Quattro Qcolonne
SGRT NOTIZIE
Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in A.P.
70% regime libero
– ANNO XXI n° 3 mArzO 2012 –
AUT.Dr/CBPA/CENTrO1 – VALIDA DAL 27/04/07
Da Torgiano a Pietramelina aumentano le rapine in villa. E dopo il caso Ramazzano, con l’omicidio di Luca Rosi, cresce il terrore dei cittadini
criminalità
il lato violento dell’umbria Fra telecamere, porte blindate e sistemi d’allarme si ricorre sempre più alla sicurezza privata
non solo delinquenza, c’è allarme anche per le infiltrazioni mafiose che gestiscono prostituzione e traffico di droga. nell’ultimo anno i sequestri di sostanze stupefacenti sono aumentati del 405% servizi a pagg.
il personaggio
schiacciate di giorno e pasticcini di notte
A soli 23 anni Valentina Tosti è una giovane pallavolista in prima divisione con la Grifo Volley Perugia. Oltre agli allenamenti settimanali lavora di notte nel laboratorio di pasticceria e prepara cornetti e brioches. Ritmi serrati e tanta forza di volontà. Quella che occorre per andare avanti e inseguire i suoi sogni: la pallavolo e la scelta di essere economicamente autonoma. Insomma una giovane determinata. segue a pag.
2-5
generazioni
stesso lavoro stessa passione
Contro la crisi si riscoprono le tradizioni e i borghi ripartono dai fiori «Ai nostri tempi...», lo dicono sempre i nonni, ma quanto era diverso il mondo di allora? Ieri si guadagnava di meno, ma si risparmiava molto di più. Quaranta anni fa la spesa mensile era pari ai nostri 615 euro, mentre oggi supera i duemila. Oltre all’economia, tante le differenze culturali e sociali. Eppure le tradizioni sfidano il tempo e, di padre in figlio, si tramandano i vecchi riti. Anche le produzioni tipiche del territorio possono essere un’arma per combattere la crisi. UmbraFlor è un’azienda pubblica italiana sempre in attivo. La sua ricetta è puntare tutto sulla ricerca. Così le sue piante tartufigene arrivano fino in Grecia segue a pagg.
il paragone
tristi anniversari
6-7
anche
i giovani partecipano all’infiorata di
spello. Mesi
11
10
Uova di cioccolato e non solo. Viaggio alle origini di una tradizione senza tempo
Ponte Felcino, tra stoffe e telai un laboratorio di tessitura per bambini e curiosi di tutte le età servizio a pag.
9
PAsQUA
CULTURA
servizio a pag.
di lavoro segue a pag.
Mario Valentini guida la nazionale di ciclismo paralimpico. Una vita tra sfide e gioco
contro l’evasione Denunciare chi non emette lo scontrino via web, specificando l’importo e la tipologia del commerciante o professionista che ha mancato di fare il proprio dovere. Tutto in forma anonima, evitando il nome dell’evasore e di chi fa la segnalazione. Evasori.info e Tassa.li sono i portali nati per combattere i frodatori fiscali. Il primo, da marzo 2008 ad oggi, ha registrato quasi 87 milioni di euro di scontrini non emessi in tutta Italia. Il secondo ha raccolto, in 12 mesi, quasi 6900 segnalazioni per un totale di oltre 11 milioni euro. «Tassa.li – raccontano Riccardo Triolo e Ciro Spedaliere, due degli ideatori del sito – è nato per gioco,senza fini di lucro, per creare uno strumento statistico con dati raccolti dai cittadini e per sensibilizzare l’opinione pubblica sul fenomeno». Una bella idea, anche se c’è chi non la pensa così. Sul portale del Corriere della Sera un navigatore della rete scrive: «Non mi piacciono i cittadini spioni». C’è anche chi si domanda quale sia il vero vantaggio del servizio online e teme che così si scivoli in un modo di farsi giustizia da soli. Ecco un esempio: «C’è un pasticcere che mi sta un po’ sulle balle. Vado su tassa.li e segnalo che non mi ha rilasciato lo scontrino. Poi scopro che le segnalazioni entrano in un database di un privato». Le conseguenze – fa capire l’utente – potrebbero essere negative per il “povero” commerciante. Questo è un caso estremo e, si spera, fantasioso, ma l’iniziativa, nata dalla sete di giustizia di pochi, rischia di diventare uno strumento d’ingiustizia per molti. elisabetta terigi
e una sola notte per creare dipinti fatti con tanti petali di fiori
sPORT
l’iniziativa
8
servizio a pag.
12
Un anno fa il Giappone veniva colpito da uno dei disastri più grandi della sua storia: prima un terremoto di 9 gradi della scala Richter, poi lo tsunami e l’incidente nucleare di Fukushima. Le vittime furono 20mila, oltre 470mila gli sfollati, le case distrutte 129.992 e quelle danneggiate 254.134. Un Paese in ginocchio eppure, appena sei giorni dopo il sisma, sul web venivano pubblicate immagini diventate poi il simbolo della ricostruzione giapponese. Foto di un’autostrada che una settimana dopo il terremoto veniva ricostruita, tratto dopo tratto, e resa nuovamente percorribile. Secondo gli analisti per rimettere in piedi il Giappone servono 180 miliardi di dollari e 4 o 5 anni di lavoro, ma alcuni dei luoghi completamente distrutti sono già stati ricostruiti. Tre anni fa L’Aquila veniva colpita da un sisma di 5,9 gradi della scala Richter. I morti furono 308, circa 1600 i feriti e 65mila gli sfollati. Il centro della città, in parte diventato un cumulo di macerie, fu transennato e chi ci abitava costretto ad andarsene, diventando il simbolo di un luogo che stenta a ripartire. «Chiusa la fase dell’emergenza, l’Abruzzo è piombato nel dimenticatoio» hanno scritto dopo quasi tre anni dal sisma Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Più di 9mila aquilani sono ancora senza una casa, 383 abruzzesi alloggiano in strutture temporanee e il centro dell’Aquila è rimasto, da quel 6 aprile 2009, immobile, bloccato da un dedalo di iter burocratici e mancanza di fondi. giulia serenelli
2
PRIMO PIANO
MARZO
2012
Luca Rosi, bancario trentottenne, ucciso a sangue freddo durante una rapina in villa a pochi chilometri da Perugia
ramazzano scopre la paura Gli abitanti sono spaventati. si torna a casa prima, si esce di meno, ci si chiude a chiave. E cresce la diffidenza verso gli stranieri
A
ccade tutto nell’arco di una mezz’ora. Tanto basta perché Luca Rosi, 38 anni, impiegato di banca, perda la vita, ucciso da quattro o forse cinque colpi di pistola durante una rapina. Sono le 22.30 di venerdì 2 marzo. Tre rapinatori col volto coperto e un accento che sembra essere dell’Est Europa, si introducono in una villetta isolata di Ramazzano, frazione alla periferia nordest di Perugia. Solo otto chilometri dal centro storico, eppure la città sembra molto più lontana. Una serie di villette e pochi condomini circondati dal verde. Sulla strada principale c’è il bar, dove si incontrano molti pensionati, come Bruno Rosi, il padre della vittima. Lui non è in casa quando i tre malviventi sfondano con un calcio la porta-finestra della cucina e sparano due colpi in aria. All’interno, però, ci sono la madre Ivana, suo figlio Luca con la compagna, Mary Mirabassi, e il nipotino di 8 anni. La coppia è passata a trovare i genitori di lui per cenare e stare tutti insieme. Da qualche tempo, infatti, i due vivono nella località di Piccione, a pochi chilometri di distanza. La quiete familiare viene spezzata dall’irruzione dei banditi che cercano cassaforte e oggetti preziosi. Intanto legano i quattro malcapitati con cavi di caricabatterie dei cellulari. Mettono a soqquadro l’abitazione, ma non trovano molto. Allora si rivolgono a Mary dicendole: «Tu vieni con noi». Forse vogliono solo le chiavi del cancello
o quelle dell’auto per fuggire, ma Luca reagisce d’impulso. Memore della rapina avvenuta neanche un mese prima in un’altra villa di Pietrame-
anche dai paesi vicini. Quel giorno il parcheggio del bar centrale, chiuso per lutto, è pieno e centinaia di automobili sono parcheggiate sui marciapiedi. La cerimonia si svolge nel Cva (centro di vita associativa), a pochi metri da un vasto campo. La folla riempie il capannone e il piazzale adiacente. Volti tesi, altri visibilmente provati, mani che stringono fazzoletti, molte consumate dal lavoro nei campi. Soprattutto quelle di anziani che di agricoltura hanno vissuto da sempre. Una frazione che vive solo di poche sagre, in prigli abitanti di raMazzano salutano con Questo striscione luca rosi mavera e in estate, e poi c’è lina e terminata con lo stupro di una donna ecua- la festa dei santi patroni a fine maggio. La squadoriana, il trentottenne si scaglia contro uno di dra di calcio è l’unico modo per i ragazzi di staloro. Viene bloccato da un proiettile che lo col- re insieme dopo la scuola. C’è anche qualche lopisce alla gamba e fugge verso la camera da let- cale, ma ci si arriva solo in auto o, come dice to, dove lo uccidono con altri spari al torace. qualcuno, «con l’ape del nonno». E poi una diLa piccola comunità rimane sconvolta dal- scoteca “in”: è il Red Zone, ci vengono a ballal’omicidio. Ha vissuto altri furti e rapine, ma nes- re anche dal Lazio e dalle Marche. Per il resto, le suno aveva mai perso la vita. E per sfogare rab- attrattive sono poche. I cartelli lungo la strada sebia e dolore organizza una fiaccolata notturna in gnalano ancora la presenza di un “Museo del gioonore del compaesano che non c’è più. Luca cattolo”. Peccato che da anni ormai sia stato spoaveva molti amici e buoni conoscenti. Al suo fu- stato altrove. nerale, l’8 marzo, accorrono oltre 2000 persone, L’ingegnere Carlo Simonetti, titolare del relais
San Clemente, sostiene che episodi come questo non fanno bene al turismo: «Sono segni del degrado che sta vivendo Perugia negli ultimi tempi». Per cercare di attirare clienti ricorre all’immagine dell’Umbria come “regione verde” visto che Ramazzano è di fatto sconosciuta. I residenti dicono che i giovani prima rimanevano in giro anche fino alle 2 del mattino, mentre oggi rincasano a mezzanotte. «Io ho sempre paura ad uscire di casa la sera, e non sono l’unica: ne ho parlato con tanti amici», dice una ragazza che preferisce rimanere anonima. C’è la sensazione io e i miei che qualcosa stia cambiando, in pegamici abbiamo gio. Molto è a causa dello spaccio di drotimore ga che dal centro ad uscire città si estende fino in periferia. Ma c’è di casa anche la diffidenza nei confronti degli la sera stranieri che lavorano a Ramazzano o che si fermano semplicemente a bere una birra al bar. Sintomo di una realtà che si chiude in se stessa e che considera gli immigrati i responsabili dell’aumento della criminalità. Una fetta di Umbria che si sta allontantanando da quella tradizione di accoglienza, non calorosa ma comunque ospitale, che la caratterizza.
“
”
dove
Quando
la vittima
il ricordo
Ramazzano, frazione alla periferia nordest
Nella notte del 2 marzo nella villetta
Luca Rosi, 38 anni, bancario. Ucciso
Alla fiaccolata in onore di Luca organizzata
di Perugia. Conta circa 700 abitanti
della famiglia Rosi, circondata da una siepe
a colpi di pistola da tre rapinatori
dai compaesani partecipano in centinaia
«M
e la ricordo bene quella notte: saranno state le undici, quando la madre di Luca è arrivata al bar con le mani sporche di sangue e ha dato a Bruno la tragica notizia». Giancarlo, conducente di autobus, è uno dei tanti amici della famiglia Rosi. Come molti della sua età trascorre il tempo libero nell’unico luogo di ritrovo di Ramazzano. Ai tavoli ci sono solo uomini, per lo più pensionati. Si gioca a per me era carte, si beve birra e, ultimamente, si un ottimo parla dell’omicidio. Sono tutti amico: scossi, come Alessempre solare sandro, trent’anni, che lavora dietro e allegro al bancone. Mentre prepara il caffé sospira: «Luca frequentava spesso questo posto. Alla festa del quartiere non mancava mai, anche se si era trasferito. Ma quest’anno non sarà dei nostri». Dopo la rapina in villa nella vicina frazione di Pietramelina, dove è stato fermato un giovane rumeno che potrebbe essere il basista, si estende il rancore nei confronti di tutti gli stranieri che frequentano la zona. «Noi con questi immi-
“
”
«siamo sotto shock» Le reazioni a caldo di chi lo conosceva da vicino: il dolore ma anche la rabbia grati non abbiamo nessun rapporto – sentenzia Giuseppe, ex operaio oggi in pensione – solo con uno ogni tanto parliamo, tutti gli altri stanno per conto loro, e noi pure. Dopo quello che è successo non si vede più nessuno». C’è chi usa toni molto più aspri come Orfeo: «Ci vorrebbero pene più severe per questi che rubano e rapinano. Io non dico di appenderli a un palo ma che almeno stessero in galera con la palla al piede». Torna l’ipotesi delle ronde, già organiz-
zate qualche anno fa dai residenti e c’è persino chi è pronto a “farsi giustizia da solo”, se lo Stato non sarà in grado di garantire la sicurezza. Il parroco Mariano Cesaroni conosce bene la comunità e sa che il rischio dell’intolleranza è dietro l’angolo. Dalla Chiesa di San Tommaso, dove ogni domenica officia la messa, invita a mantenere la calma: «Bisogna dialogare con gli stranieri, non escluderli. La volontà di incontrarsi, di integrarsi, deve venire da entrambe le parti».
Don Mariano al funerale di Luca, accanto al vescovo di Perugia, Gualtiero Bassetti, ricorda la vittima che «con la sua bontà si è fatta tanti amici che gli hanno voluto rendere omaggio». In effetti sono in molti ad essere presenti alla cerimonia. Tra questi anche i compagni che giocavano con Luca nelle giovanili del Perugia, una ventina d’anni fa. «Luca era il classico compagnone: sempre solare, sempre allegro. Siamo sorpresi che sia accaduto proprio a lui ma non ci stupisce che abbia reagito per difendere Mary (la compagna, ndr). Del resto è sempre stato d’indole protettiva», commenta Maico. Ma non tutti se la sentono di parlare. Una collega della banca di Ponte Felcino, dove Luca lavorava, rimane in disparte con gli occhi rossi per il pianto. La madre Ivana esce dal Cva in lacrime e viene accompagnata in auto. Dietro di lei la bara del figlio, ricoperta da rose rosse. Giornalisti, cameraman e fotografi la seguono. «Speriamo che l’attenzione dei media non scompaia di colpo – si augura il signor Primo – perché noi non avremo pace finché i colpevoli non verranno arrestati». elena baiocco
e
pagina a cura di riccardo cavaliere
MARZO
PRIMO PIANO
2012
3
Istituzioni locali e cittadini d’accordo sul problema sicurezza: negli ultimi anni la tranquillità della regione è scomparsa
umbria: non più isola felice
Il sindaco Boccali: «Cambia il modo di vivere». Il presidente Guasticchi: «Quando ero bambino non c’era questa paura»
R
abbia e sconforto, nei giorni successivi al delle brutte novità. Quando ero piccolo non delitto di Ramazzano, hanno lasciato c’era alcun problema a lasciare aperto il cancelspazio alla riflessione. Il dieci marzo lo di casa o le chiavi nella porta fino a tarda sescorso si è tenuto a Perugia un Coordinamento ra. Ora però non siamo più un’isola felice, per Provinciale Interforze, convocato dal vari motivi». Tra tutti spicca l’aspetto ministro degli Interni Annamaria Caninternazionale della criminalità, poicellieri: un vertice sulla sicurezza alla ché «la globalizzazione e i postumi presenza di istituzioni locali, rappresendella guerra nei Balcani sono stati tra tanti delle forze di polizia e dei sottosele cause di questo problema, prima al gretari del Viminale Carlo De Stefano nord Italia e poi diffusosi in tutto il e Giovanni Ferrara. Tutti intorno al tapaese». volo del Prefetto Enrico Laudanna, per Il presidente però non vuole essere affrontare l’emergenza criminalità in M. vinicio guasticchi innocentista verso nessuno, anzi: «Gli Umbria. Ma come ha fatto una regione tranquil- umbri, per natura, sono un popolo molto ospila per definizione a guadagnarsi questa immagi- tale, e la propensione all’accoglienza può far acne negativa? A questo punto interrogativo han- cettare anche elementi discutibili. Ma non è cerno cercato di dare una risposta il presidente del- to colpa della popolazione, i criminali sono fala Provincia di Perugia Marco Vinicio Guasticchi voriti anche dal garantismo, e le istituzioni devoe il sindaco del capoluogo Wladimiro Boccali. no lavorare su questo aspetto». Cosa si può faGuasticchi conferma che molte cose sono re allora per dare tranquillità alla gente? Si deve cambiate: «Oggi ho 49 anni e mi rendo conto «fornire un servizio pubblico all’altezza, risol-
vendo i casi in tempi rapidi con un sistema effi- allarmismo, ma come si suol dire “è la stampa ciente di forze dell’ordine, dando un segnale im- bellezza”, e dobbiamo accettarla così». portante a chi si aspetta tanto da noi». Il punto di vista dell’amministrazione locale Il sindaco Boccali è d’accordo, ma crede che però deve fare i conti anche con idee e convinnon si debba «intervenire solamenzioni della popolazione. A sostenerle c’è te su aspetti esterni come la represCittadinanzattiva, associazione di impesione o la cattura dei delinquenti. gno civico formata dai cittadini e diffuQuesta è una ferita molto grave, che sa su tutto il territorio nazionale. Per il modifica le condizioni di vita dei presidente della sede umbra del movicittadini. Ed è proprio il susseguirmento, Paolo Baronti, tanti sono i prosi di simili casi che ha portato il terblemi relativi alla sicurezza della gente e ritorio a cambiare». Insomma, analtrettanto numerose le azioni da intrache per il primo cittadino non è WladiMiro boccali prendere per cambiare le cose. Priorità qualcosa di nuovo e recente. «Queste bande non per gli umbri è «l’integrazione degli stranieri nelsono un fenomeno locale o regionale, anche in l’ambito locale, ma non solo. Bisogna dare un Veneto, Toscana o Brianza si sentono spesso no- nuovo impulso a tutte le forme di espressione tizie simili, purtroppo. Il problema riguarda il della polizia di prossimità, valorizzando il conmondo occidentale, è la modernità dei tempi». trollo del territorio. Non parliamo di problemi E sul fatto che i media ogni volta approfittino di nuovi, da tempo la gente ci chiede di poter viquesti misfatti per fare notizia Boccali non si vere tranquilla». scompone più di tanto: «Certo, c’è un eccesso di giorgio Matteoli
le interviste Romano
Enrico
Riccetti
Roberto
Vaime
Roberta
Segatori
Bruzzone
«per noi poliziotti è sempre più dura»
«sbagliato esagerare, non siamo il bronx»
«regione meno sicura, si sente vulnerabile»
«crimini a effetto creano angoscia»
«Un delitto grave, soprattutto per l’efferatezza con il quale è stato commesso». Romano Riccetti della Silp, uno dei sindacati della Polizia di Stato, commenta così la tragedia di Ramazzano. Secondo i dati Istat i reati nella regione sono in aumento. Romano Riccetti, come spiega l’incremento di furti e rapine nel nostro territorio? «La crisi economica ha causato la perdita di molti posti di lavoro in questo periodo e putroppo c’è chi ricorre al furto per trovare il denaro necessario per sopravvivere». Dopo l’omicidio di Luca Rosi nella comunità di Ramazzano c’è molto sgomento? Cosa si sente di dire agli abitanti di questo paese? «Dopo tragedie di questo tipo è normale che si provi paura o che prevalga il desiderio di farsi giustizia da sé, ma invitiamo la popolazione a mantenere la calma e a far lavorare gli inquirenti e le forze di polizia». Avete i mezzi necessari per contrastare l’immigrazione clandestina e la delinquenza in regione? «È sempre più difficile operare sul territorio. Avremmo bisogno di maggiori risorse ma per colpa dei tagli abbiamo dovuto ridurre il numero di volanti. Dovremmo essere reperibili 24 ore su 24, ma in queste condizioni è impossibile. Il nostro è un lavoro particolare, per il quale è necessaria una preparazione completa e aggiornata, ma non abbiamo il denaro sufficiente». Spaccio di droga, rapine e omicidi. Umbria sempre più teatro di fatti di cronaca nera. «Nella nostra regione si stanno ripercuotendo le tendenze della delinquenza nazionale. Non siamo più l’isola felice di un tempo e dobbiamo attrezzarci per fronteggiare la criminalità, ma abbiamo bisogno proprio di quelle risorse che ci vengono invece tolte».
«È sbagliato pensare all’Umbria come la regione dove c’è un don Matteo che risolve tutti i problemi, ma non è nemmeno Gomorra». Così il perugino Enrico Vaime, conduttore televisivo e radiofonico, difende il «cuore verde dell’Italia». Vaime invita a non tirare conclusioni affrettate sulla base dei casi di cronaca nera. Enrico Vaime, cosa pensa di questa nuova esposizione mediatica dell’Umbria per un caso di cronaca nera? «Il delitto di Ramazzano è un fatto drammatico e spero che i media non sfruttino questa circostanza in modo bieco come hanno fatto con il caso di Meredith Kercher, a causa del quale l’immagine della regione è uscita compromessa. I malviventi esistono ovunque e non si può generalizzare affermando che l’Umbria sia diventata la culla della malavita». Secondo la polizia l’Umbria non è più un’isola felice. Si trova d’accordo con questa affermazione? «L’ideale di isola felice è sempre più sfumato. Come regione siamo sempre stati geograficamente appartati ma certamente non dei privilegiati. Arrivare a conclusioni affrettate sulla base di questi episodi di violenza è ingiusto. Fa male vedere alcune trasmissioni che dipingono l’Umbria come la capitale dello smistamento della droga. L’Umbria è stata da sempre multietnica e ora non si può dipingerla come un covo di malviventi». I recenti casi di cronaca nera hanno cambiato l’opinione del pubblico nei confronti della regione? «È facile spaventare la gente, per questo motivo bisogna raccontare i fatti con estrema obiettività. L’Umbria comunque è apprezzata per la sua storia, la cultura e suoi capolavori ed è sempre meta di un turismo di élite che apprezza la nostra regione per queste cose».
«Una regione groviera». Non usa mezzi termini Roberto Segatori, docente di sociologia dell’Università di Perugia, per descrivere la vulnerabilità dell’Umbria nei confronti dei nuovi fenomeni di delinquenza. Prof. Segatori, perché l’Umbria è meno sicura? «La regione ha reagito alla modernità e all’aumento della delinquenza in modo tardivo. Prima si pensava che qua non potessero esserci violenze di questo tipo, ma siamo una regione come tutte le altre. Le prime rapine hanno avuto come obiettivo le banche, sfornite dei più elementari mezzi di sicurezza. Poi Perugia si è mostrata debole e impreparata di fronte allo spaccio di droga. Adesso sono le campagne ad essere oggetto di furti e rapine, dopo che i ricchi hanno abbandonato le città». Come è cambiata la società umbra? «Siamo diventati vulnerabili. Le famiglie sono più ristrette e la popolazione è mediamente più vecchia rispetto al resto d’Italia. Perugia è abitata soprattutto da donne anziane che vivono sole senza le reti di solidarietà tradizionali». Quali sono le reazioni del mondo universitario dopo la tragedia di Ramazzano? «Lavoriamo continuamente per organizzare eventi e manifestazioni per il rilancio dell’immagine di Perugia. Prima il caso Meredith, poi la puntata de “Gli intoccabili” di La7 sullo spaccio di droga. La tragedia di Ramazzano non ha nulla a che vedere con l’ambiente universitario ma l’effetto mediatico cumulativo di queste vicende certo non giova a Perugia e ai nostri atenei che già hanno assistito a un calo delle iscrizioni superiore rispetto al resto d’Italia». Come devono reagire le istituzioni? «Il sindaco deve migliorare sicurezza e trasporti, oltre che costruire nuclei per l’integrazione degli extracomunitari».
Ha trattato in prima persona numerosi delitti balzati all’onore delle cronache negli ultimi anni. Roberta Bruzzone, nota criminologa spesso ospite di programmi televisivi, non ha dubbi: «Non siamo di fronte a un caso isolato, ma sono le caratteristiche dell’atto che hanno portato l’attenzione su Ramazzano». D.ssa Bruzzone, alla luce della sua esperienza cosa pensa dei recenti casi di cronaca in Umbria? «L’Umbria è una regione come le altre, l’aumento dei crimini c’é in tutta Italia, quello che conta è la tipologia. Ad esempio, la presenza femminile. Mi sono già occupata di altri casi in zona, come l’omicidio di Barbara Cicioni e Marianna Puscasu. Anche di recente c’è stata una rapina con strupro, secondo me non è certo una casualità. Vale anche per Luca Rosi, freddato per aver difeso la propria donna». Ma dal suo punto di vista come si spiega questo impatto mediatico? «Innanzitutto la brutalità del fatto, che causa angoscia nella popolazione. Ucciso con una cattiveria inaudita, a un passo da un bambino, come se nulla fosse. Bisogna capire chi è stato e da cosa era spinto, però è qualcosa che preoccupa tutti perché ci si immedesima». Dunque non è semplice curiosità morbosa, ma è la dinamica dei fatti che conta sulla diffusione della notizia? «Certo, ma mi spiego meglio. Si parla di famiglie normali, in case normali, perciò sono tante le persone che vi si possono riconoscere. Le frequenti rapine di questo tipo portano a un’identificazione collettiva e così si crea un’attenzione superiore. Seguendo il caso di Meredith Kercher, ad esempio, mi sono resa conto che il mix tra situazione ordinaria e crudeltà dell’azione criminale porta automaticamente i casi sotto la lente d’ingrandimento dei media».
diana benedetti
d.b.
d.b.
g.M.
4
PRIMO PIANO
MARZO
2012
Via Ulisse Rocchi teatro di spacciatori e sbandati, vicoletti scambiati per orinatoi, un’attività dopo l’altra costretta a chiudere i battenti
«sotto il duomo la nostra scampia» La rabbia di commercianti e ristoratori: «Fin dal mattino vendono cocaina, i clienti scappano, vogliamo le forze dell’ordine più presenti»
V
ia Ulisse Rocchi collega l’Arco al Pozzo etrusco. Si varca il suo portico medievale e salendo si arriva al Duomo, centro pulsante di Perugia. Chi passa di lì, nei momenti di quiete mattutina, non può che notare ammirato questo vicolo in pietra. I turisti apprezzano, il passeggio non manca, c’è la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici dell’Umbria, e vicino l’Università degli Stranieri. Eppure al primo calar del sole spuntano le note stonate. Cominciano le urla, litigi, raggruppamenti, sentinelle, “postazioni” per lo spaccio, per gran parte sono extracomunitari. La situazione è insostenibile. Esercenti, ristoratori, non ne possono più. Sono uniti nel denunciare un’amministrazione che latita, uno scenario da terra di nessuno. «Una via che era amena è diventata uno schifo», tuona Sergio, del Bar Etrusco. «La sera si scatena tutto, ma già dal mattino, alle 8, li vedo vendere la droga. E l’altra sera una signora anziana è stata rovesciata a terra da un drogato». «Ma davvero c’è un problema di spaccio in questa via? Non me n’ero accorto», è l’ironia amara del proprietario dell’enoteca “Arco etrusco”. «Un segnale? Oramai chi va in agenzia dice “No via Garibaldi, no via Rocchi”». Lui tra un mese chiude. Accanto al suo locale, un viottolo che potrebbe essere un angolino Ti offrono romantico invece trasuda sporcizia e odola dose re di vomito e urina. e te la fanno «Su quegli scalini li veanche di tirar su la cocaina, oppure ci nascondoannusare no le loro buste», racconta. «La polizia la chiami ma spesso – si lamenta – anche se passa la volante non risolve niente». «Una volta – racconta – hanno fermato uno spacciatore, l’hanno portato in questura. Ma dopo due
“
”
ore me lo sono ritrovato di nuovo qua». Non ci si sente al sicuro: «Ormai li conosco e per quieto vivere saluto tutti, però mia moglie da sola in enoteca non la lascio mai». Quando passi ti offrono una dose, se sei interessato ti fanno anche fare le prove, te la lasciano annusare. «Se sei una donna – continua – ci scappa la battuta a sfondo sessuale, alla peggio rischi lo scippo».
magari c’è una volante della polizia davanti che non fa niente». Davanti alla libreria c’è la gioielleria di Antonio, ventisei anni d’attività. «Il punto peggiore è questo, da qui a lì – indica – e io sono in mezzo. Ci devo litigare sempre per cacciarli, la polizia passa ma proprio non basta. Ci hanno lasciati in mano a gentaccia», esclama esasperato. «Alle sette di se-
Scendendo, s’incontra una pizzeria, “dal 1974” si legge sull’insegna. La musica non cambia. «È inutile parlare perché non c’è la voLa polizia lontà di mandarli interviene via», il proprietario trova assurdo il lasma dopo sismo delle istitudue ore zioni. «Quando i li ritrovi qui miei clienti se ne vanno, mi sento in dovere di accompagnarli fuori, “far loro la guardia”. Eppure tengo duro, se la polizia non interviene, vorrà dire che organizzeremo una sorveglianza fai-da-te», dichiara deciso. All’ipotesi ronde è però contrario il fornaio, uno dei pochi che ancora tengono aperti i battenti nella parte alta della via. Alle 3 e mezza di notte è davanti alla sua bottega, vede gente che si rotola, alcol e droga che spadroneggiano, l’asfalto che odora di latrina. «Così soccombe il senso della civiltà, si torna al far west. Se non fosse per l’immane pazienza degli operatori Gesenu, questo posto sarebbe una Scampia. Siamo gli stessi che vogliamo ambire allo scettro di Capitale della Cultura?», poi aggiunge polemico «la polizia si preoccupa solo di multare le auto». Maurizio, titolare del “Tabacchi”, trent’anni d’attività, invita a non considerare via Rocchi come caso isolato. Gran parte del centro, da via Pinelli a via dei Priori, è battuto dai signorotti della droga. L’anno scorso è stato rapinato. Al mattino ritrova spesso il distributore automatico scassinato. “La tana dell’orso”, ristorante qui accanto, ha chiuso, così come l’ottico: «Li conosco un po’ tutti, sono inoffensivi, il problema è che la gente si spaventa, è scoraggiata a venire in centro, un disincentivo che s’assomma al caro parcheggi e alla Ztl». E la desertificazione del centro storico avanza.
“
”
uno
scorcio di via
ulisse rocchi
Dal punto di vista commerciale è una catastrofe. «La gente evita di passare per di qui», racconta la proprietaria della libreria sul tratto più alto di via Rocchi. «Dalle 3 del pomeriggio in poi arrivano, gruppi anche di quindici persone, maghrebini soprattutto, bloccano l’accesso alla strada, urlano, litigano, ci sono quelli storici, ma anche facce nuove, sono drogati, spesso fanno a botte e
ra devo chiudere perché fuori c’è il finimondo – continua – i malcapitati su questa via si spaventano e vogliono entrare qui dentro, ho paura, a volte mi vedo certe facce spalmate all’improvviso sulla vetrina. Sono sfiduciato, vorrei chiudere, ma dove vado? Qui getta la spugna uno dopo l’altro, un negozio di bigiotteria ha chiuso, l’agenzia di viaggi quasi. Rimarremo solo io e la libreria».
droga e rapine, così l’umbria è finita in cronaca
Dal 2010 fino all’omicidio di Luca Rosi si registra un aumento dei furti nelle abitazioni private e resta sempre il problema dello spaccio 4 ottobre 2010 – GUALDO TADINO: 10 diceMbre 2010 – PERUGIA: 600 28 gennaio 2011 – ChIUsO sUPERMARRAPINA IN VILLA, VITTIME LEGATE E BENDA- DOsI DI EROINA TROVATE IN POssEssO DI UN kET DELLA DROGA IN VIA CURTATONE. 9 NIGERIANI ARREsTATI TE. BOTTINO DI 20 MILA EURO CITTADINO NIGERIANO 27 noveMbre 2010 – OPERAzIONE TERMOPILI: ARREsTATI 18 sPACCIATORI A PERUGIA
3 gennaio 2011 – BETTONA:
febbraio 2011 – TODI: PROPRIETARIO PICChIATO E LEGATO CON UN FILO ELETTRICO NELLA sUA VILLA. 13 MILA EURO IL FRUTTO DELLA RAPINA
30 noveMbre 2010 – PERUGIA: 50 ARREsTI PER TRAFFICO
19 gennaio 2011 – BRUFA: RAPINA NELLA VILLA DI sERsE COsMI. PORTATI VIA 5 MILA EURO
7
INTERNAzIONALE DI sTUPEFACENTI
ANzIANA PICChIATA E MINACCIATA DI MORTE, BOTTINO 1.700 EURO
6
febbraio 2011 – TAVERNE DI CORCIANO: COLLUTTAzIONE CON LE VITTIME E 80 MILA EURO LA REFURTIVA
6 febbraio 2012 – PIETRAMELLINA: 54ENNE VIENE sTUPRATA DURANTE UNA RAPINA NELLA VILLA DOVE ERA IN CAsA CON LA NIPOTINA. I MALVIVENTI AsPETTANO IL RIENTRO IN CAsA DEL PROPRIETARIO PER APRIRE LA CAssAFORTE E sCAPPARE CON 20 MILA EURO
sECONDO I DATI RIPORTATI DALLA QUEsTURA DI PERUGIA, NEL 2011 LE RAPINE sONO AUMENTATE DEL 60%, PAssANDO DA 193 A 309. ANChE LE AssOCIAzIONI A DELINQUERE hANNO sUBITO UN INCRE MENTO : DA 6 (2010) A 51 IN UN sOLO ANNO. I REATI CONNEssI AGLI sTUPEFACENTI REsTANO INVECE sOsTANzIALMENTE sTABILI DA CON 248 ARREsTI LEGATI ALLO sPACCIO E 277 kG DI sTUPEFACENTI sEQUEsTRATI pagina a cura di laura cervellione e alberto gioffreda
MARZO
2012
5
PRIMO PIANO
Dagli impianti antintrusione alle pattuglie di quartiere, quali sono e quanto costano i sistemi per difendere la propria casa
Quando la sicurezza è privata
Gli umbri si scoprono vulnerabili e spaventati e cercano protezione nelle agenzie di sorveglianza e nei dispositivi d’allarme
«D
opo l’omicidio di Luca siamo molto spaventati – dice Laura, artigiana che vive in una villetta a Casa del Diavolo – e ho paura soprattutto per le mie bambine. Per questo ho potenziato il sistema d’allarme ». La rapina a Ramazzano è solo l’ultimo episodio violento piombato a sconvolgere l’Umbria; improvvisamente gli abitanti di questa calma e pacifica regione si sono scoperti vulnerabili. E molti cercano di proteggersi da soli, installando sofisticati sistemi d’allarme o rivolgendosi a ditte che garantiscono sorveglianza. Scegliere un sistema d’allarme però non è facile. Molte persone per esempio credono che posizionare telecamere risolva tutti i problemi; ma questi dispositivi sono efficaci soltanto se collegati a un sistema di allarme e di monitoraggio continuo. Le immagini delle telecamere possono essere controllate utilizzando uno smartphone, ma in pochi hanno la possibilità di guardare con tempestività il cellulare o la capacità di comandare la tecnologia di sorveglianza a distanza. In questo caso questi dispositivi servono soltanto a riconoscere gli intrusi dopo che il crimine è stato commesso. È quindi importante capire quale sistema di protezione sia il più adatto al nostro caso: per esempio ci sono impianti antifurto che vengono attivati quando non si è in casa e altri pensati per proteggere l’abitazione anche quando ci sono persone all’interno. Il sistema antintrusione più diffuso è quello che protegge il perimetro della proprietà, esterno o interno. Il cosiddetto perimetrale è l’insieme dei sensori installati sulla porta d’ingresso,
gli
agenti di sorveglianza privata
sulle finestre e sulle porte-finestre dei balconi ecc. Questo sistema si può attivare la notte per garantire una protezione anche quando si è in casa e nelle villette il perimetrale può essere installato a protezione del giardino o dei terrazzi. Per l’installazione di un sistema antintrusione in una casa di quattro o cinque vani si deve preventivare una spesa di circa 2 500 euro. Ma il costo dell’impianto e della mano d’opera dipende dalla grandezza dell’abitazione da proteggere e in alcuni casi si può arrivare a pagare anche 2530mila euro. «Rispetto a dieci anni fa – spiega Gianluca Ragni, addetto dell’azienda Umbra Control che si occupa di allarmi – oggi si teme di più l’aggressione in casa. In passato il dispositivo d’antifurto di notte neanche si attivava. Dopo la rapina e l’omicidio di Ramazzano abbiamo avuto molte richieste per l’ istallazione di nuovi allarmi o potenziamento di quelli vecchi. Oltre a impianti antintrusione ci sono anche richieste per dispositivi antirapina da mettersi addosso: questi siste-
mi permettono di chiamare rapidamente per ricevere aiuto quando ci si trova in condizioni di pericolo ». Per sentirsi più sicuri, in aggiunta all’installazione dell’allarme, ci si può rivolgere alle agenzie di sorveglianza privata per avere protezione. In Umbria, secondo le stime dell’Assiv (Associazione italiana vigilanza), sono undici le aziende che si occupano “sicurezza sussidiaria e complementare”. L’attività di queste ditte è però limitata alla protezione dei beni perché la sicurezza delle persone è affidata esclusivamente alle forze di polizia. Le agenzie di sorveglianza in Umbria hanno comunque avuto un aumento di richieste dopo gli ultimi fatti di cronaca nera. Anche in questo caso la spesa da affrontare varia di caso in caso. «I costi possono variare molto – spiega Carlo Morami, Presidente dell’agenzia Umbria vigilanza – perché le richieste sono diverse. Alcuni chiedono il servizio base che con un canone mensile di 40 euro offre il collegamento al sistema d’allarme per il monitoraggio e tre interventi al mese; altri preferiscono fare dei consorzi con i vicini così da dividere la spesa per una pattuglia di vigilanza di quartiere; altri ancora richiedono un agente a disposizione 24 ore su 24». Qualunque scelta si faccia è importante installare impianti di qualità e rivolgersi a professionisti. Nel primo caso sarà più difficile per i malintenzionati manomettere i dispositivi (di solito autoprotetti). Nel secondo caso il bravo installatore monterà il dispositivo evitando che l’allarme scatti ogni volta che un gatto passa davanti ai sensori. paola cutini
la licenza di porto d’armi per difesa personale
N
on soltanto sistemi di allarme e agenzie di vigilanza privata, qualcuno sceglie di richiedere il porto d’armi per proteggersi da solo e sentirsi più sicuro. Esistono tre tipologie di licenza di porto d’armi: quella per uso sportivo, per uso venatorio e per difesa personale. Il controllo di conformità ai requisiti richiesti da parte del cittadino e il rilascio di questa licenza è compito dell’Ufficio Armi della Questura o della Prefettura del posto dove ha residenza il richiedente.Per ottenere il porto d’arma per difesa personale si deve essere maggiorenni e avere una ragione valida e motivata che giustifichi il bisogno di andare armati. L’autorizzazione permette il porto dell’arma fuori dalla propria abitazione e ha validità annuale. Oggi il porto d’armi per difesa personale viene concesso soltanto a cittadini che per ragioni molto specifiche, personali o professionali, siano sottoposti a grave minaccia: il rilascio è quindi molto discrezionale limitato. p. c.
Mafia: il cono d’ombra umbro L’analisi di Paolo Brutti, presidente della Commissione antimafia della Regione
I
l livello di attenzione non è adeguato ri- cato locale della droga particolarmente vantagspetto alla novità del fenomeno mafioso. gioso. Qui il prezzo lo fa davvero il mercato, la L’accusa viene da Paolo Brutti, presiden- concorrenza fra i vari gruppi criminali ha messo te della commissione d’inchiesta del Consi- in circolazione sostanze stupefacenti di buona glio regionale sulle infiltrazioni mafiose in qualità a basso costo». Umbria. Cosa si può fare per limitarne la diffusione? «Non voglio dire che ci sia totale disinteresse, ma «Adesso queste organizzazioni hanno un radicaancora troppi pensano che in Umbria ci siano ca- mento molto forte ed è difficile combatterle. Pesi isolati di mafia. Ma i dati mostrano una realtà rugia è eccezionale perché c’è una quantità di completamente diversa». spaccio incongrua rispetto alla dimensione della Quali sono le caratteristiche della criminali- città e alla sua popolazione. Certo non è Scamtà organizzata in questa regione? pia, però qui gira la droga che ci si aspetterebbe «L’Umbria non ha l’organizzain una città grande come Milazione territoriale delle mafie itano». liane. Invece ha una forte preTutto questo spaccio è indisenza di gruppi criminali stranierizzato al mercato interno ri. Quindi non ci sono le famiglie della regione? mafiose siciliane o calabresi, ma «Se si va a guardare il numero albanesi, nigeriani e magrebini, delle vittime per overdose in specializzati nei traffici di esseri Umbria il numero di perugini è umani e della droga». basso, intorno al 30%. Un altro Cos’altro differenzia la mafia 30% è composto da umbri, il repaolo brutti in Umbria rispetto ad altre resto viene da fuori». gioni? L’anno scorso ci sono stati 402 sequestri di «Ad esempio la mancanza di controllo del terri- droga, più di uno al giorno. Qualcosa sta torio. È fondamentale per le organizzazioni cri- cambiando nella sensibilità delle forze delminali, ma la mafia umbra non ha la stessa capil- l’ordine? larità della malavita gestita da stranieri». «Fino a qualche tempo fa gli investigatori, penL’Umbria, e in particolare Perugia, è una sando che ci fosse una regia di grandi dimensiopiazza di spaccio di droga molto grossa. Se- ni sovrastante al mercato della droga, lasciavano condo lei perché le mafie hanno scelto pro- stare i piccoli spacciatori per risalire ai grandi trafprio questa zona per i loro affari? ficanti. In realtà si è scoperto che questa regia «Qui per un lungo periodo di tempo si è accet- non c’è. Negli ultimi 6-8 mesi la polizia ha camtato il fatto che le mafie si infiltrassero. In fondo biato atteggiamento e si è registrato un leggero avevano ancora una pericolosità limitata e questa arretramento dello spaccio». ilaria raffaele disattenzione ha facilitato la nascita di un mer-
N VI EL A LA GG C IO RI SI
Margherita e Federica entrambe insegnati, Luciano e Annalisa amministratori
M
argherita di cosa si occupa? Sono maestra in una scuola primaria. Insegno principalmente matematica, ma anche informatica ed educazione fisica. Che percorso di studi ha fatto? Dopo la scuola media sono stata quattro anni all’istituto magistrale. Quanti anni ha e quando ha iniziato a lavorare ? Ora ho 58 anni e l’anno prossimo compio 40 anni di carriera. La mia prima supplenza risale a quando avevo 19 anni, giovanissima. Pensi che ho partecipato a un concorso, in cui non ho vinto. Avevo però ottenuto un buon punteggio e mi sono piazzata abbastanza alta in graduatoria, così a 20 anni sono diventata di ruolo. Crede di avere una retribuzione adeguata? Non ho mai fatto questo lavoro per i soldi. All’inizio mi stupivo che mi pagassero. Ero talmente entusiasta di poter insegnare che mi sorprendevo del fatto che avessi una retribuzione. Qual è la sua giornata tipo e come è cambiata negli anni? Di solito lavoro 4 o 6 ore al giorno, la mattina o il pomeriggio. Nel corso degli anni diciamo non è cambiata tanto l’organizzazione del lavoro quanto il metodo di valutazione dei bambini. Si è modificato a livello sociale il ruolo dell’insegnante nel tempo? Quando ho iniziato ero la signora maestra. Oggi c’è un rispetto diverso, e inferiore, anche da parte dei genitori. Cosa si aspetta dal futuro? Non nego che mi piacerebbe andare in pensione, ma non ho ancora l’età anagrafica. Dopo 40 anni di carriera sei stanca e non è facile trovare le forze. Anche se che i bambini danno energia.
L
F
ederica di cosa si occupa? Io sono ricercatrice di informatica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, dove insegno. Che percorso di studi ha fatto? Dopo il Liceo Classico mi sono iscritta alla facoltà di Scienze della comunicazione. Ho conseguito la laurea triennale e specialistica in comunicazione nella società dell’informazione. Sempre a Torino ho fatto il dottorato con un indirizzo specifico in informatica, che ho terminato nel 2006. Quanti anni ha e a quale età ha iniziato a lavorare? Ho 32 anni. Se vogliamo chiamare lavoro il dottorato, allora ho iniziato la mia carriera a 23 anni. In realtà il dottorato ti lascia immerso nel mondo dello studente, non sei un docente. Solo nel novembre 2011 ho vinto il concorso (dopo ben 9 tentativi!) da ricercatrice. Crede di avere una retribuzione adeguata? Guadagno 1200 euro al mese. In pratica la metà di quello che mi hanno offerto all’estero. Perché non ha accettato? Perché voglio stare qui. Mi piace collaborare con i docenti stranieri e per la tesi sono stata sei mesi ad Amsterdam, ma questa è casa mia. Qual è la sua giornata tipo? Molto flessibile, diciamo così. Dipende dal periodo, perché partecipo sia all’attività didattica sia alla ricerca.Quando ho i corsi, le lezioni durano circa tre ore, insegno dalle 9 alle 12 e poi torno in dipartimento. La ricerca non ha orari, alle volte sono occupata anche la domenica. Cosa si aspetta dal futuro? Diventare professore associato e avere un mio gruppo di ricerca.
A
uciano di cosa si occupa? nnalisa di cosa si occupa? Sono un amministratore di condominio. Mi occupo principalmente di amministraQuanti anni ha e quando ha iniziato a lavo- zione di condomini. rare? Quanti anni ha e a quale età ha iniziato a laHo 62 anni e ho iniziato a lavorare a 14 anni. vorare? Che percorso di studi ha fatto e qual è stato Ho 28 anni e ho iniziato a lavorare a 19 anni con il primo approccio al mondo del lavoro? mio padre in ufficio. Mi sono diplomato in ragioneria e ho iniziato fa- Che percorso di studi ha fatto e qual è stato cendo il cameriere in un albergo. All’età di 23 an- il primo approccio al mondo del lavoro? ni sono stato assunto in un istituto di credito do- Mi sono laureata in sociologia nel 2007 e ho preve ho svolto la professioso la specializzazione in ne di bancario fino al CATRI nel 2009 (Città, 2002. In realtà però ho Ambiente, Turismo e sempre affiancato il mio Relazioni internazionalavoro di impiegato ad alli). Sin dall’età di 17 antri come il consulente ni ho svolto piccoli lacontabile, il commercialivori, se così si possono sta e dal 1985 l’amminidefinire: baby sitter, vostratore di condominio. lantinaggio e ripetizioÈ soddisfatto della reni. Il mio vero approctribuzione? cio al mondo del lavoro Si è un lavoro redditizio. è stato quando ho iniDà delle soddisfazioni Luciano e annaLisa PandoLfi ziato a lavorare in uffieconomiche, ma non cio con mio padre. troppe dal punto di vista professionale. Non è fa- È soddisfatta della retribuzione? cile lavorare a stretto contatto con i condomini, Sì, è un lavoro redditizio, ma è faticoso e richierichiede molta pazienza. de tanta pazienza, alle volte forse troppa. Perché ha scelto questo lavoro? Perché ha scelto questa professione? In realtà è stato un caso. Quando mi sono trasfe- Ho iniziato quasi per caso, nel senso che a mio rito a Roma con la mia famiglia ho acquistato un padre serviva un aiuto e a me serviva un’entrata appartamento in un palazzo di nuova costruzio- economica per cominciare a mantenermi. Nel ne. Era necessario nominare un amministratore tempo invece mi sono appassionata alla profesdi condominio e io ero l’unico tra i condomini ad sione e ho deciso di farla diventare la mia profesavere un minimo di conoscenza contabile. Da sione. Per questa ragione, una volta finita l’uniquel momento nel giro di pochi anni si è sparsa versità, ho deciso di prendere l’attestato per dila voce e grazie al passa parola sono arrivato a ge- ventare socia ANACI, l’associazione nazionale stire diversi condomini. degli amministratori. Cosa si aspetta dal futuro? Cosa si aspetta dal futuro? Spero di ottenere un po’ di serenità. In questi an- Spero di riuscire a ottenere la fiducia delle personi sono stato sempre dietro al lavoro.Vorrei riu- ne anche senza la presenza di mio padre. Prima scire a ritrovare tempo per la mia famiglia. o poi voglio rendere solo mio questo lavoro.
Posto fisso e casa di proprietà erano la regola per i giovani degli anni Settanta e Ottanta
Generazioni a confronto Nell’ultimo ventennio aumentati redditi e livello d’istruzione, ma la vita sembra più precaria
C’
era una volta una vita migliore. È il più classico dei luoghi comuni: le generazioni che negli anni Settanta e Ottanta avevano vent’anni hanno avuto una vita più facile. Posto fisso e casa di proprietà erano la regola, simboli della raggiunta autosufficienza, una tappa fondamentale nella vita di ogni persona “perbene”. Dagli anni Novanta, invece, è iniziata la stagione della precarietà ed è cambiata la concezione di lavoro e famiglia. Daniela Vescarelli, 55 anni, è insegnante di inglese in un istituto professionale. «Ho avuto la possibilità di realizzare quello che è sempre stato il mio sogno – dice – e questo mi ha gratificato molto». Tempi in cui la gavetta, fatta di sostituzioni e supplenze lontano da casa, era sufficiente per avere un posto di ruolo. Oggi la situazione è molto diversa e il precariato è ormai inevitabile. Lo confermano gli ultimi dati diffusi dal Ministero dell’Istruzione: dieci anni fa i docenti precari in servizio nella scuola statale italiana erano 117.685. Nel 2009/2010 erano 116.973, cioè più o meno lo stesso numero, su un totale di circa 800mila in servizio. Il pre-
cariato, quindi, riguarda un docente su sette. Le cifre del mercato del lavoro italiano confermano l’idea di un sistema bloccato, soprattutto se si considera la fascia d’età più giovane: quella dai 15 ai 24 anni. A dicembre 2010 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia rilevato dall’Istat era del 31%. Il tasso di disoccupazione totale, invece, dell’8,9%. Il confronto tra epoche diverse dimostra che non ci sono stati miglioramenti. Se nel ventennio 1970-1990 il tasso di occupazione generale è stato del 45%, in quello che va dal 1991 al 2010 è addirittura sceso al 44,7%. Il tasso di disoccupazione medio, invece, è stato del 9,7% negli anni Settanta-Ottanta ed è sceso soltanto dello 0,4% nei venti anni successivi. Padri e figli sembrano distanti ben più di una generazione sul modo di pensare la famiglia e i progetti di vita. Fabiola Zollo, 46 anni, e Stefano La Malfa, 45, sono sposati da 19 anni, e hanno due figli: Giuseppe e Martina. Fabiola è una dipendente dell’Inps da quando aveva 22 anni. Lavorare in un uffi-
cio pubblico non era certo la realizzazione del sogno nel cassetto: «Ero molto studiosa – spiega Fabiola –, mi mancavano otto esami per laurearmi alla facoltà di lingue orientali. Ma quando ho vinto il concorso non ho avuto il minimo dubbio e non mi ha neanche sfiorato l’idea di rifiutare. Per la situazione economica della mia famiglia non era pensabile rinunciare al posto fisso». Discorso simile per Stefano. Sognava di diventare insegnante di educazione fisica ma ha vinto il concorso al Ministero dell’Economia quando aveva 19 anni. Nel ventennio tra il 1971 e il 1990 i laureati sono stati secondo l’Istat oltre 1.480.000, un numero che è più che raddoppiato (3.570.000) dal 1991 ad oggi. Anche il reddito pro-capite (misurato in base al potere d’acquisto) è aumentato notevolmente passando dai 13.300 euro degli anni ’70-80 ai 25.340 euro del ventennio ’912010. Il lavoro dipendente pubblico non permette di raggiungere altissimi salari ma, spiega Stefano: «I nostri stipendi ci permettono di fa-
re una vita dignitosa. Certo bisogna risparmiare su vestiti, viaggi e “il più”. Il momento più difficile della nostra vita matrimoniale dal punto di vista economico è stato quando abbiamo acceso il mutuo per la casa. Siamo stati anche quattro mesi senza mangiare una pizza». Aggiunge Fabiola: «La casa di proprietà è importante. Secondo il modo di pensare cui siamo stati abituati non investire i soldi che guadagnamo sulla casa avrebbe significato quasi sprecarli». A 25 anni Fabiola e Stefano si sono sposati. Hanno la stessa età Davide Liguori e Annamaria Cuomo, che però sono appena entrati nel mondo del lavoro. Entrambi laureati, sono impiegati nel settore privato. Mettendo insieme i due stipendi riescono a vivere bene: «Il primo indebitamento sarà per un’automobile – dice Davide –. La casa forse un domani. Ma non sento di essere in ritardo rispetto ai miei genitori». PaGina a cuRa di RaffaeLe caPPuccio, annaLisa fanTiLLi RiccaRdo MiLLeTTi e anTonio ZaGaRese
due epoche allo specchio Reddito pro-capite spesa media mensile per famiglia Tasso di occupazione
daniela Vescarelli 55 anni, insegnante «Ho avuto la possibilità di realizzare il mio sogno» stefano La Malfa, 45 anni dipendente pubblico «Si risparmia sul superfluo»
L’inTeRVisTa / Parla il sociologo Domenico De Masi
«apriamo il mercato per creare lavoro»
IO SI G I G CR IA V LLA E N
stessa professione di padre in figlio
I
giovani sono diventati bersaglio di battute tà come Ingegneria o Matematica (Istat: ironiche. Secondo un senso comune gene- gruppo scientif ico 52,8 per cento; gruppo letteralizzato non sono in grado di assumersi re- rario 28,2, ndr). sponsabilità. Molti di loro rimangono a casa con Io non penso che le materie umanistiche siai genitori. Segno di mancanza di responsabilità? no il male dell’Italia. Non sono d’accordo con Oppure è un sintomo che il sistema sociale non chi ritiene che i problemi del nostro paese si riesce a garantire in modo ottimale i diritti dei possano risolvere con più ingegneri. Il problepiù deboli? «Vale sia l’una sia l’altra motivazio- ma è sistemico. Il tasso di disoccupazione gione». A rispondere è Domenico De Masi, pro- vanile è arrivato al 30 per cento. Ma a preoccufessore di Sociologia delle professioni presso pare è soprattutto il fenomeno di chi né cerca l’Università “La Sapienza” di Roma e direttore lavoro né studia. Sono un esercito: poco più di scientifico della S3.Studue milioni. Oggi ha dium. difficoltà a lavorare anQuindi se un ragazzo che un avvocato. a 28 anni rimane ancora Perché succede nel nucleo familiare questo? Basta liberad’origine è perché non lizzare il mercato per ha volontà di indipencreare più posti di ladenza. Ma può darsi anvoro? che che le difficoltà soLe liberalizzazioni no così tante che è covanno bene a prescinstretto a cedere al luogo dere. Purché si facciacomune del “mammono. Questo però non ne”. Qual è il suo pensignifica che saranno siero? creati posti di lavoro doMenico de Masi I motivi sono tanti. Annel numero di due mizi, tantissimi. Ci sono una quantità di fattori da lioni. Ci vuole molto di più. Ci vuole merito e prendere in considerazione che è impossibile non più la logica del “figlio di”. dare una spiegazione univoca. Di sicuro la gloUn aspetto che contraddistingue i giovabalizzazione ha reso tutto più immateriale. In- ni di oggi da quelli di ieri è che in formaziotangibile. L’aspetto del miglioramento tecnolo- ne investono molto di più. Sia in termini di gico è ad esempio determinante. Se in passato costi sia in termini di tempo. Eppure seconuna banca aveva bisogno di un cassiere oggi ba- do un recente sondaggio della Demos per sta avere un bancomat. Unipolis (gennaio 2012) otto persone su Ma qual è la colpa dei giovani? Davvero dieci si dicono certe che i giovani non mitutti vogliono un posto fisso? Secondo un glioreranno la posizione rispetto alla genesondaggio Demos-Coop dello scorso mag- razione precedente. gio solo il 30 per cento degli Non sono d’accordo. Le under-35 vorrebbe un lavoro il progresso posso dire che molti dei miei sicuro. Questo significa che studenti sono figli di persotecnologico il 70 per cento non ritiene il ne che hanno coltivato la terposto fisso una priorità. Dora. La questione è che in Itaha cambiato lia manca un mercato del lav’è la verità? La verità è che ci sono pochi voro aperto. E inoltre in pasil mercato posti di lavoro. O meglio il sato è mancato senso di remercato non riesce ad assorbisponsabilità. I giovani di ogdel lavoro re tutta l’offerta di forza-lavogi hanno un’infinità di spade ro. Soprattutto quello intellettuale. di Damocle che pendono sulla loro testa. Una A tal proposito alcuni dati Istat rilevano su tutte è il debito pubblico accumulato dalla che il numero dei laureati in discipline generazione degli anni Ottanta. Quelli che da umanistiche che hanno avuto un contratto ventenni già lavoravano ed erano sposati. E se a tempo indeterminato negli ultimi tre an- lo hanno potuto fare devono ringraziare i gioni sono molti di meno di chi ha scelto facol- vani di oggi.
“
istruzione
annamaria cuomo 27 anni, impiegata «Solo con due stipendi si riesce a tirare avanti»
fabiola Zollo, 46 anni dipendente pubblico «L’importante è comprare casa»
”
non è un paese per giovani Il conflitto/confronto generazionale non è una peculiartià di questi tempi. È una costante senza tempo. Eterna. Così come ci suggeriscono i capolavori della letteratura classica. Due grandi commediograf i della romanità, Plauto e Terenzio, hanno dedicato molta attenzione a questo tema. Maschere delle loro commedie sono l’ ‘adulescens’ e il ‘senex’: il giovane e il vecchio. ‘Tipi’ spesso contrapposti perché portatori di valori diversi e ancorati al contesto in cui sono cresciuti:le nuove generazioni sono sinonimo di intraprendenza e vivacità; gli anziani rappresentano, invece, la moderazione. È così anche oggi? È vero che i padri, o meglio ancora i nonni, sono simbolo di saggezza; ma è pur vero che in un paese come l’Italia, la società è guidata da una classe dirigente ‘vecchia’ che ha diff icoltà a rinnovarsi. I f igli di oggi sono sempre più insofferenti rispetto alla situazione sociale ed economica del Paese. Ma si ha la percezione che i ventenni e i trentenni spesso si concentrino più sugli aspetti materialistici e individualisti che comunitari. E
inoltre i rapporti sociali sono sempre più virtuali. Meno reali. Più che parlare ci si scrive con abbreviazioni e simboli. E anche il ‘tvb’ suona come una parola vuota rispetto alla pienezza del ‘ti voglio bene’. Segno dei tempi che cambiano. Ed è ovvio. Come è scontato che i giovani di oggi e quelli di ieri sono due universi distanti. Molti dei nostri padri hanno provato sulla loro pelle il cambiamento della condizione economica. Gli sforzi si fanno oggi come ieri, ma è innegabile che a parità di fatica i risultati sono diversi. Di sicuro peggiori per i ventenni di oggi che nonostante anni passati sui libri e buona volontà devono fare i conti con un mercato del lavoro sempre più saturo. E non bastano le frasi fatte per risolvere i problemi: «Io all’età tua già lavoravo». Già. «Io all’età tua ero già sposato». Già. «Io ho fatto il cameriere a Rimini d’estate». Già. E i giovani di oggi? Anche loro sudano, protestano, combattono. Ogni generazione ha una storia a sé. La tendenza a confrontare non deve portare all’errore di esprimere giudizi sommari.
8
CULTURA
MARZO
2012
Paolo sperini, giovane guida turistica, racconta come ha trasformato l’amore per la cultura in un lavoro
«così vi porto in giro per l’umbria» sacrifici e soddisfazioni di un mestiere in cui oltre alla preparazione conta la capacità di trasmettere la passione per l’arte
«L’
esaminatore mi ha fatto vedere la foto di un campanile. Dopo un attimo di smarrimento, ho realizzato che si trattava della chiesa di San Francesco a Gubbio. Allora ho iniziato a descrivere tutti i dettagli, gli affreschi e gli itinerari collegati». Era l’aprile del 2009 e iniziava così l’avventura da guida turistica di Paolo Sperini, 29 anni e una grande passione per l’arte. Ogni giorno gira tra una città e l’altra dell’Umbria per accompagnare turisti italiani e stranieri alla scoperta delle bellezze della regione. Nato a Lecce, ma residente a Perugia dall’età di nove anni, Paolo era un liceale svogliato. «Ho scelto di studiare Beni Culturali per caso, perché mi ero reso conto che amavo la storia e avevo una buona memoria visiva», racconta. L’ultimo anno di università, Paolo si cimenta per la prima volta nei panni di guida in occasione della mostra sul Pinturicchio alla Galleria Nazionale dell’Umbria. «All’inizio mi tremava la voce, cerco di non ero abituato a pardare l’anima lare davanti a cinquanta persone con gli ocalle persone chi puntati su di me. Piano piano, però, ho che mi capito quanto mi piacesse trasmettere alla ascoltano gente il mio amore per la cultura». Deciso a fare la guida per mestiere, dopo la laurea il giovane perugino trascorre quattro mesi a New York per migliorare il suo inglese e rubare qualche “segreto” agli accompagnatori dei musei americani. Rientrato in Italia, Paolo si prepara all’esame andando a visitare ogni giorno un diverso borgo dell’Umbria per essere preparato su ogni chiesa, ogni scorcio e monumento delle città. Supe-
“
”
rato il colloquio, il giovane ottiene il patentino da guida turistica e inizia a lavorare. «Era il 2009 e gli effetti della crisi economica si facevano sentire. In quel periodo – racconta – collaboravo solo con i musei comunali in occasione degli even-
miei problemi personali e cerco di dare l’anima alle persone che mi ascoltano». La preparazione culturale, infatti, è solo la base di partenza di un mestiere in cui la comunicazione svolge un ruolo fondamentale. «Ogni volta bisogna adattare il linguaggio al gruppo che si ha di fronte cercando di coinvolgere l’attenzione e l’interesse dei turisti», spiega Paolo. «Nel corso degli anni – continua – ho lavorato sul mio carattere, dimenticando ogni timidezza e cercando ogni volta di instaurare un a sinistra: paolo sperini, 29enne guida turistica dell’uMbria. rapporto di confia destra: in alto la chiesa di san francesco ad assisi e in basso un vicolo di spello denza e disponibiti organizzati». La svolta arriva in occasione del- lità con i turisti che accompagno». Ma quali sono i percorsi che, da appassionato la mostra “Da Chagall a Fellini” allestita a Palazzo dei Priori alla fine del 2010. Qui Paolo, du- d’arte, fa più volentieri? «Le mie città preferite rante un corso di aggiornamento, riesce a farsi sono Spello, che considero un piccolo gioiello, notare dai gestori di “Guide in Umbria”, una e Spoleto. Amo molto anche Perugia, ma essens.r.l. che fornisce guide turistiche ad agenzie di do la mia città fare da guida qui è troppo facile!», viaggio, tour operators e gruppi scolastici. Da un scherza il giovane. Da qualche tempo Paolo ha iniziato a studiaanno collabora stabilmente con loro come libero professionista, affiancando a questa attività re il portoghese, così da poter accompagnare i turisti brasiliani che arrivano sempre più numeanche le guide nei musei di Perugia. «È un mestiere che comporta dei sacrifici: si rosi in questa regione. Spera, infatti, di continualavora principalmente in certi mesi dell’anno e re a fare questo mestiere con la stessa passione soprattutto durante i week-end. Alla base – spie- del primo giorno. «In fondo – conclude – si sta ga Paolo – dev’esserci senza dubbio una grande sempre in giro tra le bellezze artistiche dell’Umpassione. Quando sono in mezzo alla gente cer- bria. Cosa c’è di più bello?». co di indossare una maschera: dimentico tutti i chiara garzilli baMbini
alle
prese con i telai nel laboratorio di tessitura
“intrecciaMo i fili” di ponte felcino
religione e storia, ricetta vincente In Umbria ci sono circa 300 guide turistiche. L’accesso a questa professione è regolato dalla Regione, che bandisce periodicamente dei concorsi aperti a chi ha un diploma di scuola media superiore di secondo grado e conosce almeno una lingua straniera. L’esame consiste in una prova scritta – dal quale sono esonerati i laureati in storia dell’arte – e in un colloquio orale. Francesco Vignaroli, presidente di “Guide in Umbria”, spiega che il principale filone del turismo regionale è quello artistico-religioso. «Le sei città più visitate sono Assisi, che non teme rivali, Perugia, Orvieto, Gubbio e spoleto. Molto gettonati – continua – anche i piccoli borghi come Trevi, spello e Città della Pieve». La società fornisce guide turistiche a circa 3mila gruppi l’anno, concentrati soprattutto in primavera e autunno. spesso si tratta solo di assecondare le richieste dei clienti; altre volte, invece, tocca alla guida ideare l’itinerario. Il 40% dei turisti è straniero, nonostante all’estero non si sappia molto dell’Umbria. «Ad essere conosciuta è solo Assisi e la basilica di san Francesco. Per gli italiani, invece, esiste un brand regionale: il ‘cuore verde d’Italia’». secondo Vignaroli, insomma, si potrebbe valorizzare molto di più questa importante risorsa del territorio. «Il turismo è poco sfruttato. Perugia si trova a metà strada tra due grandi città come Roma e Firenze, eppure secondo i dati Istat, ha meno visitatori della Calabria». l.c. e c.g.
“intrecciamo i fili”: la tessitura non ha età
A
Attivo da tre anni un laboratorio interculturale per salvaguardare e tramandare la tradizione locale
Ponte Felicino la tessitura è di casa da sempre. Risale infatti al 1862 l’apertura del “Lanificio”, un’azienda che è rimasta tra le leader italiane del settore fino agli anni ‘80, quando fu colpita da una grave crisi. Ma anche per i pochi felciniani che non hanno lavorato al Lanificio la tessitura fa parte della storia familiare. In una zona prettamente agricola tutti coltivavano i semi di canapa, che poi venivano filati dalle donne direttamente nelle cantine di casa. Una vera tradizione lavorativa e culturale del luogo, che a 150 anni esatti dall’apertura del Lanificio rischia seriamente di andare persa. C’è però chi non si arrende e vuole salvaguardare e trasmettere questo patrimonio culturale. La professoressa Sandra Colazza e Gervasio Ragni, ex operaio del Lanificio, hanno così ideato il laboratorio interculturale di tessitura a mano “Intrecciamo i fili”, che ha visto la luce nel 2010 grazie al sostengo del Comune, della
Pro Loco “La Felciniana” e della scuola media “Bonazzi-Lilli” che ospita la struttura nei propri locali. Il laboratorio è fornito di tutti i tipi di telai. Si va dai più semplici, definiti “a cornice”, a quelli a più fili, fino ai telai moderni e molto complessi. Senza alcun costo per le istituzioni. Tutto il necessario per l’attività, infatti, viene donato oppure acquistato con i – pochi – proventi della vendita dei manufatti del laboratorio in qualche fiera. Lo spazio è aperto a tutti: ai bambini della scuola, che nelle ore di tecnologia si cimentano con il telaio a mano, ma anche a disabili, stranieri o semplici appassionati e curiosi che vogliono usufruire, in maniera totalmente gratuita, della guida dei volontari per avventurarsi in questo mondo affascinante. Il successo è stato immediato. Nei tre giorni di apertura settimanali (martedì 10-12, mercoledì 15-19, giovedì 10-12) la struttura nel 2010/2011 ha regi-
strato circa mille presenze, il doppio rispetto alla stagione d’esordio. Il percorso è uguale per tutti: si parte con un braccialetto, realizzabile in pochi minuti, per poi passare a prodotti più complessi come le borse porta-cellulare, che necessitano quattro o cinque ore d’impegno. Il lavoro al telaio richiede concentrazione, autonomia e ordine. Ma i piccoli tessitori non sono spaventati, anzi. L’entusiasmo con il quale raccontano delle proprie “opere” fa capire quanto apprezzino le ore trascorse nel laboratorio. Francesca, 10 anni, spiega che sta tessendo una sciarpa per la nonna, per ricambiare i tanti vestiti di carnevale che lei le ha cucito. Giada, sua coetanea, dopo aver realizzato un cuscino in due sole lezioni, ora è alle prese con una coperta da regalare alla cugina. Perché a Ponte Felcino la tessitura è una tradizione che non ha intenzione di cedere il passo al tempo. luca cesaretti
Quattro Colonne SGRT Notizie Periodico del Centro Italiano di Studi Superiori per la Formazione e l’Agg.to di Giornalismo Radiotelevisivo
Presidente: Innocenzo Cruciani Coordinatori didattici: Nunzio Bassi Dario Biocca Numero 3 – Anno XXI Direttore responsabile: Antonio Socci Redazione degli allievi della Scuola a cura di Sandro Petrollini Registrazione al Tribunale di Perugia N. 7/93 del marzo 1993. Segreteria: Villa Bonucci 06077 Ponte Felcino (PG) Tel. 075/5911211 Fax. 075/5911232 e-mail: sgrtv@sgrtv.it http://www.sgrtv.it Spedizione in a.p. art.2 comma 20/c legge 662/96 Filiale di Perugia Stampa: Graphic Masters - Perugia
MARZO
9
CULTURA
2012
I petali pesanti dei fiori recisi: lavoro sottopagato, pesticidi nocivi, inquinamento. Quanto può costare un gesto d’amore
Quel mazzolin che viene da lontano G Lago di Naivasha in kenya, mercato di Aalsmeer in Olanda, poi in Italia e infine Perugia: ecco tutti i chilometri che fa una rosa
iallo per la gelosia, rosso per la passione, bianco per la purezza. Dietro una rosa ci possono essere significati diversi. Ma, soprattutto, dietro una rosa c’è un viaggio che pochi conoscono. Per ripercorrerlo a ritroso, basta passare da un fioraio e chiedere da dove vengono i fiori recisi che ha in vendita. Risposta: «Non lo so». E allora, bisogna parlare col fornitore. Enrico Giostrelli rifornisce i fiorai di Perugia: «La domenica mattina mando un’ e-mail ai miei contatti in Olanda. Là – a Aalsmeer – c’è il mercato più grande d’Europa, dove si fanno le aste e si stabiliscono i prezzi e le quantità da distribuire nei vari Paesi». Il martedì i fiori ordinati da Giostrelli arrivano in Umbria, trasportati su gomma in celle frigorifere. Tra questi, tulipani, garofani e rose, ma prima di essere battuti all’asta olandese hanno già percorso gran parte del loro tragitto. Due giorni d’aereo per raggiungere l’Europa dall’Africa o dal Sud America. Il 90% delle rose che vengono distribuite in Italia, ad esempio, proviene dal Kenya. E, in particolare, dal lago Naivasha. A produrle, sono le stesse compagnie olandesi che poi le rivendono ai fornitori europei. A col-
tivarle, sono migliaia di lavoratori africani, per la maggior parte donne, pagate circa 35 euro al mese. Meno del prezzo di 10 rose a gambo lungo che probabilmente saranno proprio delle donne a ricevere. Operai molto più convenienti dei colleghi olandesi e, infatti, nei Paesi Bassi il numero delle serre da fiori si è ridotto drasticamente negli ultimi cinque anni. Le aziende floricole hanno preferito trasferire le colture nel continente nero. «Noi li chiamiamo gli ‘schiavi di Naivasha’ – racconta Cristiano Calvi, del movimento ‘Fiori e diritti’ – perché si tratta di lavoratori senza alcuna tutela, che operano in campi ricoperti di pesticidi cancerogeni, privi di protezioni». Non solo lavoro: anche la questione ambientale ha il suo peso. Per ogni rosa occorrono 2,5 litri d’acqua e, ogni giorno, da Nairobi partono almeno 6 milioni di steli. Il conto è presto fatto. Quantità enormi di oro blu destinate ai fiori in un continente dove di sete ancora si muore. Ma c’è di più. I prodotti chimici utilizzati nella coltivazione stanno danneggiando tutto il territorio, lago compreso. Ippopotami e uccelli, che attirano ogni anno migliaia di turisti, soffrono la contaminazione del loro specchio d’acqua, resa evidente da un forte cambiamento di colore. «Recenti ri-
il blu dell’infiorata sparisce dai campi, ricresce nell’orto
cerche – spiega ancora Calvi – hanno dimostrato che le sostanze inquinanti dei campi di rose si sono depositate finanche sui banchi delle scuole attorno al lago». Un retroscena, quello dei fiori recisi, sconosciuto ai più, come ci conferma Milena Frenguelli, di Monimbò, cooperativa umbra del commercio equo e solidale, che ha partecipato alla mostra mercato di florovivaismo ‘da Petalo a Petalo’, organizzata dal Comune di Terni. Era lì per informare gli umbri sul reale percorso dei fiori che comprano tutti i giorni: «È una sorpresa per tutti – racconta Frenguelli – scoprire che i fiori acquistati nella bottega sotto casa non arrivino da Sanremo». ilaria esposito eleonora MastroMarino
fiori
a confronto: dal Mercato di
no le rose del
Kenya,
aalsMeer,
dove arriva-
ai caMpi di grano intorno a
spello,
dove gli infioratori colgono i pochi fiordalisi riMasti
il vivaio pubblico che è sempre in attivo Piante tartufigene, cipressi, olmi e noci: UmbraFlor punta sulla ricerca e esporta in tutto il mondo
T
utti hanno in mente i troppi ‘carrozzoni statali’ dalle tasche bucate e pieni di debiti a spese dei contribuenti. UmbraFlor s.r.l. non è uno di questi. Il vivaio, per il 99,54 % di proprietà della Regione Umbria e per la restante parte del Comune di Gubbio, ha un bilancio saldamente in attivo. Alle porte di Spello meno di 20 persone lavorano su un terreno di 231 ettari, molte le varietà di piante coltivate, ma le specialità del vivaio umbro sono quattro: le piante tartufigene, certificate dall’Università di Perugia, i cipressi resistenti al cancro, gli olmi immuni alla grafiosi, selezionati dal Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), e le noci da frutto.
Moreno Moraldi
Mostra i cipressi che resistono al cancro
Camminando tra piantine appena nate e albe- litudine per conquistare la pianta quercifera». ri pronti per la vendita, Moreno Moraldi, diret- Dalla descrizione che ne fa Moraldi il rapporto tore dell’azienda regionale, racconta la storia del tra le radici e i funghi è una sorta di storia d’amovivaio e le sue specificità: «I nostri cipressi sono re, o meglio un matrimonio combinato. sui viali dei cimiteri monumentali di tutto il monLe piante vengono isolate in serre sterili per do, quello di Madrid ad esemevitare di entrare in contatto pio. Siamo riusciti ad ottenere con altri funghi che, altrimenalberi di noci che producono ti, avrebbero la meglio su quelfrutti tutti esattamente della lo da tartufo. Dopo un periostessa dimensione, perfetti per do di solitudine si introduce la essere lavorati dalle industrie». spora giusta e la pianta decide Ma la più tipica delle produziocosì di unirsi a lei, per sempre. ni è quella delle piante tartufiQuando l’unione è ormai salgene: «Vanno per la maggiore da le piantine sono pronte per in Grecia – continua Moraldi – partire. Il terreno giusto e la piantine tartufigene pronte a partire dove siamo praticamente mogiusta cura consentiranno al nopolisti, e pensare che tutto è cominciato qua- compratore di ottenere, in una decina di anni, si per caso». una fornitura di pregiatissimi tartufi. La conquista della penisola ellenica parte, inAltra specialità sono gli olmi, innestati fino ad fatti, dalla nostalgia per i prodotti umbri e per il ottenere una qualità resistente alla grafiosi, una pregiato tartufo di uno spellano emigrato per malattia che ne ha decimati migliaia in tutto il amore. È stato lui, attraverso una televisione pri- mondo. «Sta per partire per Malta una intera forvata di un amico, a far conoscere le ricette a ba- nitura che dovrà agghindare le strade della capise di tartufo ai greci. Da qui è nata la domanda tale». Le richieste italiane si sono molto ridotte per un prodotto fino a quel momento quasi sco- perché erano in gran parte provenienti da enti nosciuto e dunque l’idea di coltivarlo direttamen- pubblici che, con la riduzione dei finanziamenti te in Grecia. statali, hanno annullato anche gli ordini già fatIl posto delle piante tartufigene si riconosce ti. Per questo, le esportazioni la fanno da padrosubito: serre tutte chiuse e riscaldate che sembra- ne, gli alberi umbri sono infatti tra i più apprezno delle sale operatorie. «Il fungo da tartufo – zati all’estero. eleonora MastroMarino spiega il direttore – ha bisogno di intimità e so-
In media trent’anni d’età, lavori fra loro molto diversi e una passione in comune. Il gruppo Aisa è uno dei tanti che partecipano all’Infiorata, tradizione che ogni anno porta a Spello migliaia di visitatori. Il nome della squadra, composta da circa 30 persone, deriva dal cognome di uno dei suoi componenti, Corrado Aisa. Oggi trentottenne e pavimentista, Corrado da sempre ospita nella sua casa gli amici che si ritrovano per preparare il loro tappeto di fiori. Alla base un disegno che lui stesso progetta in gran segreto e che custodisce fino alla sera prima della celebrazione del Corpus Domini. Quella notte ogni componente completa il pezzo di tappeto che gli compete, appoggiando i petali uno a uno, fino alla mattina. E se una notte in ginocchio può sembrare un sacrificio, il lavoro che sta dietro le infiorate dura molto di più. Davanti alla casa di Corrado, alle porte del centro di Spello, c’è un appezzamento di terra. In un giorno di inizio marzo si possono vedere solo piccoli vasi e nessuna infiorescenza. Fra qualche mese, però, vi nasceranno fiordalisi, la tempera blu degli infioratori. Una volta questi fiori si raccoglievano nei campi di grano intorno al paese, ma oggi procurarseli così è quasi impossibile a causa dei prodotti che gli agricolotri usano sui loro terreni. Meglio farseli da soli. Fra i coltivatori più assidui del gruppo, Raffaela Villamena, insegnante, e Alessandro Vinti, ferroviere. Tutti e tre parlano della loro attività con un sorriso rilassato, quello di chi da sempre coltiva una passione per piacere, sì, ma mettendoci la precisione di un artigiano. Di volta in volta si decide quali fiori far essicare e quali lasciare freschi. Così, ad esempio, alcuni fiordalisi diventano blu scuro, mentre quelli non seccati mantengono una sfumatura più chiara. Lo stesso vale per le calendule, che danno le tonalità dell’arancione. I petali vengono tolti uno a uno dalla corolla e, una volta seccati, triturati, ma mai tanto da ridurli in polvere. Impegnarsi per una tradizione comune fin da bambini, produce quei ricordi grazie ai quali i legami fra i membri di una comunità si rafforzano. Una prova? Gli occhi di Alessandro e Raffaela annuiscono, mentre Corrado racconta: «Ci siamo organizzati per coltivarci i fiori, perché ormai alcuni di noi hanno quasi 40 anni. Da ragazzi, però, non avevamo pietà: l’infiorata era l’infiorata. I proprietari dei giardini venivano educatamente pregati, ogni anno, di consegnarci i loro fiori. In caso di rifiuto, si agiva la notte, in motorino, forbici alla mano. E ci potevi giurare che il nostro tappeto lo facevamo lo stesso». ilaria esposito
10
SPORT
MARZO
2012
Il ct della nazionale di ciclismo paralimpico colleziona successi: ha trionfato in 34 mondiali e 17 olimpiadi. E ora si prepara per Londra 2012
Mario valentini, il cacciatore di medaglie Il tecnico umbro allena gli azzurri dal 1997: «Questi ragazzi vanno presi ad esempio per grinta, generosità, senso del sacrificio e umanità»
«C
ome stai? Vieni qua che t’offro da bere. T’ho visto in televisione, sei sempre il meglio». Quando Mario Valentini torna a Montefalco, la città dove è nato, tutti lo fermano. Lo salutano. Lo abbracciano. Non come una celebrità, ma come uno di loro, un amico. E lui, commissario tecnico da record, ricambia l’affetto tra pacche sulle spalle e battute. «Ci vogliamo bene, ci sono cresciuto qua. Potrei raccontarti mille storie su quello che ho combinato per queste vie, per queste piazze...». Aneddoti. Tanti, come le medaglie che il tecnico della nazionale di ciclismo paralimpico ha collezionato in questi anni. Classe 1942, MaQuando rio Valentini ci tiene a specificare che è pedali, dell’ariete. «Su sette ct che stanno in Fese cadi derazione, cinque o gli altri sono di questo segno zodiacale. Sono ti superano, nato il due aprile, devi andare non il primo. Uno scherzo con un gioravanti. no di ritardo. Un gioco, come tutta la come mia vita». La sua avventura nella vita nello sport inizia con il calcio, nel Foligno. E finisce presto. A 19 anni. Come mai? «Un giorno ho dato un pugno a un arbitro. Subito squalificato, per non so quanti anni! Invece di aspettare, ho cominciato a pedalare, gareggiando in salita con un amico che vendeva bici da corsa. Alla fine me l’ha regalata,
la bicicletta». A quel punto uno zio chiama la Federazione ciclistica e quell’ex calciatore, irrequieto per carattere, non solo per età, viene presentato a un commissario tecnico. Per la prima volta entra in un velodromo. Corre e vince Mario. Il ciclismo diventa il suo lavoro, il suo sport. Gareggia fino a 26 anni, poi, nel 1968, scende dalla sella e diventa allenatore. Si inventa la squadra militare della Forestale e delle Fiamme azzurre nel 1981 è tecnico nel Lazio, dove vive con la sua famiglia.
“
”
Mario valentini (foto Mauroujetto/paracyclingWorld.it)
Uno scopritore di talenti e un cacciatore di medaglie. 34 mondiali, 17 olimpiadi. Quattro gli ori. E gli argenti e i bronzi? «No, quelli non contano», bofonchia il ct sotto i baffi. Mentre parla, lo sguardo gli cade sulle imperfezioni: toglie i fili tirati sul cappotto di chi ha davanti («Sulle donne no, non mi permetterei mai»). Forse è un istinto perfezionista il segreto delle sue vittorie. Forse è quello che ha imparato proprio nella sua terra umbra. Perché, racconta Valentini, nascere in una famiglia povera, contadina, gli ha insegnato l’im-
portanza del rispetto, della misura e della discipli- do a cronometro e stabilisce il record alla marana. E nei suoi uomini cerca questo: senso di re- tona di New York. Valentini lo cita tra gli esemsponsabilità e rigore. E un rapporto parsimonio- pi di quell’entusiasmo incrollabile che muove i suoi atleti: «Zanardi è so con il denaro: «Il vero campioricco, fa anche televine – sostiene il ct – lo riconosco sione: i soldi non sono anche perché non sperpera». il suo obiettivo. Che E poi ci sono i campioni disacosa lo fa correre, subili, quelli che allena dal 1997. dare, soffrire in quel «Loro hanno qualcosa in più – modo se non la voglia ammette il tecnico –. Ad animarli di dimostrare a se è la voglia di dimostrare che ce la stesso qualcosa?». possono fare. Come e più di priCampioni messi a ma di un incidente. Come e più confronto serrato con degli altri. Sono atleti che i cosidil ct in pista per gli allenaMenti sé stessi, da sé stessi. detti “normali” dovrebbero prendere ad esempio per grinta, generosità, senso del Gli esempi sono tanti (Vittorio Podestà, Andrea sacrificio e umanità». Atleti eccellenti che negli Tarlao, Fabrizio Macchi,...) e su ognuno di loro anni hanno regalato all’Italia e al loro ct grandi Valentini ha almeno un aneddoto. Ricordi di rimsuccessi. Come le medaglie conquistate agli ulti- proveri da allenatore e di discorsi da amico. «Io mi mondiali di Los Angeles. I pronostici davano di loro devo conoscere tutto. Il bravo tecnico deper sfavoriti gli azzurri. In California la gara era ve sapere perché un suo atleta un giorno non parsu pista e loro vanno forte quando si tratta di vo- la, se è giù d’umore». I suoi sono atleti da medalate su strada, tornanti tra discese e salite, corse glie che il ciclismo porta a nuova vita. «Zanardi faccia al vento. Eppure sono arrivati due bronzi mi ha confidato: ‘Mario, avevo due possibilità: e un argento. E intanto la squadra si prepara alla dovevo scegliere o la pistola o un figlio di sei anCoppa del mondo di Roma e a quella di Piacen- ni’», ricorda il ct. Non a caso questo cacciatore za. In attesa delle paralimpiche di Londra 2012. di medaglie è convinto che il ciclismo sia il miGli azzurri di Valentini sono fuoriclasse con glior sport per un disabile: costringe a uscire di una volontà di ferro. Molti di loro vengono da al- casa quando, come dopo un grave incidente, si tri sport. Come Alessandro Zanardi, pilota auto- riesce solo a rifiutare l’ambiente esterno. E il cacmobilistico che nel 2001 subì l’amputazione del- ciatore è anche certo che Gianni Brera aveva rale gambe a causa di un incidente. Dopo una lun- gione quando scriveva che “il ciclismo è scuola di ghissima riabilitazione è tornato in pista grazie a vita”. Perché, afferma, «più di tutti gli altri sport delle protesi. Poi una nuova carriera con la ‘han- ti insegna a andare avanti. Il traguardo è lì, se ti dbike’. Nel 2010 diventa campione italiano nella superano continui a correre, se cadi ti rialzi». categoria H4, nel 2011 vicecampione del monvalentina parasecolo
una rampa nuova, sognando le olimpiadi sogni e progetti per la pista Bmx di Pian di Massiano. ll campione perugino Francesco Gargaglia racconta la sua carriera
«H
o iniziato a 10 anni con i primi sla- no è di ottimo livello, ma la partenza è troppo lom in bicicletta, le prime gincane, lenta e non la si può percorre abbastanza velopoi è arrivata la Bmx e non ho più cemente». smesso». Francesco Gargaglia, 29 anni, è un Un progetto portato avanti dalla federazione campione di ‘Bicycle Motocross’ e la sua storia è ciclistica italiana, dal Comune di Perugia e dalla quella di un ragazzo che fin da bambino coltiva cooperativa Darwin (l’ente che gestisce l’impianla passione per lo sport e ora spera, presto, di tra- to di Pian di Massiano) potrebbe però cambiare sformarla in un lavoro vero. tutto: «Non è una spesa da poco, ma vorremmo A Pian di Massiano c’è una delle poche pi- dotare la nostra pista di una rampa di livello ste regolamentari di motocross a pedali in Italia, ed è lì che Francesco allena i più piccoli: «Si può iniziare già a 7 anni, l’età minima per essere tesserati, mentre a 12 anni si possono disputare le gare agonistiche e partecipare al campionato italiano ed europeo. Molti dei ragazzi che vengono a fare Bmx sono fortemente motivati, questo non è uno sport che si pratica per caso». Una specialità, quella della Bmx, poco diffusa e mal finanziata in Italia: creare una nazionale competitiva costa molto e, al momento, non ci sono soldi nemme- francesco gargaglia vincente sul priMo gradino del podio no per gli allenatori. «Per vivere lavoro in un ne- olimpico», aggiunge Francesco. Una gigantesca gozio di biciclette – ci spiega lo sportivo peru- discesa, che permetterebbe ai corridori di partigino – allo stato attuale, nel nostro paese, non re da un’altezza di ben otto metri. riuscirei a tirare su uno stipendio, alleno i ragazLe Olimpiadi in Italia restano il sogno – la zini per tre pomeriggi a settimana». specialità Bmx ne fa parte dal 2008, dove a PeFrancesco è anche vice allenatore della nazio- chino si sono laureati i primi campioni olimpinale italiana e queste, per lui, sono settimane di ci – ma l’obiettivo più immediato è costruire un lavoro intenso: «Ci stiamo preparando al meglio circuito che permetta, a tutti gli atleti italiani, di per Londra 2012, vogliamo portare a casa qual- allenarsi ad alti livelli e competere a livello monche medaglia. La nostra pista di Pian di Massia- diale. «La rampa è l’inizio, ma il sogno è fare del
territorio perugino un vero punto di riferimento, avere un centro sportivo, dove ragazzi da tutta l’Italia possano alloggiare a tempo pieno. Studiare nelle scuole o all’università e, al tempo stesso, costruire la loro carriera sportiva nella Bmx». «Comunque è meglio non farsi illusioni – aggiunge Francesco con un pizzico d’amarezza – a mancare in Italia è proprio la cultura degli sport fuoristrada. Nemmeno il ciclismo tradizionale se la passa bene, figuQuesto non è riamoci la Bmx, che ne è una picuno sport cola branca». che si pratica Ma con le Olimpiadi così viper caso cine non è tempo di rimpianti. La squadra italiana – 9 corridori, un allenatore, un vice e un meccanico che conosce ogni singolo pezzo delle biciclette americane – è attesa in Francia, per una preparazione intensiva di due settiane. «Ho 29 anni, disputo ancora qualche gara, ma ormai mi sento più allenatore che atleta», spiega Francesco parlando della trasferta d’Oltralpe. «Non avrei mai pensato che allenare fosse bello almeno quanto gareggiare, ma nel 2009 ho cambiato idea». Il riferimento è al primo e secondo posto, ai campionati europei di quell’anno, dei perugini Diego Verducci e Giacomo Gargaglia, atleti allenati proprio da lui. «Quando li ho visti salire sul podio – c’è orgoglio, adesso, nella voce di Francesco – mi sentivo come se anche una parte di me avesse vinto quelle medaglie. È stata una soddisfazione indescrivibile».
“
”
roberto Morelli
origini e storia del ‘bicycle Motocross’
Il ‘bycicle motocross’, abbreviato dagli appassionati in Bmx, nasce quarant’anni fa in America. Il motocross, suo fratello maggiore (e motorizzato) spopola tra i ragazzini: perché allora non creare, per i più piccoli, una ‘moto a pedali’? Ruote piccole, da 20 pollici, estrema manegevolezza e un telaio robusto, che permette salti e acrobazie impensabili con una bici tradizionale. La Bmx, in pochi anni, si diffonde in tutto il mondo. Tre le specialità praticate dagli appassionati. ‘Freestyle’, stile libero, fatto di acrobazie, discese su ringhiere e salti acrobatici, il ‘bike trial’, in cui si deve affrontare un percorso a ostacoli senza mai mettere i piedi a terra e in ultimo ‘race’, quella più diffusa, del tutto simile a una gara di motocross (dossi, curve e terra battuta), se non fosse per i pedali... Protezioni, casco, un pizzico di coraggio e grinta: ci si può tesserare già a 7 anni. A 12 anni iniziano le gare agonistiche, il sogno per i più talentuosi restano le Olimpiadi, dove l’età minima per partecipare, però, è 17 anni. In Italia – dopo esser andato di gran moda negli anni ‘90 – la diffusione della Bmx è rimasta limitata. L’attività sportiva degli appassionati, però, resta febbrile. Cinque le tappe del campionato 2012 di bicycle motocross, tra cui l’appuntamento nel perugino (che si è già svolto il 3 e 4 marzo) sulla pista di Pian di Massiano.
MARZO
11
SPORT
2012
Far rispettare il regolamento ed essere autorevole nonostante gli insulti e le ire dei tifosi. Così si diventa un “fischietto”
il coraggio del giovane arbitro
A
Giuseppe Repace, 18 anni: «Fare il giudice di gara è una passione, il segreto è riuscire a incastrare tutti gli impegni»
vederlo correre in campo dietro i giocatori del cuore non suscita molta simpatia. Spesso i tifosi se la prendono con lui se la partita non va come loro vorrebbero e non è raro che in campo si scatenino contro di lui insulti e dissapori. Ebbene, nonostante sia la figura più contestata sul terreno di gioco, l’arbitro sa farsi rispettare. Ma come si fa a diventare un “fischietto”? Cosa c’è dietro quell’uomo vestito di nero che fa rispettare le regole? Il perugino Giuseppe Repace oggi ha 18 anni, ne aveva 15 quando si è avvicinato a questo mondo. Una passione di famiglia: il padre Luigi, ora presidente del comitato regionale della Figc, è stato arbitro di livello di serie C. «Ho iniziato per gioco – racconta Giuseppe – dopo tante prove affrontate ora sono nell’organico regionale e arbitro le partite di eccellenza. Fare il giudice di gara è una grande passione ma anche un grande impegno, il segreto è riuscire a coordinare tutto tra scuola, studio e divertimento. Abbiamo una vita associativa molto ricca, ci incontriamo con gli altri ragazzi per stare insieme, ma anche discutere e commentare quello che facciamo in campo». Ma se è vero che dedizione e forza di volontà sono doti innate, è anche vero che la preparazione che c’è dietro non è un gioco da ragazzi. «Si inizia con un corso di formazione che dura un paio di mesi, poi c’è da sostenere un esame sia scritto sia orale e una volta superato si possono iniziare ad arbitrare le gare giovanili. All’inizio si è affiancati da un tutor pronto a intervenire in
gli altri e il riuscire a far rispettare le regole non con autorità ma con autorevolezza. E – aggiunge – questi ragazzi lo fanno per puro amore verso il calcio, non c’è alcun riscontro economico se non un piccolo rimborso spese». «Che se ne va – puntualizza Giuseppe – solo per gli spostamenti in auto». Poi ci sono le ombre: in alto giudici di gara uMbri, a sinistra giuseppe repace quanto influisce la percezione negativa che caso di errori o disatten- spesso il pubblico ha nei confronti dell’arbitro zioni, poi si va avanti da e quali sono i giusti metodi per non lasciarsi trasoli. Di certo è un’attività volgere dalle bizze dei tifosi? «Il 40 per cento dei che ti responsabilizza mol- ragazzi che iniziano a fare i giudici di gara abbanto: in fondo siamo noi a dover far rispettare il re- donano in corsa – spiega Amelia – e tra i motigolamento, abbiamo un secondo per decidere e vi che più influiscono c’è di certo il non essere sulle scelte è difficile che siano tutti d’accordo». riusciti a sopportare gli episodi negativi che si E infatti può capitare anche di cadere in erro- scatenano contro chi prende le decisioni. Quere. «Certo – continua Giuseppe – siamo esseri ste cose possono capitare, ma quest’anno abbiaumani anche noi, proprio per questo si dice che mo registrato solo cinque o sei episodi leggeri. l’arbitro più bravo è quello che sbaglia meno. La Quando la situazione diventa grave, anche se a parte più difficile è l’inizio della partita: bisogna essere coinvolti sono giocatori e allenatori, si saper imporre il proprio arbitraggio. Con i ra- prendono seri provvedimenti». «All’inizio senti gazzi più giovani è più facile e meno impegna- tutto – aggiunge il giovane arbitro – perché vietivo sul piano della prestazione fisica. Più si sa- ne spontaneo ascoltare anche il pubblico. Poi le di categoria e più diventa dura: bisogna alle- inizi a concentrarti solo sull partita e su quello narsi di più e dedicare più tempo all’attività». che accade in campo, è così che si riescono a Quali doti dovrebbe avere un buon arbitro? «Pri- ignorare tutti gli insulti». ma di tutto la passione – risponde Francesco Nonostante l’inevitabile risvolto conflittuale, Amelia, presidente del comitato regionale arbi- il giudice ha però le sue soddisfazioni. «La cosa tri (Cra) Umbria – poi il sapersi confrontare con più bella – racconta il giovane – è ricevere i com-
plimenti da entrambe le squadre, dagli allenatori, dai dirigenti e anche dal pubblico per come si è arbitrata la partita, ma questo è rarissimo e accade solo dopo i novanta minuti di gioco». Giuseppe Repace non ha intenzione di mollare nonostante sia consapevole che quello dell’arbitro, se non si è ai massimi livelli, non può essere un lavoro a tutti gli effetti. «Prima gli affetti, lo studio e il lavoro», come insegnano i presidenti di sezione. Giuseppe ora è impegnato con la scuola, a giugno lo aspettano gli esami per la maturità scientifica. Studierà matematica e continuerà a portare avanti i suoi interessi. Dopotutto per la serie A c’è ancora tempo. giorgia cardinaletti
i numeri in umbria 15 - 35 Età minima e massima per intraprendere l’attività 900 Il numero di arbitri, fuori quadro e osservatori 40% I ragazzi che abbandonano in corsa 4 in serie a Gli arbitri umbri in serie A sono: Paolo Tagliavento di Terni è arbitro internazionale, Massimiliano Grilli di Gubbio è assistente internazionale, Massimiliano Rosi e Matteo Passeri di Gubbio sono assistenti del comitato arbitri nazionale 2 donne Oltre i confini della regione silvia Tea spinelli arbitro in Lega Pro e Valentina Filzi del Comitato arbitri interregionale
valentina, una pasticcera sotto rete Lavora di notte e si allena di giorno, la storia di una pallavolista che alle schiacchiate unisce brioches e cornetti
P
assione e determinazione. Un mix perfetto che si incontra spesso nelle storie di chi crede in quello che fa. E lo sport, si sa, ne è un esempio concreto fatto di sacrifici e rinunce per raggiungere un sogno. Ma se hai ventitré anni e, oltre a giocare a pallavolo, tutte le notti lavori nella pasticceria di famiglia, la realtà e ben diversa. È la storia di Valentina Tosti, perugina, da un anno schiacciatrice della squadra di prima divisione della Grifo Volley Perugia. «Certo, non lo metto in dubbio, è abbastanza faticoso svegliarsi alle tre, iniziare a lavorare alle quattro, fino alle undici del mattino. Con il tempo diventa un’abitudine, basta solo adattarsi ai ritmi. Poi c’è da considerare il lato positivo: ho tutto il pomeriggio libero prima degli allenamenti». Tutto inizia all’età di dieci anni quando correva dietro una palla diversa, quella da calcio: «Passavo molto tempo con mio fratello, lui giocava e mi ha trasmesso questa passione. Purtroppo non c’erano squadre femminili e così mia madre decise di mandarmi a pallavolo, insieme a mia sorella». Da lì le si è aperto un mondo nuovo e, ai piedi, ha preferito le mani e le braccia. Tanti allenamenti e una lunga preparazione tecnica e fisica. Eppure le difficoltà non mancano, prima fra tutte l’altezza che, a detta di Va-
lentina, ha giocato a suo sfavore a tal punto da dover cambiare squadra, perché un allenatore non ha voluto scommettere su di lei. Oggi si trova a vivere un campionato ricco di soddisfazioni con un meritato secondo posto a soli quattro punti dalla capolista Per la squadra è un punto di riferimento, essendo la più grande, e mentre sorride, aggiunge timidamene: «Alcune addirittura mi definiscono un “mito” da seguire». Dopo il diploma come segretaria d’azienda ha scelto di non continuare gli studi e di iniziare a lavorare. L’opportunità è venuta dal laboratorio di pasticceria dello zio. «Sono entrata da pochi anni, diciamo che faccio un po’ di tutto, ma mi occupo principalmente di farcire e modellare brioches e cornetti». I tempi sono ristretti, unico momento di sosta intorno alle cinque del mattino, mangiando qualcosa, e poi si continua a lavorare nella “catena di montaggio”: «Non possiamo perdere tempo perché i nostri prodotti devono essere pronti per la distribuzione nei bar della città per la colazione dei clienti». Il turno finisce a metà mattina, pranzo e poi a letto per un paio d’ore. «Il tempo necessario per riposarmi e ricaricare le forze prima di andare agli allenamenti, specialmente se sono dalle 21 alle 23».
Tre giorni di preparazione con la squadra e altri due in palestra. Qualche altra ora di sonno e poi al lavoro. Unico giorno libero la domenica, ma a volte capita per abitudine di svegliarsi presto anche in questa giornata. Per una ragazza di 23 anni è possibile conciliare un lavoro di questo tipo con l’attività sportiva? «Sicuramente. La pallavolo mi piace, è la mia vita e non ci rinuncerei per niente al mondo. Non c’è stato mai un momento in cui ho deciso di arrendermi. Lo so, vista dall’esterno può sembrare dura, anche i miei amici me lo fanno notare. Ma credo che alla fine sia solo una questione di organizzazione». Non parla neanche di sacrifici Valentina: «A parte le serate in cui sono davvero stanca, non rinuncio a uscire con le amiche e, se alla fine si fa davvero tardi, salto quelle ore di sonno e si va direttamente a lavorare». E sembrano non farle neanche più effetto tutte quelle bontà che le passano sotto il naso: «Quando ho iniziato ho preso qualche chilo. Mentre preparavo i dolci non riuscivo a resiste-
valentina tosti, 23 anni pallavolista e pasticcera. in alto al lavoro nel laboratorio di faMiglia. a sinistra in caMpo durante un’azione di gioco
re e “spizzicavo” qua e là, oggi non ci faccio nemmeno più caso». Tra creme e brioches, passando per la diagonale stretta, la mossa che più temono gli avversari in campo. Ritmi serrati e tanta forza di volontà, questo il segreto di Valentina. «I miei genitori sono contenti, perché mi vedono felice. Quando andavo a scuola, la mattina non volevo mai alzarmi e ora invece faccio addirittura questi orari». A ventitré anni avere le idee abbastanza chiare è una cosa rara per i ragazzi della sua età. Nei progetti futuri ci sono sicuramente due certezze: la pallavolo e la volontà di essere economicamente autonoma. francesco cutro
12
TRADIZIONI
MARZO
2012
Dalle corti reali ai supermercati, dalla Francia alla Russia: le mille vite del dolce più amato sulla tavola pasquale
sì, è nato prima l’uovo
Tentazione golosa ma anche simbolo di prosperità e rinascita in diverse culture. Un rito che sfida anche l’aumento dei prezzi
T
utto iniziò alla corte di Francesco I di Francia. Secondo la leggenda, fu il sovrano d’oltralpe a ricevere per la prima volta in dono un uovo di Pasqua. Ma la tradizione si consolida nella Russia degli zar grazie al maestro orafo Peter Carl Fabergé, che nel 1885 ricevette dallo zar Alessandro III l’incarico di inventare un dono speciale per la zarina Maria. La prima creazione di Fabergé fu un uovo di platino smaltato bianco, con all’interno un pulcino d’oro e una miniatura della corona imperiale. Il primo piccolo capolavoro di una lunga serie, dato che gli zar commissionarono all’artista una collezione di uova decorate da donare tutti gli anni. Il dolce di cioccolato che conosciamo oggi arriva invece nel Novecento e si fa largo fino ad ottenere un posto d’onore sulla tavola pasquale degli italiani. Tanto che all’uovo con sorpresa non si rinuncia neanche in tempi di crisi: secondo i dati Codacons relativi alla scorsa Pasqua, l’acquisto di colombe e uova di cioccolata in Italia è rimasto stabile nonostante un rincaro dei prezzi intorno al 9% nell’ultimo biennio. Una tradizione che supera i confini del Belpaese. In Spagna, nella regione della Catalogna, per Pasqua si mangia una torta decorata con uova di cioccolato e personaggi delle fiabe. I bambini tedeschi, invece, si divertono a cercare le uova nascoste per loro dall’“Osterhase”, il coniglio di Pasqua. Un’usanza che si ritrova anche in Francia, dove intere aree verdi pubbliche vengono destinate a questa particolare caccia al tesoro. Molte famiglie anglosassoni preparano poi
l’albero di Pasqua fatto con i primi ramoscelli in fiore, a cui si appendono i gusci dipinti. Se tutti subiscono il fascino di sorprese e carte colorate, in pochi conoscono il valore simbolico che lega l’uovo alla festività. «Nella cristianità – spiega Marco Pucciarini, docente di Storia delle religioni all’Istituto teologico di Assisi – il guscio è simbolo del sepolcro. La sua rottura rappresenta la rinascita di Cristo, per questo l’uovo non può mancare nel menu della domenica della Risurrezione. Era considerato un cibo ricco e nobile, da evitare in periodi di austerità e purificazione come la Quaresima». Ma il suo significato spirituale si ritrova già in età pagana, associato alla fecondazione e quindi augurio di prosperità e rinascita. In questa accezione fu usato dagli antichi Egizi, dai Greci e dai Romani. Proprio come segno di fertilità è rientrato nella simbologia della primavera, che veniva celebrata con lo scambio di uova. L’alimento pasquale per eccellenza è presente anche in altre tradizioni religiose. «Nel credo ebraico – continua Pucciarini – l’uovo sodo va consumato durante il Seder, la cena di Pasqua. Per i fedeli di Jahvè, però, è anche un simbolo di lutto: viene preparato infatti ai parenti di un defunto dopo la sepoltura, in ricordo della distruzione del tempio di Gerusalemme. L’uovo non manca poi nella cultura popolare e nel folclore, come auspicio di fertilità e rimedio contro il malocchio». pagina a cura di claudia bruno Micol pieretti e gianluca ruggirello
Marcella bricca
carla schucani
prepara la ciaraMicola
dipinge lo staMpo per l’uovo
se il guscio si apre all’arte L’associazione Ovopinto di Terni recupera le usanze più antiche: la “pizza di Pasqua” in cambio dell’uovo decorato
D
ecorare le uova, un’arte senza tempo. Famose quelle rivestite d’oro che Edoardo I, re d’Inghilterra dal 1272 al 1307, regalava ai nobili e agli aristocratici di corte. Ancora oggi, l’associazione culturale Ovopinto di Civitella del Lago, in provincia di Terni, fa rivivere ogni anno una delle tradizioni più antiche delle festività pasquali. «Quella del pitturare le uova a Pasqua – racconta Anacleto Bernardini, presidente dell’associazione – è un’usanza che risale addirittura al periodo romano ma ancora in uso in tutta Europa, soprattutto nell’Italia centrale». Le prime decorazioni erano fatte con infusi di fiori, erbe e cipolle. E si apprezzava più il gesto simbolico che il risultato finale. Oggi invece è un’arte a tutti gli effetti. Ogni anno, dal 1981, l’associazione organizza una mostra internazionale di uova decorate, sempre più vere e proprie sculture, che arrivano da Taiwan, Parigi, Londra, New York e Madrid. La manifestazione parte l’otto aprile per concludersi il primo maggio. E da due anni il gruppo di Bernardini organizza un gemellaggio con il museo di Schwabach, nel sud della Germania, che si propone di recuperare le stesse usanze. A Schwabach ospitano le uova del Ternano e viceversa. Ma l’associazione culturale si occupa anche di recuperare tradizioni altrimenti dimenticate. «Negli anni passati – continua Bernardini – abbiamo organizzato degli scambi tra concittadini: uova decorate in cambio di cesti pieni di cibi e dolci pasquali. Un modo per recuperare abitu-
dini che ci appartengono ma che erano andate totalmente perdute». In quei cesti non poteva di sicuro mancare la cosiddetta “pizza di Pasqua”. «La mattina di Pasqua qui in Umbria la mangiamo tutti» racconta Vanda Mariotti, collaboratrice domestica. «Prepararla non è molto difficile: servono dieci uova, 35 grammi di lievito, 250 millilitri di latte, 650 grammi di farina, pecorino, parmigiano e un po’ di groviera». Per preparare l’impasto bisogna prima riscaldare il latte e mischiarlo alla farina. Vanda consiglia di farlo la sera perché il composto deve lievitare tutta la notte. La mattina di Pasqua si stende la pasta sulle teglie e s’inforna a 180 gradi, dopo circa venti minuti la pizza dovrebbe essere pronta. Ma prima di mangiarla o regalarla, bisogna compiere ancora un ultimo gesto: andare a messa e farla benedire. A questo punto è pronta per lo scambio, nella speranza di ricevere delle belle uova.
luca pottini
la
Mostra una nuova creazione
lavorazione
MacraMé,
un ricaMo di cioccolato
ciaramicola, che passione Vassoi colmi di biscotti, vasche di cioccolato, impasti e dolcetti appena sfornati. Carla schucani, responsabile della storica pasticceria sandri a Perugia, ci accompagna nel laboratorio in piena attività. A farla da padrone sono loro, le uova di cioccolato, dalle più semplici – dedicate ai bambini – alle più elaborate. «Le nostre ultime creazioni – spiega schucani, mentre prepara una decorazione spennellando su uno stampo – sono le uova Macramé, vere e proprie griglie di cioccolato». Per realizzarle non si lascia colare la cioccolata all’interno degli stampi come nel caso della forma classica, ma si realizzano dei disegni di cioccolata all’esterno dello stampo stesso. Il risultato è una sorta di rete, un sottile ricamo dolciario che rischia di rompersi solo a guardarlo. «Il regalo – continua schucani – è racchiuso in un piccolo uovo all’interno, in modo da non rovinare l’effetto sorpresa». sul bancone accanto Marcella Bricca, al lavoro nel laboratorio da quasi trent’anni, impasta energicamente tutti gli ingredienti per la Ciaramicola, dolce pasquale che un tempo le ragazze in età da marito regalavano ai propri innamorati nel giorno della festività. Una ciambella con al centro una croce di pasta, di colore rosso perché imbevuta di liquore Alchermes, ricoperta da una glassa bianca e una spolverata di zuccherini colorati. Diverse le interpretazioni sul suo significato: secondo alcuni, è un simbolo della città di Perugia (il rigonfiamento centrale ricorda la Fontana Maggiore); secondo altri, ricalca i rosoni delle chiese con i loro giochi di luci e colori. La Ciaramicola è però sempre meno conosciuta e ormai scalzata dalle uova di cioccolata, la cui produzione procede a ritmi serrati. Come ci spiega Luca Pottini, altro dipendente storico della pasticceria, «nel giro di un mese produciamo circa 250 uova di tutti i tipi: classiche, mandorlate, più piccole per i bambini, su richiesta per pensieri particolari». Perché, se la sorpresa a volte può lasciare perplessi, la cioccolata di certo non delude mai.