Linee@vcp - Rivista nr. 3/2014

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SOMMARIO Editoriale Le nuove Direttive europee in materia di appalti e rilancio del Sistema –Paese di Sergio Gallo – Vice Presidente Avcp

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Focus AVCP Analisi e verifica di impatto della regolamentazione nell’AVCP di Paola Pittelli – Avcp 8 Evidenziate dall’Autorità le “criticità legate ai lavori per la realizzazione della Nuvola, il nuovo centro congresso di Roma in corso di costruzione all’Eur di Redazione – Avcp 18 Le tematiche strategiche ed i profili innovativi delle direttive europee sugli Appalti, Utilities e Concessioni al centro di una segnalazione al Governo ed al Parlamento di Redazione – Avcp 20 Servizio di realizzazione del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di Redazione – Avcp 42 Nuovi controlli ordinari e straordinari attribuiti all’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture di Alma Chiettini – Consigliere T.R.G.A. Trento 44

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Sommario

Focus AVCP AVCP e Corte dei conti: sinergie in tema di trasparenza dei contratti pubblici di F.Fraioli – V.Proc. G. Corte dei conti per l’Umbria

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Direttive Comunitarie Chiarimenti sull’istituto giuridico di concessione nella Direttiva 2014/23/UE. Il rischio “operativo” nel rapporto concessorio di Maria Giuseppina Greco – Avcp

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Note e Commenti La Crisi del Diritto di Bruno Amoroso – Pres. Tar Veneto

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Analisi Normativa Diritto europeo ed affidamenti di servizi in convenzione ad associazioni di volontariato di Cinzia Papi – Avcp La garanzia globale di esecuzione: aspetti problematici di Luciana Ciaccia – Avcp

Note a sentenza Osservatorio sulla giurisprudenza diretto da M.A. Sandulli e coordinato da V. Nunziata di L. Arecchi, F. Aperio Bella, A. Leoni, M. Nunziata

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Sommario

Rassegna delle massime dell’Autorità Anno 2013: rassegna delle massime dell’Autorità di “criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse” di Nicoletta Torchio – Avcp

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EDITORIALE

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Le nuove Direttive europee in materia di appalti ed il rilancio del Sistema – Paese di Sergio Gallo (Vice Presidente dell’AVCP) Pubblichiamo con vivo compiacimento la relazione del Presidente del TAR Veneto, Pres. Amoroso, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2014. La pubblichiamo con particolare entusiasmo perché il Pres. Amoroso ha saputo trasformare, negli anni, pesanti rituali in ariose e dotte trattazioni giuridico – dottrinarie. Quest’anno ha inteso affrontare un tema centrale quale la c.d. “crisi del diritto” e i suoi riflessi nei confronti della giustizia amministrativa e ciò con riferimento al pensiero di Paolo Grossi. Presupposto – assolutamente condivisibile – è che il diritto risente delle vicende economico – sociali e, quindi, la continua innovazione richiederebbe delle capacità di altrettanti adeguati nuovi assetti normativi. Quanto più è lento il processo di adeguamento normativo tanto più si espande la capacità di risposta della magistratura. Affermazioni assolutamente pregnanti in un contesto socio – economico quale quello italiano, attraversato nuovamente dalla questione della corruzione che alligna prepotentemente proprio nel mercato degli appalti pubblici. Il legislatore, ma tutte le Istituzioni in qualche modo competenti, hanno ora un’occasione storica quantomeno con riferimento proprio al mercato degli appalti pubblici e delle concessioni. Come è noto a febbraio di quest’anno sono state approvate tre Direttive europee, la prima in materia di appalti nei settori ordinari, la seconda in materia dei settori speciali e la terza – del tutto innovativa non essendovi precedenti – in materia di concessioni.

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Sono Direttive che si inseriscono nel programma c.d. Europa 2020, un volano per uno sviluppo economico sostenibile e solidale ispirato a principi di maggiore flessibilità e semplificazione delle procedure ma anche di maggiore responsabilizzazione sia delle stazioni appaltanti che degli operatori economici, nonché ispirato alle esigenze di promuovere le PMI, la centralizzazione degli acquisti e l’informatizzazione delle procedure. Le Direttive costituiscono un’opportunità di regolare finalmente in modo sistematico il mercato degli appalti pubblici, correggendo gli errori, le criticità e la pesantezza del sistema attualmente vigente. L’AVCP, proprio nell’ultimo Consiglio di questo mese di maggio, ha approvato una segnalazione al Governo e al Parlamento avente ad oggetto proprio le Direttive e il loro processo di recepimento. Scopo della segnalazione – che pubblichiamo contestualmente su questo numero della Rivista – è soprattutto quello di evidenziare i profili strategici ed innovativi delle Direttive. Riteniamo però importante integrare la Segnalazione con un’osservazione: sicuramente sussiste la necessità di un processo normativo omogeneo e per quanto sia possibile lineare. Ma occorre altresì la consapevolezza della necessaria sinergia istituzionale tra tutti quegli organi ministeriali e non che hanno competenze ed attribuzioni specifiche nella materia della contrattualistica pubblica, che oggi è solo in minima parte percentuale rappresentata dagli appalti di lavori. Occorre, dunque, una sinergia ed un contestuale più alto e superiore coordinamento istituzionale, unica arma vincente nella sfida di costruire un sistema del mercato degli appalti efficiente e trasparente. Noi siamo pronti a dare il nostro contributo. Come sempre

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FOCUS AVCP

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Analisi e verifica di impatto della regolamentazione nell’Avcp di Paola Pittelli Sommario: 1. Premessa: la funzione di regolazione dell’Avcp; 2. La normativa europea e nazionale in materia di AIR e VIR; 3. L’attività di consultazione preventiva dell’Avcp; 4. Il regolamento per la disciplina dell’AIR e della VIR e la calendarizzazione delle consultazioni; 5. Conclusioni.

1. Premessa: la funzione di regolazione dell’Avcp Nata nel 1994 con la legge Merloni, l’Avcp (all’epoca AVLLPP) è stata sin da subito dotata di compiti e funzioni essenzialmente di vigilanza e controllo sul mercato pubblico. Si era in piena tangentopoli, un momento storico di profonda crisi del sistema italiano, in cui le indagini giudiziarie sulle tangenti negli appalti colpirono ‐ su larga scala ‐ politici, imprenditori e finanzieri. Scandali, avvisi di garanzia, arresti e suicidi erano all’ordine del giorno, quindi, comprensibilmente, il legislatore nazionale ha pensato di introdurre nell’ordinamento italiano un nuovo controllore, munito di ampi poteri di vigilanza sulle procedure di affidamento dei lavori pubblici. Ma il ruolo dell’Avcp non poteva evidentemente fermarsi a quello di controllore ex post delle singole gare d’appalto. Si percepì, infatti, sin da subito, la necessità di offrire alle stazioni appaltanti e agli operatori del mercato delle linee guida su questioni di interesse generale, al fine di prevenire, piuttosto che punire, eventuali illegittime applicazioni di una normativa di settore peraltro non sempre chiara. La funzione di regolazione dell’Avcp, quindi, inscindibile da quella di vigilanza e controllo, si è consolidata negli anni come risposta alle questioni sempre più

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complesse poste dal mercato, per offrire utili strumenti interpretativi della complessa disciplina degli appalti pubblici1. I principali atti di regolazione a carattere generale, adottati dall’Avcp nell’esercizio delle sue funzioni ed aventi un impatto diretto sul mercato, sono le determinazioni, i pareri, le linee guida e, da ultimo, i bandi tipo: si tratta di punti di riferimento imprescindibili sia per le amministrazioni aggiudicatrici sia per gli operatori economici che, sin dall’origine, hanno essi stessi investito l’Autorità di questo potere regolatorio, del quale il legislatore non a potuto far altro che prendere atto. Ed invero, a fronte dei numerosi interventi regolatori adottati in risposta alle più disparate esigenze del mercato, la legge ha riconosciuto formalmente, in capo all’Avcp, quella funzione di regolazione in realtà già esercitata da anni, stabilendo all’art. 8, comma 5 del Codice dei Contratti che “le delibere dellʹAutorità, ove riguardino questioni di interesse generale o la soluzione di questioni di massima, sono pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e sul sito informatico dellʹAutorità”. Tale funzione di regolazione è poi stata via via incrementata negli anni. Basti ricordare l’art. 4 comma 2 della L. 106/11 che, in attuazione delle direttive europee sugli appalti pubblici del 2004, ha assegnato all’Autorità il compito di predisporre i bandi‐tipo e, da ultimo, il D.L. 66/14, che riconosce, in capo all’Avcp, la funzione (chiaramente regolatoria) di fissare i prezzi di riferimento per la programmazione delle attività contrattuali della pubblica amministrazione. Tali prezzi rappresenteranno il prezzo massimo di aggiudicazione, pena la nullità di eventuali pattuizioni che ne prevedessero il superamento. In conclusione, non v’è dubbio che l’Avcp, sin dalla sua istituzione, oltre ai compiti di vigilanza e controllo sulle singole gare, abbia svolto (rectius: svolga) una funzione di regolazione del mercato pubblico a carattere generale2, su espressa richiesta delle amministrazioni aggiudicatrici e degli operatori, che ne hanno da subito riconosciuto l’autorevolezza, non solo alla luce della “terzietà” che la contraddistingue, ma soprattutto in considerazione del suo modus operandi, da subito improntato, nel

V., in tal senso, M.A. Sandulli, «Natura ed effetti dei pareri dell’AVCP» su federalismi.it n. 25/2013. Per una disamina completa delle funzioni dell’Avcp, cfr. C. Celone, «La funzione di vigilanza e regolazione dell’autorità sui contratti pubblici», Milano, Giuffré, 2012. 1

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processo regolamentare e decisionale, sul massimo coinvolgimento dei soggetti interessati, come si dirà più approfonditamente nel prosieguo. 2. La normativa europea e nazionale in materia di AIR e VIR L’analisi di impatto della regolamentazione (AIR) è uno strumento c.d. better regulation ed economia normativa, finalizzato a stabilire ex ante se un intervento di natura regolamentare sia effettivamente necessario e, soprattutto, se rappresenti la soluzione più indicata per il raggiungimento dell’obiettivo prefissato3. Nata negli Stati Uniti intorno agli anni settanta e trapiantata nel Regno Unito negli anni ottanta, l’AIR è stata introdotta in ambito europeo intorno negli anni novanta, allorché l’OCSE ha invitato gli stati membri ad adottare sistemi di valutazione della regolazione, al fine di migliorarne la qualità45. Sulla scia di tale prima raccomandazione, si sono poi susseguiti diversi interventi europei, sia normativi sia di c.d. soft law, tutti finalizzati a diffondere l’utilizzo degli strumenti di analisi di impatto della regolazione. Fra i tanti, val la pena ricordare la comunicazione del 2005 «Better Regulation for Growth and Jobs in the European Union» con cui la Commissione Europea , nell’ambito della strategia di Lisbona sulla competitività e sulla crescita, ha individuato nell’AIR uno dei tre elementi per migliorare la qualità della regolamentazione (insieme alla riduzione degli oneri amministrativi ed alla semplificazione) e la comunicazione 2010 «Smart Regulation in the European Union», con cui, sempre la Commissione, nell’ambito della nuova strategia per la crescita UE 2020, ha implementato il concetto della precedente strategia. Come chiarito dall’Osservatorio AIR, il concetto di smart include nelle politiche di miglioramento della regolazione l’idea che legiferare “non vuol dire ridurre o aumentare il numero di regole, quanto piuttosto ottenere risultati nel modo meno oneroso possibile”. Superata la visione del “less is more“, la Commissione si è concentrata sul miglioramento della regolazione attraverso il miglioramento delle ricerche e del drafting alla base delle norme, che minimizzi il rischio di creare regole mal concepite. V. per una definizione ed un approfondimento «Codice di drafting», libro secondo, sezione quinta (AIR), presentazione di A. Ghiribelli su www.tecnichenormative.it 4 V. la raccomandazione OCSE adottata il 9 marzo 1995 sul miglioramento della qualità della regolazione «Recommendation of the Council on Improving the Quality of Government Regulation». 5 Per un approfondimento, V., ex multis, A. Callea, «L’analisi di impatto della regolamentazione: osservazioni a margine del d.P.C.M. n. 170/2008», in Amministrare, 2009, fasc. 3, pagg.429‐447. 3

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Inoltre, con la smart regulation è stata introdotta anche una seconda novità, il cosiddetto life‐cycle approach, un approccio che guardi all’intero ciclo di definizione delle politiche e ponga maggiore attenzione alla valutazione delle regole già esistenti6. Per quanto riguarda il nostro paese, l’AIR è stata introdotta in via sperimentale con la L. 50/99, in attuazione della quale sono state emanate varie direttive e circolari7. Con la L. 229/2003 l’ambito dell’AIR è stato esteso anche alle Autorità indipendenti e con la successiva L. 246/2005, in parte attuata con il dpcm 170/2008, il legislatore ha fornito una precisa definizione ed emanato specifiche disposizioni.8 Sebbene tale ultima fonte, per sua espressa previsione, non sia vincolante per le autorità indipendenti9, essa rappresenta comunque un utile riferimento, in quanto fissa i criteri generali e le procedure da seguire per la realizzazione dell’AIR. In particolare, l’art. 5 del dpcm 170/2008 stabilisce che la redazione della relazione AIR debba essere preceduta da un’istruttoria che preveda la consultazione “delle principali categorie di soggetti pubblici e privati destinatari diretti e indiretti della proposta di regolamentazione”(i c.d. stakeholders) e l’art. 6 fissa i contenuti della relazione. La scheda AIR deve essere articolata in sette sezioni dedicate, rispettivamente, all’analisi del contesto (normativo, sociale ed economico, con indicazione degli obiettivi e dei destinatari), alle procedure di consultazione, alla valutazione dell’opzione di non intervento (c.d. opzione zero), all’analisi delle opzioni alternative di intervento diverse da quella adottata, alla giustificazione dell’opzione regolatoria proposta (con indicazione dei vantaggi e degli svantaggi, la comparazione con le altre e la misurazione dei costi), all’analisi dell’incidenza dell’intervento prescelto sul corretto funzionamento del mercato e sulla competitività del paese ed alle modalità attuative dell’intervento, con indicazione dei responsabili. Per quanto riguarda, infine, la normativa in tema di AIR direttamente afferente all’Avcp, si segnala la L. n. 62/2005, che ha espressamente previsto che per “l’emanazione di atti di competenza e, in particolare, di atti amministrativi generali, di Osservatorio AIR, «Da better a smart, il futuro della regulation nella Commissione», su www.osservatorioair.it. V. dpcm 27.3.2000, circolare della Presidenza del consiglio dei ministri 16.1.2001 (c.d. «Guida alla sperimentazione dell’Air»), direttiva del presidente del consiglio 21.9.2001 .V. supra n. 5. 8 Per una ricostruzione cronologica della legislazione in materia di AIR, fino al dpcm 170/2008, V. supra n. 5. 9 Art. 2 “Ambito di applicazione dell’AIR: la disciplina…si applica agli atti normativi del Governo,…..ai provvedimenti interministeriali, e ai disegni di legge di iniziativa governativa”. 6 7

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programmazione o pianificazione” l’Autorità si doti “di forme e metodi di organizzazione e di analisi di impatto della normazione” e l’art. 8 comma 1 del codice dei Contratti, che ribadisce la necessità che l’Avcp proceda all’AIR e, in particolare, alla consultazione preventiva degli stakeholders. La verifica di impatto della regolamentazione (VIR), al pari dell’AIR, è uno strumento di better regulation e di controllo dell’azione amministrativa. Si tratta della valutazione ex post dell’intervento regolatorio ed è volta ad accertare, dopo un congruo periodo di osservazione, che quest’ultimo risponda effettivamente agli obiettivi prefissati e, soprattutto, abbia sortito gli effetti previsti. Le principali norme di riferimento in materia di VIR sono la già citata L. 246/05, che ne ha fornito una definizione10 e il regolamento sulla VIR approvato con dpcm 212/2009 che, come il dpcm 170/2008 sull’AIR, pur non essendo vincolante per le autorità indipendenti, costituisce comunque un riferimento utile. Secondo il regolamento, la VIR deve essere effettuata principalmente sugli atti normativi già oggetto di AIR, dopo un biennio dalla loro entrata in vigore, ma non ne esclude l’applicabilità anche ad atti non preventivamente assoggettati ad AIR. L’amministrazione competente a svolgere la VIR è, di norma, quella che ha eseguito l’AIR o, in mancanza, quella competente ad emanare la norma oggetto di verifica. Oggetto della VIR sono diversi elementi, quali, a titolo esemplificativo, il raggiungimento delle finalità che l’atto normativo si prefiggeva, i costi e gli effetti della norma, la sua osservanza da parte dei destinatari, i risultati in termini di semplificazione, l’eventuale insorgenza di costi o effetti non previsti e, in generale, di criticità che comportino misure integrative o correttive. 3. L’attività di consultazione preventiva nella storia dell’Avcp Come si è visto nel paragrafo precedente, la fase centrale dell’AIR è rappresentata dalla consultazione preventiva degli stakeholders, ovvero di tutti quei soggetti, pubblici e privati, che saranno impattati dall’atto di regolazione in via di definizione.

Art. 14 (Semplificazione della legislazione) comma 4 “La verifica di impatto della regolamentazione (VIR) consiste nella valutazione, anche periodica, del raggiungimento delle finalità e nella stima dei costi e degli effetti prodotti da atti normativi sulle attività dei cittadini e delle imprese e sull’organizzazione e sul funzionamento delle pubbliche amministrazioni”.

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Si tratta di una fase cruciale, in cui i diretti interessati hanno l’opportunità di partecipare alla “costruzione” della norma che li riguarderà, di conseguenza, maggiore è il loro coinvolgimento, minore sarà il rischio di un atto normativo inadeguato. Il principio sopra enucleato, pur di recente introduzione nel nostro ordinamento, in realtà è stato fatto proprio dall’Avcp sin dagli albori della sua attività, allorché è stata investita direttamente dal mercato di quella funzione di regolazione di cui si è detto in premessa. Quotidianamente chiamata a risolvere i problemi interpretativi posti dalle amministrazioni e dagli operatori del mercato, l’Avcp si è immediatamente accorta della necessità di coinvolgere nel processo di regolazione tutti i soggetti interessati dagli atti emanandi ed ha dato il via ad una prassi di consultazione preventiva del mercato, molto prima che il legislatore la imponesse come strumento di better regulation. In particolare, l’Avcp ha previsto, sin dall’inizio della sua attività, un sistema di audizioni preventive e periodiche degli operatori del mercato, al fine di individuare le problematiche più comuni e raccogliere osservazioni e proposte per l’individuazione di possibili soluzioni, con la convinzione che una regolamentazione “concordata” abbia maggiori probabilità di essere accettata ed applicata. Negli anni, accanto alle audizioni hanno poi trovato spazio anche altre forme di coinvolgimento degli stakeholders, quali i tavoli tecnici e le consultazioni on‐line, sino all’adozione, ad ottobre 2011, del regolamento per la partecipazione ai procedimenti di regolazione dell’Autorità, volto a disciplinare le diverse modalità di consultazione pubblica, al fine di migliorare la qualità degli atti regolatori e valutarne, in via preventiva, l’impatto sul mercato. Da ultimo, proprio al fine di meglio organizzare la sua complessa attività di regolamentazione, l’Avcp ha costituito al suo interno la Direzione Generale Regolazione del mercato, Legislazione e Studi, che si compone di tre uffici strategici, uno dei quali preposto all’AIR ed alla VIR. I risultati di tale riorganizzazione non si sono fatti aspettare e sono rappresentati dal recente regolamento per la disciplina dell’AIR e della VIR e dalla pubblicazione del

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calendario delle consultazioni pubbliche e dei tavoli tecnici, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo. Da sempre attenta alle esigenze ed ai segnali del mercato, l’Avcp può esser considerata dunque, a ragion veduta, una precorritrice dell’AIR e della VIR . 4. Il regolamento per la disciplina dell’AIR e della VIR e la calendarizzazione delle consultazioni Il regolamento dell’Avcp per la disciplina dell’AIR e della VIR (innanzi: regolamento) è stato approvato dal Consiglio dell’Autorità il 24 ottobre 2013 e pubblicato nella G.U. n. 278 del 27 novembre 2013. Esso si affianca al già citato regolamento per la partecipazione ai procedimenti di regolazione dell’Autorità adottato ad ottobre 2011, superandone i limiti in considerazione dei nuovi compiti assegnati all’Avcp ed in ottemperanza agli obblighi di legge. Il regolamento in questione è stato esso stesso oggetto di consultazione preventiva. Trattandosi di un atto di regolazione, infatti, l’Avcp ha pubblicato sul proprio sito istituzionale un documento di consultazione contenente gli aspetti più rilevanti dell’emanando regolamento ed ha assegnato agli stakeholders un termine per la formulazione di osservazioni, puntualmente pervenute da parte dell’Osservatorio AIR sulle autorità indipendenti. Tali osservazioni sono state analizzate e condivise dall’Avcp che, successivamente, ha approvato un testo finale, agevolmente reperibile sul sito istituzionale. Il regolamento si compone di tredici articoli che spiegano in maniera chiara e facilmente comprensibile le attività di AIR e di VIR degli atti di contenuto generale dell’Avcp che hanno impatto sul mercato degli appalti pubblici (i.e. determinazioni, atti di segnalazione, bandi‐tipo, istruzioni alle SOA). Innanzitutto il regolamenti spiega che la selezione dei casi da sottoporre ad AIR e, quindi, il progetto di atto regolatorio nasce a seguito del recepimento, da parte dell’Avcp, dei vari segnali del mercato, dal raffronto dei dati presenti sulla banca dati nazionali dei contratti pubblici, dalle segnalazioni ricevute, dalle notizie apprese dagli organi di informazioni ma anche da tavoli tecnici ed audizioni preventive organizzate all’apposito fine di raccogliere proposte, suggerimenti e informazioni.

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Sul sito istituzionale è poi predisposto un calendario (non vincolante) delle consultazioni, dove sono indicati gli atti che l’Avcp intende sottoporre ad AIR o a consultazione ridotta al fine di consentire l’invio di osservazioni per la futura redazione del c.d. documento di consultazione che, approvato dal Consiglio e pubblicato sul sito, contiene gli elementi sui quali si chiede di conoscere la posizione degli stakeholders. Nei casi particolarmente complessi l’Avcp può procedere ad audizioni pubbliche con determinati soggetti selezionati, in ogni caso, assegna un termine per le osservazioni, ai fini dell’adozione dell’atto finale. Scaduto il termine, tutte le osservazioni sono pubblicate sul sito e, se non è necessaria una seconda consultazione, l’Avcp adotta l’atto finale, che contiene, come atto separato, la relazione AIR, nella quale sono descritte le ragioni di scelta dell’intervento, gli esiti attesi dal provvedimento, le motivazioni per la scelta di determinate soluzioni e una risposta a tutte le osservazioni ricevute, con particolare riferimento a quelle contenenti elementi di difformità rispetto all’atto adottato. Infine, il regolamento prevede che nella relazione AIR o nel provvedimento finale sia indicata la eventuale previsione di VIR che, nel caso del regolamento stesso, è prevista dopo circa un anno dalla sua pubblicazione. Al procedimento ed alla calendarizzazione della VIR si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni sull’AIR; la VIR si può concludere con la conferma dell’atto valutato, con la sua modifica per aspetti di dettaglio o con l’avvio di una nuova AIR, al fine di adottare un atto di regolazione sostitutivo del precedente. Il regolamento dell’Avcp per la disciplina dell’AIR e della VIR è stato positivamente valutato dall’Osservatorio AIR, che lo ha definito un “passo decisivo”, anche alla luce dell’“importanza crescente delle funzioni esercitate dall’Autorità ed il conseguente maggiore impatto delle…decisioni…”11. Ad avviso di chi scrive, un altro passo fondamentale per assicurare la trasparenza e l’efficienza della pubblica amministrazione, che certamente l’Osservatorio AIR non mancherà di rilevare, è rappresentato dalla pubblicazione sul sito istituzionale del

11 S. Morettini, L’AIR nell’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici (AVCP), Osservatorio sull’Analisi di Impatto della

Regolazione, www.osservatorioair.it, marzo 2014, S 1/2014

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calendario delle consultazioni, in cui sono indicate sia le consultazioni e i tavoli tecnici in corso, sia quelli previsti nei mesi a venire. Basta un semplice “click” sulla home page per verificare, ad esempio, come il cinque maggio scorso si sia conclusa la consultazione sulle problematiche in ordine allʹuso della cauzione provvisoria e definitiva e come nei prossimi mesi sarà possibile inviare osservazioni sulle emanande linee guida per l’affidamento di alcuni servizi (ingegneria ed architettura, manutenzione, postali, assicurativi ed inerenti all’efficientamento energetico), oltre che sulla finanza di progetto e sulle concessioni (alla luce delle novelle normative che impongono una revisione delle determinazioni già emanate). 5. Conclusioni I principi e gli strumenti di better e smart regulation si inseriscono nell’ambito di una strategia europea più ampia, “per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”12, in cui la materia dei contratti pubblici assume un ruolo decisivo, come testimoniato dalle tre nuove direttive in materia di appalti e concessioni, di cui già si è parlato e ancora si parlerà su Linee@vcp. Il legislatore europeo considera i contratti pubblici come un mezzo per conseguire obiettivi sociali, ambientali ed economici, ne discende che la regolazione in questo settore è di primaria importanza, perché senza un corretto recepimento dei principi indicati dall’Unione Europea non sarà possibile ottenere i risultati prefissati. L’Italia non può e non deve perdere quest’occasione di profonda riforma del sistema degli appalti pubblici. Per farlo, dovrà necessariamente affidarsi a chi, come si è visto, monitora da anni questo settore strategico dell’economia, svolgendo il difficile compito di scioglierne i nodi più complessi, attraverso una funzione di regolazione sempre più capillare e strutturata. Come si è cercato di illustrare in questo breve contributo, l’Avcp è stata un’antesignana delle consultazioni preventive degli stakeholders e, allo stato, rappresenta una best practice in materia di AIR e di VIR, un punto di riferimento per gli operatori del mercato e per le amministrazioni aggiudicatrici. 12 V. Comunicazione della Commissione Europea 3 marzo 2010, intitolata «Europa 2020: Una strategia per una crescita intelligente,

sostenibile e inclusiva».

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Con l’Avcp il legislatore italiano dovrà necessariamente raffrontarsi, al fine di sfruttare al meglio l’occasione offerta dall’Europa di migliorare e riorganizzare il sistema appalti.

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Evidenziate dall’Autorità le “criticità” legate ai lavori per la realizzazione della Nuvola, il nuovo centro congressi di Roma in corso di costruzione allʹEur. La realizzazione del Nuovo Centro Congressi EUR, in corso di realizzazione a cura dell’azienda pubblica EUR spa, è stata oggetto di vigilanza da parte dell’Autorità sin dal 2008: con una prima delibera (n. 12 del 2/4/2008) si è espressa sulla procedura di affidamento dell’incarico di collaudo; con una seconda delibera (n.70 del 16/11/2010), ha esaminato questioni afferenti il servizio di Construction Management per lʹassistenza al Direttore dei lavori. Con una terza delibera (n. 63 del 22.06.2011), intervenuta nel corso della esecuzione dei lavori, l’Autorità ha formulato una serie di rilievi, evidenziando, in particolare, rilevanti ritardi della realizzazione dell’opera, un notevole incremento dei costi, sia per effetto di varianti in corso d’opera, che, soprattutto, per lo sviluppo di un rilevante contenzioso nonché numerose modifiche, generalmente attinenti ad aspetti strutturali. La recente deliberazione n. 11 del 23 aprile 2014, ha ribadito che l’esecuzione dell’opera è stata caratterizzata da numerose varianti, che, oltre a determinare complessivamente un rilevante aumento dell’importo contrattuale, hanno influito sui tempi di realizzazione. In particolare, alcune varianti appaiono riconducibili a carenze e inadeguate rappresentazioni dello stato di fatto del progetto esecutivo, che si sarebbero potute evitare con un maggior approfondimento e la dovuta integrazione delle varie componenti della progettazione (architettonica, strutturale, impiantistica). L’Autorità è giunta alle seguenti valutazioni: ‐ non rientrano nella fattispecie delle varianti “migliorativeʺ (che comportano modeste riduzioni di spesa) disciplinate dall’art. 132, del d.lgs. n.163/2006 e dall’art.11, del D.M. 145/2000, quelle varianti conseguenti a carenze nella redazione del progetto esecutivo, che si sarebbero potute evitare con un maggior approfondimento e la dovuta integrazione delle varie componenti della progettazione (architettonica, strutturale, impiantistica); tali carenze, nel caso di specie, hanno determinato l’esigenza di una revisione progettuale in corso d’opera,

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che sicuramente ha penalizzato i tempi di esecuzione, con l’esigenza di approntamento di un nuovo progetto, l’esame e l’approvazione dello stesso; ‐ non sono riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 132, del d. lgs. n. 163/2006, bensì costituiscono varianti sostanziali, quelle opere diverse e aggiuntive finalizzate ad una ottimale fruizione del complesso per l’attività congressuale che avrebbero dovuto essere tenute presenti sin dalla progettazione originaria in quanto connesse ad esigenze generali di flessibilità d’uso del complesso, e che avrebbero dovuto essere tenute in debito conto in tutte le fasi progettuali, in quanto passibili, come è chiaramente emerso dagli sviluppi dell’intervento, di incidere in modo rilevante sulla distribuzione interna degli spazi e sulla definizione degli impianti, interferendo con le altre opere. Inoltre, l’Autorità ha rilevato una sproporzione tra costo delle opere e importo delle spese tecniche, anche per quanto attiene alla direzione artistica. Quest’ultima può ritenersi, di fatto, una componente della direzione lavori, la cui attività, ai fini dell’individuazione dell’onorario, non trova riscontro nelle tariffe professionali. Ai sensi dell’art. 20 del D.M. LL.PP. 15/12/1955, n.22608 “Disciplinare tipo per il conferimento di incarichi a liberi professionisti per la progettazione e direzione di opere pubbliche”, la somma da corrispondere per tale attività può essere stimata quale quota parte (certamente non superiore al 40%) del corrispettivo dovuto per la direzione dei lavori. Sulla base delle riportate considerazioni, l’Autorità ha disposto l’invio della deliberazione alla competente Procura della Corte dei Conti per i profili di competenza.

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Segnalazione ai sensi dell’art. 6, comma 7, lettera f), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 Direttive n. 2014/24/UE sugli appalti pubblici, n. 2014/25/UE, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e n. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione

Atto di segnalazione n. 3, del 21 maggio 2014 Sommario :I. Premessa; II. Direttiva appalti pubblici di lavori, servizi e forniture e Direttiva utilities ;1. Semplificazione; 2. Orientamento alla qualità e all’innovazione; 3. Favor per le piccole e medie imprese (PMI) ; 4. Tutela ambientale, sociale e del lavoro; 5. Aggregazione della domanda: centralizzazione degli acquisti ; III. Concessioni ; 1. Scopo della direttiva ;2. Tratti distintivi della nuova disciplina; 3. Recepimento: Codice delle concessioni; IV. Conclusioni. I. Premessa

L’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (nel prosieguo, Autorità), nell’esercizio del potere di segnalazione al Governo ed al Parlamento di cui all’art. 6, comma 7, lett. f), del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (nel prosieguo, Codice), intende formulare alcune osservazioni in merito alle tematiche strategiche ed ai profili innovativi contenuti nelle direttive n. 2014/24/UE sugli appalti pubblici (nel prosieguo, direttiva Appalti), n. 2014/25/UE, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali (nel prosieguo, direttiva Utilities) e n. 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione (nel prosieguo, direttiva Concessioni), in vista del relativo recepimento. In seno alle direttive Appalti e Utilities emergono, in tutta evidenza, alcune fondamentali leve strategiche, essenzialmente riconducibili ai seguenti campi d’azione: maggiore semplificazione; maggiore incoraggiamento dell’orientamento alla qualità, all’innovazione, ivi compresa l’eco‐innovazione; favor per le piccole e medie imprese (PMI); tutela ambientale, sociale e del lavoro, nell’ottica di assicurare una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; maggiore impulso all’aggregazione della domanda, attraverso il potenziamento degli istituti di centralizzazione degli acquisti.

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La direttiva Concessioni, dal canto suo, trae la sua ragion d’essere dalla necessità di superare la mancanza di certezza giuridica nel settore degli affidamenti delle concessioni che è alla base dei problemi e degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un’effettiva concorrenza nel settore e di condizioni di parità tra gli operatori economici. Senza entrare nel dettaglio delle disposizioni contenute nella direttiva sullʹaggiudicazione dei contratti di concessione, giova in questa sede evidenziare l’intendimento del legislatore comunitario di disciplinare l’istituto perseguendo le seguenti direttrici: certezza giuridica, pubblicità e trasparenza, snellezza e flessibilità procedurale, tutela giuridica. Come si evidenzierà nel prosieguo, con riferimento ad ognuna delle direttive di nuova emanazione, è possibile trarre spunti di riflessione sia in ordine al recepimento di alcuni fondamentali istituti, ovvero di alcune modifiche fondamentali 3 di 23 apportate agli istituti preesistenti, sia in ordine al ruolo strategico che potrà svolgere l’Autorità nel nuovo contesto delineato dalle direttive de quibus. Preme rimarcare, in via preliminare, che l’impianto complessivo delle nuove direttive, anche perché riconosce un ruolo centrale alle scelte delle amministrazioni aggiudicatrici, costituisce un approccio alla disciplina degli appalti e delle concessioni di tipo sostanzialmente diverso dal contesto normativo italiano, nel quale, mediante una regolamentazione molto puntuale, si è cercato di limitare la discrezionalità delle stazioni appaltanti, soprattutto in considerazione del condivisibile obiettivo di prevenire fenomeni di corruzione o di infiltrazioni criminali. Per converso, una regolamentazione molto spinta ha prodotto forti incentivi al contenzioso, senza ottenere risultati evidenti in termini di efficacia ed efficienza; in proposito l’Autorità ha potuto constatare come spesso l’aggiudicazione e l’esecuzione dei contratti venga rallentata dal contenzioso che origina dal presunto mancato rispetto di procedure puramente formali che possono non incidere sugli aspetti sostanziali dell’affidamento, con conseguente grave danno per la finanza pubblica e per la qualità dei servizi offerti alla e dalla pubblica amministrazione. La scarsa efficienza che ne deriva per il sistema è testimoniata, tra l’altro, dai continui interventi che il legislatore si vede costretto ad effettuare sulla materia; interventi dovuti proprio alla eccessiva regolamentazione prodotta che necessita

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continuamente di essere modificata. Le continue modifiche normative, però, minano ulteriormente l’efficienza del sistema, in quanto, da un lato, la regolamentazione per via legislativa richiede tempi lunghi – sia per l’emanazione delle norme primarie che per il recepimento nella prassi – che potrebbero essere incompatibili con quelli necessari per risolvere i problemi del mercato e dall’altro, in quanto ciò impone continue modifiche nei comportamenti delle stazioni appaltanti e degli operatori economici, irrigiditi dal rispetto di regole per la cui adozione di norma non vengono coinvolti. È opinione, pertanto, che il recepimento delle direttive possa costituire un importante punto di svolta nel modo in cui le pubbliche amministrazioni effettuano i propri acquisti. In tal senso si ritiene opportuno modificare l’attuale quadro normativo, prevedendo che nel recepimento delle direttive il legislatore si limiti ad individuare gli obiettivi che l’azione amministrativa deve conseguire, anche in conformità ai principi di cui all’art. 32, comma 1, lett. c), legge 24 dicembre 2012, n. 234, secondo cui “gli atti di recepimento di direttive dellʹUnione europea non possono prevedere lʹintroduzione o il mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive 4 di 23 stesse, ai sensi dellʹarticolo 14, commi 24‐bis, 24‐ter e 24‐quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246”. Nel contempo, quale risvolto di un recepimento snello, dovrebbe essere rafforzata la funzione di regolazione dell’Autorità nel senso indicato dallʹart. 83, par. 4 della direttiva Appalti, secondo cui gli Stati Membri sono tenuti a provvedere: “a) che siano disponibili gratuitamente orientamenti e informazioni per lʹinterpretazione e lʹapplicazione del diritto dellʹUnione sugli appalti pubblici, al fine di assistere le amministrazioni aggiudicatrici e gli operatori economici, in particolare le PMI, nella corretta applicazione della normativa dellʹUnione in materia, e b) che sia disponibile il sostegno alle amministrazioni aggiudicatrici per quanto riguarda la pianificazione e la conduzione delle procedure dʹappalto”. Le suddette funzioni (di assistenza e sostegno alle amministrazioni aggiudicatrici ed agli operatori economici) sono, peraltro, già esercitate dall’Autorità attraverso i propri atti di Determinazione, oltre che attraverso le Deliberazioni di carattere generale, i Comunicati, secondo quanto prescritto dall’art. 8, comma 5 del Codice nonché attraverso i pareri di precontenzioso di cui all’art. 6, comma 7, lett. n) del Codice ed i Bandi‐tipo di cui all’art. 64, comma 4‐bis del medesimo Codice.

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Tale funzione regolatoria dell’Autorità – svolta attraverso la soft regulation, che è più flessibile e, quindi, più facilmente adattabile alle esigenze del mercato e ai cambiamenti che si verificano nello stesso – potrebbe costituire, pertanto, l’asse portante nell’architettura di sistema di una disciplina snella ed essenziale attraverso cui dare recepimento alle direttive in materia di appalti e concessioni. L’Autorità, infatti, ha già una serie di competenze che, se opportunamente sviluppate, potrebbero costituire strumenti essenziali per un efficientamento del mercato, sia sotto l’aspetto della soft regulation – le Determinazioni costantemente emanate dall’Autorità, che nel frattempo si è dotata anche di uno specifico Regolamento AIR, sono ormai comunemente citate e seguite sia nella prassi che dalla giurisprudenza amministrativa, ed analoga considerazione può essere fatta per i pareri di precontenzioso, – sia sotto il profilo di un costante e generale rilevamento delle disfunzioni di mercato, ivi compreso il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dalla normativa, effettuabile tramite l’uso delle banche dati a disposizione dell’Autorità: si pensi alla Banca dati nazionale dei contrati pubblici (BDNCP) – nonché ai vantaggi che derivano dall’ulteriore implementazione dell’anagrafe unica delle stazioni appaltanti operata dal D.L. 24 aprile 2014, n. 66 – e soprattutto alle 5 di 23 potenzialità del sistema AVCPass, che non appena sarà pienamente operativo, consentirà di acquisire una mole di informazioni di rilevante interesse su tutti gli operatori economici di settore. In altri termini, l’Autorità è già oggi in grado, da un lato, di fornire indicazioni per orientare il mercato ex ante e, dall’altro, di vigilarne i comportamenti ex post, anche tramite l’elaborazione dei dati contenuti nella BDNCP. In tale contesto l’Autorità è, evidentemente, l’organismo di riferimento più qualificato ed idoneo ad assolvere al ruolo di garante del controllo dellʹapplicazione delle norme sugli appalti pubblici, potendo esercitare i compiti di vigilanza (referto) su violazioni specifiche o problemi sistemici (art. 83, par. 2, comma 2), di segnalazione alla Commissione delle cause più frequenti di scorretta applicazione o di incertezza giuridica, compresi possibili problemi strutturali o ricorrenti nellʹapplicazione delle norme, sul livello di partecipazione delle PMI agli appalti pubblici e sulla prevenzione, lʹaccertamento e lʹadeguata segnalazione di casi di frode, corruzione, conflitto di interessi e altre irregolarità gravi in materia di appalti (art. 83, par. 3, comma 2) nonché quello di raccolta dei dati di cui alla Relazione prevista dall’art. 84 (secondo quanto

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espressamente previsto al par. 3 del medesimo articolo) della direttiva Appalti. Queste ultime funzioni di raccolta dei dati relativi agli affidamenti pubblici sono, peraltro, già ampiamente svolte tramite l’azione dell’Osservatorio dei contratti pubblici. Con specifico riferimento alle attività di vigilanza, poi, che la direttiva prescrive, giova evidenziare come si tratti di compiti e funzioni già svolti ai sensi dell’art. 7, comma 6, lett. a), b), c), e), h), ma, soprattutto, dell’art. 6, comma 13 del Codice dei contratti. L’Autorità potrebbe, altresì, essere chiamata a svolgere la funzione di “… punto di riferimento per la cooperazione con la Commissione per quanto riguarda lʹapplicazione della normativa in materia di appalti pubblici”, così come previsto dal medesimo art. 83, par. 5, come peraltro, già avviene attraverso la sua partecipazione al Public Procurement Network (PPN). È evidente che le funzioni di vigilanza e regolazione, di gestione della Banca dati e di definizione dei costi standard (si pensi alla recente competenza attribuita dall’art. 9 del D.L. 24 aprile 2014, n. 66, in tema di prezzi di riferimento di beni e servizi), alla luce delle direttive di recente emanazione, dovrebbero essere potenziate in capo all’Autorità, da individuarsi quale unico punto di riferimento, dotato della massima expertise in materia, per l’applicazione della normativa in materia di appalti di lavori, servizi e forniture, unitariamente considerati. 6 di 23 Ciò soprattutto nell’ottica di realizzare un’efficiente ed efficace azione su tutto il sistema degli appalti – che non contempla solo i lavori ma anche i servizi e le forniture –, attraverso lo svolgimento sinergico delle diverse funzioni sopra menzionate. Ciò premesso, con l’intento di fornire un primo contributo all’attività di recepimento delle direttive di nuova emanazione, si ritiene utile porre in luce alcuni aspetti peculiari della nuova disciplina in ordine alle tematiche di seguito illustrate. II. Direttiva appalti pubblici di lavori, servizi e forniture e Direttiva utilities 1. Semplificazione Nell’ottica della semplificazione e dello snellimento delle procedure di aggiudicazione si pongono alcuni importanti nuovi istituti e la revisione di altri già esistenti.

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Ci si riferisce, innanzitutto, al nuovo impulso dato alle comunicazioni elettroniche (art. 22 dir. Appalti e 40 dir. Utilities), espressione di una forte volontà del legislatore comunitario di creare un sistema tendenzialmente basato sulla massima semplificazione, sull’immediatezza, sulla sicurezza e sulla standardizzazione dei processi comunicativo‐informativi che involga anche la presentazione delle offerte e delle domande di partecipazione. Ne deriva un quadro in seno al quale l’utilizzo di mezzi elettronici costituisce la regola, cui fanno eccezione casi specificamente disciplinati. In tale quadro si inserisce, altresì, l’utilizzo dei cataloghi elettronici (art. 36 dir. Appalti e art. 54 dir. Utilities) in tutte le procedure disponibili ove sia richiesto lʹuso di mezzi di comunicazione elettronici, ciò che consente un aumento della concorrenza e dellʹefficacia della commessa pubblica, soprattutto in termini di risparmi di tempo e denaro. Il recepimento di tali disposizioni, stante anche la previsione di un ampio lasso di tempo per provvedervi (art. 90 dir. Appalti e 106 dir. Utilities), necessita di una forte opera di sensibilizzazione delle diverse stazioni appaltanti e degli operatori, anche attraverso l’adozione di misure graduali volte a favorire ed incentivare il processo di informatizzazione, già in atto, per quanto riguarda la verifica dei requisiti, attraverso la Banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) di cui all’art. 6‐bis del Codice. Il ruolo di quest’ultima acquista un’indubbia rilevanza strategica anche nel contesto comunitario, alla luce dello spirito che informa le nuove direttive, soprattutto se si ha riguardo alle previsioni 7 di 23 concernenti il sistema elettronico e‐Certis (art. 61 dir. Appalti), il cui scopo è agevolare lo scambio di certificati e altri documenti probatori, spesso richiesti dalle amministrazioni aggiudicatrici dei diversi Stati membri (in proposito si rimarca il dichiarato intento di rendere tale sistema obbligatorio in una fase successiva, v. cons. 87 nonché combinato disposto degli artt. 61, par. 2 e 90, par. 5, dir. Appalti). Il ruolo centrale della BDNCP acquista ancor più rilevanza se si ha riguardo, altresì, alla disciplina del documento di gara unico europeo (DGUE) (art. 59 dir. Appalti), fornito esclusivamente in forma elettronica, tenuto conto, in particolare, di quanto previsto dal comma 5, del richiamato art. 59, a tenore del quale “In deroga al paragrafo 4, agli operatori economici non è richiesto di presentare documenti complementari o altre prove documentali qualora e sempre che lʹamministrazione aggiudicatrice abbia la possibilità di ottenere i certificati e le informazioni pertinenti direttamente accedendo a una banca dati

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nazionale che sia disponibile gratuitamente in un qualunque Stato membro, come un registro nazionale degli appalti, un fascicolo dʹimpresa virtuale (Virtual Company Dossier), un sistema elettronico di archiviazione dei documenti o un sistema di preselezione”. Il DGUE comporta una notevole semplificazione a vantaggio sia delle amministrazioni aggiudicatrici che degli operatori, anche in termini di minori oneri economici. In tale contesto normativo la BDNCP rappresenta il fulcro di una leva particolarmente vantaggiosa per la rimozione del peso burocratico degli adempimenti posti a carico degli operatori economici e delle stazioni appaltanti e si pone in perfetta sintonia con gli obiettivi di semplificazione della direttiva Appalti, costituendo, di fatto, un’anticipata realizzazione di quanto enucleato dal cons. 85 della medesima direttiva, che pone in capo alla Commissione l’obiettivo di rafforzare gli strumenti che offrono accesso ai fascicoli dʹimpresa virtuali, o mezzi per facilitare lʹinteroperabilità tra banche dati. A tale riguardo, anche nell’ottica di eventuali, future razionalizzazioni delle diverse banche dati, si ritiene necessario mantenere, in fase di recepimento, la centralità della BDNCP nel quadro della complessiva disciplina dettata in materia di appalti pubblici e di concessioni, garantendo, altresì, il ruolo assegnato all’Autorità nella complessiva gestione, giuridica e tecnica, della medesima. Nel senso di una più agevole gestione delle attività relative sia alla “preparazione” che allo “svolgimento” dell’appalto, si pone, altresì, il nuovo istituto delle “consultazioni preliminari di mercato” (art. 40 dir. Appalti, art. 58 dir. Utilities). Esso costituisce una forma nuova di flessibilizzazione procedurale e sostanziale, attraverso la quale è espressamente prevista la possibilità di richiedere consulenze oltre che ad esperti anche ad autorità indipendenti. A tal fine è da ritenersi 8 di 23 preminente il ruolo dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, cui, nel recepimento delle norme richiamate potrà essere affidato un coinvolgimento preventivo rispetto all’indizione di specifiche procedure di gara – sulla falsariga di quello attualmente previsto dall’art. 69 del Codice (limitato alle condizioni particolari di esecuzione del contratto prescritte nel bando o nellʹinvito) – in modo da estenderlo all’intero ciclo dell’appalto. Ciò potrebbe rivelarsi di grande utilità ai fini della riduzione del contenzioso in fase di gara, spesso originato dalla carenza di conoscenze adeguate per una corretta impostazione e definizione del disegno d’asta da parte delle stazioni appaltanti.

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Nel quadro complessivo della definizione di procedure meno rigide un ruolo centrale deve essere riconosciuto anche alla nuova disciplina del soccorso istruttorio (art. 56, par. 3 dir. Appalti), laddove si consente alle amministrazioni aggiudicatrici, salvo disposizione contraria del diritto nazionale che attua la direttiva, di richiedere agli operatori economici interessati, non solo di chiarire e completare le informazioni o la documentazione presentata, ma anche di presentare e integrare documenti mancanti, a condizione che tale richiesta sia effettuata nella piena osservanza dei principi di parità di trattamento e trasparenza. Si auspica che la legislazione nazionale, in fase di recepimento, venga orientata in quest’ultimo senso, con l’evidente beneficio che ne potrà derivare al maggiore effetto deflattivo che l’istituto svolge sul contenzioso. Anche in tal caso un ruolo centrale, nella definizione esatta dei documenti e delle informazioni suscettibili di soccorso istruttorio potrebbe essere affidato all’Autorità, in sede di redazione dei Bandi‐tipo (art. 64, comma 4‐bis, del Codice). Infine, ma certamente non da ultimo, merita particolare attenzione la disposizione secondo cui nelle procedure aperte, le amministrazioni aggiudicatrici possono decidere di esaminare le offerte prima di verificare lʹassenza di motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione ai sensi degli articoli da 57 a 64 dir. Appalti. Se si avvalgono di tale possibilità, le amministrazioni aggiudicatrici garantiscono che la verifica dellʹassenza di motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione sia effettuata in maniera imparziale e trasparente, in modo che nessun appalto sia aggiudicato ad un offerente che avrebbe dovuto essere escluso a norma dellʹarticolo 57 o che non soddisfa i criteri di selezione stabiliti dallʹamministrazione aggiudicatrice, da verificare solo per l’aggiudicatario. Gli Stati membri possono escludere o limitare lʹuso della procedura appena descritta per determinati tipi di appalti o a circostanze specifiche (art. 56, par. 2, commi 1 e 2, dir. Appalti; art. 76, par. 7, commi 1 e 2, dir. Utilities).9 di 23 Riguardo all’esercizio del potere riconosciuto agli Stati membri, preme evidenziare che nell’ordinamento italiano la verifica dei requisiti generali (ex art. 38 del Codice) avviene sui concorrenti o mediante campionatura o sulla totalità degli stessi; il sistema è posto, in relazione a molte delle cause di esclusione contemplate dal Codice, a presidio della tutela di interessi che l’ordinamento considera irrinunciabili (si pensi alla regolarità contributiva e fiscale per es.). Le verifiche cui sono sottoposti i concorrenti, infatti, fungono da deterrente al rispetto di norme, in molti casi, poste a tutela di specifici interessi che prescindono dal singolo appalto.

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Diverso è il caso della verifica dei requisiti tecnico‐organizzativi ed economico‐ finanziari (disposta ex art. 48 ed effettuata con una procedura di sorteggio, oltre che sul primo e sul secondo classificato). Anche in questa ipotesi, tuttavia, le sanzioni applicabili ex art. 48 costituiscono un forte deterrente alla partecipazione a gare d’appalto di soggetti privi di idoneità tecnica ed economica che, se ammessi, falserebbero anche il libero gioco della concorrenza. È evidente che l’ammissione della procedura in parola, con opportune limitazioni soggettive e oggettive (vale a dire solo per i requisiti tecnico‐organizzativi ed economico‐finanziari) potrebbe rappresentare una semplificazione a vantaggio soprattutto delle PMI (alla stessa stregua di quanto già previsto dal comma 4 dell’art. 13 della l. 11 novembre 2011, n. 180). 2. Orientamento alla qualità e all’innovazione. L’obiettivo di incoraggiare maggiormente la qualità negli appalti passa, innanzitutto, per l’attribuzione di un ruolo centrale al criterio di aggiudicazione attualmente noto come ʺofferta economicamente più vantaggiosaʺ che risulta nettamente privilegiato (il cons. 89 della dir. Appalti parla di “concetto prioritario”) e diversamente denominato, vale a dire criterio del ʺmiglior rapporto qualità/prezzoʺ. Nelle nuove direttive l’offerta economicamente più vantaggiosa è il criterio generale di aggiudicazione dell’appalto, ma secondo un diverso approccio prezzo/qualità “sulla base del prezzo o del costo, seguendo un approccio costoefficacia, quale il costo del ciclo di vita conformemente all’art. 68 [ma che] può includere [anche] il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base dei criteri quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali”; lʹelemento relativo al costo può inoltre assumere la forma di un prezzo o costo fisso sulla base del quale gli operatori 10 di 23 economici competeranno solo in base a criteri qualitativi (art. 67, par. 2, dir. Appalti e 82, par. 2, dir. Utilities). Il legislatore comunitario ritiene che gli enti aggiudicatori dovrebbero essere incoraggiati a scegliere criteri di aggiudicazione che consentano loro di ottenere lavori, forniture e servizi di alta qualità che rispondano al meglio alle loro necessità (cons. 92 dir. Appalti, cons. 97 dir. Utilities), e dovrebbe essere consentito agli Stati membri di proibire o limitare il ricorso al solo criterio del prezzo o del costo per valutare lʹofferta economicamente più vantaggiosa qualora lo ritengano appropriato (cons. 90 dir. Appalti, cons. 95 dir. Utilities).

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La qualità dovrebbe essere, in ogni caso, suscettibile di valutazione sulla base di fattori diversi dal solo prezzo o dalla sola remunerazione, qualora disposizioni nazionali determinino la remunerazione di taluni servizi o impongano un prezzo fisso per determinate forniture. In tal caso si dovrebbero prendere in considerazione, per es. le condizioni di consegna e di pagamento ovvero aspetti legati al servizio post‐vendita nonché o aspetti ambientali o sociali (cons. 93 dir. Appalti, cons. 98 dir Utilities). Ne deriva che il criterio del massimo ribasso non è abolito formalmente, dal momento che la valutazione dellʹofferta economicamente più vantaggiosa potrebbe essere effettuata anche soltanto sulla base del prezzo o di un approccio costo/efficacia (cons. 90 dir. Appalti, cons. 95 dir. Utilities), ma il suo utilizzo, in seno alle nuove direttive, ne risulta drasticamente ridimensionato. In sostanza l’unico criterio di aggiudicazione è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che contiene sempre un riferimento al prezzo o al costo (ma anche nel caso in cui sia utilizzato come unico elemento di valutazione quest’ultimo, deve essere seguito un approccio costo/efficacia nella valutazione) e che, di regola, è accompagnato da altri elementi di valutazione che attengono alla qualità e consentono un esame delle offerte sulla base di un rapporto prezzo/qualità. Orbene, in tale nuovo contesto normativo, in fase di recepimento, non potrà non tenersi conto di questo nuovo approccio costo/efficacia, che andrà opportunamente valorizzato in sede di disciplina dei criteri d’aggiudicazione. Si dovrà tener conto, altresì, dei rischi insiti nella completa abolizione del criterio del prezzo più basso (trattandosi di disposizione a recepimento facoltativo). Se è vero, infatti, che quest’ultimo costituisce il criterio che più di ogni altro consente il buon esito di eventuali accordi collusivi tra 11 di 23 operatori, nella singola gara, è altrettanto vero che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (secondo la vecchia dizione) espone al maggior rischio di accordi illeciti tra operatori e stazioni appaltanti e ne assicura il buon esito. Da tale ultima considerazione non si potrà prescindere per una corretta valutazione dei risvolti negativi insiti nell’eventuale recepimento del divieto assoluto di utilizzare il criterio del prezzo più basso.

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La centralità conferita alla qualità della prestazione involge anche la classica distinzione tra criteri soggettivi di selezione dei concorrenti e criteri oggettivi di valutazione dell’offerta, tant’è che “qualora la qualità del personale addetto influisca sul livello dellʹesecuzione dellʹappalto, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero anche avere la facoltà di usare come criterio di aggiudicazione lʹorganizzazione, la qualifica e lʹesperienza del personale incaricato di eseguire lʹappalto in questione, in quanto ciò può incidere sulla qualità dellʹesecuzione dellʹappalto e, di conseguenza, sul valore economico dellʹofferta” (cons. 94 dir. Appalti, cons. 99 dir. Utilities e rispettivamente art. 67, par. 2, lett. b) e 82, par. 2, lett. b). Un ruolo fondamentale per migliorare lʹefficienza e la qualità dei servizi pubblici e nello stesso tempo affrontare le principali sfide a valenza sociale è attribuito anche all’acquisto di prodotti, lavori e servizi innovativi; ciò che contribuisce ad ottenere un rapporto più vantaggioso qualità/prezzo nonché maggiori benefici economici, ambientali e per la società, ed a promuovere, in tal modo, una crescita economica sostenibile (cons. 47 dir. Appalti, cons. 57 dir. Utilities). A tal fine importanza fondamentale è attribuita ai partenariati per l’innovazione (art. 31 dir. Appalti, art. 49 dir. Utilities), in ordine ai quali è stabilito che “gli Stati membri prevedono la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di ricorrere a partenariati per lʹinnovazione [e al dialogo competitivo] come disposto dalla presente direttiva” (art. 26, par. 3, dir. Appalti, art. 44, par. 3, dir. Utilities), non residuando, quindi, spazio alcuno per una facoltà di veto, contrariamente a quanto era previsto dall’art. 29, comma 1, dalla direttiva n. 18/2004 per l’adottabilità del dialogo competitivo, accordata agli Stati membri in termini di possibilità. Lo scopo precipuo del partenariato per lʹinnovazione è sviluppare prodotti, servizi o lavori innovativi per il successivo acquisto da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, a condizione che essi corrispondano ai livelli di prestazioni e ai costi massimi concordati tra le amministrazioni aggiudicatrici e i partecipanti, senza bisogno di una procedura dʹappalto distinta per lʹacquisto. In considerazione dellʹimportanza dellʹinnovazione, le direttive prevedono che occorra incoraggiare le amministrazioni aggiudicatrici a consentire varianti, in sede di offerta, quanto più possibile; con tale finalità le disposizioni che recano la relativa disciplina non si limitano ad attribuire la facoltà, alle stazioni appaltanti, di autorizzarle ma anche di esigerle, richiederle, con la sola condizione che le amministrazioni aggiudicatrici menzionino nei documenti di gara i requisiti minimi che le varianti devono rispettare, nonché le modalità specifiche per la loro presentazione (art. 45 dir. Appalti, art. 64 dir. Utilities). Anche in tal caso, la scelta è

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integralmente rimessa alle amministrazioni aggiudicatrici, cui le dispozioni richiamate riconoscono direttamente la facoltà di autorizzare e/o esigere varianti in sede di offerta. Si auspica, pertanto, che il recepimento delle disposizioni appena richiamate avvenga in perfetta sintonia con la ratio sottesa alle medesime, riconoscendo alle amministrazioni aggiudicatrici la libera e piena facoltà di scelta circa l’utilizzo dei citati istituti. 3. Favor per le piccole e medie imprese (PMI) Facilitare la partecipazione delle piccole e medie imprese (PMI) agli appalti pubblici è obiettivo che vede la sua realizzazione attraverso specifiche previsioni contenute nelle direttive Appalti e Utilities. A tal fine e per rafforzare la concorrenza, entrambe le direttive prevedono che le amministrazioni aggiudicatrici siano incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti (ma gli Stati membri possono estendere agli appalti di entità minore la portata dellʹobbligo di esaminare se sia appropriato suddividerli in lotti). Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base quantitativa, facendo in modo che lʹentità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI, o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità alle diverse fasi successive del progetto (cons. 78, dir. Appalti, cons. 87, dir. Utilities). In quest’ottica è previsto l’obbligo delle amministrazioni aggiudicatrici di fornire una motivazione della decisione di non suddividere l’appalto in lotti ed è riconosciuta agli stati membri la facoltà di rendere obbligatoria la suddivisione in lotti in determinate condizioni (art. 46, par. 4, dir. Appalti, art. 65, par. 4, dir. Utilities). Allo stesso 13 di 23 fine, gli Stati membri dovrebbero anche avere la facoltà di creare meccanismi per il pagamento diretto ai subappaltatori. Pur essendo già previsto nell’ordinamento italiano l’obbligo di motivazione della mancata suddivisione dell’appalto in lotti (come anche la possibilità di pagamento diretto ai subappaltatori), l’articolata disciplina dell’aggiudicazione degli appalti suddivisi in lotti rappresenta una novità di rilievo ed il suo recepimento, che si auspica possa avvenire in maniera puntuale, consentirà di superare le incertezza normative con cui la prassi fino ad oggi si è dovuta confrontare. Spesso accade, infatti, che, per specifiche esigenze tecniche, le amministrazioni aggiudicatrici,

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nell’esercizio della loro discrezionalità, facciano ricorso a clausole disciplinanti l’ammissibilità dell’offerta per alcuni o per tutti i lotti ovvero dell’aggiudicazione esclusiva o plurima dei medesimi, senza un chiaro riferimento normativo al riguardo, ciò che ha spesso generato contenzioso con riferimento alla legittimità delle clausole in argomento. Anche la disciplina dei requisiti di fatturato, innegabilmente connessa alla possibilità di accedere alle gare d’appalto per le PMI, risente del favor espresso nei confronti di queste ultime. È previsto, infatti, che le amministrazioni aggiudicatrici possano esigere che gli operatori economici abbiano un fatturato minimo purché proporzionato rispetto allʹoggetto dellʹappalto; il requisito non dovrebbe di norma superare, al massimo, il doppio del valore stimato dellʹappalto e, in ogni caso risultare da motivazione espressa nei documenti di gara (cons. 83, art. 58, par. 3, comma 2, dir. Appalti). All’obbligo di motivazione, già espressamente previsto nell’ordinamento italiano (art. 41, comma 2, del Codice), si giustappone, pertanto, il divieto di fissare valori di fatturato superiori al doppio del valore dell’appalto, venendo codificato, in tal modo, un ben definito orientamento giurisprudenziale al riguardo. Concorrono allo stesso fine di agevolare le PMI anche altri istituti. Si tratta del Documento di gara unico europeo (v. cons. 84 dir. Appalti), con tutte le implicazioni e connessioni con la BDNCP di cui all’art. 6‐bis del Codice, come sopra illustrato; della facoltà che andrebbe riconosciuta alle amministrazioni aggiudicatrici di gestire il sistema dinamico di acquisizione articolandolo in categorie oggettivamente definite di prodotti, lavori o servizi, per offrire alle PMI ulteriori possibilità di parteciparvi (a tal fine andrebbero fissati l’importo o il quantitativo massimo degli appalti specifici da aggiudicare nellʹambito della categoria o unʹarea geografica specifica in cui gli appalti specifici devono essere eseguiti) (cons. 66 dir. Appalti); della disciplina dei termini che in ragione della 14 di 23 complessità dellʹappalto e del tempo necessario per preparare le offerte, possono essere più lunghi rispetto a quelli minimi previsti, per non creare, alle medesime PMI, indebiti ostacoli allʹaccesso alla gara. Al riguardo, anche se alcune delle novità che recano le direttive costituiscono già diritto positivo nel nostro ordinamento (ci si riferisce all’obbligo di motivazione per i requisiti di fatturato e per la mancata suddivisione in lotti, al pagamento diretto ai subappaltatori, peraltro direttamente disposto dalla stazione appaltante e non su

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richiesta dell’appaltatore), il recepimento delle ulteriori e più penetranti misure adottate a livello di legislazione europea, se puntualmente effettuato, costituisce un sicuro rafforzamento delle misure volte a tutelare lo sviluppo delle PMI, cui sarà, in tal modo, maggiormente garantita la partecipazione alle gare d’appalto pubbliche. 4. Tutela ambientale, sociale e del lavoro Entrambe le direttive, Appalti e Utilities, considerano che, in vista di unʹadeguata integrazione dei requisiti in materia ambientale, sociale e del lavoro nelle procedure di appalto pubblico, sia particolarmente importante che gli Stati membri e le amministrazioni aggiudicatrici adottino misure pertinenti per garantire il rispetto degli obblighi in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro (cons. 37, dir. Appalti, cons. 52 dir. Utilities). Lavoro e occupazione contribuiscono allʹintegrazione nella società e sono ritenuti elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti (cons. 36, dir. Appalti, cons. 51 dir. Utilities). A tal fine è riconosciuto un ruolo significativo ai laboratori protetti e ad altre imprese sociali il cui scopo principale è lʹintegrazione o reintegrazione sociale e professionale delle persone con disabilità e delle persone svantaggiate, quali i disoccupati, le persone appartenenti a minoranze svantaggiate o comunque a categorie socialmente emarginate. La riserva della partecipazione alle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici o di determinati lotti di appalti a tali laboratori o imprese è ritenuto lo strumento principe per consentire loro di ottenere accesso alle gare. La disciplina di tale riserva (art. 20, dir. Appalti, art. 38 dir. Utilities) è stata innovata, rispetto a quella delle precedenti direttive, subendone un ampliamento soggettivo (non si citano solo i laboratori protetti ma anche le imprese sociali; non solo i disabili quindi ma anche persone 15 di 23 svantaggiate) e oggettivo (la percentuale minima dei lavoratori con disabilità o svantaggiati è fissata al 30% del personale complessivo di impresa, in luogo della maggioranza). All’interno dei nuovi parametri, definiti dalla nuova norma, possono rientrare, pertanto, anche le cooperative sociali di cui all’art. 1, lettera b), della legge n. 8 novembre 1991, n. 381 e s.m.i., senza necessariamente accreditarsi quali laboratori protetti,

anche

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perché

la

percentuale

(fissata

al

30%)

di

persone

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svantaggiate/disagiate richiesta dalla direttiva coincide perfettamente con quella stabilita nella norma da ultimo richiamata. Anche il ricorso a criteri di aggiudicazione o condizioni di esecuzione, riguardanti lavori, forniture o servizi oggetto dellʹappalto pubblico, concernenti ogni loro aspetto e relativi a qualsiasi fase dei loro cicli di vita, rappresenta una facoltà, che se fosse riconosciuta alle amministrazioni aggiudicatrici consentirebbe loro di realizzare una migliore integrazione di considerazioni sociali ed ambientali nelle procedure di appalto (cons. 97, dir. Appalti, cons. 102 dir. Utilities). A tal fine è espressamente previsto che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa possa includere il miglior rapporto qualità/prezzo, valutato sulla base di criteri, quali gli aspetti qualitativi, ambientali e/o sociali, connessi allʹoggetto dellʹappalto pubblico in questione (art. 67, par. 2, dir. Appalti, art. 82, par. 2, dir. Utilities). Tenuto conto del carattere esemplificativo dell’elenco contenuto agli artt. 67 e 82 citati, si ritiene oltremodo auspicabile che l’effettivo recepimento delle norme in questione sia fortemente informato dal contenuto dei considerando 97 e 99 della direttiva Appalti, 102 e 104 della direttiva Utilities. Analoga considerazione vale per quanto riguarda il recepimento delle disposizioni di cui agli artt. 70, della direttiva Appalti, e 87, della direttiva Utilities, entrambi relativi alle condizioni di esecuzione dellʹappalto. La vigilanza sullʹosservanza delle disposizioni in materia di diritto ambientale, sociale e del lavoro dovrebbe essere svolta nelle fasi pertinenti della procedura di appalto, nellʹapplicare i principi generali che disciplinano la selezione dei partecipanti e lʹaggiudicazione dei contratti, nellʹapplicare i criteri di esclusione e le disposizioni riguardanti le offerte anormalmente basse (cons. 40, dir. Appalti, cons. 55, dir. Utilities); con riferimento a queste ultime, è auspicabile che, in fase di recepimento, venga allargata la casistica delle giustificazioni inammissibili (allo stato limitate agli oneri per la sicurezza ed ai trattamenti salariali minimi inderogabili) inserendovi anche quegli elementi posti a tutela dei valori illustrati nei considerando da ultimo richiamati unitamente ad un intervento che sia volto a semplificare la farraginosa procedura attualmente in vigore.16 di 23 5. Aggregazione della domanda: centralizzazione degli acquisti. Lʹaggregazione della domanda da parte dei committenti pubblici consente di ottenere economie di scala, attraverso prezzi e costi delle transazioni più bassi, nonché un miglioramento e una maggior professionalità nella gestione degli appalti.

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Strumentale a tale obiettivo è la concentrazione degli acquisti attraverso una riduzione del numero delle amministrazioni aggiudicatrici coinvolte. Lʹaggregazione della domanda attraverso la centralizzazione delle committenze può, tuttavia, essere foriera di unʹeccessiva concentrazione del potere dʹacquisto, con l’implicazione di un forte rischio di collusione, di riduzione della concorrenza a scapito proprio delle PMI (cons. 59, dir. Appalti, cons. 70, dir. Utilities), per altro verso ampiamente tutelate. Ciò, soprattutto, avuto riguardo sia alla fissazione dei requisiti di gara, che necessariamente risente dei maggiori volumi di spesa che l’aggregazione determina, sia ai maggiori importi della garanzia a corredo dell’offerta che inevitabilmente ne derivano, in base alla legislazione del nostro ordinamento. Le centrali di committenza sono, innanzitutto, incaricate di procedere ad acquisti, gestire i sistemi dinamici di acquisizione o aggiudicare appalti pubblici/concludere accordi quadro destinati ad altre amministrazioni aggiudicatrici, con o senza remunerazione (cons. 69, dir. Appalti, cons. 78, dir. Utilities). Restano, pertanto, confermate le precedenti modalità operative: agire come grossisti comprando, immagazzinando e rivendendo o agire come intermediari, aggiudicando appalti, gestendo sistemi dinamici di acquisizione o concludendo accordi quadro ad uso delle amministrazioni aggiudicatrici (art. 2, par. 14, lett. a) e b), dir. Appalti; art. 2, par. 10, lett. a) e b), dir. Utilities). Si aggiungono, invece, quali novità, le attività di committenza ausiliarie che consistono nella prestazione di sostegno alle attività di committenza, in particolare nelle forme seguenti: 1) infrastrutture tecniche che consentano alle amministrazioni aggiudicatrici di aggiudicare appalti pubblici o di concludere accordi quadro per lavori, forniture o servizi; 2) consulenza sullo svolgimento o sulla concezione delle procedure di appalto; 3) preparazione e gestione delle procedure di appalto in nome e per conto dellʹamministrazione aggiudicatrice interessata (art. 2, par. 15, lett. a), b) e c) dir. Appalti; art. 2, par. 11, lett. a), b) e c), dir. Utilities).17 di 23 La combinazione dell’utilizzo degli strumenti di e‐procurement (mediante il riuso delle piattaforme informatiche) con il ricorso a forme di acquisto centralizzate consente un’amplificazione dei vantaggi in termini di efficacia e di efficienza della commessa pubblica.

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Particolare notazione merita la previsione secondo cui le amministrazioni aggiudicatrici, senza applicare le procedure di cui alla direttiva, possono aggiudicare a una centrale di committenza un appalto pubblico di servizi per la fornitura di attività di centralizzazione delle committenze; tali appalti pubblici di servizi possono altresì includere la fornitura di attività di committenza ausiliarie (art. 37, par. 4, dir. Appalti; art. 55, par. 4, dir. Utilities). In ogni caso la direttiva non dovrebbe applicarsi alle ipotesi in cui le attività di centralizzazione delle committenze o le attività di committenza ausiliarie non siano effettuate attraverso un contratto a titolo oneroso che costituisce appalto ai sensi della medesima direttiva (cons. 70, dir. Appalti; cons. 79, dir. Utilities). Nel quadro sopra delineato, e tenendo conto dei rischi insiti nell’eccessiva aggregazione della domanda, deve essere inserito il recepimento delle norme che attribuiscono un nuovo ed amplificato ruolo alla centrale di committenza, apprestando gli opportuni accorgimenti volti ad evitare i fenomeni distorsivi strettamente connessi all’aggregazione, come sopra evidenziato. A tal proposito, proprio in applicazione del nuovo istituto delle “consultazioni preliminari di mercato” (art. 40 dir. Appalti, art. 58 dir. Utilities), che rende possibile il coinvolgimento anche di autorità indipendenti nella definizione del disegno d’asta, in fase di recepimento, potrebbe essere attribuito uno specifico potere di “vigilanza preventiva” all’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici sulle gare bandite dalle centrali di committenza, al fine di assicurare che l’aggregazione della domanda non si riveli dannosa per la concorrenza e per l’accesso al mercato degli appalti delle PMI. III. Concessioni 1. Scopo della direttiva La direttiva sullʹaggiudicazione dei contratti di concessione intende superare le significative differenze tra le varie discipline nazionali; si pensi, in particolare, ai requisiti di pubblicità e trasparenza, ai criteri di selezione e di aggiudicazione, per addivenire ad una convergenza delle legislazioni degli Stati membri ed alla parità di condizioni per tutti gli operatori economici nonché per integrare gli obblighi del trattato nel diritto derivato. Si è ritenuto necessario, infatti, a livello di 18 di 23 Unione europea, applicare in maniera uniforme i principi del trattato in tutti gli Stati membri ed eliminare le discrepanze nell’interpretazione di tali principi nonché le

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persistenti distorsioni del mercato interno. Ciò al fine di favorire, altresì, l’efficienza della spesa pubblica, la parità di accesso e l’equa partecipazione delle PMI all’aggiudicazione dei contratti di concessione, sia a livello locale che a livello dell’Unione, in modo da promuovere il conseguimento di obiettivi sostenibili delle politiche pubbliche (cons. 4, dir. Concessioni) A ciò si aggiunga, inoltre, che l’insufficienza della tutela giuridica degli offerenti ha sempre costituito un elemento di ostacolo al mercato delle concessioni. Infatti, alle concessioni di servizi e, in certa misura, alle concessioni di lavori, non si applicavano le norme relative ai mezzi di ricorso previste per il settore degli appalti pubblici individuate dalla direttiva ricorsi. L’incertezza normativa, infatti, è stata, spesso, alla base della mancata utilizzazione del potenziale apporto di capitale privato negli investimenti pubblici in infrastrutture e servizi strategici. È per tale ragione, quindi, che, nell’attuale congiuntura economica, che richiede l’utilizzo di strumenti che consentano di non gravare sui bilanci pubblici, la disciplina delle concessioni svolge un ruolo determinante. 2. Tratti distintivi della nuova disciplina Con il recepimento della direttiva i due istituti giuridici della concessione di lavori e della concessione di servizi dovranno essere assoggettati alla stessa disciplina normativa. La direttiva introduce tre novità di rilievo: 1) l’esplicita previsione che l’affidamento di lavori o servizi in concessione comporta il trasferimento al concessionario del “rischio operativo” legato alla gestione dei lavori o dei servizi (di natura economica, che comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori nella gestione dei lavori o dei servizi in condizioni operative normali, anche se una parte del rischio resta a carico dellʹamministrazione aggiudicatrice o dellʹente aggiudicatore)1 2) la puntuale definizione di tale 1 Lʹapplicazione di norme specifiche per la disciplina dellʹaggiudicazione di concessioni non sarebbe giustificata se lʹamministrazione aggiudicatrice o lʹente aggiudicatore sollevasse lʹoperatore economico da qualsiasi perdita potenziale garantendogli un introito minimo pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi che lʹoperatore economico deve sostenere in relazione allʹesecuzione del

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contratto. Allo stesso tempo, occorre precisare che alcuni accordi remunerati esclusivamente dallʹamministrazione aggiudicatrice o dallʹente aggiudicatore dovrebbero configurarsi come concessioni 19 di 23 qualora il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dallʹoperatore per eseguire il lavoro o fornire il servizio dipenda dallʹeffettiva domanda del servizio o del bene o dalla loro fornitura (cons. 18, dir. Concessioni). grandezza economica e 3) l’esatta definizione dell’assunzione di tale rischio in capo al concessionario (conss. 18, 19, 20 ed art. 5, par. 1, lett. b), dir. Concessioni). La direttiva delinea specificamente: (i) il “valore della concessione”; (ii) le caratteristiche del metodo di calcolo di detto valore; (iii) le grandezze economiche che ne debbono far parte (art. 8, dir. Concessioni). Viene inoltre prevista l’estensione alle concessioni delle vigenti disposizioni in materia di procedure di ricorso valevoli per gli appalti nei settori ordinari e speciali (cons. 81, dir. Concessioni). Quanto alle procedure per la scelta del concessionario, le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono liberi di organizzarle (art. 30, par. 1, dir. Concessioni), entro i limiti del rispetto dei principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità (art. 3, dir. Concessioni). A presidio dei principi di trasparenza e parità di trattamento è imposto l’obbligo di pubblicazione di un bando sulla GUCE recante l’intenzione di affidare una concessione di importo superiore alla soglia di rilievo comunitario (art. 31, dir. Concessioni). Oltre a ciò le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori sono comunque tenuti al rispetto di garanzie procedurali minime, individuate nell’art. 37 della dir. Concessioni. In relazione ai criteri di aggiudicazione, secondo quanto previsto dall’articolo 41 della dir. Concessioni, non ne vengono indicati di specifici ma si prevede che quelli prescelti debbano avere uno stretto collegamento con l’oggetto del contratto da affidare. Tra le garanzie procedurali spicca, in quanto espressione dell’estrema flessibilità di forma concessa dal legislatore, la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici e

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gli enti aggiudicatori di condurre negoziazioni con candidati ed offerenti, a condizione che l’oggetto della concessione, i criteri di aggiudicazione e i requisiti minimi non siano modificati nel corso della negoziazione (art. 37, par. 6, dir. Concessioni). Si tratta di una disposizione fortemente innovativa rispetto alla disciplina attualmente dettata dal Codice dei contratti pubblici per le concessioni di lavori ‐ che non prevede procedure negoziate – e dunque meritevole di particolare attenzione in fase di recepimento. 20 di 23 L’esigenza di favorire la crescita sostenibile, l’occupazione e l’inclusione sociale si manifesta anche in seno alla direttive sull’aggiudicazione delle concessioni. L’obiettivo finale di tutto l’impianto normativo posto a tutela delle esigenze ambientali, sociali e del lavoro (cons. 55 e cons. 64, dir. Concessioni) non solo assume un ruolo cardine nell’ambito della definizione delle condizioni di partecipazione alla procedura di aggiudicazione (cons. 70, dir. Concessioni), del novero delle modalità di selezione mediante le quali può essere affidato un contratto (art. 41, par. 2, dir. Concessioni), e della definizione delle specifiche condizioni di esecuzione del contratto medesimo, ma riveste, altresì, un’importanza considerevole anche nell’ambito di tutti i possibili sub‐affidamenti che il contraente (concessionario) può effettuare (cons. 72, dir. Concessioni). Gli Stati Membri sono chiamati ad adottare misure appropriate per assicurare che gli operatori economici (concessionari e loro sub‐contraenti), nell’esecuzione del contratto rispettino le prescrizioni nel settore ambientale, sociale e di lavoro. Proprio con riferimento alla disciplina dell’esecuzione delle concessioni, si rileva come, per esse, più che per gli appalti, la fase dell’esecuzione contrattuale può essere foriera di problematiche correlate alla durata nel tempo dell’affidamento ed alla possibilità della sopravvenienza di condizioni diverse ed inaspettate che determinano l’esigenza di una revisione delle clausole contrattuali, per garantire l’equilibrio economico‐finanziario della gestione. Nella direttiva Concessioni, il legislatore europeo ha ritenuto di dover dettare alcune disposizioni proprio con riferimento alla fase dell’esecuzione (artt. 42‐45, dir. Concessioni), applicabili indistintamente ai lavori e ai servizi. 3. Recepimento: Codice delle concessioni Alla luce di tutto quanto sopra esposto, appare evidente l’importanza di avere individuato un quadro normativo chiaro e sistematico nonché di aver assoggettato

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allo stesso regime giuridico sia la concessione di lavori sia la concessione di servizi, al fine di ridurre l’incertezza giuridica, l’ampio contenzioso ed attrarre gli investitori. Preme rilevare, tuttavia, che il quadro normativo, per quanto chiaro e sistematico, della sola fase di scelta del concessionario è da ritenere strumento inefficace alla realizzazione del fine di un effettivo controllo della spesa, di un reale incentivo alla cooperazione tra settore pubblico e settore privato nonché della maggiore certezza giuridica nel settore delle concessioni.21 di 23 Appare, pertanto, essenziale che vengano disciplinate anche le fasi a monte della procedura selettiva – programmazione e progettazione – e la fase a valle, ossia l’esecuzione del contratto. In tale ottica, risulta necessaria, altresì, una puntuale disciplina delle modalità e della tempistica del monitoraggio e dei controlli da svolgersi durante l’intera durata del contratto nonché l’assoggettamento delle concessioni ad un efficiente sistema di raccolta ed elaborazione dati, alla stessa stregua di quanto accade per gli appalti, attraverso il ruolo svolto dall’Autorità. A tal proposito giova rilevare come l’articolo 45 della direttiva Concessioni prevede che, al fine di garantire la corretta ed efficace attuazione della medesima, l’Autorità competente per il monitoraggio metta a disposizione del pubblico, attraverso appropriati mezzi di informazione, i risultati delle attività effettuate, affinché le informazioni e gli orientamenti sulla interpretazione e applicazione delle norme dellʹUnione per lʹaggiudicazione dei contratti di concessione siano disponibili gratuitamente per aiutare le amministrazioni, gli enti aggiudicatori e gli operatori economici ad applicarle correttamente. Detta disposizione integra le previsioni nazionali di cui alla legge 6 novembre 2012, n. 190 (recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dellʹillegalità nella pubblica amministrazione) e di cui al D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33 (recante il riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) che, in attuazione del principio comunitario e costituzionale di trasparenza, dispongono la pubblicità dei dati e la conoscibilità delle informazioni riguardanti operatori economici e stazioni appaltanti, e attribuiscono all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture un ruolo strategico per gli adempimenti allo scopo previsti. Tenuto conto di tutto quanto sopra esposto, in fase di recepimento, si potrebbe optare per una soluzione che, per quanto riguarda le concessioni, e più in generale

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per tutte le fattispecie di cui all’articolo 3, comma 15 ter, preveda la redazione di uno specifico testo normativo che disciplini, altresì, la fase della progettazione e programmazione nonché dell’esecuzione. Ciò sarebbe, peraltro, in piena sintonia con l’iniziativa governativa denominata “Destinazione Italia”. Fra le misure in essa contenute, infatti, la n. 37, relativa allo sviluppo dei partenariati pubblico‐privati (ppp) nel campo delle piccole e medie infrastrutture, intende creare nell’ordinamento nazionale una disciplina speciale per il PPP, esterna al Codice dei contratti pubblici, composta da 22 di 23 ed applicare modelli giuridico‐economici che siano “Eurostat compliant”, per evitare che complesse operazioni di finanza strutturata debbano poi essere riclassificate ai fini dei parametri di Maastricht. 23 di 23 , per orientare i comportamenti dei soggetti regolati.

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Servizio di realizzazione del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI). L’Autorità di vigilanza, investita da DigitPA, per i profili di competenza, ha effettuato una istruttoria tesa a valutare la conformità alla normativa sui contratti pubblici dell’affidamento del Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti – SISTRI. Con deliberazione n. 10 del 10 aprile 2014, l’Autorità ha ritenuto che l’affidamento diretto della realizzazione del Progetto SISTRI non è stato conforme all’art. 17, del Codice dei contratti, nel testo vigente all’epoca dell’affidamento e prima della modifica apportata a tale disposizione ad opera del d. lgs. n. 208/2011. L’Autorità ha disposto l’invio della deliberazione alla Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura della Repubblica di Napoli, alla Procura generale della Corte dei conti e al Nucleo Polizia Tributaria di Napoli, per i profili di competenza. In particolare, l’Autorità ha dapprima chiarito che, con riferimento ai contratti secretati, di cui all’art. 17, del d. lgs. n. 163/2006, la norma affida alla medesima Autorità di vigilanza il compito di verificare, con riferimento alle concrete fattispecie contrattuali, la legittimità della sottrazione alle ordinarie procedure di affidamento, nell’ottica di salvaguardia di quei superiori principi di derivazione comunitaria, miranti a garantire l’economicità, la trasparenza e –pur con alcuni limiti – la libera concorrenza. A tale ultimo proposito, appare un’attribuzione naturalmente discendente dalla prima quella di accertare la corretta individuazione degli operatori economici che possono accedere agli affidamenti esclusi. Ha poi rilevato che le disposizioni dell’art. 17, comma 1, del d. lgs. n. 163/2006, nel testo precedente alla modifica apportata con d. lgs. n. 208/2011, trovavano applicazione alle “opere, servizi e forniture” di determinate amministrazioni ed enti “per la difesa della Nazione o per compiti di istituto”; contestualmente, la potestà regolamentare era circoscritta ai soli casi in cui fossero necessarie “misure speciali di sicurezza e di segretezza” e purché esse fossero richieste da “disposizioni legislative, regolamentari e amministrative vigenti”, ovvero quando fossero “originate dall’esigenza di proteggere gli interessi essenziali della sicurezza dello Stato”.

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Anche per gli appalti secretati si imponeva e si impone, in ogni caso, il rispetto dei principi contenuti nell’art. 27, del d. lgs. n. 163/2006. Pertanto, l’affidamento diretto ad un unico operatore, senza l’effettuazione di una gara informale, rappresenta un vulnus al sistema delle regole interne e comunitarie quando non sia legittimato e comprovato da rigorosa e convincente motivazione tale da non lasciare dubbi, da un lato, sulla esatta configurazione dei confini normativi legittimanti il ricorso alla procedura negoziata e, dall’altro, sulla mancanza di valida alternativa all’affidamento diretto. Il provvedimento di secretazione avrebbe potuto al più legittimare una procedura di gara, nella quale accanto ai requisiti ordinari, si sarebbe dovuto chiedere agli operatori economici il possesso dell’abilitazione di sicurezza. Al contrario, l’iter procedurale seguito – l’autonoma presentazione da parte di un operatore economico di un progetto preliminare, la sua secretazione ad opera dell’amministrazione, il successivo sviluppo del progetto e la stipula del contratto ‐è un iter che non trova riscontro in alcun modello normativo che disciplina i contratti pubblici, dove la titolarità dell’iniziativa appartiene di norma al committente pubblico, dalla individuazione delle esigenze alla fattibilità dell’intervento, alla sua definizione, alla ricerca del contraente e successiva gestione e controllo della fase realizzativa.

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Nuovi controlli ordinari e straordinari attribuiti all’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture di Alma Chiettini

(Consigliere T.R.G.A. Trento)

Il recente D.L. n. 66 del 2014, definito con il nome breve “competitività e giustizia sociale” (13), potenzia notevolmente i compiti dell’Autorità per la Vigilanza sui Contratti Pubblici di Lavori, Servizi e Forniture (di seguito, AVCP). In particolare, l’art. 10 le attribuisce i “compiti di controllo sulle attività finalizzate all’acquisizione di beni e servizi” con la specificazione che deve esercitarli “secondo quanto previsto dal codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture”, ossia dal d.lgs. 12.4.2006, n. 163. Ma andiamo con ordine. Occorre premettere che l’art. 10 non può essere analizzato senza un accenno a quanto disposto dall’art. 9 (rubricato “acquisizione di beni e servizi attraverso soggetti aggregatori e prezzi di riferimento”) dello stesso decreto che, al fine di razionalizzare ulteriormente la spesa pubblica per l’acquisto di beni e servizi, incrementa il ricorso alle centrali di committenza quale strumento atto ad aggregare la domanda e, pertanto, ad ottenere la riduzione delle spese; in particolare, fra le numerose novità spiccano: ‐ l’istituzione ‐ nell’ambito dell’Anagrafe Unica delle Stazioni Appaltanti (AUSA) già operante presso l’AVCP ‐ dell’elenco dei “SOGGETTI AGGREGATORI”, di cui fanno parte Consip s.p.a. e le centrali di committenza regionali ove costituite (e, comunque, da costituire entro il 31 dicembre 2014), con la specificazione che, in ogni caso, il

Decreto legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, in G.U. n. 95 del 24.4.2014, in vigore dal 24 aprile 2014, scade il 23 giugno 2014. Atto Senato della Repubblica n. 1465 ‐ XVII Legisl.

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numero complessivo dei soggetti aggregatori presenti sul territorio non può essere superiore a 35 (14); ‐ l’individuazione, tramite decreto, delle categorie di beni e di servizi nonché delle soglie al superamento delle quali le amministrazioni statali centrali e periferiche, le regioni, gli enti regionali (e i loro consorzi e associazioni) e gli enti del servizio sanitario nazionale devono avvalersi, rispettivamente, di Consip o del soggetto aggregatore di riferimento per lo svolgimento delle relative procedure di gara; ‐ la previsione che i comuni non capoluogo di provincia debbano procedere all’acquisizione di lavori, beni e servizi nell’ambito delle unioni dei comuni, ove esistenti, o costituendo un apposito accordo consortile tra i comuni medesimi e avvalendosi dei competenti uffici, o ricorrendo ad un soggetto aggregatore, o alle province, o ancora che gli stessi comuni possano effettuare i propri acquisti attraverso gli strumenti elettronici di acquisto gestiti da Consip; ‐ la statuizione che, a partire dall’1 ottobre 2014, e con aggiornamento annuale, l’AVCP fornirà alle amministrazioni pubbliche un’elaborazione dei prezzi di riferimento, alle condizioni di maggior efficienza, di beni e servizi tra quelli di maggiore impatto in termini di costo, nonché pubblicherà nel sito i prezzi unitari corrisposti dalle pubbliche amministrazioni per gli acquisiti di tali beni e servizi; siffattamente, si estende l’esperienza dei prezzi di riferimento introdotta per il settore sanitario dal d.l. 6 luglio 2011, n. 98 (15); ‐ la regola che tali prezzi di riferimento dovranno essere utilizzati per la programmazione dell’attività contrattuale delle pubbliche amministrazioni e che costituiranno il prezzo massimo di aggiudicazione, anche per le procedure di gara aggiudicate all’offerta più vantaggiosa, in tutti i casi in cui non è presente una convenzione stipulata ai sensi della vigente normativa in materia di acquisto di beni e servizi, in ambito nazionale ovvero nell’ambito territoriale di riferimento. Ebbene, con l’art. 10 è stato attribuito all’AVCP il controllo su tutte le attività svolte dalle pubbliche amministrazioni nell’acquisizione di beni, servizi e forniture.

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È anche istituito il tavolo tecnico dei soggetti aggregatori con compiti e attività da determinarsi con decreto del Presidente del

Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dellʹeconomia e delle finanze, da emanarsi previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano. Sul punto, per la giurisprudenza, vedasi C.d.S., sez. III, 9 luglio 2013, n. 3641; sez. III, 30 maggio 2013, n. 2942; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 21 gennaio 2013, n . 674.

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Trattasi, all’evidenza, di un’articolazione di compiti di vigilanza sui contratti pubblici, anche di interesse regionale, già assegnati in via generale all’AVCP dal d.lgs. n. 163 del 2006 al fine di: ‐ garantire lʹosservanza dei principi di cui all’art. 2 dello stesso testo normativo e, segnatamente, il rispetto dei principi di correttezza e trasparenza delle procedure di scelta del contraente, di tutela delle piccole e medie imprese attraverso adeguata suddivisione degli affidamenti in lotti funzionali e di economica ed efficiente esecuzione dei contratti, nonché il rispetto delle regole della concorrenza nelle singole procedure di gara (comma 5 dell’art. 6); ‐ vigilare sullʹosservanza della disciplina legislativa e regolamentare vigente verificando la regolarità delle procedure di affidamento e lʹeconomicità di esecuzione dei contratti, accertando che da questi non derivi pregiudizio per il pubblico erario (art. 6, comma 7, lett. a), c) e d). Ora, la puntuale attività di vigilanza disciplinata dall’art. 10, d.l. n. 66 del 2014 è specificatamente volta al monitoraggio di quelle condotte non rispettose degli obblighi di legge con particolare riguardo alla fruizione delle convenzioni poste in essere da Consip, all’obbligo di utilizzare il soggetto aggregatore di riferimento e di applicare i prezzi di riferimento, all’utilizzo improprio di procedure mediante le quali non viene posto in essere un sostanziale confronto concorrenziale. Si tratta, in altri termini, di verificare il grado di adesione delle amministrazioni aggiudicatrici alla disciplina normativa (continuamente implementata) sui comportamenti virtuosi da porre in essere per l’impegno e la gestione della spesa per l’acquisizione di beni, servizi e forniture. E tutto ciò sfruttando e incrociando la grande quantità di dati informativi e statistici raccolti presso le amministrazioni aggiudicatrici, le centrali di committenza statali e regionali e la stessa Autorità, potendo così “avere contezza, in tempo reale, delle dinamiche di mercato” (16). Per effettuare la peculiare attività di controllo in esame l’AVCP può (meglio, dovrà, atteso che si tratta di un compito istituzionale) avvalersi del supporto della Guardia di finanza, della Ragioneria generale dello Stato, delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli organismi di diritto pubblico, sulla base di apposite convenzioni che possono prevedere anche i meccanismi per la copertura dei costi per 16

Cfr., Atto di segnalazione dell’AVCP al Governo e al Parlamento n. 1 del 12 gennaio 2012.

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lo svolgimento delle attività di supporto. All’esito delle verifiche, l’AVCP è tenuta a trasmettere i dati e le circostanze ritenuti rilevanti alle strutture, agli uffici e agli organi preposti alle funzioni di controllo delle amministrazioni pubbliche, al fine dell’esercizio della predetta funzione di controllo. Si tratta, quindi, di una precisa e non irrilevante (non solo quantitativamente ma soprattutto qualitativamente) attività che comporterà adempimenti ed oneri che incideranno sull’azione della stessa Autorità ma che, tuttavia, parrebbe che debbano essere posti in essere a costo zero, atteso che la relazione tecnica che ha accompagnato la presentazione del testo di legge al Parlamento prevede che l’AVCP fronteggi gli eventuali oneri nell’ambito delle risorse disponibili nel proprio bilancio (17). Oltre a ciò, in sede di prima applicazione, è stata attribuita all’AVCP una attività straordinaria di controllo che interessa i seguenti contratti di beni o servizi, di importo pari o superiore alla soglia di rilevanza comunitaria, in essere alla data del 30 settembre 2014: ‐ aventi ad oggetto prestazioni per le quali sarebbe stato possibile ricorrere alle convenzioni Consip dopo il 1 gennaio 2013 (18); ‐ stipulati a seguito di procedura negoziata ai sensi degli artt. 56 e 57, d.lgs. n. 163 del 2006; ‐ stipulati a seguito di procedura aperta o ristretta (ai sensi dell’art. 55 del medesimo decreto legislativo) ma nella quale è stata presentata una sola offerta valida. Per mettere in esecuzione tale attività straordinaria, entro il 30 settembre 2014 tutte le amministrazione aggiudicatrici (19) sono chiamate a trasmettere all’Osservatorio dei contratti i dati dei contratti stipulati nei tempi e con le modalità sopra indicate, secondo procedure che saranno indicate da una deliberazione dellʹAutorità. 17 Al riguardo, il Servizio Bilancio del Senato dubita dell’effettiva neutralità finanziaria della norma, posto che “lʹavvalimento nellʹoperatività da parte degli organismi potrà avvenire solo sulla base delle apposite convenzioni che < potranno > essere con essi stipulate, le quali dovranno prevedere i necessari meccanismi di copertura dei costi sostenuti”, per cui il dispositivo “sembra prefigurare le condizioni per il sostenimento di nuovi e maggiori oneri per la finanza pubblica, di cui non vengono però indicate le concrete modalità per farvi fronte”. 18 Sarà un decreto del Ministro dellʹeconomia e delle finanze ad individuare le prestazioni principali (in relazione alle caratteristiche essenziali dei beni e servizi) per le quali era possibile ricorrente alle convenzioni dopo il 1° gennaio 2013; entro 10 giorni dallʹemanazione del decreto, il Ministero pubblicherà sul proprio sito internet i prezzi relativi alle prestazioni individuate. 19 Come individuate dall’art. 3, comma 25, del d.lgs. 163/2006: amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici territoriali; gli altri enti pubblici non economici; gli organismi di diritto pubblico; le associazioni, unioni, consorzi, comunque denominati, costituiti da detti soggetti.

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Anche per fronteggiare lʹattivazione e gli adempimenti conseguenti a tale programma straordinario di controllo delle indicate tipologie di commesse effettuate dopo il 1° gennaio 2013, l’AVCP è chiamata ad utilizzare le sole risorse per essa già previste a legislazione vigente (20). In questi giorni, il d.l. n. 66 del 2014 è all’esame in sede referente delle Commissioni V (Bilancio) e VI (Finanze e Tesoro) del Senato, ove ‐ quanto agli articoli qui di interesse ‐ sono stati presentati numerosi emendamenti per prevedere, tra l’altro (21): ‐ le centrali di committenza presso le province ma anche, all’opposto, per delimitarne il numero a 9 (anziché 35); ‐ di non conteggiare nel numero massimo dei soggetti aggregatori le centrali di committenza già costituite; ‐ di stabilire che i comuni non capoluogo di provincia debbono esperire le procedure d’appalto nellʹambito delle unioni dei comuni o ricorrendo ad un soggetto aggregatore solo se l’importo supera 500.000 euro (ovvero 100.00 euro); ‐ di introdurre una forma di controllo: l’AVCP non potrà rilasciare il Codice Identificativo Gara (CIG) ai comuni non capoluogo di provincia che procedono autonomamente ad esperire procedure d’appalto; di sostituire il termine del 30 giugno 2014 con quello del 31 dicembre 2014. E’ stato inoltre proposto di inserire un nuovo articolo, il 10 bis, con lo scopo di disciplinare la verifica on‐line dei requisiti di partecipazione alle procedure di aggiudicazione di contratti pubblici con l’acquisizione dei relativi dati dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici, istituita presso l’AVCP. Insomma, si prefigurano ulteriori novità. 20

Anche per tali compiti straordinari il Servizio Bilancio del Senato dubita che la “la mera affermazione di neutralità dell’intervento

sia idonea a fornire garanzia circa lʹassenza di nuovi o maggiori oneri”. 21 Per seguire l’iter parlamentare è possibile consultare il sito: http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/dossier/44348_dossier.htm

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AVCP e Corte dei conti : sinergie in tema di trasparenza dei contratti pubblici. di Fernanda Fraioli (V. Proc. Gen. Corte dei conti per l’Umbria)

La volontà legislativa di far collaborare Autorità di Vigilanza e Corte dei conti in materia di contratti pubblici la ritroviamo manifestata già nel Codice del 2006 che all’ultimo comma dell’art. 6 dispone “ qualora l’Autorità accerti che dall’esecuzione dei contratti pubblici derivi pregiudizio per il pubblico erario, gli atti ed i rilievi sono trasmessi anche ai soggetti interessati ed alla Procura Generale della Corte dei conti”. Ed ora, con la legge 6 novembre 2012, n. 190, nel dettare disposizioni finalizzate alla prevenzione e repressione della corruzione e dell’illegalità nella Pubblica Amministrazione, al comma 32, si prevede che entro il 30 aprile di ciascun anno, l’Autorità inoltri alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni ivi previste in formato digitale standard aperto, prevedendo l’irrogazione della medesima sanzione pecuniaria (da 25.822,00 a 51.545,0 euro), già contenuta nel codice dei contratti per quei soggetti che, se richiesti, non forniscono le informazioni ed i documenti domandati con provvedimento dall’Autorità medesima nello svolgimento della propria attività istituzionale.

A tal proposito, va ricordato che l’Autorità ha osservato che “ai sensi dell’art. 1, co.34 della legge n. 190/12, gli adempimenti in questione sono dovuti dalle amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, co. 2, del D.L.vo n. 165/2001, dagli enti pubblici nazionali, dalle società partecipate dalle amministrazioni pubbliche e dalle loro controllate, ai sensi dell’art. 2359 c.c., limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o dell’Unione europea” e che, nel caso in cui i contratti che rivestono pubblico interesse siano stipulati da soggetti privati “la natura del contratto attrae nella sfera pubblicistica anche quei soggetti che, per loro natura giuridica, andrebbero collocati al di fuori di essa”.

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Con ciò evidenziando che la natura pubblica del contratto – a prescindere da quella giuridica della stazione appaltante – è dirimente in quanto comporta l’impegno di risorse economiche pubbliche a cui deve essere assicurata la massima trasparenza nell’affidamento dei relativi contratti22.

In una parola difesa ad oltranza del patrimonio pubblico e rivalutazione del nostro Paese agli occhi degli osservatori europei, atteso che nel rapporto sulla corruzione elaborato e diffuso dalla Commissione Europea, nelle grandi opere pubbliche, la corruzione pesa per il 40% dell’intero valore degli appalti che è considerato il settore sempre più a rischio corruzione.

A dimostrazione di quanto affermato rileva le percentuali di ricorso alle procedure senza gara che nel nostro Paese si attestano nel 14% a fronte di una media europea In perfetta sintonia con quanto statuito dalla Cassazione in occasione del riconoscimento della giurisdizione della Corte dei conti nell’ormai lontano 2006, quando con più pronunce (SS.UU. 25 gennaio 2006, n. 1378; SS.UU. 2 marzo 2006, n. 4582 ed, infine, SS.UU. 1 marzo 2006, n. 4511) ha conferito valore assorbente alla pubblicità del danaro, piuttosto che a quella dell’operatore. Con l’ultima delle pronunce – la n. 4511 del 1 marzo 2006 – le Sezioni Unite individuano la linea di demarcazione tra la giurisdizione ordinaria e giurisdizione contabile in tema di danno erariale. Prendendo le mosse da un ricorso presentato dalla Procura Regionale della Corte dei conti per l’Abruzzo avente ad oggetto l’indebita richiesta e conseguente corresponsione del finanziamento ad una società per la realizzazione di un impianto per l’innevamento programmato da eseguirsi in una località sciistica della Regione, la Cassazione statuisce che ormai il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostato dalla qualità del soggetto (che può ben essere un privato od un ente pubblico non economico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sue scelte, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla Pubblica Amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo, e l’incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, egli realizza un danno per l’ente pubblico (anche sotto il mero profilo di sottrarre ad altre imprese il finanziamento che avrebbe potuto portare alla realizzazione del piano così come concretizzato ed approvato dall’ente pubblico con il concorso dello stesso imprenditore), di cui deve rispondere dinanzi al giudice contabile (ex plurimis Cass. SS.UU. 8450/98, 926/99, 11309/95). Con atto di citazione in data 8 maggio 2003, la Procura Regionale della Corte dei Conti, infatti,, contestava l’illegittima erogazione di fondi pubblici, intervenuta nel luglio 1999, nell’ambito del finanziamento finalizzato all’attuazione del programma operativo multiregionale Patti territoriali per l’occupazione, a valere sugli accordi con l’Unione Europea nel contesto dell’obiettivo 1, sottoprogramma n. 9 Sangro ‐ Aventino di cui al decreto 967/99 del 29/1/99 del Ministero del tesoro, bilancio e programmazione economica, già approvato dalla commissione della comunità europea. In particolare, le contestazioni della Procura avevano ad oggetto l’indebita richiesta e conseguente corresponsione del finanziamento di lire 355.200.000 alla società S. per la realizzazione di un impianto per l’innevamento programmato da eseguirsi in una località sciistica del luogo. Dagli accertamenti eseguiti era, infatti, emerso che, nonostante il progetto ammesso al finanziamento prevedesse l’installazione di macchinari nuovi di fabbrica, 24 macchine erano state, invece, acquistate dalla S. sin dal 2 dicembre 1997 e, successivamente, previo finalizzato ristorno, simulatamene riacquistate in data 23 novembre 1996. Ciò premesso, considerato che il danno denunciato era stato reso possibile anche per la carente attività di controllo dell’istituto di credito concessionario, il Procuratore Regionale conveniva in giudizio la società S. quale responsabile diretta a titolo di dolo e l’Intesa Bci Mediocredito Spa quale responsabile in via sussidiaria, chiedendone la condanna al pagamento, in favore della Regione Abruzzo, ciascuno della medesima somma di euro 183.455,50. Con atto notificato il 10 dicembre 2003 la società S. ha proposto istanza di regolamento di giurisdizione, deducendo l’insussistenza della giurisdizione contabile stante la sua estraneità all’organizzazione amministrativa e, comunque, ritenendo escluso il rapporto di servizio in quanto l’erogazione di fondi pubblici costituiva semplicemente lo strumento per lo svolgimento di un’attività privata, in tale modo sovvenzionata. 22

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pari al 6% e, addirittura, imputando al nostro Paese il 50% circa del costo della corruzione nell’intera Unione, ricordando, altresì, che la corruzione comporta un prezzo per l’economia di circa 120 miliardi di euro, pari all’1% di PIL dell’Unione Europea, di cui 60 miliardi circa sono a noi riconducibili.

A dire il vero il rapporto non si ferma qui, ma procede con valutazioni non certo edificanti in merito ai compiti di coordinamento affidati dal legislatore nazionale alla CIVIT che non avrebbe le capacità di adempiere a detto ruolo potendo contare soltanto su un numero limitato di addetti (solo 3 membri) ed uno staff (di circa 30 persone) troppo spesso mutevole nella sua composizione.

Il tutto unito alle critiche che rivolge anche alla legge n. 190/2012 rea, secondo la Commissione, di aver assegnato alla CIVIT un’attività ispettiva, piuttosto scarsa e poteri sanzionatori praticamente inesistenti.

Per questo in tale sede raccomanda di agire per altra via, quella dell’incentivazione della trasparenza degli appalti pubblici mediante la messa a disposizione dei documenti e dei dati ad essi relativi in modo che vengano eseguiti in base al mercato ed all’insegna della più sana competitività delle offerte, magari garantiti da professionalità maggiormente capaci e preparate.

Del pari, uno studio di Transparency International (che, per la verità, ha avuto sempre parole di stima ed apprezzamento per l’operato della Corte dei conti) ha individuato preoccupanti fenomeni di corruzione in alcuni Paesi europei riconducibili proprio alla mancanza di trasparenza – più o meno assoluta nei differenti Paesi – alla mancanza di tutela di chi denuncia i casi di corruzione, alla mancanza di pubblicazione e pubblicità, nonché alla mancanza di organismi di controllo per il monitoraggio delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici.

Inducendola a proporre, quali soluzioni ritenute fiduciosamente risolutive: una maggiore trasparenza; una legislazione chiara ed efficace; un rafforzamento degli organismi di controllo, nonché gare d’appalto aperte e massimamente pubblicizzate.

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Così in ambito europeo, come in quello nazionale.

Focalizzazione, quindi, della trasparenza quale metodo principe per la lotta alla corruzione, ma in via preventiva piuttosto che repressiva.

Nel dare atto, infatti, del considerevole apporto alla politica anticorruzione in Italia dato dall’azione della Corte dei conti “grazie ad un’efficace attività operativa di controllo associata ad eccezionali poteri di esercizio dell’azione di danno erariale della procura contabile”, lamenta, purtuttavia, che per troppo tempo nel nostro Paese la lotta alla corruzione è stata affidata unicamente ad interventi repressivi ad opera, per l’appunto, della magistratura.

Per questo la Commissione suggerisce, tra i vari aspetti, di dare attenzione a rendere più trasparenti gli appalti pubblici, prima e dopo l’aggiudicazione come richiesto dalle raccomandazioni rivolte all’Italia nel luglio scorso nel quadro del semestre europeo, suggerendo di prevedere l’obbligo per tutte le strutture amministrative di pubblicare online, oltre ai conti ed ai bilanci annuali, la ripartizione dei costi per i contratti pubblici di opere, forniture e servizi in linea con la normativa anticorruzione.

Per questo riconosce alla legge n. 190/2012 la funzione di riequilibrare la strategia rafforzandone l’aspetto preventivo e potenziando la responsabilità dei pubblici ufficiali, nonchè validità al piano d’azione basato sulla valutazione del rischio di corruzione che si concentra principalmente sulle misure preventive e di trasparenza all’interno della Pubblica Amministrazione, anche se manifesta forti dubbi sulla concreta capacità di incidere efficacemente nell’attuazione di tutta la serie di indicatori delle prestazioni che contiene.

§§§§§§§§§§

Ed è proprio in quest’ottica di raccomandazioni e suggerimenti, che si inquadra la previsione del legislatore della legge n. 190 contenuta nel comma 32 dell’unico articolo di cui si compone la legge il quale affida all’AVCP la trasmissione alla Corte dei conti, entro il 30 aprile di ciascun anno, dell’elenco delle Amministrazioni che

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hanno omesso di trasmettere e pubblicare, in tutto o in parte, le informazioni relative ad ogni singolo appalto in materia di lavori, servizi e forniture, nella convinzione che soltanto lo strumento della trasparenza possa essere un valido baluardo alla corruzione nel settore in cui maggiormente si annida.

Trasparenza ed anticorruzione due facce della medesima medaglia che il legislatore ha voluto disciplinare distintamente, ma con provvedimenti ravvicinati nel tempo che, purtuttavia, si completano a vicenda proprio per la funzione ausiliaria svolta dalla trasparenza al contrasto al fenomeno corruttivo.

Non a caso, infatti, la trasparenza è intesa dal legislatore come accessibilità totale delle informazioni concernenti l’attività delle P.A., allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche che concorre ad attuare il principio democratico ed i principi costituzionali di uguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia, efficienza nell’utilizzo di risorse comuni, integrità e lealtà al servizio della nazione.

Oltre che ad integrare il diritto ad una buona amministrazione e concorrere alla realizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino.

Finalità del successivo decreto 14 marzo 2013, n. 33 che, per l’appunto, riordina la disciplina in materia di obblighi di pubblicità e trasparenza in capo alle Pubbliche Amministrazioni, è proprio quello di consentire la massima diffusione delle informazioni in modo da attivare il conseguente controllo da parte dei cittadini sulle attività svolte, ma soprattutto di misurare la loro efficienza ed imparzialità in modo da scongiurare ogni possibile intromissione volta a favorire comportamenti contrari alla legalità.

E, con particolare riferimento al settore degli appalti (definiti settori speciali), prevede (art. 37) l’obbligo di pubblicazione delle informazioni relative alle procedure per l’affidamento e l’esecuzione di opere e lavori pubblici, servizi e forniture, in aggiunta agli altri obblighi di pubblicità legale di cui al co. 32 dell’art. 1 della legge n. 190/2012, nonché un generale obbligo di pubblicazione (art. 23) con riferimento ai

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provvedimenti amministrativi soggetti ad un aggiornamento semestrale aventi ad oggetto la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con riferimento alle modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti, relativi a lavori, servizi e forniture di cui al medesimo codice.

Gli obblighi, quindi, a carico delle stazioni appaltanti previsti dal combinato disposto normativo, si riconducono sostanzialmente: 

alla pubblicazione sul proprio sito web delle informazioni sugli appalti che

vanno dalla determina di aggiudicazione definitiva, all’oggetto del bando, all’importo, all’aggiudicatario, alle modalità di selezione del contraente, alla procedura seguita, ai tempi di realizzazione dell’opera, all’ammontare delle somme liquidate, ai costi unitari, alla pubblicazione annuale di un indicatore dei propri tempi medi di pagamento, alle modifiche contrattuali; 

alla trasmissione di tutte queste informazioni, dopo la pubblicazione sul

proprio sito, all’AVCP con le modalità operative ed i tempi di cui al comunicato n. 26/2013 e successiva nota del Presidente, la quale provvede a pubblicarle sul proprio sito web in una sezione liberamente consultabile da tutti i cittadini, catalogate in base alla tipologia di stazione appaltante e per Regione.

Le informazioni da pubblicare, in tabelle riassuntive con riferimento agli appalti aggiudicati nell’anno solare precedente, soggiacciono al termine del 31 gennaio successivo che, per quello appena trascorso (in virtù della novità della prescrizione) il termine ultimo, inizialmente fissato al 15 giugno 2013, è stato differito al 31 gennaio 2014.

Il medesimo decreto prevede, poi, delle specifiche sanzioni per la violazione degli obblighi di trasparenza, derivanti dall’inadempimento agli obblighi di pubblicazione previsti dalla normativa che costituiscono elemento di valutazione della responsabilità

dirigenziale,

nonché

di

quella

per

danno

all’immagine

dell’Amministrazione e sono valutati ai fini della corresponsione della retribuzione di risultato e del trattamento accessorio collegato alla performance individuale dei responsabili.

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La prova che tale inadempimento non gli sia riconducibile in quanto dipeso da causa a lui non imputabile, esonera il responsabile dal risponderne.

Sanzioni e poteri ispettivi dell’AVCP, propri e distintamente previsti da quelli della Corte dei conti, ma, pur sempre connessi o quantomeno conseguenti.

Se è vero, com’è vero che il legislatore della 190 prevede la comunicazione alla Corte dei conti genericamente indicata, altrettanto vero è che i dati così trasmessi possono essere differentemente letti dai due uffici di cui si compone l’organo contabile.

Se l’ufficio di controllo ne farà un uso divulgativo e illustrativo nelle proprie relazioni più o meno annuali (con conseguenti indicazioni), l’ufficio di Procura potrà approfondirlo onde rilevare ipotesi (magri occulte) di danno erariale.

La comunicazione a carico dell’AVCP, d’altronde, non è neppure l’unica visto che anche il Dipartimento della Funzione Pubblica deve trasmettere ogni anno alla Corte dei conti l’elenco delle amministrazioni che hanno omesso di trasmettere le informazioni secondo i prescritti canoni di trasparenza (D.l.vo n. 165/2001) così come la CIVIT (art. 45, d.l.vo n. 33/2013) ai fini dell’attivazione delle “altre forme di responsabilità”.

Procedendo con ordine, già di per sé, il mancato adempimento all’obbligo di pubblicazione dei dati è sicuramente e semplicemente fonte di responsabilità per il responsabile della trasparenza che ha il preciso compito di provvedere in merito incorrendo, in caso contrario, in forme di responsabilità disciplinare, dirigenziale e amministrativa come evidenziato dall’art. 46 del d.l.vo n. 33/2013.

Le sanzioni, come ricordato nella circolare n. 2/2013 dall’allora Ministro per la Funzione Pubblica, riguardano tutti i soggetti che sono tenuti a contribuire agli adempimenti e, quindi, non solo il responsabile della trasparenza per le sue attribuzioni specifiche, ma anche i dirigenti e gli organi politici che devono fornire i dati per realizzare la pubblicazione.

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Quindi, l’inadempimento agli obblighi di pubblicazione è elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale, nonché eventuale causa di responsabilità per danno all’immagine della P.A. e valutazione ai fini della corresponsione della retribuzione accessoria di risultato e di quella accessoria collegata alla perfomance individuale del responsabile.

In ogni caso foriere tutte di responsabilità erariale, non solo intuitiva come quella all’immagine della P.A.23, ma anche da determinare come le restanti, atteso che la rottura del sinallagma contrattuale che si configurerebbe nelle due restanti ipotesi è l’elemento essenziale della responsabilità amministrativo‐contabile di cui si risponde avanti al giudice contabile.

Qualora, infatti, l’Amministrazione erogasse una retribuzione accessoria a fronte della violazione di un preciso obbligo di legge che incarna l’in sé (essenza) dell’ulteriore prebenda si configurerebbe un ingiustificata locupletazione ai danni delle risorse pubbliche.

Una tale lettura, tuttavia, non vuole essere un inno all’incremento delle denunce24, finalizzato ancora agli interventi risolutivi (in un senso o nell’altro) della magistratura, bensì, al contrario, ad un’efficace attuazione dei principi costituzionalmente enunciati del buon andamento e dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione.

Il danno all’immagine – in merito al quale è chiamato a pronunciarsi il giudice contabile – si sostanzia nel pregiudizio all’immagine, al decoro ed al prestigio dell’Amministrazione specifica interessata, ma anche dell’intero settore pubblico ed è considerato in relazione al comportamento tenuto dal soggetto nell’espletamento di un’attività di pubblico servizio relativa all’erogazione di prestazioni cui è preposto. In particolare sotto il profilo del danno all’immagine ed al prestigio, va tenuto conto delle esigenze di credibilità e di affidamento da parte della comunità in una istituzione che dovrebbe tutelare, in condizioni di massima trasparenza e correttezza, un diritto di rilevanza primaria e costituzionale, diritto messo in evidente pericolo dagli eventuali comportamenti infingardi ed altamente superficiali posti in essere dagli operatori pubblici. Tale tipo di danno che, a partire dalla nota sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU. del 21 marzo 1997, n. 5668, rientra a pieno titolo nella giurisdizione della Corte dei conti, ha subito nel tempo vari aggiustamenti a partire dalla sua natura pretoria, passando attraverso le configurazioni ricevute di danno‐conseguenza, prima, e di danno‐evento, poi, (per ritornare alla prima definizione, ma con considerazioni differenti), al c.d. Lodo Bernardo (L. n. 141/2009), e recentemente, proprio ad opera della legge anticorruzione (co. 62 che ha introdotto il co.1‐sexies all’art. 1 della L. 20/94) è stata affrancata un poco dal vincolo con il giudizio in sede penale, non avendo riproposto il condizionamento della sussistenza della condanna, il che apre scenari di un certo rilievo anche per la tutela di questa ulteriore posta di danno a carico della collettività che nel settore dei pubblici appalti non è, certo, di poco momento. Non è un caso, infatti, che il legislatore della 190 ha espressamente quantificato il danno all’immagine in una misura pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita. 24 Per quanto sia stata introdotta anche nel nostro ordinamento la figura, e conseguente tutela, del Wistelblower. 23

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Non va, infatti, dimenticato che alla poca trasparenza si connette spessissimo la carenza di etica che oltre ad incidere sulla mancanza di credibilità del nostro Paese all’esterno, condiziona fortemente il modo di interagire degli utenti con la Pubblica Amministrazione atteso che, come recita il co. 15 dell’art. 1 della legge n. 190/12, “la trasparenza dell’attività amministrativa costituisce il livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili ai sensi dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione mediante la pubblicazione, nei siti web delle P.A. delle informazioni relative ai procedimenti amministrativi, secondo criteri di facile accessibilità, completezza e semplicità di consultazione”.

La trasparenza, allora, si appalesa quale irrinunciabile strumento di realizzazione dell’efficienza dell’azione amministrativa che sola consente la sensibile riduzione (fino ad un auspicabile azzeramento) di non corrette gestioni a vantaggio (illecito) di pochi ed a danno di molti, attuata mediante il controllo operato dai diretti interessati che sono i cittadini.

Controllo e presidio della magistratura quale garante dell’ordine e della legalità, senza dubbio, ma da leggere in chiave certamente succedanea a tutto vantaggio del controllo da operarsi da parte dei consociati nei cui confronti si esplica l’attività amministrativa.

A fondamento dell’innovazione legislativa su tutta l’attività amministrativa fatta di molteplici istituti si rinviene la responsabilizzazione degli operatori pubblici, ma anche dell’utenza a vantaggio della quale il legislatore ha previsto – tra gli altri – proprio l’obbligo di pubblicazione sul sito web delle procedure relative agli appalti pubblici, affinchè la repressione e la prevenzione della corruzione e dell’illegalità sia effettuata, primariamente, dalla collettività a carico della quale, finora sono stati posti gli alti costi di tutte le pratiche illegali.

Se il fiore all’occhiello e chiave di volta per la lotta al fenomeno corruttivo sono, secondo la legge n. 190/12, primo, la formazione del personale e, secondo, la cultura dell’integrità e della trasparenza, sensibilizzazione e rapporto con la società civile con una chiara funzione ausiliaria della trasparenza al contrasto alla corruzione, deve necessariamente arguirsene che la pubblicazione sul web ha il solo significato – forse

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ambizioso – di riformare profondamente (dall’esterno e dall’interno) soprattutto dal lato etico.

Non è un caso, infatti, che il decreto n. 33/2013, all’art. 1, co. 1, parli di “una forma diffusa di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”, per consentire lo svolgimento di un ruolo attivo e di controllo da parte della collettività mediante uno strumento on‐line aperto a tutti.

Un’iniziativa in linea con i principi dell’open governement che mira a rafforzare la trasparenza e l’accountability delle amministrazioni nonché la collaborazione e partecipazione del cittadino al processo di trasparenza il cui obiettivo principale è, non soltanto quello di accompagnare le amministrazioni, anche attraverso il coinvolgimento diretto dei cittadini in un processo di ottimizzazione della qualità delle informazioni on‐line (come nel caso dell’istituzione dell’istituto della Bussola)25, ma anche di effettivo controllo sull’operato concreto a fini di contrasto al dilagante fenomeno corruttivo.

Attuazione reale, quindi, del principio costituzionale dell’esercizio democratico della sovranità da parte dell’effettivo titolare.

Conclusivamente, allora, “il vero risanamento, più che dalle norme di contabilità e dagli assetti di bilancio, deve prendere l’avvio dal senso civico della comunità degli amministrati che, in ambito pubblicistico, altro non è che l’imparzialità ed il buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

È questo il senso ultimo e profondo della democrazia, che richiede ai cittadini di divenire attori nel contrasto alla corruzione ed interpreti del cambiamento etico, necessario per invertire la tendenza.

Le recenti disposizioni della legge 190/12 sembrano di buon auspicio, nel senso che tessono una fitta rete di interrelazioni e collegamenti, le quali a loro volta dovrebbero facilitare la correttezza delle procedure e i controlli fisiologici. 25

Circ. n. 2/2013 del Ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione.

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F o c u s AVCP

Il vero ed importante obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre il ruolo di supplenza della magistratura, restituendo alla politica e all’amministrazione delle proprie funzioni”26.

26

Relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario 2013 del P.R. della Corte dei conti del Veneto.

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D i r e t t i v e C o m u n i t a r i e

DIRETTIVE COMUNITARIE

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Chiarimenti sull’istituto giuridico di concessione nella Direttiva 2014/23/UE Il rischio “operativo” nel rapporto concessorio di Maria Giuseppina Greco Sommario: 1. Premessa; 2. Chiarimenti sui tratti distintivi della concessione rispetto all’appalto; 3. Rischio “operativo”; 3.1. Obbligo dell’allocazione del rischio operativo sul concessionario; 3.2. Puntuale definizione di tale grandezza economica; 3.3. Indicazione delle modalità di assunzione del rischio operativo; 4. Conclusioni.

1.Premessa Il legislatore europeo considerata la rilevanza assunta dal mercato degli affidamenti in concessione di lavori e servizi ha emanato una specifica direttiva sulle concessioni, prevedendo una disciplina normativa unitaria in ordine alle due tipologie di concessione,27 finora soggette a regimi giuridici alquanto differenti. La pubblica amministrazione ha tradizionalmente agito come soggetto appaltante di beni e servizi, pertanto, nel 2004, anno di emanazione delle precedenti direttive in materia di contratti pubblici, non era ancora emersa, con tale forza, l’esigenza di dare un corpus giuridico a una modalità di procurement che allora appariva marginale. Con il passare degli anni, l’enfasi data al partenariato pubblico privato e la grave crisi economica nell’euro zona hanno generato un più frequente ricorso all’istituto giuridico in esame. Tuttavia, l’inesistenza di una chiara definizione di concessione e di una adeguata regolamentazione di tale contratto pubblico ha inevitabilmente prodotto nel mercato incertezza giuridica. 27

Dal combinato disposto dell’art. 1 e dell’art. 5 si evince che i due istituti giuridici sono soggetti alla stessa disciplina

normativa. Segnatamente, ai sensi dell’art. 1, parr. 1 e 2, la Direttiva stabilisce le norme applicabili alle procedure di aggiudicazione di contratti di concessione indette da amministrazioni aggiudicatrici ed enti aggiudicatori e “si applica all’aggiudicazione di concessioni di lavori o di servizi …”, ancora, la definizione di concessione, ex art. 5, par. 1, cit., fa riferimento sia alle concessioni di lavori sia alle concessioni di servizi e il predetto par. 2, art. 1 fa esplicita menzione delle due tipologie di concessioni.

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La recente direttiva europea 2014/23/UE sull’aggiudicazione delle concessioni, approvata il 15 gennaio dal Parlamento a Strasburgo, il 12 febbraio dal Consiglio europeo, e pubblicata il 28 marzo sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea, da recepire con legge nazionale entro il 18 aprile 2016, supera le suddette carenze definitore e regolatorie. In primis, il legislatore europeo ha definito, in termini generali, la “concessione”; definizione non presente né nella Direttiva 2004/18/CE né nel Codice dei Contratti Pubblici (di seguito, per brevità,“Codice”). Ha poi definito in modo puntuale, senza più dunque inintelligibili rimandi alla definizione di “appalto”,28 la concessione di lavori e la concessione di servizi. Nello specifico, per “concessioni” si intendono concessioni di lavori o di servizi, come definiti, rispettivamente, alle lettere (a) e (b) dell’art. 2, par. 1, dove si descrivono, per la prima volta, le caratteristiche proprie delle concessioni. In particolare, la “concessione di lavori” è definita come un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto mediante il quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori affidano a uno o più operatori economici l’esecuzione di lavori, ove il corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestire i lavori oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo. Invece, per “concessione di servizi” si intende un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto, mediante il quale una o più amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori affidano a uno o più operatori economici l’erogazione e la gestione di servizi, diversi dall’esecuzione dei lavori di cui alla predetta lettera (a), ove il corrispettivo consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi oggetto del contratto o in tale diritto accompagnato da un prezzo. 2.Chiarimenti sui tratti distintivi della concessione rispetto all’appalto La prima necessità del legislatore europeo è stata quella di superare le incertezze interpretative del concetto di concessione rispetto al concetto di appalto, che avevano

28

Nella Direttiva 2004/18/CE settori ordinari, le concessioni di lavori e le concessioni di servizi sono definite con dei rimandi alla

definizione del contratto di appalto, segnatamente, come contratti che presentano le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di lavori (di un appalto pubblico di servizi) ad eccezione del fatto che il corrispettivo dei lavori (dei servizi), consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera (i servizi) o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

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generato incertezza giuridica tra i soggetti operanti nel mercato dei contratti pubblici e notevole contenzioso presso la Corte di giustizia Europea29. La mancanza di una puntuale definizione di concessione e di una chiara linea di demarcazione tra il contratto di appalto ed il contratto di concessione, ha prodotto anche in Italia numerosi ricorsi giurisdizionali. Anche l’Autorità, a seguito di diversi esposti sulle procedure di gara, è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla preliminare questione della corretta configurazione giuridica del rapporto negoziale, al di là del nomen iuris dato dalla stazione appaltante. La questione è stata di particolare rilievo riguardo alle gare bandite per esternalizzare l’erogazione dei servizi piuttosto che la realizzazione di lavori, atteso che il Codice prevede per la concessione di servizi una scarna disciplina normativa, invero, la concessione di lavori è soggetta alla prescrizioni del D.Lgs. n. 163/2006. Segnatamente, alle concessioni di lavori, definite dall’art. 3, co. 11, D.lgs. n. 163/2006 e disciplinate dal Capo II – “Concessioni di lavori pubblici”, Titolo III, Parte II, ai sensi del terzo comma dell’art. 142, si applicano le disposizioni del Codice. Invero, le concessioni di servizi, ex art. 30, commi 1 e 3, sono soggette al “solo” rispetto dei principi desumibili dal Trattato e ai principi generali relativi ai contratti pubblici, in particolare: i principi di trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità. La scarna disciplina delle concessioni di servizi è contenuta nell’art. 30, il quale prevede: (i) lo svolgimento di una gara informale a cui sono invitati almeno cinque concorrenti, se sussistono in tale numero soggetti qualificati in relazione all’oggetto della concessione, e con predeterminazione dei criteri selettivi; (ii) l’applicazione delle disposizioni della parte IV, inerenti al contenzioso; (iii) l’applicazione delle disposizioni, in quanto compatibili, dell’articolo 143, comma 7, concernenti il piano economico finanziario di copertura degli investimenti e della connessa gestione. Trova applicazione, infine, l’art. 29 inerente ai metodi di calcolo del valore stimato dei contratti pubblici. Alla luce di quanto precede, è di tutta evidenza che le controversie sulla corretta configurazione giuridica dell’affidamento di servizi hanno posto il giudice amministrativo o l’Autorità innanzi a una delicata questione. Stabilire, infatti, che la 29

Cfr. Considerando (18).

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gara contestata avesse per oggetto l’affidamento di un contratto di “appalto di servizi” o di un contratto di “concessione di servizi” significava stabilire se lo stesso affidamento dovesse essere soggetto “in toto” alle prescrizioni del Codice o “semplicemente” conformarsi ai principi in materia di contrattualistica pubblica. L’emanazione della direttiva concessioni ha già, dunque, dato soluzione alla suddetta questione. Per la prima volta, infatti, anche l’affidamento in concessione di servizi da parte di amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori è oggetto di una corposa e articolata disciplina normativa, in linea con quella vigente per gli affidamenti nei appalti settori ordinari. Ne consegue che anche le concessioni di servizi devono essere affidate mediante procedure di gara puntualmente regolamentate, con un più chiaro e sistematico quadro normativo a beneficio di un minor contenzioso, di una maggiore concorrenzialità, di una maggiore qualità dei servizi fruiti dalla collettività e di minori costi per la P.A.. La Direttiva sulle concessioni oltre a colmare la lacuna della mancanza di una disciplina unitaria per le due tipologie di concessione, ha fornito una più chiara risposta ad un controverso punto di domanda: la distinzione tra appalto e concessione. In proposito, la Direttiva precisa che le concessioni sono contratti a titolo oneroso mediante i quali una o più amministrazioni aggiudicatrici o uno o più enti aggiudicatori affidano l’esecuzione di lavori o la prestazione e gestione di servizi a uno o più operatori economici. Tali contratti hanno per oggetto l’acquisizione di lavori o servizi attraverso una concessione il cui corrispettivo consiste nel diritto di gestire i lavori o i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo30.

30

Cfr. Considerando (11).

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Dunque, come già previsto nella direttiva appalti settori ordinari e nel Codice, e come indicato dalla Autorità,31appare evidente che la principale caratteristica ‐ ed elemento di differenziazione rispetto all’appalto ‐ di una concessione è il diritto di gestire i lavori o i servizi. 3. Il “rischio operativo” Con riferimento al tema in esame, preme rilevare che a seguito dell’emanazione della Direttiva concessioni è stato evidenziato un ulteriore elemento di differenziazione della concessione rispetto all’appalto. Cristallizzando l’oramai consolidato orientamento della Corte di Giustizia e della giurisprudenza comunitaria in una norma di diritto, il legislatore europeo ha dato enfasi al concetto di “rischio operativo”, elevandolo ad elemento idoneo a chiarire lo stesso concetto di concessione32 e, dunque, capace di delineare più chiaramente i tratti distintivi di tale istituto giuridico rispetto all’appalto. La Corte Europea e la giurisprudenza comunitaria (cfr., ex multis, la sentenza 13 ottobre 2005, causa C‐458/03 ‐ Parking Brixen GmbH) hanno generalmente riconosciuto il discrimen anche nel “fattore rischio” connesso all’incertezza del ritorno economico dell’attività di gestione, che nella concessione grava sul soggetto concessionario a fronte della richiesta di un prezzo all’utenza (cfr. Comunicazione Interpretativa della Commissione Europea sulle concessioni nel diritto comunitario, in GUCE del 29.04.2000, richiamata dalla Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le politiche comunitarie, del 01.03.2002 n. 3944, rubricata “Procedure di affidamento delle concessioni di servizi e di lavori”) . Segnatamente, l’Autorità ha evidenziato che secondo le prescrizioni del Codice il discrimen tra la fattispecie giuridica dell’appalto e quella della concessione può essere individuato nel fatto che nel contratto di concessione il corrispettivo dell’erogazione del servizio consiste unicamente nel diritto di gestire il servizio, avendo come vantaggio la possibilità di esigere un prezzo dall’utenza, oppure in tale diritto accompagnato da un prezzo (v. artt. 3, comma 12 e 30, comma 2, D.Lgs. n. 163/2006; si veda anche l’art. 1, n. 4 della direttiva 2004/18/CE e Tar Lombardia – Milano, Sez. III, n. 2580/2007) (si vedano, tra l’altro, le Deliberazione Avcp nn. 47/2011 e 22/2013). In particolare, l’Autorità è più volte intervenuta sulla distinzione tra appalto di servizi e concessione di servizi (cfr. le Deliberazione Avcp nn. 47/2011 e 22/2013, cit.). Del resto, tra i compiti svolti dall’Autorità vi è quello di accrescere la chiarezza delle regole che sovraintendono al mercato dei contratti pubblici; peraltro, secondo il giudice di prime cure: “è indubitabile che, per l’autorevolezza del pronunciamento interpretativo, non solo le amministrazioni destinatarie dello stesso ma anche il giudice deve orientare la propria valutazione in merito al contenuto di tali deliberazioni considerandole quali fonti … rispetto all’applicazione delle disposizioni comunitarie e nazionali in materia di affidamento di commesse pubbliche … ”, atteso che: “non vʹè dubbio … che un orientamento che promani dall’Autorità, essendo quest’ultima preposta alla vigilanza sullʹosservanza della disciplina legislativa e regolamentare del settore dell’affidamento delle commesse pubbliche, costituisca una qualificata valutazione dotata di una attendibilità privilegiata” (Tar Lazio, Sez. II‐quater , sentenza n. 6094/2013). 32

Cfr. Considerando (18).

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Riguardo agli affidamenti di servizi, con riferimento all’assunzione dell’alea da parte dell’affidatario è stato espressamente chiarito che: “[..] per poter ritenere sussistente una concessione di servizi è necessario che l’amministrazione aggiudicatrice trasferisca il rischio di gestione che essa corre a carico completo o almeno significativo al concessionario [..]” (CGE sent. del 10.09.2009, n. C‐206/2008). Sull’argomento anche la Corte di Cassazione ha osservato che “la linea di demarcazione è netta [..] l’appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione, riguarda di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comporta il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, ed infine non determina, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario” (cfr. Cass. S.U., ord. n. 12252/2009). L’Autorità, nelle Deliberazioni richiamate in nota 4, ha concluso sostenendo che nelle procedure di gara esaminate ricorrevano le caratteristiche della concessione di servizi, ex art. 30, D.Lgs. n. 163/2006, tenuto conto sia delle modalità con le quali il servizio di refezione scolastica veniva reso (in favore degli utenti) e del sistema di remunerazione previsto (il costo gravava sugli utenti, ancorché con corresponsione di una quota da parte della PA, quale ipotesi ammessa dal citato art. 30 del Codice) ma, anche, anticipando in tal modo l’attuale prescrizione del legislatore europeo, dell’assunzione di rischio di gestione in capo all’aggiudicatario (la rimuneratività della gestione era legata ai livelli di utenza e in capo all’affidatario gravava il rischio dell’inadempimento degli utenti). In particolare, sul punto, l’Autorità ha evidenziato che: “il valore del servizio non è “predeterminabile, se non in via presuntiva, in quanto condizionato dalla domanda effettiva”, pertanto, vi è assunzione del rischio di gestione in capo all’aggiudicatario. In altri termini, il concessionario non è in grado di procedere ad un calcolo preciso del flusso totale di utenti che usufruiranno di fatto del servizio e dunque, in ultima analisi, non è possibile all’affidatario determinare con certezza gli effettivi flussi di cassa derivanti dall’erogazione del servizio”. L’Autorità poneva in rilievo, pertanto, l’effettivo trasferimento del rischio operativo in capo al concessionario quale elemento di differenziazione della concessione rispetto all’appalto, inteso come “rischio di domanda” (sul “rischio di domanda” si veda, anche, la Determinazione Avcp n. 2/2010). Con riferimento al “rischio operativo”, si deve evidenziare che la direttiva introduce le tre seguenti novità.

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3.1.Obbligo del trasferimento del rischio operativo al concessionario. Il primo elemento di novità è rappresentato dall’esplicita previsione che l’affidamento di lavori o servizi in concessione implica il trasferimento al concessionario del “rischio operativo” legato alla gestione dei lavori o dei servizi (cfr. art. 5, co. 1, Direttiva concessioni, cit.). Tale rischio ha natura economica e comporta la possibilità di non riuscire a recuperare gli investimenti effettuati e i costi sostenuti per realizzare i lavori nella gestione dei lavori o dei servizi in condizioni operative normali, anche se una parte del rischio resta a carico dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore. La rilevanza del concetto di “rischio operativo” si rinviene nei considerando, dove è esplicitamente chiarito che tale rischio deve essere trasferito sempre al concessionario. In altri termini, è stato introdotto l’obbligo di trasferire al concessionario il “rischio operativo”. Del resto, l’applicazione di norme specifiche per la disciplina dell’aggiudicazione delle concessioni non sarebbe giustificata se l’amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore sollevasse l’operatore economico da ogni perdita potenziale, garantendogli un introito minimo, pari o superiore agli investimenti effettuati e ai costi che l’operatore economico deve sostenere in relazione all’esecuzione del contratto33. Parimenti, nel caso la specifica regolamentazione settoriale eliminasse il rischio prevedendo una garanzia a favore del concessionario per il recupero degli investimenti e dei costi sostenuti per la l’esecuzione del contratto34. Diversamente, il fatto che il rischio sia limitato sin dall’inizio non dovrebbe escludere che il contratto si configuri come concessione. Può essere questo il caso, per esempio, di settori con tariffe regolamentate o dove il rischio operativo sia limitato mediante accordi di natura contrattuale che prevedono una compensazione parziale, inclusa una compensazione in caso di cessazione anticipata della concessione per motivi imputabili all’amministrazione aggiudicatrice 33 34

Cfr. Considerando (18). Cfr. Considerando (19).

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o all’ente aggiudicatore ovvero per cause di forza maggior.35 Così come alcuni accordi remunerati esclusivamente dall’amministrazione aggiudicatrice o ente aggiudicatore dovrebbero comunque essere qualificati come concessioni, se il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall’operatore per l’esecuzione dell’opera o per l’erogazione del servizio dipende dall’effettiva domanda del servizio o del bene.36 3.2. Puntuale definizione di tale grandezza economica. Il rischio operativo, nella sua definizione più generale, si configura come il rischio di perdite dirette o indirette derivanti da quattro categorie di fattori causali: 1. risorse umane: perdite derivanti da comportamenti del personale, quali errori, frodi, non rispetto di regole e procedure interne, incompetenza o negligenza, ecc.; 2. processi: malfunzionamenti di procedure interne o, caso molto comune, di lacune nel sistema dei controlli; 3. fattori esogeni: minacce ambientali, cambiamenti nel contesto legislativo, fiscale e monetario, ecc.; 4. tecnologia: tutto ciò che è correlato all’ICT, agli impianti, ecc. In altri termini, esprime la probabilità dell’azienda di ottenere risultati reddituali particolarmente positivi o negativi, di fronte a fluttuazioni dei volumi di vendita. Nella direttiva, invero, il termine di rischio operativo non è utilizzato in tale accezione strettamente tecnica. Difatti, il Considerando (20) chiarisce che il rischio operativo dovrebbe derivare da fattori al di fuori dal controllo delle parti. Pertanto, rischi collegati ad una cattiva gestione, inadempimenti contrattuali dell’operatore economico o causati da forza maggiore non sono decisivi per classificare un contratto come concessione, di cui all’art. 5, par. 1, cit., poiché rischi del genere sono insiti in ogni contratto, a prescindere che sia un appalto pubblico o una concessione. Nella disciplina in esame, cosa si debba puntualmente intendere per “rischio operativo” è stabilito al terzo capoverso dell’art. 5, par. 1. Segnatamente, il “rischio operativo” comprende un rischio sul lato della domanda o sul lato dell’offerta oppure entrambi.

35 36

Cfr. Considerando (19). Cfr. Considerando (18).

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Per “rischio sul lato della domanda” si intende il rischio associato alla domanda effettiva di lavori o servizi oggetto del contratto. In altri termini, è il rischio che la domanda relativa ai lavori o ai servizi sia inferiore al livello previsto. Trae origine dalla variabilità della domanda non dipendente dalla qualità del servizio prestato dal concessionario ma da altri fattori quali, a titolo meramente esemplificativo, la concorrenza da parte di altri operatori che operano nel mercato di riferimento.37 Il “rischio sul lato dell’offerta”, invece, deve essere inteso come il rischio associato all’offerta dei lavori o servizi oggetto del contratto, in particolare, come il rischio che la fornitura di servizi non soddisfi la domanda.38 3.3. Indicazione delle modalità di assunzione del rischio operativo Il terzo elemento innovativo è l’espressa indicazione di quando può esattamente considerarsi che il concessionario assuma tale rischio. Secondo la direttiva, il concessionario assume il rischio operativo nel caso in cui, in condizioni operative normali, non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi sostenuti per la gestione dei lavori o dei servizi oggetto della concessione. Si precisa, altresì, che la parte del rischio trasferita al concessionario debba comportare una reale esposizione alle fluttuazioni del mercato, tale per cui ogni potenziale perdita stimata subita dal concessionario non sia meramente ipotetica o trascurabile. Al riguardo, il Considerando (20), chiarisce che, al fine della valutazione del rischio operativo, dovrebbe essere preso in considerazione in maniera coerente ed uniforme il valore attuale netto dell’insieme degli investimenti, dei costi e dei ricavi del concessionario. 4.Conclusioni La definizione normativa di “rischio operativo” fornisce un ulteriore elemento per l’individuazione della più corretta configurazione giuridica del contratto in affidamento.

37 38

Cfr. Considerando (20). Cfr. Considerando (20).

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Ancora, evita che possa essere effettuata una diversa allocazione del rischio operativo, attenuandolo o persino eliminandolo, attraverso meccanismi che rimettano il rischio in capo allo stesso Ente concedente. In proposito, non si può sottacere il continuo ricorso ad ogni tipo di escamotage per “liberare” il concessionario da tale rischio: si fa riferimento, ad esempio, ai tetti alle penali, alla richiesta di pagamenti per servizi mai resi, a forme di garanzia sugli introiti che coprono l’affidatario dall’effettivo rischio di non ripagare l’investimento o che gli assicurino un minimo sui costi di gestione. In tal caso l’affidamento ricadrebbe, di fatto, nell’alveo dell’appalto, poiché l’aggiudicatario avrebbe in ogni caso una ragionevole certezza di conseguire un determinato guadagno o comunque di evitare il sostenimento di effettive perdite. L’allocazione del “rischio di domanda” e del “rischio di offerta” diverrebbe solo effimera “apparenza”. In altri termini, non allocare, di fatto, il rischio operativo sul concessionario, al di là ogni considerazione sui profili erariali che ciò comporta, significherebbe in ultima analisi snaturare sia la stessa nozione di “concessione” ma, al contempo, lo stesso ruolo di ”imprenditore”.39 Del resto, nel nostro ordinamento giuridico, ai sensi dell’art. 2062 del Codice Civile, l’imprenditore è il soggetto che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, ossia, è colui che utilizza i fattori della produzione e li organizza nel processo produttivo a proprio rischio.

39

Nella direttiva il “concessionario” viene definito come l’operatore economico a cui è stata aggiudicata una concessione e

l’”operatore economico” come: “una persona fisica o giuridica o un ente pubblico, o un raggruppamento di tali persone e/o enti, compresa qualsiasi associazione temporanea di imprese, che offra sul mercato la realizzazione di lavori e/o opere, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi”.

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NOTE E COMMENTI

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La Crisi del Diritto40 di Bruno Amoroso (Presidente TAR Veneto)

Negli scorsi anni la relazione inaugurale si era ispirata al pensiero di importanti autori. Il primo, il Prof. Irti “l’ordine giuridico del mercato”, l’età della decodificazione; a margine dell’opera di von Hayech; poi su opere di Zagrebelsky, Merusi e lo scorso anno Rodotà, sempre sul tema dei diritti e della giurisdizione. Oggi, la relazione farà riferimento al pensiero di Paolo Grossi, giurista del più alto prestigio ed oggi autorevole Giudice Costituzionale e, come annunciato nel titolo di questo discorso, al tema della c.d. “Crisi del diritto” ed ai riflessi che da questa crisi derivano nei confronti della Giustizia Amministrativa. Ciò con un evidente collegamento con il discorso del precedente anno, che recava il titolo: “la giustizia amministrativa dal tempo della crisi”. La premessa è che il diritto in, generale, risente delle vicende sociali. Da un lato le determina, dall’altro le subisce, in quanto espressione del contesto storico in cui si concretizza, seguendone doverosamente l’evoluzione. Allorché questo contesto di vita presenta quegli aspetti innovativi, quelli che tutti incontriamo nella quotidiana esperienza di vita, dovrebbe essere evidente che, occorrerebbe introdurre contestuali corrispondenti modificazioni negli assetti normativi e altresì nelle attività del servizio di giustizia affidato, per ciò che ci riguarda, alla Magistratura amministrativa.

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estratto della relazione al discorso inagurale della Giustizia Amministrativa nella Regione Veneto per l’anno 2014

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Malauguratamente, i processi di adeguamento normativo sono lenti a maturare ed a concretarsi, ed è per questa ragione che deve essere tempestiva la risposta della giurisprudenza, che, con la sua caratteristica flessibilità, può avere aderenza ai fattori sociali innovativi, anche anticipando le riforme, pur senza introdurre alterazioni nel sistema ed attenendosi agli intrinseci limiti che la legge assegna al suo magistero. Da tempo l’evoluzione di cui si parla, nei confronti della Giustizia Amministrativa, era correlata al tramonto del diritto amministrativo tradizionale transitato, dalla statica posizione di icona ieratica di comando astratto, a quella più spiccatamente dinamica, di risposta al diritto del mercato, ed alle attese del cittadino. Cittadino come singolo e come associato, quindi come individuo ed altresì come operatore economico. Entrambi essenziali protagonisti della vita del Paese. Ciò ha comportato un forte mutamento di alcuni profili della nostra giurisdizione, improntata nel passato ad una supina adesione a schemi formalistici ed oggi orientata ad altri approdi, che hanno accentuato il carattere di “giudice dell’economia”, di “giudice dell’effettività dei diritti”, anche in coincidenza con il parallelo passaggio dell’organizzazione amministrativa da posizioni puramente burocratiche, verso posizioni di managerialità, appunto coerenti con i primari fattori economici che sono quelli che oggi “dettano legge”. Sempre nella scorsa relazione, avevamo individuato il nuovo ordine della funzione del diritto amministrativo e, corrispondentemente nostra di giudici, a servizio non più di astratte ed indefinite nozioni di “un pubblico interesse” di concezione ottocentesca, che per la loro incorporalità erano diventate interessi di nessuno, superando la sfera dei puri ed impalpabili concetti e valorizzando fattori più strettamente concreti, sociali ed umani, con precipua attenzione alla “persona” e non solo per il rispetto dei suoi diritti civili, ma anche come soggetto economico proiettato nella competizione di mercato e nei problemi della vita in rapporti con i vari poteri. Occorreva però andare oltre, verso posizioni più avanzate di giustizia, che dovevano perseguire il fine dell’affermazione dell’“interesse generale” e quindi del più ampio concetto di “bene comune”.

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Ne aveva parlato specificamente il nostro Presidente della Repubblica in un memorabile discorso, anni or sono, poi ripreso dal Presidente Paolo Salvatore in un suo discorso inaugurale quale Presidente del Consiglio di Stato. Ebbene, la lezione di Paolo Grossi comporta che il nuovo diritto, (non le nuove leggi individualmente considerate, ma il costrutto normativo generale, che verrà a nascere), richiederà un giudice diverso da quello attuale, che pur ha già superato molti dei limiti tradizionali, entrando vivacemente – come noto ‐ nel sindacato “del rapporto giuridico” e quindi del “merito del provvedimento”, andando oltre alla pura configurazione di astratta legittimità formale dei provvedimenti. Sono già state istituite nuove azioni esperibili, e fino a poco tempo fa assolutamente inconcepibili, e si profila, in un futuro non molto lontano, l’era della “giurisdizione oggettiva” che potrà cambiare fortemente il profilo della nostra giurisdizione, potenziando il servizio di giustizia, individuale e sociale. A fronte di tutto ciò, sembra che si sia venuta a delineare, fin da ora e con rilevante anticipazione degli effetti, il diffuso convincimento di una sorta di “supplenza” del Giudice amministrativo nei confronti di talune tradizionali concezioni normative e dell’azione della Pubblica Amministrazione. La “tecnostruttura amministrativa”, ha infatti, spesso concretato determinazioni andate oltre alla Politica della Amministrazione, come delineate dagli organi di vertice, e “le strutture” hanno spesso finito per battere proprie vie, anche al di fuori della vigilanza politica. Ne sono derivate, come dimostra la quotidiana pratica giudiziaria, posizioni meramente e rigidamente “burocratiche”, imputabili agli Uffici amministrativi e che compromettono interessi privati e quindi, comportano, il troppo frequente ricorso alla giustizia amministrativa, che quindi viene chiamata ad operare in chiave, si direbbe, di “vigilanza giudiziaria” per i molti debordamenti di talune amministrazioni, esercitando “funzioni ortopediche”, come avrebbe detto il nostro amato Presidente de Roberto, nel suo colorito linguaggio noto a molti dei presenti. Da queste posizioni, talvolta chiaramente ostruzionistiche, deriva quindi, la maggior parte del contenzioso che finisce spesso con essere conflitto quasi personale (difficile ad individuare e censurare), non tanto tra Amministrazione e cittadino, quanto piuttosto fra alcuni preposti alle funzioni ed il cittadino, in un rapporto polemico, che talvolta comporta riflessi non solo amministrativi.

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Dunque: amministrazione per divieti e non per regole di libertà. E ciò è particolarmente pericoloso quando l’opposizione ad importanti progetti passati al vaglio delle Autorità, proviene da centri di potere di rango inferiore, al fine di valorizzare il proprio ruolo attraverso posizioni polemiche e come leggo in una recente memoria difensiva di un esponente del nostro foro, in una posizione di “autogratificazione oppositiva” descritta dalla psicologia come fattore patologico. Ossia: esisto perché mi oppongo! In questo spazio polemico si muovono molte vicende umane dei singoli cittadini, espressione di vita quotidiana e non soltanto vicende economiche, e che vanno comunque, sempre considerate nella loro inerenza alla “persona”, nella consapevolezza che il riconoscimento di un diritto in capo al singolo cittadino, secondo il principio “uniquique suum tribuere”, non costituisce necessariamente contrapposizione con l’interesse pubblico o arretramento di interessi più elevati, come spesso si riteneva in passato, in un quadro di ottusa comparazione di valori e di scale di rilevanza, ma costituisce, esso stesso, “pubblico interesse”, quindi realizzazione di questo nei concreti casi di vita e che, pur come bene individuale, attende di essere salvaguardato per una sua intrinseca rilevanza sociale che va oltre il soggetto tutelato e costituisce componente del “bene comune”. Troppo spesso la comparazione tra interesse pubblico ed interesse privato è stata sbilanciata a favore di primo, anche al di fuori di adeguate valutazioni di prevalenza. Come ha affermato Cassese, il rapporto cittadino P.A. è stato storicamente impostato su un “paradigma bipolare”, ossia su contrapposizione tra polo di autorità e polo della libertà privata, con tendenziale favor del primo. Il fattore di crisi di cui si cennava, ha dunque fatto cessare la apodittica preminenza del fattore autoritativo espresso dalla Amministrazione, in coerenza con il tramonto, ormai remoto, della presunzione di legittimità degli atti amministrativi, addirittura ribaltata polemicamente in una presunzione di “illegittimità”, in quel clima di “diffidenza”, sovente immeritata, che il cittadino nutre – ma talvolta a ragione ‐ verso le istituzione del potere, senza tuttavia saper distinguere tra la fisiologia della funzione amministrativa e le sue corrette finalità, ed i casi di devianza.

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Le relazioni amministrative sono oggi orientate sempre maggiormente alla collaborazione dei privati nelle scelte pubbliche, e – si direbbe ‐ in funzione codecisoria. Ma ciò è ancora un fattore prevalentemente tendenziale ed è per questo che il ricorso alla giustizia amministrativa è divenuto fenomeno pressocchè generalizzato. A questo deplorevole fenomeno di proliferazione del contenzioso si erano predisposti strumenti deflativi, articolati su moduli dialogici e collaborativi, che tuttavia non hanno sortito effetti soddisfacenti. Parimenti deludente appare l’esercizio della “autotutela” della Pubblica Amministrazione. Nel dialogo “giudice Amministrazione” deve quindi, comunque inserirsi, sempre più vivacemente, il ricorso alle posizioni dialettiche espresse dalla funzione processuale istruttoria, per stimolare il fattore di autotutela. Il possibile richiamo esplicativo sui presupposti e sui criteri adottati nell’adozione di provvedimenti, rivolto dal Giudice alla Amministrazione, può infatti assolvere alla funzione di stimolo verso fattori correttivi spontanei e dai quali può derivare una chiusura indolore dei conflitti. In questa ottica si deve rilevare che, non sempre, la “sentenza” è il più idoneo strumento di composizione della lite, specie considerando l’alto grado di inottemperanza alle nostre decisioni. Fattore questo assolutamente sconveniente. In questo quadro, ci insegna il Prof. Grossi, alla “crisi del diritto amministrativo tradizionale” si è venuta a sommare la “crisi del diritto” in generale, e la crisi dell’amministrazione, ciò che ha creato profondo disagio nella attuazione della funzione di giustizia, ancorata ad una normativa concepita in altri tempi ed in altri scenari. Ma il giudice non è solo supino organo esecutivo della legge. Può anche esserne il censore, come accade allorché la contesta per conflitto con la Costituzione o adotta interpretazioni costituzionalmente orientate o dichiara prevalente il diritto europeo ed i suoi principi sulla divergente legge nazionale.

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Molte sono dunque le vie per le quali il Giudice può contrastare ordinamenti stantii ed inadeguati ai tempi, prevenendo la stessa funzione legislativa a venire. Ben sappiamo che nella contingenza dell’attuale vita del nostro Paese è divenuto prioritario l’imperativo categorico del salvataggio dell’economia e dell’occupazione per raggiungere gli obiettivi di superamento della attuale grave crisi economica e sociale in cui si vive. E che si somma alla crisi del diritto. Forse ne è una conseguenza In questo clima, sembra legittimo domandarsi quale apporto può provenire specificamente dalla Magistratura amministrativa, che in quanto “Ordine”, e non “potere”, deve attenersi ai limiti della sua funzione, per la difesa della legalità e quindi senza debordamenti dai propri connaturali limiti. La magistratura amministrativa dispone tuttavia di alcune caratteristiche funzionali che la pongono nella possibilità di assolvere ad un ruolo più pregnante negli equilibri fra Stato, legge e giustizia, in quanto essa si pone come “giudice del potere” e del suo esercizio, ovvero di come i provvedimenti amministrativi che vengono al suo sindacato, possano essere coerenti, positivamente o negativamente, con le finalità, delineate dal sociale, e ciò anche oltre i casi concreti, così superando i molti fattori di irrilevanza di talune improprietà che invece, troppo spesso, penalizzano l’azione amministrativa, nei suoi tempi e nei suoi obiettivi e talvolta ne vanificano la funzione. La giustizia amministrativa non si esaurisce nella decisione dei singoli casi. Nel sindacato delle determinazioni amministrative si aprono infatti scenari di una sorta di funzione didattica, più estesa della fattispecie esaminata e che non consiste in una mera lezione grammaticale, ma che si orienta a valutazioni di molto più ampio respiro, per una maggiore efficienza della attività collaborativa fra giudice e amministrazione. Dovrebbe peraltro essere evidente che, pur nella configurazione di un giudice amministrativo, che ha raggiunto un obiettivo di penetrazione nel fenomeno economico sotteso dagli atti amministrativi e sulle relative scelte di fondo – dovrebbe essere evidente, si diceva, ‐ che non tutte le determinazioni amministrative, spesso

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politico – amministrative, dovrebbero essere devolute alla giurisdizione amministrativa, dovendo trovare soluzione in altre sedi. Qui, in queste sedi, l’esperienza giudiziaria dovrebbe essere di guida, come al politico così al legislatore, per istituire interventi correttivi tempestivi, in sedi più appropriate, delle aule giudiziarie, meno rigide, meno condizionate. Ma duole tuttavia, dover rilevare una sconfortante incomunicabilità tra giurisdizione e funzione normativa, che viceversa, dovrebbe trarre, proprio dalle pronunce giudiziarie, validazioni o meno della normativa in vigenza, intervenendo con le opportune riforme. La Giustizia amministrativa oggi si trova comunque impegnata in uno sforzo di coordinamento con le altre istituzioni del Paese, come sede di segnalazione di quelle distorsioni che compromettono la logica del sistema, assecondando, ovunque è possibile, e con i limiti della funzione istituzionale, ogni commendevole impegno delle Pubbliche Amministrazioni verso il progresso del sistema, ma contrastando decisamente quelle posizioni che – come già cennato ‐ possano apparire come ostruzionistiche e sforzandosi di non divenire, d’altro lato, essa stessa causa di disturbo all’esercizio istituzionale dei centri pubblici di potere, nella loro azione che deve andare avanti senza sofistici intralci. Dubito infatti che, alla stregua della complessa normativa attuale, sia possibile pervenire ad un prodotto – atto amministrativo – assolutamente immune da vizi formali, per il che sta alla magistratura amministrativa comparare il senso letterale dei provvedimenti, rispetto al fine per il quale l’atto è emanato, ed in tal senso superare possibili vizi, di per sé, irrilevanti, onde non compromettere il costrutto generale dell’azione amministrativa. Non è compito del giudice amministrativo praticare la “caccia all’errore”, come ci ha insegnato il Pres. De Lise, che ha poi evidenziato come l’azione amministrativa deve sempre porsi il problema del giusto ed armonico contemperamento con le posizioni soggettive private, individuando le più opportune vie di realizzazione, tali da non comportare ingiustificate compressioni dei diritti del cittadino. Ed in questo senso può comprendersi quanto altamente efficiente è il contributo recato dalla Avvocatura per ricondurre a legalità ed equità l’azione amministrativa.

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E tornando più strettamente al tema annunciato della “crisi” del diritto, Paolo Grossi ha prospettato un netto superamento della tradizionale configurazione del potere. La sovranità nazionale che detta le Leggi, guarda oggi ad un diritto non più imposto, ma condiviso. Un diritto che “viene dal basso” e non più dall’alto. Nella concezione generale, il diritto, come abbiamo appreso nei nostri studi, si riconduceva ad un fattore statalista. Il potere politico, configurava le regole di comando come espressione di proprie finalità in chiave di controllo politico sul cittadino, confinandolo in una situazione di obbedienza, inquadrato in una sfera passiva, sotto la stretta vigilanza di un potere – sovente non condiviso, che perseguiva finalità proprie, con scarso riguardo alle posizioni private individuali, considerate come mere occasioni di normazione. In questo quadro il diritto costituiva una sorta di “scienza pura”, che non si poteva occupare della possibile conflittualità tra diritto astratto e diritto vivente. Il diritto dello scorso secolo ha infatti costruito un simbolo altamente sintomatico di queste finalità, nei “codici”, come espressione di un sistema coerente di comandi e la complessità della vita sociale aveva determinato una corrispondente complessità del sistema di diritto, articolata sulla disciplina di situazioni giuridiche estenuantemente e cavillosamente regolate, che dovevano essere compresse in quella gabbia normativa, che poi il Giudice era chiamato a rispettare e far rispettare. Ma ad un certo punto della evoluzione storica – e siamo ai giorni nostri – la società ha preso una propria, autonoma via, si divarica e si allontana dal sistema autoritaristico del diritto tradizionale. Il fenomeno ha radici lontane, se si pensa che già Santi Romano, forse il più grande Giurista del Paese, nel 1909, in un discorso a Pisa aveva illustrato il rapporto tra Stato moderno e crisi”, anticipando di oltre un secolo un fenomeno che oggi affiora con diffusa consapevolezza. E parlava di crisi perché, fin da allora, le formazioni sociali aspiravano a fare diritto, prevenendo un fattore enormemente sviluppatosi nei nostri tempi, e soprattutto al’estero, ponendosi in vivace polemica con la astrattezza di un diritto codicistico che contempla sostanzialmente ipotesi di “cittadino astratto”, cittadino “tipo”.

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Oggi, rispetto al modello teorico, si avvalora prepotentemente “il fatto” come momento di attualità, di vita, e di stretta contingenza, che attende supporto e non più limite e regolamentazione nel diritto, così compromettendo quel profilo della astrattezza del diritto che costituiva un predicato distintivo della funzione legislativa. Già Irti e von Hayek avevano parlato di crisi della codicistica e dell’avvento della decodificazione e della prevalenza della regolamentazione del mercato rispetto ai fini additati dalla tradizione. L’economia è oggi la vera fonte del diritto e della legge. Lo Stato, come fondamentale artefice delle regole, subisce questo condizionamento ed un correlativo forte ridimensionamento, quello che Capograssi aveva individuato parlando di “Stato come gigante scoronato” in riscontro a tendenze che reclamavano “più società” e meno Stato. Il diritto non dovrà più essere mero “comando”, ma “ordinamento”, cessando di costituire un puro prodotto elitario, derivante dalla autorità e quindi dal potere, o meglio da un certo “potere” di un “certa epoca” e con “certi” fini contingenti. La genesi del diritto si evolverà sempre più prepotentemente come espressione di una sovranità popolare che chiede la effettiva tutela dei propri bisogni e sempre più ampie opportunità, anche attraverso l’affermazione del concetto nuovo del diritto: “gli interessi diffusi”. I codici e le leggi non sono più solamente “cataloghi” di prescrizioni, ma devono rispondere nella loro concezione e nella loro interpretazione, ai fattori che la Società vede accolta nella Costituzione, come voce della società civile. Un esempio particolarmente eloquente di questo progredire del diritto, si legge nel fondamentale art. 3 della Costituzione, dove è detto che costituisce “compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica economica e sociale del Paese”. E così pure l’art. 4 dove è detto che “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della Società”.

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Ed attenzione alle parole: prima si parlava di “Paese”, ora di “Società”. Ed ancora l’art. 2 ove è detto che la Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica economica e sociale” garantendo diritti invilolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità. La persona è dunque al centro del sistema. La persona e così pure l’impresa come espressione della sua proiezione nel mercato. Ce lo aveva detto Rodotà nell’opera commentata lo scorso anno. Ma, a fronte di tanto elevati precetti costituzionali, il sistema giudiziario tutto, deve interrogarsi se la propria azione sia coerente con questi principi e se in ogni affare giudiziario trattato, essi si siano realizzati e se sussista un continuo scrupoloso, consapevole, coerente, vigile impegno nella quotidiana pratica giudiziaria. I nuovi valori sono ormai enunciati e vanno oltre allo stretto precetto normativo, fermi nel loro aspetto cartaceo, attendendo da tempo una rilettura alla luce dei nuovi scenari che appunto, esigono fattori non più di validità, ma di “valore”. Oggi la spinta verso questo obiettivo trova un nuovo fattore propulsivo: l’Europa “ Il cittadino, nell’ottica europea è infatti costruito come “consumatore”, non è più un soggetto astratto e questa impostazione distrugge la obsoleta visione statalistica del diritto sotto il profilo apodittico della “dura lex sed lex”. Non regge – lo dichiara Grossi ‐ la gerarchia delle fonti, perché la società civile non riconosce altra priorità che non quella del proprio bisogno e delle proprie esigenze e si orienta verso quei centri normativi che rispondono a questi valori. Il nuovo tessuto in cui il nuovo “diritto” si inserisce è oggi la rivoluzione digitale. In essa il trinomio, (“diritto – politica – stato”) ‐ viene compromesso. Il diritto odierno non vuole intralci, perché l’economia non vuole frontiere ed è a questo proposito che Paolo Grossi parla di “diritto sconfinato” in quanto il panorama giuridico è ormai globalizzato e il nostro diritto e la nostra giurisprudenza devono rispondere a esigenze sopranazionali, favorire le legittime aspettative di una società che è divenuta multi razziale, e soprattutto, si ripete, sopranazionale.

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Il diritto interno non può quindi contrastare, per esigenza di proprie esclusive simmetrie logiche, che vengono da una passato obsoleto, la regolamentazione di rapporti che vedono in campo, soggetti non italiani, che ben frequentemente disertano il nostro scenario economico, per la complessità delle nostre regole e delle nostre strutture e dei nostri provvedimenti giudiziari che quelle complesse regole attuano, in un rituale obsoleto e sovente giudicato, anche ottuso, quindi ricusato. In realtà, sostiene Grossi, il diritto, il buon diritto, sarebbe il “salvataggio” della società civile. Ma un diritto non cristallizzato, ma flessibile e la cui realizzazione va affidata ad un giudice che deve fare sforzi di natura psicologica, per superare una diffusa pigrizia mentale, avendo le facoltà per agire in tal senso, la formazione, l’impegno. La crisi del diritto, e infatti la crisi del “nostro diritto” e della nostra giurisprudenza, che non risponde più, in larga parte, alle esigenze sociali e costituisce un freno e non un acceleratore del sistema. L’attuale domanda di giustizia non è più compatibile con la civiltà codicistica e con le regole fisse e immutabili ed in attesa di uno sforzo di ricomposizione che deve conformare il “nuovo diritto”, la supplenza è affidata alla giurisprudenza, nell’ottica di una interpretazione del diritto come disegnato da principi tendenziali di “giustizialita”, anche oltre il ristretto dato di legge positivo. La legge, come concezione umana, vale, se serve, e non può essere il paravento per finalità che derivano non da opportunità, ma da un fattore di forza, espressione dei tanti poteri che lo ispirano ed impongono. In questo senso, il primato della giurisprudenza, e nella proiezione europea del diritto è ben espresso dalla supremazia della Corte di Lussemburgo che è più importante e più incisiva della stessa Commissione operando per la conformazione progressiva degli orientamenti statali, più del potere regolamentare. La giurisprudenza supera quindi il potere legislativo. La Commissione sa infatti a priori, che il suo deliberato dovrà rispondere ad un giudice, che avrà facoltà di cancellarlo se in contrasto con i “principi” del diritto europeo e con la sua giurisprudenza.

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Se prima del diritto europeo i “fatti”, che sono il perimetro delle controversie, venivano subordinati ed orientati dalle regole e la validità di queste era misurata a fronte di canoni, oggi l’“effettività” diviene severo arbitro del teatro e la dimensione giuridica è incentrata sull’individuo, cittadino, si è detto, consumatore, il tutto con una importante connotazione che la letteratura giuridica si distacca sempre più dalle terminologie e dagli schemi del diritto romano, per diventare un sistema giuridico ed economico la cui lingua è l’inglese. Dunque il diritto non è più una reliquia imbalsamata di competenza di una archeologia giuridica dai riti obsoleti. Deve conformarsi all’area sovranazionale in cui si inserisce per acquistare credito sugli scenari europei. E come diritto di ispirazione europea è un diritto che viene dal basso ed è “giurisdizionalmene validato e controllato”, come forse avrebbe affermato Salvatore Satta. Ma è da chiedersi, ritornando all’interrogativo già posto, il Giudice amministrativo, almeno per parlare di questo, risponde a questi nuovi approdi? Il bagaglio culturale tradizionale ed il vecchio arsenale operativo, può ritenersi appropriato al salto culturale cui è chiamato ? Dopo gli studi accademici, la sua formazione professionale è ancorata essenzialmente alla salvaguardia di un diritto prospettato come simulacro intangibile per cui la norma è di per sé garanzia di giustizia. Ma è così? Dobbiamo essere soltanto operai nella fabbrica di sentenze o possiamo rendere un più ampio servizio? Il primo passo verso un costruttivo futuro è la piena attuazione del diritto europeo che è un fattore fortemente innovativo, deplorevolmente negletto nelle nostre aule giudiziarie, mentre esso costituisce “proprio quel nuovo ordine” che per noi si profila, specialmente per quando la crisi sarà finita, e quando potranno essere superate molte delle nostre posizioni mentali e culturali stantie. Dobbiamo inoltre imparare ad attuare ed avvalerci dei molti benefici che ci spettano. L’Europa non è soltanto il limite del 3 % del PIL.

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Offre occasioni di giustizia e di promozione sociale che non riusciamo a cogliere. La giurisprudenza nazionale, insiste infatti ottusamente ad es., su obsoleti concetti quali la colpa dell’Amministrazione in riferimento alle richieste di risarcimento danni per illegittimo esercizio del potere, quando il profilo psicologico è del tutto svalutato dalla giurisprudenza europea. (vedi sentenza Cons. Stato). Non occorre trovare colpevoli, occorre risarcire i danni e non è quindi necessario ricercare un soggetto individuale o collettivo, reprobo da punire. In questa nuova luce che viene dall’Europa, il Giudice amministrativo non deve più essere il puro esegeta di norme astratte sotto l’ombrello protettivo dello Stato nazionale. Egli, è chiamato ad essere prima di tutto giurista e poi anche giudice, aggiornando il suo bagaglio professionale al divenire che è peraltro già in atto, ricercando il fine di certezze dei diritti oltre le ondivaga normativa canonica. Per questo impegno occorre superare, lo stretto tecnicismo, andare oltre il valore puramente grammaticale delle norme, per costruire un sistema di integrazione di sinergia e di complementarizzazione rispetto alla Amministrazione che deve trovare nel suo giudice non un severo censore, ma un punto di riferimento collaborativo per le giuste finalità. Concludendo, la pressante richiesta pressante di un “nuovo diritto” che nasce dai bisogni e non dalla ricerca di simmetrie giuridiche e compiacimenti dogmatici, esige, in molti settori, un impegno legislativo che corrisponda, con piena aderenza, allo stato della crisi economica e sociale e guardi al suo superamento e che non può essere assolto dalla sola giurisprudenza. Occorrono le riforme che attendiamo e che dovranno essere riforme ma non sconvolgimenti. Riforme che vengano da adeguate ponderazioni e per le quali deve valere l’imperativo di Luigi Einaudi: prima conoscere e poi riformare. E poiché si è tanto parlato di crisi e riforme, vorrei citare, un brano attualmente significativo e sintomaticamente aderente a quanto fin qui detto. Brano che potrà essere noto a molti, ma che richiamo per il suo intrinseco valore e per la autorevolezza del suo autore:

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cambiare il problema in opportunità! Ecco il testo: “non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose”. La crisi può essere, non un pregiudizio, ma una benedizione per le persone e le Nazioni, perché la crisi porta progresso. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notte oscura. E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte, la grande strategia. Chi attribuisce alla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, da più valore ai problemi che alle soluzioni. La vera crisi è quella della incompetenza. L’inconveniente delle persone e delle Nazioni è la pigrizia nel cercare le vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide e la vita è una lenta agonia. Senza crisi non c’è merito e nella crisi può emergere il meglio di ognuno. L’unica crisi pericolosa è la tragedia di non voler lottare decisamente per superarla, perché la crisi, viene, per essere superata. Albert Einstein 1931 Il che vale anche per la crisi del diritto.

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ANALISI NORMATIVA

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Diritto europeo ed affidamenti di servizi in convenzione ad associazioni di volontariato di Cinzia Papi Sommario: 1. Premessa; 2. Quadro normativo di riferimento e primo monito della Corte di Giustizia (sentenza 29 novembre 2007, causa C‐119/06); 3. Sulla partecipazione alle gare delle associazioni di volontariato: l’orientamento restrittivo; 4. Segue: il revirement della giurisprudenza; 5. Il rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato e le recenti conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa C‐113/13; 6. Considerazioni conclusive: spunti per un possibile contemperamento degli interessi, nell’ordinanza n. 161/14 del Tar Piemonte di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

1. Premessa Dal 13 maggio il Governo ha posto in pubblica consultazione un documento avente ad oggetto “Linee Guida per una riforma del terzo settore”41, in vista della stesura di un disegno di legge delega, del quale è già prevista l’approvazione dal Consiglio dei Ministri, il giorno 27 giugno 2014. Tra gli obiettivi dichiarati vi sono anche quelli di “ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio” e “sgomberare il campo da una visione idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che anche in questo ambito agiscono soggetti non sempre trasparenti che talvolta usufruiscono di benefici o attuano forme di concorrenza utilizzando spregiudicatamente la forma associativa per aggirare obblighi di legge”. A tal fine, si prevede un articolato sistema di interventi, nel quale è compreso anche l’aggiornamento della legge n. 266/91, mediante l’introduzione di criteri più trasparenti nel sistema di affidamento in convenzione dei servizi al volontariato. Pertanto, torna di interesse il tema della compatibilità con il diritto europeo degli affidamenti di servizi in convenzione alle associazioni di volontariato ed, in vista dell’imminente riforma, sembra utile fare il punto delle tesi da ultimo sostenute, sia

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Il documento è reperibile dal link http://www.governo.it/Notizie/Palazzo%20Chigi/dettaglio.asp?d=75603.

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dalla giurisprudenza amministrativa che dalla Corte di Giustizia, dando conto dell’ampio e risalente dibattito che si è sviluppato intorno alla questione. E’ di tutta evidenza che si tratta di una tematica tanto delicata quanto complessa, come dimostra la circostanza che, al riguardo, si siano più volte pronunciati, oltre alla Corte di Giustizia ed alla giurisprudenza nazionale – che non ha mancato di far registrare repentini cambiamenti di orientamento ‐ anche l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. 2. Quadro normativo di riferimento e primo monito della Corte di Giustizia (sentenza 29 novembre 2007 causa C‐119/06) Il favor riconosciuto dal legislatore italiano agli enti di volontariato operanti in particolare nel settore sanitario trova fondamento nel dovere inderogabile di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione e nel riconoscimento operato dall’art. 118 del principio di sussidiarietà. Infatti, già con la l. n. 833/1978 istitutiva del sistema sanitario nazionale si è previsto che ʺI rapporti fra le unità sanitarie locali e le associazioni del volontariato ai fini del loro concorso alle attività sanitarie pubbliche sono regolati da apposite convenzioni nellʹambito della programmazione e della legislazione sanitaria regionaleʺ (cfr. art. 45). Con la legge quadro sul volontariato n. 266/91, il legislatore ha definito all’art. 2 l’attività di volontariato “quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite lʹorganizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà“; la stessa legge ha poi incluso nella definizione di organizzazione di volontariato, ogni organismo costituito per svolgere la predetta attività “che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti”. Le associazioni di volontariato pur essendo libere nella scelta della forma organizzativa hanno l’obbligo di prevedere nellʹatto costitutivo o nello statuto “lʹassenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, lʹelettività e la gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti….”. L’art. 5 della legge quadro in esame dispone, altresì, che le organizzazioni di volontariato traggono le risorse economiche da “rimborsi derivanti da convenzioni” e da

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“entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali”. Infine, l’art. 7 disciplina le convenzioni prevedendo che: “Lo Stato, le Regioni, le province autonome, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato ….che dimostrino attitudine e capacità operativa. Le convenzioni devono inoltre prevedere forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità nonché le modalità di rimborso delle spese.” In seguito, con la l. n. 328/2000 ʺLegge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi socialiʺ è stato confermato che, proprio attraverso il convenzionamento ed esercitando le attività previste nel proprio statuto, le associazioni di volontariato svolgono un ruolo attivo e di primaria importanza anche nella programmazione degli interventi insieme a enti locali, Regioni e Stato. Diversamente da quanto previsto per le convenzioni di cui all’art. 5 della l. n. 381/1991, che possono essere stipulate con le cooperative sociali cc.dd. di tipo b)42, la legislazione nazionale in tema di volontariato non contiene, però, alcuna disposizione di coordinamento con la disciplina europea in materia di appalti e di concessioni di servizi, neanche per le ipotesi in cui si tratti di affidamenti di importo superiore alle soglie di rilevanza europea o che, comunque, possono presentare un interesse transfrontaliero. Nel tempo, le Regioni si sono dotate di proprie legislazioni attuative, confermando il riconoscimento del rilievo del terzo settore ed autorizzando gli enti locali a stipulare, in via prioritaria, con le organizzazioni di volontariato convenzioni per l’erogazione di prestazioni nel settore sanitario o di altri servizi pubblici. Tuttavia, anche nelle legislazioni regionali non si prevede alcuna forma di limitazione o di contemperamento con le disposizioni europee; pertanto, in diverse occasioni le Corte di Giustizia è già stata chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sulla compatibilità con le norme ed i principi del Trattato, delle normative regionali, in base alle quali ‐ per lo più nell’ambito del settore sanitario o dei servizi alla persona ‐ si è proceduto all’affidamento diretto di servizi in convenzione, senza il previo esperimento di alcuna forma di confronto competitivo. In particolare, la Corte di L’art. 5 della legge n. 381/1991 prevede che “Gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui allʹarticolo 1, comma 1, lettera b), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio‐ sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dellʹIVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui allʹarticolo 4, comma 1”. Al riguardo, si vedano la deliberazione dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture n. 34/2011 e la determinazione n. 3/2012. 42

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Giustizia è stata chiamata a valutare la conformità di detti affidamenti, rispetto alla direttiva 2004/18/CE, secondo la quale quando si è in presenza di un contratto a titolo oneroso, concluso in forma scritta tra un imprenditore (nel significato fornito dalla stessa direttiva) ed un’amministrazione aggiudicatrice avente per oggetto l’esecuzione di un servizio, deve trovare applicazione la disciplina dettata per l’affidamento del relativo contratto. In base alla direttiva 2004/18/CE ed al codice dei contratti, poi, i servizi sanitari pur essendo inclusi nell’Allegato IIB sono comunque soggetti alla disciplina recata per il relativo affidamento dagli artt. 20 e 27 del codice, disposizione quest’ultima che richiama il rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità. Così, nella nota sentenza 29 novembre 2007 (causa C‐119/06)43, la Corte di Giustizia aveva esaminato l’accordo quadro concluso – in deroga alle disposizioni che regolano l’affidamento degli appalti ‐ dalla Regione Toscana e dalle Asl locali con la Confederazione delle Misericordie d’Italia, l’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze e la Croce Rossa Italiana44, per lo svolgimento di attività di trasporto sanitario; il giudice nazionale ha sollecitato la Corte a verificare se l’accordo quadro de quo, presentasse o meno le caratteristiche di un appalto pubblico, ai sensi della normativa comunitaria sui servizi, e cioè se esso fosse – appunto ‐ un contratto a titolo oneroso, stipulato in forma scritta, tra un prestatore di servizi e un’amministrazione aggiudicatrice. Al riguardo, si veda A. Albanese, “Lʹaffidamento di servizi socio‐sanitari alle organizzazioni di volontariato e il diritto comunitario: la Corte di Giustizia manda un monito agli enti pubblici italiani”, in Riv. It. Dir. Pubbl. Comm., 2008, 6, 1453 44 Sulla base di disposizioni attualmente in vigore ‐ d.p.r. 31 Luglio 1980, n. 613 e d.p.c.m. 6 maggio 2005, n. 97 ‐ la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto alla Croce Rossa Italiana natura giuridica differente da quella delle altre associazioni di diritto privato che operano nel settore sanitario, trattandosi di ente pubblico. Peraltro, in forza di espressa previsione del proprio statuto, la CRI non può stipulare contratti di appalto, né partecipare a gare pubbliche indette per lʹaggiudicazione di servizi a titolo oneroso, bensì può svolgerli in base a convenzioni. Proprio in ragione della natura pubblica di questo ente, la giurisprudenza ha ricondotto le convenzioni sottoscritte dalla CRI, nell’alveo di quelle stipulate ai sensi dell’art. 15, l. n. 241 del 1990, ritenendole una forma consentita – anche in base ai principi comunitari ‐ di cooperazione orizzontale tra amministrazioni aggiudicatrici (sul punto, Consiglio di Stato Sez. II sentenza 9 agosto 2011, n. 4720 T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 1 ottobre 2010, n. 32649, Consiglio di Stato sez. V, 30 settembre 2009, n. 5891 TAR Lazio sentenze 27 novembre 2012 nn. 9843, 9844, 9845, 9846 e 9847). Con il d.lgs. 28 settembre 2012, n. 178 recante “Riorganizzazione dellʹAssociazione italiana della Croce Rossa (C.R.I.), a norma dellʹarticolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183” – la cui entrata in vigore è stata da ultimo posticipata dalla l. 30 ottobre 2013 n. 125 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto‐legge 31 agosto 2013, n. 101 ‐ si è previsto che dal 1° gennaio 2015, le funzioni esercitate dall’Associazione italiana Croce Rossa (lʹattuale CRI) passano alla costituenda Associazione della Croce Rossa Italiana che diverrà a tutti gli effetti un soggetto di diritto privato (seppure di interesse pubblico), riconducibile ‐ secondo quanto chiarito nella relazione illustrativa del provvedimento ‐ nel novero delle associazioni di promozione sociale (l. n. 383 del 7 dicembre 2000). Tuttavia, secondo l’art. 1 comma 6 del già richiamato d.lgs. “LʹAssociazione, anche per lo svolgimento di attività sanitarie e socio sanitarie per il Servizio sanitario nazionale (SSN), può sottoscrivere convenzioni con pubbliche amministrazioni, partecipare a gare indette da pubbliche amministrazioni e sottoscrivere i relativi contratti. Per lo svolgimento delle attività di cui al presente articolo, le pubbliche amministrazioni di cui allʹarticolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 sono autorizzate a stipulare convenzioni prioritariamente con lʹAssociazione”. 43

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Pur avendo respinto il ricorso, in questo precedente la Corte ha disatteso l’argomento sviluppato dalla difesa della Repubblica Italiana al fine di sottrarre gli accordi in questione alla regola dellʹevidenza pubblica, ossia quello afferente la natura non onerosa di tutti gli accordi, implicanti soltanto un rimborso delle spese sostenute. Infatti, al riguardo la Corte di Giustizia ha concluso che ʺnella fattispecie, se è vero che il lavoro delle persone che effettuano i trasporti sanitari in parola non è retribuito, risulta nondimeno dagli elementi sottoposti alla Corte che i pagamenti previsti dalle pubbliche autorità interessate superano il semplice rimborso delle spese sostenute per fornire i servizi di trasporto sanitario controversiʺ. Sicchè, nella pronuncia richiamata la possibile riconducibilità dell’affidamento all’ambito di applicazione delle direttive sugli appalti si fondava sulla circostanza che il corrispettivo versato alle associazioni di volontariato potesse non limitarsi ad un mero rimborso delle spese sostenute; non è stato affrontato il tema delle convenzioni che prevedono esclusivamente la restituzione di quanto effettivamente speso per l’erogazione del servizio. Successivamente, il sistema delle convenzioni è stato esaminato anche dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nella deliberazione n. 35 del 9 marzo 2011, ove è stato evidenziato che “l’affidamento dei servizi di trasporto sanitario in via prioritaria mediante convenzionamento con le associazioni di volontariato accreditate (così come delineato nella normativa regionale esaminata), non ha le caratteristiche della procedura negoziata senza bando, ovvero di un affidamento preceduto da un invito ad almeno cinque concorrenti; pertanto, non risulta conforme al regime procedurale al quale deve soggiacere ai sensi degli artt. 20 e 27 del Codice dei Contratti. Tale forma di affidamento mediante convenzionamento, nella misura in cui non prevede alcuna forma di procedura competitiva nemmeno per l’accreditamento delle associazioni, si atteggia quale affidamento diretto che, come tale, non è compatibile con i principi generali di libera concorrenza, imparzialità di trattamento, trasparenza e proporzionalità sopra richiamati”. Ad ogni modo, tenuto conto di quanto sostenuto nella sentenza della Corte di Giustizia appena richiamata si è anche rilevato che “Tale conclusione potrebbe venir meno laddove venisse appurata la natura non onerosa delle convenzioni sottoscritte con le organizzazioni di volontariato ai fini della erogazione dei servizi di trasporto sanitario”. Sul tema del convenzionamento diretto nel settore del trasporto sanitario in emergenza, si è registrata anche la posizione critica dell’Autorità Garante della

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concorrenza e del mercato sostenuta in alcuni provvedimenti, nei quali è stato richiamato il già citato precedente del giudice comunitario45. 3. Sulla partecipazione alle gare delle associazioni di volontariato: il primo orientamento restrittivo Oltre al motivo concernente l’oggetto della convenzione e la sua natura non onerosa, la difesa erariale italiana aveva prospettato innanzi alla Corte di Giustizia un ulteriore argomento a sostegno della legittimità della convenzione stipulata dalla Regione Toscana; infatti, anche la natura non commerciale dei soggetti affidatari – le associazioni di volontariato – non permetteva di concludere che, nel caso esaminato, si fosse al cospetto di un affidamento soggetto alle cautele procedurali proprie degli appalti, secondo la disciplina europea. In sostanza, è stato sostenuto che le associazioni di volontariato non rientrano nel novero degli operatori commerciali, in quanto non svolgono attività di impresa con finalità di lucro. Di talché, se da un lato si concludeva per la legittimità del ricorso al convenzionamento diretto in ragione della peculiare natura soggettiva delle associazioni di volontariato, dall’altro sulla base alle medesime considerazioni, si escludeva che quest’ultime potessero partecipare alle gare d’appalto. Questa tesi è stata sostenuta anche dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, che si è conformata ad un costante orientamento giurisprudenziale che ha ritenuto illegittima la partecipazione alle gare di appalti pubblici di servizi delle associazioni di volontariato, di cui alla legge n. 266/1991, in quanto “l’espletamento di una procedura di selezione del contraente fondata sulla comparazione delle offerte con criteri concorrenziali di convenienza tecnica‐economica è apparsa inconciliabile con il riconoscimento alle associazioni di volontariato, ex art. 5 della legge n. 266/1991, della possibilità di usufruire di proventi costituiti esclusivamente da “rimborsi derivanti da convenzioni”, che prescindono dalle regole di concorrenza, nonché da “attività commerciali e produttive marginali” svolte, come precisato dal DM 25 maggio 1995, “senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato TAR Piemonte, Sez. II, 31 marzo 2006, n. 1604; TAR 45

Segnalazione n. AS385 del 29 novembre 2007, in merito all’istituzione della Azienda Regionale ARES 118 nella Regione Lazio; l’argomento è stato poi ripreso nella segnalazione n. AS487 del 18 novembre 2008 ove si conclude che “nella prospettiva antitrust, è sempre preferibile, anche in presenza di organizzazioni di ispirazione solidaristica ma che svolgono comunque attività economica, scegliere il fornitore di servizi pubblici mediante procedure selettive”.

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Campania, Napoli, Sez. I, 21 marzo 2006, n. 3109; TAR Emilia Romagna, Bologna, Sez. II, 14 giugno 2005, n. 822)” (cfr. parere n. 29/2008)46. 4. Segue: il revirement della giurisprudenza Anche in relazione all’argomento relativo alla natura soggettiva delle associazioni di volontariato, la Corte di Giustizia aveva già svolto delle osservazioni critiche sempre nel richiamato precedente relativo agli accordi quadro sottoscritti dalla Regione Toscana, sostenendo al riguardo che ʺlʹassenza di fini di lucro non esclude che siffatte associazioni esercitino unʹattività economica e costituiscano imprese ai sensi delle disposizioni del Trattato relative alla concorrenzaʺ (cfr. punto 37 della sentenza 29 novembre 2007, causa C‐119/06). Il rilievo si poneva nel solco già tracciato dalla Corte, attraverso quell’orientamento, secondo cui la definizione comunitaria di impresa non si fonda su presupposti soggettivi quali la natura pubblica o privata dell’operatore ovvero la finalità di lucro propria dell’organizzazione, ma su elementi oggettivi quali l’offerta di beni e servizi sul mercato, anche quando questa non sia l’attività principale dell’organizzazione47. Questa linea interpretativa si è via via affermata nelle pronunce della Corte di Giustizia insieme al corollario della irrilevanza della forma giuridica, ai fini della partecipazione alle gare d’appalto48. Infatti, l’estensione delle categorie dei soggetti ammessi alle gare d’appalto si è ottenuta proprio attraverso un’interpretazione sostanziale della nozione di impresa, nel cui alveo sono stati ricondotti altri soggetti che svolgono attività economica sul mercato, indipendentemente dalla struttura organizzativa, dalla finalità di lucro o dalla natura pubblica. Di riflesso, anche la giurisprudenza amministrativa nazionale è andata nella stessa direzione riconoscendo la natura non tassativa dell’elenco dei soggetti ammessi alle

46 In senso conforme, anche i pareri di precontenzioso dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture nn. 266/2008 e 26/2009. 47 Si veda, ad esempio, con riferimento alle fondazioni bancarie, la sentenza della Corte di Giustizia 10 gennaio 2006, causa C‐ 222/04 Cassa di Risparmio di Firenze. 48 Nella sentenza 18 dicembre 2007, causa C‐357/06, Frigerio Luigi & C. Snc, la Corte di Giustizia ha, infatti, concluso che la normativa comunitaria non consente di precludere la partecipazione a una procedura di aggiudicazione ai candidati od offerenti che non hanno la forma giuridica corrispondente a una determinata categoria di persone giuridiche (nel caso trattato quella delle società di capitali).

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gare d’appalto, di cui all’art. 34 del codice dei contratti pubblici, ed ammettendo la partecipazione alle gare di fondazioni49 e di enti pubblici non economici. Da ultimo, anche con riferimento alle associazioni di volontariato, il Consiglio di Stato ha concluso che “non è precluso partecipare agli appalti, ove si consideri che la legge quadro sul volontariato, nell’elencare le entrate di tali associazioni, menziona anche le entrate derivanti da attività commerciali o produttive svolte a latere, con ciò riconoscendo la capacità di svolgere attività di impresa”50. Nella stessa pronuncia si fa riferimento, fra l’altro, anche ai già citati pareri contrari espressi dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, precedenti che, secondo la ricostruzione del Consiglio di Stato, sono da ritenersi superati dal successivo orientamento espresso dalla stessa Autorità riguardo al carattere non tassativo dell’art. 34 del codice dei contratti, sebbene con particolare riferimento alla partecipazione alle gare d’appalto da parte delle Università. Infatti, nella determinazione n. 7/2010 recante “Questioni interpretative concernenti la disciplina dell’articolo 34 del d.lgs. n. 163/2006 relativa ai soggetti a cui possono essere affidati i contratti pubblici”, l’Autorità ha affermato che operatore economico può essere anche un soggetto senza fine di lucro che operi occasionalmente sul mercato o goda di finanziamenti pubblici; infatti, l’essere beneficiari di contribuzioni pubbliche o il non perseguire un preminente scopo di lucro, non sono di per sé cause ostative alla partecipazione a gare. Pertanto, sulla base degli ultimi orientamenti della giurisprudenza e dell’Autorità ‐ che fanno propria la definizione comunitaria di impresa, non suscettibile di tipizzazione nell’elencazione di cui all’art. 34 del codice dei contratti ‐ la legittimazione alla partecipazione alle gare d’appalto delle associazioni di volontariato, di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266 e di quelle di promozione sociale, di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, non pare possa più mettersi in discussione.

Cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza n. 3897 del 16 giugno 2009; per un commento sia consentito rinviare a “Gare d’appalto: via libera alle fondazioni” in Diritto e Pratica Amministrativa, settembre 2009, n. 9 pag. 40 e ss.. 50 Cfr. Consiglio di Stato Sez. VI, sentenza n. 387 del 23 gennaio 2013; in senso conforme, si veda anche Cons. Stato Sez. V, 26 agosto 2010, n. 5956 ed il commento di P. Cerbo “Appalti pubblici e associazioni di volontariato: la concorrenza fra soggetti disomogenei”, in Urbanistica e appalti, 2011, 3, pag. 335 e ss. 49

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Nonostante l’evoluzione giurisprudenziale della quale si è dato conto, il quadro normativo nazionale ‐ già in precedenza esaminato ‐ non ha subito modifiche51; pertanto, le associazioni di volontariato, possono avere accesso alle gare d’appalto ed al contempo, in ragione delle finalità solidaristiche per le quali sono costituite, avvalersi – oltre che di finanziamenti pubblici e delle prestazioni gratuite dei volontari ‐ anche di un diverso canale di “collaborazione” con le pubbliche amministrazioni, quale è quello della convenzione. Il solo limite chiaramente indicato dalla Corte di Giustizia, resta ancora quello del 2007 relativo al corrispettivo percepito, che deve corrispondere al mero rimborso delle spese sostenute, affinché in ragione dell’assenza di onerosità del rapporto, possa ritenersi esclusa la sussistenza di un contratto d’appalto e, dunque, legittima l’applicazione di un regime derogatorio agli affidamenti di servizi. 5. Il rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato e le recenti conclusioni dell’Avvocato Generale nella causa C‐113/13 Con riferimento ai presupposti che consentono di ritenere sussistente il carattere oneroso di una prestazione di servizi, occorre però considerare che la Corte di Giustizia – seppur trattando di altra questione ‐ ha avuto modo di concludere che “come risulta dal senso normalmente e abitualmente attribuito all’espressione «a titolo oneroso», un contratto non può esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il Di recente, l’art. 4 comma 6 del d. l. 6 Luglio 2012 n. 95 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario” (c.d. decreto spending review), aveva previsto che “A decorrere dal 1° gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni di cui allʹarticolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dellʹamministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche”. L’intento era quello di disciplinare proprio i rapporti di collaborazione tra Amministrazioni pubbliche ed enti di diritto privato (associazioni, anche non riconosciute, fondazioni e comitati) sottoponendo le acquisizioni di servizi a titolo oneroso, mediante convenzioni alle procedure previste dal codice dei contratti pubblici. In seguito alle istanze delle associazioni coinvolte, la legge di conversione 7 agosto 2012, n. 135 ha aggiunto al predetto comma 6 che “Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e lʹalta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio‐assistenziali e dei beni ed attività culturali, dellʹistruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche di cui allʹarticolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali”. Deve ritenersi che l’esclusione de qua, consenta ai soggetti elencati di percepire contributi a carico delle finanze pubbliche anche ove forniscano servizi alla PA. Inoltre, al comma 7 dello stesso articolo, al secondo capoverso si legge che “È ammessa lʹacquisizione in via diretta di beni e servizi tramite convenzioni realizzate ai sensi dellʹarticolo 30 della legge 7 dicembre 2000, n. 383, dellʹarticolo 7 della legge 11 agosto 1991, n. 266, dellʹarticolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e dellʹarticolo 5 della legge 8 novembre 1991, n. 381. Sono altresì ammesse le convenzioni siglate con le organizzazioni non governative per le acquisizioni di beni e servizi realizzate negli ambiti di attività previsti dalla legge 26 febbraio 1987, n. 49, e relativi regolamenti di attuazione”. 51

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servizio convenuto”52. Pertanto, in ragione delle indicazioni, da ultimo, fornite dalla giurisprudenza europea, anche nelle ipotesi in cui il corrispettivo pattuito per l’affidamento di servizi sanitari in convenzione dovesse corrispondere ad un mero rimborso spese, non potrebbe escludersi il requisito dell’onerosità e, conseguentemente, neanche la sussistenza di un contratto d’appalto. Tenuto conto, dunque, che entrambi gli argomenti – sia quello di carattere soggettivo, riferito alla natura non imprenditoriale delle associazioni di volontariato, che quello oggettivo, concernente la non onerosità della prestazione – sono stati fortemente messi in discussione, si comprende perché, di recente, il Consiglio di Stato non ha mancato di riproporre una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla questione53. Nell’ordinanza di rinvio, è stato prospettato chiaramente che un sistema previsto da una legge regionale, in base alla quale il trasporto sanitario è affidato prioritariamente e senza gara alle associazioni di volontariato ed alla Croce Rossa, non è conforme ai principi del Trattato, anche nel caso in cui il rapporto di servizio sia regolato da una convenzione che stabilisca “l’esclusiva erogazione dei rimborsi delle spese effettivamente sostenute”, in quanto comunque discriminatorio; pertanto, sul punto si chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi con riferimento gli articoli 49, 56, 105 e 106 del TFUE. Corte di Giustizia, Grande Sezione, sentenza del 19/12/2012, pronunciata nella causa C‐159/11. Il rinvio pregiudiziale ha avuto ad oggetto la verifica della compatibilità con il diritto comunitario di una accordo stipulato tra l’ASL di Lecce e l’Università del Salento per lo studio e la valutazione della vulnerabilità sismica delle strutture ospedaliere della Provincia di Lecce, avverso il quale è insorto l’ordine degli Ingegneri locale. 53 Consiglio di Stato, Sez. III ordinanza n. 1195 del 27/02/2013, sollevata nell’ambito del contenzioso avente ad oggetto l’accordo quadro approvato dalla regione Liguria con delibera n. 283 del 09/02/2010, per la regolamentazione dei rapporti tra aziende sanitarie ed ospedaliere, associazioni di volontariato e Croce Rossa e la relativa convenzione attuativa sottoscritta dalla ASL n. 5 “Spezzino” per i trasporti sanitari di urgenza ed emergenza con associazioni di volontariato aderenti all’ANPAS e con la Croce Rossa. Il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sui ricorsi in appello proposti avverso la decisione n. 565/2012 del TAR Liguria da cooperative operanti nel settore, ha ritenuto che la questione principale del contendere sia da individuare nella compatibilità con i principi del Trattato dell’art. 75‐ter della L.R. n. 41/2006, novellata dalla L. R. n. 57/2009; l’articolo 75 ter della Legge Regionale n. 41 del 7 dicembre 2006 della Regione Liguria, come modificata stabilisce: “1. Il trasporto sanitario costituisce attività di interesse generale improntata al rispetto dei principi di universalità, solidarietà, economicità ed appropriatezza. 2. Il trasporto sanitario, di cui al comma 1, è assicurato dalle singole Aziende sanitarie (…) avvalendosi di mezzi e personale propri. Ove ciò non sia possibile il trasporto sanitario è affidato a soggetti (…) sulla base dei seguenti principi: a) in via prioritaria, è assicurato l’affidamento dei servizi del trasporto sanitario a carico del Servizio Sanitario Regionale alle associazioni di volontariato, alla Croce Rossa Italiana ed alle altre istituzioni o enti pubblici autorizzati, al fine di garantire l’espletamento del servizio di interesse generale in condizioni di equilibrio economico per il bilancio. I rapporti con la Croce Rossa Italiana e le associazioni di volontariato sono regolati da convenzioni (…); b) l’affidamento del trasporto sanitario a soggetti diversi da quelli indicati alla lettera a) è effettuato nel rispetto della normativa vigente in materia di contratti pubblici di servizi e forniture. 3. Le convenzioni (…) di cui alla lettera a) del comma 2 prevedono per le associazioni di volontariato [e] la Croce Rossa Italiana (…) l’esclusiva erogazione di rimborsi delle spese effettivamente sostenute, secondo i criteri stabiliti dalla Giunta regionale sulla base dei principi di economicità, efficienza e non sovracompensazione dei costi sostenuti”. Per un commento su questa ordinanza di rinvio pregiudiziale si veda A. Reggio D’Aci “Evidenza pubblica e associazioni di volontariato: l’onerosità va valutata in termini comunitari”, in “Urbanistica e appalti”, 2013, 6, pag. 682 e ss.. 52

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In secondo luogo, il Consiglio di Stato ha evidenziato che, nel caso esaminato, tra i costi che devono essere rimborsati sono ricompresi, non solo quelli diretti legati all’esecuzione del singolo accordo, ma anche quelli indiretti e generali derivanti dall’attività stabilmente svolta dalle associazioni affidatarie (utenze, canoni, assicurazioni, spese condominiali, spese generali e di funzionamento); inoltre, i costi diretti sono riferiti anche a spese fisse e durevoli nel tempo, quali le retribuzioni del personale. La descritta modalità di rimborso potrebbe, pertanto, essere tale da configurare una vera e propria contropartita dei servizi espletati, con conseguente necessità di procedere al relativo affidamento con gara; pertanto, con un ulteriore quesito, il Consiglio di Stato ha chiesto alla Corte di chiarire se non debba “qualificarsi come oneroso un accordo quadro, quale quello qui in contestazione, che preveda il rimborso anche di costi fissi e durevoli nel tempo”. Il 30 aprile scorso, sono state presentate le conclusioni dell’Avvocato Generale Nils Wahl sul caso e le perplessità manifestate dal Consiglio di Stato hanno trovato in questa autorevole ricostruzione più che una semplice conferma. Infatti, nell’atto – che tuttavia non vincola la Corte di Giustizia ‐ si richiama innanzitutto la già citata pronuncia della Corte di Giustizia del 2012, per riaffermare che anche un compenso sotto forma di mera copertura dei costi soddisfa, comunque, “il criterio di titolo oneroso”, ai fini dell’applicazione della direttiva appalti. Di talché, da un lato si ritiene “irrilevante” la distinzione effettuata dal Consiglio di Stato tra l’ipotesi in cui “i costi da rimborsare da parte delle pubbliche amministrazioni ricomprendano solo ciò a cui le parti si riferiscono come «costi diretti”, e quella in cui “si estendano anche ai «costi indiretti”. Dall’altro, si chiarisce che – in parte diversamente da quanto prospettato nell’ordinanza di rinvio ‐ le norme ed i principi del Trattato che potenzialmente si pongono in contrasto con una normativa regionale come quella esaminata sono “da un lato, gli articoli 49 e 56 TFUE e, dall’altro, le disposizioni della direttiva 2004/18”. Avendo ricondotto nel novero degli appalti anche gli affidamenti di servizi per i quali è prevista la corresponsione di un mero rimborso dei costi (anche solo di quelli direttamente derivanti dalla esecuzione dell’affidamento) e pur tenendo conto che l’assistenza sanitaria e medica sono incluse nell’allegato IIB della direttiva 2004/18, l’Avvocato Generale conclude che i servizi di trasporto sanitario possono essere aggiudicati in via prioritaria ad associazioni di volontariato, senza rispettare le norme dell’Unione sugli appalti pubblici “solo quando il valore dei suddetti servizi non

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eccede la soglia di cui alla direttiva 2004/18 e l’aggiudicazione non comporta alcun interesse transfrontaliero” 54. Agli affidamenti di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria che presentino un interesse transfrontaliero, resta comunque applicabile il diritto primario dell’Unione; sicché “le amministrazioni aggiudicatrici sono tenute a rispettare le libertà fondamentali sancite nel TFUE (e, segnatamente, gli articoli 49 e 56 TFUE) nonché il principio di non discriminazione in base alla nazionalità”. D’altro canto ‐ secondo quanto prospettato nelle conclusioni – non può escludersi che imprese con sede in un altro Stato membro siano in grado di garantire un’adeguata fornitura di servizi di trasporto sanitario, né che l’assenza di una qualunque forma di gara d’appalto pubblico o di pubblicità, possa operare a danno delle finanze pubbliche. 6. Considerazioni conclusive: spunti per un possibile contemperamento degli interessi, nell’ordinanza n. 161/14 del Tar Piemonte di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia Gli ultimi approdi della giurisprudenza nazionale e comunitaria rendono non rinviabile un intervento del legislatore italiano che è chiamato a realizzare il definitivo contemperamento tra i principi che regolano gli affidamenti pubblici, la tutela della concorrenza e l’esigenza di tener conto dell’importanza del contributo fornito del volontariato, soprattutto nell’ambito socio‐sanitario. Occorre sempre avere presente, infatti, che l’incertezza del quadro regolatorio e l’assenza di un univoco indirizzo interpretativo possono determinare, in questo settore, la continua messa in discussione di provvedimenti di grande impatto sulla tutela della salute dei cittadini. Peraltro, anche la direttiva 2014/24 relativa agli appalti pubblici non pare consentire ulteriori rinvii; infatti, sebbene le nuove disposizioni estendano ulteriormente la discrezionalità degli Stati membri ‐ in quanto la soglia di rilevanza per i servizi di assistenza sanitaria è stata aumentata ad € 750.000 – sono previste alcune norme specifiche per i servizi forniti da associazioni senza scopo di lucro, dalle quali si

Sembra interessante rilevare che nelle proprie conclusioni, l’Avvocato Generale ritiene che quelli assegnati in conformità della normativa regionale sul trasporto sanitario in emergenza, possano essere affidamenti di interesse transfrontaliero, perché la Regione Liguria confina con la Francia.

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desume che gli affidamenti in questione continuano ad essere solo in parte esclusi dall’ambito di applicazione della disciplina sugli appalti.55 Un apprezzabile tentativo di indicare al legislatore gli aggiustamenti necessari per risolvere la questione, si trova nell’ordinanza del Tar Piemonte n. 161/14 del 28 gennaio 2014, di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia56. Nel richiamato provvedimento il giudice amministrativo prospetta ancora la tesi per cui, quando il meccanismo del convenzionamento risponda – come riscontrato nel caso esaminato ‐ al rigoroso rispetto del rimborso spese, “l’associazione stia operando al di fuori dell’ambito commerciale”; ne discenderebbe, pertanto, la legittimità delle deroghe all’evidenza pubblica. Inoltre, quanto al profilo soggettivo, il giudice ha rilevato che se le associazioni di volontariato sono astrattamente ascrivibili nella categoria dell’operatore economico, proprio la struttura volontaristica le colloca su un piano di difficile comparabilità, con gli ordinari operatori del mercato; infatti, poiché la maggioranza degli addetti di una associazione di volontariato non è retribuita, essa beneficerà di costi della manodopera inferiori rispetto a quelli di operatori economici a vocazione commerciale. In ragione di questa considerazione, il Tar conclude evidenziando che residua “un margine di compatibilità con l’ordinamento comunitario di un convenzionamento con associazioni di volontariato (che ne rispettino rigorosamente i requisiti) nell’ambito del servizio sanitario nazionale, ed a fronte di un mero rimborso spese”; tuttavia, oltre all’onere Infatti, il considerando 28 testualmente recita “La presente direttiva non dovrebbe applicarsi a taluni servizi di emergenza se effettuati da organizzazioni e associazioni senza scopo di lucro, in quanto il carattere particolare di tali organizzazioni sarebbe difficile da preservare qualora i prestatori di servizi dovessero essere scelti secondo le procedure di cui alla presente direttiva. La loro esclusione, tuttavia, non dovrebbe essere estesa oltre lo stretto necessario. Si dovrebbe pertanto stabilire esplicitamente che i servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza non dovrebbero essere esclusi. In tale contesto è inoltre necessario chiarire che nel gruppo 601 «Servizi di trasporto terrestre» del CPV non rientrano i servizi di ambulanza, reperibili nella classe 8514. Occorre pertanto precisare che i servizi identificati con il codice CPV 85143000‐3, consistenti esclusivamente in servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza, dovrebbero essere soggetti al regime speciale previsto per i servizi sociali e altri servizi specifici («regime alleggerito»). Di conseguenza, anche gli appalti misti per la prestazione di servizi di ambulanza in generale dovrebbero essere soggetti al regime alleggerito se il valore dei servizi di trasporto dei pazienti in ambulanza fosse superiore al valore di altri servizi di ambulanza”. 56 La controversia ha ad oggetto il provvedimento, con il quale la ASL To 4 ha disposto l’affidamento diretto in convenzione del servizio di trasporto dializzati, a favore delle associazioni di volontariato; anche in questo caso, il quadro normativo di riferimento è completato dalla legge regionale, la n. 38/94 che all’art. 1 prevede: “La Regione Piemonte riconosce il valore sociale ed il ruolo dellʹattività di volontariato volta alla realizzazione di finalità di natura sociale, civile e culturale, salvaguardandone lʹautonomia e lʹapporto originale. Promuove le condizioni atte ad agevolare lo sviluppo delle organizzazioni di volontariato, quali espressioni di solidarietà e pluralismo, di partecipazione ed impegno civile.” Prevede poi l’art. 9: “La Regione, gli Enti locali e gli altri Enti pubblici possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato …. Nelle convenzioni si devono individuare la tipologia dellʹutenza, le prestazioni da erogare, le modalità di erogazione. 2. Le convenzioni, oltre a quanto disposto dallʹarticolo 7 della legge n. 266 del 1991, devono tra lʹaltro prevedere: …f) le modalità di rimborso degli oneri relativi alla copertura assicurativa e delle spese documentate sostenute dallʹorganizzazione per lo svolgimento dellʹattività convenzionata; g) le modalità di verifica dellʹattuazione della convenzione anche attraverso incontri periodici tra i responsabili dei servizi pubblici e i responsabili operativi dellʹorganizzazione; ..” 55

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di verificare la genuinità di detto rimborso, si dovrebbe aggiungere quello per l’amministrazione di svolgere un previo confronto competitivo tra le offerte di più associazioni di volontariato “onde evitare che, con lo schermo del rimborso spese, vengano comunque accollati all’amministrazione aggiudicatrice costi gestionali in verità inefficienti o non effettivamente tali”. Detta comparazione potrebbe riguardare solo concorrenti tra loro strutturalmente omogenei includendo ‐ ove si tratti di affidamento di interesse transfrontaliero ‐ anche gli operatori comunitari che presentino le stesse caratteristiche previste per le associazioni nazionali di volontariato dalla normativa nazionale. Infine, per impedire quegli effetti distorsivi della concorrenza sul mercato ‐ che potrebbero essere determinati dalla descritta disomogeneità organizzativa delle organizzazioni di volontariato, rispetto agli altri operatori economici – occorrerebbe definire più chiaramente il limite, entro il quale questi soggetti possono svolgere attività commerciali; infatti, come già rappresentato, attualmente, la normativa italiana prescrive genericamente che per questo tipo di enti le attività commerciali e produttive siano “marginali”. Secondo la ricostruzione seguita nell’ordinanza, i limiti entro i quali le associazioni di volontariato possono avere accesso al mercato, potrebbero essere definiti in ristrette percentuali della attività complessivamente svolta, analogicamente rispetto a quanto prescritto dall’art. 12 nuova direttiva appalti 2004/24 per i beneficiari di legittimi affidamenti diretti (affidamenti c.d. “in house” o accordi tra pubbliche amministrazioni) 57. Le soluzioni proposte dal Tar Piemonte, in qualche modo, trovano fondamento nelle stesse (condivisibili) considerazioni per le quali la giurisprudenza e l’Autorità per la vigilanza sui contratti avevano ritenuto, in un primo momento, di escludere per le associazioni di volontariato la legittimazione alla partecipazione alle gare d’appalto; Ai sensi del par. 1 dell’art. 24 citato affinché un appalto pubblico aggiudicato da unʹamministrazione aggiudicatrice a una persona giuridica di diritto pubblico o di diritto privato non rientri nellʹambito di applicazione della direttiva è necessario anche che “b) oltre lʹ80 % delle attività della persona giuridica controllata sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dallʹamministrazione aggiudicatrice controllante o da altre persone giuridiche controllate dallʹamministrazione aggiudicatrice di cui trattasi”. Secondo il par. 4, poi, un contratto concluso tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nellʹambito di applicazione della presente direttiva, quando “c) le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20% delle attività interessate dalla cooperazione”. Il par. 5 precisa anche che “Per determinare la percentuale delle attività di cui al paragrafo 1, primo comma, lettera b), al paragrafo 3, primo comma, lettera b), e al paragrafo 4, lettera c), si prende in considerazione il fatturato totale medio, o una idonea misura alternativa basata sullʹattività, quali i costi sostenuti dalla persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione nei campi dei servizi, delle forniture e dei lavori per i tre anni precedenti lʹaggiudicazione dellʹappalto. Se, a causa della data di costituzione o di inizio dellʹattività della persona giuridica o amministrazione aggiudicatrice in questione, ovvero a causa della riorganizzazione delle sue attività, il fatturato, o la misura alternativa basata sullʹattività, quali i costi, non è disponibile per i tre anni precedenti o non è più pertinente, è sufficiente dimostrare, segnatamente in base a proiezioni dellʹattività, che la misura dellʹattività è credibile”. 57

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si tratta, infatti, di salvaguardare il libero gioco della concorrenza, ma anche di valorizzare il ruolo del tutto peculiare che il legislatore ha riservato alle sole associazioni di volontariato, quali principali interlocutori/collaboratori delle amministrazioni nello svolgimento delle funzioni di carattere sanitario e sociale. In sintesi, il sistema descritto dal Tar ‐ oltre ad una più chiara limitazione dell’accesso al libero mercato da parte delle associazioni di volontariato ‐ prevede l’obbligatorietà di un previo confronto competitivo riservato alle associazioni di volontariato, ma comunque aperto ai soggetti omologhi di altri stati membri, sia se si tratti di affidamenti di importo superiore alle soglie di rilevanza comunitaria che quando, pur non eccedendo tale soglia, l’aggiudicazione del servizio comporti un interesse transfrontaliero. Ove intesa in questi termini, l’ordinanza del Tar Piemonte, sebbene precedente al deposito delle conclusioni dell’Avvocato Generale Nils Wahl, sembra conforme anche alle stringenti indicazioni fornite in quest’ultimo atto, nel quale – come già ricordato ‐ si afferma che i servizi (di trasporto sanitario) possono essere aggiudicati senza rispettare le norme dell’Unione sugli appalti pubblici “solo quando il valore dei suddetti servizi non eccede la soglia di cui alla direttiva 2004/18 e l’aggiudicazione non comporta alcun interesse transfrontaliero”. Infine, si rileva che la possibilità di mantenere in questo ambito un sistema di affidamenti in qualche modo differenziato discende dall’attuale inclusione dei servizi sanitari e sociali nell’allegato IIB della direttiva 2004/18/CE, che trova continuità nel regime speciale c.d. “alleggerito”, previsto per i servizi sociali e gli altri servizi specifici dagli artt. 74 e ss. della nuova direttiva 24/2014. Tutto sommato, quindi, non pare eccessivo affermare che, anche nell’attesa di un più chiaro contributo interpretativo della Corte di Giustizia, le linee direttrici di una possibile riforma devono già ritenersi tracciate.

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La garanzia globale di esecuzione: aspetti problematici di Luciana Ciaccia Sommario: 1.Premessa; 2. Ambito di applicazione; 3. Disciplina: 3.1. Modalità di prestazione, 3.2. Durata e limiti, 3.3. Rapporti tra le parti e requisiti del garante; 4. Obbligo di subentro e requisiti del subentrante; 5. Contratto autonomo di garanzia e performance bond; 6.Conclusioni.

1. Premessa La garanzia globale di esecuzione è stata introdotta nel nostro ordinamento dal’art. 9 co. 57, L.18 novembre 1998 n. 415, poi modificato dall’art. 7 co.1 L. 1 agosto 2001 n. 166. La norma demandava l’istituzione del “ sistema di garanzia globale di esecuzione” ad emanande norme regolamentari che nel periodo in cui era vigente la legge quadro sui lavori pubblici non furono mai emanate. L’istituto è stato nuovamente previsto dall’art. 129, comma 3, Codice degli appalti e il relativo regolamento di attuazione disciplina il sistema di garanzia globale per tutti gli appalti di lavori aventi un importo a base d’asta superiore a cento milioni di euro, sempre che sia stata prevista in bando; per gli appalti di progettazione e lavori aventi un importo a base d’asta superiore a settantacinque milioni di euro, nonché per gli affidamenti a contraente generale, quale che ne sia l’ammontare. A norma dell’art. 357 co. 5 del Regolamento, era previsto che l’istituto si applicasse ai bandi o avvisi di gara pubblicati a partire dall’8 giugno 2012. Il termine è stato poi prorogato di un anno dal d.l 73/2012 conv. in L. n. 119/2012 e infine, dall’art. 21 del d.l 66/2014, in fase di conversione, al 30 giugno 2014. Il sistema dovrebbe quindi finalmente entrare in vigore a breve. La ratio della disciplina è quella di fornire gli appalti di una garanzia di maggior rilievo rispetto alla garanzia definitiva di cui all’art. 113 del Codice. Infatti, nei casi contemplati, il soggetto garante si obbliga nei confronti del committente, non solo alla corresponsione di un importo di denaro, ma anche, su richiesta della stazione appaltante o del soggetto aggiudicatore, all’obbligazione di fare, dedotta in contratto,

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tramite un soggetto sostitutivo che subentra nell’esecuzione. Si tratta quindi di una garanzia di buon adempimento cui si aggiunge la garanzia di subentro di cui all’art. 131 del Regolamento. 2. Ambito di applicazione Il Codice dei contratti prevede l’applicazione della garanzia globale nei settori ordinari:i) in via facoltativa, per gli appalti di lavori pubblici di importo superiore ai 100 milioni di euro; ii) in via obbligatoria, per i contratti di appalto aventi a oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione di lavori pubblici di importo superiore ai 75 milioni di euro. Per le concessioni, di qualunque importo invece, tale forma di garanzia non è prevista. Tale discrasia, operata dal legislatore, non è stata spiegata in modo razionale e ancora lascia perplessi i commentatori, giacché vi sono ipotesi di concessioni di importo notevolmente elevato che appare inopportuno sottrarre a quest’opportunità di tutela.58 Il Codice, nella sua ratio unificatrice ha esteso l’ambito di operatività della disciplina delle garanzie di cui agli artt. 75 e 113 , oltre che ai lavori, anche ai settori dei servizi e forniture. Tuttavia, ha lasciato che la disciplina di garanzia rafforzata di cui all’art. 129 sia applicabile ai soli lavori pubblici. Le stazioni appaltanti tenute all’applicazione della disciplina in commento sono i soggetti di cui all’art. 32 co.1 lett. a) b) e c), quindi le amministrazioni aggiudicatrici, i concessionari di lavori pubblici, nonché le società con capitale pubblico, anche non maggioritario che non sono organismi di diritto pubblico e che hanno ad oggetto della loro attività la realizzazione di lavori o opere, ovvero la produzione di beni o servizi, non destinati ad essere collocati sul mercato in regime di libera concorrenza, ivi comprese le società di cui agli artt. 113, 113 bis, 115 e 116, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Si tratta quindi di un ambito soggettivo più esteso rispetto a quello dei soggetti normalmente interessati dalla disciplina sui contratti pubblici. La disciplina è prevista per i contratti nei settori ordinari ma gli artt. 206 co.3 del Codice e l’art. 339 co.2 del Regolamento consentono ai soggetti operanti nei settori speciali di dare spontanea applicazione alle disposizioni che ad essi non si applicano direttamente, prevedendolo nell’avviso o nell’invito a partecipare alla procedura selettiva. Quindi, nell’ambito dei limiti di importo sopra specificati, i committenti operanti nei settori speciali possono effettuare il richiamo a norme relative alla disciplina della garanzia globale di esecuzione, naturalmente nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza. 58

.Vd. Parere del Cons. di Stato n. 3262/2007

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3. Disciplina La disciplina è contenuta negli artt. 129‐136 del Regolamento di attuazione ed esecuzione al Codice dei contratti. 3.1. Modalità di prestazione Sono fissati trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva per presentare la garanzia globale redatta in conformità con lo schema di cui all’all. H. Laddove il termine non venga rispettato, è previsto un meccanismo automatico e vincolante che impone alla stazione appaltante o al soggetto aggiudicatore di dichiarare la decadenza, l’incameramento della cauzione provvisoria e l’aggiudicazione al concorrente che segue in graduatoria. E tanto lascia dedurre alla dottrina maggioritaria che si tratti di termine perentorio.59 A vantaggio dei concorrenti, è prevista la possibilità di indicare il nominativo di almeno due sostituti, ossia imprese selezionate dal garante che abbiano i requisiti richiesti nel bando o nell’avviso di gara per potersi sostituire all’esecutore nel contratto in corso. Per quanto non espressamente previsto, il Regolamento rinvia all’all. H, le cui disposizioni integrative assumono valore normativo vincolante. Vengono quindi richiamate le modalità di prestazione della cauzione di cui all’art. 113, non invece le modalità di estinzione, quindi parte della dottrina nega che sia applicabile anche a tale fattispecie lo svincolo progressivo in funzione dell’avanzamento delle prestazioni. 3.2. Durata e limiti Il garante che sottoscrive la garanzia globale si obbliga, sino alla data di emissione del certificato di collaudo, alla garanzia di cui all’art. 113 del Codice e quindi a pagare alla stazione appaltante o all’aggiudicatore l’importo dovuto a titolo di garanzia definitiva in caso di inadempimento, entro un termine dalla ricezione della richiesta scritta. E’ stata rilevata la discrasia tra il termine previsto dall’all. H (trenta giorni) e il termine(quindici giorni) previsto dall’art. 132 del Regolamento. Inoltre, il garante assume l’impegno di far subentrare un sostituto al contraente in caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa o concordato preventivo che impediscano la prosecuzione dell’esecuzione, fino all’emissione del certificato di ultimazione dei lavori. 59

2 In tal senso vd. A.CIANFLONE E G.GIOVANNINI

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L’allegato H elenca le fattispecie in cui, alla richiesta scritta della stazione appaltante o soggetto aggiudicatore, il garante debba corrispondere l’importo nei limiti del massimale previsto in garanzia: a)inesatto adempimento; b) intervenuto pagamento al contraente di somme eccedenti quanto dovuto, a norma del contratto, secondo contabilità aggiornata; c) inadempimenti di norme o prescrizioni di contratti collettivi, leggi e regolamenti sulla tutela, protezione, assicurazione, assistenza e sicurezza fisica dei lavoratori in cantiere. La garanzia è prestata per un importo pari al 10% dell’importo contrattuale, calcolato considerando oltre all’importo dei lavori, tutte le prestazioni richieste e remunerate al contraente (art. 135 co.2), aumentata in funzione del ribasso e diminuita del 50% in caso di certificazione di qualità60, in analogia con la disciplina della cauzione definitiva ex art. 113 del Codice. Ove sia attivata la garanzia di subentro, cioè in situazioni di patologia del rapporto tali da determinarne l’estinzione, il legislatore precisa che la garanzia di cui all’art. 113 si intende comunque prestata per un importo pari al 10% non riducibile fino al collaudo. 3.3. Rapporti tra le parti e requisiti del garante Nel caso di subentro nel contratto, l’art. 134 disciplina i rapporti tra le parti. Poiché il subentro non rappresenta novazione soggettiva né si configura come successione nel contratto, l’obbligazione del garante è del tutto autonoma ed estranea ai rapporti tra contraente e stazione appaltante o soggetto aggiudicatore. Infatti si verifica la rinuncia alle eccezioni che il contraente esecutore potrebbe far valere nei confronti del committente. L’art. 134 disciplina inoltre i requisiti che il garante deve possedere per svolgere il suo ruolo, non soltanto provvedendo alla corresponsione di una somma in caso di inadempimento del contraente ma anche assolvendo all’obbligo di selezionare il subentrante che si occupi dell’esecuzione o del completamento dell’esecuzione del contratto in sostituzione dell’affidatario originario. E’ evidente che l’obbligo appare gravoso, anche in relazione ai possibili cambiamenti delle condizioni economiche del contratto, a seconda del momento in cui il subentro si realizza.

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vd. M. ZOPPOLATO, La garanzia e il sistema di garanzia globale di esecuzione p. 4684

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Ai sensi del co.4, il garante deve innanzi tutto possedere i requisiti per il rilascio delle garanzie previsti dalla L. 10 giugno 1982 n. 34861. Inoltre deve aver già rilasciato garanzie per un importo pari a 1,5 volte l’importo dei lavori, per appalti di lavori pubblici in corso di validità al 31 dicembre dell’anno precedente. Tra i soggetti ammessi a rilasciare la garanzia globale di esecuzione, oltre banche e assicurazioni, figurano anche gli intermediari finanziari di cui all’elenco speciale di cui all’art. 107 d.lgs.1 settembre 1993 n. 385 autorizzati dal Ministero dell’ economia e delle finanze (co. 6). E in questo modo la norma sancisce in modo espresso l’ammissibilità del rilascio di tali forme di garanzia da parte di una categoria di soggetti verso cui buona parte del mercato e delle amministrazioni nutre marcate diffidenze. La garanzia può essere prestata anche da più banche o assicurazioni o dall’impresa capogruppo dell’aggiudicatario, ma congiuntamente con altro garante in possesso dei requisiti sopra indicati che presti la garanzia definitiva ex art. 113. La eventuale capogruppo deve possedere un patrimonio netto non inferiore all’importo dei lavori e comunque superiore ad euro 500.000.000,00 (co.5). Non è chiara la ratio della norma che se, di primo acchitto potrebbe sembrare quella di scindere i ruoli per cui la capogruppo si assumerebbe il subentro lasciando ad altro garante, banca o altro soggetto, la garanzia cauzionale di cui all’art. 113, si contraddice nel secondo periodo in cui richiede un requisito patrimoniale alla capogruppo, nel caso in cui il contraente “scelga” di utilizzarla come garante del subentro, ponendo così l’alternativa, in un primo tempo non prevista. 4.Obbligo di subentro e requisiti del subentrante Ciò che connota la garanzia globale di esecuzione e ne costituisce la principale peculiarità è quindi l’obbligo di subentro. L’istituto mira all’obiettivo di assicurare alla stazione appaltante o al soggetto aggiudicatore, non soltanto il recupero degli oneri per il mancato o inesatto adempimento ma addirittura di garantire la realizzazione a regola d’arte e la consegna dell’opera commissionata, evitando, per ipotesi di elevato valore economico, i rischi di incompiute. ”Tale previsione 61

L. 10 giugno 1982, n. 348 (Costituzione di cauzioni con polizze fidejussorie a garanzia di obbligazioni verso lo Stato ed altri

enti pubblici) Art. 1:” In tutti i casi in cui eʹ prevista la costituzione di una cauzione a favore dello Stato o altro ente pubblico, questa può essere costituita in uno dei seguenti modi: a) da reale e valida cauzione, ai sensi dellʹarticolo 54 del regolamento per lʹamministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, approvato con regio decreto 23 maggio 1924, n. 827, e successive modificazioni; b) da fidejussione bancaria rilasciata da aziende di credito di cui allʹarticolo 5 del regio decreto‐legge 12 marzo 1936, n. 375, e successive modifiche ed integrazioni; ((c) da polizza assicurativa rilasciata da imprese di assicurazione debitamente autorizzata allʹesercizio del ramo cauzioni ed operante nel territorio della Repubblica in regime di libertà di stabilimento o di libertà di prestazione di servizi)).

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normativa appare finalizzata ad integrare le tradizionali garanzie dellʹappalto, caratterizzate da una natura risarcitoria patrimoniale, (…) per assicurare la consegna dellʹopera in modo che il fideiussore divenga soggetto attivo direttamente responsabile dellʹ esito dei lavori pubblici” (vd. atto di segnalazione Avcp del 28 febbraio 2002 e bollettino n.4/2003). Il subentrante è quindi colui che, ai sensi dell’art.130 viene indicato nel modulo redatto secondo quanto previsto dall’All. H e deve possedere i requisiti di qualificazione richiesti dalla normativa e dal bando o dall’avviso di gara per la realizzazione dei lavori. Il possesso di tali requisiti deve essere verificato dalla stazione appaltante prima della stipula del contratto. Non è chiaro invece se la stazione appaltante sia tenuta a verificare anche la disponibilità dei soggetti indicati a subentrare effettivamente né sono previste dichiarazioni che i sostituti indicati siano tenute a rilasciare per documentare l’obbligo assunto. La norma inoltre non indica le conseguenze di un eventuale rifiuto dei soggetti nominati a subentrare. Parte della dottrina è indotta quindi a ritenere che il subentro si risolva più che in un impegno, in una scelta rimessa alla discrezionalità dei soggetti selezionati dal garante e che, in caso di rifiuto, la soluzione più idonea ad assicurare la funzionalità del sistema sia quella di ritenere possibile il ricorso ad altri soggetti, diversi da quelli indicati.62 Ai sensi dell’ottavo comma dell’art. 134, il garante può convenire con l’originario aggiudicatario che l’esecuzione dei lavori sia verificata, per suo conto, da un controllore tecnico, da scegliersi tra gli organismi accreditati ai sensi della norma europea UNI CEI EN ISO/IEC 17020 da enti partecipanti all’European cooperation for accreditation (EA) o comunque di gradimento di entrambe le parti in possesso di certificazione del sistema di qualità che ragguaglierà periodicamente il garante sullo stato di esecuzione dei lavori. L’attivazione del controllore tecnico deve essere comunicata alla stazione appaltante che pone a disposizione dello stesso tutti i documenti che le sono stati trasmessi. 5. Contratto autonomo di garanzia e performance bond La garanzia globale di esecuzione rappresenta quindi un impregno “a prima richiesta” , privo del beneficio di preventiva escussione del contraente e “senza eccezioni”. Il garante ha diritto di rivalersi sul contraente per tutte le spese sostenute. Il contraente a sua volta ha diritto di rivalersi sulla stazione appaltante o sul soggetto aggiudicatore in caso di disattivazione della garanzia per fatto imputabile agli stessi. La disattivazione della garanzia può verificarsi a seguito di accertamento giudiziale 62

Vd. P. CARBONE, Garanzie e Appalti pubblici, p. 849 in Rivista trimestrale appalti

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della inesistenza dell’evento dichiarato o di rinuncia della stazione appaltante o soggetto aggiudicatore alla attivazione. La garanzia si atteggia quindi come una garanzia autonoma ed astratta, la cui natura è differente da quella della fideiussione perché priva del tratto di accessorietà che quest’ultima caratterizza. Illuminante in merito è la sent. della Suprema Corte di Cassazione S.U. del 18 febbraio 2010 n. 3947 che, nell’obiettivo di risolvere il contrasto giurisprudenziale sulla natura delle polizze assicurative fideiussorie, in particolare nella materia degli appalti pubblici, analizza i differenti orientamenti per giungere a rilevare la diversità di struttura e di effetti che sono riflesso della causa del contratto. In essa si procede quindi a un distinguo tra fideiussione e cd. Garantievertrag, ossia “contratto autonomo di garanzia” introdotto in Inghilterra e in Germania alla fine dell’800 per soddisfare esigenze di semplificazione del commercio internazionale e costituente l’istituto precursore degli attuali performance bond (nel caso di garanzie di buona esecuzione del contratto); bid bond ( a garanzia del mantenimento di un offerta); repayment bond ( a garanzia del mancato rimborso degli anticipi ricevuti in caso di mancata esecuzione dei lavori); retention money bond; ecc. utilizzati soprattutto negli Stati Uniti e frequentemente nei contratti internazionali. Per il contratto autonomo di garanzia la ratio “risulta essere quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale, sia essa dipesa da inadempimento colpevole oppure no: infatti, la prestazione dovuta dal garante è qualitativamente diversa da quella dovuta dal debitore principale, essendo non quella di assicurare lʹadempimento della prestazione dedotta in contratto ma semplicemente quella di assicurare la soddisfazione dellʹinteresse economico del beneficiario compromesso dallʹinadempimento (Cass. n. 2377/2008 cit., proprio con riguardo alle polizze fideiussorie); per la sua indipendenza dallʹobbligazione principale, esso si distingue, pertanto, dalla fideiussione, giacché mentre il fideiussore è debitore allo stesso modo del debitore principale e si obbliga direttamente ad adempiere, il garante si obbliga (non tanto a garantire lʹadempimento, quanto piuttosto) a tenere indenne il beneficiario dal nocumento per la mancata prestazione del debitore, spesso con una prestazione solo equivalente e non necessariamente corrispondente a quella dovuta (Cass. n. 27333/2005; n. 4661/2007): ne consegue, in definitiva, la sua fuoriuscita dal modello fideiussorio, essendo il rapporto affidato per intero allʹautonomia privata nei limiti fissati dallʹart. 1322 c.c., comma 2 ed essendo la causa del contratto quella di coprire il rischio del beneficiario mediante il trasferimento dello stesso sul garante”.

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La giurisprudenza non è unanime nell’individuazione delle fattispecie di contratto autonomo di garanzia. Un primo indirizzo ritiene che sia indispensabile la clausola espressa di pagamento “a prima o a semplice richiesta” e quindi attribuisce importanza al dato formale del nomen iuris dato all’accordo tra le parti, un altro indirizzo propende per considerare gli aspetti funzionali del contratto, e quindi attraverso un’operazione ermeneutica di tipo sostanziale, ritiene sia necessaria un’indagine sull’intenzione dei contraenti anche in assenza di clausola espressa. Le Sezioni Unite risolvono il contrasto affermando che la clausola ʺa prima richiesta e senza eccezioniʺdovrebbe di per sé orientare lʹinterprete verso lʹapprodo alla fattispecie del contratto autonomo di garanzia, salva evidente, patente, irredimibile discrasia con lʹintero contenuto ʺaltroʺ della convenzione negoziale”. Alla vigilia dell’entrata in vigore del sistema di garanzia globale di esecuzione, le compagnie assicurative e in generale i soggetti garanti in Italia sono piuttosto restii ad accettare l’idea di abbandonare il modo di procedere ordinario che prevede un accertamento dell’an e del quantum del danno prima di procedere alla corresponsione del pagamento e quindi non gradiscono la clausola “on first demand” e tanto meno sono favorevoli ad assumere impegni senza la possibilità di far valere le eccezioni previste dal contratto. Nel modello anglosassone dei performance bond, però, l’aggiudicatario sottoscrive un contratto che impegna una controparte, il surer, a completare i lavori in caso di suo inadempimento nei tempi e costi promessi in sede di sottoscrizione del contratto, a tal fine si assume l’impegno di versare (bond)63 di valore pari all’intero contratto. Ciò comporta che la società garante (Surety) abbia un ruolo focale e che sia in grado di provvedere a un’analisi preventiva, costruendo con l’impresa un rapporto di tipo confidenziale simile a quello di una banca presso cui si apra una linea di credito, valutarne i punti di forza e le eventuali debolezze operare una valutazione approfondita delle condizioni economiche e delle capacità tecniche. Per operare in questo modo le Sureties devono essere accreditate in qualche modo autorizzate e regolamentate dalla legge.64 “E’ evidente lo sforzo che il legislatore richiede al mercato assicurativo per ottemperare alle obbligazioni richiamate in questo schema Cfr. F. DECAROLIS, C. GIORGIANTONIO e V. GIOVANNIELLO, L’affidamento dei lavori pubblici in Italia: un’analisi dei meccanismi di selezione del contratto privato, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, Occasional Paper n. 83, dicembre 2010. MAGGIORE C. (1987), I bonds nel settore degli appalti: riflessioni e insegnamenti ricavabili dall’esperienza statunitense, in Diritto comunitario e degli scambi internazionali. 64 Cfr. C. MAGGIORE – I bonds nel settore degli appalti: riflessioni e insegnamenti ricavabili dall’esperienza statunitense. In Diritto comunitario e degli scambi internazionali n. 4 Ottobre‐ Dicembre 1989. 63

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di polizza. Sforzo sia sottoscrittivo che economico patrimoniale”. Il garante dovrà infatti intervenire profondamente nella selezione degli operatori economici.65 In teoria, dovrebbe risultare difficile per un affidatario trovare un soggetto disposto a garantirlo se il prezzo di aggiudicazione non è considerato remunerativo dal mercato. L’amministrazione, dal canto suo, ottiene il vantaggio che il rischio viene completamente a gravare sul garante e non si incorre nell’eventualità che, in caso di realizzazione dell’opera troppo onerosa, l’impresa preferisca sostenere il costo dell’inadempimento abbandonando il lavoro piuttosto che portarlo a termine. Una certa letteratura economica ha mostrato la superiorità del sistema di garanzia dei performance bonds, adottato negli Stati Uniti e nei contratti internazionali. I vantaggi collaterali di tale sistema sembrano essere numerosi. Infatti, ottenere una selezione a monte, da parte del surer, delle imprese qualificate ad aggiudicarsi lavori ridurrebbe il contenzioso, le cui principali cause sono rappresentate dal tentativo degli appaltatori di recuperare le possibili perdite derivanti da offerte con ribassi eccessivi e costituirebbe un deterrente per il fenomeno delle offerte anomale. Un eventuale aspetto problematico, soprattutto nella realtà italiana, è stato invece individuato nella difficoltà che avrebbero le imprese di medio piccole dimensioni ad accedere ai bonds, problematica che si pone in contrasto con il principio di più ampia partecipazione e di tutela delle PMI sostenuto anche al livello comunitario. Tuttavia, ipotizzare un’estensione della garanzia di esecuzione anche ai lavori di minore importo rispetto a quanto previsto attualmente dall’ordinamento potrebbe avere l’effetto di ripartire il rischio, frammentandolo in un ambito più diffuso, e così attutire l’aggravio sulle imprese assicurative, piuttosto che rinforzarlo. Il rischio infatti verrebbe spalmato su un maggior numero di contratti, riducendo l’esposizione per il surer e tanto potrebbe contribuire a dissolvere le perplessità nutrite dalle imprese di assicurazione a tutt’oggi. 6.Conclusioni L’attuale disciplina del sistema di garanzia globale di esecuzione lascia molti margini a perplessità interpretative. Probabilmente la ragione è da ricercarsi nella necessità di conformare all’ordinamento interno un istituto sorto in contesti socio culturali diversi dal nostro, come quello anglosassone. Ciò ha creato difficoltà soprattutto per i 65

ATRADIUS “Un regolamento per ogni decennio?” Roma, 27 gennaio 2011

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molti aspetti che divergono dai tradizionali parametri in materia negoziale nel nostro Paese oramai radicati, quindi l’operazione è avvenuta sin ora in modo inevitabilmente impervio e non certo privo di contraddizioni. Per questo l’Autorità sta preparando un atto derivante dalle risultanze di un tavolo tecnico e di una successiva consultazione ancora in corso66, che, attraverso le proprie competenze in materia di regolazione, possa essere d’ausilio al nostro legislatore per configurare, nell’ambito del sistema di garanzie contrattuali per gli appalti pubblici, un quadro normativo più efficace e funzionale alle esigenze del mercato.

66

http://www.avcp.it/portal/public/classic/AttivitaAutorita/ConsultazioniOnLine/_consultazioni?id=1ce802f80a7780a500ec0cfc611 72721

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NOTE A SENTENZA

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Osservatorio sulla giurisprudenza in tema di contratti pubblici Diretto da Maria Alessandra Sandulli Coordinato da Vincenzo Nunziata (hanno collaborato Luisa Arecchi, Flaminia Aperio Bella, Annalaura Leoni, Massimo Nunziata) Giurisprudenza europea

Corte di Giustizia dell’Unione Europea ‐ Sez. V, 8/5/2014 n. C‐15/13 (Sullʹinterpretazione dellʹart. 1, par. 2, lett. a), della dir. 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi. Lʹarticolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, deve essere interpretato nel senso che un contratto avente ad oggetto la fornitura di prodotti, concluso tra, da un lato, unʹuniversità che è unʹamministrazione aggiudicatrice ed è controllata nel settore delle sue acquisizioni di prodotti e servizi da uno Stato federale tedesco e, dallʹaltro, unʹimpresa di diritto privato detenuta dallo Stato federale e dagli Stati federali tedeschi, compreso detto Stato federale, costituisce un appalto pubblico ai sensi della medesima disposizione e, pertanto, deve essere assoggettato alle norme di aggiudicazione di appalti pubblici previste da detta direttiva.)

La Corte di Giustizia, nella sentenza in commento, è chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con l’ordinamento europeo ed in particolare con la direttiva 2004/18/CE, di un contratto stipulato, senza espletamento di apposita procedura di gara, tra un’università, amministrazione aggiudicatrice e soggetto controllato nel settore delle acquisizioni di prodotti e servizi da uno Stato Federale tedesco, e un’impresa di diritto privato detenuta dallo Stato Federale tedesco e da altri Stati Federali tedeschi, compreso quello che controlla

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l’università. In particolare, la Corte è chiamata a valutare se una siffatta fattispecie sia o meno riconducibile alla categoria dell’in house providing.

Più nel dettaglio, il giudice tedesco del rinvio ha formulato la seguente questione pregiudiziale:

1)

Se per “appalto pubblico” ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, lettera a), della direttiva

2004/18 (…), debba intendersi anche un contratto in cui l’amministrazione aggiudicatrice non esercita un controllo sul soggetto aggiudicatario analogo a quello esercitato su un proprio servizio, ma sia l’amministrazione aggiudicatrice sia il soggetto aggiudicatario sono sottoposti al controllo della medesima istituzione, la quale è a sua volta amministrazione aggiudicatrice ai sensi della direttiva 2004/18, e tanto l’amministrazione aggiudicatrice quanto il soggetto aggiudicatario realizzano la parte più importante della loro attività a favore della loro istituzione comune (operazione in house orizzontale).

In caso di risposta affermativa alla prima questione:

2)

Se il controllo debba estendersi all’intera attività del soggetto aggiudicatario

analogamente a quello esercitato su un proprio servizio oppure se sia limitato al settore degli [acquisti].”

Dunque la Corte è chiamata a determinare se e a quali condizioni le operazioni di “in house orizzontale” possano ritenersi legittime ed esulare dall’ambito di applicazione della direttiva 2004/18/CE ed essere pertanto oggetto di un affidamento diretto non preceduto da alcuna procedura di gara prevista invece dalla disciplina in materia di appalti pubblici.

Per in house orizzontale, come specificato anche nelle Conclusioni dell’Avvocato Generale Paolo Mengozzi del 23 gennaio 2014, si intende la conclusione di un contratto tra un’amministrazione aggiudicatrice ed un soggetto aggiudicatario che non sono legati tra loro da alcuna relazione di controllo, ma che sono entrambi sottoposti al controllo analogo della medesima istituzione, a sua volta amministrazione aggiudicatrice e che realizzano la parte più importante delle propria attività in favore dell’istituzione comune.

In tale ottica occorre dunque valutare se anche tali operazioni costituiscano un’eccezione al principio dell’espletamento della gara, alla stregua di quelle ipotesi, richiamate dal giudice

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del rinvio e dalla stessa sentenza in commento, in cui la Corte di Giustizia nella propria giurisprudenza ha ritenuto possibile e compatibile con l’ordinamento comunitario che un’amministrazione aggiudicatrice non avvii una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico purchè essa eserciti sul soggetto a cui è affidato direttamente il contratto un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che tale soggetto realizzi la parte più importante della propria attività con l’amministrazione o le amministrazioni aggiudicatrici che la controllano.

Più dettagliatamente, la causa riguarda un’università della Città di Amburgo che, secondo la Corte, costituisce un organismo di diritto pubblico ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 9 della direttiva 2004/18, ed è dunque amministrazione aggiudicatrice, che per acquisire un sistema di gestione informatica per l’insegnamento superiore, ha acquistato il sistema della società HIS, stipulando con essa un contratto di appalto mediante un affidamento diretto senza procedere ad alcuna gara, nonostante il contratto avesse un valore superiore alla soglia comunitaria.

La HIS, affidataria, è una società a responsabilità limitata il cui capitale è detenuto per un terzo dalla Repubblica federale di Germania e per due terzi dai sedici Lander Tedeschi, tra cui anche la Città di Amburgo, per una quota pari al 4,6% del capitale. Tale società è deputata ad assistere gli istituti pubblici di istruzione superiore e le amministrazioni competenti nell’adempimento, in modo razionale ed efficace, della propria funzione di istruzione superiore.

Secondo quanto rappresentato dalle parti contraenti, l’affidamento diretto si giustificherebbe in ragione del fatto che sebbene i due enti non siano in una relazione di controllo tra loro, la condizione del “controllo analogo” è soddisfatta in quanto entrambi gli enti si trovano sotto lo stesso controllo della Città di Amburgo.

Il giudice del rinvio, nel sottoporre le questioni alla Corte, precisa che finora la questione della legittimità degli affidamenti in house orizzontali e della loro eventuale riconducibilità alle condizioni enucleate dalla giurisprudenza della Corte fin dalla sentenza Teckal non è stata ancora affrontata nella giurisprudenza europea e ritiene che la ratio e la finalità dell’esenzione relativa alle attribuzioni in house, introdotta da detta sentenza, potrebbero consentire che operazioni di in house orizzontale possano rientrare nel contesto di tale esenzione, pur non trattandosi di un’ipotesi di cooperazione intercomunale ai sensi della stessa giurisprudenza della Corte, in quanto sia l’università sia l’affidataria non costituiscono

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autorità pubbliche e la HIS in particolare non è direttamente incaricata a svolgere una funzione di servizio pubblico.

Più specificamente, il giudica del rinvio ritiene che la condizione del controllo analogo sia, nel caso di specie, soddisfatta in quanto il contratto rientra nel settore della gestione degli stanziamenti attribuiti alle università, nel cui ambito le autorità competenti dispongono di un potere di controllo che si estenderebbe fino alla possibilità di annullare o modificare decisioni adottate in materia di acquisti – anche se al riguardo viene poi specificamente richiesto alla Corte se possa ritenersi sufficiente un controllo esercitato solo su un ambito di attività – sebbene il controllo esercitato dalla Città di Amburgo sia esiguo e la stessa non disponga di un rappresentante permanente nel Consiglio di sorveglianza della HIS.

Quanto poi al requisito della realizzazione della parte più importante dell’attività dell’affidatario lo stesso è soddisfatto dato che l’attività della HIS è dedicata prevalentemente agli istituti pubblici d’istruzione superiore e che le altre attività della società hanno carattere meramente accessorio.

La particolarità della sentenza in commento sta dunque nel fatto che la Corte ha l’occasione di pronunciarsi specificamente sugli affidamenti in house di tipo orizzontale, essendosi occupata principalmente degli in house verticali e delle ipotesi di cooperazione tra enti pubblici.

Già nelle conclusioni dell’Avvocato Generale si legge che, considerata l’indispensabilità dei due requisiti del controllo analogo e della realizzazione della parte più importante della propria attività nei confronti dell’amministrazione che controlla, l’esistenza di una relazione di controllo tra amministrazione aggiudicatrice e soggetto aggiudicatario non sussiste nel caso di in house orizzontali dal momento che in essi, per definizione, non c’è un controllo diretto tra i soggetti e conseguentemente che per tali affidamenti non può trovare applicazione l’eccezione prevista dalla giurisprudenza europea per l’in house, ma devono trovare applicazione le disposizioni normative di cui alle direttive comunitarie.

In altre parole, l’estensione dell’eccezione alla procedura di gara attualmente riconosciuta solo per gli affidamenti di tipo verticale anche agli affidamenti di tipo orizzontale presupporrebbe necessariamente un’estensione delle condizioni espressamente previste ed in particolare il riconoscimento della sussistenza di un controllo analogo anche nelle ipotesi in cui non vi sia un diretto controllo tra l’ente che aggiudica e il soggetto cui è affidato il contratto.

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Inoltre, l’eccezione “in house” si fonda sul presupposto che un’amministrazione è libera di adempiere ai propri compiti istituzionali di interesse pubblico mediante la costituzione di un ente apposito senza ricorrere a soggetti esterni sul mercato, e dunque di procedere attraverso l’insourcing piuttosto che mediante l’outsourcing. Ed è proprio su tale presupposto che si fonda il riconoscimento dell’eccezione al principio generale, in considerazione del fatto che i due soggetti, seppur formalmente distinti, non sono in realtà portatori di interessi differenti, proprio in ragione della sussistenza del controllo analogo e dell’esercizio prevalente dell’attività nei confronti dell’ente che controlla.

La Corte, nella affrontare le questioni pregiudiziali, evidenzia innanzitutto come l’obiettivo principale delle norme europee in materia di appalti pubblici sia quello dell’apertura del mercato ad una concorrenza non falsata che garantisca la libera circolazione dei servizi e l’apertura della concorrenza nella misura più ampia possibile in tutti gli stati membri, e ciò giustifica la previsione dell’obbligo per ciascuna amministrazione aggiudicatrici di rispettare i principi dettati in materia (primo tra tutti quello dell’espletamento della procedura di gara) e che pertanto qualunque deroga all’applicazione di tali obblighi deve essere interpretata restrittivamente. Con l’effetto dunque che qualunque estensione dell’ambito di applicazione di un eccezione all’applicabilità della normativa in materia di appalti deve essere valutata con la massima prudenza.

Il ragionamento logico giuridico della Corte, sulla base di tale presupposto, prosegue poi nel senso di precisare che l’eccezione agli obblighi normativi prevista per gli affidamenti in house dalla giurisprudenza europea si giustificano per il solo fatto che ad un’amministrazione aggiudicatrice è consentito scegliere di adempiere ai propri compiti di interesse pubblico mediante propri strumenti senza essere obbligata a ricorrere al mercato e che tale deroga vale anche nelle ipotesi in cui l’affidatario del contratto, pur essendo un soggetto formalmente distinto dall’amministrazione aggiudicatrice, sia tuttavia sottoposto ad un controllo da parte della stessa analogo a quello che esercita sui propri servizi ‐ consistente nell’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti dell’entità affidataria, caratterizzato dall’essere effettivo, strutturale e funzionale e tale da poter essere esercitato congiuntamente anche da più amministrazioni aggiudicatrici‐ e realizzi la parte più importante della propria attività con l’amministrazione o le amministrazioni che la controllano.

Sulla base di tali presupposti logici la Corte precisa che nel caso di specie non esiste alcuna relazione di controllo tra l’università e la HIS, in quanto essa non detiene alcuna partecipazione nell’affidataria né ha poteri di nomina di rappresentanti al suo interno e

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pertanto non sussistono le condizioni per ricondurre una tale fattispecie all’eccezione riconosciuta dall’ordinamento per gli affidamenti in house.

Inoltre, poiché il controllo esercitato dalla Città di Amburgo sull’università si estende solo ad una parte della sua attività, quella relativa agli acquisti, tale forma di controllo parziale non è riconducibile alla nozione di controllo analogo richiesta per la sussistenza dell’eccezione al principio della gara.

Ed ancora, non è nemmeno rinvenibile nel caso di specie un’ipotesi di cooperazione tra enti pubblici‐ come peraltro ipotizzato, sebbene con alcuni dubbi, anche dal giudice del rinvio – non ritenendo la Corte sussistenti le condizioni richieste per tale ipotesi (ovvero che sussista una cooperazione tra enti pubblici, finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune tra tali enti, che i contratti siano stipulati esclusivamente tra enti pubblici senza partecipazioni private, che nessun prestatore privato sia posto in posizione privilegiata rispetto ai concorrenti e che la cooperazione sia retta unicamente da esigenze connesse al perseguimento di obiettivi di interesse pubblico), dal momento che nel caso di specie la cooperazione istituita tra l’università e la società affidataria non è diretta all’espletamento di una funzione di servizio pubblico (cfr. CGUE Commissione /Germania C‐480/06 e Ordine degli ingegneri della Provincia di Lecce C‐159/11).

Conseguentemente, secondo la Corte un contratto stipulato tra un’università, amministrazione aggiudicatrice, controllata da uno Stato Federale tedesco, ma solo in uno specifico settore, quello delle acquisizioni, e una società di diritto privato, detenuta dallo stesso Stato Federale e da altri Stati Federali, costituisce un appalto pubblico ai sensi della direttiva 2004/18/CE e deve pertanto essere assoggettato alle norme di aggiudicazione degli appalti pubblici previste da tale direttiva.

Dunque, la Corte di Giustizia nella sentenza in commento non ha a priori escluso l’ammissibilità dell’in house orizzontale, ma ha ritenuto che le circostanze concrete della fattispecie contrattuale in questione non siano riconducibili a tale categoria. Al riguardo, peraltro lo stesso Avvocato Generale nelle sue conclusioni aveva precisato che “nel caso in cui un’operazione in house orizzontale si iscriva nel quadro dell’adempimento di compiti di interesse pubblico incombenti ad un’amministrazione aggiudicatrice la quale esegue tali compiti mediante due enti su cui esercita un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi, la ratio dell’«eccezione in house» quale sviluppata nella giurisprudenza possa, in linea di principio, trovare applicazione. In effetti, […] se l’amministrazione utilizza strumenti propri per adempiere ai suoi compiti di interesse pubblico, essa non deve essere obbligata a far ricorso ad enti esterni non

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appartenenti ai propri servizi. Ciò vale, a mio avviso, anche nel caso in cui tali strumenti propri siano costituiti da due enti controllati da tale amministrazione e per l’adempimento di tali compiti si renda necessaria la conclusione di un contratto tra detti enti. Anche in un caso di tal genere potrebbero quindi, a determinate condizioni, non sussistere i presupposti per l’applicazione delle norme dell’Unione in materia di appalti pubblici. Tuttavia, occorre ricordare che, […] il fondamento che giustifica l’applicazione dell’eccezione in house si trova nel fatto che la conclusione del contratto in causa non è il risultato dell’espressione di volontà autonome degli enti che ne costituiscono le parti, ma è l’espressione di una volontà unica. Orbene, al riguardo, è giocoforza constatare che in un affidamento interno orizzontale la relazione esistente tra l’amministrazione aggiudicatrice e il soggetto aggiudicatario è molto più tenue rispetto a quella esistente in un affidamento «in house» verticale. Essa, infatti, non è una relazione di controllo diretto, ma è solo un legame indiretto, la cui portata dipende dalle rispettive relazioni esistenti tra i due enti con la loro amministrazione controllante comune. La condizione che il contratto sia l’espressione di una volontà unica mi sembra poter essere soddisfatta solo nel caso in cui i due enti che lo concludono siano controllati in via esclusiva dalla stessa amministrazione. Solo in tal caso si può, infatti, a mio avviso, ritenere che la conclusione del contratto sia espressione di un unico atto di volontà di un’autorità pubblica, la quale intenda con tale atto adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti. In effetti, nel caso della conclusione di un contratto tra un ente su cui più amministrazioni esercitano un controllo congiunto e un altro ente controllato (in via esclusiva o congiuntamente con altre amministrazioni) da una delle amministrazioni che esercitano il controllo sul primo ente, reputo difficile poter considerare l’atto come espressione di una volontà univoca” (paragrafi 42‐44)

Se ne deduce quindi che l’eccezione all’applicazione delle norme europee agli affidamenti interni orizzontali possa essere legittimamente riconosciuta solo qualora l’ente che esercita il controllo analogo sui due soggetti (l’amministrazione aggiudicatrice e il soggetto affidatario) non solo sia lo stesso ma eserciti altresì un controllo analogo in via esclusiva su ali soggetti.

Dunque, l’approdo giurisprudenziale in commento conferma da un lato l’eccezionalità dell’istituto dell’in house alle sole ipotesi riconosciute dalla Corte, proprio nell’intento di garantire al massimo la concorrenza nel mercato, e dall’altro, precisa altresì le condizioni del controllo analogo in caso di affidamenti di tipo orizzontale, esercitato da una stessa amministrazione su due enti, che per legittimare una eccezione alle regole in materia degli appalti pubblici, deve essere esercitato in maniera esclusiva dallo stesso soggetto pubblico su entrambi i soggetti contraenti, amministrazione aggiudicatrice e soggetto affidatario. Solo in tal caso infatti, fermo restando il requisito ulteriore dell’esercizio dell’attività in via prevalente nei confronti del soggetto che esercita il controllo, il contratto può essere

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ricondotto nell’alveo dell’in house e dunque è ammissibile la sua non assoggettabilità alle norme europee in materia di appalti.

Corte di giustizia, Sez. V, 8 maggio 2014, causa C‐161/13 (sulla decorrenza decorrenza del termine per lʹimpugnazione degli atti della procedura ad evidenza pubblica)

Nella sentenza in epigrafe la Corte, adita in via pregiudiziale sull’interpretazione degli articoli 1, 2 bis, 2 quater e 2 septies della direttiva 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle norme comunitarie in materia di procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia e degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, enuncia degli interessanti principi interpretativi con riferimento a (i) le decisioni assunte nel corso della procedura di gara idonee ad incidere sulla legittimità dell’aggiudicazione e (ii) sul dies a quo dal quale inizia a decorrere il termine per contestare l’aggiudicazione stessa.

La controversia sottoposta al giudice remittente, riguardante una procedura aperta indetta dall’Acquedotto Pugliese SpA per l’affidamento di un servizio di manutenzione e implementazione delle reti fognarie, veniva introdotta dalla società terza classificata che, ben oltre il termine di trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva disposta in favore del R.T.I. controinteressato, contestava la decisione con cui la stazione appaltante aveva consentito una modificazione della compagine del raggruppamento risultato vincitore nonchè la mancata esclusione della società seconda classificata per difetto del requisito generale di moralità professionale di cui all’art. 38 d.lgs 163 del 2006.

Il TAR che, secondo le regole del diritto interno, avrebbe dovuto dichiarare il ricorso irricevibile in quanto proposto fuori termine, interrogandosi sulla compatibilità della normativa interna che impone la proposizione di un ricorso avverso l’aggiudicazione entro un termine decadenziale decorrente dalla sua comunicazione – salva la possibilità di dedurre motivi aggiunti fondati su atti e fatti sopravvenuti ovvero successivamente conosciuti –, con il diritto dell’Unione, e in particolare con il principio di effettività della tutela, formulava i seguenti quesiti interpretativi:“1) Se gli artt. 1, 2‐bis, 2‐quater e 2‐septies

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della direttiva [92/13] vadano interpretati nel senso che il termine per proporre un ricorso, diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, decorra dalla data in cui il ricorrente ha conosciuto, o avrebbe dovuto conoscere secondo l’ordinaria diligenza, l’esistenza della violazione stessa; 2) se gli artt. 1, 2‐bis, 2‐quater e 2‐septies della direttiva [92/13] ostano a disposizioni processuali nazionali ovvero a prassi interpretative, quali quelle enunciate nella causa principale, che consentono al giudice di dichiarare irricevibile un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, quando il ricorrente è venuto a conoscenza della violazione dopo la formale comunicazione degli estremi del provvedimento di aggiudicazione definitiva, per la condotta tenuta dall’Amministrazione aggiudicatrice”.

La Corte si sofferma in primo luogo sulla ricevibilità dei quesiti stessi e sulla sussistenza del particolare presupposto della rilevanza della questione sottoposta. Sul punto l’amministrazione aggiudicatrice e il R.T.I. primo classificato rilevavano che la censura oggetto del ricorso principale fosse diretta contro l’atto di autorizzazione alla modifica della composizione del raggruppamento aggiudicatario senza toccare l’aggiudicazione definitiva dell’appalto, di talchè l’eventuale annullamento dell’atto impugnato avrebbe comportato soltanto il venir meno del contratto stipulato con il raggruppamento aggiudicatario in composizione ristretta, senza pregiudicarne la qualità di aggiudicatario. L’eccezione viene respinta sulla base del principio di presunzione di rilevanza costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte, secondo cui “solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono sottoposte”. Nella specie la questione non risulta manifestamente irrilevante in quanto, nella ricostruzione della Corte, da un lato, l’accoglimento nell’ambito del giudizio principale della doglianza relativa alla composizione del R.T.I. aggiudicatario, consentirebbe l’annullamento del contratto medio tempore stipulato, mentre l’accoglimento della seconda censura, relativa alla mancata esclusione del secondo classificato, determinerebbe un significativo aumento delle probabilità per la ricorrente di vedersi attribuire l’appalto.

Nel merito, la Corte procede a verificare la compatibilità con il diritto dell’Unione della disposizione

di

diritto

interno

che

àncora

rigidamente

alla

comunicazione

dell’aggiudicazione la decorrenza del termine per contestarne la legittimità, con riferimento a due ordini di fattispecie (I) la situazione in cui l’amministrazione aggiudicatrice “abbia adottato, dopo la scadenza del termine di ricorso, una decisione che possa incidere sulla legittimità di tale decisione di aggiudicazione” e (II) la situazione in cui l’aggiudicazione sia inficiata da “circostanze precedenti la medesima decisione di aggiudicazione” ma conosciute in un momento successivo.

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In relazione alla fattispecie sub (I) la Corte muove dalla constatazione che decisioni successive all’aggiudicazione possano inficiarne la legittimità ove realizzino mutamenti sostanziali rispetto alla decisione stessa, alterando “elementi essenziali che [ne] hanno determinato l’adozione”.

Ciò posto la sentenza si avvale della nota giurisprudenza Uniplex per affermare che “ricorsi efficaci contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici possono essere garantiti soltanto se i termini imposti per proporre tali ricorsi comincino a decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni [v., in tal senso, sentenza Uniplex (UK), EU:C:2010:45, punto 32 e giurisprudenza ivi citata]” e che, per l’effetto, il termine per contestare l’aggiudicazione debba ricominciare a decorrere dal momento in cui il soggetto partecipante venga a conoscenza della nuova decisione afferente un elemento essenziale dell’aggiudicazione precedentemente intervenuta. Nemmeno il rimedio dei motivi aggiunti predisposto dal diritto italiano, prosegue la Corte, consente di aderire ad un’interpretazione diversa in quanto per poter operare presuppone (e impone) l’impugnazione immediata dell’aggiudicazione anche quando, come nel caso di specie, al momento della sua comunicazione la decisione ritenuta lesiva non sia ancora venuta in essere.

Con riferimento alla censura relativa alla falsa dichiarazione del rappresentante legale della società seconda classificata sul possesso di un requisito di partecipazione, ascrivibile sub (II), i giudici di Lussemburgo addivengono ad una diversa interpretazione sul presupposto che la riferita irregolarità si era necessariamente verificata prima della decisione di aggiudicazione dell’appalto. La riferita circostanza è analizzata alla luce del combinato disposto degli artt. 49 direttiva 2004/17 e 2 bis direttiva 92/13, (come modificato dalla direttiva 2007/66) che, nelle parole della Corte “hanno ampiamente contribuito a che un offerente al quale non è stato affidato un appalto sia informato del risultato della procedura di aggiudicazione di tale appalto e dei motivi che ne sono alla base”, consentendogli anche di chiedere “che gli siano fornite informazioni dettagliate”, contribuendo così a realizzare un apparato informativo sufficiente a consentire all’offerente che dia prova di un’ordinaria diligenza, di proporre ricorso entro il termine ordinariamente decorrente dalla comunicazione dell’aggiudicazione stessa. La Corte afferma, dunque che “in applicazione del principio della certezza del diritto, in caso di irregolarità asseritamente commesse prima della decisione di aggiudicazione dell’appalto, un offerente è legittimato a proporre un ricorso di annullamento contro la decisione di aggiudicazione soltanto entro il termine specifico previsto a tal fine dal diritto nazionale”.

Su tale ultimo profilo, merita precisare che nell’ambito della normativa sovra nazionale il sistema meno garantista di cui all’art. 49, co. 1e 2 della direttiva 2004/17 (che imponeva agli

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enti aggiudicatori esclusivamente di informare, quanto prima possibile, i soggetti partecipanti delle decisioni prese con riferimento alla procedura di gara senza imporre un “contenuto minimo” della motivazione che veniva resa “su richiesta della parte interessata”), è stato superato dall’art. 2‐quater della direttiva 2007/66 (di “modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE del Consiglio per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici”) a norma del quale “La comunicazione della decisione dell’amministrazione aggiudicatrice ad ogni offerente o candidato è accompagnata da una relazione sintetica dei motivi pertinenti”.

L’ordinamento italiano ha recepito la descritta disciplina all’art. 79 del d.lgs. 163/2006 che, a seguito della riforma operata dal d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53, contiene, ai commi 5 e ss., un sistema informativo più completo che impone, già all’atto della comunicazione della decisione, la trasmissione del provvedimento e della relativa motivazione contenente almeno gli elementi di cui al co. 2 lett. c) (le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato il contratto), salve le ragioni ostative alla diffusione di informazioni riservate e salva la possibilità di assolvere all’onere motivazionale tramite la trasmissione dei verbali di gara o il richiamo all’aggiudicazione definitiva già comunicata ove l’oggetto della informativa sia la data dell’avvenuta stipula del contratto (art. 79, co. 5‐bis). A tale apparato comunicativo viene affiancato, al comma 5‐quater, un meccanismo di accesso “automatico” e facilitato agli atti del procedimento, che deve essere garantito dall’ente aggiudicatore noi dieci giorni successivi la singola comunicazione.

La giurisprudenza interna, in linea con il principio enunciato dalla Corte con riferimento alla fattispecie relativa ai requisiti di partecipazione, è concorde sulla idoneità della comunicazione di cui all’art. 79 del d.lgs. 163/2006 a far decorrere il termine per la contestazione dell’aggiudicazione. E’ stato affermato che “la comunicazione dell’aggiudicazione prevista dall’art. 79, comma quinto, del d.lgs. n. 163 del 2006 rappresenta la condizione sufficiente per realizzare la piena conoscenza del provvedimento lesivo ed è idonea a far decorrere il termine decadenziale, a nulla rilevando che l’impresa concorrente ignori in tutto o in parte i documenti interni del procedimento, configurandosi a suo carico un onere di immediata impugnazione dell’esito della gara entro trenta giorni, salva la proposizione di motivi aggiunti in relazione ad eventuali vizi di legittimità divenuti conoscibili in un momento posteriore” (cfr., in questo senso, Cons. Stato, sez. III, 24 aprile 2012 n. 2407; Id., sez. V, 1 settembre 2011 n. 4895). Talune pronunce valorizzano talmente l’istituto del c.d. accesso obbligatorio di cui al comma 5‐quater dell’art. 79 citato, fino al punto di ancorare alla comunicazione prevista dallo stesso art. 79 la decorrenza del termine di impugnazione dell’aggiudicazione, addirittura a prescindere dalla completezza o meno della comunicazione stessa, per scongiurare il rischio che istanze di accesso dilatorie possano essere utilizzate strumentalmente per procrastinare sine die il termine di

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N o t e a sentenza

impungazione (TAR Sicilia, Catania, Sez. III, 7 novembre 2013, n. 2682, in Foro amm. TAR 2013, 11, 3575). In termini più garantisti Cons. Stato, Sez. III, 14 marzo 2012, n. 1428, in Foro amm. CdS 2012, 3, 569 in cui, sul presupposto che gli elementi di cui allʹarticolo 79, comma 2, lettera c), rappresentano, ai sensi dellʹart. 120 del c.p.a. i “requisiti minimi della motivazione del provvedimento di aggiudicazione”, si afferma che affinché lʹimpresa non aggiudicataria acquisisca piena conoscenza dellʹèsito sfavorevole della gara e, quindi, dellʹeffetto pregiudizievole connesso a tale provvedimento, è necessario che la comunicazione stessa sia completa.

In

tema,

M.

Agostino,

Atti

di

gara,

offerte,

garanzie

e

modalità

di

valutazione, in Manuale di diritto amministrativo. IV. I Contratti pubblici, a cura di F. Caringella, M. Giustiniani, Dike Giuridica Editrice, Roma, 2014, 897 e ss.; D. Senzani, Commento allʹart. 11, in Commentario breve alla legislazione sugli appalti pubblici e privati, a cura di A. Carullo, G. Iudica, Padova, Cedam, 2012, 290. In dottrina, sul tema generale delle comunicazioni si v. R. De Nictolis, Comunicazioni, verbali, informazioni, spese degli atti di gara, in Trattato sui contratti pubblici, a cura di M.A. Sandulli, Milano, Giuffrè, 2008; V. D. Sciancalepore, Commento allʹart. 79, in Codice degli appalti pubblici, a cura di R. Garofoli, G. Ferrari, Roma, Nel Diritto Editore, 2011; G. Fraccastoro,Commento allʹart. 79, in Codice dellʹAppalto Pubblico, a cura di S. Baccarini, G. Chinè, R. Proietti, Giuffrè, 2011.

Giurisprudenza amministrativa

Consiglio di Stato, Sez. III, 27 marzo 2014, n. 1486 (sul ricorso alle convenzioni CONSIP da parte degli enti del servizio sanitario nazionale e sulla compatibilità con il diritto comunitario della proroga delle medesime convenzioni, prevista dall’art. 1 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95).

La pronuncia merita segnalazione per aver ritenuto contrastante con il diritto comunitario l’art. 1 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in l. 7 agosto 2012, n. 135 – nella parte in cui, ai commi 15 e 16, ha previsto proroghe delle Convenzioni CONSIP – concludendo per la disapplicazione della disciplina interna “secondo l’insegnamento della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale”.

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N o t e a sentenza

Il Collegio ha preliminarmente osservato che la proroga delle Convenzioni costituisce “il tipico effetto legale dell’applicazione della disciplina legislativa”, contenuta nell’art. 1, commi 15 e 16, del citato decreto legge e che, pertanto, detto effetto non è intermediato da alcun potere amministrativo della CONSIP, la cui nota intervenuta in materia, priva di effetti provvedimentali ed avente natura meramente ricognitiva della disciplina vigente e delle sue conseguenze applicative, non doveva essere oggetto di impugnazione. Neppure la CONSIP doveva essere coinvolta nel giudizio “atteso che ad essa la legislazione richiamata attribuisce ruolo di parte contrattuale necessaria di un accordo i cui termini sono direttamente previsti dalla legge”.

Prima di affrontare la questione della compatibilità con il diritto comunitario della proroga delle convenzioni CONSIP prevista dal d.l. n. 95/2012, la decisione si è soffermata sul profilo della legittimità del ricorso alle convenzioni CONSIP da parte della ASL coinvolta nel giudizio – che se ne era avvalsa per l’affidamento di servizi integrati per la gestione di apparecchiature elettromedicali – ed ha affermato che ciò sia imposto dalla normativa nazionale, discendendo tale obbligo dall’art. 15, comma 13, lett. d), del citato d.l. n. 95/2012 secondo il quale “gli enti del servizio sanitario nazionale, ovvero, per essi, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, utilizzano, per l’acquisto di beni e servizi relativi alle categorie merceologiche presenti nella piattaforma CONSIP, gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla stessa CONSIP, ovvero, se disponibili, dalle centrali di committenza regionali di riferimento costituite ai sensi dell’articolo 1, comma 455, della legge 27 dicembre 2006, n. 296. I contratti stipulati in violazione di quanto disposto dalla presente lettera sono nulli, costituiscono illecito disciplinare e sono causa di responsabilità amministrativa”. La pronuncia evidenzia, infatti, che tale disposizione “individua un vero e proprio obbligo per il servizio sanitario nazionale di utilizzare gli strumenti di acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla CONSIP” e la sua applicazione non può essere esclusa dall’art. 1, comma 23, del medesimo decreto legge che, nel prevedere che “agli enti del servizio sanitario nazionale non si applicano le disposizioni di cui al presente articolo”, ha la mera finalità di escludere l’applicazione dell’art. 1 a tali enti, la disciplina dei quali è rinvenibile nell’art. 15. Sul punto, è significativo ricordare che Cons. Stato, sez. III, 26 settembre 2013, n. 4803, in Foro amm. CdS, 2013, 9, 2381, pronunciandosi in ordine ai Policlinici universitari ha chiarito che essi “non sono equiparabili alle aziende ospedaliere e alle unità sanitarie locali, in quanto, mentre queste sono dotate di personalità giuridica pubblica, il policlinico universitario, di cui all’articolo 4, comma 5, del D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502, è azienda dell’università, parte integrante della stessa, sia pure dotata di autonomia organizzativa, gestionale, patrimoniale e contabile secondo le modalità fissate dallo statuto dell’università di appartenenza (cfr. Consiglio di Stato, Sezione VI, 17/10/2000, n. 5544); per cui i policlinici universitari, in quanto “pubbliche amministrazioni” sono destinatari della specifica norma di cui all’art. 1, comma 1, del D.L. n. 95/2012, convertito in l. n. 135/2012, che impone la valutazione di convenienza quale presupposto per l’adesione alle convenzioni Consip, nelle categorie merceologiche presenti nella relativa piattaforma”.

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N o t e a sentenza

Risolto, pertanto, il problema preliminare relativo all’ammissibilità del ricorso alle Convenzioni CONSIP da parte di un ente del servizio sanitario nazionale, la decisione in commento ha escluso, però, la compatibilità con il diritto comunitario delle proroghe previste dall’art. 1 del d.l. n. 95/2012, nella parte in cui dispone che “le quantità ovvero gli importi massimi complessivi” previsti dalle convenzioni CONSIP “sono incrementati in misura pari alla quantità ovvero all’importo originario, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione stessa, ove questa intervenga prima del 31 dicembre 2012” (comma 15) e che “la durata delle convenzioni di cui al precedente comma 15 è prorogata fino al 30 giugno 2013, a decorrere dalla data di esaurimento della convenzione originaria” (comma 16).

Nel motivare la necessità di procedere alla disapplicazione della richiamata disciplina nazionale (cfr. C. cost. 8 giugno 1984, n. 170, in Giur. cost., 1984, I, 1098), confermando le conclusioni tratte dalla pronuncia di primo grado (TAR Sardegna, sez. I, 8 maggio 2013, n. 361, in Foro amm. TAR, 2013, 5, 1800), viene posto in evidenza dalla decisione in commento che le proroghe ivi previste violano “gli artt. 28 e 31, Dir 2004/18 CE, che precludono la possibilità di affidare contratti pubblici di servizi e forniture senza procedure di gara a evidenza pubblica”. Riprendendo quanto affermato da Corte di Giustizia UE, sez. III, 10 dicembre 2009, causa C‐299/08, viene osservato che la lettura combinata delle citate disposizioni comunitarie impone agli Stati membri di aggiudicare gli appalti pubblici facendo ricorso alla procedura aperta o ristretta, nelle circostanze espressamente previste all’art. 29 della direttiva 2004/18 al dialogo competitivo, e, nei casi elencati dagli artt. 30 e 31 della medesima direttiva, ad una procedura negoziata, non essendo autorizzato l’utilizzo di altre modalità.

Considerato che il ricorso ad una procedura negoziata, con o senza pubblicazione del bando di gare, è ammesso nei limiti indicati dagli artt. 30 e 31 della direttiva 2004/18/CE e che l’art. 31, comma 1, n. 4, lett. b, della citata direttiva “consente il rinnovo dell’affidamento ricorrendo alla procedura negoziata solo quando ricorrono le condizioni ivi indicate tra le quali rileva che la possibilità del rinnovo sia indicato “sin dall’avvio del confronto competitivo” e l’importo totale previsto per la prosecuzione sia individuato nel bando” il Collegio ha conclusivamente evidenziato che il rinnovo delle convenzioni CONSIP disposto dal d.l. n. 95/2012 non si pone in linea con i presupposti previsti dalla normativa comunitaria. La disciplina censurata ripropone, pertanto, la violazione del diritto comunitario già prodotta dall’art. 6, comma 2, ultimo periodo, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 “che, ammettendo il rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e servizi della pubblica amministrazione”, comportò “l’apertura di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, recata dal parere motivato della Commissione europea n.2003/2110 del 16 dicembre 2003, chiusasi a seguito dell’abrogazione della norma in parola ad opera dell’art. 23 della legge 18 aprile 2005”. Sul punto si vedano TAR Sicilia, Catania, sez. II, 22

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N o t e a sentenza

giugno 2007, n. 1086, in Comuni Italia, 2007, 12, II, 4; Cons. Stato, sez. IV, 31 ottobre 2006, n. 6458, ivi, 2008, 7‐8, II, 7.

La pronuncia ha evidenziato, infine, che neppure “la natura transitoria della norma né tanto meno la finalità di risparmio per le finanze pubbliche in periodo di necessaria “spending review” consentono la violazione della normativa comunitaria e la connessa distorsione delle regole concorrenziali”.

In senso conforme ai principi espressi dalla decisione in commento si sono pronunciati TAR Trentino Alto Adige, Trento, sez. I, 3 aprile 2013, n. 114, in Foro amm. TAR, 2013, 4, 1119; TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 15 gennaio 2013, n. 55, ivi, 2013, 1, 177; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 19 dicembre 2012, n. 2968, ivi, 2012, 12, 4050; TAR Puglia, Bari, sez. I, 20 agosto 2012, n. 1579, ivi, 2012, 7‐8, 2500; TAR Sardegna, sez. I, 6 marzo 2012, n. 242, ivi, 2012, 3, 1027; Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 850, in Publica, 2010; TAR Sicilia, Catania, sez. III, 14 novembre 2007, n. 1862, in Foro amm. TAR, 2007, 11, 3620.

In dottrina, sugli argomenti trattati, si segnalano, tra i contributi più recenti, M.R. FAMIGLIETTI, Gli appalti sotto soglia. Procedure e aspetti speciali, in Manuale di diritto amministrativo. IV. I Contratti pubblici, a cura di F. CARINGELLA, M. GIUSTINIANI, Dike Giuridica Editrice, Roma, 2014, 825 ss.; P. AMOVILLI, Obbligatorietà delle convenzioni Consip e nullità del contratto, in Urb. e app., 2014, 3, 269 ss.

Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 5 maggio 2014, n. 13 (sul rapporto tra il potere di autotutela e la fase esecutiva del contratto)

La pronuncia in rassegna affronta un tema particolarmente importante, quale il rapporto tra il potere pubblicistico ed autoritativo di autotutela e la fase esecutiva del contratto.

Nel corso del 2005, la Regione Piemonte svolgeva una gara informale tra diversi istituti bancari al fine di selezionarne uno cui attribuire l’incarico di “arranger” per l’organizzazione di un programma di “Euro Medium Term Notes (EMTN)” e per il collocamento sul mercato della prima emissione obbligazionaria da effettuarsi nell’ambito di tale programma.

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N o t e a sentenza

All’esito

della

procedura

comparativa,

veniva

selezionata

l’offerta

presentata

congiuntamente da alcuni Istituti bancari ai quali, quindi, veniva affidato l’incarico congiunto.

In data 12.06.2006, le banche incaricate presentavano il progetto di un’emissione obbligazionaria c.d. “bullet”, cioè con rimborso del capitale in un’unica soluzione alla scadenza. Il progetto veniva valutato favorevolmente dall’Ente che, con delibera di Giunta del 2 agosto 2006, decideva di approvare un’emissione obbligazionaria articolata in due tranches, stabilendone le condizioni e gli importi massimi, individuando, altresì, per eventuali successive operazioni in derivati, i medesimi istituti bancari.

Successivamente, la Regione e gli istituti bancari in tal modo selezionati per l’organizzazione ed il collocamento sul mercato della prima emissione obbligazionaria, concordavano di affiancare ai due prestiti la stipula di contratti derivati al fine sia di consentire l’accantonamento periodico delle somme necessarie al rimborso alla scadenza, sia di disporre delle risorse necessarie a pagare le cedole, proteggendo così, per un verso, l’emittente dalle fluttuazioni dei tassi di interesse e, per altro, gli istituti bancari dal rischio di default dello Stato.

Nel corso del 2011, l’Ente locale aveva maturato la convinzione dell’illegittimità dei contratti derivati posti in essere, per violazione sotto diversi profili della normativa vigente, per l’inidoneità a realizzare un contenimento del costo dell’indebitamento e quindi a coprire il rischio, per l’esistenza di costi impliciti e la violazione da parte delle banche degli obblighi di corretta e completa informazione, con pregiudizio dell’interesse pubblico ad evitare ulteriori esborsi fortemente lesivi dell’equilibrio finanziario regionale, prevalente sul sacrificio imposto alle banche.

Su dette basi, l’Ente procedeva ad annullare d’ufficio la citata deliberazione di Giunta del 2 agosto 2006.

In primo grado, il TAR aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione ritenendo che “con i provvedimenti impugnati nel presente giudizio la Regione Piemonte abbia rivestito di forma pubblicistica e autoritativa atti che, nella sostanza, esprimono nulla più che la volontà dall’amministrazione di sciogliersi unilateralmente da un vincolo contrattuale ritenuto invalido e squilibrato fonte di prestazioni reciproche squilibrate. Si tratta, quindi, di un negozio giuridico unilaterale sulla cui validità e sulla cui idoneità ad incidere sulla sorte del contratto stipulato deve

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N o t e a sentenza

necessariamente pronunciarsi il giudice civile (nel caso di specie, il giudice inglese, per espressa pattuizione delle parti)” (TAR Piemonte, Sez. I, 21.12.2012, n. 1390).

Nell’esaminare l’appello, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato, valutata la possibilità di contrasti giurisprudenziali e la rilevanza anche economica della questione di giurisdizione, ne ha rimesso l’esame all’Adunanza Plenaria ai sensi dell’art. 99, comma 1, c.p.a. con ordinanza n. 4998 del 14.10.2013.

Il nucleo fondamentale della controversia attiene alla ammissibilità dell’esercizio del potere di autotutela in corso di esecuzione del contratto e sulle conseguenze in punto di giurisdizione. Più nello specifico, si tratta di chiarire se, nella fase di esecuzione del rapporto, la pubblica amministrazione conservi il potere di incidere in modo autoritativo sugli atti della procedura ad evidenza pubblica, rimuovendoli, o se, invece, una volta concluso il contratto, lo scioglimento del rapporto debba essere necessariamente disposto attraverso gli istituti tipici, di matrice privatistica, del recesso e risoluzione.

Il Supremo Consesso ha premesso di condividere i principi precedentemente espressi nella pronuncia n. 10/2011, secondo cui gli “atti prodromici vanno, sul piano logico, cronologico e giuridico, tenuti nettamente distinti dai successivi atti negoziali, sempre imputabili all’ente pubblico, con cui l’ente, spendendo la sua capacità di diritto privato, pone in essere un contratto societario. Gli atti prodromici attengono al processo decisionale, che da ultimo si esterna nel compimento di un negozio giuridico societario. Mentre per un soggetto privato il processo decisionale resta ordinariamente relegato nella sfera interna del soggetto, e ciò che rileva è solo il negozio giuridico finale, per un ente pubblico esso assume la veste del procedimento amministrativo”.

Tuttavia, secondo il Collegio tale principio non può trovare applicazione nel caso di specie. Ciò in quanto, affinché una determinazione amministrativa possa assumere la natura dell’atto prodromico, nel senso tecnico considerato dalla giurisprudenza, occorre che sia individuabile nell’atto stesso il compimento di un processo decisionale ossia la formazione della volontà di compiere un atto di diritto privato, di cui l’ente abbia valutato ed approvato il contenuto, e che ciò risulti verificabile in base al procedimento seguito. Solo in tal caso l’atto assume dignità provvedimentale e può essere autonomamente valutato sul piano della legittimità, e formare oggetto di impugnazione in sede giurisdizionale ovvero di autotutela. In tal senso, la sentenza in rassegna ha richiamato anche il precedente delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione 27 luglio 2013, n. 17780, in cui è stata riconosciuta la sussistenza della giurisdizione amministrativa in ordine a un determinato atto perché da considerarsi

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N o t e a sentenza

prodromico in quanto assunto a conclusione di un procedimento amministrativo e indirizzato a sintetizzare le valutazioni discrezionali dell’amministrazione.

Nel caso di specie, invece, il Collegio non ha ravvisato nelle determinazioni cui si vorrebbe attribuire la natura di atti prodromici (in particolare la citata delibera di Giunta del 2 agosto 2006), né alcuna veste procedimentale e neppure la precisa volontà di procedere ad una stipula di derivati, salva la generica possibilità di farvi ricorso, ove se ne ravvisasse l’opportunità, e salvo il rinvio alle future negoziazioni che ne stabilissero i concreti contenuti.

Da tali circostanze consegue – secondo l’Adunanza Plenaria – “lo scopo dell’annullamento dei contratti in questione, a carico dei quali la Regione aveva ravvisato, secondo gli esiti di apposita consulenza, molteplici cause di illegittimità, doveva essere perseguito tenendo conto della natura privatistica degli atti di cui assume l’invalidità e della conseguente posizione paritaria rivestita dall’ente pubblico che si sia vincolato contrattualmente al soggetto privato (art. 1, comma 1‐bis l. n. 241 del 1990)”.

Ancora più nello specifico, l’Adunanza Plenaria ha affermato che “l’atto di annullamento impugnato reca, bensì, l’imputazione dei vizi dei contratti alla deliberazione del 2006, ma si tratta di un mero artificio che non impedisce di riconoscere che la materia del contendere nella presente controversia è costituita, non dal sindacato sulla legittimità di un atto di imperio, ma dal giudizio sulla fondatezza dei vizi addebitati ai contratti, che, secondo il fondamentale principio affermato dalla Corte costituzionale con la sent. n. 204 del 2004, esula dalla giurisdizione amministrativa”.

Tuttavia, unitamente a tali condivisibili principi, la sentenza in rassegna ha svolto alcune considerazioni che potrebbero sollecitare qualche rilievo di carattere critico.

Si è affermato, infatti, che, nel caso di specie, “la Regione, invece, ha ritenuto di poter perseguire lo stesso scopo annullando –in parte qua ‐ la deliberazione n. 135‐3655 del 2006, puntando sull’effetto caducante (o viziante) che può prodursi a carico del contratto per effetto dell’annullamento dell’atto presupposto. Ma affinché tale scelta risultasse praticabile occorreva che l’atto presupposto assumesse il carattere dell’atto realmente prodromico rispetto alla successiva contrattazione, ossia si configurasse come determinazione autoritativa procedimentalizzata e riferita ai contenuti essenziali dell’operazione da porre in essere (Sez. V. sent. n. 5032 del 2001, § citato)”.

Pare essere confermato, dunque, l’orientamento che ritiene ammissibile l’intervento di autotutela dell’amministrazione sui provvedimenti prodromici alla conclusione del contratto anche dopo la stipula (fra le altre, Cons. Stato, sez. VI, 14.1.2013, n. 156; Id., Sez. V, 7.9.2011,

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N o t e a sentenza

n. 5032; Id., Sez. V, 10.9.2009, n. 5427; Id., sez. IV, 31.10.2006, n. 6456; Cass., SS. UU., 1.3.2006, n. 4508; Id., 21.6.2005, n. 13296; Id., 12.3.2004, n. 5179).

In questa sede, però, è soltanto il caso di osservare che in materia si è formato anche un opposto orientamento interpretativo, secondo cui, successivamente alla stipula del contratto, la scelta di sciogliere il rapporto non può essere esercitata nelle forme dell’autotutela ma deve essere disposta necessariamente attraverso gli strumenti privatistici del recesso o, ove ne ricorrano i presupposti, della risoluzione (in questi termini, Cons. Stato, sez. III, 13.4.2011, n. 2291; Id., Sez. V, 18.9.2008, n. 4455; Cass., SS.UU., 11.1.2011, n. 391; Id., 13.3.2009, n. 6068; Id., 17.12.2008, n. 29425; Id., 30.7.2008, n. 20596; Id., 18.7.2008, n. 19805; Id., 28.12.2007, n. 27169; Id., 26.4.2003, n. 10160).

L’occasione per fare chiarezza sulla questione potrebbe essere rappresentata dalla recente ulteriore rimessione all’Adunanza Plenaria operata dalla Quinta Sezione con la sentenza non definitiva 5.12.2013, n. 5786, in cui si è affermato che “al termine di questa ricognizione del dato normativo e dello stato dell’arte presso la giurisprudenza della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, la Sezione deve prendere atto che vi sono elementi che potrebbero indurre a riconsiderare l’indirizzo allo stato prevalente presso la giurisprudenza amministrativa”.

In dottrina si segnalano, fra gli altri: G. PASSARELLI DI NAPOLI, Il potere di autotutela della p.a., la risoluzione dei contratti in strumenti finanziari derivati e la giurisdizione, giustamm.it, 4/2014; A. BENEDETTI, La giurisprudenza sui contratti derivati degli enti locali, in Gior. Dir. amm., 11/2013, 1116 ss.; M. GOLA, L’applicazione delle norme di diritto privato, in Codice dell’azione amministrativa, a cura di M.A. SANDULLI, Milano, Giuffrè, 2011, 163 ss.; R. PROIETTI, Riparto di giurisdizione e di competenze legislative in tema di appalti: stipula del contratto e revoca dellʹaggiudicazione, in Urb. e app., 4/2011, 420 ss.; A. MASSERA, I principi generali dell’azione amministrativa tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, in Dir. amm., 2005, 707 ss. G. NAPOLITANO, L’attività amministrativa e il diritto privato, in Giorn. Dir. amm., 2005, 481 ss.; V. CERULLI IRELLI, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, in Dir amm., 2/2003, 252 ss.; M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1993, 410.

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R a s s e g n a d e l l e m as s i m e d el l ’ A u t o r i t à

RASSEGNA DELLE MASSIME DELL’AUTORITA’

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R a s s e g n a d e l l e m as s i m e d el l ’ A u t o r i t à

Rassegna delle massime dell’Autorità in tema di “criteri di selezione delle offerte e verifica delle offerte anormalmente basse” Anno 2013 di Nicoletta Torchio Sommario: 1. Premessa – 2.Criteri per la scelta dell’offerta migliore (art. 81): 2.1 Prezzo più basso (art. 82) – 2.2. Offerta economicamente più vantaggiosa (art. 83, 84) – 3. Offerte anomale e verifica dell’anomalia (artt. 86,87,88).

1.Premessa Nel corso del 2013, soprattutto in ambito di precontenzioso, numerose sono state le questioni sottoposte all’attenzione dell’Autorità concernenti contestazioni circa l’operato della stazione appaltante in sede di gara, in relazione a un utilizzo improprio del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in particolare per quanto attiene alla corretta definizione dei criteri di valutazione dell’offerta tecnica, all’eventuale commistione fra criteri soggettivi e criteri oggettivi e all’attribuzione dei relativi punteggi. Ulteriori aspetti critici sono stati riscontrati con riferimento alla mancata indicazione degli oneri per la sicurezza per le loro implicazioni nella valutazione dell’eventuale anomalia delle offerte. 2. Criteri per la scelta dell’offerta migliore (art. 81) I criteri di selezione delle offerte rispondono alla finalità di individuare il miglior operatore economico, in possesso degli adeguati requisiti, in grado di assicurare alla stazione appaltante il miglior risultato possibile, nel rispetto di una leale ed effettiva competizione concorrenziale. Il principio alla base dellʹart. 81, comma 1, del D. Lgs. n. 163/2006, è quello della scelta del criterio di aggiudicazione da parte della stazione appaltante in modo indipendente dal tipo di procedura adottata e dal valore dell’affidamento e tenuto conto della maggiore adeguatezza rispetto allʹoggetto del singolo contratto.

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Le stazioni appaltanti, pertanto, sono vincolate, nella scelta del criterio di aggiudicazione, a valutarne lʹadeguatezza rispetto alle caratteristiche oggettive e specifiche del singolo contratto (Parere di Precontenzioso n. 31 del 13/03/2013 e Parere di Precontenzioso n. 119 del 17/07/2013). In particolare, con Parere di Precontenzioso n. 219 del 18/12/2013, l’Autorità ha chiarito che “il progetto di contratto” attiene alla sfera discrezionale della stazione appaltante che ne risponde unicamente sul piano dell’intrinseca logicità, congruenza e ragionevolezza dovendo, la stessa, all’atto di decidere quale criterio utilizzare, fondare la propria scelta sulla base di due presupposti, costituiti dalle caratteristiche dell’oggetto e dalla valutazione delle offerte in condizioni di effettiva concorrenza. I due criteri sono astrattamente equiordinati, tenendo presente l’unicità e l’automatismo del criterio del prezzo più basso rispetto alla pluralità e variabilità dei criteri dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Inoltre, La scelta del criterio più idoneo per l’aggiudicazione di un appalto (tra quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa e quello del prezzo più basso), e la scelta dei criteri più adeguati (tra quelli esemplificativamente indicati dall’art. 83 del D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163) per l’individuazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, costituiscono espressione tipica della discrezionalità della stazione appaltante e sono sottratte al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, tranne nel caso in cui, in relazione alla natura, all’oggetto ed alle caratteristiche del contratto, non siano manifestamente illogiche, arbitrarie ovvero macroscopicamente viziate da travisamento di fatto (Parere di Precontenzioso n. 9 del 13/02/2013). Ai sensi dell’art. 81, comma 3, del Codice, le stazioni appaltanti possono decidere di non procedere all’aggiudicazione se nessuna offerta risulti conveniente o idonea in relazione all’oggetto dell’appalto. Al riguardo il Parere di Precontenzioso n. 79 del 9/05/2013, ha chiarito che l’eventuale decisione di non aggiudicare la gara prevista dall’art. 81 comma 3, non è riconducibile all’esercizio del potere di autotutela (artt. 2 comma 3, 11 comma 9 e 243‐bis comma 4), bensì configura un potere fondato su ragioni di pubblico interesse (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 25 novembre 2009 n. 1986; Sez. IV, 31 maggio 2007 n. 2838). Ne consegue che si tratta di una decisione che compete alla stazione appaltante in relazione alle specifiche esigenze di approvvigionamento dell’Ente, come prefissate nell’oggetto del contratto in gara, avuto riguardo all’interesse pubblico alla eventuale e sopravvenuta opportunità di non aggiudicare la gara per ragioni di ridotta convenienza (ad esempio quando nello svolgimento della procedura selettiva interviene una significativa variazione a ribasso dei prezzi

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di mercato della prestazione) o di inidoneità dell’offerta. La decisione di non aggiudicare la gara, tuttavia, non può essere arbitraria, né priva di motivazioni che diano conto della “non convenienza” o della “inidoneità” dell’offerta in relazione all’oggetto del contratto, con la conseguenza che questa necessita di idonea motivazione. 2.1.Prezzo più basso (art. 82) Qualora la stazione appaltante decida di aggiudicare una gara secondo il criterio del prezzo più basso, la discrezionalità di cui essa gode nella scelta del contraente si dirige esclusivamente verso l’elemento economico, senza particolare attenzione alla affidabilità complessiva del servizio (cfr. T.A.R. Puglia Lecce, Sez. I, 15/01/2009, n. 64). Ciò in quanto l’obiettivo perseguito dall’amministrazione è quello di acquisire la prestazione richiesta, con il minor onere economico, secondo principi di proporzionalità. Ferma restando tale discrezionalità, il ricorso al criterio del prezzo più basso può essere ammesso nelle ipotesi in cui la lex specialis non lascia margini di definizione dei contenuti dell’appalto in capo all’iniziativa dell’impresa, predefinisce e descrive puntualmente tutti gli elementi progettuali, si svolge mediante operazioni in larga misura standardizzate ed individua in modo preciso il complesso delle prestazioni e la concreta organizzazione del lavoro, sicché l’unica variabile è costituita dal prezzo, rimesso, appunto, all’offerta di ciascun concorrente (Parere di Precontenzioso n. 119 del 17/07/2013, citato). Sulla base di quanto sopra riportato, nell’appalto integrato complesso, ai sensi dell’art. 53, comma 2, lett. c), del Codice non può trovare spazio il criterio del prezzo più basso: infatti, l’oggetto del contratto è costituito dalla progettazione esecutiva e dall’esecuzione dei lavori ma, a differenza dell’appalto integrato c.d. puro (art. 53, comma 2, lett. b, del D. Lgs. n. 163/2006), la progettazione definitiva viene redatta dal concorrente che partecipa alla gara e presentata in sede di offerta, residuando al committente il compito di redigere la progettazione preliminare che viene posta a base di gara unitamente ad un capitolato prestazionale (corredato dall’indicazione delle prescrizioni, delle condizioni e dei requisiti tecnici inderogabili). Pertanto, la valutazione dellʹofferta dovrà avvenire anche sulla base delle soluzioni progettuali proposte dai concorrenti, e, a tal fine, non può trovare spazio il criterio del prezzo più basso, dato che soltanto quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa è in grado di consentire la valutazione di tipo qualitativo (Parere di Precontenzioso n. 69 del 9/05/2013).

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Le offerte devono essere formulate in termini di ribasso rispetto all’importo posto a base di gara: il divieto di formulare offerte in aumento trova fondamento nel precipuo fine di impedire lievitazioni della spesa pubblica rispetto alla preventiva programmazione e detto divieto deve ritenersi sussistente qualunque sia il criterio di aggiudicazione della gara (Deliberazione n. 12 del 10/04/2013). Tuttavia ‐ Parere di Precontenzioso n. 165 del 23/10/2013‐ nel caso in cui venga presentata una offerta inferiore alla tariffa minima di riferimento, richiamata dalla lex specialis di un appalto di autotrasporto, è legittima l’esclusione dell’operatore economico. In tale fattispecie, infatti, la previsione di un ribasso inferiore al minimo di cui alla tariffa di riferimento, predisposta dall’Osservatorio sulle attività di autotrasporto di cui all’art. 83 bis c.1 e 2, 4 e 4 bis della L. n. 133/2008, non garantirebbe la tutela della sicurezza stradale e la regolarità del mercato dell’autotrasporto di merci per conto di terzi, il cui contratto di riferimento prevede che l’importo a favore del vettore debba essere tale da consentire almeno la copertura dei costi minimi di esercizio, al fine di garantire, comunque, il rispetto dei parametri di sicurezza normativamente previsti. Pertanto, la SA ha legittimamente escluso le offerte inferiori ai predetti limiti prefissati, prevedendo correttamente la rivalutazione annuale del corrispettivo, ai sensi dell’art. 115 del D. Lgs. n. 163/2006 (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, n. 4362 del 19.07.2011 e n. 504 del 1.02.2012). Una delle modalità per determinare il prezzo più basso è mediante offerta a prezzi unitari. In caso di discordanza tra prezzo complessivo offerto e ribasso unico percentuale, prevale il ribasso percentuale indicato in lettere. Ciò in quanto, ai sensi del comma 2 dell’art. 119 del d. P.R. n. 207/2010 (che riproduce il previgente art. 90, comma 2, del d. P.R. n. 554/99), “il prezzo complessivo offerto, rappresentato dalla somma di tali prodotti, è indicato dal concorrente in calce al modulo stesso unitamente al conseguente ribasso percentuale rispetto al prezzo complessivo posto a base di gara. Il prezzo complessivo ed il ribasso sono indicati in cifre ed in lettere. In caso di discordanza prevale il ribasso percentuale indicato in lettere”. La lettura della norma porta a concludere che con essa si è stabilito un criterio di chiusura, volto a dare prevalenza, in tutti i casi di discordanza fra i dati indicati in calce al modulo di offerta (riferiti sia al prezzo sia alla percentuale di ribasso), al ribasso percentuale indicato in lettere in modo tale da precludere alla commissione di gara ogni intervento correttivo sull’offerta, ai fini dell’aggiudicazione (Cons. Stato, sez. VI, 11 luglio 2003 n. 4145) (Parere di Precontenzioso n. 3 del 6/02/2013).

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Con riferimento all’ammissibilità di meccanismi di arrotondamento dei valori offerti dai concorrenti in assenza di specifiche disposizioni del bando, è illegittimo e lesivo della par condicio dei concorrenti, pubblicità, ragionevolezza e affidamento, procedere, in sede di valutazione delle offerte economiche, ad arrotondamenti e confronti non previsti, al fine di ovviare a carenze della lex specialis in merito alla disciplina delle cifre decimali e delle modalità di arrotondamento. In assenza di puntuali indicazioni del bando sui decimali e sulle modalità di arrotondamento, pertanto, devono essere ammesse tutte le offerte che ricadono nella soglia di valore ammessa dal bando. La mancanza di una espressa disciplina comporta il rischio che, ricorrendo ad arrotondamenti, si possa incidere, a seconda del criterio di calcolo seguito, sull’esito della gara, laddove la scelta del criterio del “prezzo più basso” dovrebbe comportare un risultato oggettivo e vincolato, senza margini di discrezionalità in capo alla stazione appaltante (Parere di Precontenzioso n. 79 del 9/05/2013, citato). 2.2. Offerta economicamente più vantaggiosa (art. 83, 84) Salvo alcune aperture derogatorie introdotte dalla giurisprudenza, nelle procedure di gara da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, vige il principio della netta distinzione tra criteri soggettivi di qualificazione e criteri oggettivi di aggiudicazione, con la conseguente separatezza fra i requisiti di natura soggettiva richiesti per la partecipazione alle gare e i criteri oggettivi applicati per la valutazione e la selezione della migliore offerta. L’offerta tecnica deve essere valutata in base a criteri che abbiano una diretta connessione con l’oggetto dell’appalto e che siano idonei a misurarne il valore. Numerosa è la casistica delle pronunce dell’Autorità sul tema: è stato ritenuto contrario al principio in parola attribuire un punteggio al possesso di certificazioni in materia ambientale, etica e di sicurezza alimentare, in quanto elementi che esulano dal merito tecnico e attengono, invece, all’esperienza professionale acquisita dal concorrente (Parere di Precontenzioso n. 163 del 9/10/2013); così come per le certificazioni del sistema di qualità aziendale (Parere di Precontenzioso n. 4 del 6/02/2013); ancora, gli aspetti organizzativi dell’impresa concorrente (sede dell’impresa e localizzazione di depositi e siti produttivi) non possono essere considerati in quanto tali, ma tutt’al più possono rilevare come elemento incidente sulle modalità esecutive dello specifico appalto, e come parametro attinente alle caratteristiche oggettive dell’offerta. L’Autorità ha ripetutamente censurato la prassi di inserire nei bandi di gara clausole non conformi ai principi sanciti dal Trattato UE e richiamati dall’art. 2, del D. Lgs. n. 163/2006,

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incluse le clausole tese a preferire imprese operanti nel territorio in cui si dovrà svolgere l’appalto, circostanza che costituisce un privilegio ingiustificato per le imprese locali (Parere di Precontenzioso n. 15 del 20/02/2013); ciò vale anche in relazione all’attribuzione di un punteggio per il “numero risorse professionali dedicate”, per il “numero di aziende clienti” e il volume dei “premi assicurativi gestiti” (Parere di Precontenzioso n. 172 del 23/10/2013). E’ illegittima l’attribuzione di un punteggio, nell’ambito dell’offerta tecnica e qualitativa, alla “percentuale di importo contrattuale che il concorrente intende garantire con le modalità previste dall’art. 75 co. 2 del codice o con fidejussione bancaria, oltre a quella dovuta per legge”. Tale elemento di valutazione nulla ha a che vedere con la qualità dell’offerta tecnica, intesa come proposta di soluzioni progettuali migliorative, rispetto a quelle contenute nel progetto a base di gara (Parere di Precontenzioso n. 156 del 25/09/2013). Il medesimo parere ha altresì, chiarito che attiene alla sfera soggettiva (organizzazione d’impresa) la richiesta, pena la decurtazione del punteggio attribuito all’offerta tecnica, di “nominare un professionista cui affidare la direzione del cantiere di comprovata esperienza in merito in grado di dimostrare di aver progettato e diretto almeno un lavoro della stessa natura di quello posto a base di gara (realizzazione di paramassi, reti, tiranti etc.) per un importo minimo di lavori non inferiore al 40% dell’importo a base di gara e con certificato di ultimazione dei lavori emesso entro cinque anni data del presente bando ed inoltre già collaudato”. Non sempre è agevole tenere separati i due criteri considerati (quello oggettivo di valutazione dellʹofferta e quello soggettivo relativo alla capacità tecnica e professionale del concorrente), poiché i profili di organizzazione soggettiva possono anche essere idonei a riflettersi sullʹaffidabilità e sullʹefficienza dellʹofferta e, quindi, della prestazione. Ne deriva che quando gli aspetti organizzativi non sono apprezzati in modo autonomo, avulso dal contesto dellʹofferta, ma quale elemento idoneo ad incidere sulle modalità esecutive del servizio specifico e, quindi, quale parametro afferente alle caratteristiche oggettive dellʹofferta, il principio non risulta violato. Il divieto di commistione opera anche in riferimento ai contratti cd. esclusi, di cui all’allegato IIB del Codice: come previsto dall’articolo 27, del Codice, anche in queste gare di appalto l’affidamento deve comunque avvenire nel rispetto dei principi di economicità,

efficacia,

imparzialità,

parità

di

trattamento,

trasparenza,

proporzionalità. È pertanto illegittimo sottoporre a valutazione qualitativa la

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quantità di pasti distribuiti dalle imprese partecipanti nel triennio, nell’ambito di servizi di refezione scolastica, fissando un tetto massimo di 5.000.000 pasti e assegnando via via un punteggio inferiore alle imprese con un numero di pasti dichiarato inferiore al predetto tetto massimo (Parere di Precontenzioso n. 192 del 20/11/2013). Tale criterio attiene alla capacità tecnico organizzativa e non può essere assunto a parametro di valutazione dell’offerta tecnica. Un ulteriore divieto attiene alla commistione fra offerta tecnica e offerta economica, nel senso che costituisce violazione della segretezza dell’offerta economica, inserire nell’offerta tecnica elementi relativi all’offerta economica. Copiosa giurisprudenza ritiene vietata la commistione tra offerta tecnica ed economica, al fine di prevenire il pericolo che gli elementi economici influiscano sulla previa valutazione dell’offerta tecnica, in violazione del principio sotteso alle norme di segretezza dell’offerta economica fino al completamento della valutazione delle offerte tecniche. Con Parere di Precontenzioso n. 171 del 23/10/2013, l’Autorità ha innanzi tutto considerato che difetta una norma primaria o regolamentare che espressamente vieti in modo assoluto l’indicazione di elementi economici nell’offerta tecnica e, pertanto, la commissione di gara deve operare tenendo conto che nell’offerta tecnica possono essere inclusi singoli elementi economici che siano resi strettamente necessari dagli elementi qualitativi da fornire, purché siano elementi economici che non fanno parte dell’offerta economica, quali i prezzi a base di gara, i prezzi di listini ufficiali, i costi e le analisi dei prezzi di mercato, ovvero siano elementi isolati e del tutto marginali dell’offerta economica che non consentano in alcun modo di ricostruire la complessiva offerta economica. La corretta applicazione del criterio di selezione dell’offerta economicamente più vantaggiosa presuppone la presentazione di offerte economiche con ribassi sul prezzo posto a base di gara. L’art. 283, comma 3, del d. P. R. 207/2010, nel delineare la procedura in caso di aggiudicazione di servizi e forniture con il criterio dellʹofferta economicamente più vantaggiosa, contiene un esplicito riferimento alla lettura dei “ribassi espressi in lettere” e delle riduzioni delle offerte economiche” (cfr. AVCP, determinazione n. 4 del 10.10.2012; parere sulla normativa del 12.2.2009). Tale interpretazione è avallata non solo dal dato letterale degli artt. 82, comma 1, del D. Lgs. n. 163/2006 e 283, comma 3, del d. P.R. 207/2010, ma anche dalla considerazione che un’eventuale aggiudicazione a favore di un’offerta in aumento potrebbe non trovare la necessaria copertura finanziaria nelle disponibilità delle somme in bilancio della stazione appaltante. Offerte economiche che rechino un prezzo superiore,

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rispetto a quello posto a base di gara, non risulterebbero idonee a consentire l’aggiudicazione, e l’eventuale aggiudicazione in favore dell’una o dell’altra avverrebbe in palese violazione del succitato art. 283, comma 3 (Parere di Precontenzioso n. 101 del 5/06/2013). Un aspetto particolarmente delicato attiene alla individuazione dei criteri di valutazione dell’offerta e dei relativi parametri di ponderazione. Con Parere di Precontenzioso n. 16 del 20/02/2013, l’Autorità, chiamata a valutare la legittimità di un bando di gara per i profili di interesse in questa sede, ha richiamato le linee guida per l’applicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa nell’ambito dei contratti di servizi e forniture di cui alla determinazione 24 novembre 2011 n. 7, ove statuiscono che la ponderazione relativa dei criteri di valutazione, ovvero il loro ordine decrescente di importanza, devono figurare già nel bando di gara, nel capitolato d’oneri o nel documento descrittivo, atteso il carattere necessariamente oggettivo dei criteri, direttamente correlati alla prestazione contrattuale. Deve, inoltre, verificarsi la congruità dei criteri rispetto ai principi generali di ragionevolezza e non discriminazione. La scelta del legislatore nazionale, conformemente alle direttive comunitarie attualmente vigenti, si è orientata nel senso di attribuire carattere meramente indicativo ed esemplificativo all’elenco di criteri normativamente fissati dall’art. 83 del D. Lgs. n. 163/2006, ferma restando la loro necessaria pertinenza alla natura, all’oggetto ed alle caratteristiche dell’appalto messo a gara. Occorre, quindi, rilevare che i criteri di valutazione dell’offerta, così come i requisiti di partecipazione alla gara, i quali privilegiano direttamente o indirettamente le imprese locali, si pongono in violazione dei principi comunitari in tema di concorrenza, parità di trattamento e libera circolazione, salvo il limite della logicità e della ragionevolezza, ossia della loro pertinenza e congruità a fronte dello scopo perseguito (cfr. AVCP parere n. 116 del 22.10.2009,e n. 251 del 10.12.2008). Come rilevato con il Parere di Precontenzioso n. 156 del 25/09/2013, citato, l’attribuzione all’offerta tecnica e qualitativa, di punti 8 su 60 per “l’assunzione di manodopera residente nel territorio comunale”, non risponde ad una particolare esigenza sociale, nei termini concessi dal comma 2 dell’articolo 2, del codice, secondo cui “Il principio di economicità può essere subordinato, entro i limiti in cui sia espressamente consentito dalle norme vigenti e dal presente codice, ai criteri, previsti dal bando, ispirati a esigenze sociali, nonché alla tutela della salute e dell’ambiente e alla promozione dello sviluppo sostenibile”.

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Infatti, una crisi occupazionale non può di certo essere considerata una emergenza sociale propria solo di un solo ed unico territorio. Le difficoltà della corretta applicazione della clausola sociale sono state evidenziate dal Parere di Precontenzioso n. 131 del 24/07/2013, che ha ritenuto illegittima la previsione di un sub‐punteggio collegato al ribasso percentuale massimo che l’impresa concorrente si impegna a praticare nei confronti delle imprese subappaltatrici. In tal caso, la clausola sociale (dichiaratamente volta a perseguire la tutela dei lavoratori alle dipendenze delle imprese coinvolte nel subappalto, in attuazione di un protocollo d’intesa stipulato dalla S.A. con gli enti locali, le organizzazioni sindacali e gli enti previdenziali) assurge a criterio di valutazione dell’offerta tecnica. Ebbene, anche tenendo conto che l’art. 120, comma 1, del D.P.R. n. 207 del 2010 dispone che, al fine di attuare i principi di cui agli artt. 2, comma 2, e 69 del Codice, le stazioni appaltanti possono perseguire le esigenze sociali concludendo protocolli d’intesa con enti pubblici ed organizzazioni sindacali ed imprenditoriali, anche per la determinazione dei criteri di selezione delle offerte, l’offerta tecnica deve in ogni caso essere valutata sulla base del proprio contenuto qualitativo, direttamente attinente all’oggetto dell’appalto. Nella determinazione n. 7/2011, l’Autorità ha affermato che i criteri prescelti nei bandi possono attribuire rilievo ad elementi oggettivi legati a particolari obiettivi di valenza non economica, purché inerenti a vario titolo alle prestazioni contrattuali, quali i criteri ambientali e sociali, e purché collegati all’oggetto dell’appalto secondo quanto previsto nelle specifiche tecniche. Non è necessario che ogni singolo criterio di aggiudicazione fornisca un vantaggio economico all’Amministrazione, ma i criteri di valutazione nel loro insieme (cioè i criteri economici ed i criteri sociali ed ambientali) devono consentire alla stazione appaltante di identificare l’offerta che offra il miglior rapporto qualità/prezzo. L’interesse perseguito dalla S.A. avrebbe dovuto al più trovare attuazione secondo il diverso schema delineato dall’art. 69 del Codice, secondo cui le stazioni appaltanti possono esigere “condizioni particolari per l’esecuzione del contratto” anche attinenti ad esigenze sociali, purché compatibili con il diritto comunitario. Per quanto attiene alla scelta dei criteri in base ai quali valutare le offerte, la stazione appaltante, in relazione ai molteplici interessi pubblici, dispone di un ampio margine di

discrezionalità

tecnica

tuttavia

questa

ampia

libertà

di

scelta

dell’amministrazione, deve trovare un bilanciamento nella coerenza logica degli stessi criteri in rapporto alla natura, allʹoggetto e alle caratteristiche del contratto sul

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piano tecnico e funzionale, al fine di garantire, in ogni caso, il rispetto dei principi di trasparenza, non discriminazione e parità di trattamento e scongiurare il rischio di abusi (Parere di Precontenzioso n. 11 del 13/02/2013). Il caso di specie esaminato da quest’ultimo Parere, atteneva alla legittimità del criterio di valutazione dell’offerta “offerta al rialzo sull’importo posto a base d’asta da riconoscere alla stazione appaltante per l’attuazione delle azioni di co‐marketing” nell’ambito di un appalto per l’esecuzione di lavori di riqualificazione urbana. Dalle articolazioni della lex specialis non si è evinta alcuna specifica attinenza tra detto criterio e le caratteristiche dell’appalto, in quanto volto ad assicurare all’Ente appaltante un servizio pubblicitario in loco, mediante l’esposizione di apposite strutture o impianti, che nulla ha a che vedere con l’oggetto dell’appalto. L’Autorità ha rilevato che la semplice ricorrenza del profilo di interesse pubblico, espressamente riconnesso al valore “culturale” degli spazi interessati dai lavori, non è tale da giustificare ex se l’inserimento di detto criterio di valutazione dell’offerta appunto perché non attinente alla natura, all’oggetto e alle caratteristiche dell’appalto, siccome volto alla mera riqualificazione dell’area attraverso l’esecuzione di un complessivo intervento di trasformazione, al fine di migliorarne la fruibilità, che non comprende anche la sua valorizzazione pubblicitaria e commerciale. Con riferimento alla scelta relativa al peso da attribuire a ciascun criterio, la discrezionalità della stazione appaltante, secondo la giurisprudenza, trova l’unico limite della “manifesta irrazionalità” della distribuzione dei punteggi rispetto allo scopo dell’intervento. Tali ipotesi, che incidono sulla legittimità del bando, si rinvengono laddove, ad esempio, il valore attribuito ad un criterio sia tale da precostituire, nei confronti dei concorrenti, illegittime posizioni di vantaggio, oppure nei casi in cui, pur essendosi adottato il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, venga assegnato ad uno dei criteri di valutazione un peso talmente elevato da rendere praticamente superflui tutti gli altri. Rientra nella discrezionalità della stazione appaltante la determinazione dell’ incidenza del prezzo nella valutazione dellʹofferta, senza che esista un peso minimo (o massimo) predeterminato per tale criterio, a condizione che la natura propria del criterio, invocando la ricerca di un equilibrio tra prezzo e qualità correlato alla specificità di ciascun affidamento, non venga tradita, riconoscendosi al criterio prezzo un peso ponderale sproporzionato rispetto a quello attribuito agli altri criteri da considerare nella scelta dell’offerta migliore, invece di combinare il prezzo con tali altri criteri per assicurare, da un lato, il risultato migliore e più conveniente alla stazione appaltante

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e, dall’altro, consentire ai partecipanti di contare su una uniforme valutazione dell’offerta. L’impostazione corretta tra il peso dei criteri qualitativi e quello dei criteri quantitativi, in particolare del prezzo, deve essere, nei riguardi del peso complessivo, in rapporto di prevalenza a favore dei criteri qualitativi rispetto ai criteri quantitativi, al fine di non frustrare la ratio stessa dell’offerta economicamente più vantaggiosa, che richiede l’ottimale ponderazione del rapporto qualità/prezzo (Parere di Precontenzioso n. 122 del 17/07/2013; ib. Parere di Precontenzioso n. 149 del 25/09/2013). Con specifico riferimento alle gare per l’appalto del servizio di brokeraggio assicurativo, l’Autorità con la Determinazione n. 2 del 13 marzo 2013, ha sottoposto a rilievi critici la prassi seguita da numerose stazioni appaltanti che, nell’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tendono a valutare l’offerta economica sulla base di formule a punteggio assoluto, prefissando una soglia percentuale richiesta dalla commissione: di regola, infatti, si è constatata la tendenza degli operatori economici concorrenti ad offrire percentuali di provvigione allineate sui valori sufficienti ad ottenere il punteggio massimo, con la conseguenza di svilire la componente del prezzo nell’ambito dell’offerta economicamente più vantaggiosa, a discapito dell’interesse delle stazioni appaltanti che potrebbero diversamente ottenere sconti maggiori rispetto a quelli prefissati nel bando di gara. Pertanto, costituisce violazione dell’articolo 83, del d. Lgs. n. 163/2006, la formula aritmetica costruita sul valore economico assoluto delle offerte anziché sulla misura dei ribassi percentuali, secondo un criterio di proporzionalità non lineare che finisce per comprimere irragionevolmente il range valutativo dell’offerta economica, assegnando preponderanza decisiva a quella tecnica in contrasto con il rapporto potenziale prescelto dalla stessa stazione appaltante in sede di redazione del bando (Parere di Precontenzioso n. 172 del 23/10/2013). Si deve, inoltre, rilevare che, a norma dell’art. 83 del D. Lgs. n. 163/2006, è precluso alla commissione di gara predeterminare, in luogo del bando, non solo i criteri ed i sub‐criteri di valutazione, ma anche i sub‐punteggi nell’ambito di un sub‐criterio, essendo ad essa demandata unicamente la elaborazione di “criteri motivazionali”, destinati a precisare le ragioni in base alle quali la stessa commissione commisurerà concretamente il punteggio da assegnare a ciascun criterio di ogni offerta nell’ambito del raggio indicato dal bando. È, pertanto, illegittimo l’operato della commissione di gara che, pur avendo rilevato la contraddittorietà tra il Disciplinare e la “Tabella punteggi elementi di valutazione dell’offerta” in ordine al punteggio massimo

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previsto (risultato invertito nei due documenti), rispettivamente, per l’offerta tempo e per quella economica, e si è attenuta comunque a quanto stabilito nella Tabella, richiamando arbitrariamente il “fine di attribuire maggior rilevanza al profilo temporale piuttosto che a quello puramente economico”. L’Autorità ha ritenuto che la commissione non poteva arbitrariamente ritenere prevalente la Tabella, in spregio alla previsione del Disciplinare e al principio di certezza giuridica che deve connotare la disciplina di gara (Parere di Precontenzioso n. 166 del 23/10/2013). Né la commissione di gara può attribuirsi una discrezionalità in ordine alla definizione di ulteriori sub‐criteri atti ad informare l’attività valutativa della medesima, in quanto con l’intervenuta parziale abrogazione del comma 4, dell’articolo 84 del Codice, la commissione, dopo la presentazione delle offerte, non può immettere alcun elemento di specificazione dei criteri generali stabiliti dalla lex specialis, nemmeno attraverso una astratta simulazione del percorso valutativo. È da ritenersi comunque illegittimo l’operato della commissione giudicatrice che prima dell’apertura delle buste faccia in qualsiasi modo rimando, sia pur nell’intento di rendere più trasparente il giudizio valutativo demandatole, ai criteri motivazionali ai quali intenda ancorare il giudizio medesimo, se ed in quanto ad essi, sconosciuti alle ditte partecipanti, non è possibile fare riferimento al momento della formulazione delle offerte (Parere di Precontenzioso n. 214 del 18 dicembre 2013). Per quanto attiene, infine, alla nomina della commissione giudicatrice, con Parere di Precontenzioso n. 47 del 10/4/2013, l’Autorità ha evidenziato che la nomina della stessa, avvenuta prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, è radicalmente viziata per violazione dell’art. 84, comma 10, del D. Lgs. n. 163/2006, che è norma tassativa e inderogabile rispondente sia ad esigenze di buona amministrazione e imparzialità dellʹattività della P.A., sia al rispetto della parità di condizioni tra i concorrenti, e diretta ad assicurare l’imparzialità dei commissari e la loro terzietà ed estraneità rispetto agli offerenti (cfr. parere di precontenzioso n.126/2009). La lesione della norma citata travolge tutta l’attività posta in essere dalla commissione di gara in tal modo nominata (cfr. ex multis TAR Lazio 13 febbraio 2008 n. 1268; TAR Umbria 28 ottobre 2011 n. 338).

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3.Offerte anomale e verifica dell’anomalia (artt. 86,87,88) Per quanto riguarda la verifica di congruità, nel caso di aggiudicazione con il criterio del prezzo più basso, in un appalto di importo pari o inferiore alla soglia di cui all’articolo 122, comma 9, del D. Lgs. n. 163/2006, ha carattere facoltativo la verifica di congruità dell’offerta ai sensi dell’art. 86, commi 1 e 3. Nessun appunto può pertanto muoversi all’operato di una stazione appaltante che, tramite un giudizio tecnico‐ discrezionale sul sospetto di anomalia dell’offerta “in base ad elementi specifici”, non ritenga di dover ricorrere al potere di controllo dell’offerta più bassa, tenuto anche conto del metodo di aggiudicazione prescelto; ciò a meno che non si manifestino circostanze particolari che evidenzino come affetta da illogicità manifesta la mancata verifica (Parere di Precontenzioso n. 94 del 5/06/2013). Occorre poi rilevare che ai sensi dell’art. 253 comma 20‐bis del Codice, le stazioni appaltanti possono applicare il meccanismo dell’esclusione automatica in caso di presentazione di un numero di offerte valide superiore a dieci con riferimento a tutti gli appalti di importo contenuto nelle soglie indicate dallʹart. 28, in deroga alle soglie più ristrette previste, per i lavori, dall’art. 122, comma 9 del Codice e, per i servizi e forniture, dall’art. 124, comma 8 del medesimo. Tuttavia nel caso in cui solo il disciplinare di gara abbia previsto detta facoltà e nel bando non si rinvenga, contrariamente a quanto disposto dall’art. 122 comma 9 del Codice, alcun espresso richiamo all’applicabilità del meccanismo dell’esclusione automatica, il bando prevale sul disciplinare. Infatti, in caso di conflitto tra le previsioni del bando e quelle del disciplinare di gara, le prime devono prevalere su quelle difformi di lex specialis, e pertanto, laddove il bando non abbia previsto espressamente la facoltà di ricorrere all’esclusione automatica delle offerte anomale, trova applicazione la disciplina di verifica della congruità prevista agli artt. 87 e 88 del Codice (Parere di Precontenzioso n. 57 del 23/04/2013). Sul carattere opzionale del procedimento di esclusione automatica delle offerte anomale, il Parere di Precontenzioso n. 127 del 17/07/2013, ha ribadito che la formulazione dell’art. 122, comma 9, del D. Lgs. n. 163/2006, non lascia alcun margine di dubbio che la previsione dellʹesclusione automatica sia una mera opzione lasciata alla facoltà delle SS. AA., che possono prevederla o meno nel bando di gara o lettera invito: “Ai sensi dellʹart. 122, del D. Lgs. n. 163/2006, ove la stazione appaltante intenda avvalersi dellʹesclusione automatica delle offerte in un gara per lʹaffidamento di un appalto di opere pubbliche, deve rendere noto espressamente detto

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intendimento nel relativo bando” (cfr. T.A.R. Brescia Lombardia sez. II, 11 gennaio 2010, n. 16, T.A.R. Palermo Sicilia sez. III, 20 luglio 2011, n. 1419; T.A.R. Catania Sicilia sez. I, 02 aprile 2007, n. 594). La regola posta dall’art. 87, comma 1, del D. Lgs. n. 163/2006, secondo cui all’esclusione può provvedersi solo all’esito dell’ulteriore verifica, in contraddittorio con il concorrente, trova l’eccezione dell’esclusione automatica che può essere prevista nel bando nel caso in cui il criterio di aggiudicazione sia quello del prezzo più basso, le offerte presentino una percentuale di ribasso pari o superiore alla soglia di anomalia individuata ai sensi dell’ art. 86, e siano rispettati i limiti di importo del contratto stabiliti, per i lavori, dall’art. 122, comma 9 (importo inferiore o pari a 1 milione di euro) e, per i servizi e le forniture, dall’art. 124, comma 8 (importo inferiore o pari a 100.000 euro)”(cfr. AVCP determinazione n. 4/2012). È, pertanto, legittimo l’operato della S.A. che, in autotutela, ha disposto l’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria e la riapertura della procedura, sulla scorta che non si potesse procedere all’esclusione automatica delle offerte anomale ex art. 122, comma 9, del D. Lgs. n. 163/2006, in quanto detta opzione non era prevista dalla lettera di invito. Con il medesimo Parere, è stato, inoltre, precisato che non si può ritenere che la rivalutazione dell’anomalia da parte della commissione di gara e la riapertura della procedura ad offerte ormai note, possa incidere sulla segretezza delle offerte e sulla par condicio dei concorrenti, posto che detta operazione, avendo carattere puramente matematico, non consente alla commissione di gara di esprimere alcuna discrezionalità sulla scelta dell’aggiudicatario. Con riguardo alla modalità del calcolo aritmetico dell’anomalia, è illegittimo l’utilizzo, da parte della commissione di gara, di sei cifre decimali delle offerte economiche anziché di quattro, come espressamente prescritto nel bando (“Non si tiene conto delle cifre decimali successive alla quarta”). Infatti, l’apposita previsione nella lex specialis consente l’applicazione del metodo di calcolo previsto per la formulazione dei ribassi percentuali delle offerte anche al calcolo della soglia di anomalia. (Parere di Precontenzioso n. 137 del 30/07/2013). Ai fini della individuazione della soglia di anomalia quando il criterio di aggiudicazione è costituito dal prezzo più basso, la corretta interpretazione dell’art. 86, comma 1, del D. Lgs. n. 163/2006, ai sensi del disposto attuativo di cui all’art. 121, 1° comma, secondo periodo, del d. P.R. n. 207 del 5 ottobre del 2010, comporta, con riferimento alle offerte da accantonare, che le offerte di eguale valore (senza

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distinzione tra ribassi a cavallo o all’interno delle ali) debbano essere accantonate “ai fini del successivo calcolo della soglia di anomalia”: ciò significa che, in ogni caso, le offerte identiche devono essere considerate, ai suddetti fini, come un’offerta unica, essendo di carattere generale la finalità di evitare che identici ribassi (a cavallo o all’interno delle ali) limitino l’utilità dell’accantonamento e amplino eccessivamente la base di calcolo della media aritmetica e dello scarto medio aritmetico, rendendo inaffidabili i risultati (Parere di Precontenzioso n. 133 del 24/07/2013). Gli artt. 86 comma 3‐bis e 87 comma 4, del Codice dei contratti stabiliscono, rispettivamente, che: “Nella predisposizione delle gare di appalto e nella valutazione dell’anomalia delle offerte nelle procedure di affidamento di appalti di lavori pubblici, di servizi e di forniture, gli enti aggiudicatori sono tenuti a valutare che il valore economico sia adeguato e sufficiente rispetto al costo del lavoro e al costo relativo alla sicurezza, il quale deve essere specificamente indicato e risultare congruo rispetto all’entità e alle caratteristiche dei lavori, dei servizi o delle forniture” e che: “Nella valutazione dell’anomalia la stazione appaltante tiene conto dei costi relativi alla sicurezza, che devono essere specificamente indicati nell’offerta e risultare congrui rispetto allʹentità e alle caratteristiche dei servizi o delle forniture” . In ordine agli effetti derivanti dall’omessa indicazione dei costi di sicurezza nell’offerta, l’Autorità è stata chiamata ad esprimersi con riferimento a numerose procedure di gara, in relazione alle quali ha evidenziato che il combinato disposto delle norme sopra richiamate impone ai concorrenti di segnalare gli oneri economici che intendono sopportare per l’adempimento degli obblighi di sicurezza sul lavoro (cd. costi di sicurezza aziendale) distinti dagli oneri, non soggetti a ribasso, finalizzati allʹeliminazione dei rischi da interferenze, al fine di porre la stazione appaltante nella condizione di verificare il rispetto di norme inderogabili a tutela di fondamentali interessi dei lavoratori, e di consentire alla stessa la valutazione della congruità dell’importo destinato ai costi per la sicurezza. La mancata indicazione preventiva dei costi per la sicurezza rende l’offerta incompleta sotto un profilo particolarmente pregnante, alla luce della natura costituzionalmente sensibile degli interessi protetti, impedendo alla p.a. un adeguato controllo sulla affidabilità della stessa: in altri termini, l’offerta economica manca di un elemento essenziale e costitutivo, con conseguente applicazione della sanzione dell’esclusione dalla gara anche in assenza di una specifica previsione in seno alla lex specialis, attesa la natura immediatamente precettiva della disciplina contenuta nelle norme citate, idonea ad eterointegrare le regole procedurali (Parere di Precontenzioso n. 169 del 23/10/2013; Parere di Precontenzioso n. 147 del 25/09/2013; Parere di Precontenzioso n. 118 del

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17/07/2013; Parere di Precontenzioso n. 77 del 9/05/2013; Parere di Precontenzioso n. 73 del 9/05/2013; Parere di Precontenzioso n. 54 del 23/04/2013; deliberazione n. 40 del 19/12/2013). Ancora, è legittima l’esclusione dell’impresa che si sia limitata a trascrivere, all’interno della propria offerta economica, gli importi a base d’asta indicati dalla stazione appaltante nella lettera d’invito, senza dichiarare in calce all’offerta che la stessa tiene conto degli obblighi relativi alle disposizioni in materia di sicurezza, di condizioni di lavoro e di previdenza ed assistenza in vigore nel luogo dove devono essere eseguiti i lavori, nonché delle prescrizioni contenute nel D. Lgs. 9 aprile 2008 n. 81 e s.m.i., così come richiesto dalla lettera di invito: tale comportamento integra la violazione dell’obbligatoria indicazione nell’offerta economica di tutti i costi relativi alla sicurezza, che, a pena d’esclusione, devono essere quantificati dai concorrenti specificamente e separatamente dall’importo a base d’asta (Parere di Precontenzioso n. 72 del 9/05/2013). Con particolare riguardo ad un appalto indetto sotto la vigenza degli artt. 81, comma 3‐bis e 87 del D.Lgs. 163/2006, così come modificati dal D.L. 13 maggio 2011 n. 70, convertito dalla legge 106/2011, è stato chiesto all’Autorità un parere (Parere di Precontenzioso n. 134 del 24/07/2013) in merito alla possibilità, per i concorrenti, di utilizzare una parte dell’importo, indicato dalla stazione appaltante quale costo del personale, a copertura di altre voci di costo e ciò sulla base di asseriti benefici che consentirebbero una riduzione della spesa per il costo del personale rispetto a quella calcolata dalla stazione appaltante. Si chiedeva in buona sostanza se il meccanismo giustificativo costituito dallʹuso di una parte del costo del lavoro a copertura degli altri costi del servizio fosse in sé ammissibile, dal momento che il bando di gara, in modo conforme alla normativa vigente ratione temporis, come recepita nel bando dalla stazione appaltante, prescriveva espressamente che il costo del personale, predeterminato dalla stazione appaltante, non era soggetto ribasso. Sebbene la disciplina successiva al bando di gara sia stata sensibilmente modificata, l’Autorità ha ritenuto che si dovesse fare esclusivo riferimento agli atti fondamentali che hanno definito le regole della competizione e che non sono modificabili, pena la violazione del superiore principio della tutela della par condicio. Ne deriva che nel caso di specie deve trovare applicazione il dato normativo di riferimento vigente al tempo di indizione della gara, nonché la disciplina della lex specialis che imponeva alla S.A. di scorporare dalla base d’asta il costo del lavoro, precludendo quindi la

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possibilità di fornire giustificazioni di prezzo su tale componente di costo dell’appalto e precludendo, quindi, la possibilità di valutare, in sede di verifica dell’anomalia, giustificazioni di prezzo sul costo del lavoro. La prescrizione di cui all’articolo 87, comma 4, comunque, non può estendersi sic et simpliciter alle procedure economali di cottimo fiduciario di tipo informatico. Pertanto, l’obbligo discendente dalla suddetta previsione normativa può eccezionalmente applicarsi a tali affidamenti quando, in considerazione di particolari e specifiche esigenze, la lettera di invito contempli espressamente un richiamo in tal senso (Parere di Precontenzioso n. 135 del 30/07/2013). Il medesimo Parere ha, altresì, rappresentato che è da reputarsi ammissibile l’offerta che si discosti dai dati numerici delle tabelle ministeriali, che individuano periodicamente il costo del lavoro sulla base dei valori economici previsti dalla contrattazione collettiva e delle norme in materia previdenziale ed assistenziale, purché il divario non sia eccessivo e vengano salvaguardate le retribuzioni dei lavoratori, così come stabilito in sede di contrattazione collettiva. Per ciò, i dati risultanti dalle tabelle, non costituiscono indici assoluti ed inderogabili, ma suscettibili di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali svolte dall’offerente che ‐ evidenziando una particolare organizzazione imprenditoriale ‐ rimettono alla stazione appaltante ogni valutazione tecnico‐discrezionale di congruità. Si deve, inoltre, rilevare che la sanzione dell’esclusione dalla gara in caso di mancata indicazione nell’offerta economica degli oneri per la sicurezza trova un limite nel caso in cui Stazione Appaltante abbia allegato al bando un modello di offerta economica che non prevedeva l’indicazione degli oneri della sicurezza non soggetti a ribasso, dovendosi prendere atto della capacità dello stesso di indurre in errore coloro che se ne fossero avvalsi (Parere di Precontenzioso n. 169 del 23/10/2013 cit.). Con riferimento agli appalti di servizi di cui all’allegato IIB al Codice, con Parere di Precontenzioso n. 33 del 13/03/2013, l’Autorità ha ritenuto che trovino applicazione, ai sensi degli artt. 20 e 27 del Codice dei Contratti, unicamente le disposizioni ed i principi in questi richiamati nonché le espresse previsioni della disciplina di gara. Nella fattispecie in esame, la lettera di invito stabiliva che “Sarà cura della stessa ditta individuare come necessari costi aggiuntivi (apprestamenti di sicurezza od altro) per attuare le misure di prevenzione e protezione atte ad eliminare e/o ridurre i rischi di interferenza, pertanto i costi di sicurezza sono da quantificare a cura dell’appaltatore ed attualmente

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vengono stimati da questo Comune pari ad euro 0,00”. Pertanto, la lex specialis di gara aveva specificamente indicato il costo per la sicurezza che era stato stimato pari a zero, rendendo così noto che la valutazione da interferenze era stata comunque svolta dalla stazione appaltante, anche se soltanto per escluderne l’esistenza e rimettendo al concorrente l’obbligo di indicare un diverso costo, solo ove, e nel caso in cui, avesse ritenuto sussistente un onere per la sicurezza. Conseguentemente, se ne deve dedurre che le ditte partecipanti che non hanno indicato il costo per la sicurezza hanno ritenuto di condividere la valutazione della stazione appaltante stimando il costo per la sicurezza pari a zero. In altre parole, hanno reso noto che la valutazione da interferenze è stata svolta ed esclusa. Ne deriva che la stazione appaltante non avrebbe potuto legittimamente disporre l’esclusione delle ditte che non avevano indicato i costi di sicurezza. Per quanto attiene al procedimento di verifica dell’anomalia, con il Parere di Precontenzioso n. 98 del 5/06/2013, è stato chiarito che compete alla stazione appaltante il giudizio tecnico sulla congruità, serietà e realizzabilità dell’offerta pertanto non è ammissibile chiedere all’Autorità di esprimere un parere sulla sostenibilità economica dell’offerta presentata da un operatore economico in relazione alla congruità delle giustificazioni da quest’ultimo fornite a sostegno dell’offerta medesima. Inoltre, lo stesso deve essere effettuato sulla base di giustificazioni che investono l’offerta nella sua globalità e nella considerazione cumulativa di tutte le sue componenti unitariamente considerate. Con Parere di Precontenzioso n. 215 del 18/12/2013, è stata ritenuta rientrante tra le situazioni imprenditoriali favorevoli, che consentono di offrire un ribasso superiore a quelle degli altri concorrenti, anche la collocazione all’estero della principale sede aziendale ovvero della struttura operativa mediante la quale la prestazione sarà eseguita. In tal caso, il concorrente è onerato di dimostrare il rispetto dei trattamenti salariali minimi obbligatori, per lo stato europeo nel quale si svolgerà l’attività, cosicché la verifica di congruità dell’offerta economica da parte della stazione appaltante non può che riguardare i costi della manodopera propri del luogo di svolgimento dell’attività. ********

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Elenco degli atti citati

‐ Parere di Precontenzioso n. 3 del 6/02/2013 ‐ rif. PREC 194/12/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 4 del 6/02/2013 ‐ rif. PREC 238/12/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 9 del 13/02/2013 ‐ rif. PREC 246/12/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 11 del 13/02/2013 ‐ rif. PREC 222/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 15 del 20/02/2013 ‐ rif. PREC 241/12/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 16 del 20/02/2013 ‐ rif. PREC 235/12/F ‐ Parere di Precontenzioso n. 31 del 13/03/2013 ‐ rif. PREC 263/12/L‐F ‐ Parere di Precontenzioso n. 33 del 13/03/2013 ‐ rif. PREC 276/12/S ‐ Determinazione n. 2 del 13 marzo 2013 ‐ Deliberazione n. 12 del 10/04/2013 – rif. Fascicolo 2784/2012 ‐ Parere di Precontenzioso n. 47 del 10/04/2013 ‐ rif. PREC 28/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 54 del 23/04/2013 ‐ rif PREC 1/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 57 del 23/04/2013 ‐ rif. PREC 24/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 69 del 9/05/2013 ‐ rif. PREC 12/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 72 del 9/05/2013 ‐ rif. PREC 31/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 73 del 9/05/2013 ‐ rif. PREC 33/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 77 del 9/05/2013 – rif PREC 55/13/S.O.L. ‐ Parere di Precontenzioso n. 79 del 9/05/2013 ‐ rif. PREC 259/12/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 94 del 5/06/2013 – rif. PREC 3/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 98 del 5/06/2013 – rif. PREC 75/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 101 del 5/06/2013 – rif. PREC 81/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 118 del 17/07/2013 – rif. PREC 100/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 119 del 17/07/2013 ‐ rif. PREC 96/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 122 del 17/07/2013 – rif. PREC 20/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 127 del 17/07/2013 – rif. PREC 133/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 131 del 24/07/2013 – rif. PREC 82/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 133 del 24/07/2013 – rif. PREC 134/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 134 del 24/07/2013 – rif. PREC 198/12/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 135 del 30/07/2013 – rif. PREC 234/12/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 137 del 30/07/2013 – rif. PREC 110/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 147 del 25/09/2013 – rif. PREC 89/13/L

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‐ Parere di Precontenzioso n. 149 del 25/09/2013 – rif. PREC 118/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 156 del 25/09/2013 ‐ rif. PREC 256/12/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 163 del 9/10/2013 ‐ rif. PREC 169/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 165 del 23/10/2013 ‐ rif. PREC 41/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 166 del 23/10/2013 – rif. PREC 47/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 169 del 23/10/2013 – rif. PREC 106/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 171 del 23/10/2013 – rif. PREC 131/13/L ‐ Parere di Precontenzioso n. 172 del 23/10/2013 ‐ rif. PREC 148/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 192 del 20/11/2013 – rif. PREC 223/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 214 del 18 dicembre 2013 – rif. PREC 186/13/S.O.L. ‐ Parere di Precontenzioso n. 215 del 18/12/2013 – rif. PREC 193/13/S ‐ Parere di Precontenzioso n. 219 del 18/12/2013 – rif. PREC 265/13/F ‐ Deliberazione n. 40 del 19/12/2013 – rif. Fascicolo n. 2891/2012 e n. 875/2013

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