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Andrea Zammit ll valore risocializzante della pena detentiva sottolineato dalla sentenza Torreggiani e l’art. 27(3) cost

Dr Andrea Zammit is a University of Malta alumnus and currently forms part of the civil and commercial law department of the legal firm IURIS Malta in Valletta. Zammit successfully graduated with a Bachelor of Laws and Master in Advocacy degree from the University of Malta in 2018. In 2016, he spent a semester of studies abroad at the prestigious Universita’ degli studi di Urbino Carlo Bo, where he defended a paper titled ‘Il valore risocializzante della pena detentiva sottolineato dalla sentenza Torreggiani e l-ART. 27(3°) Cost.’. His Bachelor’s thesis purported to be a judicial inquiry into the main deterrents used by the British colonials as a means of containing Pro-Italianism in wartime Malta. Besides being a practitioner, Zammit is also into research ranging from legal history to the Theory of Law, as well as other subjects which pertain to the studies of history, philosophy and the arts.


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The paper titled ‘Il valore risocializzante della pena detentiva sottolineato dalla sentenza Torreggiani e l-ART. 27(3°) Cost.’ was written in December 2016 following a study trip to the Venetian correctional facilities of Santa Maria Maggiore and Casa di reclusione femminile Giudecca. Zammit defended his paper in front of his examining professor, Professor Iacopo Saccomani, in relation to the study-unit ‘Penitentiary Law’ and in pursuit of his Erasmus exchange experience at the Universita’ degli studi di Urbino Bo. The paper attempts to approach the study of penitentiary law as that relating to the purpose and organisation of correctional facilities in Italy as well as alternatives to incarceration aimed at rehabilitating convicts towards their effective reinsertion into society. It does so through reference of seminal ECHR judgment Torreggiani v. Italy and through a problematique of the notion of punishment and its teleological efficaciousness, as well as an overview of some of the most significant legislative reforms introduced in Italy which reflect both the acquis of the fundamental rights regime, as well as the inherent scope of punishment: re-education and rehabilitation of the subject within the very fabric of society.

1. Introduzione

I

spirato dall’illuminismo francese, fu il giurista milanese Cesare Beccaria a valorizzare il principio della pena nella sua più celebre opera, Dei Delitti e delle pene, trattando principalmente la legittimità dello ius puniendi statale1 e l’efficacia deterrente della pena.2 Seppure lontano dal concetto di prevenzione speciale3 nella risocializzazione del soggetto, il contributo del 1 Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene (18ª edizione, Feltrinelli 2014) 38-39: ‘Ecco dunque sopra di che è fondato il diritto del sovrano di punire i delitti: sulla necessità di difendere il deposito della salute pubblica dalle usurpazioni particolari; e tanto più giuste sono le pene, quanto più sacra ed inviolabile è la sicurezza, e maggiore la libertà che il sovrano conserva ai sudditi’. 2 ibid 15: ‘Il fine dunque non è altro che d’impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali’. 3 Emiliano Dolcini, ‘Rieducazione Del Condannato E Rischi Di Involuzioni Neoretributive:

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Beccaria spianò la strada per ulteriori nuove prospettive sulle tematiche legate alla pena legale e al trattamento penitenziario. Quest’ultimo prevede l’avvio della realtà carceraria, ovvero il luogo dove nella maggior parte degli scenari si svolge la riforma del soggetto. Il carattere preventivo del carcere poneva delle domande importanti già nell’epoca dell’Ottocento; con il modello ideale del panottico e la teoria di Bentham dell’invisibilità del controllo per favorire il recupero sociale del reo e la sua convinzione in essa4, seguito dalla biopolitica novecentesca di Foucault come ineluttabile ammissione del fallimento del sistema carcerario moderno essendo ‘produttore di delinquenza’.5 Nei tempi attuali, la natura intrinsecamente desocializzante del carcere è ormai un dato di fatto risaputo, ed è per questo che, grazie al contributo della Corte CEDU, in rilievo vi è l’utilità delle misure alternative e pene detentive non carcerarie come lavoro di pubblica utilità che tende alla rieducazione del soggetto come, ad esempio, nel caso di un tossicodipendente.6 Attraverso l’osservanza del principio di legalità racchiuso nell’articolo 25 comma 2 della Costituzione, la pena deve essere preceduta da un processo giusto a prescindere dalla gravità del reato e dalla personalità del reo.7 Si inizia a riscontrare un problema durante l’espiazione della pena e la tipologia specifica del regime di esecuzione da applicare tenendo conto di quanto l’efficacia rieducativa sia legata alla modalità di esecuzione.8 Con la presente ricerca, mi sono prefisso l’obiettivo di soffermarmi sulle finalità rieducative della pena detentiva offrendo una lettura in chiave deontologica sia dell’articolo 27 comma 3 della Costituzione della Repubblica Ovvero, Della Lungimiranza Del Costituente’ (2005) 70 Rassegna penitenziaria e criminologica 4 Paola Rudan, Jeremy Bentham, ‘La trasparenza e la disciplina sociale della costituzione’ (2016) 31 ,Giornale Di Storia Costituzionale 50 5 Michel Foucault, Sorvegliare e punire: La nascita della prigione (Einaudi 1993) 9596: ‘Alla constatazione che la prigione fallisce nel ridurre i crimini, bisogna piuttosto sostituire l’ipotesi che la prigione è riuscita assai bene a produrre la delinquenza, tipo specifico, forma politicamente o economicamente meno pericolosa - al limite utilizzabile - di illegalismo; a produrre i delinquenti, ambiente apparentemente marginalizzato, ma controllato dal centro; a produrre il delinquente come soggetto patologizzato. Il successo della prigione: nelle lotte attorno alla legge e agli illegalismi, specificare una «delinquenza»’. 6 Piermaria Corso, Manuale della Esecuzione Penitenziaria (6ª edizione, Monduzzi Editore 2015). 7 Sentenza numero 15 della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, 7 marzo 1962 8 Corso (n 6) 7.

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Italiana9 sia dei principi salienti della sentenza Torreggiani10, cercando di conciliare il principio retributivo con quello rieducativo in un’Europa sempre più orientata verso la piena umanizzazione della pena e dello stesso soggetto. La mia ricerca mira principalmente ad analizzare il primo capitolo del Manuale della Esecuzione Penitenziaria con l’aggiunta di fonti autorevoli rilevanti nell’ambito penitenziario quali pubblicazioni e rassegne penitenziarie. Successivamente si cercherà di individuare le modalità nonché le ragioni circa le problematiche di tipo teorico e pratico determinate dalla rieducazione del reo; quest’ultimo sarà messo in luce attraverso un approccio comparatistico rispetto a modelli carcerari prettamente rieducativi come quello finlandese e scientifico, mediante l’analisi della Costituzione e delle sentenze di caratura internazionale, avendo come punto di riferimento il caso Torreggiani. Infine, vale citare ancora Foucault e una sua finale considerazione circa lo scopo rieducativo della pena tratta dall’opera Sorvegliare e Punire: L’operazione penitenziaria, se vuole essere una vera rieducazione, deve totalizzare l’esistenza del delinquente, fare della prigione una sorta di teatro artificiale e coercitivo dove quell’esistenza verrà riconsiderata dal principio alla fine. Il castigo legale verte su di un atto, la tecnica punitiva su una vita; essa, di conseguenza, deve ricostituirne l’infimo e il peggio nella forma del sapere, deve modificarne gli effetti o colmarne le lacune, per mezzo di una pratica costrittiva. Conoscenza della biografia e tecnica dell’esistenza raddrizzata. L’osservazione del delinquente ‘deve risalire non solo alle circostanze, ma alle cause del crimine; cercarle nella storia della sua vita, dal triplo punto di vista della organizzazione, della posizione sociale e dell’educazione, per conoscere e constatare le pericolose tendenze della prima, le incresciose disposizioni della seconda, ed i cattivi antecedenti della terza. Questa inchiesta biografica è parte essenziale dell’istruttoria giudiziaria per la classificazione delle penalità, prima di diventare una condizione del sistema penitenziario per la classificazione delle moralità. Deve accompagnare il detenuto 9 ‘Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. 10 Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 8 gennaio 2013 - Ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10 - Torreggiani e altri c. Italia

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dal tribunale alla prigione: qui il compito del direttore è non solo di raccoglierne, ma di completarne, controllarne e rettificarne gli elementi durante il corso della detenzione’.11

2. Il finalismo risocializzante della pena detentiva La pena detentiva, mediante il principio di legalità tutelato dall’art.25 comma 2° della Costituzione, ha come ragione d’essere il necessario adempimento all’‘atto motivato dell’autorità giudiziaria nei soli casi e modi previsti dalla legge’ come sancito dallo stesso articolo 13 comma 2° Cost, attuando così l’effetto afflittivo della stessa pena senza trascurare il suo scopo polivalente.12 Il divieto alla violenza fisica e morale13 sul soggetto ha fatto sì che il legislatore costituzionale, in una sentenza della Corte costituzionale14, accentuasse il principio che il senso di umanità deve controllare qualunque eccesso della afflittività della pena. L’umanizzazione della pena è particolarmente sottolineata nell’articolo di maggiore interesse, ovvero l’articolo 27 comma 3° Cost: ‘Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato’. Da un lato la norma sancisce che la pena restrittiva della libertà personale ha come scopo l’inviolabilità del senso di umanità e la retribuzione del reato proporzionalmente misurata alla gravità del fatto e personalità del reo, e dall’altro rinnova l’impegno dello Stato per facilitare il rientro del soggetto nella società che lo aspetta a vivere tranquillamente e a reinserirsi nel modo meno traumatico possibile.15 Il senso di umanità è quindi il punto di partenza come simboleggiato dall’art.1 della legge n.354 del 1975: ‘il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve attuare il rispetto della dignità della persona’.16

11 Foucault (n 5) 86. 12 Arianna Zanirato, ‘La Funzione Rieducativa Della Pena E Le Alternative Al Carcere’ (Tesi Laurea Magistrale, Università degli studi di Pavia 2013) 13 Articolo 13 (4°) della Costituzione della Repubblica Italiana (1948) 14 Sentenza n. 12 della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, 4 febbraio 1966 15 Corso (n 6) 2. 16 Legge 26 luglio 1975, n.354. Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

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2.1 L’articolo 27 comma 3° della Costituzione e l’umanizzazione della pena. L’articolo 27 comma 3°, oltre a puntare sulla tendenza alla rieducazione e al reinserimento sociale, parla in termini concreti della pene non contenenti in ‘trattamenti contro il senso di umanità’. Di considerevole rilievo è l’articolo 3 della CEDU che quantifica teoricamente il trattamento contrario al senso di umanità, riaffermato nella sentenza Carcasio e nella condanna della Corte EDU per la mancata assenza del reato di tortura nell’ordinamento italiano.17 Traguardo inderogabile della pena, l’inclusione del meccanismo rieducativo nella Costituzione fu frutto della ricerca ‘nel terreno costituzionale, la ‘filosofia’ della pena’18 risultando in una funzione nettamente di interesse più sociale che individuale. Da segnalare, infatti, la transizione concettuale del circuito penitenziario non più come ‘luogo dell’ozio, del vuoto e dell’isolamento’, bensì come ‘spazio vuoto di diritto’ dove il soggetto va lasciato crescere senza pressioni dal mondo esterno, e attraverso l’esistenza dell’art. 27 terzo comma, sfruttare il valore aggiunto della libertà ristretta mediante un programma di arricchimento personale che spegne le spinte regressive19, un canale di sfogo attraverso lo sport e varie attività culturali come pure mediante la realizzazione nelle opportunità lavorative come ribadito recentemente dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.20 La teoria della vera finalità della pena fu oggetto di discussione nei lavori preparatori della Commissione dei 75, nel tentativo di costituzionalizzare una teoria univoca21, sottolineando l’importanza del verbo ‘tendere’: ‘non si è voluto risolvere la questione delle finalità della pena. La pena ha – secondo alcuni – un fine di intimidazione; secondo altri, un fine di prevenzione; secondo altri ancora, deve avere soltanto il fine della rieducazione del colpevole. Si è voluto evitare di accettare nella Costituzione una di queste teorie, trattandosi di materia di Codice penale. Ecco perché si è usata la parola: «tendere»; perché si è 17 Anna Maria Flick, ‘I paradossi del carcere’ (2015) 331 Rassegna penitenziaria e criminologica 18 Giovanni Fiandaca, ‘Il 3° Comma Dell’‘(Art. 27’ in G. Branca and A. Pizzorusso (ed), Commentario della Costituzione: Rapporti civili. Art 27-28’ Zanichelli 1991) 19 Corso (n 6) 5–6. 20 Mattarella: ‘Il carcere deve rieducare con umanità’ (La Repubblica: 7 giugno 2016) <https://www.repubblica.it/cronaca/2016/06/07/news/mattarella_il_carcere_deve_ rieducare-141469155/> 21 Giorgia Oss, Certezza della pena e trattamenti rieducativi: un contrasto insanabile? (Tesi Laurea Magistrale, Università degli studi di Trento 2009)

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voluto dire, in un senso altamente sociale ed umano, che una delle finalità della pena in tutti i casi deve essere la rieducazione del condannato’.22 Negli anni sessanta, con la diffusione dell’interpretazione polifunzionale della pena per motivi di soddisfacimento alle esigenze contingenti23, vi fu un tentativo di proporre una flessibilità della pena: ‘tra le finalità che la Costituzione assegna alla pena, da un lato quella della prevenzione generale e difesa sociale, con i connessi caratteri di afflittività e retributività, e, dall’altro quelle di prevenzione speciale e rieducazione, che tendenzialmente comportano una certa flessibilità della pena in funzione dell’obiettivo di risocializzazione del reo, non può stabbilirsi a priori una gerarchia statica e assoluta che valga una volta per tutte ed in ogni condizione. Il legislatore può, cioè, nei limiti della ragionevolezza, far tendenzialmente prevalere, di volta in volta, l’una o l’altra finalità della pena, ma a patto che nessuna di esse ne risulti obliterata’. Da qui, si desume l’intenzione di non escludere una funzionalità all’altra seppure chiaro sia la prevalenza che verrà affidata al finalismo rieducativo.24 Tale principio, non inteso in termini esclusivamente assoluti25 e dipendente dal modus di esecuzione26, vincola il legislatore di ‘tenere costantemente di mira, nel sistema penale, le finalità rieducative e di disporre tutti i mezzi idonei per realizzarle’.27 Distaccandosi dalla logica custodialistica definita da Rocco come ‘l’utile funzione eliminatoria’ di emarginare l’autore del reato, la Corte – attraverso la ratio dell’art. 27 comma 3° cost. – appoggiò la filosofia rieducativa, intravedendo così il rientro in società del soggetto dopo l’espiazione della pena.28 Ritornando all’uso del verbo ‘tendere’ nel lessico dell’articolo costituzionale, la funzione rieducativa prende corpo nell’autodeterminazione del soggetto.29 22 Segretariato Generale, Camera dei Deputati, ‘La Costituzione Della Repubblica Italiana Nei Lavori Preparatori Dell’Assemblea Costituente’ (1948) Volume VI, 181 23 Zanirato (n 12) 34. 24 ibid 36. 25 Sentenza numero 167 della Corte costituzionale della Repubblica italiana, 22 novembre 1973 26 Sentenza numero 67 della Corte costituzionale della Repubblica italiana, 8 maggio 1963 27 Sentenza numero 12 della Corte costituzionale della Repubblica italiana, 4 febbraio 1966 28 Corso (n 6) 8-9. 29 Ida Nicotra, ‘Pena e reinserimento sociale ad un anno dalla ‘sentenza Torreggiani’. Diritto Penitenziario e Costituzione’ (2015) 2(15) Rivista Costituzionalismo <ttp://www. antoniocasella.eu/archica/Nicotra_2014.pdf>

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Essa spiana la strada verso il recupero sociale del reo, il carattere preventivo speciale che rafforza lo scopo enunciato in una miriade di sentenze costituzionali. Vi è un bagaglio linguistico variopinto, ma che si riferisce allo stesso concetto in alcune sentenze come nel riferimento al ‘reinserimento nell’ordine sociale’ della sentenza n.168 del 1972, il ‘riadattamento alla vita sociale’ della sentenza n.204 del 1974, passando al ‘ravvedimento...recupero sociale’ e alla ‘risocializzazione’ delle sentenze n.271 del 1998 e n.257 del 2006.30 Il ‘recupero sociale dello stesso’ menzionato nella sentenza n.225/1975 della Corte costituzionale, venne facilitato con l’ampia introduzione di modalità espiative ‘extracarcerarie’ grazie all’ammodernamento del regolamento penitenziario verificatosi con la creazione dell’ordinamento penitenziario l.n.354/1975 e con i nuovi regimi di esecuzione come l’istituto di semilibertà o affidamento in prova al servizio sociale, aventi lo scopo, soprattutto, di facilitare la rieducazione del reo.31 Con l’umanizzazione della pena e susseguente influenza dell’articolo 4 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea32 sull’ordinamento nazionale, le finalità rieducative ponevano nel detenuto il carattere di soggetto dellesecuzione della pena.33 Autoresponsabilizzando il soggetto attraverso la dialettica istituzione/detenuto, rafforzava il tenore dell’articolo 27 comma 3 in quanto indice dell’obbligo reciproco del soggetto di rispondere all’impegno costante dello Stato di vegliare sull’idoneità degli strumenti rieducativi.34 Forte del contratto sociale instauratosi tra il detenuto e l’istituzione, l’articolo 3 della raccomandazione R(87) 3 DEL 12 febbraio 1987 postulava lo scopo del trattamento penitenziario nel ‘salvaguardare la loro salute e dignità e, nella misura in cui lo permetta la durata della pena, di sviluppare il loro senso di responsabilità e incoraggiare quelle attitudini e competenze che potranno aiutarli nel reinserimento sociale, con le migliori prospettive di vivere senza violare la legge e di provvedere ai propri bisogni dopo la dimissione’. Si potrebbe desumere il carattere inderogabile delle finalità rieducative della pena ‘tra la più pregna di significati e possibilità’ e nelle parole del giurista Giuliano Vassalli ‘[tale principio] già largamente presente nel codice Rocco, 30 S Magnanensi and E Rispoli, La Finalità Rieducativa Della Pena E L’Esecuzione Penale (2008) http://www.antoniocasella.eu/archica/Magnanensi_Rispoli_2008.pdf 31 Corso (n 6) 11. 32 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (2000) 2000/C 364/01: ‘Nessuno può essere sottoposto a tortura, a pene o trattamenti inumani o degradanti’. 33 Corso (n 6) 13. 34 ibid 14.

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entra poi a vele spiegate nel nostro sistema coll’art.27 della Costituzione repubblicana, nel quale il fine della rieducazione è iscritto addirittura come obbiettivo principale, oltre che inderogabile, della pena’.35

2.2 Il sovraffollamento carcerario: il caso Torreggiani Il caso Sulejmanovic come precursore della vicenda Torreggiani causò il monito dell’atteggiamento preventivo da parte della Corte europea per i diritti dell’uomo circa la violazione dell’articolo 3 della ‘Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in trattamenti ‘inumani e degradanti’36 nei confronti del carcerato. Sulejmanovic, un detenuto bosniaco in Italia dal 2002 al 2003, incarcerato presso Rebibbia, dovette scontare la pena per due mesi e mezzo in uno spazio ristretto di 2,70mq, un numero che non rispecchiava lo standard minimo di 3mq per detenuto con maggiore infrazione, sempre dell’articolo 3, nell’impedire lo svolgimento di un’attività e nel lasciare il detenuto rinchiuso nella propria cella.37 Secondo il Giudice Sajò, non vi era dubbio che ‘la flagrante assenza di uno spazio personale di cui ha sofferto il ricorrente’ costituisca un trattamento inumano. Il ricorrente è stato detenuto in condizioni estremamente difficili per un periodo relativamente lungo a causa dell’improvvisa sovrappopolazione del carcere. Nel caso di specie, non è tanto la mancanza di spazio in cella a costituire di per sé un trattamento inumano o degradante. Le condizioni non erano tali da comportare immancabilmente o probabilmente un danno per la salute mentale e fisica del ricorrente o per la sua integrità...[in tal modo costituiva] un contrasto con le regole raccomandate dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (CPT)’.38 Inoltre, per due volte il detenuto aveva chiesto di lavorare all’interno dell’istituto, richiesta che fu respinta ingiustamente, data l’opportunità lavorativa tutelata dalle regole penitenziarie europee approvate dal Consiglio 35 Giuliano Vassalli, ‘Funzioni e insufficienze della pena’ (1961) Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale 318 36 Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, così come successivamente modificata) (ECHR) art. 3: ‘Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o a trattamenti inumani o degradanti’. 37 Zanirato (n 12) 79. 38 Sulejmanovic c. Italia [2009] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo 22635/03

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d’Europa e dagli articoli 15 e 20 della legge n.354 del 1975 ‘che prevedono il diritto al lavoro in carcere al di fuori dei casi d’impossibilità oggettiva’.39 Malgrado i tentativi di interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata da sovraffollamento delle carceri con la l.n. 9/201240, la sentenza Torreggiani c. Italia del 8 gennaio 2013 rappresenta un punto di riferimento nonché un ultimatum sulla piena osservanza dell’art.3 in materie di sovraffollamento. Il verificarsi dell’ennesima condanna da parte della Corte EDU fu motivato dalle condizioni carcerarie inumane dei ricorrenti negli istituti di Busto Arsizio e Piacenza in quanto, simile al caso precedente, a disposizione vi era una cella con spazio inferiore a tre metri quadri ciascuno, evidenziando l’inadeguatezza strutturale nel funzionamento difficoltoso del sistema penitenziario italiano.41 L’istituzione carceraria non può essere veramente rieducativa se il sovraffollamento pone dei limiti tali da minare la dignità del soggetto, il cui cammino verso la propria emenda42 diventa così un punto interrogativo e non più una certezza come garantito dall’articolo 27 comma 3 cost. Mentre da una parte trovare un programma soddisfacente di sport, lavoro e istruzione è di ‘cruciale importanza per il benessere dei detenuti’, dall’altra la Corte si pronunciò sul fatto che ‘i detenuti non possono essere lasciati semplicemente a languire per settimane, a volte mesi, chiusi nelle loro celle, e questo indipendentemente da quanto siano buone o meno le condizioni materiali all’interno delle celle’.43 Come principio di base vi era uno sforzo coerente di identificare le radici del sovraffollamento nell’analisi delle categorie dei reati, approcciando la questione della criminalità attraverso gli atteggiamenti e le preoccupazioni della comunità esterna.44 La sentenza, oltre ad affermare l’illegalità di una esecuzione disumana e degradante45, suggeriva una considerazione del carcere come extrema ratio. La Corte offriva così una lettura in chiave analitica considerando la libertà ristretta quale ‘una sanzione o una misura di ultima istanza e a prevedere un insieme 39 ibid 3,7. 40 L.n. 9/2012, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211, recante interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri. 41 Zanirato (n 12) 80. 42 Corso (n 6) 16. 43 Torreggiani (n 10). 44 ibid 5. 45 Maria Laura Fadda, ‘Misure di sicurezza e detenuto psichiatrico nella fase dell’esecuzione’ (2013) 2 Rassegna penitenziaria e criminologica 34

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appropriato di sanzioni o misure applicate nella comunità, eventualmente graduate in termini di gravità’.46 Con l’introduzione di misure indirizzate a risolvere il problema del sovraffollamento, quale, tra l’altro, la riduzione della popolazione carceraria, facilitato dalle sentenze Torreggiani e della Corte costituzionale n.279 del 2013, il legislatore ha voluto conferire un senso al rimprovero della Corte EDU. L’impegno dello Stato italiano verso la diminuzione dei flussi in entrata e aumento in uscita, dava rilievo alla liberazione anticipata speciale, e la creazione di ‘una combinazione di ricorsi’, nel contempo garantendo una tutela costituzionale dei diritti penitenziari47; ciò servendo da monito per l’osservanza incondizionata del principio basilare del trattamento ‘umano’ come parte integrale dello scopo rieducativo. I rimedi risarcitori della legge n.117 dell’11 agosto 2014 per i detenuti vittime di carcerazione degradante48, seppur necessari per i fini legalistici, non bastano se il soggetto non è messo al centro del progetto risocializzante e reso partecipe, perché ‘Libertà’, come afferma Giorgio Gaber, ‘è partecipazione’ – nella fattispecie, partecipazione nell’opera di rieducazione.49

2.3 Alternative al carcere e reinserimento sociale ‘L’elemento fondante del trattamento carcerario e delle misure alternative...è quello della messa alla prova attraverso una concessione di fiducia alla persona, per un percorso di recupero dei valori persi assieme al senso della legalità che sono alla base della commissione del reato’.50 L’obiettivo di contenere il fenomeno di sovraffollamento passa anche dall’attuazione di ‘pene detentive non carcerarie’ come indicato dalla legge n.67 del 28 aprile 2014 con la ‘sospensione del procedimento con messa alla prova’. Da qui si riavverte la necessità di un trattamento extracarcerario, di un’educazione all’esterno dell’istituto penitenziario’, considerando in 46 Roberta Palismano, ‘Realizzazione di un sistema in probation’ (2015) 1 Rassegna penitenziaria e criminologica 95 47 Nicotra (n 29) 14, 17. 48 Corso (n 12) 28. 49 Vassalli Giuliano, ‘Il dibattito sulla rieducazione’ (1982) Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale 465 50 Ministero della Giustizia, ‘Volontariato e Giustizia’ (Conferenza Nazionale, Roma 2000)

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tal modo il detenuto come ‘persona’.51 Oltre al rafforzamento del carcere come luogo di riforma, la speranza di spianare la strada alla rieducazione è affidata anche alla ricerca di nuove alternative al carcere52, e non soltanto a determinati scopi esclusivamente anti-sovraffollamento. L’ordinamento penitenziario del 1975, insieme ad altri interventi settoriali come la l.22 del giugno 2000 (n.193, norme per favorire l’attività lavorativa dei detenuti), la l.8 del marzo 2001 (n.40, avente misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenuti e figli minori) nonché le modifiche del 19 dicembre 2002 rivolte alla legge in materia di liberazione anticipata53, segnalarono un ricorso al trattamento oltrecarcerario. La risocializzazione avviene efficacemente nel caso in cui, il suo carattere preventivo viene raggiunto tramite sanzioni che non rinnegano la ragion d’essere penitenziaria, garantendo un’integrazione tangibile piuttosto che un’emarginazione malaugurante dopo l’espiazione della pena con la consapevolezza della difficile convivenza tra un sistema penale accentrato sulla pena detentiva e l’istanza della ‘socializzazione recepita’.54 La funzionalità della alternativa in detenzione, in un certo senso, dipende molto dal connubio intervento giuridico-aiuto sociale.55 Una misura meno afflittiva con scopo umanitario56, quale la detenzione domiciliare, fu battezzata dalla sentenza n.350 del 2003 avente ‘aspetti più vicini e congrui alla ordinaria finalità rieducativa...non essendo più limitata alla protezione dei soggetti deboli prima previsti come destinatari esclusivi’. Considerata una modalità adatta per un soggetto che deve scontare gli ultimi diciotto mesi in prigione, la detenzione domiciliare va intesa come la concessione dell’espiazione di una pena all’interno di una struttura abitativa o di cura e accoglienza la cui utilità viene chiamata in causa automaticamente per i delitti condannati per un periodo non superiore ai tre mesi.57 Il successo della finalità rieducativa non include però ‘una brusca ed automatica sospensione...[senza sufficiente ragione]...di un percorso risocializzativo e riabilitativo’.58 In scenari già verificati, l’idea di far evitare al condannato un’esperienza prettamente criminogena nel carcere fu motivata dal presagio 51 52 53 54 55 56 57 58

Oss (n 21) 44. Zanirato (n 12) 2. Corso (n 6) 24-25. Luciano Eusebi, La Pena in Crisi (Morcellania 1980). ibid 91. Magnanensi, Rispoli (n 30) 12. Nicotra (n 29) 15. Magnanensi, Rispoli (n 30) 12.

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di Franz Von Liszt, il quale bocciava l’inutilità delle pene detentive brevi in quanto provocano all’ordinamento giuridico ‘danni più gravi di quelli che potrebbero derivare dalla completa impunità del reo’.59 La concezione della pena detentiva come ricorso ultima ratio60, metteva al centro delle sanzioni alternative alla detenzione recidiva, il principio di sussidiarietà, il quale consentiva l’effettiva restrizione della libertà in carcere in casi dettati dalla proporzionalità di gravità penale.61 Il carattere pecuniario dell’alternativa alla detenzione, con applicazione sospensiva o sostitutiva62, mira alla piena risocializzazione del soggetto attraverso gli istituti come l’affidamento in prova a servizi sociali a quattro anni di reclusione dopo il periodo di detenzione con un programma di volontariato di rilievo sociale come previsto dall’articolo 47 ord. penitenziario63 e la semilibertà dall’art. 50 che prevede tale sottoposizione in pene di reclusione non superiori a sei mesi del soggetto non affidato in prova al servizio sociale64, trattamento di reinserimento svolto gradualmente65 come tracciato dalla sentenza n. 100 del 1997.66 Altre alternative al carcere che meritano considerazione sono la liberazione condizionale, che con i requisiti giusti consente l’espiazione di una pena al di fuori della prigione con libertà vigilata tendendo così al ‘recupero sociale del condannato’, e l’istituto di grazia, che secondo la sentenza n.200 59 Emilio Dolcini, Carlo E. Paliero, Il carcere ha alternative? Le sanzioni sostitutive della detenzione breve nell’esperienza europea (Giuffrè 1989). 60 Zanirato (n 12) 141. 61 Nicotra (n 29) 14. 62 Zanirato (n 12) 141. 63 Nicotra (n 29) 15: ‘Come autorevolmente auspicato dal Presidente della Repubblica, nel messaggio rivolto alle Camere lo scorso 8 ottobre, si tratta di attività socialmente utili allo scopo di agevolare da subito il percorso di reinserimento sociale del reo, evitando l’ingresso in carcere’. 64 Legge 1975 (n 16) art 50(1): 1. ‘Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell’arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale’. 65 ibid art 50(4): ‘L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società’. 66 Sentenza numero 100 della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, 7 aprile 1997: ‘La sottoposizione del beneficio della semilibertà alla condizione della previa espiazione in carcere di un periodo di pena, sia pure - in deroga alla regola generale dell’art.50, comma 2, primo periodo - non determinato nella sua durata, appare coerente con la scelta di base operata dal legislatore quando ha configurato tale misura alternativa di solo parziale decarcerazione, e non può dunque mettersi a raffronto, ai fini di un giudizio di ingiustificata disparità di disciplina, con i presupposti dell’affidamento in prova, che può essere disposto solo quando si ritenga che il regime extracarcerario ‘contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati’ (art.47, comma 2, ordinamento penitenziario)’.

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del 2006, ha come obiettivo l’attuazione di ‘valori costituzionali consacrati nel terzo comma dell’art. 27 Cost., garantendo soprattutto il senso di umanità, cui devono ispirarsi tutte le pene, non senza trascurare il profilo di rieducazione propria della pena...un atto che non sia di mera clemenza, ma che – in armonia col vigente ordinamento costituzionale favorisca l’emenda del reo ed il suo reinserimento nel tessuto sociale’.67

3. Il diritto di punire, e l’obbligo di rieducare Sin dal secolo scorso, rimane tuttora acceso il dibattito sulla cosiddetta giustificazione della pena e la sussittenza delle teorie delle pena; ossia l’idea retributiva e di prevenzione generale e speciale - prestando una funzione polifunzionale all’utilità della pena stessa. I due, seppur legati da un rapporto dialettico, riscontrano il tenore dell’articolo 27 comma 3 della Costituzione che si schiera inequivocabilmente a favore della prevenzione speciale della ‘tendenza alla rieducazione del condannato’ materializzabile in quanto lo detiene e lo risocializza nell’auspicata neutralizzazione della sua spinta delinquenziale.68 Come osserva Padre Agostino Gemelli nelle sue ricerche criminologiche, ‘la pena ha in se stessa una efficacia preventiva. E lo Stato ha il diritto di punire solo in quanto lo richiede tale scopo, né più, né meno’.69 La funzione della pena, di fronte al dibattito tra l’aspirazione retributiva e quella rieducativa, sembra per certi autori destinata a rimanere in perenne crisi.70 In alcuni casi, il carattere prettamente afflittivo della pena, avendo termine a prescindere dal pieno verificarsi del recupero sociale, indica il monito che la rieducazione, importante com’è, non può essere sempre vista come l’unico metro di giudizio.71 Al contempo, la polifunzionalità della pena non deve fare a meno del peso che assume la rieducazione nell’art. 27 Cost.72

67 Sentenza numero 200 della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, 3 maggio 2006. 68 Dolcini (n 3) 69-70. 69 Agostino Gemelli, ‘Il progetto preliminare di un nuovo codice penale dal punto di vista della psicologia e della antropologia criminale’ in M.W., Osservazioni intorno al Progetto preliminare di un nuovo Codice Penale (Milano 1927) 28. 70 Eusebi (n 54) 11. 71 Vassalli (n 49) 463-464. 72 ibid

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3.1 Carcere come extrema ratio La legge Gozzini del 10 ottobre 1986 (n.663) fu di vitale importanza in relazione all’impegno di riaccendere l’evoluzione della pena prendendo le distanze dalla pena detentiva come fine univoco e aderendo alle aperture della comunità esterna tramite un programma di progressivo reinserimento sociale73 rispetto ad una società pluralista.74 L’esperienza del carcere acquisice in tal modo una concezione di misura extrema ratio nella fase esecutiva penale diametralmente opposta al trattamento rieducativo di natura extra moenia75 svolto al di fuori della stessa struttura carceraria. Collegate con quest’ultimo principio sono le misure alternative alla detenzione come simbolo della rieducazione penale che illustra la personalità extrema ratio dell’afflittività della pena come giustificazione dell’ultimo rimedio per la tutela costituzionale76 della società. Il problema del sovraffollamento, ben rappresentato nella questione Torreggiani, induceva a concepire il carcere come extrema ratio, durante la fase cautelare-processuale e nell’ambito sanzionatorio in necessità di altre misure77; una privazione della libertà come ‘sanzione di ultima istanza [a prevedere] un insieme appropriato di sanzioni o misure applicate nella comunità, eventualmente graduate in termini di gravità’.78 Definito da tanti come discarica sociale in quanto desocializzante, il modo più efficace nel rispondere alla pericolosità sociale di un tossicodipendente o recidivo è la costruzione del rapporto tra il mondo interno ed esterno del carcere attraverso il volontariato come opera risocializzante della pena.79

3.2 Trattamento rieducativo come extra moenia Le misure alternative alla detenzione, una componente fondamentale emanata dalla legge di riforma penitenziaria del 1975, rendevano fattibile l’espiazione della pena extra moenia, ovvero, al di fuori dell’istituto 73 Corso (n 6) 21. 74 ibid 16. 75 ibid 21. 76 Nicotra (n 29) 14. 77 78 79

Palismano (n 46) 95. Torreggiani (n 10), Flick (n 17) 355-356.

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penitenziario, l’affidamento in prova al servizio sociale e la semilibertà.80 Il Tribunale di Sorveglianza, in cui viene riposta la competenza esecutiva, provvede alla verificazione di tali misure alla fine della loro espiazione afflittiva in regime ordinario. Nel compito di contenimento della pericolosità sociale e della risocializzazione del soggetto, questi gode dei benefici garantiti dal regime extra moenia quale limitazione della propria libertà in un modo decisamente meno retributivo di quello carcerario e più contributivo in chiave riformatrice.81 L’affidamento in prova al servizio sociale stabilito dall’art. 47 dell’ordinamento penitenziario, raffigura lo spirito della misura extra moena nel garantire – in pene detentive con espiazione non più di tre anni – una possibilità di scontare la sentenza fuori dal carcere favorendo il contatto con la società in cui deve reinserirsi attraverso il servizio sociale. La semilibertà, invece, è una extra moenia sui generis considerato che il soggetto viene rilasciato alcune ore fuori dal carcere ‘per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale’.82 Da segnalare l’imposizione da parte del Tribunale di Sorveglianza di un certo numero di ore prescritte al di fuori del carcere al soggetto83 col preciso scopo di responsabilizzarlo positivamente, incoraggiandolo all’autoaffermazione in relazione al concetto di empowerment, come valore aggiunto del finalismo risocializzante della pena. Infine, un altro istituto da menzionare è la detenzione domiciliare (art. 47-ter) svolta nella residenza del condannato o luogo di privata dimora oppure in un ‘altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza’ per soggetti come donna incinta e persona in condizioni di grave salute senza l’allontanamento da tale luogo, eccetto quando giustificato.

3.3 Retribuzione e rieducazione in ottica comparatistica Per poter capire meglio l’impostazione penale della funzione della pena e su quale teoria si basa - quella di retribuzione e di reinserimento sociale 80 Zanirato (n 12) p.70. 81 Franco Della Casa, Ordinamento Penitenziario Commentato Secondo Volume (CEDAM, 4ª edizione, Padova 2011) 677 82 Legge 1975 (n 16) articolo 48. 83 Zanirato (n 12) 71.

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vale studiare da vicino alcuni sistemi legali europei, i quali verranno analizzati in maniera comparatistica. Il Criminal Justice Act inglese del 2003 prevede un equilibrio tra l’approccio afflittivo nei confronti del condannato attraverso la forza deterrente della pena, ma al contempo offre un’adeguata rieducazione e risocializzazione del condannato con meccanismi di emenda sociale dando rilievo alla difesa della società collettiva. Il giudice, che gode di un’ampia discrezionalità nelle misure sanzionatorie, si occupa della prevalenza finalistica sulla base di un esame caso per caso.84 Simile al sistema penitenziario italiano, la prevenzione speciale mira alla rieducazione del condannato grazie all’intervento sociale e psicologico, distinguendo in maniera positiva colui che non ha commesso altre infrazioni in precedenza, da un recidivo.85 Abbracciando lo scopo triangolare della pena con le funzioni retributive, generalpreventive e specialpreventive, il sistema inglese invoca la giusta proporzione tra il reato e la pena come aspetto fondante del richiamo retributivo, il cosiddetto just desert86 – nasce così in un certo senso un parallelismo con il principio beccariano della proporzionalità della pena. L’art. 25, 2°c della Costituzione spagnola decreta che ‘l’educazione avrà per oggetto il pieno sviluppo della personalità umana nel rispetto dei principi democratici di convivenza e delle libertà fondamentali’.87 Ciò rappresenta un punto di avvicinamento tra i due ordinamenti dato che tale tenore rispecchia considerevolmente l’art. 27 comma 3 della Costituzione italiana. Di stampo progressivo, il sistema penitenziario spagnolo, contenente l’art 1 della legge penitenziaria iberica, sancisce l’obiettivo rieducativo come fine principale del trattamento penitenziario – un dato conciliabile con il primo articolo della 1.354/1975 italiana.88 Un aspetto particolare è l’istituto del cosiddetto periodo di sicurezza in quanto attua la preclusione al terzo grado del condannato alla reclusione superiore ai cinque anni fino al 50% dell’espiazione della pena in carcere, sottolineando così la certezza dell’esecuzione della pena detentiva.89 84 Giulia Calafiore, ‘L’ergastolo: profili, disciplina, alla luce di un’analisi interna e comparata’ (Tesi Laurea, Università’ degli Studi di Trento 2010) 85 ibid 145. 86 H. L. A Hart and John E Gardner, Punishment and Responsibility: Essays In The Philosophy Of Law (Oxford 2008) 163 e ss 87 Constitución española (1978) Articolo 23 (2°). 88 Calafiore (n 84) 169. 89 ibid 171.

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Malta, come crocevia tra principi di common e civil law, ebbe una storia, in ambito penitenziario, segnata dall’ascesa dei principi di ‘pena dell’animo’ e di ‘riabilitazione del soggetto’ sopra la mera funzione deterrente e retributiva della pena, ed una metamorfosi afflittiva della punizione psicologica più che fisica, un cambiamento ideologico verificatosi solo dopo la conclusione della seconda guerra mondiale. Storicamente infatti, lo scopo del carcere si accentrava molto su una funzionalità univalente quale retributiva ed afflittiva, tenendo il modello inglese come il punto di riferimento principale.90 I Regolamenti della Prigione91 parlano chiaro nella considerazione dei principi basilari e in relazione all’obiettivo del trattamento penitenziario: ‘Lo scopo è quello di instillare nel condannato un senso di disciplina e responsabilità e, fin quando sia possibile, permettergli di riformarsi durante la stessa espiazione della pena, secondo la legge, con la dignità e il rispetto dovuto alla persona, educandolo sull’impatto della spinta criminogena nei confronti di vittime, famiglie e altre comunità, e, una volta scontata la pena, di facilitarne il reinserimento nella società’. ‘La restrizione della libertà personale, nel tenere un soggetto in prigione, è una forma di punizione e le condizioni di tale restrizione insieme al regime carcerario non dovranno essere aggravate eccetto in situazioni di isolamento giustificato e di mantenimento della sicurezza, del buon ordine e della disciplina’.92 Infine, da non trascurare è il modello finlandese come un ordinamento penitenziario particolarmente rieducativo. In primis, la costituzionalizzazione della libertà personale ristretta deve essere emanata da un atto del Parlamento che mira a tutelare il soggetto da trattamenti contrari alla dignità umana. L’anno 2000 regalava alla Finlandia una costituzione importante relativa ai diritti fondamentali del condannato, la cui restrizione avveniva soltanto mediante il Parlamento osservando i principi della Convenzione internazionale dei Diritti Umani.93 Di fondamentale rilevanza è l’impegno di ‘avviare il condannato verso una nuova vita senza deliquenza sviluppando le varie competenze di vita e l’inserimento nella società col preciso scopo di prevenire l’ulteriore commissione di reati’. Lo Stato deve provvedere opportunità e attività rieducative adeguate, 90 Sandra Scicluna, ‘The Prison in Malta: 1850-1870 and 1931-1951’ (Tesi Laurea, Università di Leicester, Dipartimento di Criminologia 2004) 91 Prisons Regulations (1995) Legge S.L.260.03 della Repubblica Maltese 92 ibid articolo 3(1)(a)(b). 93 Tapio Lappi-Seppälä, ‘Imprisonment and Penal Policy in Finland’ (2009) Scandinavian Studies in Law 1999-2012, 342. < http://www.scandinavianlaw.se/pdf/54-17.pdf > accessed January 2017.

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come pure la riorganizzazione del carcere, effettuare investimenti mirati nel programma di riabilitazione e incoraggiare iniziative di volontariato nel tentativo di contenere il problema della recidiva e del sovraffollamento. Quest’ultimo aspetto si inquadra nella nuova forma di libertà anticipata mediante la libertà vigilata (probationary liberty) per cercare di ridurre il numero dei carcerati.94 Nonostante le difficoltà riscontrate dal sovraffollamento in Finlandia, la rivista statunitense The Atlantic, in un articolo del 2013, lodava il sistema penitenziario scandinavo all’avanguardia rispetto alla popolazione carceraria che rappresenta la percentuale mondiale più bassa. Inoltre si segnala la ‘progressione della sentenza mirata a far ritornare il soggetto in comunità’: ‘Non esiste punizione più efficace di quella che in nessun momento annuncia l’intenzione di punire’.95

4. L’evoluzione storica del principio rieducativo 4.1 Sfondo della giurisprudenza costituzionale Nella sentenza costituzionale n.12 del 4 febbraio 1966, la questione della legittimità delle pene pecuniarie fu giudicata non idonea al perseguimento di un fine rieducativo. Nel concepire lo scopo rieducativo, uno deve rifiutare di fare ragionamenti in ‘senso esclusivo ed assoluto dovendo [il principio] agire in concorso di altre funzioni della pena’.96 Oltre che ‘disporre tutti i mezzi idonei per realizzarla’, il legislatore è chiamato a considerare altre ratio della pena che ‘al di là della prospettiva del miglioramento del reo, sono essenziali alla tutela dei cittadini e dell’ordine giuridico contro la delinquenza, e da cui dipende l’esistenza stessa della vita sociale’. Il buon esito della funzionalità del fine rieducativo è anche legato dall’applicazione corretta del ‘suo regime di esecuzione’.97 Nella sentenza n.264 del 7 novembre 1974, la Corte tiene a precisare che ‘la funzione (e fine) della pena non è soltanto il riadattamento dei delinquenti, purtroppo non sempre conseguibile. A prescindere sia dalle teorie 94 ibid 345. 95 Doran Larson, ‘Why Scandinavian Prisons Are Superior’ The Atlantic (24 September 2013) <http://www.theatlantic.com/international/archive/2013/09/why-scandinavianprisons-are-superior/279949/> accessed January 2017. 96 Sentenza (n 14). 97 Sentenza numero 22 della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, 11 febbraio 1971.

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retributive secondo cui la pena è dovuta per il male commesso, sia dalle dottrine positiviste secondo cui esisterebbero criminali sempre pericolosi e assolutamente incorreggibili, non vi è dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, alla radice della pena’.98 L’ergastolo, seppur in contrasto prima facie con il fine rieducativo99, fu ribadito con la modifica della legge n.1634 del 25 novembre 1962 in quanto la liberazione condizionale poteva essere concessa ai condannati all’ergastolo per faciltarne il reinserimento nel ‘consorzio civile’. L’istituto della liberazione condizionale, come segnalato dalla sentenza n.264 del 1974 ebbe ‘un peso e un valore più incisivo di quello che non avesse in origine; rappresenta, in sostanza, un peculiare aspetto del trattamento penale e il suo ambito di applicazione presuppone un obbligo tassativo per il legislatore di tenere non solo presenti le finalità rieducative della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei a realizzarle e le forme atte a garantirle’. Il principio della colpevolezza del fatto fu enunciato come parte integrale di colui che è partecipe nel percorso rieducativo in quanto ‘non avrebbe senso la rieducazione’ di chi, non essendo almeno ‘in colpa’ (rispetto al fatto), non ha certo ‘bisogno’ di essere ‘rieducato’.100 L’individualizzazione del trattamento penitenziario non può essere separato dalla finalità rieducativa101 come dichiarato nella sentenza n.50 del 1980. Infine, la sentenza n.138 del 2001 dichiarava che il soggetto deve disporre dei mezzi adeguati per adempiere alle obbligazioni civili dando un senso concreto ad una rieducazione attiva, ‘dimostrando solidarietà nei confronti della vittima, interessandosi delle sue condizioni e facendo quanto è possibile per lenire il danno provocatole, anziché assumere un atteggiamento di totale indifferenza, non può non avere un particolare peso nella verifica dei risultati del percorso rieducativo’.102

98 Sentenza numero 264 della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, 7 novembre 1974. 99 Giuseppe Frigo, ‘La funzione rieducativa della pena nella giurisprudenza costituzionale’ (Seminario Madrid,2011) <http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/ RI_Frigo_Madrid2011.doc> 100 Sentenza numero 364 della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, 23-24 marzo 1988. 101 Magnanensi (n 30) 9. 102 Sentenza numero 138 della Corte costituzionale della Repubblica Italiana, 9 maggio 2001.

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4.2 Riforme dell’ordinamento penitenziario Dall’impostazione mens legis dell’articolo 27 comma 3 della Costituzione, si capisce, prima della riforma penitenziaria, che l’espiazione extracarceraria auspicava l’applicazione completa della liberazione condizionale e l’ammodernamento dello stesso regolamento, e poi – a seguito della riforma dell’ordinamento penitenziario, la Corte costituzionale n.8/1979 dell’l.n.354/1975 con gli istituti dell’affidamento in prova al servizio sociale, semilibertà e la stessa liberazione anticipata, favorisce la rieducazione del soggetto.103 Con il verificarsi delle riforme del 1975, la fine rieducativa della pena, il carattere della pena divenne di ‘ultima e risolutiva’ ‘prevalenza’ sull’esigenza retributiva’.104 La riforma, rispettando i principi inderogabili del trattamento rieducativo, contatto con l’ambiente esterno e reinserimento sociale nell’art.1 comma 5° l.26 luglio 1975 n.354 e l’inizio della modificazione atteggiamentale che in sé ostacola una costruttiva partecipazione sociale105, ribadì tali principi nell’insieme dell’ordinamento penitenziario. Dalle norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà (l.26 luglio 1975 n.354) e dall’approvazione del regolamento di esecuzione scaturì una serie di modifiche nell’ambito penale e processuale penale, oltre a responsabilizzare lo Stato nella continua lotta contro l’eversione dell’ordine sociale, e la delega per il nuovo codice di procedura penale della l.3 aprile 1974 n.108. Corso osserva che l’allineamento della riforma penitenziaria attraverso regole avanzate nel trattamento del soggetto, suggerendo una promozione dell’evoluzione giuridica, era, in un certo senso, caratterizzato dalle esigenze dovute all’emergenza terrorismo e dalla valenza di difesa anticipata assunta dal carcere, togliendo tra l’altro spazi di discrezionalità al giudice a discapito dell’inquirente.106 Il periodo di emergenza come offuscamento della prevalenza del fine rieducativo nell’eseguimento delle indagini processuali, ebbe una via d’uscita con la legge del 29 maggio 1982 n.304 delle misure per la difesa dell’ordine costituzionale con accento sulle condizioni del soggetto all’interno delle misure alternative alla carcerazione preventiva. La legge Gozzini107 103 Corso (n 6) 11. 104 ibid 12. 105 ibid 17. 106 ibid 20. 107 Legge 10 ottobre 1986, numero 663. Modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

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segnalò un passaggio nel sistema penitenziario dalla funzione ordinaria ratio all’extrema ratio del carcere, ovvero passando dalla fase esecutiva solo con il mancato obiettivo riposto nel trattamento extra moenia, al di fuori dal carcere onde la pena espiata si svolge attraverso meccanismi di progressivo reinserimento sociale.108 Last but not least, la Carta approvata il 5 dicembre 2012 parlava in primis della collocazione del ‘garante’ tra quei ‘soggetti che operano all’esterno dell’istituto ai quali il detenuto può rivolgersi’, ma più significativamente poneva l’accento sopra la ‘sensibilizzazione pubblica del tema dei diritti umani e la finalità rieducativa della pena’.109 Essa può essere raggiunta efficacemente con una riduzione controllata della popolazione carceraria. La legge del 23 dicembre 2013 n.146 riguarda ‘misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria’. La sentenza mirava soprattutto ad affrontare la drammatica situazione del sovraffollamento carcerario, motivo per cui l’Italia era stata condannata con la sentenza pilota dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.110

5. Considerazioni Finali 5.1 Il problema della risocializzazione del reo oggi Il punto nodale riguarda il problema, da sempre vigente, della collocazione soggetto-società, ossia quello relativo alla rieducazione efficace e a lungo termine del condannato rispetto alla nozione stessa della pena e alle modalità di esecuzione. Gli effetti di prisonizzazione e l’impoverimento sociale come antitesi del decantato obiettivo della rieducazione e soprattutto del reinserimento nel tessuto sociale, come spesso previsto da Foucalt e da altri studiosi, potrebbe essere alimentato dallo stesso ambiente e meccanismo in cui il soggetto deve, per fini retributivi e partecipativi, scontare la sua pena. Come si fa, allora, a tradurre la certezza del legislatore mediante la legge e l’inderogabilità dell’art.27 comma 3 della Costituzione, in un contesto sociale pragmatico composto da soggetti in grado di rivalutare alcuni concetti imprescindibili? Ed è proprio in tale contesto che con gli ostacoli che si presentano davanti alla possibilità di assicurare l’idoneità del trattamento, si 108 109 110

Corso (n 6) 17. ibid 28. Torreggiani (n 10).

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rivela necessaria una politica penitenziaria più attenta.111 Un dato di fatto risaputo è la difficoltà che riscontra il programma rieducativo nel momento in cui il sovraffollamento carcerario permane al punto di sacrificare il principio rieducativo per motivi di necessità dettati dal senso di sicurezza. La potenziale soluzione è l’opportunità concessa ai detenuti di svolgere, per la maggior parte della giornata, attività extra moenia all’interno della propria cella. Le condanne rispettive del 2009112 e 2013113 evidenziano l’impossibilità di un carcere realmente rieducativo con condizioni di vita inumane e indignitose relegando il trattamento ad uno tutt’altro che individualizzato, serio e mirato.114 Un altro ostacolo di stampo qualitativo è rappresentato dalla presenza straniera nella popolazione detenuta in quanto pone determinate difficoltà nel superare barriere linguistiche e culturali. Pertanto, di notevole importanza si rivela la figura del mediatore culturale all’interno della struttura carceraria. L’accesso alle misure alternative da parte di un soggetto extracomunitario è contestato in primis dai mancati requisiti come la disponibilità di un domicilio.115 Mentre il principio della finalità rieducativa deve essere applicato indistintamente, al di là di ogni barriera etnica e nazionale, come ribadito dalla Corte EDU e dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Uomo, l’ostacolo maggiore si presenta nel momento in cui il soggetto straniero verosimilmente116, superata la fase carceraria, non potrà risiedere in modo stabile nello Stato italiano per deficit legali.117 Nonostante lo scopo della pena continui a rimanere una tematica di ‘pressante attualità pratica’,118 la parabola discendentale dell’ideale rieducativo ha fatto sì che emergesse una nozione ‘neoretribuzionistica’119, ovvero la prevenzione speciale con il retribuzionismo funzionale portato a centrare la risocializzazione del soggetto. 111 Zanirato (n 12) 77. 112 Sulejmanovic (n 38). 113 Torreggiani (n 10). 114 Zanirato (n 12) 80. 115 ibid 81. 116 Il soggetto extracomunitario, non essendo domiciliato o non avendo un permesso di soggiorno nel paese in cui sconta la pena, è impossibilitato a continuare a vivere in Italia nella fase post-penitenziaria. 117 Zanirato (n 12) 81. 118 Vincenzo Mongillo, ‘La finalità rieducativa della pena nel tempo presente e nelle prospettive future’, in Critica del Diritto: Rassegna di dottrina giurisprudenza legislazione e vita giudiziaria, (2009) 1(1)(2)(3)(4), 175 http://www.antoniocasella.eu/archica/Mongillo_2009.pdf 119 ibid 184.

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Se la ‘paura della criminalità’ provata dalla società esterna condiziona l’imprescindibilità dell’obiettivo rieducativo120 già ribadito numerose volte mediante l’applicazione costituzionale, allora c’è da chiedersi veramente se tale principio sia destinato a rimanere una mera utopia. L’attuale difficoltà è legata all’inadeguatezza strutturale, che poi va ad incidere sull’eventuale reinserimento alquanto ‘inadatto’ in quanto non sufficientemente valorizzato in termini di autoresponsabilità all’interno dell’istituto penitenziario. Il carcere, piuttosto che munire il soggetto della necessaria sicurezza per affrontare situazioni pericolosamente sociali, assume un ruolo controproducente con la ricaduta criminogena evidenziata dal 70% dei detenuti aventi già precedenti detentivi.121 L’indebolimento della funzione special-generale, seppur ostacolata dall’introduzione di misure alternative (l.354/1975), dimostra quanto le condizioni detentive possano determinare122 l’aumento o la totale neutralizzazione dell’aggressività sociale del soggetto che lo potrebbe ricondurre, come un circolo vizioso, alla capacità di delinquere ponendo delle serie domande sull’efficacia e sulla vera funzione del carcere.

5.2 Il futuro della prevenzione speciale Il problema del sovraffollamento carcerario è un dato di fatto, segnalato dallo stato di emergenza nel 2010, ‘cronicamente emergenziale ormai da decenni’123; il nocciolo del problema, ossia i deficit strutturali, non possono essere risolti con misure ad hoc emergenziali. La funzione preventiva speciale della pena, garantita dal principio rieducativo, deve guardare al futuro rendendosi conto del fatto che i risultati stentano a dare i risultati sperati. Un’autentica ‘riorganizzazione interna e ponderata del sistema sanzionatorio’124 urge come una risposta convincente d’innanzi alla condanna della Corte EDU del 2013. Una rivalutazione mass mediatica dell’afflittività della pena potrebbe, in un certo senso, influire sul futuro della funzione di prevenzione speciale e della rieducazione del soggetto. Attraverso una reimpostazione pragmatica del valore rieducativo che intende intervenire 120 ibid 176. 121 Francesco Cascini, ‘Il carcere – I numeri, i dati, le prospettive’ (2010), 50-59 Questione Giustizia, < https://www.francoangeli.it/riviste/Scheda_rivista.aspx?IDArticolo=38552> . 122 Zanirato (n 12) 87-89. 123 ibid 89. 124 Teresa Travaglia Cicirello, ‘Carcere e misure alternative tra manovre legislative ed interventi ‘riparatori’ della Corte Costituzionale’ (2011) Rassegna penitenziaria e criminologica 1648

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rispetto alle lacune rieducative, si potrebbe minimizzare l’involontario impatto nocivo e al tempo stesso diversificare, nel segno delle misure alternative (compreso il contatto con il mondo esterno), il trattamento penitenziario. Dall’altro canto, la società deve essere partecipe, in modo positivo, nel riscatto sociale del condannato; vale quindi di concepire un carcere con una fisionomia trattamentale e non meramente custodiale125 e soprattutto di cercare protezione nella piena efficacia rieducativa e special-preventiva piuttosto che nella effettiva afflittività della pena.126

125 Maria Grazia Galletta, ‘La rieducazione in carcere: un sogno possibile?’ (Psicoterapia. it) < http://psicoterapia.it/rubriche/print.asp?cod=10727> 126 Zanirato (n 12) 89-91.

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