I segreti dei Mondiali

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Darwin Pastorin

I segreti dei Mondiali


Darwin Pastorin I segreti dei Mondiali disegni di Desiderio

Prima edizione elettronica nella collana EGAL: luglio 2012 Prima edizione cartacea nella collana Uao: maggio 2010 © 2012 Carlo Gallucci editore srl – Roma è un libro della sezione EGAL per l’editoria elettronica Libro elettronico formato pdf ISBN 978-88-6145-472-9 www.galluccieditore.com Questo libro elettronico (ebook) contiene materiale protetto da copyright e non può essere copiato, riprodotto, trasferito, distribuito, noleggiato, licenziato, trasmesso in pubblico o utilizzato in alcun altro modo, fatta eccezione di quanto è stato specificatamente autorizzato dall’editore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile. Qualsiasi distribuzione o fruizione non autorizzata di questo testo così come l’alterazione delle informazioni elettroniche sul regime dei diritti costituisce una violazione del diritti dell’editore e dell’autore e sarà sanzionata civilmente e penalmente secondo quanto previsto dalla legge 633/1941 e successive modifiche. Questo libro elettronico (ebook) non potrà in alcun modo essere oggetto di scambio, commercio, prestito, rivendita, acquisto rateale o altrimenti diffuso senza il preventivo consenso scritto dell’editore. In caso di consenso, tale ebook non potrà avere alcuna forma diversa da quella in cui l’opera è stata pubblicata e le condizioni incluse alla presente dovranno essere imposte anche al fruitore successivo.


Germania Ovest 1974

La rivoluzione sconfitta

pagina 7

Argentina 1978

La partita truccata

15

Spagna 1982

Il bomber risorto

19

Messico 1986

Undici tocchi magici

25

Italia 1990

Una strana borraccia

31

USA 1994

Undici metri amari

37

Francia 1998

Giallo a Parigi

43

Corea del Sud-Giappone 2002

Fischio polemico

49

Germania 2006

Una testata micidiale

57

Prima della Coppa del Mondo

C’era una volta la Rimet

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GERMANIA OVEST 1974

La rivoluzione sconfitta

on esiste spettacolo più bello e affascinante, capace, ogni quattro anni, di incollare davanti alla Tv milioni e milioni di appassionati: il Mondiale di calcio! Anche chi non sopporta il pallone, non ha una squadra del cuore e confonde Francesco Totti con un personaggio del varietà o Alessandro Del Piero con un illusionista, ammette di non perdersi una partita della Coppa del Mondo. Perché in quel mese è “impossibile” non partecipare ai match della propria Nazionale, sognando di accompagnarla sino alla finale, con il capitano che alza il trofeo, tra applausi interminabili e luci abbaglianti. E tutti pronti a scendere in piazza per fare festa fino al tintinnare dell’alba!

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I segreti dei Mondiali

I Mondiali rappresentano uno scrigno pieno di sorprese meravigliose: match memorabili, gol impossibili, rigori realizzati e sbagliati, parate decisive all’ultimo minuto, ma anche vicende misteriose e partite “strane”. Leggerai qui la storia dei Mondiali a partire dall’anno in cui presero il nome attuale. Di ogni edizione troverai l’episodio più curioso o particolare, la vicenda memorabile o quella passata, inspiegabilmente, in secondo piano. Ogni capitolo ti sorprenderà, facendoti sorridere e indignare o lasciandoti a bocca aperta per lo stupore. Il racconto comincia dunque dal 1974, cioè da quando il Mondiale cambiò dizione, diventando World Cup: semplicemente Coppa del Mondo. Prima di quella data il trofeo si chiamava “Rimet”, dal nome del suo ideatore, il francese Jules Rimet. Nel 1970, in Messico, vinse per la terza volta il Brasile dei giocolieri, superando tra l’altro in finale l’Italia per 4-1 e, secondo il regolamento, fece sua per sempre la Coppa Rimet. Quattro anni dopo, nel 1974, eccoci in Germania con la nuova versione, non meno combattuta, non meno attraente. L’Italia, vice-campione in carica, è esclusa nel girone eliminatorio, dopo una vittoria su Haiti, un pareggio con l’Argentina e la sconfitta contro una 8


La rivoluzione sconfitta

sorprendente Polonia. Il ritorno a casa sarà accolto da polemiche e lanci di pomodori! Quella malinconica avventura è stata narrata dallo scrittore Giovanni Arpino in Azzurro tenebra, diario letterario di una disfatta. Il Brasile, campione in carica, arriverà soltanto quarto, dietro i polacchi dell’ala destra spelacchiata Grzegorz Lato, un furetto velocissimo, imprendibile. Questo sarà il racconto dei vinti, non dei vincitori. Il racconto dei secondi: gli Olandesi che, in quegli Anni Settanta, trasformarono radicalmente il modo di intendere e di concepire il football. Di loro si parlò come degli artefici di una vera e propria rivoluzione tecnica e tattica: i giocatori non avevano un ruolo fisso, ma dovevano muoversi attraverso il campo cambiando posizione in modo da “stordire” gli avversari. Un cronista brasiliano lo definì “caos organizzato”. Il portiere usciva dai pali con la palla al piede e impostava l’azione, i difensori si trasformavano in centrocampisti, gli attaccanti retrocedevano a sostegno della retroguardia: mai visto niente di simile nel calcio europeo! La maggior parte delle formazioni marcava a uomo, cioè giocatore contro giocatore, talvolta in maniera asfissiante. L’Italia, poi, era famosa per il contropiede: difesa accorta e, infine, il lancio in profondità per le punte. Ma gli schemi erano rigi9


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di: nessuno – salvo il fantasista, che di solito indossava la maglia numero dieci – poteva improvvisare. L’Olanda – allenata da Rinus Michels, soprannominato “il santone” perché era un vero e proprio guru del pallone, l’artefice di quella maniera di esibirsi senza paura e senza pudori – rappresentava una meravigliosa orchestra, un collettivo dove tutto sembrava funzionare alla perfezione. Il fuoriclasse di quell’orchestra era Johann Cruijff: alto e dinoccolato, il 14 sulle spalle (perché a 14 anni aveva vinto il suo primo torneo), si muoveva con l’eleganza di una gazzella. Merito suo fu anche la fortuna della squadra di club a cui apparteneva, l’Ajax di Amsterdam. L’an-


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no prima aveva vinto, per la terza volta consecutiva, la Coppa dei Campioni a Belgrado battendo la Juventus per 1-0 con una rete della punta Johnny Rep, che aveva saltato di testa almeno un metro più in alto del suo marcatore, il terzino Silvio Longobucco. Dopo quell’ennesima impresa, Johann Cruijff era stato acquistato dal Barcellona, uno dei club più ricchi e prestigiosi a livello internazionale. E adesso l’Olanda, in terra tedesca, voleva impadronirsi del mondo, attraverso il “caos organizzato” e le prodezze di Cruijff. La storia di Cruijff ha il sapore di una favola. Johann aveva perso papà Manus a soli 12 anni. Mamma Nel, che abitava nel quartiere popolare di Betondrop, a pochi passi dallo stadio “De Meer”, aveva chiesto di essere assunta come lavandaia: un lavoro, ma anche un modo per far sfogare il figlio, che amava giocare a pallone dalla mattina alla sera. Quanti vetri dei palazzi di via Tuinbouw avevano rotto lui e i suoi amici! Johann puliva le scarpe dei campioni, aiutava la madre a stendere le magliette per farle asciugare e, intanto, si metteva in mostra nelle formazioni giovanili. Magro come un chiodo, ma così veloce e imprevedibile da far ammattire persino i difensori più ruvidi ed esperti, appena diciassettenne debuttò in prima squadra contro il Groningen. Fu l’inizio di 11


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un’avventura straordinaria. Per farsi i muscoli, Johann si allenava con le tasche della tuta colme di pietre e di sabbia. D’accordo lo stile, ma serviva pure la forza, soprattutto contro certi mastini che, per fermarlo, non andavano troppo per il sottile puntandogli i gomiti nei fianchi o cercando di buttarlo a terra con spintoni al limite del regolamento. Fin dai primi approcci con il football dei grandi, Cruijff dimostrò una immensa serietà, non lasciando nulla di intentato per migliorarsi, per diventare sempre più bravo e potente. Tutti strabuzzavano gli occhi nel vederlo all’opera. Sembrava occupare, con impressionante leggerezza, ogni zolla del campo, toccando il pallone con vellutata precisione e singolare maestria. Era nato il “giocatore nuovo”, diverso da tutti gli altri, senza un ruolo preciso: non una punta, né una mezzapunta, tanto meno un semplice centrocampista. Alfredo Di Stefano, il campionissimo argentino che aveva stupito l’universo calcistico con la casacca bianca del Real Madrid, trovò il modo migliore per definirlo: «Johann è un attaccante senza fissa dimora». L’Olanda, grazie a Cruijff, partì per la Coppa di Germania con una convinzione: quella di vincere, dando spettacolo. Johann, che aveva firmato per il Barcellona, si sentiva al centro delle attenzioni: era 12


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lui il calciatore più intervistato, più degli italiani Dino Zoff e Gianni Rivera, più dei brasiliani Roberto Rivellino e Jair Ventura Filho, detto Jairzinho. Riusciva a tenergli testa soltanto il tracagnotto Gerd Müller, soprannominato dai giornalisti britannici “mister gol”. Müller lanciò la sfida al suo rivale: «Ci vedremo in finale, ma non sarò io a piangere, di sicuro!» Johann sorrise, non voleva provocare, voleva soltanto far valere la sua legge: quella del più bravo in assoluto. Disse: «Noi vogliamo mostrare al pubblico che il calcio può essere un’arte, una danza». Gli olandesi macinavano, match dopo match, gioco e reti: prima della finale, collezionarono cinque successi e soltanto un pareggio, 0-0 contro la Svezia. Eccoci, dunque, all’atto conclusivo. Monaco, 7 luglio 1974: Germania Ovest contro Olanda. La partita fu vibrante: al 2’ segnò Johannes Neeskens su rigore (fallo ai danni di Johann) per gli olandesi, i tedeschi pareggiarono al 25’, sempre dal dischetto, con Paul Breitner. Cruijff subiva la marcatura asfissiante di Berti Vogts, un tipo dalla faccia sgherra, tosto, appiccicoso. Sembrava l’ombra cattiva del campione con la maglia numero 14. Al 43’ Müller, districandosi in area, trovò lo spiraglio giusto per realizzare il 2-1, sigillo della vittoria. La 13



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