CITY 3 - settembre 2010 - webzine del club City, Milano - www.clubcity.info - mail@clubcity.info
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CITY
circolo d’immaginazione
SAGGISTICA Intervista a Vittorio Catani Nuove mappe della fantascienza Fantascienza e automobili
NARRATIVA Racconti di Altomare baldini ginelli
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CITY www.clubcity.info mail@clubcity.info
webzine del club City - Milano
settembre 2010 - n. 3 Redazione
Stefano Bon Giorgio Ginelli Mario Sumiraschi
Grafica e impaginazione: Giorgio Ginelli Hanno collaborato a questo numero: Claudio Battaglini, Daniele Baldini, Daniele Barbieri. Illustrazioni interne: Daniele Baldini (58-62-79) M. & J. Kieninger (4) Filippo Marano (14, 72) Per gli scritti © 2010 by Autors
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Immagine di copertina: © Tiziano Cremonini, Airbrush, 1985
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Intervista - Stefano Bon Vittorio Catani
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Sommario
circolo d’immaginazione
Editoriale - Mario Sumiraschi Si ricomincia da 3...
Rubrica - Mario Sumiraschi Vecchie mappe, nuove scoperte Nuove mappe dell’inferno di K.Amis
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Rubrica - Giorgio Ginelli bookVSbook Niffeneger Vs Matheson
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Saggio - Daniele Barbieri Fantascienza e automobili: lo scontro annunciato
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Rubrica - Libramente La porta sull’estate L’uomo dei giochi a premio Assurdo universo L’alternativa
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Racconto - Daniele Baldini Una serata infelice
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Saggio - Mario Sumiraschi Naufragio
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Rubrica - Cinemando District 9 Equilibrium Moon Avatar
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Racconto - Giorgio Ginelli Il vino quantico
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Rubrica - Stefano Bon dr. Jekill e mr. Hyde E venne il giorno
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Racconto - Donato Altomare Cerebrum
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3 Perché dal numero tre? Innanzitutto una spiegazione: negli anni '80 uscirono due numeri di City fanzine, quella aperiodica, con le bellissime copertine di Tiziano Cremonini e con la presenza di autori come Nicoletta Vallorani, Donato Altomare, Alex Voglino, Sergio Giuffrida, Claudio Asciuti, et alter. I due fascicoli li potete leggere nel nostro sito. [CITY1 e CITY2] È da lì che riprendiamo e la numerazione progressiva ci riunisce con il bel tempo passato. Il club City portava con sé un grande numero di appassionati e professionisti e la rivista era inserita in un progetto che comprendeva: pubblicazioni periodiche e non, conferenze, convegni, incontri, attività ludiche, biblioteca, rapporti nazionali e internazionali, promozione letteraria ed editoriale. Riproporci oggi è ovviamente dialogare in una società diversa, con culture e tecnologie che hanno spostato i centri di interesse verso altri lidi, utilizzando una nuova lingua che esterna e ingloba una comunicazione che non ha più frontiere. Decisamente diverso è stato editare una fanzine cartacea negli anni '80; il confronto con l’oggi, in cui una webzine viene prodotta con le tecniche informatiche e spedita in formato elettronico, ci mostra un’escursione di qualità formali davvero enorme. I vantaggi sono tanti, soprattutto nel settore grafico e con la possibilità potenziale di essere letti da un pubblico maggiore. Ma il nuovo progetto City cerca di mediare tra un passato che ancora guarda alla ricerca letteraria, al fascino utopico e distopico, alla consapevolezza della sf come narrativa d’anticipazione in grado di far ragionare, di far arricchire la propria cultura e con la modernità che usa un linguaggio fatto di immediatezza, immagine, continuo ribaltamento, “guerriglia marketing”, consumo e interdisciplinarietà. Le proposte di questo numero si inseriscono appieno in questa programmazione.
Editoriale
Si ricomincia da tre... di Mario Sumiraschi
L’intervista a Vittorio Catani, realizzata da Stefano Bon, evidenzia chi forse più di altri ha saputo dare una continuità al suo impegno nel campo della sf traducendo le spinte intellettuali e di stile della science fiction nella propria narrativa e, encomio da non sottovalutare, sempre presente con la sua garbata e ironica dialettica. Un Vittorio sempre attuale, sempre riccamente immaginifico e impegnato. Si tratta di un’intervista davvero piacevole. Sono presenti poi i primi capitoli di alcune rubriche che speriamo possano essere utili oltre che interessanti: Mario Sumiraschi parte con un suo approfondito studio sui libri di saggistica pubblicati dagli anni '60 agli anni '80, che sono stati la base di conoscenza per tutti noi impegnati in quel periodo. La rubrica si chiama Vecchie
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4 Daniele Barbieri, il giornalista esperto di sf ci ha riservato un articolo a firma “erremme dibbi” (Riccardo Mancini Daniele Barbieri) che tratta l’automobile vista con gli occhi di due autori colti, impegnati e fantascientifici; è anche un modo per ricordare Riccardo Mancini, il fondatore della casa editrice Avverbi scomparso nel 2007. Questo articolo ha già avuto un precedente su un fascicolo del quotidiano “Liberazione”. Mario Sumiraschi si ripresenta con un’analisi dettagliata di un libro pubblicato nel 1975 Naufragio di Charles Logan un vero esempio di narrativa di sf che raccoglie in sé il viaggio spaziale, il rapporto uomo-macchina, uomo-ecologia aliena e uno struggente finale, indimenticabile. Per la parte narrativa Daniele Baldini ci presenta “Una serata infelice” (ed anche sue illustrazioni), un racconto che ci mostra la capacità dell’autore di descrivere una cultura aliena in modo coerente, il tutto condito da una simpatica ironia. Segue il racconto “Vino quantico” di Giorgio Ginelli, un’altra avventura dei tre giovani scienziati che sono già stati protagonisti di un altro racconto pubblicato negli anni '90. La parte narrativa è completata da un esponente di tutto riguardo della sf italiana: Donato Altomare che con il racconto “Cerebrum” ci offre saggio della sua capacità di offrire ottime idee anche sulla dimensione del racconto breve.
After War – © M. & J. Kieninger
mappe, nuove scoperte anche perché questi testi sono praticamente scomparsi e poterli riprendere attraverso uno studio approfondito può essere tuttora fonte di stimoli. Il primo libro studiato è Nuove mappe dell’inferno di Kingsley Amis. Libramente è una rubrica che si occupa di riproporre soprattutto di libri usciti nel passato (ma anche attuali) che hanno lasciato un segno distintivo in chi li ha letti e li si vuole riproporre come invito alla lettura. Un’altra rubrica è book vs book in cui sono messi a confronto due testi analizzando significati e significanti e tracciando similitudini e lontananze convergendo verso un unico soggetto: la creatività letteraria. Un intero settore è impostato come rubrica ed è quello del cinema. Qui le recensioni analizzano uno degli aspetti più interessanti della science fiction odierna: la produzione cinematografica, che forse in questo momento a livello generale rappresenta più che la narrativa il genere fantascientifico. Su questo numero ci sono interventi di Stefano Bon, Claudio Battaglini, Federico Rossi e Mario Sumiraschi. Interessante la rubrica Dr. Jekyll e Mr. Hide nella quale vengono messi a confronto due modi diversi di interpretare e giudicare i film e la somma è ben superiore a due. Passiamo agli altri articoli.
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5 È dagli inizi degli anni Sessanta che la presenza fattiva di Vittorio Catani (nato nel 1940) percorre la storia più importante del fandom e dell’attività editoriale professionistica. Abbiamo potuto leggere la sua narrativa in Galaxy, Galassia, Urania, SFBC, Nova SF, Robot e tuttora su quotidiani e riviste. Il suo primo racconto “Le nevi di Oghiz” comparve in Galaxy nel luglio del 1962 e una delle sue ultime opere (che trattiamo proprio in questa intervista) “Il quinto principio” è stata eletta miglior romanzo del 2010 per il Premio Italia. Da quando può dedicare più tempo (è funzionario di banca ora in pensione) alla gestione del web, Vittorio Catani è attivo con un suo blog e il suo impegno comprende anche un costante e compartecipato dialogo nei social network.
Intervista a
Vittorio Catani di Stefano Bon
Come sei arrivato all’idea di questo romanzo? Quali sono stati gli eventi (storici e personali) che ti hanno portato all’ideazione de “Il quinto principio”?
Come ho avuto occasione di dire già altrove, questo romanzo è nato un po’ per caso. Era l’anno 2000 ed Elisa – mia compagna di vita nonché prima lettrice e critica dei miei scritti – prese a dirmi e ripetermi che era il caso che scrivessi un romanzo. Sono sempre stato un autore di racconti: lunghi, brevi, brevissimi. In 45 anni di attività, il mio unico romanzo restava “Gli universi di Moras”, che aveva vinto la prima edizione del Premio Urania. Per scriverlo avevo impiegato un decennio, perché l’avevo iniziato, poi lasciato per mesi o anni, poi ripreso, e così via. Elisa mi sottolineava che uno scrittore non fa passi avanti se non scrive qualcosa di corposo. Aggiunse che sapeva benissimo quanto fosse impegnativa una storia lunga, ma lei mi avrebbe aiutato lasciandomi indisturbato a scrivere per tutto il tempo necessario. L’idea comunque mi tentava. Potevo almeno provare. Decisi di prendere qualche primo appunto. Questo, per rispondere alla tua domanda circa gli eventi personali che mi hanno spinto a scrivere il romanzo. Quanto a quelli storici, penso che la scelta per me fosse obbligata. Oramai è da un bel po’ che scrivo una sf più che mai collegata al presente. Erano gli anni in cui, la destra al potere, imperversava la “finanza creativa” di Tremonti. Mi duole ammetterlo, ma Tremonti è stato uno dei miei primi ispiratori. Bastava leggere delle pazzesche e suicide “cartolarizzazioni” in programma, certe sue operazioni che “spalmavano” – come subito si disse – debiti giganteschi sulle generazioni future… Inoltre si cominciava a perdere il senso di cosa sia un “bene comune”: il sole, l’aria,
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6 l’acqua, una montagna, un continente. Si insinuava l’idea che il bene comune potesse divenire cosa privata. Privatizzare l’acqua, per esempio. Anni prima sarebbe sembrato follia. Ma ora no, ora contava il business, la speculazione – visto che le risorse idriche si rivelavano solo in apparenza illimitate – e quindi il creare ricchezza appropriandosi d’autorità di ciò che un minuto fa era sempre stato di tutti, o dandolo in appalto a qualche ditta amica, o di un parente. Oppure degradare ciò che fino a quel momento era considerato di primario interesse. La scuola, l’istruzione. Ma sì, dico io, perché non abolirla del tutto? Si risparmierebbero miliardi ogni anno, anche se le strade si riempirebbero di poveri cristi a spasso, ma per la strada c’è egualmente un sacco di gente, che differenza avrebbe fatto? Quanto allo studio, ormai le nuove telecomunicazioni potrebbero adeguatamente sopperire: dentro ci trovi tutto quello che ti occorre. Magari a pagamento, ecco, ma così ciascuno potrebbe attingere in modo guidato al sapere umano, apprendere quanto gli piace e non ciò che gli viene imposto! Non è bello studiare ciò che ci piace? Geniale… Giorgio Scerbanenco diceva che la realtà di tutti i giorni, quello che accade nel mondo in cui noi stessi viviamo, supera di gran lunga l’immaginazione del più fervido scrittore, e così, ispirandosi alla cronaca nera, scriveva mirabili gialli ambientati nella Milano bene degli anni ’60. Per te, invece, che scrivi dell’Italia e del mondo del prossimo futuro, dove sta esattamente la linea di confine tra la realtà e la fantascienza?
Credo di aver risposto almeno in parte nella domanda precedente. Credo che la linea di confine ormai sia caduta. Si fanno progammazioni a medio termine e si sa già ciò che dovrebbe accadere, anche se poi accade tutt’altro. Ma intanto noi non sappiamo che accadrà tutt’altro e il nostro riferimento sono le programmazioni di cui disponiamo. Ed è quindi come se già fossimo nel futuro, sia pure a breve. Ci sono stati eventi che hanno contribuito alla “perdita del futuro”. La caduta del blocco orientale, per esempio. O l’unificazione e globalizzazione (delle merci), che ha avviato meccanismi sociali, economici, psicologici, che potranno dispiegarsi completamente solo in decenni. Ma è stata una faccenda precoce e selvaggia. Ora sappiamo che il nostro futuro sarà difficile, pieno di bolle finanziarie, di razzismo, di un crescente numero di poveracci che vengono dai quattro angoli del mondo a elemosinare nelle nostre strade ciò che gli abbiamo tolto in secoli di razzie; rigurgiteremo di super-megaaziende che avranno il controllo di tutto; di politici mafiosi che si arricchiscono ed emanano leggi liberticide. E noi? Staremo a guardare “L’isola dei famosi”.
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Bon - Intervista a Vittorio Catani
7 In gran parte della sf del XX secolo si guardava all’anno 2000 come a una specie di nuova frontiera della conquista e della conoscenza: non solo la Luna, ma l’intero spazio si apriva all’uomo, novello Ulisse. Cosa è rimasto di questa concezione della sf e soprattutto cosa deve fare la sf per tornare ad appassionare i lettori?
Sì, ricordo bene gli anni ’50-60, quando ancora avevamo un futuro, e lo identificavamo con una cifra simbolo: quella dell’anno 2000. Nel Duemila avremmo avuto una base sulla Luna, astronavi avrebbero scorrazzato per il Sistema solare, forse saremmo approdati anche su Marte, la malattie sarebbero state in gran parte debellate, e magari sarebbero arrivati perfino gli Alieni. Quel futuro non c’è più. Credo che l’unico modo perché la sf appassioni i lettori sia anzitutto l’avventura (la buona avventura non delude mai), ma soprattutto una narrativa che possa farci capire una cosa: il futuro “esiste”, e noi non lo vediamo perché l’attuale società a senso unico ci sta accecando, drogando. Ecco, in qualche modo la sf dovrebbe aiutarci a togliere questo velo dagli occhi. Il tuo libro prende spunto da un’analisi sociale del nostro tempo ed elabora sul medio termine (le vicende si svolgono intorno all’anno 2040) un interessante progetto di società futura. Si torna, insomma, a preoccuparci di quello che sarà, non solo di quello che è e di ciò che si è. L’impressione è che però non ci siano grandi speranze per l’umanità…
Sì, lo so che io prèdico bene ma predìco male. Le mie storie non sprizzano ottimismo, anche se nei finali lascio sempre una speranza, sia pure solo un filo. In effetti, nel profondo, non riesco a pensare che prima o poi la gente non saprà buttare a mare la feccia che ci circonda e prendere le redini: lo farà, se non per coraggio, per esasperazione. Quanto a “grandi speranze”, mi accontenterei anche di… piccole speranze. Non sarà facile ricostruire ciò che si sta distruggendo, a partire dall’ambiente, fino alla cultura, e alla consapevolezza politica di quali siano i diritti elementari dell’uomo, o cosa sia la democrazia. Il tuo romanzo è una fucina di creatività e geniali invenzioni e credo non sia azzardato ritenere che alcune di queste possano un giorno diventare realtà: vuoi parlarci della pem e della gestalt?
pem e “gestalt” (è tedesco e andrebbe in maiuscolo, ma mi sembra ingombrante) sono idee nuove, ma fino a un certo punto. Se volessi semplificare, direi che la pem è semplicemente l’attualizzazione tecnologica di un tema vecchissimo della sf: la telepatia. Ho pensato di modellare l’uso dell’aggeggio in modo da ricalcare da vicino la struttura di Internet. Una Internet mentale. Per il 2000 – anno in cui cominciai a scriverne – poteva apparire davvero una novità, temo che oggi lo sembri molto meno. Comunque non è la prima volta che ho usato apparecchiature del Bon - Intervista a Vittorio Catani
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SOTTO - Generazione di mappe cerebrali e modelli anatomici. Un esempio di ciò che è possibile ottenere con le avanzate tecnologie di analisi della struttura cerebrale (Thompson et al., 2001). Le mappe in 3D mostrano come si differenziano le strutture cerebrali basandosi su un modello di cervello medio, in riferimento al rischio di contrarre una malattia.
genere, o simili, e me n’ero scordato. Qualche giorno fa scorrevo un mio racconto dei primi anni Ottanta, “Oh, Leviathan!”; i protagonisti avevano un apparato a forma di casco che aveva qualche attinenza con la pem. In un altro racconto di fine anni Ottanta, “Storia di un «uomo»”, il protagonista prima di morire svuota via cavo i suoi ricordi migliori nella memoria della donna che ama. Sono convinto che questa apparecchiatura, la pem, prima o poi verrà costruita. Ci sono stati, negli ultimi anni, notevoli progressi circa le protesi innervate grazie alle quali si può spegnere la luce in una stanza solo col pensiero, o scrivere su un computer grazie al movimento degli occhi. Fondamentali in questo settore le esperienze di un geniale medico inglese, Kevin Warwick, finalizzate soprattutto a favorire i disabili. C’è poi l’apparato per il brain imaging, che ci sta svelando segreti del pensiero (fra l’altro sta dimostrando che l’inconscio, ipotizzato da Freud, esiste davvero). Anni fa (2005) un dipendente della Sony ha brevettato un’apparecchiatura che emette ultrasuoni in modo tale da sollecitare sensazioni nel cervello (suoni, odori, immagini). [approfondisci: æ] Leggendo questa roba la pem non appare poi così lontana. Quanto alla “gestalt”, mi piaceva questa idea del gruppo che di-
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Bon - Intervista a Vittorio Catani
9 viene più della somma delle sue parti (come dire che l’unione fa la forza) e riesce ad abbattere il potere. Anche la gestalt inventa ben poco di nuovo. Sempre con riferimento alla vecchia telepatia, ricordo antiche storie di telepati che si riunivano in gruppo per “fulminare” mentalmente il nemico. C’è tanta roba, in questo momento mi viene alla mente il romanzo “Operazione Apocalisse” di Henry Kuttner (primi anni ’50) e un romanzo di Olaf Stapledon, “Last and First Man”, addirittura del 1930. Anche le auto volanti a idrogeno (“skycar”) non sono una novità assoluta: ci sono progetti, e immagino che verranno realizzati. Quindi io ho solo aggiornato alcune idee. La maggior parte però sono di mia invenzione. Perché la pem? Qui so risponderti molto meno. Era interessante l’idea di una roba simile diffusa come oggi il cellulare. Un’umanità ingabbiata dai suoi stessi pensieri, nel bene e nel male. Suppongo che, realizzata, sarebbe un aggeggio infernale. La Terra descritta ne “Il quinto principio” è, sotto certi aspetti, un Inferno ben peggiore del mondo attuale: perfino Diaspar (anagramma incompleto di “Paradiso”, giusto per citarti) nasconde orrori che solo certi film horror hanno avuto il coraggio di denunciare, fosse solo per fare cassetta (penso a Hostel in particolare) e, recentemente, ripresi in altra forma nell’immenso libro Bay City di Morgan. Oggi si è disposti quasi a tutto per 15 minuti di notorietà, domani a tutto, sembra di capire…
Giusto. Un lettore, conosciuto casualmente in rete, mi ha detto che ho esagerato nell’amplificare certe storture, che finiscono con l’apparire poco credibili. Tutte insieme: schiavizzazione, pedofilia, ambiente in malora, indebitamenti etc… È troppo! Gli ho risposto ricordandogli che mi sono limitato a parlare di ciò che c’è già. Se esiste tutta questa roba oggi, perché appare esagerato che ci sia anche domani, magari in peggio? Chi ha letto – a suo tempo – il romanzo di A.C. Clarke La città e le stelle si accorgerà che “Diaspar” è un nome ripreso di sana pianta da lì. Nel romanzo di Clarke, Diaspar è l’ultima città rimasta sulla Terra dopo una antichissima catastrofe di cui si è persa la memoria. Diaspar è una megalopoli totalmente computerizzata (l’autore non usava questo vocabolo, il romanzo è dei primi anni ’50); le persone possono nascere e morire quante volte vogliono, perché possono conservarsi in forma immateriale nei Banchi Memoria (incredibile quanto fosse avanti con la fantasia Clarke!). La storia parte quando nasce Alvin, che non ha alcun ricordo delle sue vite precedenti. Alvin è “nuovo”: chi è, e perché è “nato”? Queste idee – e il resto del libro – mi colpirono enormemente; Diaspar era una specie di utopia informatica, ma un’utopia a cui mancava qualcosa. Più o meno come Città Grande. Bon - Intervista a Vittorio Catani
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10 Particolare importanza riveste poi il richiamo alle risorse in esaurimento del pianeta, sfruttato oltre ogni limite. Nel romanzo si assiste, ad esempio, all’asta tra i potenti del pianeta che cercano di accaparrarsi l’intero continente dell’Antartide. Tu che vivi in una regione come la Puglia, al centro di duri scontri politici attorno al progetto di privatizzazione dell’acqua, come vedi questo aspetto non solo legato al territorio in cui vivi?
Ne ho detto un po’ più sopra. Appropriarsi dei “beni comuni” è un obbrobrio, un delitto sociale che andrebbe punito con l’ergastolo. Se le risorse idriche scarseggiano, i governi dovrebbero adoperarsi per far sì che si conservino, siano gestite nel migliore dei modi, siano rese accessibili a tutti, non avvengano speculazioni, e che non siano sprecate o inquinate. Ma io sono un utopista… La schiavitù, ci hanno insegnato a scuola, era una pratica disumana in voga nei secoli passati e retaggio di una società fondata sugli equilibri del potere: oggi sappiamo che la schiavitù non è mai davvero scomparsa, anche in Italia, come riscoperto grazie ai fatti di Rosarno. Nel tuo romanzo ho avuto l’impressione che l’umanità intera viva in una condizione di sostanziale schiavitù, non solo gli oppressi e i reietti, ma anche gli uomini liberi: come se fosse la Terra stessa a reclamare una sorta di resa dei conti con l’uomo che l’ha schiavizzata dal momento della sua comparsa?
Sei l’unico fra i lettori di mia conoscenza, almeno finora, che ha colto questo aspetto. In effetti può sembrare che sia la Terra a ribellarsi. O comunque la Natura violentata. Un po’ è così, ma non ho voluto premere il pedale su questo punto; non mi allettava l’idea di un pianeta “vivo” (v. Gaia) con relative conseguenze, piuttosto esoteriche. Diciamo che ho istillato un dubbio… Veniamo ai personaggi: chi è tra essi il tuo personale eroe, il tuo preferito, insomma, quello che senti più vicino a te e al tuo modo di essere?
È certamente Alex. Credo che sia anche il più “compiuto”, insieme a Yarin. La narrazione avviene attraverso prospettive differenti, una per ognuno dei protagonisti, quanto ti è costata in termini di fatica e organizzazione del lavoro una scelta del genere? E, ancora, da diretto interessato, come hai proceduto nella stesura del romanzo per rendere omogeneo il tutto?
Il romanzo “corale” – ho sperimentato, perché è la prima volta che mi cimento – richiede una sua tecnica di scrittura. Ci sono le storie A, B, C, D, etc. Una delle convinzioni che mi sono fatto subito, è che non le puoi scrivere contemporaneamente (dieci pagine di A, poi più o meno altrettante delle altre). Devi scriverle una per volta, ma non intere, a meno che tu non abbia steso una scaletta dell’intero romanzo, precisissima in tutti i suoi punti; cosa che però non ti riuscirà mai di portare a termine tale e quale, perché strada facendo ti accorgi che certi fatti occupano meno o più pagine di quanto pensavi e quindi
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11 non avviene ciò che doveva avere conseguenze in contemporanea nella storia di C, etc. Io mi sono regolato così, un po’ empiricamente: ho iniziato una delle storie, e ho proseguito finché ne avevo voglia e argomenti (10, max 20 pagine); poi decidevo quale altro personaggio era il caso di mettere o rimettere in campo, e procedevo con quello. Così con gli altri. Nonostante la complessità del tutto, non avevo idee chiare sullo sviluppo della trama e sul finale. Avevo solo un’idea, che si precisava man mano, dello “scenario”. Le storie, tutte le storie, non sono state per me che un pretesto per costruire lo scenario, tramite aggregazioni successive. Mi accorgevo, strada facendo, che man mano il tutto prendeva un senso e mi suggeriva quale storia proseguire e come. Poiché per descrivere lo scenario mi servivano vari tipi di personaggi, ho continuato a inventarmene parecchi strada facendo, e li ho inseriti nei punti che ritenevo giusti. Forse ti meraviglierai se ti dico che l’ultimo personaggio inventato è proprio il principale: Alex. Mentre scrivevo, mi sono accorto – ero circa a metà romanzo – che mancava qualcosa di importante. Mi occorreva qualcuno che visitasse Diaspar con l’occhio dell’uomo comune. Ho tirato fuori lui e la sua storia. Il finale (cioè l’ultimo capitolo, l’Epilogo) me l’ha suggerito invece un amico cui avevo dato da leggere la prima versione del romanzo. Mi ero fermato al ritorno di Alex, dopo la catastrofe finale. Mi sembrava un romanzo troncato. L’amico mi ha detto: “Sarebbe bello che i trasferiti nel Mondo B tornassero ogni tanto a vedere come vanno le cose sulla Terra. Magari frattanto trasformata in una specie di museo, o di parco”. Non ho seguito alla lettera il suo consiglio, ma da lì ho tratto un finale. Naturalmente, poi, c’e’ stato il lavoro di controllo circa lo “spezzettamento” delle singole storie, per incrociarle e incastrarle con le altre e – alcune – farle convergere per il finale. Infatti non potevo sistemare le storie ponendole tutte per intero, l’una dopo l’altra. Assurdo. Non è stato difficile, è stato solo complicato, e ha richiesto una buona dose di pazienza, oltre che di riletture, editing, eliminazione di roba superflua (penso che continuando avrei tagliato ancora di più, per snellire ulteriormente). La ricchezza di contenuti e scenari lascerebbe supporre la possibilità di raccontare altre storie all’interno di questo tuo mondo del futuro, non necessariamente con gli stessi protagonisti: è un’ipotesi plausibile quella di vedere ambientato sottoterra o su Diaspar o tra le popolazioni dell’Africa sconvolta dagli Eventi Eccezionali la tua prossima storia?
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Pubblicato su ROBOT primavera 2010, W n.59 nuova serie.
Non so, potrebbe essere, ma non tanto. A me non piace scrivere i romanzi o le storie in serie. Se ho un’idea, anche vicina a quelle del Quinto principio, preferisco scrivere un racconto nuovo dove anche lo scenario abbia qualcosa di diverso. Altrimenti mi sembrerebbe di copiare me stesso. Ma non è solo per questo. Primariamente è perché lo scenario differente mi stimola di più. Per esempio, su “Robot” prossimo dovrebbe uscire un mio racconto breve intitolato “Tempo di FastTime”: se lo leggerai, vedrai che sarebbe calzato a pennello anche nel romanzo. Ma ho preferito farne una cosa nuova, diversa. Veniamo, appunto, agli EE (Eventi Eccezionali) che devastano il mondo. Si tratta di manifestazioni fisiche fuori controllo, di genesi totalmente ignota per le quali viene supposta l’esistenza di un Quinto principio della Termodinamica. Ci spieghi brevemente come sei arrivato a ipotizzarlo?
Cercavo un pretesto per spiegare i cataclismi, un pretesto che – come scrivevo più su – non fosse chiaramente Gaia in rivolta. In questi casi prendo in mano libri di divulgazione scientifica. Ne ho beccato uno che descriveva qualcosa calzante a pennello: di Stuart Kauffman (un biologo ricercatore, studioso della Complessità, che non per nulla lavora all’Istituto Santa Fe, come era per Alex…) ho trovato il bellissimo volume “Esplorazioni evolutive” (titolo originale Investigation), dove l’autore accenna a un ipotetico Quarto principio della termodinamica. Leggendo quelle pagine mi è venuta un’idea (fantasiosa) derivante da questo quarto principio (nulla di scientifico… non sarei in grado, ma abbastanza coerente) e ne ho fatto un “quinto” (che però, lo dico anche nel libro, sarebbe più un corollario del Quarto”. Ho ripreso da Kauffman a piene mani, anzi nel romanzo ho riportato, citandolo ovviamente, una sua mezza paginetta, “arricchita” dalle mie elucubrazioni sul fantomatico Quinto… (pag. 411 del romanzo). Stuart Kauffman, professore emerito presso l’Università della Pennsylvania, docente di Biologia cellulare e Fisiologia presso l’Università del New Mexico e direttore dell’Istituto per la Biocomplessità e l’Informatica presso l’Università di Calgary, è tra i fondatori del Santa Fe Institute, principale centro internazionale di studi e ricerche sulla scienza della complessità, dove tutt’ora insegna.
approfondisci: æ Dibattito sul libro (in inglese) æ Recensione sul libro (in italiano)
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Bon - Intervista a Vittorio Catani
13 Il Mondo B. Come dobbiamo interpretarlo: come l’esito di una fuga dal mondo che ci opprime o come una tappa dell’evoluzione per l’umanità? E, al proposito, quale sarebbe stata la tua personale scelta davanti al Trasmutatore?
Forse l’esito di una fuga, anche se cerco di creare un fine che giustifichi l’esistenza dell’uomo anche anche nella vita che lì si svolge. Non credo abbia granché di evolutivo, mi interessava soprattutto come scenario insolito. Davanti al Trasmutatore, certamente l’avrei usato, ma penso solo per vedere un bel po’ e tornare. Sempre che prima o poi Berlusconi se ne vada, altrimenti mi ci trasferisco a vita... Oscar Wilde diceva “Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo. E quando vi getta l’àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela”“. Quanto di utopico c’è nel tuo libro, pensando al Mondo B e soprattutto, a chi o cosa ti sei ispirato per pensarlo?
Nel mio libro c’è quel tanto di utopico – credo – che si può trovare in un’antiutopia (penso che il “Quinto principio” lo sia un po’; antiutopico, intendo). L’antiutopia è una variazione infernale del mondo reale che però allude al suo contrario; ovvero si descrive l’orrore che ci attende, ma per tendere verso un mondo più pulito e vivibile. Il lato inquietante è che se il mio mondo del romanzo può essere catalogato come antiutopia, personalmente io lo vedo talmente vicino o parallelo al nostro, che devo credere di star vivendo già in una quasiantiutopia. Passando al Mondo B: se ti riferisci a cosa me lo ha ispirato, forse ti deluderò un tantino… Un giorno mi è capitato tra le mani un libro d’arte, di mia figlia. Erano immagini informali di un pittore italiano di cui purtroppo ho scordato il nome. Non sono un competente, ma quelle immagini, benchè non rappresentassero forme o figure reali, ma chiazze e fasci di colori, erano assolutamente splendide e in un certo senso emozionanti. Per di più, c’era un lungo e articolato commento di un critico. Una delle cose più interessanti e ben scritte che abbia mai letto. Questo critico – dimentico anche il suo nome – parlava un linguaggio molto simile a quello col quale poi ho pensato di descrivere il Mondo B. Certo non identico, ma ho preso lo spunto da lì. Magari ciò dimostra che quelle immagini erano davvero un altro Mondo. Anche se forse ciò ti delude. Ma uno scrittore, lo sai almeno quanto me, si ispira assorbendo tutto quanto di nuovo o interessante o diverso gli capita sotto gli occhi, e lo trasforma in tutt’altrotutto quanto di nuovo o interessante o diverso gli capita sotto gli occhi, e lo trasforma in tutt’altro. Bon - Intervista a Vittorio Catani
Grazie di cuore per l’ospitalità e per avermi dato l’occasione di scrivere queste sterminate “confessioni di uno scrittore di fantascienza”. W
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Filippo Marano – Š 2010, Vela (interpretazione di una scultura di Gino Corsanini)
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di Kingsley Amis
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Nuove mappe dell’inferno
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Edizione italiana: Bompiani Editore 1962
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Ballantine Books,1960
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New Maps of Hell. A Survey of Science Fiction
a cura di Mario Sumiraschi
Traduzione di Marina Valente È stato per decenni il testo fondamentale di riferimento per chiunque scrivesse saggistica di sf. In Gran Bretagna uscì nel 1960 con il titolo New Maps of Hell. A Survey of Science Fiction. In Italia venne pubblicato dall’editrice Bompiani nel 1962, tradotto da Marina Valente. Kingsley Amis (1922-1995) fu uno scrittore e saggista inglese che si distinse negli anni ’50 attraverso la pubblicazione di un romanzo Lucky Jim, in italiano “Jim il fortunato” 1, in cui evidenziò un iro- 1 testo non più ristampato in Italia. nico attacco alla nascente società consumistica. Comunista, accettò 2 “New wave” (in campo fantascientifico) una certa ufficialità sino all’invasione dell’Ungheria nel 1956 per fu la definizione che inglobò un percorso poi staccarsi dal partito e con il passare degli anni diventandone letterario-culturale sviluppatosi in Gran Bretagna nei testi narrativi e saggistici anche un oppositore. di una rivista “New Worlds” diretta da Si specializzò nella letteratura di sf soprattutto quella di quel perioMichael Moorcock scrittore e musicista. do che veniva definita “sociologica” e fu tra gli iniziatori del moviFu un movimento d’avanguardia e mento “new wave” 2 che caratterizzò la sf inglese. Pubblicò diverso di sperimentazione che si indirizzò materiale, che però non è presente nel nostro mercato editoriale, a tematiche diverse da quelle più trattate in quegli anni , osservando al di fuori di un testo satirico minore Taccuino di un vecchio l’essere umano a confronto con una bevitore (tit. or. Everyday drinking, 1983) ristampato proprio società in fase disgregante. Ballard nel 2010 da Baldini Castoldi Dalai. ne è l’esempio più significativo. Suo figlio, Martin Amis (nato nel 1949), è uno dei più noti scritInoltre ebbe la forza trasgressiva, per tori inglesi. l’ambiente puritano di SF, di trattare la tematica del sesso, argomento a cui Nuove mappe dell’inferno, che venne edito per la prima volta Kingsley Amis muove il suo dissenso nel 1960, si muove ovviamente sugli stimoli della sf pubblicata in per la quasi totale assenza nelle opere quegli anni, soprattutto proveniente dagli USA. Il testo è un prodi SF. Principali autori della “New dotto realizzato dopo una serie di conferenze da lui tenute all’Uniwave” furono: Michael Moorcock, versità di Princetown. James G. Ballard, Thomas M. Disch e senz’altro ebbe influenza su opere di L’analisi ivi prodotta segue il percorso cronologico dei singoli caaltri autori come Aldiss, Brunner, etc… pitoli.
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16 Introduzione Amis fa un elogio degli scrittori inglesi, quelli che fanno riferimento a due riviste “Science Fantasy” e “New Worlds SF” citando i nomi dei suoi autori preferiti: Arthur C. Clarke, John Wyndham, John Christopher, J.T. McIntosh, E.C. Tubb, John Brunner e il “più promettente” Brian Aldiss. 3
1 - Punti di partenza
3 Proprio alla fine degli anni Cinquanta Brian Aldiss venne nominato in una convention mondiale l’autore più promettente. Il contributo di questo autore alla SF fu di primo livello: oltre ad essere autore e famoso curatore di antologie nel 1964 fondò insieme a Harry Harrison “Science Fiction Horizons” la prima rivista di critica nell’ambito SF. Ci comparve anche il contributo di Kingsley Amis. 4 Davvero interessante è il confronto che Amis opera tra personaggi e situazioni de “La tempesta” con aspetti della narrativa d’anticipazione, che coinvolgono Calibano, Ariel e soprattutto Prospero e Miranda (lo scienziato e la bella figlia) che assomigliano ai protagonisti del film “Il Pianeta proibito” il dr. Edward Morbius e Altaira la figlia. Calibano e Ariel posso essere accostati al robot Robby. 5 Le citazioni di testi classici usate da Amis in questo brano furono tra quelle più riprese, analizzate e anche criticate negli anni a seguire, proprio sul lavoro di ricerca storica di un archetipo di letteratura SF.
Amis parte da una ricerca del sense of wonder nella sf che per lui è: “… passione che si contrae da adolescenti o mai più.” La sua analisi procede in modo variegato, citando testi per bambini, i futuri fruitori di sf, e su come gli scrittori devono schivare le leggi della fisica einsteiniana per far viaggiare le proprie astronavi entrando, quindi, prepotentemente nel mondo della fantasia, che corre parallelo alla fantascienza. Fantasia è Beowulf e Kafka, cita, ma per la sf secondo Amis non esiste una vera e propria storia anticipativa. I lettori però sono generalmente gli stessi. Comunque l’autore decide di ricercare quei testi dell’antichità che possano farci ricordare la fantascienza, partendo come esempio da Una storia vera del greco Luciano di Samosata che descrive il primo viaggio sul nostro satellite, per arrivare al Somnium di Keplero. Per continuare con testi del Seicento, da Shakespeare (La tempesta)4, Cyrano de Bergerac (Viaggio nella Luna), a Micromega di Voltaire (il primo alieno sulla Terra), per arrivare a I Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift che Amis ricollega come satira sociale a I mercanti dello spazio di Pohl & Kornbluth. Viene citato anche il mondo delle “utopie” quelle di Thomas More e Francis Bacon: “Utopia” e “La nuova Atlantide”. 5
A destra: una curiosa immagine di Kingsley Amis nel suo studio.
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17 Il percorso di citazioni arriva a Frankenstein, a Dracula, al “Robota” di Capek, etc… Amis pone Verne come il “primo grande progenitore della fantascienza moderna”, sebbene l’autore più citato nel libro, sia HG. Wells, il creatore delle invasioni marziane, dell’uomo invisibile, del viaggio nel tempo. Per Amis, Wells è un continuatore dell’opera di Verne, sebbene i due scrittori avessero diverse impostazioni: il francese affascinato dalla tecnologia, l’inglese rivolto maggiormente al sense of wonder più che alla scienza. L’intero capitolo ha decisamente il fascino della narrazione, gli esempi sono numerosi ed anche con la ritrascrizione di frasi tratte dai libri degli autori citati. Notevole la sua definizione di fantascienza: “la fantascienza presenta con verosimiglianza gli effetti umani di mutamenti spettacolari del nostro ambiente, mutamenti sia deliberatamente voluti che involontariamente sofferti.”
2 - La situazione oggi (fino alla fine degli anni ‘50) Nel secondo capitolo Amis introduce la storia della fantascienza ‘moderna’ e colloca il 1911 come data d’inizio. A cosa corrisponde? All’apparizione della prima puntata del romanzo di Hugo Gernsback Ralph 124C 41+, sulla rivista “Modern Electrics”, da lui diretta. Ambientato nel 2660, è un romanzo in cui si immagina un futuro dirompente per la tecnologia che sarà in grado persino di resuscitare i morti. Il romanzo ha, in una odierna analitica lettura, il pregio di presentare numerose tecnologie che soltanto negli ultimi 30-40 anni si sono affermate. Dalla cellula foto-elettrica alla tv tridimensionale. Gernsback attraverso la narrazione molto spettacolare da space opera, presenta da tecnico-scienziato le speranze (i sogni?) per un futuro in cui ci sarebbero stati cinque raccolti in un anno di grano, risolvendo i problemi della fame. Gernsback parla anche della sparizione del denaro e il suo protagonista afferma nella totale comprensione utopica della società che: “Esiste solo una cosa in questo mondo che abbia valore, ed è il lavoro dell’uomo. Puoi sostituire quasi tutto con qualcos’altro, ma non si può sostituire il lavoro. Perciò la moderna struttura economica è basata unicamente sul lavoro dell’uomo.” E così via. Notevole è la descrizione dell’uso dei “telephot”, molto simile alla televisone. Nei teatri centinaia di schermi potevano “filmare” le rappresentazioni teatrali, che venivano trasmesse nelle case, e da casa si poteva cambiare canale… Nel 1926 Gernsback crea “Amazing Stories”, la prima rivista interamente dedicata alla fantascienza che Gernsback chiama scientifiction . Sono gli anni dei viaggi spaziali con storie che ricordano i persoSumiraschi - Vecchie mappe, nuove scoperte
Modern Electrics, febbraio 1912, volume 4 numero 11. La storia di copertina è “Ralph 124C 41 +”, di Hugo Gernsback.
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6 Bretnor (1911-1992) di origine russa (il vero cognome era Khan) oltre ad essere autore di racconti si specializzò in saggistica fantascientifica e si propose anche come curatore di libri e convegni facendo intervenire come relatori famosi autori di SF.
naggi delle detective stories. Amis li definisce “melodrammi spaziali”. Gli autori più famosi erano: l’antesignano Rider Haggard e il più noto Edgar Rice Burroughs, quello di Tarzan, che ebbe un notevole successo con la saga di John Carter di Marte (The Gods of Mars, 1913-18), avventure praticamente di ‘cappa e spada’. Dagli anni ‘30 agli anni ‘40 è questa la produzione più venduta in USA. Dagli anni ‘40 qualcosa cambia. Il mercato conta su ventidue riviste (nel 1938 ce ne erano cinque) e Amis anche impietosamente mostra alcuni aspetti grotteschi della narrativa e delle pubblicità su alcune di quelle pubblicazioni. Simpatica la presentazione del BEM il bug-eyed monster, ovvero il “mostro dagli occhi di insetto” che tanta parte aveva e avrà nei racconti, ma soprattutto nel cinema di fantascienza successivo. Altre riviste come “Astounding Science Fiction” si rivolgono soprattutto ad un pubblico giovanile, ma gradatamente la qualità aumenta come pure la presenza di scrittori di ben altro livello che saranno in seguito considerati i maestri. Negli anni ‘50 le riviste e le case editrici puntano in prevalenza sulla lunghezza del racconto ed ecco la comparsa di “Galaxy” e di “The Magazine of Fantasy and Science Fiction” due delle riviste fondamentali nella storia mondiale della sf. Negli USA il mercato fantascientifico entra anche in riviste non specializzate, tra le quali: la mitica “Playboy”, “Esquire” e in “Ellery Queen’s Mystery Magazine”. “Galaxy” vendeva anche all’estero, soprattutto in Europa, in cui nacquero le edizioni locali. Leggiamo questa affermazione di Kingsley Amis che fa riferimento alla nascita dei clubs, dei circoli di appassionati: “I lettori di fantascienza sono dei fanatici, ma fanatici attivi, positivi, entusiasti, consapevoli, a volte fin troppo, di costituire una minoranza specializzata, altamente loquace, e incline a riunirsi in circoli di entusiasti. “ Bella e realistica, vero? E più avanti nel testo citando i primi studi fatti sul lettore di fantascienza, il nostro si esprime così: “I lettori di sf sono i curiosi alla ricerca di stimoli e sensazioni; gente con preparazione tecnica che desidera spostare sul piano narrativo i discorsi di bottega e minorenni che trovano fascino ed eccitamento nella scienza.” Amis poi si rivolge al mondo degli scrittori, che hanno retribuzioni basse, sono al 98% maschi, ma vedono la fantascienza come una grande opportunità. Presenta l’opinione di due autori importanti: il critico Reginald Bretnor 6 che considera la sf un campo molto più vasto di tutta la rimanente letteratura e Robert Heinlein che afferma: “è molto più realistica di quanto non sia la narrativa storica e di attualità e superiore ad entrambe… è l’unica forma di narrativa che abbia qualche probabilità di interpretare lo spirito del nostro tempo.”
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19 La parte finale del capitolo è dedicata al cinema di fantascienza, la televisione e la radio e Amis ne denuncia il basso livello salvando soltanto La guerra dei mondi 7.
3 – Nuova luce sull’inconscio. Kingleys Amis cita all’inizio del terzo capitolo alcune considerazioni di Horace L. Gold, direttore di “Galaxy SF” dalla fondazione di questa rivista nel 1950. Riproponiamole: Leggendo le opere di fantascienza del passato noi possiamo oggi avere una visione molto più chiara degli ambienti sociali in cui essa venne scritta che non leggendo la contemporanea narrativa “contemporanea” e spesso anche la letteratura non-fiction . Poche cose rivelano chiaramente quanto la fantascienza, i desideri, le speranze, le paure, le difficoltà e le tensioni interiori di un’epoca o ne definiscono i limiti con altrettanta esattezza.
Da queste osservazioni l’autore vuole tracciare un percorso che si basi sulle emozioni, considerando sia la fantasia che la fantascienza. Sentimenti: il sesso. La fantascienza è bloccata dalle sue preoccupazioni relativamente realistiche, mentre la fantasia (nel senso di fantastico) è in grado di offrire talvolta fantasie sessuali su una scala disinibita.
Amis fa notare come la fantascienza degli esordi sia molto distaccata dalla tematica. Riviste come “Amazing Stories” sono, come le definisce l’autore, da oratorio domenicale. Il sesso sta fuori. Amis è molto critico per questo atteggiamento degli scrittori di sf, ovviamente condizionati da una parte dalle scelte con le forbici in mano delle case editrici e dall’altra da una società, quella statunitense (ma non solo), decisamente perbenista, puritana e ipocrita. Sebbene in alcuni casi vengano mascherati sotto altri termini i ‘segni’ sessuali. Il fantastico offre molte più risorse. Un esempio sicuramente per- 7 Ricordiamoci che per gli anni di cui scrive Amis la televisione non tinente è Il circo del dr. Lao (The Circus of dr. Lao, 1935), dove è il mezzo di comunicazione più eros e provocazione creano un connubio ai limiti della pornografia. frequentato. Il successo de “La guerra Amis cita romanzi in cui la componente orrore si affianca a quella dei mondi” trasmesso alla radio che tratta organi sessuali. CBS in Usa nel 1934, interpretato da Sentimenti: insicurezza e il bisogno di sicurezza. Oltre alle paure create dalle guerre atomiche, l’autore inglese si indirizza verso altre, come quelle legate alla sparizione della razza umana. I sistemi per distruggere di solito sono cruenti ma anche nella narrativa sf i cattivi iniziano ad usare altre armi, come le campagne “missionarie”. Resta di fatto che nuove epoche glaciali, malattie, comete (pensiamo alla contemporaneità di queste ipotesi) vengono usate di frequente, come nei casi di “sostituzione” degli umani con Sumiraschi - Vecchie mappe, nuove scoperte
Orson Welles, rappresentava il grande potere evocativo nell’uso professionale della parola recitante, in anni in cui un mezzo televisivo apparteneva al mondo fantascientifico (vedi il telephot di Hugo Gernsback). Dobbiamo dare grande merito a George Orwell che prima del 1948 si immaginò l’uso manipolatorio e dominante della comunicazione visiva portata in tutte le case del mondo.
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20 extraterrestri o animali. Amis trova un esempio davvero famoso I nove miliardi di nomi di dio (The Nine Billions Name of God, 1953) di Arthur C. Clarke, dove l’uomo alla ricerca del presunto creatore stimola, come un interruttore che spegne la luce, l’esistenza dell’universo, per cui la fine dell’uomo. Altro settore dedicato al dominio sull’umanità è quello in cui gli esseri umani sono ridotti a burattini o come le pedine di una scacchiera. Sheckley, Brown, Pohl sebbene con stili diversi scrivono di esseri umani alienati. Poul Anderson si immagina persino che il protagonista di un suo racconto scopra di essere un androide usato per esperimenti pubblicitari. Citazione di opere davvero interessanti su questo tema sono Il terrore dalla sesta luna (The Puppet Masters, 1951) di Robert Heinlein, L’uomo disintegrato (Demolished Man, 1952) di Alfred Bester. Ricordiamo il romanzo di Simak Camminavano come noi (They Walked Like Men, 1962) in cui l’invasione degli alieni è concentrata sull’acquisizione di tutta l’economia mondiale per rivendere il pianeta ad un mercato immobiliare interstellare. Sentimenti: pericolo a causa della scienza e della tecnologia. Esempio sublime è il Frankenstein. Nella sf troviamo il satirico I difensori della Terra (The Defenders, 1953) di P.K. Dick, una storia impareggiabile. I terrestri vivono sotto terra, costruendo continuativamente armi, mentre sulla superficie combattono i robot. I robot inviano agli umani i resoconti filmati di battaglie immani e affermano che per gli uomini tornare in superficie sia impossibile. Ma gli uomini ci tornano e scoprono che i robot non hanno fatto tutto ciò perché non si fidano dell’irresponsabilità umana. Un gioiello. Theodore Sturgeon è l’autore di un racconto Killdozer! (Killdozer!, 1944) dove un’entità aliena si impadronisce di un bulldozer. Sentimenti: la vita rurale come alternativa. Clifford Simak è ovviamente citato (è una delle sue tematiche forti, soprattutto con il romanzo L’anello attorno al Sole (Ring Around The Sun, 1953). Qui le proposte sono diverse anche perché l’uomo condizionato dalla vita cittadina sente il bisogno di spostarsi in luoghi dove il contatto con la natura dia serenità, sebbene Amis lo ritenga molto utopico. Per gli statunitensi, poi, l’immagine di luoghi incontaminati ha sempre percorso la propria storia della conquista dell’ultima frontiera e nell’immaginario sostituisce egregiamente la vita quotidiana dominata dalle regole scritte da altri. L’evasione è anche verso altri mondi, una delle caratteristiche maggiori della narrativa di fantascienza, dove viene posta anche una condizione: la fiducia nel carattere e nelle capacità umane.
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21 Amis approfondisce il discorso toccando le responsabilità di chi controlla negativamente la vita sociale e scopre che generalmente gli scienziati ne sono esenti: quasi sempre sono i politici a determinare i danni maggiori. Fred Hoyle, lo scienziato, ne La nuvola nera (The Black Cloud, 1957) fa tenere a debita distanza dai protagonisti scienziati i possibili interventi delle autorità centrali di Londra. Sentimenti: l’arte. Quale arte? Soprattutto quella di tempi o mondi lontani nello spazio tempo, come fa Bradbury in Cronache marziane (The Martians Chronicle, 1950) e molti altri scrittori che immaginano gli affascinanti resti di civiltà scomparse. Kingsley Amis nota che raramente gli autori descrivono l’arte contemporanea, sebbene esistano esempi come ne La grande vendemmia (Vintage Season, 1946) di Kuttner e Moore, un esempio di arte sinestetica (con l’uso di più sensi). Sentimenti: la religione. Nella letteratura fantasy il caso più famoso di narrativa “indirizzata” è quello di C.S. Lewis nelle Cronache di Narnia (mentre sono diversi gli autori che hanno comunque trattato la religione (nel senso più ampio del termine) in alcune opere, vedi Asimov, Blish, Del Rey (notevole il suo racconto Non avrai altro popolo (For I Am a Jealous People, 1954) in cui il dio dei terrestri scende sulla Terra accompagnando gli alieni invasori), mentre per Asimov e Blish il contraltare è tra tematiche dottrinali e robot. Un capolavoro di fantareligione è Un cantico per Leibowitz (A Canticle for Leibowitz, 1960) di Walter Miller jr. in cui la Chiesa domina la cultura del pianeta o L’undicesimo comandamento (The Eleventh Commandment, 1962) di Lester Del Rey dove il comandamento di “procreare” costringe gli esseri umani a vivere nell’incubo di un’assurda società sovrappopolata. Spesso la sf ha raccontato della religione dei popoli extraterrestri “invasi” dagli umani e in diversi casi gli stessi terrestri saranno ricordati come agenti divini.
4 – Utopie 1. In questo capitolo Amis esamina la funzione della sf come “strumento di diagnosi e ammonimento sociale” sebbene precisi che tracciare una divisione in categorie dei romanzi sia difficile. Comunque propone alcune categorie: la donna/il sesso, il colonialismo, la politica in senso di conformismo/anticonformismo e Bradbury, sì proprio lo scrittore come categoria; Amis non ha una grande opinione di Ray Bradbury. Sumiraschi - Vecchie mappe, nuove scoperte
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8 Philip Wylie (1902-1971) statunitense è uno di quegli autori che meriterebbero uno studio ri-propositivo anche per i suoi spunti filosofici all’interno delle sue opere. Alcuni suoi romanzi diedero l’input per lavori successivi, vedi Superman (da “Gladiator”, 1930) “Doc Savage” (da “The Savage Gentleman”, 1932). Inoltre ci fu la trasposizione cinematografica di testi come “When the Worlds Collide” (in it. “Quando i mondi si scontrano” scritto in collaborazione con Edwin Balmer). Persino “Flash Gordon” è stato ispirato dalle sue composizioni. Notevole è stato il suo interesse sul pericolo dell’uso della bomba atomica (che gli valse anche un’indagine federale) e sulla possibilità che il mondo potesse essere distrutto da una catastrofe ecologica.
Cita anche una delle critiche di quegli anni sulla sf, ovvero che tratti la generalizzazione e non lo specifico, non entrando nei fatti particolari. Ma Amis cita per primo un romanzo dello statunitense Philip Wylie (autore di un certo interesse) La prodigiosa scomparsa (The Disappearance, 1951) 8 in cui i maschi e femmine su tutto il pianeta per una ragione inspiegabile (e inspiegata) non comunicano più con l’altro sesso, creando una società univoca. Amis fa notare che solo la sf è in grado di prendere argomenti saggistici e trasformarli in drammatizzazione, rendendo il prodotto finale molto più interessante. L’autore inglese procede con i suoi esempi presentando due opere di autori molto famosi: Charles Eric Maine e John Wyndham. Di Maine (specializzato in narrativa gialla ambientata in luoghi e tempi sf) viene presentato Mondo di donne (World without Men, 1958) in cui un nuovo metodo anticoncezionale porta al crollo del sistema basato sul matrimonio … Di ben altro livello è Considera le sue vie (Consider Her Ways, 1956) un racconto capolavoro in cui nel futuro della Terra ci sarà un’epidemia che farà scomparire tutti i maschi. Nascerà una società esclusivamente femminile. La protagonista è una nostra contemporanea che si ritrova nel futuro nel corpo abnorme di una Madre fattrice, in una società che si adatterà in modo originale alla mancanza dell’umano maschio creando un altro sistema di vita. Altra categoria suggerita in questo capitolo è quella del colonialismo in cui Kingleys Amis ironicamente traccia l’impietosa mentalità imperialistica dei terrestri e la succube risposta degli indigeni extraterrestri. Ma siamo negli anni ‘50 e la posizione altra non aveva ancora raggiunto un buon numero di romanzi contrari all’imperialismo senza scrupoli degli umani locali (tra l’altro quasi tutti maschi). L’esempio portato da Amis è interessante e fa riferimento al racconto Sacrificio inumano (Unhuman sacrifice, 1958) di Catherine Maclean. Una spedizione umana sta studiando la cultura dei locali su un pianeta extrasolare. Un predicatore terrestre contesta aspramente il rituale che prevede che tutti i giovani vengano appesi a testa in giù poco prima di una grande inondazione. Il suo fanatismo convince anche gli scienziati (adesso diremmo antropologhi relativisti) a liberare uno di questi giovani. Ma la verità è un’altra, non è quella che può concepire un predicatore terrestre: i giovani come nella trasformazione da baco a farfalla, tramite quella iniziazione diventeranno, nella seconda fase della loro vita, esseri acquatici. Altro racconto notevole come tematica è Datti da fare (The Helping Hand, 1950) di Poul Anderson: due pianeti sono entrati in relazione con i terrestri , ma soltanto uno dei due acquisisce ed accetta la cultura dei colonizzatori. È quello che finirà allo sfascio
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23 morale e sociale, mentre l’altro, mantenendo la propria cultura si salva. Potrebbe sembrare un’ allegoria della condizione dei nativi americani, quella colpa ancestrale presente nella parte più sensibile degli intellettuali in USA. Passiamo alla terza categoria: la politica nella sua forma anticonformista/conformista. Amis trova che molta sf tende a sviluppare idee controcorrente, che definisce dell’anticonformismo e dell’individualismo, anche in quelle opere in cui il soggetto è la compartecipazione del gruppo o l’anticonformista che produce negatività. L’argomento presenta spunti diversi ed esempi di vario genere dal simakiano Creatura (Drop Dead, 1956) a Ritorno alla vita (Coventry, 1940) di Robert Heinlein, a Le ragioni di Rafferty (Rafferty’s Reason, 1955) di Frederik Pohl in cui l’anticonformista è uno psicopatico, a Il paese della gentilezza (The Country of the Kind, 1956) di Damon Knight in cui in un mondo dominato da un’immane gentilezza, l’elemento anticonformista è un violento. Sulla stessa tematica le opere in cui l’anticonformista ha doti paranormali, come per esempio la telepatia e può diventare il bersaglio 9 Si può considerare questo racconto (pubblicato nel numero di agosto 1954 dei normodotati. di IF) di Sheckley l’antesignano di “A Amis cita un racconto Homo abnegus (Null-P, 1951) di William Clockwork Orange” il romanzo di AnTenn in cui il presidente mondiale viene eletto nell’uomo che inthony Burgess diventato il film di Stancarna la media statistica (ripreso il tema anche da Asimov), in cui ley Kubrick “L’arancia meccanica”. il ruolo del conformismo esalta la medietà vista nella sua versione Però nello stile di Sheckley con dosi di di mediocrità. Come nelle distopie: vedi 1984 di George Orwell. ironia, grottesco e tragico. Per quanto E ancora Guerra al grande Nulla (A Case of Conscience, 1953riguarda l’Alienometro Cahill-Thomas 1958) di James Blish o Barriera (Barrier, 1942) di Anthony Bouserie JM-14 ecco la presentazione dal cher dove persino il bere viene proibito. Manuale del prodotto (trad. Luigi Fruttero in “Il secondo libro della fanProseguiamo: in Accademia (Academy, 1954) Robert Sheckley in tascienza” in editrice Einaudi, 1961): cui gli anticonformisti vengono scoperti tramite dei meccanismi “La Cahill-Thomas Manufacturing (L’alienometro Cahill-Thomas) che ne misurano il grado di sociaCompany, dopo anni di esperienza in lità. Chi è fuori dai limiti previsti viene portato all’Accademia e questo campo, Vi presenta oggi il suo 9 lobotomizzato . nuovo tipo di Alienometro per uso doTrattiamo solo fugacemente il capitoletto dedicato a Ray Bradbury, mestico. Elegante e di poco ingombro, poiché il saggista inglese proprio non lo accetta e considera di basquesto moderno apparecchio è pratiso livello il sentimentalismo che Bradbury pone nei suoi racconti. cissimo per qualunque stanza della Amis salva qualche cosa tra cui il racconto Aprile 2005:Usher II Vostra casa. Importante: il nuovo mo(Usher II, 1950) in Cronache marziane, Fahrenheit 451 (Fahdello non è altro che l’esatta riproduzione, in formato ridotto, del ben noto renheit 451, 1953)in cui sottolinea la creazione di una società con Alienometro C-T in uso da molti anni il più infernale esempio di conformismo.
5 - Utopie-2 Il crollo morale. In questo capitolo Kingleys Amis esordisce parlando di Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Merita ripubblicare un brano citato nel testo e la nota susseguente (pubblicata nel 1960 notiamo bene): Senza accendere la luce immaginò come quella stanza doveva Sumiraschi - Vecchie mappe, nuove scoperte
presso tutti gli uffici, i locali e i servizi pubblici. Provatelo! La marca è una garanzia di durata e di alta fedeltà. È un prodotto di classe alla portata di tutti.” L’Alienometro gestito dall’Accademia nel caso di disturbi avrebbe portato alla lobotomia…
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24 essere. Sua moglie sdraiata sul letto, scoperta e fredda come un corpo steso sul coperchio di una tomba, gli occhi fissati al soffitto da invisibili fili di acciaio, immobile. E nelle sue orecchie le piccole “Conchiglie”, le radio in miniatura ben saldate, e un oceano elettronico di suono, di musica e chiacchiere rovesciantesi senza posa sulle sponde della sua mente insonne. Era come se la stanza fosse vuota. Ogni notte le onde entravano e la portavano via sulle loro grandi creste di suono, trasportandola, a occhi sbarrati, verso il mattino. Negli ultimi due anni non c’era stata una sola notte in cui Mildred [la moglie del protagonista, ndr] non avesse nuotato in quel mare in cui si sarebbe lasciata volentieri affondare per la terza volta.
Ray Bradbury: Nello scrivere il breve romanzo Fahrenheit 451, pensavo di descrivere in mondo quale avrebbe potuto evolversi fra quattro o cinque decenni. Ma solo poche settimane fa, una notte a Beverly Hills, venni oltrepassato da una coppia che portava a passeggio il cane. Rimasi a fissarli, completamente allibito. La donna teneva in mano una piccola radio delle dimensioni di un pacchetto di sigarette e con l’antenna vibrante. Da essa uscivano sottili cavi di rame che terminavano in un grazioso cono affondato nella sua orecchia destra. Eccola lì, dimentica dell’uomo e del cane, ad ascoltare venti lontani e sussurri e pubblicità, come una sonnambula, guidata nel salire o scendere dal marciapiede da un marito che avrebbe potuto benissimo non esserci. E questa non era una storia.
Le “Conchiglie” sono il prototipo dell’ascolto auricolare ora affidato a tecnologie ben più accurate, che erano, sono e probabilmente saranno comunque un sistema di alienazione del pensiero. Frederick Pohl nel suo Cosa fare in attesa dello psicanalista? (What to Do Till the Analyst Comes, 1956) prospetta che la reazione ad una paura collettiva per un cancro manifestatosi al di fuori della norma, viene messa sotto controllo dai ricercatori che inventano una gomma da masticare contenente una sostanza che rende felici e liberi da nevrosi. Amis riprende il discorso del sesso nella sf facendo ancora notare che è un argomento che non prende quasi mai vita propria e non si eleva in narrazioni che non dimostrano una ricerca, un’alternativa di ipotesi. Sheckley con la sua consueta ironia paradossale in Un biglietto per Tranai (A Ticket to Tranai, 1955) immagina che le mogli vengano tenute in forma di stasi dai propri mariti che le riattivano a proprio piacimento. In Pellegrinaggio alla Terra (Pilgrimage to Earth, 1957) esiste un’azienda “Amore spa” che fornisce giovani donne condizionate per innamorarsi in modo autentico… Dal sesso, agli intrattenimenti sociali, ai bambini, ecco le altre tematiche toccate dall’autore inglese in questo capitolo.
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25 Cita Gladiatore in legge (Gladiator-at-Law, 1954) di F. Pohl & C. Kornbluth che descrive una società in cui il divertimento passa attraverso combattimenti mortali o spettacoli in cui i partecipanti devono camminare in equilibrio sopra una corda tesa e se cadono si ritrovano dentro una vasca piena di piranha. Ovvero i circenses dell’Antica Roma adattati al futuro, in forme viscidamente cruente 10. La forza immaginativa della science fiction confrontata con la nostra realtà quotidiana ha avuto due esempi ben corposi: quello delle “Conchiglie” di Bradbury e quello appena sopracitato di Pohl & Kornbluth nel loro capolavoro. Il decadimento in riferimento ai bambini punta su due esempi Il piccolo assassino (Small Assassin, 1946) di Bradbury, dove un neonato ha il potere e la volontà di uccidere i due genitori e in Bella vita (It’s a good life, 1953) di Jerome Bixby dove un bambino di tre anni ha poteri dominanti e terrificanti sugli adulti. Riprendendo ancora il romanzo Un biglietto per Tranai, la satira di Sheckley si indirizza alle nevrosi umane. I robot vengono progettati in modo che se presi violentemente a calci dopo un’arrabbiatura si rompano, così da dare sfogo all’emotività repressa. Sheckley ne Il costo della vita (Cost of living, 1952) si immagina che il protagonista potrà ipotecare i trent’anni futuri lavorativi del proprio figlio per poter godere il ricco benessere a cui affida la sua vita. Seguendo il suo percorso che tratta il decadimento morale Kingley Amis cita Frederick Pohl come miglior scrittore in assoluto della sf e I mercanti dello spazio come miglior romanzo. Citando le storie urbane con le catene di distribuzione e la società dei consumi definisce Pohl come cronista dell’homo economicus. In effetti lo scrittore statunitense è stato il maggior interprete di quella che veniva definita la fantascienza sociologica, prodotta soprattutto negli anni ‘60 (soprattutto dalla rivista “Galaxy”) in cui la contestazione ad un sistema alienante e tutto regolato dal profitto che stava invadendo il mondo (e che sfocia nelle proteste in USA nel 1966) diventa un atto di accusa al sistema. Utilizzando soprattutto la satira. Esempio molto diretto è il racconto Il morbo di Mida (The Midas Plague, 1954) in cui i poveri sono quelli obbligati a consumare in modo esorbitante. Altri racconti seguono questa satira economica da I maghi di Pung’s Corner (The Wizards of 10 Attualmente i richiami alla crudeltà Pung’s Corner, 1958) al più famoso Il tunnel sotto il mondo travestita da spettacolo sono numero(The Tunnel Under the World, 1955) in cui una cittadina statunisi, da “Rollerball” il film del 1975, al tense viene usata come esperimento per ricerche di marketing. Il racconto “La decima vittima” di Robert protagonista quando scopre che lui e i suoi concittadini sono conSheckley (The Seventh Victim, 1954), siderati solo cavie della pubblicità rimane inorridito. E scaturisce al film “L’implacabile” (Running Man, 1987) con Arnold Schwarzegger, etc... una domanda: ma se lo fanno con una cittadina lo possono fare Sumiraschi - Vecchie mappe, nuove scoperte
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26 anche per l’intero pianeta? Questa è la tematica che abbiamo visto poi dopo tanti anni esprimersi nel film interpretato da Jim Carrey, The Truman Show, in cui il protagonista è la vittima sacrificale di un mondo senza scrupoli che lo sta condizionando. Ne Il tunnel sotto il mondo la scena iniziale è davvero significativa: un furgone che trasmette a tutto volume il suono prodotto da un carro dei pompieri in soccorso e poi parte una pubblicità urlata in cui si magnifica un nuovo frigorifero … l’assalto alle difese naturali umane. Ovviamente questo tipo di fantascienza non è in grado di rivolgersi al singolo individuo, alla sua storia personale. È una narrativa che trasferisce il suo pathos verso gli agenti esterni come l’alieno, lo spazio, le epidemie, etc differenziandosi dalla narrativa mainstream soprattutto per l’aspetto relazionale, dei rapporti umani. A questo proposito Amis riporta una considerazione di Edmund Crispin 11, uno dei maggiori esperti di fantascienza britannici negli anni ‘40 e ‘50: I personaggi di una storia di fantascienza vengono generalmente trattati come rappresentanti della loro specie piuttosto che come individui a sé stanti. Sono uomini e donne qualunque per la semplice ragione che, se non lo fossero, la nostra abitudine antropocentrica ci indurrebbe, nel leggere, ad attribuirne troppa attenzione a loro e troppo poca alle forze non umane che costituiscono la rimanente importante aliquota di “dramatis personae”. Mentre un romanzo o un racconto comune si limita all’arte del ritratto o alla pittura di ambienti familiari, la fantascienza ci offre l’assai meno gradevole godimento di paesaggi con figure. Chiedere a questi lontani manichini di mostrarsi con gli stessi dettagli del soggetto di un ritratto è, evidentemente chiedere l’impossibile.
Amis comunque precisa che: “… l’utopia di fantascienza, sia politica che economica ha un rilievo che nessun’altra sotto-categoria può pareggiare, attira alcune delle migliori menti che lavorano in questo campo… ma è una forma difficile che spesso rivela una scala di valori pericolosamente semplice e pesa sull’inventiva dei suoi autori. “ 11 Edmund Crispin (1921-1978) fu soprattutto uno scrittore di romanzi polizieschi sebbene l’attività di questo eclettico autore fosse di compositore di musica classica e di colonne sonore (conosciuto con il suo vero nome di Robert Bruce Montgomery). Per la fantascienza curò sette antologie dedicate a “Best Science Fiction”. In Italia si trovano con difficoltà le sue opere poliziesche.
6 Prospettive Alla fine degli anni ‘50 c’è un cambiamento nella descrizione dei disastri cosmici: dal mondo esterno si passa a quello interno, ovvero sul pianeta Terra, sebbene qualche racconto, tra cui Eterno istante (The Xi Effect, 1950) dello scienziato-scrittore Philip Latham, ne siano uno degli esempi più riusciti. Amis inizia un percorso sulla fantascienza “catastrofica” facendo notare quanto l’interesse si sia spostato da parte degli scrittori
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27 nell’immaginare il dopo-catastrofe, sull’annientamento della società attuale e su quanto gli esseri umani cambieranno. Primo titolo citato è un capolavoro e un capostipite La morte dell’erba (The Death of Grass, 1956) di John Christopher. Un virus mutante distrugge tutte le graminacee e l’erba. In tempi relativamente brevi l’economia della società crolla portando con sé lo scatenarsi di una lotta per la sopravvivenza in cui gli esseri umani mostreranno una spietata crudeltà e la perdita di quei valori che potremmo definire di civiltà. Ma il saggista inglese si sposta rapidamente da una tematica all’altra e sulla capacità degli scrittori di sf di presentare idee innovative fa notare che soltanto il racconto può permettersi di presentarle, ma nello stesso tempo un racconto breve che si basa principalmente su un’idea, ben difficilmente potrà avere lo stesso impatto sul lettore dilatando la scrittura per renderlo un romanzo; e ne fa qualche esempio. È una tematica appena accennata ma se ci pensiamo da sempre ben presente nel mondo editoriale in cui lo scrittore professionista deve anche rispondere alle necessità di pubblicazione delle case editrici e del suo portafoglio. Le idee hanno comunque la possibilità di far muovere l’immaginazione su vari fronti pensiamo al viaggi nel tempo di Anniversario fatale (Bring the Jubilee, 1953) di Ward Moore, un’ipotesi alternativa alla guerra di Secessione americana, o l’incontro con alieni di Le immagini non mentono di Catherine MacLean (Pictures don’t lies, 1951) in cui gli alieni giungono sulla Terra, ma essendo estremamente piccoli, si perdono nel terreno. Altre idee interessanti nei racconti Amis li vede nella struttura da narrativa gialla, che già aveva in scrittori come Asimov, Anderson, Matheson degli esempi noti. Idee da sviluppare per l’autore del libro dovrebbero essere ricercate sia in storie d’amore e di liberazione sessuale (ricordiamoci che Amis accusa la sf di essere abbastanza bigotta) e storie a base umoristica di buon livello. Amis cita esempi negativi e positivi, tra quelli interessanti per esempio la satira contro la mediocrità della società ad opera di William Tenn in Null-P, e sicuramente le opere di Sheckley, Brown e Pohl. Per non dimenticare un gioiello come Distruggete le macchine (Player Piano, 1952) di Kurt Vonnegut. Ma Amis considera la maggior parte della produzione comica molto poco valida soprattutto quella che fa riferimento a tematiche sociali. E a questo punto il saggista inglese tocca la tematica dell’inquadramento della narrativa sf che viene in molti casi presentata con copertine di basso livello, intitolata con slogan banali o che finisce nel settore bambini, annichilendo quegli autori che al contrario reclamano maggiore legittimità al genere. L’attacco di Amis è forSumiraschi - Vecchie mappe, nuove scoperte
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28 te, crudo, citiamo: “… quelle orribili copertine e quella pubblicità da strapazzo danno una sgradevole sensazione di adolescenti che masticano gomma e di spazza-pavimenti in laboratori di classe inferiore che devono amare quella roba… “ e ancora: “… quando la fantascienza viene, malgrado tutto letta dai non adepti, essa è comunemente vista in una luce sbagliata: come indice dell’ossessione degli scienziati o dei minorenni, come una meditazione privata fra fisici e psicologi che ha ricevuto forma drammatica, come previsione di sviluppi tecnologici incombenti, come autentica profezia.“ Ricordiamoci che Kingleys Amis appartiene alla prima generazione di appassionati e critici di sf in lotta costante e da prima linea per affermare il valore qualitativo di un genere di letteratura ancora, in certi settori culturali, messa ai margini. E infatti in questo capitolo conclusivo del libro l’autore auspica che la sf si faccia accettare come letteratura seria, aumentando il valore qualitativo e contemporaneamente facendo perdere quell’autoconsiderazione ieratica in diversi scrittori in quel tempo a lui contemporanei. Il suo attacco alle negatività procede e viene rivolto a scelte e idee di personaggi come John Campbell, direttore di “Astounding”, Reginald Bretnor, Alfred E. Van Vogt e a tutto il mondo della “Dianetica”. Ma Amis cita anche le opere di scrittori di qualità del mainstream che si sono rivolti alla fantascienza: William Golding con il suo Il Signore delle mosche, sebbene nelle riviste di mainstream generalmente i racconti di sf non vengano presentati come tali. E tra questi scrittori troviamo John Updike, George P. Elliott. Mappe dell’inferno si conclude con un invito di Kingleys Amis a leggere la narrativa di science fiction anche per questo motivo: “… ci farebbe bene esercitare più spesso quell’abitudine mentale che ci spinge a guardare, oltre le soluzioni tentate di un problema evidente, alle formulazioni tentate di problemi non ancora ben chiari. “e poi: “… se avrà la forza di continuare in questa direzione si sarà non solo assicurata il futuro, ma avrà anche forse contribuito a rendere più sicuro anche il nostro.“ (Mario Sumiraschi)
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29 Bibliografia delle opere più significative citate nell’articolo Ralph 124C 41+ / Hugo Gernsback in editrice Omega FS (Gli anni d’oro-1, 1978) edizione ridotta; in editrice Perseo (“Gli anni di Gernsback 1926-1929, Storia della Fantascienza-2, 1990). John Carter di Marte / Edgar Rice Burroughs in editrice Nord (Cosmo Oro-10, 1993 ciclo completo). Il circo del dr. Lao / Charles G. Finney in editrice Nord (SF narrativa d’anticipazione-3, 1974). I nove miliardi di nomi di dio / Arthur C. Clarke in editrice Mondadori (Classici della fantascienza-17,1978), (in “Il Mattino dei Maghi” Oscar-1090,1979 e Oscar Arcana-2, 1984 ), (Urania collezione-071, 2008), in editrice Einaudi (“Meraviglie del possibile”, 1959 e Struzzi-41, 1943 e Tascabili-94, 1992), in editrice Nord (in “Sonde nel futuro”, Grandi Opere Nord-3, 1978), in editrice Armenia (“Le grandi storie della fantascienza 1953” -15, 1987), in editrice Bompiani (“Le grandi storie della fantascienza 15” i grandi tascabili-519, 1997). Il terrore della sesta luna / Robert A. Heinlein in editrice Mondadori (I romanzi di Urania-5, 1952), (“Universo a sette incognite” Omnibus, 1963), (Millemondi Estate, 1977), (Classici della fantascienza-74, 1983), (Oscar fantascienza-91, 1990 e 1995 ). L’uomo disintegrato / Alfred Bester in editrice Mondadori (I Gialli Mondadori-216, 1953), (Urania-312, 1963), (Omnibus, 1973), (Classici della fantascienza-34, 1980), (Massimi della fantascienza-8, 1985), (Oscar Fantascienza-100, 1992), (Urania collezione-042, 2006). Camminavano come noi / Clifford D. Simak in editrice Mondadori (Urania-315, 1963), (“Millemondi estate, 1974”), (I massimi della fantascienza-4, 1984), (Urania collezione-029, 2005). I difensori della Terra / Philip K. Dick in editrice Fanucci (in Futuro Biblioteca di fantascienza-34, 1977).
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30 Killdozer! / Theodore Sturgeon in editrice Mondadori (in “Universo a sette incognite” Omnibus, 1963), in edizioni SIAD (in “Le grandi storie della fantascienza-6 1944”, 1982), in editrice Bompiani (in “Le grandi storie della fantascienza-6”, I Grandi tascabili-184, 1991), in editrice Interno Giallo (in “Il grande libro della fantascienza.L’età dell’oro”, 1991), in editrice Rizzoli (in “Le grandi storie della fantascienza-6”. Ed. per Newton, 2006). L’anello intorno al Sole / Clifford D. Simak in editrice Mondadori come “Mondi senza fine” (I romanzi di Urania-8687-88-89-90-91-92-93-94-95-96-97-98-99-100-101-102-103104-105, 1955), (Urania-719-1977), in editrice La Tribuna (Galassia-120,1970 e Bigalassia-19, 1974 ), in editrice Libra (I classici della fantascienza-27, 1977), in editrice Perseo (Opere di Clifford D. Simak-8, 1996), in editrice Mondadori come “L’anello intorno al Sole” (Urania-625, 1973). La nuvola nera / Fred Hoyle in editrice Feltrinelli (narrativa, 1959 e UE-326, 1960), in editrice Garzanti (Garzanti per tutti59, 1966). Cronache marziane / Ray Bradbury in editrice Mondadori (Urania collezione-003, 2003), (Oscar-181, 1968 e ristampato), (Oscar fantascienza-83, 1990), (Oscar classici moderni-164, 1998), (Classici Urania-165, 1990). La grande vendemmia / Henry Kuttner & Catherine L. Moore in editrice La Tribuna (SFBC-41, 1971), in editrice Nord come “La buona annata” (in “I Figli dello spazio”, Grandi Opere-2, 1977), in editrice SIAD (“Le grandi storie della fantascienza 8”, 1983), in editrice Bompiani (I grandi tascabili-222, 1992), in editrice Rizzoli (“Le grandi storie della fantascienza 8”, 2006. Ed.Speciale per Newton). Cronache di Narnia / Clive S. Lewis in editrice Mondadori (pubblicati i tre volumi della serie: “Il leone, la strega e l’armadio; Il cavallo e il ragazzo; Il principe Caspian; Il viaggio del veliero; La sedia d’argento; L’ultima battaglia nel 2005), (Oscar classici-107, 2005). Non avrai altro popolo / Lester Del Rey in editrice Mondadori (in Urania-653, 1974 e come “Perché sono un dio geloso” in Urania-1479, 2003), in editrice Nord (“Quando gli alieni invasero la Terra” Grandi opere-29, 1996).
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31 Un cantico per Leibowitz / Walter Miller jr in editrice La Tribuna (SFBC-6, 1964), in editrice Mondadori (Classici Urania-116, 1986), (I Massimi della fantascienza-17, 1988), (Urania collezione-084, 2009). L’undicesimo comandamento / Lester Del Rey in editrice La Tribuna (Galassia-41, 1964 e Galassia-230, 1978), in editrice Nord (Cosmo Oro-190, 2001). La prodigiosa scomparsa / Philip Wylie (non più presente sul mercato. Venne pubblicato unicamente in editrice Martello, collana La Piramide-1 serie verde, 1953). Mondo di donne / Charles Eric Maine in editrice Mondadori (Urania-415, 1965), (Biblioteca di Urania-8, 1981). Considera le sue vie / John Wyndham in editrice Mondadori (Urania-304,1963), (Biblioteca di Urania-7,1980), in editrice Armenia (Robot-27, 1978 e Raccolta Robot-13, 1979). Inoltre con il titolo “Considera le sue abitudini” in editrice Nottetempo, 2005. Sacrificio inumano / Katherine MacLean in editrice Nord (“Storie dello spazio esterno” Grandi opere-8, 1982), in editrice Armenia (“Le grandi storie della fantascienza 20”, 1990), in editrice Bompiani (“Le grandi storie della fantascienza 20” I Grandi tascabili-682, 2000). Datti da fare / Poul Anderson in editrice Nord (Grandi opere-8, 1982). Creatura / Clifford D.Simak in editrice La Tribuna (Galaxy anno II-6, 1959), in editrice Mondadori (Urania-1091, 1989). Ritorno alla vita /Robert A. Heinlein in editrice Ponzoni (I romanzi del Cosmo-24,1959 e Cosmo i Capolavori della fantascienza-11, 1962), in editrice La Tribuna (Galassia-156, 1971). Le ragioni di Rafferty / Frederick Pohl in editrice Libra (Nova SF anno IV-9, 1970). Il paese della gentilezza / Damon Knight in editrice dello Scorpione (Gamma-6 a.II vol.VI, 1966), in editrice La Tribuna (Galassia-220, 1976), in editrice Nord (“Sonde nel futuro” Sumiraschi - Vecchie mappe, nuove scoperte
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32 Grandi opere-3, 1978), in editrice Armenia (“Le grandi storie della fantascienza 18”, 1989), in editrice Bompiani (“Le grandi storie della fantascienza 18”, I grandi tascabili-661, 2000). Null-P / William Tenn in editrice Siad (“Le grandi storie della fantascienza 13”, 1986), in editrice Bompiani (“Le grandi storie della fantascienza 13”, I grandi tascabili-405, 1994). Guerra al grande Nulla / James Blish in Mondadori (Urania226, 1960 e Urania-474, 1967 e Urania-680, 1976), (I classici della fantascienza-56, 1981) in editrice Nord (Cosmo Oro-17, 1975). Barriera / Anthony Boucher in editrice Siad (“Le grandi storie della fantascienza 4”, 1981), in editrice Bompiani (“Le grandi storie della fantascienza 4”, 1990), in editrice Rizzoli (“Le grandi storie della fantascienza 4”, 2006 Ed.Speciale per Newton). L’accademia / Robert Sheckley in editrice Einaudi (1961), in editrice Mondadori (Urania-285, 1962 e Urania collezione-007, 2003), (Classici fantascienza-11, 1978) Fahrenheit 451 / Ray Bradbury in editrice Mondadori (Oscar78, 1966 e Oscar-621, 1975 e Oscar classici moderni-16, 1989), (I massimi della fantascienza-2, 1983), (I grandi bestellers-48, 1986), (in “Cronache marziane”, I miti del Novecento-6, 2000), in editrice L’Espresso (La biblioteca di Repubblica. Novecento92, 2003). Che cosa fare in attesa dello psicoanalista / Frederick Pohl in editrice La Tribuna (in “Processo al domani” Galassia53, 1965). Un biglietto per Tranai / Robert Sheckley in editrice La Tribuna (Galaxy anno III-7-8, 1960), in editrice Mondadori (in “L’ombra del 2000” Omnibus, 1965), in editrice Feltrinelli (“Fantasesso”, 1967). Pellegrinaggio alla Terra / Robert Sheckley in editrice Mondadori (Urania-285, 1962 e in “Mai toccato da mani umane” Urania collezione-007, 2003), (Oscar-448, 1973), (Classici fantascienza-11, 1978), in editrice Bompiani (“I Delfini” -188, 1965 e Tascabili-67, 1977 e I grandi tascabili-152, 1990 e in “La decima vittima” tascabili, 1996). u
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33 Riviste di SF citate nel libro Weird Tales.The Unique Magazine Il primo numero uscì nel marzo del 1923. Era specializzata in narrativa fantasy, gotica, del sovrannaturale e nelle sue pagine sono passati autori come HP. Lovecraft, Algernon Blackwood, Lord Dunsany, James Branch Cabell. Amazing Stories. The magazine of Scientifiction Fu creata nel 1926 da Hugo Gernsback, già curatore di “Modern Electric” una pubblicazione, tra le prime, a dedicarsi alle radiocomunicazioni. AS venne rivolta esclusivamente alla fantascienza, prima rivista in assoluto a farlo. Nel primo numero che uscì nell’aprile del 1926 comparivano Herbert G. Wells, Jules Verne e Edgar A. Poe, praticamente i maestri di tre correnti della letteratura fantastica. AS durò, con diversi proprietari e direttori, sino al 2006. Illustratore di copertine molto belle fu Frank R. Paul. Astounding Science Fiction Nacque come Astounding Stories nel 1930 per poi variare il nome sino all’ultimo Analog Science Fiction and Fact. Deve soprattutto il suo successo al lavoro editoriale di John W. Campbell che puntò decisamente sul concetto di plausibilità. Da queste rivista uscirono capolavori come le storie incentrate sulle “Tre leggi della robotica” di Isaac Asimov. Super Science Fiction Nacque nel marzo del 1949 sotto la direzione di Frederik Pohl. Durò sedici numeri sino al maggio del 1943 in una prima versione e poi in una nuova serie con quindici numeri fino all’agosto 1951. Comparvero tra gli altri, racconti di Isaac Asimov e Ray Bradbury pubblicò “Pendulum”, il suo primo racconto professionistico. Galaxy Science Fiction Iniziò a pubblicare nell’ottobre del 1950 (e cambiò proprietà, diventando Galileo Science Fiction, nel 1980) sotto la direzione di Horace L. Gold rivolgendosi ad un pubblico adulto per una fantascienza adulta. Pensiamo che nel primo numero comparvero: Simak, Sturgeon, Matheson, Leiber, Brown e Asimov. Il successore di Gold fu per otto anni Frederik Pohl. In Italia fu ampiamente tradotta facendo conoscere soprattutto la fantascienza sociologicae la rubrica di divulgazione scientifica di Willy Ley. Ricordiamo le copertine molto simpatiche di Emsh (Ed Sumiraschi - Vecchie mappe, nuove scoperte
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34 Emshwiller). A Galaxy si affiancò IF - The Worlds of If nata nel 1952 e venduta a Galaxy alla fine degli anni Cinquanta. The Magazine of Fantasy and Science Fiction Nacque nel 1949 (e tuttora esistente) dalla stessa casa editrice che editava la rivista dedicata al poliziesco Ellery Queen’s Mistery Magazine (che pubblicava spesso autori di sf). Nei primi anni pubblicò fantasy per poi passare decisamente ad ospitare autori di sf come Damon Knight, Chris Neville, Miriam Allen DeFord, Ray Bradbury, etc… Tra i suoi direttori: Antony Boucher, Cyril M. Kornbluth, William Tenn, Avram Davidson. Molto spazio venne dedicato alla saggistica in cui comparvero Robert Bloch, Joanna Russ, Judith Merrill, James Blish, Isaac Asimov, Harlan Ellison, etc… Due grandi illustratori, tra gli altri, delle copertine Emsh e Chesley Bonestell. Fantastic Universe Apparve nel giugno del 1953, pubblicò 69 numeri e terminò nel marzo 1960. Ebbe all’inizio un periodo di buon riscontro dal pubblico. Presentò quattro romanzi di Robert E. Howard Tales of Conan su “Conan il Barbaro”; Who di Algys Budrys che divenne poi il film “Who l’uomo dai due volti”; Minority Report di Philip K.Dick anch’esso diventato film e presenze come quelle di Simak, Sturgeon Ellison, Silverberg, Bloch, etc… L’esperienza di questa rivista si chiuse con una nuova impostazione che prevedeva come tematica principale gli UFO.
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35 book
VS
book
a cura di Giorgio Ginelli
L’amore, si sa, muove il mondo. Il tempo lo segue a ruota, lo rincorre o lo anticipa (mettete l’ordine dove vi pare, tanto è lo stesso). Se del primo forse qualcuno può dire cos’è, del secondo è sempre stato difficile dare una vera interpretazione e da qui nasce la difficoltà di parlare del tempo in modo coerente. Va da sé che per un autore è quasi impossibile, prima o poi, evitare di scrivere qualcosa che non implichi o una o l’altro di questi misteri insondabili. Bisogna essere proprio bravi a evitare questi due argomenti fondamentali dell’evoluzione umana. Data poi la natura statica del tempo (noiosetta), gli scrittori gli hanno cucito attorno tutta una serie di ipotesi per renderlo un pochino appetibile e alla fin fine, dal parlare del tempo si è passati a viaggiarci dentro. La fantascienza si è sempre appropriata di diritto lo sviluppo delle storie basate su quest’ultimo argomento, lasciando in secondo piano l’altro. Viceversa, è la letteratura “ufficiale” - quella di cui si riempiono la bocca coloro che hanno voce in capitolo - che predilige le storie con tale altro argomento e snobba le storie con il primo aspetto. Non devo spiegarvi niente, è sotto gli occhi di tutti, siete persone adulte, lo sapete. Esistono poi eccezioni; autori che guarda caso riescono a scrivere una bella storia con tutti e due gli argomenti in questione: l’amore e il tempo. Anzi il “viaggio” nel tempo, che è un argomento da brivido, sul quale si sono suicidati autorevoli autori mentre altri lo hanno evitato per tutta la vita, tant’è difficile da gestire. Ma la letteratura - quella unica, universale, che non fa differenze di generi - è fatta di temerari. Siamo fortunati, talmente fortunati che per parlare dell’amore e dei viaggi del tempo possiamo mettere a confronto le opere di un autore di sicura fama mondiale come
La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo
Audrey Niffenegger Mondadori Oscar 2003
The Time Traveler’s Wife MacAdam/Cage, 2003 Traduzione di Katia Bagnoli ______________________
Appuntamento nel tempo Richard Matheson Mondadori Classici Urania n. 242 1997
Bid Time Return Viking Press,1975 Traduzione di Vittorio Curtoni
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36 Richard Matheson che nel 1975 scrive Bid Time Return con un’autrice più moderna: Audrey Niffenegger che nel 2003 scrive The Time Traveler’s Wife. Due opere scritte da mani differenti, a un trentennio di distanza, che hanno comunque avuto un meritato successo, tradotti entrambi in film, con dei risultati non propriamente entusiasmanti, ma certo non per colpa delle storie. Chiariamo subito che i due titoli possono essere confrontati proprio perché è totalmente assente ogni forma di macchinario fantascientifico deputato al trasporto. Insomma, per intenderci, nessuno dei due romanzi ha attinenza con storie tipiche del genere The Time Machine di Wells oppure con il ciclo dei Guardiani del Tempo di Poul Anderson. I due autori hanno utilizzato il concetto di viaggio nel tempo utilizzandone le implicazioni più che perdendosi nella sua attuazione. Ed è interessante vedere all’opera un autore – il quale nella sua vita di sf ne ha masticata – che scrive una storia nella seconda metà del XX secolo e un’autrice totalmente digiuna di fantastico che produce un ro-
manzo il secolo successivo: due stili, due pulsioni, due esperienze totalmente differenti a confronto. È affascinante già di suo. La trama del romanzo di Matheson si svolge nel 1971, anno dal quale il protagonista maschile trova il modo di proiettarsi nel 1896 per incontrare la donna di cui si è innamorato, dopo aver incrociato casualmente il suo sguardo in una foto ingiallita dal tempo. La storia si sviluppa in modo lineare: inizia nel 1971, lui si innamora, trova il modo di tornare nel 1896, si amano, ma poi.... Nel romanzo della Niffenegger la storia è un po’ più complessa e articolata: dal 1968 al 2053, ma non in modo lineare, bensì a balzi continui. Lui adulto incontra inizialmente lei che è ancora una bambina, ma già sa che sarà sua moglie; poi, lei adulta incontra lui, il quale non ha la più pallida idea di ciò che l’attende, e passano tutta la vita a palleggiarsi nel tempo gli incontri finché... Be’, non voglio rovinare a qualcuno il finale, che poi è forse l’inizio. L’elemento più affascinante è come in entrambe le storie vi sia anzitutto un’alta dose di predestinazione nei protagonisti, che si amano e si in-
Audrey Niffenegger
ovvero quando l’amore prevale sul gotico
Nel 2009 il libro - che era già divenuto un best sellers internazionale - diviene il film (tradotto in italiano con il titolo totalmente insignificante di Un amore all’improvviso) con Eric Bana e Rachel MacAdams nei ruoli dei protagonisti.
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Autrice americana nata nel 1963 con una modesta produzione di racconti brevi e per ora di due romanzi, che scrive e disegna le sue opere con tratti tra il surrealista e l’espressionista. Chi legge le sue opere - per la maggior parte delle quali bisogna essere attrezzati con la conoscenza della lingua inglese, perché non è stata tradotta granché in italiano - ne trae un senso di gotico, per le suggestioni spettrali che utilizza, molto care ad autori passati quali James e Dickens. La Niffenegger non scrive e non ama particolarmente il genere fantascientifico, poco male, perché si destreggia bene con la narrazione mimetica, miscelando in modo intelligente amore, morte e affetti anche non propriamente in linea con il pensiero comune.
37 contrano perché “è già successo” e dunque deve accadere, con buona pace del libero arbitrio. In Matheson quest’aspetto è forse più ammantato di quel sano sense of wonder tipico degli scrittori di sf degli anni d’oro, mentre la Niffenegger – una scrittrice della nuova generazione, che per di più non ha nessuna attinenza con il mondo della sf – si impegna a cercare cercare di dare una giustificazione ai balzi temporali del protagonista senza peraltro convincere o riuscire nell’intento di costruire un nucleo di science attorno a cui costruire la sua fiction. Le mancano, per quello, le capacità di base; uno scrittore di sf, attorno al concetto di “cronoalterazione” creato dalla Niffenegger, avrebbe costruito tutta la struttura del romanzo, forse. Ma per la scrittrice americana diventa solo un elemento buttato lì, quasi a voler negare, in questo modo, proprio il sense of wonder che ne potrebbe scaturire. Ed è forse un bene, perché il punto di forza del suo romanzo è l’originalità con la quale riesce a intrecciare le vite dei protagonisti in una storia moderna, avvincente e plausibile. Insomma: un tipico e navigato scrittore di sf si sarebbe fatto prendere la mano, lei
no. Bene. Matheson – sf vecchia scuola, con una produzione nel genere di tutto rispetto – distribuisce la storia in un lasso di tempo differente della Niffenegger; 75 anni, l’arco di una vita, ma concentrando rigidamente la storia inizialmente nel XX secolo e sviluppandola in un paio di giorni del secolo precedente quasi a consumare in modo febbrile l’attesa accumulata. La maestria di Matheson nel dare al lettore le sensazioni del passato sono insuperabili: la sua capacità nel descrivere il feedback del protagonista una volta compiuto il balzo, vale tutto il romanzo. Anche Matheson non perde tempo a cercare giustificazioni sul modo di innescare il balzo e spende solo qualche paragrafo a illustrare una vaga teoria che chiama in gioco il potere della concentrazione e dell’autoconvincimento. Si tratta di un romanzo scritto negli anni ‘70, quando l’influsso delle discipline mentali e dell’esplorazione delle possibilità dell’inconscio da parte degli scrittori di sf era al suo apice. Basti considerare un altro romanzo al quale l’opera di Matheson potrebbe essere accostato per rendersene costo: Time and Again di Jack Finney del
Richard Matheson
ovvero quando il weird tales è in te Prolifico autore americano, nato nel 1926, del quale si devono ricordare almeno tre romanzi: Io sono Helen Driscoll, Tre millimetri al giorno e Io sono leggenda. Dalla letteratura e poi passato al cinema e alla televisione firmando molte famose sceneggiature e la maggior parte delle storie di The Twilght Zone (Ai confini della realtà). Tecnicamente forse non un autore di sf, dunque, ma piuttosto orientato al mistero e all’horror, ma che a pieno titolo viene considerato tale per la capacità di coniugare il mistero con il weird tales. Rimane uno degli autori più saccheggiati dal cinema per le sue storie; basti pensare che solamente da Io sono leggenda ne sono stati fatti tre (nel 1962 con Vincent Price, nel 1971 con Charlton Heston e nel 2007 con Willi Smith) ma che anche altri suoi romanzi (tra cui quelli citati all’inizio) sono divenuti film.
Nel 1980 Christoper Reeve veste i panni del protagonista che per amore torna indietro per incontrare Jane Seymur, nel film Ovunque nel tempo (Somewhere in Time).
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38 1970 (edizione italiana “Indietro nel tempo”, ed. Marcos y Marcos, 2003). Se a ciò sommiamo il fatto che la storia risulta essere il manoscritto farneticante che il fratello del protagonista rende pubblico dopo la sua scomparsa, abbiamo sistemato le questioni tecniche, e possiamo concentrarci sul nocciolo della storia. Che sono la predestinazione e l’amore. Elementi entrambi presenti in tutte e due le storie, ma con delle differenze sostanziali, messe in evidenza dai diversi stili dei due scrittori. La Niffenegger adotta lo stile del racconto alternato in prima persona da parte dei due protagonisti, quasi fosse un diario; non è forse originale, ma è sicuramente efficace, perché consente ai due protagonisti di raccontare in prima persona fatti e avvenimenti, porgere al lettore due modi a volte differenti della lettura di un avvenimento, conoscere ciò che veramente i due protagonisti pensano uno dell’altro e cosa li anima. E induce un minimo di suspance per una storia che raccontata in modo lineare, risulterebbe banale e forse anche noiosa. L’intreccio delle date e degli avvenimenti, obbliga il lettore a fare egli stesso dei collegamenti mentali e di sicuro tiene desta la sua attenzione. Il romanzo ha una struttura senz’altro complessa, non lineare, e per tutta la narrazione aleggia un senso di gotico molto coinvolgente e che non sfocia mai in tragedia, anche se alcuni fatti legati ai protagonisti e ai loro familiari potrebbero ben condurre. Un romanzo molto americano, per certi versi minimalista, in cui il lettore dopo solo poche pagine entra nel gioco del tempo e naviga felicemente fino alla conclusione. La scuola di Matheson è invece meno sperimentale e più collaudata. La narrazione è lasciata al protagonista maschile, tranne che per il prologo iniziale e per l’epilogo a firma del fratello di lui. Inizia in un certo momento della vita del protagonista per poi spostarsi repentinamente nel passato dove praticamente si conclude. Lo stile di Matheson è elegante e curato, preoccupato principalmente di far muovere il protagonista in un ambiente oscuro – l’America di fine ‘800, per certi versi quasi mitteleuropea – senza rendere
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ridicolo lui e nemmeno la società con la quale si deve confrontare nel suo breve soggiorno. Decisamente di buona scuola anche la lunghissima parte in cui finalmente si consuma la passione dei due protagonisti; una xx di pagine in cui i due amanti si rotolano tra le lenzuola, scoprendosi e sognando un futuro drammaticamente irrealizzabile. La preoccupazione di Matheson – che è un po’ tipica delle sue storie – è quella di dare coerenza alla narrazione insinuando pian piano quegli elementi che trasfigurano la storia e la proiettano nel mistero. Piano piano, anche la debole intuizione che un viaggio del tempo sia possibile al protagonista solo per il fatto che lui sia in grado di volerlo, attirato dalla parte opposta dall’amore vero, diviene quasi plausibile. O quantomeno, agli occhi di chi legge, non è importante come il protagonista sia arrivato nel passato, ma che ci rimanga il più possibile. Nel romanzo di Matheson i protagonisti non hanno tempo di disperarsi; la brevità della storia e lo stile adottato dall’autore non consentono ai protagonisti di modificare la loro natura nei confronti del lettore e consumano le loro vite nello spazio di poche ore. L’unica concessione è la protagonista femminile che pian piano cede all’inesorabile forza dell’amore e ne rimane consumata. La Niffenegger, tutt’altro, ci offre protagonisti quasi in continuo cambiamento, che si accompagnano per tutta la loro vita, modificandosi e scoprendosi ogni volta a ogni incontro. Leggere questi romanzi significa assaporare due aspetti differenti di un’unica pulsione: “...le cose accadono così come accadono, una vola per tutte” dice il protagonista della Niffenegger, mentre il protagonista della storia di Matheson crede fermamente che “...il segreto del successo di un viaggio nel tempo, il prezzo da pagare, sia la perdita della propria identità temporale”. Ma in ogni caso, per entrambi, l’aver trovato un amore a cui aggrapparsi e l’unica cosa che conti veramente. Banale, ma vero ed efficace. L’amore muove il mondo e il tempo si adegua di conseguenza. (Giorgio Ginelli)
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Saggio
Centodieci anni fa – a essere piche non può vincere) che spaventa gnoli il 2 maggio 1897 – il Comule grandi produttrici di auto e inine di Milano sentenzia che i prozia a portarle in tribunale. prietari di auto-mobili (“carrozze Sempre nel ‘65, ma in Italia, si vesenza cavalli”) prima di ogni viagrifica una curiosa intersezione (o gio devono chiedere un permesso testa-coda, se volete usare un linscritto indicando ora e percorso. guaggio da piloti) fra il cosiddetLa disposizione ha vita breve e del to mondo reale e la fantascienza. resto due anni dopo apre i battenEsce Il grande dio auto, una ti la “Fabbrica italiana automobili ponderosa antologia, 452 pagiTorino” poi fiat: sigla che suona ne, con “racconti di fantascienza bene perché fa pensare a un nuovo automobilistica”: l’aspetto più cumondo, come nella frase della Gerioso è che lo pubblica l’Editrice di Daniele Barbieri nesi (si vede che dio parlava predell’Automobile cioè l’aci. Sguar_____________ di sul futuro prossimo lanciati dai maturamente latino perché da noi è arrivata proprio così: Fiat lux). 23 autori (tutti uomini, tre sono Questa galassia-auto bebè (un centinaio d’anni italiani) e non propriamente ottimisti ma forse sono pinzillacchere direbbe Totò) ha sacerdoti, l’aci stava effettuando un rito vudù. Ormai quel eretici, cantori, detrattori, miti, riti, eros sublivolume si trova solo in qualche biblioteca ed è mato e sesso illecito. Proviamo a vederne alcuni un peccato. Pur se i racconti risultano di ineguale nodi nella mescolanza fra cronaca e letteratura intensità narrativa e stilistica offrono nell’insied’anticipazione (detta volgarmente fantascienza). me una lettura interessante e pongono questioni “chiave” soprattutto considerando che negli anni Il rombo del ‘900 ’60 il cammino dell’auto sembra inarrestabile. A parte le vetture che si ribellano ai guidatori (scarIl progresso, la mobilità, Ford che vuol dare tiamole in questa sede), alcuni temi oggi appaioun’auto anche ai suoi operai, la Topolino, la Cinno troppo visti… o forse già realizzati. A esempio quecento…. Nel 1965 esce negli Usa un librole corse della morte e gli ingorghi inestricabili. Se choc, L’auto che uccide (da noi lo pubblica per corsa-killer si intende che il pilota deve ucciBompiani) con il sotto-titolo: “Una spietata acdere più persone possibili… questo è un sogno/ cusa: l’insicurezza delle automobili a qualsiasi veincubo riservato ad alcuni videogiochi; se invece locità”. Lo scrive Ralph Nader, giovane avvocato usiamo il termine per calcolare morti e feriti sulle (oggi leader del terzo partito statunitense, quello
Fantascienza e automobili: lo scontro annunciato
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40 strade è realtà quotidiana. Ecco una breve citazione: “Il numero delle vittime per incidenti stradali ha superato dal 1945 a oggi il numero dei morti nelle due guerre mondiali”. Quale sovversivo poteva urlare tanto sfrontatamente una scomoda verità? Era ohibò una pubblicità ibm degli anni ’70 nella quale si assicurava un futuro radioso perché grazie ai computer si sarebbero costruite automobili sicurissime; non sembrerebbe vero? Quanto agli ingorghi – “l’auto-immobile” come dice un bel giochino di parole – sembrava davvero assurdo 40-50 anni fa il racconto di Julio Cortazar (Luigi Comecini ne trasse un buon film) che ne annunciava uno impossibile a districare. Oggi in molte parti del mondo si è abituati a essere intrappolati per ore; si arriva sui massmedia solo se accade d’estate e per una mezza giornata o più la Protezione civile deve provvedere a rifornire d’acqua gli ingorgati.
Chi è il pedone? Torniamo a Il grande dio auto: nel lungo racconto di Robert Heinlein (tanto geniale quanto ahi-lui reazionario) il pedone viene definito “un uomo che era riuscito a trovare un posto dove parcheggiare un’auto”. Poche pagine dopo ecco David Keller proporci – e scrive nel 1928 - un inquietante dialogo.
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Mamma – domandò – i pedoni sentono il dolore come noi? Oh no tesoro – disse la madre – Non sono come noi, qualcuno di loro non è nemmeno un essere umano. Somigliano tutti alle scimmie? Beh, forse sono più alti delle scimmie ma molto più bassi degli automobilisti.
Chiaro? Sullo stesso tema il grande (ma talora smielato) Ray Bradbury dice d’un personaggio: “In dieci anni di passeggiate, di giorno e di notte, per migliaia di chilometri, non gli era capitato di incontrare un altro essere umano che camminasse come lui per la città, nemmeno uno”. Il titolo di questo splendido racconto è Pedone ingiustificato e lascia presagire che “l’anormale” passerà i suoi guai. Abbandoniamo questa vecchia antologia per vedere come, tra realtà e fantascienza, ha progredito (o no) la simbiosi fra umani e vetture: i mezzi (per muoversi) trasformati nel fine (che tutto giustifica, ingorgo compreso). Un evento importante fu nel dopoguerra il drive in, vedere i film seduti in auto. Successo garantito da tre fattori: pigrizia, crescente culto dell’auto ma anche – ai giovani sembrerà strano – la quasi illimitata possibilità di fare sesso (o petting) protetti da buio, da finestrini appannati e da lamiere in società che allora reprimevano le coccole, figuriamoci gli amori, in pubblico. Subito dopo venne il drive thru fast food, automobilisti che ricevono un pasto senza porre piede a terra: si diffuse soprattutto negli Usa ma grazie (si fa per dire) a Mc’Donald fece qualche comparsata anche in altri Paesi. Nel marzo ’90 l’immobilizzare i passeggeri guadagna un altro punto: un’impresa di pompe funebri lancia (con relativo successo) 24 hours drive thru visitation, onoranze su quattro ruote; all’ingresso del cimitero il guidatore annuncia il nome del defunto cui vuol rendere omaggio e una voce computerizzata, con mesta musica in sottofondo, lo conduce a destinazione dove potrà vedere su grande schermo l’immagine Barbieri - Fantascienza e automobili
41 a colori dell’estinto e per i fiori della tomba basterà infilare una monetina in una sorta di parchimetro… il tutto, per l’appunto, senza scendere dalla vettura. Tre passaggi – altri se ne potrebbero citare – di una crescente “macchinizzazione” degli esseri umani. Uno scrittore di fantascienza del 1800 (tale Karl Marx, oggi a torto ignorato dai più) aveva annunciato “uomini ridotti ad appendici delle macchine” ma quella profezia si riferiva agli operai non ai proprietari di vetture che si muovono “liberamente” – anzi pagano la benzina di tasca propria – non perché qualche padrone li costringe.
Lamiera, futura umanità? La fantascienza post-Marx da tempo strilla contro la riduzione di uomini e donne ad accessori automobilistici. Giudicate se e quanto alcune profezie si siano concretizzate da un celebre racconto, L’auto addosso di Robert Young (nell’antologia Il dio del 36° piano). Chi non “porta” sempre la vettura sopra di sé viene considerato nudo, osceno e va perseguitato, mandato al confino. Religione dominante è il “Gran Jim” – l’auto – ma un eretico svela: “Il Gran Jim non esiste, lo hanno inventato i fabbricanti d’auto per far paura alla gente. Il governo ha dato il suo appoggio. Non è stato difficile raggiungere lo scopo perché la gente stava sempre più in macchina”. Esagerazioni? Una pubblicità in questi giorni ti invita “se davvero ami l’auto” a usare solo un certo olio e un’altra tempo fa, con tanto di organo da chiesa, sussurrava un sexi “vi dichiaro marito e macchina”. Dove nonni e genitori tenevano al muro madonne e santi spesso ora c’è Villeneuve, eroe e martire, lo Schumacher “dei miracoli” e così via. In molte parti del cosiddetto Terzo mondo ma anche in Italia c’è da tempo l’uso di “segnare” il luogo dove è avvenuto l’incidente d’auto: un mazzo di fiori legato al guard-rail (e l’antropologo Franco La Cecla per l’appunto ha intitolato un suo saggio “La sacralità del guard-rail”), croci o lapidi se esiste un marciapiede o una piazzola, talvolta foto o scritte a lato dell’asfalto …. Barbieri - Fantascienza e automobili
Fra le decine (forse centinaia) di romanzi o racconti di science fiction che hanno l’auto in evidenza vale vederne altri quattro. Il primo è poco più di una provocazione ma… chissà. Nel suo breve Auto asociale il frizzante Harry Harrison si chiede cosa davvero accadrebbe se (quando?) ci sarà una crisi energetica super. La sarcastica risposta è che, pur di non rinunciare allo status symbol, i guidatori potrebbero sobbarcarsi la fatica di due ore… per caricare la loro auto “a molla” garantendosi così un’autonomia di viaggio pari a 11 minuti. La seconda storia è in un vecchio romanzo intitolato Il giorno che invasero New York di Irwin Lewis. Parte da questa domanda: e se il traffico fosse il punto militarmente più debole di una nazione? L’idea di un’invasione (importa se all’epoca si trattava dei perfidi sovietici o dei poliponi marziani?) sotto forma di un moderno cavallo di Troia impersonato da pistoni e semafori pare abbia suscitato panico reale nei piani alti delle industrie e nei piani bassi (anzi sotterranei) delle gerarchie militari. Non è dato sapere se presero contromisure. Terzo spunto. In un’antologia (La banda di Barnaby Sheen) del caustico R. A. Lafferty ecco un fulminante racconto, Tutti in tram, del genere crono-utopia. Si immagina dunque che all’inizio del ‘900 l’umanità incerta se privilegiare il trasporto su gomma o su rotaia abbia finito per scegliere il secondo. In modo – come dire? – radicale. Un giorno sul tram Charles Archer d’improvviso sente un suono acuto, un odore di monossido e gomma. Subito avvisa il manovratore e tutti i passeggeri si armano di fucile per mettersi in caccia. Un bambino chiede perché. Risposta: “Nessuno si è mi riabilitato […] La loro pazzia è infettiva. C’è una diabolica arroganza in loro, uno sfrenato individualismo. Non c’è nulla di più pericoloso per la società di un uomo in automobile […] Ti piacerebbe nascere in mezzo a questa puzza di monossido, viverci ogni momento. Morirci?”. Già, a voi piacerebbe? Uno scienziato-scrittore che anche chi non frequenta la science fiction avrà sentito nominare
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42 (squillino le trombe e tintinnino le provette per Isaac Asimov) racconta che gli archeologi di un lontano futuro troveranno i resti di strane macchine scoprendo – con stupore e orrore – che bruciavano benzina nell’aria: con ogni evidenza quei lontani antenati – noi - dovevano essere proprio ammattiti.
Perché siamo pazzi? Un cinico scrittore, Thomas Disch (da con confondere con il più celebre Philip Dick) introducendo una bella antologia sulle nuove mitologie prova a chiedersi cosa amiamo nelle auto, rispondendo così: “La mia teoria è che l’esperienza umana contemporanea che viene portata all’apoteosi dal mito del razzo sia quella di guidare o di andare in automobile; si può deplorare l’uso dell’auto come mezzo di realizzazione e delle superstrade come vie per l’estasi ma solo gli istruttori di scuola-guida negherebbero che le auto possono essere qualcosa del genere”. Ne sono passati di pneumatici e volanti da quel 2 maggio 1897 a Milano. Anche la legislazione ha preso atto della storica supremazia di fari e lamiere su carne e sangue. Salvo in rigurgiti razzisti quando “il pirata” è rumeno, nessuno si indigna se ai molti che al volante hanno ucciso i tribunali restituiscono la patente. Per dirla con Cristiane Rochefort (in Prima i bambini, una sorta di manuale di anti-educazione) “l’assassinio è consentito se il semaforo è verde”. Nel romanzo Allarme sulla Terra, Robert Bloch (sì, quello di Psycho) ha scritto: “Ai vecchi tempi […] i teologi si perdevano in discussioni sull’idea dell’inferno: se esisteva davvero era stato creato da dio o dal demonio? Peccato che quei teologi non fossero più al mondo, avrebbero trovato risposta ai loro interrogativi. L’inferno esisteva. Ed era stato creato dalla General Motors”. Vetture come figlie ignoranti del mito della velocità (Marinetti più Majakovskj moltiplicato per Ford) o come possibili eredi di noi umani. Nello scontro automobilistico c’è chi vede persino una bellezza, una sessualità – una pornografia, se volete – e prova a sedurci. È il romanzo
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Crash di James Ballard, poi diventato un film di David Cronenberg. Da non prendere alla leggera. Non foss’altro perché – scrive Ballard nel 1974 – “Crash non si occupa di una catastrofe immaginaria, per quanto imminente, bensì d’un cataclisma pandemico istituzionalizzato in tutte le società industrializzate: un cataclisma che ogni anno uccide centinaia di migliaia di persone e ne ferisce milioni”. Rimescolando due vecchie sigle, amate dai “fumettari”: siamo umanoidi che urlano contro metalli associati. Lasciamo a Guido Viale o a Beppe Grillo di parlarci delle possibili vie d’uscita mentre proviamo a vedere se, all’interno della fantascienza, ci viene indicata qualche nemesi … all’altezza della colpa. Tre simboli; o capri espiatori se preferite. Louise Baltimore, nel romanzo Millennium di John Varley, si occupa di twonky ovvero di recuperare oggetti anacronistici dimenticati durante un “arraffo” temporale … oppure di salvare i passeggeri di auto, treni e metropolitane prima dello scontro. Se questa nemesi vi pare troppo piccina che ne dite del destino che tocca al povero autista Red Dorakeen, protagonista sulla Strada senza fine di Roger Zelazny: il contratto dei camionisti somiglia a un testo zen e chi sbaglia direzione non può più tornare indietro, deve girare in eterno con la sola speranza che “il vescovo in Cadillac” lo sciolga dal voto. Ancora non vi basta? Sentite la proposta-vendetta del libro (e poi film) Guida galattica per auto-stoppisti di Douglas Adams: c’è un’ordinanza-sentenza immodificabile (altro che la Tav) secondo cui la Terra deve essere spazzata via per far passare una super-strada spaziale. Il protagonista, Arthur Dent, ha soltanto pochi minuti per andare altrove. Altrove? Sì, forse questa è abbastanza cattiva… se pensate che c’è un Arthur Dent in ognuno di noi e che quella drastica ingiunzione sarebbe proprio un bel contrappasso per la nostra megalomane auto-dipendenza. (Daniele Barbieri) Barbieri - Fantascienza e automobili
Provate a spiegare al vostro gatto che tutte le porte di casa si aprono sulla neve pressoché perenne del Connecticut, se ci riuscite. Per quanto voi vi sforziate di rendere la sua esistenza calda e protetta dentro le mura domestiche, egli cercherà sempre la porta che si apre sull’estate, perché è nella natura del gatto cercare la libertà e desiderare di esplorare il mondo. E alla fine del lungo inverno, finalmente, quella benedetta porta si aprirà davvero sull’estate e sui prati verdi e fioriti e il mondo apparirà diverso, non solo al gatto, perché anche voi scoprirete di essere cambiati. Ecco, in sintesi, la dolce e accattivante parabola di questo gioiello di Heinlein, abbastanza atipico all’interno della sua produzione letteraria per la leggerezza e la poeticità di alcuni passaggi, ma non privo di stimolanti e suggestivi richiami a tematiche tipicamente fantascientifiche, quali il viaggio nel tempo e le scoperte scientifiche che rivoluzioneranno il vivere quotidiano (tra queste, la possibilità di venire “ibernati” attraverso il processo denominato “lungo sonno” e la presenza di robot domestici tuttofare). La dimensione “racconto” si sviluppa attraverso un intreccio a metà strada tra il giallo e la sf, senza dimenticare l’aspetto romantico della vicenda, un amore quasi impossibile tra zio e nipotina che troverà pieno compimento solo attraverso l’utilizzo di stratagemmi temporali molto ben congeniati.
LIBRAMENTE
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LA PORTA SULL’ESTATE ROBERT HEINLEIN Mondadori Urania, 1959
The
door into the summer
Dubleday,1957 Due le osservazioni che mi sento di proporre quale spunti di riflessione: la prima è che il protagonista, Dan Davis, pur rendendosi conto nel suo viaggiare nel tempo dell’esistenza di universi paralleli (il viaggio nel tempo disloca il viaggiatore in un universo vicino quanto si vuole, ma diverso dal proprio, pertanto deve esistere, da qualche parte in questo universo parallelo, un altro me stesso, inconsapevole di me, che vive la sua vita) non pare servirsi di questa informazione per avere notizie, ad esempio, del suo alter ego che ha sposato l’amata in quest’altro universo. La seconda riguarda la storia d’amore tra Davis e la nipote Richy: all’inizio della storia lui ha circa 30 anni, lei 11, e sono rispettivamente zio e nipote. Attraverso la complicità dei viaggi nel tempo e dell’ibernazione, i due coroneranno il loro sogno d’amore riducendo in termini “moralmente accettabili” la differenza d’età. Tuttavia, letto utilizzando una lente vicina alle prospettive della psicoanalisi, questo rapporto appare per diversi aspetti davvero imbarazzante da giustificare. Tra i rimandi, invece, che fanno di questo romanzo un libro ricco anche di divertissement c’è la notizia che Leonardo Da Vinci, come già supposto da molti, non fosse altro che un uomo di scienze di nome Leo Vincent proveniente dal futuro piombato per caso nel ‘500 a causa di un esperimento forse andato male. Da ultimo, ma non da ultimo, il mitico Petronio Arbitro, il gatto di Davis: la sua presenza dona al racconto una veste magica e divertita che lo fa amare da subito anche ai neofiti della sf, rappresentando dunque una buona occasione per avvicinare nuovi lettori a questo genere intramontabile.
Stefano Bon
Traduzione di Beata Della Frattina
L’edizione Urania 197 del romanzo con la copertina di C. Cesar.
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LIBRAMENTE
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L’UOMO DEI GIOCHI A PREMIO PHILIP K. DICK Mondadori, Urania, 1968
Time out of joint J. B. Lippincott & Co, 1959 Altre traduzioni italiane:
Il tempo si è spezzato collana I Romanzi del Corriere, traduzione di Pinuccia Rebora, Corriere della Sera, 1959.
Tempo fuori luogo collana La Memoria, traduzione di Gianni Pannofino, Sellerio Editore, 1999.
Tempo fuor di sesto collana Collezione, traduzione di Anna Martini, Fanucci, 2003.
Ragle Gumm vive con la sorella e il cognato in una anonima cittadina della periferia americana. Disoccupato e senza famiglia propria, si guadagna da vivere partecipando e vincendo tutti i giorni da due anni al concorso a quiz proposto dal locale quotidiano. Si tratta di un complicato gioco a metà tra la matematica e l’enigmistica, che lo occupa per dieci ore al giorno in stralunati calcoli. Ma alla fine, come sempre da quando questa storia è cominciata, Ragle riesce a risolvere l’enigma e ad aggiudicarsi la posta in palio. Qualcosa di strano, però, sta succedendo nella vita di Ragle: gli oggetti spariscono, i ricordi giocano brutti scherzi, la sua mente vacilla alla ricerca di un principio di sanità mentale che sembra sfuggirgli. Cosa si cela veramente dietro questa sua abilità nel risolvere gli indovinelli e, soprattutto, è mai possibile che la sua vita si riduca solo a quello?
Nella sconfinata produzione dickiana questo libro, per quanto considerato minore, si presta bene a rappresentarne il costante e angoscioso dilemma dello svelamento della verità/realtà rispetto a quella finzione che nel corso del Tempo, chissà quando e come, ne ha subdolamente preso il posto, ingannando l’uomo fino al punto di renderlo asservito e succube di un potere distorto e malato. La base di tutto, come spesso in Dick, è la psiche umana, dedalo pressoché inestricabile di frammenti e cocci di spirito, fede, filosofia, squarci di Dio e fiumi di sostanze stupefacenti. Il protagonista vive in una realtà che, sfogliandosi lentamente come un albero in autunno, gli propone comunque illusioni e alternative compensatorie sempre disponibili, quasi ad invitarlo ad assecondare ancora la finzione, per molti versi rassicurante, di quel vivere costellato di dubbi e domande senza vere risposte. La verità in fondo al tunnel, infatti, spesso è peggiore della pietosa bugia che l’ha celata, ma gli eroi tenaci di Dick l’affrontano ugualmente, paladini inconsapevoli ma inarrestabili di un evidente movimento di lotta alla mistificazione su larga scala. La tematica del romanzo (il cui titolo originale tradotto letteralmente è Tempo fuor di sesto e rimanda a Shakespeare e al suo Amleto; proprio con questo titolo è stato ripubblicato nel 2003 da Fanucci), appare quanto mai attuale e straordinariamente in anticipo sui tempi ma, ancora una volta, non ci pone al riparo dalla grande menzogna: se davvero noi possiamo vedere e sapere solo ciò che ci viene mostrato e raccontato, come possiamo essere certi di vivere nella realtà e non, invece, in un Sogno, in un mondo costruito ad arte per ingannarci? Forse in un mondo parallelo, o forse nel Futuro. Di sicuro tutto questo è Dick. Il presente romanzo, come ricordato da molti, ha in larga parte ispirato la sceneggiatura del film The Truman Show, ma a mio avviso l’appassionato di sf troverà la vera quadratura del cerchio delle tematiche dickiane nella visione de Il tredicesimo piano (straordinario e misconosciuto film del 1999, di cui si parlerà in uno dei prossimi numeri di City).
Stefano Bon
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Keith Winton ha un mestiere che molti appassionati di sf avrebbero voluto fare: direttore responsabile di un pulp magazine di storie fantastiche nell’America degli anni ‘50. Ha successo, è soddsifatto della sua vita, progetti per il futuro e, ancora più importante, è innamorato di quella che ai suoi occhi è la ragazza più bella della Terra. Ma a seguito di un disastroso esperimento fatto dall’agenzia spaziale americana, subisce una violenta traslazione in un universo adiacente a quello in cui vive: un “assurdo universo” in cui molte delle peculiarità delle storie di sf di quell’epoca sono grottescamente e tragicamente divenute delle realtà. In una rutilante serie di avventure a contatto con una quotidianità distorta e paradossale, il protagonista deve trovare il modo di tornare al proprio universo, in cui tutto potrà tornare ad essere familiare e coerente. Anzi, anche migliore... Esistono libri che hanno il potere di coinvolgere il lettore nella storia, qualsiasi sia il tempo e il luogo in cui vengano letti. Esistono autori che hanno la capacità di scrivere storie semplici e avvincenti, in grado di affascinare lettori di tutte le età e culture. In Fredric Brown si sommano spesso questi due eventi eccezionali e questo romanzo del 1949 ne è un valido esempio, tanto da essere ancora oggi ristampato (l’ultima edizione italiana è stata del 2004, nella collana Urania Collezione) nonostante sia stato pubblicato per la prima volta in Italia nel 1953 (pressapoco gli anni in cui è ambientata la storia). Ciò che affascina di questo romanzo non è l’umorismo, che dopo più di cinquant’anni forse si è perso per strada, ma bensì il grado di sarcasmo che un pilastro del calibro di Brown è in grado di introdurre nella storia, utilizzando molti degli archetipi che sono tipici della sf americana dei primi decenni del secolo ventesimo: dai mostri con occhi d’insetto alle ragazze abbigliate con succinti vestiti, da alieni ad astronavi galattiche. La capacità di prendersi un po’ in giro; insomma, come se un’autore del cosidetto filone cyberpunk scrivesse una storia in cui mette alla berlina il network ipertecnologico. Visto dal ventunesimo secolo, questo romanzo colpisce almeno anche per un altra ragione. L’atto sostanziale della storia è un evento che proprio nel 2009 – nel nostro universo – è stato oggetto di un esperimento perfettamente riuscito della nasa: il progetto lcross, ovvero bombardare la superficie della Luna con una carica ad alto potenziale, per studiare la composizione geologica della superficie del satellite [approfondisci: æ]. Nella storia di Brown, che è stata scritta in un periodo ben lontano dalle prime missioni nello spazio, quando ancora non era stata nemmeno svelata la faccia nascosta del nostro satellite, e proprio nel periodo in cui l’autore si trasferisce a vivere a New York, palcoscenico sul quale viene ambientato il romanzo, è vincente proprio perché è una “storia” nella quale compaiono tutti gli elementi cari ai lettori del periodo d’oro della sf, ma che rimane uno dei più fulgidi esempi di ucronìe mai scritte.
LIBRAMENTE
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ASSURDO UNIVERSO FREDRIC BROWN Mondadori Urania, 1953
What Mad Universe Dutton, 1949 Traduzione di Adria Mandini
Giorgio Ginelli
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L’ALTERNATIVA MICHAEL BISHOP Mondadori Urania Argento, 1995
L’universo dickiano è stato esplorato da tanti e tali esperti da aver generato intere raccolte di libri e articoli sull’argomento, e non potrebbe essere altrimenti, data la portata dei contenuti proposti dal suo genio letterario. Dalla misura di Dio alla frammentazione dell’io, l’opera di Dick ha esplorato tutti i lati dell’umano e dell’alieno che si celano in ognuno di noi, restituendoci spesso – per non dire sempre – la sensazione di una realtà visionaria e schizofrenica, dove solo l’individuo dotato di creatività e forza di volontà può sperare di venire a capo del rebus della vita. L’Alternativa, tuttavia, pur proponendo una suggestiva sintesi dei temi a lui più cari, non è un libro di P.K. Dick, bensì quello di un altro grande scrittore di sf come Michael Bishop (Il Tempo è il solo nemico, Il segreto degli Asadi, Occhi di Fuoco) che ipotizza, niente meno, che Dick non sia affato morto nel 1982 come noto, ma viva in realtà in una dimensione parallela e mutevole, di tanto in tanto in contatto con la nostra attraverso “catalizzatori” umani, condizionato nel suo esistere fisicamente (ma sempre ad un passo dall’immaterialità annientante) da abbondanti dosi di caffè nero.
The secret ascension Tor Books, 1987
Philiph K. Dick Is dead, alas Orb Edition, 1994 Traduzione di Delio Zinoni
L’edizione Urania Argento 3 con la copertina di Giuseppe Festino.
Il romanzo si colloca nel filone delle storie a cavallo tra utopia e distopia, proponendo la classica realtà alternativa (ucronìa), la cui reale messa a fuoco sull’universo definitivo avviene attraverso un percorso di riconoscimento e adesione da parte di alcuni umani che, per motivi diversi, si trovano ad avere sviluppato verso P.K. Dick – lo scrittore, che anche nel romanzo muore – un legame di qualche genere. Il romanzo ci mostra un pianeta Terra governato da pochi e violenti paesi leader: il controllo delle masse avviene attraverso leggi che limitano la libertà individuale (viaggiare è proibito!) e naturalmente attraverso la noninformazione. Gli Stati Uniti hanno vinto la guerra in Vietnam ricorrendo ad armi di distruzione di massa e Richard Nixon (nel libro: l’odioso Re Riccardo) è presidente da quattro mandati. L’Amerika, ma il resto del mondo non sta meglio, è governata da un pazzoide egoista e violento, che reprime con la forza ogni forma di protesta e ha organizzato una serie di Istituti preposti alla rieducazione dei cittadini dissidenti. Chi non si adegua, scompare nel nulla, come accaduto ad illustri oppositori della guerra in Vietnam come Bob Dylan e Joan Baez. Cal Pickford, cowboy trapiantato in città per le necessità della vita, è cresciuto nel mito di Dick e alle sue idee si è ispirato per comprendere meglio le vicende dell’umanità, è dunque il soggetto adatto per fare da ponte e da collante tra le due realtà: quella negativa del mondo in cui vive e quella che P.K. Dick, nonostante la morte fisica, sta cercando di affermare attraverso la sua ultima fatica, per modificare le sorti della Terra. Bishop abbandona i sentieri antropologici sviluppati genialmente nei suoi romanzi precedenti e ci regala un romanzo di puro intrattenimento, intelligente abbastanza da farci dispiacere nel ricordare che – purtroppo – P.K. Dick è morto veramente.
Stefano Bon
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Racconto
Una serata infelice di Daniele Baldini _____________ Al tramonto, lasciammo le bianche scogliere alla foce del fiume Mgr per raggiungere la cittadina di Sshzzan, a poche leghe nell’entroterra. La giornata soleggiata e ventosa si stava rapidamente trasformando in una serata uggiosa, temporalesca, e noi cercavamo un ristorantino tipico ed accogliente nel quale dare sfogo ai nostri piaceri alimentari. Raggiungemmo quel tranquillo borgo in stile Lkssh al calare della prima luna. Parcheggiammo l’aereomobile non lontano dalla cerchia delle mura antiche. Per un tempo imprecisato, vagammo annoiati, poco inclini a farci sedurre dagli acquisti, tra le botteghe artigiane e i negozietti alla moda del centro storico. Poi VLR39F, che nel pomeriggio si era danneggiata un artiglio sguazzando sui bassi fondali in prossimità del molo, espresse il desiderio di dare, e al più presto, sollievo alla sua nobile zampa. – Non sarebbe opportuno sederci un attimo, miei squamati? Vorrei togliermi il sandalo, per controllare la fasciatura… – propose con un tono di supplica velata che non ammetteva repliche. Non avevamo la minima idea che fosse la vigilia di una festività del luogo, né ci aspettavamo quel rigurgito di turisti e di folla indigena che sciamava per le viuzze e si assiepava ai tavoli dei dispensatori di cibo e bevande. Con sgomento, ci accorgemmo che ogni locale era stipato all’inverosimile. Soltanto per una fortuita coincidenza riuscimmo a scorgere, davanti ad un’osteria all’aperto, un tavolo libero. Una famigliola di sauri aveva appena terminato il suo spuntino serotino e se ne stava andando. – Forza, occupiamo quel maledetto posto…
Laggiù! Sotto quel gazebo… prima che ce lo freghino! Presto! – ordinò DT con tono asseverativo. E si mosse alla conquista della postazione senza aspettare che la seguissimo. Baldanzosa come al solito, del resto. Il suo nome è BRDT45F, ma ha il vezzo di farsi chiamare con l’abbreviativo. Dagli amici intimi e non solo. Indifferente alle proteste della gente contrariata dai colpi della sua coda roteante, solcò la moltitudine e prese possesso dell’agognato desco. Sfoderò un artiglio per chiamarci. Cominciò a scendere una fastidiosa pioggerellina. SRG51M ed io ci guardammo con un’aria di rassegnato conforto reciproco. Le femmine avevano scelto, e a noi non rimaneva altro che ratificare la loro decisione. Ci avviammo verso l’area di ristoro, precariamente protetta dalle ingiurie dei capricci atmosferici da un tendone colorato, e sedemmo su alti, scomodi sgabelli che spuntavano alla base di un tavolinetto metallico a forma di fungo. – Abbiamo avuto una bella contrazione di cloaca, gente! Che digitiamo per aperitivo? – disse VLR39F riprendendo colore alle squame del viso. Scrollò la cresta e sorrise. – Il servizio non è automatizzato, dentino mio, speriamo almeno che siano gustose le bevande… – si lamentò sottovoce DT. La solita fanatica, pensai, ma mi guardai bene dall’esprimere il mio pensiero. Trascorse più di un quarto di clessidra atomica prima che qualcuno venisse a prendere le nostre ordinazioni. Avemmo modo, così, di analizzare ancora una volta, nei minimi particolari, la sventura capitata a VLR39F. Era inciampata, la mi-
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48 sera, in una trappola lasciata dal solito pescatore dilettante, procurandosi una fastidiosa lesione all’artiglio medio della zampa sinistra. Nulla di grave, ma sicuramente una seccatura che ci aveva messi di cattivo umore. Ci fu perfino tempo per un intermezzo divertente, quando incontrammo HNGL43M, un velociraptor nostro vicino di scoglio, che stava giustappunto transitando da quelle parti. Per la precisione, fu lui a riconoscerci e a raggiungerci, inizialmente soltanto per porgere i suoi saluti. Così si trattenne un poco presso di noi per scambiare due chiacchiere. È un buon rettile, ma forse un po’ troppo ossessionato dal proliferare incontrollato del proprio manto di penne, sempre alla ricerca di nuovi metodi di spiumaggio che, anche quella sera, cominciò ad elencarci con dovizia di particolari e zelo esaltato. La sua presenza risollevò i nostri animi e ci dispose ad una maggiore letizia. Ma poi dovette lasciarci per disbrigare alcune sue faccende, ed anche quel diversivo terminò. Le membrane nittitanti di tutti noi ebbero un sussulto di pacata soddisfazione quando, infine, il cameriere si presentò. Era un androide di tipo umano. Un poco rigido, ma abbastanza zelante e formalmente accettabile, impettito in una livrea bianca e gialla che riportava, in nero, sul petto, lo stemma della locanda. – Che posso servire a lor signori, di grazia? – Ci fu una silenziosa danza di occhiate significative seguita da un dardeggiar di doppie lingue ancor più frenetico. – In questo locale, mi permetta, si servono bevande a base di succhi di mammifero? – chiese SRG51M. Se la tira da esperto di sangue umano. Ma non regge molto quello di squalo, ad essere sinceri. E raramente fa uso di bile di ittiosauro. Comunque, sa il fatto suo in fatto di liquidi biologici. – Certamente, messere – fu la pronta risposta del cameriere. Tutto sembrava procedere per il meglio. – Bene. Ci mostra, per cortesia, la lista degli aperitivi? – domandò di nuovo SRG51M. – Io avrei già un’idea precisa, ma lascio a voi decidere per primi! – concluse magnanimo il no-
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stro esimio fratello. Il menù olografico che il cameriere proiettò sul tavolo fu attentamente vagliato. Nel frattempo, l’androide ci scansionava paziente con i suoi occhietti rossi lampeggianti. – Io prendo una tazza di sangue di lemure, senza ghiaccio, mi raccomando… e con un paio d’occhi di marmotta. Grazie! – disse DT ostentando la solita grinta. – E per me un mezzo boccale di plasma senza aggiunta di conservanti, se non le dispiace… No! A pensarci bene, ecco… preferirei una tazza di latte raffermo… sento un improvviso bisogno di qualcosa di dolce e leggero… – fu la controversa decisione di VLR39F. – Latte raffermo in tazza, senza conservanti, allora… – – Due calici di sangue umano… AB servito fresco, per noi, invece… – disse SRG51M indicandomi. Mi lanciò uno guardo d’intesa ed io allungai un artiglio per confermare la sua scelta. Lasciai partire uno sbadiglio di tranquilla indifferenza e mi abbandonai alla contemplazione della folla che vagava per la piazzetta. – Ci può portare degli stuzzichini di contorno? Che so… Interiora di mucca o sanguisughe in salmì? Robette stuzzicanti… – propose DT. – Vedrò che posso fare, milady… – rispose il cameriere con voce priva di vivacità. Si produsse in un elaborato inchino e sparì nella calca che si assiepava davanti all’ingresso del locale. – Fumatina, sorelle e fratelli? – buttai là mentre frugavo nel panciotto. – Ben detto, vecchio sperone! – mi rispose VLR39F vibrando la coda con entusiasmo. Armeggiai con la mia pipa d’osso, fino a quando essa non rispose ai miei tentativi sputacchiando una solenne nuvoletta dalle proprietà distensive. DT e VLR39F fecero altrettanto, estraendo dai loro borselli femminee cannucce di vetro intarsiato. SRG51M si limitò a digrignare un mesto sorriso. Aveva smesso già da tempo quell’insana pratica del fumo. Ma era un individuo tollerante, e ci lasciò fare. Poi DT allungò il mento ed un artiglio verso la vetrata dalla quale si potevano ammirare stucchi Baldini - Una serata infelice
49 e orpelli della sala interna. – Hanno… anzi, avevano… un bancone di antipasti e di manicaretti assai rifornito… ma credo che a noi toccheranno le ultime frattaglie… – disse seccata. – A quanto pare, siamo arrivati in ritardo… mai una gioia dalla vita… – fu il commento di VLR39F. – Abbiamo sbagliato la scelta del posto! – fu la chiosa acidula di DT. Guizzò lo sguardo altrove e si nascose dietro una nuvola di fumo azzurrognolo. Non dissi nulla per non aprire un contenzioso pericoloso. La scelta del locale era stata sua. Dopo quasi un altro mezzo click di clessidra, durante il quale la maggior parte della gente ai tavoli aveva cominciato ad alzarsi e ad andarsene, finalmente arrivò il cameriere con le nostre ordinazioni. Era seguito da un vassoio automatico che levitando si posò sul tavolo. Conteneva uno striminzito carico di piattini. Una vera miseria. – Mi aspettavo qualcosina di più… – esalò delusa VLR39F. – Che vi dicevo? Questa è o non è la bettola più pidocchiosa della città!? – sibilò DT a bassa voce, incurante del fatto che il cameriere aveva certamente sentito. Fu SRG51M a toglierci dall’imbarazzo: col proprio anello identificativo sfiorò la fronte dell’androide e pagò le nostre consumazioni. Il cameriere s’inchinò e se ne andò. Cominciammo a sorseggiare le nostre bevande e a morsicare le reliquie del bouffet con aria sconsolata, in silenzio. A me era capitato uno spiedino di locuste alquanto raffermo, ma non dissi nulla, per scongiurare una recrudescenza dell’indignazione. Intanto, s’era alzata anche la seconda luna e la temperatura era rinfrescata ulteriormente. Per fortuna, la pioggia aveva decretato una tregua. Quando anche la più infima briciola fu spazzolata via ed ogni goccia dei nostri aperitivi fu leccata, DT alzò un unghione punteggiato di anelli e chiese la nostra attenzione. – Ed ora andiamo a cercare il ristorante dove concludere degnamente la serata! – Il tono non ammetteva repliche. Baldini - Una serata infelice
– Affermativo, ma prevedo che sarà assai difficile trovarne uno senza la prenotazione… dovevamo muoverci prima! – azzardai dubbioso. – Ma taci, BLD50M! Figuriamoci se non si riesce a trovare un tavolo per quattro! – mi zittì lei. S’alzò d’impeto, facendo oscillare la coda inguainata in una calza trasparente luccicante di perline. In quanto ad eleganza, non era seconda a nessuna ovovivipara che io conoscessi. – Seguitemi, figli degeneri di una nidiata non ingallata! So io dove condurvi! E noi c’incollammo alla punta della sua coda, ubbidienti ed affamati. Lasciammo Piazza Grbld ed imboccammo la via principale. Giunti all’altezza della cupola del Tempio dedicato alla Dea Madre, svoltammo in una viuzza laterale. Botteghe antiquarie e ristorantini tipici si contendevano lo spazio con aggressiva regolarità. DT si fermò davanti ad una trattoria specializzata in carne di ittiosauro e crostacei denebiani. – Vado a vedere se c’è posto… Aspettatemi qui! – disse, ed entrò. Rimanemmo ad attenderla speranzosi, con l’acquolina che scrosciava tra le zanne in cascate di desiderio e nostalgia. Ma quando DT ricomparve sul marciapiede lastricato, aveva un’espressione infelice. – Non c’è neanche un trespolo libero, miei squamati – ci confermò. – Poco male, cerchiamo un altro locale! – propose SRG51M. E fu così che ricominciammo a vagabondare per un altro buon click per le vie della città. Intanto, era ricominciata a cadere una pioggerellina fastidiosa e inopportuna. VLR39F ed io eravamo gli unici a possedere deflettori idrici. Accesi il mio e, con garbo, cercai di estenderlo anche agli altri. Naturalmente, sia DT che SRG51M rifiutarono l’offerta d’aiuto, e stoici si disposero a sopportare lo stillicidio della pioggia. Quello di VLR39F bastava a malapena a proteggere la sua cresta. Ma la seccatura rappresentata dalla pioggia era l’ultima delle nostre preoccupazioni. Con studiata meticolosità passammo in rassegna i locali del centro storico. Ed ogni volta era sempre la solita solfa: ci duole respingere la
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50 vostra richiesta, ma siamo al completo. Sembrava che ogni rettiliano del circondario e, se per quello, anche gli esemplari delle altre specie, si fossero dati appuntamento a Sshzzan per celebrare insieme la fine del Digiuno della Muta. Cominciò allora ad insinuarsi in me il truce presentimento che avremmo avuto serie difficoltà a cenare, quella sera. Alla fine, in un condiviso languore di stomaci, che ci fece fremere le froge e placò in parte il nostro nervosismo, avvistammo una trattoria semivuota. Desolatamente pronta ad accogliere qualsiasi viandante. – Per le budella di un Draco! Lì ci sono posti liberi! – esclamai avviandomi verso quell’oasi di speranza. – Sì, non c’è nessuno… mi sa tanto, però, che… o è troppo caro… o si mangia male! – disse VLR39F dubitando di quel verdetto della fortuna. In effetti, gli unici avventori che si riusciva ad intravedere dalle vetrate erano una piccola comitiva di Grigi e, sul lato opposto, una squadra di quattro basilischi del Presidio Territoriale in libera uscita. SRG51M s’avvicinò al menù elettronico che brillava sul cristallo della porta. – I prezzi sono abbordabili… e fanno anche carne umana, qui… che ne dite? Si fa un tentativo? – propose timidamente. – Ormai è tardi… inoltre, i secondi piatti mi sembrano gustosi… – confermai pieno di speranza, già con una zampa sulla soglia. – E va bene. Così sia! – ratificò DT senza troppa convinzione. – Suggerisco di limitarci ad un secondo sostanzioso con contorno e… di fare a meno del dolce… Siete d’accordo? Avanti, entriamo! – sentenziò prima di accennare a muoversi. Tutti assentimmo chinando il capo. E fu così che entrammo nella Locanda degli Squartati. Le tre sale, le due a ridosso delle vetrate che davano sulla viuzza e quella interna, avevano la presunzione di imitare quei ristorantini tipici dei pianeti a bassa tecnologia, dove si mescolano accozzaglie di tavoli concepiti per bipedi umani a sgabelli e trespoli rettiliani, lampade al fluoro
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a fiaccole e candele pseudoprimitive, arredi provenienti da civiltà antitetiche al freddo design omologante dei mobili della Tecnorinascenza. Un cameriere, stavolta organico, avvolto in una tunica bisunta di pelle di foca, un umanoide glabro e dal colorito azzurrognolo, probabilmente un liberto dell’ultima generazione, scivolò davanti a noi e ci dirottò, con un’aria altrettanto untuosa, verso il fondo della sala. Ignorò la sfilza di splendidi tavoli vuoti che sonnecchiavano al centro del salone, e si fermò ad un tavolinetto accanto a quello occupato dai giovani basilischi. Un lampo di preveggenza mi fece lacrimare l’occhio mediano. Prima che avessimo avuto modo di accomodarci sui trespoli, cominciò a snocciolare velocissimo, in un terribile draco standard, la lista delle pietanze disponibili quella sera. – Al tempo! – lo interruppe DT. – Saremmo orientati ad ordinare soltanto un secondo di carne umana con contorno, perciò ci lasci consultare il menù in pace! – precisò la nostra femmina di riferimento con voce fremente. – A sua disposizione, milady! – rispose quello con un inchino sbilenco. Da una tasca estrasse un foglio di plastica interattivo e lo lasciò cadere con malagrazia sul tavolo. Poi se ne ritornò dietro le quinte della cucina. – Miei squamati, chissà che cosa ci riserva il cuoco di questa taverna… – sospirò VLR39F. – Mi auguro che i suoi piatti siano almeno decorosi e in sintonia con i gusti della Tradizione! – dichiarò DT afferrando il foglio e sollevandolo davanti al muso. Non ci vede molto bene, ma si ostina a rifiutare ogni trattamento correttivo. – Adesso elencherò i manicaretti a base di carne umana. Fate attenzione, quindi! Salto i primi, d’accordo? – – Per il piacere di noi tutti, sorella di nido, sii la nostra voce… – concesse SRG51M con aria cerimoniosa. Del resto, lui è un vero artista quando si tratta di esaltare la vanità di qualcuno. E quella di DT in particolare… Ci sistemammo comodamente, puntellandoci meglio sulle code, in attesa del Verbo che avrebbe fugato ogni nostra malinconia e insoddisfazione. – Ecco… Pronti? Si comincia con le tagliate… Baldini - Una serata infelice
51 in questo locale le cuociono su roccia vulcanica… bene, è già qualcosa… tagliata di maschio caucasico giovane al profumo di rose… tagliata di caucasico in salsa di funghi allucinogeni… tagliata di caucasico ai fiori di menta… tagliata di negroide in salsa agrodolce… tagliata di femmina caucasica pregna alle erbe aromatiche… tagliata di femmina negroide stagionata… – – Scusa, artiglio mio… ma i contorni sono compresi nel piatto o vanno chiesti a parte? – la interruppe VLR39F. – Vanno chiesti a parte, evidentemente… ci devo ancora arrivare… Ho il permesso di continuare? – rispose leggermente seccata la nostra Lettrice. – Non c’è molta varietà, a dire il vero… – sussurrai a SRG51M. Lui finse di ignorare la mia osservazione. Si limitò ad alzare un’unghia e cominciò a grattarsi i bargigli della cresta. Lasciai perdere. Il mio sesto senso mi suggeriva che c’era qualcosa che non quadrava. – Tagliata di semitico alle noci e all’erba sultanina… tagliata di asiatico al vino di sorgo… tagliata di adolescente caucasica femmina al sugo di scroto… tagliata di adolescente negroide maschio al succo di papavero… – In verità, erano piatti più che dignitosi, capaci di soddisfare gusti abbastanza comuni, prevedibili, da cucina interspaziale, tanto per capirci, tuttavia... – Ed ora passiamo alle soppressate… su questo buffo pianeta le chiamano… che ridicolo nome! Le chiamano Teste in cassetta… – ridacchiò DT. SRG51M ed io eravamo nativi di quel “buffo pianeta”, ma, naturalmente, tacemmo… – Se mi permettete, casserò la parte relativa alla… ehm… alla cassetta! – Ci fu una risatina di circostanza. Uno scoppio di ilarità molto mondano e politicamente corretto. Uno dei basilischi di fianco a noi si voltò a guardarci. Con due occhi già annebbiati dal troppo plasma, improvvisò un debole sibilo d’approvazione. Probabilmente, si era accorto solo allora delle volute provocanti della coda di VLR39F. Non credo avesse compreso minimamente il senso profondo di quella battuta. Baldini - Una serata infelice
– Testa di maschio caucasico all’aglio… testa di maschio negroide al peperoncino… testa di femmina caucasica ai fiori di zucca… testa di femmina negroide al cacao… – C’era un ma che, come uno spettro, si aggirava ai margini della mia consapevolezza. Le vere leccornie da intenditori, come la crudité di testa di femmina caucasica appena mozzata o il bambino da latte al mattone, non erano minimamente contemplate in quel coacervo di piatti più o meno tipici della cucina rettiliana classica. Rabbrividii all’idea di trovare prodotti non degni degli Antenati… e dell’ira che ciò avrebbe scatenato in DT. E pensare che non avevamo ancora studiato la lista dei flaconi ematici né quella dei dolci, scartata a priori, purtroppo… – E di contorno che c’è? – domandò VLR39F approfittando di una pausa nell’esposizione. – Mmh… Vediamo… Insalata d’alghe, purea di fegato d’elefante, frittelle di medusa, calamaretti fritti in foglie di felce e polpette di sorci con castagne in agrodolce… – rispose DT lanciandole un’occhiata contrariata. – Scommetto che hanno anche una nutrita batteria di dolci da proporci… – continuò VLR39F con un ingenuo ottimismo della ragione. – Ma se abbiamo detto che del dessert si faceva a meno… – la rimproverò DT. – Chiedevo soltanto… – si giustificò VLR39F. – Mmh… I soliti sanguinacci di sangue umano con uvetta e pinoli… ciambelle di vermetti di fiume e… vediamo… torta di verdure agli occhi caramellati… e ci sono anche le solite Scodelle della Progenitrice a vari gusti… niente di che, code mie… – Non s’era convenuto che si prendeva solo un secondo con contorno? – s’intromise pedante SRG51M. – Difatti… ne ho dato notizia soltanto per una cortesia nei confronti della mia sorella di muta… – disse DT. – Sarà meglio limitarci ad un piatto sostanzioso e rinunciare al dessert – puntualizzò ancora SRG51M, troncando sul nascere ogni velleità di cena all’altezza dei nostri pasti leggendari.
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52 – E sia! Io prendo una semplice Testa di maschio caucasico all’aglio e un contorno di insalata d’alghe… – decise DT. – Tagliata di maschio caucasico giovane, cotta su roccia vulcanica, con polpette di sorci e castagne in agrodolce! – disse VLR39F. SRG51M optò per il caucasico giovane ed io per una testa all’aglio. Mi incuriosiva molto anche la tagliata di semitico, ad essere sinceri, ma poi scelsi altrimenti, più per far compagnia a DT che per altre ragioni. – E da bere, che prendiamo? Eh, fratelli di zanna, quale sangue ordiniamo? Eh? – domandai lasciandomi trascinare dall’entusiasmo. In effetti, non stavo più nelle squame dalla fame. L’appetito è una brutta bestia, talvolta… – Ho potuto dare un’occhiata alla lista delle bevande: non sono a buon mercato… Direi di farci portare un sangue della casa o bibite non troppo costose, ad ogni modo – fu il suggerimento di SRG51M. – Io gradirei una pinta di sangue di mammifero pastorizzato – disse VLR39F. – Per me solo acqua leggermente solforosa, grazie. Rimanemmo tutti meravigliati dalla scelta di DT. Ma nessuno osò fiatare. Ci saremmo aspettati che condividesse con noi la degustazione di un Nobile di Torre Merlata, ad esempio, o che dirigesse il suo interesse verso un sangue più frizzante e meno fermo. Invece, ci spiazzò tutti… SRG51M ed io, consensualmente, e senza alcuna incertezza, optammo per una semplice caraffa di RH0 negativo fornita dalla casa, e di produzione locale. A malincuore, naturalmente. Ma gli emoflaconi in esposizione, purtroppo, costavano un intero ricambio d’organi. E in mancanza di draghi, volano anche i serpenti alati… SRG51M sguainò l’unghiolo di cortesia e digitò sul foglio le nostre ordinazioni. Poi attrasse l’attenzione del cameriere lanciando il classico richiamo valido su ogni pianeta e in ogni tempo. – Ragazzo! L’umanoide bluastro aveva appena servito i digestivi alla combriccola dei piccoli Grigi e stava trascinando un carrello a ruote ricoperto da una montagna di brocche e zuppiere. Si avvicinò in-
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dolente al nostro tavolo. – Ecco il menù con le ordinazioni… Afferrò il foglio e senza fretta sparì in cucina facendo sferragliare e tintinnare il suo carico. Mi misi ad osservare quegli esserini tanto minuti quanto indecifrabili. Erano una decina e sembravano perfettamente identici. Bevevano qualcosa di denso e giallastro da bicchieri lunghi e sottili come provette. Improvvisamente, nel medesimo istante, posarono i bicchieri. Poi si alzarono, si disposero su due file come tanti birilli e si diressero verso l’uscita. Si muovevano a scatti, dondolando le grosse teste come uccellini infreddoliti. Si riversarono in strada ondeggiando e sparirono dietro l’angolo. – Chissà che cosa hanno mangiato… – mi venne da dire. – Di certo, non bistecche… Probabilmente brodini, frullati e gelati vegetariani – puntualizzò VLR39F con malcelata commiserazione. – Per forza. Non hanno i denti, ma una formazione ossea che svolge più o meno le stesse funzioni – confermò SRG51M sfoggiando la solita erudizione. – Mio nonno affermava d’averne assaggiato uno, in gioventù… Almeno, così mi raccontava quando, da cucciolo, facevo i capricci e rifiutavo il pasticcio di carne cruda... “Finisci la tua scodella, altrimenti, la prossima volta, ti faccio preparare dalla nonna uno spezzatino di reticuliano. Quella sì che è una vera porcheria, gommosa e dal sapore fetente” mi diceva… Ricordo ancora la ridicola smorfia di disgusto con la quale tentava di convincermi… – dissi, perdendomi nei ricordi personali. – In quanto a cattivo gusto, neanche qui si fanno mancare niente – sbottò DT passandosi la lingua sulle labbra tese in un ghigno. Sapevo dove voleva arrivare. C’era da scommetterci un intero ciclo di ringiovanimento su Eden 4. DT aveva già squadrato ogni particolare del locale, alla ricerca di un minimo pretesto esteriore, che so, un lampadario spento o una serie di posate fuori moda, l’odore del cameriere invece del colore degli arazzi alle pareti, pur di non considerare quel ristorante all’altezza della Cucina Rettiliana dei Precursori. L’Unica e Vera Baldini - Una serata infelice
53 Cucina degna di uno squamato, secondo lei. E senza aver assaggiato neppure un boccone… – La Trattoria dei Ramarri Neri di Prm, quella sì che merita un inchino e la nostra ammirazione… Ti tagliano un pezzo di coda ogni volta, d’accordo, ma ne vale la pena. Come fanno la femmina ariana alla brace quelli, non la fa nessuno. Una vera squisitezza. – Fu VLR39F ad interrompere con un gridolino di meraviglia le danze di DT nell’esegesi culinaria. – Guardate qui! Che splendore! Era l’unica ad avere accesso alle spire della Rete. Con un tempismo un po’ sospetto s’era collegata alla Trattoria dei Ramarri Neri. – Una fortezza d’Epoca Tardo Anfibia completamente ristrutturata a… a baluardo del Gusto Classico! Posò il suo comunicatore personale sul tavolo e dallo schermo piatto e circolare tremolò un ologramma che rapidamente si stabilizzò e cominciò a scorrere, mostrando lo splendore di sale di ristoro rinomate in tutto il sistema ed oltre. Ci fu un microclick di attonito raccoglimento. E per un po’ rimanemmo incantati a deliziarci delle immagini di quel tempio del buongusto, in religioso silenzio. Intanto, i nostri vicini ci davano dentro a trincare più sangue di quanto le regole del buon vivere civile imponessero. Chiacchieravano ad alta voce, sgranocchiavano i loro ossi senza alcun ritegno, succhiavano il fondo dei boccali con tale rumorosa, vorace dedizione che ormai avevo la membrana timpanica indolenzita… Ma come biasimarli? Loro, sì che sembravano realmente felici… – Guardate con quale armonia i nostri affabili vicini ingoiano le loro dosi di quarto scelto d’umano al forno. Si vede che sono individui senza troppe pretese, sempliciotti della campagna… i clienti ideali per questo genere di locale… – sibilò sottovoce DT. La scelta di quel ristorante non le era affatto gradita. Decisamente. Ma, ad onor del vero, a parte la loro esuberante, famelica presenza, che sembrava recare disturbo all’anima più sensibile e raffinata delle nostre femmine di nidiata, quei Baldini - Una serata infelice
quattro soldati di leva si stavano facendo gli affaracci propri… Il cameriere ricomparve dopo un po’, trainando un carrello pieno di vivande. Dispose sul tavolo le piastre vulcaniche per cuocere la tagliata. Ci scodellò sotto le fauci i piatti con evidente scortesia e, velocemente, li rifornì di cibo. Poi se ne andò. – Ha dimenticato le bevande... – fece notare VLR39F con gentile, vaga apprensione, mentre sistemava sulla piastra la sua prima fetta di tagliata. DT sobbalzò d’indignazione, scostando di lato, con un gesto brusco, il piatto fumante di cervello caucasico. – Cominciamo male! – ringhiò. – Si saranno dimenticati. Adesso le porteranno. Tranquilla… – la consolò VLR39F. Ma nubi temporalesche si stavano addensando. E non erano quelle esplicite della realtà fenomenica oltre le vetrate… – Siate grati a questo cibo, fratelli! E che buon pro vi faccia! – disse SRG51M. Pronunciò l’augurio di rito con un tempismo perfetto, a nome di tutti. E, finalmente, potemmo dare l’assalto alle pietanze e mettere in movimento le mandibole. Scoperchiai la mia testa d’uomo con le lacrime agli occhi. Posai la calotta biondastra da una parte. Lo scalpo caramellato non mi garba granché. Fatico a digerirlo. Inoltre, possiede la terribile tendenza a sfilacciarsi tra le zanne… Mi ritrovai ad ammirare la molle densità di quella ghiottoneria con desiderio infantile. Sfoderai l’artiglio mediano, lo intinsi nella ciotola di balsamo di Mdn per indorarlo e cominciai a spiluccare. Non era male, anche se un po’ troppo consistente per raggiungere la perfezione. Ma avevo un appetito indomito e non badai troppo all’eccellenza delle sue qualità organolettiche. VLR39F contese abilmente a SRG51M un’altra bella fetta di tagliata e la posò sulla pietra vulcanica per rosolarla a puntino. Al nostro flemmatico compagno di razzie gastronomiche non rimase che afferrare la brocca e versarsi una buona dose di sangue. Allungai il mio boccale e con
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54 un sorriso complice lo invitai a riempirlo. Cosa che fece con la solita accurata precisione. Intanto DT continuava a guardare la sua testa di caucasico in silenzio. Anche lei l’aveva scoperchiata e sembrava scansionarne il contenuto con severo metodo scientifico. Poi batté un artiglio sul marmo rosa del tavolo e mai gesto fu più eloquente per annunciare guai in arrivo… – Non mi hanno ancora portato la mia razione di alghe, serpebagascia! – sbottò digrignando i denti. DT non ricorre quasi mai al turpiloquio. È una femmina di una certa classe. Eppure… Non alzammo gli occhi dai piatti per evitare qualsiasi gesto che potesse essere interpretato come una velata critica. Non era certo nostra intenzione contraddirla. Noi volevamo solo mangiare… – VLR, guscio del mio uovo, ti prego, cerca un catalogo di esemplari caucasici allevati con metodi naturali o importati direttamente dalla Terra. Questo cervello non mi convince… mi sembra troppo coriaceo per essere fresco, tantomeno proveniente da riserve naturali. Credo sia d’allevamento e, per di più, conservato in unità criogeniche… – chiese DT con perentoria autorità. Come facesse ad esserne così sicura, pur non avendone assaggiato manco un’unghiata, non rientrava nelle interrogazioni lecite che noi potessimo formulare senza incorrere in reprimende. VLR39F esalò un sospiro, lasciò scivolare nel piatto la splendida fetta di tagliata, troppo poco sanguinolenta per il mio palato, e accese il comunicatore. SRG51M ed io, sebbene leggermente interdetti, continuammo a mangiare. – Ferma! – ordinò dopo un po’ DT. – Guardate! Che vi dicevo? La forma del cranio e il colorito del volto non corrispondono ad alcun campione d’alta qualità… Mi hanno rifilato un qualsiasi primate e neppure stagionato bene! – quasi gridò. SRG51M, sfoderando tutto il suo coraggio diplomatico, azzardò un’ipotesi. – Artiglio santo, probabilmente, si riforniscono da allevatori autoctoni che usano tecniche di clonazione non industriali. Spesso i loro animali
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hanno carni con sapori più decisi ed una consistenza più stopposa, ma senz’altro in grado di superare i test sanitari ministeriali… e poi, a volte, può capitare che ci sia una partita meno riuscita delle altre… – Mi ci gioco un intero periodo di ricondizionamento cellulare! Il mio non è un cervello caucasico di prima qualità… anzi, non mi pare neppure umano… e non è cotto bene! – DT sollevò un lembo della materia spugnosa e lo mostrò come un trofeo disgustoso e ripudiato. – Vedete? Dovrebbe sfaldarsi senza alcuna resistenza, gocciolare giù come melassa… – Se lo infilò in bocca e cominciò a masticare con estrema attenzione. – Dovrebbe sciogliersi e spandere il suo aroma nell’intera cavità orale, invece… A questo punto SRG51M, con un’abile mossa, deviò la nostra attenzione, lanciandosi in una delle sue appassionate dissertazioni sui tipi di sangue più indicati da abbinare ai cibi. Elogiò la scelta da noi fatta quella sera, se non altro in quanto pilotata da accidenti non imputabili alla nostra volontà. Si spinse fino a proporre una classifica di merito basata sulle proprietà ematiche intrinseche. Per qualche tempo catalizzò l’interesse di tutti, scongiurando il peggio... VLR39F ed io fummo talmente grati di quel diversivo che, ogni tanto, rallentavamo il ritmo della nostra ingordigia per approvare i punti più condivisibili della sua perorazione. Soltanto DT rimaneva in silenzio a guardare la sua testa di caucasico con sospettosa ostilità. Non alzò lo sguardo neppure quando arrivarono i contorni tanto attesi, alghe, frittelle di medusa e tutto il resto. I nostri vicini, intanto, stavano imboccando il sentiero d’arrivo: lappavano beati un sostanzioso dessert a base di sanguinaccio di mongolo ai pinoli, con occhietti di pernice e una spruzzata di grasso di pinguino, il tutto guarnito da una morbida onda di purea di vermi dolci. Sembravano satolli, soddisfatti. E totalmente ignari del fatto che non molto lontano si stava consumando un dramma… Quando il cameriere ritornò con le scodelle del loro digestivo, urine bollenti di elefante laBaldini - Una serata infelice
55 nuginoso, se ben ricordo, DT colse l’occasione per chiamarlo. – Mi permetta, non vorrei essere scortese, ma questo cervello caucasico non ha nulla di commestibile… Lo sventurato meschinello sembrò in imbarazzo, ma non fece alcun commento. Si limitò a tentennare le sottili antenne che gli spuntavano dietro le piccole orecchie a ventosa. – Perciò le chiedo di portarmene un altro… di prima qualità e cotto al punto giusto. Chinò il capo, prese il piatto ancora intonso e si diresse verso la cucina. – Quando ci vuole, mie zanne, ci vuole! – si giustificò DT con voce tremante d’indignazione. – Io non sarei mai arrivata a tanto! – disse VLR39F agguantando una sostanziosa porzione di alghe. – Non è più una questione che riguarda la qualità o il grado di cottura… ma è una questione di principio! – puntualizzò DT. Riprendemmo a mangiare vagamente a disagio, cercando tiepidamente di convincerla almeno ad assaggiare qualcosa delle nostre pietanze. Ma non ci fu nulla da fare. La nostra femmina primaria s’era chiusa in un mausoleo di eroico rifiuto. – Ora capisco perché in questo ristorante non c’era molta gente. Dovevamo tirare innanzi… – filosofeggiò VLR39F con distratta dietrologia. Gettò un’altra fetta di carne sulla piastra vulcanica, la rigirò di quel tanto da non farla cuocere troppo, e se la ficcò tra le fauci. Appena la piastra fu libera SRG51M fece altrettanto. Avendo già finito di spazzolare l’interno della mia porzione di caucasico, mi dedicai a raschiare via, con scrupolosa perizia, i rimasugli del cervelletto. Nei punti più impervi mi furono d’aiuto sia il cesello che la cannuccia d’osso che non mancavo di portarmi sempre dietro. Sarà stata la fame, che trattenevo fin dalla mattina, ma quel cervelletto era squisito, leggermente denso, d’accordo, ma sostanzialmente delizioso. Abbinato alle frittelle di medusa, poi, poteva essere scambiato per un piatto di quella Nuova Cucina che spopolava nelle trasmissioni Baldini - Una serata infelice
generaliste… Ero perso i questi pensieri di raffinata serenità, quando fece la sua comparsa il gestore. Una femmina di iguanoide fasciata in un corpetto di pelle di squalo. – La servitù mi ha riferito la sua lamentela, mia saura. Ma credo si tratti di uno spiacevole malinteso. In questo locale trattiamo soltanto carni umane provenienti dai migliori allevamenti del sistema e dalle riserve più pregiate delle colonie oltremondo, esclusivamente esemplari di prima scelta e certificati! – esordì con tono affettato. – Non lo metto in dubbio. Resta il fatto che il cervello che ho rimandato indietro non era affatto di prima scelta! – controbatté DT. – Concordo nel ritenere che talvolta può succedere di trovare esemplari coriacei, o che non soddisfino il palato di persone raffinate come le signorie vostre, tuttavia la ritengo un’eventualità assai remota. La prego, quindi, di accettare le mie più sentite scuse. Ordino subito di prepararne un altro. – No. Grazie. Non ho più appetito. Va bene così. – Perdoni la sincerità, credo sia un vero delitto sprecare tante succulente proteine animali per un semplice puntiglio, quantunque dettato da nobili considerazioni di gusto come le sue… – Ho deciso altrimenti. Mi sazierò d’alghe e di qualche frittella di medusa! – chiosò DT agitando nervosamente la coda. – Mi permetta di ricordarle i tanti cuccioli che, su numerosi pianeti, a causa dell’attuale congiuntura e delle guerre, stanno morendo di fame e… – E questo che c’azzecca con il mio cervello? Mi faccia il piacere di tacere! – fu l’acido invito di DT. Un gelo improvviso si insinuò tra noi come una nebbia malsana. – Come lei desidera – rispose la padrona del locale con un leggero inchino. Si girò e tornò al suo trespolo dietro il bancone delle accettazioni. – Figuriamoci se desidero ancora mangiare! E poi, vedrete, ci metterà in conto anche questa schifezza! Scommettiamo? – sibilò DT appena fu scomparsa alla vista.
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56 I suoi occhi furenti sprizzavano fiamme di disprezzo e fulmini d’indignazione. Sembravano ordinare anche a noi di terminare la nostra cena, di alzare le nostre code e di catapultarci fuori di lì più in fretta possibile. – Ma almeno prendi una zuppa calda, che so?, un bel concentrato di funghi stimolanti… non hai toccato cibo! – la esortò VLR39F. – Naaa… non prendo nulla! – fu la categorica, definitiva risposta della coordinatrice di nidiata. – Se volete prenderla voi per pulirvi le fauci, fate pure. Io sto bene così! – dissi in un improvviso rigurgito di solidarietà. Era la seconda volta, quella sera, che mi mostravo indulgente… – D’accordo, ne ordiniamo soltanto due porzioni! – confermò VLR39F continuando a masticare una nervatura piuttosto resistente. Proprio allora i quattro basilischi si alzarono ondeggiando in maniera preoccupante. Facendo tintinnare le corazze leggere da libera uscita, cominciarono a sfilare davanti a noi. L’ultimo ebbe la lucidità di muovere la coda e lanciare un rauco, sgangherato grido di saluto. Si voltò a guardare VLR39F con espressione estasiata e lei rispose a quel buonasera fuori ordinanza agitando la cresta e ritraendo gli artigli. Il cameriere, come se ci avesse letto nel pensiero, si materializzò davanti a noi esibendo un sorrisetto di circostanza. – Ci può portare due porzioni di funghi stimolanti? – cinguettò VLR39F. – Mi spiace, egregia squamata, ma li abbiamo finiti. SRG51M sbuffò una nota triste dalle froge. – Propongo, allora, di prendere un digestivo e di andarcene. Siamo d’accordo? Accomodante, come al solito. Inutile dire che l’idea mi piacque. – Non vedo che cosa debba digerire, io. Ma voi bevete pure, fratelli, bevete… se vi fa piacere… – volle puntualizzare DT con una punta d’astio nella voce. La coltre d’imbarazzo stava raggiungendo livelli pericolosi. – Ci porti subito due distillati di fegato di rana-toro… – decretò SRG51M. – Facciamo tre… – dissi io accodandomi alla
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decisione. Il cameriere, stavolta, fu di una rapidità stupefacente nell’eseguire il servizio. E noi fummo ancor più veloci nel tracannare i digestivi. Indugiare ancora, sarebbe stato un osceno affronto alla pazienza di DT. Finalmente ci alzammo e ci dirigemmo verso la cassa. – Andate voi a pagare. Non voglio rivedere quella schifosa iguana di terra… – furono le sole parole di DT mentre si avviava verso l’uscita. SRG51M ed io ci guardammo esprimendo un reciproco, muto elogio al nostro spirito di sopportazione. Raggiungemmo il bancone per saldare il conto della serata. Dietro la consolle non c’era più la padrona che DT tanto detestava; soltanto un’interfaccia olografica che ne rimandava un’immagine sorridente e glamour. – La preghiamo di fare… ehm… conti separati, se non le dispiace! – esordì VLR39F. – Come desidera, milady! – rispose la copia virtuale dell’esercente. – Divida il totale per tre, per cortesia! – specificò SRG51M. – Non mi sembra il caso di far pagare DT. Non ha mangiato nulla! – continuò rivolto a VLR39F e a me con espressione convincente. – Ai suoi ordini, messere! – pigolò l’avatar. Sfoderò con grazia demodé un artiglio sottile e digitò i prezzi delle nostre consumazioni. A turno avvicinammo i nostri anelli al cartiglio elettronico che indicava la quota individuale da pagare. – Un’ultima cosa, se mi è permesso… – chiese VLR39F con un cipiglio aggressivo che mi meravigliò. – Sono io a supplicarla, milady… – disse il pacchetto di scariche elettriche con un inchino ed un sorriso incerto. – Non avrebbe dovuto pronunciare quella frase infelice, poco fa, quel pensiero banalotto… quel volgare luogo comune a proposito dei cuccioli che muoiono di fame, sa?! Sappiamo tutti che sarebbe buono e giusto evitare ogni tipo di spreco alimentare, ma suggerirla ai suoi stessi clienti… be’… in un contesto di sereno, legittimo conBaldini - Una serata infelice
57 fronto… be’… non mi è sembrato granché professionale, da parte sua… anzi! È stata offensiva e di cattivo gusto! – L’ologramma tentò di ribattere qualcosa, ma la nostra squamata fu più lesta a riprendere la sfuriata. – Mi lasci finire! La mia amata sorella di nido si è molto arrabbiata, sa?!. Mai si è sentita così umiliata e… e… – Vi chiedo formalmente perdono per il disagio che vi ho potuto arrecare! – disse l’icona della padrona approfittando di un rallentamento nel flusso della predica. – Mi faccia la grazia di estendere alla sua amica il mio più profondo rammarico per lo spiacevole episodio, ma devo aggiungere che non era mia intenzione turbare la vostra dignità con affermazioni che giudicate false e tendenziose. Io volevo soltanto… – Le ordino di tacere! Le sue scuse non sono retroattive, inoltre, sa dove potrebbe appendersele? E impari a vergognarsi! Lo sa o no che il cliente ha sempre ragione?! Detto questo VLR39F piroettò sulla coda, facendo svolazzare con eleganza la cresta ramata, e si diresse verso l’uscita. E pensare che l’impetuosità e la veemenza non sono certo le caratteristiche migliori della sua personalità… SRG51M ed io c’inchinammo borbottando un tiepido saluto di circostanza e la seguimmo fuori del locale. In strada, le umide luci della giovane notte e il fresco frizzante portato dalle recenti piogge ci accolsero con un abbraccio consolatorio. DT era ritta al centro di uno slargo tra due vicoli. – Quanto avete speso? – esordì non appena le arrivammo a tiro di voce. – Novanta stellari. Trenta a testa! – risposi. – Scommetto che vi ha fatto pagare anche quello che non ho mangiato! – Non c’ho fatto caso – dissi tenendomi sulle difensive. A dire il vero, eseguendo anche un rapido calcolo a mente, era assai probabile. Quasi certo. Ma non mi sembrava il caso di approfondire l’argomento. – Comunque, abbiamo pagato noi. TranquilBaldini - Una serata infelice
la… – continuai. – Tranquilla un bel pezzo di membro di Tirannosauro imbalsamato! – latrò DT. – Adesso lo vediamo, sorella di zanna. Stai serena… – sospirò SRG51M. Azionò il suo anello e sul dorso della zampa comparve l’immagine tridimensionale dello scontrino. Ci accostammo cresta contro cresta per visualizzare meglio le voci delle pietanze che avevamo ordinato. Quella incriminata c’era. Eccome, se c’era: quindici stellari di testa di caucasico non consumata… – Visto? Che vi dicevo? Quella squamata di infimo rango e piena di parassiti ci ha voluto ringraziare… per aver scelto il suo locale! Che rabbia! – sbraitò DT. Agitò la coda e prese a risalire Viale Mzzn a passo di marcia. – Vado al parcheggio. Ho fretta di tornarmene a casa. Non voglio più restare in questa città di primati… Scrollai la testa senza proferir parola. Guardai gli altri con un’espressione significativa. E in silenzio la seguimmo. Per le strade non c’era quasi nessuno. Ormai era tardi e la maggior parte della gente era già al caldo dei propri nidi condominiali, spaparanzata davanti all’olovisore o a farsi una solenne dormita o chissà che altro... All’angolo di una piazzetta poco distante, un paio di giovanissimi velociraptor, adornati da stravaganti piumaggi colorati, discutevano animatamente su un trespolo pubblico. Ma neppure badarono a DT che solcava la strada al ritmo della sua collera, con artigli e speroni che spuntavano dai sandali estivi e ticchettavano minacciosi. Noi tre stentavamo a seguirla, ormai rassegnati ad un viaggio di ritorno monotematico, malinconico. Ad un tratto, all’altezza del Portico dei Mercanti, DT sferzò un colpo di coda che rimbombò sotto le arcate. Un vecchio lucertolone mezzo claudicante, che stava portando a spasso il proprio triceratopo nano, ebbe un tremore e pensò bene di trovare rifugio in un androne illuminato da un neon balbuziente. Il suo grazioso animaletto domestico, tuttavia, guaì disperato e
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58 la zoticona avrà visite non gradite, domani! Ci guardammo straniti. – Le mando la Finanza, le mando! Azionò il telecomando delle portiere e si scagliò nell’abitacolo circondata da un’aura di sdegno sfolgorante. Ad uno ad uno, in silenzio, salimmo e prendemmo posto nel veicolo. DT latrò un ordine al computer di bordo e partimmo. Mi misi a scrutare dal finestrino il paesaggio indorato dall’ultima luna. Avevo ancora un certo languore nelle viscere. Mi sarei divorato volentieri anche uno di quei piatti esotici importati recentemente dalla Terra. Non troppo sostanziosi, ma indubbiamente saporiti. Com’è che si chiama, quello che mi piace? Ah, sì! Pizza… una bella teglia di pizza alla salsiccia di umano, condita con olio al peperoncino piccante… Ma quel che mi dilaniava sul serio non era la fame. Era l’acuta, triste consapevolezza che quella notte, e chissà per quante altre notti ancora!, non ci sarebbero stati rituali d’accoppiamento… Ah! Femmine! Valle a capire! (Daniele Baldini)
Casa aliena – © Daniele Baldini
sganciò un ricordino solido sulla pavimentazione pubblica, prima di essere trascinato in salvo con uno strattone del guinzaglio. Arrivammo all’aereomobile che già spuntava la terza luna. – Sapete che vi dico? La domanda di DT era di una retorica da manuale che non contemplava risposta alcuna. Ci trincerammo dietro un silenzio gravido di incognite. – Ho un cugino di nidiata che lavora nella Milizia Planetaria di Spz, una città qua vicino. Domani gli videotelefono e gli racconto tutta la storia. SRG51M, fratello carissimo, inviami la registrazione dello scontrino fiscale, che ci penso io! Vedrete cosa le combino a quella squamata primitiva! A quell’infame senza un’oncia di nobiltà! – Suvvia! Non vale la pena arrabbiarsi! – cercò di ammansirla SRG51M. – E per aver sbagliato a scegliere il ristorante, poi! – aggiunsi io maldestramente. Ma lei non sentiva ragioni. – Non cercate di calmarmi. Non voglio stare calma! – ci urlò digrignando le fauci. – So benissimo quello che farò domani! Quel-
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Baldini - Una serata infelice
59 Fu un romanzo pubblicato nel 1975 in Gran Bretagna da Gollancz ed ebbe un improvviso eclatante successo. I lettori inglesi, lo considerarono il miglior romanzo di fantascienza di quell’anno. È senz’altro una delle opere meglio classificabili nel genere science fiction pubblicate nel nostro Paese. Un vero e proprio esempio di fantascienza matura e per certi versi sorprendente. Di Charles Logan si sa veramente poco, dato che non risultano né prima né dopo altre opere pubblicate. In Italia arrivò nella collana Urania della Mondadori e venne mandato in edicola nell’ottobre del 1975, proprio in contemporanea con l’Inghilterra. Quest’opera segue una tradizione che in letteratura ha dato Robinson Crusoe: il più famoso romanzo sui naufragi. Il romanzo di Daniel Defoe è ricco di interpretazioni, in cui sono state evidenziate sia il carattere piccolo borghese e razzista del protagonista e sia l’aspetto illuminista della trama che vede l’uomo moderno destreggiarsi con l’uso della propria mente e della propria cultura per sopravvivere. Non a caso questo romanzo è considerato il precursore del romanzo moderno. Robinson è costretto a sopravvivere al di fuori dell’ambiente di origine, in cui le regole per la sopravvivenza sono ormai codificate nella storia e nella socialità, mentre le norme naturali appaiono al naufrago elementi estranei e nemici. Robinson Crusoe è un uomo contemporaneo, possiamo dire, che affronta l’alienità del
Saggio
Charles Logan “Il naufragio” di Mario Sumiraschi _____________ Shipwreck Charles Logan edizione originale: Shipwreck, Gollancz, 1975 edizione italiana: Mondadori, Urania-681, 1975 Traduzione di Beata della Frattina
posto con il carattere del colonizzatore, del dominatore, che porta la sua cultura e la sua tecnologia come barriera e salvezza sull’estraneità del mondo circostante. Charles Logan invece crea un’altra interpretazione che diviene la caratteristica precipua della sua opera. Non siamo in presenza di Robinson Crusoe, ma percepiamo nell’autore il confronto suo personale con la lettura dell’opera di Daniel Defoe. Ed è decisamente superiore per le caratteristiche molto più umane, vicine al lettore, che non nell’opera settecentesca. Isidore Tansis è il protagonista. Lui fa parte dell’equipaggio di un’ astronave che viaggia nel sistema di Capella. È un uomo nato e vissuto all’interno di veicoli spaziali, non ha un pianeta d’origine e la conoscenza esterna passa attraverso un formidabile computer che governala nave spaziale. Un’esplosione improvvisa danneggia gravemente la nave spaziale. Si formano due tronconi. Tansis scopre di essere l’unico rimasto in vita, mentre i corpi dei suoi compagni giacciono senza vita. Utilizzando una navetta spaziale, mentre i resti dell’astronave non più controllabili continuano la loro corsa nello spazio, l’astronauta decide di scendere su un pianeta che è proprio alla sua portata di viaggio. Atterra. Decide di seppellire i corpi e dargli un saluto razionale, finale. In lui, gradatamente, cresce l’angoscia. Nelle prime ore essere
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60 costretto a razionalizzare il proprio comportamento per riuscire a superare l’impatto della tragedia lo aiuta ad organizzare il suo prossimo futuro. Capisce che ben difficilmente qualcuno verrà a cercarlo (possiamo persino riconoscere un accenno fuggevole all’isolamento dei colonizzatori nella tematica della frontiera americana) e lui, che è nato all’interno di una nave spaziale, che dipende dalle conoscenze espresse dal computer di bordo, ora deve sopravvivere su un pianeta di cui non sa nulla. Quali saranno i pericoli? Potrà sopravvivere? E in che modo? Mac’ è un compagno al suo fianco: è il computer che raccoglie in sé caratteristiche che ben difficilmente uno scrittore degli inizi anni Settanta si sarebbe immaginato possibili. Logan lo fa e in alcuni tratti il computer ci ricorda persino Hal 9000 la mente tecnologica dell’astronave di 2001: odissea nello spazio, ma con una sua collocazione più vicina alla realtà dialogica di una macchina pensante, lontana dall’autonomia di pensiero di Hal 9000. Tansis decide di studiare il pianeta, sia per dare un senso alle giornate, ai mesi e forse agli anni che dovrà affrontare, sia per soddisfare la sua mentalità scientifica. Sorvola il pianeta e decide di atterrare in più luoghi per capire la morfologia, la chimica e la biologia. L’aria è respirabile, ma c’è una presenza alta di ossigeno che gli può procurare scompensi al cervello. La navicella è adattata per quel genere di compito per cui Tansis utilizza macchinari già predisposti per la ricerca. Nelle prime settimane l’astronauta, che lavora all’interno di una tuta per proteggersi dagli agenti esterni, è provato da una fatica che per lui è quasi insopportabile. Non è abituato ad una vita esterna. Intorno a lui il sistema vegetale presenta una sorpresa: praticamente un’unica immensa pianta copre la superficie del pianeta. I rami enormi creano una rete quasi inestricabile e soltanto in certi luoghi è possibile tagliarli. Non trova animali, di nessun tipo. Nulla è commestibile per la sua fisiologia, compresa l’acqua.
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Ma il computer ha ordini prefissati e quando rileva che la navetta ha carburante solo per ricongiungersi all’astronave madre (che ovviamente non c’è più) e decide autonomamente il ritorno. Tansis con orrore scopre che se la navetta riparte perderà quella tecnologia che gli serve per sopravvivere (filtri, aree di decontaminazione, viveri, macchinari). Dovrebbe trasportare giù tutto, ma si troverebbe senza il prezioso aiuto di informazione e di indagine che il computer possiede. Nello stesso tempo non può assecondare il ritorno: la navicella diventerebbe la sua bara. Oltre che sperimentare procedimenti per rendere commestibili acqua e vegetali, che lo costringono a faticose e pericolose uscite, è costretto a studiare un metodo di espressione logica per convincere il computer a desistere dalla sua programmazione. Deve prestare davvero attenzione, perché la macchina obbedisce solo agli ordini del comandante e dei suoi assistenti, che sono ormai morti da tempo. Tra Tansis e il computer nasce un dialogo fatto di approcci linguistici, note esemplificative, domande indagatrici. Questo aspetto ci ricorda il computer del film d’esordio di John Carpenter “Dark star”, ma senza l’ironia della storia del regista statunitense: c’è l’intensità pericolosa della determinazione del computer, ma qui ben individuata nella programmazione dei circuiti mnemonici del cervello elettronico. Tansis dialoga con le regole stabilite da altre parti, per altre situazioni, che non comprendono che dal suo livello di competenza si arrivi alla gestione dei comandi del computer. Il protagonista combatte due battaglie vitali: una per sopravvivere al pianeta e una per sovvertire le regole dell’astronave. Ma l’uomo è solo: fa ricorso a tutta la sua capacità razionale, al suo senso di sacrificio, ma l’inesperienza, la normalità dei suoi ragionamenti, l’impreparazione tecnologica, gli rendono tutto difficile e penoso. In questo il protagonista è veramente diverso da Robinson Crusoe che al contrario rappresenta la genialità superiore dell’uomo ocSumiraschi - Il naufragio di C.Logan
61 cidentale sull’ambiente primitivo. Tansisè simile a noi e come noi ha solo in dotazione la forza di volontà, la voglia di vivere. I mesi passano e le scorte si esauriscono, come i filtri del casco e altro materiale. Tansis si dispera, sebbene il computer abbia deciso di non far decollare la navetta. I suoi tentativi di far crescere alghe terrestri nella navetta, di decontaminare l’acqua del pianeta falliscono. È costretto a respirare l’aria circostante ed inizia a sragionare: vede il personale dell’equipaggio intorno a lui e si arrabbia con loro perché non capiscono la gravità della situazione. La febbre, causata anche dalla reazione allergica al polline trasportato da un vento impetuoso, lo fa star male. Si rompe un braccio, e in stato d’incoscienza trascorre diversi giorni ammalato. Quando si risveglia scopre che ha perso il senso del tempo e che tutto intorno a lui, dentro la navicella, è degradato. Decide di bere anche l’acqua locale. Ora il racconto s’interrompe. Il mio racconto. Questa recensione è fatta per far leggere questo libro e il finale comporta l’evoluzione di un
aspetto che volutamente è stato tenuto nascosto e che sarà determinante nella conclusione del romanzo e che lascerà nel lettore un sicuro maturare di emozioni. Kingleys Amis il saggista autore di Nuove mappe dell’inferno considerava nel 1960 come momento critico l’eccessiva generalizzazione delle tematiche della fantascienza. Affermava che non ci fosse abbastanza introspezione individuale e che gli autori sembravano essere soprattutto interessati a questioni generali tipiche nei ragionamenti definiti sui massimi sistemi. Naufragio sarebbe veramente piaciuto ad Amis perché questo è un perfetto esempio di romanzo di fantascienza, con il suo sfondo scientifico e tecnologico, la sua capacità di guardare il futuro e costruire un mondo Altro ma è anche il racconto di un essere umano che noi scopriamo e seguiamo emotivamente attraverso la storia delle sue speranze, le sue angosce, i suoi limiti. E compartecipiamo ad un finale che sconfina nella bellezza poetica. (Mario Sumiraschi)
SOPRA - La copertina dell’edizione paperback del romanzo (Panther science fiction, 1977). A FIANCO - L’illustrazione originale di David Bergin. Sumiraschi - Il naufragio di C.Logan
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Universo – © Daniele Baldini
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Il regista Neill Blomkamp al suo film d’esordio è, a quanto pare, un prediletto di Peter Jackson (qui infatti produttore) e di Ridley Scott, da noi era finora conosciuto per le videoclip pubblicitarie delle auto che diventavano Transformers. Basandosi sul proprio vissuto di sudafricano, con ricordi profondi delle diversità razziali, degli scontri violenti tra chi vuole mantenere il proprio stato sociale e chi è in cerca di riscatto, degli slum allucinanti nei quali pure vivono esseri senzienti, Blomkamp ci cala in un film molto particolare, dal taglio tra il documentario e il servizio da TG, molto realistico e per questo ancora più crudo ed allucinante; pur essendo un film a basso budget gli effetti speciali sono notevoli, i gamberoni realistici e l’astronave incombente nel cielo della città è angosciante, un ulteriore problema per una terra che ne ha già tanti. Gli alieni tirano a campare tra cibo per gatti e carni di varia provenienza, gli esseri umani quanto ad alienità se la cavano bene come sempre, tra coloro che sono in perenne ricerca di armi sempre più potenti (e per questo non esitano di fronte a nulla) a quelli che, di diversa etnia, i nigeriani, cercano di assorbire il potere degli alieni mangiando le loro carni, la tecnologia più avanzata infiltrata dai riti tribali. E in mezzo il povero protagonista, che per avere voluto guardare l’abisso troppo da vicino ci si ritrova dentro, ma resterà l’unico capace di un gesto d’amore, alla fine nei confronti della moglie, umano ormai ibridato con alieno e proprio per questo ancora più solo ed, è il caso di dirlo, un vero bastardo agli occhi degli uni e degli altri. District 9 dimostra che la fantascienza nelle mani di registi e sceneggiatori capaci è ancora molto vitale, senza eccessi di effetti speciali e attori famosi sono le idee che contano e i messaggi che vengono trasmessi; insieme ad Avatar ha riportato il cinema di fantascienza agli Oscar dopo un oscuramento durato parecchi anni. (Claudio Battaglini) Soggetto e scenegg. N. Blomkamp e Terri Tatchell
Scenografia Philip Ivey
Fotografia Trent Opaloch
Musica Clinton Shorter
Montaggio Julian Clarke
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E finalmente gli alieni non atterrarono negli USA, ma scesero in Sudafrica. Una scelta ben ponderata? No, assolutamente, in questo piccolo gioiellino della fantascienza cinematografica, gli alieni non arrivano sul nostro pianeta per darci ultimatum, per mangiarci, per conquistarci, per usarci come rito di passaggio per i loro guerrieri e neppure per portarci messaggi di pace e di amore, no, niente di tutto questo. La loro astronave, sospesa nel cielo di Johannesburg, è mal funzionante, i suoi piloti, i suoi capi e i suoi scienziati sono scomparsi (tranne uno, colui che riuscirà a ripartire col figlio) a causa probabilmente di qualche epidemia e gli unici superstiti sono le creature inferiori, più umili ed ignoranti, non in grado di badare ad una nave spaziale. Così questi strani artropodi dal linguaggio a schiocchi, ribattezzati gamberoni vengono confinati, con addosso un bel codice a barre…, per anni in un bel ghetto sudafricano, tra baracche fatiscenti, nuova casta di paria nel Sudafrica dell’apartheid, disprezzati anche da coloro che li avevano preceduti in quelle stesse baracche; quando si trova qualcuno da mettere alla base della piramide gli esseri umani non si tirano mai indietro, anche se per loro la cima rimane pur sempre lontana e irraggiungibile.
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DISTRICT 9 District 9 USA, Sud Africa 2009 Regia Neill Blomkamp Interpreti Sharlto Copley, David James, Jason Cope, Vanessa Haywood, David James
Effetti Image Engine Design, Weta Workshop
Produttore Peter Jackson, Carolynne Cunningham
Produzione WingNut Films
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A Libria, non meglio precisata società futura, le guerre sono state bandite attraverso l’utilizzo del Prozium, farmaco inibitore delle emozioni, che tutti sono obbligati ad assumere giornalmente pena la morte. Il controllo della società è garantito da una organizzazione chiamata Grammatron attraverso i Cleric, speciali agenti di polizia, i quali hanno il compito di stanare e uccidere i cittadini ribelli. Confuso dopo la morte della moglie, giustiziata per essersi sottratta alla cura, l’agente John Preston inizia un pericoloso viaggio alla (ri)scoperta delle emozioni e dei sentimenti, trascinando con sé un’umanità in cerca di riscatto.
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EQUILIBRIUM Equilibrium USA 2002 Regia Kurt Wimmer Interpreti Christian Bale, Emily Watson, Sean Bean, Taye Diggs, Angus MacFayden Soggetto e sceneggiatura Kurt Wimmer
Scenografia Wolf Kroeger e Alexander Liebenthron
La visione di Equilibrium rimanda ad un universo distopico che, chi ama la sf, ha già chiaro nei tratti essenziali grazie a capolavori della letteratura quali Fahrenheit 451, 1984 e Il mondo nuovo. Il regista Wimmer, sceneggiatore dell’ottimo La regola del sospetto, alla sua prima regia confeziona un film per molti versi interessante, senza peraltro convincere pienamente. L’aspetto meno convincente del film risiede nella scarsa originalità dello spunto iniziale, quasi che la genesi della storia sia stata arbitrariamente sottratta alla spietata regola del Tempo, presa a due mani dalla metà del XX secolo (chi ha detto nazismo?) e catapultata nel futuro sotto forma di setta simil-clericale (non solo nell’aspetto ma anche nel nome, gli agenti – detti cleric – somigliano a dei preti un po’ metallari) solo per giustificare il tentativo di “travestire” una storia già conosciuta in modo da farla sembrare nuova. L’idea di partenza è datata, superata dalla realtà di oggi, dominata dalle nuove tecnologie di comunicazione, dalla finanza, dall’economia globale: ciò avrebbe dovuto suggerire un approccio più coraggioso. Basti pensare, in parallelo, alla straordinaria capacità visionaria, eppure così realistica, dell’universo di Matrix o, in omaggio al genio artigianale di John Carpenter, alla sua beffarda capacità di tracciare il futuro dell’uomo asservito alla lobby aliena formata da yuppies reaganiani, come mostrato in quel capolavoro dimenticato che è Essi vivono. Equilibrium ha i suoi punti di forza, invece, nel costante crescendo di tensione che caratterizza la presa di coscienza del cleric Preston (un Bale minimalista) e che culmina nell’esplosione emotiva che lo libera definitivamente dalla schiavitù dell’indifferenza: pregevoli, al riguardo, la scena in cui Preston scopre le meraviglie della musica di Beethoven e quella in cui ritrova il desiderio sessuale grazie alla dissidente Mary (una straordinaria Emily Watson). Da non sottovalutare, infine, il ruolo del figlio di Preston, presenza inquietante e, a tratti diabolica, che consente a Wimmer di introdurre il tema dell’innocenza perduta, al quale peraltro il regista si sottrae nel finale con un abile ma fin troppo rassicurante stratagemma.
(Stefano Bon)
Fotografia Dio Beebe Musica Klaus Badelt
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Effetti visivi Pacific Title and Digital, Post Logic
Studios, Digital Cityscapes, Digital Firepower Inc.
Effetti speciali Uli Netzer Montaggio Tom Rolf
Art Director Erik Olson e Justin Warburton-Brown
Produzione Jan De Bont, Lucas Foster
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Con Moon ci siamo ripresi il vero film di fantascienza, quello equivalente soprattutto ad Atmosfera Zero, dove troviamo il dominio delle corporations, la solitudine e l’angoscia di chi si ribella all’ipocrisia del potere. La narrazione produce forti richiami, vedi Blade Runner nel suo aspetto ontologico e la tematica dickiana dell’ estraniamento come in Atto di forza. Merito soprattutto del regista Duncan Jones (potenza di un nome: casualmente e curiosamente ci ricorda il clone Duncan Idaho nella saga di Dune, compreso persino il suo ruolo) e dell’attore protagonista Sam Rockwell decisamente capace di un’interpretazione di alto livello. Il film è stato girato con budget ridotto utilizzando in modo soddisfacente le tecniche con i modellini che ci hanno riportato indietro nel tempo quando vedevamo i telefilm degli anni Sessanta come Ufo Shadow o Spazio 1999. Voto: 9, per la storia intelligente, perché è un film di fantascienza, per il regista, per l’attore protagonista, per il pathos, per la scenografia, per la produzione che ha prodotto un bel film senza investire enormi somme.
(Mario Sumiraschi) Soggetto Duncan Jones
Sceneggiatura Nathan Parker
Scenografia Tony Noble
Fotografia Gary Shaw
Musica Clint Mansell
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Nella base lunare Selene viene estratto, e poi spedito sulla Terra tramite navette, l’Elio-3 da parte di una potentissima multinazionale: la Lunar. A gestire il tutto sulla superficie del nostro satellite vi è un solo incaricato che ha un contratto a tempo determinato di tre anni. Ad assisterlo vi è un computer che sicuramente ci ricorda nella sua affabile dialogica Hal 9000. Sam Bell, l’addetto, compie il suo lavoro, comunica con la famiglia, con la multinazionale, tutto sembra procedere di routine, fino a quando non inizia ad avere problemi di salute e per giunta allucinazioni. In una sua uscita con un trattore subisce un incidente. Quando si risveglia in infermeria scopre di aver perso parte della sua memoria e il computer gli fornisce una rassicurante versione dell’accaduto. Ma … ma nel protagonista nascono molti dubbi e quando compie una ricognizione esterna scopre un veicolo incidentato con all’interno un altro Sam Bell e per giunta vivo! Da questo momento il film è in grado di proporci grande intensità emotiva, confrontandosi con il mistero, con l’ambiente altamente tecnologico della base lunare, con il dramma vissuto dal protagonista, con l’ipocrita presenza della Lunar, con una struttura di false informazioni tutte gestite telematicamente. E il finale non è proprio scontato.
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MOON Moon GB, 2009 Regia
Duncan Jones Interpreti Sam Rockwell, Kevin Spacey (in originale la voce del computer), Dominique McElligot (la moglie), Kaia Scodelario (la figlia)
Effetti Cinesite & Think Tank Studios
Produzione Liberty Films/ Xingu Films/
Limelight/ Lunar Industries
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Nel 2154 una compagnia interplanetaria terrestre intende sfruttare i giacimenti minerari di Pandora, luna del gigante gassoso Polifemo, appartenente al sistema stellare Alfa Centauri; è un mondo primordiale, ricoperto da foreste pluviali e alberi alti fino a trecento metri, ed è abitato da varie creature, tra cui degli umanoidi senzienti chiamati Na’vi, alti tre metri e ricoperti da una pelle blu striata. L’aria del satellite non è respirabile dagli umani se non impiegando maschere filtranti, pertanto gli scienziati hanno sviluppato degli avatar, ibridi genetici tra umano e Na’vi: attraverso un’interfaccia mentale un uomo può collegare i propri sensi nervosi alla creatura, immedesimandosi e controllandola esattamente come se fosse il proprio corpo.
Benvenuti su Pandora, il pianeta alieno più incredibile e credibile nella storia del cinema di sf. Il film di Cameron ha senz’altro scosso il pianeta (il nostro), preceduto e seguito da un battage mediatico notevole, un film concepito nel 1995, quando ancora non c’erano i mezzi adatti per realizzarlo, iniziato nel 2005 e cresciuto via via con il progredire delle tecnologie in CGI fino al completamento. Per inciso la responsabile degli effetti speciali è la Weta Workshop, neozelandese, che già si era occupata della trilogia del Signore degli Anelli. Il film ha avuto un grosso successo, portando al cinema anche molte persone non appassionate di sf; si è attirato accuse di plagio e copiatura a non finire da altri autori e critici che avevano evidentemente dimenticato come molti registi “amino” introdurre citazioni da altri film. Cameron (grande fan di sf) ha dichiarato di essersi ispirato anche a molti romanzi della sua adolescenza, affermando che l’idea base del film arriva da John Carter di Marte di E.R.Burroughs. Ma il film com’è? Senz’altro splendido a livello visivo, nato per il 3D, ti proietta in un mondo alieno con una ricchezza di particolari tale da scuoterti il nervo ottico; animali e piante sono molto accurati ed accattivanti (pensate alle Banshee, i draghi volanti), ispirati ad aspetti biologici del nostro pianeta, i Na’vi, la popolazione indigena, sono affascinanti, e così si può dire anche degli ambienti (le montagne volanti alla Magritte) e della tecnologia terrestre aggiornata al futuro in cui la vicenda si svolge. Ma la trama? Il film regge bene le quasi tre ore AVATAR di durata, ma la storia non è al livello dell’aspetto visuale, una specie di grande Avatar western (i Na’vi hanno molto dei pellerossa) con citazioni ecologiche (la rete USA neurale che collega tutti gli esseri viventi al pianeta), i soliti terrestri cattivi che, 2009 dopo aver sconciato il loro pianeta, stanno per replicare su un altro Si esce quindi dal cinema tutto sommato soddisfatti, ma senza le palpitazioni che ti avevano lasciato un 2001, un Guerre Stellari, un Alien o un Blade Regia Runner. In poche parole un retrogusto di grande occasione persa, la sensaJames Cameron zione che al cinema ormai si possa fare e rappresentare di tutto, senza limiti all’immaginazione visuale, ma anche che, ahimé, ci sia spesso una carenza, un Interpreti Sam Worthington, Zoe Saldana, vuoto, in quello che si rappresenta. Stephen Lang, Michelle Rodriguez, Sigourney Weaver
(Claudio Battaglini)
Soggetto e sceneggiatura James Cameron
Fotografia Mario FIore
Effetti visivi e animazione Weta Digital
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Supervisore effetti visivi Joe Letteri
Musica James Horner
Produzione James Cameron & Jon Landau
Esecutivi Colin Wilson & Laeta Kalogridis
Casa 20th Century Fox
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Racconto
Il vino quantico di Giorgio Ginelli _____________ Un’altra avventura di Danton, Guzzo e Bieta. [QUI
W la prima storia]
– Un conto se non avesse funzionato, ma ha funzionato solo diversamente da come ce lo aspettavamo! – disse il Guzzo con lo sguardo perso nel vuoto. Danton invece teneva la testa fra le mani, scuotendola impercettibilmente, ancora incredulo per quello che avevano realizzato. Bieta, il più sereno dei tre, sorseggiava beato la sua cioccolata, incurante dei suoi compagni; sembrava stesse con la testa da qualche altra parte che non assieme a loro. Come gli accadeva spesso, del resto. Giorni prima, o anni, in quel momento era difficile definirlo, i tre ricercatori avevano forzato la mano al destino e in modo decisamente azzardato avevano deciso di fare un esperimento all'insaputa di tutta il dipartimento di bioneurologia del Politecnico. Non era stato fatto a cuor leggero, ma con tutta l'impulsività tipica dei giovani ricercatori, per dare una spinta alla Storia in loro favore. Ma se qualcuno avesse potuto vederli in quel momento, avrebbe giudicato l'insieme un quadretto sconcertante: i tre erano seduti sul basamento di un macchinario del quale a prima vista non si poteva capire la funzione. A volte capita che i prototipi non diano esattamente l'idea della funzione a cui sono destinati. Insomma, se uno avesse visto il prototipo del carro di Cugnot, ben difficilmente gli poteva venire in mente una moderna autovettura. Con la loro invenzione era lo stesso: a nessuno
poteva venire in mente a cosa potesse servire quella selva di tubi lattiginosi che i tre avevano battezzato "macchina del tempo", non per darsi un tono, ma perché a Danton era sembrato meglio di "convogliatore multivettoriale di materia". Alla base del funzionamento della macchina vi erano la teoria delle matrici neuronali e l'utilizzo di energie sottili; per i circuiti di memorizzazione i tre giovani ricercatori avevano usato acqua strutturata, principalmente per ridurre l'effetto di distorsione indotto dal modello energetico strutturato sulla matrice neuronale. L'acqua ha la capacità di memorizzare le informazioni; è così possibile strutturarla in modo da ottenere un effetto ben preciso sui modelli energetici con cui si vuole interagire. Anche le informazioni convogliate nella mente possono essere trasferite all'acqua, che le immagazzina e le trasferisce a sua volta al modello energetico che s'intende modificare. E la matrice neuronale utilizzata nella macchina del tempo aveva proprio la funzione di simulare la mente umana: amplifica l'intenzione focalizzata attraverso l'emissione di un fascio di elettroni, in grado di modulare il modello energetico ed effettuare così il balzo. – Vediamo di riassumere – disse Danton con un sospiro – la nostra macchina del tempo è in grado di portarci solo in avanti... – No, non la nostra macchina – lo interruppe il Guzzo. – È la realtà che fluisce in un'unica direzione e la nostra macchina si incanala nel
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68 flusso e così può andare solo in quella direzione. Qualsiasi scostamento potrebbe provocare dei danni alla matrice spazio-temporale. Anche se i sistemi biologici seguono le leggi della meccanica quantistica e si comportano in modo non lineare, sono comunque sottoposti a ciò che stabilisce il principio di indeterminazione: il semplice atto di osservare un evento basta a modificarlo. Dobbiamo dunque stare molto attenti... – Ok, va bene... Stavo dicendo: possiamo andare solo in avanti, dunque... – lo sguardo di Danton era eloquente. – Certo, ma non solo – continuò il Guzzo con un sospiro. – Alla prossima fermata saremo anche in un differente continuum temporale che non possiamo a priori determinare con precisione. E no, prima che tu me lo chieda: le mie equazioni non sono sbagliate. Nel modello all'osservazione abbiamo aggiunto l'intenzione conscia. Non abbiamo osservato il flusso del tempo, ma abbiamo modulato l'intenzione di andare in un punto preciso dello spazio – fece un gesto con il dito di mirare in un punto sulla parete – e perciò nel preciso tempo correlato a quello spazio. – E la matrice neuronale che io ho utilizzato non è difettosa – continuò Bieta accartocciando il bicchiere di plastica da cui aveva bevuto la cioccolata. – Forza, mettiamoci al lavoro e vediamo di trovare il modo di risolvere questo pasticcio! – La mia teoria neurotemporale non è un pasticcio! – urlò il Guzzo in direzione di Bieta che gli aveva già voltato le spalle per entrare nella macchina e che non si prese nemmeno la briga di rispondergli. – E cosa diavolo è andato storto, maledizione? – chiede Danton allargando le mani. – Perché non ci porti indietro? – Perché non siamo ancora riusciti a trovare il modo di fare la retromarcia – disse laconico Bieta, ponendo fine alla discussione. *** Bieta spostò l'ultima cassetta di vino, indietreggiò di un passo e contemplò ciò che aveva appesa finito di accatastare. Poche cose oltre alla cioccolata riuscivano a dargli vere emozioni e
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una di queste era senz'altro il vino. – Come sei riuscito ad avere tutto questo vino? – chiese il Guzzo. – Non so, ci ha pensato Danton. Sai che lui è bravo in queste cose. Danton entrò in quel momento nel laboratorio reggendo fra le mani un'altra bottiglia: – Guardate cos'ho recuperato! – È una bottiglia di spumante – esclamo inorridito Bieta. – Che cosa vuoi farci? – È per brindare, no? Non potremmo certo stappare una di quelle reliquie – rispose Danton indicando il vino accatastato sul pianale della loro macchina. – L'ho presa allo spaccio, in facoltà. Mi è sembrata una buona idea. Questa almeno è costata poco. Sul pianale della macchina del tempo erano accatastate alcune casse di vino, vino costoso, di quelli che i collezionisti pagavano cifre stellari. Grazie alle conoscenze di Danton in quei pochi giorni erano riusciti a recuperare bottiglie non proprio rare, ma comunque negli elenchi ufficiali dei vini da collezione. I tre ricercatori del dipartimento di bioneurologia del Politecnico, si erano ormai definitivamente arresi davanti al parziale insuccesso del loro esperimento: la macchina del tempo che il Guzzo aveva teorizzato basandosi sulla matrice neurotemporale, poteva compiere solo balzi in avanti, ma soprattutto, si spostava in continuum spaziali adiacenti. E questo era un bel problema. A quel punto, si erano detti, in qualche modo bisognava sfruttare la situazione e a Bieta era venuta in mente l'idea dei vini. – Come niente, una bottiglia può valere centinaia di migliaia di dollari o di euro o quello che sarà. Se facciamo una raccolta oculata adesso, pagando il prezzo attuale, possiamo rivendere le bottiglie a cifre astronomiche. – Non mi convince – disse il Guzzo. – Il collezionismo dei vini è un po' come il gioco d'azzardo. Come facciamo a puntare sulla bottiglia giusta? – Non dobbiamo esagerare. Non puntiamo sui quei vini che fanno impazzire le aste. Non ci serve trovare Chateau Lafite del 1787! Puntiamo su buoni vini il cui valore può triplicare nel giro Ginelli - Il vino quantico
69 di una decina d'anni. Un Sassicaia, un Bolgheri, li troviamo facilmente. Si tratta di mettere insieme un po' di soldi al volo. – A quello ci penso io – disse Danton. – Mi è giusto venuta una mezza idea, sfruttando il fatto che ce ne andremo da qui. – Non ci metterai nei guai più di quello che già siamo, vero? – chiese il Guzzo, ma Danton non aveva risposto ed era uscito dal laboratorio con la sua solita leggerezza. – Dobbiamo preoccuparci? – chiese Bieta. – E di che cosa? Siamo cinque anni avanti nel futuro, in un continuum spazio-temporale differente, nel quale i nostri alter-ego chissà cosa fanno, e dobbiamo preoccuparci di una mina vagante come Danton che gira per la città...? Forza, diamo una sistemata al convogliatore – aveva poi concluso, girando le spalle al collega per andare verso la pedana su cui stava la macchina. Tutto ciò avveniva due giorni prima, ora Bieta aveva finito di accatastare le casse di vino che Danton aveva recuperato e insieme al Guzzo guardavano perplessi la bottiglia di spumante che questi aveva appena portato. – Danton, scusa se te lo dico, ma vedo veramente poco per cui festeggiare. – Be', certo. Adesso non ha senso. Ma vedrai quando arriveremo nel futuro! Scrollando la testa Bieta guardò la pedana della macchina del tempo, ingombra di casse di vino. Fortuna, pensò, che per il prototipo non avevano economizzato nello spazio, altrimenti non ci sarebbe stato più posto nemmeno per sedersi. *** – E se provassimo a cambiare velocità? – chiese Danton sollevando uno dei tubi in cui fluiva l'acqua strutturata nella matrice. – Sai – rispose Bieta senza distogliere lo sguardo dalla delicata operazione di preparazione alla calibrazione del flusso che stava facendo – a volte stupisce perfino me che tu sia arrivato ad ottenere una laurea in fisica... – Che diavolo c'entra la mia laurea adesso? Il Guzzo, che il quel momento non era occupato nelle operazioni, si girò verso di lui agitando Ginelli - Il vino quantico
davanti al suo naso uno spurgatore: – Ti ricordi quando ti ho parlato di quel tizio, quel tedesco, quello che tu credevi fosse quello della birra? – Ah, certo – rispose Danton. – Che sciocco che sono stato! Heisemberg, vero? – Proprio lui – depose lo spurgatore e sedette su una delle strutture interne della pedana, in modo da poter guardare Danton dal basso. – Un'altra cosa che ha detto è proprio legata alla velocità subatomica, ricordi? Uno dei privilegi di Danton era di sapersi districare con abilità dalle situazioni complicate, anche se queste erano semplici domande di fisica. – Accidenti Guzzo! Sai bene che le cose importanti le ricordo in ogni caso. – Dunque? – chiese con un sorriso tirato sulle labbra il Guzzo. La frazione di tempo in cui si protrasse il silenzio e le pupille dilatate di Danton gli fecero capire che stava navigando nel vuoto, come il suo solito. Formulò quindi mentalmente la frase da indirizzare all'amico, ma proprio in quel momento il Bieta urlò da sotto il blocco della matrice: – Ehi, voi due! Volete darmi retta, maledizione! Non ho quattro mani e per fare questa calibrazione me ne mancano almeno altre tre! – e così il Guzzo poté solo sibilare a denti stretti a Danton l'abbozzo di una risposta: – Posizione e velocità non possono essere determinate... Non che questo chiarisse granché, ma comunque mise in moto neuroni e sinapsi della mente di Danton che iniziò così a pensare per direzioni tutte sue, ma che erano la caratteristica distintiva del suo genio. Uno dei principi fondamentali che si erano affermati nel secolo precedente, era quello secondo cui non esiste una realtà oggettiva della materia, ma solo delle realtà create di volta in volta dalle misurazioni dell'uomo. Era proprio da lì che i tre erano partiti per la loro macchina del tempo, considerando come questo fatto riportasse l'uomo dai confini del cosmo al centro dell'universo. Ed era poi venuta a Guzzo l'idea di usare l'acqua strutturata, in quanto lo stato oggettivo della materia, in realtà, è caratterizzato da una sovrapposizione di più strati e il segreto per governarli era di trovare un mezzo per passare le informazioni. E più il mezzo,
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70 dal punto di vista subatomico, era strutturabile a bassa energia, minori erano le perturbazioni. L'acqua, dunque. E l'acqua a Danton fece venire in mente il mare, perché non ne poteva più di quella situazione e sognava d'andare a sdraiarsi su qualche spiaggia assolata, mentre il Guzzo avrebbe cercato di trascinarlo su una barca come era suo solito fare... E stava pensando alla loro barca nel mare quando il suo sguardo si posò sulla bottiglia di spumante che aveva appoggiato lì vicino. Il suo sguardo si posò sul tappo, la sua testa si inclinò di lato e iniziò a oscillare ritmicamente. Un tappo di sughero nel mare, quando viene investito da un'onda, descrive un cerchio perfetto per ritornare al punto di partenza. Qualsiasi altezza sia l'onda. Ma in effetti il tappo non si muove, va solo su e giù... Il tappo, il mare, le onde, la barca. La loro macchina che trasla nelle onde del tempo. – Ehi, ferma tutto Bieta! Non dobbiamo ricalibrare un bel niente. Ci mise un po' a convincere gli altri due a dargli retta, ma Danton è bravo a convincere gli altri e i suoi soci, in fondo, sapevano che era un genio. *** La macchina uscì con un sibilo dal continuum spazio-temporale e si stabilizzò con uno schiocco nel loro laboratorio, nel momento successivo alla loro partenza. – Siamo sicuri, vero? – chiese Danton lanciando uno sguardo all'orologio sulla parete di fronte. – Basta guardare uno dei nostri computer sulla scrivania, sono in rete e la data... – disse il Guzzo intanto che saltava giù dalla pedana – è esattamente quella di quando siamo partiti. Così
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come l'ora! – In pratica è come se non ci fossimo mai mossi? – chiese Bieta. – Collegati per vedere che siamo finiti nel continuum giusto – disse Danton. – Che so: controlla che Hitler sia veramente morto o cose del genere... È morto Hitler, vero...? Una volta stabilito che erano tornati a quella che potevano chiamare ragionevolmente “casa”, i tre avevano di che meditare. Erano probabilmente riusciti a fare una scoperta strabiliante nel campo della fisica, e nel contempo avevano messo a punto un macchinario che in termini ingegneristici poteva fruttare loro fama e denaro. Bisognava gestire bene la situazione. – Bisogna anche pubblicare qualcosa, ragazzi – disse il Guzzo. – Non possiamo arrivare freschi freschi a raccontare che abbiamo fatto un viaggio di andata e ritorno nello spazio-tempo. Sai le risate. – Soprattutto dobbiamo trovare il modo di dimostrarlo – disse Bieta. – Ehi ragazzi! - esclamò Danton indicando platealmente la catasta di casse all'interno della loro macchina. – Ci siamo portati abbastanza souvenir mi sembra! I tre si guardarono in silenzio per diversi minuti; forse Danton non aveva torto ma fu il Guzzo a rompere il silenzio: – Come il Pollicino della fiaba siamo tornati indietro sui nostri passi sfruttando la capacità innata della struttura atomica dell'acqua di ricordare. Alla fin fine: con il convogliatore multivettoriale possiamo andare avanti, solo a caso per giunta, ma possiamo poi tornare indietro con precisione grazie alla capacità di memorizzazione della struttura dell'acqua. Potremo perciò iniziare col pubblicare qualcosa
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sulla teoria della matrice neuronale. Si tratta di un argomento neutro, che non dovrebbe suscitare scalpore se stiamo attenti a cosa dire. – No ragazzi – interruppe il Bieta andando a sedersi sulla pedana della macchina. – Siete fuori strada. Dobbiamo contattare qualcuno che sia interessato a sfruttare commercialmente la nostra macchina. Dobbiamo trovare un finanziatore che ci consenta di proteggerne i diritti. – È vero! – esclamò Danton. – Dobbiamo organizzare una serie di dimostrazioni. Invitare qualcuno che abbia degli interessi... Insomma, dobbiamo cercare dei soci! – Ma che diavolo state dicendo! – esclamò a quel punto il Guzzo. – La nostra è una scoperta scientifica! È la più importante scoperta scientifica di... di... di tutti i secoli, dannazione! E voi parlate già di venderla? – Parlando si muoveva platealmente avanti e indietro, dalla scrivania alla pedana della macchina, dimenando furiosamente le braccia. – Nessuno ce la potrà mai rubare – disse Bieta con un tono tranquillo. – Solo noi sappiamo come fare a calibrare la matrice. Non venderemmo un bel niente a nessuno. Avremo tutto il tempo per pubblicare quello che vogliamo. – Oddio, non ci credo. Mi state proponendo di passare all'industria! – Ti stiamo proponendo di rendere concreta la nostra scoperta. Bieta ha ragione: nessuno ruberà la nostra macchina del tempo o quella che accidenti è! – E come pensate di convincere i finanziatori: facendo vedere una montagna di bottiglie con delle etichette riportanti la data di cinque anni nel futuro? Anzi, neanche... Alcuni sono stati Ginelli - Il vino quantico
imbottigliati fra tre anni! – disse il Guzzo prendendo fra le mani una bottiglia dei vino che avevano portato dal futuro. – Mica si può procedere con la datazione radimetrica per questo vino! – No – rispose il Bieta. – Ma si può sfruttare il decadimento degli isotopi del Rodio. I due colleghi lo guardarono incuriositi; il Guzzo con lo sguardo perplesso che riservava alle occasioni nelle quali non era sicuro di riuscire a controbattere e Danton con il sorriso che riservava ai momenti di sfida. – Mica bevo solo la cioccolata... – disse il Bieta e continuò a spiegare avvicinandosi al computer e iniziando a digitare sulla tastiera: – Il vino contiene degli elementi monoatomici, come la maggior parte dei vegetali e della frutta. Il Rodio allo stato monoatomico è presente in molti vini rossi ed è impiegato proprio come catalizzatore in molti processi chimici. Ha molti radioisotopi... Ecco, ne ha uno con una emvita di 3,3 anni! – Oh, certo – disse il Guzzo, che aveva perfettamente capito dove Bieta voleva arrivare. – Basterà far testare gli isotopi. O meglio, non si potrà testarli! – Qualcosa di simile – ribatté il Bieta. Danton, sempre con il sorriso di sfida sulle labbra, dovuto principalmente al fatto che riusciva e seguire sì e no la metà di ciò che i due stavano discutendo, spostò lo sguardo sulle casse impilate nella macchina. – In pratica – chiese, – cosa ci siamo portati a casa? – Del vero e proprio vino quantico – rispose il Bieta. – Un vino che probabilmente non è stato ancora imbottigliato. (Giorgio Ginelli)
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Filippo Marano – © 2010, Sole nero
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73 E VENNE IL GIORNO The happening
dr. Jekyll
USA e India, 2008
&
Regia
Manoj Nelliyattu Shyamalan
mr. Hyde
Interpreti Mark Wahlberg, Zooey Deschanel, John Leguizamo, Betty Buckley, Frank Collison
a cura di Stefano Bon
LA TRAMA
Soggetto e sceneggiatura: Manoj Nelliyattu Shyamalan
Art Director: Anthony Dunne
Sceneggiatura: Manoj Nelliyattu Shyamalan
Fotografia: Tak Fujimoto
Scenografia: Jay Hart e Jeannine Claudia Oppewall Montaggio: Conrad Buff
Musica: James Newton Howard Produzione: Barry Mendel e Sam Mercer (20th Century Fox)
Una serie di inspiegabili e terribili suicidi scuote Philadelphia. Un contagio si è diffuso in città e la gente cerca rifugio in campagna. Il prof. Moore, sua moglie Alma e la piccola Jess, rimasta orfana, cercano di sfuggire alla morte iniziando un viaggio di (ri)scoperta, anche interiore, che li obbligherà ad interrogarsi, nella solitudine e nell’attesa della fine, sul lato oscuro della natura e il senso stesso della vita dell’uomo sul nostro pianeta.
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dr. Jekyll
mr. Hyde
Il film delle ipotesi e delle suggestioni, ecco come potrei definire l’ultima pellicola di Shyamalan. La sensazione di indefinito, angosciante e crudele, che accompagna il viaggio dei protagonisti, assume tante e tali forme da trasudare da ogni fotogramma come un’entità viva e reale, per quanto beffarda e inafferrabile. L’irrazionalità della catastrofe che incombe sul genere umano (gli alberi emettono una tossina che spegne l’istinto di sopravvivenza dell’uomo) amplifica il senso di smarrimento dello spettatore, lasciandolo muto e solo davanti all’ignoto. Tutto il film è permeato da atmosfere soffocanti, che non danno tregua, trasmettendo un alone di mistero perturbante, che inebria e sgomenta. Questa impressione si stempera verso la fine del film regalandoci, almeno per qualche breve minuto, l’illusione che il senso del meraviglioso, tipico del cinema di questo regista, sia tornato per redimere l’incubo vissuto fino ad allora. Ma è solo un’illusione, appunto: anche se apparentemente gratuito, il colpo di scena che ci scuote un attimo prima dei titoli di coda, ci fa comprendere la volontà di Shyamalan di mettere l’uomo con le spalle al muro, come a ricordargli: o cambi registro ora o mai più! Anche in questo film, come già in The Village e Signs, l’ipotesi di partenza (o meglio, di arrivo) è la fuga dalla comunità malata e opprimente, in questo caso una Philadelphia grigia e anonima, nel tentativo di riscoprire il senso dell’unità familiare. La ricerca del proprio punto di equilibrio, quel luogo interiore dove viene messo ordine alle angosce del vivere quotidiano, appare come un preciso invito a riscoprire la forza dello spirito e, perché no, della fede. Ma la razza umana ha imboccato probabilmente una strada senza ritorno, mettendosi contro la Natura stessa, sublime e spietata Madre, e forse è tardi anche per quest’ultima presa di coscienza e il susseguente tentativo di redenzione. Shyamalan emoziona e non offre spiegazioni di sorta per giustificare il suo epidermico gusto dell’ignoto: sono sufficienti il mistero, i silenzi, le luci livide, un manipolo di attori dalla recitazione essenziale, gli afflati mortali del vento, il frusciare suadente ma letale delle fronde degli alberi, una colonna sonora azzeccata. Non un capolavoro, ma un film da non perdere.
Ho guardato questo film attratto dall’idea di scoprire nella nuova creatura di Mr. Night Shyamalan, l’erede di film suggestivi e “irrazionali” come Il Sesto Senso, The Village, Signs, e devo ammettere che per almeno 10-15 minuti questa speranza è stata ben supportata. La tensione e l’indefinitezza del pericolo che incombe sull’umanità distratta e inconsapevole che abita a Philadelphia (ma in realtà qui si tratta della partita che vede opposti da un lato il nostro pianeta, inteso come entità viva, pulsante e ora anche incazzata, e dall’altro lo stesso genere umano) e che si materializza nei suicidi di massa iniziali, resi in un agghiacciante realismo, sono infatti le uniche note positive di un film che ben presto devia verso un improbabile e superficiale percorso di introspezione psicologica dei (pochi) personaggi principali, tanto da disperdere la tensione narrativa in un gioco prevedibile e un tantino grossolano condito da colpi di scena risaputi e (nel caso della donna che vive da sola) persino grotteschi. Un film – a mio avviso – profondamente incompiuto, aleatorio nelle premesse quanto nelle ipotesi di svolgimento, che avrebbe dovuto e potuto indagare meglio il mistero della natura che ci circonda, tanto affascinante quanto insidiosa, attraverso atmosfere più cupe e incombenti, rese invece improbabili da una recitazione fin troppo minimale, da una fotografia fredda e distaccata, dove anche il mortale frusciare del vento tra le fronde degli alberi sembra un elemento casuale, tanto è scialba la resa visiva delle luci e delle forme del bosco. La non-spiegazione scientifica che accompagna poi l’enigma del contagio non sfugge alla banalità generale della trama, gratuita come molte delle emozioni ricercatamente volute di cui è trapuntato il film. Ma è la regia che toppa clamorosamente, mancando di profondità e spessore nello sviluppo del racconto, smarrendo “il senso del meraviglioso” e dell’ossessione che, invece, l’opera di Shyamalan ci aveva abituati ad apprezzare. Non bastano l’inquietudine di fondo che permea la pellicola, il senso di solitudine dell’uomo di fronte all’inconoscibile, né tanto meno il richiamo finale alla circolarità dell’agire della natura (che ci poteva essere risparmiato) a dare un senso compiuto al film.
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Racconto
Cerebrum di Donato Altomare _____________ – Ancora? Enrico annuì. – E tu hai accettato? Nuovo assenso. – Ma è una pazzia, ti rendi conto di quello che fai? Guardati, sei dimagrito, hai gli occhi infossati, le guance scavate, hai… hai… insomma, hai un aspetto cadaverico e uno sguardo eternamente assente. – Lo so, Luisa, ma è il mio lavoro e… – Un lavoro che potresti lasciare a qualcun altro. Fino a quanto pensi che la tua mente possa resistere? Ci sono decine di dottori che hanno presentato domanda. Perché non lasci a loro la tua dose giornaliera di allucinazioni? – la moglie era a un pelo dall’isterismo. – Puoi guadagnare di più facendo il libero professionista e lasciando l’Istituto Psichiatrico. Stai.. stai diventando peggio di loro, e io non posso più sopportare tutto ciò. I drogati… io… – scoppiò in lacrime. Dolcemente Enrico le sollevò il mento con la punta delle dita: – Amore mio, su, smettila, so bene che è difficile da capire, quindi impossibile da accettare, ma è necessario trovare risposte definitive ai ‘se’, ai ‘forse’, ai ‘può darsi…’ Noi dobbiamo sapere con assoluta certezza perché una persona sa che certa droga è mortale eppure non esita ad assumerla. Sotto il suo effetto uno psicopatico allerta le difese, mette a nudo la sua anima e soltanto durante questo periodo è possibile capire. Ma occorre entrargli nel cervello. Soltanto in questo modo un giorno potremo eliminare il flagello che decima i nostri giovani. Non scordare che negli anni del pionierismo medico, a volte i ricercatori si iniettavano i germi di una malattia per conoscerla a fondo e poterla
sconfiggere. – Stai parlando della preistoria della medicina. Oggi non… – Ma tu pensa cosa vuol dire. Uno psichiatra che prova le stesse sensazioni di un drogato senza assuefazione alla droga, pensa a due cervelli in un corpo solo, uno sotto l’effetto di un allucinogeno, l’altro freddo e raziocinante. Soltanto poterlo ottenere è stato un enorme balzo in avanti della scienza medica. Partecipare all’esperienza è il culmine della pratica professionale. Ecco perché molti vorrebbero questo compito. E il fatto che lo tenga per me non è egoismo, ma necessità. Accumulando diverse esperienze si può giungere alla verità. Luisa si era calmata. Tirò su col naso delicatamente e cercò di rimettersi in ordine con un fazzoletto. Poi con voce leggermente rotta: – Quando sarà? – Il primo caso che avremo domani. – Promettimi che sarà l’ultimo. Enrico strinse le labbra e sussurrò: – E sia. Te lo prometto. Lei lo abbracciò e ricominciò a piangere. La cabina di trasporto lo portò immediatamente nella sala di ricezione della clinica. Aveva spesso desiderato di fare quattro passi per strada, ma le vie erano pressoché deserte e quindi pericolose. – Buon giorno, dottore. – Buon giorno, signora Resta. È arrivato? L’infermiera scosse il capo: – No, ma abbiamo tre segnalazioni, e i nostri uomini si sono recati sul posto. – Resistenze? – Le solite, sempre, da parte dei parenti, ma di
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76 nessuna consistenza. In ogni modo, dottore, si prepari. È questione di minuti. Enrico annuì salutandola e si diresse verso una porta dove il divieto assoluto d’ingresso spiccava deciso. Subito la oltrepassò e in un piccolo spogliatoio si cambiò. Con il camice lindo di guardia medica entrò nel centro di lettura. I soliti inservienti risposero al suo saluto. Si sistemò sulla poltrona del viaggio in attesa che un collega gli passasse la solita visita generale. Tutto era a posto. Con uno scatto metallico una calotta calò dall’alto posandosi sul suo capo. Numerosi fili gli furono applicati tramite ventose alla pelle del collo e del torace, mentre braccia e gambe furono strette da robuste cinghie. Era pronto. Attese soltanto alcuni minuti. La porta si spalancò ed entrarono due uomini del Corpo Prelievi che reggevano un ragazzo. Pareva svenuto, se non fosse per gli occhi aperti e le pupille dilatate. Fu posto sulla sedia gemella di quella di Enrico e sistemato allo stesso modo. La signora Resta seguiva il gruppo con una cartella in mano. Si avvicinò al dottore e lesse: – Dunque, si chiama Adam Pesznacky, immigrato polacco, diciassette anni, celibe. Dovrebbe avere una ragazza. Quando i sensori emozionali l’hanno rilevato si era drogato da poco. – Con cosa? – chiese Enrico. L’infermiera parve titubante, poi: – Xanamina. Un brivido di freddo gli percorse la schiena. La più potente. Se quel ragazzo moriva durante l’azione della droga, lui sarebbe rimasto intrappolato... la sua mente e il suo corpo scissi per sempre. Nessuno sapeva cosa succedeva. Nei pochi casi accaduti il corpo del medico era imputridito come un cadavere. Ma la sua mente? Chissà, forse si aggirava da qualche parte. – Procedete. – Era troppo deciso per rinunciarvi. Qualcuno spinse un pulsante. Adam era felice. Immensamente felice. La sua mente era colma d’una gioia tanto grande da trascendere i confini del reale, e lui assaporava stilla a stilla quella piacevole sensazione mentre rasentava il sublime che cercava di carpire tendendo le mani verso l’alto, ma quel “qualcosa” gli sfug-
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giva sempre e sentiva l’aria libera attraversargli le mani tra le dita e penetrargli, sibilando, nei polmoni riempiendoli di fuoco, un fuoco che non bruciava, ma distruggeva. Adam era folle di felicità. Il perché si sottraeva dolcemente alla sua mente e invano lui correva attraverso i meandri del suo cervello cercando tra luci fantasmagoriche e ombre opprimenti un quando, un come. Per ritrovarsi sempre a inseguire girandole infuocate che piano piano si spegnevano e riaccendevano tornando in vita dalle proprie ceneri. Era in pace col mondo, per cui non si curò di capire cosa ci facesse con le braccia larghe e lo sguardo al cielo nel mezzo di una delle più grosse strade della città. A fatica si alzò, rimase per pochi secondi a guardarsi intorno con sguardo assente, poi, resosi conto improvvisamente del pericolo, con uno scatto da centometrista fu sul marciapiede. Osservò la strada deserta sghignazzando: “Ve l’ho fatta, mostri dai piedi di gomma!” La sua risata echeggiò nel silenzio del quartiere. Eppure il sorriso gli morì subito in gola: c’era qualcosa che non andava. Non ci mise molto a capire. Il silenzio. Tutto quel silenzio era molto strano. Sollevò il capo in alto e vide il sole. Incredibile! Guardò la strada deserta, senza un’auto o un tram, senza pedoni che attraversavano velocemente quel fiume di ferraglia rumorosa. Non vi erano clacson che laceravano l’aria o urla, non s’udivano le bestemmie dei camionisti imbottigliati, né alcun cozzo fra mostri di ferro e plastica. Incredibilmente bello. L’aria era limpida come in montagna, il cielo azzurro e non del solito grigiore indefinito e poi... poi non si sentiva puzzo di gas, ammoniaca, metano, gomma bruciata, vernice fusa, anzi, era... era... Adam non aveva mai sentito il profumo dell’aria pulita e in quel momento se ne beò. Ma tutto quanto era troppo assurdo. “Forse hanno chiuso la strada per qualche lavoro” pensò, però sin dove arrivava lo sguardo a destra o a sinistra vedeva la strada correre per centinaia di metri assolutamente libera. E se poi Altomare - Cerebrum
77 ci fossero stati davvero lavori in corso... martelli pneumatici, scavatrici, camion, uomini grondanti di sudore che urlavano per farsi sentire... No. Il silenzio era totale. E la sua felicità aumentò. Poi, all’improvviso una nuova realtà lo colpì: e la gente? Guardò il marciapiede deserto e i suoi occhi frugarono tra le porte chiuse e le finestre spalancate come nere orbite di un teschio dai cento occhi. Vuote. Soltanto allora si chiese: “Ma cosa accade?” Era rimasto immobile a guardarsi intorno incredulo, con le gambe larghe che tremavano un po’ quasi stentassero a reggere il suo peso. Lo sguardo non si stancava di correre da una porta all’altra dei palazzi del quartiere che conosceva bene perché era il suo. “Ecco, là c’è l’edicola di Gianni, vuota... e la tavola calda dove lavora Anna... Anna? Che ne è stato di lei?” “dove siete?” gridò, “dove vi siete nascosti tutti quanti?” Le sue parole rimbalzarono di porta in porta, di finestra in finestra, entrarono ovunque potessero entrare, ma tornarono indietro senza risposta, anzi, quella fu più di una risposta. Il pensiero colpì Adam senza fargli troppo male: era solo, assolutamente solo. “E se fossero tutti morti? Forse un’ epidemia.” No. Era inaccettabile. Non vi erano neanche auto parcheggiate, o rifiuti, o bidoni di spazzatura, non vedeva cani randagi frugarci dentro col muso e una zampa accanto a qualche barbone, o gatti che si aggiravano eleganti e furtivi. Era tutto strano, tutto pulito, troppo pulito per un quartiere come quello. Adam si fece animo. Non poteva essere rimasto solo, non poteva, doveva trovare qualcuno che gli spiegasse cosa stava succedendo. Così si mise a cercare. Anna... Anna… Lentamente ma con decisione si diresse verso l’ingresso della tavola calda. Portò la mano alla maniglia, raccolse tutte le sue forze per sembrare disinvolto e aprì la porta: “Buon giorno.” I visi delle persone non si girarono a guardarlo, per il semplice fatto che non vi erano persone, eppure l’atmosfera era tanto impregnata dell’odore di gente che quasi gli parve di sentire un borbottio sommesso. Altomare - Cerebrum
Gridò: “Venite fuori, ne ho fin sopra i capelli di questo scherzo idiota.” E attese illudendosi, benché sentisse che era inutile. “Mi avete sentito?” ripeté, “Uscite!” Con un calcio rovesciò un tavolo sul quale una colazione fumava ancora. “Signor Carlo, se non viene fuori le butto all’aria il locale” e fece volare un secondo tavolino. “E tu, Anna, almeno tu...” Nulla. “Anna, Carlo, e voi tutti bastardi, uscite!” Ma le sue parole colme di disperazione si persero nell’ampio locale. “All’inferno!” e uscì sbattendo la porta . Il rumore per un attimo gli diede un certo sollievo. Era solo. Si sentiva maledettamente solo. Guardò su, in cima ai palazzoni, guardò in fondo alla strada sin dove lo sguardo lo permetteva e si sentì un insetto. Una morsa di ghiaccio gli serrò il cuore. La luce rossa pulsante segnalò lo stato critico. Oppressione accentuata. Poteva portare il drogato alla morte, e questo sarebbe stato orribile per Enrico. Le lancette dello stato critico cominciarono a vibrare. pericolo. Sempre maggiore. C’era una sola cosa da fare e fu fatta subito, senza rimorsi o esitazioni. L’ago di una siringa penetrò nel braccio di Adam. E venne la neve. O, almeno per un istante, gli sembrò neve. Era una polvere bianca sottile come talco. Lui gridò al miracolo. Sapeva bene cos’era: una manna che cadeva dal cielo. Una nuova, immensa gioia lo assalì ferocemente. Non gli importava di esser solo, non gli importava nulla degli altri, che andassero pure al diavolo, per conto suo era troppo felice per sentirne la mancanza. Ma la felicità svanì velocemente sotto il sole cocente, e si ritrovò seduto in un bar a sorseggiare una birra ancora fresca. “Cameriere, pago da bere a tutti” e finì la bevanda. “Se riuscissi almeno a capire cosa succede” borbottò. “Ma che importa esser solo?” Così, camminando per le strade deserte, cercò di divertirsi: “Buon giorno, signora Bianchi.. Oh che bel cane, signorina!” Cominciò a muoversi a zig–zag, come scansando persone: “Scusatemi, ero distratto e vi ho urtato” e scoppiava a ridere senza allegria.
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78 Si fermò sull’orlo del marciapiede e prima di avventurarsi sul nastro d’asfalto guardò bene a destra e a sinistra. Era un gioco, e lui giocava. Fin quando non ce la fece più. Si appoggiò a un lampione: “Se continua così finirò col parlare con te” e abbracciò il freddo metallo mentre una lacrima gli scivolava sulla guancia. Si sentiva fiacco e incredibilmente depresso. Nuovamente la luce rossa prese a pulsare. I medici intorno ai due si guardarono l’un l’altro non sapendo cosa fare. Non si poteva iniettare più droga, l’avrebbero ucciso. Se la lancetta dello stato critico si rimetteva a salire si doveva sospendere la simbiosi cerebrale, non c’era scelta. Quello che sarebbe successo nessuno lo sapeva. Ma la lancetta non si mosse e la luce si spense. Adam si era fatto coraggio e aveva ripreso a camminare. Stava ancora riflettendo quando gli parve di vedere un movimento. Con foga tornò sui suoi passi, sorpassò la grande vetrina di un negozio di scarpe e guardò nel vicolo che aveva appena superato. Nessuno. Con la coda dell’occhio percepì un altro movimento. Veniva dalla vetrina. Si precipitò nel negozio: “Chi c’è qua dentro?” Nessuna risposta. “È inutile che ti nascondi. T’ho visto. Non me ne andrò se non ti avrò prima trovato.” E si mise a frugare in ogni angolo dell’ambiente. Era stanco quando rinunciò. Il locale era assolutamente deserto, eppure... Tornò fuori e guardò la vetrina. Le sue labbra divennero livide, il cuore quasi gli si fermò mentre fissava con occhi sbarrati... Controluce c’era tutta la città. Sul vetro si rifletteva la marea d’auto che percorreva la strada, la gente indaffarata e frettolosa che riempiva il marciapiede. Monelli si rincorrevano, cani frugavano tra la spazzatura accanto a barboni. E il rumore gli lacerò i timpani ormai assuefatti al silenzio; clacson, grida, bestemmie, canti, musica, cozzi: la voce del caos. Di scatto si girò. La strada silenziosa e sgombra si faceva beffe di lui. I marciapiedi vuoti parevano più grandi e belli. Adam portò le mani alla testa e urlò. Il suo sguardo tornò alla vetrina: nulla era mutato. La
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città viveva di riflesso. Alle sue spalle il silenzio era opprimente. Poi, come in un incubo si accorse di qualcosa che gli piegò le ginocchia: si mosse, si agitò, ma era proprio così. Nel riflesso la sua immagine non c’era. Guardò per terra, e soltanto allora si accorse di non avere un’ombra. Guardò il sole e capì... capì di non essere nulla. L’idea lo ferì, lo trapassò da parte a parte, lo sbatté come foglia al vento, lo calpestò e gli tirò fuori l’anima. “Io non esisto” mormorò, “Io... io non esisto.” E lentamente cominciò a svanire. Enrico riaprì gli occhi. Un’infermiera gli stava massaggiando il torace mentre un collega gli controllava il polso. Provò a parlare ma non riuscì a muovere le labbra e per pochi istanti fu preso dal panico. – È morto? – riuscì infine a dire. L’infermiera lo fissò perplessa: – Dottore, se fosse morto lei... – e non continuò. Enrico chinò il capo. Che stupido, dopo tante esperienze... Sospirò pesantemente e cercò d’alzarsi, aiutato dal collega. Ogni volta si sentiva peggio, sempre più debole. Prima o poi.. La signora Resta entrò nella saletta. – Come va? – Sono sfinito e un tantino confuso. Ma tra qualche minuto mi passa tutto. – È certo? La vedo più sconvolto del solito. È stata dura? Lui non rispose e sollevò le spalle in un gesto eloquente. L’infermiera continuò: – Francamente penso che debba smetterla. Enrico riuscì a sorridere. La signora Resta era praticamente la madre acquisita di tutti i giovani dottori della clinica. Stava per andar via, ma Enrico la fermò: – Una domanda sola. Che livello? Questo ragazzo, Adam, che livello ha raggiunto? – Forse sarebbe meglio che non lo sappia. – Per cortesia. – Non voglio… – poi, con un sospiro: – E va bene. È al terzo stadio. – Questo... questo vuol dire che sarà soppresso? Altomare - Cerebrum
79 La voce dell’infermiera divenne un bisbiglio. – Tra circa un’ora – e chinò il capo. – Ma... – Niente ma – lo interruppe un po’ bruscamente – Sa bene, dottore, che non c’è ritorno dal terzo livello. Il paziente prima impazzisce, poi cade in coma e vegeta per anni e anni. Mi creda. Lei al suo posto chiederebbe di essere... soppresso. La vera crudeltà sarebbe quella di farlo sopravvivere. Ma Enrico non l’ascoltava più.
(Donato Altomare)
Cerchi visionari – © Daniele Baldini
Aveva preferito usare la seggiovia tra palazzi piuttosto che il trasportatore. Aveva bisogno di pensare e a sessanta metri dal suolo l’aria era un tantino più respirabile. C’era qualcosa che gli martellava la mente, qualcosa che premeva dietro la porta del suo subconscio. E non gli ci volle molto per capire. Esser solo vuol dire esser nessuno. Una verità
cruda, anche se banale, ma l’assurdo in tutto ciò era una Terra sovraffollata e un’immane solitudine. E allora si chiese quante menti sconvolte ci fossero laggiù tra ferro e cemento? Quanti drammi aspettavano la scintilla per finire con la Xanamina? Non poteva fermarsi, doveva continuare e forse presto si sarebbe potuto porre rimedio all’omicidio legalizzato, a quel modo barbaro con cui la società si liberava di un fardello scomodo, di un fallimento, per non dimostrare la propria incapacità. Così forse un giorno avrebbe salvato la vita ad un altro Adam. Doveva continuare. Oltrepassò la porta di casa certo che non sarebbe riuscito a mantenere una promessa.
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1997: fuga da New York Ai confini della realtĂ Atmosfera zero Brainstorm Christine, la macchina infernale Krull I banditi del tempo Il bacio della pantera Il ritorno dello Jedi Interceptor Scontro di Titani Poltergeist Possession Tron The Day After Tuono Blu Wargames