Narrare e ri-narrare il territorio

Page 1

c

mercoledì 13 luglio 2011

il Paese

I Trasformati/

nuovo

Culture

Tra-mondi, notturni • Maira Marzioni

Giovedì 14 Luglio, alle 17.00, nuovo appuntamento all'Ammirato Culture House casa comune concepita per attivare processi di partecipazione e di collaborazione tra diversi attori culturali, locali e internazionali grazie a un accordo tra Comune di Lecce, l’associazione culturale Loop House e la canadese Musagetes Foundation - con il seminario “Produci tu la tua energia. Impianti e materiali a risparmio energetico: soluzioni e incentivi”. Un’occasione, per discutere di argomenti di grande attualità che non mancheranno, peraltro, di informare gli auditori circa gli incentivi e le agevolazioni che lo stato e gli enti pubblici mettono a disposizione per gli investimenti in riqualificazioni energetiche...

È

tramonto sullo Scipione, l'attimo in cui il sole arrossato e basso convive con la luna alta e bianca. È la soglia del giorno che non è più giorno, l'attimo che sospende e tiene insieme gli opposti. È il momento di stare dentro e fuori. Far dialogare il trapano con il mantra gutturale delle tortore, quello in cui far scorrere tubi grigi pensando alle serrande semichiuse delle case di fronte. È il momento in cui le strutture reggono perché la signora e il marito portano a spasso il cane insieme e ogni tanto si danno il cambio. L'uomo del giardino accanto sta chino in terra, osserva le piante attentamente poi sceglie. Ne toglie alcune per far spazio ad altre. Infine le bagna per rilassarle dal sole del giorno. È tramonto sullo Scipione, l'attimo preciso in cui una donna araba vestita completamente di nero convive con la tortora bianca che sta attraversando lenta la stessa strada. Anima di soglie da percorrere. Colano sagome di umido nero dalle pareti dello Scipione. È notte, le forze calano e qualcosa si disvela. Interstizi, crepe, segni del tempo. Si può trovare la forma nascosta delle macchie sul muro, progettare e costruire imitando la porosità della pietra dura, ma attraversabile? Lecce è una città che concede poche soste. La scarsità di panchine rivela un'insofferenza alla sosta, soprattutto in certe zone. Ci si può sedere in Piazza Sant'Oronzo o alla Villa, proibito farlo alle Giravolte, dove al massimo si può trovare riparo sui gradini di qualche casa. Esistono poi panchine da consumare, dove se paghi ti siedi e ti godi la visione della città che si muove. Arrivando a piedi dalla Villa allo Scipione sono possibili varie soste, attimi di vuoto dal pieno delle macchine. Girando a destra si arriva a Piazza Verdi, un angolo di ombra fresca, una pianta triangolare circondata da alberi e panchine. Uomini anziani si incontrano lì, stazionano ore a prendere il fresco, si lamentano, si raccontano. Un chiosco del bar Verdi che apre di sera ha corroso lo spazio, che però resiste, caparbio, a difendere la gratuità dello stare. C'è persino una sagoma di panchina senza seduta, ancoraggio invisibile, ristoro immaginario.

Si assemblano i grandi tubi grigi (Ph. Alice Fiorilli)

Cronache culturali/ Percorsi Meridiani

Un paese di nome Casamassella... L’Associazione Percorsi Meridiani in occasione della presentazione dei risultati dei progetti co-finanziati dalla Fondazione Caripuglia, sviluppati e conclusi dall’Associazione stessa, relativi alla riedizione di tre romanzi – “Peccato”, “Io e mia moglie”, “Il cerchio magico” dello scrittore Michele Saponaro e alla ricostruzione in “Realtà Aumentata” del centro storico di Otranto, organizza il 1° workshop partecipato “Narrare e ri-narrare il territorio: tra media tradizionali e nuovi media. Quali possibilità, e quali criticità, per lo sviluppo locale?” che si terrà all’Hotel President di Lecce, il giorno 15 luglio, h. 9.00-13.00

D

L'immagine del workshop di Percorsi Meridiani

• Eugenio Imbriani

opo alcuni anni di studio e di vita metropolitana, e di esperienze inevitabili per un giovane scrittore all’inizio del secolo scorso (donne, editori, pochi soldi, una mondanità solo esteriore), con una decisione improvvisa Guido lascia Roma e torna a casa, nel profondo sud, nei pressi di Otranto, nella masseria del fratello Totò, a Casamassella, “trecento anime”, egli dice. Si allontana, almeno per un po’, da un’esistenza che giudica deludente e poco costruttiva e spera, intimamente e poco lucidamente, di rinnovarla; si ritrova in un ambiente che dovrebbe conoscere, ma che gli risulta sostanzialmente estraneo; si rende conto che a ventisette anni non sa far niente in termini concreti e Totò, bonariamente, glielo ricorda ogni volta che lo chiama poeta. Guido si sottoporrà volentieri a una nuova educazione fisica, morale, sentimentale, che dovrà però interrompe-

re bruscamente dopo alcuni mesi per un motivo che non rivelerò: sto parlando, infatti, del contenuto di un romanzo, Peccato, di Michele Saponaro, concluso nel 1915, uscito per la prima volta nel 1919, riedito da Mondadori nel 1925 e da Garzanti nel 1946, e nuovamente da Mondadori nella raccolta Romanzi all'aria aperta nel 1957; e ora da un’associazione editrice, Percorsi Meridiani, all’interno di un progetto che mira ad analizzare lo strumento narrativo quando si muove a raccontare il territorio. Saponaro, scrittore e giornalista di rilievo nella cultura italiana della prima metà del ’900, conosce nei dettagli quel mondo contadino in cui ha collocato il suo protagonista, e lo rivela nella cura con cui sceglie i nomi e i soprannomi dei suoi personaggi, nel descriverne i ruoli e le mansioni, il modo di parlare, nel tracciare i ritmi del lavoro, nel disegnarne i caratteri, nel raccontare l’andamento dei giorni e delle ore, la sveglia, la caccia,

la zappa, il bucato, la cucina; Totò è il padre padrone, durissimo e gioviale, le regole sono quelle, non si discute: come un sovrano da ancien règime ha la sua favorita, che omaggia ospitandola nel suo letto (di nascosto dagli altri, ma figurarsi…); Titta è il fattore, gigantesco e buono, è forte come un toro ma timidamente manifesterà a Guido, fratello del padrone, le sue intenzioni nei confronti di Cia, una serva della casa. Cia, appunto, una ragazzina vivacissima, allegra, ridente, una cutrettola, di cui il nostro poeta non potrà che innamorarsi. E tanti altri, poi: la generosa Abondanza, narratrice inesauribile, la vecchia Mena, il vecchio Renna con il suo amore per la Nzina bellissima e sfortunata… Il protagonista si lascia avvolgere dal luogo e da quell’ordine; lui che aveva conosciuto le albe cittadine perché talvolta era allora che andava a dormire, adesso si ritrova ad aspettarle già sveglio: non è tempo di filoso-


mercoledì 13 luglio 2011

e panchine

nuovo 6-7

il Paese

Cronache culturali/ Il K-now a San Cesario di Lecce Oggi, mercoledì 13 luglio, il centro storico di San Cesario di Lecce si animerà di danze, canti, rappresentazioni teatrali, reading e altre espressioni d'arte. Il tutto a nutrire “Trattato di Pace”, la performance finale che avrà luogo nel Palazzo Ducale a conclusione della Quarta Edizione del “Laboratorio/Showcase del teatro pugliese” ideato e promosso da Induma Teatro di Lea Barletti e Werner Wass

Un'immagine del Palazzo Ducale di San Cesario di Lecce

Il teatro e la comunità L’

Sedute all'interno dello Scipione

Tornando sulla via dello Scipione di fronte alla caserma c'è una piccola piazza dove sta di casa uno dei tanti Padre Pio della città. Ha la bocca spalancata, quasi a sbadiglio è circondato da fiori e piante e un piccolo recinto. Attorno a lui comode panchine di legno che acquistano ombra nel tardo pomeriggio. Oasi per le orecchie, perché il rumore delle cicale vince quello di moto e macchine. Padre Pio sta spesso solo, forse è per quello che ha una faccia strana. Non sempre è facile mettersi in panchina, richiede la capacità di una presenza, un esporsi allo sguardo altrui, il rischio dell'incontro. Osservare le panchine significa osservare i resti dell'abitare di una città. Quello che rimane dello stare senza motivazioni, solo per il gusto di esserci, di uscire dal proprio spazio privato. Nelle panchine del giardino attorno all'Ammirato sostano presenze colorate e invisibili. Storie d'amore tra ragazzini consumatisi chissà quando che prendono la forma di dichiarazioni di odio e passione. Atti di rabbia di adolescenti contro i detentori del potere. Le immagino scritte notturne o rubate a qualche assenza clandestina da scuola. Un abitare non visibile che si può soltanto immaginare. Diverso da quello del piazzale di cemento sotto ai palazzoni bianchi. Lì si rappresenta in maniera tangibile il valore della soglia. Un gruppo di persone e qualche ragazzino sostano fuori dal portone in quella linea sottile tra casa e fuori. È un esporsi protetto dall'inferriata arrugginita, un intramondo. L'abitare senza pericoli, stare fuori, ma protetti. Mentre fuori gli abitanti del quartiere si siedono oppure no, gli architetti in trasformazione lavorano alla costruzione di una panchina anomala. Un crogiolo di tubi che vadano ad abitare una casa pubblica. Un ossimoro per la possibilità di abitare una casa come se fosse pubblica e uno spazio culturale come se fosse casa. Per ora c'è Davide, il bimbo del quartiere che ha adottato gli architetti. È il figlio dei proprietari della ferramenta di fronte. Ci ha raccontato che suo nonno abitava qua e si occupava del giardino. Ogni tanto viene, osserva costruisce farfalle con fili e cannucce rimasti di scarto e oggi s'è seduto ai piedi di questa struttura ancora informe. Dice che sembra un alieno e lui ci si è messo dentro, come se stesse in una piccola piscina. Ha le gambe incrociate e sorride. Primo abitante dell'aliena panchina.

• Vito Antonio Conte

ora non è quella migliore per andarsene in giro. Ma devo muovermi. È il primo meriggio. E devo muovermi. Trentotto gradi. E devo muovermi. In auto. Ancora peggio. Arrivo a San Cesario di Lecce poco dopo le 15.00. Piazze e vie deserte. Un tempo, secondo chi mi ha preceduto, questo era il momento in cui i cristiani riposavano e gli spiriti vagavano. Guai a incontrarli. Potevano provocare effetti più deleteri del sole battente.Parcheggio l'auto nei pressi del Palazzo Ducale. Deserto. Anche qui. Chiamo Lea. Al terzo tentativo mi risponde: è, insieme ai ragazzi di K-Now, al Centro Polivalente: hanno appena finito di pranzare, sta per uscire il caffè. Ce n'è anche per me. E lo credo bene: la moka è di quelle mai viste: formato K-Now, ossia caffè per tutti. E qui sono tanti. Giovani che provano le loro performances per la serata finale di mercoledì 13 luglio, quando il centro storico di San Cesario di Lecce si animerà di danze, canti, rappresentazioni teatrali, reading e altre espressioni d'arte. Il tutto a nutrire “Trattato di Pace”, la performance finale presso Palazzo Ducale. Bevo il mio caffè e il sapore è di quelli che vorresti avesse sempre il caffè. È un buon caffè. Sa di fatica, d'entusiasmo, di sacrificio, di passione, d'energia, di speranza. Quella che leggo nei volti dei ragazzi e delle ragazze che qui, nel fresco seminterrato del Centro Polivalente, si apprestano a tenere una riunione per discutere e programmare gli interventi che, tra poco, riproveranno. È incredibile come un luogo anonimo e spoglio - come questo - si animi quando lo abitano giovani di diverse estrazione e provenienze e nell'aria girano i loro progetti (accomunati dal desiderio e dalla volontà di dare concretezza al loro estro creativo). Il luogo è una sorta di open space, attrezzato con sedie e una lunghissima tavolata, con un angolo cucina e un palchetto (munito persino di tenda), ma la cosa che mi piace di più è una lavagna (tipo scuola elementare) con su scritto: “Se Qualcosa Fa Schifo Scrivilo Qui”. Qualcuno, col gessetto bianco, ha annotato: “Non Gettate I Fogli Carta Nel WC”. I ragazzi si fermano qui (nel Centro Polivalente) a

La presentazione domenica 10 luglio a San Simone del CD di debutto di Mino De Santis, “Scarcagnizzu” prodotto dal Fondo Verri per l'edizione 2011 de I Luoghi d'Allerta. L'autore tugliese era accompagnato da Emanuele Coluccia al sax e da Gianluca Longo alla mandola

pranzo e a cena. Ma la cena è fuori, all'aria aperta, sotto gli alberi di finto pepe. Dopo il caffè, Werner aggiorna la situazione e ognuno conferma quel che farà la serata conclusiva di questa cinque giorni di vita artistica in comunione. Ché di questo si tratta. Di confrontare e confrontarsi, proponendo la propria idea d'arte e il proprio modo di fare arte con quelle degli altri, scambiando, mutuando, imbastardendo, meticciando, mescolando, contaminando esperienze. Questo è il momento in cui si discute sui luoghi (una corte, il mercato coperto, una piazzetta, un vicolo...), sui modi (a solo, insieme a...), sui tempi (tre minuti, un quarto d'ora, in apertura, una sola volta, più volte...), e ancora degli interventi. E si pensa a come razionalizzarli. A come renderli fruibili al pubblico. A come darne la migliore espressione possibile. E si parla di luci, di suoni, di oggetti di scena e alle location più adatte a ospitare quella rappresentazione invece che quell'altra. E prende forma qualcosa che potrebbe somigliare a un treno. C'è la motrice. Si ferma alla prima stazione. Pausa performance. La locomotiva con l'attore - o il gruppo o il cantante...- di quell'esibizione si attacca alla motrice. E così via. Di stazione in stazione. Sino a quella finale di Palazzo Ducale. Dove tutti scendono dal treno. Artisti e pubblico (che via via era salito a bordo). Dove s'apre la scena finale. Sino alla promulgazione del “Trattato di Pace”. Che tutti, nessuno escluso, è tenuto a osservare. Ché questa è una bella storia. Una di quelle in cui -soprattutto- vigono rispetto e solidarietà. Ognuno parla quando è il suo momento. E tutti ascoltano l'altro. Salvo deroghe necessarie: “Chiedo il permesso di poter anticipare il mio intervento ché devo lavare i piatti”. E così sia. Senza complicazioni. Tra poco si torna a lavorare. Con tenacia e allegria. E con un sorriso per me che saluto. Lea mi dice: “grazie Vito”. Io faccio un cenno con la mano e non dico null'altro che “buon proseguo”. Ma penso che stare un po' con questi ragazzi è stato bello e dovrei essere io a ringraziare. Beh, lo faccio adesso.

Cronache culturali/

Scarcagnizzu

S Michele Saponaro

fia, spiega a se stesso, bisogna immergersi in quella vita, gustandone intensamente i sapori, senza mediazioni intellettualistiche; Saponaro carica l’ambiente di una sensualità diffusa, irresistibile, Guido sembra in balia degli elementi, sia un violentissimo temporale che sta per ucciderlo, o il caldo feroce ed estenuante dei meriggi estivi, o la pace del cielo stellato, siano i ricordi della fanciullezza spensierata e felice, o i sentimenti per la Cia: è un altro mondo, davvero, primitivo e selvatico, in cui la fatica (degli altri) è “buona e tranquilla”, e l’amore è un baratto a condizioni uguali: “una carezza per una carezza, un bacio per un bacio, ebrietà per ebrietà, follia per follia, sangue per sangue”; “lassù”, invece, a Roma, è tutto “un perfido mercato”. Il primitivismo di Saponaro opera una evidente distorsione, ma è il riflesso di quella cultura europea

alla quale l’autore aderisce e che spinge l’arte figurativa e la scrittura, da Picasso a Conrad a Proust, per intenderci, verso motivi di ispirazione e forme espressive dichiaratamente esotiche o fondate su procedure introspettive, di cui sono parte attivissima la rivoluzione metodologica prodottasi nel campo della antropologia e il forte richiamo alla riflessività e all’autoanalisi proveniente dalla psicologia. Saponaro, insomma, scopre in Casamassella i suoi tropici e ce li racconta, mettendoci una grande quantità di informazioni e di particolari su numerosi aspetti della cultura locale, materiale prezioso per chi voglia lavorare sulla storia sociale del territorio; di più, c’è che Peccato è un romanzo molto bello, leggibilissimo a quasi un secolo dalla sua composizione, opera di un autore importante, poco noto proprio a casa sua, come succede.

• Pino De Luca

an Simone è un bel posto. Nel cuore messapico del basso Salento a due passi di Sannicola (di cui è frazione) e tre da Alezio, uno sputo da Tuglie. San Simone ha un rilievo con un grande spazio: Oasi dei Francescani si chiama. Luogo dal profumo vintage e dall'aura di pace. San Simone è li, in un fazzoletto di terra la contraddizione umana plasticamente rappresentata: Oasi di pace con un cannone a far bella mostra, vintage (appunto) con affianco un tetto solarizzato. Declinazione straordinaria della velocità della storia quando si muove su piccoli spazi. San Simone e l'Oasi francescana che ospita uno spettacolo “culturale”: Mino De Santis presenta (finalmente) il suo primo CD e, dopo, la “cultura”: mieru e pezzetti te cavallu! Accostamenti ardui nello spazio e nel tempo, forse anche raffazzonati e stridenti, ma sempre accostamenti. Un palco scarno con tre sedie e il groviglio di fili d'ordinanza, una approssimata amplificazione e luci rosso-verdi che proiettano sul suolo e sui muri strane ombre da anaglifo… La platea in una cornice d'altri tempi, popolata da sedie di plastica, metà rosse e metà bianche, s'anima e in breve tempo non c'è più un po-

Mino De Santis a San Simone

sto che non sia occupato da culo umano, si occupano anche gli spazi per accovacciarsi sui mattoni o sporgenze di fortuna. Piero Rapanà prende il microfono e avvisa che “lo spettacolo va ad incominciare...” salgono sul palco i musicisti non prima di una breve introduzione di un personaggio illustre di Tuglie, dell'assessore di Sannicola e dei ringraziamenti di Mino De Santis con il viso bianco come un cencio e l'emozione che gli spegne la voce. Salgono sul palco il suonatore di mandola, il sassofonista e Mino con la sua chitarra. Si comincia ragazzi. Il ritmo della ballata dalla chitarra viene accompagnato da improvvisazioni degli altri due strumentisti e la voce di Mino si scioglie raccontando di un cavallo “malacarne”. Le canzoni si susseguono, si snocciolano una ad una lanciando secchiate di emozioni su un pubblico di varissima umanità, attento ai testi, denso e partecipe, che quasi respira a ritmo coerente con l'ironia sottile dei testi e le musiche contaminate che fanno da contrappunto. Mino non è giovanissimo e non sarò qui a tesserne le lodi. Mino ha scritto una pagina di canzone popolare vera, del popolo del Salen-

to… lento… lento... lento che si libera (era ora) dalla pur splendida prigionia del tamburello, dell'organetto e del violino e approda ad un linguaggio nuovo, fatto di dialetto e di italiano colto al volo, masticato, rimasticato e sputato fuori in una nuova forma di colostro, vero alimento con il quale crescere i piccoli. Musica accattivante, di uno che sa suonare la chitarra, la lascia nei suoi accordi semplici, quasi ondeggianti come un materassino gonfiabile sulla bonaccia, e poi inserisce citazioni coltissime, di Faber certo, ma anche di swing e di country, e i due comprimari silenti e presenti, in punta di piedi accendono lampi di luce sui quadri che la chitarra e la voce dipingono in diretta. Son bravi, è certo. Era tanto tempo che con assistevo ad un parto, ne avevo perduto il pathos, le urla di dolore, l'emozione per il primo vagito e la violenza necessaria del primo taglio: il cordone ombelicale che ha legato Mino alle sere tra amici è reciso, tagliato per sempre. Quando uno riesce a cantare l'anima di un popolo, di una generazione, di una terra, anche suo malgrado, diventa bene collettivo. Soprattutto se è “bonacciu”. Ne riparleremo presto de lu Scarcagnizzu!


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.