Buon compleanno Fumetti di Carta_____________________ di Orlando Furioso Marvel Saga_______________________________________ di Dario Lopez Nextwave_________________________________________ di Cardillo Gennaro No, non c’era nulla di sbagliato nella verità, nella giustizia e nell’American Way________________________________ di Francesco Vanagolli JACOVITTI – Sessant’anni di surrealismo a fumetti________ di Orlando Furioso Francesco Barilli per FDC____________________________ di Francesco Barilli Ultimate Spiderman_________________________________ di Luca Grigoli Justice League Elite_________________________________di Cardillo Gennaro NOX Squadra Speciale Europa________________________di Dario Lopez Adiòs ad un maestro - Carlos Trillo_____________________di Giovanni La Mantia 10 anni di vita per un sito internet______________________di Pino Paoliello Aliens versus DC Herpes____________________________di Cardillo Gennaro Fantastici Quattro 200______________________________di Francesco Vanagolli Ex Machina_______________________________________di Dario Beretta Wonder Woman 1__________________________________di Filippo Messina
BUON COMPLEANNO Fumetti di Carta!!!
l'ufficio dirigenziale di Fumetti di Carta The Secret Origins – Pt. 1 . [AutoreferenzialE fino in fondo! ^__^] . …..e siamo già al decimo compleanno di Fumetti di Carta! . Sono cosciente che questo anniversario è significativo solo per me e poche altre persone e lo è per il fatto che viviamo in una società “a base decimale”, perché in realtà il “decimo anniversario” di qualsiasi cosa non è né meno né più importante del terzo o del quarantasettesimo. . In questa occasione la mia non propriamente gradevole tendenza alla giustificazione e all’autoflagellazione raggiungerà livelli insopportabili per una mente umana, siete avvertiti! . Questo scritto sarà un melenso polpettone di ultrasentimentalismo ed egomania a briglia sciolta, e siete ri-avvertiti; ma sta di fatto che – per ora – io sono il Capo e faccio un po’ come mi pare. Ora mi sdraio sul lettino, ho già l’ultimo degli Arbouretum nello stereo, e parto. E sarà anche un pezzo lungo e son tutti razzi vostri. .
Non si può negare che il Capo di Fumetti di Carta sia un bel ragazzo! Fumetti di Carta è nato nel Maggio 2001, per merito di Guido, un mio collega d’ufficio dell’epoca. Fu lui a insegnarmi i primi rudimenti dell’html (e lì son rimasto, peraltro… son tecnofobico, fatemi causa). Lui non era particolarmente appassionato di fumetti, ma era appassionato del fatto di insegnare a qualcuno a metter su un sito alla bell’e meglio! Come html non è che nemmeno lui fosse un genio, ma in compenso aveva un gusto estetico che LediGaga in confronto è minimalista. Intendiamoci: sono molto grato a Guido, che era – e sono certo sia ancora! – un’ottima, ottima persona, ma in quanto a template, grafica, scelta dei colori e – mon dieu – nome del sito non si dimostrò proprio affidabilissimo… Beh, se per caso (ma non è così, non può essere) mi legge ora penserà che io sia una merdaccia, ma ribadisco che gli sono gratissimo (Guido: ti sono stragrato!!!), sul serio, perché se non fosse per lui ora nessuno leggerebbe le magnifiche recensioni di Fumetti di Carta, che quando nacque, per idea di Guido, si chiamava, ehm: Dicarta. Già… . Guido fu così entusiasta di quell’orrido nome, cui ascriveva originalità e un certo “gusto buffo”, che non mi sentii proprio di imporre il mio “fumetti di carta”. E non voglio parlare dello sfondo giallino e delle scritte grigette, che me lo vieta la Convenzione di Ginevra. Comunque il il nomaccio “Dicarta” durò poco, visto che Guido ebbe la fortuna di trasferirsi presto in un ufficio mille volte migliore del nostro e praticamente da allora non ci vedemmo mai più. Grazie Guido, per aver permesso la nascita di Fumetti di Carta: grazie di cuore, grazie mille! . Perché nacque Fumetti di Carta? So che molte persone hanno passato intere nottate a meditare su codesta fondamentale questione… Ebbene, finalmente, dopo tanto soffrire, le moltitudini avranno una risposta! Fumetti di Carta nacque perché un bambino quarantunenne potesse trovare online delle “recensioni” che fossero scritte più col cuore che con la tecnica (anche perché quella latitava e latita parecchio, per parte mia). Seriamente: mi piaceva l’idea di poter scrivere sui fumetti, dagli abissi della mia ignoranza s’intende, in modo “emotivo”, appunto “sentimentale”. Oggi questa motivazione mi fa un po’ ridere e la trovo di un’ingenuità e di
una pretenziosità disarmanti. Mi assolvo, diciamo così, soltanto in virtù della mia giovanissima età di allora.
le Segretarie di Fumetti di Carta leggono con interesse le prime bozze Mi sentivo inoltre orfano, al limite della sofferenza, delle meravigliose fanzine cartacee che mi avevano nutrito per tutti gli Anni 90: da Made in USA a Fumettando a Underground a tutte le altre magnifiche fanzine autoprodotte che mi appassionavano spesso più degli stessi fumetti e che sono tuttora la fonte di quel poco o nulla che so dei/sui Fumetti. E’ un po’ come mettersi a imparare a suonare la chitarra perché così – pensi ingenuamente – potrai comporti da solo le bellissime canzoni che hai in testa. . Per alcuni mesi fui l’unico collaboratore di Fumetti di Carta. Un personal blog ante litteram! Mentirei se dicessi che non sono dannatamente affezionato a quei primi, timidi (e quanto pretenziosi!) scritti. Onestamente non credo di essere migliorato poi molto nella scrittura dei miei commenti – da anni non oso più chiamarle “recensioni” – ma perlomeno ora sono cosciente dei miei limiti e delle motivazioni profonde che stanno alla base del proseguimento di Fumetti di Carta. E’ già qualcosa, l’aver finalmente capito di essere un wannabe della critica fumettistica seria; è già qualcosa l’averlo accettato. Questo per quanto mi riguarda. .
il Capo sfoggia orgogliosamente i suoi nuovi occhiali da presbite Per quanto riguarda Gli Altri, sappiate che ancor oggi faccio fatica ad accettare il fatto che ci siano persone – e mica pochissime! – che visitano regolarmente Fumetti di Carta e che la trovano una bella lettura, o almeno una lettura decente. Ehi ehi ehi, non sto affatto parlando dei Magnifici Redattori di Fumetti di Carta (facciamo che d’ora in poi è fdc, sennò non mi passa più), che scrivono recensioni e articoli che trovo sinceramente molto belli e interessanti – per la cronaca: li trovo davvero molto belli e interessanti; sto parlando di una cosa più profonda: faccio fatica a credere che una cosa che ho creato io, con quei pochi mezzi di cui dispongo, sia arrivata a compiere dieci anni e a produrre cose, escluse le mie che trovo appena mediocri, belle e interessanti. E financo utili. Lo so, sto un po’ esagerando ad aprirmi con voi estranei, ma son fatto così e certo non mi cambio a cinquant’anni suonati! . Pensate che abbia finito??? Ah ah ah ah ah!!! Ho appena cominciato con la storia di fdc! Mettetevi il cuore in pace, sarà una cosa lunga. . Ma siccome sono fondamentalmente buono, ho deciso in questo momento – le 23.08 del 11/05/2011, che questa improvvisata “Storia di Fumetti di Carta” sarà a puntate. D’altronde il 31 Maggio è di là da venire, un po’ di tempo ce l’abbiamo ancora. Quindi per stasera basta così e vi saluto. Non prima di avervi detto quest’ultima cosa: per festeggiare i dieci anni della webzine oltre ad ammorbarvi con svariate altre puntate della Storia di Fumetti di Carta dal Mio Punto di Vista, pubblicheremo alcuni articoli… un po’ particolari, diciamo così. . Ma non voglio rovinarvi la sorpresa, quindi restate sintonizzati e tiratevi su pensando che non sarò solo io a scrivere
A prestissimo, e BUON DECIMO COMPLEANNO, FUMETTI di CARTA!!! . Orlando Furioso
Marvel Saga
Marvel Saga – [caratteristiche tecniche all'interno dell'articolo] . Fan della defunta Spider-Man Collection potete asciugarvi le lacrime e riporre i fazzoletti. . Dopo qualche mese di incertezza i vostri dubbi dovrebbero essere ormai fugati, i vostri cuori più sollevati e i vostri portafogli inevitabilmente più leggeri. . La Panini Comics rilascia dichiarazioni ottimistiche sull’andamento della collana di ristampe classiche Marvel Collection, vede e rilancia. Anzi raddoppia. Ad affiancare il primo mensile di materiale classico da edicola che finora ha ospitato il Capitan America di Kirby e quello di Steranko, Il Thor del classicissimo duo Lee/Kirby e in questi ultimi mesi le storie dei Vendicatori realizzate da autori quali Lee e Thomas e disegnate da gente come Heck e Buscema, arriva questa seconda testata dal titolo Marvel Saga.
. Una sorta di sequel proprio di quella Spider-Man Collection che non è riuscita a vincere la battaglia con i numeri ed è affondata nel mare delle pubblicazioni da edicola. .
Nei programmi della Panini per questa collana ci sono la ristampa di Marvel Team-Up e di The Amazing Spider-Man (riprese da dove le avevamo lasciate su Spider-Man Collection) seguite a ruota, risultati permettendo, dalla riproposta del materiale tratto da The Spectacular Spider-Man. . La prima domanda che mi viene in mente è questa. Perchè questo Marvel Saga dovrebbe farcela dove ha fallito Spider-Man Collection che presentava lo stesso materiale, certo con meno pagine e quindi meno storie, a un prezzo decisamente inferiore? . Attenzione perchè non sto affermando che il rapporto qualità/quantità/prezzo di questo Marvel Saga (MS da ora in avanti) non sia buono. Tutt’altro. Sette storie classiche, 144 pagine colore a 6 euro reggono bene il confronto con il precedente Spider-Man Collection che presentava quattro storie a 3,50 euro. . La risposta ovviamente non la conosco, la speranza è che MS così come Marvel Collection possano prosperare e arrivare anche a un pubblico più giovane degli ormai ultratrentenni appassionati storici di comics americani. . Va bene, smetto di tediarvi e vado a illustrarvi cosa potete trovare all’interno di questo numero d’esordio. .
Due parole sulla confezione dell’albo, molto simile a Marvel Collection ma con qualche piccola differenza. L’albo non presenta infatti i risvolti di copertina con le cover originali ritagliabili che in parte lasciavano scoperte le pagine interne degli albi di Marvel Collection creando un effetto fastidioso. . La nota positiva è che le cover collezionabili, per chi fosse interessato, sono ancora presenti in una pagina a fine albo stampata su cartoncino (come quelle di MC insomma). . Per quel che concerne le storie si parte proprio dalla ristampa degli episodi di Marvel Team-Up targati 1973/74. Che questa MS sia la diretta discendente di Spider-Man Collection lo dimostra anche il fatto che gli episodi di Marvel Team-Up 18 e 23 vengano saltati a piè pari causa l’assenza del nostro Arrampicamuri di Quartiere. . La caratteristica di Marvel Team-Up è quella di presentare avventure in cui Spider-Man stringe alleanza con qualche altro eroe Marvel per affrontare il cattivone di turno. . Il primo dittico di storie, a cura di Len Wein e Gil Kane, presenta lo scontro con il Basilisco e le alleanze con Capitan Marvel prima e Mister Fantastic dopo. Dimenticatevi approfondimenti psicologici, sottotrame e la vita privata del buon Peter Parker. Queste sono caratteristiche proprie della testata madre dedicata al buon ragnetto (Amazing Spider-Man), Marvel Team-Up è soprattutto azione e divertimento. Ingenuo forse agli occhi del lettore moderno ma sempre corposo e genuino. Qui non si dilata, non si centellina, non si butta via niente. .
In due episodi troviamo una minaccia dallo spazio, ascesa e caduta del Basilisco, Rick Jones e Capitan Marvel e si trova anche il tempo di coinvolgere Mr. Fantastic e andare a rompere le scatole in casa dell’Uomo Talpa. . Gil Kane, interprete di alcune ottime tavole di quegli anni ha mostrato cose migliori proprio in episodi di Amazing e Marvel Team-Up presentati nel recente passato su Spider-Man Collection. Anche qui rimane inalterata la sua grande capacità di tratteggiare volti decisamente espressivi e convincenti. . Nelle due storie successive il buon vecchio arrampicamuri si concede una trasferta nella Terra Selvaggia per fare un favore all’amico Curt Connors. Alla ricerca di Stegron in compagnia di Ka-Zar, Zabù e tornando a casa della Pantera Nera. Testi ancora di Wein e parte grafica equamente divisa tra Kane e Sal Buscema. Da segnalare un paio di doppie splash-page, inusuali nelle storie dell’epoca e dai risultati quantomeno approssimativi. Dinamiche ma sinceramente bruttine. . Interessante la proposta di due storie con protagonisti lo storico stregone supremo dell’universo Marvel e quello attuale. Parliamo del Dottor Strange (matite di Buscema) e di Fratello Voodoo (matite di Jim Mooney).
Ha il giusto sapore mistico/psichedelico l’avventura con il Dr. Strange contro Xandu, forse la migliore del lotto mentre risulta interessante quella con Fratello Voodoo proprio per il suo protagonista, quel Jericho Drumm riportato al centro dell’universo Marvel di recente da Brian Bendis che lo ha reso il nuovo Stregone Supremo. . Per chi ama i Vendicatori c’è anche un episodio con protagonisti l’Uomo Ragno e Occhio di Falco. Cosa volete ancora? . Se non vi siete mai avvicinati a ristampe d’annata perchè avete sempre avuto l’impressione che queste siano poco coinvolgenti o divertenti ricredetevi. Dategli tempo e vi conquisteranno. Lasciate perdere roba come Deadpool ad esempio e date una possibilità a queste “vecchie” storie, non ve ne pentirete.
Dario Lopez
Nextwave
Nextwave vol. 1 e 2, di Ellis e Immonen - brossurato 144 pagine colore – 11 euro – Panini Comics, collana Marvel 100% . La collana Grandi Saghe, è stata un’ottima trovata editoriale, tra le migliori degli ultimi anni, ha riproposto in 100 numeri una montagna di fumetti. Alcune ristampe doverosamente necessarie, altre decisamente non richieste, audaci ed inutili, però al pari delle precedenti iniziative come “I grandi classici del fumetto” di Repubblica, è stato un appuntamento settimanale quasi sempre gradito. Certo ora dirò qualcosa che mi farà inimicare i puristi del fumetto: io avrei evitato di ristampare quel sonnolento mattone degli Eterni di Kirby, leggere gli Eterni di Kirby è un pò come calarti l’opera filmica incompiuta di Ejzenstejn: Que Viva Mexico! Una palla mostruosa. . Lo so che con queste parole adesso sputtano quel poco di quell’aura credibilità che ho faticosamente tentato di costruirmi intorno in tutto questo tempo a scrivere recensioni. Ma fossi stato io presente quando s’è fatto il piano dell’opera avrei proposto Nextwave. Nextwave, non è geniale perchè è di Warren Ellis. Noi non siamo gente con dei preconcetti. Non è godibile solamente perchè è l’ennesima divertente distorsione del mondo supereroistico. Non diverte solo perchè nasconde nel suo interno, una quantità imbarazzantemente enorme di esilaranti citazioni ed omaggi agli autori e ai fumetti ai quali si ispira, Nextvawe
è una miniserie da leggere assolutamente, perchè è deliziosamente surreale, è lisergica, lo è in ogni sua pagina. .
Per esempio Rorkannu vi farà ridere anche se non avete la minima idea a chi si ispiri, a chi in realtà sta facendo il verso. Certo è però che siete dei Nerds, e quindi lo sapete, allora Rorkannu vi farà scompisciare dalle risate. Vi faccio un esempio: Se fate vedere le prodezze di Maradona ad un milanista, se non è del tutto scemo dirà: “Sono comunque prodigiose le cose che quest’uomo fa con il pallone.” Se le stesse cose le fate vedere ad un napoletano probabilmente andrà in estasi mistica. Cioè ecco dimostrato come il coinvolgimento personale sublima, esalta il valore di qualcosa che è già oggettivamente bella. Cioè Maradona è bravo, bravissimo in verità, ma per il napoletano (il soggetto coinvolto, decisamente non neutrale), è un santo. Letteralmente. . Allo stesso modo Nextwave è un buon fumetto, ma per un nerds, in alcuni passaggi, in alcune pagine è un amplesso. Capito adesso? Nel leggerlo vi può assalire il dubbio che quel che state leggendo, è un tantino insolito per i canoni della continuity Marvel, che i personaggi sono troppo eccentrici per il Marvel Universe, ma è un dubbio che non pregiudica la lettura e soprattutoo non mina la godibilità. Magari storcerete il naso alla fine del primo albo, quello con il drago gigante in mutande, ma dategli tempo, non siate frettolosi, Nextvawe è come un vecchio motore diesel, deve carburare. Gli serve solo qualche minuto. Se lo leggete con un nerds di fianco non potrete fare a meno di notare come sghignazzerà nel riconoscere i membri di questo gruppo. Ma voi non vi curate di questi sfigati, ignoratele queste stolte involuzioni del topo di biblioteca, prima i disadattati si rifugiavano nei tomi in cuoio rilegati, di racconti cavallereschi, ora invece si rintanano dietro gli spillati da edicola con la copertina variant! .
Ma voi fidatevi di me, anche se non avete idea di chi sia questa Monica che dice di essere stata in passato un membro dei Vendicatori con l’identità di Capitan Marvel, anche se non riconoscete in Aroon il vecchio robot chiamato Machine Man, protagonista pure di una ingenua miniserie illustrata dal grande B.W. Smith (Ed. Play Press). Continuate a leggela. Perchè il Capitano, è l’eroe che tutti vorremmo finalmente vedere, uno scazzato, troppo umano per non incappare in sbalzi d’umore. The Captain è Ralph Supermaxieroe, solo un pochetto più coordinato nei movimenti, ma nemmeno tanto, è l’ Hancock di Will Smith, senza quella stronzata della continua rinascita alla Hawkman & Hawkgirl. . La trama non richiede profonde conoscenze delle vicende dell’universo Marvel, non si poggia sulla continuity ed è semplice, sarà per questo che è bella, d’altronde si dice: “I sistemi complessi sono fragili” è una legge della natura questa, un enunciato serissimo, mica me lo sono inventato io. Ed è vero, e vale anche nei fumetti, prendete Crisi Finale della DC Comics, mesi di “countdown”, una trama complicatissima ed infatti quando arrivi alla lettura del terzo albo, letteralmente prendi a morsi le pagine e le mastichi, in preda ad un ancestrale raputs di rabbia cannibalesca. Perchè la trama è così complessa che non si capisce niente. .
Invece il buon Warren Ellis prende prende il più vecchio espediente narrativo del mondo del fumetto dai tempi di Nembo Kid, e cioè il cattivo e l’eroe, punto, semplice, lineare, intuitivo, funzionale. Solo che gli dà una nuovo
taglio, il cattivo è una corporation, la Beyond Corporation, e oggi giorno, per noi lettori smaliziati che guardiamo tutti i documentari di Micheal Moore, chi è più cattivo, più cinico e bastardo di una qualsiasi Corporation? Di un’azienda che per profitto non si cura di nuocere nemmeno al suo stesso paese? Basta con ‘sti Villain e le loro perpetue battaglie personali con le loro controparti eroiche, ecco cosa ci voleva per cambiare un pò il filtro dell’aria sotto la cappa satura degli umori della solita zuppa, ci voleva un pò di sano sarcasmo, era ora che qualcun’ altro infilasse un pò di sana morale ecologica nelle sue opere, il bravo Miyazaki, non ce la poteva di certo fare ad educarci al rispetto dell’ambiente da solo! . Ecco la Beyond, e le sue filiali nello sperduto e sconfinato entroterra americano, dove sperimenta nuove assurde armi e nuove improbabili tecnologie.
Ad illustrare il tutto uno Stuart Immonen come Maradona, fuori dal comune, un fuori classe, un cartoonist più che un fumettista, che interpreta perfettamente le fantasie irriverenti di Ellis, con questo suo nuovo tratto assolutamente Pop, absolutely British e absolutely Underground, che fa l’ occhiolino per certi versi alla Tank Girl di Alan Martin e Jamie Hewlett. . Il risultato finale: una miniserie che avrebbe reso Grandi Saghe ancora più preziosa di quanto già non lo sia stata, se qualcuno dei curatori della collana l’avesse proposta, invece ci sono toccati gli Eterni e La vita e la morte di Capitan Marvel, abbiamo preferito il diazepam alla mescalina, e vabbè. Fortuna vuole che i due 100% Marvel dedicati alla miniserie di Ellis e Immonen non siano del tutto estinti, quindi il mio consiglio e di reperirli e di leggerli e prendere coscienza che “Another World is possible” anche nei fumetti. Baci ai pupi. . Gennaro Cardillo
No, non c’era nulla di sbagliato nella verità, nella giustizia e nell’American Way
“Ciò che conta è che sento e ragiono come un americano”, diceva il Superman scritto da John Byrne nel 1986 a Lois Lane, che lo intervistava per la prima volta. Un’affermazione che non dovrebbe stupirci più di tanto, visto che l’Uomo d’Acciaio è stato legato agli Stati Uniti sin dai primordi, cioè da quella Golden Age del fumetto che ha dato i natali alla prima generazione di supereroi. Supereroi americani, nati alle soglie del secondo conflitto (e durante), che spesso e volentieri combattono dalla parte degli USA. E Superman, che sin dai primissimi albi appare in copertina accanto a simboli statunitensi come la bandiera e l’aquila, o in compagnia dei soldati americani, non fa eccezione. Certo, non è nato in America, bensì su Krypton, pianeta estinto. Ma Kal-El è un immigrato (seppur involontario) che sulla terra adottiva ha trovato la sua casa ideale e, quindi, se stesso (e senza dover passare per Ellis Island). Clark Kent è stato cresciuto da una coppia di contadini, gli è stata data un’educazione, gli sono stati impartiti sani principi, pertanto non è improbabile, che l’Uomo d’Acciaio si senta americano, anzi, se ci pensiamo bene è del tutto normale.
Nelle sue storie Superman è fedele alla bandiera ma, è bene
chiarirlo, non per imposizione esterna, anzi. Verso l’autorità è in principio persino indifferente, come si può evincere dalla sua prima avventura, in cui sfonda la porta della casa di un governatore per convincerlo a sospendere una esecuzione ingiusta. E alla polizia quel rude vigilante dai modi spicci non sta troppo simpatico, poiché agisce al di fuori della legge. Quindi la bandiera per Superman rappresenta la gente, non le poltrone. Col tempo le cose si evolveranno, e ci ritroveremo l’Uomo del Domani in buoni rapporti con i politici fedeli all’American Dream, addirittura grande amico di JFK, così amico da arrivare a chiedergli di impersonare Clark Kent perché nessuno sospetti della sua doppia identità. Se non ci si può fidare del presidente, dice il Superman con il sorriso amabile disegnato da Curt Swan, allora di chi?
Ma appunto, nessuna imposizione, nessuna sottomissione. Se questo eroe alieno si sente così a casa in America è perché è grato alla land of free di averlo accolto e accettato. Dopotutto, se gli Stati Uniti nascono grazie agli sforzi di immigrati provenienti da tutto il mondo, allora chi è più americano di chi è riuscito a integrarsi pur venendo da un altro pianeta? Ma attenzione, Superman e i suoi ideali non hanno confini: l’America non è che il punto di partenza per essere cittadino del mondo, dell’universo, dunque non nega mai il suo aiuto chiunque ne abbia bisogno al di fuori degli USA. Non che l’americanità del personaggio sia sempre ben vista dal pubblico. C’è chi, fuori dagli Stati Uniti, la critica aspramente, come se fosse una colpa essere un eroe della finzione creato in America, e ne ha una visione errata. Nel 1986 il Batman invecchiato di Frank Miller si batte con un Superman ormai marionetta del governo, vincendolo grazie alla sua voglia di lottare secondo i propri ideali, che in Kal-El si è ormai spenta. E, agli occhi di lettori poco attenti, quella che è solo una estremizzazione del personaggio voluta da Miller come contraltare del suo Batman vecchio ma puro, diviene la norma e il povero Superman la nomea di strumento del governo non riesce più a togliersela di dosso. Un equivoco duro a morire.
For truth, justice and the American Way!, recitava il narratore dei telefilm anni ’50 The adventures of Superman interpretati da George Reeves. Dunque in italiano diremmo per la verità, e qui ci siamo. Qualcuno dovrebbe combattere per la falsità?
La giustizia, e anche qui, mi sta forse leggendo un pubblico a favore dell’ingiustizia? E l’American Way. Questa non la tradurrei. Una traduzione italiana rischierebbe di essere o fuorviante, o troppo lunga per rimanere impressa. Però, che cos’è l’American Way? Un modo di essere. Un modo di fare. Uno stile di vita, insomma. Qualcosa che gli americani si sentono dentro. La cosa che però pare sfuggire a chi vede in Superman un soldatino del governo è che American Way e governo non sono cose che si equivalgono per forza. Superman ama la sua terra adottiva, e ne ama la gente, i valori. Crede fermamente nella bontà delle persone e fa di tutto per aiutarle perché possano condurre una vita tranquilla. Perché, questo è il punto fondamentale della questione, l’Azzurrone non è uno strumento dei politici. E’ un privato cittadino (americano) che vuole essere vicino alla propria gente, lui che ha possibilità superiori a quelle del suo prossimo. Senza tessere di partito, senza slogan elettorali.
Il Superman originale, quello di Jerry Siegel e Joe Shuster, come già detto non è molto incline al rispetto delle autorità. Preferisce aiutare gli umili, i poveri. Le sue prime avventure pullulano di orfani, senzatetto, lavoratori, che beneficiano del suo supporto. Era forse il burattino di Lex Luthor, quando quest’ultimo fu eletto presidente degli USA? Seppur in contrasto con il nemico di sempre, Superman non poté che rispettare il voto dato dalla maggioranza degli elettori americani del fittizio DC Universe, proprio perché espresso liberamente. Ovviamente, sperando che il popolo capisse di aver scelto male. Il Superman di oggi, scritto da Joe Michael Straczynski, ritorna sulla Terra dopo una lunga sosta su New Krypton, e tenta di riscoprire le proprie radici rinsaldando il legame che c’è tra lui e la Nazione che lo ha ospitato sin dalla nascita, attraversandola a piedi. Tuttavia, per uno di quei sempre meno rari casi di schizofrenia editoriale che affliggono il fumetto americano contemporaneo, mentre la lunga camminata è in corso sulle pagine di SUPERMAN, su ACTION COMICS n. 900 vediamo lo stesso personaggio prendere una
decisione alquanto controversa: per evitare di essere considerato sempre e comunque un portavoce del governo americano invece che un privato che lotta per il bene comune, l’alter ego di Clark Kent decide di rinunciare alla cittadinanza americana. Niente più American Way, d’ora in avanti bisogna pensare su scala globale. Il pubblico americano, prevedibilmente, non la prende bene. E possiamo dargli torto? Il supereroe è l’epica americana di massa. Superman più degli altri, essendo il primo e il più famoso. Al pari della Coca Cola, di Kennedy, di Topolino, di Marylin, della bandiera, di John Wayne… è un simbolo di una società di massa che crea personaggi e simboli a uso e consumo di un largo pubblico. Un pubblico prevalentemente americano, che ora non può fare a meno di sentirsi tradito dalla svolta del proprio eroe a fumetti. Sono fatti così, gli americani. Loro si sentono parte di una grande Nazione, credono nella forza e nell’unità del proprio Paese. E nei suoi simboli. Come durante la seconda guerra mondiale, quando Superman sistemava spie e sabotatori; o come dopo l’attacco alle Torri Gemelle, quando gli appassionati scrivevano alla posta delle collane del personaggio perché sembravano una piazza adeguata per leccarsi quella ferita così inaspettata. Sì, sono nazionalisti, ma l’amore della gente comune per la propria terra io l’ho sempre ammirato.
E io li capisco, gli americani, quando si preoccupano per queste piccole cose: quanto è cambiato (in meglio, in peggio, fate voi) in quella società che guardavamo con ammirazione, qualcuno pure con invidia? Alla fine anche una notizia piccola, piccolissima, come questa decisione di un personaggio dei fumetti di rinunciare alla bandiera, è un esempio di come cambino i tempi, di come cambi una Nazione. Quell’America che faceva sognare noi poveri italiani rimasti con il posteriore in terra e dava sicurezza ai suoi abitanti è oggi così lontana, così come la sua idea di potenza, di grandezza, giusta o sbagliata che fosse. Le quotazioni dell’America, complice una politica estera poco apprezzata in Europa, da un po’ di anni sono in ribasso: guai ad alzare la testa e a dirsi fieri di essere statunitensi, sembrerebbe. Soprattutto se si deve rendere un personaggio normalmente associato alla bandiera appetibile per il pubblico di tutto il mondo, in previsione di un film firmato, tra gli altri, proprio da quel David Goyer che ha scritto il breve racconto di ACTION 900. .
Ve lo sareste mai immaginato venti, trenta, quaranta anni fa Superman che dice basta all’American Way? O meglio: ve la sareste mai immaginata la DC Comics che lo faceva agire così? Autori americani che scrivevano un simbolo americano per un pubblico americano. Orgogliosi della propria nazionalità, come chiunque dovrebbe esserlo, non si sarebbero piegati a un malsano politically correct che pare spinga la DC a mettere le mani avanti dicendo “sì, Superman è un fumetto americano, ma mica se ne vanta, noi non vogliamo essere migliori degli altri, anzi, siamo addirittura peggiori”. Una volta si diceva negro, poi si dovette cambiare in “di colore”. Una volta si diceva handicappato, ma oggi no, si parla di “diversamente abili”. Una volta si diceva americano… andrà a finire che fra un po’ si dirà “diversamente anglosassone” per non turbare chi mal sopporta i nazionalismi altrui. Dieci anni fa Joe Kelly chiedeva provocatoriamente, con il titolo di un suo famoso episodio di ACTION COMICS, Cosa c’è di sbagliato nella libertà, nella giustizia e nell’American Way? In DC devono aver trovato una risposta. Sbagliata.
Francesco Vanagolli
JACOVITTI – Sessant’anni di surrealismo a fumetti
Jacovitti – Sessant’anni di surrealismo a fumetti, di Franco Bellacci, Luca Boschi, Leonardo Gori, Andrea Sani. Prefazione di Gianni Brunoro – cartonato, cm 19,5 x 26, 352 pp con illustrazioni in b/n e inserto a colori – Euro 35,00 – Nicola Pesce Editore [collana L’arte delle nuvole] . “[...] Jacovitti è un autore capace di rappresentare anche lo spirito dei nostri tempi, così vicino all’età del barocco: infatti non è forse l‘horror vacui che ci spinge a riempire la nostra vita di suoni, di rumori di notizie di immagini? Nulla di strano, dunque, che Jac voglia stipare di gente, di cavalli, di mucche, di vermi e di salami anche lo spazio bianco delle sue tavole da disegno.” - (pag. 217, capitolo ottavo “Il linguaggio di Jacovitti”) . Prima di leggere le righe che seguono andatevi a vedere, se già non l’avete fatto, il video book trailer di Jacovitti – Sessant’anni di surrealismo a fumetti, perché, specie in certi casi, le immagini valgon più delle parole! .
Da pochi giorni il più importante saggio su Jacovitti è finalmente anche nelle librerie di varia. Questa è un’ottima notizia perché un immenso talento come quello del Maestro Termolese non può e non deve essere confinato a un solo pubblico di “addetti ai lavori”, appassionati e cultori, ma deve poter essere conosciuto e fruito da quanta più gente possibile. Jacovitti è un patrimonio nazionale, insostituito e insostituibile, e in realtà – grazie ai suoi numerosissimi lavori nel campo della pubblicità – è già conosciuto da un certo, ampio tipo di pubblico, quello diciamo così “non propriamente giovanissimo”; ma i giovani rischiano oggi di vederlo come una figura “antica” e sbiadita, un eroe dei loro padri e nonni. Questo libro, questo vero e proprio scrigno di cose meravigliose, sarà uno degli strumenti, uno dei più importanti, che impediranno il rischio per Jacovitti di diventare un antico fumettista, buono per nostalgie e studi accademici, magari un po’ polveroso… Dopo la scomparsa di ogni artista c’è un periodo di oblio, che può essere breve o lungo o, in alcuni casi perenne, in cui l’artista stesso viene quasi rimosso dalla coscienza collettiva, quasi come fosse, la morte, un peccato da scontare. Dopo questo periodo in genere avviene la “riscoperta” dell’artista le cui opere tornano, finalmente, ad essere patrimonio comune e vivente. La riscoperta di Jacovitti – scomparso nel 1997 – è cominciata da qualche anno (il suo periodo di oblio è stato in realtà inesistente, e questo qualcosa vorrà pur dire!) ad esempio con la ristampa delle storie di Cocco Bill, Zorry Kid, delle sue mitiche e spettacolari “Panoramiche”, dei suoi fumetti del periodo fascista ecc. ecc. Volumi che traboccano di segni e di colori così come Jacovitti – Sessant’anni di surrealismo a fumetti, questo poderoso saggio edito da Nicola Pesce Editore e finalmente disponibile anche nelle librerie di varia, trabocca di informazioni, aneddoti, curiosità, illustrazioni… .
Fermiamoci un momento su quest’ultimo aspetto, le illustrazioni: nel retrocopertina questo saggio viene chiamato “libro d’arte” e la definizione che può sembrar pomposa è anzi azzeccata, in quanto potrebbe essere sfogliato con estremo piacere anche da un analfabeta, tale è la quantità di disegni – e di fotografie – contenuti. Vignette, tavole, manifesti, ritagli di giornale, illustrazioni, splash-pages nelle quali c’è da perdersi: una gioia per gli occhi. In quanto a immagini il libro parte subito bene: in seconda e in terza di copertina sono riprodotte una serie di spassosissime “polaroid” (a costo di spiegazzare il volume ne ho scandita una per mostrarvela, qui a lato) che ritraggono un giovane Jac in mille diverse identità, una più buffa dell’altra! Guardando queste foto un po’ antiche si capisce, o meglio si intuisce molto dell’animo del Maestro. . E ora, in barba alla linearità, una corsa verso la fine del volume, alla parte dell’intervista con Benito Franco Jacovitti, che è stata la prima cosa che ho letto, e sono convinto che moltissime delle persone che hanno già comprato il libro hanno fatto lo stesso. Resistere alla tentazione di tuffarsi subito nella lettura dell’intervista-fiume è quasi impossibile, perché in fondo la voce dell’autore è sempre quella che fa più testo, quella da ascoltare con più attenzione, quella al quale più spontaneamente vanno l’affetto e la commozione dei lettori, specialmente quando, come in questo caso, l’Intervistato non è più con noi. .
L’intervista al Maestro, nella sua prima stesura, comparve nel 1992 sul saggio della Granata Press intitolato semplicemente “Jacovitti”, autori sempre i nostri ottimi Boschi, Gori e Sani; in questa nuova edizione è stata arricchita e aggiornata. E’ un’intervista allo stesso tempo “tecnica” e “confidenziale”, nella quale Lisca di Pesce (questo uno dei nom de plume del Maestro termolese) racconta moltissimi episodi, anzi riassume la sua intera vita artistica; si lascia andare, si toglie qualche sassolino dalle scarpe, si diverte e ride, facendo ridere anche noi. A leggerla si ha la sensazione che quelle chiacchierate le abbia fatte davvero volentieri, in un clima di cordialità e complicità. Confesso di invidiare molto gli intervistatori. Foto, tante, e illustrazioni, tantissime, corredano questo prezioso documento, la parte del libro che mi è particolarmente cara, che ho riletto più delle altre. Perché se è vero e sacrosanto che le parole di un autore sono e devono essere le sue opere, è altrettanto vero che – specialmente quando l’autore non è più con noi – è bello sentirlo parlare ancora.
Jacovitti – Sessant’anni di surrealismo a fumetti non è soltanto illustrazioni e intervistafiume, ma un saggio – pare retorico dirlo, ma è vero: “che si legge come un romanzo” – analitico, che prende in esame in modo approfondito l’intera vita artistica del Maestro termolese, e lo fa in modo cronologico ripercorrendo la sua vita e le sue opere, i passaggi di rivista, le case editrici, la creazione di nuovi personaggi, le influenze avute da altri fumettisti, le controversie, anche politiche, di cui Jacovitti fu protagonista (dal ripudio del fascismo, al suo definirsi un “estremista di centro”, alla “cacciata” da Linus…). Va da sé che un autore, un Personaggio come Jacovitti abbia dalla sua un’aneddotica ricchissima che delizia, e talvolta sconcerta un po’, i lettori di ieri e di oggi. Leggendo il libro si rilegge anche un po’ di storia: la nostra, quella di un’Italia che faticosamente si riprende dal disastro della guerra, un’Italia che spera e cerca di costruirsi. . Avvicinandoci al termine del saggio troviamo i capitoli più analitici e specifici che riguardano il rapporto di Jacovitti con il costume, il suo linguaggio (interessante – anche se non condivisibile – l’interpretazione psicoanalitica) e ad esempio il suo rapporto col macabro e l’ultraviolenza presente nelle storie: ultraviolenza “da ridere” e proprio per questo ancora più interessante da esaminare. Non possono mancare, infine, la cronologia delle storie a fumetti, le illustrazioni, le cartoline, i lavori pubblicitari e un’accurata bibliografia. .
Non ce ne sarebbe proprio bisogno, ma giusto due-parole-due sugli autori del libro: nessun’altro s’offenda se mi azzardo a dire che essi sono oggi il meglio che si possa trovare e sperare in Italia nel campo della saggistica a fumetti. La loro preparazione è rigorosa, seria e documentata, frutto oltre che di una competenza acquisita e sviluppata anche direttamente sul campo, di una passione grandissima, sincera, genuina, onesta. A questo proposito non vengono risparmiate alcune motivate e rispettose critiche riguardo certe fasi del lavoro di Jac. Le critiche sono poche ed è giusto che sia così: Jacovitti non ha combinato molte “sciocchezze” nella sua vita artistica, ma mi premeva sottolineare come questo saggio non fosse un’apologia acritica su un grande maestro, ma un’opera meditata e obiettiva. Grande passione, dunque, piacere di raccontare e onestà: tutto ciò traspare dal libro ed aggiunge valore a un’opera
indispensabile per chiunque ami sinceramente il Fumetto, quello italiano in particolare. .
Orlando Furioso “Jacovitti ha disegnato un po’ di tutto, e i suoi disegni hanno trovato collocazione sui più diversi supporti, cartacei e non (giornali, libri, diari, figurine, medaglie, pupazzi di gomma) e in tutti i possibili formati (dal francobollo al manifesto); gli è mancato solo il disegno tatuato su pelle umana!” (Franco Bellacci, pag. 283 – “Jacovitti: Sessant’anni di surrealismo a fumetti”)
Da Francesco Barilli per “fdc”
Potrà sembrare una excusatio non petita, invece è la realtà: penso spesso a Fumetti di Carta, con piacere e affetto. Così come penso agli anni (e mi fa uno strano effetto pensare: “sì, sono stati anni…”) passati sui forum fumettistici, dalla “preistoria” di Marvel Italia a Comicus. Di questi ricordo soprattutto una cosa: non le discussioni, gli approfondimenti o gli “scazzi”, ma la sensazione “della scoperta”. Era un’abitudine (per me come, credo, molti altri) “provare” fumetti che non conoscevo, dopo che ne avevano parlato utenti con cui avevo trovato affinità di gusti. .Quella fase (in questo momento non sto parlando della collaborazione con FDC – tranquillo, poi ci arrivo! – ma solo della partecipazione ai forum) si è interrotta per un insieme di fattori. Citarne uno come principale sarebbe un errore, tutti hanno compartecipato in uguale misura. I soliti casini di tempo; il fatto che per inclinazione (o forse difetto) alla lunga ogni cosa mi tedia; l’aver constatato che quelle piazze virtuali si
trasformavano spesso in vetrine delle vanità… E altro ancora: non mi sentivo più a mio agio, per farla breve. .
Potrà sembrarti paradossale che io invece di parlarti di FDC ti abbia raccontato tutto questo. Non lo è: per come ho vissuto quel periodo sono esperienze non solo collegate ma consequenziali. Cresciuto come ragazzino “pane e Marvel” non mi sarei mai avvicinato a un forum se quella passione adolescenziale non mi fosse tornata (con notevole spregio delle mie finanze…) negli anni in cui il supereroismo made in USA sembrava vivere da noi una nuova primavera; successivamente non mi sarei avvicinato ad altri fumetti se le discussioni forumistiche non avessero aperto il paraocchi “Uomo Ragno e dintorni” che portavo: cominciare a scrivere i miei commenti (un rigurgito di umiltà mi fa provare imbarazzo a parlare di recensioni, nel mio caso) è stata una conseguenza inevitabile per un grafomane come me. . Qualcuno potrebbe dire che pure il passaggio successivo (ossia: scrivere fumetti) è stato “logico e consequenziale”. Non credo lo sia stato, preferisco pensare al caso. Se conseguenza è stata, lo è stata rispetto al mio impegno civile di scrittore. Inoltre, parlare di me e di quello che sto facendo nel campo dei fumetti m’imbarazza e non vorrei sembrasse un modo “obliquo” per farmi pubblicità: facciamo che quei lavori non ci sono, punto… . Fumetti di Carta, ora. Al contrario di quanto avvenuto coi forum, “l’abbandono” da parte mia di FDC non è stato causato da una serie di motivi, ma solo dal “tempo tiranno”. Non si possono recensire fumetti quando ormai se ne legge pochissimi. E ho passato gli ultimi anni a leggere quasi solo libri o documenti (in particolare atti processuali) sugli argomenti su cui ho scritto o sto scrivendo. . Ma FDC per me è (il presente non è una svista o un espediente retorico, ma bensì testimonianza di un reale stato d’animo) la casa di un amico in cui so di essere sempre ben accetto. Lo seguo, lo “sfoglio virtualmente” (anche se, l’ammetto, non più con la costanza d’un tempo), cerco di non farmi convincere troppo ad altri acquisti: a parte i casini di tempo le condizioni delle mie finanze, in tutto questo mio racconto, sono l’unico dato costante (ma forse è aumentato il mio autocontrollo!). Ne apprezzo sempre, in particolare, il taglio. FDC è un amico sincero, non solo o non tanto mio, ma dei fumetti. Ne parla perché dentro ci sono persone che sentono la voglia (il bisogno?) di parlarne. Per passione, e non per protagonismo, voglia di apparire o desiderio di innescare polemiche. .
Mentre cominciavo questa lettera ho cercato una vecchia cartellina impolverata. E’ finita sommersa da altre carte, ma c’era: dentro, alcuni appunti su Gorazde di Joe Sacco, altri su un ricordo dei Peanuts. Questi ultimi, in particolare, m’hanno fatto sorridere: erano gli spunti per un pezzo particolare, in cui parlavo dei personaggi di Schulz con riferimenti nostalgici ai diari scolastici che avevo ai tempi delle superiori (non so se li ricordi: quelli che per ogni giorno a piè pagina riportavano una striscia di Snoopy e compagnia). Cosa vuoi farci, quando si è sentimentali si finisce col pensare a pezzi del genere: volevo scrivere un articolo per il “dizionario sentimentale dei fumetti” parlando di Peanuts e dei miei ricordi di quell’età… . La cartellina ora non è più impolverata ed è tornata ad occupare una posizione un po’ più in alto nella pila “cose da fare”. Non è molto, ma è già qualcosa. Non starò a prometterti mari e monti, né di riprendere quell’impegno. Più onesto e dirti che ti/vi penso e continuo a seguirti/vi. Con affetto e stima (ma lo sai e l’ho già detto) e con l’interesse di chi sa che, dalle “vostre parti”, potrà sempre trovare qualcosa di interessante. . Un abbraccio!
Francesco “baro” Barilli .
Francesco Barilli è, insieme a M. Fenoglio, autore di “Piazza Fontana”, edito nel 2010 da Becco Giallo. Di prossima uscita un volume su Carlo Giuliani e prossimamente il primo di due volumi su Piazza della Loggia, che usciranno per Beccogiallo. . [Tra coloro che hanno fatto Fumetti di Carta in passato, l'affetto resta sempre vivo e desto, soprattutto a livello personale (che è poi quello che conta davvero). Alcuni di essi hanno accettato volentieri di festeggiare con noi il decimo compleanno della nostra webzine preferita, come ad esempio il "mitico Baro" che ci fa un bellissimo regalo con questa lettera, per la quale lo ringraziamo di cuore. ndO]
Ultimate Spider-Man n. 1
Ultimate Spider-Man 1, di Bendis e Bagley – 48 pp. col, 2,32 euro – Panini Comics . [Luca Grigoli, nuovo, graditissimo collaboratore di Fumetti di Carta, festeggia con noi il Decimo Compleanno della nostra webzine preferita proponendo la recensione di un importante fumetto uscito... proprio dieci anni fa!] . Maggio 2001: esce in Italia il primo numero di Ultimate Spider-Man, apparso negli USA nell’ottobre dell’anno precedente. Si tratta del primo titolo dell’Universo Ultimate, il più ambizioso e organico tentativo, da parte della Casa delle Idee, di rinnovare i propri personaggi più conosciuti, proiettandoli nel XXI secolo. . .
Iniziamo parlando degli autori: i testi sono affidati a Brian Michael Bendis (con la collaborazione di Bill Jemas), che nel primo decennio del Duemila diventerà uno degli autori di punta della Marvel, rilanciando e rivoluzionando i titoli della famiglia dei Vendicatori e orchestrando i maggiori eventi corali dell’Universo Marvel classico. Senza addentrarci nella selva delle disquisizioni pro o contro tale autore, diciamo solo che Bendis risulta molto brillante nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi, ma da molti è “accusato” di indulgere troppo nella decompressione, cioè l’eccessivo diluire della narrazione. Imputazione che risulta non del tutto infondata. . Alle matite troviamo Mark Bagley, attivo e conosciuto già dagli anni Novanta. Tra i suoi lavori possiamo citare New Warriors, The Amazing Spider-Man, dove ha raccolto l’eredità di Erik Larsen, e Thunderbolts. Il suo tratto, pulito e dinamico, rappresenta la migliore evoluzione dello stile Marvel e la sua velocità e affidabilità lo rendono la scelta perfetta per dare continuità grafica a una serie. Non sarà considerato una superstar della matita, ma di fronte alla lentezza e ai capricci di alcune prime donne del tavolo da disegno, la serietà di autori come Bagley emerge luminosa. . A testimonianza di quanto appena detto Bagley rimarrà, insieme a Bendis che proseguirà anche oltre, su Ultimate Spider-Man fino a metà del numero 111 della serie originale americana, stabilendo il nuovo record di permanenza su di una collana, record detenuto precedentemente da Stan Lee e Jack Kirby su Fantastic Four (102 numeri).
Veniamo a questo primo numero di Ultimate Spider-Man. L’obiettivo, da parte di casa editrice e autori, è chiaro: rilanciare il proprio personaggio più famoso, creandone una versione nuova di zecca, non appesantita da decenni di continuity e in grado di attirare nuovi lettori. Dati questi presupposti era lecito e onesto aspettarsi non originalità ma la capacità di rinverdire qualcosa di già scritto, adattandolo ai nuovi tempi. Se la “mission” è questa possiamo tranquillamente dire che Bendis e Bagley si guadagnano la pagnotta. . Per dare un giudizio più analitico ipotizziamo ora due tipologie di lettori, un vecchio marvel fan consumato, disilluso e smaliziato da decenni di letture e un nuovo lettore, giovane e tanto pazzo da volgere le spalle a consolle e videogiochi per acquistare un reperto archeologico chiamato fumetto, e alle luce di queste due differenti sensibilità cerchiamo di spiegare perché l’arrampicamuri versione Ultimate risulta convincente. A dispetto del assunto secondo cui l’anzianità fa grado, partiamo dal lettore giovane. Cosa ci trova un quindicenne in questo albo? Una bella storia, ben scritta e ben disegnata, che narra di un ragazzo, intelligente, timido e osteggiato da compagni e compagne, tranne che da una rossa con due grandi occhi verdi da favola che gli mostra attenzioni di altro tipo (da vedere le ultime due vignette di pagina 6, un gioco di sguardi tra due adolescenti veramente delizioso). Narra inoltre di un industriale senza scrupoli, padre di uno dei compagni di scuola del protagonista, che sacrifica sull’altare del profitto qualsiasi etica e responsabilità. Narra anche dei due dolci genitori adottivi del ragazzo, che sacrificano sull’altare dell’etica e della responsabilità qualsiasi profitto. .
Tutti questi elementi vengono messi in connessione dinamica da un ragno, non più radioattivo ma modificato con un misterioso componente chiamato OZ (qui è evidente l’opera di modernizzazione e attualizzazione rispetto alla lezione di Lee e Ditko del 1962), che durante una visita scolastica all’interno dell’azienda dell’industriale senza scrupoli punge la mano del ragazzo intelligente, timido e osteggiato. L’incidente appare inizialmente privo di conseguenze, ma successivamente esso sembra donare al giovanissimo protagonista strane e straordinarie abilità: egli riesce a scansare in anticipo e con velocità sorprendente uno scherzo crudele di un compagno di scuola, successivamente sfugge con un inconsapevole salto mortale all’indietro al tentativo di assassinio, tramite investimento automobilistico, commissionato dall’industriale, desideroso di eliminare la testimonianza dei suoi esperimenti. Questo primo numero si chiude con il protagonista, Peter Parker se non l’avevate capito, a testa in giù e con i piedi ben piantati sul soffitto della sua camera, che inizia a prendere coscienza dei suoi nuovi poteri, pronunciando le immortali parole: «Ehi. Grande». Cosa ci trova un trentenne/quarantenne in questo albo? Le stesse identiche cose, e a modesto parere di chi scrive questa è la migliore dimostrazione di come Ultimate SpiderMan sia riuscito nel suo intento.
Luca Grigoli
Justice League Elite
Justice League Elite miniserie di 6 numeri, di J. Kelly - D. Mahnke - T. Nguyven - albi spillati 48 pp col. € 2,95 cad. + il Prologo di 80 pagine a colori da € 3,95 – Planeta De Agostini . “Ora capisco perchè la Justice League of America se la prende sempre con gli imbecilli con l’elmetto a punta che vogliono dominare il mondo. I cattivi veri fanno schifo!” – Madre Superiora .
Negli anni ’80 Alan Moore diede umanità alle calzamaglie, l’umanità intesa come spessore psicologico, non come come pietà, compassione ed altruismo, quello le calzamaglie ce l’hanno sempre avuta, a palate. Rese più umani gli dei, più inclini all’errore, tirò fuori il supereroe dalla pagina dei comics lo privò di quella noiosa bidimensionalità comportamentale, buoni e cattivi, e lo rese tridimensionale, e con la terza dimensione lo rese più spesso, più vivo, più vero.
Per quanto possa essere insopportabile, spocchioso, snob, non gli si dirà mai grazie abbastanza al signor Moore, per quel che ha fatto al fumetto negli anni ’80. Moore sta al fumetto, come Fleming è stato alla medicina, non è stato solo rivoluzionario, è stato fondamentale, inequivocabilmente un bene, necessario, per la narrativa illustrata. Come la ruota o il fuoco o lo sciaquone per il genere umano. .
Negli anni a venire la progenie di Moore ha continuato ad innovare, vedi Pat Mills con Marshal Law, vedi Warren Ellis con la sua Authority, hanno continuato il processo di rivoluzione, concentrandosi anche sul contesto, sul mondo dove i loro personaggi vivevano le loro storie, rendendolo più realistico, più simile al nostro, vedi per esempio il futuro dove vive Marshal Law, Mills c’ha privato delle bianche asettiche utopiche città di Asimov, e ci ha rifilato un futuro violento, cinico pericoloso e corrotto. L’evoluzione non si ferma, guai, si soccomberebbe, è una regola universale, vale in tutto, perchè il mondo del fumetto dovrebbe sfuggirle? Negli anni novanta, con “The Authority”, si è fatto un ulteriore passo in avanti, il supereroe è ritornato nei fumetti, deriso, è diventato un personaggio di fantasia, mentre i superesseri del nuovo secolo sono diventati “metaumani”, dove il suffisso “meta” sta per: ” Io sono in grado di fare cose incredibili” è “umano” sta per ” e scelgo di farle per ciò che io persona credo sia giusto”, sia questo rapinare una banca, o bruciare vivo un omicida. . E’ il motivo per cui il l serial televisivo “Heroes”, per lo meno nella prima stagione, ci ha tenuti incollati davanti al televisore. La grande vittoria degli autori della nuova generazione è stata questa: rendere credibile un telepate, o un mutante, o un cyborg, Lee, Kirby, Dikto, Fox, Kane, Shuster e compagnia cantante… e beh loro “dovevano limitarsi a stupire”, era diverso, erano altri tempi, le prime incursioni in una miniera ricca di filoni d’oro nascosti, era diverso il lettore, era il lettore che si rifugiava nelle pagine dei
“pulps”, e chiedeva d’essere stupito, altrimenti perchè chiamarle “Amazing” o “Astonishing”? Poi le cose sono cambiate, c’è stata un inversione, ed è finita che gli eroi, che per sopravvivere dovevano scappare nel nostro mondo, gli autori non dovevano più stupire, era diventata una cosa troppo difficile, dovevano rendere quei personaggi veri, credibili, plausibili, auspicabili, possibili. In “Monsters e Co.”, sublime lungometraggio della Pixar i mostri sono in crisi perchè i bambini non riescono più a provare paura. Quant’è vero. .
Joe Kelly, ha seguito il corso naturale delle cose, anche lui è stato un evoluzionista, e qualche tempo fa rivoluzionò la Justice League, donandole una formazione più consona ai tempi, riprendendo il nuovo e prolifico filone scoperto da Ellis e Hitch, ideò la miniserie “Justice League Elite”, un gruppo di supereroi, beg your pardon, “METAUMANI” che svolgeva missioni sotto copertura, tutte quelle missioni dai risvolti etici e morali discutibili delle quali non si potevano occupare i membri onorari. La prima Elite, capinata dal tremendo Manchester Black, nasce sulle pagine di Superman come nemesi di quest’ultimo, questa formazione originaria deve molto a “The Authority” di Ellis, (hanno persino una sorta di astronave-casa senziente) amorale ed estremista, più volte ricorre all’omicidio per risolvere le dispute con terroristi o supercriminali. La seconda, nata dalle ceneri di questa, non è più gruppo indipendente ma è una cellula segreta della Justice League, ed opera in segreto. . Vera Lynn Black (Madre Superiora, sorella di Manchester), Coldcast, Managerie, Maggiore Disastro, Corvo Manitù, la misteriosa Kasumi e il direttore delle operazioni arabo esperto in spionaggio Naif al-Sheikh, si affiancheranno agli unici due membri fondatori della lega capaci di sopportare il peso di passare il “limite” e dare appoggio a questo oscuro gruppo: Un Oliver Queen particolarmente marpione, ed il miglior Flash che la
casata dei velocisti abbia mai visto, Wally West. Nonostante l’infelice paragone alla ben più imponente “The Authority”, Justice League Elite a mio parere resta un prodotto decisamente godibile, intrighi interni, spacciatori di droga spaziali e perfidi dittatori, sono una parte degli eventi che il buon Kelly confeziona per le avide anse del nostro famelico cervello. .
I dialoghi hanno ben poco da invidiare alle produzioni contemporanee, incalzanti, satirici e taglienti, i personaggi carismatici: questo è quello che Madre Superiora dirà al dittatore del Changsha: “Lei ospita terroristi. gasa il suo stesso popolo, massacra anche chiunque la guardi di traverso, adesso basta!” E lui: “Altrimenti cosa? Mi denunciate ad Amnesty International? O alle Nazioni Unite? cosa vi fa credere che non lo sappiano già? Cosa vi fa credere che possa interessargli? Non abbiamo petrolio o oro qui. La giustizia costa cara mia cara, a meno che qualcuno non sia pronto a pagare, niente cambierà mai” Kelly, in mezza pagina, ci spiega perchè siamo sempre pronti ad “esportare la democrazia” solo in quei paesi con ricchi giacimenti petroliferi. Insomma la perfetta lettura per il pubblico smaliziato di oggi. . Il tratto pulito e preciso di Mahnke illustra più che bene il lavoro di Kelly, di questo autore abbiamo già avuto modo di parlarne in passato, quindi non mi dilungherò oltre, personalmente lo adoro così tanto che mi basta vedere il suo nome su una copertina per comprare un fumetto. Dieci e lode anche per Ngyiven, per il suo lavoro ai colori. L’edizione Planeta conta sei spillati da 48 pagine da 2.95 euro, più un indispensabile “prologo” di 80 pagine a 3.95 euro in cui sono pubblicate le origini dell’Elite e dello scontro con Superman. Quindi 7 albi in totale, con un paio d’anni sulle spalle, ma reperibilissimi, (e svalutatissimi), e calcolando che io li ho trovati in fiera in blocco ad un prezzo scontato, dovrebbe mettere in guardia i curiosi dai soliti squali e mercenari, a cercar bene troverere anche chi ve la
vende per qualche euro, privati e/o fumetterie, quindi lasciate perdere per un attimo i siti porno e cominciate a cercare, e tenete presente questa miniserie, non badate troppo a commenti tipo “Clone di Authority”, JLE diverte ed è scorrevole, e scusate se è poco di questi tempi. Baci ai pupi. . Gennaro Cardillo
N.O.X. – Squadra Speciale Europa
Nox – Squadra Speciale Europa n. 1 “Gioco Mortale” – Alessandro Bottero, testi; Matteo Giurlanda, disegni; Marco Turini, copertina – bimestrale, brossura, 96 pp. b/n, euro 2,70 – Star Comics . Questa primavera la Star Comics ha sventagliato una mitragliata di miniserie sulle edicole nostrane andando a colpire vari generi e gusti. Con questo N.O.X. si cerca di attirare l’attenzione del pubblico amante delle spy-stories, degli intrecci geo-politici e delle macchinazioni dei cosiddetti poteri occulti o forti che dir si voglia. Che cos’è quindi questo N.O.X.? Semplicemente una squadra speciale di militari addestrati al servizio dell’Unione Europea. Negli affari poco chiari descritti in tante storie di spionaggio la parte da leone l’hanno sempre fatta le grandi potenze: americani, russi, mediorientali. Potenze che anche qui fanno sentire il proprio peso ma stavolta la vecchia Europa vuole dire la sua mettendo in campo una squadra che protegga i suoi interessi
composta da un italiano, un portoghese, un’irlandese, una estone, un greco e un rumeno. .
Le prime due pagine, che sinceramente avrei evitato, ci fanno sapere che i N.O.X. “sono i migliori, i bastardi, quelli che si sporcano le mani” etc… e non si inizia nel migliore dei modi. Subito dopo però c’è un’immersione nello scenario politico reale inusuale per una serie da edicola che funziona e incuriosisce. A sentir rievocare fatti riguardanti la questione cecena, l’attentato al Teatro Dubrovka di Mosca e quello alla scuola di Beslan riaffiorano alla mente le angoscianti immagini viste in tanti notiziari all’epoca di questi infami atti di terrorismo. L’autore, Alessandro Bottero, si prende il giusto spazio per presentarci i personaggi e imbastire la trama che come in ogni spy-story che si rispetti non può essere troppo semplice o lineare. In questa fase a mio avviso si cade in alcuni clichè. Il comandante in campo, il nostro connazionale Claudio Striani, ha la fisionomia del solito belloccio, l’esperta in esplosivi Mealla Doherty è ovviamente irlandese con trascorsi con l’IRA (ma perché?), il personaggio che risulta da subito più antipatico è anche quello meno pulito dal quale arriverà il tradimento, c’è la relazione interna al gruppo, ci sono insomma una serie di elementi dal quale sarebbe bene se non addirittura indispensabile cominciare ad affrancarsi per proporre qualcosa che il lettore davvero non si aspetti. Stessa cosa vale per tutta la fase di allenamento dei componenti la squadra.
Non mancano comunque i lati positivi di questa nuova avventura targata Star. Intanto la varietà di scenari: come in pellicole quali la trilogia dedicata all’agente Jason Bourne, anche qui l’azione e le informazioni arrivano da tutte le parti. Roma, Bruxelles, l’Uzbekistan fino alla valle di Fergana sono gli scenari dove agiranno i protagonisti di questa storia. Una storia che, una volta entrata nel vivo, ingrana la marcia e scorre molto bene fino alla conclusione. Inoltre il genere è davvero poco battuto dalla nostrana editoria a fumetti e per almeno parte dell’albo ben sviluppato. I testi e i dialoghi sono corposi aumentando anche il tempo medio di lettura che solitamente richiede un albo del genere e anche questo elemento, non essendo gestito a sproposito, non è affatto un male. Apprezzabili i disegni di Matteo Giurlanda ben realizzati e senza cadute di tono, se non offrono tavole eccelse non presentano neanche particolari sbavature. Solitamente (anche se non sempre) delle opere italiane mi piace visionare per lo meno il primo numero. In questo albo ho trovato un po’ di più di quel che mi aspettavo, ora il mio giudizio non varrà molto (come si dice il mio voto conta 1) ma quel che chiederei agli autori di fare (non questi autori ma agli autori in generale) è di buttare nel cesso quei clichè di cui si parlava sopra per vedere se è possibile tirare fuori storie sempre più interessanti, anche voi non potete negare la veridicità di alcune mie affermazioni.
In conclusione ho trovato in N.O.X. un po’ il contrario di quel che ho trovato in Dr. Morgue. Una storia che potrebbe rivelarsi molto interessante che si dipana su strade poco battute con personaggi più ordinari ancora da sviluppare. Confido ce ne sarà il tempo. . PS: due parole sulla presentazione grafica. Una copertina accattivante potrebbe avere il giusto peso almeno nei confronti di alcuni lettori. Dovrebbe attirare l’attenzione e colpire. Trovandoci di fronte a un numero uno il discorso dovrebbe essere valido a maggior ragione. La Star aveva proposto illustrazioni ottime per le cover di Valter Buio (forse la migliore tra le ultime mini della casa editrice). La strada giusta mi sembra quella, ovvio che ogni progetto si debba differenziare dall’altro, ma qui mi pare che non si centri il bersaglio. L’immagine centrale è davvero poco accattivante e il logo ha molto il sapore di fiction televisiva (quella nostrana purtroppo). Buona anche se poco visibile, l’idea di porre tutto su una cartina politica che potrebbe dare un’idea delle atmosfere presenti all’interno dell’albo. Una cura maggiore avrebbe forse dato migliore visibilità all’albo.
Dario Lopez
Adiós a un Maestro – CARLOS TRILLO (1943 – 2011)
Adiós a un Maestro – CARLOS TRILLO (1943 – 2011) Carlos Trillo è morto improvvisamente lo scorso 8 maggio, ma le sue meravigliose storie ce lo ricorderanno per sempre. A lui si devono alcuni tra i personaggi e tra le serie più importanti della historieta e del fumetto tout-court, da Loco Chavez a Cybersix, da Alvar Mayor a Chiara di notte, dal Pellegrino delle stelle a Spaghetti Bros. e tantissimi altri ancora… Con questa tabella [il link porta alla tabella postata direttamente sul sito di Fumetti di Carta - ndOrlando] vogliamo omaggiare il grande sceneggiatore argentino, vero patrimonio mondiale del fumetto, ricordando le sue opere indicandone insieme ai rispettivi disegnatori, dove possibile, anche i titoli e gli editori italiani dei suoi lavori seriali pubblicati sia all’interno di riviste-contenitore (Linus, AlterAlter, Lanciostory, Skorpio, L’Eternauta, Comic Art, Torpedo, Il Giornalino, iComics) che in albi e volumi monografici. Il vulcanico scrittore stava progettando ancora tante altre storie che senza di lui difficilmente vedranno la luce.
Giovanni La Mantia
10 anni di vita per un sito internet…
"Qui incisero i loro primi brani Elvis e Johnny Cash…devo aggiungere altro?" 10 anni di vita per un sito internet sono un’eternità. Un traguardo notevolissimo! Bisognerebbe trovare la giusta corrispondenza tra un anno di vita dell’uomo e un anno di vita di un sito internet (insomma, se si fa per gli animali si può fare anche per i siti, o no?)… mi sa che ci troveremmo a fare gli auguri ad un fumettidicarta quasi centenario! Ho collaborato per un certo periodo con il sito, e devo dire che è stata una bellissima esperienza. Innanzitutto per la libertà totale nel trattare gli argomenti e poi perchè era bello far parte di un gruppo di persone davvero appasionate di ciò di cui scrivevano. Per chi avesse conosciuto fdc da poco sembrerà strano, ma i miei contributi erano quasi tutti sulla musica. Non so nemmeno io perchè tra i tanti siti musicali mi sia rivolto a fdc per proporre i miei scritti. Fatto sta che il buon Orlando mi ha dato tutto lo spazio che volevo per scrivere di Johnny Cash, di Sam Cooke, di Aretha Franklin e di “Un medico tra gli orsi”… e di moltissimo altro ancora. Se volete, con un minimo di ricerca archeologica,alcuni dei miei scritti li potete ancora trovare on-line. Concludo questo piccolo ritorno a fdc facendo gli auguri al sito, ai collaboratori passati, presenti e futuri e ovviamente al deus ex machina che c’è dietro tutto questo. Un abbraccio di cuore Orlando, e 100 di questi giorni a fdc!!! Pino Paoliello
Alien vs Superman, Alien vs Batman, Alien vs Green Lantern
Fumetti di Carta ‘sto mese festeggia dieci anni, il mese di maggio, pensate, lo stesso mese in cui fece la sua prima apparizione Batman, solo che per lui era il 1939. . Era maggio che nel buio medioevo, bruciarono Giovanna D’arco. Pensate che era di maggio, precisamente il 23 maggio del 1915 che l’Italia decise di mettere fine alla sua neutralità nel primo conflitto mondiale, ed entrò in guerra, furbacchiona, allo scopo di annettere ai suoi territori parte di quel Nord-Italia che invece adesso, che ironia, scalcia per separarsi di nuovo. E poi scusate se è poco, ma come dice Salvatore Di Giacomo: “Era de maggio e te cadeano ‘nzino a schiocche a schiocche li ccerase rosse…”, non era nè di marzo nè di giugno, era proprio de maggio, e in questo stesso mese, il mese della Madonna, recita il calendario di Frate Indovino, Orlando Furioso decise di tirar su Fumetti di Carta. . 10 anni vi potranno sembrare pochi, per esempio per un paese. Per la storia quella con la S maiuscola poi, un’arco di dieci anni cosa volete che sia? Ma non è niente, uno sbadiglio o poco più. Ma nella vita di una persona 10 anni sono tanti, immaginate poi per la passione di una persona, quanti possono essere dieci anni, si, esatto, tantissimi. . La valenza del tempo aumenta esponenzialmente, perchè se in dieci anni una passione non viene meno, può solo aumentare, è come il vino, più invecchia è più è buono. Dicono. Da li è facile minimizzare, che vi frega a voi, voi leggete gli articoli e basta, oddio pure da qui è facile minimizzare, specie per alcuni di noi, che ci son dentro da poco…però sti cazzi! . Scusate, lo so, mi ero ripromesso da qualche mese un fioretto: niente parolacce negli articoli. Ma non è una bestemmia, è una esclamazione, come per dire, “alla faccia de bicarbonato di sodio” (cit. Totò),
come per far notare che non è una cosa da prendere con superficialità, sono dieci anni, che Orlando Furioso ha dedicato ad una sua passione. Il fumetto. E guarda caso è pure la mia, la nostra, e soprattutto la vostra passione altrimenti non sareste qui. Insomma io mi immagino bene una persona che un giorno decide di fondare una webzine sui fumetti, la fatica a coordinare una redazione, esporsi sulla pubblica piazza con questo o quell’articolo, alla mercè di gente con troppa puzza sotto al naso, o con troppi complessi di persecuzione e superiorità, (è capitato a me su quella diavoleria chiamata Facebook, quindi immagino sarà capitato anche a lui). Insomma, io mi immagino ‘sti dieci anni con un bel pò di soddisfazioni, e sicuramente con altrettanti giramenti di coglioni, quindi quando dico “Auguri Fumettidicarta”, sono conscio che dietro c’è veramente tanto, fondamentalmente c’è tanta fatica, e tanta passione, sopratutto tanta passione. Poi ho avuto modo di sperimentare sulla mia pelle la nostalgia di Fumetti di Carta, perciò pure i miei auguri c’hanno una valenza doppia. .
Ora si era deciso, (proposta avanzata dal solito Dario [Lopez], che è un pò tipo, il brillante del gruppo, per esempio, sua l’idea di fare una recensione doppia, una negativa e una positiva sullo stesso fumetto; l’ abbiamo fatto per Marvel Zombie, solo che purtroppo è piaciuto ad entrambi e ci siamo ritrovati a dire le stesse cose, pensate quanto siamo coordinati!), dicevo, si era deciso che per celebrare l’evento, era carino fare un’articolo su un fumetto che era uscito nel maggio 2001. Idea carinissima, e che io sappia accolta con gioia dallo staff, solo che quando si è toccato di scegliere cosa recensire, e beh bel casino, l’unica opzione che mi offriva la parte praticabile della mia cantina piena di fumetti incellophanati, era di parlarvi del neonato (a quei tempi) Ultimate Spider-Man di Bendis… ma dio mio, di nuovo Bendis? Potevo celebrare il compleanno di qualcosa a cui tengo tantisssimo, incazzandomi? Perchè magari adesso sarà migliorato, non lo so, lo ignoro, ma i primi numeri dell’ Ultimate Spiderman di Bendis, dite quel che vi pare, ma io li detesto. . Quindi per celebrare FDC, vi voglio parlare oggi di una trilogia, che si concluse però più o meno in quei tempi, tre mesi dopo la nascita di FDC a dire il vero, ad agosto, ma fa niente. Sarebbe stata decisamente una fortuna sfacciata che, l’ultimo dei tre volumi di cui vi volevo parlare oggi,
cadeva proprio nel maggio del 2001. Oggi si parla delle cattivissime aragostone dei film con la bellissima Sigourney Weaver, e delle loro incursioni in casa DC Comics. Si parla di tre volumi editi dalla compianta Play Press (Torna! Torna! Ma perchè non torni?!) che magari ‘sti mangia bocadillos della Planeta potrebbero anche considerare di ristampare. Visto che ormai, si ristampa tutto. Si parla di Alien versus Superman, Alien versus Batman e in ultimo Alien versus Green Lantern. Brossurati dalla colla latitante (tipico degli albi Play Press) della collana Play Press Presenta rispettivamente i numeri 4 e 5 del 1998 ed un volume fuori serie chiamato semplicemente Lanterna Verde contro Aliens, datato agosto 2001 appunto, i primi due costavano 9.900 lire ed il terzo 17.000 lire, questo ve lo dico per essere precisi, credo che sia anche difficile reperirli ormai, e se ve li siete persi, sappiate che vi siete persi delle godibili variazioni sul tema dei granchiacci dal sangue acido ideati da quel pazzo di Giger. . Serve davvero parlare degli alieni? Direi di no, si potrebbe accennare piuttosto alla loro sfortunata o altalenante o incostante, vita editoriale in Italia. Fu sempre la Play che si occupò della traduzione e pubblicazione dei fumetti di Aliens (editi in america dalla milleriana Dark Horse), dopo una breve incursione in edicola, durata appena otto numeri o poco più se considerate anche la seconda serie, si ritirarono in fumetteria, depositando le loro uova in volumetti speciali destinati a vittime più smaliziate rispetto all’utenza da edicola. . Tecnicamente Superman, Batman etc. contro Aliens non è diverso dai soliti team up, tipo Le battaglie del secolo fatti dalle case editrici DC e Marvel. Vediamoli nel dettaglio: Superman contro Aliens, di Dan Jurgens e Kevin Nowlan – l’autore della Morte di Superman si destreggiò più che bene con la piaga spaziale degli alieni, più che altro perchè tra tutti, Superman era quello che meno poteva temerli, si insomma onestamente cosa avrebbero potuto mai fare all’uomo d’acciaio gli Alieni, in che modo avrebbero potuto mai nuocere all’invincibile papà di tutti i supereroi? Pertanto Jurgens inventò per l’occasione, la città aliena asteroidale di Argo City, e la missione di salvataggio di Superman verso i suoi abitanti, (che pensava fossero kryptoniani sfuggiti all’olocausto). Il viaggio nell’ iperspazio portò Supeman così lontano dal sole (da sempre fonte delle sue incredibili doti) che gli causò la perdita di gran parte dei suoi poteri, rendendolo così un avversario più gestibile per gli insettacci bavosi. Plausibile come soluzione, che però mi suggerì qualche domanda inquietante tipo: Quindi di notte Superman è una pippa? . Altra faccenda spinosa su cui Jurgens dovette mettere le mani fu il congenito boy-scoutismo di Superman, e la sua ferma convinzione a non uccidere nessuna forma di vita (alieni compresi), però se la cavò egregiamente senza stravolgere più di tanto la decennale psicologia del personaggio. I disegni di Nowlan non erano niente di speciale, senza particolari stilisimi, non eccellevano ma nemmeno deludevano. Insomma nell’insieme la prima covata aliena nell’universo DC non fu affatto male, tutt’altro tra i team up lo reputai tra i migliori. Secondo solo al bellissimo Play Book: Alien contro Predator (il fumetto sempre, non quella cagata di film con R. Bova.).
. Arriviamo al secondo appuntamento con l’alieno, stavolta fu il turno di Batman, in regia c’era il bravo Ron Marz e alle matite il mitico Bernie Wrightson, quel geniaccio che illustrò qualche anno prima il bellissimo Play Special: HULK E LA COSA. Anche in questo caso la trama è limitata, ma cosa volete, è per via dei personaggi, insomma, le uniche due cose che fanno questi alieni, da sempre film o fumetto che sia, sono riprodursi ed ammazzare, in più sono muti, non è che ci puoi ricamare più di tanto intorno, ed infatti l’astronave infestata precipitata nelle foreste dell’America Latina ( in tutto e per tutto è la trama del primo film Alien), il solito commandos militare segreto in missione esplorativa con il boss arrogante e la soldatessa carina e pericolosamente ambiziosa ( in pratica la Compagnia, che da sempre vuole addomesticare gli alieni), un Batman particolarmente incazzato e solitario (in pratica Ripley) non si possono certo definire ingredienti originali, ma funzionarono a dovere, e resero anche questo scontro interessante, e il fumetto, un rispettabile brossurato che vi dava un certo tono ad esporlo nella vostra collezione. .
Last but no least, fu Lanterna Verde contro Aliens “Paura infinita”, sempre di Ron Marz, con le matite di Rick Leonardi, se da una parte il volume italiano è spoglio di qualsiasi editoriale c’è da dire che anche in questo caso Marz shakerò bene il tutto, e regalò una miniserie in cui fu interessante notare la differenza del comportamento di due generazioni di Lanterna Verde nei confronti di animaletti così spietati. Alla maniera Silver Age, con Hal Jordan che si limita ad isolarli senza ucciderli, trasportandoli su Mogo, e alla maniera della Lanterna Kyle Rayner, qui ancora un semplice sostituto di Jordan e non ancora membro onorario del corpo, meno filosofica e più pratica, del resto Reyner fa parte di quella schiera di nuovi eroi, meno dei e più umani, quindi di fronte a determinate situazioni, più spicci.
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Hum direi che vi ho detto tutto, riguardo alla trilogia di Alien contro DC comics. Qualche anno fa, 2007 se non erro, Dark Horse e DC riproposero gli scontri, mettendo contro Superman Batman Aliens e Predator, di Shultz, con le bellissime tavole dipinte di Olivetti, ma quella abbiate pazienza, non me la ricordo per niente e poi non c’entra con il pezzo, ci fermiamo al 2001 perchè si festeggia il compleanno di Fumetti di Carta o l’avevate già scordato? Ammazza che teste che c’avete. Buon Compleanno Fumetti di carta 100 di questi giorni, 1000 di queste recensioni (nel senso 1000 recensioni scritte da me, cioè che son tornato e non me ne vado più!) Baci ai pupi, anzi ai corpi ospiti. . Superman contro Aliens, di D. Jurgens e Kevin Nowlan – edizioni Play Press – Play Press Presenta n° 4, feb. 1998, brossurato a colori di 120 pagine circa; Batman contro Aliens , di Ron Marz e Bernie Wrightson – Play Press Presenta n° 5 apr. 1998, brossurato a colori 140 pagine circa; Lanterna Verde contro Aliens, di Ron Marz e Rick Leonardi – Play Press Publishing, volume unico ago. 2001 lire 17000, brossurato colore di 100 pagine circa. . Nota della precisione – sembra che mi sono due ulteriori covate di uova: un Batman vs Aliens 2 ambientato a Gotham edito dalla Planeta, e un secondo Superman contro Aliens che io sappia ancora inedito ( ma mi aspetto che qualcuno mi smentisca), con una guest star cattivissima: Darkseid. . Gennaro Cardillo [per i 10 anni di Fumetti di Carta]
Fantastici Quattro 200
FANTASTICI QUATTRO 200, Panini Comics, 48 pagine, £ 3900 (€ 2,01), maggio 2001, di Carlos Pacheco, Rafael Marin, Jesus Merino, Chuck Dixon, Leonardo Manco. . Non sono mai stato il Marvel fan che compra tutto. Mi piace il Marvel Universe, e tanto, ma non ho mai sentito il bisogno di seguirne ogni collana. Ho sempre avuto un gruppo di testate irrinunciabili, con altre che andavano e venivano a seconda degli autori, e mi è sempre andato bene così. Ricordo un periodo, un bel periodo, in cui quella manciata di collane che seguivo mi entusiasmava. Contavo i giorni che mancavano all’uscita dell’Uomo Ragno, di Capitan America, di Thor e dei Vendicatori… ma i Fantastici Quattro no, loro mi creavano qualche problema. A me i Fantastici Quattro sono sempre piaciuti. Una famiglia di avventurieri, un gruppo di esploratori, dotati di poteri… beh, fantastici, sempre alle prese con minacce cosmiche e pericoli venuti da chissà dove. Come non amarli? Sono un simbolo della grande avventura, del gusto della scoperta. . Però in quel periodo in cui tutta la Marvel mi regalava emozioni ogni mese i Fantastici Quattro non erano granché. Lo scrittore, una vecchia conoscenza dei lettori di comics, sembrava incapace di scrivere storie degne della sua fama. Parlo di Chris Claremont, che evidentemente aveva preso FANTASTIC FOUR per uno spin off degli X-Men. Technet? Genosha? Charlotte Jones? Qualcosa non andava. E il disegnatore era anche peggio. Salvador Larroca, che all’epoca non si aiutava ancora con le fotografie per illustrare dei personaggi realistici, cercava di copiare i manga shonen con pessimi risultati. Ricordo con orrore i
personaggi biondi disegnati come Super Saiyan… e a me Dragon Ball piace, ma se voglio leggere quello… leggo quello.
Passavano i mesi, FQ era sempre il mensile Marvel Italia che compravo più svogliatamente, a peggiorare le cose ci si mettevano pure i comprimari, che non erano proprio imperdibili. Silver Surfer di un DeMatteis che dopo la prima, buonissima annata non aveva più nulla da dire. Miniserie sul Quartetto di infima qualità. Che brutto momento.
Oh, beh, mi restavano le altre collane, alla fine una sola di qualità più bassa la potevo tollerare. Non me la sarei presa con la Marvel per così poco. Poi arrivò un altro periodo, perché si sa, il tempo vola quando ci si diverte. Quella Marvel che tanto apprezavo cominciò a cambiare, se me lo chiedete in peggio. Oh, beh, anche se non me lo chiedete. Con l’arrivo di Joe Quesada come editor in chief al posto di Bob Harras tutte le serie che amavo cominciarono a peggiorare, sia perché la qualità in alcuni casi stava diventando pericolosamente bassa (Thor, Iron Man…) sia perché sembrava che il fumetto di supereroi, quello vero, fosse stato bandito dalle riviste marvelliane a favore di tentativi poco riusciti di imitare la realtà. Dieci anni fa le pubblicazioni italiane erano indietro rispetto a quelle USA di circa un anno. Quindi, mentre arrivavano notizie per me un po’ sconfortanti sulla Casa delle Idee, in edizione italiana potevo ancora godermi le ultime storie della Marvel precedente, quella che gli amanti dell’here and now avevano già bollato come vecchia e fuori moda a favore di novità che ancora non si erano nemmeno viste.
A quel punto, ironia della sorte, l’unica serie Marvel che mi faceva ancora sentire a casa era proprio FANTASTICI QUATTRO.
In Italia terminò infatti la run di Claremont e Larroca e iniziò un nuovo periodo per il Quartetto, quello firmato da Carlos Pacheco, ultimo prestigioso colpo di Harras prima di lasciare il posto a Quesada, colpo con cui si fece perdonare 30 numeri disegnati da Larroca.
Con che numero del mensile? Ma ovviamente con il 200. FANTASTICI QUATTRO 200, maggio 2001. Dieci anni fa, quando nasceva Fumettidicarta. Ecco perché, per celebrare il decennale del nostro sito preferito, ho voluto ricordare questo albo, e come ci si è arrivati. Com’erano belle le tavole di Pacheco, così ricche di particolari, così dinamiche. Dopo decine di numeri disegnati da Larroca (uno che tra l’altro non saltava mai una scadenza) rivedere i Fantastici Quattro disegnati in stile Marvel era una gioia per gli occhi. E la storia… un classico tentativo di Back to the basics, un buon inizio con gli elementi primari delle migliori storie del Quartetto. E Diablo, per strizzare l’occhio al John Byrne che Pacheco aveva adorato proprio sulle pagine degli FQ. In appendice, la prima parte della miniserie in tre numeri di Chuck Dixon e Leonardo Manco dedicata al Dottor Destino. Cover metallizzata, poster, Francesco Meo che mi saluta nella posta, 48 pagine, quell’ingombrante e obsoleto logo del Ritorno degli eroi, prezzo in Lire, variant per fumetterie. Un albo che si potrebbe definire d’altri tempi, e grazie tante, ridendo e scherzando è passata una decade. .
Presto Pacheco si sarebbe rivelato un lavativo che aveva bisogno di aiuti e rimpiazzi un numero sì e uno sì, ma a quel numero 200 che dieci anni fa mi restituiva un Quartetto più che decoroso rimango affezionato. Era un nuovo inizio che riprendeva il meglio della tradizione, in un momento in cui le news provenienti da oltreoceano facevano pensare che la tradizione fosse diventata improvvisamente ingombrante e impopolare. Proprio loro, i Fantastici Quattro, il primo mattone del Marvel Universe, spesso
considerati antiquati relitti, mi ricordavano come si potessero ancora coniugare tradizione, qualità e uno sguardo al futuro. Ma lo si è già detto, i Fantastici Quattro sono esploratori: del futuro non potrebbero certo avere paura… loro lo aspettano, lo affrontano, lo creano.
Oggi FANTASTICI QUATTRO ha superato il 300, ha cambiato due editor, ha 80 pagine e se cerchiamo di pagarlo in Lire non ce lo danno. Sono passati dieci anni e le cose sono cambiate, però, buon per chi ama i fumetti, qualcosa è rimasto com’era: c’era Fumettidicarta, quando compravo FANTASTICI QUATTRO 200 in edicola, e c’è ancora oggi. Qualche certezza nella vita ci vuole e, per fortuna di chi legge fumetti, questo sito è una di quelle. Auguri! . Francesco Vanagolli
EX MACHINA
Ex-Machina - Gli ingranaggi della politica .
Quando il caro Orlando mi ha chiesto di partecipare con un pezzo ai festeggiamenti per il decennale di Fumetti di Carta mi ha fatto un immenso piacere, soprattutto perché non sono certo stato uno dei più assidui tra i passati collaboratori del sito. Non ho esitato nemmeno un attimo ad accettare. Restava però il problema di “cosa” scrivere. Una recensione d’epoca? Una su un fumetto più attuale? Alla fine, ho pensato che mi sarebbe piaciuto parlare di un fumetto uscito nel corso di questo decennio che mi avesse particolarmente colpito. Qualcosa di nuovo, però, che fosse davvero figlio di questi anni e non l’ennesima riproposizione, per quanto bella, di personaggi e situazioni di mezzo secolo fa. Posti questi paletti, la scelta è stata semplice. . Ci sono pochi fumetti di intrattenimento così calati nella realtà contemporanea, così figli dei Duemila, come EX MACHINA di Brian K. Vaughan e Tony Harris. E, spiace dirlo, ce ne sono anche meno che raggiungano gli
stessi livelli di qualità. L’opera di Vaughan e Harris parte da una premessa molto semplice: e se ci fosse stato un supereroe a New York l’11 settembre 2001 (proprio
10 anni fa)? E se questo supereroe, dai poteri peraltro modesti, fosse riuscito a fermare il secondo aereo diretto verso il World Trade Center, salvando così una delle due torri? Quali scenari si sarebbero aperti per la Grande Mela, da lì in avanti?
Mitchell Hundred, ingegnere civile, ha ricevuto in sorte dopo uno strano incidente il potere di “parlare” con le macchine. Può condividere informazioni con esse e “comandarle” come se fossero animali ammaestrati. La sua carriera di supereroe mascherato con il nome di “The Great Machine” è destinata a durare poco, appena un anno. L’attacco terroristico dell’11 settembre, da lui sventato solo parzialmente, lo convince dell’esigenza di fare qualcosa di più che arrestare spacciatori e ladruncoli. È così che decide di rendere pubblica la propria identità e candidarsi alla poltrona di sindaco di New York. La città non ci pensa due volte ad eleggere l’uomo che ha salvato una delle torri gemelle. Diventato primo cittadino, Mitchell dovrà affrontare, nel corso della serie, moltissime sfide, le più toste delle quali saranno non tanto quelle poste dall’elemento fantastico/avventuroso della storia (da dove vengono i suoi poteri? Ci sono altre persone come lui in circolazione? Quale grande minaccia si profila all’orizzonte?), quanto quelle legate al governare una metropoli come New York. Perché, sembra dirci Vaughan, fermare uno psicopatico capace di parlare con gli animali può avere una soluzione semplice come un cazzotto in faccia. Far accettare alla comunità della Grande Mela i matrimoni omosessuali è tutta un’altra storia. . EX MACHINA è un fumetto calato nella realtà contemporanea, dicevamo. Lo è perché affronta temi che fanno parte della vita americana post-2001 in modo schietto, senza troppa retorica, ma
anche senza cinismo gratuito. Il protagonista è un sindaco sicuramente progressista, ma senza estremismi, capace di parlare la lingua della gente comune e, soprattutto, dotato di grande empatia. Un personaggio credibile, che ha le sue zone d’ombra, che non è perfetto ma che ce la mette tutta, fa del proprio meglio. Il cast di supporto che gli orbita attorno, dal vicesindaco Wylie al suo migliore amico e responsabile della sicurezza, Rick Bradbury, passando per il capo dello staff Candice Watts e la stagista Journal, è molto ben caratterizzato e, come in tutte le migliori serie, rappresenta un valore aggiunto non da poco. Vaughan fa davvero un ottimo lavoro sotto tutti gli aspetti: la serie è scorrevole, coinvolgente, e se come il sottoscritto la si legge nell’edizione in volumi è sempre difficile staccarsene. Diverte e intrattiene, offrendo al tempo stesso spunti di riflessione intelligenti senza sommergere il lettore con risposte preconfezionate. Il punto di vista dell’autore è abbastanza chiaro, ma non è mai esposto in modo fazioso e/o fastidioso.
. In generale, la serie ha un ritmo e un tipo di svolgimento molto simili a quelli di una moderna serie televisiva americana, non a caso è stata definita dal New York Times “un incrocio tra The West Wing (Tutti Gli Uomini Del Presidente) e The Greatest American Hero (Ralph Supermaxieroe), ed è un’ottima lettura per tutti i suoi 50 numeri. Una vera boccata di freschezza in un panorama, quello del fumetto USA, sempre più ripiegato su stesso, sempre più teso a riciclare in eterno gli stessi personaggi, situazioni, sempre più attento a tenersi i suoi 100.000 lettori affezionati che non a cercarne di nuovi. In questo contesto, risalta ancora di più la capacità di Vaughan di darci un approccio così fresco all’idea del “primo supereroe in contesto moderno e pseudorealistico”, ormai vecchia e stantia quanto quella del giustiziere mascherato infallibile e incorruttibile, con buona pace di alcuni fan che ancora vedono il cosiddetto “revisionismo” come qualcosa di innovativo.
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Doveroso spendere due parole anche sui disegni di Tony Harris. L’ex disegnatore di Starman fa un lavoro eccellente. Forse, a tratti è un filo troppo dipendente dai propri riferimenti fotografici; un filo di dinamismo in più in alcune sequenze d’azione non guasterebbe, ma stiamo proprio cercando il pelo nell’uovo. La verità è che Harris è una scelta perfetta per una serie come questa, soprattutto grazie alla sua capacità di far recitare i personaggi, curandone il linguaggio del corpo, le espressioni, esprimendo tutte le loro nevrosi, insicurezze e gioie in modo impeccabile. Davanti a lunghe sequenze basate interamente sui dialoghi, Harris non si limita mai a pigri copia-incolla della stessa vignetta ripetuta all’infinito; decide invece di guidare l’occhio del lettore attraverso la scena come un consumato regista cinematografico, scegliendo sempre le inquadrature e le suddivisioni della tavola più efficaci e congeniali. Un lavoro eccelso da parte di un autore davvero maturo, meticoloso e, di nuovo, perfettamente a suo agio con questo tipo di materiale. .
In definitiva, se c’è un fumetto figlio dell’ultimo decennio che dovreste proprio leggere, beh… a mio parere è questo. . Buon proseguimento e tanti auguri a Fumetti di Carta! . Dario Beretta
Dario Beretta è stato redattore e amico di Fumetti di Carta, scrivendo negli anni ottimi articoli su fumetti, musica e cinema. Integerrimo metallaro, fondatore e virtuoso axeman della power-metal band Drakkar , collabora con la webzine Glamazonia. Grazie Dario di aver festeggiato con noi questo Decimo Compleanno!
Giustizieri e vigilanti dopo la Guerra Civile
Giustizieri e vigilanti dopo la Guerra Civile
[Un regalo da Valentino Sergi per gli amici di Fumetti di Carta estratto ed esteso dalla postfazione del volume Garth Ennis – Nessuna pietà agli eroi (Edizioni XII, 2010)]
“[…] come sottolinea Umberto Eco, sarebbe forse più corretto parlare almeno di due postmoderni: uno, artistico, inventato dagli architetti e adottato poi in letteratura, tendente a instaurare con il passato un rapporto armonioso basato sulla rivisitazione, sul pastiche, sulla citazione affettuosa ed ironica; l’altro, di natura nichilistica, elaborato da filosofi come Lyotard, Derrida, Vattimo, fondato sulla messa in questione dell’eredità del pensiero precedente.”[1] Il Rinascimento del fumetto americano – complice la brit-invasion – ha seguito i due binari individuati da Eco, ridiscutendo i codici della narrazione consolidati in anni di immobilismo del mercato. Immobilismo che aveva messo in crisi un business miliardario a tal punto da convincere i vertici delle principali case editrici a cedere un passato glorioso, ma logoro, nelle mani di una nuova generazione di autori consapevoli delle potenzialità del medium; Frank Miller, Alan Moore, Grant Morrison, Neil Gaiman, Garth Ennis, sono solo alcuni dei nomi che hanno innescato un processo alla base di un ripensamento del significato della figura del supereroe. L’opera più emblematica, in questo senso, è The Dark Knight Returns che:
“ha il merito di recuperare atmosfere perdute e definire un nuovo tipo di approccio tematico, psicologico e narrativo al genere supereroico. […] Batman non soltanto non è più l’eroe scanzonato e solare che prende a sganassoni i nemici in abiti carnevaleschi, ma è addirittura un anziano vigilante ormai in pensione, ossessionato dal vuoto esistenziale provocato dal suo disarmo.”[2] Proprio Batman, prima con Miller – in tutti i cicli narrativi da lui realizzati, compreso l’ultimo All Star Batman & Robin –, poi con Moore in The Killing Joke (dove lo sceneggiatore inglese individua, nel confronto con il Joker, la chiave di un’ossessione speculare[3]), si riappropria del ruolo semantico di giustiziere, e così agisce la nuova generazione di supereroi, costretti ad adeguarsi alle minacce del terrorismo e a quelle dell’instabilità delle borse mondiali. “Il ‘giustiziere’ è, secondo lo Zingarelli, un carnefice, un esecutore di condanne capitali o, arcaicamente, un giudice. Nei fumetti, però, ‘giustiziere’ diviene sinonimo di ‘vigilante’, ovvero colui che esercita funzioni di controllo e mantenimento dell’ordine pubblico senza appartenere a un ordine di polizia statale.”[4] Gli (anti)eroi odierni sono, infine, giustizieri, ma alla luce di un panorama segnato dell’inevitabile deriva delle norme e delle coscienze, smarriti re delle ceneri di shakespiriana memoria, incapaci d’imporre valori universali e spesso alla ricerca di un personalissimo riscatto o, ormai trito cliché, di un’ineffabile vendetta. D’altronde, era stato proprio Alan Moore, con il suo Watchmen, ad associare in modo indissolubile un drammatico senso relativista all’archetipo del supereroe.
Watchmen, n. 12 p. 27 © dc Comics. Trad. it. I classici del fumetto di Repubblica serie Oro n. 26: Watchmen – Sotto la maschera, Gruppo Editoriale L’Espresso/Panini, Modena 2005, p. 391: “Sì, è esatto, e forse la creerò [la vita umana. N.d.C.]. Addio Adrian”. “Jon, aspetta, prima di andartene… ho fatto la cosa giusta vero? Ha funzionato alla fine”. “‘Alla fine?’ Niente finisce Adrian, niente ha mai fine”. “Jon, aspetta! Cosa intendi dire…”
Queste riflessioni meta-narrative hanno influenzato per anni (e ancor oggi) un certo modo di scrivere le storie, impregnando di pessimismo anche il filone opposto, quello della rivisitazione fondata sul rispetto e sul rapporto armonioso con la tradizione. Non a caso, Grant Morrison, autore capace di dirimere le contorte fila delle continuity decennali di casa dc con la costruzione di complesse narrazioni enciclopediche in grado di giustificare anche le soluzioni più bizzarre e sconclusionate adottate in passato, ha scelto di scrivere la morte di Batman[5] e Superman[6]. La fine inevitabile del vigilante che, pur se in grado di fornire una giustificazione dignitosa del proprio passato, se non un recupero addirittura glorioso[7], è incapace di confrontarsi con le proprie contraddizioni senza cadere preda dello sconforto o immolarsi per gli ideali che rappresenta (o crede di rappresentare[8]).
Quest’inquietudine, generata dal conflitto tra i due modelli giustiziere/vigilante, è alla base di Civil War, lo scontro epocale tra i supereroi di casa Marvel divisi in due fazioni: i favorevoli all’Atto di Registrazione e i contrari. Coloro disposti a rivelare la propria identità segreta per integrarsi nella società americana, divenendo di fatto un corpo paramilitare, e coloro che ritengono di rivestire una funzione ordinatrice extra-statale, superumana appunto. Mark Millar, la mente dietro al progetto e autore di un’altra importante opera di riflessione sulla figura del supercriminale (Wanted), sceglie due personalità emblematiche come esponenti delle opposte fila: Tony Stark, uomo politico e affarista dentro la corazza ipertecnologica di Iron Man, caratterizzato da profonde contraddizioni personali (un supereroe a capo di una multinazionale che ha prodotto armi di distruzione di massa e continua a sviluppare tecnologie militari[9]); e Steve Rogers, il Capitan America originale, paladino incorruttibile, ultimo sostenitore di un’idea di giustizia universale, del concetto più puro di vigilante. Certo, se riprendiamo la definizione fornita in apertura del paragrafo, la condizione di vigilante, ovvero “di colui che esercita funzioni di controllo e mantenimento dell’ordine pubblico”, sarebbe più consona a Stark e compagni (pur se legalmente inquadrati), mentre i ribelli, guidati da Cap, appaiono più vicini alla condizione opposta, mossi da un’idea di bene in apparenza personale, relativista (in quanto anti-statale). Saranno la scelta di Stark di combattere i “ribelli”, servendosi di criminali assassini, e la morte dello stesso Capitan America, dopo la resa (proprio per non tradire la Causa e diventare, insieme ai propri compagni di lotta, dei meschini giustizieri) a riequilibrare l’equazione, decretando, anche qui, la fine dell’idea di un personaggio integro capace di votarsi a un Bene assoluto senza esitazioni.
Ma se Brecht al suo Galileo fece esclamare: “Felice il paese che non ha bisogno di eroi”, le grandi case editrici americane non sono dello stesso avviso e, superata la notte più profonda della fase nichilista, hanno revisionato ancora una volta i loro paladini, con resurrezioni e recuperi dal passato tanto provvidenziali quanto prevedibili. Unico comun denominatore, la chiara intenzione di: “riscrivere e ricaratterizzare gli archetipi classici inserendoli in una nuova struttura epica”[10], in piena chiave neonarrativa, per adattarsi alla nuova generazione di lettori. Ma questa, appunto, è un’altra – nuova – storia.
Valentino Sergi . [Valentino Sergi è un carissimo amico e speriamo torni presto a collaborare (anche) con Fumetti di Carta. Nonostante la sua giovanissima età, fa un milione e mezzo di cose, e - accidenti - le fa tutte bene! Tra le altre cose scrive saggi, fumetti, racconti, cura volumi e collane per le Edizioni XII , e chissà cos'altro ancora. Seguitelo, ne vale la pena. (ndO)]
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Aicardi Gianluca, M for Moore, Tunué, Latina 2006. Aicardi Gianluca, Sin Cinema, Tunué, Latina 2005. Brubaker Ed, Epting Steve, Capitan America n. 25, Marvel Comics, New York 2007. Edizione Italiana: Supereroi le grandi saghe n. 2: La morte di Capitan America, Panini Comics, Modena 2008. Cooke Darwyn, The New Frontier nn. 1-6, dc Comics, New York 2003-2004. Edizione italiana: I più grandi supereroi della terra nn. 4-5: La nuova Frontiera voll. 1-2, Planeta DeAgostini, Barcellona 2009. Ellis Warren, Granov Adi, Iron Man Extremis in The Invincible Iron – Man nn. 1-6, Marvel Comics New York 2005-2006. Edizione italiana: Supereroi le grandi saghe n. 11: Iron Man Extremis, Panini Comics, Modena 2009. Gaiman Neil, Kubert Andy, Batman: “Whatever Happened to the Caped Crusader?”, in Batman n. 686 e Detective Comics n. 853, dc Comics, New York 2008. Edizione italiana: Batman: Cos’è successo al cavaliere oscuro?, Planeta DeAgostini, Barcellona 2009. Maio Barbara, Uva Christian, L’estetica dell’ibrido. Il cinema contemporaneo tra reale e digitale, Roma, Bulzoni 2003. Millar Mark, McNiven Steve, Civil War nn. 1-7, Marvel Comics, New York 2006-2007. Edizione italiana: Civil War nn. 1–7, Panini Comics, Modena 2007. Moore Alan, Gibbons Dave, Watchmen nn. 1-12, dc Comics, New York 1986-1987. Edizione italiana: I classici del fumetto di Repubblica serie Oro n. 26: Watchmen – Sotto la maschera, Gruppo Editoriale L’Espresso/Panini, Modena 2005. Morrison Grant, Daniel Tony, Batman r.i.p. In Batman nn. 676-681, dc Comics, New York 2008. Edizione Italiana: Batman r.i.p., Planeta DeAgostini, Barcellona 2009. Morrison Grant, Quitely Frank, All Star Superman nn. 1-12, dc Comics, New York 2006-2008. Edizione italiana: All Star Superman, Planeta DeAgostini, Barcellona 2009. Straczynski Michael Joe, Coipel Olivier, Thor nn. 1-8, Marvel Comics, New York 2007-2008. Edizione italiana: Supereroi le grandi saghe n. 16: Thor – Il ritorno del Dio del Tuono, Panini Comics, Modena 2009.
Note [1] Maio Barbara, Uva Christian. L’estetica dell’ibrido. Il cinema contemporaneo tra reale e digitale, Roma, Bulzoni 2003. [2] Gianluca Aicardi, Sin Cinema, Tunué, Latina 2005, p. 34. [3] “I due personaggi esistono in funzione reciproca, sottilmente consci del proprio ruolo e della loro natura simbolica.” Gianluca Aicardi, M for Moore, Tunué, Latina 2006, p. 37. [4] Emanuele Gatti, Batman: il tema del giustiziere (I), «Fucinemute n. 78», Trieste 2005, <http://www.fucine.com/network/fucinemute/core/index.php?url=redir.php?articleid=1250> [5] In Batman r.i.p. [6] In All Star Superman.
[7 ] È il caso di Darwyn Cooke che, con La nuova frontiera, colma, con precisione “storiografica”, il gap narrativo tra l’età d’oro e quella d’argento dei personaggi dc (ovvero il periodo tra la fine della Seconda guerra mondiale e la metà degli anni Cinquanta, poiché in quegli anni gran parte delle testate supereroistiche erano state sospese o sottoposte a un radicale cambiamento a causa dell’onda moralizzatrice dei conservatori).
[8] Neil Gaiman, in Whatever Happened to the Caped Crusader? (narrazione della veglia funebre successiva alla morte di Bruce Wayne descritta da Morrison), suggerisce l’interessante ipotesi che la carriera eroica di Batman non sia altro che un castello di menzogne confezionato ad arte da Alfred Pennyworth, il maggiordomo, giunto a travestirsi persino da Joker per curare il giovane erede dei Wayne dalla depressione successiva all‘omicidio dei genitori. [9] Contraddizione alla base della miniserie Iron Man Extremis, scritta da Warren Ellis, in cui il personaggio rischia la morte nel confronto con un terrorista che ha rubato il progetto di un’armatura biologica proprio dai laboratori delle Stark Industries. [10] Cfr. Valentino Sergi, Appunti sul Neonarrativismo, FucineMute.it 2011 – http://www.fucinemute.it/2011/05/appunti-sul-neo-narrativismo/
Fumetti di Carta: Secret Origins, pt. 2
Quando ho iniziato la “Storia di Fumetti di Carta secondo il mio punto di vista” pensavo di fare una cosa più articolata, spiritosa, sgarzolina o chenesò. Invece è venuto una schifezza – ma io sono della rigida scuola “cosa pubblicata non si tocca!” – soprattutto perché il mio sense of humour non è l’organo più sviluppato che ho e quindi ecco qui la seconda ed ultima parte. Il Decimo Compleanno di Fumetti di Carta, occasione che abbiamo preso come pretesto per fare qualcosa di diverso dal solito, è finito e la cosa più bella è stata avere i contributi di persone che anche se non scrivono più con noi – ma ehi: mai dire mai! – sono e restano Veri Amici di Fdc, persone che al di là della webzine sono stati e sono importanti per me e per il mio cuore.
Grazie, sincero e commosso, a Tutti Quelli che hanno mandato il loro articolo: ci pensate? si sono messi lì, hanno “perso” tempo per pensare, scrivere, cercare le immagini, mandare l’articolo, scrivermi un’email… non è affatto una cosa da poco quella che avete fatto, dico sul serio. Grazie Giovanni La Mantia, Dario Beretta, Pino Paoliello
Grazie anche a Coloro che mi hanno promesso uno scritto e non l’hanno mandato; non ha importanza, davvero: l’importante è che “ci siate” e che continui a circolare affetto. E grazie, naturalmente, a noi stessi, attuali “fumettidicarti”, per quello che abbiamo scritto per festeggiare a nostro modo i Dieci Anni della nostra webzine preferita. Speriamo di durare altri 10 anni e di realizzare qualcuno dei nostri sogni… Uno dei miei? Ok: uno speciale in più puntate sulla scena comics indiana. L’altro è curare la scena comics glbtq. (Quello segreto è imparare a scrivere recensioni) Probabilmente resteranno sogni, ma è comunque bello averne! Allora, via che finiamo: eravamo rimasti a “Dicarta” (urgh!…) e a me stesso medesimo che scrivevo scemenze “emotive” sui fumetti che leggevo. Nel frattempo ero entrato a far parte di una comunità fumettistica numericamente importante, quella di Comicus, forum nel quale cominciavo a farmi un po’ di ossa prima come “forumista” poi come “moderatore”. Una bellissima esperienza che mi ha insegnato molto, ad esempio che io e la diplomazia abitiamo pianeti diversi. Ma a parte questo, quella del forum è stata un’esperienza bella sul serio: c’erano un sacco di belle persone (anche diversi stronzi, ma quelli ci son dappertutto, non ci si può fare granché) e soprattutto c’erano le persone che fecero nascere insieme a me la VERA Fumetti di Carta, una VERA webzine piena di contenuti e di cose interessanti da leggere. Insieme alla nuova webzine, nacque anche un piccolo, ma affollato, forum; agguerrito e zeppo di post fighissimi. Lo chiamammo “il forum dell’Elite” prendendo come spunto l’accusa fattaci da un forumista di Comicus che, probabilmente fan di Liefeld, sentenziò che eravamo “troppo elitari”…
Webzine e forum erano talmente collegati da sembrare quasi la stessa cosa: si discuteva, si litigava anche, si stringevano amicizie, si decidevano gli argomenti per il successivo aggiornamento di Fdc, si raccoglievano stimoli, si rifletteva, si scriveva un sacco. E circolava affetto, a valanghe, se qualcuno là fuori su feisbuc sa ancora cosa significa a parte i “post” con le farfalline e i micetti. Mai più in seguito ho trovato in rete una tale stimolante vitalità. Il Forum dell’Elite mi manca ancora oggi, per farla breve. Ma è e resta un’esperienza irripetibile (come dice il bellissimo libro di Luca Boschi, che però non parla di forum, ma mi andava di citarlo comunque). Purtroppo per me. Fdc decise collettivamente di essere una webzine che si occupava di qualsiasi cosa interessasse chi ne faceva parte, quindi oltre ai fumetti ci si cominciò a occupare di cinema, musica, letteratura e… politica. Situiamo nel tempo tutto ciò: stiamo parlando degli anni 2003 – 2007, più o meno. Io non ero molto felice di questa decisione, pensavo (e penso) che fumetti, libri, cinema e politica siano argomenti troppo vasti per essere accomunati in un’unica webzine, ma ero invece felice di essere in mezzo a così tante persone che, perdonate la frase, si volevano bene e facevano una ‘zine insieme.
Migliorò molto anche la grafica di Fdc: basta sfondi giallini e titoli arzigogoluti, sì passò a massima leggibilità e a una grafica decisamente originale e a una buona, se non ottima, “leggibilità complessiva”, ossia da quasi ogni pagina si poteva avere una panoramica complessiva della ‘zine, cosa che ad esempio non è purtroppo possibile fare con questo blog, quello che state leggendo in questo momento. Fu insomma un periodo splendido e produttivo, “facilitato” anche, per quel che mi riguarda, da una situazione di brutto mobbing che vissi sul posto di lavoro per un annetto circa: il fatto di venire lasciato volutamente in un ufficio da solo, a fare nulla, invece che portarmi alla depressione, mi permise di coordinare – diciamo così – Fdc, partecipare attivissimamente al Forum dell’Elite, stringere rapporti, postare le mie memorie musicali (ah: sono anche un wannabe musicista, quello sì, minch*a!), scherzare un sacco con gli altri fumettidicarti, pigliare pei fondelli i niubbi, comunisteggiare qui e là e via dicendo. Siccome c’è questo luogo comune che tutte le cose belle devono per forza finire, anche questa situazione idilliaca finì. Francamente non ricordo esattamente i particolari, ma sono certo che non litigammo e che in tutta la faccenda molto ebbe a che fare il mio improvviso (beh: apparentemente improvviso…) volere a tutti i costi che Fdc tornasse a occuparsi solo di fumetti e argomenti ad essi correlati. … e rimasi quasi da solo… Restò l’ottimo Francesco Vanagolli – che è a tutt’oggi il fumettodicarto più vecchio dopo di me (d’altronde, in generale, quasi chiunque è meno vecchio di me…), per un po’ Alessandro Bottero, per pochino pochinissimo l’insostituibile – nessuno me ne voglia, vi prego – Luigi Siviero e sostanzialmente basta. Stranamente proprio io che normalmente ho la forza di volontà di un’ameba morta, non mollai tutto. Dopo un po’ arrivò Luigi Bicco, bravissimo grafico e illustratore, che da solo ristrutturò completamente la grafica del sito di Fumetti di Carta (non il blog che state leggendo, che ha un format suo) creando un impatto grafico secondo me bellissimo oltre a un’ottima leggibilità del sito tutto quanto. Col tempo io ho provveduto a
rovinare un pochino questo bel lavoro (non per cattiveria, ma per mia incapacità tecnica) e chissà, forse è per questo che Luigi non è rimasto con Fdc…
Poi arrivarono gli Altri fumettidicarti, e siamo all’oggi, coloro dei quali continuiamo a leggere con piacere gli scritti: Gennaro Cardillo, Dario Lopez, Filippo Messina, Valentino Sergi, Laura Spianelli, Federico Strazzari, Vincenzo Vietato, Joe Ramirez, i Quali, chiariamolo una buona volta per tutte, non sono “collaboratori di Fdc”, ma SONO Fdc. Loro SONO la vostra/nostra webzine sui fumetti preferita. Io sono solo quello che decide l’ordine di pubblicazione degli articoli. Loro, non so se lo sanno, ma se non lo sanno che lo sappiano , sono spesso nei miei pensieri e, che li conosca di persona o meno, voglio loro molto bene. Sono perfettamente razionale in questo momento e nient’affatto commosso, intendiamoci. Sto semplicemente cogliendo l’occasione, sfruttando lo spazio diciamo così, per comunicare ufficialmente un qualcosa che magari non ho mai avuto l’occasione di dire, niente di più. Devo anche ammettere che non è cosa difficile affezionarsi a Persone del genere: sono Persone splendide, partono avvantaggiati, insomma Ci tengo anche a dire – e coraggio, che ho quasi finito – che la redazione di Fdc è aperta a chiunque abbia passione, e rispetto (e un briciolo di competenza, via) per i fumetti. So che arriveranno altre persone, ne sono straconvinto! Scrivete a questo indirizzo e ne parliamo, ok? Fumettidicarta(at)gmail(punto)com Ancora un grazie a Coloro che, magari per una volta soltanto, hanno scelto Fumetti di Carta per pubblicare un loro articolo sui fumetti: Grazie! E GRAZIE, anche se sa un po’ retorico ma invece è sincero, a Quelli/e che passano di qui e ci leggono. Possiate farlo per almeno altri Dieci Anni! …Ehi: la festa è finita, tornate a lavorare perdigiorno che siete!
Orlando Furioso
Wonder Woman n. 1: Odissea
Wonder Woman Nr. 1: Odissea testi: Louise Jones Simonson, Gail Simone, Geoff Johns, J. M. Straczynski; disegni: George Perez, Guillem March, Ivan Reis, Scott Kolins 200 pp , col., € 15,95 – Planeta De Agostini (Edizione originale USA: Wonder Woman # 600 – 606) . Wonder Woman non è mai esistita. Non come la ricordiamo. Qualcuno avvolto nel mistero ha alterato la linea temporale, facendo strage delle Amazzoni, incendiando l’Isola Paradiso e modificando drasticamente il corso degli eventi. Poche cellule di Amazzoni sopravvissute si nascondono ora nella terra dei mortali, istruendo in segreto la principessa Diana, figlia della defunta regina Hyppolita, colei che è destinata a diventare Wonder Woman, e a portare sulle proprie spalle l’eredità morale di una civiltà scomparsa. Wonder Woman, una delle icone fondamentali del cosmo DC Comics insieme a Superman e Batman, ha sempre sofferto di cicliche crisi legate all’età. Bizzarro, considerato che parliamo di una guerriera immortale, anziana di secoli e sempre bella come Venere. Eppure, la principessa Amazzone sembra far fatica a radicarsi nell’immaginario delle nuove generazioni, e ancora una volta, in casa DC, si è deciso per l’ennesimo svecchiamento..
Il ruolo di nuovo demiurgo della principessa Diana è andato a J.M. Straczynski (Spider-Man, Supreme Power) che ha assunto il difficile compito di aggiornare un archetipo già ridisegnato da George Perez in un acclamato ciclo di fine anni Ottanta. Dopo la saga Crisi sulle Terre Infinite, che azzerava decenni di continuity DC, George Perez aveva restituito Diana alle sue radici mitologiche, orchestrando una gustosa rivisitazione delle divinità olimpiche e proponendo un’intrigante ibrido tra avventura epica e racconto supereroistico. Oggi, la Wonder Woman di Straczynski si staglia contro uno scenario metropolitano dove prevalgono toni dark e il buio si tinge spesso di sangue. Straczynski cita dichiaratamente Neil Gaiman, portando in scena personaggi mitologici in una veste urbana e crepuscolare, in certi casi vagamente emo, che ricorda molto la caratterizzazione di Death, Morfeo e degli altri eterni della saga di Sandman. Né mancano ammiccamenti metafumettistici che in qualche modo citano Grant Morrison e il suo storico intervento sul personaggio di Animal Man. . «Gli dei suonano i nostri corpi, le nostre vite… E ogni tanto cambiano il ritmo. Perché? Per il loro interesse… per il loro divertimento…» . Con queste parole, l’Oracolo consultato da Diana allude in modo manifesto ai mutevoli gusti dei lettori, e alle logiche commerciali che regolano esistenza e stile dei personaggi a fumetti. Il restyling di Wonder Woman ha avuto in America una discreta eco mediatica, centrata soprattutto sul look moderno dell’Amazzone, ideato da Jim Lee. Una curiosità è relativa alla vecchia tenuta di Diana, quella discinta, che pare sollevasse perplessità da parte di molte lettrici. Come farebbe Diana a combattere in quella tenuta succinta senza rimanere nuda praticamente tutte le volte? Osservazione legittima, ma comunque peregrina. Quasi tutti gli eroi in costume esibiscono look improbabili. Si pensi alla sventolante cappa di Batman, che nella realtà sarebbe un grave impiccio. Ma tant’è. “Diana è troppo sottovalutata,” recita misticamente una voce fuori campo nelle prime tavole. “E’ il momento di cambiare”. Ed ecco che per rilanciare Wonder Woman nel nuovo millennio, la DC
copre pudicamente le sue primordiali nudità, conferendole un look da agente segreto, le cui pose e curve la rendono molto simile alla marvelliana Vedova Nera.
.J.M. Straczynski conosce il mestiere e offre come sempre una discreta prova narrativa. L’inizio è convulso e violento. Vedere Hyppolita morire tra le fiamme come una strega sottolinea la forza eversiva dell’identità femminile, da sempre temuta e demonizzata dal maschio. L’idea di un popolo Amazzone ormai ridotto al lumicino che vive in clandestinità disperso su tutta la terra sarebbe interessante, ma la caratterizzazione di Diana (qui più giovane della sua versione precedente) non convince del tutto. L’ispirazione mutuata da Neil Gaiman resta in superficie e il tono predominante del racconto ricorda di più registri televisivi, come quello della serie TV Charmed (in Italia, Streghe), con tanto di gatto guardiano parlante. .
La nuova Diana, più che alla DC, sembra appartenere al trend marvelliano dell’etichetta Ultimate. Stesso appeal giovanilistico e un approccio simile alla violenza (raramente si è vista Diana combattere in modo così feroce). La lettura scorre, e le matite di Don Kramer sono piacevoli, ma la vera emozione latita, lasciando prevalere un vago senso di disorientamento per un personaggio che, sia pure riconoscibile, ha perso alcuni degli elementi che lo rendevano caro ai lettori più maturi. La sua innocente saggezza, la sagoma statuaria da divinità greca e l’aura di forza primigenia della natura. Tutto andato, per lasciare posto a una flessuosa ninja in calzamaglia. Paradossalmente, la Wonder Woman del nuovo corso appare più algida e
conformista dell’icona che si voleva svecchiare. . Il volume è completato da una manciata di storie brevi, firmate – tra gli altri – da Geoff Johns, George Perez e Ivan Reis. Quasi un dovuto confronto tra la Wonder Woman tradizionale e quella “vestita” da Straczynski. La corsa della nuova Diana è appena incominciata, e soltanto il tempo potrà dirci se e quanto durerà prima di un ulteriore mutamento o di un altrettanto prevedibile ritorno alle origini. Resta la consapevolezza che gli dei, a qualunque pantheon appartengano, potranno anche cambiare ritmo. Ma nessuno è al riparo dalla stonatura, e per quanto il concerto non sia proprio da fischiare, la sperimentazione non incanta i melomani della vecchia guardia. . Filippo Messina