Luigi Puccio
COMUNICAZIONE E NEGOZIAZIONE NELLA MEDIAZIONE
Š Gedit Edizioni Prima edizione: Gennaio 2011
Stampa: Stampato in proprio
ISBN: 978-88-6027-101-3
Gedit Edizioni via Irnerio 12/5 40126 Bologna telefono 051 4218740 fax 051 4210565 www.gedit.com
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Comunicazione e negoziazione nella mediazione
Modi per risolvere un conflitto Risolvere con la mediazione La realtà non esiste Migliorare il processo comunicativo Negoziazione Come comunicare Tattiche negoziali Appendice
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Modi per risolvere un conflitto Esaminati gli aspetti generali del conflitto e sottolineato che il conflitto non deve spaventare quanto piuttosto essere considerato come una opportunità e possibilità per le parti, è evidente che lo stesso deve essere gestito, risolto, appianato e non evitato. Il mediatore che si pone l’obiettivo di aiutare le parti a gestire, risolvere e appianare il conflitto, deve saper essere in grado di riconoscerlo, di interagire con le parti e di avere una corretta percezione dei ruoli. E’ quindi innanzitutto un buon conoscitore delle dinamiche che avvengono e delle motivazioni per le quali esiste un conflitto, per le quali si cerca di presentare alcuni scenari: quando esistono parti che hanno convinzioni, pareri, interpretazioni e metri di valutazione diversi; quando si incontrano reciproche profezie che si auto avverano (“sapevo che sarebbe finita così..”); quando si è incapaci di gestire le proprie emozioni negative (rabbia, frustrazione, ecc.); quando esistono parti che hanno prese di posizioni inamovibili. Quando il mediatore cerca di risolvere un conflitto deve porsi i seguenti obiettivi, come suggerito da Bramanti1:
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Bramanti, Sociologia della mediazione. Franco Angeli, Milano, 2008
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1. identificare gli attori implicati nel conflitto; 2. esplicitare il tipo di appartenenza: cioè quale è il bene comune, la mission che li lega pur nel conflitto/cosa li fa litigare e non fuggire, evitando il conflitto; 3. identificare i punti di forza e di debolezza delle reti, cioè le loro potenzialità trasformative; 4. identificare la natura dei conflitti potenziali e in atto; 5. comprendere il livello del conflitto e le sue eventuali trasformazioni. Il conflitto può essere analizzato secondo tre diverse prospettive2: Teoria del potere (ABEL 1982): questa teoria prevede la risoluzione del conflitto basandosi sul potere o sulla forza. Partendo da questo presupposto, il conflitto viene visto come un modo per consolidare il proprio potere e dominare la controparte (o, viceversa, per opporsi alla sopraffazione). Le parti si affrontano sulla base di un rapporto di forza sia economica sia fisica. Per risolvere questa tipologia di conflitto ci si rivolge ad attivisti e difensori dei diritti; Teoria dei diritti (Fiss 1984): secondo questa teoria le parti vivono il conflitto come una minaccia per i propri diritti. Esse si confrontano in base a ruoli formali, con lo 2
Bush – Folger, La Promessa della Mediazione. Vallecchi, 2009
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scopo di conseguire una vittoria ufficialmente riconosciuta. E’ la teoria prevalente nelle società organizzate intorno a ordinamenti giuridici. Per risolvere questa tipologia di conflitto ci si rivolge ad avvocati e consulenti legali e spesso è richiesto l’intervento di un terzo in chiave decisionale; Teoria dei bisogni (Mankel-Meadow 1984): le parti vedono il conflitto come un ostacolo alla soddisfazione dei propri bisogni, dei propri desideri. Interessi che molto spesso rimangono nascosti dietro gli obiettivi concreti che gli individui affermano di perseguire. Per risolvere questa tipologia di conflitto ci si rivolge a consulenti. Risolvere un conflitto implica quasi sempre doversi muovere attraverso tutti e tre questi modi. Le parti possono accertare chi è il più forte, determinare chi ha giuridicamente ragione, cercare di riconciliare i loro interessi. Si può affermare che il comportamento delle persone rifletta tutte e tre le teorie. Tuttavia dalla prospettiva di chi interviene a favore del cliente, la risposta viene data a partire da una teoria sola. Secondo gli attivisti chi si rivolge a loro intende affermare il proprio potere, secondo gli avvocati, i clienti vogliono aiuto per rivendicare i propri diritti e secondo i consulenti le parti chiederanno aiuto a trovare una soluzione e a soddisfare i propri bisogni. Ciò che è comune nelle tre diverse interpretazioni è l’atteggiamento delle parti durante il conflitto. Non importa chi 6
sia il mediatore (se attivista, avvocato o consulente), ciò che egli deve attentamente osservare sono le parti, le modalità e gli approcci utilizzati. Si possono classificare alcune tipologie di persone che entrano in contatto con il mediatore: gli attaccanti, i remissivi, gli sfuggenti e coloro che rimangono trincerati nei propri punti di vista. L’elemento fondamentale per aiutare i soggetti a risolvere il conflitto è comprendere i bisogni che stanno alla base delle posizioni che essi prendono, pertanto il mediatore deve esaminare le posizioni iniziali e comprendere gli obiettivi. Risolvere con la mediazione Con la conciliazione due parti in conflitto tra loro sono aiutate da una terza persona, neutrale e indipendente, il mediatore, a trovare un’intesa. La conciliazione non porta ad un giudizio né ad una sentenza. In altre parole il mediatore non stabilisce chi ha torto e chi ha ragione, ma aiuta le parti a dialogare, avvicina le posizioni e favorisce il raggiungimento dell’accordo. Secondo il D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, la mediazione è l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa; il mediatore è la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione 7
rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo; la conciliazione è la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione; Utilizzando una definizione meno giuridica, potremmo dire che la mediazione ha l’obiettivo di cambiare la realtà conflittuale tra due o più parti, aiutandole, per mezzo di un terzo neutrale (mediatore), a conoscere come una situazione di conflitto persiste e si alimenta. La conciliazione è una procedura: •
Alternativa, rispetto al procedimento ordinario
•
volontaria poiché interamente fondata sulla libera volontà delle parti di trovare un accordo
•
riservata Perché nulla di quanto affermato dalle parti e dal conciliatore può essere oggetto di prova nell’eventuale giudizio successivo
La realtà non esiste La realtà non esiste, le nostre idee tradizionali sulla realtà sono illusioni che andiamo accumulando per la maggior parte della nostra vita, anche a rischio di costringere i fatti ad adattarsi alla nostra definizione di realtà e non viceversa. L’illusione più pericolosa è che esista soltanto un’unica realtà.
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Le persone incontrano grandi difficoltà a modificare una propria convinzione, specie se l’hanno costruita in maniera diretta attraverso l’esperienza. Non esiste un’unica realtà ontologicamente vera , ma tante realtà soggettive che variano a seconda del punto di vista adottato. La realtà viene considerata il prodotto della prospettiva, degli strumenti conoscitivi e del linguaggio mediante i quali la percepiamo e la comunichiamo3. Ogni realtà cambia dunque a seconda del punto di vista di chi la osserva, e ciò conduce a reazioni diverse sulla base delle differenti attribuzioni che si possono fare della medesima realtà.4 Spesso, però, ce ne dimentichiamo e cerchiamo di rendere assoluta la nostra realtà. Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti (Hegel) “La mappa non è il territorio che essa rappresenta”: il principio è di Alfred Korzybski (1879-1950). Afferma che la mappa, o modello, del mondo, differisce dal mondo stesso; in altre parole, che la rappresentazione della realtà non è la realtà: la realtà è oggettiva, mentre ogni sua rappresentazione è del tutto soggettiva.
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Nardone, La terapia dell’azienda malata, Ponte alle Grazie, 2007 Nardone, Solcare il mare all’insaputa del cielo, Ponte alle Grazie, 2008
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Creare una mappa del mondo non è una scelta: è una necessità umana. Per quanto parziale, opinabile, privata, la mappa è lo strumento per orientarsi. Nasce dalle percezioni: la realtà (R) si confronta con il singolo uomo, con i suoi vincoli neurologici, sociali, individuali; così filtrata, si trasforma in una rappresentazione (RR) personale, una mappa ridotta e fruibile, che guida l’individuo a selezionare e dare un senso alle esperienze future: La funzione del cervello e del sistema nervoso è di proteggerci contro il pericolo di essere sopraffatti e confusi […], lasciando solo quella piccolissima e particolare selezione che ha probabilità di essere utile in pratica […]. Per formulare ed esprimere il contenuto di questa ridotta consapevolezza, l’uomo ha inventato ed elaborato all’infinito quei sistemi di simboli e di implicite filosofie che chiamiamo lingue. Il linguaggio, a sua volta, è un modello: traspone in parole la nostra mappa del mondo. È dunque la rappresentazione (RRR) della rappresentazione (RR) della realtà (R): R → RR → RRR realtà → mappa della realtà → linguaggio La mappa non è il territorio; che equivale a dire che un conto è la realtà, un conto è la rappresentazione che ciascuno costruisce della sua realtà. Le persone non agiscono basandosi su come stanno effettivamente le cose. È più preciso dire che agiscono in base alla loro mappa personale di come stanno le cose. 10
Modi per risolvere un conflitto Esaminati gli aspetti generali del conflitto e sottolineato che il conflitto non deve spaventare quanto piuttosto essere considerato come una opportunità e possibilità per le parti, è evidente che lo stesso deve essere gestito, risolto, appianato e non evitato. Il mediatore che si pone l’obiettivo di aiutare le parti a gestire, risolvere e appianare il conflitto, deve saper essere in grado di riconoscerlo, di interagire con le parti e di avere una corretta percezione dei ruoli. E’ quindi innanzitutto un buon conoscitore delle dinamiche che avvengono e delle motivazioni per le quali esiste un conflitto, per le quali si cerca di presentare alcuni scenari: quando esistono parti che hanno convinzioni, pareri, interpretazioni e metri di valutazione diversi; quando si incontrano reciproche profezie che si auto avverano (“sapevo che sarebbe finita così..”); quando si è incapaci di gestire le proprie emozioni negative (rabbia, frustrazione, ecc.); quando esistono parti che hanno prese di posizioni inamovibili. Quando il mediatore cerca di risolvere un conflitto deve porsi i seguenti obiettivi, come suggerito da Bramanti1:
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Bramanti, Sociologia della mediazione. Franco Angeli, Milano, 2008
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Creare una mappa del mondo non è una scelta: è una necessità umana. Per quanto parziale, opinabile, privata, la mappa è lo strumento per orientarsi. Nasce dalle percezioni: la realtà (R) si confronta con il singolo uomo, con i suoi vincoli neurologici, sociali, individuali; così filtrata, si trasforma in una rappresentazione (RR) personale, una mappa ridotta e fruibile, che guida l’individuo a selezionare e dare un senso alle esperienze future: La funzione del cervello e del sistema nervoso è di proteggerci contro il pericolo di essere sopraffatti e confusi […], lasciando solo quella piccolissima e particolare selezione che ha probabilità di essere utile in pratica […]. Per formulare ed esprimere il contenuto di questa ridotta consapevolezza, l’uomo ha inventato ed elaborato all’infinito quei sistemi di simboli e di implicite filosofie che chiamiamo lingue. Il linguaggio, a sua volta, è un modello: traspone in parole la nostra mappa del mondo. È dunque la rappresentazione (RRR) della rappresentazione (RR) della realtà (R): R → RR → RRR realtà → mappa della realtà → linguaggio La mappa non è il territorio; che equivale a dire che un conto è la realtà, un conto è la rappresentazione che ciascuno costruisce della sua realtà. Le persone non agiscono basandosi su come stanno effettivamente le cose. È più preciso dire che agiscono in base alla loro mappa personale di come stanno le cose. 12
Le persone incontrano grandi difficoltà a modificare una propria convinzione, specie se l’hanno costruita in maniera diretta attraverso l’esperienza. Non esiste un’unica realtà ontologicamente vera , ma tante realtà soggettive che variano a seconda del punto di vista adottato. La realtà viene considerata il prodotto della prospettiva, degli strumenti conoscitivi e del linguaggio mediante i quali la percepiamo e la comunichiamo3. Ogni realtà cambia dunque a seconda del punto di vista di chi la osserva, e ciò conduce a reazioni diverse sulla base delle differenti attribuzioni che si possono fare della medesima realtà.4 Spesso, però, ce ne dimentichiamo e cerchiamo di rendere assoluta la nostra realtà. Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti (Hegel) “La mappa non è il territorio che essa rappresenta”: il principio è di Alfred Korzybski (1879-1950). Afferma che la mappa, o modello, del mondo, differisce dal mondo stesso; in altre parole, che la rappresentazione della realtà non è la realtà: la realtà è oggettiva, mentre ogni sua rappresentazione è del tutto soggettiva.
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Nardone, La terapia dell’azienda malata, Ponte alle Grazie, 2007 Nardone, Solcare il mare all’insaputa del cielo, Ponte alle Grazie, 2008
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rimanendo prive, in ogni caso, del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per i destinatari del servizio medesimo; la conciliazione è la composizione di una controversia a seguito dello svolgimento della mediazione; Utilizzando una definizione meno giuridica, potremmo dire che la mediazione ha l’obiettivo di cambiare la realtà conflittuale tra due o più parti, aiutandole, per mezzo di un terzo neutrale (mediatore), a conoscere come una situazione di conflitto persiste e si alimenta. La conciliazione è una procedura: •
Alternativa, rispetto al procedimento ordinario
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volontaria poiché interamente fondata sulla libera volontà delle parti di trovare un accordo
•
riservata Perché nulla di quanto affermato dalle parti e dal conciliatore può essere oggetto di prova nell’eventuale giudizio successivo
La realtà non esiste La realtà non esiste, le nostre idee tradizionali sulla realtà sono illusioni che andiamo accumulando per la maggior parte della nostra vita, anche a rischio di costringere i fatti ad adattarsi alla nostra definizione di realtà e non viceversa. L’illusione più pericolosa è che esista soltanto un’unica realtà.
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sia il mediatore (se attivista, avvocato o consulente), ciò che egli deve attentamente osservare sono le parti, le modalità e gli approcci utilizzati. Si possono classificare alcune tipologie di persone che entrano in contatto con il mediatore: gli attaccanti, i remissivi, gli sfuggenti e coloro che rimangono trincerati nei propri punti di vista. L’elemento fondamentale per aiutare i soggetti a risolvere il conflitto è comprendere i bisogni che stanno alla base delle posizioni che essi prendono, pertanto il mediatore deve esaminare le posizioni iniziali e comprendere gli obiettivi. Risolvere con la mediazione Con la conciliazione due parti in conflitto tra loro sono aiutate da una terza persona, neutrale e indipendente, il mediatore, a trovare un’intesa. La conciliazione non porta ad un giudizio né ad una sentenza. In altre parole il mediatore non stabilisce chi ha torto e chi ha ragione, ma aiuta le parti a dialogare, avvicina le posizioni e favorisce il raggiungimento dell’accordo. Secondo il D. Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, la mediazione è l'attività, comunque denominata, svolta da un terzo imparziale e finalizzata ad assistere due o più soggetti sia nella ricerca di un accordo amichevole per la composizione di una controversia, sia nella formulazione di una proposta per la risoluzione della stessa; il mediatore è la persona o le persone fisiche che, individualmente o collegialmente, svolgono la mediazione 15
scopo di conseguire una vittoria ufficialmente riconosciuta. E’ la teoria prevalente nelle società organizzate intorno a ordinamenti giuridici. Per risolvere questa tipologia di conflitto ci si rivolge ad avvocati e consulenti legali e spesso è richiesto l’intervento di un terzo in chiave decisionale; Teoria dei bisogni (Mankel-Meadow 1984): le parti vedono il conflitto come un ostacolo alla soddisfazione dei propri bisogni, dei propri desideri. Interessi che molto spesso rimangono nascosti dietro gli obiettivi concreti che gli individui affermano di perseguire. Per risolvere questa tipologia di conflitto ci si rivolge a consulenti. Risolvere un conflitto implica quasi sempre doversi muovere attraverso tutti e tre questi modi. Le parti possono accertare chi è il più forte, determinare chi ha giuridicamente ragione, cercare di riconciliare i loro interessi. Si può affermare che il comportamento delle persone rifletta tutte e tre le teorie. Tuttavia dalla prospettiva di chi interviene a favore del cliente, la risposta viene data a partire da una teoria sola. Secondo gli attivisti chi si rivolge a loro intende affermare il proprio potere, secondo gli avvocati, i clienti vogliono aiuto per rivendicare i propri diritti e secondo i consulenti le parti chiederanno aiuto a trovare una soluzione e a soddisfare i propri bisogni. Ciò che è comune nelle tre diverse interpretazioni è l’atteggiamento delle parti durante il conflitto. Non importa chi 16
1. identificare gli attori implicati nel conflitto; 2. esplicitare il tipo di appartenenza: cioè quale è il bene comune, la mission che li lega pur nel conflitto/cosa li fa litigare e non fuggire, evitando il conflitto; 3. identificare i punti di forza e di debolezza delle reti, cioè le loro potenzialità trasformative; 4. identificare la natura dei conflitti potenziali e in atto; 5. comprendere il livello del conflitto e le sue eventuali trasformazioni. Il conflitto può essere analizzato secondo tre diverse prospettive2: Teoria del potere (ABEL 1982): questa teoria prevede la risoluzione del conflitto basandosi sul potere o sulla forza. Partendo da questo presupposto, il conflitto viene visto come un modo per consolidare il proprio potere e dominare la controparte (o, viceversa, per opporsi alla sopraffazione). Le parti si affrontano sulla base di un rapporto di forza sia economica sia fisica. Per risolvere questa tipologia di conflitto ci si rivolge ad attivisti e difensori dei diritti; Teoria dei diritti (Fiss 1984): secondo questa teoria le parti vivono il conflitto come una minaccia per i propri diritti. Esse si confrontano in base a ruoli formali, con lo 2
Bush – Folger, La Promessa della Mediazione. Vallecchi, 2009
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Il rapporto tra questi tre elementi (tecnologia, comunicazione, relazione) è di tipo sistemico, talché ognuno influenza gli altri e ne viene, direttamente e/o indirettamente, a sua volta influenzato: nella causalità circolare la causa produce l’effetto e l’effetto a sua volta influenza retroattivamente la causa divenendo esso stesso causa (Watzlawick, 1976).
Relazione
Comunicazione
Tecnologia
Relazione L’importanza della relazione è direttamente proporzionale alla difficoltà di definirla. Ha a che fare con le emozioni ed incide sugli atteggiamenti interni che hanno un riflesso esterno attraverso il linguaggio non verbale. Raramente le decisioni vengono prese con un processo razionale-matematico, cioè con un'analisi che evidenzia i pro e i contro di ciascuna scelta. Il più delle volte, si utilizza una 18
strategia diversa, spesso inconscia, che si rifà agli esiti di passate esperienze, nelle quali riconosciamo una qualche analogia con la situazione presente. Dette esperienze hanno lasciato delle tracce, non necessariamente coscienti, che richiamano in noi emozioni e sentimenti, con connotazioni negative o positive. (Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi 1995) Le emozioni In un’antica leggenda giapponese si parla di un samurai che chiese ad un maestro zen di spiegarli la differenza tra inferno e paradiso. Il maestro non solo non rispose alla domanda, ma offese il samurai, che accecato dall’ira sguainò la spada per mozzargli la testa. Ecco questo è l’inferno disse il maestro. Il samurai capita la provocazione rimise la spada nel fodero. E questo è il paradiso continuò il maestro. Essere consapevoli delle emozioni significa poterle gestire e non esserne travolti. Nel corso della vita ogni individuo sviluppa particolari e ridondanti modalità di percezione e reazione, frutto della costante interazione tra le sue predisposizioni personali e le sue esperienze di vita. Una volta strutturato in virtù della sua continua ripetizione, il sistema percettivo-reattivo diventa un modello che scatta spontaneamente, influenzando la maniera in cui la persona percepisce e reagisce alla realtà circostante.( 19
Milanese Mordazzi, Coaching strategico, Ponte alle Grazie, pag. 65) Le sensazioni di base dominanti, che scatenano le emozioni sono essenzialmente quattro: Rabbia, piacere, dolore, paura (Milanese- Mordazzi, Coaching strategic, Ponte alle Grazie, 2007, pag.73) Individuando le sensazioni che sono alla base dei comportamenti, si è in grado di mettere in atto tecniche che ne permettono il controllo, trasformandole così da limiti in risorse. La logica è quella tipica di un approccio strategico: dar vita ad un’esperienza emozionale che modifichi il livello delle sensazioni e delle percezioni, dando luogo così a reazioni e comportamenti differenti che, alla fine, porteranno a un cambiamento anche a livello delle cognizioni. (Milanese Mordazzi, Coaching strategico, Ponte alle Grazie, 2007, pag. 75) Diviene, quindi fondamentale entrare in sintonia con gli altri, non solo essendo consapevoli delle proprie emozioni, ma diventando abili nel capire anche le emozioni altrui. E’ l’ora della ricreazione alla scuola materna, e un gruppo di bambini sta correndo nel prato. Reggie inciampa, si fa male al ginocchio e comincia a piangere, ma gli altri bambini continuano imperterriti a correre – tranne Roger , che si ferma. Quando i singhiozzi di Reggie diminuiscono, Roger si abbassa e 20
si strofina il ginocchio dichiarando “mi sono fatto male anch’io” (Daniel Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, 1996 pag. 147) L’empatia è la capacità di entrare in risonanza emotiva con l’altro, riuscendo cosi a meglio percepire i suoi sentimenti e stati d’animo, pur mantenendosi sempre sufficientemente distanziati e differenziati da lui. Comunicazione Gli assiomi della comunicazione (Watzlawick e altri, La Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma, 1971) Gli assiomi della comunicazione sono: “alcune proprietà semplici della comunicazione che hanno fondamentali implicazioni interpersonali” 1. Non si può non comunicare Il comportamento non ha un suo opposto. Non esiste un qualcosa che sia un non-comportamento, non è possibile non avere un comportamento. Ora, se si accetta che l'intero comportamento in una situazione di interazione ha valore di messaggio, vale a dire è comunicazione, ne consegue che comunque ci si sforzi, non si può non comunicare. L'attività, le parole o il silenzio hanno tutti valore di messaggio: influenzano gli altri e gli altri a loro volta non 21
possono non rispondere a queste comunicazioni e in tal modo comunicano anche loro. Ogni comportamento è comunicazione. Essere consapevoli del fatto che in qualsiasi momento della nostra vita sociale stiamo comunicando qualcosa a qualcuno può aiutarci a migliorare la nostra comunicazione. 2. La comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto ed un aspetto di relazione, in modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta comunicazione. Il contenuto della comunicazione è il messaggio, mentre la relazione è la forma. Ogni comunicazione si sviluppa contestualmente su entrambi questi livelli. E’ un altro modo per dire che la comunicazione non soltanto trasmette informazione, ma al tempo stesso impone un comportamento. Gli aspetti di relazione sono ad un livello più elevato dei contenuti: sono meta-informazione poiché sono informazione sull’informazione. La metacomunicazione si attua soprattutto tramite il canale non verbale, il movimento del corpo (cinesica), ed il canale paraverbale, i gesti, le espressioni del viso, le inflessioni della 22
voce, la sequenza, il ritmo e la cadenza delle stesse parole, e ogni altra espressione di cui l’organismo sia capace. L’aspetto relazionale facilita la comunicazione, non solo quando ambedue le parti ne sono coscienti (ed è questa la situazione ideale), ma anche quando è solo una parte a essere consapevole della capacita di metacomunicare. 3. Punteggiatura delle sequenze di eventi tra le persone Per comunicare efficacemente ciascuna parte deve prendere atto del punto di vista dell’altro. Non si deve mai dare per scontato che l’altro abbia lo stesso nostro punto di vista. La convinzione che esista solo la nostra realtà è spesso alla base dei conflitti. Watzlawick fa l'esempio della cavia da laboratorio che dice: "Ho addestrato bene il mio sperimentatore. Ogni volta che io premo la leva lui mi dà da mangiare"; quest'ultimo non accetta la punteggiatura che lo sperimentatore cerca di imporgli, secondo la quale è lo sperimentatore stesso che ha addestrato la cavia e non il contrario. Questo esempio dimostra che: non esiste una punteggiatura “oggettiva” cioè non si puo’ identificare in maniera oggettiva chi sta comunicando a chi, né chi sta influenzando chi. In una relazione c’è uno scambio continuo di atti comunicativi, tale che ci si influenza a vicenda continuamente. Ogni individuo interpreta lo scambio in modo tale da vedere il proprio comportamento come causato dal comportamento dell’altro, e mai come causa della reazione dell’altro, e viceversa: in breve, si accusa l’altro di essere la causa del 23
proprio comportamento. Anche il problema della punteggiatura è risolvibile solo a livello di metacomunicazione, cioè ad un livello in cui si parla della relazione, e non dei contenuti degli scambi comunicativi. Se qualcuno assume un comportamento che provoca negli altri una reazione alla quale quel certo comportamento sarebbe la risposta adeguata: l'individuo in questione, dunque, crede di reagire ad un atteggiamento che in realtà è stato da lui stesso provocato. In tal modo scatta una profezia che si autoavvera, perché se entro in una stanza convinto di essere simpatico, guarderò tutti con un sorriso, ed essi mi sorrideranno, rinforzando la mia convinzione in un circolo virtuoso. La soggettività della percezione porta all’autoinganno: se non vedo in modo obiettivo neanche ciò che sta fisicamente davanti a me, ma ciò che voglio vedere in quel momento, a maggior ragione le mie convinzioni, a volte i miei pregiudizi, influenzano l’opinione che mi faccio di una certa cosa, di un evento, di un messaggio. E quand’anche (i miei connotati) mi rappresentassero intero e preciso, dove mi rappresenterebbero? In quale realtà? Nella vostra, che non è quella di un altro; e poi di un altro e poi di un altro. C’è forse una realtà sola, una per tutti? Ma se abbiamo visto che non ce n’è una neanche per ciascuno di noi, poiché in noi stessi la nostra cangia di continuo! E allora? (Luigi Pirandello, Uno, nessuno, centomila). 24
4. Linguaggio numerico e analogico Nella comunicazione umana si hanno due possibilità di far riferimento agli oggetti: in modo analogico, attraverso una rappresentazione; in modo numerico, attraverso un’assegnazione simbolica. Poiché, come detto, in ogni comunicazione coesistono sia un aspetto di relazione che uno di contenuto, il modulo numerico è quello più adatto a trasmettere il contenuto, mentre il modulo analogico è più idoneo a definire la relazione. Quando si comunica per immagini la comunicazione è analogica; questa comprende tutta la comunicazione nonverbale. Quando si comunica usando le parole, la comunicazione segue il modulo digitale, le parole, infatti, sono frutto di una convenzione linguistica e prive di una correlazione con la cosa che rappresentano: Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus - la rosa, che era, esiste solo nel nome, noi possediamo soltanto nudi nomi ( U. Eco, Il nome della rosa, Bompiani, 1980) Per una comprensione adeguata, è di estrema utilità, quindi, cogliere anche il livello non verbale con in quale si esprime l’interlocutore e nello stesso tempo, per farsi capire appieno, trasmettere messaggi coerenti con i vari canali, verbale e non verbale. 5. Interazioni simmetriche e complementari Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. L’interazione simmetrica è caratterizzata 25
dall’uguaglianza e dalla minimizzazione della differenza, mentre il processo opposto caratterizza l’interazione complementare. Nella relazione complementare si hanno due diverse posizioni... un partner assume la posizione che è stata descritta in vario modo come quella superiore, primaria o oneup, mentre l’altro tiene la posizione corrispondente: inferiore, secondaria o one-down. Nel primo caso, si tende a rispecchiare il comportamento dell’altro, creando un’interazione simmetrica. Nel secondo caso, si cerca di completare il comportamento dell’altro, creando un’interazione complementare. A dispetto della definizione linguistica non esiste una prevalenza della posizione one-up su quella one-down, l’assunzione di una posizione o l’altra potrebbe essere determinata semplicemente da contesti culturali o sociali (es. padre/figlio, consulente/cliente, docente/allievo, dirigente/dipendente). In ogni relazione simmetrica c’è un maggior rischio di competitività che può portare al nascere di un conflitto, essere consapevoli del tipo di relazione che si vuole instaurare permette di essere chiari nel messaggio che si invia ed evitare sgradevoli conflitti di ruolo o lotte di potere. Come comunicare Se ogni nostro comportamento è comunicazione, la scelta sarà quella di comunicare o in modo casuale o in modo strategico. La comunicazione strategica ha come effetti quelli di generare meno conflittualità, perché è orientata a comprendere la 26
logica e gli schemi mentali dell’altro per creare con lui sintonia. Cambiare la percezione delle cose, non cambiare la comprensione, perché se io cambio la reazione emotiva, cambio la reazione comportamentale, e come effetto finale cambio la comprensione. (Nardone-Salvini, Il dialogo strategico, Ponte alle Grazie, 2004, pag. 35) Domande strategiche, parafrasi e ridefinizioni, linguaggio evocativo e sintonia per evocare nuove percezioni, gestione dello sguardo, prossemica, coordinamento tra il linguaggio verbale e non verbale sono tutti aspetti che andrebbero ben compresi e attuati per migliorare il proprio standard comunicativo. Nel comunicare si impara a mettersi nella prospettiva dell’altro sino a ritenerla ragionevole, ci si addestra alla tolleranza e al rispetto per l’altro. Se ci si abitua a vedere le cose da prospettive diverse, ci si allena all’elasticità mentale. Se ci si esercita ad assumere un atteggiamento morbido … si forma la capacità di tenere a bada le nostre reazioni impulsive. Se ci si sforza di usare un linguaggio arricchito da immagini evocative, si alimenta la nostra creatività. (G. Nardone, Correggimi se sbaglio, Ponte alle Grazie, pag. 78) Tecnologia
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E’ il saper condurre il processo negoziale con uno schema ben delineato, attraverso una precisa strategia, con l’uso di tecniche e l’applicazione di stratagemmi. Tattiche negoziali Sono conseguenti ad alcune tipologie di atteggiamenti individuali da individuare all’inizio del negoziato. Rilevare il tipo di resistenza al cambiamento della persona che sta di fronte per poi selezionare la tattica persuasoria da utilizzare. (Nardone, Mariotti, Milanese, Fiorenza, La terapia dell’azienda malata, Ponte alle Grazie, 2007, pag.78) Collaborativo Individuo che sembra possedere tutte le risorse emotive e razionali per condurre positivamente la negoziazione. Il rischio che si corre è che con l’idea di far bene, il collaborativo, invada il campo degli altri. Per aggirare tale comportamento, bisogna utilizzare una comunicazione razionale-dimostrativa, accettando la collaborazione e misurandola passo dopo passo. Si procede “cartesianamente” a ridefinire in maniera logigorazionale la sua prospettiva sulla realtà ritenuta disfunzionale, fino a condurre il soggetto collaborativo a comprendere ciò che non funziona. (Nardone, Mariotti, Milanese, Fiorenza, La terapia dell’azienda malata, Ponte alle Grazie, 2007, pag.78) L’oppositivo 28
Persona che si oppone all’interlocutore, con critiche o prese di posizione. In tal caso la comunicazione deve essere paradossale Colui che vorrebbe collaborare ma non può Persone che vorrebbero collaborare nel raggiungimento di un accordo, ma che non riescono a mettere in pratica quello che dovrebbero fare , generalmente a causa di forti blocchi emotivo-comportamentali. La comunicazione deve essere di tipo suggestivo. Nel campo della comunicazione ciò avviene quando si guida l’interlocutore a prestare attenzione ad aspetti irrilevanti delle nostre argomentazioni – presentati però come fondamentali – o a indicazioni che lo costringano a concentrarsi su certi dettagli , mentre lo convinciamo a ciò che è importante proponendolo come marginale. (Nardone, Cavalcare la propria tigre, Ponte alle Grazie, pag. 36) Chi non può né collaborare né opporsi Persone con una rigidità mentale tanto forte, che sono intrappolate nella propria mappa. In questo caso si dovrà essere particolarmente attenti a entrare nella logica della rappresentazione rigida, assumere i codici linguistici e attribuzionali evitando qualunque negazione e squalifica di tale costruzione. (Nardone, Mariotti, Milanese, Fiorenza, La terapia dell’azienda malata, Ponte alle Grazie, 2007, pag.80). 29
La comunicazione deve orientare verso nuove direzioni e condurre a ristrutturazioni, cioè cambiamenti di prospettive della realtà che modificano il significato della stessa.
Schema di una negoziazione: Informazioni
Dialogo Obiettivi
Accordo
Raccolta informazioni. La raccolta di informazioni non va trascurata, bisogna conoscere bene le regole del gioco, il quadro di riferimento all’interno del quale si sta negoziando, il profilo del nostro interlocutore, anche per capire se è effettivamente colui che prende le decisioni, essere preparati ad affrontare anche le situazioni di emergenza. L’informazione, unita all’esperienza ci fornisce conoscenza, e la conoscenza è potere. definizione obiettivi propri da raggiungere/ipotesi su obiettivi-interessi altrui. La corretta definizione dell’obiettivo da raggiungere molteplici utilità. Ci consente, infatti, di a. chiarire la direzione da seguire (Vorresti dirmi per dove debbo andare? — Dipende molto dal luogo dove vuoi andare, — rispose il Gatto. — Poco m’importa dove... 30
— disse Alice. — Allora importa poco sapere per dove devi andare, — soggiunse il Gatto. Lewis Carroll, Alice's Adventures in Wonderland, 1865). b. verificare i progressi fatti. c. stabilire anticipatamente quale sarebbe la nostra alternativa se l’obiettivo/accordo non venisse raggiunto. d. Considerare eventuali effetti collaterali Per le stesse considerazioni è utile anche cercare di capire quale potrebbe essere l’obiettivo/interesse dell’altra parte. Un metodo per definire un obiettivo è descritto da Peter Drucker (The Practice of Management 1954), attraverso l’acronimo S.M.A.R.T.: Specific. L'obiettivo fissato deve essere specifico, quindi deve essere chiaro, e non vago. Specificare l’obiettivo serve a determinarlo correttamente e consente di stabilire anche dei sotto-obiettivi intermedi. E’ bene, inoltre, che sia formulato positivamente. La negazione non esiste nelle rappresentazioni mentali primarie, ma deriva dall’elaborazione linguistica. Dobbiamo fare una distinzione molto netta tra le parole che le persone usano e le rappresentazioni interne che si fanno. Quando qualcuno dice: “non sono crudele”, potrebbe darsi che in quel momento si crei delle immagini in cui è buono, il che funziona bene; ma potrebbe crearsi delle immagini di crudeltà 31
e poi negarle, oppure fare entrambe le cose. (S.Andreas, Trasformare se stessi, 2004, Astrolabio, pag.214). Measurable. L'obiettivo deve essere misurabile, ciò permette di capire se il risultato atteso è stato raggiunto o meno ed eventualmente, quanto si è lontani dalla meta. Achievable. L'obiettivo deve essere realizzabile date le risorse e le capacità a propria disposizione. Esso non deve essere impossibile da raggiungere perché altrimenti potrebbe rischiare di ridurre la motivazione, ma al tempo stesso deve essere stimolante. Realistic. Un obiettivo deve essere sì stimolante, ma anche realisticamente raggiungibile date le risorse e i mezzi a disposizione. Obiettivi troppo lontani dalla realtà finiscono con il non essere presi troppo in considerazione poiché scoraggianti. Time Related. L'obiettivo deve essere basato sul tempo, cioè occorre determinare il periodo di tempo entro il quale l'obiettivo deve essere realizzato. Già nella formulazione degli obiettivi è possibile l’utilizzo di tecniche di problem solving. Peggior scenario, conseguenze negative al mancato accordo. Si tratta di immaginare quali potrebbero essere le peggiori conseguenze al mancato accordo. Meglio un brutto accordo che una bella causa. 32
Se vuoi drizzare una cosa impara prima a storcerla di più. Innanzitutto si identificheranno le cose da evitare, e questa è una prima importante forma di conoscenza. Ma nel momento in cui io sgombro il campo dalle possibilità controproducenti, lo apro a quelle costruttive, conducendo la mia mente a percepire la stessa realtà da nuove prospettive. (G.Nardone, Cavalcare al propria tigre, Ponte alle Grazie, pag. 56,) Scenario ideale al di là del problema. Si tratta di domandarsi quale sarebbe lo scenario se l’accordo ideale fosse raggiunto. Questo ci permette: a. di esplorare ipotesi nuove che normalmente non cogliamo perché siamo concentrati sulla realtà presente e passata (che riguarda il problema e non la soluzione). Tutti abbiamo la capacità di immaginare quello che ci piacerebbe che fosse: il problema è che il più delle volte non riusciamo a realizzarlo. La tecnica serve proprio, come prima cosa, a liberare la pura immaginazione, per poi selezionarne gli aspetti realizzabili concretamente. (Nardone Problem solving strategico da tasca, Ponte alle Grazie, pag. 46) b. di analizzare anche gli ulteriori effetti indesiderati che potrebbero derivare dal raggiungimento dell’accordo. … un semplice battito d’ali di una farfalla può innescare una concatenazione di eventi che conduce a un uragano a qualche migliaio di chilometri di distanza. Si può rilevare un effetto butterfly, come viene definito, ogni qual volta introduciamo un 33
cambiamento benché minimale in un sistema complesso. Ci appare quindi importante poter prevedere questo tipo di processo, soprattutto quando va in direzione negativa, per poterne evitare gli effetti. (Nardone, Problem solving strategico da tasca, Ponte alle Grazie, pag. 50) Dialogo con l’altra parte. Il dialogo con l’altra parte è certamente il momento fondamentale della negoziazione. Anche in questo caso ci può aiutare l’utilizzo di un approccio strategico. La struttura del dialogo strategico comprende:
Domande
Linguaggio evocativo
Parafrasi
- una sequenza di domande, che partono da interrogativi ampi per arrivare a risposte molto più specifiche che possano cambiare la percezione delle proprie asserzioni. Le domande strategiche sono ad alternative di risposta, indirizzano il dialogo verso l’obiettivo, esplorano le soluzioni già attuate e aiutano a delineare nuove prospettive. 34
- parafrasi ristrutturanti, così si designa la manovra che segue la sequenza di duo o tre domande : si utilizzano le risposte per formulare una definizione del problema che ne verifichi la corretta comprensione. Non viene proposta alcuna valutazione o interpretazione … (Nardone Salvini, Il dialogo strategico, Ponte alle Grazie, 2004, pag.48) - l'uso del linguaggio evocativo, cioè un linguaggio che evochi sensazioni in grado di raggiungere le emozioni del nostro interlocutore. L’arte di utilizzare questa tecnica risiede nell’orientare i suoi effetti in direzione avversiva nei confronti degli atteggiamenti o comportamenti che devono essere interrotti o cambiati e in maniera esaltante nei confronti di quelle reazioni da incentivare o incrementare. (Nardone Salvini, Il dialogo strategico, Ponte alle Grazie, 2004, pag.52) Il linguaggio deve essere in sintonia con lo stile comunicativo sia dell’interlocutore che di chi ne fa uso. Raggiungimento di un accordo. Il raggiungimento dell’accordo passa da una fase in cui è importante riassumere le soluzioni che man mano si sono delineate. Incorniciare tutto il precedente processo dialogico con i suoi punti cruciali, all’interno di una sequenza logica concordata da entrambi gli interlocutori, produce un effetto persuasorio 35
formidabile. (Nardone Salvini, Il dialogo strategico, Ponte alle Grazie, 2004, pag.55) La zona di possibile accordo sarà cosÏ circoscritta e condivisa. E’ la fase in cui il cambiamento produce i suoi effetti, nella quale si sancisce il passaggio da soluzioni che non funzionano e che alimentano il problema a soluzioni che funzionano.
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Appendice
Un’arancia per due
Liberamente tratto da un aneddoto ripreso da M.P. Follet, Constructive conflict, in H.C. Metcalfe, L. Urwick (a cura di) Dynamic Administration: The Collected Papers of Mary Parker Follet, Harper and Row, New York, 1940.
Un ignaro fruttivendolo incomincia la sua giornata di lavoro
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Contemporaneamente due signore del quartiere escono da casa per fare al spesa (oggi per prima cosa la frutta)
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Sfortunatamente quel giorno non erano state consegnate arance, e ne era rimasta una sola dal giorno precedente
L’arancia e mia … No, l’ho vista prima io … Io avevo chiesto di metterla da parte … No, era già nelle mie mani … E’ una questione di rispetto … Se non la ottengo non metterò più piede in questo negozio…
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Il fruttivendolo decise di intervenire, dapprima propose l’arancia alla signora col cappello rosso, ma notò subito il disappunto dell’altra
Allora provò d assegnare l’arancia alla signora prosperosa, ma anche in questo caso noto il disappunto dell’altra
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Ebbe l’idea, quindi di dividere salomonicamente l’arancia in due. Ma con suo stupore si accorse che entrambe le signore erano insoddisfatte
All’improvviso si ricordò di un libro di un professore di Harvard, che aveva sfogliato nella sala d’attesa del suo commercialista e chiese alle due donne a cosa serviva loro l’arancia.
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La prima lo deliziò con la ricetta di una torta per la quale erano però necessari dei canditi ottenuti con la buccia dell’arancia.
La seconda motivò la scelta dell’arancia dettata dalla sua necessità di ottenere una spremuta
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Il fruttivendolo, capite le esigenze, propose la soluzione
Entrambe furono soddisfatte, la prima di ricevere la buccia per i suoi canditi, la seconda la polpa per il suo succo.
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La storiella originale a questo punto finisce, avendo raggiunto lo scopo di dimostrare che il gioco a somma zero rischia di scontentare uno o entrambi i partecipanti, mentre con una ricerca degli interessi sottostanti alle posizioni si può arrivare ad una soddisfazione congiunta. Ma a noi piace pensare che alla fine della faticosa giornata il buon uomo rientri a casa
E si gusti la sua torta
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E dopo cena uscendo per una sana passeggiata digestiva
Si goda il suo succo
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L’opportunità della conciliazione per le categorie professionali, ancor prima e indipendentemente dalla mediazione in sé, può essere quella di aprire una finestra su ciò che sono la comunicazione e la negoziazione, per acquisire una competenza specifica da utilizzare nell’attività professionale non solo in modo consapevole, ma con efficienza ed efficacia e quindi permettendo di raggiungere gli obiettivi con il minor sforzo possibile.
Luigi Puccio, Dottore Commercialista in Bologna, Mediatore, Componente della Commissione di Studio UNGDCEC “Arbitrato e Conciliazione”; relatore nel ciclo di convegni “Conciliazione.knos”. Componente del Comitato Scientifico del 49° Congresso UNGDCEC sulla Mediazione a Matera (aprile 2011). Ha ottenuto il diploma post laurea della Scuola di Alta formazione in ADR presso L’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, oltre ad aver conseguito il livello Pratctioner e Master di PNL e frequentato il corso biennale in negoziazione strategica, della Scuola di comunicazione strategica di Arezzo con il prof. Giorgio Nardone.
ISBN: 978-88-60271-01-3