Il ruolo dell'informatica e della telematica nell'istruzione gianluca lovreglio

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Il ruolo dell’informatica e della telematica nell’istruzione di Gianluca Lovreglio Estratto da:

Galaesus. Studi e ricerche del liceo “Archita” di Taranto, n. XXVIII (2003/04), pp. 203-222.

© Gianluca Lovreglio 2003. Tutti i diritti riservati. E’ vietata la riproduzione totale o parziale senza autorizzazione dell’autore


Didattica e informatica: fondamenti epistemologici 1. L’esperienza personale L’essere entrato nel mondo del lavoro, nel campo dell’istruzione tecnica superiore, ha posto in me una serie di interrogativi riguardanti il ruolo del docente e dell’insegnamento in una realtà, come quella meridionale, purtroppo priva o scarsamente fornita di elementi e strumenti didattici adeguati all’ambito sempre più dominato dall’informatica e dalla telematica, all’interno del quale si troveranno ad agire i discenti che oggi pretendono dagli insegnanti una solida preparazione di base anche e soprattutto sulle nuove tecnologie. La trasmissione del sapere alle nuove generazioni rappresenta, infatti, uno dei problemi fondamentali per la società. In un certo senso, la formazione costituisce il processo di riproduzione della società. Nel corso dei secoli le varie civiltà e culture hanno sviluppato una serie di istituzioni di figure sociali e di tecniche per rendere efficiente il processo della formazione: la scuola, l’università, l’insegnante, il libro, gli esami. L’ingresso del computer nella scuola risale ormai a più di un decennio, un periodo nel quale diversi problemi sono sorti proprio nel modo di produzione/riproduzione del sapere, sia quello “accademico”, riservato al mondo dell’università e della ricerca scientifica, che quello “mediato”, in un certo senso semplificato, definito “propositivo”, che si fornisce in ultima analisi al discente1. Un ottimo esempio può essere il campo della storia. L’avvento delle nuove tecnologie e di nuovi metodi d’indagine (alla globalizzazione si aggiungono la “serialità” delle fonti, la statistica, la ricerca su archivi elettronici e su Internet) sta cambiando, è inutile dirlo, il “mestiere” dello storico. Un “mestiere” che deve tenere conto anche della crescente domanda di specializzazione da una parte e di divulgazione dall’altra. Le riflessioni filosofiche ed epistemologiche cercano di attrezzarsi ad una domanda che cambia nel momento stesso in cui ne stiamo scrivendo. Un esempio classico, nello studio della storia, è la cosiddetta “storia seriale”, ovvero lo studio scientifico di enormi quantità di dati attraverso l’analisi e l’incrocio di data base 2. Capita spesso, però, che ci siano scuole dotate di laboratori informatici che restano inutilizzati o sottoutilizzati, perché mancano insegnanti che sappiano gestirli. Tale mancanza non è dovuta a carenze di organico, quanto piuttosto a ragioni culturali. L’approccio alle nuove tecnologie informatiche, infatti, per i docenti, non è sempre così naturale come può esserlo invece per i ragazzi. 1

Cfr., per questa definizione, il testo di V. A. Baldassarre, Saperi, ipertesti e processi formativi, in O. Arpino - V. A. Baldassarre, Saperi, ipertesti e processi formativi, Bari 1998, pp. 7-21. 2 Cfr. F. Furet, Il quantitativo in storia, in AA. VV., Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, a cura di Jacques Le Goff e Pierre Nora, Torino 1981 e il buono ma ormai datato contributo di A. Desideri, Scrivere storia. Problemi di metodo, Messina - Firenze 1980. 2


Alcuni insegnanti individuano nel computer, come macchina multimediale, lo strumento per conciliare più mezzi di comunicazione e rendere più efficace e più interessante l’insegnamento, oltre che aiutare a velocizzare, controllare, programmare. Il computer in quanto macchina multimediale che riunisce vari linguaggi (il linguaggio dell’immagine, del suono, del movimento), aiuta, migliora la comunicazione e soprattutto stimola la creatività. La scuola dovrà necessariamente interrogarsi su come adeguare la propria comunicazione alla realtà circostante perché altrimenti rischia di essere tagliata fuori dal processo formativo. Oggi però accade spesso che i professori che credono nelle nuove tecnologie siano costretti ad iscriversi per proprio conto ai corsi di aggiornamento, lavorando gratuitamente ai progetti nel tempo libero. In pratica, laddove non arriva il Ministero, gli insegnanti si organizzano in maniera autonoma, quasi artigianale, trasferendo amichevolmente dagli uni agli altri conoscenze e competenze un po’ come un passaparola. Anche il docente di materie letterarie, non può astenersi dal compito di informarsi e adeguarsi alla nuova struttura dell’insegnamento, al nuovo paradigma che l’introduzione della macchina multimediale comporta 3. Pur senza arrivare ad affermare che l’insegnante sarà sostituito da un computer multimediale, i libri di testo dai CD ROM e la classe da un collegamento via rete o dalla televisione, quello che è certo è che il modo di insegnare/imparare che oggi conosciamo, con tutto quel che ne deriva (valutazione, mezzi di studio, tempi dello studio), subirà un grande cambiamento. 2. Cambiano i supporti del sapere Uno degli aspetti del mondo della formazione che subirà per primo, (anzi lo sta già subendo) un notevole mutamento grazie alle tecnologie informatiche è naturalmente quello dei supporti del sapere, dai libri di testo alle cartine geografiche, agli stessi quaderni di appunti e di esercizi. Il supporto del CD ROM potrà avere realmente una funzione positiva, nel settore didattico - educativo. I supporti digitali, la multimedialità, la realtà virtuale, si stanno dimostrando dei formidabili mezzi per la trasmissione di conoscenza. Infatti, la presenza contemporanea di molteplici media e diversi linguaggi aumenta notevolmente la capacità di comunicare dei contenuti complessi. In molti casi una singola immagine o un’animazione riescono a comunicare dei concetti più e meglio che intere pagine di spiegazioni verbali. Tutto questo a patto che la multimedialità non sia considerata semplicemente un nuovo supporto entro il quale veicolare i vecchi contenuti di conoscenza.

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Cfr. V. A. Baldassarre, Saperi, ipertesti, cit. 3


Le nuove tecnologie, e il sapere derivante dall’ipertesto e dall’ipermedia offrono, infatti, qualcosa di più, e di radicalmente diverso: la revisione di questi contenuti, la revisione degli impianti tradizionali, la mobilitazione di energie e di creatività in direzioni assolutamente nuove per la scuola. Ecco quindi l’esigenza, per una scuola che effettivamente voglia prendere sul serio la multimedialità, di ripensare la propria identità, ridefinendo i propri ambiti di sapere e il proprio rapporto con i giovani: «La scuola avverte i propri limiti ma non riesce a scrollarsi di dosso il vecchio apparato informativo, il vecchio vestito per tutte le occasioni, allarmata anche da un’errata previsione: la perdita della mitica figura della maestrina, con la penna e il calamaio, grande divulgatrice di saperi, grande ordinatrice di conoscenze» 4. Interagire con gli ipertesti

1. Il concetto di ipertesto Gli strumenti e le tecnologie che l’uomo usa per comunicare e per registrare su un supporto materiale i prodotti del pensiero hanno un grande influsso sulla forma e sui contenuti della comunicazione. L’idea che un testo sia costituito da una sequenza lineare di argomenti, di concetti o di eventi, per esempio, deriva direttamente dalle caratteristiche tecniche del libro a stampa, vale a dire una successione ordinata di concetti scritti in maniera sequenziale su un insieme finito di fogli. Oggi le tecnologie digitali offrono un nuovo supporto per la creazione e per la fruizione dei testi. Il termine che viene usato per indicare questa nuova forma della testualità è ipertesto. Il libro, così come il racconto, che è poi il metodo principale dell’insegnamento, procede attraverso un’organizzazione di concetti ognuno derivante dal precedente, in maniera lineare, una argomentazione è infatti una serie di espressioni con un significato logico e non contraddittorio. Ma se esaminiamo il concetto di produzione del pensiero che ha portato ad una argomentazione, ci accorgiamo che il percorso seguito non è affatto lineare. L’individuo che produce il concetto prosegue attraverso una serie di scarti, di alternative possibili, di ripensamenti. Ci accorgiamo allora che la riproduzione della formazione del concetto in maniera lineare è il risultato di un lavoro preparatorio molto complesso. La differenza sta proprio in quel lavoro, che è la conoscenza, e senza il quale non riusciremmo a concepire i concetti che poi, in forma narrativa, esponiamo agli alunni. La rappresentazione in forma lineare di questo lavoro preparatorio non può assolutamente rendere l’idea, e di per sé non produce conoscenza diretta, ma mediata. 4

O. Arpino, L’ipertesto nella didattica, in O. Arpino - V. A. Baldassarre, Saperi, ipertesti, cit., p. 26. 4


L’ipertesto, invece, rappresentando in forma reticolare il flusso di pensiero (e quindi il lavoro di produzione di conoscenza), rende più vicino il mondo di colui che produce da quello di colui che fruisce la conoscenza: «il software ipertesto è quindi un programma concepito per risolvere il problema della contrapposizione produzione - comunicazione e per consentire a un autore di ottimizzare la comunicazione di strutture complesse, per mezzo di una scrittura che cuce le componenti di un’opera in una rete di informazioni» 5. Tornando all’esempio del libro, appare naturale pensare che l’informazione contenuta in un testo debba avere una organizzazione sequenziale. Conseguentemente, il lettore di un libro, se desidera ricostruire il suo contenuto, è in un certo senso obbligato a seguire un percorso prefissato, linea dopo linea, pagina dopo pagina. Un ipertesto invece è un testo non sequenziale. O, come ci suggerisce il prefisso “iper”, un testo a più dimensioni. 2. Il funzionamento dell’ipertesto Un ipertesto è costituito da un insieme di frammenti di testo interconnessi tra loro. L’organizzazione dell’informazione contenuta in un ipertesto, a differenza della sequenza lineare del testo tradizionale, è dunque simile ad una rete. Per sfruttare questa nuova struttura dell’informazione gli ipertesti digitali sono dotati di un sistema di interfaccia specifico. Per informare il lettore della presenza di un collegamento, o più comunemente di un link, alcune parole frasi o simboli del brano visualizzato sono evidenziate per mezzo di segnali come il colore o la sottolineatura. Questo significa che siamo in presenza di una “zona attiva”. Agendo su di essa, ad esempio tramite il clic del mouse, è possibile saltare verso un altro frammento di testo. Normalmente i sistemi ipertestuali sono dotati di altri strumenti di navigazione che aiutano il lettore ad esplorare l’ipertesto senza correre il rischio di perdersi: pulsanti di ritorno indietro; elenco delle pagine o dei frammenti di testo visitati; indici o mappe dei contenuti.

3. Ipertesto e ipermedia Non dobbiamo dimenticare che il supporto digitale (il CD ROM, per esempio), è in grado di veicolare molti diversi linguaggi e codici. Dunque in un ipertesto digitale possiamo facilmente inserire immagini o suoni o filmati. In questo caso, riunendo insieme i termini ipertesto e multimedia, si usa la parola ipermedia per indicare questo complesso ed articolato oggetto informativo. Naturalmente il fatto che un ipertesto dispone di una organizzazione aperta e reticolare non significa che non ha nessuna organizzazione. Insomma quando si realizza un ipertesto è molto importate che la scelta di inserire collegamento sia fatto con attenzione e secondo una valutazione attenta. Ad esempio si

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O. Arpino, L’ipertesto nella didattica, cit., p. 31. 5


potrebbe collegare un termine complesso con la sua definizione, o un concetto astratto con un esempio concreto. Inoltre l’idea di un testo reticolare non è così nuova come potrebbe sembrare. Infatti, se è vero che le tecnologie digitali permettono oggi di costruire reti ipertestuali molto complesse ed articolate, è altrettanto vero che anche i tradizionali libri a stampa avevano messo a punto dei sistemi di collegamento e di riferimento incrociato. Basti pensare ad esempio alle note a piè di pagina di un libro o ai rimandi in una normale enciclopedia, oppure, con un tuffo nella mia infanzia, alle “storie” di “Topolino” in cui il lettore poteva scegliere diversi finali della stessa avventura, trovandosi ad affrontare situazioni assolutamente diverse a seconda del personale percorso che aveva scelto. Si tratta di forme di ipertestualità ante litteram che solo l’attuale sviluppo delle tecnologie ci permette di riconoscere come tali.

Dall’ipertesto nell’insegnamento

all’ipermedia:

il

ruolo

della

multimedialità

1. La multimedialità È importante pensare a tutti gli approcci alla multimedialità, perché bisogna rendersi conto che lì dentro l’utente non ha dei percorsi definiti d’uso dei vari mezzi. Non è come avviene dentro un ambiente monomediale, come il libro, dove c’è un’indicazione di percorso, c’è una struttura di tipo lineare. Nel mondo multimediale non esiste, abbiamo visto, una struttura di tipo lineare. L’utente può iniziare da un mezzo, proseguire con un altro, incrociare elementi dell’uno con elementi dell’altro. Praticamente l’utente sta al centro delle operazioni di uso, è il regista dell’uso, e questo valuta enormemente il ruolo dell’utente. Solo se si parte da questa idea più ampia di multimedialità, entro la quale confluiscono gli incroci tra i diversi linguaggi, tra i diversi temi, tra i diversi media, allora si può capire cosa potrà essere e che cosa in parte è la multimedialità di tipo elettronico, quella veicolata dai computer, quella che troviamo nei CD ROM. La multimedialità è un incrocio tra diversi linguaggi, tra diversi media in senso culturale. La natura di questo incrocio è ancora tutta da valutare. Noi abbiamo una deformazione di tipo gutemberghiano, basata appunto sulla nostra formazione libresca, che ci porta a proiettare quel tipo di struttura, quel tipo di conoscenza, nell’ambiente multimediale. E proprio a questo punto commettiamo un errore. L’ambiente multimediale, infatti, per sua natura, va pensato con categorie diverse da quelle tradizionali. Quale deve essere allora il tipo di multimedialità che serve nella scuola? Basta davvero introdurre l’uso del computer perché la didattica diventi automaticamente multimediale? L’uso di strumenti multimediali può avvenire in molti modi diversi, attraverso molte strade, senza che debba esserci necessariamente un unico percorso giusto. 6


Gli “strumenti” multimediali che possono essere utilizzati nell’insegnamento sono moltissimi. In primo luogo, naturalmente, c’è il computer: proprio per la sua funzione di strumento dedicato alla gestione di ogni tipo di informazione in formato digitale, il computer è un po’ al centro del futuro dell’insegnamento. Ma accanto al computer troviamo anche strumenti più tradizionali. Innanzitutto i libri, che fanno parte a pieno titolo di questa vera e propria “mediateca” multimediale. Sarebbe del tutto sbagliato, a mio parere, considerare i libri come strumenti sorpassati e ormai inutili: al contrario, l’interazione con media diversi può accrescere la funzione e il ruolo specifico del libro come strumento di studio, approfondimento, riflessione. Ai libri vanno poi aggiunti giornali, riviste, materiali audio e video, trasmissioni radiofoniche e televisive. In quest’ultimo caso, è bene tener presente che la televisione via satellite, e in particolare la televisione digitale via satellite, offre ormai una programmazione estremamente varia, in molte lingue diverse, che può rivelarsi didatticamente preziosa. La dotazione di un’antenna parabolica, un ricevitore satellitare digitale e un videoregistratore - una dotazione già in possesso di moltissime scuole superiori e di università italiane - può permettere con facilità ad ogni scuola di arricchire in maniera continua ed economica il materiale disponibile presso il proprio laboratorio linguistico e multimediale. Le reti telematiche, infine, e in primo luogo Internet, forniscono non solo un medium ulteriore dalle notevolissime possibilità didattiche, ma anche un ambiente ideale nel quale integrare e “pubblicare” (come già avviene), con facilità e senza grosse spese, il lavoro svolto attraverso l’uso di altri strumenti. Anche per questo, sempre più spesso, i progetti di uso di strumenti multimediali in ambito didattico prevedono anche la realizzazione di pagine per il Word Wide Web.

2. L’interattività Tutta la nostra esperienza nasce dall’interazione con la realtà; da questo punto di vista, qualunque oggetto e qualunque fenomeno è per noi “interattivo”. Questo vale, a maggior ragione, per gli atti di comunicazione, anche quando essi si concretizzano in un “oggetto comunicativo” dall’apparenza fissa e immutabile. Solo chi non è abituato a leggere può pensare che un buon libro non sia in qualche senso “interattivo”; sappiamo bene che il libro modifica il lettore, e sappiamo anche che, in un senso tutt’altro che banale, il lettore modifica e addirittura crea il libro che sta leggendo. Al termine “interattività” allora occorre dare un significato un po’ più ampio di quello abituale: non solo la capacità di uno strumento di comunicazione di modificare in maniera esplicita l’informazione emessa a seconda delle scelte di chi lo sta utilizzando, ma anche la capacità di far interagire fra loro strumenti di comunicazione (e strumenti didattici) diversi, e, attraverso di essi, di far interagire fra loro in modi sempre più ricchi le persone che utilizzano questi strumenti. 7


Una delle difficoltà principali collegate all’introduzione dei nuovi media nella scuola risiede in una sorta di “capovolgimento” del rapporto fra docente e studenti: non di rado, gli studenti sanno usare le nuove tecnologie meglio dei propri professori, o comunque imparano ad utilizzarle in maniera più rapida e veloce. Si tratta di una delle manifestazioni di quel “gap generazionale” che è considerato una delle caratteristiche specifiche della rivoluzione digitale, e che si manifesta del resto anche nel rapporto fra genitori e figli. In questo senso occorreranno in futuro classi docenti nuove e più preparate, attraverso corsi specifici di perfezionamento e aggiornamento, che prevedano però anche ore di laboratorio e corsi di tipo pratico.

3. Il punto di vista degli insegnanti Da parte degli insegnanti, vi è la percezione della sfida e delle conseguenze radicali che essa potrà avere sul ruolo tradizionale del docente. Ma c’è anche un certo timore su come affrontarla. In alcuni casi, questo timore viene superato: in una misura maggiore o minore, l’insegnante ha già spiccato il “salto”. In altri casi, invece, prevale la preoccupazione, e anche un certo attaccamento a ruoli e modelli didattici del passato: si avverte la paura di una sorta di “salto nel buio” che può far perdere al docente il controllo sul rapporto con la classe. In questi casi, molto spesso, quelle che sono in realtà resistenze concettuali si mascherano dietro alle indubbie difficoltà pratiche, ai problemi economici, e soprattutto a una sensazione diffusa di mancanza di preparazione proprio da parte dei docenti. È bene non sottovalutare queste difficoltà, che portano anche alcuni esperti del settore, a un pessimismo di fondo sulla capacità della scuola ad aprirsi al processo di rinnovamento delle tecnologie didattiche e all’uso dei nuovi media. La scuola italiana appare ancora chiusa nei confronti di questo modo diverso di apprendere, ed è difficile farlo capire a generazioni di insegnanti che hanno vissuto all’interno di un sistema, che non era non solo il futuro, ma nemmeno una modalità, una realtà per cui loro hanno sperimentato il cambiamento, loro hanno sperimentato processi diversi. Un primo soggetto che dovrebbe essere coinvolto nella formazione dei docenti all’uso delle nuove tecnologie è l’università; all’università dovrebbe evidentemente essere affidata soprattutto l’azione che riguarda le nuove generazioni di insegnanti. Un secondo soggetto, un secondo attore di questo processo è evidentemente il Ministero della pubblica istruzione, che è direttamente coinvolto nel problema della formazione e dell’aggiornamento degli insegnanti che già lavorano nelle scuole. In un certo senso, si tratta di fornire le strutture perché i docenti possano utilizzare in maniera autonoma, autosufficiente le nuove tecnologie nel loro lavoro di tutti i giorni, nella preparazione delle lezioni. Il grande problema della didattica sta in realtà proprio nella formazione degli insegnanti e nel fatto che gli insegnanti siano troppo legati a un modello 8


(che in realtà è un modello storicamente determinato), di trasmissione del sapere e legato fondamentalmente alla pratica della lezione frontale. Uno dei problemi della nuova didattica, è dunque quello di affiancare nuovi modelli di comunicazione didattica a quelli tradizionali. Uno di questi modelli, in particolare, sembra prestarsi bene alle possibilità offerte dai nuovi media: quello dell’apprendimento collaborativo. L’apprendimento collaborativo vede il dialogo didattico come un processo in cui studenti e docenti sono impegnati insieme nell’acquisire nuove conoscenze e capacità. Questo non significa che il docente debba abdicare alla propria funzione di coordinatore e promotore del lavoro didattico. Significa però che anziché esercitare la sua funzione “dall’alto”, in un contesto come questo, di trasmissione fondamentalmente verticale del sapere, lo potrà fare “dall’interno”, in una situazione di questo tipo, in cui la comunicazione è circolare. La didattica attraverso i nuovi media nelle scuole

1. La società dell’informazione L’uso delle nuove tecnologie per la didattica può veramente avere conseguenze di enorme rilievo sul nostro modo di concepire la scuola, l’insegnamento, i processi didattici e formativi. Si tratta di un campo in cui, però, esistono anche resistenze e timori, a volte motivati, di cui cercheremo di parlare. A volte, invece, i timori nascono soprattutto dalla scarsa conoscenza delle tecnologie che possono essere utilizzate, delle modalità e delle conseguenze della loro introduzione. Molto dipende dagli insegnanti, dalla loro curiosità, dalla loro capacità di comprendere ed indirizzare l’uso di strumenti che possono sembrare inizialmente complicati e un po’ esoterici, ma che se affrontati con lo spirito giusto si rivelano in pratica non solo degli aiuti capaci di arricchire l’esperienza dell’insegnamento, ma anche strumenti divertenti. Società dell’informazione. È una espressione ormai entrata nell’uso corrente, e sottolinea l’importanza che le nuove tecnologie dell’informazione hanno assunto negli ultimi anni. In un certo senso, è una espressione fuorviante: ogni società, presente o passata, è anche una società dell’informazione. Infatti sappiamo bene che la comunicazione fra le persone, e dunque lo scambio reciproco di informazione, fa parte dell’essenza stessa di una struttura sociale. Ma gli strumenti e le tecnologie usate per produrre, elaborare, scambiare informazione mutano col tempo. E insieme a loro muta il volto della società. Questi mutamenti hanno, per il mondo della scuola, una duplice importanza. Da un lato infatti la scuola ha fra i suoi compiti quello di formare individui consapevoli, capaci di comprendere il mondo che li circonda e di agire al suo interno. Per raggiungere questo obiettivo è evidentemente necessario che la scuola fornisca ai propri studenti le competenze, le capacità necessarie a capire quali sono, e come funzionano, gli strumenti che vengono utilizzati per raccogliere, gestire, selezionare, elaborare e comunicare informazione. 9


Strumenti che non sono mai mere tecnologie, e che in molti casi possono avere un impatto sociale diretto. D’altro canto, lo stesso dialogo didattico fra insegnante e studenti è una forma di comunicazione, di scambio di informazione: è dunque anch’esso direttamente coinvolto nell’evoluzione degli strumenti, delle tipologie, degli stili di comunicazione. La possibilità di gestire informazione in forme nuove può insomma modificare, e in molti casi di fatto modifica, anche il modo di fare scuola, il modo di insegnare. Sappiamo bene che tra i compiti della scuola è quello di educare al reperimento, alla valutazione critica, all’elaborazione creativa dell’informazione. Nel momento in cui tanta parte dell’informazione viene convertita o prodotta direttamente in formato digitale, e viene elaborata e fatta circolare in formato digitale, diventa essenziale che la scuola abbia la capacità ad educare anche all’uso di informazione in questo formato. Di educare dunque all’uso di tutti gli strumenti che permettono di gestire e manipolare informazione in formato digitale, in primo luogo il computer, e di tutti gli strumenti di comunicazione utilizzati per far circolare informazione in formato digitale, e in primo luogo delle grandi reti telematiche come Internet.

2. Un nuovo modello di didattica: dalla “lezione frontale” alla lezione “multimediale” È chiaro che per riuscire a raggiungere questi obiettivi, per affrontare la sfida della nuova didattica, fondamentale è il ruolo dei docenti. Per gli insegnanti le nuove tecnologie rappresentano una prova non sempre facile. Eppure è proprio da loro che possono e devono emergere nuovi modelli didattici, capaci di utilizzare le nuove tecnologie non come una sorta di medicina universale per ogni problema di insegnamento, ma in maniera critica e attiva. Il tipo tradizionale di lezione scolastica, la lezione per eccellenza, è quella che viene chiamata in genere “lezione frontale”: l’insegnante parla ai ragazzi, è fisicamente presente in aula, la lezione, e dunque la trasmissione del contenuto didattico, è tutta affidata alle sue conoscenze, alla sua capacità di farsi comprendere, di suscitare interesse. Pensare che le nuove tecnologie propongano un abbandono della lezione frontale sarebbe profondamente sbagliato: in tutti i casi di didattica in presenza, la comunicazione diretta, interpersonale, fra insegnante e studenti e la capacità dell’insegnante di coinvolgere i propri studenti nel dialogo didattico restano fondamentali. Tuttavia senza dubbio le nuove tecnologie allargano il ventaglio di possibilità che possono essere affiancate alla lezione frontale, o integrate con essa. L’uso di materiali multimediali, di software didattico, la costruzione e la strutturazione collaborativa di un contenuto informativo (ad esempio creando ipertesti, magari nella forma di pagine per Internet), l’integrazione di didattica a distanza e didattica in presenza, costituiscono altrettanti esempi di situazioni in cui la lezione frontale viene affiancata da pratiche didattiche di tipo diverso. 10


Un aspetto interessante di questo cambiamento, al quale assistiamo del resto ormai già da diversi anni, è che in campo didattico acquista progressivamente sempre più importanza un tipo di comunicazione che non è puramente verticale, da un singolo emittente, l’insegnante, a molti destinatari, gli studenti, ma che è piuttosto comunicazione circolare, nella quale più voci (comprese quelle degli studenti) sono contemporaneamente e attivamente coinvolte. Un buon insegnante sa che già la stessa lezione frontale, se è fatta bene, non è mai basata su una comunicazione puramente verticale, dall’alto in basso, ma è comunque una forma di dialogo. Molto spesso, l’uso delle nuove tecnologie può consentire di accentuare questo aspetto di dialogo proprio della comunicazione didattica. Sulla didattica la multimedialità fornisce delle possibilità assolutamente impensabili fino a non molti anni fa, perché, pur essendo la didattica assolutamente basata sul dialogo. Il dialogo è un qualcosa che viene molto accresciuto da questo ambiente e sistema integrato, che la multimedialità consente. La grossa differenza è che questo tipo di possibilità, che la multimedialità offre, spiazza i tutori, spiazza quindi i docenti e spiazza naturalmente gli studenti.

3. Il nuovo ruolo del docente Una delle rivoluzioni più importanti che porterà la telematica, ma anche una delle più pericolose, è la messa in discussione del ruolo dell’attuale modello scolastico, dell’attuale università, e soprattutto il ruolo del docente, del professore. Prima nelle scuole e nelle università il professore era il detentore del sapere, colui che doveva comunicare il sapere agli allievi. Oggi questo è rimesso in discussione dalla telematica. Facciamo un esempio pratico: se uno studente la notte interagisce con Internet, il giorno dopo porta in classe i risultati delle ricerche dell’argomento che ha affrontato il giorno prima a lezione. Quindi lo stesso docente riceve dallo studente informazioni di cui non aveva tenuto considerazione in precedenza, ed è costretto e stimolato ad aggiornarsi dagli stessi allievi. Vi è quindi un pericolo di perdita di ruoli di un professore, se non sa interagire con questo nuovo mondo della telematica, di Internet, delle reti, che trasmettono appunto nuove conoscenze e nuovi saperi. Contemporaneamente nasce un altro serio problema: esiste già c’è un intero mondo giovanile, di studenti, che sanno già come interagire con queste reti, ma lo fanno in maniera casuale, senza una preparazione adeguata. Se i professori non insegnano come interagire con le reti, come muoversi in questo grande magazzino, grande accumulo di informazioni, che viene da tutte le parti del mondo, il pericolo è che non si sa come questi acquisiscono conoscenze e quindi non si controllano più. 11


La cosa importante, allora, non è la presa di coscienza del mondo accademico e del mondo politico, ma degli insegnanti, perché loro diventano il punto di riferimento, coloro che aiutano gli studenti a gestire il “movimento” in queste reti e quindi riescono a farli muovere con intelligenza, a fargli prendere atto che, per sviluppare conoscenze, è necessario muoversi nelle reti in un certo modo e non in un altro. Per fortuna, il mondo dell’università in Italia comincia a prendere atto di questa nuova situazione. Sono molti ormai i professori, anche delle università del sud, che hanno cominciato già a utilizzare Internet per divulgare le informazioni sul loro corso oppure per creare dei “collegamenti” con facoltà o corsi e discipline di altre università del mondo.

4. Dalla classe all’insegnamento a distanza Il rapporto tra tecnologie e educazione riguarda molti aspetti del processo formativo. Senza dubbio quello che attira maggiormente l’attenzione, e su cui si stanno investendo grandi risorse economiche e scientifiche, è l’insegnamento a distanza. L’uso delle reti telematiche, insieme a quello di più tradizionali strumenti audiovisivi, infatti permette di deterritorializzare l’insegnamento, spostandolo dal suo luogo d’elezione, l’aula, per collocarlo nella casa dello studente, o in apposite sedi attrezzate. Naturalmente per una serie di motivi culturali ma anche formativi, l’insegnamento a distanza si adatta alla formazione superiore e professionale, piuttosto che alla scuola. In fondo il rapporto sociale che si instaura in una classe scolastica è parte fondamentale del percorso di crescita di un adolescente. Accanto alle università virtuali vere proprie, sono nate una serie di esperienze, e sperimentazioni parziali di formazione a distanza, che si integrano con le strutture tradizionali. Molte università, specialmente nel mondo anglosassone, hanno attivato dei corsi "on line". La maggior parte di queste progetti si basa sulla rete Internet. Le lezioni, o meglio le dispense, vengono erogate tramite Web. La posta elettronica, e le liste di discussione invece permettono agli studenti di tenersi contatto tra loro e con i docenti, e di fare vere e proprie discussioni collettive sui temi di studio. In alcuni casi sono previste delle vere e proprie videoconferenze, attraverso i sistemi a basso costo attualmente disponibili su Internet. Molti studiosi sono concordi nell’affermare che, dal punto di vista cognitivo, queste tecnologie modificheranno i processi di apprendimento. Per quanto riguarda i testi letterari, per esempio, gli studenti che utilizzano analizzatori di testi o comunque strumenti informatici sul trattamento dei testi, imparano a leggere di più i testi in misura superiore e non inferiore. In linea generale, quindi, è possibile affermare che gli studenti di capacità medie, di intelligenze medie, con curricula medi, ottengono risultati migliori, rispetto alle aspettative, utilizzando le nuove tecnologie. 12


Il ruolo delle istituzioni nella “rivoluzione telematica” 1. La diffusione del computer nelle scuole europee In questo periodo l’Europa unita è un argomento di grande attualità. Si parla molto delle conseguenze economiche dell’Unione e della nuova moneta, l’Euro, che sostituirà la Lira. Ma non solo con la moneta comune si può realizzare appieno una politica di aggregazione. Vedremo quali sono le politiche dell’Unione Europea per quanto riguarda l’educazione e la formazione professionale e, in particolare, l’impiego delle nuove tecnologie dell’informazione nelle scuole 6. Nel 1994, la Commissione Europea ha pubblicato un documento intitolato “La via europea alla società dell’informazione”. L’introduzione del documento recita: «Nei prossimi anni, l’Europa sarà rapidamente trasformata in una nuova società, una società dell’informazione nel senso più profondo, perché muterà il rapporto tra l’individuo e l’acquisizione della conoscenza. È una rivoluzione che ha le potenzialità per promuovere lo sviluppo economico, creare nuovi posti di lavoro e, in definitiva, migliorare la qualità della vita».

Le telecomunicazioni e l’informatica saranno sempre più importanti nella vita di tutti i giorni. I progetti dell’Unione Europea in questo settore prevedono la promozione del telelavoro, dell’apprendimento a distanza, la creazione di una rete internazionale dedicata alla sanità, che servirà anche a coordinare la disponibilità di organi per i trapianti, e una dedicata alla ricerca scientifica. Ma se la società europea di domani sarà la società dell’informazione, tutti dovranno conoscere e imparare a servirsi delle nuove tecnologie. Per questo viene data molta importanza all’ingresso dei computer e di Internet nelle scuole. Il 2 ottobre del 1996, la Commissione Europea ha adottato il piano d’azione “Imparare nella società dell’informazione”. L’obiettivo del progetto è favorire l’uso delle tecniche multimediali nelle scuole e creare una massa critica di utilizzatori delle nuove tecnologie. Il piano ha una durata biennale, quindi è in corso fino alla fine del ‘98. Il progetto della Commissione Europea prevede innanzi tutto di collegare tra loro le scuole elementari e secondarie di tutti i paesi membri, per favorire lo scambio di conoscenze e per abituare gli studenti a culture e lingue differenti. Così i più giovani impareranno a cercare su Internet le informazioni di cui hanno bisogno e a scegliere le fonti più adatte. Questo processo di connessione delle scuole in rete è in corso già da tempo sia in Italia che negli altri paesi europei. Contemporaneamente, anche gli insegnanti devono imparare a usare i nuovi mezzi di comunicazione. A questo

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Tutte le informazioni relative alle politiche europee riguardo all’introduzione e l’uso del computer nelle scuole, riportate in questa ricerca, si possono rintracciare sul sito Internet dell’Unione Europea: http://europa.eu.int 13


scopo sono stati promossi dei corsi di aggiornamento, seminari e manifestazioni per sensibilizzarli alla novità.

2. Il computer nelle scuole italiane: ritardi e problemi di approccio La rivoluzione informatica progettata dal Ministero della Pubblica Istruzione per il 1998, e ancora in fase di realizzazione, prevede innanzitutto la formazione dei docenti, prima ancora di quella degli studenti. Il ministero ha lanciato un progetto di acculturazione informatica destinato ai docenti per i prossimi anni, affinché le scuole possano finalmente poter sperimentare l’utilizzo delle nuove tecnologie multimediali nel campo della didattica. Per analizzare al meglio un percorso didattico che rischia di essere “da pochi e per pochi”, occorre a mio parere cercare di capire qual è la situazione di partenza, cioè a quale punto è pervenuto il processo di informatizzazione delle scuole italiane. Il quadro varia, naturalmente, a seconda dei vari ordini di scuola. Una recente indagine realizzata dall’Istituto Tecnologie Didattiche del CNR di Genova e dal Dipartimento di scienze fisiche dell’Università di Napoli Federico II, può aiutarci ad avere un’idea della situazione almeno per quel che riguarda l’istruzione superiore. Si tratta di una ricerca che si basa su un campione di 200 istituti scelti con criteri statistici. I dati che emergono sono particolarmente interessanti. È importante sottolineare che solo due delle 200 scuole prese in esame non dispongono di neanche un PC. In entrambi i casi, si tratta di scuole del Sud Italia, e un primo dato interessante dell’indagine riguarda proprio la differenza fra Nord, Centro e Sud Italia. Al Sud, è disponibile un computer ogni 24 studenti. Al Centro, un computer ogni 15 studenti. Al Nord, un computer ogni 13 studenti. In sostanza, al Sud è disponibile più o meno un computer per classe (anche se naturalmente può darsi che questi computer siano tutti insieme in un’aula multimediale), al Centro e al Nord due computer per classe. Sono medie ancora piuttosto basse, soprattutto se riportate a quelle europee e statunitensi, anche perché bisogna considerare che nel rilevamento possono essere compresi computer usati dalle segreterie. Ma naturalmente la divisione non è solo quella per aree geografiche: notevoli differenze vi sono anche nella distribuzione delle risorse informatiche a seconda del tipo di scuola. Nel caso dell’istruzione classica, scientifica e magistrale la media è di un computer ogni 38 studenti, contro un computer ogni 11 studenti per l’istruzione tecnica, un computer ogni 13 studenti per quella professionale, un computer ogni 23 studenti per quella artistica. Sono dati che inducono a una riflessione: l’istruzione tecnica è molto più avanti. Questo naturalmente dimostra il particolare impegno che la sfera dell’istruzione tecnica ha dedicato all’introduzione delle nuove tecnologie. Ma, in negativo, fornisce anche un dato assai preoccupante: paradossalmente, le scuole che la visione tradizionale 14


considera di più alto livello, ovvero i licei classici e scientifici, si rivelano molto più indietro delle altre come livello di informatizzazione. Evidentemente, il pregiudizio secondo cui il computer è utile soprattutto per lavori di tipo tecnico ed esecutivo, mentre chi si occupa di materie umanistiche o comunque più “astratte” può in fondo farne a meno, è duro a morire. Questo pregiudizio rischia di portare a una generazione di studenti che escono dai licei classici e scientifici senza che la scuola li abbia aiutati ad acquisire quel livello minimo di familiarità con le nuove tecnologie, che costituisce ormai una necessità imprescindibile per l’inserimento nel mondo del lavoro, a ogni livello. Il Ministero della Pubblica Istruzione ha lanciato nel 1998 un progetto che sembrerebbe faraonico: mille miliardi da utilizzare in tre anni per far sì che ogni istituto di ordine e grado sia dotato di computer e di un accesso ad Internet. Un progetto ambizioso e lodevole, che prevede accordi con enti ed imprese, ma che però non sembra recepire appieno l’attuale rapporto che c’è tra la scuola italiana, la rete informatica e quello che fino a adesso è stato fatto per unire i due mondi. In Italia sembrano fioccare le iniziative di collegamento tra scuola ed Internet, ma purtroppo si riscontra una mancanza di coordinamento generale ed ancora una certa approssimazione che va superata per riuscire a centrare l’obiettivo di collegare tutte le scuole on line. Un altro paradosso dell’informatizzazione “a macchia di leopardo” della scuola italiana è che nella stragrande maggioranza dei casi sono gli alunni che devono insegnare ai professori. È il problema della formazione professionale, che deve portare al risultato di professori che abbiano a disposizione non solo le aule con i computer, ma anche la capacità per utilizzarli. La situazione nella scuola italiana è quindi piena di speranze, ma manca ancora quello sforzo organizzativo necessario per mettere in moto tutta la macchina organizzativa. Linguaggi e disuguaglianze

1. I linguaggi dell’informatica Insegnare a muoversi all’interno di un linguaggio, acquisire capacità e competenze linguistiche, sono da sempre compiti essenziali della scuola. Ebbene, sappiamo tutti che anche per muoversi nel mondo delle nuove tecnologie e dei nuovi media bisogna comprendere dei linguaggi: linguaggi nuovi, dalle caratteristiche per molti aspetti diverse da quelle delle lingue storico - naturali, linguaggi che sembrano spesso astrusi e specialistici. A volte le difficoltà e le resistenze che si incontrano nel mondo scolastico quando si parla di introduzione delle nuove tecnologie, nascono proprio sul piano linguistico. Quello che noi chiamiamo in maniera forse un po’ semplificata il “linguaggio dei nuovi media” o il “linguaggio della multimedialità” è in realtà il risultato di un 15


intreccio di competenze diverse, alcune delle quali hanno a che fare con forme di espressività lontane dal linguaggio verbale, forme di espressività sonora e visiva ad esempio. Altre, invece, hanno a che fare con linguaggi che sono anch’essi lontani dal linguaggio verbale, ma per motivi diversi: linguaggi formali, dall’apparenza astrusa, come i linguaggi di programmazione. Un buon prodotto multimediale è il risultato di una “competenza linguistica” che attraversa trasversalmente tutti questi linguaggi così diversi fra loro, e li integra in un messaggio compiuto e funzionale. Un compito tutt’altro che facile per il quale si può dire forse che stiamo compiendo solo adesso i primi passi per capire come realizzare bene un’integrazione di questo tipo. Gli insegnanti sanno bene come ogni forma di didattica abbia a che fare con questo intreccio di linguaggi, codici, registri espressivi diversi. Ma spesso sono particolarmente spaventati proprio dalle componenti “tecniche”, specialistiche, di alcuni dei linguaggi dei nuovi media e del digitale, e in particolare di quelli che si caratterizzano come “linguaggi artificiali”.

2. L’alfabetizzazione informatica Quando parliamo di alfabetizzazione tecnologica, o di alfabetizzazione informatica, ci riferiamo evidentemente a qualcosa di diverso e più generale rispetto alla semplice padronanza di questi “linguaggi artificiali”. Eppure, proprio come per esplorare un territorio nuovo o poco conosciuto, un elemento fondamentale è riuscire a comprendere la lingua del posto, così per padroneggiare (e per insegnare) l’uso delle nuove tecnologie è indispensabile riuscire a stabilire, anche in questo terreno, una base di competenze linguistiche, magari minime. Occorre innanzitutto sottolineare l’importanza anche sociale di questo processo di alfabetizzazione. È bene capire, infatti, che si tratta di un processo essenziale per evitare che le diseguaglianze che già esistono nelle competenze relative all’uso dei nuovi media e delle nuove tecnologie si trasformino in gap incolmabili. Gap tra studente e studente, fra insegnante e insegnante, fra generazioni, fra realtà geografiche e sociali diverse. L’uso delle nuove tecnologie nella didattica non può ignorare queste diseguaglianze. Se pensiamo che le disuguaglianze, perché questo è il termine sociologico e sociale da usare, si dissolveranno automaticamente in presenza delle nuove tecnologie a causa delle loro potenzialità, commetteremmo un tragico errore. Perché in questo campo il processo di differenziazione, che poi diventa disuguaglianza sociale radicata, è inesorabile. Quindi bisogna contrastare in ogni modo e fin dall’inizio le disuguaglianze che nascono sui terreni più ovvi, perché lo scolaro, lo studente che arriva in una scuola che è finalmente dotata di computer moderni, di capacità di rete e così via, provenendo da una famiglia dove fin dalla nascita ha visto e ha giocato con dei computer, è molto avvantaggiato rispetto allo studente che vede per la prima volta il computer a scuola. 16


Inoltre lo studente che ha il computer a casa, quando esce dalla lezione in una classe elettronica o da una lezione assistita da strumenti multimediali come si fa ormai in molte scuole che si stanno generalizzando nelle università, ha la possibilità di rinforzare quelle conoscenze, quell’apprendimento, di fare esercizio, cosa che chi non ha l’abbonamento ad Internet, chi non ha la macchina, non può fare. Quindi è essenziale che lo sviluppo e la diffusione dell’informatica nella didattica sia seguito e sia anche corredato da interventi compensativi per quei soggetti che per qualche motivo non possono utilizzare come gli altri queste tecnologie. Altrimenti saremo dinanzi ad una divisione radicale tra alfabeti tecnologici e analfabeti tecnologici che può essere una delle più aspre e dure che la storia abbia conosciuto. Questo vale anche per le differenze tra paesi ricchi e paesi poveri. Le nuove tecnologie offrono possibilità impensate ai paesi poveri di avere ad esempio degli strumenti didattici di primo ordine, perché anche in paesi poverissimi dove vi sia una linea telefonica almeno qualcuno ha la possibilità di accedere ai grandi laboratori del mondo, alle grandi biblioteche del mondo, ai grandi calcolatori del mondo per fare calcoli che sarebbe inimmaginabile fare sul posto. E questo a costi bassissimi , ai costi di una telefonata urbana e poco più. Ma ancora una volta non si può contare sugli automatismi, perché gli automatismi vorrebbero dire gruppi più o meno grandi di privilegiati con l’accesso a Internet nei paesi più poveri del continente nero, ad esempio penso al continente più povero del mondo, e invece maggioranze che ne sono escluse. Per affrontare la sfida dell’ingresso delle nuove tecnologie nella scuola, quindi, è necessaria l’alfabetizzazione, una alfabetizzazione che tenga conto delle differenze e delle diseguaglianze esistenti, tentando di colmare gli svantaggi. Bibliografia

O. Arpino, V. A. Baldassarre, Saperi, ipertesti e processi formativi, Bari 1998. V. A. Baldassarre, La didattica della comunicazione, in Multimedia. Interattività. Formazione, Modugno 1994. R. Maragliano, Manuale di didattica multimediale, Bari 1994. M. Di Giandomenico, Aspetti filosofici dell’informatica, Bari 1995.

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