Terina era colonia crotoniate, situata presso il fiume Ocinaro (questo corso d’acqua dovrebbe essere il San Biase nei pressi di Sant’Eufemia vecchia). Flegonte di Tralle (storico dell’età di Adriano), nell’opera Sulle cose mirabili e sui longevi, narra che la città era colonia crotoniate. Lo stesso fatto ci viene confermato da Plinio, Solino e dallo Psedo Scimno. Stefano di Bisanzio narra che Terina fu fondata verso la fine del VI sec. a.C. sulle rovine di Cleta, distrutta precedentemente dai Crotoniati. Fu occupata dai Lucani nel 446 a.C., soccombe nel 388 alle armi di Dionigi il Vecchio, dal quale fu ceduta ai Locresi e riconquistata a viva forza, successivamente, dai Lucani. Fu poi presa dai Brettii e successivamente dagli Epiroti di Alessandro il Molosso. Durante la seconda guerra punica furono i romani e i cartaginesi a contendersela. Annibale la diede alle fiamme per timore che cadesse in mano nemica nel 203 a.C. Stando alla tradizione, pare che alla foce dell’Ocinaro, citato da Lycofrone, vi fosse un’isoletta che aveva nome Terina. In questo posto volevasi che fosse sepolta Lygea, una delle tre sirene. Secondo quanto riferisce Stefano da Bisanzio, sembra che anche il fiume Ocinaro si chiamasse Terina, nome che gli sarebbe derivato dalla fonte105. 105) Cfr. P. ATTIANESE, Calabria greca, ..., cit., pp. 331-335. Le fonti storiche utilizzate dall’ATTIANESE sono: «Periegesi» dello PSEUDO SCIMNO di Chio, verso 305; LYKOFRONE-Alexandra, by W. Heinemann, Loeb Classical Library, London 1969, versi 729 e 1009. STEFANO DI BISANZIO, da Antologia III, pp. 26-108. L’Historia Numorum Italy, riferisce che Terina fosse ubicata nei pressi di Santa Eufemia Vetere.
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Diritto
Rovescio
CROTONE (KROTON)
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Provenienza: Autorità emittente:
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Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br) Crotone (Kroton)
Zecca:
Crotone (Kroton)
Nominale:
Statere
Metallo:
AR
Diritto:
Tripode in rilievo, a s. cicogna, a d. ΡΟ
Rovescio:
Tripode incuso
Cronologia:
550-510 a.C. 550-510 a.C. 480-430 a.C.
Bibliografia:
P. ATTIANESE, Calabria greca, 2 voll., De Luca Ed., Santa Severina (CZ) (Italy) 1974, vol. I, p. 175. F. CATALLI, La monetazione romana repubblicana, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2001, p. 25. Historia Numorum Italy, Principal Editor N.K. RUTTER, The Trustees of the British Museum Press, London 2001, p. 169, fig. 2104.
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TIPOLOGIA Crotone ebbe inizialmente una bella e cospicua monetazione del tipo incuso e per quasi l’intero arco di tempo in cui si coniarono queste monete il simbolo maggiormente utilizzato fu il tripode delfico, impresso sia sul diritto sia sul rovescio. Ciò risale ad Apollo Pizio, ed è collegato all’origine della città voluta dall’oracolo di Delfi. Il tripode ed Ercole, con i vari attributi, sono i tipi più frequenti. Dopo questi troviamo la cicogna, uccello che ricorre più volte perché col suo crocidare fa il suono della prima sillaba di Kroton, cioè KRO. Altro simbolo, pur esso presente, è l’aquila, che ricorda l’uccello sacro a Zeus, il dio supremo e primordiale. I tripodi che si riscontrano sulle monete di Crotone sono di due tipi: uno più antico e l’altro in conii di tempi posteriori; i tripodi antichi venivano destinati alle statue e ai simulacri dei numi olimpici, erano di rame ed uscivano dalle mani di grandi scultori, quali Callone di Egina, Policleto ed altri. Il tripode effigiato sui nummi di Crotone è da ricollegare, secondo alcuni studiosi, alla dottrina del numero del filosofo di Samo, in quanto sta a rappresentare il numero “tre”, stimato da Pitagora e dai suoi seguaci come simbolo della perfezione massima e dell’armonia dell’intero universo. Nei tripodi si possono osservare le tre orecchie o anse del lebete, come se fossero anelli, rivolte all’insù, di modo tale che erano possibile servirsene non solo come manici del cratere, ma anche per contenere le erme degli Dei, i quali sedendo su di esso, si appoggiavano con i reni su uno dei manici.
N.B. Vedere errata corrige p.228, nota 1.
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CROTONE. CENNI STORICI I crotoniati, secondo la tradizione, attribuivano la fondazione della loro città ad Ercole. La storia, invece, narra che durante l’anno 710 a.C. a Crotone sbarcarono coloni achei guidati da Miscello di Ripe, figlio di Alemone spartano. Questo fatto è riferito da Erodoto come cosa nota. Zenobio narra che Miscello avrebbe preferito colonizzare Sibari, ma ciò gli fu impedito dall’oracolo di Delfi. Antioco narra la medesima cosa, aggiungendo che Miscello, con l’aiuto di Archia, l’ecista di Siracusa, fondò Crotone. Ovidio fa intervenire Ercole nella fondazione della città. Infatti Miscello si sarebbe recato a fondare Crotone in riva al fiume Esaro, per obbedire ad un esplicito ordine di Ercole. Il nome dell’ecista Miscello, quindi, non può essere una invenzione, in quanto trasmessoci da diversi autori antichi. La data fornitaci da Eusebio è confermata da Dionisio di Alicarnasso, il quale afferma che Crotone fu fondata nel terzo anno della XVII olimpiade, cioè nel 710 a.C. Il nome di “Kroton” è fatto derivare dall’eroe eponimo, Kroto, fratello di Alcinoo re dei Feaci. Potrebbe, in realtà, derivare da kroton (pianta di olio di ricino presente nella zona); o da kroton (argilla); o, infine, dal verso della cicogna “cro”. Crotone divenne famosissima nel 535 a.C. per la venuta di Pitagora di Samo, il celebre filosofo e matematico, che vi fondò la scuola italica. I crotoniati distrussero la grande rivale Sibari nel 510 a.C. e la stessa sorte subirono Siris e, dopo ancora, Cleta sulle cui rovine essi fondarono Terina. La loro potenza durò poco: inorgogliti, mossero guerra a Locri, ma furono sconfitti ignominiosamente. Dopo questa sconfitta furono preda prima di Turium, di Dionigi il Vecchio siracusano, dei Lucani e poi di Roma. Nella Seconda Guerra Punica (218-201) furono alleati dei cartaginesi, ma alla partenza di Annibale Crotone fu ridotta dai romani ad ombra di se stessa nel 196 a.C.106. 106) Cfr. P. ATTIANESE, Calabria greca, ..., cit., pp. 144-272. Le fonti storiche utilizzate dall’ATTIANESE sono: DIODORO SICULO, Historie, (passim) da Antologia, IV-24, 7. ERODOTO, Historiae, VIII, 47, Sansoni ed., Firenze 1967.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
C’è da dire che ebbe numerosi artisti, medici ed atleti. Si pensi a Milone, vincitore più volte dei giochi ad Olimpia e Corinto e che nel 510 a.C. guidò l’assalto a Sibaris; dopo averla saccheggiata e incendiata, Milone fece deviare sulle sue rovine il fiume Cratis. A Faillos, il quale, durante la guerra contro i Medi, armò a sue spese una galera e con un manipolo di soldati crotoniati combatté fra le file greche a Salamina, distinguendosi per il suo eroismo. Alessandro Magno, vincitore su Dario, inviò a Crotone una parte del bottino tolto ai Persiani, come ricompensa del servizio reso da Faillos alla Grecia. E non ci si dimentichi di Alcmeone107, il medico che curò il carcinoma alla mammella della moglie di Alessandro Neottolemo, detto il Molosso.
STRABONE, Geografia, Loeb Classical Library, 8 voll., by W. Heinemann, L.t.d., London 1967, VI-1, 11-12. OVIDIO, Metamorfosi, da Antologia XV, v.v. 12-59. 107) LUIGI GILIBERTI, La medaglia di Alcmeone di Crotone, estratto dal bollettino numismatico napoletano N. 2-1936, Gazzettino numismatico, nov-dic. 1973.
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(Figura 1) Statere d’argento di Crotone. Siracusa, Museo Archeologico Nazionale, collezione Gagliardi. Il tripode effigiato rappresenta il numero “tre”, stimato da Pitagora e dai suoi seguaci come simbolo della perfezione massima.
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Diritto
Rovescio
AMBRAKIA (EPIRO)
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
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Provenienza:
Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
Autorità emittente:
Ambrakia (Epiro)
Zecca:
Ambrakia (Epiro)
Nominale:
Statere
Metallo:
AR
Diritto:
Athena guarnita di elmo corinzio rivolta a s., sotto il collo lettera “A”, di lato fulmini.
Rovescio:
Pegaso in volo a s.
Cronologia:
480-250 a.C. 480-342 a.C.
Bibliografia:
D.R. SEAR, Greek Coins, Vol. I, Europe, Seaby Ed., London 1978, pp. 190-215. B.V. HEAD, Historia Numorum, A manual of Greek numismatics, the British Museum, London 1963, p. 319, ristampa (1a edizione 1887 Oxford), (2a edizione 1911 Oxford).
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
TIPOLOGIA Ambrakia e le altre colonie corinzie dell’Epiro, con l’eccezione di Corcira, coniarono delle monete con tipo e piede corinzio riproducendo fedelmente il tipo di Athena sul D/ e di Pegaso sul R/. Ambrakia ha nel V sec. a.C. una ricca monetazione in argento, che fu utilizzata solo per scambi e commerci transmarini e non per contrattazioni o scambi locali. Questa città, secondo lo studioso inglese Hammond108, non ha avuto delle frazioni monetali fino al periodo macedone. Tale convincimento si basa sul fatto che pochissime delle antiche emissioni sono state ritrovate nelle zone limitrofe alla città. Per quanto riguarda gli stateri di tipo corinzio, coniati ad Ambrakia tra il 480 ed il 342 a.C., l’iscrizione presente è di quattro tipi: Α, ΑΜ, ΑΜΙΙΡΑΚΙΩΤΑΝ, ΑΜΒΡΑΚΙΩΤΑΝ.
108) Cfr. N.G.L. HAMMOND, Epirus. The Geograph, the Ancient Reminds, the History and the Topography of Epirus and Adjacent Areas, Oxford 1967, p. 721.
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AMBRAKIA (EPIRO). CENNI STORICI Ambrakia fu un’importante colonia fondata in Epiro dai Corinzi intorno al 660-650 a.C. Nel primo quarto del V sec. a.C. Ambrakia è impegnata prima con la sua flotta, poi con la sua fanteria, contro i Persiani a Salamina e a Platea a fianco di Corinto e delle altre città greche. Sempre in aiuto della madrepatria intervenne contro Corcira nella guerra di Epidamno. Nella guerra del Peloponneso combatté con la Lega Peloponnesiaca. Nella guerra civile di Corcira si mantenne sempre fedele a Corinto. Nel 410 a.C. Ambrakia fu impegnata con la sua flotta a largo del promontorio Cinossema, sull’Ellesponto, dove ebbe luogo una battaglia tra la flotta peloponnesiaca e gli Ateniesi. Le fasi iniziali della battaglia volgevano in favore dei Peloponnesiaci, i quali convinti di aver vinto si gettarono all’inseguimento degli avversari senza curarsi delle conseguenze di una manovra così avventata. Gli Ateniesi sotto il comando di Trasibulo passarono al contrattacco travolgendo le navi nemiche. Tra le navi catturate dagli Ateniesi vi erano vascelli di Chio, Corinto, Rodi, Cnido e Ambrakia. Tuttavia nel 405 a.C.la flotta peloponnesiaca al comando dello spartano Lisandro, diresse la sua flotta nella baia di Ecospotami, distruggendo quasi interamente la flotta ateniese che era ancorata lì. In questa occasione i vascelli di Ambrakia, comandati da Euntida, riscattarono la sconfitta subita cinque anni prima. Nel 395 a.C., quando i Tebani, gli Ateniesi, gli Argivi e i Corinzi tentarono di combattere la supremazia di Sparta, attirarono nella coalizione anche gli Ambracioti, ma questa posizione antispartana non fu duratura. Infatti, dopo il riavvicinamento tra Corcira ed Atene, nel 375 a.C., allorché Sparta tentò un attacco contro Corcira, Ambrakia tornò ad appoggiare la città peloponnesiaca. Quando Filippo II molti anni dopo riportò la vittoria sulle forze greche a Cheronea nel 338 a.C., Ambracia partecipò al Congresso di Corinto che sancì una pace comune e nello stesso tempo subordinava le varie poleis alla nuova potenza. A nulla valse nel 324-322 a.C. l’insurrezione contro i generali macedoni di Alessandro; Ambrakia, che militava nella lega ellenica, patì la sconfitta assieme ad Atene e alle altre città della lega. Divenne una splendida città e capitale dell’Epiro intorno al 290 a.C.
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circa, quando ne divenne re Pirro, considerato il più grande condottiero del mondo ellenico. Al fianco di Roma nel 197 a.C. contro Filippo di Macedonia nella battaglia di Cinocefale, venne tradita dal comandante Quinzio Flaminino che non rispettò i patti assunti con gli alleati, ai quali avrebbe dovuto assegnare il controllo di alcune città in seguito all’aiuto ricevuto. Per tale motivo gli Etoli, in occasione della campagna militare che i romani rivolsero contro Antioco il Siriaco, combatterono contro i Romani, ma furono sconfitti a Magnesia nel 189 a.C. dai consoli e tra loro fratelli Lucio Scipione (che in seguito alla vittoria ricevette l’appellativo di Asiatico) ed Emilio Scipione l’Africano. Nello stesso anno Ambrakia fu posta sotto assedio e costretta a capitolare. Gli Etoli, pur di non vedere distrutta la loro città, fecero atto di sottomissione cedendo i propri territori, sciogliendo la loro lega e pagando una tassa annuale di 500 talenti. Questo, però, non fu sufficiente: ribellatisi nuovamente nel 168 a.C., furono battuti a Pidna assieme ai Macedoni dal console Paolo Emilio, che devastò tutto l’Epiro e ne ridusse in schiavitù gli abitanti.
N.B. Errata Corrige p. 228 nota 2.
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(Figura 2) Pirro sconfigge i romani ad Eraclea 280 a.C. Eraclea non fu tuttavia una grande vittoria per Pirro, il quale perse più uomini dei romani e fu tanto impressionato dalla loro combattività da dire: “con soldati come questi io avrei conquistato il mondo”. Oggi si vuole indicare come “vittoria di Pirro” ogni vittoria conquistata a caro prezzo. Figura tratta da: Il Grande libro della storia, Arnoldo Mondadori Ed. S.p.A., I edizione italiana, Milano marzo 1974, pp. 140-141.
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Diritto
Rovescio
RUVO DI PUGLIA (BA) RUBI
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
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Provenienza:
Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
AutoritĂ emittente:
Rubi (Ruvo di Puglia, BA)
Zecca:
Rubi (Ruvo di Puglia, BA)
Nominale:
Emiobolo
Metallo:
AR
Diritto:
Testa di toro
Rovescio:
Fulmini nel campo
Cronologia:
325-275 a.C.
Bibliografia:
Historia Numorum Italy, Principal Ed. N.K. Rutter, First Published by the British Musem Press, London 2001, p. 91.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
Diritto
Rovescio HERACLEA109 109) La data di inizio delle emissioni di Eraclea (Lucania) e la loro scansione temporale sono state al centro di numerose discussioni. In merito a questo, fra le varie ipotesi, sosteniamo quella proposta dal Kraay, secondo il quale la zecca iniziò a battere moneta solo nei primi anni del IV secolo a. C. (Cfr. C.M. KRAAY, The Arcaic Greek Coniage, The Library of Numismatics, General Ed. Ph. Grierson, Methven and Co. Ltd., London 1976, p. 186).
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
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Provenienza:
Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
AutoritĂ emittente:
Heraclea
Zecca:
Heraclea
Nominale:
Statere
Metallo:
AR
Diritto:
Athena con elmo corinzio a s.
Rovescio:
Ercole in piedi, tiene mazza con la mano d., con la s. pelle di leone
Cronologia:
380-280 a.C. 281-278 a.C. (periodo di Pirro)
Bibliografia:
D.R. SEAR, Greek Coins, vol. I, Europe, Seaby Ed., London 1978, pp. 45-46. Historia Numorum Italy, Principal Editor N.K. RUTTER, The Trustees of the British Museum Press, London 2001, pp. 126-127, gruppo I.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
Diritto
Rovescio
TURIUM (Thourioi) Colonia ateniese fondata nel 443 a.C. sulle rovine di Sybaris.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
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Provenienza:
Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
Autorità emittente:
Turium (Thourioi, Thuria)
Zecca:
Turium (Thourioi, Thuria)
Nominale:
Statere
Metallo:
AR
Diritto:
Testa di Athena con elmo attico con Scilla, a d.
Rovescio:
Toro cozzante, rivolto a d., sopra legenda ΟΟΥΡΙΩΝ
Cronologia:
400-350 a.C.
Bibliografia:
Historia numorum Italy, Principal Ed. N.K. Rutter, A division of the British Museum Company Ltd., London 2001, fig. 1787.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
Diritto
Rovescio
METAPONTO (METAPONTUM)
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Valesio
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Provenienza:
Contrada Valesio (Balesium) Nord-Torchiarolo (Br)
AutoritĂ emittente:
Metapontum (Metaponto)
Zecca:
Metapontum (Metaponto)
Nominale:
Statere
Metallo:
AR
Diritto:
Testa di Demetra rivolta a d.
Rovescio:
Spiga
Cronologia:
400-340 a.C.
Bibliografia:
Historia numorum Italy, Principal Edit. N.K. Rutter, A Division pf the British Museum Company Ltd., London 2001, fig. 1529.
AFRA
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Afra
CONTRADA AFRA Afra110 è uno dei casali distrutti da Guglielmo il Malo attorno al 1157 d.C. Esso ha avuto indubbiamente insediamenti umani per un lungo periodo, ciò che è verificabile osservando la posizione e la qualità del terreno, che è cosparso da una quantità notevole di materiale fittile. Posta a nord di Squinzano, la località era un tempo una foresta, tanto che ancora oggi vi si possono ammirare piante di pini, querce e allori. E’ tuttora abitata da una modesta popolazione stanziale e da alcuni villeggianti. Tra le piante, si può ammirare ancora un esemplare di “quercia vallonea”, la cui vita millenaria mi auguro possa essere salvaguardata e protetta con la stessa cura e attenzione che a questo tipo di piante hanno posto le città di Lecce e di Tricase. Afra corrisponde alla zona indicata con il termine dialettale di “Afara”. Qui, come detto prima, si notano sul terreno numerosi frammenti di pithos affioranti in superficie, oltre che una cospicua concentrazione di materiali databili in un arco di tempo compreso tra l’età ellenistica ed il tardo antico. Nella zona vi sono stati anche ritrovamenti di punte di frecce, anelli, fibule, chiavi, chiodi, pesi di telaio in argilla e in piombo, un medaglione, che fortunosamente sono riuscito a fotografare, e diverse monete che saranno analizzate nel successivo paragrafo.
110) N. CALSO, R. CALDAROLA, Squinzano e Trepuzzi, cit., p. 39.
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Afra
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(Foto 11) Fibule, anelli, chiave, punta di freccia, frombola in piombo.
(Foto 12) Pesi di telaio in argilla, pesi di telaio in piombo e distanziatori in ceramica.
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Afra
(Foto 13) Peso di telaio in argilla
(Foto 14) Anello. Molto probabilmente di epoca medioevale.
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(Foto 15) Medaglione.
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Afra
Ho riscontrato, infine, che molti contadini della zona hanno utilizzato lastroni tombali come sedili.
(Foto 16) Panca con lastrone tombale.
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Afra
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(Foto 17) Piramidetta in terracotta con contrassegno (ubicazione sconosciuta) “Qui la conversazione era stata interrotta da una scoperta....” Si trattava di una piramidetta di terracotta con due fori verso l’apice, attraverso i quali passava il filo del telaio al quale era appesa. Come contrassegno, recava impressa una fibula, la spilla di sicurezza di quei tempi, fatta a foggia di punto interrogativo[...]. Spiegai che il tipo della spilla, spesso rinvenuto nelle tombe, insieme con vasi del IV secolo a.C., si poteva datare la piramidetta a quest’epoca [...]. M. BERNARDINI, Passeggiate archeologiche tra ruderi e tombe dell’estrema Japigia, Industria Tipografica Editrice Salentina, Lecce 1967, pp. 89-90.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Afra
ILLUSTRAZIONE DEI RINVENIMENTI MONETALI FORTUITI NEL SITO DI AFRA
Diritto
Rovescio
VERETUM (?) HYRIA (?) HIRIAM IN DAUNIA
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Afra
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Provenienza:
Afra (Nord-Squinzano)
Autorità emittente:
Veretum? Hyria? Hiriam in Daunia
Zecca:
Veretum? Hyria? Hiriam in Daunia
Nominale:
Bronzo
Metallo:
Æ
Diritto:
Athena con elmo corinzio a d.
Rovescio:
Timone a dritta, sotto delfino, sopra e sotto ΥΡΙΑ−ΤΙΝΩΝ
Cronologia:
III secolo a.C. III secolo a.C.
Bibliografia:
Historia Numorum Italy, Principal Edit. N.K. Rutter, The British Museum Press, London 2001, pp. 78-79. S.W. GROSE, Western Europe, Magna Grecia, Sicily, Fitzwilliam Museum, Chicago 1979, vol. I, p. 17.
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TIPOLOGIA Il nummo111, che presenta sul diritto la testa di Atena con elmo corinzio e sul rovescio un timone a dritta con sotto un delfino, viene accreditato da vari studiosi a Hiriam in Daunia (Vieste) e coniato nel III sec. a.C. L’ipotesi di partenza è che durante le contrattazioni nell’area adriatica le monete di maggior circolazione fossero quelle che presentavano sul diritto la figura di Atena con elmo corinzio, emesse sia dalla Zecca di Corinto sia da quelle delle sue colonie (vedi Ambrakia). Verosimilmente Hiriam in Daunia doveva essere un buon centro commerciale e pertanto aveva deciso, secondo l’Holloway, di riportare sul diritto della sua moneta la stessa raffigurazione. Il rovescio presenta, come quasi tutte le monete di città con sbocco al mare, il delfino; la presenza del timone, invece, potrebbe essere addebitabile al mutar dei venti, che determinava anche un diverso andamento delle correnti marine. Ciò farebbe supporre cambi di rotta nella navigazione.
111) Il tipo “testa di Athena con elmo corinzio” pare ripetere, sostanzialmente, gli schemi precedentemente affermatisi in area adriatica. Il contatto visivo con una moneta, secondo l’Holloway, parte sempre dalla tipologia e dallo stile in cui la scelta tipologica viene espressa; lo stesso autore suggerisce che è necessario non perdere mai di vista il fatto che una moneta viene creata anche in funzione di un’area di circolazione, senza sottovalutarne, però, l’espressione artistica. «Il tipo “timone-delfino” va chiaramente collegato al mare ed il timone, più che ad un generico riferimento, farebbe pensare a rotte, ad un cambiamento nella rotta» (Cfr. R.R. HOLLOWAY, Tipologia ed arte, in La monetazione di Neapolis nella Campania antica, “Atti del VII Convegno del C.I.S.N., Napoli 2024 Aprile 1980”, Napoli 1986, p. 407). «”Punta del Gargano” rende visivamente un punto di demarcazione tra due diverse realtà geografiche, Vieste è una realtà topografica presso la quale vengono a mutare i venti e le correnti, determinando un cambiamento necessario anche nelle rotte e nel carattere della navigazione, ricordiamoci del timone come tipo monetale di Uria» (M. PENNACCHIONI, Correnti marine nei rapporti interadriatici, in Il Gargano nell’età del ferro, “Atti della V Esposizione Archeologica, Vico del Gargano, 3-4 Maggio 1980”, Lucera 1980, p. 19).
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STORIA DELLA MONETA AD EPIGRAFE ΥΡΙΑ−ΤΙΝΩΝ Il Corcia112 sosteneva che l’antico centro di Vereto, situato sulla punta estrema della regione, era stato sede di una zecca monetale. Questo autore attribuiva a Vereto delle emissioni con la seguente tipologia: D/ Testa di Athena galeata R/ Leone seduto che solleva con la zampa anteriore una lancia. Il Riccio113 pubblica due monete con la seguente descrizione: D/ Testa di Pallade galeata con morione a dritta R/ Timone a dritta, sotto delfino, in due versi ΥΡΙΑ−ΤΙΝΩΝ Seconda moneta: D/ Testa di Giove laureata a dritta R/ Fulmine nel campo sopra e sotto su due righe ΥΡΙΑ−ΤΙΝΩΝ Questo autore asserisce che le due monete sono di sua proprietà, il prezzo è di 1,2 dogati, che il metallo è il bronzo (Æ), e che appartengono alla zecca di Hyriatini, provincia di Apulia. Il Sambon114 era del parere che gli esemplari ad epigrafe ΥΡΙΑ−ΤΙΝΩΝ appartenessero alla antica città di Hyria che corrisponde, secondo l’autore, al centro di Rodi a nord del Gargano. Il Maggiulli115, parlando delle due monete recensite dal Riccio, e sostenendo che tali monete - al pari della moneta menzionata dal Corcia - fossero appartenute al Corcia stesso, si esprime in questo modo: «In riguardo a queste due monete io non contrasto o approvo il parere del Corcia, ma dirò sempre ciò che opinai per tutte quelle delle città di questa regione, le quali furono poco studiate dai nummografi, meno quelle di Taranto, che tra lo splendore di tante illustri ed autonome città che ren112) Cfr. N. CORCIA, Storia delle due Sicilie, dall’antichità più remota al 1798, Napoli 1847, pp. 420-422.
113) Cfr. G. RICCIO, Repertorio ossia descrizione e tassa delle monete di città antiche, Tip. Tramater, Napoli 1852, p. 37; la descrizione della prima moneta fatta dal Riccio corrisponde alla moneta ritrovata ad Afra e si può ipotizzare che sia pervenuta come frutto di scambievoli rapporti commerciali, culturali o militari. 114) Cfr. L. SAMBON, Recherches sur les monnaies de la presqu’île italique depuis leur origine, Naples 1863, pp. 205-206.
115) Cfr. L. MAGGIULLI, Monografia numismatica della Provincia di Terra d’Otranto, cit., pp. 195-197.
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devano celebre la Messapia e la Sallentia, aventi tutte le loro zecche, furono incerti e perplessi». Le due ultime monete descritte si trovano attualmente nella collezione privata del Garrucci, e compaiono nel catalogo del 1885 al n° 21 e 22, illustrate nella Tav. XCII e attribuite dallo stesso Garrucci alla città di Hyrium nel Gargano116. Il Pais117 nel 1894 ritornava alla vecchia interpretazione del Corcia, facendo un’analisi accurata delle due monete del Garrucci, che assegnava a Veretum le due monete. L’Head118 nel 1910 data queste emissioni in bronzo con epigrafe ΥΡΙΑ− ΤΙΝΩΝ, possedute dal Garrucci, al III sec. a. C. attribuendole alla città di Hyria che, secondo l’autore, corrispondeva al centro di Rodi a nord del Gargano. Il Whatmough nel 1933 asserisce che, indiscutibilmente, le due succitate monete appartengono a Hyriam in Daunia e sono del III sec. a.C. Nel 1982 E. Lippolis119, da una lettura globale delle testimonianze note, riprendeva con forza l’identificazione Uria=Vieste. Il Siciliano120 nel 1987 afferma che le monete ad epigrafe ΥΡΙΑ−ΤΙΝΩΝ
116) C. DAQUINO, I Messapi e Vereto, cit., pp. 219-220.
117) Cfr. E. PAIS, Op. cit., pp. 551-552.
118) Cfr. B.V. HEAD, Hystoria numorum, Publ.. by theBritish Museum Press, London 1963, p. 315.
119) Cfr. E. LIPPOLIS, Testimonianze di età romana nel territorio garganico, in La ricerca archeologica nel territorio garganico, “Atti del Convegno di Studi, Vieste 22-23 Maggio 1982”, Foggia 1984, p. 171.
120) Le monete di Uria sono state trovate quasi solamente a Vieste. Sappiamo tutti che la geografia storica attende talvolta dai rinvenimenti monetali e dalla loro ripartizione geografica una indicazione della Zecca o della città responsabile dell’emissione. La reiterazione nei ritrovamenti viestani di monete uriatine risulta un ulteriore elemento per postulare l’identificazione di Vieste con Uria (Cfr. A. SICILIANO, La monetazione di Uria, in Uria Garganica e la Grotta di Venere sull’isolotto del Faro di Vieste, “Atti del Convegno Internazionale di Studi, Vieste-Foggia 17-18 Ottobre 1987”, Vieste 1988, p. 62).
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appartengono a Uria Garganica, città identificabile con il moderno insediamento di Vieste. L’Hystoria Numorum121, sulla scia delle considerazioni formulate dal Siciliano, attribuisce i due esemplari a Hyrium (Vieste). Tenendo conto del fatto che la moneta ritrovata ad Afra corrisponde alla descrizione della prima delle due monete citate dal Riccio, che affermava che esse fossero di sua proprietà (in un periodo in cui era possibile la vendita di tali reperti, tanto che esse compaiono successivamente nella Collezione Garrucci); considerando anche che un analogo esemplare, assieme ad una serie di circa quaranta nummi, si trova presso il British Museum di Londra, mentre un altro si trova presso il Fitzwilliam Museum di Chicago, ancora presso il Danish National Museum in the Royal Collection of coins and medals in Sylloge Nummorum Graecorum Copenhagen “SNG Cop. 647”, per finire alla The Collection of the American Numismatic Society the New York “SNG Ans 696/98, (dove vengono segnalati come bronzo del III sec. a.C.), si può ipotizzare che il nummo descritto (e documentato fotograficamente) nel presente lavoro sia da considerarsi come l’unico esemplare censito esistente in Italia.
121) Hystoria Numorum, cit., vol. XIV, pp. 78-79.
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Diritto
Rovescio
ROMA
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Provenienza:
Afra (Nord-Squinzano)
AutoritĂ emittente:
Roma
Zecca:
Roma
Nominale:
Asse (sestantario)
Metallo:
Æ
Diritto:
Testa laureata di Giano bifronte, sopra I
Rovescio:
Prua di nave a d., sopra I, sotto ROMA
Cronologia:
Dopo il 211 a.C.
Bibliografia:
F. CATALLI, Monetazione romana repubblicana, Ist. Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2001, p. 62.
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CENNI STORICI SULL’ASSE ROMANO Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che il rudimentale bronzo di cui è composto l’asse primitivo, usato in Italia tra il IX e il V sec. a.C. e trovato in depositi votivi o di fonderia, in forma di pani o di verghe, ebbe unicamente carattere di riserva di valore, mai di mezzo di scambio. L’analisi dei singoli ritrovamenti ci permette di verificare la presenza di diverse forme di pani. Il tipo più comune pare essere quello di forma circolare, a sezione curva o troncoconica. Nei ripostigli non mancano mai frammenti informi di metallo, che la critica moderna definisce aes-rude, così come non mancano nei corredi funebri, forse a titolo di obolo per Caronte, dal IX sec. al IV sec. a.C., (secondo il Catalli). L’aes-rude, nel quadro così ricostruito, designerebbe il metallo ramebronzo, proveniente dalla frammentazione di lingotti di varie forme. Nei pressi di Gela, dallo scavo del Santuario di Demetra, in un deposito votivo, sono stati rinvenuti oggetti in bronzo spezzati, che presentano su entrambi i lati una figura schematica definibile come “ramo secco”. In particolare lo strato contenente i frammenti in questione è inquadrabile tra il 570 e il 550 a.C., grazie alla presenza di ceramica greca. Gli studiosi hanno messo in relazione questo dato cronologico con ciò che Plinio riferisce: «Servius rex primus signavit aes». Dal testo pliniano è stata ricavata la moderna definizione di aes-signatum. In senso lato, gli storici hanno definito come aes-signatum anche tutti i tipi di pani di bronzo, dai più antichi a quelli contrassegnati da figure appena curate, ai lingotti muniti di raffigurazioni più fini (aquila su fulmine, pegaso, elefante e porcellino, ecc.), che appartengono quasi sicuramente ad una fase contemporanea alle più antiche emissioni di monete vere e proprie122; emissioni di monete che, secondo alcuni studiosi, sono avvenute in un ambito ristretto di colonie greche, quali Sibari, Metaponto e Crotone, e in un periodo che va dal 550 al 510 a.C. Tali monete venivano coniate in argento, soprattutto gli stateri che avevano
122) La nascita della moneta va posta, probabilmente, in Asia Minore occidentale, intorno al 600 a.C. L’uso della moneta si diffuse rapidamente nel mondo greco, in gran parte - forse - per il fatto che una polis greca vedeva in una monetazione propria un importante elemento della sua amministrazione autonoma. Le primissime monete erano in “elettro”, una lega naturale di oro e argento. L’argento
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come frazione i trioboli, i dioboli, gli oboli e gli emioboli. La particolare tecnica di esecuzione del conio di queste monete, detta incusa, evidenzia il tipo del diritto a sbalzo, mentre il rovescio offre un’immagine simile impressa, però, in negativo. Le altre città che cominciano allo stesso modo il conio delle loro prime monete sono Caulonia, Paestum (Poseidonia), Reggio, Zancle (Messina) e, in misura più limitata, Tarentum. Per Roma bisogna partire dal 326 a.C. circa con la serie a legenda “ROMAION” (chiamata “romano-campana”); segue, nel 300 a.C., la serie “ROMANO”, per finire nel 240 a.C. circa con la serie a legenda “ROMA”, le cui monete sono coniate in argento e in bronzo. La serie fusa di bronzo (aes-grave) viene emessa intorno al 286-260 a.C. (come sostiene lo Haeberlin) per finire al 150 a.C. con poche emissioni successive fino al 45 a.C., forse commemorative riferite a Pompeo. Roma, oltre all’asse, coniò i seguenti sottomultipli: il semis, il triente, il quadrante, il sestante, l’oncia, la semioncia e la quartuncia; mentre dei suoi multipli si conosce il dupondio, il tressis, il quincussis e il decussis. L’asse si presentava, in massima parte, con prora di nave e teste di divinità. Esso ebbe diverse svalutazioni; basti pensare che, appena coniato, il librale nel 286 a.C. aveva un peso di 320,5 grammi (Haeberlin, peso medio su 86 esemplari) per finire al peso di 40,50 grammi (36 grammi peso medio su 8 esemplari) intorno al 200 a.C.123.
puro divenne ben presto il metallo standard del mondo greco, accanto al bronzo e ad altre leghe di rame per piccoli tagli e all’oro puro per i nominali maggiori. La moneta presenta un interesse primario per lo storico, poiché da essa si possono apprendere o desumere eventi del passato che, resterebbero, altrimenti, ignorati o misconosciuti. Le monete sono oggetti archeologici che forniscono informazioni autorevoli e vanno enormemente prese in considerazione per il loro valore documentale. Esse sono delle fonti ufficiali ed è quindi verosimile che forniscano migliori e più autorevoli informazioni di quanto non facciano altre testimonianze. Pertanto, sono testimonianze “primarie” per tutti i periodi storici. 123) Cfr. F. CATALLI, La monetazione romana, cit., pp. 31-80.
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Diritto
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Provenienza:
Afra (Nord-Squinzano)
Autorità emittente:
Syrakusai (Siracusa)
Zecca:
Syrakusai (Siracusa)
Nominale:
Nummo (bronzo)
Metallo:
Æ
Diritto:
Testa diademata di Poseidone a s.
Rovescio:
Tridente verticale, nel campo, ai lati, delfini. Contorno perlinato, sui lati ΙΕΡ−ΩΝΟΣ
Cronologia:
250-216 a.C. 260-218 a.C.
Bibliografia:
Sylloge Nummorum Graecorum Italy, Museo Archeologico “G.A. Sanna”, Sicilia–Numidia, Milano, Ennerre s.r.l., 1994, vol. I, Fig. 19, pp. 22-23. Sylloge Nummorum Graecorum Italy, Agrigento, Museo archeologico regionale, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma 1999, pp. 66-67
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Diritto
Rovescio
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Provenienza:
Afra (Nord-Squinzano)
AutoritĂ emittente:
Syrakusai (Siracusa)
Zecca:
Syrakusai (Siracusa)
Nominale:
Hemilitra
Metallo:
Æ
Diritto:
Testa di Zeus Eluterios laureata a d.
Rovescio:
Fulmine nel campo
Cronologia:
344-339 a.C.
Bibliografia:
Sylloge Nummorum Graecorum Italy, Agrigento, Museo archeologico regionale, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma 1999, pp. 56-59, fig. 702.
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TIMOLEONTE DI CORINTO E SIRACUSA (345-336 a.C.) Il bronzo della Fig. 12 fu fatto coniare da Timoleonte, generale e uomo politico corinzio, che si oppose alla tirannia istaurata a Corinto dal fratello Timofane. Dopo la morte del fratello, fu inviato a Siracusa dai nuovi governanti in seguito alla richiesta di aiuto rivolta a Corinto da parte degli oppositori di Dionigi il Giovane. Sbarcato con pochi uomini nei pressi di Taormina, in breve riuscì a scacciare Dionigi dall’Ortigia (344 a.C.) e il suo alleato Iceta, tiranno di Leontini, dal resto della città di Siracusa nel 343 a.C. Dopo aver richiamato gli esuli politici siracusani, continuò la lotta contro i Cartaginesi che sconfisse nella battaglia di Crimiso nel 339 a.C., e contro i vari tiranni dell’isola (Ippone di Messina, Mamerco di Catania, ecc.), restituendo l’autonomia all’intera Sicilia. Diede a Siracusa una nuova costituzione blandamente democratica, su base “timocratica”. Riunì poi le città siciliote libere in una lega sotto l’egemonia siracusana ed ebbe il merito di assicurare un periodo – sia pur breve – di pace e prosperità a tutta la Sicilia. Nel 337, ormai vecchio, abbandonò la vita politica attiva. Non si conosce la data della sua morte.
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SIRACUSA. CENNI STORICI Siracusa, fondata nel 734-733 a.C. in un sito già abitato dai Siculi dal corinzio Archia, è chiamata Syrakusai dal nome della vicina palude Syraki ed ebbe il suo nucleo nell’isola di Ortigia, cui si aggiunsero con il tempo altri quartieri. Grazie all’ottimo porto e al fertile entroterra, si sviluppò rapidamente, fondando, a sua volta, varie colonie (Acre, Casmene, Camarina). Dapprima governata da un’aristocrazia di proprietari terrieri, nel 485 a.C. passò sotto la tirannia di Gelone di Gela. Gelone, trasferitosi a Siracusa, ne fece la città più potente dopo Cartagine, la cui espansione in Sicilia egli stesso arrestò con la vittoria di Imera nel 480 a.C. Il fratello Gerone portò, poi, Siracusa al massimo splendore, assicurando ad essa l’incontrastato dominio nel mar Tirreno, circondandosi di una splendida corte ove accolse i maggiori artisti del tempo. Cacciato Trasibulo, successore di Gerone, Siracusa si diede un ordinamento democratico. Negli anni seguenti la sua stessa potenza la portò a scontrarsi con le mire espansionistiche di Atene che inviò contro di essa una potente flotta, annientata dai siracusani dopo due anni di dura lotta. Minacciata, poi, dai cartaginesi, eletto stratega Dionigi il Vecchio (405-367 a.C.), riuscì non solo a respingere tale minaccia, ma sottomise quasi tutte le città dell’isola e alcune dell’Italia meridionale. Sotto il governo di Dionigi il Vecchio Siracusa si può considerare una delle potenze più forti del mondo greco e mediterraneo, posizione che invece non fu mantenuta dal suo successore Dionigi il Giovane, sconfitto dal corinzio Timoleonte. Alcuni disordini del 317-289 a.C. portarono al governo il tiranno Agatocle, che assunse il titolo di re dei Sicilioti, alla cui morte la città divenne preda di lotte intestine alle quali, dopo l’infruttuoso tentativo di Pirro, pose fine Gerone II che fu proclamato re. Questi, coinvolto nella seconda guerra punica, preferì venire a patti con Roma di cui divenne fedele alleato, assicurando così un lungo periodo di pace. Ma il voltafaccia del successore, il nipote Geronimo (215-214 a.C.), che passò ai Cartaginesi, provocò l’assedio di Siracusa da parte dei Romani comandati da Claudio Marcello e la città, nonostante la geniale difesa di Archimede, fu sconfitta nel 212 a.C. Successivamente godette ancora di notevole prosperità fino al 21 a.C., quando Augusto la inserì tra le colonie romane. N.B. Errata corrige p. 228 nota 3.
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Diritto
Rovescio
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Afra
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Provenienza:
Afra (Nord-Squinzano)
Autorità emittente:
Terina
Zecca:
Terina
Nominale:
Dracma (bronzo)
Metallo:
Æ
Diritto:
Testa di Terina a s.. Di lato legenda Εντο
Rovescio:
Nike seduta su ceppo, tiene una corona, a d. del ceppo lettera η
Cronologia:
420-400 a.C. 420-400 a.C.
Bibliografia:
Historia Numorum Italy, Principal Edit. N.K. Rutter, The British Museum Press, London 2001, p. 194. R.R. HOLLOWAY, G.K. JENKINS, Terina, Bellinzona 1983, pp. 50-53.
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Diritto
Rovescio
HERACLEA
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Provenienza:
Afra (Nord-Squinzano)
AutoritĂ emittente:
Heraclea
Zecca:
Heraclea
Nominale:
Diobolo
Metallo:
AR (Argento)
Diritto:
Testa di Athena con elmo attico ornato con Scilla a d.
Rovescio:
Ercole inginocchiato strangola il leone Nemeo
Cronologia:
380-281 a.C.
Bibliografia:
Sylloge Nummorum Graecorum Italy, vol. IV, Lucania–Bruttium, Ennerre s.r.l., Milano 1997, pp. 22-25.
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Cisterno
CONTRADA CISTERNO Il toponimo Cisterno quasi certamente deriva dal termine greco Χιστερνα (cisterna) poiché il suo territorio è ricco di serbatoi scavati ed intonacati nel terreno, utili all’approvvigionamento di acqua, indispensabile per coltivare quelle terre ancora oggi in gran parte riarse. Casale scomparso, insieme col suo toponimo, che è da localizzare approssimativamente tra la masseria Carritelli e la masseria La Badessa. E’ sicuramente il più vasto dei casali a noi noti124 quanto a superficie, giacché comprendeva parte del territorio degli attuali comuni di Trepuzzi, Squinzano e Torchiarolo; l’individuazione del sito che proponiamo è identica a quella indicata dal De Giorgi125. Casale distrutto, assieme ai casali di Valesio, di Afra ed altri del circondario, nel 1157, da Guglielmo I detto il Malo126.
124) E’ da precisare che i confini del territorio appartenenti ad un casale, in alcuni casi minuziosamente precisati nei documenti, si possono oggi difficilmente ricostruire a causa della scomparsa dei microtoponimi medioevali e della impossibilità di identificare e localizzare quei riferimenti topografici al paesaggio naturale e umanizzato (rilievi del terreno, lame, corsi e specchi d’acqua, strade, alberi) che costituiscono i più ricorrenti elementi di confine utilizzati. Se, però, i limiti territoriali di un casale restano praticamente immutati per secoli, come possiamo verificare per Cisterno, i cui confini, fissati dalla carta del 1133 d.C., si possono ritrovare anche dopo l’abbandono del casale da parte dei suoi abitanti, esattamente riportati nella Platea del Monastero di San Giovanni Evangelista di Lecce del 1691 ed esattamente riprodotti in una mappa del XVIII secolo, allora diventa possibile sostenere la corrispondenza tra i limiti comunali attuali e quelli degli ex casali di epoca antica (Cfr. C.D. POSO, Il Salento normanno. Territorio, istituzioni, società, cit., p. 200). 125) Cfr. C. DE GIORGI, Op. cit., p. 309.
126) Cfr. N. CALSO, R. CALDAROLA, Op. cit., p. 37.
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(Tavola 3) Limiti territoriali medievali dell’ex casale di Cisterni (Cisterno), Archivio di Sato di Lecce, Scritture delle Università e Feudi, atti diversi, Squinzano, fascicolo 93/2, (a. 1761).
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
ILLUSTRAZIONE DI RINVENIMENTI MONETALI FORTUITI NEL SITO DI CISTERNO
Diritto
Rovescio
BRINDISI (BRUNDISIUM)
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Provenienza:
Cisterno (Nord-Est Squinzano)
AutoritĂ emittente:
Brundisium (Brindisi)
Zecca:
Brundisium (Brindisi)
Nominale:
Semis (Semuncial standard)
Metallo:
Æ (Bronzo)
Diritto:
Poseidone, incoronato da Nike, sotto il collo segno del valore, dietro la testa tridente, sulla fronte legenda D.VA
Rovescio:
Taras su delfino incoronato da Nike, con la mano destra tiene una lira, sotto BRUN, di lato segno del valore
Cronologia:
Dopo il 200 a.C. II sec. a.C.
Bibliografia:
D.R. SEAR, Greek Coins, Vol. I, Europe, Seaby Ed., London 1978, p. 64. Historia Numorum Italy, Principal Edit. N.K. Rutter, The British Museum Press, London 2001, p. 85, fig. 744.
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Diritto
Rovescio
BRINDISI (BRUNDISIUM)
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
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Provenienza:
Cisterno (Nord-Est Squinzano)
AutoritĂ emittente:
Brundisium (Brindisi)
Zecca:
Brundisium (Brindisi)
Nominale:
Semis (Semuncial standard)
Metallo:
Æ (Bronzo)
Diritto:
Poseidone, incoronato da Nike, sotto il collo segno del valore, dietro la testa tridente, sulla fronte legenda M.BIT
Rovescio:
Taras su delfino incoronato da Nike, con la mano destra tiene una lira, sotto BRUN, di lato segno del valore
Cronologia:
Dopo il 200 a.C. II sec. a.C.
Bibliografia:
D.R. SEAR, Greek Coins, Vol. I, Europe, Seaby Ed., London 1978, p. 65. Historia Numorum Italy, Principal Edit. N.K. Rutter, The British Museum Press, London 2001, p. 86, fig. 749.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
Diritto
Rovescio
ROMA127 127) Collezione privata.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
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Provenienza:
Cisterno (Nord-Est Squinzano)
AutoritĂ emittente:
Roma
Zecca:
Roma
Coni:
2
Nominale:
Denario
Metallo:
AR
Diritto:
Testa di Roma con elmo alato a d., dietro X
Rovescio:
Vittoria in biga al galoppo a d., sotto [ROMA],
Cronologia:
268-217 a.C. 197 a.C.
Bibliografia:
F. PANVINI ROSATI (a cura di), La moneta di Roma repubblicana, Catalogo della Mostra del Museo Civico Archeologico di Bologna, Bologna 17 aprile 22 maggio 1966, Arti Grafiche Tamari, Bologna 1966, p. 41 Tav. VII, n° 54. Roman Republican Coniage, vol. II, by MICHAEL H. CRAWFORD, Published by the press Syndacate of the University, of Cambridge 1974, p. 214, n. 140.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
Diritto
Rovescio ROMA La datazione di questa moneta, sia per il Catalli sia per il Panvini Rosati, coincide con il periodo compreso tra il 172 e il 151 a.C.: i due studiosi asseriscono che il monetario è con molta probabilità il figlio di M. Atilius Serranus, pretore nel 152 a.C.. Recenti studi attribuiscono al 148 a. C. tale moneta, a mio parere, credo essere la data piÚ attendibile.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
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Provenienza:
Cisterno (Nord-Est Squinzano)
Autorità emittente:
Roma
Zecca:
Roma
Nominale:
Asse
Metallo:
Æ (Bronzo)
Diritto:
Giano bifronte, sopra I
Rovescio:
Prua di nave a destra, di lato I, sotto ROMA (appena visibile), sopra M.ATILI
Cronologia:
172-151 a.C. 172-151 a.C. 148 a.C.
Bibliografia:
F. CATALLI, La monetazione romana repubblicana, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 2001, p. 154. F. PANVINI ROSATI, La moneta di Roma repubblicana. Storie e civiltà di un popolo, Bologna 1966, p. 48. Roman Republican Coniage, vol. II, by MICHAEL H. CRAWFORD, Published by the press Syndacate of the University, of Cambridge 1974, p. 254, n. 214/2A.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
Diritto
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ZEUGITANA (Moneta punica)
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
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Provenienza:
Cisterno (Nord-Est Squinzano)
Autorità emittente:
Zeugitana (Moneta punica)
Zecca:
Incerta (di Sardegna)
Nominale:
Nummo (bronzo)
Metallo:
Æ
Diritto:
Testa di Core a s.
Rovescio:
Protome equina a d., nel campo a d. albero di palma, sotto globetto
Cronologia:
264-241 a.C.
Bibliografia:
Sylloge Nummorum Graecorum Italia, vol. I, Sicilia-Numidia, a cura di F. Guido, Museo archeologico “G.A. Sanna” di Sassari, Ennerre s.r.l., Milano 1994, pp. 92-93.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
ZEUGITANA Questa regione è occupata soprattutto dal territorio di Cartagine, alla cui zecca, molto diffusa e popolare, si aggiungono le zecche minori di Clypea (Calibia), Hippo (Binsert) e Utica colonia di Tiro, che godette la fiducia di Roma. La monetazione di Cartagine si divide di solito in un periodo arcaico e in tre periodi susseguenti fino alla dominazione romana. Nel periodo arcaico, che decorre dal 410 al 340 a.C., il sistema monetario è di derivazione fenicia per la monetazione in oro, attica invece per quella in argento; in entrambi è frequente il simbolo della palma, alternato alla testa di Persefone o di un cavallo: le legende di solito presentano caratteri fenici. I due successivi periodi, dal 340 al 242 a.C. e dal 241 al 146 a.C., sono caratterizzati da una migliore fattura delle monete, coniate a Cartagine, e sulle quali con evidente derivazione siracusana vi erano rappresentate la bella testa di Persefone e un cavallo slanciato sulle mosse, oltre ad un cavallo alato che ricorda vagamente il Pegaso di Corinto. Dal 146 a.C., data della distruzione di Cartagine da parte dei Romani, la monetazione della Zeugitana viene effettuata sotto il controllo degli stessi Romani.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
(Figura 3) I romani distruggono Cartagine nel 146 a.C. Tratta da: Il Grande libro della storia, Arnoldo Mondadori Ed. S.p.A., I edizione italiana, Milano marzo 1974, p. 145.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
Diritto
Rovescio ROMA Nel 23 a.C. Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto introduce una riforma per le zecche dell’impero con la quale, contrariamente a quanto avveniva prima, affidava ai tresviri monetales l’emissione monetale in tutti i metalli sotto il controllo congiunto dell’Imperatore e del Senato. Le monete di tale periodo si contraddistinguono per la sigla AAAFF e per il nome dei monetieri: Silius, Annius e Lamia. Il Catalli data il quadrante augusteo al 9 a.C. e sostiene che i tipi in bronzo battuti da monetieri arrivano fino al 4 a.C. (Collezione privata).
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Provenienza:
Cisterno (Nord-Est Squinzano)
AutoritĂ emittente:
Roma
Zecca:
Roma
Nominale:
Bronzetto
Metallo:
Æ (Bronzo)
Diritto:
Silius, Annius, Lamia. Due mani giunte sostengono un caduceo
Rovescio:
III VIR.A.A.A.F.F., in mezzo SC
Cronologia:
Dopo il 20 a.C. 11-10 a.C.
Bibliografia:
G. RICCIO, Le monete delle antiche famiglie di Roma, Stamperia e Cartiera del Fibreno, Napoli 1843, II ed., p. 214. Coins of the Roman Republic III, H.A. GRUEBER, published by the Trustees of the British Museum, Oxford 1910, fotolitografia 1970, plate LXIX, fig. 9.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
Diritto
Rovescio
SIRACUSA S.W. Grose ha attribuito questa moneta alla Zecca di Siracusa, e precisamente a quando la cittĂ era governata da Ierone II.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Cisterno
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Provenienza:
Cisterno (Nord-Est Squinzano)
AutoritĂ emittente:
Siracusa
Zecca:
Siracusa
Nominale:
Hemilitra
Metallo:
Æ
Diritto:
Volto (di donna) (Persefone) a.s., contorno perlinato
Rovescio:
Cavallo a s., gambe anteriori sollevate, posteriori su base, sul dorso lettera M, sopra oggetto non identificato, sotto IE
Cronologia:
250-216 a.C. 275-263 a.C.
Bibliografia:
S.W. GROSE, Western Europe, Magna Graecia, Sicily, (Fitzwilliam Museum, Catalogue of the Mc Clean Collection of Greek Coins), Chicago 1979. Sylloge Nummorum Graecorum Italy, Agrigento, Museo archeologico regionale, Istituti editoriali e poligrafici internazionali, Pisa-Roma 1999, n. 806-ss.
MURO MAURIZIO
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Muro Maurizio
MURO MAURIZIO Nell’area interessata dalla masseria Muro Maurizio (in agro di Mesagne, Brindisi) insiste un antico centro calabro avente una cerchia muraria antica che si delinea ad ovest, a sud ed a sud-est della masseria. Nell’ambito di tale area numerosissime le testimonianze della cultura di epoca preistorica, messapica e romana. Una equipe di archeologi olandesi diretti dal prof. G.J. Burges dell’Istituto della Libera Università di Amsterdam ha effettuato ricognizioni sistematiche, tra il 1991 e il 1993, a Muro Maurizio, stabilendo la densità e la distribuzione delle varie classi di materiali, ciò ha permesso di definire l’estensione e l’intensità dell’occupazione del sito ed i cambiamenti di funzione e ruolo dell’insediamento128. L’analisi dei frammenti rinvenuti all’interno delle mura induce a ritenere che il sito era stato frequentato sin dall’età del bronzo129. Una frequentazione individuabile, peraltro, in un abitato a capanne. Numerose, poi, le testimonianze relative all’età messapica, che individuano, assieme alla cerchia muraria rilevata, un abitato usato continuativamente dall’VIII sec. a.C. in poi. Le strutture murarie risalirebbero al V sec. a.C., come anche l’organizzazione della necropoli, ubicata nell’angolo sud-ovest della masseria. In questo periodo il centro si collegava, attraverso un fitto reticolo viario, con altri centri vicini, Muro Tenente (Scannum), Castelli e Mesagne. L’importanza economica di questo centro antico è documentata da numerosi rinvenimenti monetali, tra i quali primeggia un piccolo tesoretto attualmente custodito nel Museo Archeologico “Ugo Granafei” di Mesagne130, senza contare la copiosa produzione di ceramica, come si evince dai ritrovamenti sul ter-
128) G.J. BURGES, The Survey at Muro Maurizio (Mesagne), in “Constructing Messapian Landscapes”, Amsterdam 1998, p. 94-127.
129) Cfr. R. POLITI, Nota preliminare sul materiale preistorico di Muro Maurizio, in “Atti VII Convegno Comuni Messapi, Peuceti e Dauni, Mesagne 1976”, Bari 1988, pp. 253-261.
130) Cfr.: A. TRAVAGLINI, Il medagliere del Museo di Brindisi, in “Annuario dell’Istituto Italiano di Numismatica XX”, 1973, p. 243; A. TRAVAGLINI, Rinvenimenti monetali nella provincia di Brindisi, in “Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica”, 23-24(19761977), pp. 273 ss.; A. TRAVAGLINI, Tesoretto da Masseria Muro, in “Annali dell’Istituto Italiano di Numismatica”, 23-24(1976-1977), pp. 51-59.
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Muro Maurizio
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reno di elementi di copertura (tegole e laterizi) e coroplastica. I segni della civiltà messapica cominciarono a svanire intorno agli inizi del II sec. a.C. A tale epoca si assegna l’iscrizione per Giove Mourgo, una delle testimonianze più antiche della presenza romana in tutto il Salento131.
(Foto 18). Giove Mourgo.
131) Cfr. C. MARANGIO, La romanizzazione dell’ager brundisinus, in “Ricerche e Studi”, VIII, 1975, p. 105-133. Vedi anche C. MARANGIO, Osservazioni sul processo di romanizzazione del centro messapico di Muro Maurizio, in “Atti del IV Convegno di Studi sulla Puglia romana, Mesagne 19-20 gennaio 1996”, Congedo Ed., Galatina 1996, pp. 119-136.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
ILLUSTRAZIONE DI RINVENIMENTI MONETALI FORTUITI NEL SITO DI MURO MAURIZIO
Diritto
Rovescio
DYRRACHIUM – EPIDAMNO (DURAZZO)
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
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Provenienza:
Muro Maurizio (Direttrice Sandonaci Mesagne)
Autorità emittente:
Dyrrachium-Epidamno (Durazzo)
Zecca:
Dyrrachium-Epidamno (Durazzo)
Nominale:
Dracma
Metallo:
AR (Argento)
Diritto:
Testa del giovane Ercole a d., sul capo pelle di leone
Rovescio:
Pegaso in volo a.d., ∆ΥΡ (retrogrado antiorario)
Cronologia:
250-229 a.C.
Bibliografia:
D.R. SEAR, Greek Coins and Their Values, vol. I, Europa, Seaby ed., London 1978, p. 186.
S.W. GROSE, The Greek Mainland, The Aegaean Island, Crete, Fitzwilliam Museum, Chicago 1979, vol. II, p. 183.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
CENNI STORICI SU DYRRACHIUM-EPIDAMNO Secondo Tucidide la fondazione di Dyrrachium-Epidamno132 è da porsi attorno al 627-625 a.C.: i Corciresi, i Corinzi e i Dori si unirono nell’opera di colonizzazione di Epidamno, comandati dall’ecista Phalius, che si vantava di essere discendente di Ercole133, e che era stato mandato dalla madrepatria, Corinto, nel rispetto dell’antica usanza. Le scoperte archeologiche hanno messo in evidenza che gli Illiri avevano contatti con il mondo egeo, dunque la colonizzazione delle coste fu il frutto di una continua e dinamica interazione tra i commercianti greci, quelli locali e la popolazione indigena. Gli scavi, negli ultimi anni, hanno ampliato le nostre conoscenze su questa città: il quadro che emerge è quello di un fiorente centro commerciale, che diventerà in epoca romana il principale porto delle coste orientali dell’Adriatico. La Zecca di questa città è conosciuta unicamente attraverso la legenda ∆ΥΡ. Secondo il Ceka134, a cui si deve un fondamentale contributo nella ricerca sulle emissioni monetali dell’antica Illiria, Dyrrachium inizia la coniazione di bronzi verso la fine del IV sec. a.C. per terminare intorno al 100 a.C.
132) Dyrrachium-Epidamno corrisponde all’attuale Durazzo. Città di oltre 100.000 abitanti, è il porto più importante della moderna Albania. Purtroppo la città dei fondatori, venuti da Corcira e da Corinto, è stata sepolta da grandi spessori di terra, che sono scivolati dalla collina che sovrasta la città. Bisogna scavare oltre 15 metri per raggiungere il suolo vergine, mentre la città bassa è scomparsa sotto il livello del mare. Per quanto riguarda il doppio nome, le fonti antiche ci tramandano tradizioni differenti e spesso contraddittorie. Prevale l’ipotesi, secondo il Cabanes, che Epidamno corrisponda al sito costruito sulla collina, mentre Dyrrachium corrisponderebbe alla zona portuale (Cfr. P. CABANES, Études Epigraphiques. 2.Corpus des Inscriptions Greques d’Illirie Meridionale et de l’Epire, École Française d’Athenes, 1995, pp. 10-11). Cfr. THUCYDIDES, Historiae, edd. H.J. Jones-J.E. Powel, Oxonii 1942, libro I, cap. 24, versi 1-2.
133) Il culto di Ercole, oltre che dalle fonti letterarie, è attestato anche nelle iscrizioni epigrafiche. Nel sito di Shijak, vicino a Durazzo, è stata rinvenuta una iscrizione su un blocco di calcare, che fungeva da base per una statua di Ercole, con la dicitura “per bontà di Ercole” (Cfr. P. CABANES, Idem, pp. 69-70).
134) H. CEKA, Questions de numismatique illirienne, Tirana 1972, p. 54 ss.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
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L’apparizione di questa moneta è stata messa in relazione con la coniazione delle dramme di tipo Heracles-Pegaso; infatti, finché venivano utilizzati soltanto gli stateri, Dyrrachium non avvertì la necessità di coniare bronzi. La messa in circolazione di dramme rese necessario l’inserimento di un divisionale più piccolo, che rendesse più agili le transazioni minori. La maggior parte dei centri illirici che circondavano Dyrrachium aveva una propria economia basata sulla agricoltura e sull’allevamento ed utilizzava il baratto come forma di pagamento. Di conseguenza veniva accettato soltanto l’argento a discapito del bronzo, che veniva utilizzato soltanto in funzione di monile, non come moneta. Nel corso dei saggi condotti nel 1971 in località “Fangara” a San Gregorio (antica Veretum), rovistando lungo il secondo tratto di linee di fondazione di strutture murarie messapiche, scoperte ai piedi dell’omonimo promontorio, in un piccolo strato di tufina adiacente alla base dei monoliti, il Pagliara ha trovato cinque monete di bronzo della città di Dyrrachium. Consegnate al Museo Provinciale di Lecce “Sigismondo Castromediano”, queste cinque monete appartenevano alla serie coniata tra il 238 e il 168 a.C.135.
135) Cfr. C. PAGLIARA, Fonti per l’antica storia di Veretum: iscrizioni, monete, timbri anforari, in “Annali dell’Università di Lecce ‘Facoltà di Lettere e Filosofia’”, vol. V (1969-71), Ed. Salentina, Galatina 1973, pp. 121-136
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
DΥ UΡR STORIA DELLA MONETA AD EPIGRAFE ∆ Tutto nasce con il Goltzius136 nel 1676. L’opera di questo studioso olandese ha un carattere storico-antiquario; egli attribuisce a Otranto l’esistenza di una Zecca, probabilmente per interesse economico, riportando una moneta in bronzo con epigrafe Υ∆Ρ che nessun altro studioso ha mai visto o ricordato. Alla fine del XVIII secolo il Neumann137 afferma di possedere una moneta simile a quella descritta dal Goltzius. L’abate Romanelli138, nella sua Antica topografia istorica del Regno di Napoli, ai primi dell’Ottocento, afferma che questi esemplari segnalati dal Goltzius e dal Neumann sono ritenuti dagli autori più moderni un’invenzione dei due storici. Il Millingen139 dichiarò, qualche decennio dopo, di non aver mai visto alcun pezzo con la legenda Υ∆Ρ, ma soltanto ∆ΥΡ, iniziali di Dyrrachium. Nello stesso periodo il Corcia140 asseriva invece che le monete a legenda Υ∆Ρ appartenevano alla città di Hydrella, in Frigia. Le Tavole carelliane141 riportano tre esemplari a epigrafe Υ∆Ρ, precedentemente attribuiti dallo stesso Carelli a Hydruntum, ma restituiti poi a Dyrrachium. Il Riccio142 (metà del XIX secolo) le attribuisce a Hydruntum.
136) Cfr. H. GOLTZIUS, De re nummaria antiqua opera, t. IV, Continuus siciliane graeciae historiam ex antiquis numismatibus illustram, Antverpiae 1708.
137) Cfr. F. NEUMANN, Populorum et regnum numi veteres, inediti, Vindobonae 1783, p. 257.
138) Cfr. B.M. ROMANELLI, Antica topografia istorica del Regno di Napoli, Napoli 1818, Cap. VIII.
139) Cfr. J. MILLINGEN, Considerations sur la numismatique de l’anciènne Italie, Florence 1841, p. 122.
140) Cfr. N. CORCIA, Storia delle due Sicilie dall’antichità più remota al 1798, cit., p. 430. 141) Cfr. C. CAVEDONI, Numorum italiane veteris tabulas CII, Lipsiae 1850, pp. 64-65.
142) Cfr. G. RICCIO, Repertorio, cit., p. 61.
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Il Garrucci143 afferma che le monete ad epigrafe Υ∆Ρ appartengono alla Zecca di Dyrrachium. Il Maggiulli144, che scriveva intorno al 1870, dedicò ampi studi alle emissioni ad epigrafe Υ∆Ρ - ∆ΥΡ sostenendo, per “patriottismo locale”, che tali emissioni appartenevano alla Zecca di Hydruntum. Per concludere, il Siciliano145 afferma perentoriamente, in conseguenza anche delle nuove conoscenze e metodologie in campo numismatico, che le emissioni monetali ad epigrafe Υ∆Ρ appartengono alla Zecca di Dyrrachium.
143) Cfr. R. GARRUCCI, Le monete dell’Italia antica, Roma 1855, p. 122.
144) Cfr. L. MAGGIULLI, Monografia numismatica della Provincia di Terra d’Otranto, cit., pp. 153-163.
145) Cfr. A. SICILIANO, L’Adriatico antico: per uno studio della circolazione monetaria, in “Studia antiqua et Archeologia”, “Atti del I Convegno Romeno-Italiano, Paralleli storici e culturali tra romanità orientale e l’Italia meridionale nell’antichità e l’inizio del Medio Evo, Iasi-Suceava, 25-30 Settembre 1996”, Iasi 1998, pp. 32-33.
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Diritto
Rovescio
METAPONTUM (METAPONTO)
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
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Provenienza:
Muro Maurizio (Direttrice Sandonaci Mesagne)
AutoritĂ emittente:
Metapontum (Metaponto)
Zecca:
Metapontum (Metaponto)
Nominale:
Triobolo
Metallo:
AR (Argento)
Diritto:
Spiga, a d. in rilievo META
Rovescio:
Stesso tipo incuso
Cronologia:
530-510 a.C. 470-440 a.C.
Bibliografia:
D.R. SEAR, Greek Coins and Their Values, vol. I, Europa, Seaby ed., London 1978, p. 32.
Historia Numorum Italy, Principal Edit. N.K. Rutter, The British Museum Press, London 2001, p. 132, fig. 1487.
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Diritto
Rovescio
POSEIDONIA (Paestum)
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Provenienza:
Muro Maurizio (Direttrice Sandonaci Mesagne)
AutoritĂ emittente:
Poseidonia (Paestum)
Zecca:
Poseidonia (Paestum)
Nominale:
Statere
Metallo:
AR (Argento)
Diritto:
Poseidon stante a d.
Rovescio:
Toro a sinistra
Cronologia:
480-450 a.C.
Bibliografia:
Sylloge Nummorum Graecorum Italy, Vol. IV, Lucania-Bruttium, Ennerre s.r.l., Milano 1997, Fig. 1158.
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Diritto
Rovescio
POSEIDONIA (Paestum)
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
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Provenienza:
Muro Maurizio (Direttrice Sandonaci Mesagne)
AutoritĂ emittente:
Poseidonia (Paestum)
Zecca:
Poseidonia (Paestum)
Nominale:
Triobolo
Metallo:
AR (Argento)
Diritto:
Poseidon stante a d.
Rovescio:
Toro a s.
Cronologia:
410-350 a.C.
Bibliografia:
Sylloge Nummorum Graecorum Italy, Vol. IV, Lucania-Bruttium, Ennerre s.r.l., Milano 1997, Fig. 1120.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
Diritto
Rovescio KROTON (CROTONE) Secondo il Kraay, tali monete venivano utilizzate per equiparare le monete di Crotone con quelle emesse su piedi ponderali differenti. (KRAAY citato in Historia Numorum, 1998, p. 170).
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Provenienza:
Muro Maurizio (Direttrice Sandonaci Mesagne)
Autorità emittente:
Kroton (Crotone)
Zecca:
Kroton (Crotone)
Nominale:
Triobolo
Metallo:
AR (Argento)
Diritto:
Tripode, a s. legenda ΡΟ
Rovescio:
Pegaso in volo a s., in basso lettera ϕ
Cronologia:
460-440 a.C. 525-425 a.C.
Bibliografia:
P. ATTIANESE, Calabria greca, 2 voll., De Luca ed., Santa Severina (CZ)1974, Vol. I, p. 198. Historia Numorum Italy, Principal Edit. N.K. Rutter, The British Museum Press, London 2001, p. 170, fig. 2127.
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Illustrazioni di rinvenimenti monetali fortuiti nel sito di Muro Maurizio
Diritto
Rovescio GRAXA Si tratta di un rarissimo caso di frazione monetale (1/8 di oncia?) della Zecca di Graxa, databile intorno al 250-225 a.C. Già nel 1852 Gennaro Riccio, nel suo trattato, descrive una moneta uguale a quella di cui tratto dichiarandone la proprietà, appartenente alla Provincia di Apulia, precisamente alla Città di Graja, e dice che il metallo era Æ (bronzo), modulo 7, e che il prezzo di detta moneta fosse di 0,40 dogati. Aldo Siciliano si sofferma invece sul problema, non ancora risolto, dell’individuazione del centro di emissione delle monete bronzee con legenda GRA, che a giudicare dai rinvenimenti in regolari campagne archeologiche recenti, sembrerebbe che vada cercato nell’area tra Fasano ed Egnazia.
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Provenienza:
Muro Maurizio (Direttrice Sandonaci Mesagne)
Autorità emittente:
Graxa
Zecca:
Graxa
Nominale:
1/8 di uncia?
Metallo:
Æ (Bronzo)
Diritto:
Conchiglia
Rovescio:
Delfino, sotto tridente, epigrafe ΓΡΑ (anche se poco chiara)
Cronologia:
250-225 a.C.
Bibliografia:
Historia Numorum Italy, Principal Ed. N.K. Rutter, A Division of the British Museum Co. Ltd., London 2001, p. 85. G. RICCIO, Repertorio ossia descrizione e tassi delle monete di città antiche, Stabilimento Topografico del Tramater, Napoli 1852, p. 48.
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Diritto
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TARANTO (TARENTUM)
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Provenienza:
Muro Maurizio (Direttrice Sandonaci Mesagne)
AutoritĂ emittente:
Tarentum (Taranto)
Zecca:
Tarentum (Taranto)
Nominale:
Obolo
Metallo:
AR
Diritto:
Kantharos, due globetti, lettera M a d.
Rovescio:
Kantharos, due globetti, lettera M sul kantharos
Cronologia:
302-228 a.C. 280-228 a.C.
Bibliografia:
Gazzettino Numismatico (Il), Roma, C.E.L.I.N., Roma 1980, pp. 473-474.
Historia Numorum Italy, Principal Edit. N.K. Rutter, The British Museum Press, London 2001, p. 105, fig. 1076.
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Diritto
Rovescio
TESSAGLIA
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Provenienza:
Muro Maurizio (Direttrice Sandonaci Mesagne)
Autorità emittente:
Tessaglia
Zecca:
Tessaglia
Nominale:
?
Metallo:
Æ (Bronzo)
Diritto:
Testa di donna a d.
Rovescio:
Donna stante con scudo e lancia a.d., epigrafe a s. della lancia ΤΕΣΣΑ, sullo scudo lettera N. Credo che la donna stante rappresenti Era (Giunone) in quanto la dea era rappresentata, alcune volte, con lancia e scudo in atteggiamento guerriero.
Cronologia:
incerta
Bibliografia:
non riscontrata
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ILLUSTRAZIONE DI ALTRI RINVENIMENTI FORTUITI NEL SITO DI MURO MAURIZIO
Anello in bronzo raffigurante un serpente cobra, probabile manufatto del V o IV sec. a.C.
Conclusioni
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CONCLUSIONI Il territorio del Salento si presenta quasi dappertutto pianeggiante, salvo che nella zona collinare delle Serre; esso ha sempre goduto di favorevoli condizioni climatiche, tali da caratterizzare l’area salentina come una zona calda, ma non eccessivamente arida. La presenza, poi, sia di acque di superficie (corsi di acqua minori, canali, paludi) sia di acque sotterranee di facile captazione per la natura carsica del suolo, unita alla invidiabile posizione geografica, all’eccezionale sviluppo costiero e alla facilità di approdi, ha contribuito a fare di tutto il Salento, e non solo della nostra zona, fin dai tempi più antichi, un’area particolarmente favorevole all’insediamento umano con forte sviluppo economico e commerciale. Il fatto che il territorio presentasse campi chiusi, campi aperti, vigneti, oliveti, orti, alternati a zone boschive, ad acquitrini, paludi e terre incolte, ha permesso che si sviluppasse una coltivazione mista fondata su cereali, vino e olio, prodotti alla base dell’esportazione nell’antichità, che hanno consentito al nostro territorio di proporsi all’attenzione commerciale del bacino del Mediterraneo. La speranza è che si possa rinnovare quel miracolo, come i nostri progenitori ci hanno insegnato. Questo territorio andrebbe valorizzato con l’indicazione, anche con delle semplici targhe, non solo di ciò che l’archeologia ha trovato, ma anche di quanto è scomparso. Ci riferiamo in particolare alle specchie di Calone e Cerrate, la prima posta sulla provinciale SquinzanoTorre Chianca, poco prima del centro urbano di Casalabate, la seconda nei pressi di Santa Maria di Cerrate, sulla provinciale precedentemente nominata. Ciò rappresenterebbe un notevole vantaggio per i molti turisti delle nostre spiagge. Tra l’altro numerose masserie in stato di abbandono potrebbero, almeno in parte, essere riattate per soggiorno agrituristico, come è già avvenuto per Masseria Nuova, dove insiste il complesso agrituristico di Mondodoro nell’agro di Trepuzzi, la Masseria Melcarne, in agro di Surbo, Curti Pitrizzi, in agro di Cellino, la masseria Pisciani145, in 145) Più che alla Masseria, un elogio andrebbe al proprietario Egidio Fiorentino, che è riuscito a trasformare un rudere (ricettacolo di rifiuti, ricovero per tossicodipendenti, deposito di contrabbando di sigarette) in un eden. Uomo che ha frequentato l’Università della vita, che ama la nostra terra come se stesso, il Fiorentino ha creato a sua immagine un paradiso, che ognuno di noi dovrebbe visitare, fermandosi per godere di qualche giorno di completo relax, difficile da trovare dalle nostre parti. Particolare di tale luogo è la sua vicinanza a Valesio; infatti, l’intero complesso è lambito dal Canale Infocaciucci, che attraversava tutta la città antica.
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Conclusioni
agro di Torchiarolo. Una semplice targa susciterebbe curiosità ove esistono le tombe a camera in zona Torre Rinalda, da me rese pubbliche alla soprintendenza, nella persona del Dott. Ciongoli146, e alla Guardia di Finanza, nella persona del luogotenente Michele Caldarola, così pure per i pithos, scavati nel carparo, in zona masseria Coccioli, anch’essi denunciati come sopra. L’area presa in considerazione avrebbe forse bisogno di una definizione territoriale meglio disegnata e giustificata culturalmente, con un progetto di valorizzazione del territorio dei Messapi che va da Lecce a Brindisi, passando per Valesio. La salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali, si dovrà coniugare con la conservazione della tradizione e dei prodotti tipici del nostro territorio, facendo attenzione che i profitti della loro trasformazione e commercializzazione restino nelle nostre mani e non vadano ad ingrassare le già ricche regioni del Nord. L’archeologia può offrire oggi un notevole contributo a meglio comprendere la complessità della cultura messapica, dopo gli scavi e le ricerche degli ultimi anni effettuati da un folto gruppo di studiosi italiani e stranieri, coordinato dall’Università di Lecce, attraverso accordi come la Convenzione con l’Ècole Française di Roma, la Scuola Normale di Pisa e l’Università libera di Bruxelles, il programma Erasmus di scambio con le Università di Amsterdam e Pau, i progetti svolti in collaborazione con l’Università di Sydney e con l’americana Ohio State University, ecc. Come sembrano lontane le sconfortanti parole espresse da Oronzo Parlangeli da me citate nell’incipit del presente saggio147!
146) Dott. Gian Paolo Ciongoli, Archeologo Direttore Coordinatore della Sopraintendenza per i beni archeologici della Puglia, distaccato presso il Centro Operativo di Lecce. 147) Cfr. F. D’ANDRIA, Greci e Messapi nella documentazione archeologica del Salento, in Aspetti della storia del Salento nell’antichità, “Atti del Convegno nazionale A.I.C.C. 1989”, Capone ed., Cavallino di Lecce 1992, p. 111.
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All’amico Nicola Calso, che durante le nostre conversazioni Smarrito sale Gradini di nuvole Fra memorie senza domani D.R.
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Bibliografia
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GLOSSARIO AGORA’: Piazza della città greca (equivalente al latino “forum”), luogo di riunione e di mercato. APOLLO: Figlio di Zeus e Latona. Era creduto il profeta di Zeus; tra i tanti oracoli di Apollo il più famoso era l’oracolo di Delfo. Ivi la Pizia, sacerdotessa del dio, seduta su un tripode, articolava oscure sillabe, da cui i sacerdoti ricavavano il responso. APOLLO (PIZIO): Avendo Apollo con le sue frecce ucciso Pitone, n’ebbe il soprannome di Pizio e Delfo divenne d’allora in poi sede principale del culto del dio. Una simile vittoria di un dio contro un serpente ricorre in tutte le mitologie e simbolizza il trionfo della luce sulle potenze delle tenebre. ARCADE LICAONE: Nativo e re dell’Arcadia, figlio di Pelasgo e Melibea, fu trasformato (secondo una leggenda) in lupo da Zeus. BRACHICEFALO: Conformazione del cranio che fa assumere alla testa un aspetto tondeggiante. DEMETRA (CERERE): Figlia di Crono e Rea e sorella di Zeus. La più grande delle divinità greco-italiche; riferentesi alla terra produttrice Demetra vuol dire Madre-Terra. DIACRONIA: Mutamento dei fatti osservati dal punto di vista della loro evoluzione nel tempo. DOLICOCEFALO: Cranio con allungamento posteriore della scatola cranica. ENOTRO: Figlio di Licaone conquistatore del Bruzio. Da lui ebbe nome Enotria una parte dell’Italia meridionale, e questo nome fu poi dato dai poeti a tutta l’Italia. FILS: dall’ebraico: straniero, viaggiatore.
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HYBRIS: Strage efferata. HYR: dall’ebraico: città, popolazione. INTRA MOENIA: Dentro le mura della città. IPOGEO: Sotterraneo. IRIS o IRIDE: Dea dell’arcobaleno, figlia di Taumante (rappresentante la maestà del mare). JUPITER MENZANAS: Giove, signore e padrone dei cavalli. KIMA: Modanatura ondulata a doppia curva della cornice, usata nell’architettura classica. KLAOHI ZIS: Invocazione messapica dal significato “Ascolta Zeus”, vicina a quella latina “Audi Jupiter”. MANSIONES: Luogo per passare la notte (gli attuali alberghi). MUSE: Divinità secondarie che formavano il corteo degli dei del cielo, o compagne o ministre esecutrici della loro volontà. MUTATIO: Posto di cambio di cavalli o muli. NETTUNO: Neptunus, dio romano rispondente a Poseidone. Presso la gente non essenzialmente marittima il dio del mare non ebbe molta importanza. Quando poi si identificò Nettuno con Poseidone la qualità che più venne a essere rilevante fu quella di dio dei cavalli e delle corse. PERSEFONE (PROSERPINA): Dea della vegetazione, figlia di Zeus. PROTOME: Elemento decorativo molto diffuso nell’arte antica, costituito dalla testa di figura umana o animale. STELE: Monumento a due dimensioni, a forma di parallelepipedo, di lunetta, ecc. SARCOFAGO: dal greco: che mangia; che consuma la carne. Urna
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sepocrale di pietra, marmo o metallo. THANA: Divintà accostabile alla greca Artemis. TROZZELLA: Vaso tipicamente messapico. La sua produzione risale al periodo compreso tra la seconda metà del VI secolo e i primi decenni del V secolo a.C. Molto spesso era usata nelle tombe delle donne. ZIS BATAS: Zeus “fulguratrice”. ZIS – ZEUS – IUPPITER – GIOVE: Il dio per eccellenza, il dio supremo. Ultimo nato nella sua divina famiglia, ha però l’autorità suprema su tutti gli dei e ne è il capo riconosciuto. Egli è la potenza e, unico fra gli dei, libero nel suo agire, non avendo altro limite alla volontà sua che il potere inesorabile del Fato (la Moira). Egli, secondo il mito, ebbe molte donne, sia immortali sia mortali. Da Era, sorella e moglie, ebbe Ares (Marte), Efesto (Vulcano) ed Ebe. dall’Ocianide Metis ebbe la bella Pallade Atena, con Temi (Temis) generò le Ore e le Parche. Lo Zeus di Dodona ebbe in moglie Dione, madre di Afrodite; quello di Arcadia, Maia, da cui nacque Ermes. Con Demeter Zeus generò Persefone (Proserpina), con Eurinome le Grazie, con Mnemosine le Muse, con Leto (Latona) Apollo ed Artemide. Tra le donne mortali amate da Zeus la più celebre è Samele, figlia di Cadmo il Tebano, madre del dio Dionisio (Bacco); e Alcmena, Leda, Danae, Europa e Io. Alcmena, figlia di Elettrione re di Micene, sposò Anfitrione, re di Tirinto, che fu convinto da lei a combattere contro i Tebani che le avevano ucciso un fratello. Zeus, mentre Anfitrione era impegnato in tale guerra, ne prese le sembianze e il posto nel talamo rendendo Alcmena madre prima di Euristeo e poi di Eracle (Ercole). Leda, figlia di Testio, signore dell’antica città di Pleurone in Etolia, andò in sposa a Tindareo, ed è la madre dei gemelli Castore e Polluce e di due celebri donne, Clitennestra ed Elena. Zeus, invaghitosi di Leda, per poterla possedere si trasformò in cigno, da questa unione nacquero i due gemel-
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li i quali, però, come narra la leggenda, avevano diversa origine: Castore era mortale e quindi figlio di Tindareo, mentre Polluce era immortale in quanto generato da Zeus. Danae, figlia di Acrisio, re di Argo, fu da questo rinchiusa – nonostante fosse la sua unica figlia – in una torre di bronzo, avendogli l’oracolo predetto che sarebbe stato ucciso da un suo nipote. Ma Zeus, che amava Danae, la visitò, scendendo nella torre sotto forma di pioggia d’oro e le diede un figlio: Perseo. Europa, figlia di Agenore, re dei Fenici, e di Telefassa, fu rapita da Zeus che mutatosi in toro la trasportò sul dorso nell’isola di Creta. Qui Europa diede alla luce tre figli: Minosse, Radamanto e Sarpedonte. Successivamente sposò Asterione, re di Creta, che allevò i figli nati da lei e da Zeus. Io, bellissima figlia di Inaco, primo re di Argo, fu amata da Zeus. La gelosa Era (Giunone) lo venne a sapere e giurò di vendicarsi. Zeus, ben conoscendo le ire della moglie, per proteggerla, la trasformò in una giovenca bianca. Venuta a conoscenza del sotterfugio del marito, Era se la fece consegnare, facendole patire le pene dell’inferno. Riuscita a sfuggire dalle grinfie della vendicativa dea, Io si rifugiò in Egitto, dove Zeus le ridiede forme umane e la fece diventare madre di Epafo, che fondò Menfi di cui divenne re. Essa, poi, fu identificata da alcuni mitografi con la dea egizia Iside.
Indice dei nomi e dei luoghi
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INDICE DEI NOMI E DEI LUOGHI A Abbadessa pag. 58 Acheronte (fiume) pag. 37 Acre (città) pag. 131 Acrisio pag. 198 Ades (Plutone) pag. 44 Adriatico (mare) pagg. 37, 38, 46, 161 Afra (antico feudo) pagg. 12, 61,67,110, da 117 a 123, 125, 127, 129, 135 Afrodite pag. 197 Agatocle pag. 131 Agelada argivo pag. 34 Agenore pag. 198 Agesilao pagg. 36, 37, 82 Agorà pag. 195 Agrigento pagg. 127, 129, 153 Albanesi (popolo) pag. 40 Albania pag. 158 Alcinoo pag. 93 Alcmena pag. 197 Alcmeone pag. 94 Alessandro Magno pagg. 36, 37, 94 Alessandro Neottolemo (detto il Molosso) pagg. 36, 37, 82, 89, 94 Alessio Arcangelo pagg. 30,32 Alezio pag. 56 Ambrakia pagg. 12, 98, 99, 100, 118 Amsterdam pagg. 61, 154, 181 Andreassi Giuseppe pag. 30 Anfitrione pag. 197 Annali dell’Università di Lecce pagg. 35, 159, 188, 189 Annali della Scuola Superiore di Pisa pagg. 50, 189 Annibale pagg. 38, 39, 89, 93 Annius (monetiere) pagg. 150, 151 Annuario dell’Istituto Italiano di Numismatica XX pag. 192 Antifane Comico pagg. 63, 181 Antioco (siriaco) pagg. 81,93, 99 Antiocus Syracusanus pagg. 81, 181 Antonaci Antonio pagg. 40, 181
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Indice dei nomi e dei luoghi
Antonucci Giovanni pagg. 64, 188 Apani pag. 62 Apollo (Delfo) pagg. 34, 62, 195, 197 Apollo (Pizio) pag. 92 Appia (via) pagg. 69, 82 Apulia (Apuliam) pagg. 23, 62, 63, 119, 170 Arcadi pag. 41 Arcadia pagg. 30, 39, 195, 197 Archia pagg. 81, 93, 131 Archidamo pagg. 36, 37, 82 Archimede pag. 131 Archimede (Pitagora) pagg. 12, 93, 95 Archita pagg. 33, 81 Archivio di Stato Lecce pag. 137 Arditi Giacomo pagg. 32, 181 Ares (Marte) pag. 197 Argivi pag. 31 Argo (Argos) pagg. 31, 198 Argolide pag. 63 Aristosseno pagg. 24, 181 Aristotele (Aristoteles) pagg. 21, 23, 24, 33, 45, 181 Arta (Dinasta) pagg. 35, 36, 39, 188 Arte Tipografica s.a.s. pagg. 27, 183, 187, 190, 191, 192, 193 Artemis pagg. 43, 197 Arti Grafiche Tamare pagg. 143, 189 Artos pag. 39 Arzeria (Dea) pag. 47 Ascoli (Satriano) pag. 38 Asia (Minore) pag. 124 Asse pag. 12 Asterione pag. 198 Atellani (popolo) pag. 38 Atena (Minerva) pagg. 45, 46, 118, 197 Athena (Galeata) pagg. 98, 105, 107, 117, 119, 135 Atene pagg. 23, 34, 35, 36, 99, 131, 188 Ateneo (storico) pagg. 35, 41, 63, 181, 182, 184 Ateniesi pagg. 35,36, 39 Attianese Pasquale pagg. 85, 86, 88, 89, 91, 93, 169, 181 Atti I Convegno Comuni, Messapi, Peuceti, Dauni, Mesagne 1976 pag. 154, 191
Indice dei nomi e dei luoghi
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Atti del I Convegno Romeno Italiano Iasi - Suceava 1996 pagg. 161, 191 Atti del III Convegno Comuni Messapici Manduria pagg. 161, 192 Atti del IV Convegno di Studi sulla Puglia Romana Mesagne pagg. 187, 191 Atti del XXX Convegno di Studi sulla Magna Grecia pagg. 187, 190, 191, 192, 193 Atti della V Esposizione Archeologica, Vico del Gargano 1980 pagg. 118, 189 Atti del Convegno Internazionale di Studi di Vieste – Foggia 1987 pagg. 120, 191 Atti del Convegno Nazionale A.I.C.C.1989 pagg. 33, 178, 183, 187 Augusta-Sallentia (strada) pag. 69 Augusto (Imperatore) pag. 131 Aulide pag. 31 Ausone-Armeno pag. 39 Ausoni pagg. 30, 40 Austin C. pagg. 34, 35, 184 B Babelon E. pagg. 88, 181 Bacco (Dionisio) pagg. 44, 197 Bacino Mediterraneo pag. 67 Badali Renato pagg. 61, 187 Bagnara (antico casale) pagg. 61, 58 Bari pagg. 56, 191, 192 Barone Edoardo pag. 41 Basilicata pag. 35 Batas pag. 43 Bellinzona pagg. 85, 86, 87, 133, 186 Benevento pagg. 38, 69 Berenice pag. 83 Berlino pagg. 79, 83, 86, 190 Bernardini pagg. 115, 181 Berolini (editore) pagg. 34, 35, 184 Bianco Paolino pag. 73 Bianco Saverio pag. 9 Blasio D. pag. 59 Blßmner H pagg. 34, 189
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Indice dei nomi e dei luoghi
Boersma Johannes pagg. 74, 75 Bologna pagg. 32, 145, 181, 189 Bonaparte Napoleone pag. 17 Bortone (editore) pag. 188 Bretii pag. 89 Brindisi (Brundisium, Brun) pagg. 7, 21, 30, 37, 38, 48, 56, 57, 58, 60, 61, 62, 64, 67, 69, 71, 74, 75, 76, 82, 138, 139, 154, 178, 184, 185, 191, 192, 193 British Museum pagg. 85, 91, 97, 103, 105, 107, 109, 117, 121, 133, 139, 141, 151, 161, 169, 171, 173, 185, 186 Bruttium (Bruzio) pagg. 165, 167, 191, 195 Burgers Geart-Jan pagg. 61, 62, 75, 154, 181 C Cabanes Pierre pagg. 158, 181 Cacciato Trasibulo pag. 131 Cadige pag. 32 Cadmo (il Tebano) pag. 197 Caelia (Ceglie del Campo, Caelium) pag. 56 Caelia (Ceglie Messapica) pagg. 56, 69 Caio Giulio Cesare pag. 150 Cala di San Gregorio pag. 159 Calabri pag. 32 Calabria pagg. 30, 35, 48, 63, 85, 86, 88, 89, 91, 169, 181 Calatini pagg. 38, 39 Calce (masseria) pag. 58 Caldarola Michele pag. 178 Caldarola Renato pagg. 9, 62, 110, 182 Caliano pagg. 73, 76, 77 Calibia pag. 148 Callone di Egina pag. 92 Calone (specchia) pag. 177 Calso Cosimo pag. 9 Calso Marianna pag. 222 Calso Maristella pag. 222 Calso Nicola pagg. 1, 7, 15, 17, 62, 110, 179, 182 Cambridge pagg. 143, 145 Camerina pag. 131
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Camico (roccaforte) pagg. 30, 31, 81 Campania pagg. 35, 186 Campani pagg. 38, 39 Campi Salentina pag. 61 Cananei pag. 32 Canne (della battaglia) pagg. 38, 39 Canosa (Canusium) pagg. 60, 83 Cantarelli Floriana pagg. 63, 184 Capodieci Alessandro pag. 9 Capodieci Piero pag. 9 Capodieci Salvatore (detto Totuccio) pag. 9 Capone (editore) pagg. 30, 33, 178, 182, 183, 187, 193 Caravale Alessandra pagg. 62, 182 Carbina pag. 41 Carbinati pag. 41 Carbinia (Carb.-Brun) pagg. 41, 42 Cariati pagg. 11, 21 Caronte pag. 124 Carovigno pagg. 41, 57 Cartagine pagg. 131, 148 Cartaginesi pagg. 39, 130 Cartiera del Fibreno (stamperia) pag. 190 Casalabate pag. 60 Casarana pag. 56 Casmene pag. 131 Castelli (borgo) pag. 154 Castore pagg. 197, 198 Castrano pag. 56 Castro pag. 46 Castromediano Sigismondo pag. 73 Castrum Medianum pag. 188 Castrum Minervae pagg. 45, 178 Cataldi Nicola pagg. 45, 72, 182 Catalli Fiorenzo pagg. 91, 94, 123, 125, 145, 150, 182 Catania pag. 130 Caulonia pag. 125 Cavallino di Lecce pagg. 29, 33, 47, 49, 56, 62, 64, 83, 178, 182, 183, 184, 185, 187, 188 Cavedoni Celestino pagg. 73, 160, 182 Cecropie pagg. 61, 184
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Indice dei nomi e dei luoghi
Ceglie Del Campo pag. 56 Ceglie Messapica pagg. 47, 56, 64 Ceka Hasan pagg. 158, 182 C.E.L.I.N. (editore) pagg. 129, 173, 185 Cellino San Marco pagg. 61, 177 Cerere pagg. 44, 195 Cerrate pag. 177 Cheradi pag. 35 Cheronea (battaglia) pag. 99 Chicago pagg. 117, 185 Chio (città) pag. 89 Choerades (isole) pag. 35 Cinocefale (battaglia) pag. 99 Cinulco pag. 39 Ciongoli Gian Paolo pag. 178 Cirene pag. 23 Cisterno (antico casale) pagg. 12, 61, 67, 76, 137, 138, 139, 142, 143, 144, 145, 146, 149, 150, 153 Claudio Marcello (console) pag. 131 Clearco pagg. 41 ,182 Clelia Laviosa pag. 63 Cleonimo pagg. 37, 38, 82 Cleopatra (moglie di Alessandro Neottolemo) pag. 37 Cleopazzo Giuseppe pagg. 73, 74 Cleta (città) pagg. 89, 93 Clitennestra pag. 197 Cnidia pag. 64 Coccioli (masseria) pag. 178 Coculo (tiranno di Camico) [Cocalo] pagg. 30, 31, 81 Colella Giovanni pagg. 37, 38, 182 Collegio gesuitico “Argento” pag. 159 Columito pag. 72 Congedo Mario (editore) pagg. 21, 24, 30, 51, 57, 69, 71, 76, 82, 155, 184, 186, 187, 188, 189, 190, 191 Conone pagg. 31, 182 Conte Francesca pag. 9 Conti (tipografia) pagg. 32, 188 Convegno Nazionale A.I.C.C. pag. 33 Convento Padri Celestini pag. 159 Copenhagen pagg. 47, 184
Indice dei nomi e dei luoghi
Corallo (di Lecce) pag. 73 Corcia pagg. 119, 160, 182 Corcira pagg. 35, 37, 50, 98 Corciresi pag. 158 Cordara Valeria pag. 9 Corf첫 pag. 64 Corinto pagg. 12, 64, 94, 118, 129, 130, 148, 158, 168 Corinzi pagg. 99, 158 Cornelio Mammola (pretore) pag. 82 Corrente Marisa pag. 30 Corsano Marinella pagg. 80, 182 Corsica pag. 32 Cosentino Lea pag. 9 Cosenza pag. 37 Costantino I pag. 73 Cratis pag. 94 Crawford M.H. pagg. 143, 145 Creta pagg. 23, 31, 61, 198 Cretese pagg. 31, 41, 183 Cretesi pagg. 23, 30, 31, 32, 45, 46, 81 Crimiso pag. 130 Criseo pag. 80 Cristo (Ges첫) pag. 17 Crono pagg. 44, 195 Crotone pagg. 12, 21, 86, 87, 89, 90, 91, 92, 93, 95, 125, 168, 169 Curti Petrizzi pagg. 58, 177 D Danae pagg. 197, 198 Danimarca pag. 47 Daquino Cesare pagg. 38, 41, 42, 120, 182 Dario pag. 34 Dasummio pag. 39 Dauni pag. 30 Daunio pag. 30 Dauno pagg. 39, 41 Daunia pagg. 23, 32, 69, 81, 120, 188 David Ricardo pag. 8
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Indice dei nomi e dei luoghi
D’Amico Giuseppe pagg. 31, 183 D’Andria Francesco pagg. 29, 45, 46, 47, 50, 56, 62, 64, 74, 75, 83, 178, 183, 184, 185, 187, 188 Decio Giunio Pera (console) pag. 38 Dedalo pagg. 31, 45 Delo pag. 62 Delfi pagg. 34, 81, 92, 93 Delfo pagg. 34, 195 Demetra pagg. 39, 44, 109, 124, 195, 196, 197 Demetrio Comico (commediografo) pagg. 34, 35, 39, 184 Demostene pagg. 34, 35, 36 Deucalione pag. 30 De Anna Maddalena pag. 72 De Anna Raffaele pag. 74 De Ferrariis Antonio (Galateo) pagg. 21, 23, 42, 72, 184 De Francesco R. pagg. 51, 184 De Giorgi Cosimo pagg. 69, 184 De Gruyter Walter pag. 79 De Luca (editore) pagg. 85, 86, 89, 91, 169, 181 Dell’Aglio Antonietta pagg. 29, 45, 46, 47, 56, 83, 184, 185, 187, 188 De Luynes pag. 73 De Santis Gaetano pagg. 32, 184 De Simone Carlo pagg. 27, 72, 73, 184 De Simone Luigi Giuseppe pagg. 32, 184 Diodoro Siculo (Diodorus Siculus) pagg. 33, 93, 184 Diomedeo pag. 32 Dione pag. 197 Dionigi (il giovane) pagg. 130, 131 Dionigi (il vecchio) pagg. 89, 93, 131 Dionisio (Bacco) pagg. 44, 197 Dionisio di Alicarnasso pag. 63, 93, 184 Dittei pag. 61 Dyrrachium (Durazzo) pagg. 13, 156, 157, 158, 159, Dodona pagg. 46, 185 Dori pag. 158 Dowe Yntema pag. 48
Indice dei nomi e dei luoghi
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E Ebe pagg. 197 Eckhel pag. 86 Efesto (Vulcano) pag. 197 Eforo pagg. 81, 185 Egitto pag. 198 Egnazia pagg. 57, 69, 170, 198 Egospotami (battaglia) pag. 99 Einaudi (editore) pagg. 69, 189 Elena (di Troia) pag. 197 Elia Antonio Salvatore pagg. 9, 69, 70, 71, 185 Elia Anton Maria pag. 73 Elettrione pag. 197 Ellade pagg. 39, 41, 46 Elleni pag. 40 Ellenica pag. 40 Emilio (console) pag. 38 Emilio Scipione pag. 99 Enea pag. 30 Enotri pag. 30 Enotria pag. 195 Enotro pagg. 30, 41, 195 Ennerre s.r.l. (editore) pagg. 117, 127, 133, 165, 167, 186, 191 Epafo pag. 198 Epidamno (Durazzo) pagg. 13, 158 Epiro pagg. 12, 36, 37, 46, 69, 82, 89, 96, 97, 98, 99, 100, 185 Era pagg. 175, 197, 198 Eracle (Heracles, Ercole) pagg. 45, 92, 101, 105, 134, 135, 157, 160, 197 Eraclea (Heraclea, Lucania) pagg. 21, 38, 82, 104, 105, 135 Ermes pag. 197 Erodotea pag. 41 Erodoteo pagg. 31, 32 Erodoto (Herodotus) pagg. 21, 23, 30, 31, 32, 33, 93, 186 Esaro (fiume) pag. 93 Esiodo pag. 46 Esperti Nuovi (masseria) pag. 58 Etoli pagg. 99, 100 Etolia pag. 197
208
Eurimedonte pagg. 34, 35, 36 Eurinome pag. 197 Euristeo pag. 197 Europa pagg. 105 ,163 Europa (figlia di Agenore) pagg. 31, 197, 198 Europe Western pag. 117 Eusebio pag. 93 Evenetos pag. 73 F Fabio Massimo (console) pag. 82 Fabio Numerio Pittore (console) pag. 38 Faillos pag. 94 Falanto pagg. 80, 81 Fangara (localitĂ San Gregorio) pag. 36 Fasano pagg. 57, 64, 75, 170, 188 Fato pag. 197 Fauci (nobile famiglia romana) pag. 59 Feaci pag. 93 Fenici pagg. 32, 40, 198 Ferramosca Annamaria pag. 3 Ferramosca Ettore pag. 9 Ferrari pag. 72 Festo (storico) pag. 46 Feudo Nobile pag. 61 Filippo II (il Macedone) pag. 99 Filistei pagg. 31, 32 Filograna Fernando (Monsignore) pag. 17 Fils (straniero, viaggiatore) pag. 31 Fiorentino Egidio pag. 177 Fiorentino Girolamo pagg. 46, 47, 185 Firenze pagg. 32, 86, 93, 184, 188 Firmigliano (antico casale) pag. 61 Fischer C.T. pagg. 33, 184 Fischer W. pag. 79 Fitzwilliam Museum pag. 185 Flegonte di Tralle pag. 89 Foggia pagg. 120, 186
Indice dei nomi e dei luoghi
Indice dei nomi e dei luoghi
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Fornello pagg. 62, 182 Forni (editore) pagg. 31, 34, 185, 189 Fozio pagg. 31, 182 Franco Antonio pagg. 154, 185 Fulmine pag. 119 G Galatina pagg. 9, 21, 24, 30, 51, 57, 69, 71, 76, 82, 129, 155, 181, 184, 186, 187, 188, 189, 190, 191 Gagliardi pag. 95 Galateo pagg. 11, 21, 23, 24, 72, 74 Galatone pag. 21 Gallia pag. 32 Gallipoli pagg. 21, 36 Gargano pagg. 32, 118, 120, 189 Garibaldi Giuseppe pag. 17 Garrucci Raffaele pagg. 88, 120, 121, 185 Gazzettino Numismatico pagg. 129, 173, 185 Gela pagg. 124, 131 Gelone pag. 131 Gerone I pag. 131 Gerone II pag. 131 Geronimo pag. 131 Ghezzi (don) Michele pag. 73 Giano Bifronte pagg. 123, 145 Giannelli Giulio pag. 36 Giliberti Luigi pag. 94 Giurdignano pagg. 32, 188 Gneo Pompeo (console) pag. 39 Goltzius pagg. 160, 185 Gorini G. pagg. 87, 88, 185 Grafischena (stamperia) pagg. 64, 188 Graja pag. 170 Graxa (GRAEA) pagg. 154, 170, 171 Graziano (imperatore) pag. 58 Greca pagg. 21, 32, 181 Greci pagg. 17, 21, 30, 31, 32, 33, 38, 43, 44, 186 Grecia (antica) pagg. 34, 40, 47, 50, 55, 64, 83, 94, 117
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Indice dei nomi e dei luoghi
Grierson Philip pagg. 104, 186 Grose Sidney William pagg. 6152, 153, 157, 185 Grueber H.A. pag. 151 Gualtieri di Brienne pag. 37 Guerra Annibalica pag. 38 Guera Punica (seconda) pagg. 38, 93 Guglielmo I pagg. 61, 76, 110 H Hammond Lepriere Nicholas Geoffrey pagg. 98, 185 Head Barclay Vincent pagg. 97, 120, 185 Heinemman W. pagg. 89, 94 Herdonia (Ortona) pag. 60 Hermatianus Publius Tutorius pag. 60 Hidrella (cittĂ ) pag. 160 Hilarianus Publius Tutorius pag. 60 Hildesheim pagg. 63, 190 Hiriatini pag. 119 Hist pagg. 37, 181 Historia Numorum Italy pagg. 67, 85, 87, 89, 91, 97, 103, 105, 107, 109, 117, 121, 133, 139, 141, 163, 168, 169, 171, 173 Hitzig pagg. 34, 189 Holder A. pagg. 63, 189 Holloway Ros R. pagg. 85, 86, 87, 88, 118, 133, 186 Hude C., pagg. 31, 186 Hybris pag. 196 Hyr pagg. 31, 196 Hyria (Hiriam) pagg. 31, 37, 116, 117, 183, 188 Hyrie pagg. 31, 32 Hyriam pag. 120 Hyrium (Gargano) pagg. 120 Hydrella pag. 160 I Iapige (Iapygo, Iapygibus) pagg. 30, 33, 40, 41, 45, 59, 81 Iapigi pagg. 23, 30, 31, 32, 33, 34, 41, 115, 188
Indice dei nomi e dei luoghi
Iapigia pagg. 23, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 48, 181 Iasi pagg. 161, 191 Iceta pag. 130 Idde (Iddi, Idi) pag. 43 Idomeneo Idomeneus pagg. 23, 45 Iepyghes pag. 32 Ierone II (Gerone, IERWNOS) pagg. 127, 131 Iliade pag. 46 Illiri pagg. 23,30, 32, 40 Illiria pagg. 32, 158 Ilioti pag. 81 Immisch O. pagg. 33, 181 Imperio (eredi) pag. 33 Inaco pag. 198 Infocaciucci (canale) pag. 73 Ipniei pag. 40 Ipogeo (cariatidi di Vaste) pag. 195 Ipogeo (Palmieri di Lecce) pag. 195 Ippone pag. 130 Io pagg. 197, 198 Ireco (stamperia) pagg. 62, 182 Iris pagg. 31, 196, 198 Irpini pagg. 38, 39 Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato pagg. 123, 182 Italia pagg. 21, 30, 32, 36, 37, 38, 42, 50, 80, 183, 185, 195 Italica pag. 21, Italici pag. 32 Italiota pag. 36 I.T.E.S. (tipografia) pagg. 35, 181, 190 Italgrafica (tipografia) pagg. 31, 183 JK Jacoby C. pagg. 31, 36, 37, 81, 181, 182, 184, 192 Jenkins G.K. pagg. 85, 86, 87, 88, 133, 186 Jones H.S. pagg. 34, 35, 36, 192 Jupiter Menzanas pagg. 46, 196 Kai, Kailin, Kailinwn pag. 56 Kassel R. pagg. 34, 35, 184
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Indice dei nomi e dei luoghi
Kimon (Cimone, incisore) pag. 86 Klaohi-Zis pagg. 29, 45, 46, 47, 56, 83, 184, 185, 187, 188, 196 Koek pagg. 63, 181 Kraay pagg. 104, 168, 186 L Ladislao (Re) pag. 72 Laerzio Diogene pag. 24 Lamia (monetiere) pagg. 150, 151 La Modernissima (tipografia) pagg. 35, 190 La Nuova Italia (tipografia) pagg. 32, 184 Larva Maria Dolores pagg. 60, 186 Latona (Leto) pagg. 195, 197 Laviosa Clelia pagg. 63, 186 La Zagaglia pag. 185 Lecce pagg. 8, 9, 15, 27, 29, 30, 32, 33, 35, 37, 45, 50, 55, 56, 58, 60, 61, 62, 69, 70, 71, 72, 73, 76, 83, 110, 178, 181, 182, 183, 184, 185, 186, 187, 188, 190, 191, 193 Leda pag. 197 Lejeune Michel pag. 27 Leone Marcellino pagg. 39, 119, 186 Leontini pag. 130 Leverano pag. 33 Leuca Salentina pagg. 32, 35, 43, 45, 69, 181 Liberale Antonino pagg. 30, 188 Licaone pagg. 0, 41, 195 Lippolis Enzo pagg. 82, 120, 186 Lipsia (Lipsiae) pagg. 33, 34, 181, 182, 184, 189 Lisippo pag. 89 Locresi pag. 21 Locri pagg. 21, 36, 45, 93 Locride pag. 21 Lombardo Mario pagg. 24, 30, 33, 34, 41, 46, 48, 186 London (Londra) pagg. 79, 85, 89, 91, 94, 97, 103, 104, 105, 107, 109, 117, 133, 139, 141, 157, 161, 169, 171, 173, 185, 186, 190 Longo F. pagg. 51, 184 Lopiccoli Alessandro pagg. 24, 30, 187 Lo Porto Gino pagg. 63, 187
Indice dei nomi e dei luoghi
Lucani pagg. 24, 30, 36, 37, 93 Lucania pagg. 30, 38, 165, 167, 191 Lucano M.A. (storico) pagg. 6, 61, 187 Lucera pagg. 48, 189 Lucio Porcio Catone (console) pag. 39 Lucio Pupio (pretore) pag. 39 Lucio Scipione (console) pag. 99 Lupiae (Lupia) pagg. 7, 67, 69, 76 Lycofrone pag. 89 Lygea (sirena) pagg. 86, 89 M Macedoni pag. 100 Madonna di Caliano pag. 73 Maggiulli Luigi pagg. 33, 34, 73, 119 Maggiulli Pasquale pagg. 15, 40, 72, 187 Magna Grecia pagg. 27, 31, 86, 183, 185, 189 Magnesia (battaglia) pag. 99 Maia pag. 197 Maizza Amedeo pag. 9 Malco pag. 24 Malennio pag. 39 Mamerco pag. 130 Manduria (Man) pagg. 24, 35, 36, 37, 38, 39, 57, 82, 187 Manziones pag. 196 Marangi Casino pag. 72 Marangio Cesare pagg. 75, 155, 187 Marciano Girolamo pagg. 33, 40, 72, 188 Marco Autilius Serranus (pretore) pag. 150 Marco Furio Camillo (dittatore) pag. 34 Margilio Cosimo pagg. 9, 75 Marinelli Pier Luigi pag. 9 Marsi pag. 39 Marsilio (contadino leccese) pag. 72 Marsilio (editore) pag. 3 Martina Raffaele pag. 9 Masseria Abbadessa pag. 58 Masseria Carritelli pag. 58
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Indice dei nomi e dei luoghi
Masseria Case Bianche pag. 73 Masseria Coccioli pag. 178 Masseria Curti Petrizzi (Cellino San Marco) pagg. 58, 177 Masseria Esperti Nuovi pag. 58 Masseria Melcarne pag. 177 Masseria Muro Maurizio (Mesagne) pag. 58 Masseria Muro Tenente pagg. 58, 154, 181 Masseria Nuova pag. 177 Masseria Pisciani pag. 177 Masseria Prete pag. 58 Masseria S. Lasi di Sopra pag. 58 Masseria S. Lasi di Sotto pag. 58 Masseria Torricella pag. 58 Mastronuzzi Giovanni pagg. 45, 47, 188 Matera pagg. 32, 188 M. Atili (monetario) pag. 144 Mazzei Marina pagg. 30, 51, 188 Mazzotta Luigi pag. 9 Mc Clean pag. 185 Medi pag. 94 Medioevo pag. 182 Mediterraneo (mare) pag. 177 Mediterraneo orientale pagg. 62, 82 Melendugno pag. 37 Melibea pag. 195 Menfi pag. 198 Mesagne pagg. 57, 61, 64, 154, 155, 163, 167, 171, 175, 181, 187, 188 Messaggero del Sacro Cuore (tipografia) pag. 32 Messapi (Messapioi) pagg. 5, 7, 11, 15, 17, 24, 27, 30 ,31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 41, 42, 43, 44, 45, 46, 47, 48, 50, 56, 61, 62, 63, 69, 75, 77, 80, 82, 120, 178, 182, 183, 186, 188, 190, 191, 193 Messapio pag. 30 Messapo (eroe eponimo) pag. 23 Messapiche pagg. 5, 32, 33, 34, 36, 37, 42, 184 Messapia pagg. 23, 24, 27, 29, 30, 31, 32, 33, 35, 36, 45, 48, 56, 62, 63, 64, 184, 187,188 Messina pagg. 21, 130 Metapontum (Metapontus, Meta, Metaponto) pagg. 21, 36, 37, 108, 109, 125, 162, 163 Metis pag. 197
Indice dei nomi e dei luoghi
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Micalella Mario Antimo pagg. 37, 41, 188 Micene pagg. 63, 197 Micenea pagg. 32, 186 Micito pag. 33 Milano pagg. 63, 101, 117, 127, 133, 135, 149, 165, 167, 184, 185, 186, 191 Milella (editore) pagg. 35, 186, 188, 189 Milone pag. 94 Millingen Jane pagg. 160, 188 Minerva pag. 45 Minosse pagg. 30, 31, 45, 81, 198 Mionei pag. 40 Mirsch P. (editore) pagg. 46, 192 Miscello di Ripe pag. 93 Mnemosine pag. 197 Modernissima (tipografia) pag. 35 Moira pag. 197 Molosso pagg. 36, 93 Mondadori Arnoldo pagg. 101, 149 Mondodoro pag. 177 Monte Fernando pag. 9 Monte Papalucio (Oria) pag. 43 Monte Taigeto pag. 46 Morelli Michele pag. 9 Moscara Associati (editore) pagg. 29, 83, 184, 185, 187, 188 Mottola pagg. 62, 83, 184 Mura Arcangelo Raffaele pagg. 32, 188 Muro Leccese pag. 188 Muro Maurizio pagg. 12, 13, 58, 61, 64, 67, 154, 155, 156, 157, 160, 165, 170, 171, 172, 181, 187, 189 Muro Tenente pag. 62 Muse pagg. 21, 196 ,197 Museo Archeologico “Ugo Granafei” Mesagne pag. 154 Museo Archeologico “G. Sanna” Sassari pag. 127 Museo Archeologico Nazionale Siracusa pag. 95 Museo Archeologico Regionale Agrigento pagg. 127, 129, 153 Museo Civico Archeologico Bologna pag. 143 Museo Nazionale Taranto pag. 83 Museo Provinciale Lecce pag. 159 Museum Fitz William Chicago pag. 121 Museum British Londra pag. 121
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Indice dei nomi e dei luoghi
N Nap pag. 56 Napoleone pag. 17 Napoli pagg. 27, 33, 86, 118, 119, 160, 182, 183, 186, 187, 188, 189, 190, 191, 192, 193 Napolitano Giovanni pag. 9 Nardò (Neretum, Neritum) pagg. 21, 56 Natrella Antonio pag. 9 Nemeo pag. 135 Nenci Giuseppe pag. 34 Nettuno pagg. 39, 40, 196 Neuman pagg. 160, 188 New York pag. 79 Nicandro di Colofone pagg. 30, 188 NicolÏ Vito pag. 73 Nike pagg. 45, 86, 133 Nitti Antonio pagg. 64, 75, 188 Nocita pag. 58 Nocera Terinese (CZ) pag. 89 Novoli pag. 61 Numerio Fabio Pittore pag. 38 Numidia pag. 191 Ny Carlsberg (museo) pag. 47 O Ocinaro (fiume) pag. 89 Odissea pag. 46 Olimpia pagg. 87, 94 Olimpiade (sorella del Molosso) pag. 37 Olive (antico feudo) pagg. 76, 77 Omero pagg. 31, 46 Onata Egineta pag. 34 Opis pagg. 34, 39 Oria pagg. 30, 31, 39, 43, 48, 56, 183, 189, 193 Oros pag. 31 Orra pag. 56
Indice dei nomi e dei luoghi
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Ortigia pagg. 130, 131 Ortona (Herdonia) pag. 60 Oschi pag. 39 Ostuni (Sturnium) pagg. 57, 77 Otranto (Hidrunte, Hidruntum) pagg. 21, 33, 37, 40 ,57, 69, 76, 119, 160, 183, 188 Ottaviano Augusto pag. 150 Ovidio pagg. 23, 94 Ozan pag. 45 Oxonii (Oxford) pag. 31, 34, 35, 36, 97, 151, 185, 186, 192 P Padova pagg. 9, 34, 38 Pagliara Cosimo pagg. 35, 36, 50, 71, 159, 188, 189 Paiano (editore) pag. 181 Pais Ettore pag. 31, 120, 189 Pallade (galeata) pag. 119 Palladino Elena pag. 9 Pampo Piero pag. 9 Panvini Rosati Franco pag. 143, 144, 145, 189 Paolo Emilio (console) pag. 100 Paone Michele pagg. 21, 184 Papadia Gaetano pag. 9 Papatodero Gaspare pagg. 31, 189 Parche pag. 197 Parigi pag. 181 Parlangeli Oronzo pagg. 5, 27 Parteni pag. 81 Pastore M. pag. 189 Pausania (Pausanias) pagg. 24, 34, 189 Pegaso pagg. 97, 98, 145, 148, 157, 158, 169 Pelasga pag. 30 Pelasgi pagg. 30, 41 Pelasgo pagg. 30, 195 Peloponneso pag. 40, 99 Penisola Salentina pagg. 30, 46 Pennacchioni pagg. 118, 189 Perelli Luciano pagg. 37, 186, 192
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Indice dei nomi e dei luoghi
Perlangeli Oronzo pag. 178 Perrone Antonio pag. 9 Persefone (Cora Proserpina) pagg. 44, 148, 196, 197 Perseo pag. 198 Persiani pagg. 94, 97 Persefone pagg. 44, 82, 153 Petrucci Ciro pag. 9 Petrucci Claudio pag. 9 Petrucci (ottica) pag. 8 Peuceti pagg. 24, 50, 62 Peucezi pagg. 24, 30, 183 Peucezia pagg. 23, 184 Peucezio pagg. 30, 39, 41 Phalius pag. 30 Pherecide Sirio pag. 21 Phrycillos (incisore) pag. 87 Pidna (battaglia) pag. 100 Pirro pagg. 38, 69, 82, 99, 101, 131 Pisa pagg. 50, 127, 129, 153, 198 Pitagora pagg. 21, 24, 92, 93, 95, 181 Pizzia pag. 195 Pizzianico Giovanni Domenico pag. 59 Platea pag. 99 Platea del Monastero di San Giovanni Evangelista pag. 99 Platone pag. 44 Pleurone pag. 197 Plinio (il Vecchio) pagg. 69, 89, 124, 189 Policleto pag. 92 Politi pagg. 154, 189 Polluce pagg. 80, 197, 198 Pompeius Festus pag. 121 Pompeo (console romano) pag. 61 Pomponio Mela pag. 69 Porfirio pagg. 24, 181 Porfirione Pomponio (Pompeo) pag. 63, 190 Porto Cesareo pag. 43 Porto Perone pag. 63 Porziano (antico casale) pag. 61 Poseidone pag. 80, 81, 127, 196 Poseidonia (Pestum) pagg. 125, 164, 165, 166, 167
Indice dei nomi e dei luoghi
Poso Cosimo Damiano pagg. 76, 190 Powel J. E. pagg. 34, 35, 36, 192 Progettipercomunicare s.n.c. (editore) pagg. 62, 64, 84 Provveduto (editore) pagg. 24, 187 Pseudo Aristotele pagg. 45, 190 Pseudo Scimno pag. 89 Publigrafic (editore) pagg. 8, 60, 62, 182, 186 Publius Tutorius Hermetianus pag. 60 Puglia pagg. 30, 32, 41, 57, 63, 102, 188, 189, 192, 193 Pugliese Carratelli Giuseppe pagg. 50, 183 Pugliesi (Coste) pag. 31 Pupio L. pag. 82 Q Quinto Fabio (console romano) pagg. 38, 39 Quinzio Flaminino (pretore romano) pagg. 82, 99 R Rampino Donato Luigi pagg. 8, 9 Rampino Raffaele pag. 9 Ravel Oscar pag. 79 Rea pagg. 44, 195 Reale (stamperia) pag. 32 Reggini pag. 33 Reggio (Rhegium) pagg. 21, 32, 125 Regling K. pagg. 76, 85, 86, 87, 88, 190 Ribezzo Francesco pagg. 35, 190 Riccio Gennaro pagg. 119, 121, 151, 160, 170, 190 Rimini Martucci Sandro pag. 9 Rinascenza Salentina (tipografia) pagg. 15, 35, 190 Rivista di Cultura Nostrana pagg. 71, 185 Rivista Storica Salentina pagg. 37, 187, 188 Roca (feudo di Melendugno) pag. 37 Rocavecchia pagg. 45, 46 Rodi pagg. 64, 82 Rodi Garganico pagg. 116, 117, 119, 120
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Indice dei nomi e dei luoghi
Rolley Claude pagg. 50, 83, 190 Roma pagg. 33, 34, 36, 38, 63, 75, 82, 93, 94, 99, 122, 123, 125, 127, 129, 142, 143, 144, 145, 150, 151, 153, 182, 184, 185, 189, 190 Romanelli B.M. pagg. 160 ,190 Romani pagg. 17, 24, 32, 38 Rosafio Vincenzo pagg. 35, 190 Rosin Sonia pag. 3, 95 Rubi (Ruvo di Puglia) pagg. 102, 103 Rudiae (messapica) pag. 35 Rusconi (editore) pagg. 63, 184 Rutter N.K. pagg. pagg. 85, 91, 103, 105, 107, 109, 117, 133, 139, 141, 161, 169, 171, 173, 186 S Sabelli pag. 39 Sabina pag. 39 Sala Bolognese pagg. 31, 34, 185, 189 Salamina pagg. 94, 99 Salentina pagg. 23, 27, 32, 48 Salentina (editore) pagg. 73, 187 Salentini (Sallentini, Salentinus) pagg. 23, 31, 32, 38, 69, 120 Salento (Sallentia) pagg. 11, 27, 33, 35, 37, 38, 39, 41, 42, 43, 45, 46, 47, 48, 50, 52, 53, 54, 55, 63, 69, 73, 76, 177, 181, 183, 185, 186, 187, 189, 190, 191, 192, 193 Sambon L. pagg. 119, 190 Samele pag. 197 Samo pag. 92 San Biase (fiume) pag. 89 San Donaci pagg. 163, 167, 171, 175 San Gregorio pag. 36 San Lasi (San Biagio) pag. 58 San Luca pag. 58 “Sanna G.A.� (museo di Siracusa) pag. 127 Sanniti pag. 39 San Pancrazio pag. 64 Sanpietrana (tipografia) pagg. 71, 185 San Pietro e Paolo (isole) pag. 36 San Pietro Vernotico pagg. 61, 64, 71, 73, 185
Indice dei nomi e dei luoghi
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Sansonetti Mario pag. 9 Sansoni (editore) pagg. 86, 93 San Stefano (contrada, Chiesa) pag. 76 Sant’Andrea pag. 36 Sant’Eufemia pag. 89 Santa Maria dell’Alto pag. 58 Santa Maria di Cerrate pagg. 58, 60, 177 Santa Maria di Leuca pagg. 45, 58 Santa Severina (CZ) pagg. 85, 86, 88, 89, 91, 169, 181 Sarcofago pagg. 196, 27 Sardegna pag. 32 Sarpedonte pag. 198 Sassari pag. 147 Satyrion pag. 81 Savoia Antonio pag. 9 Scarambone pag. 73 Sciarra Bardano Benita pag. 75 Scheiwiller pag. 50 Schneider pafg. 30, 183, 188 Scilla pagg. 107, 135 Scorpione (editore) pagg. 51, 184, 192 Seaby (editore) pagg. 141, 190 Sear David pagg. 97, 105, 157, 163, 190 Semeraro G. pag. 64 Serranus Atilius pag. 144 Servius (Tullio) pag. 124 Shijak (città) pag. 158 Sibari (Sibaris) pagg. 21, 37, 125, 188 Sicania pag. 31 Sicilia pagg. 31, 32, 35, 36, 37, 38, 81, 130, 185, 189, 191 Siciliano Aldo pagg. 56, 57, 73, 120, 121, 161, 170, 191 Sicionii pag. 31 Siculi pagg. 31, 131 Silius (monetiere) pagg. 150, 151 Silla (console) pag. 39 Silloge Nummorum Graecorum Italy pagg. 67, 103, 107, 109, 117, 127, 129, 133, 135, 147, 153, 165, 167, 191 Siracusa (Syracusai) pagg. 12, 21, 35, 93, 95, 126, 127, 128, 129, 130, 131, 152, 153
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Indice dei nomi e dei luoghi
Siracusani pag. 131 Siriade pag. 35 Sirio Ferecide pag. 21 Siris pagg. 35, 93 Siritide pag. 33 Solino pag. 89 Sorrento pag. 86 Sparta (Sparte) pagg. 36, 37, 80, 82, 182 Spartani pag. 81 Spinelli Giovan Battista pagg. 11, 21 Squinzano pagg. 9, 60, 61, 62, 64, 72, 74, 110, 117, 123, 127, 129, 133, 135, 137, 145, 151, 181 Stabilimento tipografico Giurdignano pag. 37 Staliati pag. 77 Stamperia Reale pagg. 32, 184 Stamperie dell’Iride pagg. 33, 188 Stamperie Valdoneghe di Verona pag. 183 Stazio Attilio pagg. 56, 82, 154, 191 Stefano di Bisanzio pag. 89 Stele pag. 196 Sticchi Damiani Ernesto pag. 9 Strabone pagg. 31, 46, 48, 94, 191 Sturnium pag. 88 Suceava (città ) pag. 191 Surbo pagg. 9, 61, 64, 177 Susini G.S. pagg. 60, 191 Sybaris (nella Messapia) pagg. 37, 106 Syraki (palude) pag. 131 T Tafuro Luigi pag. 9 Tanza Antonio pag. 9 Taormina pag. 130 Tara (Taras) pagg. 39, 40, 80, 186 Taras (rivista archeologica) pagg. 188, 192 Tarantini pagg. 24, 32, 33, 34, 36, 37, 38, 69 Taranto (TARAS, Tarentinus) pagg. 21, 27, 30, 32, 33, 34, 35, 36, 37,
Indice dei nomi e dei luoghi
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38, 39, 40, 41, 48, 51, 60, 62, 78, 79, 80, 81, 82, 83, 120, 172, 181, 182, 183,184, 186, 187, 190, 191, 192, 193 Tasselli pag. 72 Taumante pag. 196 Tavola Peutingeriana pag. 69 Tebani pag. 197 Tebe pag. 31 Telefassa pag. 198 Temessa pag. 88 Temis pag. 197 Terenzano pagg. 61, 76 Terina (ninfa) pagg. 86, 87, 88, 89 Terina (ΤΕΡςΝΑ) (CZ) pagg. 12, 84, 85, 86, 87, 89, 93, 132, 186, 190 Terra d’Otranto pagg. 32, 34, 186, 187 Teseo (pittore del IV sec. a.C.) pag. 83 Tessaglia pagg. 30, 173, 175 Testio pag. 197 Tetis Aelia pag. 197 Thana (dea) pagg. 43, 197 Thaotor Andirabas pag. 45 Theopompus (storico) pagg. 36, 37, 192 Thuria pagg. 37, 38 Thuriae pagg. 37, 38 Thyrea pagg. 37, 38, 188 Thyria pagg. 37, 38 Thurii pagg. 37, 38 Timofane pag. 130 Timoleonte pagg. 12, 130, 131 Tindareo pagg. 197, 198 Tipografia del Reale Ospizio pag. 45 Tirana pagg. 158, 182 Tirinto pag. 197 Tirrena pag. 30 Tirreni pag. 30 Tirreno (mare) pag. 30 Tito Livio pagg. 37, 38, 39, 63, 186, 192 Toffoletti Isabella pagg. 62, 182 Tognon Sergio pag. 9 Tolomeo (I Soter) pag. 83
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Indice dei nomi e dei luoghi
Torino pagg. 32, 37, 38, 61, 69, 184, 186, 187, 189, 192 Torre Chianca pag. 177 Torre Ovo pag. 45 Torre Rinalda pag. 178 Torchiarolo (Turcalurum) pagg.12, 56, 61, 69, 70, 71, 73, 76, 79, 84, 91, 97, 105, 109, 178 Traiana (via) pagg. 69, 70, 71, 72, 76 Traiano pagg. 69, 76 Tramater (tipografia) pagg. 119, 190 Trani pagg. 37, 38, 182 Travaglini Adriana pagg. 57, 64, 154, 192 Treccani Giovanni pag. 83 Trevisani Silvano pagg. 30, 32, 41, 193 Trepuzzi pagg. 8, 9, 60, 61, 62, 64, 72, 110, 117, 181, 186 Tricase pag. 110 Tritei pag. 40 Trozzella pag. 197 Tucidide pagg. 31, 34, 35, 36, 39, 40, 158, 192 Turchi pag. 77 Turi (Turium, Nuova Sibari, ΟΟΥΙΩΝ) pagg. 33, 35, 37, 38, 106, 107 Turia pag. 38 Turio pagg. 21, 38 Tutor Andraios pag. 45 Tutorius pag. 60 Tutorius Hilarianus pag. 60 Tuturano pag.61 U Ugento (Uxentum, Ozan) pagg. 29, 45, 46, 47, 56, 83, 184, 188 Ulpiano pag. 39 Ulisse pag. 86 Università Americana Ohio State pag. 178 Università École Française Roma pag. 178 Università (Libera) di Bruxelles pag. 178 Università di Amsterdam pag. 74 Università di Lecce (Dipartimento di Archeologia) pagg. 35, 71, 73 Università di Pau pag. 178
Indice dei nomi e dei luoghi
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Università di Sydney pag. 178 Unterman Jürgen pag. 27 Uria pagg. 31, 35, 45, 117, 118, 120, 121, 183, 190 UTET (editore) pagg. 37, 61, 186, 187, 192 Utica pag. 148 V Valdonega di Verona (stamperia) pagg. 50, 183 Valentiniano pag. 58 Valesio (Balesium, Baletium, Balentium, Valentia, Valisu, ΒΑΛΕΘΛς) pagg. 12, 48, 56, 58, 61, 64, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 77, 78, 79, 84, 85, 87, 89, 95, 109, 185 Valzano Fabrizio pag. 9 Valli Donato pagg. 27, 193 Varro Terenzius pagg. 46, 62, 192 Vaste pagg. 55, 72, 73, 183, 190 Vecchi e C. (tipografia) pagg. 37, 38, 182 Veio pag. 34 Venere pagg. 120, 191 Veneti pag. 38 Venezia pag. 3 Venturo Donata pag. 30 Vereto (Veretum) pagg. 31, 35, 36, 42, 119, 120, 159, 182, 189, 190 Verona pagg. 50, 183 Vieste pagg. 116, 117, 118, 120, 121, 191 Villa Convento pag. 61 Villani Maurizio pag. 9 Vindobonae pag.188 Virgilio pag. 86
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Indice dei nomi e dei luoghi
Vittoria pag. 87 Vogel E. pag. 33, 184 YW Yntema Douwe pagg. 48, 193 ΥΡΙΑ ΤΙΝΩΝ pag. 12 Wehrli pagg. 24, 181, 182 Whatmough pag. 120 Z Zacinto pag. 31 Zanche pag. 125 Zenobio pag. 93 Zeugitana pagg. 12, 148 Zeus (di Ugento) pagg. 47, 82, 83, 87, 185, 187 Zeus (Dodoneo) pag. 197 Zeus (Eleuterios) pag. 129 Zeus (Giove) pagg. 29, 31, 155, 184, 188, 195, 196, 197, 198 Zeus (Jupiter) pagg. 44, 45, 46, 56, 83 Zeus (Kataibates) pag. 41 Zeus (Saettante) pagg. 47, 197 Zis – Batas pagg. 43, 197 Zis (Idde, Iddi, Idi) pagg. 29, 43, 197
L’indice dei nomi e dei luoghi è stato curato dalla dott.ssa Marianna Calso e da Maristella Calso. I riferimenti numerici sono relativi alle pagine.
Cenni storici sui Messapi
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Le bizzarre fantasie, l’amore di conoscere, vedere, toccare, le trans-figurazioni scultoree, del mio amico Leonardo, mi hanno portato a ricostruire con questo mio libro il mosaico del possibile.
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Cenni storici sui Messapi
ERRATA CORRIGE Nota 1 Ipotesi fantasiose, suggestive e chiaramente discutibili in P. ATTIANESE, Calabria Greca ... cit., pp. 148-149. Nota 2 Le fonti storiche utilizzate per i cenni storici di Ambrakia sono: A. MELE, M. LOMBARDO, F. CORDANO, L. BRACCIESI, Manuale di storia greca, pp. 157-159, pp. 250-251, pp. 267-281, pp. 370-373. Nota 3 THUCYDIDES, Historiae, Edd. H.J. Jones-J.E. Powel, Oxonii 1942, Libro VII, capitolo 7.
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Cenni storici sui Messapi
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Viale Finlandia, 17 Zona Industriale - 73100 Lecce Tel. +39 0832 392011 Fax +39 0832 315279 www.valeriorestauri.it - info@valeriorestauri.it
Si ringraziano i fratelli Antonio, Savino e Francesco VALERIO della “VALERIO RESTAURI” di Lecce per la sensibilità mostrata nella valorizzazione della storia del Salento.
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