3 minute read

Cocktail

Storia ed etimologia

Introduzione

Non solo un modo di bere

Introduzione di F. Allegri

All’inizio erano il vino, la birra e poche altre bevande fermentate ad aiutare l’uomo a liberare il suo pensiero. Poi la volontà di trovare qualcosa di più immediato, e dai poteri più grandi, ha fatto nascere le miscele. Questi miscugli erano preparati e bevuti per guarire da malattie, riprendersi dalle fatiche, infondersi coraggio, far colpo sull’anima gemella o fatti bere all’insaputa del destinatario per combinargli qualche scherzo di cattivo gusto. Il cocktail moderno ha sostituito i filtri antichi impregnandosi della stessa carica emotiva e il barman, quando prepara la miscela, prende, anche se inconsciamente, il posto dei relativi stregoni, medici e alchimisti, diventando il “sapiente” al quale ci si affida completamente.

La trasformazione del bere, da atto necessario ad appagare un bisogno naturale in “saper bere”, è avvenuta con la distillazione. Quest’ultima ha dato gli strumenti idonei, le acquaviti, a compiere il primo passo verso mete più importanti. Il secondo passo è dato dalla diversificazione delle acquaviti, seguito dall’idea di dare ad esse un nuovo potere, unendovi diverse sostanze a cui erano attribuite proprietà curative, allo scopo di ottenere una “medicina” sempre più potente, arrivando così alla formulazione dei liquori. Il successivo e naturale passo fu la miscelazione tra loro di acquaviti e liquori. Sicuramente all’inizio queste trasformazioni erano tentate al solo scopo di combinare le virtù attribuite all’acquavite con quelle dei liquori, per ottenere bevande, anche dal gusto gradevole, ma, comunque, curative. Solo a cavallo tra Settecento e Ottocento, periodo in cui prese forma la trasformazione della tavola, si avviò quella svolta che porterà “all’arte del bere”. Arte del bere che, comunque, proprio nuova non era, visto che già nell’antichità i popoli, raggiunta la sicurezza delle conquiste e la ricchezza, riversavano sulla tavola le loro mire di raffinatezza, anche se a loro mancavano, per crearsi nuove avventure, distillati e liquori.

Nella preparazione delle miscele si può parlare di “arte” solo quando l’unione dei diversi prodotti è successiva ad un’intuizione del gusto. All’intuizione devono seguire una volontà ragionata di come raggiungere quel gusto, l’elaborazione pratica, le riflessioni sugli esiti dei vari tentativi e, infine, la scelta del miglior risultato. Questo significa che non si possono affidare i propri piaceri a mani sconosciute, prive della cultura necessaria a creare quelle bevande che saranno chiamate cocktail.

L’esperienza di miscelare liquori per ottenere bevande stimolanti è relativamente recente; l’intuizione e la pratica del cocktail, inteso come piacere dei sensi, è probabilmente da attribuire a quell’area geografica che racchiude il Sud degli Stati Uniti e le grandi Antille in un periodo compreso tra la fine del ‘700 e l’inizio del XIX secolo. Probabilmente al cocktail non si possono attribuire origini nobili. Infatti il dizionario “of slang and uncoventional English” del 1951 fa risalire questa parola al 1809, nata per descrivere una bevanda composta di: spiriti, vino, amari, ghiaccio spezzettato. Ma dice anche che cock-tail era un termine colloquiale di livello estremamente basso usato, come sinonimo di “harlot”, per qualificare chi si prostituisce, e quindi si mischia con tutti. Molte storie e leggende gravitano attorno all’origine di questa parola, fra tutte ve ne raccontiamo alcune. La prima di queste, è quella data nel 1938 da Peter Tamony, il quale la fa derivare da una bevanda della tradizione inglese chiamata cock-ale, che è una bevanda ottenuta lasciando macerare nella birra la carne di un gallo cedrone, sminuzzata e chiusa in un telo, insaporita con spezie, uva passa, chiodi di garofano e droghe varie. Dopo una settimana s’imbottigliava e si vendeva. Un’altra riguarda la bevanda preparata, con il cacao, per il sovrano azteco Montezuma. Presso gli aztechi il cacahuatl - o cocoatl - era sinonimo di vigore e forza e chiaramente afrodisiaco. Gli spagnoli rimasero sorpresi dal “cioccolato” preparato dagli aztechi. Il gusto di questa bevanda doveva essere davvero potente, poiché ai semi di cacao, tostati e macinati, erano aggiunti pepe, peperoncino e altre spezie in polvere, miele e acqua. Il tutto poi veniva bollito e frullato fino ad ottenere una densa spuma. Questa è la bevanda offerta a Montezuma e alla principessa Tezalco il giorno delle loro nozze, e che i due bevvero con un paio di cannucce d’oro. Infine al 437 di Royal Street a New Orleans, Stati Uniti, si trova una casa con una scritta: “il cocktail è nato qui”. In questa casa, nei primi anni dell’800, un profugo di Santo Domingo, tale Antoine Amédée Peychaud, aprì una farmacia che presto divenne luogo di incontro dei suoi connazionali francesi. Peychaud come benvenuto usava offrire una bevanda composta di un amaro, cognac e zucchero, aromatizzata infine con erbe e droghe; per dosare questi ingredienti usava un misurino chiamato coquetier, nome che si trasformò in cocktail per via della cattiva pronuncia dei suoi amici di lingua inglese.

This article is from: