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2/12/2012 7^ sessione COMPATIBILITÀ DELL’ESTRAZIONE PETROLIFERA CON IL PATRIMONIO GEOLOGICOAMBIENTALE DELLA BASILICATA: IL PARCO NAZIONALE DELL’APPENNINO LUCANO VAL D’AGRI LAGONEGRESE modera: Nunzio Oriolo


paolo macini


L’eredità dell’incidente nel Golfo del Messico e le tecnologie per la sicurezza nell’industria petrolifera Paolo Macini Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali, Università di Bologna, Scuola di Ingegneria e Architettura, Via Terracini 28, 40131 Bologna, Italia.

Parole chiave: idrocarburi, Sicurezza, Blowout, Perforazione, Industria petrolifera Atti del 1º Congresso dell’Ordine dei Geologi di Basilicata,“Ricerca, Sviluppo ed Utilizzo delle Fonti Fossili: Il Ruolo del Geologo”, Potenza, 30 Novembre - 2 Dicembre 2012.

Abstract

L’incidente avvenuto nel Golfo del Messico nel 2010 si è verificato durante la perforazione di un pozzo esplorativo in un fondale di acqua di circa 1500 metri, dove è indispensabile utilizzare impianti di perforazione galleggianti. L’analisi dell’incidente ha messo in luce una catena di errori e coincidenze tecniche, ma è evidente che la causa principale del disastro sia da attribuire alla scarsa ottemperanza delle procedure operative, e non alla mancanza di tecnologia. Questo incidente ha portato alla ribalta i problemi della sicurezza nelle operazioni di esplorazione petrolifera offshore, della disponibilità di tecnologie adeguate a fronteggiare situazioni di rischio e della valutazione preventiva delle capacità di risposta al verificarsi di situazioni di crisi. Le tecnologie per l’esplorazione e la produzione degli idrocarburi hanno oggi un elevato grado di sicurezza, sia negli standard qualitativi, sia nella gestione delle procedure, al pari di tutte le altre attività industriali legate alla produzione di beni. Tenendo conto della morfologia del Mediterraneo e della vicinanza di Paesi, soprattutto nordafricani, che hanno una notevole attività petrolifera, un’eventuale moratoria della ricerca nelle acque profonde italiane, richiesta da alcune parti, avrebbe senso solo se è adottata a livello di bacino Mediterraneo.

Introduzione

Le tecnologie per l’esplorazione e la produzione degli idrocarburi hanno oggi un elevato grado di sicurezza, sia negli standard qualitativi, sia nella gestione delle procedure, al pari di tutte le altre attività industriali legate alla produzione di beni. In generale, gli impianti e le infrastrutture per l’estrazione di idrocarburi sono poco visibili alla stragrande maggioranza dei cittadini, ma producono quantità impressionanti di beni, fondamentali per la qualità della vita moderna. Basti pensare che oggi il mondo utilizza quotidianamente circa 1000 barili di petrolio al secondo (un fiume che riempie giornalmente un serbatoio cubico di quasi 240 metri di lato) e quasi 9 miliardi di metri cubi di gas naturale (un serbatoio sferico di poco più di 2500 metri di diametro). Da sempre l’industria petrolifera è stata promotrice della ricerca scientifica e tecnologica, e la sua evoluzione è stata sempre segnata da una forte attenzione nei confronti della leva tecnologica e dell’ingegnerizzazione dei processi operativi e produttivi, poiché le nuove tecnologie incidono su tutta la catena operativa: esplorazione di nuove aree produttive, perforazione dei pozzi, coltivazione dei giacimenti, ingegneria della produzione e trasporto degli idrocarburi. Dalle tecnologie dipendono tutti i principali parametri operativi e di sicurezza, quali il tasso di successo esplorativo, il fattore di recupero degli idrocarburi, l’efficienza dei campi di produzione e il miglioramento delle condizioni di sicurezza delle operazioni, con conseguente riduzione dell’impatto e dell’impronta ambientale. Un pozzo di produzione è una struttura ingegneristica sofisticata, che permette la produzione degli idrocarburi in condizioni di sicurezza per tempi lunghi (anche diversi decenni), ed è costruito in modo da garantire l’integrità meccanica e idraulica nei confronti dell’ambiente. Ciò significa che un pozzo è dimensionato per resistere alle sollecitazioni delle rocce profonde, ed è realizzato in modo che gli idrocarburisiano sempre confinati al suo interno, e non possano sfuggire accidentalmente dalle rocce che li contengono. La fuoriuscita accidentale di idrocarburi da pozzi in produzione è praticamente impossibile, a

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meno di esercitare rotture intenzionali o azioni violente sulle tubazioni che portano il petrolio o il gas dalla testa del pozzo (in superficie) verso i centri di raccolta (si ricorderanno gli attentati iracheni mirati a distruggere le teste dei pozzi del Kuwait, durante la prima guerra del Golfo: oggi i pozzi moderni sono attrezzati con valvole di profondità “a prova di incidente”, che bloccano la fuoriuscita dopo pochi istanti, per cui quel disastro ambientale oggi sarebbe impossibile). Diverso è il caso durante la fase di perforazione del pozzo, durante la quale possono verificarsi ingressi accidentali di idrocarburi al suo interno. Se questi rimangono confinati nel pozzo, si parla di Kick, mentre se essi fuoriescono nell’ambiente, si parla di Blow out, o eruzione, come quella disastrosa che si è verificata nel Golfo del Messico nell’estate 2010. Il personale tecnico di perforazione è addestrato in modo rigoroso per riconoscere i Kick e mettere in opera tempestivamente una serie di procedure operative (“controllo pozzo”), per impedire che avvenga un’eruzione di pozzo. Le attrezzature di sicurezza per il controllo pozzo, dette anche BOP (Blow Out Preventers), e i comandi per l’attivazione e l’uso delle medesime sono il corredo di sicurezza di ogni impianto di perforazione. I BOP sono un insieme di alcune grandi valvole, collocate sulla testa del pozzo (in superficie), in grado di chiudere completamente il pozzo in poche decine di secondi, in qualsiasi condizione operativa, garantendo la tenuta idraulica anche in condizioni di alta pressione (fino a oltre 1000 bar). I BOP sono progettati per sigillare ermeticamente il pozzo e impedire qualsiasi flusso non controllato verso l’esterno. Le procedure di controllo pozzo sono concettualmente le medesime sia sugli impianti a terra, sia su quelli a mare. Le attrezzature di sicurezza (BOP) degli impianti di perforazione a terra e degli impianti offshore fissi (piattaforme fisse e impianti jack-up, entrambi posati stabilmente sul fondale marino) sono installate sul piano di lavoro, fuori dall’acqua, e quindi sono facilmente accessibili e ispezionabili. Negli impianti di perforazione offshore galleggianti (navi da perforazione o natanti semisommergibili, necessari quando si opera in acque più profonde di 100-120 metri) i BOP si trovano invece ubicati a fondo mare, sulla testa del pozzo (in questo caso sottomarina), e sono realizzati in modo da poter svincolare l’impianto galleggiante dalla testa pozzo in condizioni di sicurezza (emergenza meteorologica, avaria alle linee di ormeggio, etc.). I BOP sottomarini sono molto più complessi di quelli utilizzati a terra, poiché devono essere azionati tramite comandi posti sul natante, ma hanno le medesime funzionalità dei BOP utilizzati negli impianti di perforazione a terra. Data la loro complessità impiantistica, i requisiti di sicurezza cui devono sottostare tali sistemi sono particolarmente severi.

L’incidente del Golfo del Messico (aprile-settembre 2010)

L’incidente avvenuto nel Golfo del Messico nell’estate del 2010 si è verificato durante la perforazione di un pozzo esplorativo in un fondale di acqua di circa 1500 metri, cioè nelle cosiddette “acque profonde”, dove è indispensabile utilizzare impianti di perforazione galleggianti. Non si è trattato dunque di un incidente legato alle normali attività di produzione di un campo petrolifero, bensì di un incidente in fase di esplorazione. L’analisi del disastro ha messo in luce una lunga catena di errori e coincidenze tecniche, ma è ormai evidente che la causa principale del disastro sia da attribuire alla scarsa ottemperanza delle procedure operative, e non alla mancanza di tecnologia. Questo gravissimo incidente ha portato alla ribalta i problemi della sicurezza nelle operazioni di esplorazione petrolifera nell’offshore profondo, della disponibilità di tecnologie adeguate a fronteggiare situazioni di rischio e della valutazione preventiva delle capacità di risposta al verificarsi di situazioni di crisi. Questo incidente, il più grave della storia dell’industria petrolifera, ha portato alla morte di 11 dei 126 operatori membri dell’equipaggio, e alla fuoriuscita di circa 5 milioni di barili di greggio in mare (Griffiths, 2012). L’incidente ha determinato ripercussioni ambientali di enorme portata, ma anche contraccolpi sull’economia locale e, soprattutto, sull’opinione pubblica mondiale. L’eruzione è iniziata il 20 aprile 2010, e ha interessato il pozzo esplorativo denominato “Macondo”, sito in un permesso di ricerca dell’offshore statunitense del Golfo del Messico

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(Mississippi Canyon Block 252), assegnato alla compagnia petrolifera British Petroleum (BP). L’incidente ha provocato l’incendio e il successivo affondamento dell’impianto di perforazione (semi-sommergibile) denominato Deepwater Horizon, di proprietà della contrattista di perforazione Transocean, una delle più grandi contrattiste di perforazione offshore del mondo. Le analisi delle cause e della dinamica di tale incidente mostrano chiaramente l’importanza che riveste il rispetto delle precauzioni e delle procedure di sicurezza comunemente messe in pratica dalle compagnie petrolifere durante le attività di esplorazione e produzione di idrocarburi. Tra queste procedure vi sono, ad esempio, il continuo monitoraggio dei parametri di perforazione, l’elaborazione e la corretta interpretazione dei dati, il riconoscimento tempestivo dei segnali provocati dal verificarsi di un kick e la sua successiva gestione, la manutenzione, il collaudo, le prove di funzionamento delle attrezzature di sicurezza e, non ultima, la formazione e l’addestramento del personale. Nella conduzione di alcune fasi delle operazioni di perforazione sono state disattese alcune importanti procedure comunemente seguite dalle compagnie petrolifere e, dopo l’inizio del blow-out, la gestione dell’emergenza non è stata efficiente. Infatti, i sistemi di sicurezza sul BOP (EDS,Emergency Disconnect System e il Deadman Switch) non sono entrati in funzione: il primo probabilmente a causa di un danneggiamento provocato dall’esplosione verificatasi a bordo, e il secondo presumibilmente a causa di manutenzione non sufficiente degli stessi BOP. In seguito, anche il tentativo di azionaremanualmente le valvole di sicurezza a testa pozzo (poste sul fondale marino, e quindi azionabili direttamente solo tramite ROV, Remotely Operated Vehicles) non ha avuto successo. C’è accordo sul fatto che la causa principale dell’incidente accaduto sulla Deepwater Horizon sia in generale attribuibile alla scarsa ottemperanza delle procedure operative, e non alla carenza di tecnologia (BOEMRE, 2011). Il Presidente degli USA ha istituito una commissione tecnica d’inchiesta, che ha redatto un rapporto in cui specifica le conclusioni cui è giunta dopo un attento esame dell’incidente (National Commission on the BP Deepwater Horizon Oil Spill and Offshore Drilling, 2011); tra queste vi sono: a)la serie di errori commessi mostra il fallimento della gestione del rischio (risk management); b)industria e Governo non erano sufficientemente preparati per gestire i rischi delle attività esplorative in acque profonde; c) è necessaria una riforma della normativa di sicurezza USA; d)l’industria petrolifera necessita di provvedimenti unilaterali per incrementare la sicurezza delle perforazioni offshore; e)vi è un gap tecnologico per quanto riguarda il contenimento e la bonifica delle fuoriuscite di petrolio greggio in mare.

La situazione nei mari italiani

In Italia attualmente esistono numerose strutture di produzione di idrocarburi offshore, tutte collocate su strutture fisse poggianti sul fondale marino, e non galleggianti come quella del Golfo del Messico; tutti gli organi e le dotazioni di sicurezza sono collocate sul piano di lavoro, e quindi a portata degli operatori. A proposito della modesta attività di esplorazione petrolifera nell’offshore italiano, anch’essa utilizza, di norma, impianti che poggiano sul fondale marino. Infatti, la stragrande maggioranza delle acque di competenza nazionale indiziate per la presenza di idrocarburi (soprattutto gas) hanno profondità di poche decine di metri, e fino a profondità d’acqua di circa 100 metri si utilizzano impianti di perforazione poggiati a fondo mare. Le peculiarità dell’attività di esplorazione e produzione petrolifera nell’offshore italiano possono essere così sintetizzate: a)assenza di perforazioni per pozzi esplorativi in acque profonde; b) produzione di idrocarburi offshore per il 92% di gas metano; c)sul territorio italiano e nei suoi mari sono stati raccolti dati geologici da oltre 7000 pozzi, e queste conoscenze sono giornalmente utilizzate nella progettazione e nel controllo delle attività minerarie, siano esse di esplorazione o di coltivazione; d)adozione di tecnologie e standard di sicurezza che hanno consentito,

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negli ultimi 15 anni, di perforare oltre 300 pozzi offshore e circa 400 onshore senza alcuna conseguenza negativa (questi standard non sottraggono, peraltro, gli operatori a un continuo impegno per migliorare le condizioni di sicurezza e i criteri di controllo delle operazioni); e)le attività di esplorazione, di perforazione e di produzione in Italia sono eseguite con tecnologie e standard di sicurezza conformi ai livelli più elevati utilizzati dall’industria petrolifera mondiale; f)le condizioni di giacimento, in termini di pressione e temperatura, sono molto meno impegnative (le pressioni sono nell’ordine di poche decine di bar alla testa del pozzo, ben lontane dagli oltre 800 bar del pozzo in cui è avvenuto l’incidente del Golfo del Messico). Alcune reazioni all’incidente del Golfo del Messico sono state caratterizzate da prese di posizioni radicali che, assimilando tra loro ambienti operativi molto diversi, hanno rinnovato la richiesta di abbandonare ovunque e definitivamente, sic et nunc, ogni nuova attività di ricerca di idrocarburi. Nel nostro Paese, gli operatori petroliferi offshore sono stati convocati dalla Direzione Generale per le Risorse Energetiche e Minerarie, su disposizione del Ministro dello Sviluppo Economico. Sulla base degli elementi emersi dagli incontri, il Governo ha rilevato come non esistano “motivi di preoccupazione sulla sicurezza dei 70 pozzi petroliferi da molti anni in produzione nelle acque italiane”. Inoltre, la Commissione per gli Idrocarburi e le Risorse Minerarie (CIRM) ha sottolineando che: a)la normativa nazionale di sicurezza mineraria presenta caratteristiche di forte modernità; b)le problematiche connesse con la perforazione dei pozzi sono ampiamente trattate; c)la responsabilità è sempre riconducibile chiaramente all’operatore minerario. La Commissione ritiene particolarmente importante il confronto con tutti gli Stati mediterranei, al fine di armonizzare le diverse azioni di tutela ambientale, e di sicurezza, relative alle attività petrolifere offshore, in una logica di sistema integrato per l’emergenza, in particolare per le attività di ricerca di petrolio greggio, che sono prevalenti nelle acque del Mediterraneo meridionale. Infatti, tenendo conto della morfologia del Mar Mediterraneo e della vicinanza di Paesi, soprattutto nordafricani, che hanno una notevole attività petrolifera, un’eventuale moratoria della ricerca nelle acque profondeitaliane, richiesta da alcune parti, avrebbe senso solo se è adottata a livello di bacino Mediterraneo (Martini & Vittori, 2011).

Norme italiane per la sicurezza e la salute dei lavoratori nelle attività di ricerca e produzionedi idrocarburi

Lo Stato italiano attribuisce primaria importanza al lavoro, pertanto la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro sono temi di forte interesse per il legislatore. Per questo motivo, lo Stato italiano si è dotato di una legislazione vasta e uniforme sul territorio nazionale, che è divenuta nel tempo sempre più moderna e all’avanguardia, equiparandosi agli standard normativi internazionali ed europei. Il Decreto Legislativo 19 settembre 1994, n. 626 ha recepito le direttive CEE in materia di miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. Si tratta di una norma rivolta all’individuazione dei rischi lavorativi, alla loro prevenzione ed eliminazione. Tale Decreto è fondamentale per vari settori specifici, ed è precursore di altri importanti atti normativi per la sicurezza sul lavoro, e fa ovviamente tesoro sia della normativa generale precedente (D.P.R. 547/1955, D.P.R. 303/1956), sia dello Statuto dei lavoratori e della Riforma sanitaria. Queste norme già possedevano contenuti tecnici e standard di sicurezza molto avanzati, che sono stati ulteriormente ampliati dal D.Lgs. 626/1994. Quest’ultimo sancisce disposizioni per la salute e la sicurezza dei lavoratori in tutti i settori di attività, pubblici e privati, qualunque sia il numero dei dipendenti. I punti fondamentali toccati dal D.Lgs. 626 del 1994 possono essere individuati nel tentativo di coinvolgere i lavoratori nella gestione dei problemi che riguardano la sicurezza, (ciò avviene ad esempio tramite la nomina di RLS ovvero Rappresentanti Lavoratori per la Sicurezza), nell’identificazione di persone responsabili (ad esempio RSPP, Responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione), nell’impegno per internalizzare gli organi di controllo, ovvero il controllo delle condizioni di sicurezza e di igiene deve avvenire all’interno dell' azienda stessa.

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Un successivo atto normativo importante per la tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro è il Decreto Legislativo 81/2008, comunemente definito Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Tale decreto riordina il sistema legislativo antecedente in materia di sicurezza sul lavoro. Il D.Lgs. 81/2008 ha subito integrazioni dal testo“correttivo” del 3 agosto 2009 n.106.Le principali novità rispetto alla normativa vigente sono contenute nel Titolo I (Principi comuni), e vertono soprattutto sull’estensione del campo di applicazione della disciplina in materia di sicurezza e salute dei lavoratori e sul migliore coordinamento dell’azione pubblica. Il D.Lgs. 81/2008 istituisce inoltre un vero e proprio sistema istituzionale di organismi che hanno il compito di elaborare e applicare le varie misure di prevenzione e protezione, tra cui riveste particolare importanza la Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro. In Italia il settore estrattivo in è oggetto di normative che specificano i principi adottati per la regolamentazione della ricerca e produzione di idrocarburi. La problematica della sicurezza è sempre stata di grande interesse per il legislatore italiano. Il Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547 recante norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ha riconosciuto la specificità del tema della sicurezza nel settore estrattivo escludendolo dal proprio campo di applicazione e destinandolo a una regolamentazione specifica. Il Decreto Legislativo 25 novembre 1996, n. 624 è il principale atto normativo che disciplina la sicurezza nelle attività estrattive, in attuazione delle direttive 92/91/CEE in materia di sicurezza e salute dei lavoratori nelle industrie estrattive per trivellazione, e 92/104/CEE riguardante la sicurezza ela salute dei lavoratori nelle industrie estrattive a cielo aperto o sotterranee. Il D.Lgs. 624/1996 rappresenta la specificazione in ambito estrattivo della vasta normativa italiana riguardante la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro in generale. Esso ha aggiornato e modificato il D.P.R. 9 aprile 1959, n. 128. Il D.P.R. 9 aprile 1959 n.128,che riguarda le norme di polizia delle miniere e delle cave, tutela la sicurezza e l’igiene dei lavoratori nelle attività minerarie e disciplina gli schemi di attuazione delle attività estrattive e minerarie, specificando gli incarichi degli organi di vigilanza e le misure di salvaguardia delle infrastrutture e delle opere antropiche. Esso ha subito integrazioni e modifiche da parte del Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1979, n. 886 al fine di regolare le attività di prospezione, di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi nel mare territoriale e nella piattaforma continentale. Un atto normativo che riporta prescrizioni in materia di sicurezza per le attività delle industrie estrattive di idrocarburi è il Decreto Direttoriale 22 marzo 2011 (Ministero dello Sviluppo Economico), recante disposizioni in materia di sicurezza, modalità di svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e dei relativi controlli, il quale fornisce le procedure operative di attuazione del Decreto Ministeriale 4 marzo 2011 (Disciplinare tipo per i permessi di prospezione e di ricerca e per le concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare e nella piattaforma continentale). L’Italia ha una lunga storia di normative che disciplinano le attività di perforazione. Attualmente, la normativa nazionale di sicurezza mineraria è in grado di far fronte alle esigenze attuali ed è in linea con le più moderne normative internazionali, oltre che dell’Unione Europea. Per questo motivo, grazie anche alle nuove tecnologie sviluppate per l’estrazione degli idrocarburi, le attività di estrazione e coltivazione dei giacimenti di idrocarburi in Italia vantano alti standard di sicurezza, che collocano l’Italia tra i Paesi più all’avanguardia in questo settore.

L’eredità dell’incidente del Golfo del Messico

L’incidente del Golfo del Messico ha provocato in molti Paesi una serie di adeguamenti normativi in materia di attività petrolifera offshore, a volte con reazioni a caldo che hanno portato a normative restrittive e focalizzate sul singolo evento. In Italia dopo l’incidente è stata disposta la sospensione temporanea delle autorizzazioni alla perforazione di nuovi pozzi esplorativi in mare da parte del Ministero dello Sviluppo Economico (tramite la Direzione Generale per le Risorse Minerarie ed Energetiche). Tramite gli uffici territoriali

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di vigilanza sono state inoltre eseguite visite ispettive straordinarie sugli impianti offshore. In Italia pochi mesi dopo l’eruzione del pozzo Macondo, è stato promulgato il Decreto Legislativo 29 giugno 2010, n.128 che apporta modifiche e integrazioni al Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n.152 recante norme in materia ambientale. Con queste modifiche si è posto il divieto di operare all’interno della fascia marina compresa entro 5 miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l’intero perimetro nazionale e si è vietato svolgere attività di ricerca in un raggio di 12 miglia marine dal perimetro esterno delle aree marine e costiere protette. “Ai fini di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, all’interno del perimetro delle aree marine e costiere a qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni internazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4, 6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9. Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia marine dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette, oltre che per i soli idrocarburi liquidi nella fascia marina compresa entro cinque miglia dalle linee di base delle acque territoriali lungo l’intero perimetro costiero nazionale. Al di fuori delle medesime aree, le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti del presente decreto, sentito il parere degli enti locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano ai procedimentiautorizzatori in corso alla data di entrata in vigore del presente comma. Resta ferma l’efficacia dei titoli abilitativi già rilasciati alla stessa data” [D.Lgs. 128/2010, art. 2, comma 3, lettera h.]. In seguito è stato emanato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 4 novembre 2010, che prevede un piano di pronto intervento nazionale per la difesa da inquinamenti da idrocarburi (e di altre sostanze nocive) causati da incidenti marini, in cui sono definiti piani operativi di emergenza nazionale e locale, tecniche utilizzabili nella lotta all’inquinamento marino da idrocarburi, aree marine e costiere particolarmente sensibili, etc. Infine nel Disciplinare tipo per le attività petrolifere del 22 marzo 2011 sono state introdotte prescrizioni aggiuntive alle procedure di sicurezza offshore, con particolare riferimento alla certificazione dei BOP, al miglioramento della formazione tecnica e psicologica e all’addestramento del personale, alla definizione di un sistema di registrazione informatica inalterabile e protetta dei dati riguardanti la perforazione, in modo tale da costituire un valido strumento per l’organo preposto alla vigilanza. Qual è oggi la situazione a oltre due anni dall’incidente nel Golfo del Messico? A parte la sanzione comminata il 14 novembre 2012 dalle autorità Federali alla Compagnia British Petroleum (circa 5 miliardi di dollari) e il prossimo processo civile davanti ai giudici federali (previsto a Febbraio 2013), pare che le problematiche ambientali siano ancora ben lontane dalla soluzione: molto greggio permane ancora sulle zone costiere e nelle aree palustri, e sicuramente volumi non trascurabili giacciono anche sui fondali marini. Inoltre, sembra che ci sia uno strato di greggio in ispessimento intorno alla testa pozzo (Martini & Vittori, 2012). La principale conseguenza per l’industria petrolifera offshore negli USA è stata l’emanazione di norme molto più restrittive, processo che è tuttora in corso e che sicuramente imporrà nuove regole anche a livello internazionale. Nell’Unione Europea, anche se già esiste un robusto apparato di regolamenti in materia, la Commissione Europea ha presentato una bozza di normativa“Regulation of the European Parliament and of the Councilon Safety of offshore oil and gas prospecting, exploration and production activites”; il percorso per la relativa discussione è stato avviato in occasione della riunione dei Ministri dell’Energia il 24 novembre 2011 e proseguirà con meeting e incontri nei prossimi mesi (Ashurst Energy Briefing, 2011). In Europa dal 1989 opera il North Sea Offshore Authorities Forum (NSOAF), al fine di mettere a fattore comune le esperienze con l’obiettivo di garantire un continuo miglioramento nella

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salute, sicurezza e ambiente nelle attività petrolifere nel Mare del Nord. I Paesi costituenti sono: Norvegia, Danimarca, Isole Far Oer, Germania, Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Irlanda. Dal settembre 2010, a seguito dell’incidente di Macondo, su iniziativa della Commissione, è stato attivato un coordinamento delle riunioni del NOAF con gli altri regolatori dell’Unione Europea: ciò al fine di includere nel dibattito sulle problematiche di settore e nello scambio di esperienze tutti i Paesi europei con attività Offshore anche nel Mediterraneo enel Mar Nero, quali Italia, Francia, Spagna, Malta, Grecia, Cipro, Romania e Bulgaria (European Parliament, Committee on Industry, Research and Energy, 2012; Popovici, 2012). L’Italia prende parte regolarmente agli incontri, partecipando attivamente ai tavoli di lavoro sulla base delle rilevanti esperienze nel settore della ricerca e produzione di idrocarburi maturata in cinquant’anni di attività in offshore.

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Ministero dello Sviluppo Economico


PRESIDENZA DEL CONGRESSO Dott. Raffaele Nardone RESPONSABILE ATTI CONGRESSUALI Dott. Raffaele Nardone

COMITATO PROMOTORE| Geol. Carlo Accetta, Geol. Raffaele Carbone, Geol. Filippo Cristallo, Geol. Franco Guglielmelli, Geol. Domenico Laviola, Geol. Maurizio Lazzari, Geol. Raffaele Nardone, Geol. Nunzio Oriolo, Geol. Mary William COMITATO ORGANIZZATORE|Geol. Raffaele Nardone - Coordinatore, Geol. Annamaria Andresini, Geol. Maurizio Lazzari, Geol. Nunzio Oriolo, Geol. Mary William COMITATO SCIENTIFICO|Dott. Raffaele Nardone - Coordinatore, Dott. Fabrizio Agosta, Dott. Mario Bentivenga, Dott. Claudio Berardi, Dott. Gerardo Colangelo, Ing. Ersilia Di Muro, Arch. Vincenzo L. Fogliano, Dott. Ivo Giano, Dott. Fabrizio Gizzi, Dott. Vincenzo Lapenna, Dott. Maurizio Lazzari, Dott. Sergio Longhitano, Ing. Maria Marino, Prof. Marco Mucciarelli, Dott. Lucia Possidente, Prof. Giacomo Prosser, Prof. Marcello Schiattarella, Prof. Vincenzo Simeone, Prof. Marcello Tropeano, Dott. Maria Pia Vaccaro, Dott. Donato Viggiano.

Tre intense giornate di sessioni ed interventi organizzate per i tecnici di tutti gli Ordini e Collegi, Operatori del settore Oil&Gas, Top Manager, Amministratori, Dirigenti e Funzionari della Pubblica Amministrazione, Studenti. L’obiettivo primario è quello di focalizzare l’attenzione sul ruolo che il geologo ha assunto in relazione allo sfruttamento compatibile e sostenibile delle fonti fossili naturali. La tematica verrà affrontata grazie all’intervento di relatori di altissimo livello tecnico ed istituzionale, con interessanti d i b a tti ti e d una t a v o l a ro to nd a su lla ge s t io n e ambientale e formazione professionale .

Proprietà letteraria riservata Editore 1a edizione: 2013

Tutti le immagini sono il frutto della ricerca dei relatori e quindi sono utilizzate in questa pubblicazione ad esclusivo scopo didattico e divulgativo.


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