Estella e Jim nella meravigliosa Isola del Tesoro

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Furio Scarpelli (1919-2010) è stato il figlio d’arte del più famoso autore e illustratore dell’infanzia del suo tempo. Ma dopo aver scritto tanto per il cinema, e con universale successo, solo negli ultimi tempi Furio aveva accettato l’idea di pubblicare le straordinarie storie illustrate che teneva nel cassetto, come il graphic novel Tormenti e questa scanzonata rivisitazione dell’Isola del Tesoro. Il libro segna il passaggio del testimone alla terza generazione: quella di Giacomo Scarpelli (Roma 1956), abituato fin da ragazzino a battere a macchina le sceneggiature che il papà scriveva con Age. Insieme hanno firmato numerosi copioni, tra cui Il postino (che li ha candidati all’Oscar) e Opopomoz. Appassionato cultore dell’eredità artistica del padre, ha ripreso in mano il testo che avevano scritto insieme e l’ha preparato per la pubblicazione: ne è nato questo libro.

FURIO E GIACOMO SCARPELLI Furio e Giacomo Scarpelli

Estella e Jim nella meravigliosa Isola del Tesoro è una rivisitazione e insieme una parodia dell’immortale romanzo di Stevenson. Ripropone con umorismo la grande avventura tra pirati, mari, foreste, con le indimenticabili figure di Jim Hawkins, del Capitano Smollett, del Dottor Livesey e di John Silver. Ma ecco sbucare anche nuovi personaggi, a cominciare proprio da Estella, una graziosa, bisbetica ma saggia ragazza creata per colmare una lacuna nei romanzi classici, popolati di soli maschi. Scopriamo anche due nuovi amici di Jim: il topolino Cook e il Pellicano, mascotte della goletta Hispaniola. E poi c’è il marinaio napoletano Zito, uno dei caratteri più divertenti e imprevedibili di questo racconto, insieme allo stralunato Ben Gunn. Il tratto principale di Ben qui è l’amore per la natura: il vecchio naufrago trema all’idea che un giorno possa essere rovinata dalla mano dell’uomo. Forse, in definitiva, il tesoro non è quello del Capitano Flint, cui buoni e cattivi danno la caccia, bensì l’Isola di per sé…

Estella e Jim nella meravigliosa

Isola del Tesoro disegni di

Fu r i o S c a r p e l l i



UAO Universale d’Avventure e d’Osservazioni



Furio e Giacomo Scarpelli

Estella e Jim nella meravigliosa

Isola del Tesoro disegni di

Furio Scarpelli


Furio e Giacomo Scarpelli Estella e Jim nella meravigliosa Isola del Tesoro disegni di Furio Scarpelli Liberamente ispirato a Treasure Island (1883) di Robert Louis Stevenson cura editoriale di Valeria Conti

ISBN 978-88-6145-300-5 Prima edizione luglio 2012 © 2012 Carlo Gallucci editore srl - Roma ristampa 5 4 3 2 1 0 anno 2016 2015 2014 2013 2012

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galluccieditore.com

Il marchio FSC® garantisce che la carta di questo volume contiene cellulosa proveniente da foreste gestite in maniera corretta e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici. L’FSC® (Forest Stewardship Council) è una Organizzazione non governativa internazionale, indipendente e senza scopo di lucro, che include tra i suoi membri gruppi ambientalisti e sociali, comunità indigene, proprietari forestali, industrie che lavorano e commerciano il legno, scienziati e tecnici che operano insieme per migliorare la gestione delle foreste in tutto il mondo. Per maggiori informazioni vai su www.fsc.org e www.fsc-italia.it

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Isola del Tesoro



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uesta storia ebbe inizio in un pomeriggio di novembre di un anno imprecisato intorno alla metà del Settecento, sulle coste dell’Inghilterra meridionale. Gli estremi raggi del sole tingevano le pareti a strapiombo della scogliera e la casa che vi si ergeva al di sopra. Dai comignoli spuntavano sbuffi di fumo che subito il vento portava via insieme agli strilli dei gabbiani.


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Era una costruzione dalle pareti imbiancate a calce, inquadrata da tronchi di quercia, i vetri incorniciati a piombo, i tetti ricoperti da parrucche di erica. Sopra la porta d’ingresso dondolava un’insegna di pietra: Admiral Benbow. Sì, era proprio una locanda, e adesso che l’oscurità stava calando, apparve il lume alle finestre. Prima quello della sala al piano terra, poi quello d’una finestrella al piano superiore. La finestrella di una stanzetta. Nella quale un ragazzino, subito dopo aver acceso la candela di sego sul tavolo, si era seduto in pizzo del letto per maneggiare e contemplare, come quasi ogni sera prima di cena, degli oggetti che gli erano molto cari. Un curioso pezzo di legno, appuntito alle due estremità, e un corto bastone lisciato e lustrato con amorevole pazienza. Il ragazzino si chiamava Jim e aveva il viso rotondo, i capelli castani, il codino color miele. Sulla camicia di tela portava il gilet di fustagno, le brache erano al ginocchio, le calze bianche e le scarpe avevano la fibbia d’ottone. Con quel fuso e quel bastone nelle mani, Jim sospirò malinconico. Erano gli arnesi per il gioco della lippa, che suo papà aveva fabbricato per lui, con la promessa che si sarebbero divertiti insieme, non appena si fosse rimesso in salute. Ma il padre di Jim non era mai guarito. Era morto senza essere riuscito a saldare i debiti che aveva contratto per avviare l’Admi-

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ral Benbow. Locanda che adesso la mamma mandava faticosamente avanti da sola. Jim sospirò di nuovo, quindi si alzò e depose delicatamente la lippa e il bastone sulla mensola, accanto a un piccolo calamaio, un quadernuccio gualcito e una tazza sbreccata in cui teneva una matita e una vecchia penna d’oca. Oltre il vetro della finestra era buio. E, dall’esterno, la finestrella illuminata sembrava sospesa nella sera, la figurina di Jim ferma a guardare l’orizzonte marino ormai invisibile. «Che storia triste!» dice a questo punto una voce. È quella di una ragazzina, si chiama Valentina. La storia che state leggendo la sta raccontando un papà a sua figlia, la quale l’ascolta, seduta sul letto, le gambe raccolte tra le braccia. Adesso ha l’aria imbronciata e ripete: «È una storia triste, non la voglio sentire!» Il papà, sulla seggiola, è interdetto. «Una storia triste?» sorride. Precisa: «No, aspetta. Questo è solo l’inizio. Devi sapere cosa succede il giorno dopo». Valentina arriccia il naso, appuntisce le labbra, concede di proseguire. E il papà riprende: «Il giorno dopo capitò da quelle parti un curioso personaggio…» Subito Valentina:

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«Un altro maschio?» «Beh, sì» risponde il papà ancora un po’ sconcertato «la storia prevede che a questo punto entri in scena un…» «Invece no!» protesta la bambina, gli occhi che lampeggiano, «non è solo una storia triste, ha anche tutti personaggi maschi, uffa, non la voglio sentire!» Il papà stasera sta narrando alla figlia una delle storie che più lo hanno appassionato quando aveva la sua età, ma lui era appunto un maschietto. Ora si rende conto e ammette: «Forse hai ragione. Diciamo che il nostro Jim conosceva, anzi no, stava per conoscere una bambina… una bambina che avrebbe avuto un ruolo importante nella vicenda che stiamo raccontando». Valentina ha alzato il musetto, il broncio si attenua, mentre il papà annaspa un po’ per farsi venire in mente qualcosa… «…e che avrebbe avuto una parte importante anche nella vita di Jim stesso…» «E come si chiamava questa bambina?» Il papà fruga nei ricordi: «Si chiamava Estella» «Estella» ripete Valentina. Il nome ha fatto colpo. «E com’era?» «Intendi che aspetto aveva? Era brunetta…» «No, bionda»

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«Facciamo una via di mezzo: castana» «Castana quasi rossa» «D’accordo, castana quasi rossa, più rossa che castana» concede il papà. «E chi era Estella?» «Non lo so ancora. Una storia è una storia, nessuno ne sa nulla finché non si è raccontata e allora lasciamo che vada avanti da sé». Valentina accetta senza protestare, ma vuole una rassicurazione: «Questa però è sempre la storia dell’Isola del Tesoro?» «Certo. Anzi, diciamo che è la vera storia dell’Isola del Tesoro» «E poi che succede?» «Dove eravamo rimasti?» mormora il papà. «Ah, sì, un giorno di novembre arrivò uno strano personaggio…» e prima che la bambina possa aprire bocca precisa: «…un personaggio femminile, una ragazzina dai capelli castani quasi rossi, che scese dalla carrozza di posta precisamente davanti alla casa di Jim» «Era Estella?» «Proprio lei». E qui lasciamo, appunto, che la storia prosegua raccontandosi da sola.

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La grande carrozza di posta a tre coppie di cavalli fumanti si era fermata davanti all’Admiral Benbow. Generalmente trasportava viaggiatori provenienti da Brighton, ma quel giorno ne scese solo una ragazzina in un elegante abito ornato di merletti e fiocchi, i capelli ben pettinati e la bocca a cuore. Sulla cassa di legno che costituiva il suo bagaglio, erano incise le iniziali E.J.E.T. Una ragazzina a modo, a tutta prima, ma a guardar bene in quegli occhi si leggeva vivacità e sfrontatezza. Il vetturale rimontò, toccandosi con rispetto il tricorno, fece schioccare la frusta e la diligenza partì fragorosamente, lanciando schizzi di fango in tutte le direzioni. La ragazzina, ferma accanto alla sua cassetta, si guardò brevemente intorno, accigliata, poi si rivolse con tono di comando a quel suo coetaneo che la fissava con gli occhi tondi, in mano uno zeppo di legno a cui fino a un istante prima stava rifinendo la punta con un coltellino. «Ho fame e ho sete, fin qui ho avuto

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soltanto una crosta di pane duro come un sasso, portami acqua fresca, panini con burro, due polpette e una fetta di torta di ciliegie, chi sei, come ti chiami?» «Ma chi sei tu, come ti chiami?» domandò a sua volta Jim, frastornato. «Non si risponde a una domanda con una domanda, denota cattiva educazione. Sei un contadino bifolco buzzurro?» Jim, indispettito, ribatté: «Non si risponde a una domanda con una domanda» «Io me lo posso permettere, perché sono Estella Judith Elizabeth. La nipote di Thomas Trelawney, signore di questa contea. Tu ti chiami Jim?» Il ragazzo era sbigottito: «Come hai fatto a indovinare?» «Tipo andante, nome andante» fu la spiegazione. «E tu hai tanti nomi antipatici perché sei antipatica». Non aveva intenzione di farsi strapazzare da una ragazzina. «Bravo Jim, bravissimo, mi fa piacere, voglio essere antipatica. La simpatia è noiosa, smorfiosa, sciropposa» «Allora non sarò né smorfioso né sciropposo» tenne a precisare Jim «e ti dirò chiaro e tondo che non abbiamo né polpette né torta di ciliegie» «Questa è la locanda di tuo padre?» si informò Estella.

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«Mio padre è morto» «Anche il mio» rispose lei. Ci fu un silenzio da parte di tutti e due. Estella fu la prima a parlare di nuovo: «Per questo mi trasferisco da mio nonno. Non sono ancora venuti a prendermi dalla sua residenza, Trelawney Manor?» Jim scosse la testa. «Cosa stavi facendo?» chiese Estella incuriosita dal pezzo di legno che Jim teneva in mano. «Rifinivo la punta della lippa che mi ha lasciato mio padre» «E che sarebbe la lippa?» «È un gioco» «Che gioco?» Jim ci pensò un istante e decise che la cosa più semplice era mostrarglielo. Allungò il braccio dietro lo stipite della porta e lo ritirò che stringeva il bastone fabbricato dal papà. Quindi, proprio nello spiazzetto lì fuori, tracciò un cerchio con un pezzo di gesso, vi entrò e depose la lippa bipuntuta a terra. Adesso era Estella a osservarlo con gli occhi tondi. Toc, Jim colpì con la punta della


mazza un’estremità della lippa e la fece saltare frullando, quindi le assestò una seconda botta a mezz’aria e poc, la lippa filò via. «Acchiappala!» gridò Jim. Estella corse a raccattarla. Jim le ordinò di lanciarla dentro il cerchio di gesso. Estella la scagliò con tutte le forze, la lingua tra le labbra nello sforzo di essere precisa: «Becca!» Jim aspettò la lippa a piè fermo, la colpì al volo con la mazza e la rinviò lontana. «Ora tocca a me battere!» esclamò Estella. Jim le cedette mazza e postazione. Il gioco avvinse i due ragazzini: si affannavano, correvano, imprecavano, cadevano, si rialzavano, battevano, esultavano quando facevano punto. Il solitario Jim era contento di aver trovato una compagna, anzi un’avversaria; Estella, per parte sua, non aveva mai avuto la possibilità di scatenarsi a quel modo. «Rivincita!» Era la quinta. Alla finestra della sala comparve il


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viso della mamma. Era ancora giovane, mite e affaticata, somigliantissima a suo figlio. Si soffermò per un momento e sorrise. I due ragazzi, indemoniati dal gioco, non si erano accorti del tempo che passava. «Signorina… Estella?» Era sopraggiunto un ometto in livrea rossa, un servitore del signor Trelawney. La ragazzina lasciò cadere la mazza con una smorfia di disappunto. Il servitore non credeva ai propri occhi: la nipote del signore della contea era scarmigliata, inzaccherata e con il fiocco ridotto a una fettuccia infangata. Estella sbuffò e si avviò al calesse, mentre il servitore caricava il suo bagaglio. Jim restò a guardarla, la lippa in mano. Mentre il calesse si allontanava tirato da un pimpante cavallino, lei si voltò e gli fece un lesto ciao con la mano.

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Furio Scarpelli (1919-2010) è stato il figlio d’arte del più famoso autore e illustratore dell’infanzia del suo tempo. Ma dopo aver scritto tanto per il cinema, e con universale successo, solo negli ultimi tempi Furio aveva accettato l’idea di pubblicare le straordinarie storie illustrate che teneva nel cassetto, come il graphic novel Tormenti e questa scanzonata rivisitazione dell’Isola del Tesoro. Il libro segna il passaggio del testimone alla terza generazione: quella di Giacomo Scarpelli (Roma 1956), abituato fin da ragazzino a battere a macchina le sceneggiature che il papà scriveva con Age. Insieme hanno firmato numerosi copioni, tra cui Il postino (che li ha candidati all’Oscar) e Opopomoz. Appassionato cultore dell’eredità artistica del padre, ha ripreso in mano il testo che avevano scritto insieme e l’ha preparato per la pubblicazione: ne è nato questo libro.

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Estella e Jim nella meravigliosa Isola del Tesoro è una rivisitazione e insieme una parodia dell’immortale romanzo di Stevenson. Ripropone con umorismo la grande avventura tra pirati, mari, foreste, con le indimenticabili figure di Jim Hawkins, del Capitano Smollett, del Dottor Livesey e di John Silver. Ma ecco sbucare anche nuovi personaggi, a cominciare proprio da Estella, una graziosa, bisbetica ma saggia ragazza creata per colmare una lacuna nei romanzi classici, popolati di soli maschi. Scopriamo anche due nuovi amici di Jim: il topolino Cook e il Pellicano, mascotte della goletta Hispaniola. E poi c’è il marinaio napoletano Zito, uno dei caratteri più divertenti e imprevedibili di questo racconto, insieme allo stralunato Ben Gunn. Il tratto principale di Ben qui è l’amore per la natura: il vecchio naufrago trema all’idea che un giorno possa essere rovinata dalla mano dell’uomo. Forse, in definitiva, il tesoro non è quello del Capitano Flint, cui buoni e cattivi danno la caccia, bensì l’Isola di per sé…

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