Marino Iotti Risonanze del visibile Coordinamento editoriale Daniele Paterlini Redazione Erika Varesi Grafica Davide Pescini Fotolito, impianti e stampa Edicta scrl In copertina: Risonanze, 2010 Olio su tela, collage cm 170x265 Edizioni Edicta scrl Via Torrente Termina, 3/b 43124 Parma www.edicta.net ISBN 978-88-89998-34-2
Comune di Reggio Emilia Assessorato Cultura e UniversitĂ Musei Civici Mostra Marino Iotti. Risonanze del visibile Opere 1990/2010 A cura di Claudio Cerritelli 5 marzo - 10 aprile 2011 Sala Esposizioni Chiostri di San Domenico Assessore alla Cultura e UniversitĂ Giovanni Catellani Direttore Musei Civici Elisabetta Farioli Coordinamento organizzativo Alessandro Gazzotti Segreteria organizzativa Anna Cola Amministrazione Mara Spaggiari Fotografie Claudio Cigarini Ufficio stampa Patrizia Paterlini Allestimento e logistica Mariano Barresi, Uris Bonori, Gioacchino Daniele, Federico Fornaciari, Monica Maramotti, Vainer Marconi con il contributo di
Marino Iotti Risonanze del visibile
A cura di
Claudio Cerritelli
Indice 9 Claudio Ceritelli Risonanze del visibile Sul percorso pittorico di Marino Iotti 21 Fenditure - Percorso poetico di Paolo Fichera sulle opere di Marino Iotti 27 Opere 121 Antologia Critica 131 Biografia 132 Bibliografia 134 Esposizioni
RISONANZE DEL VISIBILE Sul percorso pittorico di Marino Iotti (1990-2010) Claudio Cerritelli 1. Referenti preliminari All’inizio degli Anni Novanta la ricerca pittorica di Marino Iotti perviene alla sintesi provvisoria di un processo immaginativo legato ai referenti naturalistici, alle relazioni con i segni del paesaggio, alle forme vegetali e alle loro metamorfosi. Uno dei temi dominanti di questa stagione preliminare è quello dell’albero, inteso come struttura figurale che accoglie molteplici riflessioni sui modelli di rappresentazione. Non ancora trentenne, il giovane pittore reggiano indaga le diverse proprietà del visibile pittorico, affronta il rapporto tra segno e colore, tra struttura dell’immagine e valori luminosi che da essa si sprigionano, con un senso di astrazione che mantiene sempre attivo lo sguardo sulla natura. La materia pittorica è sottoposta a un esercizio di lenta esplorazione, sia come persistenza dei meccanismi figurali del paesaggio, sia come elaborazione delle consistenze cromatiche. In questa fase di accertamento, Iotti seleziona i fenomeni del reale per scoprirne i valori essenziali, da un lato le forme emergono attraverso profili taglienti e contorni nitidi, dall’altro prevalgono variazioni di luce che giocano su ombre e bagliori in continuo divenire. L’equilibrio delle diverse componenti è uno stato di inquietudine formale con cui l’artista non pretende di risolvere le contraddizioni del visibile ma desidera accogliere le risonanze del mondo esterno, attraverso “i due poli dati dalla figura umana e da forme vegetali”. (A. Gianolio, 1980) Tutto avviene attraverso la visione evocativa del colore, un colore che nasce dall’incontro con il soggetto rappresentato, concentrato sulla stilizzazione dei referenti naturalistici più che sull’apparenza della loro forma realistica. Del resto, la ripresa d’interesse nei confronti della pittura durante gli Anni Ottanta indica un clima culturale disposto a considerare l’atto del dipingere come strumento creativo ancora carico di interesse. Questo avviene anche se ricerche poste sotto il segno del “nuovo” hanno sempre considerato il ruolo della pittura – almeno dai primi Anni Sessanta – come funzione comunicativa superata, posta ai margini del dibattito prevalente sulle nuove tecnologie e sulle sue espansioni spazio-temporali. Immerso come altri pittori della sua generazione nella profonda tensione del dipingere, Iotti non cede alle lusinghe di nuove tecniche linguistiche e lavora con convinzione a delineare il suo percorso pittorico all’interno delle suggestioni visive del paesaggio. A sostenere il pensiero vitale della pittura nella società viziata da molteplici forme di speculazione sulla “natura” contribuisce un atteggiamento riconducibile ad un “filone ecologico” con cui l’artista vuole recuperare un perduto “equilibrio tra uomo e natura, primordialmente fusi in un’entità omogeneamente inscindibile”. (G. Galli, 1986) All’inizio degli Anni Novanta la visione sensibile del colore si rafforza attraverso la congiunzione immediata tra la funzione strutturante del segno e la libertà d’immagine che solo il possesso della materia può garantire. Avvalendosi sia della tradizione del naturalismo padano sia delle grammatiche germinative dell’informale italiano, Iotti entra nel vivo del gesto pittorico con opere che affrontano la forma nel fluire dell’impulso cromatico, sempre suscitando la sensazione che ciò che la pittura restituisce è la traccia di un respiro molto più vasto, la testimonianza di un modo di organizzare lo spazio come visione corporea del colore.
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Composizione, 1995 Olio su tela 110x110 cm
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Diario, 1998 Tecnica mista su tela 100x100 cm
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2. Flussi e congiunzioni della natura La sequenza dei dipinti scelti per la presente mostra antologica prende avvio da questa fase di accentuazione del ritmo dinamico dell’immagine, momento decisivo per comprendere lo sviluppo che, nel corso di due decenni (1990-2010), consentirà all’artista di verificare molteplici possibilità di sollecitare la materia pittorica come risonanza del paesaggio. Nelle opere che aprono questo percorso la composizione è sorretta da un movimento circolare, accerchiante, avvolgente, come un vortice di sensazioni cromatiche dove lo sguardo viene attratto dal frantumarsi delle pennellate, in sintonia con il divenire delle fibre cromatiche. L’immagine del paesaggio è fissata nel flusso della natura verdeggiante e luminosa, nel dinamismo dei segni che imprimono direzioni diverse, giungendo sia “alla sintesi di un linguaggio figurativo dinamico e scattante” (G.Ardissone, 1991), sia “alla sublime congiunzione di chi guarda e della cosa guardata”. (G. Ferrari, 1992) L’immagine si carica di evocazioni primordiali, è scossa da schegge mutevoli di colore che deflagrano con movimenti improvvisi, essi provocano bagliori e scatti luminosi che tengono lo sguardo in allerta, anche quando sono i neri e i grigi a balenare nella vibrazione di un attimo. In quest’atteggiamento giocato sul vitalismo immaginativo Iotti privilegia il transito dei segni, affida ogni palpito visivo alle oscillazioni del gesto pittorico, alla vertigine delle forme che nascono dalle pulsazioni del colore. Lo scorrimento dello sguardo da un punto all’altro della superficie indica la compresenza di ritmi diversi che invadono la superficie lasciando sensibili scie del loro movimento, tangibili tracce del gesto irripetibile con cui l’artista esprime il proprio essere nel mondo. Se questo stato d’animo tendente all’astrazione gestuale caratterizza le opere dipinte tra il 1990 e il 1992, negli anni appena seguenti l’immagine del paesaggio torna a configurarsi in senso figurale e frontale, acquista una visibilità evocativa, senza mai cedere a notazioni naturalistiche. Anzi, l’immagine della natura è luogo di atmosfere inconsuete, di bagliori che trapelano dalla soglia del colore, miraggi percettivi che suscitano pensieri ulteriori rispetto a quelli che accompagnano la vita di tutti i giorni. Si tratta infatti di una forza cromatica diversa rispetto a quella del paesaggio tradizionale, non più una visione contemplativa e consolante, piuttosto invenzione pittorica che nasce nel folto dispiegarsi della materia, svelando gli umori segreti e i percorsi nascosti del visibile. Nelle opere dipinte tra il 1993 e il 1994 (i titoli indicano semplicemente Composizioni e Paesaggi) riemergono valori chiaroscurali che ripropongono la tensione tra figura e sfondo, tra orizzonte terrestre e ricerca della vertigine spaziale, con una prospettiva comunicativa dove “tutto è ambiguo, tutto allude ad altro e in altro si va trasformando, alternandosi, vanificandosi”. (S. Moretti, 1995) Da queste ambivalenze visive si passa a volumetrie astratte che possono identificarsi in alberi e architetture naturali, figure sospese tra terra e cielo, presenze misteriose che racchiudono il senso inesplicabile del rapporto tra uomo e natura, perfetta simbiosi tra valori sensoriali e aspirazioni spirituali. Le forme sono frammenti in tensione con il vuoto, forme solide che aprono varchi, talvolta spezzate e attraversate dagli andamenti spiralici del segno, graffiate ed esasperate
dall’andamento verticale delle linee che si avviluppano tra differenti energie cromatiche messe in campo. In alcuni paesaggi è il verde a dominare evocando bagliori che non hanno alcun riscontro con la realtà, sono emanazione di pura luce pittorica, emozione soggettiva che Iotti fissa con tecnica vigorosa, senza mai rinunciare al dialogo tra colore dipinto e sperimentazione grafica. L’intensità del colore è spesso attenuata da schiarite di bianco che alleggeriscono il peso delle ombre, dense oscurità che incombono sull’equilibrio compositivo suggerendo atmosfere quasi visionarie. Nell’immagine del paesaggio scorrono brezze ariose, atmosfere mutevoli che acquistano evidenza nel tumulto delle forme, nei contrasti e negli accordi del gesto, nel ruolo decisivo che assume “la visibile traccia del pennello sulla tela per disegnare curve falcate e per distribuire il colore, ora sovrapponendolo leggermente in velature successive, ora imponendolo in masse coprenti”. (M. Mussini, 1994) Quando è il blu ad avvolgere la spazialità dilatata del paesaggio si avverte una dimensione lirica che lascia trasparire ventilazioni leggere, temperature evanescenti, sensazioni che trasmettono una dimensione sognante che gradualmente porta lo sguardo verso spazi lontani. Su questa soglia tra il reale e l’infinito, il linguaggio della pittura cerca toni svagati, profili sfumati, aloni di forme che sembrano impronte sfuggenti dell’inconscio, si sottrae a qualunque riconoscibilità immediata giocando su minime consistenze e su instabili parvenze.
Diario, 1995 Acrilico su tela 110x110 cm
3. Giardini di luce e diari di scrittura A metà degli Anni Novanta l’esigenza di dialogare con il volto sospeso del paesaggio è indicata da un ciclo di opere dove il colore è trattato come un soffio leggero che avvolge lo spazio trasfigurando i segni e le forme, quasi senz’altra alcuna reciproca separazione. E’ come se lo spazio della natura emergesse dalla memoria con la vaghezza indicibile della luce appena sfiorata dal contatto con le cose. In tal senso, l’artista non teme di evocare lo stupore dell’infanzia, l’incanto dei primi modi di sentire la natura, di avvertire il profumo intenso dei fiori, inebriandosi di colori e di luci, in uno stato di abbandono alla pura esperienza dei sensi. In alcune opere è evocata l’immagine del “giardino” come oasi, dove coltivare il sentimento quotidiano del dipingere, bastano pochi segni per esprimere la trasparenza e l’immediatezza del rapporto sognante con la natura, tanto che il volto misterioso del visibile si vela spesso di meraviglia. Il “giardino” è il luogo della purezza che il colore insegue come desiderio di congiungere la fisicità della natura alla sua astrazione mentale, esso è il territorio illimitato che lo sguardo esplora immergendosi nelle presenze evanescenti che l’occhio osserva non stancandosi mai di registrare ogni minima variazione di luce. Quest’atteggiamento richiede una lentezza del tempo percettivo che l’artista sente necessaria per comunicare il soave trasfigurarsi della natura, le mutevoli sorprese che tengono in bilico lo sguardo del lettore, sollecitato ad abbandonarsi allo stato d’animo del giardino senza preoccuparsi di distinguere le forme che lo compongono. L’emozione del dipingere si rivela ancor più intensa nelle opere dedicate al tema del “diario” (1996-1999), quotidiana necessità di fare i conti con la forza assorbente del colore, con le vibrazioni del suo ininterrotto fluire sul filo della memoria, in costante relazione con le inquietudini del presente. 11
Paesaggio, 1993 Tecnica mista su tela 100x100 cm
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La pittura diventa - in questi anni di felici intuizioni - un esercizio fortemente legato alle incidenze del segno sulla pelle del colore, un succedersi di ritmi cromatici che alludono ad armonie e contrappunti musicali, scansioni spaziali che somigliano a partiture immaginarie, calibrate trascrizioni di suoni in colori. Silenziose astrazioni sono affidate a lievi impronte del bianco, l’immagine del vuoto prelude alla genesi di leggere atmosfere, da minimi segni sulla pagina si passa al respiro ampio del colore. La pittura come “diario” evoca ogni volta misure diverse, frammenti di un racconto che interroga la superficie lasciando trapelare umori segreti, sentimenti nascosti, desideri ancora da svelare, nuove avventure del pensiero immaginativo. Nell’atto di fissare le fluttuazioni del visibile, la passione quotidiana del dipingere permette di raccogliere gli appunti immediati della scrittura, infatti “il diario di Iotti esprime una gestualità rapida che fissa istantaneamente sulla tela gli impulsi interiori, trasformandoli da segni calligrafici in pittura”. (G. Cerri, 1998) Le atmosfere luminose del colore dialogano con le traiettorie della scrittura suggerendo una connessione tra parole e immagini, entrambe partecipi dello stesso dinamico fervore, infatti l’inserimento delle lettere nel tessuto pittorico avviene seguendo i movimenti delle pennellate. Il modo di organizzare i segni nel divenire della superficie fa pensare alle composizioni intermittenti di Paul Klee, artista di indecifrabile complessità tra i più amati dal nostro pittore, soprattutto quando la fantasia è in cerca di poesia per volare oltre le fasi di elaborazione degli strumenti pittorici. Nella dimensione lirica del “diario” la scrittura è vissuta come una visione aperta che si accresce nell’atto del suo farsi, si avvale di linee più o meno marcate, di forme angolari e, soprattutto, di movimenti alternati tra il pieno e il vuoto, combinazioni ininterrotte di segni che, seppur frantumati e separati- agiscono reciprocamente. In altri casi, il riferimento corre a Gastone Novelli e al suo modo di concepire la pittura come quotidiana ricerca dell’invisibile, dimensione evocativa dove spazio e tempo viaggiano su indecifrabili onde interiori. Allo stesso modo, passato e presente alludono a medesimi universi del senso, intrecciano i loro percorsi di lettura per portarsi oltre, infatti, il peso della memoria e quello la fantasia convergono per creare i segni del futuro. Ciò che più conta non è solo fare pittura come ricerca di progetti possibili ma creare le condizioni perché l’opera sappia sospingere l’osservatore al di là delle proprie abitudini, quasi per costringerlo a sognare, a leggere segni e colori come elementi legati alle energie poetiche dell’immaginario. Non a caso, Iotti ricorre spesso a titoli che indicano direttamente l’universo della poesia e la figura del poeta, tramiti irrinunciabili per accordare diverse sensibilità nella stessa necessità di fantasticare davanti allo spettacolo della natura. Se è vero che la tentazione è quella di congiungere colore parola e suono nella concordanza delle loro differenze, è altrettanto necessario ricordare che l’impulso del dipingere si fonda sul proprio dinamismo, senza altri referenti che quelli del proprio rivelarsi. In “ Poesia rosa” (1998) oppure in “Diario rosa” (1999) tutto dipende dall’ abbandono lirico e dalla disponibilità a trasformare lo stato d’animo iniziale in qualcosa di diverso, nella scelta di un colore delicato ed espansivo che esprime un’immagine poetica, libera da qualunque vincolo. Si tratta di un modo di concepire la pittura come campo magnetico di segni e di forme
che hanno il compito di alleggerire il peso della vita, di allentare la morsa delle frenesie quotidiane, di liberare il pensiero lungo spazi sconfinati che aprono lo sguardo verso universi paralleli, senza inizio né destinazione, sono solo percezioni infinite in forma di pittura. Sul finire degli anni Novanta molteplici tensioni spaziali occupano la superficie, da un lato la frammentazione del segno in armoniche composizioni, dall’altro il costituirsi di un addensamento di materia verticale e centrale che può assumere valenza di figura, di albero o semplicemente di misterioso spiraglio dentro la luce del visibile. Questi modi di trasformare l’automatismo pittorico in visione illimitata é desiderio di rompere i canoni dilatando la coscienza dell’esprimersi, è ricerca di libertà immaginativa che spinge le forme verso nuovi equilibri tra il controllo razionale e la spontaneità necessaria a perdersi nelle procedure del dipingere. Ogni opera è un’avventura diversa dove l’artista mette in atto la sua sapienza pittorica, ma dove è anche disposto a verificare nuove insorgenze del colore, interessato a ricavare dal trattamento delle materie insegnamenti decisivi per dare forza e impulso alle forme nel loro divenire. 4. Emozioni e ragioni del colore Anche se non è mai utile -in assoluto- ragionare per decenni, soprattutto nel caso della pittura e delle sue continuità con il passato, sia concesso utilizzare questo schema per seguire con ordine il susseguirsi delle opere nei loro continui rimandi e nelle sovrapposizioni dei temi iconografici. All’inizio del 2000, la ricerca di Iotti esplora nuove possibilità evocative dell’immagine avvalendosi di altre risonanze del visibile, questo orientamento avviene senza che nulla vada perso del percorso seminato e tutto possa offrirsi come apertura verso nuove verifiche del dipingere. Mentre l’arte si intrattiene con i grandi fermenti tecnologici del nuovo millennio, il ruolo della pittura non mette in discussione i caratteri del colore dipinto che – nel caso di Iotti – oscillano tra l’orizzonte intramontabile del paesaggio e il sogno smisurato dell’altrove, polarità di una dialettica che si rinnova opera dopo opera, come eterno ritorno dell’immagine su se stessa. Il racconto pittorico scorre tra forme conosciute e latitudini ignote, tra tonalità calde e aspre graffiture, tra nutrimenti materici e vuoti d’aria, con un senso di ricerca che non è mai appagato dai risultati raggiunti, vorrebbe sempre rimettere in questione quanto ha già preso sembianza nella sostanza dei segni e delle forme. In questo procedere lungo i sentieri persistenti della “natura” emergono altre apparizioni, il colore acquista densi spessori, si muove ora cancellando ora sovrapponendo dettagli del vissuto, ricordi e premonizioni, tracce che preludono a nuovi percorsi. La fisicità del colore amplifica le sue valenze materiche, si concentra sulle consistenze tattili che trattengono gli umori della terra, mentre la pelle della superficie si disgrega sotto l’azione del segno che incide, graffia e provoca altri fervori visivi, rivelando le parti ruvide rispetto a quelle lisce. D’altro lato, Iotti non rinuncia a volgere lo sguardo verso la vastità luminosa del cielo, il grande spazio che sta sopra l’orizzonte, anzi questa tendenza a verticalizzare l’immagine si rafforza ogniqualvolta s’impone il superamento del terrestre e l’immagine entra in relazione con l’invisibile. In “Leggendo le nuvole” (2002) le geometrie figurali in primo piano- figure terrestri di emblematica decifrazione- sono sovrastate da un’atmosfera luminosa dove viaggia una
Giardino, 1995 Olio su tela 110x110 cm
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Giardino, 1995 Olio su tela 110x110 cm
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grande forma aerea disegnata nel bianco, rivolta verso astratte spazialità, impronta della memoria ma anche prefigurazione del futuro. Le scritture, gli alfabeti, i geroglifici che compaiono nel profilo della nuvola alludono alle storie del cielo, all’identità mutevole di tutte le nuvole possibili, tramiti con i respiri del cosmo, con le fluttuazioni del visibile-invisibile che transitano per un attimo e svaniscono come apparizioni fugaci che l’occhio non distingue. Del resto, lo stato d’animo dell’inquietudine è il filo conduttore di un modo di sentire la materia come ininterrotto palpito emotivo, esperienza imprevedibile, processo che nessun controllo razionale può programmare, a meno che il pittore voglia cedere alle lusinghe manieristiche del mestiere. Di questo non si tratta, da un simile rischio Iotti si tiene ben lontano, la sua sensibilità non ammette compromessi, infatti “attraverso la forza del segno e del fascino del colore, la sua pittura racconta le inquietudini che ciascuno di noi vive nel profondo davanti al mistero della vita e di fronte agli avvenimenti drastici di questo nuovo millennio”. (M. Paderni, 2002) Il tema della solitudine umana è connesso a questo stato d’animo conflittuale, lo si avverte nelle ieratiche figure antropomorfe che si affacciano tra paesaggi e astrazioni, con l’aria di chi si sente isolato nel frastuono del mondo e delle mode culturali. A guidare questi stati d’animo è ancora la figura simbolica dell’artista-poeta alla ricerca del proprio spazio di meditazione, solitario viandante ai confini della percezione, con il corpo minacciato dalle insidie del tempo, segnato dalle cicatrici della memoria. Ognuna di queste figure di poeta ha occhi grandi e smarriti, appena cerchiati dal segno, presenza allusiva che sta nel paesaggio ma che nutre pensieri che vanno oltre il perimetro della realtà, verso percorsi adatti ad una migliore conoscenza dei sentimenti umani. I riferimenti culturali del secondo ‘900 avanzati dalla critica che si è occupata di Iotti sono molteplici, e sono tutti esempi legati alle inquietudini del segno e agli ardori della materia che trasformano ogni visione in altrettanti sconfinamenti espressivi: da Giacometti a Dubuffet, da Wols a Fautrier, dall’Informale all’Art Brut, dall’Astrattismo lirico all’Espressionismo astratto, fino al Graffitismo americano. Si tratta di una mappa talmente vasta che può comportare il rischio di smarrirsi in qualcosa di generico, per fortuna Iotti si nutre di questi referenti ideali con umiltà e rispetto, cognizione che gli permette di coltivare i caratteri della sua formazione culturale, senza travisarne mai il senso originario con la pratica disinvolta della citazione. Al di là di possibili affinità stilistiche, l’artista è consapevole che le fonti di ispirazione della sua arte sono le forme del vissuto, gli umori della terra emiliana, le superfici erose dal tempo, le sostanze ruvide, i vecchi intonaci, le argille porose, i sedimenti della polvere, i lacerti di materie in disuso, sottratte al destino della dimenticanza e dell’abbandono. Prima che le componenti extra-pittoriche assumano una precisa funzione all’interno dell’immagine è la materia del colore a guidare ogni pensiero, a filtrare ogni tentazione di mettere ordine al caos delle forme, organizzandole in calibrate composizioni dove l’istinto informale agisce insieme con l’esigenza di strutturazione dello spazio. Da questa duplice esigenza nascono opere dove le strutture figurali e astratte dialogano all’interno della stessa metamorfosi, con la convinzione che solo attraverso la fusione di tutti gli elementi si può pervenire ad un “paesaggio” che in sé contenga il graffio e l’erosione, lo spessore e la scalfitura, il segno calligrafico e la traccia, il gesto veloce e la calcolata stesura del pigmento.
5. Segreti nutrimenti della materia Una lettura non trascurabile dell’arte di Iotti è quella che considera la materia pittorica assimilabile alla terra coltivata, agli umori delle stagioni, alle germinazioni consistenti della natura, alla vitalità interna alle forme del paesaggio come metafora del divenire della pittura. “Paiono, a volte, le stesure di Iotti un campo riarso, screpolato, colto nei periodi di siccità, che mostra le sue mutazioni, dalla semina al raccolto, che conosce il tempo del silenzio, e che respira le luci, i tepori, le asprezze delle stagioni”. (S. Parmiggiani, 2004) La verità di questa interpretazione accompagna anche la lettura delle opere successive alla fase a cui il critico fa riferimento, essa è dunque direttamente riscontrabile in tutte le opere dipinte fino ad oggi, soprattutto quelle dedicate al paesaggio, alla terra d’Emilia, ai ricordi di viaggio e agli attraversamenti di territori sospesi tra la luce celeste del cielo e gli sprofondamenti nelle atmosfere notturne. Si tratta di un percorso che l’artista conduce affidandosi a diverse fonti di ispirazione, in realtà la genesi dell’immagine è l’energia istintiva del segno che scava dentro i segreti della materia, unica e vera generatrice di mistero. Ponendosi sulla lunghezza d’onda delle risonanze cromatiche, Iotti concepisce la pittura come un canto poetico dove i battiti del segno, le intermittenze del colore e le stratificazioni delle materie giocano sull’alternanza di ritmi astratti e variazioni figurali. Ogni composizione è dunque un equivalente visivo di valori musicali che i colori sollecitano stabilendo accordi e consonanze con i segni, le scritture, le scalfiture, le tracce e i sedimenti che l’artista va disponendo sulla superficie mettendo sempre in sintonia le singole parti con il tutto. Colore e suono sono strumenti in reciproca tensione, sono possibilità che il pittore ha di immaginare un dialogo con l’energia dell’invisibile, “è l’elemento poetico unito a quello musicale (…) quando a dominare è il lirismo, che si carica di una musicalità dolce e intensa” (F. Baboni, 2005) Nel corso del tempo emergeranno altri omaggi a musicisti (Le mer, omaggio a Debussy, 2010, Omaggio a Gorecki, 2010) e sarà sempre evocazione appassionata di universi comunicativi in cui l’artista cerca analogie visive con la propria pittura, fluide affinità in grado di restituire corrispondenze tra la forza espressiva del colore e la carica evocativa della musica. Del resto, il pittore è interessato alla sonorità dei colori, a spazializzare variazioni e accordi che restituiscono le tensioni musicali del dipingere, sempre distinguendo la specificità del linguaggio pittorico da quella degli altri mezzi espressivi. In tal senso, anche la letteratura è talvolta sentita da Iotti come un referente immaginario, come arte complementare alla pittura (Omaggio a Rigoni Stern, 2010), sapendo che tra ricerca letteraria e processo cromatico vi può essere solo corrispondenza di ritmi, tensioni semantiche, emozioni verbali e visive, visioni della vita. Sognare la pittura al di là del proprio perimetro fisico significa –inoltre- portarsi verso l’altra parte del visibile, abbandonare gli aspetti superflui, stimolare la percezione del paesaggio nella sua complessa identità, fatta di ciò che si vede ma anche di ombre che stanno dietro la sua apparenza. La perseveranza che Iotti dimostra nel condurre questo viaggio tra la memoria e il presente affiora come un sentimento del tempo illimitato, senza garanzia alcuna, con piena coscienza che a dominare è l’incertezza e la precarietà del cammino, unica sicurezza è infatti la pittura che cresce sulle tracce della pittura. “In nessuna parte della terra” (2006) l’idea di un altrove senza punti di riferimento si
Due poeti, 2006 Acrilico su tela 110x110 cm
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Giardino, 1995 Olio su tela 110x110 cm
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affida ad una materia disgregata in una luce variegata, impreziosita dall’arabesco sottile del segno, da una scrittura dispersa nelle grafie sospese al limite della riconoscibilità, come una visione senza tempo in cui il corpo dell’immagine si frantuma in molteplici particelle cromatiche. Lo spazio è pervaso dal dinamismo leggero delle vibrazioni, dal manifestarsi dei colori come frammenti sparpagliati del pensiero che rimandano alla visione interiore, intraducibile in parametri logici, capace invece di suscitare una trasfigurazione continua delle forme. Quest’opera appartiene a una fase particolare della ricerca di Iotti, è il momento in cui la progettualità geometrizzante allenta la morsa della composizione e cede il passo ai puri tremiti del pigmento, alla fisicità della materia che si scioglie nel respiro intermittente della luce. Negli anni seguenti la costruzione dell’immagine recupera una fermezza strutturale che andrà via via accentuandosi, cercando di dare nuovi assetti alla realtà corporea delle forme, senza mai tradire ciò che era stato raggiunto in precedenza, vale a dire “la sapiente idea dell’arte come luogo di trasmutazioni e di enigmi”. (G. Berti, 2005) Interessato a umanizzare il linguaggio della pittura come spazio del vissuto la materia di Iotti va sempre più ponendosi come volontà costruttiva di aderire agli stati d’animo del paesaggio, in tal senso conta sia l’impatto totale con la superficie sia la concentrazione sui minimi particolari. Giocando sulla compresenza di queste polarità l’artista tiene sotto controllo la relazione tra segno e colore mirando ad un’atmosfera unitaria dove l’insieme della costruzione esprime la durata dell’evento percettivo. Per verificare il carattere problematico di questa fase di ricerca basta confrontare immagini di diversa impostazione pittorica, per esempio due grandi tele dipinte nel 2007, da un lato “Cantus in memory of Benjamin Britten”, e dall’altro “Promenade”. Dal fondo scuro e magmatico della prima opera affiora un senso misterioso e carnale dove agisce una scrittura filiforme e inquieta, con impulsi segnici che graffiano la materia evocando vortici sonori e analogie musicali. La pittura rende omaggio a un grande musicista che Iotti non solo ha amato ma in cui ha identificato il desiderio di dar forma sia alle proprie felici intuizioni sia alle drammatiche vibrazioni del visibile. La seconda opera è caratterizzata da una diversa assimilazione della materia che conduce verso la luce del paesaggio, questione che ha impegnato l’artista fino ad oggi, mettendo a fuoco le differenti componenti morfologiche come partecipi della stessa pelle pittorica, dello stesso spazio. Uno spazio frontale, serrato, costruito su andamenti verticali, fitto di tensioni contrapposte, basato su contrasti tra il bianco e le terre, tra luce e ombra, tra fissità e mutazione, tutto accordato da reciproche connessioni. In questo processo di strutturazione segnica la temperatura del colore assume un ruolo decisivo, capace di trasformare l’assetto costruttivo e analitico nella trasfigurazione del paesaggio immaginario, dimora terrestre dell’altrove, destino di ogni visione possibile. A questo Iotti vuole arrivare, consapevole che le virtù tecniche da sole non possono esaurire il senso dell’opera, infatti l’esecuzione è sempre sottoposta all’invenzione, diversamente il linguaggio del colore corre il rischio di diventare prevedibile mentre l’artista vuole dar forma a qualcosa di sfuggente e irraggiungibile, vuole dare durata all’imprevedibile.
6. Confini e soglie del paesaggio Proviamo a indicare le suggestioni cromatiche dominanti raccogliendo alcune opere dell’ultimo periodo (2008-2010) all’interno di un percorso di lettura che privilegia la presenza di alcuni tramiti specifici: atmosfere, bagliori, tessiture, effetti strutturali, stimoli segnici, accordi e contrasti come dimore dello sguardo interiore. Il bianco avvolge la superficie come un manto luminoso che attenua ogni dissonanza, il suo chiarore emana una serenità che coincide con lo stato di meditazione (Incanto, 2008 – Canto bianco, 2010 – Racconto bianco, 2010 – Ai confini del bianco, 2010) Il rosso e il nero dialogano a distanza sospesi nel bianco (Due figure, 2010) oppure sono congiunti nello stesso istante (Notturno, 2010), talvolta fanno vita a sé (Composizione rossa, 2010 – L’illusione del nero, 2010) o si accordano ad altri colori senza compromessi, con la forza contrastante della luce che invade il campo dell’immagine. Con il bianco e il celeste si fanno ancor più liriche le presenze segrete del visibile (Nel cielo della pittura, 2010 – Paesaggio di pittura celeste, 2010) e questo stato d’animo si rafforza nelle tracce del blù e nei rapporti con i grigi. Proprio con il grigio il paesaggio assume variazioni e annotazioni che coinvolgono sia le astrazioni intuitive sia i referenti naturalistici, essendo il grigio una luce intermedia tra il bianco e il nero che consente molteplici gradualità (Viaggio nel grigio, 2008 – Segreti grigi, 2010 – Tra le note dei grigi, 2010 – Variazioni sul grigio, 2010 – Giardino grigio, 2010) Altro tipo di sensazione visiva è quella suggerita dalle espansioni del giallo cariche di emozioni solari (Lontano lontano, 2009), oppure dalle vibrazioni dell’arancio che accendono fantasie sensoriali illimitate (Arancio, 2009), o infine dalle seduzioni speziate dell’ocra che stimolano l’olfatto provocando leggeri turbamenti. (“Profumo d’ocra”, 2008 - Giardino d’ocra, 2008). Né vanno trascurati altri stati di luce che improvvisamente scuotono la percezione del paesaggio, come i riverberi del verde di cui s’inebria la luce dei giardini, dove lo sguardo si perde senza scampo ai confini del visibile (Lontano nel verde, 2010 – Giardino, 2010). Queste metamorfosi cromatiche trasformano la compostezza compositiva che l’attuale fase di ricerca pone in atto come necessità di consolidare lo spazio e di farne un progetto unitario, sempre seguendo l’idea di variazione dinamica di un presupposto statico, “per arrivare ad un’armonia complessiva al cui interno però continuiamo a ritrovare contrasti e contrapposizioni. (E. Mezzetti, 2009) Infatti, lo spazio pittorico di Iotti non è mai immobile, nel corso dell’ideazione si stabiliscono aspetti che vengono a modificarsi in corso d’opera secondo il rapporto che intercorre tra la diversa natura dei materiali adoperati, un rapporto stretto e immediato che non lascia spazio a ripensamenti, solo a lenti assestamenti degli elementi in gioco. Ritagli di memoria in forma di paesaggio, così si potrebbero chiamare questi incastri polimaterici ottenuti attraverso le qualità pittoriche dei materiali di cui sono costituiti, schegge di varia provenienza compresse in un assetto geometrizzante dove trovano equilibrio la forma e l’informe. L’immagine del paesaggio è stratificazione tangibile di frammenti organizzati secondo linee di demarcazione tra segno e colore, ogni regola costruttiva non nega l’emozione del fare pittura ma esalta l’equilibrio tra l’intelligenza strutturale dello spazio e libertà del gesto pittorico. Nell’atto di congiungere le materie l’artista suggerisce spiragli taglienti e respiri del vuoto, fenditure e giunture tra un pezzo e l’altro, con andamenti lievemente obliqui e comunque riconducibili ad una ortogonalità di fondo.
Giardino, 1995 Olio su tela 110x110 cm
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Giardino, 1995 Olio su tela, collage 132x95 cm
Nella pagina successiva Il Poeta, 2007 Olio su tela 120x100 cm
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Il paesaggio si articola tra misure calibrate e orientamenti divergenti, attraverso impercettibili scarti che vanno dal minimo dettaglio alla massima dilatazione della composizione. L’inserimento delle materie dentro il campo pittorico provoca minime tensioni che modificano gli umori e i ritmi del paesaggio, paesaggio di pittura – sia ben chiaroche è un concetto diverso dal genere convenzionale della “pittura di paesaggio”. Iotti è ben consapevole che si tratta non tanto di osservare il paesaggio ma di viverlo come materia attiva nei suoi meccanismi interni, gestazione non solo formale ma esistenziale, senza escludere la dimensione poetica della meditazione come riflessione sulla precarietà del tempo. Nel processo di manipolazione della materia nascono eventi non prevedibili, i piani si congiungono sul filo dell’istinto, orizzonti instabili stanno sospesi tra l’ortogonale e l’obliquo, come grandi mappe dove l’occhio si muove verso soglie di sconfinamento. Per leggere i paesaggi nella loro complessa articolazione bisogna verificare ogni minima variazione, in quanto ogni opera sembra far parte di una sequenza che -soprattutto in quest’ultima stagione creativa- assume il carattere di un vero e proprio programma di lavoro. Accanto alla sapienza dell’istinto pittorico non va sottovaluta la capacità di trattare i reperti, di sceglierli per la loro qualità cromatica, trasformando una materia banale in una diversa identità, in qualcosa di attrattivo e necessario all’orizzonte stratificato del paesaggio. Vecchi legni di recupero, lacerti di canapa e di tela grezza, tessuti damascati da tappezziere, carte uso mano, vecchi manifesti, tubetti di colore vuoti, tagliati ed aperti, pigmenti e grafite, pezzi di cuoio: sono questi i materiali che allettano la fantasia dell’artista in funzione della resa pittorica, quantità e qualità intimamente connesse in un unico processo. La sovrapposizione dei materiali e la loro contaminazione non è mai violenta, i reperti materici entrano in gioco attraverso sottili accordi, gli inserti tattili sono usati solo quando risultano veramente assimilabili nel corpo del paesaggio. Ad essi si aggiunge un sensibile modo di utilizzare i segni graffianti come ulteriori raccordi tra gli oggetti e i pigmenti, come nel caso di scalfiture e abrasioni che rivelano il desiderio del primordio, quella ricerca dei valori primari di cui la pittura ha bisogno durante l’infinito montaggio del paesaggio. La perizia dell’operazione pittorica produce una visione intessuta di forme che riflettono l’una nell’altra, di sostanze differenti che affermano la loro coesione, di accostamenti che hanno il dono di alleggerire il peso delle materie comunicando una realtà mentale attraverso le fonti della fisicità. Questo paziente lavoro comporta un accumulo di energie che il progetto di ogni opera trattiene all’interno del proprio particolare organismo spaziale, sintesi di un linguaggio che vive di autonoma e rigorosa bidimensionalità, piano emblematico dove la pittura è sola di fronte a se stessa, concentrata sulla realtà mentale e lirica delle proprie apparizioni. Infatti, la superficie è per Iotti luogo supremo per misurare il respiro del pensiero, per mettere alla prova il gesto che spezza e ricompone segni e colori come appunti di un viaggio esistenziale, un viaggio nel viaggio che contiene promesse di futuri sconfinamenti, altre trame del paesaggio, luoghi concreti di fantasia, nuove risonanze del visibile.
“Fenditure� Percorso poetico sulle opere di Marino Iotti
di Paolo Fichera
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dentro al buio all’interno il movimento struttura il silenzio a corni di fiamme i veli indossano versi di falce e non cade e non s’alza esperienza ma radici di germi e genti che ribollono immobili
vibra e resta – fra più fuochi e bianchi e traccia l’incendio il bianco radice il vento e stirpe il viso geometria d’occhio, carsica: sfalda spazio: ininterrotta visione, incisa, rimossa, scrosta affonda e resta superficie il segno che superficie scava
Notturno, 2009 Olio su tela, collage 130x200 cm
Accordi sul bianco, 2009 Olio su tela, collage 80x110 cm
oltre la foggia aperta del cielo tuniche rosse senza riparo addossano massi a ore scarlatte, imperativi di rondini selvatici passi alla cima del richiamo conducono al luogo che il sacro traccia come preghiera secreta da alberi indovini. solo, nell’Aperto ultimo, la chiarità della ferita protetta dal silenzio
manca il resto d’umano alla caccia vegetazione e vena là resta traccia, graffia l’idolo che la semina sottrae al vagito dell’ocra e graffio come un graffio erode la memoria sottratta al tronco alto che purifica nel travaglio resiste la forma che la materia spezza
Ricordi di viaggio, 2009 Olio su tela, collage 135x190 cm
L’albero blu, 2009 Olio su tela, collage 150x130 cm
il luogo dove non sei e che possiedi
vena per fibra – altrove – alleva fenditure di tronchi – a sottrarre segni nasce colore – ora – la durezza crea il frammento l’arto predestinato – sradica – all’urto frattale – enigma – non chiede altro segno 22
Altrove, 2009 Olio su tela, collage 130x200 cm
l’ascia del segno fissa e depone tronchi – invocazioni: geometria coltiva terra l’essenza forgiata – linea retta scava – deforma l’apparenza solca e ritorna la pelle l’opera fonda essenze, le forme: un quadro dipinto tra il segno
Paesaggio bianco, 2009 Olio su tela, collage 120x100 cm 23
traccia l’incendio delle radici all’infinito delle cause fisse istoriate alle radici, la luce qui è un animale nutrito al freddo, e giallo, e pone impronte sorgive ritmate nel flusso di una fame ordinata dalla pietà di una grazia
sottrarre scintilla a fuoco è carne ancora velata e e di segno e di mani è fuoco il perdono fragile di rami Omaggio a Rigoni Stern, 2009 Olio su tela, collage 150x200 cm
tra i boschi, nel rogo dove la cenere del simbolo custodisce l’ascia di una chimera
Composizione rossa, 2010 Olio su tela, collage 130x145 cm
Giardino, 2009 Olio su tela e collage 110x170 cm
“geometria minata da materia, e mani amalgama e piedi e bocche, sezione se, idolo scava, avvento e purissima, e terra, e nero se, furore e voce fonde, un tratto – il respiro segna – la terra, semina, tra due, larve e albe, fuoriesce, eco e eco di caos, gocce su pavimento tarlano – ostinata materia persiste in suo travaglio, la soglia è all’interno, il frammento è l’opera che dilata la radice, il tronco segato: esposto – nudità e sgrana i resti di occhi teso, un colpo, prega, fitto”
Diario bianco e nero, 2009 Olio su tela, collage 150x180 cm
il morso dell’oracolo non lascia segno sulla mano dell’osso un morso impronuncia la vita che fissa la soglia più fitta coagulo e scrittura, sovrapposta, scrittura, raschia resina del segno, senso, lacerto, la pelle dell’ombra trasuda, affiora, il primordio, metamorfosi insaziate: natura: ciò che ci è sottratto forma la visione di un dio intero
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Opere
Natura, 1991 Olio su tavola O 80 cm 28
Pittura, 1991 Olio su tela 100x100 cm 29
Composizione, 1991 Acrilico su tela 90x100 cm 30
Composizione, 1993 Acrilico su tela 100x100 cm 31
Composizione, 1995 Olio su tela 110x110 cm 32
Paesaggio, 1994 Tecnica mista su tela 100x100 cm 33
Composizione, 1995 Tecnica mista su tela 110x110 cm 34
Composizione, 1994 Tecnica mista su tela 115x105 cm
Composizione, 1995 Tecnica mista su tela 100x100 cm 35
Diario, 1996 Tecnica mista su tela 150x100 cm 36
Diario, 1996 Tecnica mista su tela 150x100 cm
Sacro, 1996 Tecnica mista su tela 150x100 cm
Diario, 1996 Tecnica mista su tela 150x100 cm 37
Diario, 1996 Tecnica mista su tavola 115x105 cm 38
Poesia rosa, 1998 Tecnica mista su tela 100x100 cm 39
Diario, 1997 Tecnica mista su tela 100x100 cm 40
Pittura, 1996 Tecnica mista su tela 110x120 cm 41
Diario, 1995 Acrilico su tela 110x110 cm 42
Diario rosa, 1999 Tecnica mista su tela 90x90 cm 43
Albero, 1999 Tecnica mista su tela 100x100 cm 44
Poeta, 2001 Olio su tela 98x84 cm 45
Il sogno, 2004 Tecnica mista su tela 100x100 cm 46
Nella pagina seguente Leggendo le nuvole, 2002 Olio su tela, 138x105 cm 47
Altrove, 2005 Olio su tela 120x100 cm 48
Omaggio a G. Caproni, 2005 Olio su tela 120x100 cm 49
Equilibri, 2008 Olio su tela, collage 140x140 cm 50
In nessuna parte di terra, 2006 Tecnica mista su tela 100x100 cm 51
In nessuna parte di terra, 2006 Olio su tavola, collage 60x80 cm
Poeti, 2006 Olio su tavola, collage 60x80 cm 52
Canto, 2006 Olio su tela 100x100 cm 53
Nella pagina precedente Diario, 2005 Acrilico su tela 140x100 cm Composizione, 2007 Olio su tela 150x200 cm 54
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Nelle pagine seguenti: Giardino d’inverno, 2007 Olio su tela 120x100 cm Promenade, 2007 Olio su tela, collage 110x170 cm 56
Giardino, 2009 Olio su tela, collage 110x170 cm
Cantus in memory of Benjamin Britten, 2007 Olio su tela 130x110 57
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Composizione arancio, 2010 Olio su tela 95x100 cm 60
Poeta bianco, 2007 Olio su tela 100x100 cm 61
Due figure, 2010 Olio su tela, collage 100x100 cm 62
Nella pagina precedente Incanto, 2008 Olio su tela, collage, 150x125 cm 63
Profumo d’ocra, 2008 Olio su tela, collage 100x100 cm 64
Altrove, 2009 Olio su tela, collage 130x200 cm 65
Nella pagina precedente Viaggio nel grigio, 2008 Olio su tela, collage, 110x95 cm
Ricordi di viaggio, 2010 Olio su tela, collage 135x190 cm 66
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Nella pagina seguente Canto bianco, 2010 Olio su tela, collage 150x130 cm
Omaggio a Rigoni Stern, 2009 Olio su tela, collage 150x200 cm 68
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Notturno, 2009 Olio su tela, collage 130x200 cm 70
Promenade, 2008 Olio su tela, collage 107x130 cm 71
Nella pagina precedente L’albero blu, 2009 Olio su tela, collage, 150x130 cm
Diario bianco e nero, 2009 Olio su tela, collage 150x180 cm 72
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Presenze, 2009 Olio su tela, collage 100x110 cm 74
Paesaggio, 2009 Olio su tela, collage 100x120 cm 75
Presenze segrete, 2008 Olio su tela, collage 85x85 cm
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Paesaggio, 2008 Olio su tela, collage 80x80 cm
Composizione, 2010 Olio su tela, collage 80x80 cm
Paesaggio emiliano, 2009 Olio su tela, collage 100x100 cm 77
Paesaggio, 2009 Olio su tela, collage 70x90 cm 78
Paesaggio, 2009 Olio su tela, collage 70x45 cm
Lontano lontano, 2009 Olio su tela, collage 100x100 cm 79
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Nelle pagine precedenti Tracce, 2009 Olio su tela, collage, 120x90 cm Ricordi di viaggio, 2009 Olio su tela, collage, 120x90 cm
Composizione grigia, 2010 Olio su tela, collage 120x170 cm 82
Paesaggio di pittura celeste, 2010 Olio su tela, collage 130x190 cm
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Paesaggio di pittura, 2010 Olio su tela, collage 135x150 cm 84
Paesaggio di pittura, 2010 Olio su tela, collage 130x140 cm
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Nella pagina seguente Risonanze, 2010 Olio su tela, collage 170x265 cm Paesaggio verticale, 2010 Olio su tela, collage 125x80 cm 86
Paesaggio verticale, 2010 Olio su tela, collage 130x90 cm 87
Composizione rossa, 2010 Olio su tela, collage 130x145 cm 90
Segreti grigi, 2010 Olio su tela, collage 160x125 cm 91
Emilia, 2010 Olio su tela, collage 130x130 cm 92
Paesaggio di pittura sui bianchi, 2010 Olio su tela, collage 132x145 cm 93
Grande grigio, 2010 Olio su tela, collage 110x165 cm 94
Nel cielo della pittura, 2010 Olio su tela, collage 118x170 cm
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Paesaggio di pittura, 2010 Olio su tela, collage 145x180 cm 96
Storie segrete, 2010 Olio su tela, collage 135x130 cm 97
Nella pagina precedente Composizione, 2010 Olio su tela, collage, 120x85 cm
La mia terra, 2010 Olio su tela, collage 140x83 cm 98
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Paesaggio di pittura, 2010 Olio su tela, collage 140x140 cm 100
L’albero blu, 2009 Olio su tela, collage, 120x85 cm 101
L’illusione del nero, 2010 Olio su tela, collage 100x130 cm 102
Variazioni sul grigio, 2010 Olio su tela, collage 90x135 cm 103
Paesaggio, 2010 Olio su tela, collage 130x145 cm 104
La mer, omaggio a Claude Debussy, 2010 Olio su tela, collage 165x180 cm 105
Accordi, 2010 Olio su tela, collage 95x100 cm 106
Ai confini del bianco, 2010 Olio su tela, collage 100x130 cm 107
Nella pagina seguente Paesaggio bianco, 2009 Olio su tela, collage, 120x100 cm Paesaggio sospeso, 2010 Olio su tela, collage 100x170 cm 108
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Accordi grigio/blu, 2010 Olio su tela, collage 130x80 cm 110
Tra le note dei grigi, 2010 Olio su tela, collage 140x75 cm
Accordi sul bianco, 2009 Olio su tela, collage 80x110 cm 111
Nella pagina precedente Composizione, 2010 Olio su tela, collage, 95x130 cm Composizione, 2010 Olio su tela, collage, 95x130 cm 112
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Nel giardino ricamato, 2010 Olio su tela, collage 135x190 cm 114
Sulla riva, 2010 Olio su tela, collage 145x180 cm 115
Paesaggio, 2010 Olio su tela, collage 50x60 cm
Contrasto, 2010 Olio su tela, collage 45x55 cm
Alla finestra, 2010 Olio su tela, collage 70x70 cm
Composizione, 2010 Olio su tela, collage 40x40 cm
Giardino grigio, 2009 Olio su tela, collage 60x50 cm
Lontano nel verde, 2010 Olio su tela, collage 70x70 cm
Composizione blu, 2010 Olio su tela, collage 70x80 cm
Giardino, 2010 Olio su tela, collage 60x70 cm
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Paesaggio bianco, 2010 Olio su tela, collage 40x40 cm
Terra d’Emilia, 2010 tecnica mista 40x40 cm
Nella pagina successiva Composizione, 2010 Olio su tela, collage, 30x60 cm
Paesaggio bruno, 2010 Olio su tela, collage 40x40 cm
Terra d’Emilia, 2010 Olio su tela, collage 40x40 cm
Composizione, 2010 Olio su tela, collage 35x60 cm
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Antologia critica testi di Alfredo Gianolio Giuliana Galli Gabriella Ardissone Ferrari Gian Luca Silvia Moretti Massimo Mussini Giovanni Cerri Marinella Paderni Sandro Parmiggiani Giuseppe Berti Francesca Baboni Claudio Cerritelli Elisa Mezzetti
Nel giardino ricamato, (part.), 2010 Olio su tela, collage 135x190 cm 121
Alfredo Gianolio 1980
Catalogo della mostra “Iotti, Makiko e C. Mori”, Palazzo Ruini, Reggio Emilia - 1995
I motivi che hanno portato un gruppo di pittori reggiani - Germano Boiardi, Giovanna Franceschi, Dante Grasselli e Marino Iotti - ad aggregarsi per condurre insieme una ricerca nel campo delle arti visive, non sono dovuti al desiderio di uniformarsi ad un indirizzo univoco e di scuola. Le ragioni sono più profonde e devono ricercarsi nella convinzione che la personalità di ognuno venga meglio evidenziata nel confronto con gli altri, essendo essa stessa, secondo l’insegnamento gramsciano, l’insieme dei rapporti in cui ogni singolo entra a far parte, onde “farsi una personalità significa acquistare coscienza di tali rapporti”. Se questo è vero per l’uomo in generale, lo è tanto più per l’artista, il quale, nelle sue opere, deve svelare gli interni meccanismi che governano il rapporto, da una parte con la società, e dall’altra con il vissuto. Senza contare la fantasia e l’immaginazione che lo sospingono verso il futuro. Gli artisti intendono comunicare immagini - ognuna delle quali con un profondo significato e una sua storia - agli abitanti di una città per antica tradizione così sensibile al linguaggio dell’arte. Non hanno la pretesa di recare un “messaggio”, ma soltanto l’aspirazione di trovare un terreno comune di comprensione, per un reciproco arricchimento. I due poli attraverso i quali si esprime la sua personalità pittorica sono dati dalla figura umana e da forme vegetali. In entrambi i casi Iotti si avvicina al soggetto per metterne a fuoco le peculiarità, che ricompone in architetture cromatiche, attento all’equilibrio della composizione. I ritratti vanno oltre i dati psicologici, e ci restituiscono immagini in cui i dati naturalistici finiscono per essere subordinati alle esigenze della forma. Quando la sua attenzione si volge alla natura, agli alberi colti nei nodi del loro tormentato sviluppo vegetativo, si avverte un’eco dell’incessante “metamorfosi” tra immagine e realtà, tema caro a Sutherland. Allora la sua olimpica serenità si turba, nella ricerca dei significati più reconditi e inquieti della natura.
Giuliana Galli 1985
Catalogo della mostra “5a Biennale di Sestola”, Chiesa del Rosario, Sestola, Mo - 1991
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L’albero è il protagonista indiscusso della narrazione iconografica di Marino Iotti. L’albero è simbolo universale di un’entità naturale incontaminata, pulsante di vita, come ben ha mostrato Frazer nel suo fondamentale “Ramo d’oro”, illustrando la funzione dell’“albero della vita”, inteso come periodica rigenerazione vegetale e dell’ ”albero cosmico” le cui radici si intrecciano nei cieli platonici. Non possiamo qui saccheggiare il repertorio iconografico del “De vegetalibus” e di Alberto Magno, nè scomodare Columella o gli eruditi botanici, quali Lineo o Ulisse Aldrovandi, chè non riusciremmo a districarci nel labirinto dei reperti di erte eterogenee, improbabili Wuhderkammern. Anche gli alberi riprodotti da Marino Iotti sono delineati sommariamente, raffigurando più un’immagine simbolica che una rappresentazione fedele di una tipologia esistente in natura. Affrancandosi dalla schiavitù di una riproduzione mimetica, l’albero è ridotto a un’equazione di rami, foglie, un
tronco nodoso quanto si vuole, sagomato con l’accetta in rientranze e sporgenze, le cui difformità, accentuate da ispessimenti di una corteccia ruvida e irta di protuberanze scabre, si estendono ai rami, ridotti alla sintesi di monconi smozzicati, in cui s’innestano armoniose e tenere efflorescenze, serti di foglie, che si librano verso l’immenso, solcando un cielo di smalto o intaccando la caligine ovattata di un’entità padana sommersa dalla nebbia. Col tempo, però, accentuano un loro aspetto disarticolato, fino a tradursi in entità meccanica, poichè i loro rami non sembrano più percorsi da alcuna linfa vitale e vengono a somigliare a ingranaggi di un meccanismo reso asfittico da un estremo automatismo. Essendo stata spezzata l’entità simbiotica tra uomo e natura, introducendo ritmi artificiali nella dimensione vitale, nel ciclo vegetativo che, nella sua periodicità, racchiudeva in un microcosmo in sè conchiusi gli elementi dell’ordine universale, anche la natura è stata depauperata dal saccheggio insensato delle risorse e dalla selvaggia speculazione edilzia che ha devastato un patrimonio naturale, decimando certe specie animali e alterando un equilibrio ecologico spesso in modo inarrestabile e irreversibile. L’attuale figurazione di Marino Iotti, nei suoi tratti volutamente disarmonici, rappresenta simbolicamente la nostra società, ormai invivibile, ridotta a una condizione di stress, ritmi alienanti e poco gratificanti sistemi di vita, cui è sottoposto quell’automa che è l’uomo, che, alla ricerca di paradisi cibernetici nelle sue espansioni extra-naturali, perdendo la propria identità, ha firmato la propria condanna. Avremmo, quindi, oltre ai cibi liofilizzati degli Astronauti, all’erba di plastica di una Disneyland per alienati, anche alberi di cemento, una dimensione “giapponese” di pomodori quadrati per un migliore imballagio, una foresta pietrificata, un mondo di plastica, deserto biodegradabile, simbolo della solitudine e incomunicabilità dell’uomo moderno: sarà un paradossale esistenzialismo, stravolto e snaturato nella sua essenza? Dal punto di vista tecnico, Iotti si avvale di una tavolozza brillante, facendo stagliare profili aguzzi di alberi sgraziati, su cieli cobalto, accostando certi teneri rosa e verdi acidi, che si fondono mirabilmente con certi toni lividi che illanguidiscono sul fondo. Comunque predilige una gamma di tonalità fredde, appena percorse da un fremito di colore acceso: ed è subito gioco pirotecnico a sconvolgere certe anatomie alla Bacon, sia pure risolte su scala vegetale, a simboleggiare nello scatto timbrico l’impercettibile passaggio tra entità apparentemente dissezionate dai contorni nitidi delle figurazioni. La graduale metamorfosi, la figurazione che si riduce a schema e a cifra, parte di un meccanismo onnivoro, si coglie nel cambiamento delle tonalità adottate, che diventano di consistenza biaccosa, bituminosa, fino a raffigurare nei toni metallici il prevalere della macchina sull’entità naturale. Ed è subito tecnicismo.
Giuliana Galli 1986 La prima fase artistica di Marino Iotti è dedicata ad un filone ecologico, dominato da forme aguzze di alberi scheletrici e puntuti, dai rami smozzicati e radici contorte che s’intrecciano, abbarbicandosi all’humus di una padanità
Catalogo della mostra “Ultimo decennio” Sala della Rocca, Montecchio Re - 1997
Catalogo della mostra “Le forme del colore” Sala Comunale, Quattro Castella, Re - 1994
terragna in cui s’avverte il disagio della tecnologia incombente come una minaccia che rischia di intaccare in modo irreversibile l’equilibrio tra uomo e natura, primordialmente fusi in un’entità omogeneamente inscindibile. Un’evoluzione di questa dissennata corsa in avanti è caratterizzata da uno strano fenomeno di osmosi tra entità vegetale e certi congegni meccanici che trovano una loro anomala sintonia. Questo curioso mimetismo vegetale rasenta la parodia della civiltà delle macchine, sintomo allarmante di una società cibernetica dominata dal tecnicismo. L’impianto formale di queste opere è soverchiato da volumi sintetici, forme sghembe di profili taglienti come lamiere, che si biforcano, protendendosi a solcare un cielo inanimato come tenaglie, lame slabbrate, forme acuminate come vetri infranti, stagliandosi vibranti su sagome di edifici tozzi. Queste forme sembrano palpitare, animate da un fremito che ne sconvolge l’assetto che sembra sul punto di assumere un nuovo registro, assecondando un ritmo nascosto di forme elementari, che s’assiepano contendendosi empaticamente lo spazio sul fondo. Si respira aria di costruttivismo, per questa germinazione meccanica “in fieri”, in sintonia con i dettami del 2° futurismo sintetizzati dal manifesto della “ricostruzione futurista dell’universo”: una realtà proteiforme, dominata dalla macchina e dal funzionalismo. In queste opere recenti di Iotti, siamo di fronte ad una fase di ricerca i cui esiti sono imprevedibili, ma probabilmente proiettati verso una ulteriore sintesi, fino all’astrazione. La tavolozza è caratterizzata da tonalità delicate, una gamma di azzurri che degrada da tonalità intense fino al viola, che illividisce spiccando cupo tra i grigi che sbadigliano tra i limiti aguzzi di forme geometriche,verdi acidi, che danno spessore a lacerti guizzanti di entità fitomorfe che si insinuano come brividi di luce, a portare un accento lirico nella plumbea compagine dell’assetto meccanico dell’impianto formale. In altre tele la natura è tradotta in forme stilizzate, verdi segmenti che costituiscono un limite all’espansione delle forme che, proiettandosi verso l’alto, assumono linee e volumi longitudinali, dotati di un loro equilibrio di forme e colori: un’intera gamma di versi, che si anima per un accento dorato, o si tinge di un rosa tenero, soffuso come un fiore prezioso nel folto di una vegetazione geometrica. In un’altra opera si intuiscono le sagome di forme umane, ritagliate all’osso, nei contorni netti e vibranti, intente a un colloquio, che sembrano muoversi in uno scenario teatrale. In un quadro molto equilibrato questi profili sembrano assottigliarsi fino alla negazione della forma e alla smaterializzazione del volume, come corolle screziate di forme ibride che si schiudono volteggiando, sprigionando un umore segreto che emana dal loro cuore vegetale: tutto vibra, si contorce spasima in un viluppo di forme armoniose che si snodano, proiettandosi verso l’alto, in una progressiva estenuazione formale, fino alla sintesi. Ed ecco una virgola di luce, un accento cromatico a fungere da segno di interpunzione e chiave in una sinfonia di forme e colori, che si animano per il contrasto ben calibrato tra toni freddi e caldi sullo spartito cromatico. In particolare risulta ben impaginata un’opera, tradotta in tasselli guizzanti di un mosaico palpitante: segmenti, sprazzi di luce, vampate dorate che ne animano la compagine, risolta
in una trama di forme dinamiche i cui profili si fondano in un’amalgama di toni brillanti: certi verdi intensi che spiccano in un coacervo di volumi sintetici i cui contorni nitidi si addolciscono in forme sinusoidali. Il piglio danzante di queste composizioni è prodotto da curve che si spezzano, per l’imprevista intromissione di un angolo, di un profilo dentellato, fino a creare una giungla policroma di forme geometriche desuete. Come ne “il sogno di una notte di mezza estate” tutto si anima prodigiosamente mentre si avvertono misteriosi sussurri e si profilano ombre inquietanti, mentre le forme proliferano, formando una cortina cromatica. Il taglio della composizione presenta una curiosa affinità con certe opere del Blaue Reiter, in cui il paesaggio è uno scampolo di sagome e forme vegetali, sintesi ed equazione formale di varietà fitomorfe e il colore è risolto in tacche radiose, tocchi intensi e danzanti, incapsulati in campiture nette i cui profili ne costituiscono la salda impaginatura formale. Marino Iotti avverte il fascino discreto della sintesi, quell’arte del “levare” già cara al Vasari e alla suggestione intensa del colore che sgorga come fiotto di luce dal magma materico, prendendo una solenne rivincita, dopo la mortificazione di un eccesso di sobrietà, una modulazione di toni fin troppo pacati e smorti, in sintonia con il monocromatismo degli inverni padani in cui prevalgono le “terre” sui pochi toni di pastello. Ora invece, si ha il prodigio della germinazione cromatica: gemme di pura luce, tacche di colore intenso che sbocciano e conoscono una gamma di varietà cromatiche, soggette come sono a una incessante metamorfosi come in un caleidoscopio.
Gabriella Ardissone 1991 Lo studio della natura e l’analisi delle sue forme ha da sempre affascinato chi opera nel campo dell’arte, soprattutto pittorica. Nel suo isolamento volontario Cézanne ebbe modo di studiare la forma da più angolature e posizioni, anticipando quello che fu il processo analitico di Braque e Picasso. Il senso del volume come contenitore di spazio unito ad un sapiente gioco di cromie spesso fredde, hanno dato il risultato di un’operazione naturalistica sviluppata poi in differenti figurazioni, laceranti in Morlotti e indicatorie di Turner. Questa operazione analitica è resa necessaria per uno spirito in continua evoluzione proprio perchè attraverso le strutture più o meno rigide del carattere cubista, si arriverà alla sintesi di un linguaggio figurativo dinamico e scattante. Su questo cammino è posta l’opera pittorica di Marino Iotti che, se pur giovane nel campo dell’arte, ha a quanto pare accolto dentro di sè il germe della ricerca. La sua figurazione, rigida precedentemente, imprigionata in forme di indirizzo cubista, divisa talvolta in settori, campiture piatte e sezioni geometrizzanti, si libera oggi per essere voce e impulso finalmente indipendente dalla guida del segno. Ora la materia si avvia ad essere autonoma nel pensiero e nella gestualità di Iotti. La visione che ci propone oggi è ad 123
ampio respiro, la matericità della pennellata non impedisce la leggerezza del percorso rappresentato da una natura completa di animali e vegetazioni. Nella “Vita delle forme” E. Focillon ci ricorda che “la forma si assoggetta al tempo e si sviluppa in esso in sempre nuove forme”. Ci auguriamo che Marino Iotti faccia suo questo pensiero chinandosi al tempo e a tutte le sue metamorfosi.
Gian Luca Ferrari 1992
Catalogo della mostra “Diario”, Galleria Centro San Michele, Milano - 1998
Catalogo della mostra “Artisti per D. Campana” , Museo Dino Campana, Marradi, Fi - 1998
Pittura volitiva a tratti aggressiva mai “scomposta”, nei cui pezzi migliori si può ricordare certa marca della tradizione esistenzialista del “sublime rovesciato”; da Shuterland a Blake (come ricerca della frontiera fra umano, divino e diabolico) nonchè il sentimento “Turneriano” dell’unità di uomo e natura. Pittura che sfugge la forma tempestando, segnando e strisciando la tela con segni falcati (spontanea traiettoria psicomotoria dell’uomo bambino), ed è un intero universo interiore che si mobilita in pochi centimetri di spazio, smosso anche (a me pare al di là delle letture formali) da una presente istanza morale. La forma-colore di una natura che eccita la materia si scaraventa: fluttua, deflagra, implode, sbatte, scatta, salta, si rincorre, s’impenna e si disfa, cercando di uscire dai desertici perimetri ortogonali e “viziosi” di una ragione che figura l’uomo (forse non a caso inesistente in questi lavori di un pittore un tempo figurativo) solo in termini di apparenza sociale, e dove la natura non fa più problema perchè scissa dall’uomo, e perchè bene poco prima della fine. Bene perduto, ma ancora evocato da lontano (e da vicinissimo) nell’unica, ormai, unità possibile di uomo e natura, quella visiva, nella sublime congiunzione di chi guarda e della cosa guardata. Bene perduto, ma ancora scrutato di lontano nei mondi infiniti (come la terra vista dalla luna, o chissà da quale altro pianeta) dei bellissimi tondi avvolti laggiù da quali “ultime tempeste”, ma dove comunque non pare che l’uomo (e l’arte) possa avere una forma o un progetto, bensì solo un destino.
Massimo Mussini 1994 Dalle prime esperienze pittoriche sulla fine degli anni settanta, in cui il segno definiva ancora in modo appena riconoscibile gli oggetti (erano paesaggi irti di alberi lanceolati, sovrapposti in rigidi profili come di lamiera intagliata che richiamavano forme di Consagra e di Sutherland e sembravano anche memori del naturalismo astratto alla Moreni o alla Morlotti), il linguaggio di Marino Iotti ha progressivamente decantato le tracce naturalistiche, lasciando aggallare sulla tela soltanto i segni più sfumati, ormai di impossibile riconoscibilità. Con la forma anche il tessuto pittorico si è come disciolto in colori più liquidi che la tela talvolta assorbe in aloni iridescenti, ora lascia scorrere in sinuose scolature, oppure trattiene in densi spessori materici. I suoi “paesaggi” si sono così progressivamente trasformati in strutture puramente mentali, in 124
labirinti di segni e colori che - apparentemente - sembrano guidati ormai soltanto da impulsi inconsci e non più dalla memoria visiva. “Paesaggi” che nei dipinti più recenti, dei primi anni novanta, quando il giro di boa risulta ormai definitivamente compiuto e appare lasciata alle spalle anche una breve fase più direttamente informale, fanno affiorare un bruciante interesse per una pittura nella quale il fatto gestuale viene ad assumere un ruolo primario. Ce lo rivela l’importanza che ormai acquista nelle sue opere la visibile traccia del pennello sulla tela per disegnare curve falcate e per distribuire il colore, ora sovrapponendolo leggermente in velature successive, ora imponendolo in masse coprenti. Sono segni ampi e ben riconoscibili, dettati da un largo movimento della mano che hanno la funzione di stabilire un campo cromatico di fondo, vibrante alla luce, sul quale successivamente Iotti scrive con un tratto più filiforme di colore per sottolineare, riordinare, scompartire ritmicamente le forme. In questa ritmica che scorre sul filo sottile dell’equilibrio compositivo tanto cromatico che formale si può cogliere la distanza che le tele recenti di Iotti hanno progressivamente accumulato nei confronti del linguaggio informale. Non si tratta più, infatti, di tele cresciute di getto, di ”scritture automatiche” guidate solamente dall’inconscio, di costruzioni più meditate, più attente ai valori espressivi dei diversi strumenti linguistici utilizzati per arricchire il valore emotivo della composizione. Fra questi strumenti assume una decisiva importanza il colore che, come nell’espressionismo astratto, fraseggia col segno che contribuisce a delineare. Queste ultime opere di Iotti, insomma, vengono ad assomigliare ad una composizione musicale classica, ad una sonata o ad una fuga, dove l’orchestra sostiene il ritmo e costruisce il fraseggio di fondo e lo strumento solista, più squillante ed acuto, ricama una propria melodia musicale senza mai dissonare dall’insieme dell’armonia. È questo, infatti, il senso che tendono ad acquistare certe scolature di colore, certi tratteggi spesso tono su tono ma anche in cromie differenti, certi graffi sulla tinta fresca che lasciano emergere il fondo, certe campiture che si rincorrono sulla tela seguendo ritmi ed equilibri che intendono raccontare il personale rapporto emotivo istituito dall’artista col segno e col colore.
Silvia Moretti 1995 Sulle tele di Marino il segno si tinge di valenze stratificate, emerge il peso della memoria astorica, originaria. Memoria fatta di evocazioni gestuali primitive, dal graffito all’utilizzo di grafie non più collegabili ad un alfabeto corrente. La riflessione sul tempo svanito si materializza in forme che raccontano di un trascorso culturale ed individuale insieme. In riferimento al passato dell’autore, analizzando l’opera degli anni ottanta in special modo, si possono cogliere in embrione tratti che oggi riconosciamo come simboli. Con lo studio dell’action painting americana, dove il gesto si libera della tradizione europea, sperimenta il drapping (sgocciolamento) di Jackson Pollok, queste colature di tinte analizzate nel particolare producono forme nuove.
Catalogo della mostra“Artisti per S. D’Arzo”, Palazzo Magnani, Reggio Emilia - 2002
Dal gesto legato al caso, dalle ceneri di una pittura d’istinto rinasce una forma dagli arcani significati. E’ riconoscibile l’immagine della scala, ideale contatto primordiale tra terra e cielo, successivamente spezzato: caduta verso la caducità, nella sofferenza dell’uomo: Rimanda alla simbologia della verticalità, ascensione della crescita graduale. É una sigla che non sempre appare nell’opera dell’artista, a volte si cela sotto gli altri segni o sotto la materia. Composta da tratti spezzati e duri la sofferenza del procedere, della condizione di agognato trapasso. Emerge chiara la poetica dell’incomunicabilità, non c’è più un linguaggio che possa aprire un contatto autentico. La comunicazione è tensione: tutto è ambiguo, tutto allude ad altro e in altro si va trasformando, alternandosi, vanificandosi. É un’indagine individuale che procede piolo dopo piolo stratificando dietro di sè l’esistenza che si distribuisce sulla tela. Si percepisce che alla base c’è una struttura geometrica, una griglia che sostiene le composizioni di Iotti ma osservando i particolari si ha l’impressione che siano in quel punto da sempre e per un motivo insieme casuale e dovuto. Qualcosa del tutto simile all’idea di Destino. “Viene il momento in cui l’immagine della nostra vita si separa dalla vita stessa, diventa indipendente e, a poco a poco, comincia a dominarci”. (M. Kundera)
Giovanni Cerri 1998
Volume “Il lavoro dell’arte”, G. Berti, S. Gualdi, M. Mussini, Reggio Emilia - 1998
La riflessione sul lavoro di Marino Iotti potrebbe aprirsi con una domanda sul significato di quelle insolite scritture che vediamo comparire nelle sue opere. Infatti, per prima cosa dovremmo chiederci se quegli ideogrammi affioranti da una materia graffiata e vibrante, dalle tonalità cromatiche pacate, ricca di sfumature e trasparenze, appartengono alla memoria del passato, oppure sono formulazioni fluttuanti, nate dalle pulsioni emotive dell’autore. Il quesito iniziale nasce dalla considerazione dei titoli delle opere: “Diario”. Il diario di Iotti esprime una gestualità rapida, che fissa istantaneamente sulla tela gli impulsi interiori, trasformandoli da segni calligrafici in pittura. In effetti, quello che preme a Iotti è interrogarsi sul linguaggio e i suoi significati in ogni tempo; la necessità di comunicare, insita nell’uomo da sempre, rappresenta un ponte simbolico che, attraversando i secoli, congiunge tutte le epoche della storia ed è, perciò, un tema ideale per chi desideri proporre una ricerca che evochi passato e presente. Infatti, se da un lato sorge spontaneo collegare questi enigmatici graffiti a qualcosa di antico, si pensi a tal proposito ai geroglifici e al grande patrimonio culturale egiziano, viene anche da pensare alle più moderne grafie urbane che invadono i muri e le metropolitane delle grandi città. Ma, a differenza dei graffiti contemporanei, caratterizzati da colori vivaci e da disegni di notevole effetto dinamico, in cui si sprigiona liberamente l’istinto e l’esuberanza giovanile, qui siamo di fronte ad opere sorrette da un’impalcatura strutturale, che mira sempre al raggiungimento di un equilibrio formale. I caratteri arcaici di Iotti, apparentemente dislocati nello spazio della tela senza un ordine razionale, sono in realtà i pilastri che reggono l’intera composizione. Una casualità
studiata, quindi non accidentale, che segue una precisa logica d’impostazione dell’opera. Ed anche l’immediatezza, la tensione che comunque esiste in questi quadri, risulta essere controllata, gestita come se il pensiero rielaborasse, facendo da filtro, l’urgenza originaria dell’istinto. In sintesi: l’obiettivo primario della ricerca di Iotti è la risoluzione dei vari rapporti che intercorrono tra scrittura, materia, luce e colore; una “conversazione” a più voci, che per cogliere nel segno e darci un’emozione, deve configurarsi in una forma armonica. Quindi, non diario di annotazioni personali, esternate di getto sulla tela, bensì un percorso di indagine sulle valenze formali della comunicazione e della pittura, secondo il suo affascinante codice.
Marinella Paderni 2002 La nostra epoca passerà sicuramente alla storia per tanti eventi e conquiste ma anche per un fenomeno mai prima registrato, atipico rispetto all’evoluzione degli opposti e degli estremi in tutte le sfere della nostra società. Individualismi e dualismo culturale (nazionale e sovrannazionale), scissioni e commistioni, antagonismi e conflitti, collaborazioni e guerre sono gli antipodi di una stessa cultura occidentale in bilico tra onnipotenza e supremazia da una parte, rispetto per l’uomo, per la sua vita e per il suo ambiente dall’altra. Una “cultura” che dovrebbe inglobare e non globalizzare, accogliere in un ecosistema dinamico e non stereotipato tanto le idiosincrasie quanto le polarità, comprendere tutte le espressioni culturali della nostra complessa società per dare parola alle mille voci dell’uomo - spesso differenti tra loro ma partorite dallo stesso anelito vitale. Alla ricerca di un ordine olistico del mondo e nell’attuale faticosa concertazione tra il bene e il male, il bello e l’orrido, il degno e il corrotto, l’ordine e il caos - egualmente insiti nell’animo umano - l’arte di oggi, e tutta la cultura postmoderna, esprime questo rapporto dualistico. Accanto alle più sofisticate innovazioni tecnologiche e scientifiche - che in un futuro ci permetteranno di clonarci, di viaggiare o persino di abitare nello spazio, di modificare il clima della Terra e di morire ultracentenari - assistiamo a continue oscillazioni tra un’arte “virtuale” e super-tecnologica, “fredda” e cerebrale che trova nella videoarte, nella multimedialità e nell’installazione concettuale la sua massima espressione, e un’arte “calda”, più intima che si riappropria delle pulsioni profonde dell’uomo, degli archetipi e della simbologia ancestrale, della materia viva e pulsante della natura e del mondo. Quarant’anni fa lo studioso canadese Marshall McLuhan teorizzava come l’uomo postmoderno avrebbe vissuto da nomade in un villaggio globale, “viaggiando” simultaneamente da una condizione all’altra, da un sistema all’altro di uno stesso universo. Alla luce di questa nuova configurazione, Marino Iotti ha scelto di dare forma ed espressione alla parte “calda” dell’arte. Amante della pittura e delle emozioni che suscita, egli ha preso la materia vibrante del colore, i riverberi dei pigmenti minerali, il guizzo creativo del pennello, il movimento sinuoso e avvolgente della pittura per dare voce ai moti interiori dell’animo umano. La sua ricerca scava nei meandri dell’uomo contempora125
Catalogo della mostra “Restate all’erta”, Chiostri di S. Pietro, Reggio Emilia - 1996
Catalogo della mostra ”Opera Buona” , Chiostri di S. Pietro, Reggio Emilia - 2002
neo, nella sua natura fatta di estremi e di opposti, di confronti e di conflitti, nelle sue due anime. Attraverso la forza del segno e del fascino del colore, la sua pittura racconta le inquietudini che ciascuno di noi vive nel profondo davanti al mistero della vita e di fronte agli avvenimenti drastici di questo nuovo millennio. Una delle sue opere più belle e incisive di quest’ultimo anno, la grande tela Dopo Genova, riassume in un vortice di segni, graffiature, cancellazioni inflitte ad una materia cromatica solare, il terremoto emozionale provato di fronte ai fatti genovesi del G8. Sopra i bellissimi ocra, rossi e bianchi l’artista dipinge la sagoma nera di un uomo colpito al cuore da un vortice - una spirale disegnata sopra il petto - simbolo di un episodio che cambierà la storia di ciascuno e sintesi di quei valori che convivono simbioticamente nell’animo dell’uomo contemporaneo. Pace e guerra, vita e morte, rinascita e distruzione, benessere e povertà, solidarietà e isolamento sono inscritti nelle opere di Iotti sottoforma di graffitismo primordiale e inconscio che riempie lo spazio dell’opera di scritture antiche e illeggibili (poesie scritte e poi cancellate dalla materia pittorica), di figure ancestrali (l’uomo rappresentato da primitive forme geometriche), di segni laceranti che sembrano ferite insanabili nel cuore dell’artista e di ogni uomo. Le frasi illeggibili di opere come “Figura arancio”, “Il poeta”, “Pittura” evocano il ricordo di parole uniche ed eterne, cantate in tempi lontani, assieme al dolore muto e silenzioso dell’incomunicabilità di oggi, un oggi stravolto dal magma di immagini e slogan pubblicitari che svuotano di contenuto il valore della parola. Una triade di elementi ricorre in tutte le opere di Marino Iotti - l’uomo, la poesia e la materia cromatica -, sviluppo di una precedente ricerca improntata verso la pratica informale della scrittura e dell’immagine. La figura antropomorfa dell’uomo rappresenta la solitudine umana, la sua condizione di eremita e di nomade (o di profugo, collegandosi idealmente alle figure emaciate di Alberto Giacometti, maestro a cui spesso s’ispira idealmente Iotti), il cui destino è “segnato” da ferite antiche e nuove, che dilaniano il corpo. Un destino alla deriva, rischiarato tuttavia dal “calore” della materia pittorica, dai riverberi della luce, dalla poesia del colore, dalla forza di parole mai dette e soltanto pensate.
Sandro Parmiggiani 2004 C’è una vulgata, cui tanti concorrono, secondo cui la storia dell’arte è fatta del succedersi di movimenti e linguaggi, da cui vengono espunte le esperienze solitarie, in un processo lineare, all’insegna di una sorta di evoluzione darwiniana che contempla progressivi avanzamenti - l’astrazione sarebbe dunque la naturale maturazione e l’inevitabile superamento della figurazione, che più non avrebbe cittadinanza... - e che, per quanto riguarda la realtà italiana, fa sì che si parta da Giotto e si approdi a Maurizio Catellan e a Vanessa Beecroft. Questa convinzione appare lontana dalle esperienze sia della storia dell’arte che dell’esistenza concreta, nelle quali si danno deviazioni, ritorni all’insegna di folgoranti scoperte, oscuramenti che poi si rivelano preziosi, e che pure dovrebbero insegnare quanto sia mal riposta la fiducia in un meccanicismo semplificatorio. Allo 126
stesso modo, chi scrive diffida delle mode - che per natura transitano, sono effimere e hanno dunque la durata e il respiro breve di una stagione -, e mal sopporta chi, nel mondo dell’arte, sente il dovere di levarsi il cappello davanti alle tante furbizie di contenuti, di messaggi ideologici, di effetti speciali buoni solo a stupire, e alle approssimazioni di chi è spesso maestro, soprattutto, nel vendere il proprio, talvolta assai modesto, prodotto. Questo diffuso senso comune s’accompagna spesso a un’altra convinzione: chi scrive di opere d’arte dovrebbe aborrire la definizione di “critico d’arte”, per assumere e ambire, invece, a quella, apparentemente molto più rassicurante e seria, di “storico dell’arte”. Ma qui i conti presto non tornano. Davanti al lavoro di alcuni giovani artisti, ci sono “storici” che subito gridano al miracolo, alla scoperta di una nuova, sconosciuta terra, mentre in verità quell’enfasi è sovente determinata da un vuoto di conoscenza, di memoria - e dunque da un abbaglio sull’effettiva novità di una proposta - delle vicende di alcuni degli anni più fervidi del Novecento, quelli che vanno dall’immediato dopoguerra a tutti gli anni Sessanta - un’analoga concentrazione di esperienze fondamentali c’era stata nei primi vent’anni dello stesso secolo. Per quanto mi riguarda, continuo a guardare con simpatia alla figura del “critico” perchè, personalmente, trovo che, ad esempio, su Rembrandt e sul chiaroscuro, si possa meglio essere illuminati dalle parole di Georges Simenon, il papà di Maigret, piuttosto forse che da quelle di testi divulgativi di tante storie dell’arte. Più che quella di “critici d’arte”, sarebbe opportuno adottare una vecchia dizione cara a Francesco Arcangeli, quella di compagni di strada - sfrondata dall’idea di una sorta di militanza, di tenace identificazione e fedeltà a un gruppo o a una tendenza, ma riconfermando l’esigenza di una salda tensione etica - o, se si vuole, di “affiancatori”, che cercano, con gli strumenti che hanno a disposizione, di contribuire a gettare altra luce, a distillare altro senso, oltre quelli propri dell’opera - una luce e un senso che essa può custodire nell’oscurità e nel silenzio. Non intendo affatto, con questa introduzione, “prenderla alla larga”, come si usa fare, quando magari poche sono le cose che si hanno da dire su un autore e si devono comunque riempire le pagine pattuite. Non è, con Marino Iotti, affatto così. È che, di fronte al suo lavoro, mi pongo immediatamente una domanda: perchè egli ha sentito il bisogno, dopo un iniziale periodo figurativo che del resto non conosco, di adottare una lingua, l’informale, che tanti critici e storici à la page considerano, in quanto nata e già sperimentata cinquant’anni fa, morta e inesorabilmente non destinata a risorgere? Perchè dunque egli tuttora si ostina a esprimersi in questa lingua che non è affatto stata cancellata? La risposta che mi do può apparire, insieme, troppo banale e troppo semplice, ma mi pare colga un nucleo di verità: perchè le cose che Iotti ha da dire, le affinità elettive con una certa esperienza del passato che egli ha sentito e scoperto dentro di sè - in fondo, sperimentare, e poi scegliere di immettersi nel grande fiume di un percorso già da altri praticato, significa anche procedere al disvelamento delle proprie sensibilità -, chiamano quella lingua, nella quale l’atto creativo immediatamente si identifica, diventa tutt’uno con l’essere. Molti anni fa Marino Iotti mi chiese di scrivere un breve testo sul suo lavoro che accompagnasse una sua mostra;
Catalogo della mostra “Infinite voci”, Rocca dei Boiardo, Scandiano, Re - 2002
Catalogo della mostra “Graffite visioni”, Saletta Galaverni, Reggio Emilia - 2004
ora questo invito si ripete ed è l’occasione di un bilancio. Subito mi accorgo che, da allora, la sua sintassi pittorica, pur in parte evolutasi e arricchitasi di elementi, resta nella sostanza la stessa: il suo approdo all’informale può ormai definirsi saldo e acquisito. Immutati sono, in lui, pure l’entusiasmo e la passione di chi dedica tutto il proprio tempo all’esercizio della pittura. Lavora, Marino, in una stanza-studio disadorna che si trova nella stessa casa dove vive, ma con un altro accesso, quasi isolata e al margine dell’abitazione, senza i comfort della prima. Non solo il riscaldamento precario, ma tutto appare inospitale, rivela un luogo apparentemente ostile alla vita, nel quale invece, con ostinazione, il pittore continua a creare le proprie opere. Lavora, Iotti, con il fervore di chi sente che l’esercizio continuo, la pratica quotidiana, sono importanti, che un’adeguata tensione e capacità di esprimersi si raggiungono non a “freddo”, ma dentro un operare fatto di ostinati tentativi, nel corso del quali si può scoprire qualche pagliuzza d’oro, o qualche caduca illusione, o qualche strada sbarrata, lungo la quale non ci si può inoltrare - occorre, allora, il coraggio di fare ritorno a ciò che ci è più consono. La pittura di Iotti non è, negli ultimi anni, come dicevo, mutata nella sostanza: allora come ora sono la materia e il segno gli strumenti elettivi del suo esprimersi. Certo, un tempo la materia, pur corposa, non aveva gli spessori e la variegata composizione che ora ha assunto, permettendo a Marino di scalfirla, di graffiarla, come si scavano solchi sulla terra per seminarla, o sulla corteccia di un albero, o su un muro, per tracciare un proprio segno di identificazione. La materia, oltre che ispessita, si è scaldata, impregnandosi di colori che talvolta s’accendono fino a un rosso sangue - come in Weiss, un’opera molto bella, dedicata al padre partigiano -, o si estenuano in toni caldi quali l’ocra, il giallo, l’arancione, l’azzurro, il blu, o lo stesso nero, che ha la funzione di introdurre a una sorta di cupa rievocazione - sono, le superfici nere, il luogo dove il segno può dispiegarsi con un nitore rivelatore della forma. I dipinti di Iotti si costruiscono per campiture di materiacolore che paiono insediarsi e svilupparsi all’interno di linee diagonali che sorgono dal basso e svettano, si dispiegano verso l’alto - quasi che fossimo di fronte a una prospettiva che si apre in un movimento ascensionale, e a un’irruzione di vita vegetale sulla superficie dell’opera. Le stesse figure che Marino Iotti ha introdotto - questi grandi tronchi rettangolari dagli esili arti che si protendono in un precario equilibrio, colti in una invocazione che sa, insieme, di gioia e di disperazione - necessariamente si inscrivono in questa struttura dell’opera. Non è allora forse casuale che queste figure abbiano un’aura solenne, ieratica, e che, guardandole, subito si pensi a idoli, a esseri spuntati direttamente dalla terra, che si ergono di fronte a noi come dopo una creazione o una risurrezione. Questo impianto - che in qualche modo fonde due diversi movimenti spaziali, una proprio della verticalità e l’altro della profondità, e che sembra aver catturato le vibrazioni e le pulsazioni di una composizione musicale -, non è tuttavia esclusivamente funzionale a puri rapporti tonali, di piani prospettici, di armonie che alternativamente allontanano o attraggono lo sguardo. Sono infatti anche pensate, queste tessere di colore, nella loro estensione e nelle loro relazioni, come grembo necessario alla semina
e all’impiantarsi di un segno che, proprio attraverso le ferite arrecate alla materia, arriva a evocare visioni, ricordi, sogni. Ecco il segno esile, ma nitido e fermo, che traccia alberi (Figure arancio in un paesaggio), forme umane (La petite promenade du poète), piccole teste, fiori spiraliformi (Nel bosco del poeta, Dove camminano i poeti), nuvole che paiono arche spaziali di una salvezza promessa o di un’invasione ostile (Figura Blu), pesci dalla simbologia così antica e pregnante... La maggiore complessità della materia pittorica e del segno rivelano una sorta di evoluzione genetica del lavoro di Iotti, come se la materia quasi bruta degli esordi, qua e là navigata da segni che non avevano alcuna pretesa di alludere al reale, ma parevano unicamente espressione di un gesto liberatorio, si fosse nel tempo ispessita e arricchita di fermenti, di colori, di linee che con maggiore nitidezza e felicità alludono ad un mondo fantastico che imperiosamente vuole venire alla luce. Pare dunque che la sua pittura abbia nel tempo subito la stessa maturazione genetica del farsi della vita, del mondo e delle cose, in cui si passa dal semplice al complesso. Subito evoca, questa pittura, esperienze felici - le affinità elettive cui alludevo prima, dallo sguardo semplificatorio e incantato del Klee degli ultimi anni venti, ai viluppi di segni di Giacometti e di Wols, alla spontaneità di Dubuffet. Sono, queste visioni di Iotti, fatte dei colori della memoria e della nostalgia, e dei segni di un desiderio di ritorno a una stagione perduta di innocenza e di candore: il disegno “infantile” ci restituisce tutta la grazia e lo stupore di raccontare la vita come essa, purtroppo, raramente si dà. Forse esperienze come quelle di Iotti, o come quella di Claudio Calzolari - che si affida ad una materia più algida, quale le forme in resina - potevano nascere e svilupparsi in una terra, come la nostra, in cui l’esperienza dell’educazione dell’infanzia è divenuta cultura diffusa e condivisa. Non posso fare a meno di immaginare Marino mentre, dentro il buio della notte, nel freddo del suo studio dipinge, e senza sentire la fatica o i rigori delle stagioni meno clementi, tutto preso da una visione lontana che sull’opera va prendendo forma, dall’evocazione di brani di una memoria lontana che riaffiora. Si manifesta, la visione, dentro la sofferenza, il travaglio, come se quei graffiti fossero anche il sismografo di una tensione e di un sommovimento interiori che devono tradursi in una lacerazione della materia: per accogliere una pur larvale figura, per passare dall’informale alla forma, la materia deve essere ferita, graffita - ogni buona terra cela, sotto la sua buccia, la vita. C’è, del resto, in questa pittura un retaggio profondo di natura: la materia pittorica può in un qualche modo essere assimilata alla terra coltivata. Paiono, a volte, le stesure di Iotti un campo riarso, screpolato, colto nei periodi di siccità, che mostra le sue mutazioni, dalla semina al raccolto, che conosce il tempo del silenzio, e che respira le luci, i tepori, le asprezze delle stagioni. La superficie del quadro diventa dunque una porzione di terra, un universo delimitato da confini e segnato da presenze vitali, in un alternarsi di stesure levigate e di solchi, di ferite, proprie dell’aratura e dell’atto successivo di collocare, dentro la terra, una presenza vitale - qualcosa di molto piccolo che saprà farsi grande. In fondo, non poteva essere che l’informale la lingua di Iotti, non poteva che essere questa l’identità della sua pittura: lui sente il desiderio e il bisogno di fare rivivere e di 127
seminare la memoria, di farla fermentare e germinare, in un grembo che non gli sia ostile, per preservarne la capacità di illuminare la vita.
Giuseppe Berti 2005
Catalogo della mostra “Un’arte glocale, da Reggio Emilia ad Albacete”, Albacete, Spagna - 2005
Catalogo della mostra “Il canto dei graffiti” Galleria Barbera e Frigeri, Sassuolo, Mo - 2005
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In suo breve saggio su Antoni Tàpies, Maurizio Calvesi ebbe a scrivere, ormai molto tempo fa, che il grande artista spagnolo era “pittore capace di insinuare in noi un’insolita e scarna meraviglia, un’emozione di enigma, di ammonimento e di memoria”. Ecco, pur con il dovuto rispetto degli ordini di grandezza, ci pare che questa osservazione valga anche per Marino Iotti, pittore di materia e di segno, pittore in cui questa materia e questo segno sembrano cambiare continuamente di ruolo con turbata, enigmatica, lirica intensità. Dunque la materia: che è una superficie scabra e dissestata, una porosa terra carsica, che è una creta opaca, un eroso palinsesto di vecchi intonaci offesi dal tempo e dagli uomini. Il segno, infine: che è un reticolo sottile di graffi e ferite, di incise ragnatele, di sigle sommarie ed incerti alfabeti, parole disperse che ricordano frammenti di poesie, oscuri pentagrammi di misteriosi sciamani, labirinti rituali. Artista di articolata cultura visiva, Marino Iotti si presenta perciò in questo modo, ovvero con questa sua duplice identità, alchemica coincidentia oppositorum tra segno e materia, tra forma ed informe, ordine e disordine, verticalità e profondità pur entro un orizzonte bidimensionale. Ora qualcuno potrebbe essere tentato di interpretare la cifra stilistica del pittore come una rielaborazione, in chiave di contemporaneità, dei linguaggi informali, e certo non mancano nell’albero genealogico di Iotti nomi di “antenati” che quei linguaggi usarono con accenti di profondissima poesia; tuttavia questa si rivelerebbe una lettura solo parziale, se non del tutto fuorviante, della poetica dell’artista. In lui, infatti, s’avverte sempre l’eco di un meditato ordine compositivo, l’eco, sia pur rarefatta, di un equilibrio formale che in ogni caso impedisce alla materia e al segno di cedere alla tentazione febbrile del caos, alla violenta risacca in cui ribolle, caotica appunto, la pennellata/colore che fu cara, tra ribellione romantica ed esistenziale, a tanti pittori delle culture informali tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Iotti affida piuttosto il suo originale, umbratile esprit de geometrie a rettangoli sghembi, a quadrati approssimativi e incompleti dove talora affiora incerta una larvale presenza d’immagine; ma dove pure il precario, verticale equilibrio su cui queste tessere di materia/colore si reggono - sostenute come sono da fragili e sconnessi tralicci - scardina ogni principio di plastica saldezza, di forza volumetrica ed ogni illusione di spazio a tre dimensioni. Tuttavia risuona di profondità e di arcani spazi l’opera di Iotti, vibra di lontani altrove perché lo sguardo tende ad andare “al di là delle cose”, vorrebbe penetrare il lastrico sordo della materia, la sua intelaiatura calcificata ed aspra per riuscire ad attingere, attraverso i graffi, gli incisi segni e le stigmate di cui questa materia sembra subire il martirio, l’ungarettiano “nulla d’inesauribile segreto” che essa racchiude dentro di sé, o quell’emozione d’enigma di cui parlava Calvesi.
Scorre infatti su queste crete d’ocra e di gialli riarsi il sentimento del tempo, vi si depositano, come stratificazione di antiche sinopie, storie, memorie, racconti, geroglifici, tracce di arcaici alfabeti e di immagini che appartengono ad un passato remoto. Un palinsesto è dunque l’opera di Iotti, parola che in origine (prima che l’orrendo linguaggio televisivo stravolgesse ogni cosa) significava manoscritto antico su pergamena nel quale la scrittura è stata sovrapposta ad altra precedente, raschiata o comunque parzialmente cancellata. E palinsesto si usa anche per quelle pareti di antiche chiese o palazzi su cui, nel tempo, si sono sovrapposti intonaci d’epoche diverse ed affreschi di cui ora rimangono frammenti, sparsi lacerti, ombre di immagini: elementi, tutti questi, che costituiscono anche l’identità prima dei muri di Iotti, di questi strati di intonaci “vissuti” ove predomina il timbro caldo, ma poroso ed aspro, delle ocre che talora s’impregnano d’altri colori; ceneri grigie, ed opache terre, gialli deserto, nere argille o azzurri dilavati e pallidi. Ed è da queste scrostate pareti che affiorano infine i segni, le immagini, le disarticolate parole; affiorano, ma non si danno mai per intero. Così che è facile sperdersi tra questi incisi reticoli, nelle trame delle linee d’ombra, nelle lettere, nei geroglifici e nelle primordiali figure: forme simboliche forse di rituali sciamanici? O testi oracolari di civiltà perdute? Oppure disperata voce di un uomo che sulle pareti del proprio carcere, quello dell’anima, scrive di sé, e poi cancella e di nuovo riscrive? Ma un altro simbolo, un’altra metafora vengono in mente ancora: forse che questi rettangoli sospesi su esili fili sono scarnificate figure di idoli, ieratica e pura essenza di un dio primordiale, oppure indecifrabili, enigmatiche tessere sapienziali di un’epoca arcaica su cui viene incisa la sorte degli uomini? Ma è proprio in questa molteplicità di lettura il fascino dei dipinti di Iotti: che celano segreti, che offrono, ad un tempo, la possibilità di leggervi molti universi e l’impossibilità di svelarli del tutto. E se è vero allora - come diceva un filosofo, Andrea Emo - in una sua abbagliante osservazione - “che l’arte dello scrivere è l’arte di far dire alla parole tutte le trasmutazioni che esse contengono e sono”, l’arte della pittura sarà quella di far dire alle immagini tutte le trasmutazioni e le identità e i diversi campi semantici che esse contengono e sono: poiché l’arte - sosteneva sempre il filosofo - è “essenzialmente una metamorfosi, una metamorfosi d’identità dell’immagine, l’orizzonte di un’infinità diversità.” Crediamo che Marino Iotti, artista capace di trasfigurare la materia e di farle percorrere la strada di infinite diversità, possa condividere questa riflessione; crediamo inoltre che il nostro artista possa altresì condividere l’altra idea del filosofo secondo cui l’arte è continua resurrezione e negazione dell’immagine, che così diventa annuncio della metamorfosi a cui anche il tempo è soggetto. Ora, nella filtrata eleganza e nel rigore compositivo delle sua opera, Marino Iotti, almeno a noi così pare, ci offre dunque questa sapiente idea dell’arte come luogo di trasmutazioni e di enigmi. Un luogo che consente un continuo mutamento di ruolo tra la materia ed il segno (che qui si trasforma in sua sindone) e che mai, tuttavia, svelano fino in fondo la cifra ultima di un loro inafferrabile enigma – musicale e poetico; che mai ci offrono la percezione che la fragile barriera degli intonaci si possa finalmen-
te aprire del tutto per farci partecipe di quell’inesauribile segreto celato nei segni o negli sconnessi alfabeti incisi, cancellati e riscritti sui “muri” di Iotti. Ma tutto questo, a ben vedere, appartiene appunto a quell’inesauribile segreto di cui parlava Ungaretti e di cui l’arte continua ancora e sempre ad alimentarsi…
Francesca Baboni 2005
Catalogo della mostra “Quel nulla di inesauribile segreto”, Castelnovo Sotto, Re - 2005
Catalogo della mostra “Arte per l’Umanità”, Complesso del Vittoriano, Roma - 2006
Graffio e materia. O se vogliamo cambiare i termini, materia graffita. Sono due le componenti formali della poetica di Marino Iotti, assemblate assieme all’interno di un lavoro finito che prevede un processo di sovrapposizione. Pittura. Che riempie lo sfondo oppure è graffiata via, strappata, ma che lascia comunque una sua impronta, energetica e sporca. Un sostrato pittorico che si mostra sotto forma di scavature a più livelli, nel cuore della superficie. Graffio. A metà strada tra lo spontaneismo vitalistico e irriverente di Keith Haring, l’art brut primitiva di Dubuffet e gli scarabocchi infantili dell’enfant terrible pupillo di Warhol, morto a soli 27 anni per overdose, Jean-Michel Basquiat. Graffio come un graffito inciso su un muro. Ma che, al contrario della traccia rabbiosa e provocatoria dei kids newyorkesi, non è una grafia sconosciuta, uniforme o puramente formale, elaborata sotto l’effetto delle anfetamine e basata su di una visualità metropolitana adrenalinica. Così come la materia corposa presente nei quadri non è un informale fine a se stesso, nè si carica di accezioni negative come l’amalgama sofferente e pastoso degli Outages di Fautrier. Marino Iotti ha un suo messaggio ben preciso e un contenuto profondo che va oltre tutto questo. Rivisita stilisticamente e iconograficamente l’informel degli esordi e si affida al graffito anni ’80 per poi subito superarli contaminandoli con un imprinting del tutto contemporaneo, con una sensibilità nuova e completamente sua. Non soltanto Caos e materia che si fondono emblematicamente insieme. Un elemento in più va a caratterizzare la sua poetica. É l’elemento poetico unito a quello musicale. L’informale perde il furore informe, il graffio la sua violenza d’arte di frontiera e la valenza underground a favore della pulizia del segno, quando a dominare è il lirismo, che si carica in questo caso di una musicalità dolce e intensa. E si riempie del senso del tempo ineluttabile, che passa e va, e di figure archetipiche per antonomasia, vicine alla sensibilità di tutti. Come i poeti. Alcuni mescolati alla trama del quadro, altri più figurativi, isolati sullo sfondo, solitari nel mezzo dei loro giardini immaginari come in un loro personale Limbo, scalfiti dal segno, angolosi e squadrati come totem, essenziali e scabri come una scultura di Giacometti, poetici e santificati con aureole a mezza luna sulla testa, si ergono con la ieraticità sacra di idoli e antichi simboli, si scaldano e si accendono di colori calibratissimi tono su tono, travolti da gorghi di rossi, arancioni, azzurri, muovendosi tra geroglifici e ghirigori vegetali che si intrecciano fra loro come arabeschi, mantenendo una loro presenza pregnante e strutturale, mai posta a caso, tra le graffiature della tela e la stesura del colore. Colori scelti ad istinto, stemperati o accesi, ad acrilico e oli composti da resine e pigmenti, che diventano quasi brani di muri
sbrecciati e incisi, nella pittura triturata, tra le linee che solcano e scalfiscono instancabilmente la materia pittorica quasi scarnificandola per lasciare intravedere il supporto, come se la non-pittura arrivasse a rivelare la pittura stessa e la graffiatura mostrasse l’ordito della trama. Nella materia che si scompone e ricompone da sola in un continuo e serrato movimento, le figure rarefatte e bidimensionali dei poeti trovano un loro nuovo modo di essere diventando segni di geometrie spiazzanti, trasformandosi in visione immaginifica non più realmente riscontrabile. Bisogna leggervi dentro per capirne la profondità, così come bisogna scrutare dietro alle infinite variazioni e sfaccettature della pittura per scoprire la poesia che si appoggia a scritte che si nascondono per poi riapparire all’improvviso, marchi impressi e scavati sulla tela, apparentemente incomprensibili, simboli cifrati, codici misteriosi, lettere arcane di un alfabeto nascosto e dalla semiologia complessa. Grafemi non decifrabili poiché in realtà non intendono comunicare nulla se non il loro valore strettamente pittorico e grafico. E poi arriva la musica. L’estetica del graffio di Marino Iotti si basa fondamentalmente sul ritmo. Ha una sua modularità intrinseca. La materia graffita diviene magicamente canto e suono contemporaneo, segue i suoi percorsi non soltanto visivi, giocando sul ritmo dei volumi e l’armonìa della luce. Nel giardino incantato dei poeti si entra ascoltando il suono di lamenti incisi, canzoni senza parole e mai urlate. Dietro all’urgenza del gesto si scoprono incredibili suggestioni musicali. E frasi che ritornano, pur nella loro illeggibilità, se solo ci si fa caso. E che lasciano in qualche modo tracce della loro presenza, intorno a noi e dentro di noi.
Claudio Cerritelli 2007 Prima di ogni tipo di approccio, il lettore di questi dipinti di Marino Iotti acquisisca il ritmo del segno che cresce nella dimensione fisica della materia, entri a far parte dei movimenti che scalfiscono la superficie, si disponga all’ascolto delle segrete atmosfere che lambiscono la pelle del colore creando infiniti contatti tra l’occhio e il mondo. Le cose che contano sono le figure che s’intravedono tra le luci della natura, le forme esili che dal visibile sconfinano nell’invisibile, i giardini entro cui si sprigionano minimi bagliori, lievi accensioni e oscuri recessi nelle sonorità del colore interiore. Nei suoi racconti alle fonti della natura Iotti non ha bisogno di inventare un nuovo linguaggio, la profonda estensione della pittura è già sufficiente a sostenere queste pagine di diario, intuizioni quotidiane capaci di suggerire altri spostamenti dentro l’ambivalente costruzione dello spazio. Una forma centrale, un impulso ascensionale, uno spiraglio di luce in mezzo al fermento della materia: quasi sempre questo tipo di astrazione figurale è la metafora del poeta funambolo che oscilla nel vuoto, spirito libero dagli affanni del tempo, eppure legato al bisogno di purificare le cose che circondano la vita e soffocano l’anima. Il rosso è una traccia indelebile in questo spazio calamitante di energie contrapposte, domina sul bianco e sull’ocra, accende i viola e gli azzurri, non si attenua neppure di 129
Catalogo della mostra “Racconti interiori” Spazio Tadini, Milano - 2007
fronte alle incursioni del blu e del nero, eterna dialettica di valori luminosi contrastanti e, proprio per questo, inesauribili. In alcune opere questa centralità si dissolve in zone dislocate ai lati della composizione, geometrie materiche sollecitate da tensioni trasversali, come se Iotti volesse giocare su figure distanti, sottrarsi alla centralità simbolica della forma e accentuare il senso di frantumazione dello sguardo. Tuttavia, l’artista non perde mai di vista i ritmi musicali e gli accordi cromatici, orchestra con sapienza le risonanze luminose e gli aloni d’ombra che insieme concorrono a trasformare le angosce esistenziali in slanci vitali, le fantasie segrete in limpidi sogni cromatici. Tale è - infatti - il clima di queste opere recenti dove le relazioni tra l’umore primario del colore e la graffiante gestualità del segno raggiungono esiti di sottile equilibrio, rivelazioni di trasparenze luminose e di segrete stratificazioni che la pittura di Iotti esplora da sempre, consapevole che ogni immagine è traccia di vita rivolta verso l’altrove.
Elisa Mezzetti 2009 Marino Iotti lavora pazientemente sulle superfici utilizzando la ricchezza e, insieme, la povertà dei materiali che lo circondano: tubetti di colore, tele grezze, carte, pigmenti, pezzetti di legno che convivono all’interno di una ritmicità poetica, fatta di graffi e segni che si affiancano a spazi di silenzio. Le superfici acquistano, così, profondità e ombre finora sconosciute, veri e propri bassorilievi che si offrono all’osservatore come timide note di liriche melodie, affreschi di un mondo sospeso tra il reale e il fantastico. Le “Opere recenti” esposte alla Galleria Galaverni di Reggio Emilia sono il frutto di un lungo e meditato lavoro al quale l’artista si dedica con paziente cura da molti anni. Questi
Biografia
ultimi lavori in particolare, tutti realizzati tra il 2008 e i primi mesi del 2009, si caratterizzano per una nuova cifra stilistica che, pur mantenendosi coerente e vicina alla poetica precedente, si assottiglia, si pulisce, fino ad arrivare ad un linguaggio più sintetico e minimale, caratterizzato da un profondo equilibrio compositivo. Iotti lavora da sempre sui contrasti, sulla contrapposizione di colori e materiali, superfici e materia. Si tratta di un modo di procedere lento, riflessivo, fatto di pause e silenzi, osservazione della realtà ed ascolto della propria interiorità. É la rappresentazione della pittura attraverso le sue molteplici forme. Quello che l’artista compie è un viaggio che parte da molto lontano e arriva nel presente e qui si radica e si esprime; Iotti conosce bene, infatti, le forme e i linguaggi dell’arte e li utilizza secondo una sensibilità del tutto personale e soggettiva. Nelle sue opere si percepisce chiaramente una varietà compositiva che denota una grande ricchezza d’espressione e una profonda capacità comunicativa. Ritornano spesso forme stilizzate, fiori, alberi, foglie, elementi spontanei di una scrittura automatica che l’artista riporta istintivamente sulla tela. Non si tratta però di paesaggi naturali o di contesti naturalistici, sono piuttosto forme della pittura, gesti simbolici che diventano elementi narrativi frutto di una sospensione spaziotemporale che punta a valorizzare l’esistente togliendo il superfluo. É l’artista stesso che sente il bisogno di esprimersi attraverso gesti e segni più lineari, sintetici, essenziali, per arrivare ad un’armonia complessiva al cui interno però continuiamo a ritrovare contrasti e contrapposizioni. Ogni opera richiede, quindi, un’osservazione paziente e generosa, un soffermarsi sui singoli particolari i quali, segni di un più complesso alfabeto pittorico, compongono narrativamente intrecci di storie diverse, che da personali diventano collettive.
Marino Iotti nasce a Reggio Emilia nel 1954, si avvicina alla pittura in giovanissima età apprendendone le basi tecniche frequentando i corsi che il Prof. Giulio Soriani teneva alla Piccola Accademia di Regina Pacis, e successivamente con lo scultore Ugo Sterpini. Sono anni dedicati allo studio “dal vero”, innumerevoli sono le uscite a dipingere all’aperto con alcuni pittori reggiani di paesaggio; uscite proficue sia dal punto di vista artistico che dal punto di vista umano. Nel 1978 inizia la sua attività espositiva a Scandiano con “Studio aperto” uno studio/galleria costantemente aperto. Anche se sempre più affascinato dalla pittura aniconica, Iotti dedica una parte dei primi anni Ottanta allo studio della pittura italiana del Novecento, numerosi sono i ritratti dipinti, dalla forte impronta psicologica, ispirandosi ad artisti come Casorati, Funi, Sironi. Studio che consente all’artista di rafforzare le proprie capacità tecniche. Ma è con artisti come Graham Sutherland e Giacometti, che avviene il graduale passaggio ad un linguaggio dapprima simbolico (con temi quali l’ecologia e l’orrore per la guerra) per passare poi ad una pittura astratto/informale. L’incessante ricerca è il dato che caratterizza tutta l’opera di Marino Iotti, una ricerca continua, mai forzata e sempre in divenire, uno studio appassionato dei sottili equilibri che il colore ed il segno possono ancora trasmettere. Numerosi sono stati i laboratori con i bambini delle scuole materne di alcuni comuni della provincia di Reggio Emilia, esperienze molto stimolanti sia dal punto di vista sociale che da quello creativo. Negli anni Novanta apre una agenzia di pubblicità ma continua incessante anche il lavoro artistico con numerose esposizioni in Italia ed all’estero. Lasciata l’attività di grafica, dagli anni 2000 si dedica completamente alla pittura.
Catalogo della mostra “Opere recenti” Saletta Galaverni, Reggio Emilia - 2009
Entrata del vecchio studio di San Ruffino
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Vive e lavora a Scandiano (Reggio E.)
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Bianchi A., Come corre l’arte nella via Emilia. In Quattromila a “Ultimo decennio”, in “l’Unità”, 28 agosto 1997 Mussini M., Il rapporto segno-colore, in “Reporter” 16 maggio 1997 Gualdi S., Iotti, Il diario su tela, in “Gazzetta di Reggio”, 23 maggio 1997 1998 Berti G., Gualdi S., Mussini M., Il lavoro dell’arte: presenze a Reggio Emilia alla fine del Novecento, Reggio Emilia, 1998 Filini E., Guida alla raccolta di Pittori Reggiani dal Rinascimento ai giorni nostri, Reggio Emilia, 1998 Cerri G., Diario, presentazione mostra, Centro S. Michele, Milano, 1998
Parmiggiani S., Graffite visioni, presentazione in catalogo mostra, Saletta Galaverni, Reggio Emilia, marzo 2004 Soncini F., Marino Iotti alla Saletta Galaverni, in “Mese Reggio”, maggio 2004 Borettini L., Herr Iotti, in “Caffè del Teatro”, maggio 2004 Baboni F., Visioni Graffite, in “Reporter” 12 marzo 2004 2005 Marino Iotti durante un laboratorio con i bambini della scuola materna di Gattatico, Re
Berti G., Quel nulla di inesauribile segreto, presentazione mostra, Chiesa della Madonna, Castelnovo Sotto, aprile 2005 Parmiggiani S., Un arte glocale, da Reggio E. ad Albacete, presentazione, Centro Cult. de la Asuncion, ottobre 2005 Slanzi M. T., Albacete-Reggio, in “Giornale di Reggio”, 14 ottobre 2005 Baboni F., Il canto dei graffiti, presentazione in catalogo, Galleria Barbera e Frigieri, Sassuolo, ottobre 2005 Baboni F., Il reggiano Iotti espone a Sassuolo, in “Giornale di Reggio”, 4 ottobre 2005 Taddei S., Iotti espone a Sassuolo, in “Giornale di Reggio”, 23 ottobre 2005 Baboni F., Canzoni graffite, in “Reporter”, 14 ottobre 2005 2006 Ponis P., I bimbi pittori per un giorno, in “Gazzetta di Reggio”, 10 febbraio 2006 Pini R., I quadri di Iotti come un diario immaginario, in “Giornale di Reggio”, 22 gennaio 2006 2007 Cerritelli C., Racconti interiori, presentazione in catalogo mostra, Spazio Tadini, Milano, ottobre 2007 Tassi M., Marino Iotti e i suoi oli simbolici, in “Il Resto del Carlino”, 24 febbraio 2007 Bertolani C., Due esposizioni per la pittura di Marino Iotti, in “L’Informazione”, 10 ottobre 2007 Tassi M., Doppio appuntamento con il pittore Marino Iotti, “Il Resto del Carlino”, 5 ottobre 2007 S. A., Milano, La pittura di Marino Iotti, una porta verso altri mondi, in “Il Giornale di Reggio”, 16 ottobre 2007 Cerritelli C., Racconti interiori, in “Reggio Storia”, dicembre 2007 2008 Basoni S., Il poeta dei graffiti, in “IF”, novembre 2008 2009 Mezzetti E., Opere recenti, presentazione in catalogo, Saletta Galaverni, Reggio Emilia
1999 Bossi B. C., Fuori stagione, presentazione mostra, Villa Ghirlanda Silva, Cinisello Balsamo, 1999 Marino Iotti con Iler Melioli alla inaugurazione della personale alla Saletta Galaverni, 2009 132
2001 Borciani E., Spazi flessibili, in “Reporter”, 21 dicembre 2001 Menozzi B., Una mostra per otto, in “Reporter” 133
Mostre personali 1978 Studio Aperto, Scandiano (Re) 1979 Studio Aperto, Scandiano (Re) 1982 Circolo Culturale A. Gramsci, Reggio Emilia 1984 Galleria Comunale d’Arte Moderna, Sassuolo (Mo) Galleria 13, Reggio Emilia 1985 Sala Com.le d’Arte Moderna, Casalmaggiore (Cr) 1986 Galleria Casartelli, Modena 1987 Cinema Rosebud, Reggio Emilia 1991 Galleria Stieglitz, Modena 1992 Galleria Zona di Visibilità, Scandiano (Re) “Le forme del colore”, Sala Com.le d’Arte Moderna, Quattro Castella (Re) 1996 “Muri”, Circolo Cassa di Risparmio, Reggio Emilia
Mostre collettive 1999 Galleria Fluxia, Chiavari (Ge) 2001 “Spazi flessibili”, Galleria 360°, Montecchio Emilia, (Re) 2002 “Infinite Voci”, Rocca dei Boiardo e dei Thiene, Scandiano Galerie Nickel, Seebruck (D) 2004 “Graffite visioni”, Saletta Galaverni, Reggio Emilia Galerie Nickel, Seebruck (D) 2005 “Il canto dei graffiti”, Galleria Barbera & Frigieri, Sassuolo (Mo) “Quel nulla di ineusauribile segreto”, Chiesa della Madonna, Castelnovo di Sotto (Re) 2007 Ministero Beni Culturali - Settimana della Cultura, Archivio di Stato, Reggio Emilia “Racconti interiori”, Galleria 2E, Suzzara (Mn) “Racconti interiori”, Spazio Tadini, Milano 2008 Galleria l’Ottagono, Bibbiano (Re) “Nel segno della natura”, Parco Naz.le dello Stelvio, Prato allo Stelvio (Bz)
1997 Castello del Vescovo, Arceto, Scandiano (Re)
2009 “Opere recenti”, Saletta Galaverni, Reggio Emilia “Terre di Vite”, Castello di Levizzano, Modena E-book “Fenditure” del poeta Paolo Fichera
1998 “Diario” (Aemilia Artis), Centro S. Michele , Milano
2011 “Risonanze del visibile”, Sala Esposizioni Chiostri di San Domenico, Reggio Emilia
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1982 “Grasselli, Franceschi, Boiardi, Iotti”, Sala Comunale d’Arte, Scandiano (Re) 1986 “Arte ambiente”, Centro Comm.le Futura, Scandiano (Re) 1991 “Biennale di Sestola”, Sestola (Mo) 1993 “X Mostra d’Arte”, Quara di Toano (Re) “Progetto Ostello”, Ostello della gioventù, Reggio Emilia 1995 “Iotti, Makiko e C. Mori”, Palazzo Ruini, Reggio Emilia
2002 “Opera Buona” , Chiostri di S. Pietro, Reggio Emilia “Carte Dipinte”, Saletta Galaverni, Reggio Emilia “Artisti per S. D’Arzo”, Palazzo Magnani, Reggio Emilia 2003 “Proposte per una collezione”, Saletta Galaverni , Reggio Emilia “Percorsi nell’arte”, Galleria Radium Artis , Reggio Emilia “Assadour - Davoli - Tagliati - Iotti”, Saletta Galaverni, Reggio Emilia 2005 “Le Vie dell’Astrazione”, Museo Storico della Fanteria, Roma “Un’arte glocale, Da Reggio Emilia ad Albacete” , Albacete, Spagna Centro Culturale de la Asunciòn, a cura di S. Parmiggiani “Benati, Iotti, Valentini, Neri”, Studio 10, S. Martino dall’ Argine (Mn)
1996 “Restate all’erta”, Chiostri di S. Pietro, Reggio Emilia
2006 “Arte per l’Umanità”, Complesso del Vittoriano, Luigi Martini, Roma “Pittori reggiani a Verona”, Ex Arsenale, Verona
1997 “Pronto Soccorso”, Castello del Vescovo, Arceto, Scandiano (Re) “Ultimo Decennio”, Sala della Rocca , Montecchio Emilia (Re)
2007 “Costellazioni” - Galleria 8.75 , Reggio Emilia “Proposte per una collezione”, Saletta Galaverni, Reggio Emilia
1998 “RE/MN”, Fermenti Attivi, Gonzaga (Mn) “Artisti per Dino Campana”, Museo Dino Campana, Marradi (Fi)
2008 “24 Artisti a Villa Verde”, Villa Verde, Reggio Emilia “Dipingere l’immenso”, Libreria Archivi del ‘900, Milano
1999 “Iotti, Grienti, Clivati, Fioretti”, Circolo Culturale B. Brecht , Milano “Fuori Stagione”, Villa Ghirlanda, Cinisello Balsamo (Mi) “Transvisionismo”, Villa Montalvo, Campi Bisenzio (Fi)
2009 “Armonie a confronto”, Galleria Zamenhof, Milano “Destinazione paradiso”, Galleria Maison Oliver, Parma “Proposte per una collezione”, Saletta Galaverni, Reggio Emilia
2000 “Iotti e Bianchi”, Galleria l’Ottagono, Bibbiano (Re)
2010 “Cinquant’anni di passione per l’arte”, Saletta Galaverni, Reggio Emilia “Iotti-Bisagni”, Galleria Maison Oliver , Parma “Walk of Art”, Galleria Magazzini Criminali, Sassuolo (Mo) “Frammenti”, Galleria 8,75, Reggio Emilia
2001 “Per abitare la città”, Civici Musei (Sala Giardino), Reggio Emilia
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Finito di stampare nel febbraio 2011 Š 2011 - Edizioni Edicta e Marino Iotti