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Quattro Qcolonne

SGRT NOTIZIE

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.

70% regime libero

– ANNO XXI n° 5 mAggIO 2012 –

AUT.DR/CBPA/CENTRO1 – VALIDA DAL 27/04/07

viaggio nella crisi Nelle storie di Antonio, Giorgio, Stefano e Nicola la riscossa di giovani e non contro le difficoltà economiche. Alla ricerca di un lavoro, a qualunque costo

tornano i mestieri manuali Un ragazzo su tre è disoccupato, ma ci sono ancora 100mila posti non qualificati disponibili Muratore, borsettiere, parrucchiere e carpentiere. sono solo alcune delle figure di cui oggi il mercato del lavoro ha ancora bisogno. in questi tempi risultano più utili le competenze manuali piuttosto che una laurea servizi aLLe pagg.

La sfida

perugia e assisi ci credono

Le due città in lista per diventare Capitale Europea della Cultura 2019

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Calcioscommesse

se il pallone diventa una mela marcia Arresti, intercettazioni, interrogatori. Parole un tempo lontane da gioco e pallone. Oggi però le inchieste sul calcioscommesse hanno cambiato il vocabolario sportivo. A trent’anni dal Totonero, che nel marzo del 1980 portò all’arresto dei giocatori sui campi di calcio, il football di casa nostra non è guarito. L’ultimo scandalo, venuto alla luce nel giugno del 2011 e in piena evoluzione, mostra un calcio sempre più corrotto. Il 9 maggio scorso il procuratore federale della Figc Stefano Palazzi ha reso noto quali sono società, calciatori e dirigenti deferiti nell’ambito dell’inchiesta della Procura della Repubblica di Cremona. Tra i deferimenti per il campionato 2010/2011 ci sono anche tre società della massima serie: Atalanta, Novara e Siena. Ben 22 i club coinvolti tra Serie A, B, Lega Pro e Dilettanti, mentre i tesserati deferiti sono 61, tra cui gli ex nazionali Doni e Sartor. E il cerchio è destinato ad allargarsi nelle prossime settimane. Ci attende quindi un’estate di classifiche sconvolte, retrocessioni e futuri punti di penalità. Dopo lo scandalo del 1980, a parte piccole eccezione, il calcio sembrava guarito dalle scommesse. Invece il pallone è di nuovo malato e la sua immagine è sempre più legata ai soldi e sempre meno a gioco e passione. Se i cittadini scontenti della politica hanno partorito la cosiddetta “antipolitica”, il pericolo che corre il calcio è che i tifosi si allontanino sempre di più: un “anticalcio” fatto di tifosi disamorati. Perché in tutti gli sport c’è la mela marcia, ma quello del pallone sembra ormai un raccolto andato a male.

ti segnalo che...

Partecipare alla razionalizzazione dei costi segnalando gli sprechi e le inefficienze: è la possibilità che il governo ha dato ai cittadini. Sembrava l’ennesima iniziativa a cui difficilmente si potesse dar seguito, soprattutto perché in una fase dove la politica e la sua casta viene vista come il nemico principale, l’ira dei cittadini si sarebbe scatenata. Insomma quelle 100mila mail che stanno inondando il sito del governo, con segnalazioni e suggerimenti su tutti i capitoli della spesa pubblica erano prevedibili. Quello che invece molti non immaginavano è che l’esecutivo potesse realmente dar seguito a provvedimenti nati dal basso. E il pensiero va a quel gruppo di lavoro di dieci funzionari che Palazzo Chigi ha nominato: il compito sarà quello di leggere tutte le segnalazioni e ponderare le proposte da inviare al commissario Enrico Bondi. Dalla possibilità di utilizzare software open source nelle pubbliche amministrazioni fino a chi propone di fissare il rimborso elettorale a 35 centesimi di euro a voto. Che in questo paese “Gattopardiano”, con il “marziano” Monti, stia realmente cambiando qualcosa? FranCesCo Cutro

ritardi/2

Digitale medievale

Diventare Capitale europea della cultura nel 2019. É questo l’obiettivo sul quale si stanno concentrando perugia e assisi per i prossimi anni. Due città che giocano non solo la carta del patrimonio artistico e storico ma puntano anche a realizzare un programma per proiettarsi in europa e nel futuro. Le insidie arrivano dalle città concorrenti e dall’immagine rovinata del capoluogo umbro dagli ultimi fatti di cronaca. Le istituzioni però sono certe che tutto questo non porterà a una bocsegue a pag. 9 ciatura.

giorgio MatteoLi

SPort

MULtIEtNICItÀ

UMBrIA Quando di trasfusione ci si ammala: la storia di Paolo e di sua madre. servizio a pag.

ritardi/1

Boom di bambini stranieri nelle classi perugine. La lingua è il solo ostacolo all’integrazione scolastica 4

servizio a pag.

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Non solo atleti professionisti senza giusti controlli. Salute a rischio anche per gli amatori servizio a pag.

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Sotto la media Ue. Per diffusione della banda larga fissa, per numero di famiglie connesse a internet, per gli acquisti e per il commercio on-line. Stando ai dati dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), l’Italia è in un Medioevo digitale. E l’arretratezza tecnologica si paga. Il ritardo nello sviluppo della banda larga, ad esempio, costa all'Italia tra l'1 e l'1,5% del Pil, che significa almeno 15 miliardi di euro. Le aziende subiscono perdite di produttività rispetto a concorrenti che possono usare connessioni veloci rendendo più rapida la propria attività. Del resto l'economia on-line in Italia vale solo il 2% del Pil contro il 7,2% del Regno Unito. Anche sulle esportazioni il Paese è fanalino di coda in Europa: solo il 4% delle pmi, spina dorsale del nostro tessuto produttivo, vendono online. La media Ue è del 12%. Internet, insomma, non è un’opzione. Ma un imperativo. La banda larga e ultra larga sono indispensabili per non vedere il sistema economico italiano fermo su un binario morto. vaLentina paraseCoLo

ritardi/3

Mani sporche

Era il 17 febbraio 1992 quando il pm Antonio Di Pietro chiese e ottenne dal Gip Italo Ghitti un ordine di cattura per l’ingegner Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio e membro di primo piano del Psi milanese. Sono passati venti anni da Mani Pulite, si continua a parlare di corruzione in Italia. Inchieste che coinvolgono partiti e non solo. Si è tornati al ’92 o forse non è mai cambiato niente? Per quanto riguarda il valore monetizzato della corruzione in Italia, questo sarebbe stato stimato dal SAeT (Servizio anti corruzione e trasparenza) del Dipartimento della Funzione Pubblica in 60 miliardi di euro. Secondo Trasparency International il Paese è al 69esimo posto della classifica dei 182 paesi più corrotti del mondo. Il guardasigilli Severino sul ddl anticorruzione stringe i pugni: il reato di corruzione per politici e pubblici ufficiali sarà punito con un massimo di cinque anni di reclusione. Al momento la situazione è in stallo. Chissà se quando sarà approvato il ddl cambierà davvero qualcosa. giorgia CarDinaLetti


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PRIMO PIANO

i bambini non italiani sono tanti ma integrati

MAGGIo

“ ”

Maestre in difficoltà con tante lingue diverse

2012

Conosco chi sceglie scuole con meno stranieri

Nella periferia perugina record di bambini non italiani nelle classi, con picchi fino al 90% all’asilo. Maestre troppo spesso sole

integrazione sui banchi di scuola Aumenta il numero dei nati in Italia tra gli studenti esteri, ma le difficoltà linguistiche continuano a preoccupare i genitori

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e chiamano classi “ghetto” per l’alto nu- stri confini nazionali, mentre diminuiscono quelmero di studenti non italiani che affolla- li che si trasferiscono dopo aver già intrapreso no le aule. Un problema ideologico per un iter scolastico nel Paese di provenienza. In vetta gli alunni con cittadinanza romena, semolti, ma per chi la scuola la vive dall’interno gli inconvenienti sono solo di natura linguistica. Una circolare del 2010 del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) ha fissato come tetto massimo il 30% di stranieri per classe. Gli alunni con cittadinanza non italiana sono un fenomeno consolidato, ma recente in Italia. Secondo i dati elaborati dal Miur e dalla fondazione iniziative e studi sulla multietnicità (Ismu), nel 1996/1997 gli studenti con cittadinanza non italiana erano 59.389; nell’anno scolastico 2010/2011 sono diventati 711.046. Più di tutti nella scuola primaria. I bambini nati in Italia general- stuDenti in una sCuoLa itaLiana mente conoscono e parlano l’italiano, che spesso rappresenta la loro lingua ma- guiti dagli albanesi. A sorpresa sono sempre di dre. In questi casi l’integrazione è quindi del tut- più gli studenti provenienti da Moldavia e India. to naturale. Questo fenomeno è in aumento. Se Se si considera la percentuale di allievi con cit4 anni fa sul totale della popolazione di origine tadinanza non italiana, sul totale al primo posto straniera i nati in Italia erano il 34,7%, nel troviamo l’Emilia Romagna (14%), seguita dal2010/2011 il numero è salito al 42,1%. Quindi l’Umbria (13,3) e dalla Lombardia (12,5%). aumenta il numero dei bambini partoriti nei noIn quasi tutte le regioni questo fenomeno è più

senza legge Libertà condizionata. È questo lo stato della connessione wi-fi in Italia. Poche ore di libera uscita per chi vuole connettere il proprio dispositivo a una rete senza pagare il servizio. In alternativa bisogna abbonarsi con un operatore delle telecomunicazioni. Uno dei fattori, se non il principale, che ha determinato questo stato delle cose è il decreto legge 144/2005 (poi convertito in legge), più prosaicamente il “decreto Pisanu” dal nome del suo ispiratore, all’epoca Ministro degli Interni. Una normativa che introdusse misure restrittive per contrastare il rischio terrorismo: ad esempio i gestori di esercizi che avessero messo a disposizione una connessione dovevano avere una licenza rilasciata dal questore e verificare l’identità degli utenti con un documento d’identità. Queste disposizioni, previste come transitorie, non sono state prorogate con il decreto Milleproroghe del 2010 (decreto legge 225/2010), convertito in legge a fine febbraio del 2011. E da gennaio 2012 l'abolizione è definitiva: il governo Monti non ha inserito il rinnovo nel decreto proroghe 2011. Di conseguenza ora non è più necessaria nessuna licenza. È caduto anche l’obbligo di identificazione degli utenti, il monitoraggio delle operazioni e l’archiviazione dei dati sia per gli esercizi privati sia per le pubbliche amministrazioni che mettono a disposizione degli hot-spot gratuiti. r.C.

diffuso in provincia che nelle scuole del capoluogo. A Perugia nella scuola di infanzia “Il giardino di Bibi”, quest’anno su 38 bambini iscritti 34 sono stranieri. «All’asilo i problemi derivano soprattutto dal fatto che la maestra è una sola e spesso si trova a dover gestire tanti bimbi che parlano lingue diverse», spiega Angela, che ha un figlio alla scuola d’Infanzia “Fantabosco”, nella frazione perugina di Ponte Felcino, dove su 101 iscritti 56 sono cittadini non italiani. «Ho un’amica che ha deciso di portare la figlia in un’altra scuola, non per un pregiudizio, ma per motivazioni linguistiche e di comunicazione». Maria è un’altra mamma, suo figlio frequenta la scuola elementare “A. Bonucci,” dove su 205 bambini 87 sono stranieri. «I ragazzini tra loro non fanno alcuna differenza, ma ci sono problemi di comunicazione. Di tanto in tanto c’è qualche caso veramente eccezionale, l’anno scorso ad esempio è arrivato un alunno cinese, ma a preoccupare è il rallentamento didattico generale. Non sempre bastano i mezzi che le scuole hanno a disposizione». annaLisa FantiLLi

il punto di vista «straniero non è sinonimo di basso livello» La scuola media “Bonazzi-Lilli” di Ponte Felcino è uno degli istituti di Perugia con la più alta percentuale di studenti stranieri: il 34,9%. «Ma da noi non esiste un problema d’integrazione – spiega il dirigente scolastico, Paola Avorio – perché negli ultimi anni abbiamo lavorato molto al riguardo». paoLa avorio Il profilo demografico dei bambini stranieri è radicalmente cambiato: «ormai circa il 50% sono nati in Italia – prosegue la prof.ssa Avorio – mentre gli altri arrivano da precedenti esperienze scolastiche nel nostro paese. A livello di scuola media la percentuale di studenti stranieri che entrano per la prima volta nel nostro sistema scolastico ormai è praticamente nulla». La conseguenza è un cambiamento dei criteri con cui vengono formate le classi: «Prima tenevamo in considerazione la nazionalità, da tre anni solo il merito scolastico: straniero non è più sinonimo di basso livello». LuCa Cesaretti

timidi passi per il wi-fi libero Parte il servizio di connessione gratuita nel centro di Perugia. Incertezze sulle modalità di registrazione

A

nnuncio del Comune di Perugia: anche uno degli operatori cosa fare per navigare liberi. il capoluogo di Regione avrà la connes- Risposta: «Bisogna registrarsi». Cioè? «Lasciare i sione libera a internet grazie all’impe- propri dati». Proviamo a invocare l’abrogazione gno decisivo della Giunta Boccali. Insomma, della legge Pisanu. «E se fate un attentato?», Perugia prova ad allinearsi agli standard di altri chiede sogghignante l’impiegato. Non possiamo centri europei. In Italia nel 2011 i punti di acces- che desistere e consegnare il documento d’idenso wi-fi in luoghi pubblici o aperti al pubblico tità. L’impiegato ci lascia un codice utente e una erano cinquemila. Non un dato esaltante: nella vicina Francia sono cinque volte di più. Il wi-fi è uno strumento che dovrebbe rendere più liberi i cittadini e magari, perché no, dare uno stimolo all’economia cittadina. Camminiamo per le vie del centro, con in mano uno smartphone. Ma della rete nemmeno l’ombra. Scopriamo che per usufruire del servizio bisogna registrarsi all’Urp, l’Ufficio per le relazioni con il pubblico. Decidiamo di chiamare al numero 075075075. Ci accoglie una voce che c’invita a selezionare con il numero 1 il servizio del “Comune di Perugia”. Digitiamo e risponde un operatore che invita a recarsi all’Urp della Loggia dei Lanari. Gli altri uffici disseminati sul territorio comunale non hanno le stesse competenze. Non ci resta che andare all’infopoint, gLi hot spot per iL MoMento attivi neL Centro Di perugia per avere informazioni di persona e capire che tipo di registrazione è richiesta. Di sicu- password che dovrà essere adoperata a ogni ro non si tratterà di dare i nostri dati anagrafici login. Inciso: ognuno può cedere il proprio visto che non è più obbligatorio (vedi box). codice a qualsiasi altro utente, anche a chi ha Una volta entrati all’infopoint chiediamo a cattive intenzioni. Il dipendente pubblico conse-

gna inoltre due fogli con un riferimento all’ormai ex decreto Pisanu. Per l’Ufficio gestione servizi informativi del Comune di Perugia bisogna dare i propri dati ai sensi di un comma (il 4) di un articolo (il 7) di una legge (155/2005) che non esiste più. Dal Comune invocano il diritto di tutelarsi contro eventuali crimini. Sempre dagli uffici comunali fanno sapere che il tiro sarà corretto probabilmente a partire da luglio: basterà semplicemente inviare un sms a un numero e si riceveranno i codici per usufruire del servizio. Ci sono anche altri limiti. Per il momento l’area del servizio è circoscritta: da Palazzo dei Priori a Piazza Matteotti, fino alla terrazza del Mercato coperto e le scale mobili del Pincetto. In altre parole un cittadino perugino di Ponte Felcino o Madonna Alta per esercitare il proprio diritto di libero cittadino digitale deve salire su in città, registrarsi all’Urp della Loggia dei Lanari e usare la connessione solo in una zona limitata. «Entro luglio - ha annunciato l’assessore Monia Ferranti - la connessione sarà estesa ad altre venti piazze». Manca un’ultima decisiva restrizione: scopriamo che la navigazione sarà libera per due ore al giorno. Perché? «E poi la Telecom la facciamo fallire?», è la domanda sarcastica dello stesso impiegato. Si rischia di fare concorrenza ai grandi operatori delle telecomunicazioni. raFFaeLe CappuCCio


MAGGIo

PRIMO PIANO

2012

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L’Umbria ai primi posti per le vittime sul luogo di lavoro e la frequenza di infortuni. Dall’inizio del 2012 sono già sette ad aver perso la vita

sicurezza, la nuova precaria del lavoro

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L’ultimo caso il primo maggio. Diminuiscono i morti ma il fenomeno rimane allarmante e la prevenzione rischia di diventare un lusso

l primo maggio, mentre migliaia di persone festeggiavano, c’era chi lavorava. E chi sul lavoro perdeva la vita: Vasil Copil, operaio romeno di 51 anni, era in un cantiere vicino all’Aquila quando, per prendere degli attrezzi, si è sporto troppo dall’impalcatura ed è caduto a terra. oltre due milioni e trecentomila. Sono tante le persone che nel 2008 hanno perso la vita sul posto di lavoro. A dirlo è l’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro, nel suo ultimo rapporto: “Tendenze globali e sfide alla sicurezza e salute sul lavoro”. In Italia nel 2011 sono state 930 le vittime di questo fenomeno. Il 4,4% in meno rispetto al 2010, una tendenza che si registra negli ultimi anni. Anche se va tenuto conto della crescente disoccupazione. Un quinto dei morti lavorava nelle regioni del centro Italia. L’Umbria è al quarto posto per l’incidenza dei casi di morte sul lavoro rispetto agli occupati, mentre è addirittura la prima per la frequenza degli infortuni. Lo scorso anno, secondo i dati dell’Inail (Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), sono stati 18 gli operai, agricoltori, pescatori e trasportatori che hanno avuto incidenti mortali. E nel 2012 i casi registrati sono già 7, l’ultimo è quello di Francesco Beccari, imprenditore schiacciato dal suo muletto a Magione mentre cercava di abbattere un albero. Nel cuore verde d’Italia si muore soprattutto coltivando la terra e nei cantieri. Basta una disattenzione per cadere da un’impalcatura, come è successo a un operaio spoletino che ha battuto la testa contro una vite a novembre scorso. Spesso, però, sono le misure di sicurezza a mancare. E una prevenzione adeguata. Il dott. Giorgio Miscetti della Asl2, si occupa di prevenire gli infortuni e fare controlli sui luoghi di lavoro: «Un’impresa sempre più difficile -

ri ha un’invalidità al 78% e prende circa 2000 euro al mese. Nel 2002 è stato vittima di un grave incidente: «Lavoravo da mesi come imbianchino in un cantiere di Ponte Felcino. Una mattina, mentre scaricavamo degli attrezzi dal furgone, il carico di una gru mi è crollato addosso». Dopo il coma farmacologico gli ci sono voluti tre anni di riabilitazione per tornare a camminare: «Certo, non libero e spedito - ironizza Cleandro - ma comunque spedito». L’associazione, insieme ai sindacati e all’Inail, ha organizzato una marcia ad Assisi alla fine di giugno per tenere viva l’attenzione su un fenomeno ancora troppo diffuso.

i numeri 2 milioni 300mila

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Cantiere aperto nei pressi Di

tante le persone che nel 2008, in tutto il mondo, hanno perso la vita sul posto di lavoro.

Bastia uMBra

spiega - per un équipe composta da meno di 50 tecnici che deve monitorare oltre 2000 cantieri nella regione. E i tagli alla spesa pubblica riguardano anche il nostro settore: il costo dei controlli è alto e di fatto noi non produciamo entrate, ma sicurezza». Secondo l’Inail, nel 2011 gli infortuni sul lavoro nella regione sono stati circa 15mila. L’Anmil (Associazione nazionale mutilati e invalidi sul lavoro), che in Umbria conta 19mila iscritti, presta assistenza legale, fiscale e previdenziale. Il presidente regionale, Alvaro Burzigotti, ha vissuto il dramma dell’infortunio in prima persona: «Mio padre ha perso una gamba per un masso sollevato dal trattore. È stato allora che ho deciso di dedicarmi a chi ha subito incidenti simili». In effetti l’Anmil è un’associazione sen-

za scopo di lucro, ci lavorano soprattutto volontari. Tra i dipendenti c’è Marco Crescentini: «Si può rivolgere a noi anche chi non è iscritto. oltre all’assistenza ci occupiamo anche del reinserimento lavorativo. Come una sorta di agenzia interinale». Grazie a loro ha trovato lavoro Roberto Celesti. Ha perso l’occhio destro in un infortunio “in itinere”, ovvero mentre si recava al lavoro. «Era il 16 luglio del 1983, me lo ricordo come se fosse oggi -racconta Roberto- avevo solo 17 anni, sarei potuto essere in vacanza come molti altri ragazzi, e invece lavoravo in campagna. È successo che mi sono scontrato contro una mietitrebbia». L’invalidità si calcola in percentuale, stabilita in alcune tabelle ministeriali, in base alle quali l’infortunato riceve una pensione. Cleandro Ventu-

930

I morti sul lavoro in Italia nel 2011. Il settore più colpito è stato quello dell’industria, con 430 casi.

18

Le vittime di incidenti sul lavoro in Umbria nel 2011. Dall’inizio del 2012, invece, i morti sono stati già 7.

726mila

Gli infortuni denunciati nel 2011, comunque diminuiti del 6,4%. Ma si deve mettere in conto una maggiore disoccupazione.

15mila

Gli infortuni in Umbria nell’ultimo anno.

«Bianco non è il colore del lutto» Lorena Coletti racconta la morte dell fratello Giuseppe, una delle quattro vittime dell’esplosione della Umbria olii

«N

on voglio che la dignità di mio mal di testa tutto il giorno, come un presenti- E lei come ha reagito? fratello venga calpestata. È la mento. Quando mi hanno detto della morte di «Sono andata a raccontare la storia di mio fradignità di chi lavorava tello in tv e a manifestare per chiedee non è più tornato a casa». Lorena re giustizia. Adesso voglio solo che Coletti mostra con orgoglio la foto Del Papa sconti la sua pena. Pensare del fratello Giuseppe, vittima delche ha avuto persino il coraggio di l’esplosione dell’Umbria olii. Nella scrivere un libro (il titolo è “Non ho sua voce c’è ancora la rabbia per colpa”, ndr) per dichiarare la sua quello che è successo. Il 25 noveminnocenza, avrei voluto leggerlo ma bre del 2006, allo stabilimento di non sono riuscita a trovarlo». Campello sul Clitunno, un silo saltò Come ha vissuto l’attenzione in aria causando la morte di quattro mediatica? lavoratori e la distruzione dell’im«Tutti i giornali sono stati dalla pianto. Il tribunale di Spoleto, lo nostra parte e andando in tv ho scorso dicembre, ha condannato a conosciuto molta gente che aveva sette anni e sei mesi Giorgio Del vissuto drammi come il mio. Così Papa, presidente del consiglio di non mi sono sentita sola. Però una amministrazione, per omicidio col- Lorena CoLetti ha in Mano iL LiBro “tornare a Casa DaLLavoro” DeDiCato aLLa trageDia cosa la voglio dire: mi sono battuta DeLLa uMBria oLii in Cui ha perso La vita iL FrateLLo giuseppe poso. perché non si chiamassero più Guardando la foto di Giuseppe si intuiscono Giuseppe ho pianto, forse sono anche svenuta, “morti bianche”. Il bianco è il colore della gioia, le somiglianze con la sorella. Una famiglia di non ricordo». della festa, del matrimonio. Cos’hanno di bianoperai, da sempre dedita al lavoro. Cinque figli, Ha capito subito come è avvenuto l’inci- co quelle vittime rimaste carbonizzate tutta la la madre muore quando sono ancora piccoli ed dente? notte? Io vedo solo nero, mi porto dietro un è il padre a occuparsi di loro. Lorena vive in una «Dopo qualche giorno mi sono resa conto di lutto da sei anni. ora quello che mi interessa è grande casa nella campagna di Narni, a pochi aver visto in tv le immagini dell’incendio, ma il futuro di mio figlio. Emanuele non ha voglia chilometri dal centro. ero al telefono e non ho prestato attenzione. Mi di studiare, magari anche lui andrà a fare l’opeCome ha saputo della morte di suo fratello? ci sono voluti dei mesi per reagire, perché ero raio. Ne ha tutte le intenzioni. L’altro giorno mi «Era sabato sera e stavo lavorando in pizze- sotto sedativi per il dolore. Una sera ho iniziato ha chiesto quante possibilità avesse di morire ria. Una mia collega mi avverte che fuori c’è a cercare su internet per fare chiarezza. Poi un come lo zio. Io non so che rispondere, posso mio marito e quando esco trovo anche mio giorno ci è arrivata una richiesta di risarcimen- solo sperare in una legge che lo tuteli». figlio e i miei cognati. Allora capisco subito che to di 35 miloni di euro da Del Papa: per lui l’inpagina a Cura Di c’è qualcosa che non va. E dire che avevo avuto cidente era colpa degli operai». eLena BaioCCo e riCCarDo CavaLiere

umbria olii la storia 25 novembre 2006 Quattro operai muoiono per l’esplosione di un silo nella fabbrica Umbria olii, a Campello sul Clitunno. I nomi: Giuseppe Coletti, Maurizio Manili, Tullio Mottini, Vladimir Todhe. 24 novembre 2009 A Spoleto inizia il processo. Sul banco degli imputati, il presidente del consiglio di amministrazione dell’azienda Giorgio Del Papa e 25 novembre 2011 Quinto anniversario della tragedia. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, scrive al sindaco di Campello, Paolo Pacifici, per richiamare l’attenzione sulla vicenda. 19 dicembre 2011 Giorgio Del Papa viene condannato a sette anni e sei mesi per omicidio colposo plurimo.


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PRIMO PIANO

MAGGIo

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Assisi. Una trasfusione infetta ha fatto ammalare la madre di Paolo Nizi, deceduta nel 2005. E il risarcimento non c’è

«Quel sangue infettò mamma» La guerra di Paolo: “Un intervento al cuore l’ha fatta ammalare di epatite. trent’anni senza un aiuto dallo Stato”

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rasfusioni killer di sangue infetto. Si entra in ospedale, si ricorre a una trasfusione, ci si ammala, si muore. Una brutta storia. Sono quattromila le persone già morte, perché contaminate con sangue, o suoi derivati, messo in commercio senza gli opportuni controlli. Tra queste c’è la madre di Paolo Nizi. La donna, assisiate, nel lontano 1982 si è ammalata gravemente per una trasfusione con sangue infetto, in occasione di un intervento chirurgico al Policlinico Umberto I di Roma, ed è morta nel 2005. All’epoca aveva 55 anni. «In quell’intervento al cuore le sono state trasfuse venti sacche di sangue, che poi si è scoperto che erano infette. È da lì che è iniziata l’agonia». Non si dà pace Paolo, che dopo quell’ingresso all’ospedale ha visto sgretolarsi la sua serenità familiare. «Mia madre stava sempre male, aveva continui svenimenti, ha scoperto poi di avere contratto l’epatite C. A seguire, sono insorte altre patologie, prima il diabete e poi l’Alzheimer. Gli ultimi anni, prima di morire, non mangiava più, era alimentata con il sondino». Un calvario lungo trent’anni. Che si riverbera sul nucleo familiare, inevitabilmente. Provato dal triste destino materno, adesso anche lui sta male, a soli 63 anni Paolo soffre d’insufficienza respiratoria. Ma l’ultima goccia è arrivata nel 2010. Quando il Ministero della Salute ha accordato un risarcimento per le pene patite dalla famiglia Nizi pari a 600 mila euro. Che sarà però erogato in 10-15 anni. «Sono invalido e vivo attaccato all’ossigeno – protesta – così rischio di fare la fine di mia madre, che è morta non vedendo un soldo». «Solo nel suo ultimo anno di vita le sono stati erogati circa dieci mila euro, cifra neanche sufficiente a ripagarci delle spese legali. Per il resto del tempo, abbiamo dovuto destreggiarci con il mio stipendio da dipendente statale e la pensione d’invalidità di mamma, che non arrivava a mille euro».

Quella di Paolo non è la storia di una tragedia caduta dal cielo. Ma di un contenzioso con lo Stato, che ha omesso di controllare con i doverosi test che il plasma non veicolasse patologie mortali, quali l’epatite o l’Hiv. Gli emodanneggiati sono persone normali, sane, che hanno fatto ricorso alle strutture sanitarie del nostro Paese che dovevano garantire loro cure sicure. Così non è stato. Se ci si ammala gravemente non si può più lavoraeconore. Chi è in difficoltà t o miche finisce relegaai margini della società. E se pure si fanno le leggi per ripagare il

danno, la realtà è che serve sempre la mobilitazione perché quel che è stato sancito sia anche applicato. Il diritto al risarcimento è stato riconosciuto sotto il governo Prodi per settemila persone con un decreto-legge emanato nel 2007, coperto dalla finanziaria, che ha stanziato un fondo di 180 milioni di euro. Soldi da erogarsi annualmente secondo un piano pluriennale. Il requisito per ottenere la transazione è il nesso causa-

le tra l’avvenuta trasfusione e la contrazione di un virus. Le domande di risarcimento mandate al Ministero della Salute sono state circa settemila. Ma tecnicismi e paletti si sono via via frapposti al buon esito del contenzioso. Nel gennaio 2008 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sentenziato che l’interessato, per ottenere il risarcimento, ha cinque anni di tempo, che decorrono dal momento della d o m a n d a . estingue il Dopodiché la prescrizione trove è stato reato. Questo anche se alipotizzato per il fatto in questione il colposa”, per reato di “epidemia cui i termini della prescrizione s’allungano a 15 anni. Fatto sta che la sentenza della Cassazione ha escluso dai ricorsi l’ottanta per cento delle persone emodanneggiate. In più, c’è l’esercito degli ignari. Quelli che non scopriranno mai d’essersi ammalati per colpa di sangue infetto. Morale della favola, sono passati già cinque anni dallo stanziamento di questo fondo. Almeno economicamente poteva essere una boccata d’ossigeno. Invece è stato avviluppato in un iter pachidermico, incastrato nei cavilli e nelle lungaggini. Eppure il tempo conta. Vuol dire vita che passa. Soldi per cure sanitarie costose che dovevano essere disponibili e che invece mancano all’appello. Le persone intanto muoiono. E il risarcimento dato a chi giace all’ombra di un cipresso non paga. Laura CerveLLione

risarcimenti al palo

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al punto di vista legale, la partita è tutt’altro che chiusa. La questione si articola in due tranche, come chiariscono gli avvocati perugini Michele Nannarone e Massimiliano Poggianti che da anni difendono le vittime del sangue infetto: «Da una parte c’è la legge 210 del 1992, per l’indennizzo delle vittime di trasfusioni killer. I danneggiati che l’hanno richiesto percepiscono una “pensione” bimestrale che va dai 1445 ai 1620 euro, a seconda della gravità del danno». C’è poi il capitolo dei risarcimenti stabiliti dalla finanziaria Prodi del 2007, secondo cui chi aveva già in corso una causa poteva presentare domanda per i danni subiti, di ordine biologico, patrimoniale, esistenziale e di vita di coppia. La responsabilità del Ministero della Salute in questi casi di pessima sanità, riferisce Poggianti, è accertata: «Le sentenze hanno appurato che era impossibile tracciare il sangue – racconta Poggianti – che a volte proveniva addirittura dal terzo Mondo». Ma in Italia non ci si è comportati meglio, specie perché test attendibili c’erano già: «Era il 1966 quando il Ministero esortava le Usl ad evitare donatori con transaminasi alte, ma senza che fosse legge». Seguire il percorso del sangue dalla donazione alla trasfusione, poi, era impossibile: «Nelle USL non esistevano registri dei donatori, anche se già nel 1967 era stato formulato il “Piano sangue” per il controllo e l’accertamento della provenienza delle sacche». Negligenze che hanno portato al contagio di oltre ottantamila persone, secondo il Comitato vittime sangue infetto. Che oggi chiedono di essere risarcite. tra il 2009 e il 2010 sono state oltre 7000 le richieste inoltrate. Eppure, a tre anni di distanza, tutto è fermo: «Il decreto che definisca modi ed entità dei risarcimenti non è mai stato definito. Da mesi ci rimbalzano da una riunione all’altra, ma nulla di fatto», racconta Nannarone. E per alcuni è già troppo tardi: «Su 208 cause intentate, almeno 40 dei nostri assistiti sono mortisenza aver avuto una risposta dallo Stato». Esasperati, perché le loro sono storie passano inosservate. Perché con quel risarcimento avrebbero potuto curarsi adeguatamente e vivere un’esistenza dignitosa. Esasperati, perché molti di loro per quella legge che ora c’è hanno lottato e manifestato, ma i suoi effetti si sono persi nelle maglie di una giustizia che prende tempo anche davanti alla morte. MiCoL pieretti

L’evoluzione dello screening e la biologia molecolare battono sul tempo patologie prima “invisibili”

oggi la trasfusione è sempre “doc” Mauro Marchesi, dirigente medico: «oggi test attendibili, tracciabilità del sangue e donatori selezionati»

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e in passato sono stati commessi errori, oggi negli ospedali italiani corre buon sangue, soprattutto grazie alle novità della scienza. L’evoluzione dello screening è stato un passo in avanti decisivo per individuare patologie prima impossibili da rilevare, come ha spiegato Mauro Marchesi, dirigente medico del servizio di immunoematologia dell’ospedale perugino “Santa Maria della Misericordia”. «Dal 1974 si è iniziato a dosare gli antigeni dell’epatite B, nel 1985 gli anticorpi contro l’Hiv e nel 1989 quelli dell’epatite C, fino ad allora sconosciuta». Ma la vera rivoluDonare non zione in campo comporta alcun immunologico si ha dieci anni dopo: rischio, anzi: «Nel 2002 è stato introdotto l’obblifa bene go di effettuare i al donatore test con i nuovi metodi di biologia molecolare, che individuano non solo gli anticorpi ma anche i virus di epatiti e Hiv». Il risultato è un’affidabilità molto più elevata, perché «i test sui soli antigeni sono ingannevoli nel “periodo-finestra”, quello che intercorre tra l’infezione e lo sviluppo degli anticorpi, in cui però si è già contagiosi».

Ma i progressi della ricerca non finiscono qui. «Decenni fa alcuni pazienti sono state infettati da virus allora sconosciuti alla medicina, quindi di fatto “invisibili”. Basti pensare che il virus della “mucca pazza” è stato identificato solo nel 1996. Ecco perché, per contrastare la diffusione dell’“encelopatia spongiforme bovina” che per qualche anno ci ha terrorizzati, «in Italia oggi non può donare sangue chiunque fra il 1980 e il 1996 abbia soggiornato nel Regno Unito per più di sei mesi». Esiste ancora il “rischio da sangue”? Come spiega Marchesi, il fattore di pericolo collegato alle trasfusioni oggi è infinitesimale. Merito soprattutto dei donatori, tutti volontari e non remunerati come avviene in molti Paesi, e tutti accuratamente selezionati. «Dal 2005 i questionari somministrati ai potenziali donatori permettono di rilevare al dettaglio i fattori di rischio a cui si può essere andati incontro». Anche quando si tratta di una semplice pulizia dentale o un tatuaggio. Valutata l’adeguatezza del donatore, viene sottoposto ad un esame del sangue per valutare lo stato di salute, se è idoneo al prelievo e – se sì – a quale tipo. «È possibile infatti donare sangue intero o per aferesi, una procedura che separa una specifica componente – plasma e/o

piastrine – mentre i globuli rossi vengono “restituiti” al donatore». Una tecnologia vantaggiosa, che permette di non “impoverire” il donatore con carenze di ferro. Inizia così l’iter di controllo immunologico sulla sacca di sangue: «Deve passare attraverso una serie di esami virologici, che comprendono la ricerca degli anticorpi e dei virus di epatiti, Hiv e sifilide. Solo se passa tutti questi test il prelievo riceve l’ok per essere poi trasfuso». Marchesi non nasconde che ancora oggi il rischio trasfusionale nullo non esiste, «sia perché esistono malattie ancora sconosciute, sia per una pur minima possibilità di errore umano». Dal 2002, però, il rischio è vicinissimo allo zero: «il pericolo di contrarre l’Hiv è uno ogni due-tre milioni di trasfusioni, è uno ogni cento-duecentomila per l’epatite B, e uno ogni uno-due milioni per la C». Merito anche di una nuova “politica del sangue” da parte delle Usl, secondo la quale il pericolo si riduce anche con un uso oculato delle trasfusioni, limitate ai casi di effettiva necessitá. Eppure di sangue donato c’è ancora un gran bisogno. Il centro trasfusionale dell’ospadale perugino ha la fortuna rara di essere autosufficiente per quanto le donazioni di “oro rosso”, grazie anche a una campagna di sensibilizzazio-

ne “a tappeto”: «Da anni dedichiamo alle scuole progetti educativi specifici sull’importanza di donare sangue. E non bisogna dimenticare il lavoro insostituibile delle associazioni di volontari, sempre disponibili ad informare e a chiarire ogni dubbio di chi si accosti per la prima volta alla donazione. È soprattutto grazie a loro – spiega Marchesi – che siamo arrivati a quota 20mila donazioni l’anno: un tetto che dovrebbe permetterci di non essere in sofferenza in estate, il periodo più critico “ematicamente” parlando». Eppure tra i potenziali “volontari di sangue” circola ancora di diffidenza riguardo all’opportunità di donare, dove – qui sì – le titubanze stanno a zero: «La donazione non è affatto rischiosa. Anzi, gli esami generali effettuati permettono di monitorare in forma gratuita il proprio stato di salute. È una specie di “fidelizzazione” dei nostri volontari: perché ogni goccia del loro sangue è preziosa». MiCoL pieretti


MAGGIo

2012

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PRIMO PIANO

La regione scende in campo a difesa delle imprese locali: varato il sigillo di qualità “Umbria artigianato - mobile in stile”

i marchi umbri sotto assedio Dall’inizio dell’anno circa seimila oggetti sequestrati dalla guardia di finanza. Dagli accessori all’olio, tutti i prodotti sono a rischio

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ell’ultimo mese i controlli della Guardia di Finanza nella provincia di Perugia hanno portato al sequestro di 3159 pezzi contraffatti. oggetti di ogni tipo: circa 2500 capi di abbigliamento e accessori, 106 occhiali da vista, 461 apparecchi elettrici e 32 bombole di gas. Un elenco variegato e ben fornito, ma che rappresenta solo la punta dell’iceberg di un fenomeno diffuso e non facile da individuare. Dato che si tratta di una pratica sommersa tutti i dati, seppur significativi, sono parziali e non offrono una fotografia completa della reale situazione. Nessun settore sfugge alla contraffazione, come dimostrano i continui sequestri di merce falsa. A metà febbraio, a Narni, sono stati individuati 2260 oggetti a marchio Thun probabilmente made in China. Un anno prima i finanzieri di Terni avevano già intercettato 200 prodotti spacciati per quelli della nota fabbrica di Bolzano sulle bancarelle dei venditori ambulanti della zona: soprattutto statuine decorate con fiori, animaletti e angeli. Uno dei settori maggiormente oggetto di riproduzioni illecite è quello dell’abbigliamento e degli accessori. A fine gennaio, ad Assisi, le fiamme gialle hanno trovato quasi mille articoli tra scarpe, borse, portafogli, cappelli, sciarpe, pantaloni e biancheria intima. Tutti rigorosamente griffati: Nike, Hogan, Louis Vuitton, Fendi, Gucci e Alviero Martini.

In Umbria il problema ha un aspetto da non sottovalutare. La regione è ricca di prodotti tipici e di un artigianato fortemente radicato nel territorio. I falsari tentano di sfruttare l’ottima reputazione, anche all’estero, delle creazioni locali per immettere sul mercato dei surrogati a basso costo. Un esempio fra tutti quello di Deruta. Le famose ceramiche sono protette da un

lo: è stato fondato un distretto chiamato Deruta, per poter così esportare “legalmente” merce marchiata “Deruta CE”, dove anche l’acronimo CE non significa Comunità Europea, ma China Export. Per difendere il prestigio delle ceramiche umbre fin dal 2008 è stato creato il consorzio “Deruta 1282”. E se si sa che in Umbria i prodotti alimentari trovano sempre spazio tra i souvenir dei turisti, fuori dai confini regionali il rischio è che anche in ambito agroalimentare circolino merci non originali. Non è un caso che già nel 1986 all’interno del quadro degli interventi regionali a favore dell’agricoltura fu costituito il Consorzio Regionale di tutela dell’olio extra vergine di oliva Dop. Da 25 anni a oggi i problemi sono aumentati e dall’inizio dell’anno la Regione ha varato un nuovo marchio dedicato, “Umbria artigianato - mobile in stile”. Al un MoBiLiFiCio artigianaLe uMBro aD inizio seCoLo. momento dieci aziende ne in aLto, iL Logo DeL MarChio regionaLe “uMBria artigianato - MoBiLi Di stiLe” hanno ottenuto la licenza. marchio di cui si può fregiare solo la produzio- Un’iniziativa che getta le basi per una lotta ancone interna al piccolo Comune del perugino. Ma ra lunga e difficile. in Cina si sono attrezzati per aggirare l’ostacoLuCa Cesaretti e annaLisa FantiLLi

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Questo è iL settore più ContraFFatto. a Fine gennaio aD assisi La Finanza ha sCoperto CirCa MiLLe Capi FaLsi

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volevo solo fare il negoziante

L’incredibile storia di Mario, tormentato da una banda di ladri. E lui si improvvisa “carabiniere aggiunto”

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«Siamo preoccupati. Se vogliamo uscire dalla crisi l’unica strada è tornare a fare produzione. Ma produzione di qualità, l’unica nella quale possiamo essere competitivi sul mercato mondiale». Stelvio Gauzzi, segretario di Confartigianato Imprese Perugia, va dritto al cuore della questione quando viene stimolato sul tema della contraffazione. «Ci sarà sempre qualche paese emergente disposto a lavorare a costi più bassi dei nostri – riflet- steLvio gauzzi te – per cui dobbiamo puntare su prodotti di alta qualità e livello tecnologico». Proprio quelli in cui il fenomeno della contraffazione è una piaga crescente: «Nell’agroalimentare le normative molto stringenti aiutano; il vero problema è per situazioni tipo le ceramiche di Deruta. Dalla Cina arrivano prodotti marchiati, grazie a uno stratagemma, ‘Deruta CE’. Così facendo sembrano provenire dall’Umbria. L’aumento di sequestri segnala la crescita del fenomeno, ma per combatterlo dobbiamo fare un passo in avanti e stoppare queste filiere del falso dall’inizio».

oggetti per La Casa

Prendevano di mira negozi d’alta moda. Scarpe, borse e capi di ogni tipo trafugati con l’astuzia

a crisi economica e le merci contraffatte non sono le uniche minacce per chi manda avanti, giorno dopo giorno, la propria attività. Questa è la storia di Mario (il nome è di fantasia, ndr), titolare di un negozio di alta moda nella Media Valle del Tevere. Un ragazzo di spirito, che a dispetto della sua giovane età lavora nel settore dell’abbigliamento già da vent’anni. Negli ultimi mesi si è trovato coinvolto, suo malgrado, in una buffa “guerra privata” – ma piuttosto seria, penalmente parlando – contro una banda di artisti della truffa. «La prima volta erano in sei, assieme a due bambini – spiega – hanno preso di mira il nostro outlet, dove teniamo le collezioni delle stagioni passate». La strategia per mettere a segno il colpo? Semplice, ma efficace: entrare nel negozio e, forti del numero, fare baccano. Bambini che si rincorrono urlando, la commessa chiamata da un lato all’altro del locale, così, in pochi minuti, la banda (composta in tutto da più di dieci persone, tutte dello stesso nucleo familiare) va via con diecimila euro di merce. Rubata, naturalmente. L’incredibile, però, accade l’indomani. Il gruppo, fiutato l’affare, torna all’outlet per un’altra giornata di “shopping creativo”. Mario continua: «La seconda volta ero lì, guardavo le immagini delle telecamere di sicurezza,

«Bloccare le filiere del falso fin dall’origine»

quelle del giorno prima, quando li ho visti entrare, sempre loro». La telefonata ai carabinieri è immediata e, pochi minuti dopo, segue l’arresto in flagrante. «Avevano ancora la merce nascosta addosso. Le donne ad esempio sotto le gonne – continua il titolare – ero sicuro che fosse finita lì»; invece, in questa stramba riedizione per adulti di “guardie e ladri”, siamo solo al primo tempo. Una settimana dopo – siamo tornati intanto al negozio d’alta moda – un’auto parcheggia davanti all’ingresso, Mario trasecola: «Non ci volevo credere. La stessa station wagon, le stesse persone, che sfacciati! Solo che quella volta erano in tre». Il titolare e le sue commesse la prendono sul personale, raccolgono il guanto di sfida e li fanno entrare. «Eravamo il doppio di loro, io e cinque commesse – spiega sorridendo Mario – gli siamo stati addosso tutto il tempo, seguendo ogni loro mossa». Risultato di mezz’ora di shopping fra i grandi marchi: un paio di calzini da 12 euro. Mentre il trio si allontana nel negozio si tira un sospiro di sollievo, con la soddisfazione d’aver reagito a tanta faccia tosta con civiltà e una buona dose di sarcasmo. Ma talvolta la realtà supera di gran lunga ogni immaginazione. Passano appena tre giorni e la banda ci riprova: con Mario e il suo negozio, tan-

to per cambiare. Quello che i malviventi non sanno è che i carabinieri, stavolta, li stanno osservando: così scatta la trappola e il negoziante, per la seconda volta, s’improvvisa sceriffo e prende parte all’operazione. «L’ho fatti arrestare, due volte. Mentre andavano via mi insultavano, dicendo che me l’avrebbero fatta pagare. Da parte mia ero tranquillo, pensavo che sarebbero rimasti dentro per un bel po’ di tempo». Qui il tono di Mario rivela un accenno d’amarezza: «Qualche giorno dopo, parlando col Capitano dei carabinieri che ha condotto l’operazione, ho scoperto che, in attesa del processo, erano a piede libero. Liberi di tornare qui e bruciarmi il negozio per vendetta». o, più semplicemente, di tornare a colpire. La banda, infatti, è accusata d’aver compiuto furti in tutta l’Umbria. Merce del valore di molte migliaia di euro, ma a volte capita che i titolari dei negozi, benché clamorosamente gabbati, non si accorgano di nulla. «Quando hanno perquisito l’auto della banda – aggiunge divertito Mario – c’era di tutto, compresa una quarantina di foulard di seta pregiata, di un negozio che conosco. Ho chiamato il titolare, gli ho chiesto se gli mancassero dei foulard e lui mi fa “aspetta che guardo… Hai ragione! Me roBerto MoreLLi ne mancano un paio!”».

estro e manolesta: i trucchi dei ladri Gli stratagemmi per rubare nei negozi, soprattutto quelli più controllati, sono molti. Alcuni, per creatività ed estro, meritano una menzione. Ecco i più comuni. Una sacca marsupiale, a mo’ di canguro, da indossare sotto gonne vaporose. Durante una recente operazione i carabinieri hanno fermato una donna che aveva rubato così ben 6 paia di scarpe. Una sorta di tagliasigari, di forma rotonda, fatto per essere nascosto nel palmo della mano. Un gesto veloce e il sigillo anti-taccheggio viene via. tolto quello, il resto, è un gioco da ragazzi.

All’apparenza una normale borsa. In realtà è foderata all’interno con pannelli che schermano le onde magnetiche. ottima per eludere, con eleganza, gli antifurti dei negozi.


Stefano, da operaio a badante, una lunga serie di mestieri alle spalle

N VI EL A LA GG C IO RI SI

itrovarsi disoccupati a 44 anni e dover ricominciare anziani e disabili ricoverati in varie strutture: un impiego che tutto da capo. Questa è la storia di Stefano Stramac- svolge con grande dedizione, anche se trovare un’occupacia, folignate con una lunga serie di lavori alle spalle. zione stabile in questo campo non è semplice. Ai problemi Un percorso in salita, che spesso lo ha costretto a reinven- l a v o r a t i v i , poi, si aggiungono quelli personali. tarsi e a cimentarsi in attività molto diverse tra loro. Senza Come se non bastasse, infatti, insieme a mai darsi per vinto. sua moglie viene sfrattato dalUn diploma da ragioniere in tasca, la l’abitazione in cui vive da cinvita professionale di Stefano si rivela suque anni. bito molto precaria. Prima commesso in «È stato un periodo molto un supermercato, poi rappresentante per buio. Per fortuna ho potuto contauna ditta di abbigliamento. L’illusione re sul supporto dei miei genitori», didella stabilità arriva nel 1995, quando viece il protagonista della nostra storia. ne assunto come operaio alla Merloni. «Anche la fede mi ha aiutato moltissimo. Un’azienda nella quale lavora per ben 13 Così sono riuscito a ridimensionare le anni, fino a quando l’impresa umbra viedifficoltà professionali». ne travolta da una gravissima crisi che la Certo, stare a casa senza un lavoro per costringe a mandare a casa tanti dei suoi quattro anni non è facile. La frustraziodipendenti. «Nel 2008 mi hanno offerto ne e il senso di impotenza sono logoranuna buonuscita e mi hanno messo in moti. Ma Stefano è ottimista di natura, conbilità per due anni. Peccato che la crisi vinto che, prima o poi, la ruota della vieconomica fosse solo agli inizi: era il peta riprenda a girare nel verso giusto. «In riodo peggiore per affacciarsi sul mercauno dei tanti corsi di formazione che ho to del lavoro», racconta. Da questo mofrequentato – spiega – mi hanno inseUna badante assiste Un’anziana. i n alto a destra , s tefano s tramaccia mento, per Stefano inizia un lungo pelgnato che non ci si deve concentrare sui legrinaggio tra vari corsi di formazione, problemi, bensì cercare delle soluzioni. nella speranza di trovare un nuovo impiego. Frequenta un la- Si possono trarre insegnamenti da ogni situazione». Ecco boratorio in cui impara a manovrare macchine utensili, ma perché bisogna avere un approccio positivo, senza mai perle imprese locali devono fare i conti con la difficile congiun- dere le speranze. «I disoccupati ci sotura economica e venire assunti sembra un miraggio. no – continua – ma spesso sono lo«Nel frattempo ho continuato a dedicarmi al volontaria- ro a voler rimanere in questa condito negli ospedali, un’attività che svolgevo fin da giovane – zione. Invece bisogna essere pronti spiega – così sono venuto a sapere che il Comune di Foli- a rimboccarsi le maniche e darsi da gno e la Asl stavano organizzando un corso di formazione fare». Quello che Stefano sta cercanper assistenti familiari, più noti come badanti». Alla fine del do di fare, pronto a rimettersi in gio2010, quindi, dopo due anni di disoccupazione, Stefano si co e a lanciarsi in una nuova attività lancia in questa nuova esperienza. Dopo il corso, lavora con nel settore del fotovoltaico.

dirigenti

professionisti nel commercio

professioni intellettuali

operai specializzati

professioni tecniche

operai non qualificati

impiegati

professioni non qualificate

«conta molto la creatività» Giorgio, falegname, racconta un lavoro che unisce braccia e mente

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54.000

36.000

12.000

Sino a 29 anni

30 anni e oltre

IO SI G I G CR IA V LLA E N

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sempre pronto a ripartire

Assunzioni 2011

Fonte: Unioncamere, Ministero del Lavoro

on avere mai paura di mettersi in gioco e cercare la- deciso di partire per Lisbona e tentare la fortuna. Ho iniziato voro ovunque, anche all’estero. Questo è ciò che a lavorare come cameriere in un ristorante. Dopo un po’ di consiglia Giorgio, un ragazzo umbro di 28 anni, che tempo la proprietaria aveva bisogno di un cuoco e ha deciso è la prova di come sia possibile reinventarsi in tempi di cri- di puntare su di me». Anche se non ha mai avuto esperienze si. in questo campo la signora decide comunque di dargli fiduDurante gli anni del liceo nasce l’interescia e lo mette in prova per due settimane. se per la politica che lo porterà ad iscriGiorgio impara in fretta e viene assunto versi alla facoltà di Scienze politiche di poco dopo con un contratto di sette mePerugia. «Ero affascinato dal mondo delsi. la pubblica amministrazione – racconta Il giovane decide poi di tornare in Um– Tutto quello che volevo era entrare in bria, con il sogno di trovare finalmente un politica, prima nel mio paese, per poi arlavoro vicino alla sua famiglia. «Appena rivare in Regione». arrivato vengo a sapere che il proprietario Il suo desiderio di essere autonomo dal di una falegnameria cercava un aiutante punto di vista economico è sempre staper la riparazione di finestre. Anche in to forte, anche durante gli anni dell’uniquesto campo – precisa il ragazzo – non versità, nei quali Giorgio si è sempre avevo alcuna esperienza ma ho comunque rimboccato le maniche per poter avere deciso di fare un tentativo». Così riesce a qualche soldo in più. «Ho lavorato in dimostrare la sua bravura e viene assunto fabbrica e come cameriere in un ristoin questa bottega dove tuttora lavora. rante. Ho addirittura fatto l’ispettore nel Una professione, quella del falegname, di cimitero del mio paese» spiega. cui Giorgio si è appassionato: «Mi piace Nel 2009 il giovane si laurea. Come tanmolto – afferma con entusiasmo – perché Un falegname a lavoro ti altri ragazzi, si accorge presto che, annon è meccanico, ma molto creativo. Alche con quell’agognato “pezzo di carta”, l’inizio mi limitavo a “eseguire gli ordini”, trovare un lavoro è tutto meno che facile. I tagli si fanno sen- poi il mio datore di lavoro ha iniziato a coinvolgermi nella tire anche nel pubblico impiego. «Nel 2011 ho partecipato ad creazione dei mobili. Ovviamente è lui l’esperto, però anche un concorso per un posto nell’uf- io partecipo ai progetti per la creazione dei mobili e della finficio del lavoro in Provincia, ma stre. Molti chiedono librerie su misura e devi cercare di sodnon ho raggiunto un punteggio suf- disfare i desideri dei clienti. Col mio datore ho instaurato un ficiente per entrare in graduatoria». buon rapporto e di questo sono molto felice». Dopo altri tentativi falliti, Giorgio Qualche rimpianto? «Col senno del poi sceglierei una facoltà capisce che l’unica soluzione è an- di tipo scientifico, oppure lingue», conclude Giorgio che condare all’estero per fare qualche fida di avere un sogno nel cassetto: trasferirsi in Australia peresperienza lavorativa. «Non avevo ché «l’economia è diventata globale e con questa anche il mernessun appoggio ma ho comunque cato del lavoro».

lavoro tra sogno e realtà Meglio artigiano oggi che scienziato domani. Questa è la scelta di molti italiani che si affacciano sul mercato del lavoro in questo periodo di difficoltà economiche. Sono tanti i giovani e gli adulti che tornano a svolgere mestieri tradizionali e poco qualificati. La tendenza nel 2011 è confermata dalle ultime ricerche del Censis e della Cgia di Mestre

«vivere del mio lavoro» Antonio Mameli: al primo posto c’è l’indipendenza economica

«S

ono fortunato perché mio padre già parte qualche soldo. Intanto vivi senza dover lavorava nel settore e per me è stato chiedere aiuto ai tuoi genitori. Per esempio ho più facile che per altri». Esordisce un amico che lavorava con lo zio, poi è stato così Antonio Mameli, un ragazzo di Perugia di licenziato per via della crisi. Subito dopo ha tro21 anni che da quattro anni lavora a cottimo in vato un lavoro a tempo pieno, con la garanzia di 800 euro di stipendio al mese. Però lo ha una vetreria di Torgiano. Se potesse tornare indietro all’ultimo anno di rifiutato perché gli orari non gli avrebbero perliceo, sceglierebbe di nuovo di lavorare invece messo di continuare le scuole serali. Io avrei di prosegurie gli studi: «Io sono dell’idea che scelto in modo diverso». Forse i suoi genitori erano contenti di fare prima di tutto venga il lavoro. Quando ho finito la scuola volevo rendermi indipendente al qualche sacrificio per farlo studiare. «Se non ci fosse questa crisi forse studiapiù presto, per aiutare i miei re avrebbe senso. Ora, però, genitori e anche perché lo stumi sentirei troppo di peso. dio non mi stimolava molto. Già i miei genitori fanno Infatti ho iniziato a lavorare molto per me, credo sia giusto quando avevo 17 anni». darmi da fare per aiutarli. E Allora non c’era ancora la poi avere uno stipendio, per crisi economica che avrebbe quanto basso, è una soddisfaposto la questione del mercato zione, anche solo il poter del lavoro al centro dell’agenda pagare una birra quando esco politica. Anche per questo con gli amici». Antonio consiglierebbe a un Ma studiare non potrebbe suo coetaneo di cercare subito ntonio mameli lavora con il padre essere un modo utile per troun lavoro, invece di proseguire in aUna vetreria da qUando aveva 17 anni vare un lavoro non manuale, gli studi: «Parto da un dato di fatto: per fare l’università servono soldi, e non magari che sia anche più remunerativo? «Visto tutte le famiglie si possono permettere di spen- come vanno le cose in Italia non è detto che se derli. La mia ragazza, per esempio, studia a studi trovi un lavoro meglio pagato. Il rischio è Perugia. Ha la fortuna di vivere qui, una città di buttare via anni della propria vita per poi dove c’è un buon ateneo, e quindi non si è finire a fare gli unici lavori che ancora sono dovuta spostare. Nonostante non debba pagare disponibili: quelli manuali, che sono anche per una vita da fuori sede, spende 500-600 euro. pagati poco. Senza calcolare un altro rischio, più grave: quello che un datore di lavoro ti assuPer cosa?» Spesso, però, lo studio viene indicato come ma come apprendista e poi ti lasci per strada un modo per migliorare la propria condizione senza che tu abbia preso neanche una lira. Molti sociale. «La mia ragazza, però, non è nemmeno datori di lavoro se ne approfittano. Io non sicura che quando si sarà laureata troverà il voglio rischiare: non riuscirei a vivere con il lavoro per cui ha studiato. Allora tanto vale pensiero di non poter rispettare le scadenze, cominciare a imparare un mestiere e mettere da dalle bollette alla rata della macchina».

Una sarta al lavoro

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l dato sull’occupazione, pubblicato a marzo dall’Istat, ha fotografato nella sua gravità la crisi che l’Italia sta affrontando. Il tasso di disoccupazione generale ha sfiorato il 10% mentre gli italiani tra i 15 e i 24 anni senza lavoro sono arrivati al 35,9%. Tuttavia se il mercato non è in grado di garantire sbocchi professionali sono sempre di più quelli che tornano ai mestieri manuali. Una recente ricerca del Censis ha evidenziato questo fenomeno. Nel 2011 il 36% degli occupati, quasi 8.383.000 lavoratori, è stato occupato in professioni non qualificate. Artigiani, operai, muratori, meccanici sono stati tra i profili più richiesti dalle aziende: su 600.000 assunzioni previste, 264.000 hanno riguardato mestieri manuali. La crisi spinge sempre più italiani verso quei lavori che fino a poco tempo fa erano considerati “umili”. Le conseguenze di questa tendenza si avvertono anche in Umbria: a Foligno, per esempio, il Cumune e la Asl hanno organizzato un corso di formazione per badanti che si è svolto tra il 2010 e il 2011. A sorpresa, circa la metà degli iscritti erano italiani, soprattutto giovani anche con un titolo di studio. E poi c’è chi si dedica all’agricoltura. Confagricoltura ha realizzato un profilo dei suoi nuovi iscritti. Si tratta per lo più di giovani di sesso maschile (per il 70%), con un’età compresa fra i 35 ed i 40 anni, colti e preparati (il 70% è laureato) che scelgono le attività agricole altamente specializzate come l'agriturismo, le coltivazioni biologiche e la trasformazione dei prodotti agricoli. Nonostante sia iniziato un ritorno ai mestieri meno qualificati ri-

Una vita a tutto vino Dopo vari contratti, Nicola ha trovato occupazione nei campi

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strUmenti mangono ancora ampi margini di disponibilità del mercato. Secondo la Cgia di Mestre nel Belpaese ci sarebbero 100mila posti di lavoro e le aziende faticano a trovare chi voglia ricoprirli. Nei prossimi 10 anni potrebbero scomparire alcuni mestieri artigiani come i borsettieri, i falegnami, gli impagliatori, i muratori, i carpentieri, i carrozzieri, i meccanici auto, i riparatori di orologi e di radio e tv. Ma la lista delle categorie a rischio di estinzione è molto più lunga. Inoltre la Cgia ha calcolato le dieci figure professionali che nel 2011 sono state più difficili da reperire: molto richiesti commessi, camerieri e parrucchieri. Al quarto posto ci sono gli informatici, seguiti da elettricisti, contabili, meccanici, fattorini, idraulici e baristi. Il sociologo Renato Fontana, docente di Sociologia del Lavoro all’Università La Sapienza di Roma, ha cercato di chiarire alcuni aspetti di questo fenomeno. si assiste al ritorno ai lavori tradizionali. come si spiega questa tendenza e che impatto ha sulla società? In generale, si è capito che le attività finanziarie e la speculazione in borsa non producono ricchezza nel lungo periodo. Di conseguenza c’è stata una rivalutazione della produzione di beni e servizi con attività tradizionali. Tuttavia c’è una contraddizione di fondo: da una parte la crisi rende necessario il ritorno a lavori manuali, ma quest’esigenza non ha riequilibrato la gerarchia delle professioni. La loro considerazione sociale, quindi, non è cambiata e il ritorno a questo tipo di attività dipende solo da un esigenza di reddito.

del mestiere di Un calzolaio

È un fenomeno limitato a questi anni di crisi o è destinato a continuare? L’auspicio è che l’economia torni a girare in modo più sano. Come scrive il filosofo Serge Latousche nel suo saggio “Per l’abbondanza frugale”, la crisi produrrà un ripensamento generale dei fondamenti etici dell’economica. Questo modello socio-economico capitalistico e consumistico non può reggere alla lunga. Il problema è che ancora non sappiamo ancora come uscirne. chi fa questa di vita è spinto quindi solo da motivi economici? Sì, perché nonostante la crisi i giovani non hanno rivisto le loro aspettative né le scelte occupazionali di lungo periodo. Molti di loro possono permettersi di stare a casa, in attesa del lavoro per cui hanno studiato, perché hanno una famiglia alle spalle. Un lusso reso possibile dal boom economico di cui gli italiani hanno beneficiato tra gli anni ’60 e ’80 e di cui le nuove generazioni possono ancora godere. Rimane poi il problema sociale, legato alla frustrazione di non riuscire a realizzarsi nell’attuale mercato del lavoro. quali conseguenze ha il paradosso per cui i lavori manuali sono più remunerativi di quelli specialistici? Anche se nel breve periodo i disoccupati accettano di tornare a mestieri poco qualificati, alla lunga sperano di trovare occupazioni ben diverse. Il lavoro di testa continua a essere molto più appetibile di un lavoro manuale.

a aspirante Sherlock Holmes a coltiva- vagna sta cercando un garzone. tore di viti. Questa è la storia di Nico- La ragazza che si occupava dei rapporti con la la, un giovane di Bevagna che, messo clientela era malata e era stata costretta a lasciadavanti alla dura realtà della crisi economica, ha re il lavoro. Dopo un breve colloquio hanno dedovuto adattarsi e cercare un’occupazione diver- ciso di prendermi in prova per due settimane. sa dalle sue aspettative. Le moderne economie Gli sono piaciuto e ora lavoro con un cotratto hanno visto un drastico ridimensionamento del che mi viene rinnovato ogni tre mesi» spiega. settore primario, ma in tempi di “magra” anche Col passare dei mesi, Nicola riesce a conquistarsi la fiducia del suo datore di lavoro e col’agricoltura può essere un’opportunità. Dopo il diploma decide di iscriversi alla facoltà mincia a svolgere diverse mansioni all’interno di Scienze dell’investigazione di Narni. L’Ate- dell’azienda. Durante la stagione della venneo, nato tra il 2006 e il 2007, demmia la sua giornata inizia attrae tanti ragazzi con il socon la raccolta dell’uva, che gno di lavorare nel settore delviene poi portata in cantina. la sicurezza. Nicola, affascinaQua Nicola, insieme ai colleto da questo mondo sceglie ghi, produce il vino. Recentequesto corso di studi. mente si occupa anche del traBen presto, però, capisce che sporto delle casse alle enotela situazione non è delle miche e ai ristoranti della zona. gliori e decide di fare qualche Un lavoro che, contrariamenlavoretto per avere qualche te a quello che si può pensare, soldo senza pesare sui suoi geè tutto meno che noioso e che nitori. Inizia a fare il camerienicola a lavoro in Un campo di viti dà anche emormi soddisfaziore e il cassiere presso un superni: «La cosa più bella – racconmercato. «Per molti mesi – prosegue – durante la settimana stavo al super- ta Nicola – è vedere le viti crescere grazie alle tue mercato, mentre nel weekend stavo dietro al cure e quando assaggi il vino prodotto con le tue bancone di una birreria per guadagnare qualche stesse mani è come se lo sentissi tuo». Il vino delsoldo in più». In seguito viene a sapere che una l’azienda di Nicola è stato anche premiato da rifabbrica che produce mattoni cercava dipenden- viste specializzate, oltre che dalla guida Slow Foti per la stagione estiva e anche in questo caso od. Nicola non si tira indietro: «Stare davanti alle for- «Lavorare nel settore del vino mi piace – conclunaci d’estate era veramente dura, ma pur di lavo- de Nicola – e, se mi proponessero un contratto a tempo indeterminato, non escludo che potrebrare si fa questo e altro», ricorda. Dopo la fabbrica entra in contatto con il mon- be diventare il lavoro della mia vita». do dell’agricoltura lavorando a settembre raccogliendo le olive per quattro euro all’ora. Ma pagina a cUra di la vera svolta arrriva alla fine del 2011, quando diana benedetti, chiara garzilli, un amico gli dice che un’azienda agricola di Beilaria raffaele e antonio zagarese


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CULTURA

MAGGIo

2012

Non solo istituti alberghieri, ma anche alta formazione: corsi di enologia e sommelier, ricerca sulla birra e marchi di qualità

a scuola di gusto, la cucina si impara L’Università dei Sapori di Perugia da oltre dieci anni prepara duemila studenti l’anno, pronti a diventare cuochi, gelatieri e pasticcieri

LuCia CruCCoLini, ais perugia

L’

Italia, si sa, è famosa nel mondo per le sue prelibatezze. Ma la cucina è un’arte o un mestiere che si impara con la pratica? Nel comune di Perugia sono nati dei veri e propri centri di alta formazione che si distinguono dai tradizionali istituti alberghieri. La loro esistenza conferma la vocazione dell’Umbria per l’enogastronomia. A pochi chilometri da Perugia si trova il Cerb, l’unico centro di eccellenza sul territorio nazionale per la ricerca sulla birra, che presto compirà dieci anni (fu istituito ufficialmente il 30 aprile 2003). Se ogni italiano beve in media 45 litri di vino in un anno, anche con la birra non scherza: sono 30 i litri pro capite della bevanda al luppolo consumati annualmente (erano 20 a metà degli anni novanta). Un aumento che ha reso indispensabile un’attività di ricerca e monitoraggio su prodotti così amati. Ecco allora corsi di laurea in enologia, cicli di lezioni dedicati alla birra, e persino dottorati di ricerca sulle bionde analcoliche. «Il Cerb – spiega Giuseppe Perretti, responsabile scientifico e ricercatore dell’Ateneo perugino – è nato per offrire ai produttori italiani di birra un ser-

vizio di ricerca su tecniche di produ- tare i sapori», conclude la sommelier umbra. Per essere perfetti nella ristorazione è necessazione, materie prime e nuovi prodotti». I laboratori si trovano a Casa- rio anche sapere presentare le pietanze e accolina di Deruta, e collaborano con la gliere i clienti. L’Università dei Sapori di PeruFacoltà di Agraria del capoluogo. gia ha più di dieci anni di esperienza in questo Qui si formano laureandi, dottoran- settore. Marilena Liccardo, responsabile della di e svolgono la loro attività ricerca- formazione, ricorda come è nata l’idea di quetori e personale tecnico-amministra- sto centro: «Inizialmente serviva un ente per intivo. ogni giorno controllano la qua- segnare agli addetti del settore come rivolgersi al lità delle birre prodotte in Italia, ar- cliente in una realtà dove il commercio al dettaglio e le conoscenze tradizionali stavano scomtigianali e di larga distribuzione. Il gusto però non è solo una que- parendo. Esistono dei metodi per disporre la stione di chimica. Per apprezzare i merce sul bancone e renderla più attraente. Poi sapori e le qualità di cibo e be- abbiamo introdotto corsi più specifici per la rivande è necessaria anche l’espe- storazione». L’Università è una società consortirienza. L’Ais (Associazione ita- le con la Confcommercio della Provincia di Peliana sommelier) e l’Università rugia come socio di maggioranza. Ne fanno pardei Sapori di Perugia lavorano te anche la Regione Umbria, le Province di Peper affinare capacità e cono- rugia e Terni ed il Comune perugino. Corsi a pagamento si alternano a quelli finanscenze. «Ci vuole preparazione tecnica per apprezzare la qualità ziati dagli enti pubblici. Qui si impara a cucinare del vino, ma si deve anche assaggiare pizza, dolci, gelato a livello professionale e a gee imparare a conoscere le bevande». A ricordar- stire economicamente una propria attività con lelo è Lucia Cruccolini, sommelier professionista zioni di marketing. I corsi teorici e pratici prevedal 2004 e responsabile oggi della delegazione di dono un esame finale e rilasciano una qualifica. Perugia. L’Ais svolge corsi di degustazione, al ter- ogni anno passano di qui più di duemila studenmine dei quali si consegue un esame per diven- ti, dai giovani che, non avendo più voglia o possibilità di studiare, imparano un mestiere, ai ristotare sommelier professionista. «Da noi – commenta Cruccolini – vengono ratori che vogliono arricchire la loro attività. non solo ristoratori e camerieri, ma anche giornalisti di enogastronomia, architetti e avvocati: è la passione che ci unisce». Per fare il sommelier non basta però l’amore per il vino: è necessario anche tanto esercizio, in modo da mantenersi sempre in allenamento. «Per capire se un sangiovese è buono, ne devo conoscere almeno settanta varietà e bisogna anche imparare ad abbinare il vino alla pietanza giusta per esal- gLi stuDenti DeLL’università Dei sapori aLL’opera

gavetta e creatività: così si diventa grandi chef traguardi raggiunti e sogni da realizzare. I successi di Gianfranco Vissani e le aspirazioni di chi deve ancora affermarsi

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icette e tradizioni gastronomiche si tra- e la tensione nonché i fumi e il calore sono impamandano di generazione in generazione. ragonabili, ma credetemi la cucina è tutt'altro. Sono consuetudini familiari, ma non so- Quando pensavi di aver terminato la battaglia arlo: fondamentale è l’amore per la cucina e per il rivava un altro squadrone. Comunque dopo aver mangiar bene. Luca, figlio del famoso chef Gian- fatto 45 anni di gavetta, posso dire che sono stafranco Vissani, ha ereditato la passione per la ristorazione dal padre: «Vedevo giorno dopo giorno i sacrifici che faceva ma anche i grandi risulho fatto tati che lo hanno por45 anni di tato fin qui». Ma come gavetta nelle si diventa cucine grandi chef ? gianFranCo vissani YousseF LarMaChe Vissani senior non ha dubbi: «Sicuramente grazie all'umil- te esperienze indispensabili». oggi più che in pastà, che permette di non dimenticarsi le proprie sato la buona cucina si impara negli istituti alberorigini. Poi è il concetto emozionale che rende ghieri e nelle aule degli atenei. Gianfranco Visinarrivabile ogni individuo. L'identità e la perso- sani si dice contento «di aver portato insieme ai nalità in ogni piatto devono essere ben espresse miei colleghi le cucine fuori dai sotterranei, ma ai in modo da far riconoscere il proprio tocco in giovani dobbiamo sempre e pesantemente traogni dove, emozionando anche in terra stranie- smettere che per ritornarci non è mai troppo tarra». Ripensando agli anni della gavetta, quando ha di. Per mantenere il posto ottenuto bisogna lavolavorato nei grandi ristoranti tra Venezia, Firen- rare con passione e sacrificio, altrimenti è meglio ze e Napoli, ricorda: «La sera bisognava fare gli cambiare mestiere sin da subito». impacchi alle mani prima di andare a letto. La cuChi il mestiere l’ha inseguito con forza e decina è anche questo, forse noi oggi siamo abitua- terminazione è Youssef Larmache, 33 anni, oriti a vedere i cuochi solamente in tv dove lo stress ginario di Safi in Marocco. Una passione per la

cucina nata come un gioco, da ragazzino, per stupire gli amici in vacanza, e poi trasformatasi in una continua scoperta alla ricerca di sapori, tecniche e tradizioni gastronomiche. «La cucina non è solo un piacere sensoriale – spiega – ma racchiude la cultura di un popolo, la sua storia e le sue origini. La tradizione italiana, per esempio, è figlia della povertà: per questo si ottiene il massimo con pochi ingredienti, realizzando tantissimi piatti. Basti pensare alla farina: con un unico prodotto si fanno pasta, pizza, dolci. Una varietà ricchissima». Youssef ha studiato dieci anni per diventare cuoco, prima in Marocco e poi in Francia. In Italia è arrivato nel 2008, frequentando subito due corsi di cucina a Perugia e a Roma. Un percorso duro e impegnativo, uno studio sempre affiancato dal lavoro pratico tra i fornelli, «perché non basta saper cucinare un piatto, bisogna capire i tempi di un ristorante, riuscire a gestire velocemente e senza intoppi ordinazioni diverse». ora lavora in un locale del centro perugino, ma per il futuro sogna di aprire una fattoria fuori città: un locale tutto suo dove continuare a creare e sperimentare. CLauDia Bruno

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pagina a Cura Di eLisaBetta terigi

Due secoli di uomini e volti negli scatti di scognamillo

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l lavoro, per strada, al bar con amici. Una galleria di uomini che si sono distinti sul territorio e che ora sono immortalati nelle fotografie di Adriano Scognamillo, in mostra al Cerp (Centro espositivo rocca Paolina) di Perugia fino al 20 maggio. «Nei miei scatti ho catturato i volti di uomini di cultura, potere e talento della nostra regione. ognuno colto in un momento della propria quotidianità, a casa con la famiglia o in ufficio con gli strumenti di lavoro», racconta il fotografo. Immagini in bianco e nero che sono diventate un libro, «Perugia, Uomini tra due secoli… ritratti», edito da Volumnia editrice in collaborazione con la onlus Avoncol (Associazione volontariato oncologico) e la Banca Popolare di Spoleto. «Il progetto – continua Scognamillo – è un viaggio trasversa-

aDriano sCognaMiLLo

Mostra iL suo LiBro FotograFiCo

le fra cultura, politica, amministrazione e arte. Non si parla più di ruoli e incarichi: quando si è davanti all’obiettivo quello che conta è la personalità». tante le persone ritratte, dal sindaco di Perugia Wladimiro Boccali al presidente della Provincia Marco Vinicio Guasticchi, fino a personalità del mondo artistico, come l’attore Filippo timi, o dell’imprenditoria locale, come lo staff della storica pasticceria Sandri nel capoluogo umbro. Il libro sui volti maschili arriva un anno dopo la pubblicazione del volume «Perugia, ritratti di donne», analogo lavoro sulle figure femminili protagoniste della storia della città. La differenza principale fra le due opere? Scognamillo la spiega con un sorriso: «Le donne sono state inizialmente più restie, ma poi hanno partecipato attivamente al progetto, con impegno e precisione; gli uomini hanno accettato subito con entusiasmo, ma poi è stato più difficile organizzarsi per realizzare le fotografie». ora il libro c’è ed è una galleria di sguardi sorridenti o compìti, volti di uomini di generazioni e professioni diverse, che hanno arricchito la vita culturale e istituzionale di Perugia.

Quattro Colonne SGRT Notizie

Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo

Presidente: Innocenzo Cruciani Coordinatori didattici: Nunzio Bassi Dario Biocca Numero 5 – Anno XXI Direttore responsabile: Antonio Socci Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del marzo 1993. Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: sgrtv@sgrtv.it http://www.sgrtv.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Graphic Masters - Perugia


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CULTURA

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Perugia e Assisi sono in corsa per diventare Capitale Europea della Cultura. Un progetto che coinvolge tutta le regione

Così ci prepariamo alla sfida del 2019 Dalla presidente Catiuscia Marini ai sindaci delle due città: «Infrastrutture e patrimonio artistico: questa la road map per la vittoria»

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CatiusCia Marini,

presiDente

regione uMBria

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a candidatura di Perugia-Assisi coinvolge tutta l’Umbria. La presidente Catiuscia Marini sta spingendo fortemente perché si arrivi ad un esito positivo. Qual è il ruolo della Regione in questa candidatura? La Regione è parte integrante e sostanziale delprogetto. Insieme alla “Fondazione Perugiassisi2019” stiamo cercando di svolgere, per ora, soprattutto un ruolo di promozione del territorio. Su quali progetti state lavorando per diventare Capitale Europea della Cultura? Bisogna puntare sull’identità storico-culturale ma anche su progetti che possano proiettarci verso il futuro. Abbiamo un patrimonio artistico al quale affianchiamo una cultura dinamica come quella dei numerosi festival che dobbiamo valorizzare. Quali costi si dovranno sostenere? Per ora non ci sono cifre precise. Dobbiamo far fronte a due programmi: il primo è finalizzato al progetto e le risorse dovremo trovarle noi. L’altro aspetto é quello delle infrastrutture da costruire e cercheremo di utilizzare i fondi strutturali europei. Un punto di forza e uno di debolezza? Sicuramente la forza sta nell’identità storica delle due città e nelle dinamiche culturali. Penso al Teatro Stabile, all’Umbria Jazz o al Festival Internazionale del Giornalismo. Dobbiamo rafforzare però le infrastrutture della regione così da poter attrarre quanta più gente possibile.

er supportare la candidatura la Regione e i Comuni di Perugia e Assisi hanno dato vita ad una Fondazione, presieduta da Bruno Bracalente. Qual è il programma che vi aspetta? Concentreremo le nostre forze su un programma artistico-culturale innovativo con una proiezione europea, coinvolgendo anche le associazioni che operano sul territorio. Inoltre bisogna anche ripensare le città e quindi la riqualificazione urbana. Quanto costa la candidatura? Altre città in corsa per diventare Capitale della Cultura, come Matera, prevedono di spendere quasi 2 milioni di euro per il costo della candidatura del progetto. Più o meno sono queste le cifre. Per la rigenerazione urbana invece occorreranno tra i 50 e i 100 milioni, almeno questi sono gli investimenti fatti in passato dalle città che hanno vinto. Tra le città candidate, quale potrebbe essere la concorrente più temibile? Tempo fa quella che mi preoccupava di più era L’Aquila perché si poteva innescare un meccanismo per ricompensare una ricostruzione che stenta a ripartire. Ma c’è anche la possibilità che si inventino un nuovo modello, come quello delle “smart cities”. Poi c’è Matera che, insieme alle altre città del sud Italia, ha un vantaggio di tipo geopolitico. Cosa significherebbe la vittoria? Sarebbe un’occasione per ricostruire e rilanciare l’immagine della città e dell’intera regione.

Bruno BraCaLente, FonDazione perugiassisi 2019

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CLauDio riCCi,

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sinDaCo Di

assisi

idea di partecipare alla corsa per diventare Capitale Europea della Cultura è arrivata nel 2008, alla passata amministrazione cittadina guidata, ora come all’epoca, dal sindaco Claudio Ricci. La città di San Francesco è stata seguita poi da Perugia e da tutta la Regione, potendo così contare su più attori e quindi avere una candidatura più forte. oltre ai restauri dopo il sisma del 1997 e le numerose infrastrutture, Assisi gode della presenza dei luoghi francescani, dichiarati “Patrimonio mondiale dall’Unesco”, ai quali si aggiungono gli ottomila metri quadrati di affreschi di Giotto. In più, in Umbria, Assisi è la città che attira più turisti ed è forse anche la più conosciuta al mondo. Per il primo cittadino si tratta «di una grande idea ma ai risultati si giunge solo quando sono condivisi e a ciò vanno aggiunti l’unione di intenti e una buona comunicazione. Bisogna intendere il progetto per la candidatura come fondazione di una nuova città costituita dalla rete delle città e non ci si deve limitare al raggiungimento dell’obiettivo candidatura ma andare oltre, rendendolo uno strumento al servizio della nostra regione per progetti strategici e di rete». Il 2012 sarà un anno fondamentale perché si dovrà preparare il dossier di candidatura che sarà, secondo Ricci, « un elemento di indirizzo» dei due Comuni nella costruzione delle loro politiche di sviluppo, basato soprattutto sulle innovazioni tecnologiche.

ue città per promuovere un intero territorio. Questo lo scopo della doppia candidatura, lanciata in prima battuta da Assisi e seguita, subito dopo, da quella di Perugia, come spiega il sindaco del capoluogo umbro Wladimiro Boccali. Ad Assisi si è aggiunta Perugia, come mai questa scelta? Abbiamo deciso di candidarci anche noi perché è importante, con questa sfida, rilanciare tutta la zona più che una singola città. Assisi è un luogo prestigioso per tantissimi motivi, ma abbiamo ritenuto giusto affiancare anche Perugia che è il capoluogo della regione. La candidatura è arrivata poco dopo quella di Assisi perché ho iniziato il mandato nel 2009. Il 2019 sembra lontano, ma per gli addetti ai lavori è dietro l’angolo... Infatti la data finale dà l’idea di un lasso di tempo lunghissimo, in realtà se guardiamo la road map da seguire la scadenza è vicinissima. Entro 18 mesi dalla candidatura il dossier sui progetti deve essere pronto. Su cosa punta Perugia per avere il titolo? Sulle infrastrutture: dall’aeroporto, al collegamento con l’alta velocità fino alla riqualificazione dell’asse Perugia-Assisi, oltre a dei luoghi caratteristici della città come il mercato e l’ex carcere. I costi sono alti, ma l’obiettivo è quello di incrementare i flussi turistici in maniera permanente, incentivare le esportazioni dei prodotti locali e aumentare l’attrattività della nostra Università.

WLaDiMiro BoCCaLi,

sinDaCo Di

perugia

Le tappe

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a Capitale Europea della Cultura è un progetto dell’Unione Europea nato nel 1985 su proposta dell’attrice Melina Mercouri, con l’obiettivo di avvicinare i popolo europei. Da allora 32 città hanno ricevuto questo riconoscimento, ma la competizione è molta. I luoghi che si candidano, infatti, devono presentare un programma che viene valutato dalla Commissione europea. Chi vince avrà la possibilità per un anno di manifestare la sua vita e il suo sviluppo culturale. Nel 2019 sarà la volta di Italia e Bulgaria. Queste le tappe che hanno caratterizzato e che aspettano Perugia e Assisi. 2008: Assisi si candida a Capitale Europea della Cultura per il 2019. 2010:Perugia decide di unire il suo nome e le due città lanciano una candidatura condivisa “Perugia-Assisi con l’Umbria”. 2011: Viene presentato il logo ufficiale della candidatura 2012: Nascita della Fondazione “Perugiassisi2019”. 2013-2014: Presentazione delle candidature al Governo italiano e selezione finale. 2015: Nomina della città vincitrice.

Da venezia a palermo la concorrenza non manca

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ieci città, dieci luoghi, dieci parti d’Italia. ognuna con le sue caratteristiche, le sue bellezze e, a volte, anche le sue debolezze. Venezia con il Nordest, Brindisi, L’Aquila, Matera, Palermo, Perugiassisi, Ravenna, Siena, Terni e Torino e provincia. Per tutti questi posti l’obiettivo è diventare Capitale Europea della Cultura nel 2019. ogni candidato privilegia ovviamente i suoi punti di forza, dalle bellezze architettoniche a quelle naturalistiche, passando per i prodotti tipici e i centri d’eccellenza. Ma non deve essere solo un “concorso di bellezza”. Per Bruno Bracalente, presidente della Fondazione “Perugiassisi2019” «vince la città che ha più problemi ma riesce a risolverli». Come accadde per Liverpool, capitale Europea della Cultura nel 2008. Ex polo industriale dell’impero britannico diventato sinonimo di declino e difficoltà, grazie alla vittoria del titolo ha completamente rinnovato la sua immagine, diventando la terza città più visitata del Regno Unito. «Partire da ciò che si ha, rinnovandolo e rinfrescandolo». È questa la ricetta che Neil Peterson, consulente di Liverpool 2008, dà a tutti i luoghi italiani in lista per il 2019. Basta curiosare tra le proposte lanciate da quelle città che si sono già dotate di un sito internet dedicato alla candidatura per notare che si fa sul serio. Venezia e dintorni puntano sui loro tesori: dalla Biennale, all’Arena di Verona, dai tesori palladiani alla Cappella degli Scrovegni. Matera lancia nel futuro i suoi Sassi, patrimonio dell’umanità e simbolo di un passato da valorizzare. E infine Siena, che oltre a promuovere i suoi tesori artistici culturali, vuole diventare un punto di riferimento per le sfide del futuro. pagina a Cura Di un’iMMagine

DeLLa

“nuova” LiverpooL

tra antiCo e MoDerno

aLBerto gioFFreDa

e

giuLia sereneLLi


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SPORT

MAGGIO

2012

Non solo professionisti, il pericolo di incidenti e malori per attività non adatte riguarda anche gli atleti della domenica

I rischi dello sport occasionale S

Anche per gli sportivi amatoriali sono necessari controlli preventivi dal medico e attenzione ai segnali d’allarme

ono circa 23milioni gli italiani che praticano sport almeno una volta a settimana. Quasi tutti per farlo, come prevede una legge del 1982, si saranno procurati un certificato di sana e robusta costituzione. Infatti, nel nostro Paese per svolgere un’attività sportiva, che sia vera e propria o anche solo la frequenza di una palestra, si richiede la visita dal medico di famiglia, per gli adulti, o dal pediatra per i bambini. Questo perché la comune credenza che lo sport faccia sempre bene, non è del tutto esatta. «Uno screening di prevenzione – spiega Bruno Stafisso, responsabile del Servizio di Medicina dello Sport della USL n. 2 di Perugia – per gli amatori non è obbligatorio, ma è buona norma sottoporsi a una visita, in cui si faccia una valutazione generica e un’anamnesi delle patologie già presenti in famiglia, prima di iniziare ad allenarsi». Nessuno obbliga chi decide di andare a correre al parco o chi macina chilometri in bicicletta a farsi controllare da uno specialista, sta dunque al singolo discutere con il proprio medico l'opportunità e le modalità dell'attività scelta. «Se una persona è sana – aggiunge Stafisso – e non ha particolari fattori di rischio, può scegliere di praticare qualsiasi sport, ma se, per esempio, ha anche solo una leggera ipertensione, di certo non gli consiglierò il sollevamento pesi, che prevede un sovraccarico di pressione, mentre potrebbe fargli bene praticare con moderazione podismo o ciclismo». Per chi invece intraprende attività di tipo agonistico è obbligatorio farsi visitare da un medico dello sport, che controlli con esami appositi le condizioni del cuore ma anche dell’apparato scheletrico e di quello respiratorio. Visite spesso fondamentali per scoprire disturbi che non si sono ancora palesati. Emerge così che, secondo un recente studio condotto in Italia su migliaia di praticanti, uno su cento non ottiene l'idoneità alla pratica sportiva. L’organo più sensibile è il cuore, ed infatti 7 volte su 10 sono proprio i

tre segnali che lo sportivo non può trascurare Episodi di svenimento durante l’attività fisica

l’elettrocardIogramma

Vertigini e capogiro quando si è sotto sforzo

è l’esame pIù effIcace per rIlevare problemI dI cuore prIma che sI manIfestIno

problemi cardiaci a impedire il rilascio di un certificato. Dunque, se è vero che fanno paura casi come quello di Piermario Morosini, il calciatore morto in campo a febbraio, e Alexander Dale Oen, il norvegese campione del mondo di nuoto stroncato da un attacco cardiaco durante un allenamento, è anche vero che: «Lo screening preventivo anche per i praticanti amatoriali – aggiunge Stafisso – permette spesso di individuare condizioni patologiche potenzialmente pericolose prima che sia troppo tardi. Da quando non esistono più le visite scolastiche e i controlli per il servizio militare, c’è rimasta solo la medicina sportiva, che oltretutto per gli under18 è gratuita». L'Italia presta molta attenzione alla prevenzione, in altri paesi come la Gran Bretagna e gli Usa, ci si accontenta della visita generica e della storia clinica del paziente, ritenendo che sia troppo costoso, e poco efficace, sottoporre tutti gli atleti all’elettrocardiogramma. «Le società sportive, però, sono distratte – precisa il medico dello sport – e si rivolgono alle Asl solo prima di iniziare le attività tra settembre e novembre, mentre i controlli dovrebbero essere costanti, perché spesso quelli di inizio anno non bastano».

Dunque, non solo visite mediche, è necessario riuscire a riconoscere per tempo i segnali di allarme, specialmente per gli sportivi occasionali. «Sono diversi gli indizi a cui fare attenzione – continua il medico – dal dolore al torace o al braccio sinistro, dagli svenimenti ai giramenti di testa, passando per l’annebbiamento della vista o per un eccessivo affanno che persiste anche se si interrompe lo sforzo». Infine c’è sempre una parte di imprevisti che bisogna saper affrontare, per intervenire al più presto in caso di emergenza e superare la fase critica, salvando la vita dello sportivo. «Le attrezzature come i defibrillatori sono spesso mancanti – spiega infine Stafisso – soprattutto per quanto riguarda le piccole società sportive o le palestre, poiché andrebbero comprate con fondi propri. Ma anche avendole a disposizione è necessario che il personale della struttura sappia utilizzarle. Per questo, assieme alla provincia di Perugia, abbiamo organizzato un corso aperto a tutti per l’utilizzo dei defibrillatori». Intervenire in tempo è indispensabile ma gli ultimi episodi sui campi sportivi dimostrano che prevenire sarebbe sicuramente più efficace. eleonora mastromarIno

Integratori, sì ma senza esagerare Luca: «Compro online quelli illeciti in Italia». Marco: «Nonostante la crisi ne vendo sempre di più»

«A

desso sto bene con me stesso e lo devo soprattutto a quello che prendo. No, non me ne vergogno, anzi…». A parlare è un giovane di 27 anni, lo chiameremo Luca. Di origini meridionali, vive a Perugia da quando era piccolo. «Da tre anni», racconta, «Integro la mia alimentazione con integratori che compro su internet, conviene e poi alcuni in Italia non sono commerciabili». «Durante l’adolescenza ero grasso, il tipico ciccione che fa simpatia. Però le ragazze non mi consideravano minimamente e gli altri ragazzi mi prendevano in giro per il mio aspetto fisico». Un passato non facile che lo ha cambiato: «Quando nel 2008 ho iniziato a fare palestra per dare una svolta alla mia vita, farcela mi sembrava impossibile. Perdevo poco peso e con una tale fatica che ero tentato di smettere. Poi mi hanno suggerito l’uso di integratori e ero grasso da lì è stato un e le ragazze non attimo». Prima quelli ‘regolari’, mi prestavano che si trovano in farmacia o nei attenzione negozi specializzati, poi però Luca ha iniziato a scoprire altro: «Ad esempio il Dhea, la cui vendita in Italia non è legale ma senza il quale oggi non potrei fare pa-

In

aumento Il consumo deglI IntegratorI alImentarI

lestra. Online costa poco, e poi non faccio sport agonistico, quindi non si può parlare di doping». Il Dhea è una delle tante sostanze che in Italia non sono commerciabili. In tanti però comprano questi prodotti su internet, facendoli arrivare soprattutto dall’America. La crisi non ha fermato il boom degli integratori: nel 2011 le vendite sono aumentate addirittura dell’8,9%. Un italiano su tre ne fa uso, dati che bastano per capire la portata del fenomeno. Giorgio, istruttore di una palestra alle porte del capoluogo umbro, non ha dubbi: «Chi viene per farsi il fisico quasi sempre prende gli integratori. Ma non tutti sono legali nel nostro paese, e soprattutto non bisogna esagerare con le quantità». Quasi sempre infatti gli integratori vengono presi senza indicazione del medico. Eppure bi-

sogna fare attenzione. Il Ministero ha recentemente invitato a non abusarne, ricordando che «non hanno e non possono avere alcuna finalità di cura», specificando che non è obbligatorio ma consigliabile «sempre il controllo e l’intervento del medico», specialmente quando ad assumerli sono i minorenni. «Mettiamo in chiaro una cosa, non vendiamo robaccia, qui è tutto legale», sottolinea Marco Lucacci, campione della nazionale italiana di body building e proprietario di un negozio che vende integratori a Perugia. I prodotti sono tutti a base di latte e albumi. I nostri clienti hanno per lo più tra i 35 e i 45 anni, ma vengono da noi persone di tutte le età: I miei dai 15enni ai 75enni». Insomma, un prodotti mercato vario e soprattutto, come consono tutti ferma Lucacci, in ascesa nonostante la a base di latte crisi: «Quando abe albume biamo aperto l’attività, qualche anno fa, la gente vedeva i barattoli in vetrina ed entrava a chiedere se vendevamo stucco o vernice… Ora i clienti sono aumentati e si fanno anche una cultura sull’argomento».

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gIorgIo matteolI gIanluca ruggIrello

Palpitazioni durante l’attività fisica e dolori al petto sia sotto sforzo sia a riposo

Il problema in numeri In Italia ogni anno si verificano 4-5 casi di morte improvvisa ogni 100 mila giovani sotto i 35 anni. Il 95% dei casi di morte improvvisa è legato al cuore

Il rischio è 5 volte maggiore negli uomini che nelle donne

le malattie dei cuori sportivi 1 – cardiopatia Ipertrofica: presuppone una predisposizione genetica e si sviluppa nel corso di molti anni senza dare segni di sè, fino a provocare disturbi cardiaci, ostacolando i flussi del sangue nel cuore. 2 – dispasia aritmogena: condizione in cui il tessuto del muscolo cardiaco a livello del ventricolo destro viene progressivamente sostituito da un tessuto grasso-fibroso. 3 – miocardite: infiammazione del muscolo cardiaco dovuta a un’infezione. 4 – anomalie congenite delle coronarie: in questo caso l‘alterazione del flusso del sangue dipende dalle malformazioni. 5 – sindrome di marfan: condizione ereditaria tipica di soggetti molto alti, caratterizzata da anomalie delle valvole cardiache. Fonte: American Heart Association e American Academy of Pediatrics

g.r.


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Non è più un gioco: sugli spalti entrano tutte le tensioni sociali esasperate da questo periodo di profonda crisi economica

Domeniche di ordinaria follia Nel calcio la violenza è diventata normalità tra risse, allenatori che perdono la testa e ultras sempre più padroni degli stadi

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elio Rossi che perde le lo perché girano meno staffe in panchina e soldi? Salvo Russo è psicoaggredisce il suo attaclogo specializzato in psicante Adem Ljajic. I giocatori di cologia sportiva, vive e laLazio e Udinese che scatenano vora a Siracusa. «Innanziuna rissa furibonda per un gol tutto il calcio è lo sport di (ininfluente) subito a causa di opposizione per eccellenun fischio arbitrale che in realtà za – spiega – i contatti soera arrivato dalla tribuna. E poi no molto frequenti e spesl’episodio, gravissimo, di Genoso violenti. In secondo va. Gli ultras che diventano paluogo è uno sport trasverdroni dello stadio Marassi, sosale dove si trovano, nella spendono la partita e costringostessa squadra, i figli di no i giocatori di casa a togliersi persone benestanti e quella divisa di gioco: «Non siete deli delle classi meno agiate». gni di indossarla» minacciano i Tutti elementi che aumen“tifosi”. tano il rischio di frizioni. Un episodio che ha richiamaPoi, ovviamente, c’è la to alla memoria degli appassiopersonalità dell’atleta. «Il nati quanto successo allo stadio calcio impegna corpo e olimpico il 21 marzo 2004. Tre mente – dice Russo – ed è ultras della Roma entrano nel facile perdere l’autoconterreno di gioco e costringono trollo». Questo spiegheDeLio rossi a CoLLoQuio Con aDeM LjajiC in una partitav DeLLa Fiorentina Di Questa stagione. La sera DeL giocatori e arbitro a sospendere Due Maggio, Durante Fiorentina-novara, L’aLLenatore ha aggreDito iL serBo Che Contestava La sostituzione rebbe anche i molti episoil derby con la Lazio. Il tutto a di violenti nei campionati causa della notizia, falsa, della morte di un ragaz- gesto estremo. Nelle ultime giornate di campio- dilettantistici, dove gli interessi economici sono zino investito da una camionetta della polizia nato tutto questo è amplificato: «Si pensi alla dif- meno influenti. Secondo Salvo Russo non è vefuori dallo stadio. Dopo ogni episodio di que- ferenza di fatturati tra serie A e serie B – aggiun- ro che i dilettanti che perdono il controllo sul sto genere la frase più gettonata è sempre la stes- ge Segatori –, la retrocessione è vista come il ma- campo di gioco sono Vale solo la sa: «Mai più». Invece il calcio italiano non è an- le assoluto». “persone perfettamenPoi c’è il problema della violenza delle curve te normali”. «Se si scacora riuscito a liberarsi da questa spirale di violegge del lenza che contagia tutti: giocatori, tifosi e ades- organizzate. «La tifoseria – sostiene Segatori – da va in profondità – dice denaro e so anche allenato- sempre scarica sugli spalti le tensioni sociali e in – spesso si scoprono questo momento di crisi le tensioni sono al masri. C’è una spiegadisturbi della personaInutile educare si accumula zione per tutto simo». E allora vengono in mente le immagini di lità e piccoli precedeni giovani stress questo? Roberto Pescara di pochi giorni fa, quando il tifo organiz- ti per rissa o uso di sose i genitori Segatori, docente zato si lega ai fatti di cronaca nera. Migliaia di ul- stanze stupefacenti». di sociologia al- tras che gridano il loro odio verso la comunità Cosa fare per restituire dignità al calcio italiadanno esempi l’Università di Pe- Rom: vorrebbero organizzare una spedizione no? Salvo Russo non ha dubbi: «Bisogna lavorugia, critica in- punitiva contro gli assassini di Domenico Rigan- rare con i settori giovanili, soprattutto con i gesbagliati nanzitutto gli ec- te, tifoso di 24 anni ucciso con un colpo di pisto- nitori. È inutile predicare i valori del fair play per cessivi introiti economici: «Questo sport – dice la in un agguato che aveva come obiettivo il ge- poche ore alla settimana se poi, a casa, i genito– è stato appaltato alle televisioni. Tutto è rego- mello. Scavando un po’ si scopre una faida tra ul- ri proiettano sui figli i loro desideri non realizlato dai soldi e i contratti sono sempre più a bre- tras pescaresi e rom che dura da tempo. zati e parlano della vittoria come unico valore Sport come la pallavolo e il basket spesso so- che conta». ve termine». Un contesto in cui stress e nervoriCCarDo MiLLetti sismo si accumulano quotidianamente, fino al no immuni da fatti di violenza così gravi. È so-

il calcio impazzito del terzo millennio Dal motorino lanciato in curva alle partite fermate dai tifosi, cronistoria degli episodi più eclatanti 6 Maggio 2001 - Allo stadio milanese di San Siro una scena mai vista: alcuni ultrà dell’Inter lanciano uno scooter dagli spalti, rischiando di colpire gli spettatori sotto di loro.

dell’ordine fuori dallo stadio Massimino. Negli incidenti perde la vita Filippo raciti, ispettore capo della Polizia di Stato.

9 LugLio 2006 - Finale dei Mondiali di calcio, tempi supplementari: il difensore dell’Italia Marco Materazzi, dopo uno scontro verbale con Zinedine Zidane, viene colpito con una testata al petto e le immagini violente fanno il giro del mondo. 2 FeBBraio 2007 - Dopo Catania-Palermo si scatenano scontri tra tifosi e forze

26 agosto 2007 - L’allenatore del Catania Silvio Baldini, espulso dall’arbitro durante la partita contro il Parma, litiga con l’allenatore avversario Domenico Di Carlo e lo colpisce con un calcio alle spalle. 12 ottoBre 2010 - Stadio genovese di Marassi, l’Italia sfida la Serbia. La furia dei tifosi ospiti costringe l’arbitro a fermare la partita dopo sei minuti, città vandalizzata.

22 aprile 2012 - Ancora Genova protagonista in negativo. Sospesa per 45’ Genoa-Siena sul 4 a 1 per gli ospiti: la tifoseria rossoblù inizia a protestare arrivando a far togliere le maglie ai giocatori genoani. 2 Maggio 2012 - L’allenatore della Fiorentina Delio rossi sostituisce la punta Adem Ljajic durante la partita con il Novara. il giocatore protesta e il tecnico reagisce arrivando allo scontro fisico. Esonerato rossi, fuori rosa Ljajic. giorgio MatteoLi

pianeta dilettanti il campo diventa un ring

o

gni maledetta domenica. Nessun titolo sarebbe più appropriato per descrivere le follie del calcio dilettantistico umbro. ogni maledetta domenica, nei campi polverosi di provincia, ci sono arbitri che sfidano l’ira di “tifosi” inferociti e calciatori che perdono la testa. La stagione 2011/2012 era cominciata subito male. A inizio anno la Federazione aveva inserito nel regolamento il “terzo tempo”, pratica mutuata dal rugby. A fine partita i giocatori delle due squadre si schierano in fila e stringono la mano agli avversari. La cultura calcistica, però, è differente da quella del mondo della palla ovale. CosContro Di gioCo sì il 10 ottobre, in una gara del campionato giovanile juniores, succede l’irreparabile. A Nocera Umbra la squadra locale ha appena battuto il Bastia per 2 a 0. Tutti in fila per il terzo tempo ma il numero dieci degli ospiti perde la testa: stende un avversario e lo colpisce ripetutamente al volto. Il malcapitato rimane a terra sanguinante e si accende una rissa che coinvolge una dozzina di calciatori e uno spettatore che aveva scavalcato la recinzione del campo. Il giovane calciatore del Bastia viene squalificato fino alla fine del campionato. La trance agonistica non colpisce solo i giocatori. Il 29 gennaio i tifosi del Morano, squadra di una frazione del Comune di Gualdo Tadino che milita in seconda categoria, si raggruppano all’uscita dello spogliatoio dell’arbitro. La presenza dei carabinieri evita il peggio e l’arbitro rientra nella sua Foligno pensando di averla scampata. Alcune ore dopo, un arBitro a Fine partita però, fa una brutta scoperta: tre pneumatici della sua auto sono stati squarciati e sul parabrezza c’è un biglietto: «Hai sbagliato». Il giudice sportivo sanziona il Morano con una pesante multa, poi è costretto a ridurla perché, in effetti, nessuno può provare che siano stati i tifosi della squadra gualdese a seguire l’arbitro fino a Foligno e compiere l’atto vandalico. Considerato il messaggio sul parabrezza, però, i dubbi rimangono. E che dire della ventina di supporters del San Venanzo (campionato di Eccellenza) che il 21 aprile scorso, al termine della partita con il Cannara, hanno assaltato la macchina della terna arbitrale colpendola con calci e pugni? E poi c’è il giocatore del Pietrafitta che colpisce l’arbitro con un colpo di kung fu, quello dello Sporting Pila che picchia il guardalinee e l’atleta del Superga48 che calcia una violenta pallonata allo stomaco dell’arbitro. Nei referti i fischietti riportano spesso pesanti frasi di minaccia. La dimostrazione che la voglia di divertirsi resta a casa e sul rettangolo di gioco entra solo un inspiegabile rabbia. r.M.


Nuove tradizioNi

12

MAGGIo

2012

Da tutto il mondo, sedici giovani monaci per ritrovare le radici dell’ordine nel luogo che diede i natali a San Benedetto

norcia, incenso e birra

ora et labora: preghiere, canti gregoriani e una novità occupano le giornate dei benedettini tornati a gestire la basilica

L

avorare per essere autosufficienti. Pregare. «L’ozio è il nemico dell’anima» diceva San Benedetto nella sua Regola. Basta scambiare quattro chiacchiere con padre Benedict Nivakoff, 33 anni, per capire che al convento dei benedettini di Norcia non si fanno deroghe a questo principio. Le attività dei monaci consentono loro di non dipendere completamente dalle donazioni dei fedeli. E proprio nella città dove l’aria sa di tartufo, i 16 frati del monastero, fra due mesi produrranno e venderanno birra. Nella bottega dei benedettini, accanto alla Basilica, si trovano il miele, il cioccolato, i prodotti per la cura personale tipici della loro tradizione. A fine estate, accanto alle etichette sgargianti della birra dei trappisti, ci sarà anche quella dei frati di Norcia, prodotta sotto la supervisione di padre Nivakoff. Barba lunga, veste nera, il volto del frate tradisce la sua giovane età. Sembra un 33enne qualsiasi, che sta per iniziare una piccola avventura imprenditoriale. Ne ha tutto l’entusiasmo e l’unica differenza si scorge nella tran-

quillità del suo sguardo. « Siamo 16 benedettini e l’età media è di 25 anni. La domenica sera ci ritroviamo sempre per bere insieme un boccale di birra, ci piace assaggiarne di diverse. La provvidenza ha fatto sì che 5 famiglie, una italiana e quattro americane, finanziassero l’iniziativa». Insomma, una joint-venture tra Italia e America. E anche l’accento di padre Nivakoff di norcino ha ben poco. «Sono del Connecticut. Ho avuto la vocazione a 16 anni, mentre studiavo in una scuola di benedettini della mia città. Dopo la laurea in storia medievale, ho deciso che questa era la mia strada e di venire qui, per tornare alle radici del nostro ordine». Era il 2000 e si potrebbe pensare che quell’anno, a Norcia, l’arrivo di padre Benedict abbia rappresentato l’unica novità. Non è così: «Dal 1810 alla data in cui io ho raggiunto il fondatore della nostra comunità, padre Cassiano – spiega Nivakoff – a Norcia non ci sono stati monaci dell’ordine di San Benedetto». All’inizio del XIX secolo, infatti, le leggi napoleoniche soppressero il convento e da allora tutte le struttu-

in

aLto La piazza Di

norCia. in

Basso i proDotti Dei Monasteri DeL MonDo e un BeneDettino neL negozio DeLLa Citt

re passarono alla curia. Nonostante i benedettini siano presenti in tutto il mondo, per 200 anni nessuna comunità è tornata nella patria del Santo. oggi, insieme a padre Nivakoff, ci sono altri 11 americani, un inglese, due indonesiani e un italiano. Applicano la Regola con estremo rigore: la loro giornata inizia alle 4, prevede 8 momenti

di preghiera, ore di lavoro fra cucina, corsi di canti gregoriani, gestione delle strutture. Una vita dura, alla quale, in paese, si guarda con rispetto, ma anche apertura e spirito di partecipazione: «La comunità ci ha accolti da subito – ricorda Benedict – ogni giorno i norcini ci chiedono quando potranno bere la nostra birra. Saranno i nostri acquirenti, ma anche i primi venditori delle bottiglie che destineremo al commercio». I lavori nel birrificio sono in corso, ma Padre Nivakoff sa già che sapore avrà la “Nursia”: «Ci siamo fatti mandare delle ricette tradizionali dai frati che all’estero sono impegnati in questa produzione. San Benedetto predicava molto l’utilizzo di quello che la terra produce, soprattutto intorno a casa. Prima o poi riusciremo a produrci anche gli ingredienti». A quanto pare, sul sentiero della filiera corta, birra e tartufo non potevano che incontrarsi a Norcia.

una fiamma di pace La luce del patrono d’Europa e il suo messaggio viaggiano nel mondo insieme a una fiaccola

U

na fiamma che da quasi cinquant’anni porta il calore della pace alle genti d’Europa. La regola e l’insegnamento del Santo, proclamato da Papa Paolo VI patrono del vecchio Continente, da Norcia arrivano in tutto il mondo grazie alla fiaccola “Pro Pace et Europa Una”. Il simbolo benedettino è accompagnato nel suo lungo viaggio dagli atleti tedofori, dalle autorità religiose e civili e da tutti cittadini che vogliono unirsi al cammino spirituale che diffonde i valori di San Benedetto, apostolo in mezzo ai popoli sotto il segno della croce e dell’aratro. «Sarà un caso – racconta Gian Paolo Stefanelli, sindaco di Norcia – ma la fiaccola di San Benedetto sembra riesca ad anticipare i miracoli della pace. Nel 1989 la fiamma visitò Berlino e qualche mese più tardi il muro che divideva la capitale tedesca e la Germania fu abbattuto. L’anno dopo, nel 1990, oltre tremila persone salutarono la marcia della fiaccola che attraversava le vie di Praga. Nel frattempo, tra le mura del Ca-

stello della città cecoslovacca, si svolgeva l’ultima riunione dei paesi del Patto di Varsavia». ogni anno la fiaccola è stata accolta e benedetta dal Papa. Il 18 marzo del 1979 Giovanni Paolo II ha acceso la fiamma e parlato ai giovani tedofori, rivolgendo loro l’augurio di esser veri messaggeri di pace: «Alla luce splendente di questa fiaccola possano quanti incontrerete lungo le strade della carovana sentirsi fratelli e comporre le ragioni dei dissidi e dei conflitti, che fanno gli uomini nemici fra loro, e diventare capaci di perdono reciproco, di rispetto e di collaborazione. Sia la vostra davvero la fiaccola della pace». In tutti questi anni la fiamma è stata accesa nella città ospite per poi tornare a Norcia, dove è sempre stata accolta dai festeggiamenti in onore del Santo: la sera del 20 marzo la fiaccola viene consegnata alla Basilica e il giorno successivo la città natale di San Benedetto è animata da cortei e da rievocazioni storiche. Dall’anno prossimo, Norcia ospiterà anche la cerimonia di accensione della fiaccola. Grazie

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alle tre città benedettine (Norcia, Subiaco e Cassino) che hanno saputo tenere vivo il messaggio del Santo della Regola, dal 1964 si percorre un lungo cammino per portare in tutto il mondo la fiaccola. Budapest, Varsavia, Madrid, Londra: fino a oggi questo viaggio ha toccato quasi tutte le capitali europee. Neanche gli oceani hanno spento la fiamma della pace: nel 2002 è arrivata negli Stati Uniti per cercare di dare speranza al popolo americano dopo la tragedia dell’11 settembre. L’anno successivo la fiaccola ha visitato il monastero di New Norcia in Australia.Il simbolo benedettino ha celebrato la vicinanza spirituale delle due città, che hanno in comune il nome e le radici spirituali della tradizione monastica. La grotta della Natività in Terra Santa ha accolto la “messaggera” benedettina nel 2004. La speranza è che anche nella culla della cristianità lo spirito e l’insegnamento di San Benedetto riescano a far germogliare i semi della pace.

una”, in Mano ai teDoFori, riCeve La BeneDizione DeL

papa

in

vatiCano

iL CaMMino DeLLa FiaCCoLa 1980 – Città del Vaticano 1984 – Città del Vaticano 1988 – Strasburgo (Francia) 1989 – Berlino (Germania) 1990 – Praga (repubblica Ceca) 1991 – Budapest (Ungheria) 1992 – Varsavia (repubblica Polacca) 1993 – Montecassino (Italia) 1994 – Londra (Gran Bretagna) 1995 – Madrid (Spagna) 1996 – Bruxelles (Belgio) 1997 – Lisbona (Portogallo) 1998 – Vienna (Austria) 1999 – Skopjie (Macedonia) 2000 – Città del Vaticano 2001 – Santuario di Monte Sant’Angelo 2002 – New York (USA) 2003 – New Norcia (Australia) 2004 – Gerusalemme (terra Santa) 2005 – Mosca (russia) 2006 – tblisi (Georgia) 2007 – Bucarest (romania) 2008 – Monastero esarchico di Santa Maria di Grottaferrata (Italia) 2009 – Città del Vaticano 2010 – Hamilton/trenton ( USA) 2011 – Londra pagina a Cura Di paoLa Cutini e iLaria esposito


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