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Quattro Qcolonne

SGRT NOTIZIE

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.

70% regime libero

– ANNO XXI n° 4 APrIle 2012 –

AUT.Dr/CBPA/CeNTrO1 – VAlIDA DAl 27/04/07

Si preannuncia un’estate molto difficile per l’Umbria sul fronte idrico: tra siccità e acquedotti colabrodo l’acqua rimane un problema per il territorio

emergenze

la crisi consuma il futuro

Dalla recessione degli anni ‘30 ad oggi, quando i problemi economici fanno aumentare i suicidi in italia dall’inizio dell’anno si sono suicidati 23 imprenditori. in Umbria boom di vendite di farmaci antidepressivi, ma non è l’unico segnale allarmante: l’agricoltura è in difficoltà e le condutture perdono il 40% dell’acqua servizi alle pagg. 2-3-4-5 potabile

anniversario

la scuola compie vent’anni

Le testimonianze dei fondatori e di chi ha vissuto i primi dieci bienni

sport&salute

più responsabilità contro il destino Vigor Bovolenta, Piermario Morosini e Veronica Lopez sono solo gli ultimi esempi di sportivi morti facendo quello che gli piaceva di più. Tre atleti di età e discipline diverse, quasi a sottolineare come i malori in campo siano un fenomeno trasversale e, soprattutto, impossibile da cancellare. «È fisiologico», commenta Lamberto Boranga, ex portiere di Perugia e Fiorentina e attualmente medico sportivo, «bisogna capire che siamo davanti a eventi imprevedibili e trattarli come tali». Ma si può fare prevenzione e ridurre i rischi, soprattutto per gli sportivi amatoriali, che svolgono attività senza essere sottoposti ai numerosi controlli medici riservati ai professionisti? L’unica strada percorribile è anche la più semplice: evitare sforzi per i quali non si è adeguatamente preparati e effettuare con scrupolo i controlli periodici richiesti dal Coni per ottenere l’idoneità agonistica, almeno una volta all’anno con prova sotto sforzo. «Non si può fare molto di più, nell’ambito della prevenzione, rispetto alle richieste del Coni», assicura Boranga, che a 66 anni è tornato in campo tra gli amatori della Seconda categoria. «Forse i controlli obbligatori solo per il calcio, l’unico sport riconosciuto come ‘professionistico’ dalla legge italiana, si potrebbero estendere a tutti gli sportivi di alto livello. Ma io stesso tre anni fa ho visitato Bovolenta per l’idoneità sportiva ed era sano come un pesce». Responsabilità prima di tutto. Alla prima avvisaglia di qualcosa che non va è necessario fermarsi. Allenatori e preparatori possono e devono essere di grande aiuto, perché voler superare i propri limiti è nella natura di un atleta. servizi a pag.

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lUca cesaretti gianlUca rUggirello

golosi bye-bye Popolo di cicciottelli, da oggi basta schifezze. Il ministero della Salute ha in mente per voi una tassa sul cibo-spazzatura. Esorcizzate con un sorriso la trovata originale? Non lo è. San Francisco ha bandito i gadget degli happy meal; New York, Mecca del junk food, castiga le bollicine con la “soda tax”. E c’è cascato pure “monsieur”: snack a peso d’oro con la “Sarkòslim tax”. Certo, il problema c’è: 5 milioni di obesi. Ma possibile che, da che Italia è Italia, la cura per noi popolo di discoli sia “stangare, non educare”? E dire che ha imparato pure Londra, la “testona” del fish and chips bisunto: con la campagna “5 a day” per ogni porzione vegetale i british collezionano un punto-salute. E verdure tristi come i broccoli hanno packaging sexy, curati come un giardino zen. Insomma: tolta la dieta mediterranea, slogan tricolore che ci fa belli nei Paesi grigi, l’educazione alimentare da noi deve proprio finire a due anni, con le lezioni per l’uso autonomo della forchetta? E poi:la parmigiana di mia nonna, 100% mediterranea, è più light di un hot dog? Per lei sarebbe un insulto. Micol pieretti

internet

rete (quasi) libera Da quest’estate si navigherà gratis anche in qualche parte dell’Umbria. Non sul lago Trasimeno ma sul web, grazie all’attivazione di hotspot wi-fi a Perugia e Terni. Se pensate però di sedervi in piazza IV Novembre, accendere il vostro portatile e collegarvi a Internet per ore, vi sbagliate. La libertà di accesso alla rete pubblica, infatti, non sarà assoluta. Prima di connettersi sarà necessario registrarsi fornendo un documento di identità e un numero di cellulare, sul quale si riceverà un sms con codice utente e password. E per fortuna che era stato abolito l’obbligo di identificare gli utenti del wi-fi gratuito. La navigazione poi è tutt’altro che illimitata: se si superano i 120 minuti o i 500 megabyte di traffico giornalieri si viene disconnessi automaticamente. E per chi non possiede una sim italiana le procedure per connettersi sono ancora più complicate. I turisti dovranno rivolgersi agli uffici preposti, che il Comune deve allestire. Insomma non si spenderanno soldi, ma tempo e pazienza sì.

paola cUtini

elezioni Da tutta italia a villa Bonucci con il sogno comune di diventare giornalisti. Un percorso di formazione che dal 1992 a oggi ha dato al mondo dell’informazione quasi 250 professionisti. in occasione del ventennale non solo celebrazioni ma anche una novità. servizi alle pagg. 6-7

CALENDIMAGGIO

ANZIANI & PATENTI

SPOrT UrbANI Arrampicata in centro storico, acrobazie e salti per superare gli ostacoli “naturali” della città servizio a pag.

Junk food

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L’eterna sfida per celebrare la primavera catapulta per pochi giorni Assisi nel Medioevo

Margherita Hack alla guida dell’esercito degli ultraottantenni al volante servizio a pag.

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servizio a pag.

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aaa voto cercasi «Ciao casalinga, sono Paolo Perrone. Alto, brizzolato, slanciato, tennista. Cucino, lavo stiro. Se vuoi conoscermi sono sempre in Comune. Astenersi perditempo. Si accettano anche comuniste». Il testo non è tratto da un annuncio personale ma da un manifesto elettorale. L’autore è l’attuale sindaco di Lecce (Pdl) che alle elezioni amministrative del 6 e 7 maggio prossimi correrà per un secondo mandato. L’audacia del suo linguaggio è solo la punta dell’iceberg. Le liste e i candidati negli oltre 700 Comuni al voto riservano decine di sorprese colorite. L’unica regola, come insegna il “maestro” Dario di Francesco, che nel 2008 si candidò a sindaco della capitale appoggiato dalle liste “Forza Roma” e “Avanti Lazio”, è cercare voti dappertutto, senza precludersi alcuna strada. Anche Ilona Staller, in arte “Cicciolina”, ha colto la palla al balzo. La sua candidatura a sindaco di Monza è saltata all’ultimo momento. Occhio, però, al suo movimento “Democrazia, natura, amore”: potrebbe essere la novità delle Politiche 2013. riccarDo Milletti


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PRIMO PIANO

APRILE

2012

APRILE

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depressione e sfiducia, viviamo senza guardare al domani Dalla recessione del 1929 a quella del nuovo millennio. Con la crisi aumentano i gesti disperati: boom di suicidi in tutta Italia. L’Umbria è maglia nera per il consumo di psico-farmaci. E il 2012 non promette meglio

«i farmaci non sono tutto» Per lo psichiatra Gianfranco Salierno è necessaria la psicoterapia

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a crisi economica ha colpito molti setto- più di prima, non mi fermo un attimo dalla ri, ma c’è un comparto farmaceutico mattina alla sera, e nonostante questo possa che fa affari d’oro: quello degli antide- essere visto come un lato positivo professiopressivi. Aumentano anche i suicidi, insomma nalmente, ovvio che vedo risaltare una situaè la depressione a farla da padrona. Abbiamo zione molto difficile. chiesto spiegazioni a Gianfranco Salierno, psi- Come arrivano da voi i pazienti? chiatra responsabile del Centro di Salute Solitamente vengono accompagnati dai famiMentale del Trasimeno. liari, ma in casi peggiori hanno crisi o attacchi Dottor Salierno, conferma questo aumento di panico, sono ricoverati al Pronto Soccorso e dei fenomeni depressivi? poi li prendiamo in cura noi. Purtroppo sì, i dati parlano Dai primi sintomi depressivi chiaro, come dimostra l’aumensi capisce la causa. In fondo il to del 24% dei suicidi per quediscorso per lavoratori dipenstioni economiche. Si crea semdenti o imprenditori è simile: pre più spesso uno squilibrio i primi hanno un rischio di che porta a depressione e crisi famiglia e perdono al tempo di ansia e così si arriva a un alto stesso lavoro e reddito per consumo di antidepressivi e a andare avanti, mentre i un aumento dei suicidi, in secondi hanno un rischio Umbria in particolare. Ma non d’impresa e magari si indebisolo, resistono le vecchie tano per non mandare fallito dipendenze patologiche come il lavoro di anni. abuso di droga e alcool. E negli Ci sono delle soluzioni gianfranco salierno, psichiatra ultimi anni è esplosa la dipenrealistiche al problema? denza da gioco: ci si illude di poter recuperare In teoria si dovrebbe prevedere allo stesso facilmente i soldi persi. tempo l’utilizzo di farmaci mentre ci si sottoQuali fasce di età riguarda questo triste pone a psicoterapia, ma non sempre è così. fenomeno? Eppure le pillole non sono magiche, e la teraSicuramente non i giovani che ancora vivono a pia serve a non sentirsi abbandonati, a non casa coi genitori, ma parte dagli over 40, da chi restare soli e iniziare così a essere aiutati. Ma è insomma una famiglia la deve mantenere. chiaro che una vera soluzione si ottiene solo Alcuni, sempre più spesso, non ci riescono e ritrovando il lavoro o comunque una certa stasono pronti a tutto per superare le difficoltà, bilità economica. Cosa sempre più difficile, che in molti casi sono psicologiche. considerando che dal punto di vista psicologiNel vostro centro notate questa situazio- co siamo solo all’inizio della crisi, e nel corso ne? del 2012 la situazione rischia seriamente di Me ne accorgo personalmente: lavoro molto peggiorare.

sempre peggio per i giovani

Prima si progettava la vita, ora le prospettive non sono incoraggianti

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l sociologo Enrico Finzi è il presidente di è stato l’anno del cambiamento. Prima di allora AstraRicerche, un istituto che si occupa di si pensava che le cose sarebbero andate sempre indagini sociali e di marketing. meglio. Ora l’aspettativa è decrescente. Il quadro Quali sono i principali cambiamenti della psicologico del Paese è cambiato in relazione sosocietà per effetto della crisi? prattutto ai giovani. La mia generazione è conPartiamo da due dati chiave. Noi facciamo dei vinta che i ragazzi staranno peggio dei loro pasondaggi mensili per capire il vissuto degli italia- dri. I giovani prima erano quasi derisi perché fini e all’inizio di aprile il 70% dei connazionali gli della pace, oggi questo non lo dice più nesgiudicava la condizione sociosuno. economica propria e dei famiQual è la sensazione geneliari pessima. Non si era mai virale? sto, o almeno da moltissimo La sensazione generale è tempo a questa parte, che sette d’impoverimento, ci si sente persone su 10 dicessero che la sempre più poveri. loro qualità di vita fosse forteInoltre si è indebolita la promente negativa. gettualità, non si ha fiducia, Il secondo dato si basa sulla mentre l’intraprendenza è il domanda: “Come crede che motore dell’economia. Paesi andranno le cose nel 2012?”. come la Cina, l’India, il BrasiLa risposta indica una forte dole seppur poveri hanno giovase di malessere, per il 61% deni creativi, che tendono a fagli intervistati le cose peggiorere progetti. In Italia non è più ranno. Descrivono situazioni così, in passato si rischiava, enrico finzi, astraricerche preoccupanti di depressione oggi c’è troppa sfiducia per collettiva economica e sentimentale. lanciarsi in nuove avventure. Le generazioni future risentiranno in termi- Gli italiani dichiarano di essere sempre più stresni sociali di questa crisi? sati, soprattutto le donne. Un altro aspetto è il riIo sto ai dati, quindi non posso fare previsioni sparmio, ad oggi è impossibile risparmiare per sul futuro. Si può vedere però quello che è suc- molti italiani. cesso nel passato. I consumi interni delle fami- Insomma c’è una sofferenza collettiva? glie sono aumentati dagli Anni Cinquanta, ma la Sì, ma la crisi pesa soprattutto sulle donne. Socrescita del Boom è rallentata progressivamen- no loro a dover gestire, oltre al lavoro, la famite, fino alla stagnazione dal 2000 al 2008. Il 2008 glia e la casa.

È

il 1929 quando crolla la borsa di Wall Street. Numerosi i suicidi, 11 nel solo giovedì nero. Più di ottantant’anni dopo e nel mezzo di una nuova recessione il numero delle persone che si toglie la vita a causa delle ristrettezze economiche torna a preoccupare. Dall’inizio del 2012 in Italia 23 imprenditori sono morti suicidi. A dirlo è un rapporto della Cgia di Mestre. I dati, seppur impressionanti, non tengono conto di tutti quei casi non denunciati dalle famiglie. La mancanza o la perdita del lavoro sono le ragioni prevalenti del dilagare di questi gesti estremi. A Padova è nata l’associazione “Speranza al lavoro”. Tra i fondatori, nonché presidente, c’è la ventinovenne Laura Tamiozzo. Suo padre, l’imprenditore vicentino Antonio Tamiozzo, si è tolto la vita lo scorso 12 dicembre. L’iniziativa è nata per sostenere e tutelare le vittime della recessione e le loro fa-

miglie. L’associazione intende puntare l’attenzione sui lavoratori, sui consumatori, sui piccoli imprenditori e sui loro parenti, in difficoltà per la pressione fiscale e per la crisi economica. Negli ultimi mesi, tragici casi di cronaca hanno riempito le pagine dei giornali. A iniziare la lunga lista dei suicidi del 2012 un pensionato di 74 anni che il 2 gennaio si è buttato dal balcone dopo aver ricevuto una lettera dell’Inps in cui si chiedeva la restituzione di cinquemila euro. Roma, Milano, Gela, Trento, Lucca e Matera. Nessuna città è stata risparmiata dall’ondata di casi di nera. A Bologna uno degli esempi più eclatanti è stato quello di un artigiano edile, titolare di una piccola impresa, che si è dato fuoco davanti alla sede dell’Agenzia delle Entrate di Bologna. E poi a Catania il 13 febbraio un imprenditore di 57 anni si è impiccato con una corda legata a un muletto.

La sua azienda di macchinari agricoli ad Acireale era strozzata dai debiti. Ma i gesti estremi sono solo l’ultimo anello di una catena ben più lunga. La fotografia è quella di un’Italia in ginocchio, fragile a livello economico e psicologico. A essere colpito dalla crisi è soprattutto il Nord. Dall’inizio dell’anno nel solo Veneto ci sono stati già nove suicidi per cause finanziarie. Insomma il cuore pulsante dell’imprenditoria italiana si sta fermando. Tullio Perleonardi, proprietario di un’azienda di dispositivi antinfortunistici, la Pinna srl di Brescia, ha sofferto un calo della produzione del 40%. «Attualmente nella mia impresa ho otto dipendenti, quattro sono stati licenziati e cinque persone sono in cassa integrazione. Il momento che stiamo vivendo è il più difficile: il 2012 si prospetta pessimo». Quello che sottolinea il signor Perleonardi è però un rischio più generale, che non riguarda solo

l’aspetto economico. «È la forma mentis dell’imprenditore che sta cambiando. Non si ha più l’entusiasmo di guardare al futuro e viene meno l’essenza stessa di questo mestiere. Fare impresa oggi è una missione, abbiamo tutto contro di noi». Anche in Umbria si sentono le conseguenze della crisi. Secondo il “Rapporto Osservasalute 2010” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, la recessione economica sta cambiando i consumi degli italiani anche in termini di medicinali. Tra le regioni con i più alti consumi di farmaci per le forme depressive spicca l’Umbria. Nel cuore verde d’Italia, secondo i dati forniti da Federfarma, dal 2009 al 2010 il consumo di prodotti utilizzati nella cura del sistema nervoso è aumentato del 7,2%. Un dato allarmante per una regione considerata ancora vivibile, ma in cui lo stress e le forme depressive sono sempre più diffusi.

pagina

a cura di

raffaele cappuccio annalisa fantilli chiara garzilli giorgo matteoli

«lavoratori ormai impotenti»

Per Francesco Ferroni (Adiconsum) ci vuole più solidarietà tra le famiglie

«D

obbiamo evitare di creare sensa- di alcuni fattori». Uno su tutti la mancanza di zionalismo». Con queste parole credito. Il motivo? Per Ferroni la risposta è Francesco Ferroni, segretario semplice: «Non esiste un banca umbra vera e regionale di Adiconsum Umbria, parla del propria che conosca la realtà. C’è solo un granfenomeno drammatico dei casi di suicidio e dei de distacco». tentativi di suicidio che stanno riempendo le La chiusura dei rubinetti da parte delle bancronache. Non è un’emergenza bensì altro: che è un problema che non riguarda solo gli uno spaccato della realtà sì basato sui numeri imprenditori. A pagare sono in misura maggioma fatto innanzitutto di persone. Perché dietro re i lavoratori, soprattutto quelli del comparto ogni gesto estremo, dietro ogni freddo numero privato che devono fare i conti con la cassa c’è una vita. integrazione. Uno strumento La posizione di Ferroni nasce che nella migliore delle ipoteda un’esperienza ricca di volti, si si attiva in tre mesi. di «persone che con gli occhi Sempre più spesso allo pieni di desolazione ti guardasportello dell’Adiconsum si no alla ricerca di una soluziorivolgono persone che non ne». È il punto di vista di chi, riuscendo ad avere un prestida lavoratore e da sindacalista, to bancario, hanno optato segue le difficoltà delle persone per le finanziarie. S’inizia con che non riescono più a tappare una. E si prosegue fino a i buchi della quotidianità: le quando l’indebitamento è tale bollette, le spese per i figli, le che diventa incolmabile. tasse, le tariffe. Un rosario di «Non è un aspetto positivo, francesco ferroni, s egretario adiconsum difficoltà che diventano irrisolcerto. Ma almeno significa vibili quando il reddito rimane fisso e la spesa che le persone reagiscono», ammette Ferroni. corrente cresce. O peggio ancora quando un «Bisogna preoccuparsi, invece, quando le perreddito non c’è più. sone non sono più reattive. Si lasciano andare». Non si tratta più di arrivare a fine mese. Si è La gente si guarda attorno e spesso è costretta di fronte a una condizione di incapacità. «Ci a fare scelte sbagliate. Come con l’usura. I sinsentiamo impotenti noi stessi – dice Ferroni – dacati possono dare dei consigli, educare i conPossiamo snocciolare dati; realizzare analisi; sumatori, creare dei fondi antiusura. Ma ma la verità è che possiamo fare poco da un Ferroni ammette che ci vuole anche altro: solipunto di vista psicologico». Secondo il sindaca- darietà tra le persone. Un aiuto nella e della lista bisogna stare attenti a nuove possibili evo- comunità. «In Umbria è ancora forte il sosteluzioni: «La situazione in Umbria non è dram- gno all’interno del nucleo familiare. Ma per matica come in Veneto. Eppure ho l’impressio- affrontare questa crisi ci vorrebbe più aiuto tra ne che rischi di peggiorare a breve per il peso le famiglie».

aziende umbre, tra difficoltà economiche e paura della gogna sociale

troppe tasse per le imprese

«L’impresa non può essere considerata solo una macchina produttiva. Per il proprietario è tutto ciò in cui ha creduto», spiega il direttore della Confapi regionale

«Manca il lavoro, la burocrazia è lenta e non c’è liquidità. Troppa sfiducia» auro Capitanio è il presidente della cia. Se non sei incentivato a produrre anche fondazione dei Consulenti per il quelle aziende che ne hanno l’opportunità non Lavoro, un’agenzia del Consiglio investono. Da non sottovalutare è la campagna nazionale dell’Ordine. Ogni giorno si confronta mediatica contro l’evasione che fa di tutta l’erba con la realtà e le esigenze delle piccole e medie un fascio e quindi anche l’imprenditore serio si imprese. sente visto dallo Stato e dalla società come se Negli ultimi mesi si assiste a dei tragici casi fosse un evasore. di cronaca che riguardano soprattuttto gli Parlando della lotta all’evasione – e ricorimprenditori, ma quali sono le maggiori dif- dando che ovviamente c’è sempre una posficoltà per le piccole e medie imprese? sibilità di scelta – si può dire che i commerPrimo: la mancanza di lavoro. cianti e gli imprenditori Una carenza che riguarda in sono sottoposti a un’ingegenerale il manifatturiero, ma stibile pressione fiscale? soprattutto l’edilizia. E non mi La lotta all’evasione fiscale è riferisco solo ai costruttori, ma a ovviamente giusta. Il probletutta la filiera: dalle travi all’eletma è la quantità di tasse che i tricista. Secondo: il costo del piccoli e medi imprenditori si lavoro troppo alto. Terzo: la trovano a dover pagare. Tra mancanza di liquidità. Le ammiqualche anno rischiamo di nistrazioni, anche pubbliche, aver recuperato i soldi delnon pagano e quando pagano lo l’evasione, ma di non avere fanno in tempi lunghissimi, in più imprese. Quando viene da questo modo non si riescono a me un giovane che vuole aprimauro capitanio, presidente l avoro fondazione consulenti per il versare i contributi. re un’azienda o un’attività Quali sono le principali richieste da parte commerciale gli faccio un esempio: il primo dei lavoratori e degli imprenditori? anno poniamo che guadagnerai 100mila euro – Abbassare il costo del lavoro e semplificare la che sono tanti – l’anno dopo, a giugno-luglio, burocrazia. dovrai pagare il 45-50% di tassazione, ed entro Manca l’iniziativa, la spinta alla progettuali- novembre dovrai versare il 98% dell’acconto. tà degli anni passati? Insomma i 100mila euro se ne sono andati. Manca la fiducia. Gestisco 200 piccoli-medi E qual è la reazione? imprenditori in Lombardia, quello che è il I ragazzi mi guardano negli occhi come se stesmotore dell’Italia. E qui si sta spegnendo la fidu- si raccontando delle frottole.

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a Confapi è la Confederazione italiana del- ma solo chi è davvero “alla frutta”, come chi si la piccola e media industria privata. Nata trova nella morsa dell’usura – racconta il direttonel 1947, oggi rappresenta gli interessi di re – O, in altri casi, chi ha bisogno di un supporoltre 120mila imprese manifatturiere. È presente to specialistico, ad esempio per l’attivazione della anche in Umbria, dove riunisce aziende che nella cassa integrazione». maggior parte dei casi – oltre il 98% – sono di picProblemi economici, ma non solo. Vergogna e cole o piccolissime dimensioni. Attività rese più paura di essere giudicati sono dietro l’angolo, sovulnerabili dal fatto che spesso dipendono da prattutto in una realtà locale in cui è difficile tecommittenze esterne, legate nere nascoste le proprie difficolquindi alle esigenze di altre imtà. Ecco perché a volte si arriva prese. «Solo le poche che hanno a compiere gesti disperati: la criinvestito nella ricerca e innovasi dell’attività viene vista come il to la produzione con originalifallimento di una vita intera. «Il tà, trovando nicchie autonome punto è che l’azienda non può di mercato, sono riuscite a conessere considerata solo come tenere le perdite», spiega il dott. una macchina produttiva. Per il Guido Perosino, direttore di proprietario rappresenta la sua Confapi Umbria. “creatura”, tutto ciò in cui ha Il tessile e l’edilizio sono stacreduto e investito. Se perde ti i settori più colpiti dalla crisi, l’impresa, perde tutto – dice Pema nessuno ne è rimasto indenrosino – questa è la differenza ne. Tanti i problemi comuni, a con i manager delle grandi sociepartire dall’erosione del credito. tà, che hanno sempre la possibiguido perosino, direttore di c onfapi u mbria «Le aziende si scontrano con la lità di spostarsi se quella in cui larigidità dimostrata dalle banche negli ultimi anni vorano fallisce». Per superare il periodo di stagnanella concessione di prestiti e agevolazioni – con- zione che stiamo attraversando, bisogna rimettetinua Perosino – è difficile arginare questo clima re in moto il mercato. «È fondamentale lanciare un di sfiducia generalizzata». messaggio di fiducia e di speranza per il futuro», Nel 2009, Confapi Umbria ha introdotto un nu- conclude il direttore. mero verde, mettendo a disposizione un pool di La Sabatini Calzature, con i suoi 30 dipendenti avvocati e commercialisti per consulenze gratuite circa, è una delle tante aziende riunite nella Conagli imprenditori della regione. «All’inizio ci arri- fapi. Federico Sabatini rappresenta la terza genevavano tante richieste di aiuto, mentre oggi ci chia- razione che guida l’azienda di famiglia. Fu infatti

il bisnonno Luigi ad aprire a Spoleto quel piccolo ne di articoli alternativi, che fino a quel momento laboratorio artigianale in cui si producevano cal- venivano trascurati. «Avevamo sempre puntato zature in pelle su misura. Un’attività che è stata tra- sulle calzature da donna, quelle con maggiore mermandata di padre in figlio e che si è allargata con cato. Nell’ultimo periodo, invece, abbiamo riseril tempo. «Il 95% della nostra produzione è desti- vato uno spazio più ampio anche a quelle da uonata a commesse esterne – spiega Federico Saba- mo, riducendo i prezzi e diversificando l’offerta in tini – lavoriamo in collaborazione con tante mi- base all’età e ai vari target dei potenziali acquirencro-aziende che acquistano i nostri prodotti». ti», spiega. L’impresa, quindi, risente di un La Sabatini ha poi deciso di mercato nazionale in grande guardare sempre di più al merdifficoltà. Gli effetti dell’infelicato straniero. «Nel lungo pece congiuntura economica, tutriodo l’estero rappresenta il notavia, qui hanno tardato a manistro futuro. Ecco perché stiamo festarsi. Dal 2008 al 2010, infatcercando di aumentare la proti, l’azienda non sembrava tocduzione destinata all’esportacata dalla crisi. «Le difficoltà sozione, che oggi si limita al 30%». no iniziate nel 2011, quando abAl di là delle difficoltà che si biamo notato un cambiamento riscontrano giorno per giorno, nell’atteggiamento dei consupoi, sta cambiando la mentalità matori. Sono diventatati più atstessa dell’imprenditore. «Quantenti ai prezzi e hanno ridotto do ci chiamano le testate giornagli acquisti, cercando di far dulistiche per proporci delle pubrare i prodotti più a lungo», racblicità, siamo costretti a dire di federico sabatini, titolare di un impresa di calzature ’ conta l’imprenditore. «Da allono. Oggi preferiamo fare invera abbiamo registrato un calo produttivo tra il 3 e stimenti che grantiscano un rendimento più immeil 5%. Un risultato di cui non ci possiamo lamen- diato», spiega Sabatini. Anche un’azienda da decentare, se si considera la situazione generale della no- ni radicata nel territorio umbro, quindi, non rimastra economia» ne indenne dal senso di precarietà e insicurezza geCosa fa allora una piccola azienda per reagire al- nerale. « Nel mio piccolo, da imprenditore coscienla contrazione della domanda? La diversificazione zioso, ho ridotto gli acquisti superflui, rimandandella produzione è il primo passo per cercare di ar- do tutto ciò che non è strettamente necessario. I ginare i limiti del mercato. Ecco perché l’azienda campanelli d’allarme sono troppi per restare inaspoletina ha deciso di implementare la produzio- scoltati».

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PRIMO PIANO

APRILE

2012

Nei primi giorni di aprile le piogge sono tornate ma gli ultimi mesi hanno registrato un calo netto delle precipitazioni

allarme siccità: la pioggia non basta A La regione ha chiesto al Governo lo stato di emergenza. Si lavora a un piano contro la mancanza d’acqua: l’estate si preannuncia arida

prile è il più crudele dei mesi. Così recita una poesia di Thomas Eliot. E quest’anno lo è stato veramente, almeno in Umbria, e non per la pioggia bensì per la siccità. L’ombrello l’hanno preso in pochi: le precipitazioni sono state dell’83 per cento inferiori, con circa 59 mm in meno rispetto all’anno scorso. E le prime gocce del mese non bastano a rinvigorire corsi e bacini idrici. L’estate potrebbe essere molto dura. «Una situazione preoccupante» ha detto l’assessore regionale Fernanda Cecchini, che ha lanciato l’allarme siccità chiedendo lo stato di emergenza idrica al Governo. Secondo un rapporto che la Regione ha inviato alle province, la scarsità si protrae dal gennaio 2011 e nei mesi di agosto e novembre ha fatto registrare picchi del 90% di precipitazioni in meno. Angelo Viterbo, dirigente regionale del servizio Risorse idriche e rischio idraulico, sta lavorando con la Giunta regionale al piano che verrebbe messo in atto se il Governo concedesse lo stato d’emergenza alla Regione. «Sicuramente c’è un cambiamento climatico – spiega Viterbo – ma al di là del trend negativo della media delle precipitazioni c’è il dato effettivo: quest’anno è piovuto molto di meno». E aggiunge: «È da gennaio che siamo preoccupati. L’estate prossima questa crisi potrebbe assumere proporzioni maggiori di quelle del 2001 e del 2005». A dirlo sono anche i livelli dei corsi d’acqua di fiumi e laghi. Il Trasimeno, per

Un

tratto Del

tevere

nella zona Di

ponte pattoli

esempio, è a meno 93 centimetri rispetto allo zero idrometrico. «Difficile parlare con certezza – spiega Riccardo Pani, ufficiale idraulico del lago – ma questo livello è preoccupante e il rischio è che continui a scendere. In autunno si potrebbe arrivare a meno 140 centimetri, anche perché quando c’è meno acqua l’evaporazione è più veloce».

crepe

nel sUolo DovUte alla scarsità D’acqUa

Meno acqua, dunque, che potrebbe voler dire meno turismo: «Un lago basso è un lago che attira meno visitatori – spiega ancora Pani – e tra l’altro se le sponde scoperte si allungano la manutenzione diventa più costosa». Ma non solo: questo potrebbe significare anche meno acqua da usare per scopi irrigui. Moreno Giannetti, della comunità montana del Trasimeno, fa sapere che nel 2010 sono stati erogati 609.042 metri cubi, mentre nel 2011 sono stati 582.934. L’erogazione è diminuita perché «le colture irrigue sono sempre meno praticate anche per via del prezzo elevato dell’acqua». Il consumo per l’irrigazione, comunque, non incide in modo particolare sul livello del lago: «Per prosciugare un centimetro di superficie dovremmo

erogare 1 milione e 400mila metri cubi d’acqua». Fonte importante è anche il Tevere. La Comunità montana dell’Alta Umbria, che gestisce le risorse idriche in questa zona, ha erogato nel 2011 oltre 5 milioni di metri cubi d’acqua, utilizzati soprattutto da aziende agricole, ma anche da piccoli orti privati. Ma questo potrebbe non bastare. «Abbiamo constatato una diminuzione di tutte le sorgenti – dice Alessandro Carfì, amministratore delegato di Umbra Acque – il rischio riguarda soprattutto le zone non collegate direttamente a sorgenti o condotte e che si riforniscono solo attraverso dei pozzi. Qui, in caso di siccità, si dovrebbe far arrivare acqua solo con le autobotti e i sindaci dovrebbero emettere ordinanze per chiedere l’utilizzo solo per scopi alimentari». Al di là dell’Umbria, la siccità è un dramma che interessa oltre tre miliardi e mezzo di persone nel mondo: un miliardo non ha accesso all’acqua potabile, mentre i restanti due miliardi e 600 milioni non conoscono i servizi igienici. Che l’acqua non sia una risorsa infinita è innegabile. I numeri parlano chiaro. Le riserve mondiali per abitante ammontavano a 16.800 metri cubi nel 1950, entro il 2025 si ridurranno di quasi un quarto, arrivando a quota 4.800. A dirlo è il Consiglio mondiale dell’acqua, un’organizzazione internazionale nata per risolvere i problemi legati alla disponibilità di oro blu. Diretta conseguenza della siccità è la desertificazione. Sembra quasi un paradosso ma anche l’Umbria, cuore verde d’Italia, è a rischio. Secondo un’analisi dell’Ispra (Istituto per la protezione e la ricerca ambientale) una percentuale tra il 30 e il 50% del suo territorio sarebbe minacciato dal fenomeno.

l’agricoltura che rischia grosso

Ma desertificazione non vuol dire solo avanzamento del deserto. La Convenzione delle Nazioni Unite contro la desertificazione, approvata nel 1994 e ratificata dall’Italia nel ’97, la definisce come un processo di «degrado dei terreni coltivabili in aree aride, semi-aride e asciutte subumide, in conseguenza di numerosi fattori, comprese variazioni climatiche e attività umane». Attività umane come le coltivazioni intensive che impoveriscono il suolo. L’allevamento del bestiame che elimina la vegetazione. Il disboscamento eccessivo che abbatte gli alberi e la loro capacità di trattenere il manto superficiale del terreno. Infine l’irrigazione che, con tubi e canali scadenti, rende salmastre le terre coltivabili. È sempre l’Onu a sottolineare che l’attività irrigua desertifica in media 500mila ettari di terreno all’anno. In fin dei conti, il deserto non è poi così lontano. elena Baiocco e riccarDo cavaliere

-83%

poche gocce

la percentuale di precipitazioni rispetto all’anno scorso

-93cm

il livello del Trasimeno rispetto allo zero idrometrico

30-50%

il territorio umbro minacciato dalla desertificazione

500mila

gli ettari desertificati ogni anno dall’attività irrigua

I produttori spiegano la situazione di mais e tabacco, coltivazioni che richiedono un elevato consumo idrico

L

a siccità che minaccia l’Umbria potrebbe avere ripercussioni sulle future coltivazioni. Ma già ora gli agricoltori si preoccupano per il raccolto. «Parlare di emergenza mi sembra un po’ eccessivo. Certo è che se a maggio continua questa situazione, per tabacco e mais potrebbe essere un problema». Così Fabio Rossi, presidente dell’Opta, l’organizzazione dei produttori di tabacco nata in Umbria lo scorso marzo e che raggruppa oltre 300 aziende, commenta il rischio cui la regione va incontro. Spiega che per questo tipo di piantagioni è necessario un consumo di acqua superiore ad altre, e che le piogge degli ultimi giorni non cambiano nulla perché sono già state assorbite dai terreni secchi. Altro problema è la diga di Montedoglio, fonte principale di approvvigionamento idrico per uso irriguo. Il suo invaso, dopo l’incidente avvenuto nel dicembre del 2010, presenta un deficit di pioggia del 29,6% (-337mm) e attualmente contiene 27,8 milioni di metri cubi di acqua. «Per ora stiamo sfruttando la micro-irrigazione, ma è solo un palliativo, non la soluzione» sostiene Rossi. Si tratta di un meccanismo che si avvale di tubi di plastica per inondare i

campi di acqua, anziché aspergerli con l’irrigatore a pioggia. Piantare il tabacco è indispensabile. Ci sono in ballo migliaia di posti di lavoro. Il mercato, nonostante la crisi, dà da vivere a cinquemila persone in Umbria, tra produzione, trasformazione e indotto. Quasi il 30% della manodopera è straniera. A gravare sul settore anche la riduzione delle sovvenzioni da parte dell’Unione Europea. «Fino al 2009 usufruivamo dei cosiddetti finanziamenti accoppiati: per ogni quintale agricoltori al lavoro. in UMBria le azienDe agricole sono 36.201, nel prodotto, ricevevamo 170 euro. 2000 erano invece 52.035 (fonte istat 2012) Oggi appena 27» dice sconsolato rimasta. Prima c’era anche la barbabietola, ma Fabio Rossi. oggi non si coltiva praticamente più». Poco fiducioso anche Domenico Brugnoni, In effetti secondo gli ultimi dati dell’Inea, presidente della sezione regionale della Cia, Istituto nazionale di economia agraria, dal 2000 laConfederazione italiana agricoltori, una delle al 2010 la coltivazione della barbabietola da più grandi organizzazioni agricole professiona- zucchero ha subito una flessione del 98%. In li d’Europa. «Senza sovvenzioni è difficile generale, stando al rapporto Inea, il numero sopravvivere. Il tabacco in Umbria assorbe delle aziende agricole umbre è diminuito del molta manodopera e crea un grande indotto 31%. Un trend negativo per un settore ancora economico. Perdere questa coltura sarebbe un molto importante nell’area. duro colpo, anche perché è l’unica industriale Fatto sta che il problema siccità rimane. «I

fattori principali sono due – spiega Brugnoni –, il primo è meteorologico ed è dovuto alla piovosità degli ultimi 13-14 mesi, che è stata circa la metà delle medie stagionali. Il secondo è lo svuotamento dell’invaso di Montedoglio, dopo la rottura della diga». I cereali e le colture arboree, come la vite e l’olivo, se la possono cavare, ma le colture ortofrutticole sono più a rischio. In realtà c’è anche un altro problema, legato all’inquinamento delle acque del Tevere. Brugnoni sottolinea che «in alcuni tratti il fiume è poco pulito, ma ci sono delle centraline che rilevano il livello di inquinamento e se questo è troppo elevato bloccano l’erogazione di acqua, impedendo che questa venga utilizzata per innaffiare le coltivazioni». Entrambi gli agricoltori auspicano una maggiore attenzione verso un settore che spesso passa in secondo piano quando si parla di crescita. Per andare incontro agli agricoltori, la Regione Umbria ha messo a disposizione undici milioni di euro, provenienti dal programma di sviluppo rurale 2007-2013, destinati a chi coltiva in zone con svantaggi naturali e chi cole.B. r.c. tiva biologico.


APRILE

2012

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PRIMO PIANO

Tubature colabrodo, in Italia buttati via tra i 4 e i 5 miliardi di euro all’anno. Si continuano a preferire le bottiglie, il Paese primo consumatore d’Europa

rete idrica, l’Umbria fa acqua

Dispersione del 40% e problema investimenti. Interviene rometti: «Entro sei anni le perdite dovranno essere dimezzate. Otto milioni a disposizione»

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ell’acqua che arriva al rubinetto di casa, oltre il 35 per cento si perde per strada. Dalle tubature umbre secondo la relazione al Parlamento redatta dalla commissione nazionale per la vigilanza sulle risorse idriche, ne fuoriesce il 40%. Le situazioni più critiche sono quelle del centro-sud: dagli acquedotti del Molise esce il 65 per cento delle risorse idriche, mentre durante l’estate Sicilia, Sardegna e Puglia sono bersagliate da emergenze per settimane. Si perde acqua dunque, ma anche molto denaro. Una ricerca di Althesys dimostra che per circa 3-4mila miliardi di metri cubi vanno in fumo tra i 4 e i 5 miliardi di euro all’anno (45 milioni solo per l’Umbria). Nel frattempo gli italiani continuano a consumare 220 litri d’acqua a testa ogni giorno, quando i nord-europei non superano i 160. L’Italia con 980 metri cubi di prelievo d’acqua annuo pro-capite è la prima consumatrice in Europa e la terza nel mondo, dopo Usa e Canada. Pochi investimenti, tanto inquinamento «Il problema principale è la mancanza di investimenti sulle infrastrutture, non ci sono risorse – spiega Alessandra Paciotto, presidente Legambiente Umbria – e quella degli acquedotti colabrodo non è considerata una prerogativa di intervento». Eppure sistemando la rete si potrebbe avere il 40 per cento di acqua in più. «Non è così semplice. C’è anche il problema dell’inquinamento. Arpa e Asl controllano le falde acquifere e stabiliscono se una certa acqua si può bere oppure no. Se si rileva inquinamento si avvisa il sindaco il quale emette un’ordinanza e vieta l’utilizzo dell’acqua. Poi – aggiunge Paciotto –

sempre il Comune dovrebbe provvedere a rifornire l’area interessata attraverso cisterne o autobotti. Ci sono paesi o alcune case isolate sulle colline che non hanno condutture idriche e utilizzano i pozzi. In parecchi di questi l’acqua è inquinata. È accaduto a San Martino in Campo, Assisi, Bastia Umbra. A Foligno i pozzi sono stati inquinati da versamenti di lavanderie e di attività artigianali». Ma entro sei anni, per quanto riguarda l’acqua pubblica, qualcosa dovrà cambiare. L’impegno arriva dalla Regione: «Abbiamo approvato un regolamento regionale – spiega l’assessore all’Ambiente Silvano Rometti – che prevede, oltre a ribadire un uso consapevole degli utenti, una riduzione delle perdite del 20 per cento in sei anni. Una parte dei 213 milioni dei fondi per le aree sottoutilizzate sarà destinata a questo, circa 7 o 8 milioni e un’altra parte cospicua andrà per la depurazione delle acque». Bottiglia o rubinetto? - Negli ultimi tempi in molti hanno riscoperto l’acqua di casa, forse anche come conseguenza diretta della crisi economica. Nonostante questo però gli italiani riman-

gono i primi consumatori in Europa di acqua minerale in bottiglia: 196 litri a testa, in media, ogni anno. L’acqua imbottigliata è presente su quasi ogni tavola italiana ma costa da cinquecento a mille volte in più rispetto a quella pubblica del rubinetto, e contribuisce tra lavorazioni, imballaggi e trasporti all’inquinamento dell’atmosfera. «Perché è meglio l’acqua del rubinetto rispetto a quella in bottiglia? Perché – commenta il presidente di Legambiente – non si rischiano contaminazioni di materiali di imballaggio e di stoccaggio». Tentare una soluzione L’unica via possibile sembra essere quella di investire e lavorare sulla manutenzione. Fino ad oggi tutti i cittadini hanno contribuito in questa direzione con il balzello del 7 per cento applicato dai gestori della bolletta. Secondo Legambiente si tratta di fondi che hanno cambiato poco le cose, vista la situazione generale degli acquedotti locali. «È fondamentale ridurre le perdite – ribadisce il presidente di Legambiente – sia per il presente sia per le future crisi idriche. Stiamo ributtando in mare l’acqua che sta inondando la nostra barca. Ma l’unica soluzione per non affondare è tappare la falla». giorgia carDinaletti

Dati a confronto

• Il 40% dell’acqua fuoriesce dagli acquedotti umbri. In Italia oltre il 35%. Situazione drammatica al Sud. Entro sei anni l’Umbria punta a ridurre le perdite al 20%. • L’87% degli italiani consuma acqua in bottiglia. Il mercato delle acque minerali vale 3,2 miliardi di euro. • In 15 anni (1988-2003) il consumo italiano di acqua in bottiglia è più che raddoppiato (da 80 a 182 litri), un fenomeno unico al mondo. • Gli italiani consumano 220 litri di acqua a testa ogni giorno, 30 solo lasciando il rubinetto aperto mentre ci si lava i denti.

viaggio nel tempo tra antichi acquedotti Labirinti sotterranei e ponti secolari del territorio. Ecco i capolavori idraulici di etruschi, romani e frati medievali

cisterna roMana Dei voltoni, toDi (foto: faBrizio arDito)

A

cquedotti, pozzi e cisterne. Opere complesse, a volte mastodontiche, che resistono ai secoli e, in alcuni casi, conservano la loro funzione. Il percorso alla scoperta dei sistemi idraulici in Umbria attraversa tutta la regione e almeno due epoche: quella romana e quella medievale. Si inizia da Perugia con l’acquedotto della Fontana Maggiore. Durante il XII secolo il progressivo aumento della popolazione rese necessario un maggiore approvvigionamento idrico. Ai frati il compito di individuare e incanalare nuove acque sorgive: la raccolta di Montepacciano, vicino all’attuale frazione di San Marco, sembrava la fonte più adatta. Nel 1254 le prime delibere del Consiglio Generale del Popolo. Il progetto fu affidato al maestro veneziano Boninsegna. Un labirinto di cunicoli per oltre 500 metri di lunghezza e una cisterna di raccolta, la Conserva delle vene, ne assicuravano il funzionamento. Più a monte, venne costruito un altro serbatoio, il Conservone Vecchio, per raccogliere la pioggia da utilizzare in caso di siccità. Il 13 febbraio 1280, l'acqua finalmente sgorgava dall'appena ultimata Fontana Maggiore. Gli interventi di manutenzione ordinaria furono nei secoli numerosi. Spesso bersaglio di saccheggi e sabotaggi, l’acquedotto fu di-

ingresso Delle cisterne Di aMelia (foto: ass. i poligonali)

il

panoraMa Dal percorso lUngo l’acqUeDotto Di

spello

sattivato nel 1799. Tredici anni dopo un tratto venne trasformato in un percorso pensile che s’immette in città attraverso l’arco di Via Appia. E poi c’è Spoleto con il maestoso Ponte delle Torri lungo 236 metri e alto 76. L’opera fu costruita nel tardo Medioevo sulle basi dei resti di epoca romana e rappresenta la parte più spettacolare dell’acquedotto che portava risorse idriche dal Cortaccione, da Patrico e dalla Valcieca. Sul ponte si innalza una muraglia di 12 metri, in cui ancora scorre l’acqua usata dagli spoletini in larga parte per irrigare gli orti. È invece inutilizzato, ma comunque di grande fascino, l’acquedotto romano di Spello. Partendo da Collepino segue le pendici del Monte Subasio fino ad arrivare all’ingresso del centro storico della cittadina. L’opera, lunga quasi cinque chilometri, crea un terrazzamento artificiale che attraversa uliveti e una fitta macchia mediterranea. Sulla parete a valle del condotto sono ancora visibili aperture rettangolari che permettevano l’ispezione del cunicolo e sfiatatoi per la circolazione dell’aria. Durante i secoli l’acquedotto fu spesso ristrutturato anche perché era la fonte idrica principale della città; alla fine dell’Ottocento fu tuttavia sostituito con una tubazione in ghisa che fece perdere memoria dell’antica costruzio-

ne per diversi decenni. Il viaggio continua a Todi con la sua complessa rete sotterranea: tre chilometri di cunicoli di drenaggio, 484 pozzi e 12 cisterne se si contano solo quelle romane. Il sistema serviva all’approvvigionamento idrico, allo smaltimento delle acque sotterranee e a evitare smottamenti e frane. La rete di canali, riscoperti a partire dagli anni Ottanta dal gruppo speleologico locale, venne dismessa con la costruzione di un moderno acquedotto nel 1925. Tuttavia le cisterne duecentesche, che si trovano sotto la zona orientale della piazza principale, sono ancora utilizzate per l’impianto antincendio dei Palazzi comunali. Storie di scoperte speleologiche anche nel Ternano. A Narni, a partire dalla fine degli anni Settanta, gli esploratori dei sottosuoli urbani scoprirono ciò che restava della piccola Chiesa di Sant’Angelo e una stanza ricca di graffiti dei reclusi del Tribunale dell’Inquisizione. Non solo, furono individuati anche cunicoli e cisterne. Del resto uno degli acquedotti umbri più interessanti è proprio quello narnese: la “Formina”. Costruita dal curator aquarum Nerva nel 27 d. C., la struttura è lunga circa 13 km e mantiene una pendenza costante: si snoda lungo le pendici delle colline, attraversa tre monti e supera alcuni corsi d'acqua.

ponte

Della

torre, spoleto (foto: torsten henning)

Ad oggi si può visitare una parte di condotto lunga 700 metri. Le strutture non sono più destinate a usi idropotabili. A eccezione del primo tratto dell’acquedotto della Formina: per alcune centinaia di metri il sistema funziona e serve, con un moderno meccanismo di pompaggio, la frazione di Sant'Urbano. Le cisterne sono usate per raccogliere l'acqua piovana, sfruttata per irrigare i giardini del centro storico o, come a Todi, per gli impianti antincendio. A Orvieto sono state ritrovati anche ipogei di epoca etrusca utilizzati per l’approvvigionamento idrico. E qui c’è uno dei capolavori umbri di ingegneria legata all’acqua: il cinquecentesco pozzo di San Patrizio. Dotato di due rampe elicoidali a senso unico, completamente autonome e servite da due diverse porte, permetteva di trasportare con i muli l'acqua del pozzo. Ad Amelia le cisterne romane, dislocate in varie parti della città e rimaste perfettamente intatte, testimoniano un sistema efficiente che garantiva la sopravvivenza alla comunità anche nei periodi di siccità. Il complesso idraulico comprende dieci ambienti con volte a botte e risale al II secolo d.C. Gli anziani giurano di aver usato le cisterne fino agli anni Cinquanta. valentina parasecolo


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scuola di perugia, il racconto di un viaggio lungo vent’anni Dalla fondazione nel 1992 al 2012 attraverso dieci bienni e 244 studenti. Una residenza settecentesca dove si insegna che essere giornalisti professionisti è una questione di tecnica, impegno e umiltà

Quei nostri due anni a Villa Bonucci Racconti e curiosità: la quotidianità nelle testimonianze degli allievi

«A

lle selezioni eravamo una folla immensa, io non ci speravo proprio, anzi è stata mia mamma a mandare i documenti». Così Monica Maggioni, volto noto del Tg1, ricorda il primo passo per diventare una praticante della Scuola di giornalismo radiotelevisivo. Era il 1992 e a Perugia nasceva il centro italiano per la formazione al giornalismo. Un luogo dove da venti anni si formano i cronisti del futuro. Il primo scoglio da superare, allora come oggi, è l’esame d’ammissione. Solo in venticinque ce la fanno, studenti ma anche praticanti che formano una classe dove si impara a diventare dei professionisti del mestiere. Un percorso lungo diciotto mesi, una miscela perfetta tra pratica e nozioni teoriche, dall’economia al diritto penale, passando per la deontologia professionale. Tutti tasselli fondamentali per MoniCa MaGGioni, tG1 raccontare in maniera corretta e precisa le notizie. «Quei due anni a scuola furono un vero e proprio esperimento – ricorda Monica – eravamo tutti impegnatissimi e molto coinvolti nei nostri lavori quotidiani. Anzi a volte eravamo noi a mettere in crisi il sistema, tanta era la voglia di fare». E certo i ritmi non sono mai stati leggeri: «Si entrava alle 9, una mezz’oretta davanti al pc per controllare mail e agenzie e poi si iniziava la giornata lavorativa, tra laboratori pratici e lezioni teoriche» ricorda Alessandro Taballione, con una passione per la radio che poi si è trasformata in una carriera a Sky Tg24. Una scuola sì, ma con momenti da vera e propria redazione, come quando la notizia dell’attacco alla base italiana di Nassiriya, in Iraq, fa irruzione tra le mura di Villa Bonucci: «Quel giorno – continua Alessandro, allievo del sesto biennio – dovevo condurre un giornale radio. Invece, dopo l’arrivo della notizia, abbiamo stravolto la scaletta per realizzare uno speciale su quello che era accaduto e coprire, come fossimo in diretta, la notizia. Io andavo a braccio, mentre gli altri miei colleghi si destreggiavano tra approfondimenti e finti collegamenti. Abbiamo vissuto una giornata come se fossimo stati dei veri e propri giornalisti». Quella fu una Costanza Miriano, tG3 giornata da reporter, con tempi ed emozioni che solo una vera diretta ti può dare, ma anche con la simulazione quotidiana si costruiscono le basi per affrontare al meglio la vita professionale. Come racconta Costanza Miriano, studentessa del secondo biennio, oggi giornalista al Tg3 e scrittrice: «Tutto quello che oggi so del giornalismo lo devo alla Scuola. La gavetta, come la si faceva una volta, bussando alle porte dei direttori, oggi non credo esista più. Ecco perché la scuola rappresenta il miglior modo possibile e meritocratico per diventare giornalista». Sulla stessa lunghezza d’onda è Giuseppe De Bellis, vice direttore del Giornale: «A volte si hanno dei pregiudizi sulle scuole perché non si impara il mestiere sul campo, ma io sono convinto che non sia così». Parola di chi è partito dalla Gazzetta del Mezzogiorno e ad un certo momento si è trovato di fronte ad un bivio: continuare a collaborare, facendo esperienza sul campo, o provare ad entrare in una scuola?

«Aver frequentato la Scuola di giornalismo radiotelevisivo è stata la grande svolta della mia vita, lo rifarei altre duecento volte. Grazie a questa esperienza sono riuscito ad allargare i miei orizzonti e a comprendere come funziona l’informazione. Solo la scuola ti dà la possibilità di diventare un giornalista del futuro. La carta vincente è quella di insegnare ad avere un approccio professionale, a prescindere dal mezzo con il quale si trasmette la notizia». E a giudicare dalla sua carriera, come quella di tanti altri, l’obiettivo è stato centrato. Oggi è il vicedirettore di uno dei maggiori quotidiani italiani e «pensare – racconta – che alle selezioni non fui ammesso. Ero arrivato venticinquesimo, quell’anno ne prendevano solo 24, per fortuna però qualcuno rinunciò». A Perugia non si impara ad essere solo dei bravi cronisti radiotelevisivi, anche se è la spiccata vocazione della Scuola, ma si lavora in una vera e propria realtà multimediale, all’avanguardia coi tempi, soprattutto per quanto riguarda la frontiera, sempre in evoluzione, del web e delle tecnologie. Ogni mezzo ha un proprio linguaggio, ogni linguaggio le sue regole da imparare e decodificare. «È un modo poliedrico di fare giornalismo – sostiene Michela Anastasi Proietti, ex allieva e oggi redattrice al Corriere della Sera – la scuola ti prepara a gestire tutti i mezzi a disposizione, e questo è un valore aggiunto che mi porto con me al Corriere». Non solo l’uso degli strumenti tecnici e delle competenze pratiche, «la Scuola è stato il luogo dove abbiamo potuto esprimere la nostra creatività, senza limiti. Una capacità che mi ha permesso di FranCesCo Delzio, ManaGer fare il mio attuale lavoro». Francesco Delzio, infatti, dopo la scuola di Perugia e quattro anni vissuti in una redazione, ha intrapreso la carriera manageriale e oggi è direttore delle relazioni esterne di Autostrade per l’Italia. Quello che contraddistingue un vero professionista è anche l’attenzione alle piccole cose, quella precisione che fa la differenza, come una pronuncia perfetta e una buona lettura, abilità sulle quali la Scuola di Perugia punta molto, come testimonia Martino Villosio, da poco giornalista professionista ma che ha già fatto esperienze professionali importanti: «Imparare la dizione mi ha aiutato a non sfigurare nella redazione del telegiornale di La7 – racconta Martino –. Per chi lavora in quest’ambito è sicuramente una carta in più». Tra gli aspetti interessanti ci sono gli stage estivi nelle redazioni. Un’opportunità per entrare in una realtà nuova e da cui possono aprirsi porte inaspettate, come racconta Giovanna Mancini: «Alla fine del primo anno ho fatto lo stage al Sole 24 Ore. Dopo quest’esperienza mi hanno chiesto di rimanere lì. Ho lasciato la scuola e ho proseguito il mio praticantato in questa redazione, dove lavoro ancora oggi». Tante le voci da sentire e i ricordi da raccontare, ma una cosa accomuna tutti: l’esperienza umana che si vive. Un gruppo di colleghi ma soprattutto di amici, che giorno dopo giorno impara a vivere in Giuseppe De Bellis, il Giornale una vera e propria redazione, a rispettare tutte le professionalità, e a capire che è sempre il gruppo a vincere.

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l centro italiano di studi superiori per la formazione e l’aggiornamento in giornalismo radiotelevisivo” nasce nel 1992 nella frazione perugina di Ponte Felcino. A ospitare l’istituto è villa Orinthia, grazie ad un accordo con la fondazione Bonucci, uno dei protagonisti della creazione della Scuola. Il rappresentante dell’ente, prof. Mario Bellucci, ricorda che «secondo il testamento del dott. Mario Bonucci la villa doveva essere destinata ad uno scopo culturale: prima si pensò all’Istituto nazionale di fisica nucleare, ma poi si optò per questa struttura di formazione giornalistica». Sono passati venti anni da quando la Rai e l’Università di Perugia decisero di fondare una scuola che desse la possibilità ai giovani di diventare giornalisti professionisti. Allora era una delle poche realtà formative in Italia; oggi non è più così, le scuole riconosciute dall’Ordine sono quindici. Quella di Perugia, però, si distingue per la sua vocazione prevalentemente radiotelevisiva. Il motivo principale a spingere gli enti fondatori a creare la Scuola fu l’esigenza di avere professionisti sempre specializzati e preparati nell’uso delle tecnologie. A ricordarlo sono Gianni Pasquarelli e Pier Vincenzo Porcacchia, rispettivamente primo presidente e primo direttore dell’istituto. Ed è proprio Porcacchia a sottolineare il valore aggiunto di un praticantato svolto in una scuola di giornalismo: «Se una volta la capacità di dire le cose e di capire la realtà bastava per fare questo mestiere, l’evoluzione del mondo dell’informazione oggi richiede titoli diversi ed un bagaglio di esperienze specifiche». Paolo Mancini, primo coordinatore didattico della

Scuola, ha contribuito a creare un corso di studi che fosse il più completo possibile. Da sempre Nunzio Bassi segue le attività: «Questa Scuola ha sempre puntato a far svolgere un praticantato serio, dal quale uscissero professionisti veri». In nove bienni sono stati 219 gli allievi diventati giornalisti. A questi si aggiungono i venticinque del corso che sta per concludersi. Come ogni anno, a settembre alcune centinaia di neolaureati si presenteranno all’esame di ammissione, che prevede prove scritte e orali. Gli allievi selezionati, per poter frequentare il corso, pagano una retta che, tuttavia, come ricorda l’attuale presidente Innocenzo Cruciani, «è inferiore a quella richiesta altrove per quanto gli insegnamenti offerti siano di altissima qualità». «La Scuola di Perugia – come ricorda il presidente del Comitato scientifico, il professore Antonio Pieretti – ha sempre più spostato l’attenzione sul piano professionale, in modo da far sì che le competenze acquisite fossero subito spendibili nel mondo del lavoro». In venti anni di formazione l’insegnamento principale che ricordano molti ex allievi è quello che il secondo direttore, Vittorio Fiorito, riassume ancora oggi tra i più importanti: «Prima di tutto viene la notizia. Per fare bene questo mestiere, bisogna evitare di cadere nella tentazione di anteporre la propria firma, la propria voce o il proprio volto alla ricerca delle verità». paGine a Cura Di FranCesCo Cutro, ilaria esposito Giulia serenelli, elisaBetta teriGi

Matthias, un esempio per diventare bravi giornalisti

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ono trascorsi dieci anni da quando è stata istituita la borsa di studio intitolata a Matthias Filippone Thaulero. A partire dal quinto biennio, un allievo per ogni corso ha potuto frequentare la Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia grazie al sostegno economico dell’associazione, nata in memoria di Matthias, allievo della Scuola dal 1998 al 2000, vittima di un tragico incidente automobilistico il quattro novembre del 2001. I suoi scritti sono raccolti in un libro, L'Era del Silenzio, che è una bella testimonianza di impegno civile e di entusiasmo per la vita. Chi era il ragazzo, morto a 29 anni, quando vedeva avverarsi il sogno di diventare giornalista professionista? Si era laureato a pieni voti in filologia e letteratura medioevale e conosceva perfettamente il francese, l’inglese e il tedesco. Matthias era un ragazzo appassionato, estroverso e curioso, amava la politica, la musica, la letteratura,

ma in particolare il giornalismo. La borsa di studio copre i costi della retta scolastica e viene assegnata in base al merito e alle condizioni economiche. «Un anno dopo la sua morte, un gruppo di amici si è adoperato – ricorda Carla Sabine Kowohl, la madre di Matthias – perché la molteplicità dei suoi interessi, l'entusiasmo intelligente e maturo, la forza trascinatrice rispetto ad ogni nuova iniziativa potessero continuare ad essere stimolo per altri giovani». Così nasce l’associazione Matthias Filippone Thaulero e l’idea di istituire una borsa di studio. Carla Sabine Kowohl osserva come «Matthias da sempre aveva voluto dare forma alle sue idee; durante l'università aveva lavorato ad una rivista, La Pallacorda, da lui creata, e a La Fiera Letteraria, per approfondire temi di riflessione politica e letteraria. La Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia ha poi rappresentato per lui un'occasione per dare uno sguardo maturo ai problemi del mondo, utiliz-

zando gli strumenti propri della professione giornalistica, quelli che avranno a disposizione i giovani vincitori del premio». La borsa, che ha consentito fino ad oggi a due ragazze e a tre giovani di realizzare il sogno di diventare professionista, non vuole essere solo un sostegno economico. Alla signora Kowohl piace pensare «che un po' dello spirito che animava Matthias nelle sue tante esperienze di disincantato, libero, appassionato confronto di idee, possa entrare a far parte del bagaglio umano e professionale di altri ragazzi». È con questa speranza che la signora conosce i borsisti, portandoli tutti nel cuore: «con ciascuno di loro, Giovanna Mancini, Luca Di Bella, Senio Bonini, Luca Patrignani, Valentina Antonelli, sono rimasta per qualche tempo in contatto. Sono sempre felice quando leggo un loro articolo, quando li ascolto per radio o li vedo in tv, sempre professionali e competenti».

Carla Sabine Kowohl parla della Scuola di Perugia come una tappa fondamentale per Matthias nel suo breve, ma intenso viaggio di crescita personale e professionale: «La Scuola ha dato la possibilità attraverso la borsa di studio e l'intitolazione di un’aula dell’ex limonaia, di fare in modo che il capitale delle sue esperienze e delle sue riflessioni non sia andato disperso».

Matthias Filippone thaulero

l’ex limonaia, «un’isola tecnologica» Pronto il nuovo spazio per redazione, studi televisivi e radiofonici

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primavera il colore che prevale sulla parte posteriore di Villa Bonucci è il giallo. Il merito è di circa cento limoni che, fino a qualche anno fa, nel periodo invernale erano conservati in un edificio adiacente alla residenza padronale. Oggi quella stessa struttura è pronta per ospitare gli allievi del prossimo biennio. Dalla porta posteriore della Villa si attraversa il giardino. Da qui si entra in un edificio che all’esterno mantiene il suo stile settecentesco, ma che all’interno racchiude i mezzi di produzione più aggiornati. Le pareti bianche, le targhe ancora lucide e rigorosamente blu, che riprendono i colori della Scuola, danno subito l’idea di essere in uno spazio moderno. Al piano terra si trova un largo atrio dal quale si accede all’aula magna: 154 posti per una sala conferenze, grazie alla quale gli allievi potranno seguire convegni e seminari. Salendo le scale, immediatamente a sinistra si nota subito una targa in ricordo dell’allievo del IV biennio, Matthias Filippone Thaulero. Qui i futuri praticanti lavoreranno in un open space con i docenti responsabili delle varie testate. Ai lati di questo ambiente, oltre ad uno studio di registrazione radiofonica, si trovano le regie radio e tv. Dall’altra parte, lungo il corridoio, si susseguono le salette di montaggio per entrambi i mezzi, tutte insonorizzate. Molte delle strumentazioni che occuperanno i nuovi spazi della ex limonaia saranno recuperati dalla loro sede attuale, nella Villa. Altri, invece, come gli schermi

della regia, sono stati acquistati e già installati. Nella residenza Bonucci, che ha ospitato tutte le attività nei vent’anni di vita della scuola, rimarranno comunque la mensa, un’aula, la segreteria e la biblioteca. L’idea di utilizzare la ex limonaia per la produzione nasce durante la direzione di Vittorio Fiorito, durata dal 1998 al 2004. «Quando sono arrivato – spiega Fiorito – la limonaia settecentesca rischiava di rovinarsi, insieme ai limoni nei loro vecchi vasi. Il mio primo pensiero fu di realizzare una serra per salvare le piante e ristrutturare i locali, al fine di creare una nuova redazione». Conclusa la direzione di Fiorito, il progetto passa all’attuale presidente, Innocenzo Cruciani. «Quando sono arrivato – racconta – ho trovato i progetti appesi al muro, già impostati per la realizzazione. Dopo qualche tempo siamo riusciti ad avviare i lavori. La Scuola ha una costante necessità di innovarsi; ristrutturare i locali dell’edificio ha permesso di creare un’isola tecnologica». Un motivo di soddisfazione ulteriore, ha aggiunto Cruciani, «è che la realizzazione del progetto è stata portata avanti e conclusa con le sole forze della Scuola, uscendo dai lavori con la stessa tranquillità finanziaria con cui si erano intrapresi». Gli allievi del decimo biennio stanno già utilizzando la parte delle nuove strutture dedicata al montaggio radiofonico. Si sente ancora l’odore di vernice fresca, quello tipico delle novità.

in prima linea dal mondo del lavoro

U

n’associazione che nasce da un ideale: far capire che chi esce da una scuola di giornalismo è un professionista dell’informazione. «All’inizio eravamo un gruppo di colleghi che avevamo frequentato la Scuola di giornalismo di Perugia. Ci incontravamo dopo il lavoro in un bar di Roma, poi piano piano è nata l’idea di riunirci in un gruppo, come accade tra gli studenti della Luiss o della Bocconi. Così otto anni fa è nata l’Associazione Giornalisti della Scuola di Perugia», racconta Anna Piras, allieva del primo biennio e oggi volto di Rai Parlamento. L’obiettivo è quello di puntare sulla formazione di chi vuole fare questo mestiere passando per le scuole di giornalismo, un luogo dove si incontrano pratica e teoria. L’idea di un’associazione era nell’aria sin dal 1992. Ogni biennio, infatti, aveva un coordinamento formato da tre studenti. Con il passare degli anni, però, quello che era un piccolo gruppo di amici e colleghi diventa sempre più numeroso, gli allievi della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia sono sempre di più, fino a diventare un centinaio di persone. Un percorso che, soprattutto nei primi momenti, ha incontrato anche qualche ostacolo: «All’inizio la cosa difficile è stata quella di farci conoscere», continua la Piras, presidente dell’assemblea. L’Associazione oggi conta più del-

la metà di tutti i ragazzi e le ragazze che hanno frequentato la Scuola di Perugia. Un lavoro costante, basato su progetti, conferenze e manifestazioni, che punta a promuovere un messaggio: «Si diventa professionisti tramite la formazione» e, per questo, non c’è luogo migliore di una scuola. Tante le iniziative promosse, tutte con un obiettivo di fondo: la condivisione del valore dell’insegnamento. «Lo scoglio più grande – racconta la Piras – è stato quello di abbattere il pregiudizio che c’è sulle scuole di giornalismo. Ora, però, che sono passati otto anni dalla fondazione dell’Associazione e venti da quella della Scuola di Perugia, tutti gli allievi che hanno varcato le porte di Villa Bonucci hanno dimostrato quanto valgono». Un lavoro e una passione quotidiana che spinge tanti professionisti di oggi ad incoraggiare e aiutare chi vuole intraprendere questo mestiere. Ecco perché l’Associazione sponsorizza e finanzia premi giornalistici per gli studenti degli istituti di formazione. Quest’anno, ad esempio, è stata promossa l’iniziativa “InFormazione”, una borsa di studio che permetterà ad un praticante di frequentare gratuitamente una scuola di giornalismo.


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CRONACA

APRILE

2012

La polizia municipale di Perugia impegnata a far rispettare l’ordinanza anti prostituzione: fino a 450 euro per chi è colto in flagrante

Multe e lucciole, una notte con i vigili Le forze dell’ordine controllano Settevalli, Pian di Massiano, Olmo e Sant’Andrea delle Fratte: queste le vie del sesso a pagamento

I

l giro per le strade frequentate dalle lucciole a Perugia inizia intorno alle 22.30. Le due pattuglie della polizia municipale sono in servizio già dalle 19 ma aspettano ovviamente la notte per far rispettare la nuova ordinanza anti prostituzione in vigore dal 2 aprile fino al prossimo 31 ottobre. Si cercano clienti che avvicinano, contrattano sulla prestazione o fanno salire sulle proprie auto le prostitute. Il provvedimento prevede infatti che la multa a chi frequenta le zone del sesso a pagamento può arrivare solo se colto in flagrante. Il massimo della sanzione è 450 euro. Questa volta tocDopo ca ai marescialli Roberta Rondini e l’ordinanza Francesco Mezzetmeno clienti ti e agli agenti Lauma le prostitute ra Bianconi e Lucia Cavaliere effettuare si stanno i controlli. Si parte spostando dalla stazione Fontivegge per andare verso via Settevalli. Qui si incontrano le prime prostitute lungo i marciapiedi. Non sono molte, così come le auto dei possibili clienti: «È lunedì, c’era da aspettarselo – spiega Mezzetti, il più anziano della pattuglia – il viavai vero e proprio è nel weekend». Nonostante questo, bisogna continuare. Si prosegue per via Piccolpasso, via Dottori, via Penna e via Barteri. Dopo la zona di Settevalli si va verso Pian di Massiano e la zona dello stadio Curi. Nessuna traccia di prostituzione e quindi neanche auto in sosta che contrattano: «Questa, una volta, era la zona delle ragazze nigeriane, adesso si sono spostate» dice Mezzetti. Le prostitute, a Perugia così come in tante altre realtà urbane, si dividono le zone e per ognuna di queste si concentrano spesso a seconda delle nazionalità o dei gusti dei clienti. Il veterano Mezzetti ha bene in mente la mappa: «I trans, dieci anni fa, si trovavano tutti dietro la stazione o in via Martiri dei Lager. Adesso invece sono soprattutto nella zona industriale di Sant’Andrea delle Fratte. Le rumene invece sono a Settevalli o ad Olmo, sulla via Trasimeno Ovest». Proprio mentre si sta per imboccare la strada per arrivare ad Olmo, i vigili notano due ragazze che indubbiamente sono lì in attesa di qualche cliente ma sembrano anche essere minorenni. Le due auto si fermano, i quattro della polizia municipale scendo-

no dalle vetture e chiedono i documenti: «Le abbiamo fermate perché non ci sembravano avere più di diciotto anni, – dice il maresciallo Rondini – ovviamente noi abbiamo il compito di controllare anche questo. In più poi c’è da vedere se sono extracomunitarie o meno. Nel primo caso potrebbero non avere i documenti e quindi dovremmo portarle con noi. Questa volta erano due ragazze romene, e quindi cittadine comunitarie, e comunque maggiorenni». Il controllo nei confronti delle prostitute si ferma qui. Non c’è il reato di prostituzione in Italia mentre invece si colpisce quello di sfruttamento che può essere imputato anche nei confronti della clientela. Clientela e ragazze che dalle parti di Olmo sono più presenti. Oltre alla municipale si vedono passare più volte le volanti dei carabinieri e della polizia stradale, le altre forze dell’ordine insieme anche alla guardia di finanza, impegnate nel giro notturno. Proprio una gazzella dei carabinieri ferma una Punto che si era avvicinata ad una piazzola di sosta dove c’erano due prostitute. Altri clienti invece sembrano più interessati a tre ragazze che sono ferme ad un incrocio e che con i loro abiti lasciano pochi dubbi sulle intenzioni. Ma quando da lontano arriva l’auto dei vigili, è palese come chi stava per rallentare e avvicinarsi, d’improvviso accelera, cercando anche di evitare di ritrovarsi davanti la pat-

tuglia, deviando sulla prima strada: «Questo è un danno collaterale della prostituzione – sottolinea subito Mezzetti – questi comportamenti sulla strada sono pericolosi. Una frenata di colpo e l’auto che arriva dietro ti tampona o finisci fuori strada». Prima dell’ordinanza erano questi i motivi per cui i vigili urbani potevano fermare i clienti. Adesso invece il turno dalle 19 all’una di notte ha anche questo compito, come dice il maresciallo Rondini: «Usciamo sempre in quattro, due per ogni auto. Ci coordiniamo con i comandi dei carabinieri, polizia e finanza solo se ci sono da fare grandi operazioni, altrimenti è routine. Non è cambiato molto rispetto a quando non c’era l’ordinanza. Questo comunque è un turno che abbiamo sempre avuto». Il maresciallo Mezzetti poi ci tiene a precisare le conseguenze dell’ordinanza proprio sulla prostituzione: «Finora dal nostro comando sono state fatte sei multe ma abbiamo notato che da quando è arrivata l’ordinanza le prostitute si spostano dai soliti posti e anche di clienti se ne vedono meno». In molti forse sono scoraggiati dal rischio di pagare 450 euro ma difficilmente il problema verrà risolto solo con questa ordinanza temporanea se già le lucciole hanno trovato nuovi posti per offrire le loro prestazioni. alBerto gioffreDa

n Italia gli ultimi rilevamenti sul fenomeno della prostituzione risalgono al 2003 e sono stati pubblicati dalla commissione Affari sociali della Camera. Sarebbero tra 50mila e le 70mila le donne che esercitano il mestiere più antico del mondo. Di queste 25mila sono immigrate, 2mila minorenni e 2mila le ragazze ridotte in schiavitù e costrette a “battere”. La maggior parte delle prostitute lavora in strada (65%) mentre il 29,1% riceve in albergo i clienti e il 5,9% in case private. La prostituzione è un fenomeno femminile ma oltre alle donne (94,2%) ci sono il 5% di transessuali e lo 0’8% di trevestiti. La rilevazione statistica esclude prostitui maschi ed escort. Le province in Italia che sono più interessate dal fenomeno sono quella di Milano dove si concentra il 40% delle lucciole. Segue il torinese con il 21%. In generale il dipartimento Pari Opportunità ha stimato che sono nove milioni gli italiani che con motivazioni e cadenze diverse frequentano le prostitute. Il giro d’affari oscilla tra i due e i sei miliardi di euro. Ogni paese ha una differente legislazione in materia di prostituzione. In Olanda, Germania e Svizzera è legale e le donne che la esercitano pagano le tasse e sono tutelate da un sindacato. In Turchia è legale sia la prostituzione in strada sia quella nei bordelli ma in entreambi i casi le donne devono avere una licenza. Non altrettanto fortunate le professioniste del sesso dei paesi a maggioranza musulmana: in alcuni casi si rischia la pena di morte. Particolare la legislazione giapponese dove è consentito solo il sesso orale a pagamento perché non è ritenuto una forma di prostituzione.

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perUgia Dove si concentrano le prola nUova orDinanza Del sinDaco Boccali interviene solo in qUesti lUoghi. nella foto in Basso a sinistra la senatrice lina Merlin. in Basso Una lUcciola in straDa sinistra le zone Di

stitUte.

Nel 1958 fu approvata dal Parlamento la norma che istituiva il reato di sfruttamento della prostituzione e cronache raccontano della strana serata del 19 settembre 1958 quando centinaia di persone si misero in fila davanti alle case di tolleranza, i bordelli che per l’ultima volta avrebbero soddisfatto i piaceri carnali degli italiani. Il giorno dopo sarebbe entrata in vigore la legge Merlin, approvata otto mesi prima, e intitolata alla senatrice Angelina Merlin. Questa donna per dieci anni aveva combattuto in Parlamento per abolire la regolamentazione della prostituzione nel Belpaese e per punire chi alimentava e teneva in vita il mestiere più antico del mondo. All’indomani del voto parlamentare Lina Merlin disse in conferenza stampa: «La mia legge non pretende di abolire la prostituzione e il vizio, antichi quanto il mondo: vuole solo abolire la regolamentazione statale della prostituzione

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a.z.

la legge Merlin che cambiò l’italia L

nove milioni di clienti

che è immorale e indegna di un Paese civile. Non è ammissibile che le donne traviate vengano tesserate e schedate come le bestie: questo è contrario alla Costituzione e contrario alle norme che regolano l’ingresso di una nazione all’Onu». Fu un momento storico che rimase impresso nella memoria degli italiani per decenni. Una legge che in qualche modo modificò il costume sessuale degli italiani e che fu a lungo duramente avversata. Ma Merlin era stata una partigiana antifascista, eletta nell’assemblea costituente con il partito socialista e dal 1948, quando promosse per la prima volta la normativa, non smise mai di combattere per quello che definiva un “principio di civiltà”. Per la coraggiosa senatrice non si trattava di una battaglia moralista contro il “piacere” ma piuttosto di una lotta per l’uguaglianza e la libertà delle donne più sfruttate d’Italia. Non a caso nel 1968 alla domanda del giornalista Enzo Biagi su quale fosse stato l’articolo della Costituzuione che più avesse visto un suo apporto, Merlin rispose: «Eh, l’articolo 3! Quel-

lo che parla dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge». Inaccettabile per lei uno Stato che esigeva tasse e contributi sulla prostituzione, iscrivendo le lucciole su appositi registri. Le donne che esercitavano la professione in strada o senza permesso venivano arrestate. Dopo la legge Merlin la prostituzione non fu più punita, ma divenne un reato “favorire e sfruttare la prostituzione”. Colpiti i clienti e gli sfruttatori, non più le donne che per scelta, per disgrazia o costrizioni vendono il proprio corpo. È chiaro che la prostituzione non finì il 20 settembre 1958, anzi si spostò dal chiuso delle case all’aperto delle strade. Un fenomeno che sarebbe peggiorato nei decenni successivi anche per l’aumento dell’immigrazione. Le amministrazioni comunali hanno provato con diversi strumenti legislativi ad intervenire ma sempre puntando a colpire i clienti e non le donne. È questa l’eredità lasciata dalla senatrice Angelina Merlin. antonio zagarese


APRILE

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CRONACA

2012

Over 80: il rinnovo della patente era diventato un calvario. Ora il governo fa dietrofront, eliminando la commissione medica

niente paura, guida nonno

Gli ultrasessantenni sono il 25% della popolazione. Cresce l’esercito degli anziani al volante. Nel 2018 l’Italia sarà la “vecchia” d’Europa

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onna Rosa è riuscita a rinnovare la patente. Pensava, con le vecchie norme, di dover rinunciare a quel suo piccolo mezzo di indipendenza. Ottantatré anni, vedova, folignate, è ancora vispa e lucida. La sua Micra grigia in realtà la usa poco, la domenica, per andare a pranzo fuori con i figli e i nipoti, ma anche, sporadicamente, durante la settimana, per visitare qualche parente. La sorella ad esempio, immobilizzata a casa. «Non avrei potuto più recarmi da lei, visto che la zona è mal collegata dai mezzi pubblici». Il Codice della strada entrato in vigore due anni fa aveva reso la vita degli ultraottuagenari al volante un calvario. Introducendo un vortice burocratico capace di scoraggiare anche il più arzillo dei vecchietti. Principali novità: l’accorciamento dei tempi di rinnovo, da tre a due anni, e l’istituzione di una Commissione medica locale. Un percorso a ostacoli tra file agli sportelli, liste d’attesa e percorsi kafkiani per raccogliere certificati medici e bollettini richiesti dalla commissione: «Prima le lungaggini per ottenere la visita geriatrica e cardiologica alla Asl. Poi altre attese per approdare, finalmente, davanti alla Commissione». Un pool di tre medici che neanche un plotone d’esecuzione. «Possono sottoporti a qualsiasi tipo di controllo» aggiunge Rosa. Un iter che nella migliore delle ipotesi richiedeva sei mesi di spasimi. E, nella peggiore, un anno. Presa in giro bella e buona, perché dopo un anno e mezzo il processo ricomincia daccapo.

vino

Ma adesso il governo ha deciso di fare dietrofront. Con il decreto sulle semplificazioni si torna alle regole di prima, a parte l’accorciamento dei tempi di rinnovo da tre a due anni. Nonna Rosa ha avuto il rinnovo che le spettava, senza doversi fare venire ulteriori capelli bianchi. Basta una visita dal medico curante e, dopo aver-

la consegnata alla motorizzazione, si ottiene l’agognata idoneità. «Sono soddisfatta. Probabilmente è l’ultimo rinnovo che chiedo, ma ora mi sento sollevata,

l’idea di dover pesare per ogni tragitto su figli e nipoti m’immalinconiva, mi faceva sentire inutile». Togliere l’affezionata macchina a un anziano in effetti è triste. Aggiunge dispiacere a una vita che troppe volte è fatta di solitudine domestica e interminabili ore davanti al televisore. Nonni che sono tanti. Secondo i dati del ministero dei trasporti sono oltre centocinquantamila gli italiani di 80 anni che guidano, 64mila a 85 anni, più di tredicimila a 90 anni. E cresceranno ancora di molto. Eppure essere anziani non è né una malattia né un vulnus. L’equazione tra vecchietto e rimbambito è un luogo comune. Le statistiche provano che è davvero raro che dietro a un incidente ci sia un nonno al volante. Vanno piano, nessuno è certosino come loro nello scegliere la corsia giusta, ricordarsi le frecce, fermarsi religiosamente agli stop. Usano la macchina soprattutto nelle festività, quando finalmente i nipotini arrestano un momento i loro tour de force settimanali e si ricordano dei nonni. L’argomento adesso passa in sordina, al netto delle disavventure di Margherita Hack. Ma tempo qualche anno e non sarà più trascurabile. La cittadinanza invecchia e i numeri parlano chiaro. Già oggi gli over 65 rappresentano circa il 25% della popolazione. Nel 2018 l'Italia sarà il Paese più vecchio d'Europa. Una realtà che si tradurrà inevitabilmente in schiere sempre più cospicue di automobilisti anziani. laUra cervellione

la guerra di Margherita

reduce dal “gran rifiuto” – un medico le ha negato la visita per il rinnovo della patente – l’ottantanovenne astrofisica vuole continuare a guidare la sua auto e non demorde. professoressa hack, com’è andata a finire? Mi farò visitare da un altro medico. Mi sottoporrò alla visita e, se idonea, non rinuncerò a un mio diritto. Il medico che non ha voluto visitarmi ha commesso un abuso. È stata vittima di un pregiudizio? Sì, essere anziani significa essere considerati potenziali pericoli. Lo stesso pregiudizio c’è sui giovani. La verità è che i rischi maggiori vengono da alcol, velocità e stravizi del sabato sera. non ha paura che la vista, l’udito o i riflessi possano giocarle brutti scherzi? Sì, ma la visita serve proprio ad appurare questo: se uno vede male, la patente non gli si dà, a prescindere da quanti anni abbia. quanto usa la sua panda? Guido solo in città. Fa molto comodo perché ultimamente cammino male. non può farsi accompagnare da qualcuno? In linea di massima sì, ma sa com’è, preferisco sempre far da me. Per me l’automobile resta molto importante.

Umbria, Toscana e Marche contano più di 6000 imprese legate al biologico. Ora scommettono sulla rete

Bio: da soli è bene, insieme è meglio

«chi gonfia i prezzi fa solo il furbo»

Più di 75mila visite annue, 250 produttori, 15 gruppi d’acquisto. È Piazzabio.it, il portale di chi mangia bene

Roberto di Filippo è il titolare, assieme alla sorella Emma, di un’azienda enologica. Producono vino biologico, coltivando la loro vigna in maniera naturale. Qual è la differenza fra un vino prodotto con uva convenzionale e uno biologico? Innanzitutto un minor contenuto di antiparassitari. L'uva bio-coltivata ha una qualità superiore per complessità e maturità polifenolica. Naturalmente questo non vuol dire che con l’agricoltura convenzionale non si raggiungano risultati simili. Il biologico vende prodotti che costano in media fino al 40% in più. Quanti euro bastano per bere un buon vino? roBerto Di filippo I costi sono spesso dovuti a difficoltá di distribuzione, piuttosto che di produzione. Non è facile prezzare un vino, ma con 5-10 euro si può già comprare una buona bottiglia. Nel biologico la credibilità è un fattore chiave. Per le cantine, alcune certificazioni, sono necessarie. Qual è il peso economico che grava sulle aziende per procurarsele? Il problema è sicuramente più evidente per le realtà di piccole dimensioni, in cui i costi delle certificazioni incidono maggiormente sul bilancio. Ad ogni modo non stiamo parlando di nulla di drammatico. L’incidenza, sul prezzo finale, è di pochi cent per bottiglia. Chi gonfia troppo i prezzi sta solo facendo il furbo.

L’agricoltura biologica, per Spiega Antonella Padalino: l’Umbria, resta un settore chiave. «In Piazzabio.it cerchiamo di Secondo gli ultimi dati disponibimettere in luce le aziende che, li del Sinab (sistema d'informaaccanto alla produzione bio, zione nazionale sull'agricoltura organizzano attività turistiche, biologica) sono più di 1300 le come la ristorazione, la vendita realtà regionali legate alla produdiretta, le escursioni sul territozione e commercializzazione dei rio, le visite aziendali e le fattorie prodotti coltivati secondo natura. didattiche». Rendere visibili sul mercato Sono otto, in Umbria, gli itineanche le aziende più piccole – rari enogastronomici previsti, molte delle quali ancora poco nei comprensori dell’Eugubino, ‘‘tecnologiche’’, sprovviste di sito del Perugino, del Trasimeno, del internet ed email – non è compiFolignate, dello Spoletino e della to facile. Le imprese di dimensioValnerina: cinquanta comuni e ni ridotte, talvolta a conduzione più di cento le aziende coinvolte. sono 634 gli ettari coltivati a ortaggi Biologici in UMBria (fonte sinaB) familiare, rischiano la morte Accanto ai bio-turisti ci sono i imprenditoriale per mancanza di visibilità. Al re raggiunte». I prodotti che vanno per la mag- consumatori abituali, che fanno del mangiar problema cerca di rispondere una “piccola goo- giore sono i cereali (aumentati dal 2008 al 2009, sano un’abitudine quotidiana. come superficie coltivata, dell’80%), le olive (la gle” italiana del settore, Piazzabio.it. A farla da padrone, in questo caso, sono i Un portale interamente dedicato al mangiar produzione di extravergine è un fiore all’oc- “Godo” (gruppi organizzati di domanda e sano e naturale, che ha deciso di puntare, fin chiello della regione), gli ortaggi e l’uva. offerta), piccoli mercatini ortofrutticoli gestiti L’interesse per il mangiar sano, da parte dei dall’Aiab, l’associazione italiana per l’agricoltudall’inizio, su Umbria, Toscana e Marche: «Tre regioni dell’Italia consumatori, resta alto. Basti pensare che, nel- ra biologica, e i “Gas” (gruppi di acquisto soliBisognava dare centrale partico- l’ultimo anno di attività, il sito ha registrato più dale). Quindici quelli presenti in tutta l’Umbria, larmente attive di 75mila visite. Il portale Piazzabio.it è solo tutti raggiungibili attraverso la sezione “gruppi alle aziende specie alle piccole per l’agricoltura e parte di un progetto più ampio portato avanti d’acquisto” del portale Piazzabio.it. l’enologia biolo- dalla Regione Umbria; “Le strade del bio” si Consumi alimentari più responsabili, territouno strumento gica – spiega An- articola in tre ambiti: comunicare il biologico rialità, stagionalità, prezzi giusti per alimenti tonella Padalino, via internet, portarlo nelle scuole – per insegna- sempre sani: questi gli obiettivi di chi propone, per essere r e s p o n s a b i l e re ai bambini dai 6 agli 11 anni l’importanza di sfidando l’imperante globalizzazione, un rapraggiunte della comunica- un’alimentazione corretta – e creare, per il turi- porto più stretto, umano, fra produttori e conzione del sito – bisognava dare alle aziende, smo, delle opportunità che vadano al di là della sumatori. roBerto Morelli specie alle più piccole, uno strumento per esse- “semplice” vendita di prodotti.


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SPORT

APRILE

2012

La disciplina, nata in Francia negli anni ‘80, è sempre più diffusa. Corsa e salti per muoversi creativamente negli spazi urbani

parkour, la città diventa palestra A Perugia un gruppo di ragazzi si allena regolarmente. Non è solo divertimento: per prepararsi servono impegno e sudore

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alti e acrobazie per strada: uno sport ma anche una filosofia di vita. È il parkour, disciplina nata nelle periferie parigine che da qualche anno si sta diffondendo anche in Italia. «Consiste nel fare un percorso da un punto A a uno B nel modo più veloce e meno dispendioso possibile», racconta Massimo Baffoni, fondatore del gruppo perugino di parkour. In pratica si saltano muretti, ci si arrampica sulle ringhiere e nei casi più estremi si passa da un tetto all’altro. “Ci si avvicina a questo sport per vari motivi – continua Massimo – alcuni lo fanno per esibizionismo o per fare il ‘ganzo’ con le ragazze, per altri è un modo di confrontarsi con i propri limiti. Io per esempio sto superando la mia paura dell’altezza, soffro da sempre di vertigini”. Nella palestra del liceo scientifico Alessi di Perugia ogni martedì circa 15 ragazzi, dai 14 ai 30 anni, si incontrano per gli allenamenti. Per tutti è d’obbligo un abbigliamento comodo con tuta e scarpe da ginnastica: «Non usiamo protezioni o attrezzature specifiche perché limitano i movimenti». Si parte con il riscaldamento: corsa, flessioni e piegamenti per almeno mezz’ora. Poi inizia il divertimento. Sedie, cattedre, materassini,

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panche e cavalline servono a simulare gli ostacoli che si incontrerebbero in città: «D’inverno ci alleniamo qui, dividendo tra di noi le spese per l’affitto della palestra – continua Massimo – ma appena il tempo lo consente ci spostiamo all’aperto. Preferiamo zone fuori dal centro storico come la Stazione o Elce, perché troviamo più barriere architettoniche ‘naturali’». Chi crede che il Parkour sia una disciplina improvvisata e senza regole, sbaglia. Fatta salva la creatività di ognuno, esistono tecniche e metodi specifici per svolgere i movimenti in modo corretto e senza farsi male. Massimo ha scritto ‘Giocando con cielo e terra’, una sorta di manuale scaricabile gratis on-line, per dare un’idea più precisa a chi si avvicina a questo sport per la prima volta, magari dopo aver visto le acrobazie dei professionisti in internet. In realtà, il parkour è il nome generico con cui i non esperti indicano le diverse discipline, come spiega Massimo: «Quello classico, fondato in Francia da un gruppo di atleti noti con il nome di Yamakasi, consiste nel coprire una distanza nel più breve tempo possibile, puntando su velocità ed efficienza. Poi c’è il ‘free running’, più spettacolare, che aggiunge salti mortali e piroette; e infine ‘l’arte dello spostamento’, che por-

riccardo piazza, la scalata inizia a 10 anni

ta a muoversi tra gli ostacoli con grazia, intelligenza e dinamicità, adattandosi all’ambiente e rileggendolo in maniera creativa. Mira a tornare alle radici dell’umanità, alle modalità di spostamento primordiali». In questo sport non si compete, non ci sono gare né medaglie, ognuno si confronta solo con se stesso e i propri limiti. «L’importante è lo spirito di gruppo, la collaborazione con gli altri ‘traceurs’ (i praticanti dello sport, ndr) e l’idea di condividere sforzi, sacrifici e acido lattico, così come la gioia per i risultati raggiunti». claUDia BrUno eleonora MastroMarino

allenaMenti in città Del grUppo perUgino Di parKoUr

assalto alle mura: gli alpinisti in paese In luglio a Costacciaro la seconda edizione del Kukkoblock, gara d’arrampicata per esperti e principianti

«I

n Umbria non abbiamo ‘sassi’ da scalare, tutta la pietra disponibile è stata usata per costruire i centri storici dei nostri paesini. Per questo abbiamo pensato di usare proprio le mura delle città per fare arrampicata sportiva». Così è nato il Kukkoblock, come spiega Giulia Marras, 31enne di Costacciaro, tra gli organizzatori dell’evento estivo. Si tratta di uno ‘street boulder contest’, gara di arrampicata sportiva sulle mura urbane, che si terrà dal 6 all’8 luglio a Costacciaro, borgo medievale alle pendici del monte Cucco. La manifestazione è organizzata da diverse associazioni tra cui il Club alpino italiano (Cai) e la Federazione arrampicata sportiva italiana (Fasi). «Si sale

senza corde fino ad una altezza massima di 5 metri – spiega Giulia – le attrezzature richieste sono uno specifico materasso di protezione e le scarpette adatte». Quella che si svolgerà il prossimo luglio è la seconda edizione della manifestazione. L’anno scorso hanno partecipato oltre 200 persone, «quest’anno pensiamo che saranno molti di più, a tre mesi dall’evento abbiamo registrato già 70 adesioni». Non c’è limite di età e di esperienza, chiunque può iscriversi anche se in media i partecipanti hanno tra i 18 e i 35 anni. «Sono previsti circa 60 tracciati con diversi livelli di difficoltà, segnalati da vari colori. Il bianco lo possono fare tutti, anche i principianti». A chi reputa l’arrampicata uno sport estremo, Giulia risponde: «Sono una mamma, ho una bambina piccola, e non credo di essere una persona spericolata. Una percentuale di rischio c’è in ogni cosa, per esempio è molto più pericoloso andare in macchialcUni partecipanti alla scorsa eDizione Del KUKKoBlocK a costacciaro na». Per quanto riguarda il Kuk-

koblock, i partecipanti sono costantemente seguiti da professionisti esperti: il rischio è ridotto al minimo. Secondo Giulia l’arrampicata è uno sport da colpo di fulmine: «Non so se è per l’adrenalina, ma dopo la prima scalata è impossibile fermarsi. Qualcuno dice che dia dipendenza». Lei si è avvicinata alla disciplina solo qualche anno fa, anche se ha sempre frequentato le montagne: «Faccio escursionismo da quando ero bambina e sono appassionata di speleologia, anche perché il monte Cucco è ricco di grotte da scoprire. Proprio così ho conosciuto mio marito che fa l’istruttore del Cai. La prima arrampicata era una scusa per vederlo, ma poi mi sono innamorata di questo sport». A contorno della manifestazione sarà aperta al pubblico, per tutto il mese di luglio, una mostra fotografica con gli scatti più belli della scorsa edizione. L’arrampicata in città diventa un modo per scalare pareti ripide senza andare troppo lontano, trasferendosi dalle montagne ai centri abitati. Residenti permettendo. c. B. e. M.

Gareggia da anni, a 13 ha vinto il primo campionato interregionale under 16 di arrampicata, nel 2008 era già campione nazionale juniores. Riccardo Piazza, diciassettenne di Perugia, è l’orgoglio umbro della disciplina. «L’arrampicata – racconta – è uno sport completo che allena tutti muscoli e permette di stare a contatto con la natura, per questo mi piace. Ho iniziato quando avevo solo 10 anni insieme ad un amico di famiglia che mi ha accompagnato nella prima scalata». Da quel momento Riccardo non si è più fermato, di pareti ne ha riccarDo piazza in arraMpicata scalate tante, sia in montagna sia in città. «Certo l’ambientazione cambia, le sensazioni sono diverse ma l’adrenalina e la passione rimangono le stesse». Un talento naturale che lo ha portato a partecipare a molti tornei in tutta Italia. Oltre al titolo nazionale vinto nel 2008, Riccardo ha conquistato il primo posto in tutti i campionati interregionali dal 2005 a oggi. Continua a gareggiare e ad allenarsi sperando di poter fare dell’arrampicata una professione: «Sto frequentando il terzo anno dell’istituto per geometri – prosegue Riccardo – non ho ancora le idee ben chiare sul futuro ma di sicuro questo sport ne farà parte. Penso di iscrivermi ad una facoltà di scienze motorie per poi magari diventare istruttore». Con un pizzico di incoscienza, dato anche dalla giovane età, non dimostra alcuna paura nei confronti di una disciplina spesso considerata pericolosa: «Non c’è nessun rischio, siamo sempre legati con cinture di sicurezza che impediscono la caduta. Con queste protezioni non ho paura e la possibilità di incidenti è molto bassa». c.B. e.M.

Quattro Colonne SGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente: Innocenzo Cruciani Coordinatori didattici: Nunzio Bassi Dario Biocca Numero 3 – Anno XXI Direttore responsabile: Antonio Socci Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del aprile 1993. Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: sgrtv@sgrtv.it http://www.sgrtv.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Graphic Masters - Perugia


APRILE

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SPORT

2012

Dalla pallavolo al calcio, da bovolenta a Morosini: aprile nel segno del lutto. E delle polemiche sulla gestione dei soccorsi

la triste lista si allunga

Morire di sport sotto i fari di un campo da gioco. È il tragico destino di oltre duecento atleti italiani negli ultimi trent’anni

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l 24 marzo il mondo della pallavolo piangeva il suo “uomo mascherato”, il campione che doveva il soprannome al debutto con una fasciatura al volto nella finale Olimpica di Atlanta che lo aveva fatto scoprire al mondo. Victor Bovolenta, a 37 anni, ha avuto appena il tempo di dire ai suoi compagni «Aiutatemi, mi gira la testa» e si è accasciato sul parquet del Palasport di Fontescodella, a Macerata. Il 24 aprile, ventuno giorni dopo, le telecamere che riprendevano la partita di serie B Pescara –Livorno trasmettono in diretta la morte di Piermario Morosini, centrocampista 24enne della squadra toscana. Per entrambi i campioni la causa è la stessa: un arresto cardiaco in molti in campo. Ma com’è possibile stadi mancano che due giovani sportivi muoiano i defibrillatori traditi da un cuoa bordo re impazzito? Sulle 224 morti campo di arresto cardiaco degli ultimi trent’anni, più della metà sono avvenute sul prato di uno stadio. Ad essere colpiti maggiormente i dilettanti (84% dei casi), mentre i professionisti sono stati il 6,4% del totale. Per tutti, la vita resta appesa al filo dei soccorsi, che devono essere tempestivi. Nel 75% dei casi, se sottoposto a defibrillazione, il malato di cuore sopravvive. Senza defibrillatore la percentuale crolla al 5%, e ogni minuto dell’8%.

Morire giovani, sportivi in forma. Il pensiero squadre. In Inghilterra, invece, proprio 16 scoscorre subito al doping, ma spesso il motivo di se elettriche hanno salvato la vita al centrocamquesti decessi non è il desiderio di arrivare a su- pista del Bolton Fabrice Muamba. Durante la perare i propri limiti a qualunque costo. Sia Mo- partita contro il Tottenham del 17 marzo era rosini sia Bovolenta, infatti, avevano passato i stato colpito da un arresto cardiaco. Il defibrilcontrolli antidoping. E per entrambi si ipotizza latore era a bordo campo e il medico del club, un difetto genetico alla base dell’arresto cardia- Jonathan Tobin, non ha esitato a usarlo. Il risulco che li ha uccisi. tato è che dopo un A ventuno gior- piermario mese di ricovero, il Morosini ni di distanza la sigiocatore 23enne è 14/4/2012 tuazione si è ripetornato a casa e si tuta: un giocatore sta lentamente ritrafitto dal dolore prendendo. al petto si accascia Questi sono soe partono i soclo alcuni casi che corsi. Ma se per il emergono dalle pallavolista tutto cronache. Il monprocede come da do dello sport, protocollo, il caso dunque, non è tutvigor di Morosini offre to rose e fiori. C’è Bovolenta il fianco alle poleuna parte che resta 24/3/2012 miche: l’ambulansommersa, specie la foto Di pierMario Morosini e vigor Bovolenta, za deve aspettare a livello dilettantientraMBi Morti DUrante Una partita, Di calcio e pallavolo 5 minuti fuori dalstico. La lista dei lo stadio perché l’accesso è bloccato da un’au- morti “di calcio” o “di pallavolo” è, purtroppo, to della Municipale; attorno al calciatore in pre- lunga. Compito delle società sportive, dei medida alle convulsioni una cinquantina di persone; ci e di tutti coloro che lavorano nel settore delil defibrillatore viene acceso ma non è utilizza- lo sport, è fare sì che si interrompa presto. Le to per tentare di salvare il giovane. soluzioni sono tante e diverse, ma bisogna agiLa magistratura sta indagando. Un paramedi- re in fretta. Prima che sia troppo tardi per un alco della Misericordia, Marco Di Francesco, la- tro atleta. menta che gli è stato impedito di usare il defipagina a cUra Di Diana BeneDetti e ilaria raffaele brillatore, nonostante fosse in dotazione alle

Perché?

il “grifo” rivive la storia di curi

P

erugia-Juventus, 30 ottobre 1977. Una data storica per la società umbra. Nello stadio di Pian di Massiano la piccola squadra di renato cUri provincia si stava prendendo una bella rivincita sulla “Vecchia signora” torinese. Al 5’ del secondo tempo, però, il mediano renato Curi si accascia colpito da un arresto cardiaco. Mentre a bordo campo si tenta di rianimare il giocatore con il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca, i compagni ignari continuano a giocare. Lo portano al Policlinico di Perugia, ma Curi arriva lì già morto proprio quando l’arbitro Menegatti fischia la fine del match. Ci fu un processo contro i medici del Perugia Calcio, finito con una lieve condanna. Ma le accuse lanciate dal pm durante l’ultima arringa restano scolpite nella memoria di chi conosceva il giovane: «Quando un giocatore entra in una squadra professionistica, diventa solo un numero per tecnici, medici, dirigenti». La malattia cardiaca di renato Curi era nota, sosteneva il magistrato, ma nulla è stato fatto per impedirgli di giocare. Oggi lo stadio di Madonna Alta è intitolato al mediano. Una targa ricorda il tragico evento della sua morte proprio su quel prato che continua a ospitare le partite della storica società perugina.

«professionisti a bordo campo» «polemiche sui controlli inutili» La soluzione del giornalista Giulio Mola per i soccorsi durante le partite

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iù controlli e attrezzature nei campi da Cosa pensa della polemica nata sui giornagioco. Questi sono i fattori essenziali per li a proposito dei soccorsi a Morosini? salvare la vita ai giocatori. Tutte le società «Solo un medico può stabilire se sono state risportive – anche quelle non professioniste – do- spettate tutte le procedure. Ho notato però una vrebbero avere gli strumenti per soccorrere i gio- differenza fra i soccorsi a Morosini e quelli al catori in caso di malore. Questo il parere di Giu- centrocampista del Bolton Fabrice Muamba lio Mola, giornalista che per lungo tempo ha la- (colpito il 17 marzo da un arresto cardiaco menvorato per il quotidiano «Tuttosport». Mola è an- tre giocava contro il Tottenham ndr). Per Muamche autore di «L’ultima partita», libro-inchiesta ba sono intervenute meno persone che hanno sulle morti improvvise nel mondo del pallone. gestito l’emergenza con più sangue freddo. ». Giulio Mola, ci sono degli sport in cui la me- Prima la morte Morosini, poi quella di Cardia dei decessi è più alta rispetto ad altri? lo Petrini. Al di là dello spettacolo e degli in«Negli Stati Uniti questo fenomeno è più fre- gaggi milionari sembra che il calcio presenquente nel basket e nel foti un lato oscuro. otball, mentre in Italia ci «Purtroppo il lato oscuro sono più decessi nel monnel mondo del pallone c’è do del calcio. Le cause di sempre stato. La vicenda morte più frequenti sono dei decessi sul campo è proprio le patologie cardiaemersa grazie alle denunce che come l’infarto. Anche di madri e vedove dei giose i recenti casi di cronaca catori morti per cause andimostrano che si può mocora da chiarire. C’è una rire anche nei campi di setendenza da parte delle sorie A o B, questo fenomecietà sportive a mettere la no riguarda soprattutto il polvere sotto il tappeto in settore dilettantistico, dove questi casi». i controlli sono inferiori». Come può il calcio rilanQuali sono le attrezzatu- giUlio Mola, aUtore Del liBro “l’UltiMa partita” ciare la sua immagine? re di cui le strutture «L’unico modo è evitare sportive devono dotarsi per le emergenze? polemiche inutili sulla morte di un giocatore e «Per prima cosa i defibrillatori, poi le masche- cercare di non strumentalizzare questi eventi» re per l’ossigeno e i farmaci per riattivare il cuo- Da giornalista pensa che le morti di Vigor re. Inoltre è necessario che negli stadi ci sia un Bovolenta e Morosini siano state eccessivaprofessionista che sappia fare i massaggi cardia- mente mediatizzate? ci. È inoltre indispensabile che i medici sporti- «Non mi sembra che ci sia stato un eccessivo acvi siano cardiologi. Purtroppo chi lavora in que- canimento mediatico su queste tragedie, anche sto settore spesso non ha questo tipo di specia- se è normale che la morte di un atleta che gioca lizzazione. Infine devono essere sempre pre- in squadre celebri attiri il mondo dell’informasenti nei campi durante le partite gli operatori zione, come anche che certi sport abbiano più del 118». rilevanza mediatica di altri».

bruno Stafisso accusa: Medicina sportiva è la Cenerentola della sanità

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ell’uso del defibrillatore si parla da 8-9 ta una prima presa di coscienza su queste temaanni. Dovrebbe essere in ogni luogo tiche solo qualche anno fa. Per questo siamo più dove c’è gente, e da qualche anno se ne impreparati». stanno dotando aeroporti e supermercati. Ma nei I soccorsi a Morosini ne sono stati un esemcampi sportivi non ci sono. La situazione è fo- pio? Molti hanno polemizzato che troppi si tografata così dal responsabile di Medicina spor- sono accalcati intorno al giocatore nei primi tiva dell’Asl di Perugia, Bruno Strafisso. momenti dopo il malore. Perché è indispensabile dotare anche i cam- «Io ho visto in televisione i soccorsi. A distanza pi sportivi di un defibrillatore? è difficile esprimere un giudizio. Ho notato che «Ogni minuto che passa dall’arresto cardiaco, le da quando il calciatore è caduto a terra sono paspossibilità di superarlo senza massaggio cardiaco sati solo 15 secondi perché arrivassero i primi elettrico diminuiscono dell’8%, fino ad arrivare a soccorsi. Effettivamente, però, c’erano 50-60 una sopravvivenza nel 5% dei casi, contro il 75% persone attorno a lui, e questo è sbagliato». a defibrillazione immediata. Le visite mediche anMa quello che in pochi drebbero riformate? stanno mettendo in risalto «Non credo ce ne sia il bisoè che avere un defibrillatogno. Si potrebbero aggiunre a bordo campo non è gere altri controlli, ma di una tutela solo per gli sporfronte a un caso come queltivi, ma anche per il pubblilo di Morosini, in cui la cauco, che negli stadi italiani sa del malore sarebbe una può arrivare anche a 80mimalformazione congenita, la persone». non sarebbero utili. Non si Di chi è la colpa di quepossono prevedere controlste carenze? li genetici per tutti gli spor«Delle società sportive, e tivi. È anche vero che la mevorrei sottolineare che pardicina sportiva è la Cenelo di società in generale, BrUno stafisso, MeDicina sportiva Di perUgia rentola della sanità. I pochi perché lo sport non è solo stanziamenti vengono girail calcio. Loro dovrebbero acquistare i defibrilla- ti ad altre branche della medicina, come quella del tori. Eppure, nonostante il costo di un apparec- lavoro. Chiedere un medico o una attrezzatura in chio non superi i 1.500 euro, non lo fanno». più per noi è complesso». Cosa servirebbe per evitare altre morti? Perché la medicina sportiva è importante? «La tutela sanitaria che offriamo in Italia viene «Dopo l’abolizione della visita scolastica e di presa a modello dagli altri Paesi. Infatti le morti quella di leva, l’unico controllo pubblico e gratuinello sport sono minori rispetto all’estero. Il pun- to sulla salute dei giovani resta la visita sportiva. to è sensibilizzare i dirigenti delle società sporti- Per questo è importante non ricordare la prevenve. Ho la senazione che prima vengano gli alle- zione solo in caso di un evento luttuoso, ma dunamenti, i massaggiatori e la tattica, e che le visi- rante tutto l’anno, specie quando dev’essere dete siano un problema marginale. In Italia c’è sta- ciso a chi destinare i fondi della sanità».


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CALENDIMAGGIO

APRILE

2012

Calendimaggio: fiori e colori vestono Assisi per l’evento candidato a diventare Patrimonio immateriale dell’Unesco

È primavera, sveglia Medioevo N

Nella città serafica Parte de Sopra e Parte de Sotto tornano all’Età di mezzo e si sfidano per celebrare l’arrivo della bella stagione asce come una tregua e si trasforma in una sfida. È il Calendimaggio, per Assisi la riscoperta del Medioevo. Ogni anno la città si divide in due fazioni: la Nobilissima Parte de Sopra e la Magnifica Parte de Sotto combattono per aggiudicarsi la vittoria del palio. Le due parti rispecchiano un’antica rila festa valità cittadina tra dura Nepis e Fiumi, le principali famiglie tre giorni, nobili del tempo. E se all’epoca erano i ma la città legami di sangue a ci lavora dividere gli assisani, oggi è più semplicetutto l’anno mente la geografia cittadina. Guardando il Palazzo del Capitano del Popolo (in piazza del Comune) tutto ciò che si trova a destra è Parte de Sopra e, viceversa, ciò che sta a sinistra è Parte de Sotto. Anche il gonfalone della città rispecchia questa divisione: blu e rosso sono i colori che lo compongono, gli stessi dei vessilli delle due contrade. Stendardi che, prima della sfida, vengono benedetti nella basilica di San Francesco (De Sotto) e nella cattedrale di San Rufino (De Sopra). Diversamente dal Medioevo quando le famiglie nobili combattevano tutto l’anno aspettando maggio per la tregua, oggi le fazioni si sfidano a

colpi di fiori e canzoni per pochi giorni. Nasce così il Calendimaggio, festa che, dai primi del ‘600, celebra l’arrivo della primavera. Ma è dal 1954 che l’evento ha assunto la forma attuale: una sfida tra le due Parti di Assisi per rievocare l’atmosfera medievale. La città nei primi giorni di maggio torna all’epoca delle dame, dei cavalieri, dei giullari. Costumi, strumenti, scenografie sono costruite grazie allo spirito d’inventiva dei cittadini. «Malgrado la festa duri soltanto tre giorni – spiega Elodia Lazzari, vicepresidente dell’Ente organizzativo – gli assisani lavorano tutto l’anno alla

realizzazione dell’evento». De sopra contro De sotto per rappresentare al meglio usanze, canti, balli e costumi dell’Età di mezzo. I partaioli ogni anno ricostruiscono scene di vita medievale, poi indossano gli abiti storici e danno vita ai personaggi dell’epoca. Ognuno ha la sua parte da recitare. Ognuno contribuisce alla veridicità della rappresentazione. Unica festa laica nella città serafica, il Calendimaggio aggrega tutti, senza di distinzioni anagrafiche o di ceto. Un musicologo, un personaggio dello spettacolo e uno storico. Sono esperti di grande fama a decretare la vittoria di una delle Parti. Chi vince gode e chi perde si dispera, perché questo evento è soprattutto una sfida tra due contendenti. Da sempre migliaia di turisti affollano Assisi durante il fine settimana della festa. Anche in passato

l’arte di cucire la storia

F

sopra: Una Messa in scena Della “parte a Destra: Daniele gelsi a lavoro e Una

De sopra” Delle sUe creazioni

ili, amore e fantasia. Sono gli ingredienti dell’arte di Daniele Gelsi, costumista e sarto nato a Gualdo Tadino quaranta anni fa, e dal 2004 “stilista” per la Nobilissima Parte de Sopra. Un vero “ago d’oro”, l’artista gualdese, tanto che molti cortei storici umbri portano la sua firma. Ma per la festa di Assisi Daniele prova un affetto tutto particolare: «Del Calendimaggio amo “la materia”, che è sì storica ma anche teatrale – racconta –. Posso sbizzarrirmi con colori e soluzioni originali, ma sempre nella cornice della più totale fedeltà storica». Entusiasmo e – perché no – divertimento, ma anche fatica e impegno: «Il corteo del Calendimaggio ha almeno seicento figuranti. Cominciamo a lavorare dall’inverno precedente, scegliendo lo spettacolo da mettere in scena, poi i costumi e i tessuti». A mandare avanti questa macchina sono le mani di tanti partaioli volontari che, sera dopo sera, si riuniscono nel laboratorio della propria contrada. Qui, in gran segreto, tagliano sete, tingono lane, pungendosi le dita tra chiacchiere e zelo produttivo. E grazie a loro a maggio, infallibilmente, il Medioevo va in scena nella sua veste più ricca, eppure sobria come la città che lo ospita: «I costumi del Calendimaggio, come quelli di altre

feste umbre, hanno fogge nobiliari. Qui però, per scelta dei partaioli, usiamo tessuti poveri, nel rispetto dell’anima francescana di questa terra». Quando ha mollato tutto per dedicarsi a velluti e ricami, Daniele aveva un lavoro e uno stipendio sicuri. Ma pensarci bene, forse il destino gli ha sempre suggerito un’altra strada. Già da ragazzo nella sartoria di mamma Ivana ha appreso non solo i rudimenti del mestiere, ma anche ciò che non si insegna: il gusto per il taglio sapiente, l’amore per il particolare ricercato, la dedizione che fa nascere, filo su filo, l’abito finito. Qui ha scoperto il costume storico, passione di casa Gelsi che – specie a settembre – faceva del laboratorio di Ivana una fucina di sarti indaffarati, chi più esperto e chi alle prime armi: tutti all’opera tra damascati e broccati per preparare il corteo dei “Giochi” medievali della città. Daniele assorbe tutto e va molto oltre: dopo i primi corsi, va a bottega da Giorgio Tani della Casa d’arte Cerratelli di Firenze, già costumista di Zeffirelli e Visconti. Il passo che lo porta al cinema è breve: sarà sarto, tra gli altri, per “La figlia di Elisa. Ritorno a Rivombrosa”, “Il falco e la colomba” e “Il commissario Nardone”. Ma quando a Gualdo è festa, assicura, non c’è film che tenga. Micol pieretti

la rievocazione riscuoteva successo, stranieri inclusi. Nel 1977 il medievalista Jean Claude Marie Viguer, in una lettera indirizzata all’Ente organizzativo, descriveva così la sua esperienza in città durante quei giorni: «Il Calendimaggio è qualcosa di diverso da una rievocazione perché Un viaggio contamina il rigore di sola della tradizione storica con la delicatezza andata di una leggenda. Non è uno spettacoper perdersi lo al quale assistere, e poi ma un’avventura collettiva a cui parteciritrovarsi pare, un viaggio di sola andata in cui perdersi per poi ritrovarsi». Molto lavoro e tanta fatica dietro questo evento. La passione degli abitanti di Assisi è il motore della festa, ma a mettere la benzina sono il Comune, la Regione Umbria e i numerosi sponsor. «Servono molti soldi per organizzare il Calendimaggio – assicura Lazzari – e ogni anno è sempre più difficile trovarli». Non a caso le polemiche sulla gestione economica quest’anno hanno messo a rischio l’evento, proprio quando è candidato a diventare Patrimonio mondiale dell’Unesco. paola cUtini

gianlUca rUggirello


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