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Il giardino di Vincent di Rosetta
Loy
Questo
è il libro su un artista che viveva con la testa per aria, tanto era incantato dai colori, dal sole e dai girasoli che il sole lo inseguono. Con gli occhi ne faceva una scorpacciata, per portarseli appresso e impastarli sulla tela appoggiata al cavalletto. A 12 anni (era nato nel 1853, a Groot Zundert, in Olanda), lo mandarono a studiare lontano da casa, alla pensione Peverly, in una città chiamata Zevenbergen (sette montagne).
Solo, e sicuramente geloso del fratello più piccolo Theo, che era rimasto con mamma e papà, era diventato una sorta di Peter Pan, sperduto nel suo giardino radioso di luce ed erba, fiordalisi e melograni maturi. Mentre i compagni e il fratello Theo diventavano uomini sicuri di sé, e le bambine si trasformavano in donne saccenti con la crocchia, lui continuava a vagare in quel suo mondo fantastico, senza riuscire a trovarne l’uscita.
Vincent, questo era il suo nome, amava gli amici (uno in particolare), e anche le ragazze con i riccioli che sfuggivano dalla crocchia. Ma loro non lo capivano, presto si stancavano di lui e lo lasciavano solo.
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Così Vincent se ne stava nel suo giardino immaginario, fra immensi alberi rossi come fiamme, prati azzurri e nuvole a forma di barbe giganti. Ogni volta che tentava di somigliare agli altri, questi finivano per non riconoscerlo. Allora Vincent tornava a rifugiarsi nel suo mondo fantastico, dove c’erano strade rosa-papavero-in-boccio e campi biondo-miele. Strade un poco rosse e un poco arancione e, improvvisamente, una strada verde marcio come il fondo di uno stagno. E poi, accanto, un’altra strada dove il colore era quello rosa liscio del melograno maturo. Un Peter Pan fantastico e un poco stralunato, questo Vincent, che avrebbe voluto trovare l’uscita per sbucare fuori dal suo giardino variopinto, ma non ne era capace.
Con i colori nei quali era immerso, dipinse la città di Arles, lungo il fiume Rodano nel Sud della Francia, dove era andato a vivere.
Vi dominava il suo colore prediletto: il giallo. Gialla era la piazza, gialla la casa dove abitava, gialla la campagna appena fuori dal paese. Con gli altri amati colori dipinse la sua camera da letto, che sembra scivolare giù dalla tela: i cuscini e il lenzuolo verdolini come le foglie degli alberi in primavera, il letto arancione come il tramonto, mentre verde-pisello sono i cuscini delle sedie e l’asciugamano appeso al gancio. La coperta, gonfia e calda, è di colore rosso, simile a una grande ciliegia e, infine, sul pavimento è spalmato il viola pallido dell’uva quando si trasforma in mosto. Sulle pareti c’è il colore del cielo all’alba; per le porte sempre il cielo, ma quello del crepuscolo. In attesa della prima stella.