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FREESTYLE a cura di Chiara Alice Guidi
Les Copains, Milano 11 - 30 aprile 2018
SPAZIO 22 Galleria PACK Viale Sabotino 22, 20135 Milano +39 02 3655 4554 info@galleriapack.com www.galleriapack.com
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Les Copains è lieta di annunciare che, in occasione della Milano Design Week 2018, ospiterà, negli spazi espositivi di Via Manzoni, 21 la mostra collettiva FREESTYLE, a cura di Chiara Guidi, che si inaugurerà, Lunedi 16 aprile dalle ore 19 alle ore 21.30. Les Copains nella sua volontà di coniugare i progetti di arte contemporanea e moda, così come ha sviluppato le precedenti e originali mostre in Atelier, continua ad incoraggiare nuove sinergie proseguendo a promuovere l’attività espositiva. Il termine Freestyle è stato direttamente mutuato dalla cultura musicale hip hop e, nel suo fraseggio, ha il significato di essere una disciplina che in modo non strutturato, ma quasi improvvisato, si muove per assonanze. In modo analogo, la mostra nasce per continue assonanze fra rilevanti tematiche e, inedite iconografie. Attraverso le diverse tecniche di pittura, scultura e fotografia che affrescano in modo critico ed estetico la società, nei suoi molteplici e distopici aspetti, Freestyle riesce attraverso inusuali coincidenze visive e, con una parziale metrica dell’immagine, a sviluppare una totale visione di identità del nostro contemporaneo. Come in un riprogrammato caleidoscopio ritmico, nella mostra, si susseguono opere che nei loro singoli e specifici linguaggi, mostrano oggetti riconfigurati, quadri visionari, architetture percettive, still lives, manifesti concettuali, elaborate immagini digitali, reperti di storia innaturale, sguardi radicali, riletture storiche, svelate immagini di strada, che tendono tutte a restituire il senso del nostro vivere contemporaneo. Artisti in mostra: Yannis Bournias, Diango Hernàndez, Gianni Pettena, Oleg Kulik, Attila Szűcs, Robert Gligorov, Michele Chiossi, Josè Antonio Hernàndez-Diez, Matteo Basilè, Franklin Evans, Ignazio Moncada, Danilo Buccella, Andrei Molodkin, Dario Ghibaudo, Jonathan Monk, Agnese Guido, Igor Eskinja. Sempre in occasione della Milano Design Week 2018, nella boutique Les Copains di Via della Spiga 46, verrà installata l’opera “The Marriage” (1999) di Oleg Kulik.
Freestyle è realizzata in collaborazione con la Galleria Pack (Milano) e la Galleria Federico Luger (Milano). Freestyle sarà visitabile negli orari 11-19 dal 17 al 30 aprile (esclusi Sabato e Domenica). Freestyle ringrazia Aon. Atelier Les Copains Via Manzoni, 21 Milano www.atelierlescopains.com info@atelierlescopains.com +39 02 80509190
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Les Copains is pleased to announce that, on the occasion of Milan Design Week 2018, its exhibition spaces in Via Manzoni 21 will host the group exhibition FREESTYLE, curated by Chiara Guidi. The opening will be on Monday 16th April, from 7 to 9.30 pm. In its will to combine contemporary art projects with fashion, as well as it developed the previous eccentric exhibitions in the Atelier, Les Copains continues to encourage new synergies through the constant promotion of the exhibition activity. The term Freestyle is borrowed from the hip hop music culture and, in its phrasing, it stands for a discipline that in an unstructured but almost improvised way, moves through assonances. Similarly, the exhibition arises from recurrent assonances among relevant themes and inedited iconographies. Through different painting, sculpting and photographic techniques which decorate critically and aesthetically the society, in its multiple and dystopian aspects, Freestyle plays on unusual visual overlaps and with a partial metric of the image: in this way the exhibition manages to generate a total vision of the identity of our contemporary ages. As in a reprogrammed rhythmic kaleidoscope, in the show there are artworks which, in their singular and specific languages, exhibit reconfigured objects, visionary paintings, perceptual architectures, still lives, conceptual posters, elaborated digital images, findings of unnatural history, radical sights, historical re-readings, unveiled street images, which all tend to restore the sense of our contemporary living. Artists on show: Yannis Bournias, Diango Hernàndez, Gianni Pettena, Oleg Kulik, Attila Szűcs, Robert Gligorov, Michele Chiossi, Josè Antonio Hernàndez-Diez, Matteo Basilè, Franklin Evans, Ignazio Moncada, Danilo Buccella, Andrei Molodkin, Dario Ghibaudo, Jonathan Monk, Agnese Guido, Igor Eskinja. Always on the occasion of Milan Design Week 2018, the work “The Marriage” (1999) by the artist Oleg Kulik will be installed in Les Copains’ boutique, in Via della Spiga 46.
Freestyle was realized in collaboration with Galleria Pack (Milan) and Federico Luger Gallery (Milan). Freestyle will be on show from 17th to 30th April 2018 (except Saturday and Sunday), from 11 am to 7 pm. Freestyle thanks Aon.
Atelier Les Copains Via Manzoni, 21 Milano www.atelierlescopains.com info@atelierlescopains.com +39 02 80509190
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Matteo Basilé Matteo Basilé (1974) è nato e vive a Roma. E’ considerato uno dei principali esponenti dell’arte digitale europea. Da circa dieci anni fonde la cultura digitale con l’iconografia classica, re-inventando l’idea del ritratto. L’artista utilizza la fotografia digitale per sviluppare e ampliare il suo personale codice di pittura contemporanea, utilizzando la protesi linguistica del computer, che gli permette di ampliare ogni visione e dare profondità alla splendente superficie dell’immagine. Il mondo di Basilé è un universo iconografico risolto tra manierismo tecnologico e surrealismo pittorico. Nel suo caso i due movimenti storici dell’arte segnalano l’uso inedito di una citazione che tende alla sintesi e all’affermazione dell’arte come metalinguaggio. I suoi personaggi, catturati dallo scatto digitale, divengono icone senza tempo, dove segni tracciati sulla pelle raccontano geografie di memorie intime. Il volto inteso come viaggio, la memoria come approdo in quello che Basilé definisce “archivio dell’anima”. La sua collezione di volti e corpi racconta, nel suo divenire, la storia di un’umanità a lui cara. Donne, bambini, uomini e vecchi vengono catapultati nell’immaginario senza tempo dell’artista con il compito di tramandare un verbo tridimensionale che unisce la pittura con il cinema, la scrittura con la materia, la fotografia con il suono e lo spazio scenico con il pubblico. L’artista campiona, manipola e sintetizza il DNA dei suoi personaggi per trasformarli in martiri e santi di un mondo parallelo al nostro. Bellezze inquietanti e bruttezze meravigliose si fondono nell’era del digitale. Realtà e finzione viaggiano parallele fino a sfiorarsi nella creazione di un nuovo immaginario collettivo. Matteo Basilé (1974) was born and lives in Rome. He is considered one of the foremost protagonists of European digital art. For the past decade he has been blending digital culture with classical iconography, re-inventing the portrait. The artist uses digital photography in order to develop and expand his personal code for contemporary painting, utilizing the computer as linguistic prosthesis in order to expand each vision and lend depth to the splendid surfaces of his artworks. Basilé’s world is an iconographic universe extending between technological mannerism and artistic surrealism. In his case, these two historic art movements mark a novel use of citation that tends towards synthesis and the affirmation of art as a metalanguage. Captured within the digital frame, his subjects become timeless icons. Marks traced upon their skins recount the geography of intimate memories. It is the face understood as voyage, memory as the warehouse for that which Basilé defines as the “archive of the soul.” His collection of faces and bodies tells the tale of a humanity dear to the artist. Women, children, men and the elderly are catapulted into the artist’s timeless imagination with the goal of passing on a three-dimensional verb capable of uniting painting with cinema, writing with material, photography with sound, and scenic space with an audience. Basilé tests, manipulates and synthesizes his subjects’ DNA, transforming them into martyrs and saints within a world parallel to our own. Startling beauty and marvelous ugliness are blended together within the digital era. Reality and fiction travel side-by-side, ultimately blossoming into a new collective imagination.
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Matteo BasilĂŠ
Matteo BasilĂŠ Wonderland V_1, 2010 Inkjet on bayta paper on aluminium 190 x 134 cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti
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Matteo BasilĂŠ
Matteo BasilĂŠ Thisoriented #4, 2009 Lambda print on Hahnemuhle paper on aluminium 140 x 100 cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti
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Yannis Bournias Yannis Bournias è un fotografo di origini greche, nato ad Atene nel 1971. Si forma alla St. Martin School di Londra, e comincia la sua carriera nella fotografia di moda, ollaborando con Vogue tra gli altri. In seguito ritorna al primo amore per l’arte e porta avanti diversi lavori di ricerca. Invitato alla Biennale di Atene nel 2011, ottiene importanti riconoscimenti e realizza il ritratto di Dakis Joannou, grande collezionista e presidente di DESTE Foundation. Nel 2014 crea la rivista semestrale “NOMAS”, dedicata ai nomadismi, che attualmente ha raggiunto la sua sesta edizione con la pubblicazione nell’estate 2017 di “Scotland”. Bournias è estremamente affascinato dalle persone e dalle città, soggetti spesso al centro del suo lavoro nei generi del ritratto e dei paesaggi notturni. L’artista è incuriosito inoltre dal modo in cui la fotografia di strada è governata dal fattore del caso e assume significato solo nel momento in cui è filtrata dal punto di vista dell’osservatore. Yannis Bournias is a Greek photographer, born in Athens in 1971. He studied at St. Martin School in London, and he began his career as a fashion photographer, collaborating with Vogue, among others. Later in time, he returned to his old love for Art and carried on different research works. He was invited to the Athens Biennale in 2011, thereby achieving important recognition, and realized the photographic portrait of Dakis Joannou, a great collectionist and president of DESTE Foundation. In 2014 he created “NOMAS”, a biannual magazine dedicated to nomadism, which has reached today its sixth edition with the publication of the Spring 2017 issue “Scotland”. Bournias is extremely fascinated by people and cities, which are recurrent subjects in his Portrait and Nightscapes photography work. The artist is also intrigued by the way of street Photography to be ruled by the chance factor and to take on a meaning in the precise moment in which it’s filtered by the observer’s point ov view.
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Yannis Bournias
Yannis Bournias Blind man’s bluff, 2016 C-print 120 x 80 cm Ed. of 3 + 2AP Courtesy the artist and Galleria PACK
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Yannis Bournias
Yannis Bournias Middle Kingdom, 2015 Layering, collage, c-print 120 x 80 cm Ed. of 5 + 2AP Courtesy the artist and Galleria PACK
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Michele Chiossi Michele Chiossi (1970), vive e lavora a Milano, è scultore. La sua ricerca è caratterizzata da continue analisi sui mood che segnano il nostro vivere e il nostro quotidiano, interpretandoli in originali still lives e in poetiche reverie. Michele interpreta iconici soggetti, rende tributi, riscrive brand, analizzando la comunicazione contemporanea come gli emoticons, in un lavoro da post production, per formulare inattese, ma ancora possibili, classicità contemporanee. Rinnova infatti il linguaggio attraverso la riprogrammazione della scultura. Rileggendo le forme nel suo peculiare tratto a zig zag; e, riscrive la statuaria nella plasticità del modellato utilizzando materiali nobili (sopratutto il marmo) ma anche quelli più tecnologici (neon, gomme uretaniche, acciaio, resine epossidiche) e utilizzandoli spesso, in modo combinatorio. La sua ampia attività espositiva inizia nel 1996 esponendo in prestigiose Gallerie d’arte con mostre personali e collettive, ed è presente fin dal 1999, nelle più importanti fiere italiane e internazionali. Michele Chiossi (1970), lives and works in Milan, is a sculptor. His research is characterized by continuous analysis on the moods that mark our lives and our everyday life, interpreting them in original still lives and poetic reverie. He interprets iconic subjects, makes tributes, rewrites brands, analyzing contemporary communication like the emoticons, in a post-production work, to formulate unexpected, yet still possible, contemporary classics. In fact, it renews the language through the reprogramming of the sculpture. Rereading the shapes in its peculiar zig zag stroke; and, rewrites the statuary in the plasticity of the modeled using noble materials (above all the marble) but also the most technological ones (neon, urethane rubbers, steel, epoxy resins) and using them often, in a combinatorial way. His extensive exhibition activity began in 1996, exhibiting in prestigious art galleries with solo and group exhibitions, and has been present since 1999 in the most important Italian and international art fairs.
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Michele Chiossi
Michele Chiossi JAIPUR H, 2018 Polychrome marbles 20 x 20 x 15 cm Courtesy the artist
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Michele Chiossi
Michele Chiossi 15-LOVE, 2017 Red Francia Languedoc Classico marble, steel 95 x 18 x 16 cm Courtesy the artist
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Michele Chiossi
Michele Chiossi Rayosculpture, 2016 Statuary marble, silver 40 x 30 x 50 cm Courtesy the artist
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Dario Ghibaudo Dario Ghibaudo (Cuneo, 1951) è un artista italiano. Vive e lavora a Milano. Il suo lavoro è caratterizzato da una ricerca che utilizza l’ironia per analizzare la società, le sue contraddizioni e i suoi disagi, uno sguardo lucido e provocatorio che si esprime con un linguaggio formale a volte scanzonato e disilluso. È in questo contesto che si innesta la sostanza concettuale del Museo di Storia Innaturale, un progetto a cui l’artista lavora dal 1991. Strutturato come un Museo di Storia Naturale di stampo settecentesco, il progetto è suddiviso in sale e idealmente ripartito per grandi argomenti di indagine “ironico-scientifica”: Antropologia, Entomologia, Esemplari rari, Botanica, Etnologia, Etnografia e Antropologia culturale, Anamorfosi, ecc. Per proseguire con la sala dei Busti, degli Inchiostri su carta, dei Nasi d’artista e delle grandi sculture in pietra e, negli ultimi anni le “Creature Meravigliose”, modellate in porcellana o argilla bianca oppure cemento e polvere di marmo. Ad oggi Dario Ghibaudo ha realizzato ventuno sale. Dal 1994 lavora all’Archivio dei nasi d’artista, un progetto che al momento conta una settantina di esemplari tra cui il calco del naso di Andrés Serrano, Orlan, Arnaldo Pomodoro, Enrico Baj, Piero Gilardi, Stefano Arienti e altri. Nel 1997 ha realizzato, per la regia di Alberto Valtellina, un film documentario di 18 minuti intitolato L’uomo è cacciatore. Nel 2000 il film documentario di 16 minuti “Furio” e sempre con la Lab80 film di Bergamo Incontro con il Comandante Giovanni Pesce e la staffetta Nori Brambilla nel 2010, e il corto di 42 minuti Il vizio della memoria che racconta le imprese subacquee di Guidobaldo Dalla Rosa Prati. Sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private: Chateau d’Oiron (Fr), Kunstmuseum di Stuttgart, Mart di Rovereto, Armenian Center for Contemporary Experimental Art di Yerevan Armenia), CollezioneVaf Francoforte, Fondazione Igav Torino, Collezione La Gaia, Busca (CN). Dario Ghibaudo (Cuneo, 1951) is an Italian artist. He lives and works in Milan. His work is characterized by a research which uses irony to analyze the society, its contraddictions and its discomforts, a lucid and provocative look which expresses itself through a formal language sometimes breezy and disillusioned. It’s in this context that the conceptual substance of the Museum of Unnatural History is inserted, a project on which the artist has been working since 1991. Structured as a 17th-Century Museum of Natural History, the project is subdivided in halls and ideally split in major topics of “ironical-scientific” research: Anthropology, Entomology, Rare Specimens, Botany, Ethnology and Cultural Anthropology, Anamorphosis, etc. Continuing with the hall of the Busts, the hall of Inks on paper, the hall of artist Noses and the large stone sculptures and, in the last few years the “Marvellous Creatures” shaped in porcelain or white clay or even in concrete and marble powder. As of today, Dario Ghibaudo has created twenty one halls. Since 1994 he has been working on the Archive of artist noses, a project that as of now counts around seventy specimens among which there are the casts of the noses of Andrés Serrano, Orlan, Arnaldo Pomodoro, Enrico Baj, Piero Gilardi, Stefano Arienti and others. In 1997 he produced a 18 minutes long documentary movie directed by Alberto Valtellina and entitled “L’uomo è cacciatore” (“Man is hunter”). In 2000 he produced the 16 minutes long documentary movie “Furio” and in 2010 “Incontro con il Comandante Giovanni Pesce e la staffetta Nori Brambilla” again with the Lab80 Film company of Bergamo, and the 42 minutes long short movie “Il vizio della memoria” (“The vice of memory”) which tells about the underwater feats of Guidobaldo Dalla Rosa Prati. His works are part of public and private collections: Chateau d’Oiron (Fr), Kunstmuseum of Stuttgart, Mart of Rovereto, the Armenian Center for Contemporary Experimental Art of Yerevan (Armenia), the Vaf collection of Francoforte, the collection of the Igav Foundation in Turin, La Gaia collection of Busca (CN).
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Dario Ghibaudo
Dario Ghibaudo Rino Cum Capite Inanis, 2017 Porcelain 39 x 10 (h) cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Antonio Maniscalco
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Dario Ghibaudo
Dario Ghibaudo Avis Cum Rostro Ritortus, 2017 Porcelain 37 x 20 (h) cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Antonio Maniscalco
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Dario Ghibaudo
Dario Ghibaudo Canaper Cum Corna Capris, 2017 White clay 37 x 20 (h) cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Antonio Maniscalco
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Dario Ghibaudo
Dario Ghibaudo Nimis Longum Rostrum, 2017 Porcelain 35 x 14 (h) cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Antonio Maniscalco
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Dario Ghibaudo
Dario Ghibaudo Byssus tòrta capitibus, 2017 Porcelain 38 x 17 x 20 (h) cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Antonio Maniscalco
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Dario Ghibaudo
Dario Ghibaudo 12 Inchiostri piccoli, 2017 inchiostro su carta 10,5 x 15 / 11 x 14 cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Antonio Maniscalco
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Robert Gligorov Robert Gligorov (Macedonia, 1960) utilizza il video, la fotografia, l’installazione e la pittura piegandoli alle esigenze di una ricerca che sempre si misura con i limiti e le ambiguità della rappresentazione, e attraverso questi strumenti conduce un’indagine sistematica e meticolosa sulla relazione tra immagine e artificio e sull’impatto culturale e il potere che l’iconografia ha sulla coscienza umana. Ha tenuto mostre personali nelle principali città europee come Parigi, Berlino, Madrid, Milano e Roma e Venezia. Le sue opere sono presenti nelle maggiori collezioni pubbliche e private. Gligorov, dopo un lungo studio di disegno e pittura, è arrivato alla conclusione che un media ideale per lui non esiste. I suoi due punti fermi sono: che l’opera non sembri un’opera d’arte (intesa in senso tradizionale) e il secondo, quello più importante, è di non avere una cifra stilistica e non riconoscere le sue opere per un’ossessiva ripetizione di un modulo, ma che lo stile sia la forza e l’efficacia penetrativa della singola opera da scollegare a qualsiasi sua passata o futura produzione. Robert Gligorov (Macedonia, 1960) makes use of video, photography, installations and painting bending them to the needs of a research that always challenges itself with the limits and ambiguities of the representation, and through these instruments he performs a systematic and meticulous survey on the relationship between image and artifice and on the cultural impact and the power that iconography produces on human conscience. He held various personal exhibitions in the main European capitals like Paris, Berlin, Madrid, Milan,Rome and Venice. His works are displayed in the major public and private collections. After a long study on drawing and painting, Gligorov has reached the conclusion that for him an ideal medium doesn’t exist. His two fundamental points are: firstly, that the work doesn’t look like an artwork (understood in the traditional sense) and secondly, the most important issue is not to have a signature style and not to recognize his works by an obsessive repetition of a module, but style has to be the strength nd the penetrative efficacy of the single work, being disconnected from whichever of its past or future productions.
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Robert Gligorov
Robert Gligorov Smash, 2009 Lambda print on plexiglass 120 x 90 cm Ed. 2/5 Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti
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Robert Gligorov Bouquet, 2001 C-print on aluminium 120 x 120 cm Ed. 1/3 Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti
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Robert Gligorov
Robert Gligorov Fiore del Sole n.2, 2001 C-print on aluminium 120 x 120 cm Ed. 1/3 Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti
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Robert Gligorov Shoes, 1998 Photographic print on shoes 18 x 26 x 40 cm Courtesy the artist and Galleria PACK
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Oleg Kulik Artista, scultore, performer, fotografo, curatore e da alcuni anni fondatore di un movimento politico per la salvaguardia dell’ambiente e delle specie animali, Oleg Kulik (Kiev, 1961), è riconosciuto come uno degli artisti più profondamente radicali del panorama artistico russo e internazionale. “Nihil inhumanum a me alienum puto”, Kulik si è appropriato modificandola di una citazione di Terenzio (Humani nihil a me alienum puto) come statement di una sua monografia, dichiarando di non ritenersi estraneo a tutto ciò che non è umano. È questo l’assunto che può essere preso come uno dei corollari della sua ricerca e attraverso il quale si possono definire le caratteristiche peculiari della sua opera che affonda le proprie radici nel contesto sociale e culturale della Russia sovietica e post-sovietica. L’universalità del suo messaggio risiede nel riconoscimento del conflitto tra cultura e natura provocato dal processo di civilizzazione che ha investito l’uomo moderno. Attraverso la sua opera, l’artista russo richiama l’atteggiamento dionisiaco di identificazione tra uomo e animale, un ritorno alle origini animali dell’uomo. Per far fronte a questa esigenza, Kulik ha creato nel corso dello sviluppo della propria poetica una sorta di alter-ego rappresentato appunto dalla figura del cane. Le sue performance più celebri e spettacolari sono quelle che lo ritraggono nudo, mentre abbaia contro la folla (Fourth Dimension, Secessione di Vienna, 1997), oppure mentre viene condotto nudo, al guinzaglio per le strade di Rotterdam (Pavlov’s Dog, Manifesta I, Rotterdam, 1996). O ancora, in I bite America and America bites me (Deitch Projects, New York, 1997), Kulik, rifacendosi alla celebre performance di Joseph Beuys I Love America, America Loves Me, si fa rinchiudere per due settimane in una finta cella con l’intenzione di denunciare la crisi della società americana contemporanea. Artist, sculptor, performer, photographer, curator and the founder of a political movement aimed at protecting thenenvironment and animal species, Oleg Kulik (Kiev, 1961) is recognized as one of the most radical artists present in the Russian and international panorama. “Nihil inhumanum a me alienum puto”, claims Kulik, modifying a quote by Roman playwright Terence (Humani nihil a me alienum puto) in the statement prepared for his monograph. The artist is declaring that he does not consider himself foreign to that which is inhuman. This statement can be understood as one of the corollaries of his artistic investigation, and through it we can define the more peculiar characteristics of his artwork, a production rooted in the social and cultural contexts of Soviet and post-Soviet Russia. The universal nature of his message can be found in its recognition of the conflict between culture and nature provoked by the process of civilization modern man is undergoing. Through his artwork, the Russian artist harkens back to the Dionysian attitude of identification between man and animal, a return to the animal origins of humankind. In order to respond to this need, Kulik has created a sort of alter ego represented by the figure of a dog. His most celebrated and spectacular performances capture the artist entirely naked, barking at a crowd (Fourth Dimension, Vienna Secession, 1997), or being led around the streets of Rotterdam on a leash (Pavlov’s Dog, Manifesta I, Rotterdam, 1996). Establishing a connection with I Love America, America Loves Me, a celebrated performance by Joseph Beuys, Kulik also had himself locked up in a fake jail cell for two weeks (I bite America and America bites me, Deitch Projects, New York, 1997) as a way of denouncing the crisis enveloping contemporary American society.
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Oleg Kulik
Oleg Kulik At The Church, 1999 Lightjet print on aluminium and plexiglass Frame covered with typical boiled wool of World War II soldiers’ military jackets 116 x 84 cm Courtesy the artist and Galleria PACK
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Oleg Kulik
Oleg Kulik Marriage, 1999 Lightjet print on aluminium and plexiglass 211 x 150 cm Courtesy the artist and Galleria PACK
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Andrei Molodkin Andrei Molodkin (Boui, North Russia, 1966) è un artista concettuale russo. L’opera di Andrei Molodkin, caratterizzata costantemente da una dimensione poetica politicoideologica, si serve con uguale intensità di materiali tra loro diversi quali petrolio, inchiostro o sangue, per articolare l’ossessione che determina l’impianto narrativo del racconto dell’artista: l’economia come entità significante della costruzione simbolica, economica e culturale occidentale. Il linguaggio e la tecnica caratteristici dell’artista - l’utilizzo del petrolio e dei sistemi idraulici che ne attuano la circolazione, dai compressori alle sculture “simulacro” vuote in resina acrilica - nelle recenti produzioni si articolano frequentemente in una serie di tele di grandi dimensioni realizzate con la penna biro e che riportano slogan o parole in cui i caratteri che li compongono occupano l’intero spazio visivo. L’evoluzione stilistica dell’artista si è spinta recentemente su di un versante sempre più concettuale, che mira comunque alla continua ricerca di un dialogo con lo spettatore attraverso l’impatto emozionale suscitato dalle proprie opere. Secondo una personale scrittura visiva scandita in termini metaforici, l’inchiostro, nei lavori su tela, diviene così il sangue che fluisce dalla penna, allo stesso modo in cui il petrolio si fa rappresentazione della linfa vitale che scorre nei vasi del sistema simbolico alla base del panorama cognitivo occidentale, in un traslato dove l’umanità oggettualizzata e silenziosa rimane al fondo della narrazione dell’artista. L’artista russo, articolando il suo linguaggio, riesce in questo modo nella rara impresa di dar vita ad una propria, personale, “tecnica” che lo differenzia profondamente dalle ricerche che vertono sul rapporto uomo-tecnologia e rendono la sua produzione tra le più singolari nel panorama internazionale. Andrei Molodkin (Boui, North Russia, 1966) is a Russian conceptual artist. Andrei Molodkin’s work, constantly characterized by a poetic dimension that is constantly politicalideological, makes equal use of materials vastly different from one another – crude oil, ink and blood – in order to articulate his own dark obsession that determines the narrative setting of the artist’s tale: he economy as a significant entity of the symbolic, economic and cultural construction of the West. The artist’s characteristic language and technique – the use of crude oil and the hydraulic system that keeps it circulating, from compressors to his empty “simulacra” sculptures in acrylic resin – in his latest works often articulate in a series of large-scale canvases created with ballpoint pen that quote slogans or words and the types that form them, fill the whole visual space. The artist’s stylistic evolution has been driven towards a level that is increasingly conceptual, and which in any case aims to foster the continuous search for a dialogue with his audience through the emotional impact the artwork provokes. According to a personal visual handwriting measured out in metaphorical terms, ink becomes the blood flowing from a pen, in the same way in which crude oil represents a vital lymph flowing within the vessels of a symbolic system lying at the foundation of the Western cognitive panorama, in an act of relocation in which the objectified and silent humanity remains at the heart of the artist’s narrative effort. In this manner the Russian artist, articulating his language, manages to achieve the rare feat of giving life to his own, personal “technique”, one that differentiates him substantially from artistic investigations that deal with a realtionship between man and technology, making his artistic production among the most singular present in the international panorama.
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Andrei Molodkin
Andrei Molodkin Untitled, 2014 pen on paper 59 x 42 cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti
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Andrei Molodkin
Andrei Molodkin Untitled, 2014 pen on paper 59 x 42 cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti
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Jonathan Monk Jonathan Monk è nato a Leicester (UK) nel 1979. Si è laureato nel 1991 presso la Glasgow School of Art. Attualmente vive e lavora a Berlino. Jonathan Monk spesso si appropria di idee, opere e strategie da artisti concettuali e minimalisti degli anni ‘60 e ‘70. Con fotografie, sculture, film, installazioni e performance, i suoi lavori ricontestualizzano e rielaborano queste citazioni, spesso infondendole con la sua storia personale e l’educazione familiare della classe operaia. Questi aspetti aggiungono una sensibilità umanizzante e pragmatica agli ideali utopici delle opere originali e alle nozioni di genio artistico. Le estensioni e le reinterpretazioni di Monk di John Baldessari, Ed Ruscha e Sol LeWitt, tra le altre, mettono in discussione l’autenticità, la paternità e il valore nell’arte con umorismo e umorismo bizzarri. Le opere di Monk sono state esposte in tutto il mondo, tra cui mostre personali al CAC Malagá, W139 ad Amsterdam, Artpace a San Antonio, il Palais de Tokyo a Parigi, Tramway a Glasgow, Centre for Contemporary Arts a Glasgow, Centre d’Art Contemporain a Neuchatel, Museum Kunst Palast a Dusseldorf, Institute of Contemporary Art a Londra e Kunstverein Hannover. Le mostre collettive sono numerose e comprendono la Biennale di Taipei, la Biennale di Berlino, la Biennale di Venezia, la Biennale di Whitney, la Biennale di Praga e la Biennale di Panama. Nel 2012, Monk è stato premiato con il Prix du Quartier des Bains a Ginevra. Jonathan Monk was born in Leicester (UK) in 1979. He graduated from Glasgow School of Art in 1991, he now lives and works in Berlin. Jonathan Monk often appropriates ideas, works, and strategies from Conceptualist and Minimalist artists of the ‘60s and ‘70s. With photographs, sculpture, film, installation, and performance, his works recontextualize and rework these quotations, often infusing them with Monk’s personal history and working-class family upbringing. These aspects add a humanizing and down-to-earth sensibility to the original works’ utopian ideals and notions of artistic genius. Monk’s extensions and einterpretations of seminal works by John Baldessari, Ed Ruscha, and Sol LeWitt, among others, hallenge authenticity, authorship, and value in art with quirky humor and wit. Monk’s work has been exhibited extensively throughout the world, including in solo shows at CAC Malagá, W139 in Amsterdam, Artpace in San Antonio, the Palais de Tokyo in Paris, Tramway in Glasgow, Centre for Conte porary Arts in Glasgow, Centre d’Art Contemporain in Neuchatel, Museum Kunst Palast in Dusseldorf, Institute of Contemporary Art in London, and Kunstverein Hannover. Group exhibitions are numerous and include the Taipei Biennial, Berlin Biennale, Venice Biennale, Whitney Biennial, Prague Biennale, and Panama Biennial. In 2012, Monk was honored with the Prix du Quartier des Bains in Geneva.
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Jonathan Monk
Jonathan Monk Jonathan Andrew Monk, 1996 watercolour on paper 20,5 x 29 cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti
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Jonathan Monk
Jonathan Monk This area makes this drawing almost worthless, 1996 matita su carta 20,5 x 29 cm Courtesy the artist and Galleria PACK Photo-credits: Giuliano Plorutti