SOGES - Fashion Management Way - Leading Innovation

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LEADING INNOVATION

Una mappa per l’innovazione aziendale nel Sistema Moda Italia Dicembre 2011

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LEADING INNOVATION Una mappa per l’innovazione aziendale nel Sistema Moda Italia Dicembre 2011



6

1

COMUNICAZIONE

FATTORI SCATENANTI

INDICE Introduzione e Premessa Metodologica - p. 7

5

2

OUTPUT

TRATTI INDIVIDUALI

4

3

STRUTTURA ORGANIZZATIVA

CONDIZIONI AMBIENTALI

1. Il movente: i fattori scatenanti il processo innovativo - p. 17 2. L’abilità: i tratti individuali necessari nei processi innovativi - p. 20 3. L’opportunità: la cultura all’innovazione aziendale - p. 25 4. La realizzazione: la struttura dell’innovazione, da un modello a intelligenza accentrata ad un modello a intelligenza distribuita - p. 30 5. La comunicazione: circuiti dinamici di attivazione del sapere - p. 33 6. Output e Traiettorie future - p. 40 Sintesi del percorso - p. 62


p.6 - Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale


INTRODUZIONE E PREMESSA METODOLOGICA

Che cosa? Per orientarsi in questa fase di cambiamento radicale, la ricerca in questione si propone di sistematizzare i fattori più significativi relativi l’innovazione aziendale nel Sistema Moda Italia piuttosto che aggiungere nuovi tasselli a un mosaico già estremamente complesso. La tipologia di domande che la ricerca ha cercato di dare una risposta sono le seguenti: “Quanto è importante l’innovazione per le aziende intervistate? Quali energie/strumenti/ risorse sono destinati per stimolarla? Quali fattori incidono maggiormente per lo sviluppo/inibizione dell’innovazione? Quali sono i tratti individuali che stimolano la creatività e l’innovazione dell’organizzazione? … I dati emersi aspirano a rappresentare un bacino di conoscenza, ricco di associazioni che, opportunamente elaborate e ristrutturate, possono essere fonti d’ispirazioni per le persone che si trovano a vivere e decidere in merito a questo tema.

Chi? Si è deciso di indagare il tema coinvolgendo 10 aziende circa in una ricerca sul campo. Non sono state individuate restrizioni eccessivamente rigide per il loro reperimento (quali ad esempio fatturato, dimensione, numero di brevetti...). La principale variabile per l’individuazione delle aziende coinvolte è stato selezionare organizzazioni che siano riconosciute dal Sistema Moda Italia e da Soges per essere caratterizzate da un approccio consapevole e proattivo verso l’innovazione (che significa in sostanza adottare leve e strumenti positivi per stimolarla). Tali aziende hanno nel tempo sviluppato una sensibilità verso il tema che si concretizza, inoltre, nella partecipazione attiva e continuativa a Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.7


corsi formativi ed iniziative legate all’innovazione organizzate dagli stessi attori. Tali aziende sono organizzazioni, nella maggior parte dei casi di piccole-medie dimensioni, che operano nel territorio italiano. Si tratta di realtà caratterizzate da una forte etereogeneità tecnologica ed organizzativa, ma i punti di contatto sotto il profilo dell’innovazione sono numerosi. E’ possibile infatti affermare che la maturità del settore e l’appartenenza alla filiera del tessile-moda genera molteplici problemi comuni (quali ad esempio difficoltà di differenziazione, le innovazioni di processo diventano progressivamente patrimonio di molti e quindi risulta difficile mantenere una posizione di vantaggio investendo nella tecnologia, oppure leadership di costo sempre più difficile). Anche rispetto al tema sotto indagine è possibile individuare dei fattori ricorrenti, dei denominatori comuni, la cui condivisione può essere senza dubbio fruttuosa.

La ricerca ha avuto luogo dal mese di aprile al mese di luglio 2011. Nello specifico la prima fase si è sviluppata nel mese di aprilemaggio-giugno, la sessione è avvenuta il 4 luglio, mentre le interviste qualitative sono state svolte in parallelo nei mesi di giugno e luglio.

Metodologia Complessiva Come? La metodologia utilizzata ha previsto quattro fasi di ricerca: 1. Ricerca desk di preparazione al tema per la focalizzazione delle ipotesi di ricerca; 2. La conduzione di 1 workshop analitico-creativo; 3. Lo svolgimento di n. 11 interviste qualitative individuali;

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Metodologia del Workshop analitico-creativo La sessione presso The Hub di Milano.

3. Questionario qualitativo individuale 4. Descrizione di un caso d’innovazione della loro azienda e posizionamento del caso nella matrice “innovazione distribuzione/accentrata e innovazione per l’azienda/per il mercato” 5. Collage rispetto al tema in oggetto 6. Business Model Canvas 7. Discussione finale.

Si è scelta una metodologia qualitativa che integra tecniche cognitive linguistiche con tecniche che derivano dalla ricerca per il design al fine di individuare le percezioni, le opinioni, i comportamenti, gli atteggiamenti e gli immaginari delle aziende ed individui coinvolti sul tema dell’innovazione. Le diverse tecniche hanno permesso la visualizzazione e la condivisione delle idee generate. La visualizzazione agevola la partecipazione e fluidifica i processi di condivisione e discussione sulle idee. Il reperimento degli intervistati (n. 10 persone tra cui dirigenti, direttori, amministratori delegati) è avvenuto tramite contatti diretti del Sistema Moda Italia e di Soges con l’obiettivo di garantire il rispetto delle variabili della ricerca. Tutti questi fattori sono comunque da considerarsi sempre all’interno di un ambito di ricerca esplorativa e quindi senza alcuna pretesa di rappresentatività statistica. La struttura delle sessioni è stata organizzata secondo le seguenti tecniche: 1. Carte creative di presentazione dei partecipanti 2. Mappa cognitiva con “innovazione” come parola stimolo

Di seguito sono sinteticamente descritti gli obiettivi ed i funzionamenti delle tecniche meno conosciute.

1. Le carte magiche Questa tecnica si rifà agli archetipi dell’inconscio collettivo, proposti da Jung (1934) ed utilizza un mazzo di carte simile a quello delle carte da gioco, con la fondamentale differenza che al posto delle tradizionali figure ritroviamo dei simboli atti a stimolare l’immaginazione delle persone. Ai quatLeading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.9


tro ben noti semi corrispondono funzioni e simboli specifici. In questo studio l’obiettivo era far presentare i partecipanti in modo che capissero la filosofia dell’incontro, ovvero un momento informale in cui l’obiettivo è stimolare punti di vista diversi. La tecnica delle carte magiche ha permesso di rompere il ghiaccio mostrando come ogni idea proposta è ben accetta e la visione divergente è incoraggiata.

2. La Mappa Cognitiva Alla base di questa tecnica vi è il modello della rete

Tempo libero / Lavor o Risparmio acqua Internet / cellulare / elettrodomestici

Studio comportament o del consumatore

Catena di innovazion e

con un basso impatto ambiental e

Usabile Percepibile

Sostenebilità Catena

Trend nuovi

Essere al passo

Adeguarsi ad esigenze esterne

Innovazione di Processo

Elementi di innesco

Sviluppo positivo per il sistema

Output

Qualcosa che non c’ è Cambiamento radicale

Cambiare il senso delle cose

Esplorare altri settori

Innovazione Cercar e

Comporre

Processo individuale

Mettere insieme cose diverse

Resistenze Cooperazione Paura del cambiament o

Passato reinterpretato

Vedere con altri occhi Flessibilit à

Reinterpretare

Faticoso Paura del Nuovo

Paura di imparare Nuovo

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Attitudine individuale Insicurezza Abitudini Probabilità di insuccesso

Automatism i


semantica. La tecnica consiste nella costruzione di associazioni verbali libere partendo dalla parola stimolo rappresentante il tema della sessione, in questo caso “innovazione”. In sintesi, questo esercizio ha lo scopo di fornire una visione delle aree semantiche più significative collegate dal gruppo al tema dell’innovazione.

4. Innovation Matrix Si è chiesto di posizionare il caso sviluppato nel questionario individuale all’interno della matrice “innovazione distribuzione/accentrata e innovazione per l’azienda/per il mercato che ha generato una discussione collettiva.

3. Il questionario individuale Esso ha previsto lo sviluppo di alcuni fattori (individuali ed organizzativi) partendo da un caso specifico vissuto dal partecipante. Si rimanda all’allegato per la visione del questionario.

Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.11


5. La tecnica dei ritratti-collage

6. Business Model Canvas

La tecnica dei ritratti-collage permette di ottenere un’evocazione cognitiva-emotiva degli elementi che i membri del gruppo considerano più negativi e di quelli che invece reputano positivi, attraverso un’esposizione verbale e visiva, ad esempio, come in questo studio per mezzo di un collage. L’obiettivo è facilitare la generazione di idee e la discussione attraverso i lavori prodotti che veicolano atteggiamenti, immaginari profondi in relazione al problema studiato.

ll Business Model Canvas di Osterwalder[1] applica le design techniques ai modelli di business. In questa ricerca ci siamo serviti di una “tela”, suddivisa nelle diverse componenti del business model, come piattaforma visiva e interattiva impiegata per innovare gli elementi e le relazioni tra questi. A tal proposito Osterwalder definisce la struttura di business model come risultante delle seguenti componenti: i partner (key partnership), le attivitàchiave (key activities), le risorse (key resources), le relazioni con i clienti (customer relationship), i mercati (customer segments), i canali distributivi (channel), la struttura dei costi e dei ricavi (costs e revenues) e la value proposition come elemento centrale. La strutturazione del business model avviene attraverso l’apposizione di due categorie di post-it relative all’innovazione: la prima relativa alle aree ritenute attualmente più cruciali, per concentrarsi successivamente su quelle componenti che possono rappresentare delle “traiettorie future”.

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7. Discussione finale La discussione finale ha permesso di convergere su alcuni aspetti ritenuti piĂš significativi.

Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.13


“A parità di risorse si fanno più

cose, o si fanno le stesse con meno risorse. Una vera innovazione rappresenta sempre uno sviluppo positivo per il sistema” Tiziana Musa - GIF + A&F

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Di che cosa stiamo parlando? Di seguito proponiamo alcune definizioni generate dai partecipanti nelle diverse fasi della ricerca: “Necessity is the mother of innovation” Esopo

“Una grande innovazione ha una ricaduta sull’esperienza d’uso, sulle abitudini dei consumatori”

“Un nuovo prodotto, mai proposto al mercato. Un prodotto veramente innovativo è un mix tra una nuova tecnologia produttiva ed una nuova presentazione o utilizzo del prodotto” Luigi Magnaghi - Zucchi

“l’innovazione deve avere una ripercussione sul consumatore” Dino di Gennaro - GIR A&F

Pier Francesco Martigli - Picci

“Un cambiamento radicale nelle

“L’innovazione è Ricerca, sviluppo e potenziamento. La leva è la richiesta dal mercato”

modalità produttive e nelle caratteristiche del prodotto” Franco Ghiringhelli - Ghiringhelli

Alice - Loro Piana

“L’innovazione è una discontinuità nel sapere, e nel saper fare” Tiziana Musa - GIR A&F

“Idee creative che permettono di “creare” qualcosa che possa attrarre il mercato del tessile con qualcosa di nuovo, di mai visto. Dare un diverso senso alle cose, deve essere un innovazione per il consumatore” Cristina Polini - Branded Apparel Italia

“L’innovazione è spesso rivedere in una maniera nuova le cose note”

“Creare una nuova linea in un nuovo settore, ad esempio Loro Piana innova creando una linea di arredamento” Paola Molino - Loro Piana

Di seguito si presentano i dati emersi nelle diverse fasi del lavoro, categorizzati in quella che intende essere una mappa di viaggio per l’innovazione aziendale.

Silvia Costa - Zucchi Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.15


Innovazione responsabile

Disruptive Innovation

6

People Innovation

Crisi

IL MOVENTE

Innovazione incrementale

dialoghi strutturati e non

Traiettorie per il futuro

1

Innovazione sistemica

OUTPUT

Il sistema competititvo

Richieste market pull

DNA dell’impresa Innovazione-novità

Strutture di pensiero

Naturale evoluzione

Apertura mentale

Motivazione

5

INNOVAZIONE

Intelligenza rispettosa

COMUNICAZIONE

innovazione centralizzata e decentralizzata

il Sistema di Management delle idee

Capacità combinatorie

L’ABILITA’

Capacità di osservazione

Capacità di comunicare Strutture pesanti

3

LA REALIZZAZIONE

L’OPPORTUNITA’

permeabilità verso l’esterno

Capacità analitica Resistenze e barriere all’innovazione

autonomia

4

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2

Perseveranza davanti agli ostacoli

valorizzazione della differenza

logica dell’errore


1

Il Movente

I fattori scatenanti il processo innovativo

Richieste market pull

Il sistema competititvo

1

Naturale evoluzione

1. Richieste market pull: Dai bisogni

dell’utilizzatore/cliente

Crisi

IL MOVENTE

DNA dell’impresa

E’ possibile sinteticamente sistematizzare i fattori che appaiono essere le principali leve dei processi innovativi. Dalla ricerca emergono diverse dimensioni, da quelle legate alle nuove normative ambientali, all’adozione di tecnologie imposte dai fornitori. Le categorie emerse però con maggiore forza sono le seguenti:

Nonostante nel workshop non emergano casi di adozione di approcci di user innovation, ovvero dell’innovazione generata direttamente dall’utilizzatore finale, il cliente/consumatore senza dubbio può rappresentare il fattore cruciale di innesco del processo innovativo. E’ la tipica dinamica denominata in letteratura aziendale di market pull. L’azienda progetta una nuova offerta in grado di soddisfare un bisogno espresso, ma soprattutto latente. “Idee che permettono di “creare” qualcosa di nuovo, di mai visto. Significa dare un diverso senso alle cose. L’innovazione deve essere percepita dal consumatore, essa è una risposta ad un suo bisogno” Cristina Polini - Branded Apparel Italy. Lo stesso approccio sembra essere abbracciato da aziende quali Loro Piana. “Ricerca, sviluppo e potenziamento. La leva è la richiesta dal mercato” Alice - Loro Piana. “Il legame di collaborazione che si instaurava con i consumatori prima era un atto più formale che altro, ora, invece, diventa strategico” Franco Ghiringhelli - Ghiringhelli.

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2. Il sistema competititvo Con la saturazione del mercato occorre accelerare il cambiamento attraverso un’innovazione tecnologica, di processo o di prodotto. A parità di altre condizioni l’impresa che riesce ad innovare più rapidamente degli avversari beneficia di vantaggi significativi. “Le aziende produttrici sono troppe. Adesso ci rivogiamo ad un mercato sempre più piccolo. Devi guardare avanti, inventarti sempre qualcosa di nuovo” Pier Francesco Martigli - Picci.

3. Crisi, drammi e condizioni di perturbazione Le crisi, pur essendo un elemento negativo, contengono in sé diversi aspetti positivi legati all’innovazione. Nessuno pensa di cambiare ciò che funziona bene. Per una vera spinta verso il cambiamento drammi, crisi, catastrofi interni o esterni all’azienda possono essere triggers per la creazione di un nuovo ordine. Quando si affronta una grande difficoltà, una situazione fortemente imprevista, spesso si sprigionano energie che sono sovente la base per costruire un forte successo futuro; l’esistente, quando è rappresentato dal successo è un forte fattore di inibizione dell’innovazione. L’evento che provoca dramma e, poi, cambiamento e innovazione segna un’importante discontinuità nella storia dell’organizzazione. Esso può avere avere origine ora interna, ma dalla ricerca emerge che quella più vissuta è esterna. In generale le variabili proposte possono essere di natura personale (ad esempio: la morte del fondatore) oppure legale o societaria (ad esempio: un passaggio di proprietà) o microeconomica (ad

esempio: l’adozione di una strategia di diversificazione della produzione dopo anni di crescita in un solo settore); o, infine macroambientale (ad esempio: il quadro socio-istituzionale esterno cambia improvvisamente, sollecitando forti mutamenti all’interno delle imprese). Tali eventi possono avere manifestazioni improvvise o non prevedibili, implicando rapide scelte di adattamento. “Le crisi possono essere un motore d’innovazione, soprattutto per le aziende solide” Pier Francesco Martigli - Picci. E’ anche vero, però che “Nei momenti di crisi l’innovazione è quella che aiuta a sopravvivere però essa necessita anche di investimenti che non sempre sono disponibili nei momenti di crisi” Maurizio Zucchi - Zucchi. È la creatività che a me viene solo quando sono con le spalle al muro. Vasco Rossi (cantantautore)

4. DNA dell’impresa. “Zucchi è stata la prima a proporre una linea naturale, non toccata da coloranti negli anni 90, alla base di nuove strategie c’è sempre una visione” Maurizio Zucchi - Zucchi. Dalla ricerca emerge che esistono imprese votate all’innovazione, sovente per mano del proprio fondatore o di top manager che di continuo sono in uno stato di “ricerca del nuovo”. “Sono le genialità di alcune menti dell’azienda che continuamente generano innovazione” Tiziana Musi - GIR + A&F. Il “problema dell’innovazione” è in diversi casi, infatti, la risultante del riconoscimento di uno stato di insoddisfazione. Tale stato diventa una leva positiva per l’innesco di processi ed approcci proattivi verso l’innovazione. Dalla ricerca emerge l’esistenza di uno stato di squilibrio tra lo stato attuale in cui si trova l’azienda ed uno ideale. Tale gap è basato su un disagio conoscitivo al quale segue un’attivazione di processi di acquisizione di nuove conoscenze e di

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>> “Mostratemi un uomo completamente soddisfatto e io vi mostrerò un fallimento” Thomas Edison (inventore)

ricombinazioni con quelle già presenti. Il bisogno di conoscenza (need of knowing) concepito come la coscienza dei limiti della conoscenza precedente, delle contraddizioni e lacune dei sistemi già consolidati: in breve come quel conflitto particolare che genera la ricerca del nuovo. Come avviene per la descrizione di un tratto della personalità o, come si evince dall’estrapolazione dell’intervista individuale che segue, dalla cultura di un popolo, si può parlare di una cultura aziendale per la quale l’innovazione diventa una missione, una perpetua ricerca del nuovo che investe l’intera organizzazione.

5.Naturale evoluzione

>> “Chi non si aspetta l’inaspettato, non scoprirà la verità” Eraclito

Il bisogno di conoscenza, la curiosità e la volontà di esplorazione si fondano su una motivazione primaria dell’essere umano, il quale ha bisogno di stimoli e di attività per il proprio funzionamento. Tali caratteristiche sono il nutrimento stesso della nostra mente e sono alla base di una naturale evoluzione a cui nessuna organizzazione si esime. La naturale evoluzione implica soprattutto miglioramenti incrementali che rendono possibili riduzione dei costi (cost breakdown) e tempi più veloci. La storia dell’evoluzione insegna che l’universo non ha mai smesso di essere creativo o inventivo. Karl Popper (filosofo).

risultato di crisi che mettono in pericolo la posizione competitiva aziendale, sottoponendo l’impresa al rischio dell’esclusione dal campo competitivo. Il cambiamento che si verifica all’indomani di un “dramma, crisi, evento” spiazza le certezze del governo e management dell’impresa, dando luogo ad una situazione di fatto drammatica per il sistema aziendale. Tale evento induce o obbliga a recitare in modo diverso da prima il mestiere dell’imprenditore; a innovare radicalmente funzioni, persone, interazioni, meccanismi operativi. L’innovazione emerge quindi da una situazione di necessità, piuttosto che come risultato di un incessante processo di elaborazione programmatica, che si genera in un laboratorio di idee e attraverso un consapevole processo di partecipazione ai suoi scopi e ai suoi valori.

Da una lettura generale delle diverse fasi e tecniche dello studio si evince come le innovazioni sistemiche-radicali, approfondite nella parte finale del lavoro, si delineano solo in momenti critici della vita aziendale che rappresentano una possibile opportunità che rimane però un’eccezione nella vita aziendale. Esse sono generalmente il Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.19


2

L’abilità

I tratti individuali necessari nei processi creativi

Dalle diverse tecniche si evince quanto il fattore umano possa essere considerato come strategico, il più significativo e ricorrente rispetto a tutti gli altri (organizzativi, economici...). I partecipanti hanno descritto quelli che, nella loro esperienza sul campo, sono i tratti individuali che rendono più probabile processi innovativi. Essi possono essere sintetizzati in due macrocategorie: 1. abilità e caratteristiche facilitanti l’innovazione 2. resistenze al cambiamento e all’innovazione

Abilità e caratteristiche facilitanti l’innovazione 1. Capacità di osservazione Tale abilità emerge sia come tratto individuale sia come caratteristica più strutturata tipica di un’organizzazione proattiva verso l’innovazione. “E’ necessario avere una visione d’insieme, perché l’innovazione non è inventarsi un I-pad a stagione, ma riconoscere modalità nuove per rispondere a bisogni inespressi” Anna Ricotti - Branded Apparel Italy. Non si crea mai niente che non esista già. La “creazione”, in senso poetico come in chimica, è trasformazione - Vinicio Capossela (cantautore).

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“Creatività è l’abilità di vedere relazioni là dove non ne esistono ancora” Thomas Disch (scrittore e poeta) È più facile giudicare l’ingegno d’un uomo dalle sue domande che non dalle sue risposte. Pierre Marc Gaston Duc de Lévis (saggista) Le tre regole di lavoro: 1. Esci dalla confusione, trova la semplicità 2. Dalla discordia, trova armonia 3. Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole. Albert Einstein (fisico)

2. Apertura mentale

3. Capacità combinatorie

Secondo gli individui coinvolti nella ricerca l’apertura verso l’esperienza e la curiosità sono le caratteristiche definitorie dell’essere creativi/innovativi. Proponiamo alcune sottocategorie che sono il risultato dell’interpretazione ed integrazione delle diverse fasi e tecniche utilizzate rispetto al tratto dell’apertura.

Consiste nell’abilità di ridefinire il problema e consente di vederlo in un modo nuovo, riuscendo a trarre ispirazione da settori ed aree diverse da quella in cui è inserito. “Spesso per noi l’innovazione è una conseguenza di un processo di diverso assemblaggio di componenti esistenti fuori dell’azienda” Maurizio Zucchi - Zucchi. L’individuo accoglie le informazioni da diverse fonti, le comprende e le valuta obiettivamente, le combina in modi che abbiano un senso sia per l’autore della sintesi sia per altri. Significa possedere un’ampia conoscenza epistemica in grado di offrire dei possibili bacini culturali da cui attingere. “E’ necessario ribaltare il problema per trovare una soluzione nuova” Silvia Costa - Zucchi. “Il futuro sarà caratterizzato da stili sempre più mescolati, l’individuo dovrà avere la capacità di comporli e noi di proporli. Inoltre il mondo sarà sempre più caotico, spetterà a noi dargli un ordine” Paola Molino - Loro Piana.

> apertura verso la fantasia: concerne la volontà individuale di esplorare il proprio mondo interno lasciando la mente “libera” nell’esplorazione; > apertura verso l’estetica: è legata all’attitudine delle persone ad apprezzare e valorizzare una varietà di tipologie espressive (arte, cinema, design, letteratura, musica); > apertura verso i sentimenti: concerne la volontà delle persone di accettare le proprie emozioni e quelle degli altri, siano esse positive o negative; > apertura verso le azioni: implica una volontà delle persone di sperimentare nuove attività, nuovi comportamenti; > apertura verso le idee: implica la curiosità intellettuale e la volontà di considerare nuovi punti di vista; > apertura verso i valori e principii: è legata alla volontà ed alla prontezza a riesaminare i principi ed i valori fondamentali su cui le persone basano il proprio modus vivendi.

4. Capacità analitica Essa consiste nella capacità di dare un valore alle idee proposte; significa essere in grado di allocare le risorse in modo efficiente. Ed una volta selezionate le idee migliori, l’abilità analitica può essere utilizzata per evidenziarne i punti di forza e di debolezza da cui possono scaturire dei modi di miglioramento.

5. Intelligenza rispettosa In associazione al tratto individuale di apertura verso le idee ed i punti di vista altrui sopra presentato è interessante approfondire il tema emerso

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7. Capacità di comunicare

con forza della “diversità, di genere, di cultura, di ruolo aziendale e di età...”. Michela Garnero Stamperia Serica Italiana: “La diversità di conoscenze è un fattore cruciale. Le diverse componenti culturali sono per noi strategiche”. Affinché si valorizzi la diversità è necessario sviluppare quella che Gardner definisce “intelligenza rispettosa” che permette di reagire ed accogliere con favore la diversità tra individui e tra gruppi in modo simpatetico e costruttivo; si sforza di capire coloro che sono diversi e di lavorare armoniosamente con loro; collabora efficacemente con i colleghi, i superiori, i dipendenti a prescindere dalla loro origine e dal loro status. E’ qualcosa di più della semplice tolleranza e della political correctness. In un mondo in cui siamo tutti interconnessi, l’intolleranza e l’assenza di rispetto sono opzioni non più concepibili.

6. Perseveranza davanti agli ostacoli Secondo lo studio gli ostacoli possono essere sia esterni, sia generati dall’individuo stesso. La differenza non è in genere legata al fatto che si incontrino più o meno ostacoli, quanto piuttosto nel perseverare o meno verso l’obiettivo prefissato. Il superare ostacoli implica inoltre la volontà di assumersi rischi di un certo peso. E’ diffusa infatti la consapevolezza dell’elevata frequenza di fallimento di soluzioni nuove. Poiché le persone più orientate all’innovazione sono coloro che sviluppano concetti convenzionalmente percepiti come negativi o impraticabili, debbono possedere la perseveranza e la determinazione di raggiungere l’obiettivo preposto. E’ necessaria insomma la determinazione per la fase di implementazione e sviluppo dell’idea generata.

Un fattore ritenuto cruciale dalle persone coinvolte è quello della comunicazione nei processi innovativi. Tale variabile è indispensabile in tutte le fasi e categorie analizzate. Essa diventa uno strumento per condividere, mediare ed organizzare i processi innovativi ma anche per persuadere i gruppi in cui si è inseriti del valore di una proposta generata. Significa sviluppare la capacità di comunicare le proprie soluzioni ad un pubblico, persuadendo gli altri della validità delle idee proposte. “L’innovazione necessita un raconto”. Maurizio Zucchi Zucchi. L’abilità con cui un’idea è “impacchettata” può aumentare o nasconderne la qualità.

8. Motivazione La “spinta ad innovare” è una dimensione che caratterizza i tratti delle persone maggiormente creative. E’ un fattore che nasce internamente al soggetto. I soggetti coinvolti nella ricerca descrivono la motivazione interna come quella leva individuale che può essere sperimentata nelle forme di: interesse; coinvolgimento; curiosità; soddisfazione; sfida positiva. Questa categoria di motivazione è legata al piacere nello svolgere una determinata attività, ricavandone una gratificazione personale. La motivazione che si riferisce invece alla gratificazione che deriva da riconoscimenti e premi esterni sarà oggetto di trattazione nel capitolo 3 di questo lavoro. In sintesi però possiamo anticipare che essa può aumentare la motivazione interna se è in grado di consolidare autonomia, responsabilità, significato a quello che si sta facendo. E’ necessaria la convinzione di compiere atti densi di significato.

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“Creatività significa semplicemente collegare cose. Quando chiedi a persone creative come hanno fatto qualcosa, si sentono quasi in colpa perché non l’hanno fatto realmente, hanno solo visto qualcosa e, dopo un po’, tutto gli è sembrato chiaro. Questo perché sono stati capaci di collegare le esperienze vissute e sintetizzarle in nuove cose” Steve Jobs (imprenditore)

“Vision without execution is hallucination” Thomas Edison


Le tre regole di lavoro: 1. Esci dalla confusione, trova la semplicità. 2. Dalla discordia, trova armonia. 3. Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole. Albert Einstein (fisico)

“Se ho fatto qualche scoperta di valore, ciò è dovuto più ad un’attenzione paziente che a qualsiasi altro talento” Isaac Newton (matematico e fisico)

Resistenze e barriere all’innovazione Emerge come il problema delle organizzazioni sia rappresentato dal fatto di non poter più ricorrere ad azioni precedentemente consolidate in quanto questo modo di agire non è più efficace. Nonostante ciò, rimane presente una tendenza individuale di resistenza al cambiamento. La burocratizzazione e la continuità dominano la scena aziendale, se ne invoca il superamento ma queste restano. Per semplificare, ogni situazione di mutamento induce rottura, destrutturazione, necessità di ricomporre un nuovo ordine e di operare ristrutturazioni. Le ragioni di opposizione al cambiamento sono generalmente riassumibili in due aree principali: > timore dell’incertezza; > tensione richiesta per innovare.

cessi d’innovazione e generalmente di qualsiasi cambiamento. Sono le persone che individuano nell’esperienza la dimensione lavorativa di maggior valore. Nella ricerca viene riportato anche il caso del famoso designer Castiglioni, che adottava metodi di lavoro sempre diversi. Per questo gli piaceva ripetere “L’esperienza non da certezza né sicurezza, anzi aumenta la possibilità di errore. E’ meglio ogni volta ricominciare da capo con umiltà perché l’esperienza non rischi di tramutarsi in furbizia”.

Vediamo di seguito quali sono i fattori individuali che ricorrono maggiormente nello studio:

Il maggior ostacolo è, quindi, costituito da aspetti umani ed organizzativi, barriere che rendono problematica non solo l’adozione di comportamenti innovativi, ma anche il riconoscimento di livelli di insufficienza conoscitiva dai quali nasce l’innovazione stessa.

Fattori individuali Nel workshop vengono più volte riportate frasi ricorrenti in azienda prodotte da persone che sono rappresentate metaforicamente come “statue di granito” e che dichiarano “abbiamo fatto così per talmente tanto tempo, che sappiamo che è così che va fatto”, il cui concetto è associalbile ad un altro emerso, ovvero “quando si è i migliori, è indispensabile concentrare i propri sforzi a rimanere ciò che si è”. Tale concetto è alla base del tipico atteggiamento di persone che resistono ai proLeading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.23


Abitudine ed Automatismi A meno che l’individuo non percepisca un forte bisogno di cambiamento, tenderà a rispondere ad uno stimolo nel modo in cui è abituato, senza cercare strade innovative attraverso rischiosi processi creativi. Molte persone vivono l’abitudine in modo positivo: esso, per certi importanti aspetti permette, infatti, di affrontare la realtà in modo “automatizzato” e mettere in atto più azioni alla volta. Inoltre, una persona, dopo aver ricevuto un riconoscimento per una sua soluzione efficace (ad esempio: una nuova idea), si limita a mettere in atto comportamenti o idee simili a quella che aveva avuto precedentemente successo senza generare ulteriormente forti innovazioni. Perché cambiare se ciò che abbiamo proposto precedentemente ha avuto tanto successo? Tuttavia, la tendenza a basarsi su comportamenti abituali può diventare una causa di resistenza al cambiamento.

Paura del “non conosciuto” e di “non” essere in grado Spesso le persone in un’organizzazione non comprendono come un cambiamento proposto possa influire sulla loro carriera. Ciò causa incertezza, che può essere acuita dalla mancanza di informazioni e quindi alla difficoltà personale di raffigurarsi eventi futuri. Spesso in azienda si cerca di ridurre l’incertezza sostituendola con la routine. Da qui può nascere una resistenza al cambiamento anche se essa è invocata. Inoltre, dalla ricerca emerge che le risorse umane possono dubitare di possedere le abilità e le competenze necessarie per rispondere adeguatamente alla nuova situazione, procedura o tecnologia.

“La produzione è diffidente, in quanto sostiene che le novità portino via tempo e aggiungano lavoro. Bisogna “educare” il personale all’innovazione”. Franco Ghiringhelli - Ghiringhelli.

Paura di perdite personali Se l’individuo percepisce il cambiamento come un fattore in grado di privarlo di qualcosa di importante può mettere in atto comportamenti rigidi. Si possono temere la perdita di potere, di status, di guadagno, di benefit o addirittura del posto di lavoro. E’ necessario condividere la propria conoscenza, e questo avviene quando i gruppi funzionano efficacemente. Alcuni cambiamenti potrebbero minacciare relazioni di potere da tempo consolidati all’interno dell’organizzazione. In particolare, l’introduzione di gruppi di lavoro intersettoriali, programmi di sviluppo vari, o un management partecipativo potrebbero essere percepiti come fattori negativi ed intimidatori per il potere di alcuni dirigenti. Tali paure possono rappresentare l’ostacolo maggiore al cambiamento organizzativo. In sintesi possiamo sostenere che la categoria della resistenza appartiene generalmente alla classe dei meccanismi di difesa: il massimo della resistenza potrebbe così coincidere con atteggiamenti distruttivi che si manifestano in a) una tendenza a ritenere che il cambiamento non sia necessario e contraddica un’esperienza storica; b) una tendenza ad esagerare l’impatto negativo della possibile innovazione; c) una tendenza da parte di individui e gruppi che non subiranno direttamente le conseguenze del cambiamento a ritenere comunque di doverne patire gli effetti.

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“E’ dunque questo che chiamano vocazione: la cosa che fai con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo?” Josephine Baker (ballerina, cantante e attrice) “Se creo qualcosa usando il cuore, molto facilmente funzionerà; se invece uso la testa sarà molto difficile.” Marc Chagall (pittore)


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L’opportunità

La cultura all’innovazione aziendale Come può essere favorita l’innovazione all’interno delle organizzazioni? Quali condizioni la stimolano?

Il problema di generare e ricombinare continuamente le conoscenze tecnologiche, processuali e di mercato dell’impresa viene ad identificarsi con la capacità di favorire l’emergere all’interno della struttura – intesa come sistema di processi organizzativi e di dinamiche individuali – di condizioni che facilitano lo sviluppo di nuove idee. In questo lavoro riportiamo la definizione proposta da Sorrentino per cui l’impresa innovativa è “quella che riesce a generare al proprio interno condizioni strategiche ed organizzative capaci di promuovere ed ottenere lo sviluppo continuo di nuove conoscenze”. Obiettivo di questa sezione è sviluppare le condizioni e le leve all’interno della struttura che sembrano essere favorevoli all’innovazione e invocate dai partecipanti alla ricerca; si riportano inoltre le dimensioni percepite come negative e di ostacolo.

Strutture pesanti, e burocratizzate vs processi orizzontali Le imprese che operano in settori maturi, in molti casi hanno una storia costituita da “leader” aziendali che nel tempo hanno apportato il loro contributo di idee, ma anche collaboratori e organizzazione. Conseguentemente, le strutture sono percepite dai partecipanti appesantite e gerarchizzate. L’organizzazione gerarchica è costosa e rallenta il processo informativo. E’ necessaria una riprogettazione aziendale tesa ad eliminare le gerarchie ed incentivare l’autogestione e la responsabilizzazione individuale. E’ bene precisare che non basta snellire l’impresa, ma occorre passare dalle “gerarchie verticali” alla definizione di “processi orizzontali”. In sostanza, è opportuno riprogettare i sistemi gestionali ampliando le competenze delle singole persone e creando gruppi Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.25


responsabilizzati rispetti ai risultati, che coprono trasversalmente le varie funzioni aziendali.

Riduzione della varietà vs valorizza zione della differenza Le organizzazioni tradizionali, di tipo burocratico, sono tipicamente sistemi di riduzione della varietà: esse prendono tutto ciò che è complesso, difficile, incerto e attraverso le proprie norme e i propri programmi lo trasformano in semplice, facile, certo. In questo modo riescono ad agire filtrando la varianza e creando conformità. Si evince, invece, dalla ricerca effettuata, che la valorizzazione della diversità rappresenta una strategia vincente per la stimolazione dell’innovazione. Il processo di innovazione nasce dallo scontro/incontro dialettico delle diversità: diversi punti di vista, modi di vedere le cose, di leggere i problemi, di dare importanza a ciò che succede cercando di trovare una mediazione, generano delle soluzioni discontinue. Tale incontro non è un processo sempre spontaneo: affrontare ciò che è diverso può essere un processo “doloroso”. I partecipanti indicano spesso anche il concetto di Serendipity: “In un sistema sociale che costruisce relazioni sulle somiglianze, abbiamo bisogno di garantirci la possibilità di entrare in contatto con l’inaspettato” . “… La valorizzazione della diversità rappresenta una strategia vincente per la stimolazione dell’innovazione. E’ necessario valorizzare la diversità delle persone, diversità culturale, di genere, di ruolo, di esperienza e di idee. Le idee nascono mettendo insieme persone che hanno ruoli, esperienze, ricchezza personale molto diversi tra loro” Silvia Costa - Zucchi.

Ottica dell’ottimo vs logica dell’errore Dalla ricerca emergono approcci adottati nelle di-

verse aziende, consapevolmente o no, di “stigmatizzazione dell’errore”, ovvero organizzazioni in cui l’errore è vissuto e fatto vivere come vero “dramma” e, esplicitamente o non, punito. Secondo diversi partecipanti, il metodo con cui progredire in situazioni di forte complessità altro non è che l’errore, anzi la continua produzione di errori, di piccoli errori, lievi, ma significativi, che producano segnali riguardo alla via che è possibile seguire. In sostanza, se all’innovazione dell’impresa occorre una condizione, che è quella dell’autonomia e della libertà, è poi necessario anche un metodo: l’errore. L’evoluzione si alimenta dell’errore, è generata da esso e non potrebbe esprimersi senza la sua presenza. La storia evolutiva di qualsiasi organismo e di qualsiasi sistema, a partire da quella dell’uomo, è punteggiata da errori, da false partenze, da tentativi non riusciti, da strade percorse e abbandonate. Un’organizzazione innovativa è disposta ad assumersi dei rischi. Tanto maggiore è il grado di rischio che l’impresa sa assumere, tanto maggiore è l’innovazione che sa generare. La logica alla base di queste affermazioni è che le idee, come le altre variabili casuali a valori reali tendono a seguire la distribuzione gaussiana e formare una curva a campana, dove si ha un piccolo numero di idee davvero inutili (a destra della curva), un piccolo numero di idee davvero buone (a sinistra) e un gran numero di idee mediocri al centro. Ampliando il numero complessivo di idee si ottengono più idee inutili, ma anche un numero più alto di idee buone. La sfida per le aziende è nella gestione delle idee inutili/dannose, questa è sia una sfida organizzativa che richiede tempo e risorse umane al fine di filtrare le idee, sia una sfida di atteggiamento nell’essere in grado di “tollerare” idee a volte ap-

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“È più facile spezzare un atomo che un pregiudizio”. Albert Einstein (fisico). “Always recognize that human individuals are ends, and do not use them as means to your end.” Immanuel Kant


“Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marcia, chi non rischia e non cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce” Pablo Neruda (poeta).

parentemente ridicole e nella creazione di un’atmosfera in cui i dipendenti si sentono liberi proporre e discutere ogni idea che attraversa la loro mente. Questa seconda sfida non è facile, molti degli intervistati in questa ricerca hanno “confessato” di avere idee che non avevano discusso con nessuno in azienda per paura del giudizio o perché le idee erano incomplete. Ricercare il valore della quantità quando si parla di idee rientra nei meccanismi del pensiero collettivo, dove l’idea incompleta di una persona può essere completata da un’altra persona. L’azienda può contribuire a creare un’atmosfera in cui le idee vengono condivise in una fase molto precoce della loro esistenza e sono più rapidamente filtrata o sviluppate. Una tale atmosfera è stata espressa da Maurizio Zucchi – Zucchi, che sostiene che: “senza un’atmosfera di affiatamento che incoraggi la diversità dei punti di vista non ci sarebbe innovazione”.

Controllo vs autonomia In generale, le prospettive organizzative tradizionali percepiscono l’uso efficace del controllo come il miglior modo di operare. In questo lavoro possiamo evidenziare che gli sforzi finalizzati all’enfatizzazione del controllo, finiscono per minimizzare la creatività e la partecipazione attiva dei dipendenti. Sono numerose le occasioni in cui sono l’autonomia e la responsabilità ad essere invocate come migliori sistemi di incentivazione. In settori e mansioni in cui è richiesto un contributo ad alto livello cognitivo-intellettuale i riconoscimenti economici possono essere se non dannosi meno efficaci rispetto a sistemi che incoraggino l’autonomia. In definitiva la migliore forma di motivazione sotto il controllo del management aziendale è quello di lasciare

Gaussian distribution of good and bad ideas

Number of Ideas

“Le persone non sono contrarie al cambiamento, sono contrarie a cambiare se stesse” Peter Senge.

Very good Ideas

Mediocre Ideas

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Very bad Ideas


autonomia, responsabilizzazione ed accesso alle risorse rispetto all’utilizzo di premi economici.

Focus interno all’azienda vs permeabilità verso l’esterno Per realizzare innovazione occorre aprirsi al mondo, essere curiosi, confrontare di continuo che cosa fanno le aziende concorrenti, e non solo quelle del settore, secondo quel principio che gli americani definiscono “cross fertilization”. “L’innovazione viene in parte da dentro ma molto dall’esterno, quando ci sono dei salti di performance è generata normalmente da fuori”. Maurizio Zucchi – Zucchi. La permeabilità si costituisce di due elementi in particolare: > un’elevata flessibilità, ovvero quando la struttura si modifica non appena si modifica l’ambiente; > una chiara trasparenza ovvero la circolazione tempestiva e diffusa delle informazioni.

Suggerimenti L’organizzazione viene vista come un insieme di variabili da manovrare al fine di generare comportamenti innovativi-creativi diffusi. Ovvero l’obiettivo non è l’atto innovativo, ma atteggiamenti e comportamenti innovativi consolidati. I sistemi organizzativi rappresentati “idealmente” dagli intervistati dovrebbero tendere a trattare la complessità le difficoltà, l’ambiguità, attraverso l’uso di risposte innovative. Essi infatti non dispongono di un set di regole predefinite, ma di volta in volta generano le regole con cui trattare le nuove que-

stioni, i nuovi problemi, le nuove situazioni. I pilastri su cui si basa questo concetto sono: r Forte orientamento comune ovvero i diversi coordinamenti non sono casuali, ma tesi verso il raggiungimento di un obiettivo comune. r Pressione-tensione: nasce dalla percezione competitiva con organizzazioni esterne oppure dal desiderio di raggiungere un determinato obiettivo. la sfida cognitiva che emerge dalla trattazione creativa di un particolare problema acquisisce più o meno forza in funzione dell’importanza attribuita dall’organizzazione. Management di riferimento: un dirigente deve servire come modello di riferimento, ovvero adottare in prima persona atteggiamenti e comportamenti innovativi. Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo. Mahatma Gandhi (Nobel per la pace). La “mera esposizione” a individui creativi stimola la riproduzione degli stessi comportamenti delle persone intorno. Oltre a dare l’esempio, un project management ottimale deve “proteggere” il gruppo da interferenze e distrazioni esterne, deve riuscire a combinare competenze e ruoli dei suoi collaboratori. “Il top management deve essere custode della meta”, deve dimostrare entusiasmo, e stabilire una direzione chiara senza esercitare un controllo eccessivo. “Il Top Management deve dare il mandato” e lavorare dietro le quinte supportando comportamenti innovativi nei propri collaboratori ed incoraggiando nuove idee. r

Un medio-alto livello di diversità ovvero i fenomeni di innovazione prendono il via facendo leva sulle diversità dei soggetti.

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Uno spinto decentramento decisionale ovvero

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“If you want to build a ship, don’t herd people together to collect wood and don’t assign them tasks and work, but rather teach them to long for the endless immensity of the sea.” Antoine de Saint-Exupery.


“When all think alike, then no one is thinking.” Walter Lippman

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le persone che operano in un’impresa devono possedere una sufficiente autonomia. E’ indispensabile la possibilità di prendere decisioni. Risorse adeguate: significa avere accesso a risorse sufficienti, incluse le agevolazioni, le risorse tecniche, le informazioni, i fondi e le persone. Apertura alle idee: significa possedere un sistema aperto alle nuove idee pervaso da cooperazione e collaborazione intersettoriale, grazie ad un’atmosfera nella quale l’innovazione è premiata ed il fallimento non viene considerato come un evento drammatico. Riconoscimento: la consapevolezza che il lavoro creativo verrà adeguatamente riconosciuto, non economicamente ma attraverso la responsabilizzazione, la libertà e l’autonomia. Tempo a disposizione: è indispensabile avere tempo per sviluppare innovazione, per esplorare diverse prospettive e non essere costretti a ricadere in schemi comportamentali predeterminati. E’ necessario che tale tempo sia formalmente riconosciuto.

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4

La realizzazione

la struttura dell’Innovazione, da un modello a “intelligenza accentrata” ad un modello a “intelligenza distribuita”

innovazione centralizzata e decentralizzata

4 LA REALIZZAZIONE

L’ipotesi da cui siamo partiti è che in un mondo culturalmente e tecnologicamente interconnesso sia vantaggioso sviluppare forme originali di divisione del lavoro intellettuale che rinunciano ad accentrare presso strutture dedicate. il problema dell’innovazione, ma che puntano a ricomporre dinamicamente l’intelligenza e l’esperienza che fa capo a una pluralità di soggetti, non necessariamente riconducibili all’interno dei confini proprietari dell’organizzazione di tipo tradizionale. Il management deve organizzare i processi di innovazione e di gestione della conoscenza nell’ambito allargato di una molteplicità di attori interdipendenti. Il passaggio dalla produzione di massa al post-fordismo coincide con la fine dei processi di innovazione a intelligenza accentrata e con l’imporsi di processi di gestione della conoscenza e dell’apprendimentoin sistemi a intelligenza distribuita. La storia della grande impresa della produzione di massa ha costruito il suo successo sul rapporto con la ricerca scientifica e su strutture dedicate di ricerca e sviluppo: a queste strutture il management ha affidato il compito di sviluppare processi e prodotti innovativi la cui traduzione industriale e la cui messa a regime hanno costituito il compito principale delle linee gerarchiche dell’organizzazione di impresa. Questa concezione secca tra chi pensa e chi fa, ha costituito il tratto essenziale di un modello di sviluppo che ha consentito una straordinaria crescita economica e un benessere industriale diffuso. Questo modello è robusto dal punto di vista economico: si focalizza su una strategia di traduzione della conoscenza in processi replicabili e prodotti standardizzati. La volontà di escludere dal dialogo sull’innovazione la gran parte di coloro che erano direttamente o indirettamente interessati all’innovazione stessa (impiegati, operai, distribuzione, consumatori…) è stata dettata da un lato dalla profonda fiducia

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“Keep things informal. Talking is the natural way to do business. Writing is great for keeping records and putting down details, but talk generates ideas. Great things come from out luncheon meetings which consist of a sandwich, a cup of soup, and a good idea or two. No martinis.” T. Boone Pickens

nella scienza come motore dell’innovazione tecnologica, dall’altro dall’assenza di strumenti per la gestione economica di processi di apprendimento che potessero includere il contributo dei più. Gestire l’innovazione significa prima di tutto coinvolgere ricercatori ed esperti di tecnologia e le strutture all’interno delle quali questi operano. Rivolgersi esclusivamente al settore Ricerca & Sviluppo può essere molto rischioso, però. Se l’obiettivo è garantire che le innovazioni abbiano successo sul mercato, molte volte progettisti ed ingegneri non hanno i mezzi per garantire questo obiettivo: la ragione risiede nella lontananza dal terreno dei clienti. Riportiamo un estratto dell’intervista con Maurizio Zucchi, Zucchi, ovvero: “L’innovazione da noi è distribuita, non c’è un reparto responsabile. L’innovazione viene spesso dalla supply chain. Noi dobbiamo orchestrare l’assemblaggio diverso di componenti esistenti”.

Dai casi presentati si evince che maggiore è il grado di innovazione distribuita, maggiore è il livello di innovazione per il mercato: ciò significa affrontare una tipologia di innovazione più radicale. (sotto)

Innovazione centralizzata vs innovazione decentralizzata Le organizzazioni caratterizzate da “innovazione centralizzata” adottano un approccio all’innovazione curato unicamente dall’élite di Ricerca & Sviluppo e sembrano adottare principalmente processi sequenziali all’innovazione. Le realtà che interiorizzano approcci di “innovazione decentralizzata” generalmente lanciano venture team multidisciplinari composto da ricercatori, ingegneri, contabili e specialisti in marketing con il compito di sviluppare ed elaborare l’idea ed adottano processi in parallelo. Si è chiesto di descrivere un caso di innovazione vissuto di recente nella propria azienda e di posizionarlo nella matrice che segue. Appare che i casi descritti e posizionati si caratterizzino maggiormente per un’innovazione nuova per il mercato: tale dato

è confermato più volte nella sessione, ovvero perché si possa definire reale innovazione tale cambiamento deve essere percepito dal mercato ed in particolare deve offrire un valore nuovo al cliente. Per quanto riguarda invece la struttura organizzativa che ha generato l’innovazione, questa appare prevalentemente distribuita, soprattutto all’interno dell’azienda. Integrando la matrice con le diverse

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interviste è ipotizzabile una traiettoria futura verso innovazioni generate in modo distribuito all’esterno dell’azienda. Questa apertura che stimola lo sviluppo di punti di vista diversi con i diversi attori sembra inoltre facilitare processi innovativi per il mercato e non solo per l’azienda. Dai casi presentati si evince, infatti, che maggiore è il grado di innovazione distribuita, maggiore è il livello di innovazione per il mercato: ciò significa affrontare una tipologia di innovazione più radicale. Nonostante sia stato assegnato un valore alto all’innovazione che proviene da scambi proficui con l’esterno, non sembra per adesso essere stato formalizzato un processo di apertura verso i diversi attori. “Non c’è oggi un momento nel calendario dedicato al’innovazione, ci sono occasioni in cui gli operatori si incontrano e quelli sono delle opportunità per trovare delle novità” Maurizio Zucchi - Zucchi. La creatività che caratterizza i prodotti, si nutre spesso di una stretta interazione fra stilisti, uomini prodotto (le persone che sono responsabili della trasformazione delle intuizioni stilistiche in precise caratteristiche che il prodotto dovrà avere) e uomini della produzione, un’interazione che porta a un progressivo affinamento dell’idea iniziale. Questo rapporto di collaborazione è facile da instaurare quando le persone coinvolte lavorano nella stessa azienda, mentre è più difficile da sviluppare quando queste si trovano in aziende diverse, in particolare se distanti geograficamente. Però appare che sia questa la situazione più fertile per innovazioni forti. Inoltre l’integrazione verticale consente una veloce risposta al mercato ed accorcia il tempo che passa dall’ideazione di una collezione al momento in cui è disponibile sul mercato.

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La comunicazione

Circuiti dinamici di attivazione del sapere

Abbiamo visto come in uno spazio sociale ed economico interconnesso, la creazione del valore e la competitività dei sistemi passa attraverso la gestione di saperi distribuiti, che il management dell’impresa fa propri non più attivando i tradizionali canali del commando, ma coinvolgendo quegli interlocutori che la grande impresa aveva considerato semplice oggetto delle politiche aziendali. L’obiettivo è attivare un circuito di dialogo fra soggetti economici capaci di scambiare conoscenze rilevanti dal punto di vista dell’innovazione. Le tecnologie di rete, e non solo, consentono di ricondurre ad un circuito dinamico la varietà dei saperi parziali elaborati da soggetti diversi, non necessariamente risiedenti all’interno dei confini dell’impresa. Nelle diverse fasi della ricerca due variabili, interconnesse ma non sovrapponibili, appaiono ricorrenti: comunicazione e collaborazione. Affinché ci sia collaborazione è necessaria la connettività che consente la comunicazione ma non è sufficiente. Anche in presenza di attivazione di canali di comunicazione, strutturati e non strutturati, non è detto che avvengano processi di reale collaborazione e condivisione delle idee. Innanzitutto viediamo quali sono gli attori coinvolti nei processi di comunicazione (chi) e la forma-tipologia di dialoghi disponibili (che cosa).

Attori coinvolti attraverso dialoghi strutturati e non: CHI 1. Una prima categoria è riconducibile ai soggetti interni all’organizzazione appartenenti a settori diversi. Dalla ricerca emerge che la chiave cruciale nei processi d’innovazione sia legata al fattore umano, alle sue competenze ed ai suoi tratti individuali. Per innescare processi d’innovazione il punto d’inizio è pertanto l’individuazione delle perLeading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.33


sone chiave da coinvolgere durante cambiamenti come quelli che abbiamo investigato nello studio. Affinché si favorisca un cambiamento verso un’innovazione distribuita, prima di pensare alle piattaforme che consentono la condivisione del sapere e la creazione di nuovi saperi, si suggerisce di concentrarsi sui comportamenti desiderati e su quali persone possano essere in grado di metterli in atto. L’organizzazione è capace di individuare al suo interno le persone che, non per posizione gerarchica ma per capacità di influenza, sono in grado di contaminare positivamente un numero alto di dipendenti? Quali caratteristiche devono avere tali leader, non solo d’opinione, ma anche di comportamenti? Come devono essere collocati all’interno? Per stimolare la cultura all’innovazione in azienda si suggerisce di:

come simili (è la similitudine infatti il fattore chiave e non l’autorità percepita). In questo senso si parla di diffusione di comunicazione ma soprattutto di comportamenti che non si realizzano con approcci top-down e neanche bottom-up: avviene in modo multi-centrico peer-to-peer (P2P). E’ una leadership diffusa che contamina attori vicini e fa sì che i propri comportamenti proattivi verso l’innovazione siano riprodotti da persone simili. L’importante è individuare quelle persone altamente connesse, in possesso di ricche relazioni sociali con la capacità di influenzare atteggiamenti e comportamenti altrui. Il Top Management ha il ruolo di supportare tale diffusione attraverso la fiducia ed il rinforzo positivo dei cambiamenti avvenuti (premi quali l’autonomia, la responsabilizzazione, come visto in precedenza...).

> individuare quali comportamenti sono desiderabili affinché si estenda in azienda la cultura all’innovazione; > individuare quali soggetti dovrebbero partecipare al dialogo per primi per poi, a cascata, coinvolgere gruppi più ampi.

2. Una seconda categoria di attori è riconducibile alla filiera al cui interno l’impresa si trova ad operare: i fornitori a monte della catena del valore, altre imprese, la distribuzione, il consumatore finale a valle. Dalla ricerca emerge fortemente quanto tali operatori siano strategici nei processi di innovazione. Le imprese devono pertanto tendere ad ascoltare/comunicare/cooperare con i diversi interlocutori. L’innovazionre avviene spesso guidata e/o stimolata dai fornitori, ad esempio, oppure dai clienti/utilizzatori che non sono più considerati solo target da conquistare ma partner con cui aprire un dialogo: l’azienda deve pertanto sviluppare forti capacità di ascolto. Il processo d’innovazione parte spesso infatti dall’analisi del “problema” che è stato rilevato-ascoltato con attenzione, incorporato con il sistema di conoscenze proprio, e trasformato innovativamente in una risposta. L’impresa in tale senso diventa regista del processo di interconnessioni favorite dalle varie componenti del sistema.

Dalla ricerca emerge che se si desidera estendere a tutte le aree ed i livelli la questione dell’innovazione secondo il modello di “innovazione distribuita” non è sufficiente che tale visione sia comunicata, anche con enfasi e con strategie sofisticate, dal top management. E’ invece necessario che la leadership formale incarichi e demandi dipendenti inseriti a livelli gerarchici diversi che, attraverso un processo di convinzione e persuasione tipici degli approcci peer-to-peer, siano in grado di rappresentare un modello di riferimento, influenzando gruppi di persone più allargati. Tale persuasione non avviene per compiacenza ma per reali meccanismi di identificazione in individui percepiti

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Si riporta il caso presentato da Cristina Polini Branded Apparel Italiaa dimostrazione del bisogno di sviluppare questa capacità di ascolto in grado di individuare bisogni latenti dei propri consumatori. Il caso che presento è stato in grado di rispondere ad un bisogno latente delle consumatrici, o meglio lo ha espresso. Qualche anno fa avevamo creato un blog in Gran Bretagna che per 6 mesi includeva dei diari di un gruppo di consumatrici. Da questo strumento di ascolto era emerso che alcune di loro andavano a dormire con il reggiseno (soprattutto in alcuni momenti della vita, quali l’adolescenza, fasi del mese in cui il seno può essere fastidioso, o donne che avevano un seno particolarmente abbondante). Abbiamo colto questo bisogno e proposto un reggiseno “24ore lift che ha una costruzione che permette di infilare/sfilare il ferretto, operazione molto semplice. La forza innovative di 24h lift è stato posizionarlo come un reggiseno utilizzabile per 24 ore, quindi sempre comodo ed ha avuto la sua massima espressione nel visual – una donna che dormiva con un reggiseno e nel claim “l’unico con cui vorrete andare a letto”. Una comunicazione complice ed ironica, ma anche reale di un benefit inespresso. Sempre riferita a questa capacità di ascolto si riporta il caso presentato da Loro Piana riferito al tessere il fiore di loto. Questo esempio innovativo di successo della nostra azienda è stato possibile grazie alla grande sensibilità del titolare nel reinterpretare le esigenze del consumatore finale che richiede un prodotto naturale. 3. Una terza categoria di attori è costituita dagli attori del mercato/società, coloro che meno fre-

quentemente vengono coinvolti da rapporti stabili con l’organizzazione (i centri di ricerca, le Università, le Istituzioni, la distribuzione indipendente, i clienti potenziali, le organizzazioni culturali ed i vari interpreti di cui parla Verganti in design-driven innovation). Per Cristina Polini - Branded Apparel Italia questa categoria include gli interlocutori Key partners che diventano imperdibili bacini di ispirazione e reti di alleanze strategiche. Esse includono soprattutto le collaborazioni con i sociologi per lo studio dei trend nello stesso mercato ma anche in mercati distanti. Sarebbe interessante riuscire ad includere tali interlocutori in forme di dialogo continuativo. Per adesso dalla ricerca emerge una consapevolezza che questa categoria è la più promettente nel fornire leve per l’innovazione. Tuttavia non sono emersi, nel presente lavoro, strategie e strumenti formalizzati per l’implementazione di un dialogo che, attualmente, sembra essere generato tra attori che condividono reti e conoscenze informali attraverso processi spesso casuali. L’organizzazione dovrebbe sviluppare la disponibilità di un osservatorio sull’ambiente esterno che sia sensibile all’analisi dei cambiamenti nelle nuove tendenze nel breve e nel lungo periodo, non solo nel proprio settore. Senza dubbio questo tema potrebbere essere un interessante spunto di riflessioni future: quali sono gli strumenti per dialogare costruttivamente con attori diversi dalla mia impresa? Quali occasioni possono essere utilizzate? Posso riuscire a formarmi in tal senso? Senza dubbio stiamo assistentendo ad un passaggio da un orientamanto di “team-work” ad uno nuovo di “net-work”. La capacità di cavalcare il net-work potrebbe in futuro essere più strategica della creazione di nuove strutture di lavoro di gruppo. Quale forma di dialogo è utile instaurare per favorire processi di “innovazione distribuita”?

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CHE COSA L’obiettivo della comunicazione in azienda rispetto al tema dell’innovazione è, oltre a quello di creare consapevolezza e sensibilizzazione rispetto a nuovi orientamenti che l’azienda intende perseguire, quello di coinvolgere/stimolare/attivare le persone all’interno, ma perché no anche all’esterno, a mettere in atto comportamenti più innovativi. Alla comunicazione viene oggi riconosciuto un ruolo strategico perché si occupa di tutti gli aspetti della vita delle organizzazioni (non solo di quelli di marketing) e, soprattutto, perché contribuisce alla sopravvivenza dell’organizzazione stessa attraverso il governo delle relazioni con tutti gli attori del sistema nel quale essa opera. Dialoghi ad alta strutturazione: si include in questa categoria tutte quelle tipologie di comunicazioni formali strutturate e pianificate (oltre ai dialoghi che regolano le procedure amministrative normate dai princìpi contabili, ed i dialoghi che regolano i rapporti routinari). In riferimento al tema dell’innovazione possiamo individuare due macro-categorie che utilizzano un approccio prevalentemente top-down (autoritativo, istituzionale): r campagne di comunicazione interna con l’obiettivo di creare consapevolezza rispetto al tema dell’innovazione. Tali sforzi aspirano a veicolare il focus sull’innovazione quale nuovo, ma non solo, orientamento chiave dell’azienda. Le campagne possono includere strumenti di comunicazione di varia natura, da forme di dialogo più tradizionali a quelle più innovative (ppt, house organ, portali, piattaforme, eventi, workshop, attività di formazione…). Questa categoria, anche qualora utilizzi strumenti, formati e linguaggi altamente creativi ed originali si rifà comunque, nella maggior

parte dei casi, a processi di comunicazione a una via, in cui vi è una forte asimmetria comunicativa. campagne di comunicazione esterna con l’obiettivo di creare conoscenza, sensibilizzazione ed un’immagine positiva rispetto all’approccio all’innovazione utilizzato verso i diversi portatori di interesse dell’azienda. Tali sforzi aspirano a creare o consolidare atteggiamenti e percezioni positivi verso l’azienda. E’ chiaramente importante che vi sia un alto sforzo di condivisione di queste due aree della comunicazione. Dialoghi a bassa strutturazione: si tratta principalmente dei dialoghi che determinano l’innovazione e che prendono forma dentro e fuori l’impresa. Questi dialoghi sono caratterizzati da contenuti eterogenei e geometrie difficilmente prevedibili: l’innovazione passa attraverso relazioni fra soggetti i cui rapporti non sono predefiniti a priori. E’ possibile progettare tali spazi? E’ possibile progettare l’informalità senza sacrificarne la spontaneità? Questi dialoghi sono attivati da soggetti che, proprio perché chiamati ad esprimere in maniera creativa la loro progettualità e le loro intuizioni, hanno bisogno di spazi di autonomia marcati sia in termini di linguaggi sia di interlocutori. Una questione che ci interessa collegare al tema della comunicazione è quella del sostegno o forza del mandato. La totalità delle aziende intervistate dichiara che l’innovazione sia un fattore chiave, ma che cosa è fatto in realtà per supportarla? Dalla ricerca emerge che l’innovazione sia quasi un “diktat” in tutte le visioni aziendali ma nella realtà, sebbene ricercata e desiderata profondamente, appare che il sostegno che la leadership formale può fornire sia incluso prevalentemente nella prima categoria presentata di seguito:

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“A prescindere da tutti i sistemi che si possono progettare per facilitare il passaggio dell’informazione per l’innovazione è creare un’atmosfera di affiatamento in azienda” Maurizio Zucchi - Zucchi.

1. supporto superficiale (incoraggiata a parole, ma non nei fatti); 2. supporto profondo (la libertà di esprimere idee anche corrosive viene incoraggiata dall’organizzazione nelle parole e nei fatti).

In questa parte del lavoro si intende identificare delle categorie che includono la relazione tra la forza del mandato (quanto l’azienda crede e supporta l’innovazione) e la tipologia del dialogo (strutturato o no) come sistema di stimolo/gestione delle idee innovative. Tale relazione diventa il prerequisito per lo scaturire di idee innovative. Alto Mandato

1

Innovazione Consapevole

5

2

Innovazione Autonoma Innovazione Forzata

Dialogo Non strutturato

Dialogo strutturato

3

4

Innovazione Reattiva

Innovazione Potenziale

Basso Mandato

Per le aziende che si posizionano nell’area 1 “Pausa caffé: dalla chiacchera all’Eureka” (dialoghi non strutturati ad alto mandato: Innovazione Consapevole), l’innovazione s’innesca da conversazioni avvenute informalmente in modo casuale durante la tipica “pausa caffé”. L’azienda, però, si caratterizza per avere nel proprio DNA un forte mandato verso l’innovazione. In quest’area la precondizione all’innovazione si definisce per bassa strutturazione del dialogo e alto focus rispetto al mandato. Le aziende che appartengono all’area 2 “L’innovazione è chiave, questo è quello che devi fare! Tool corretti, vecchi princìpi” (dialogo strutturati ad alto mandato: Innovazione Forzata), adottano un approccio fortemente istituzionalizzato, richieste di sforzi verso l’innovazione autoritarie. I dialoghi in cattività sembrano far nascere poche idee radicalmente nuove. Può sembrare positivo come principio (ottimo sistema intranet, ottime chat room interne, sistemi di management delle idee…) ma è generalmente troppo orchestrato, soprattutto quando una piattaforma tecnologica è stata costruita “per tutti”. Le aziende che possono inserirsi nell’area 3 “Crediamo nella pura casualità, ovvero che Dio ce la mandi buona!” (dialoghi non strutturati a basso mandato: Innovazione reattiva), non prevedono alcun supporto né reale né superficiale all’innovazione e, di conseguenza, non essiste nessuno spazio-strumento di cui essa possa nutrirsi. In definitiva le aziende in questione non ritengono che l’innovazione sia un fattore importante per la propria sopravvivenza. Tuttavia esse possono generare innovazioni (o adottarne) se richieste, o imposte, a monte o a valle della catena di valore.

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Le organizzazioni dell’area 4 “…E tanto che cosa cambia se lancio una nuova idea sulla piattaforma?!” (dialoghi strutturati a basso mandato: Innovazione Potenziale). Qualsiasi nuovo tool, nuovo processo è totalmente inefficace se manca un reale supporto all’innovazione, ovvero il management deve essere profondamente coinvolto: non bastano parole, infinite slide, vuote campagne di comunicazione top-down, sono necessari fatti e comportamenti nuovi. Si tratta purtroppo di un’innovazione “solo” potenziale poichè, a fronte della disponibilità di risorse interne (bottom-up) e di mezzi, il processo innovativo non porta a nulla, ovvero manca la fase di realizzazione ed implementazione delle idee inizialmente proposte (che però con il passare del tempo cesseranno di essere non solamente condivise ma neanche generate). Molto promettenti appaiono essere gli atteggiamenti tipici delle aziende che si posizionano nell’area 5 (che potremmo considerare come una traiettoria estensiva dell’area 1) “L’innovazione è chiave, credo in te e ti sosterrò da fuori” (dialoghi semi- strutturati ad alto mandato: Innovazione Autonoma). Sono aziende i cui leader formali hanno dato un chiaro mandato lasciando autonomia, responsabilità sia rispetto alle dinamiche di dialogo sia per quanto riguarda gli strumenti utili per raggiungere gli obiettivi. L’imperativo strategico dell’innovazione è definito, ma le conversazioni peer-to-peer e le interazioni sono informali. “Empower people con una direzione chiara”.

5

Innovazione Autonoma

1

Innovazione Consapevole

2

Innovazione Forzata

3 Innovazione Potenziale

4 Innovazione Reattiva

Traiettorie per il futuro In rapporto ai meccanismi che governano l’area 5 sopra proposta sono ancora molte le questioni che in futuro si dovrebbe investigare, tra le quali: che cosa sono in realtà le forme di dialoghi non strutturati anche chiamati network informali? Possono essere studiati, analizzati e compresi? Quali leggi ne spiegano i meccanismi? Che cosa offrono? Possono essere progettati, facilitati, stimolati senza sacrificarne la libertà? E’ possibile progettare l’informalità? Quali tool per l’innovazione sono

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“The only way to predict the future is to have the power to shape it.” Eric Hofer


“C’è vero progresso solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti” Henry Ford

efficaci nei social network? In che spazi fisici si dipanano? Quali persone coinvolgono? Come si relazionano con i nuovi modelli di leadership distribuita? Network informali e ambienti lavorativi In relazione al tema dei network un suggerimento che emerge dal lavoro è senza dubbio quello legato alla relazione tra spazi fisici, in cui i dialoghi si sviluppano, ed innovazione. La ricerca dimostra che un ambiente ricco di stimoli (visivi, verbali, uditivi ed olfattivi) può incoraggiare la condivisione della conoscenza, la collaborazione ed in definitiva la creatività, più di un ambiente arido e sterile. Nonostante questo fattore appaia quasi banale, sono ancora poche le aziende che rivolgono risorse e sforzi adeguati a ragionamenti di questo tipo. I pochi esempi sono largamente conosciuti, quali le strategie di Google per la progettazione degli spazi interni a disposizione dei dipendenti, o gli spazi progettati da Unimanagement per la formazione creativa dei suoi talenti a Torino o ancora il EPFL Rolex Learning Center progettato da SANAA. Nel complesso, però le pratiche di successo sono ancora contenute. Il punto chiave risiede nella necessità di trasformare gli spazi lavorativi da luoghi in cui i dipendenti operano rigidamente seduti alla propria scrivania eseguendo i compiti assegnati in modo efficiente e produttivo (senza però sviluppare forti relazioni sociali) in luoghi che incoraggino la socializzazione spontanea e casuale. Sembra che siano proprio queste relazioni sociali ad essere al cuore dell’innovazione. Le idee emergono tanto da riunioni formali quanto da conversazioni casuali, durante incontri non pianificati tra gruppi diversi all’interno, o all’esterno, dell’azienda. Siamo di fronte ad una sfida che richiede la progettazione di spazi che incentivino comportamenti che normalmente non verrebero intrapresi, superando un’umana in-

clinazione naturale a reiterare quotidianamente le stesse azioni (parlare, chiedere consiglio, scherzare solo con certe persone). Tale progettazione dovrebbe avvenire sulla base di un’analisi dei sopra citati network sociali individuando i dipendenti ad alta connettività, ovvero quei “hub” umani in grado da un lato di connettere strategicamente persone e competenze diverse e dall’altro di rappresentare un modello di riferimento per la contaminazione di comportamenti fortemente desiderati.

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6

Output e traiettorie future

Innovazione responsabile

Disruptive Innovation

People Innovation

Innovazione incrementale

6 OUTPUT

Innovazione sistemica

Come accade per i viaggi, lo strumento della mappa che abbiamo proposto in questo lavoro ambisce a rappresentare il mezzo che consente di orchestrare le componenti principali del processo d’innovazione con le persone e le competenze necessarie affinché siano generati i comportamenti desiderati. In questa parte del lavoro si intende sintetizzare le principali tipologie di innovazioni descritte dai partecipanti alla ricerca, ovvero gli output del processo discusso fino a questo punto. Abbiamo deciso di categorizzare i concetti espressi rappresentandoli quasi attraverso una “scala dell’innovazione” dove le prime categorie sono caratterizzate da un livello di innovazione minore delle ultime. Deve essere considerata una tassonomizzazione riferita ai soli risultati della ricerca condotta, pertanto non esaustiva di tutte le tipologie possibili di innovazione. Inoltre, le categorie non sono da considerarsi dei compartimenti stagni, una può includerne altre o trasformarsi in altre.

1. Innovazione-novità Innovazione-novità

In sintesi significa mettere in atto nuove azioni. Questa categoria include le aziende quando lanciano un nuovo prodotto, servizio o adottando nuovi processi o nuovi macchinari. “Il caso del giubbino che si poteva utilizzare come borsa ha generato in seguito una linea con la stessa filosofia” Dino di Gennaro - GIR + A&F. Essa può riferirsi anche a nuove strategie che si rivolgono a differenti segmenti di mercato rispetto a quelli abituali. Senza dubbio una traiettoria futura d’innovazione include le strategie di internazionalizzazione, un imperativo sovente citato. E’ una tipologia di innovazione autoriferita, ovvero implica una forte novità per l’azienda che è adesso obbligata a lanciarsi in sfide nuove che richiedono un cambiamento radicale di

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mentalità, di strategia, di processo e cultura. Non si tratta però di un’innovazione radicale per il mercato o per il sistema in cui è inserita. Può essere un’ottima “base” per altre tipologie di innovazioni che richiedono comunque sempre “nuove azioni”.

2. Innovazione incrementale “Il fallimento di alcune innovazioni ha portato ad una gestione più prudente dell’innovazione stessa; questo significa che, contestualmente ad un periodo in cui i margini sono diminuiti e quindi ci sono meno soldi da investire, si preferisce puntare sul miglioramento di prodotti di successo già presenti sul mercato potenziandoli e quindi investendo su un’innovazione di tipo incrementale” Franco Ghiringhelli - Ghiringhelli. In sintesi questa tipologia di innovazione è possibile grazie a nuovi macchinari (innovazione tecnologica quindi) e a numerosi tentativi per “prove ed errori” che nel tempo consentono un miglioramento continuo dell’output. “Fare sempre meglio ciò che si sa già fare”. Generalmente le aziende che si trovano in una posizione di leadership tendono a “subire” questa visione che però può rivelarsi una trappola ad un certo punto, perché c’è un limite al continuo miglioramento. Infatti le aziende focalizzate solo su questo approccio generalmente non sono tra quelle organizzazioni che fanno i “salti” di innovazione (leap frog innovation). E chi sono i candidati ideali a compiere le innovazioni opposte a quelle incrementali? Potrebbe essere l’ultimo della fila, obbligato a cambiare radicalmente strategia per sopravvivere o l’azienda abituata ad operare in un altro settore che applica una nuova tecnologia per il dominio in questione ma già utilizzata in quello di provenienza.

3. People Innovation “power to people” In questo contesto emerge una questione significativa: non c’è innovazione se non c’è cambiamento nei comportamenti delle persone e perché questo avvenga la chiave è il capitale umano ovvero la centralità dell’uomo che deve essere considerato come un fine e non come un mezzo all’interno delle organizzazioni. Le nuove tecnologie, per quanto elaborate, non bastano. Di per se stesse, sono paragonabili ad un aereo di ultima generazione, che per quanto brillantemente costruito, sia senza pilota e non abbia una destinazione. In ultima analisi, l’intero processo di raccolta e uso dell’informazione viene forgiato da lavoratori “intelligenti” nel senso più ampio del termine: persone con percezioni innovative che desiderino porsi domande che escano dagli usuali schemi in cui sono inseriti. L’innovazione richiede “cambiamento” che non può essere considerato un problema meramente tecnologico o economico, quanto invece una questione di atteggiamento mentale. Per superare le resistenze è necessario senza dubbio approfondire i ragionamenti rispetto alla dimensione umana e alle variabili che soggiacciono ad una necessaria comunicazione ed a volte abbiamo visto come richieda “nuovo sangue”, nuove persone da altri dipartimenti o ancora meglio talenti dall’esterno in grado di offrire nuovi punti di vista e prospettive diverse da quelle abituali. Quando avremo un’azienda le cui persone sono in grado di mettere in atto nuovi comportamenti, che in ultima analisi sono da considerarsi i veri “costruttori-creatori” di una cultura dell’innovazione, e non viceversa, possiamo davvero parlare di cambiamento ed innovazione. Per ampliare il concetto all’esterno dell’azienda confermiamo quanto appena det-

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to: si può parlare di innovazione comportamentale quando un’azione aziendale (prodotto, business model, servizio) è la causa di un cambiamento dei comportamenti, delle abitudini dei propri clientiutilizzatori. “Una grande innovazione porta i consumatori a cambiare abitudini e comportamenti: si pensi ad esempio al prodotto Cosleeper, ovvero ad un lettino per neonati che è di fatto un’estensione del letto dei genitori”. Pier Francesco Martigli - Picci. Per questi motivi abbiamo deciso di istituire una categoria a parte, interpretando questa tipologia non solo strumentale a tutte le altre ma anche come una strepitosa meta da raggiungere.

se e che un approccio di questo genere permetta non solo un ottimale sviluppo della società/ambiente ma anche un futuro profittevole per la sopravvivenza aziendale. Per Tiziana Musi - GIR A&F “l’ultima tra le tante innovazioni è il “trattamento all’ozono” che permette di avere lo stesso risultato di un jeans “stonewashed” ma con un risparmio di acqua pari all’80%. Questo è stato possibile grazie alla disponibilità tecnologica di nuovi macchinari ma soprattutto grazie alla sensibilità di Francois con il supporto di competenze e passione dei suoi collaboratori. Questo è un esempio della filosofia responsabile verso l’ambiente e la società”.

4. Disruptive Innovation

6. Innovazione sistemica

Possiamo affermare che si tratta di una “disruptive innovation” quando l’azienda è in grado di lanciare un prodotto accessibile a un pubblico/cliente prima escluso dal processo.

E’ possibile affrontare questa tipologia secondo due prospettive. La prima riguarda il livello interno dell’azienda per cui è possibile parlare di un circolo virtuoso innescato da un processo innovativo che ha ricadute su tutte le aree aziendali. Si può poi estendere questa prospettiva riferendosi al sistema in cui l’azienda è inserita. Si riferisce all’innovazione grazie alla quale l’aumento di produttività genera sviluppo e sostenibilità in senso lato: in modo esteso (per tutti) e persistente (nel tempo). Genera per il territorio un vantaggio competitivo (esiste una conoscenza, un knowhow che ha un valore anche per gli altri territori). Questo può essere esportato: può dare quindi un valore competitivo alle aziende che sono in grado di esportare questo sistema di conoscenze. Per Tiziana Musa - GIR A&F “l’innovazione sistemica deve essere in grado di modificare anche il work-life balance, ovvero riuscire a bilanciare meglio la sfera lavorativa e quella privata”.

5. Innovazione responsabile Questa categoria è stata sovente espressa dai partecipanti. Si riferisce all’approccio che permette all’azienda di contribuire significativamente al progresso economico sociale culturale della società senza danneggiarla. E’ necessario passare da logiche fondate su pochi criteri e parametri (il profitto, il potere, l’incertezza) a razionalità e logiche multidimensionali e comunitarie assumendo nel calcolo il rispetto delle generazioni future, l’attenzione per i più deboli, l’ambiente...Essa richiede etica, onestà e fiducia. Le aziende che hanno interiorizzato questo atteggiamento non sono spinte da questioni meramente legislative, di mercato... ma sono mosse dalla convinzione che il business e la società non sono variabili sconnes-

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Tabella di sintesi dei tipi d’innovazione Nome

Parole chiave

Innovazione-novità

Nuove azioni; novità per l’azienda

Innovazione incrementale

Fare sempre meglio ciò che si sa già fare

People Innovation

Non c’è innovazione se non c’è cambiamento nei comportamenti

Disruptive Innovation

L’azienda lancia un prodotto accessibile a un pubblico/cliente prima escluso dal processo

Innovazione responsabile

Progresso economico sociale culturale della società

Innovazione sistemica

Circolo virtuoso che genera sviluppo e sostenibilità in senso lato: in modo esteso (per tutti) e persistente (nel tempo)

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Traiettorie d’innovazione futura: il Business Model Canvas In questa parte dello studio si è cercato di individuare delle traiettorie di innovazione per il futuro delle aziende intervistate. Ci siamo serviti di una “tela”, suddivisa nelle diverse componenti del business model aziendale, come piattaforma visiva e interattiva impiegata per innovare gli elementi e le relazioni tra questi. Ogni azienda ha lavorato individualmente sul proprio Modello di Business (attuale e futuro). Questo strumento visivo ha facilitato la condivisione iniziale di che cosa si intenda per business model innovation, definito da Osterwalder (propositore del Business Model Canvas) come risultante delle 9 componenti di seguito presentate che mostrano come generare profitto: i partner (key partnership), le attività-chiave (key activities), le risorse (key resources), le relazioni con i clienti (customer relationship), i mercati (customer segments), i canali distributivi (channel), la struttura dei costi e dei ricavi (costs e revenues) e la value proposition come elemento centrale. Key Partners

Key Activities

Key Resources

Cost Structure

Value Proposition

Customer Relationships

Channels

Revenue Streams

Customer Segments

Tali blocchi rivestono le 4 aree aziendali principali: clienti, offerta, infrastruttura e la vitalità finanziaria. L’analisi del proprio Business Model è la base per la definizione strategica che sarà implementata attraverso la struttura organizzativa, i processi ed i sistemi. Il fine di questa parte del lavoro è, pertanto, capire quali possano essere per l’azienda delle traiettorie d’innovazione futura: quali aree aziendali saranno maggiormente coinvolte? Quali saranno i cambiamenti necessari? La strutturazione del business model avviene attraverso l’apposizione di due categorie di post-it relative all’innovazione: la prima relativa alle aree ritenute attualmente più cruciali, per concentrarsi successivamente su quelle componenti che possono rappresentare delle “traiettorie future”.

Rispetto agli sforzi presenti, orientati ad un’attenzione specifica al blocco della struttura dei costi appare, sempre da un punto di vista qualitativo, che l’impegno delle imprese sarà sempre più a realizzare una strategia che si decida ad abbandonare la logica dei bassi costi, dove si sarà sempre più perdenti rispetto ai numerosi paesi emergenti, e spostarsi verso una strategia più di qualità, sviluppando una value proposition di differenziazione e di qualità. Da un orientamento focalizzato sulla struttura dei costi si passa ad un orientamento che predilige il

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capitale umano nelle key resources, le key partnership ed il blocco relativo il Customer Relationship.

Focus on People

no sempre, e quasi solo, le persone con la loro conoscenza e creatività. Rimandiamo al capitolo secondo (ai fattori individuali) di questo lavoro per maggiori approfondimenti rispetto alla sfera più “umanistica” dell’innovazione.

2. Alleanze e Key Partner

Focus on Costs

1. Key resources Il capitale umano emerge come il fattore più ricorrente tra le key resources possibili. Per Michela Garnero – Stamperia Serica Italiana “le nostre key resources sono il connubio delle menti tecniche e creative”. Esso diventa l’asset strategico di questo blocco. Il modo in cui le nuove idee vengono create e trattate si sostituisce al capitale fisico nell’ottica di vantaggio competitivo. Al capitale umano si associa il capitale sociale delle persone, ovvero la qualità e la quantità delle relazioni instaurate dentro e soprattutto fuori dall’azienda. Hanno idee, innovano, soddisfano i clienti, motivano, decidono, avviano…In altri termini la conoscenza, le capacità e la volontà delle risorse umane sono i fattori cruciali. Nella ricerca svolta le key resources includo-

Un secondo blocco, che sembra avere ampi margini di potenziamento, è l’innovazione attraverso un’integrazione con organismi all’esterno dell’impresa. Le parole chiave emerse inerenti questo blocco del Business Model Canvas sono alleanze, collaborazione ed aggregazione. Sono solo “buzzwords” o davvero possono rappresentare utili strategie di sviluppo per l’impresa? Dallo studio emerge la necessità di sviluppare sempre più un orientamento di “operare insieme”, ma come sviluppare questa dimensione integrata all’esterno? Sostanzialmente è emerso, con partnership verticali, orizzontali o adiacenti. L’aggregazione di imprese è una leva fondamentale per competere con forza nei mercati internazionali (strategia considerata innovativa da una grande parte dei partecipanti) e per far fronte alle pressanti sfide di un mondo sempre più concorrenziale ed agguerrito. La più tradizionale e antica modalità delle partnership verticali è stata quella definita di “co-makership”, cioè una migliore integrazione tra produttori e fornitori. Si è poi sviluppata un’altra interessante attività di collaborazione, con gli intermediari questa volta, che si può definire di “co-marketership”. Per Picci, ad esempio, “Prima di tutto analizziamo attentamente il mercato e abbiamo un confronto costante con i nostri distributori che rappresentano la nostra cartina di tornasole per capire quali azioni migliorare ed incentivare. I dealer (key partners) sono interlocutori strategici in grado di generare valore” Paola Cherubini – Picci. Pertanto, lad-

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dove l’intermediario è in grado di dare valore è opportuno creare alleanze, quando questo invece non avviene, è più strategico identificare modi corretti di disintermediazione. Infatti, in merito alla questione della disintermediazione non è più accettabile un semplice ricarico senza pressoché alcun contributo: “Quando il mio cliente diventa solo un porgitore, allora è possibile pensare di disintermediare” Pier Francesco Martigli – Picci. Ovvero, quando l’intermediario non aggiunge valore si puà decidere di perseguire processi di disintermediazione. Un’ultima tipologia di partnership nelle integrazioni verticali, più rara visto che le aziende intervistate operano maggiormente nel B2B, sono alleanze di “co-usership” in cui la collaborazione si sviluppa con i consumatori-utilizzatori finali. Le partnership orizzontali, le più difficili sono quelle che prevedono delle collaborazioni tra competitor nello stesso mercato e che si “dotano” di tale alleanza per raggiungere maggiori livelli di performance o per sostenere il mercato. Le alleanze adiacenti prevedono, invece, collaborazioni tra aziende che operano in settori diversi. Sono proprio le collaborazioni che appartengono a questa tipologia che sembrano essere la leva per felici contaminazioni tra diversi settori. Come vedremo dall’intervista di Chiara Colombi, proposta nelle prossime pagine, stiamo trattando meccanismi di “analogia” e diventa pertanto interessante inserire sinteticamente i quattro momenti chiave secondo quanto sostiene la maggior parte delle teorie intorno a questo argomento (JonshonLaird ad esempio). Le fasi che consentono

questa sorta di “traduzione” proficua tra un dominio e l’altro sono sintetizzabili in: 1. la ricerca di un dominio-modello, ovvero un dominio che fornisca un’analogia potenzialmente utile; 2. la rappresentazione di certi aspetti del modello sul dominio iniziale – ciò che ha attivato la ricerca di una analogia; 3. l’uso della nuova informazione per ragionare sul dominio iniziale; 4. implementazione del successo o del fallimento dell’analogia. Affinché il meccanismo delle “analogie” sia efficace è necessario che questo trasferimento sia gestito in modo strutturato e consapevole, creando, in accordo alla prospettiva scaturita dalla ricerca, alleanze strategiche in grado di generare valore per tutti gli interlocutori che partecipano a questi “salti” d’innovazione. “Credo che l’innovazione per noi nel futuro potrà venire da partnership ed input da campi anche molto lontani dal nostro e da aziende che producano prodotti che vivono insieme ai nostri nella casa come i letti o i divani per esempio, sarebbe molto interessante sapere come un produttore di letti vede i nostri prodotti” Luigi Magnaghi - Zucchi. “I partner e le alleanze chiave saranno sempre più importanti perché ci saranno modelli di business a ORCHESTRA e quindi sarà sempre più strategico dosare gli attori facenti parte del network” Anna Ricotti - Branded Apparel Italia.

3. Value Proposition Rispetto a questo blocco ci interessa individuare dei temi comuni ai business model canvas proposti dai partecipanti. Essi possono essere sintetizzati nei seguenti punti:

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r Originalità /creatività. Per Tiziana Musa di Gir + A&F è necessario essere in grado di stupire, di emozionare perché i loro consumatori interpretano il consumo come un atto di ricerca, un’esplorazione. Nell’acquisto del prodotto essi sono motivati dal desiderio di arricchire il proprio patrimonio di esperienze, di ottenere nuovi stimoli, di ricavare eccitazione, quasi senso di avventura (si rimanda all’esempio del giubbino proposto da Dino a p. 40). Tendenzialmente in azienda si parla di innovazione per veicolare funzioni pratiche per il consumatore finale. L’ufficio stile cerca di creare “dettagli funzionali”, ovvero se viene proposto un certo particolare, esso deve avere una funzione specifica. L’idea è di creare praticità nell’utilizzo di capi anche quando non indossati. Il caso del giubbino che si poteva utilizzare come borsa ha generato in seguito una linea con la stessa filosofia. r Sostenibilità. Secondo Maurizio Zucchi “Riguardo la sostenibilità il nostro gruppo è stato un precursore dell’attenzione all’ambiente negli anni 70 quando non era ancora obbligatorio, il nostro processo oggi è al meglio della possibilità della tecnologia. Quando compriamo materiale da terzi abbiamo dei requisiti di qualità altissimi che a volta ci mettono anche in difficoltà o ci costringono a spendere di più. Questo vale anche per gli altri nostri partner che per lavorare con noi devono rispettare il nostro codice etico. Zucchi è stata la prima a fare una linea naturale, non toccata da coloranti negli anni 90. Questa attenzione all’ambiente e ai diritti dei lavoratori deriva da un’etica familiare ed aziendale, fa parte del DNA dell’azienda. Non so quanto questo venga valorizzato sul mercato, non siamo stati molto bravi a comunicarlo”. Abbiamo proposto questa estrazione ma tali concetti sono stati ampiamente condivisi dai diversi partecipanti, si veda ad esempio la testimonianza di Tiziana Musa a p. 42

(http://www.youtube.com/watch?feature=player_ embedded&v=7TaIgCcIieY#at=24). Tradizione/Made in Italy. Per Luigi Magnaghi di Zucchi “il progresso tecnologico deve guardare alla bellezza del passato che può stimolare nuove intuizioni fornendo spunti inaspettati”. Per i partecipanti alla ricerca l’elemento del patrimonio culturale ed il rimando a diversi artefatti storici e culturali devono essere rappresentati come asset di unicità nei prodotti e nella comunicazione. Esso costituisce un repertorio immenso di possibilità progettuale ed ispirazione. Difatti, secondo il gruppo, nessuno ha mai comprato il made in Italy per le caratteristiche fisiche dei prodotti, ma soprattutto per l’idea e lo stile con cui sono concepiti i manufatti di valore. È nel disegno degli oggetti che sono incorporate la cultura e l’esperienze d’uso. La storia ce l’abbiamo dentro; dobbiamo farla uscire con le forme del prodotto tessile-moda. Purtroppo questo asset è a rischio. Secondo Dino “Abbiamo perso la sensibilità delle sartine”. Tali temi saranno approfonditi nei casi studio. Rispetto al tema del Made in Italy Per Tiziana “Bisogna riportare la produzione in Italia, stiamo cedendo tutto il know-how e la nostra tradizione e non ci rimarrà nulla, loro sono diventati bravi e si arricchiscono, noi, invece diventiamo poveri. I partecipanti alla ricerca suggeriscono di valorizzare e sviluppare progetti ed associazioni quali “Made in Italy” - l’Associazione per la promozione e la tutela del Made in Italy è un’istituzione a carattere culturale che mira, senza alcun vincolo territoriale, alla missione culturale della diffusione, promozione e salvaguardia della “qualità ed eccellenza del prodotto italiano” in ogni forma e con ogni mezzo, sia al proprio interno tra gli stessi associati, che, all’esterno (http://www.associazionemadeinitaly. it). Il tema del presidio dei processi produttivi si interseca con quello altrettanto caldo della localiz-

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zazione geografica della produzione. Per prodotti che propongono ai clienti l’identificazione in uno stile di vita, la provenienza geografica è spesso un elemento importante. L’etichetta che garantisce la realizzazione in Italia rappresenta un elemento importante della proposta di valore aziendale. Alcuni autori sostengono (Kapferer, Bastien, 2010) che chi compra un prodotto di eccellenza porta a casa con esso un pezzetto della sua terra e della sua cultura d’origine e che quindi quando si rialloca la produzione, magari per inseguire riduzioni nel costo della manodopera impiegata, si ottengono solo prodotti senz’anima. C’è però una posizione opposta a questo ragionamento, che si interroga se per la maggior parte delle aziende il Made in Italy non sia in realtà un “falso mito” che distoglie l’attenzione da altre priorità (Pambianco, Testoni, 2008). Il Made in Italy non può avere valore per il consumatore come mero richiamo a una tradizione produttiva locale, se al di là dell’etichetta le caratteristiche del prodotto e del sistema che hanno contribuito a realizzarlo non mantengono un effettivo legame con la tradizione. Inoltre, come afferma Cristina Polini di Branded Apparel Italy “delocalizzare in Cina include tanti approcci diversi: noi perseguiamo la stessa qualità e la stessa attenzione alle condizioni lavorative di come avveniva in Italia, ci sono realtà che producono in Italia con management e lavoratori cinesi così come il modello organizzativo adottato”. Emerge dalla sessione di gruppo l’ipotesi di adozione della strategia di NearShore Production, ovvero la regionalizzazione delle produzioni, il Nord Africa per l’Europa, l’Asia per l’Asia ed il Sud America per l’America. “Se si interrompe la filiera si rompe tutto, non ci sono più le filature, poi le tessiture…”.

4. Channels Per Cristina Polini di Branded Apparel Italy si può parlare di innovazione nella distribuzione “dobbiamo cercare di creare una shopping experience sempre nuova e diversa”. Lovable ha una catena di negozi propri. Secondo Cristina una parte considerevole della produzione del valore del bene venduto avviene attraverso l’esperienza nei contesti di acquisto (tipico il caso di Abercrombie & Fitch). Le sensazioni generate dall’atmosfera del punto vendita, i profumi, la musica, la scenografia, l’interazione con il personale di vendita e con gli altri clienti sono elementi fondamentali nel generare il valore percepito dal consumatore. Non è quindi corretto distinguere la definizione del marketing del prodotto da quella del marketing del servizio vendita, dal momento che bene e servizio sono solo due elementi, o fornitori di esperienza, che contribuiscono a generare la stessa esperienza. Infatti molti aspetti legati alla distribuzione, sono stati indicati sia nel blocco “channels”, sia nelle “key activities” e diventano anche strategici per instaurare rapporti speciali con i propri consumatori. Questa progressiva presa di coscienza del ruolo assunto dal punto vendita testomoniata da Cristina è conseguenza anche dell’esigenza di maggiore controllo di quella parte del processo nella quale avviene l’interazione con il consumatore finale. Il canale diventa un’altra occasione cruciale (touch point) di ascolto e bacino di conoscenza relativo al consumatore. Tale conoscenza non è fatta solo di informazioni facilmente codificabili e riassumibili in tabulati, gestibili in questo caso facilmente da intermediari. La conoscenza in questione è a volte ambigua od addirittura tacita, va rilevata in modo sofisticato, interpretata ed utilizzata come imput del processo innovativo. Essa richiede un’interazione complessa oltre che una visione di fondo

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comune tra i soggetti che devono scambiarla. Anche per Alice e Paola di Loro Piana questo passaggio alla gestione diretta – integrazione verticale – rappresenta un’opportunità di crescita di fatturato e di utili a parità di consumatori finali serviti: l’integrazione verticale “permette un controllo diretto su tutto il processo produttivo, dall’ideazione al prodotto finito”. Questa strategia permette di offrire eccellenza al consumatore. Spesso però si sottovaluta il fatto che gestire una rete di punti vendita richiede la definizione di una chiara strategia retail oltre a competenze manageriali specifiche. La collaborazione con un partner può invece essere una via obbligatoria, come propone Bruna Petrolo di Mistral, “per chi non dispone delle risorse finanziarie o, come per il nostro caso, per la fase di entrata in nuovi mercati, in cui, a prescindere da particolari normative che impongono la condivisione della proprietà con soci locali, è essenziale per conoscere aspetti specifici relativi a quel mercato” dove localizzare il punto vendita, facilità di negoziazione… Tod’s, ad esempio, adotta prevalentemente una rete diretta per Europa e Stati Uniti, ma ricorre in misura maggiore a negozi in franchising per il Far East. Un altro canale indicato dalle aziende intervistate è Internet, tale canale è da considerarsi, nei casi intervistati, come complementare a quelli tradizionali. Senza dubbio affidarsi a negozi on line (tipo Yoox) consente di facilitare lo smaltimento delle rimanenze ma è necessario essere attenti a mantenere un controllo rigoroso sull’immagine dei brand. E’ inoltre emerso quanto sia importante la capacità di gestire con efficienza non solo le spedizioni ma anche i rientri della merce; si tratta quindi di attività complesse, spesso ancora poco comprese.

lationship E’ interessante notare come i consumatori, al di là di una sintetica descrizione, sono posizionati come key partners in quasi tutti i casi analizzati. La customer relationship diventa il mezzo con cui costruire dei legami in cui il rapporto umano diventa cruciale per consolidare legami di fidelizzazione e fiducia. “I consumatori possono stimolare presentando dei loro problemi e il legame di collaborazione che si instaurava con i consumatori prima era un atto più formale che altro, ora, invece, diventa strategico” Franco Ghiringhelli. Il prossimo paragrafo presenta un’intevista svolta a Chiara Colombi, docente del Politecnico di Milano rispetto ai nuovi trend nel settore Tessile Moda. Si è deciso di riprodurre per intero tale passaggio della ricerca con l’intento di creare un ponte tra la ricerca sul campo che ha coinvolto aziende “mature” ed estremamente eterogenee tra loro e realtà emergenti. E’ stato chiesto a Chiara Colombi di esprimersi sugli aspetti più rilevanti emersi dalla tecnica del Business Model Canvas. Alcune delle aree sono successivamente sviluppate nei casi studio.

4. Segmenti target e la Customer ReLeading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.49


Intervista a Chiara Colombi, PhD Opinion Leader ed esperta in trend research e prassi di costruzione di conoscenza nel progetto dei prodotti moda e nei settori design oriented Politecnico di Milano.

1. Secondo lei, il tessile-moda è un settore aperto all’innovazione e se sì, in che modo?

Il tessile-moda è aperto all’innovazione dal punto di vista industriale, nello sviluppo e realizzazione dei processi produttivi e nella messa a punto di nuovi prodotti. E’ attento all’implementazione del servizio, con particolare attenzione alla logistica e ai tempi di consegna che, allorchè il prodotto non è differenziato, determinano il successo di un’impresa. Ancora poco interessante il livello di innovazione creativo-simbolico offerto dalle imprese tessili che demandano al cliente la quasi totalità dello sviluppo di contenuti creativi, negando di fatto il rapporto virtuoso tra designer ed industriale su cui è nato il modello di successo del made in Italy.

2. Quali sono, secondo lei, i trend più interessanti attualmente nel settore tessile-moda?

Da sempre l’utilizzo di materiali sviluppati e utilizzati in contesti differenti (aeronautica, automobilismo, costruzioni, ecc) impiegati nel settore moda sia per le prestazioni tecniche offerte sia per lo scarto innovativo in termini estetici (vedi dalle ultime fiere di settore, Nettle, tela dal look jeans in fibra di ortica; Raden, tessuto con madreperla, ecc). Più recentemente, la costante ricerca per l’implementazione delle tecniche di stampa digitale (stampa ink-jet) stanno offrendo nuove opportunità progettuali ibridando i linguaggi e i processi progettuali stessi, facendo si che la stampa non sia trattata più come un elemento superficiale apposto “sopra” il capo una volta che esso è stato progettato ma che vi sia commistione tra le diverse fasi e che la fase progettuale del “disegno” dip.50 - Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale


venti anzi un driver per la definizione del capo, nello sviluppo stesso del cartamodello, funzionando quindi da detonatore dei significati e dei contenuti proposti. Questo significa che le aziende tessili rappresentano, o devono rappresentare potenzialmente, non solo un attore industriale ma anche un attore creativo, concorrendo di diritto alle attività di progettazione anche del prodotto finito. Ancora in riferimento agli strumenti digitali, la progettazione parametrica, attraverso la scansione 3d dei corpi, stravolge completamente il classico approccio occidentale di progettazione bidimensionale da trasferire poi in tridimensionale. Questo ha una ricaduta importante anche nello sviluppo dei materiali tessili, spingendo sempre di più allo sviluppo di tessuti le cui performance fisiche consentano di lavorare sul corpo secondo nuovi parametri, svincolati dai classici sistemi di cucitura e giunzione dei vari componenti di cui un capo si compone. Da qui tutta la sperimentazione ed innovazione anche sui materiali naturali classici che, anche nelle ultime fiere di settore, sono stati presentati in nuove versioni più performanti (vedi lino stretch).

3. Dalla ricerca sono emersi alcuni fattori cruciali rispetto all’innovazione nel settore tessile moda, è in grado di suggerire dei trend per le seguenti aree?: a. Sostenibilità Anche nel settore moda, come già nel settore design, si sta passando dai concetti di eco-fashion e fair fashion al concetto di slow fashion, riferendosi al movimento Slow Food (food inteso quindi come settore design oriented) in cui si promuovo-

no i concetti di identità locale e know-how tradizionale come elementi di diversità e distinzione dalla standardizzazione di una produzione globalizzata. In particolare il riferimento al knowhow tradizionale punta l’attenzione anche su una distinzione legata non solo a qualità produttive ma anche a qualità creative e progettuali tipiche dei saperi taciti incorporati nelle pratiche artigianali. Il concetto di sostenibilità si estende quindi ad azioni di supporto delle identità e delle tradizioni grazie alla loro divulgazione e promozione presso il consumatore finale, alla ricerca di una motivazione da attribuire al “prodotto a km zero”. Il consumatore, attraverso questo processo educativo, è in grado di scegliere coscientemente e attivare un processo di significazione dell’oggetto che conferma il valore simbolico del prodotto moda.

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La valorizzazione delle produzioni locali è stato un elemento sottolineato anche a livello commerciale nelle ultime fiere di settore (Pitti Filati) con l’inserimento di filati da velli autoctoni provenienti da Piemonte, Sardegna, Toscana, Calabria che offrono particolari caratteristiche di mano e finezza. Più letteralmente legato al concetto di eco fashion invece il tema della tintura naturale, la

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cui pratica tuttavia risulta essere interessante, al di là degli elementi positivi a livello di sostenibilità ambientale e benessere, perché portatrice di nuovi significati dal punto di vista progettuale, quali lo sviluppo di un’”estetica dell’errore e dell’imperfetto” che sovverte i tradizionali canoni estetici e logiche creative. Il processo di tintura naturale definisce un nuovo significato per la variabile temporale, sia nei processi di creazione e produzione sia nei processi di consumo, offrendo una controproposta interessante al modello fast-fashion (sia esso inteso come modello di business sia esso inteso come modello di processo creativo).

c. Localizzazione (è emerso l’interesse di riportare le produzioni in Italia o applicare strategie di near shore production) Più che di un trend parlerei di una necessità del settore tessile e più in generale moda italiano (o

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b. Tradizione/know how In riferimento anche a quanto affermato nel punto precedente, i contenuti tipici dei saperi tradizionali, legati, nel settore della moda soprattutto al concetto di artigianato, rappresentano da sempre una fonte di ispirazione importante. Se negli ultimi 10 anni abbiamo assistito ad illustri esempi in cui l’artigianato e/o i processi artigianali/tradizionali hanno rappresentato un elemento di innovazione estetica e simbolica importante nel settore della moda (es. Lasabui per Prada – 2003; Antonio Marras e artigianato sardo), è interessante osservare come oggi l’artigianato rappresenti un contenuto che non è sufficiente per stimolare l’innovazione e/o il consumo se fine a se stesso ma come sia necessario un processo di nuova significazione di tali contenuti nel prodotto contemporaneo e quindi come la capacità progettuale del designer sia fondamentale per attualizzarne il ruolo.

ancor meglio di tutti i settori design oriented che definiscono il Made in Italy) per far fronte alla crisi e far ripartire processi di innovazione. La corsa alla delocalizzazione per motivi di ordine economico ha da tempo mostrato i propri limiti e conseguenze estremamente negative con la conseguente perdita di identità e qualità del prodotto italiano e know-how produttivo del territorio.

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Resta ancora da capire come rimediare alla mancanza di artigiani per far fronte a questa rinnovata esigenza produttiva su territorio nazionale dopo decenni di politiche di disinvestimento. d. Distribuzione (diretta/indiretta…) Oltre ai trend consolidati dei grandi gruppi, nonostante le difficoltà strutturali che il sistema italiano pone nella creazione e gestione di nuovi marchi, è possibile riconoscere, da un lato, la nascita di nuovi brand emergenti che si rivolgono a mercati locali o comunque nicchie costruite attraverso il passaparola o i social network e l’ecommerce e dall’altro, marchi emergenti che, volendo concentrare attenzione e sforzi nel processo creativo, si affidano a una distribuzione indiretta entrando all’interno di format e brand altri (vedi esperienza Via Spiga 2 – Dolce&Gabbana) godendo dei benefici comunicativi connessi. Rispetto a quest’ultimo

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sistema si tratta sostanzialmente di un processo di funzionalizzazione del tipico modello distributivo italiano, basato su piccoli negozi locali in cui la selezione è curata direttamente dal proprietario sulla base della sua conoscenza diretta del mercato. Possiamo dire che si stia assistendo al consolidamento di una figura di direttore creativo anche nella distribuzione (vedi anche esperienza Antonia – Milano e Antonia per Excelsior), superando così le mere logiche di acquisto e approvvigionamento in base a dati di vendita.

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e. comunicazione della moda Come riflesso di questa grande attenzione alla sfera del “naturale”, anche la comunicazione moda si orienta a linguaggi visivi e retorici naturali, quotidiani, colloquiali, confidenziali. Grande ritorno della tecnica dell’illustrazione sia sulle riviste sia nel digitale (vedi GarancèDorè, blog tra i più interessanti, la cui autrice è tra l’altro la compagna di Scott Schuman di thesartorialist).

4. Ritiene che l’innovazione possa essere generata dall’apertura dell’azienda all’esterno? Conosce nuovi trend di partnership? Consor-

zi, filiera, distretti…

Come già ricordato, il modello di successo del Made in Italy è nato negli anni ’50 grazie alla relazione virtuosa tra soggetti creativi e soggetti industriali, con la creazione di filiere del progetto in grado di innovare a partire da un punto della filiera stessa ma trasversalmente ad essa grazie a rapporti collaborativi e di condivisione della conoscenza. Credo che questa sia ancora un modello interessante e valido. Esistono esempi interessanti che attuano questo modello quali il progetto di filiera BOND-IN che propone una ricerca d’avanguardia relativa all’applicazione della termosaldatura nella maglieria. Una ricerca dal concept del designer Pierluigi Fucci, realizzata grazie alla collaborazione di aziende di eccellenza come Filatura Cariaggi, Lineapiù, Maglificio Matisse, Mely’s Maglieria, Jakob Schlaepfer, Lyria, Raccagni, Framis Italia, Coronet, Bond Factory, Macpi e curata da Dyloan studio.

5. Può indicarci dei trend/casi di user innovation in cui le aziende coproducono con i propri consumatori/partner?

I processi di co-progettazione attuati da Eurojersey S.p.A., azienda leader a livello mondiale nel tessuto indemagliabile per intimo e beach wear, che, all’interno del proprio ufficio creazioni ha attivato workshop ad hoc con i propri clienti (tra i quali Marks&Spencer, Victoria Secrets, Speedo, tra gli altri) per la coprogettazione di collezioni tessili in esclusiva. Questo riferimento è molto interessante se si considera che Eurojersey produce sostanzialmente un monoprodotto e quindi riconosce l’importanza della progettazione a livello di sistema prodotto per garantire una continua inno-

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vazione. Più che altro in riferimento al settore moda allargato, esistono numerosi esempi in cui, grazie a piattaforme digitali, è l’utilizzatore finale a costruire il proprio prodotto. Si tratta sempre di prodotti nella fascia medio-bassa del mercato o comunque prodotti basici rispetto ai quali viene sottolineato il desiderio di personalizzare il prodotto.

rendendo fonti e contenuti più facilmente consultabili e riducendone quindi l’obsolescenza.

6. Conosce delle modalità di facilitazione dell’innovazione all’interno dell’azienda? (Come si può strutturare e facilitare l’innovazione all’interno di una azienda del tessile-moda? Ci sono casi di Idea management/innovation management/crowdsourcing/ consulenze/formazione specifica?).

Gli strumenti web 2.0 non sono ancora utilizzati in tutte le loro potenzialità dalle aziende del settore tessile-moda che tradizionalmente sono refrattarie all’aggiornamento informatico sia dal punto di vista della capacitazione delle risorse umane sia dal punto di vista delle dotazioni strumentali. Tuttavia il web 2.0 potrebbe offrire interessanti soluzioni per la condivisione di conoscenza, in particolare nelle prime fasi del processo creativo, durante il reperimento di informazioni e raccolta dati, per viabilizzare le informazioni all’interno dell’azienda e della filiera, addirittura con i clienti stessi e implementare l’attività di sviluppo di nuovi contenuti. Questo renderebbe anche più autonome le imprese nella definizione dei contenuti creativi, sollevandole dall’obbligo oneroso - ansia improduttiva di affidarsi a consulenti e trend book. Inoltre queste forme di condizione rappresenterebbero anche un interessante mezzo di archiviazione del materiale, p.54 - Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale


Tre casi studio per il futuro del sistema moda In questa parte verranno presentati tre nuovi progetti, degli ultimi 3 anni, che sono costruiti intorno ad alcuni dei principi individuati in questa ricerca come tendenze emergenti per il futuro, quali la riscoperta dei valori tradizionali e locali e l’apertura a nuovi metodi di condivisone e comunicazione verso l’esterno. Queste tendenze, che sono in linea con quello che è stato proposto da Ezio Manzini definito “lo scenario SLOC” ( Small, Local, Open and Connected), traggono la loro ispirazione da “know how” locali e tradizionali, e la loro forza e resistenza dalle nuove tecnologie che facilitano la connettività e la condivisone. “Questi quattro aggettivi, infatti, sintetizzano molto bene il sistema socio-tecnico su cui si basa questo scenario: un sistema di produzione e consumo distribuito, dove il sistema globale è una “rete di sistemi locali”. E’, cioè, una rete di sistemi locali, la cui piccola scala li rende comprensibili e controllabili da parte di individui e comunità”. Ezio Manzini - Politecnico di Milano

Tutti e tre i casi hanno lo scopo di Empower- Potenziare le persone, offrendo loro conoscenze, accesso alla tecnologia di produzione, il supporto di una rete di colleghi ed una piattaforma su cui realizzare, produrre e condividere il proprio lavoro. Tutti e tre sono nati da una visione critica dei limiti del sistema esistente di produzione e consumo e dalla volontà di trovare nuovi modelli per il futuro che sono più sostenibili, sia dal punto di vista ambientale sia sociale.

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Original text: (“These four adjectives, in fact, synthesise very well the socio-technical system on which this scenario is based: a distributed production and consumption system where the global is a “network of locals”. That is, it is a mesh of connected local systems the small scale of which makes them comprehensible and controllable by individuals and communities..”) Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.55


Caso 1 - Openwear

non riescono a essere sostenibili economicamente.

Il primo caso descritto è Openwear. Il progetto, in corso di sviluppo da EDUfashion, è un Brand collettivo che offre ai suoi partecipanti la possibilità di aprire il loro spazio e profilo web ed accedere ad una serie di strumenti e informazioni utili per migliorare la propria attività.

Per Zoe “Il fatto di condividere protegge i piccoli produttori e permette di dare la paternità all’idea perché, a fronte di maggiore visibilità, è difficile copiare una idea. Il network dà questa forza ai suoi partecipanti“.

Per la Fondatrice Zoe Romano “L’idea del Brand collettivo è nata per dare una soluzione ad un problema concreto, quello della sovraproduzione di soggetti creativi che escono dalle università di design e di moda e che non possono essere assorbiti nel mercato del lavoro”.

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Il Progetto offre in più la possibilità di essere parte

della prima collezione sotto un brand open source, partecipata e prodotta in modo distribuito, i cui risultati verranno condivisi gratuitamente in modo che possano essere scaricati, adattati e prodotti in contesti diversi. Il progetto é nato da un network internazionale

Il progetto è aperto a piccoli produttori di moda, stilisti, designer, studenti, sarti, fotografi, artigiani ma anche laboratori di serigrafia, sewing cafè e scuole di moda che cercano un modo più dinamico per produrre con meno investimenti iniziali e più libertà creativa basato su un network di collaborazione e condivisione di informazione e risorse. Il modello di organizzazione distribuito è nato per dare più visibilità ai piccoli laboratori che spesso p.56 - Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale

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che è stato creato in un altro contesto (quello del Mayday) e che condivideva gli stessi valori e problemi e dal collegamento ad altri che interpretano il modo di pensare e lavorare anche in campi diversi: opensource, fabbing, distributed manufacturing, hacker space... l’ispirazione per il progetto infatti viene dal mondo dell’opensource software. Openwear cerca di riempire il “gap” che c’è tra il Fast Fashion ed il high fashion con dei prodotti che trovano equilibrio tra la manualità e il sarto locale in piccoli numeri ed il prezzo competitivo attraverso le nuove tecnologie di produzione distribuita, proteggendo così il “Know how tradizionale” ma adattandolo alle nuove technologie. Per Zoe “Il “saper fare” è fondamentale per capire la qualità di quello che hai in mano, però non parlerei di tornare in dietro ma di non far morire e di far evolvere l’idea di craft e di ibridarlo con la tecnologia”.

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Caso 2 - Vectorealism Il secondo caso è quello di Vectorealism. Se il primo offre strumenti virtuali e supporto di networking questo servizio offre supporto tecnico di produzione attraverso le nuove tecnologie di cui parlava Zoe Romano di Openwear. Nello specifico, è un servizio di digital fabrication che consente a chiunque abbia un disegno vettoriale di poter produrre un oggetto vero utilizzando materiali plastici, legno, pelle o cartone, e riceverlo poi a casa. Il sevizion usa un laser cutter, che consente di tagliare con estrema precisione i materiali in base a quanto contenuto nel disegno vettoriale. Per la fondatrice Eleonora Ricca il punto di forza magiore del servizio è l’accessibilità “il processo è talmente semplice che può essere utilizzato realmente da chiunque abbia necessità o voglia di produrre un oggetto, non solo da professionisti del design”.

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L’idea per il sevizio deriva dall’esperienza personale di Eleonora: “avendo una formazione da designer, ho sperimentato in prima persona i problemi e le difficoltà legati al passaggio dall’idea al prodotto, scoprendo queste nuove tecnologie prima di tutto come utente. Negli ultimi anni poi si è parlato molto di fabbing anche presso un pubblico non specializzato, soprattutto grazie all’evoluzione tecnologica di alcune modalità di produzione come la stampa 3D. Questo mi ha spinto ad aprire un’impresa che offrisse in Italia servizi innovativi di questo tipo”.

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indicando eventuali errori e la relativa soluzione. In questo modo l’utente che si avvicina per la prima volta alla digital fabrication può avere immediatamente una verifica tecnica, visualizzando precisamente e prima di ordinare il prezzo e avendo la certezza che il file caricato sia corretto e possa essere inviato alla macchina senza inconvenienti.

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Il servizio usa un software sviluppato da Ponoko per offrire preventivi in tempo reale direttamente dal sito web di Vectorealism, il software valuta i file dal punto di vista tecnico al momento dell’upload,

Il progetto nasce anche da una visione critica del sistema moda esistente “La mia sensazione è che la filiera produttiva sia ormai organizzata con un approccio teso soltanto alla riduzione dei costi, anziché alla specializzazione. Spesso grandi azien-

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de utilizzano piccoli laboratori non come bacini di competenze specialistiche e creativitià artigianale, ma soltanto come sub-fornitori ai quali è possibille “scucire” condizioni di pagamento più vantaggiose. Questo mi sembra un gioco a perdere per l’intero sistema moda. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: disoccupazione, perdita di competenze e una generalizzata “crisi d’identità” del made in Italy e dei suoi valori fondanti. La mia speranza è ovviamente in un futuro in cui sempre più consumatori finali apprezzino l’auto-

funziona egregiamente per i designer, per gli utenti, e può funzionare anche per i produttori. Per alcuni metodi di fabbricazione la produzione one by one è sicuramente attuabile e può rendere più snello tutto il processo produttivo. In un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo è necessario imparare ad essere flessibili, anche per le aziende.”

produzione. Credo sia un trend in crescita, sopratutto negli Stati Uniti, e che valga la pena tenerlo d’occhio”. Il progetto Vectorealism fa parte di un movimento crescente nel mondo che vede la diffusione di strumenti di autoproduzione come una rivoluzione simile a quella che è venuta con la difusione dei PC. Eleonora racconta di un futuro possibile in cui una stampante 3D sarà collegata ad ogni computer ed ognuno potrà produrre gli oggetti di cui ha bisogno a casa, rapidamente, disegnando da zero o attingendo a librerie di modelli disponibili in maniera open. Secondo Eleonora “La produzione on demand Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale - p.59


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Il terzo caso, La Mimi, è direttamente collegato alla volontà di proteggere e distribuire il “saper fare” sartoriale tradizionale. Nello specifico è stato ricostruito un archivio personale creato dalla nonna della fondatrice Ana Palacios negli anni di esperienza sartoriale. Tale filosofia è coerente con quanto afferma Dino di Gennaro - Gir + A&F “Abbiamo perso la sensibilità delle sartine”. Per Ana Palacios il progetto nasce dal desiderio di disporre degli insegnamenti di sua nonna a portata di mano, di poterli condividere con altri; nasce inoltre da una critica alla cultura del consumo attuale. Ana Palacios crede che insegnare alle persone a produrre i proprio vestiti significhi educare i consumatori alla complessità e ricchezza coinvolti nel processo.

quasi degli “usa e getta”. Ana Palacios voleva trovare un modo facile ed intuitivo per distribuire il “cultural heritage” di sua nonna ad un gruppo più ampio possibile di persone.

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Caso 3 - La mimi

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Il progetto “La Mimi” è diviso in due parti, nella prma le persone imparano a fare i vestiti attraverso video tutorial online usando i carta modelli di base creati dalla nonna, scaricabili dal sito gratuitamente. In più la gente può acquistare il carta modello prefatto per i vestiti più complicati creati da altri utenti del sistema. L’altra parte del sistema è costituito da un laboratorio di cucito dove le persone dispongono di tutti gli strumenti di cuipossono

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Ciò genererà più rispetto verso i propri capi riducendo il consumo di prodotti caratterizzati dal “fast fasion” che, secondo Ana Palacios, assomiglia oggi più al mercato del “Fast food” piuttosto che a quello sartoriale con capi che diventano p.60 - Leading Innovation / Una mappa per l’innovazione aziendale


avere bisogno per realizzare i vestiti. Il sistema permette la vendita di carta modelli digitali generati dagli utenti professionali offrendo così una piattaforma su cui mostrare e vendere il proprio lavoro. Ana Palacios descrive un trend in crescita in cui i consumatori diventano sempre più attivi e imparano a fare più cose per se stessi per crearsi uno stile unico. In più c’è sempre una maggiore sensibilità alla sostenibiltà ambientale, un modello in cui i “pattern” digitali per i vestiti possono viaggiare ovunque nel mondo per essere poi prodotti in modo locale con risorse locali prevede meno spreco di energia per il trasporto ed un uso più responsabile delle risorse locali.

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Sintesi del percorso intrapreso L’innovazione non è un atto creativo isolato, frutto di improvvisazione; è invece una rigorosa disciplina della mente, un’organizzazione tutta orientata a questo scopo, in una parola un metodo. In sintesi ci siamo chiesti se l’innovazione sia solo la parola d’ordine del momento e, se veramente è percepita come strategica da parte dell’azienda, quali sforzi/strumenti/risorse sono destinati per stimolarla? Queste sono le domande a cui il lavoro cerca di dare una risposta con l’obiettivo di sistematizzare i fattori chiave piuttosto che aggiungere nuovi tasselli ad un tema estremamente articolato. 12 aziende hanno lavorato insieme attraverso 1 workshop analitico-creativo, e 11 interviste individuali. Sono state utilizzate tecniche visive per condividere e generare idee. Carte magiche, Mappe cognitive; Matrici di posizionamento, Collage, Business Model Canvas per stimolare e condividere le idee, che hanno generato una mappa di viaggio dell’innovazione aziendale che inizia con dei moventi ed in modo circolare genera degli output. La mappa aiuta ad orchestrare le diverse componenti. Paradossalmente le Crisi rappresentano un movente formidabile: è la creatività che viene solo quando si è con le spalle al muro. La chiave di questo studio sembra essere rappresentata dal capitale umano ovvero la centralità dell’uomo che deve essere considerato come un fine e non come un mezzo all’interno delle organizzazioni. Le nuove tecnologie, per quanto elaborate, non bastano. Abbiamo bisogno però di essere “attrezzati”, di vedere relazioni tra settori diversi ed essere in grado di collegarli. Osservazione - Apertura mentale - Capacità analitica- Intelligenza rispettosa - Perseveranza davanti agli

ostacoli - Capacità di comunicare e Motivazione sono gli ingredienti strategici. Secondo la ballerina, cantante, attrice Josephine Baker è necessario fare le cose con gioia, come se avessi il fuoco nel cuore e il diavolo in corpo. Senza innovazione nei comportamenti non c’è innovazione e senza motivazione e coinvolgimento non c’è cambiamento dei comportamenti. L’azienda, infine, deve offrire le condizioni per stimolare le persone. Quali? Se l’innovazione risiede nell’abilità di vedere relazioni là dove non ne esistono ancora, come propone Thomas Disch, allora l’azienda deve creare una struttura permeanile verso l’esterno. La valorizzazione della diversità, la tolleranza verso l’errore; premiare incentivando autonomia e responsabilizzazione sono gli ingredienti che nei fatti devono essere perseguiti per creare una cultura aziendale all’innovazione. Non c’è innovazione senza comportamenti innovativi. E come crearli? La ricerca sembra suggerire che la “contaminazione” dell’innovazione in azienda avvenga in modo multi-centrico peer-to-peer P2P, attraverso una leadership diffusa, e non con approcci persusasivi top-down ma neanche bottom-up.

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Ringraziamo per la grande disponibilità e la generosa partecipazione: Maurizio Zucchi - Zucchi Luigi Magnaghi - Zucchi Silvia Costa - Zucchi Cristina Polini - Branded Apparel Italia Anna Ricotti - Branded Apparel Italia Tiziana Musa - GIR A&F Dino di Gennaro - GIR A&F Michela Garnero - Stamperia Serica Italiana Paola Molino - Loro Piana Alice - Loro Piana Franco Ghiringhelli - Franco Ghiringhelli Chiara Colombi - Politecnico di Milano Ana Palacios - La Mimi Pier Francesco Martigli - Picci Paola Cherubini - Picci Zoe Romano - Openwear Eleonora Ricca - Vectorealism Bruna Petrolo - Mistral

La ricerca è stata realizzata nell’ambito del piano settoriale nazionale finanziato da Fondirigenti, promosso da SMI e Federmanager e realizzato da Soges in collaborazione con XploraLab Avviso 1/2011 - FDIR 3160 - Fashion Management Way. Responsabili scientifici: Rebecca Pera e Cabirio Cautela Coordinatore: Silvio Colpo Ricercatori: Daniel Metcalfe, Elena Assandro Designer: Judit Boros

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