WERNER JOHANNOWSKY / DAL TIFATA AL MASSICO

Page 1



mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 6


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 6


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 1

WERNER JOHANNOWSKY Dal Tifata al Massico Scritti sulla Campania settentrionale (1961-2000)

Campania. Arti e Paesaggi. Quaderni del Centro Regionale Campano per la Catalogazione e la Documentazione dei Beni Culturali e Paesaggistici, 1


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 2

INTESA ISTITUZIONALE DI PROGRAMMA ACCORDO DI PROGRAMMA QUADRO IN MATERIA DI BENI CULTURALI III Atto Integrativo _____________________ Progetto finanziato dalla Regione Campania con risorse del Fondo per le Aree Sottosviluppate

Sistema Informativo di Catalogo del Centro Campano per la Catalogazione e la Documentazione dei Beni Culturali e Paesaggistici


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 3

MIBAC Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania

REGIONE CAMPANIA Assessorato al Turismo e ai Beni Culturali

WERNER JOHANNOWSKY Dal Tifata al Massico Scritti sulla Campania settentrionale (1961-2000)

CENTRO REGIONALE CAMPANO PER LA CATALOGAZIONE E LA DOCUMENTAZIONE DEI BENI CULTURALI E PAESAGGISTICI


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 4

Campania. Arti e Paesaggi. Quaderni del Centro Regionale Campano per la Catalogazione e la Documentazione dei Beni Culturali e Paesaggistici,1

© COPYRIGHT 2009 Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania Registrazione al Tribunale di Napoli n° 63 del 28/09/2009

Direttore della collana Gregorio Angelini Coordinamento Scientifico per l’archeologia Stefano De Caro Coordinamento Redazionale Lorena Jannelli Progetto grafico e Impaginazione

zelig / gv / vds Stampa Grafica Metelliana Cava de’ Tirreni (SA)

I Edizione 2010


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 5

Werner Johannowsky Dal Tifata al Massico

Š Immagini

Scritti sulla Campania Settentrionale (1961-2000)

Werner Johannowsky

Digitalizzazione testi Anna Caramico

MiBAC Soprindentenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta

Ricerca ed acquisizione immagini Vittoria Minniti

Si ringrazia Alessandra Villone per la gentile collaborazione

Cura redazionale Nella Castiglione Morelli

In copertina Ponte sul Volturno (1928)


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 6

Indice


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 7

8

Introduzioni

130

Problemi archeologici campani

14

Relazione preliminare sugli scavi di Cales

160

Appunti sulla cultura di Capua nella prima età del ferro

188

Aspetti dell’Orientalizzante recente in Campania La tomba 1 di Cales. Premessa

194

Aggiornamenti sulla prima fase di Capua

204

Presenzano: necropoli in località Robbia

210

Elenco delle abbreviazioni

28

Nuova epigrafe di Cales

34

Modelli di edifici da Teano

46

Relazione preliminare sugli scavi di Teano

90

Gli Etruschi in Campania

98

Problemi di classificazione e cronologia di alcune scoperte protostoriche a Capua e Cales

112

Un corredo tombale con vasi in bronzo laconici da Capua


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 8

8

Senza di lui, probabilmente, oggi non parleremmo di turismo delle zone interne e delle loro potenzialità, generate da un lato dalla riscoperta del valore patrimoniale dei siti delle aree “dell’osso”, come le chiamava Rossi Doria, dall’altro dalla geniale intuizione di mettere a sistema risorse straordinarie, fino alla sua epoca ignote, scarsamente note, nel migliore dei casi non valorizzate: penso, per esempio, all’istituzione dei parchi archeologici di Buccino e, ancor più, di Conza della Campania, l’antica Compsa, molto prossima alla mia terra di origine. Di Werner Johannowsky non ho, purtroppo, ricordi diretti, ma conoscenza storica del suo operato sviluppato all’epoca in cui era ispettore della Sovrintendenza archeologica delle province di Napoli e Caserta, e, successivamente, per un decennio a capo della Sovrintendenza archeologica delle province di Avellino, Benevento e Salerno, allora accorpate in una unica struttura, pertanto di notevole importanza e prestigio. Anche per questo, ma soprattutto per la spiccata vocazione di ricercatore, il suo orizzonte investigativo fu vastissimo, dai Campi Flegrei, al Casertano, dal Sannio all’Irpinia, dal Salernitano alla Lucania settentrionale, ovunque operando scoperte notevoli oppure semplicemente valorizzando il patrimonio preesistente e ispirando nella gente locale un senso di attaccamento profondo rispetto alla storia e alle radici. È bello che si pubblichino i suoi scritti (ho letto affascinato ‘Il tratto irpino della Via Appia’) ed è suggestivo e commovente che lo si faccia oggi che ricorre il trentennale del terremoto del 1980. Il suo decennio più significativo lo visse tra quelle tre province che, d’improvviso, una sera di novembre, furono sconvolte da un’immane tragedia, un sisma che seppellì i paesi e i retaggi. Lui, pazientemente, riportò tutto alla luce del sole. La ricostruzione fu anche questo, il recupero della storia. Giuseppe De Mita Assessore ai Beni Culturali e al Turismo della Regione Campania


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 9

9

La raccolta degli scritti di Werner Johannowsky sulla Campania settentrionale era programmata da tempo, ma l'autore non ha potuto vederne la luce. Valente archeologo, una vita dedicata alla conoscenza delle civiltà antiche della Campania e del Mezzogiorno, soprintendente non dimenticato, Werner Johannowsky si è spento quest'anno mentre ancora attendeva agli studi, nella sua casa napoletana. È quindi dedicato al suo ricordo il primo quaderno monografico del periodico "Campania. Arti e Paesaggi". La pubblicazione della rivista è uno dei frutti dell'intensa collaborazione stabilita tra la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici e l'Assessorato ai Beni Culturali della Regione Campania nell'ultimo decennio. Collaborazione che si è concretizzata non solo in grandi interventi di restauro e di riqualificazione del patrimonio culturale regionale, ma anche in un vasto programma di studio e conoscenza scientifica che coinvolge università, istituti culturali e singoli ricercatori, vera premessa per una valorizzazione che non sia il frutto di occasionali interventi di promozione. Il 6 settembre 2005 fu sottoscritto un protocollo d'intesa per la creazione del Sistema Informativo, costituendo il Centro regionale campano per la catalogazione e la documentazione dei Beni Culturali e Paesaggistici. Con il successivo atto integrativo dell'Accordo di Programma Quadro sottoscritto dal Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Regione Campania (30 novembre 2005) fu avviato il piano delle attività, comprendente il recupero e la digitalizzazione delle schede catalografiche già prodotte dalle Soprintendenze, la nuova catalogazione, la produzione e digitalizzazione di documentazione fotografica e di rilievi architettonici. Negli anni il Centro ha realizzato una imponente attività, che costituisce un sistema di conoscenza del patrimonio culturale che sarà imprescindibile per lo studio, la comunicazione e la valorizzazione. Il progetto ha previsto infine un piano editoriale di carattere generale e tematico sui musei, siti e monumenti pubblici di interesse archeologico, architettonico e artistico presenti in Campania, di cui la rivista "Campania. Arti e Paesaggi" è lo strumento operativo. Nei quaderni del Centro regionale saranno pubblicati i risultati scientifici delle attività di tutela e valorizzazione attuate da Ministero e Regione, in forma di numeri monografici o di raccolte di articoli scientifici sui diversi ambiti del patrimonio culturale, discussioni metodologiche, temi di politica culturale, informazioni, rassegne bibliografiche. Gregorio Angelini Direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 10

10

L’idea di questo libro era nata nella Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Campania quando Werner era ancora tra noi, e, pur con una comprensibile ritrosia, egli aveva molto apprezzato l’idea di raccogliere i suoi lavori più difficilmente reperibili (non dico i più importanti perché sarebbe difficile dire cosa è più importante nella sua produzione: a volte da una sua intuizione, magari appena accennata in una frase o in una nota, è scaturito un importante filone di ricerche). Ora che non è più tra noi, questo libro, concepito come strumento di lavoro oltre che come tributo alla sua attività, è diventato ancor più significativo come memoria di una delle figure più alte dell’archeologia, e non solo italiana, del Novecento. Studioso di grandissima levatura, Johannowsky ha aperto nuove prospettive per lo studio della topografia e della storia antica di intere regioni, con particolare riguardo per la Campania, ma non limitatamente ad essa, come mostrano i suoi interessi per la Grecia, Creta, l’Anatolia. Come pochi altri egli ha altresì incarnato la figura del funzionario di Soprintendenza, presente nella vita di tutti i territori dove ha operato, di cui acquisiva quella straordinaria conoscenza autoptica che con grande ironia Paolo Orsi diceva frutto dell’archeologia pedestre. E non solo conoscenza dei luoghi, ma anche delle persone, tanto i notabili quanto gli umili, che in egual modo si accostavano a lui, attratti dalla sua disponibilità per riceverne informazioni sulla storia dei loro luoghi, notizie che egli dispensava generosamente e senza spocchia professorale. Questo tratto l’ha conservato per tutta la vita, per nulla mutato dal progredire della carriera, sì che la sua autorevolezza di Soprintendente è sempre stata fondata sulla sua riconosciuta bravura di archeologo piuttosto che sul grado amministrativo. Una bravura tecnica che non si è mai isterilita nel puro specialismo, ma si è sempre mescolata all’impegno civile, politico, nella difesa dei valori culturali del territorio e della società, tanto più apprezzabile in quanto esercitato con nobile “ingenuità” e per lunghi anni in scarsa compagnia, per non dire solitudine. Queste sue limpide qualità facevano premio sulle ispidezze del suo carattere, che pure facevano sorridere i molti dei quali Werner non si curava, preso dalla consapevolezza e dalla passione di un impegno sentito più importante della sua stessa qualità di vita. Per tutto questo il libro che presentiamo è tributo certo troppo piccolo per ricordarlo, ma offerto con sincerità di affetti da tutti quelli che hanno contribuito a farlo. A tutti loro il mio più sentito ringraziamento e quello doveroso dell’Amministrazione che rappresento, oggi forse inadeguata a siffatti giganti. Stefano De Caro Direttore Generale per le Antichità


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 11

11

Nell’imminenza dell’ottantesimo compleanno di Werner Johannowsky decidemmo, su idea di Carlo Franciosi, di porre mano al progetto di una antologia di suoi scritti da offrirgli in omaggio. Difficile era naturalmente decidere quali scegliere e quali tralasciare, poiché i suoi contributi sono tutti importanti e ricchi di significato, tali da farli restare fondamentali, crediamo, per sempre nella storia degli studi sulla Campania antica. Si era pensato da prima di ricorrere all’iniziativa privata per l’edizione del volume, ma ciò era poi sembrato riduttivo: era giusto che per un grande Servitore dello Stato fosse lo Stato ad assumersi l’onere della pubblicazione. Venne sottoposto il problema all’allora Direttore Regionale Stefano De Caro che fu d’accordo e stanziò fondi allo scopo, nonché operò una scelta tra la vastissima bibliografia dell’A., a De Caro consegnata sotto forma di immane castello di carte (cioè fotocopie di estratti rintracciati pazientemente in varie sedi e riprodotti da C. G. Franciosi). Quel compleanno Werner ebbe solo , come anticipo di dono, un fascicoletto con l’Indice”massimo” della futura antologia, e quello “ridotto” necessariamente ad una prima scelta: ne fu contento, e all’elenco dei testi da pubblicare aggiunse o tolse qualcosa, ripromettendosi anche di riguardare gli originali alla ricerca di eventuali errori. Di quell’incontro rimane tuttora emozionante il ricordo di uno studioso mosso ancora da un forte entusiasmo giovanile, al di là della sua età anagrafica, che lo spingeva a progettare nuovi scavi e ricerche in Irpinia, particolarmente per il sito di Morra. Ma anche il desiderio, espresso in varie circostanze, di riprendere gli studi su alcuni centri antichi della Campania settentrionale, a lui particolarmente cari, riscoperti grazie alle sue ricognizioni pioneristiche, intraprese agli inizi degli Anni Sessanta del secolo scorso. Ma se un’idea diviene impresa di un Ente dello Stato, deve seguire un suo iter, che è stato, e lo diranno più autorevolmente in questa sede Altri, laborioso e lungo. Nonostante ciò i testi appaiono qui , poiché non abbiamo avuto purtroppo gli appunti dell’A. di revisione, il più possibile fedeli all’originale. Chi di noi si è assunto, per consuetudine con lavori editoriali, la correzione di bozze (NCM) è intervenuto in pochissimi casi, proprio per questa impossibilità di sottoporre all’A. i vari punti controversi. Il giorno dell’ottantaquattresimo e ultimo Suo compleanno Egli ha però potuto dare uno sguardo alle bozze , dare dei suggerimenti per la copertina e altro, e di ciò siamo lieti e orgogliosi. Nel ringraziare Stefano De Caro e Lorena Jannelli per l’impegno e il sostegno, ci auguriamo che si riesca in qualche modo a fare altri volumi degli scritti di Werner, soprattutto quelli poco noti, o addirittura di riuscire a pubblicare eventuali inediti, perché possano essere utili agli Studiosi, soprattutto ai giovani che tanto Egli ha aiutato e sostenuto. E ciò non perché Egli abbia bisogno di maggiore fama, o di suffragi, poiché è sempre stato e resterà uno Spirito libero. Alfredo Balasco Nella Castiglione Morelli




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 14

Relazione preliminare sugli scavi di Cales*

14

Fig 1 PIANTA SCHEMATICA DI CALES 1 Via Forma; 2 Terme centrali; 3 Tempio;

*

4 Teatro; 5 Arco Onorario; 6 Castellum Aquae; 7 Terme settentrionali; 8 Anfiteatro; 9 Cattedrale;

10 Ponte delle Monache; 11 Stipe votiva loc. S.Pietro; 12 Stipe votiva loc. Ponte delle Monache; 13 Palestra (S.Casto vecchio);

W.J., Relazione preliminare sugli scavi di Cales, Bollettino d’Arte 1961, pp. 258 - 268.

14 Necropoli; 15 fondi di capanna dell’età del Ferro; 16 figurina del I sec. a.C.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 15

Fig 2 Cales, tratto delle fortificazioni sul lato Est.

Uno dei centri antichi più cospicui e meglio conservati della Campania interna, ma anche dei meno esplorati e meno studiati, è Cales1, che sorgeva nel territorio dell’attuale Calvi Risorta, quasi ai piedi delle montagne che delimitano a Nord la pianura Campana. La città era a circa 100 metri sul livello del mare, su un pianoro leggermente degradante verso la pianura, lungo da Nord a Sud circa 1600 metri e della larghezza quasi costante di circa 400 metri. Verso Nord-Ovest, Est e Nord lo delimita il Rio dei Lanzi, incassato per 30-35 metri nel banco tufaceo delle pareti in gran parte a picco, e ad Ovest un affluente, il rio della Pezzasecca detto “d’o Malotiempo” e un avvallamento. Mentre da questo lato l’accesso era relativamente facile, su quello opposto la scarpata è interrotta solo in tre punti, da un pendio verso Nord, e da due clivi tra pareti scoscese, l’attuale Via Forma al centro e Via Formelle più a Sud. Sul lato meridionale infine la strada antica che andava verso “l’ager Falernus”2 passava circa 10 metri al di sotto del livello della città su un ponte ricavato dal tufo naturale nel diaframma fra due case (Ponte delle monache) con le quali è stato abbassato o addirittura deviato il letto del Rio “d’o Malotiempo”. La Via Latina entrava in città per Via Formelle, seguiva poi per un lungo tratto il “Cardo Maximus”, e infine, in corrispondenza di Via Forma, il “decumanus maximus” verso Ovest. Altre strade antiche che uscivano per Via Forma e verso Sud-Ovest erano, come quella che si dirigeva verso Sud, lastricate fuori dell’abitato con piccoli blocchi di calcare, e andavano l’una in direzione dell’ “Ager Stellas” e di Ponte Annibale3, e l’altra verso Forum Popili nell’ “Ager Falernus”4. L’impianto urbanistico appare anche dalle prime ricerche abbastanza chiaro. Il cardo maximus5, che consta di due tratti rettilinei incontrantisi ad angolo ottuso all’altezza di Via Forma, a Sud della quale è da localizzare il Foro6, era intersecato da una serie di decumani disposti a pettine7. Nel punto più alto, nella cinta medioevale che taglia fuori l’arce, sorge la Cattedrale romanica, probabilmente sul posto di un tempio. È uno schema tipicamente italico, che troviamo per es. a Lanuvium8, ad Aesernia9 e a Suessa Aurunca10. Il tracciato delle mura, lungo il ciglio della terrazza, è facilmente riconoscibile anche dove sono franate, distrutte o coperte. Si possono distinguere attualmente due fasi. La più antica (fig. 2), che risale forse a due epoche diverse di cui la cronologia relativa non è ancora chiara, è in blocchi di tufo uniti senza malta. La struttura non è perfettamente isodomica, con giunti non sempre esattamente verticali e i piani di posa che ogni tanto si discostano un poco dalla orizzontale. Ne sono conservati resti alti fino a m. 1,80 soprattutto nel settore centrale del lato Est, dove le singole assise sono alte m. 0,60-0,61, e in quello Sud del lato Ovest, dove alcuni tratti sono in blocchi poco più piccoli e meno regolari. In evidente rapporto con questa fase è da porre la creazione del Ponte delle monache, che è tagliato nello stesso tufo grigio dalla patina giallo-rossastra. Il ponte trova analogia, per quanto io sappia, solo nel «ponte sodo» a Veii il quale sarà forse anteriore al 396

1 Su Cales v. PAULY-WISSOWA, Realenzyklopädie, III, 1897, coll. 1951 ss. (Hülsen); R. PAGESTECHER, Die calenische Reliefkeramik, in Jahrb. Erganzungsheft, VIII, Berlino 1909, p. 1 ss; A. MAIURI, Passeggiate Campane, Firenze 1949, p. 138 ss.; sulla centuriazione del territorio v. F. CASTAGNOLI, Bull. Commissione Comunale, LXXV (1953-55), Suppl., p. 34 ss. 2 Sull’ “Ager Falernus” v. PAULY-WISSOWA, VI, 2, 1909, coll. 1971 s. (Hülsen). 3 L’ “Ager Stellas” può essere identificato con la pianura fra il Volturno, le estreme propaggini orientali del Monte Maggiore e l’Agnena, all’incirca nel territorio degli attuali comuni di Bellona e Vitulazio. (J.BELOCH, Kampanien (2aed.), Breslavia 1890, p. 369 ss.); per ponte Annibale passava la strada Capua-Ad Dianam-Syllas-Telesia (C.I.L., X, p. 59). 4 L’ubicazione più probabile di Forum Popili è nella località Civitarotta, circa 2 km. a Sud di Carinola. Ne è conservata la cinta in opus quasi-reticulatum, di età probabilmente sillana. 5 Coincideva con l’attuale Via Ponte delle Monache, che è a tratti profondamente incassata. 6 È l’unica zona della città non attraversata da cunicoli scavati nel tufo. Non vi manca però qualche pozzo. 7 Ne sono stati riconosciuti finora, oltre a via Forma e via Formelle, quattro con lastricato in poligoni di calcare, e un quinto può essere localizzato nella parte alta, dove appare nel cortile della casa Bovenz un lungo tratto di muro senza attacchi di altre strutture. 8 Su Lanuvium v. A. GALIETI, in Atti II Congr. Studi Romani I (1934), p. 184 ss., con pianta; Id., Not. Scavi, 1953, p. 307 ss. 9 MAIURI, Passeggiate Campane, cit., p. 285 ss. 10 Anche qui, come a Cales, almeno nella parte alta, le insulae erano lunghe e strette.

15


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 16

Fig 3 Cales, pianta delle terme centrali.

16

a.C.11 Anche la cinta primitiva è con ogni probabilità anteriore alla conquista romana nel 334 a.C. e forse del V sec. a.C., ma solo lo scavo potrà fissarne con maggiore sicurezza la cronologia12. Non è chiaro se delle strutture del lato Sud in opus incertum con grossi caementa angolosi, che possono essere datate al II sec. a.C., appartengono alle mura. L’ultima fase, in opus quasi-reticulatum, cui appartengono fra l’altro delle opere in prossimità della porta Nord-Est, le difese delle opere sulla Via Latina e una cortina interna di cui sussistono lunghi tratti, dev’essere messa in relazione con la guerra civile o con la guerra servile13. Il materiale più antico rinvenuto finora nell’area della città, fatta eccezione per alcuni frammenti di ceramica d’impasto e di un raschiatoio di selce trovati sull’arce, è del VII sec. a.C., e proviene dai luoghi più diversi. I principali edifici di cui affiorano avanzi ancora ben riconoscibili sono l’anfiteatro a Sud della probabile porta Nord-Est14, le terme settentrionali15 ad Ovest del cardo maximus, una cisterna sopraelevata16 a Nord del tronco occidentale della Via Latina, un tempio e il teatro ad Ovest e le terme centrali ad Est della probabile area del foro. Queste ultime (fig. 3) sono attualmente oggetto di scavi sistematici, mentre alcuni saggi sono stati eseguiti nel tempio, nel teatro e in due stipi votive. Inoltre i lavori per l’autostrada del Sole, che viene ad attraversare la città in una zona molto sconvolta dai lavori agricoli, la quale è stata preventivamente esplorata, hanno dato luogo ad importanti ritrovamenti nella necropoli occidentale, lungo la Via Latina17. Le terme centrali, che distano m. 32 circa dal “Cardo Maximus”, il quale in corrispondenza del loro lato Sud passava sotto un arco onorario18, misurano in direzione Nord-Sud m. 49,80 e sono comprese fra due decumani e un cardine ad Ovest. Quest’ultimo, lastricato in selce e non, come le altre strade urbane, in calcare, era forse un tratto della Via Latina deviato alle spalle di un complesso che guardava sul foro. La parte finora esplorata, che si estende fino a m. 29,60 dal cardine, risulta costruita di getto e ha subito relativamente poche trasformazioni in epoche successive. Le più importanti sono la creazione di una sala calda a Sud-Ovest, l’aggiunta e il rifacimento di muri nella parte Nord-Ovest, e il cambiamento di destinazione di qualche ambiente. Le strutture originarie sono prevalentemente in opus quasi-reticulatum con ammorsature in tufelli o in laterizio, del tipo a vela, negli angoli esterni. Pure in laterizio sono i muri curvi, le semicolonne e i piedritti delle porte e delle nicchie, parte degli archi, anche se di piccole dimensioni, alcuni ricorsi in corrispondenza di fasce decorative, e, infine, le volte del praefurnium e dell’abside del calidarium. Inoltre tutte 11 P. DUCATI, St. dell’arte Etrusca, Firenze 1927, p. 371, fig. 412; G. Q. GIGLIOLI, L’arte Etrusca, Roma 1935, p. 14, tav. LVII; M. SANTANGELO, Musei e Monumenti Etruschi, Novara 1960, p. 98. 12 Sotto la fondazione sul lato Ovest ho raccolto frammenti ceramici d’impasto non posteriori al V sec. a.C. 13 Gravi devastazioni ha subito nel corso della prima o precedentemente, durante la guerra sociale, la necropoli del III e II sec. a.C., com’è apparso dallo scavo. 14 È un edificio del I sec. a.C. in parte scavato e in parte a terrapieno, ampliato in età flavia o più tardi. 15 È un grande complesso del II sec. d.C., con strutture in buon laterizio e opera reticolata, ad occidente del “Cardo maximus”. 16 Si tratta di una costruzione in laterizio a breve distanza dal Foro. 17 Sento il dovere di ringraziare il prof. Amedeo Maiuri, Soprintendente alle Antichità della Campania, per avermi concesso di pubblicare i risultati degli scavi e quanti sul posto mi hanno facilitato il lavoro. La pianta d’insieme è del prof. Antonio Uliano, quella delle terme centrali del prof. Ludovico Vassalio. Le fotografie sono in gran parte dell’archivio fotografico della Soprintendenza alle Antichità della Campania. 18 Ne è conservato un piedritto in buon laterizio di età imperiale. L’arcata era in bipedales.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 17

Fig 4 Cales, terme centrali, fronte Ovest, stato attuale.

le basi, le colonne e gli altri elementi architettonici sono in buon tufo grigio locale e le soglie e gli architravi delle porte in calcare bianco. Lo stesso calcare è usato sia per il nucleo, sia per il paramento in opera reticolata e tufelli della parte bassa di tutto l’edificio fino ad una linea perfettamente orizzontale19, per rispettare la quale i conci sono tagliati in diagonale. Al disopra di questa linea gli stessi elementi struttivi sono quasi dappertutto in tufo20 e, malgrado la minore durezza, di forma e taglio identici a quelli in calcare. Poiché le strutture in laterizio non tengono nessun conto della linea divisoria fra i due materiali è da escludere che si tratti di due fasi o momenti diversi della costruzione, e pertanto ritengo che tale originale sistema struttivo, di cui finora non conosco altri esempi, sia stato adottato per evitare schiacciamenti verticali. Le strutture più recenti sono invece prevalentemente in laterizio e in tufelli. Sono state parzialmente scavate tre file di ambienti comprendenti il nucleo centrale e la parte Sud (figg. 4-6). La parte originaria della fronte occidentale è ornata da semicolonne con basi attiche e capitelli ionici del tipo a due facce, quattro delle quali reggono ancora l’architrave a piattabanda di tufo. Fino a trent’anni fa esistevano avanzi di un secondo ordine con paraste, di cui si è rinvenuto nello scavo almeno uno dei blocchi di tufo21. Lo zoccolo in blocchi di calcare, su cui poggiavano le basi e di cui in corrispondenza del colonnato sussistono solo scarsi avanzi, prosegue ben conservato sotto il muro della sala G. L’unico ingresso finora scavato a Nord immette in un corridoio (A) ricavato dalla suddivisione della sala H. Più a Sud sono l’Apoditerio (B), il Tepidario (C) e il Calidario (D), le cui strutture affiorano per notevole altezza. Il primo, largo come gli altri due m. 8,80 e lungo m. 18,95, era ornato sui lati da semicolonne, di cui quelle estreme erano evidentemente unite da colonnati. Nonostante il successivo adattamento a frigidario e le devastazioni di epoca forse medioevale sono sopravvissuti notevoli avanzi della ricca decorazione originaria di secondo stile. Il pavimento era nella parte centrale in litostroto (scutulatum) nero e in quelle estreme in tessellato bianco e nero con meandri. Le semicolonne avevano basi attiche e capitelli ionici a quattro facce con kymation ad ovuli lanceolati. L’epistilio a piattabanda, conservato nella parte centrale del lato Ovest, è a due fasce con cornice superiore. Nella parte alta delle pareti, sopra delle cornici che s’interrompono in corrispondenza delle semicolonne, rientrando ad angolo retto, erano quadri a stucco in rilievo. Dei quattro parzialmente conservati ad Ovest solo tre lasciano ancora intravvedere parte del soggetto.

Fig 5 Cales, terme centrali, da Ovest, nel 1930. Fig 6 Cales, terme centrali. Apoditerio da Sud.

19

L’altezza dal pavimento dell’apoditerio è di m. 3,05. Solo nella parete Sud-Ovest, in ambienti di servizio, il tufo è usato anche nella parte bassa dei muri. 21 Tale “attico” documentato da una fotografia dell’Archivio del Museo Nazionale di Napoli, ha funzione identica a quello dei portici ad emiciclo del santuario della Fortuna Primigenia a Praeneste (G. GULLINI-F.FASOLO, Il santuario della Fortuna a Praeneste, Roma 1953, p. 321, fig. 202). 20

17


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 18

Fig 7 Cales, terme centrali, stucchi dell’apodyterium.

Nei primi due si distinguono erme del tipo Ludovisi di cui una con figura virile alata, della quale è perduta la testa, corone di foglie appese, un’edicola e un tripode. Nel terzo sono un’erma mancante della parte superiore, due aste e una grande brocca (fig. 7). Fra i numerosi frammenti di stucchi, rinvenuti sul pavimento e nelle due vasche inserite successivamente, abbondano gli elementi di una fascia decorativa a bugne lunghe e strette compresa fra due kymatia ionici, che era sottoposta alle cornici, cui appartenevano evidentemente alcuni elementi con mensole. Dei frammenti figurati il più interessante è una testa ritratto maschile di carattere veristico, dalle sopracciglia fortemente accentuate, che può essere accostata a ritratti di età Sillana o di poco posteriore (fig.10)22. Altri frammenti appartengono a figure di sapore classicistico che si richiamano a tipi del IV sec. a.C. (figg. 8-9).

Figg 8, 9, 10 Teste in stucco dalle terme centrali.

22 Cfr. soprattutto una testa dalla casa del Diadumeno a Delo (C. MICHALOWSKI, in Delos, XIII, Parigi 1932, p. 19 ss., tavv. X-XI) e un busto di bronzo del Museo Nazionale di Napoli (n. Inv. 5601, Guida Ruesch n. 791, K. LEHMANN-HARTLEBEN, Grossbronzen, II, Berlino 1927, p. 10, fig. 3).


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 19

Fig 11 Cales, terme centrali, torso di Artemide.

Dalla nicchia al centro del lato occidentale, che deve essere contemporanea alla trasformazione della sala, proviene evidentemente la statua di Artemide, di cui sono stati trovati il torso e altri frammenti nella vasca sottostante (fig. 11). È una variante del tipo di Siviglia23, di grandezza di poco inferiore al naturale, che si differenzia dalla maggior parte delle repliche per il balteo scoperto e per una certa povertà di particolari. La fredda e schematica esecuzione, in cui non cogliamo nulla della assai più viva modellazione dell’originale tardo-ellenistico, e l’estrema levigatura della superficie la pongono nella produzione corrente del II sec. d. C. Il tepidario (C) e il calidario (D) hanno, come i settori esterni dell’apoditerio, nicchie rettangolari nelle pareti. Nel secondo la “schola labri” è un’abside a ferro di cavallo del diametro di m. 6,50, che si apre in uno dei lati lunghi come nelle terme presso il foro triangolare a Pompei. Dal tepidario si accedeva all’ambiente E, a pianta quadrata, forse il “destrictarium” di cui si è conservato nel lato Nord l’attacco della volta a botte ad arco depresso, e da questo per una porticina larga m.0,75, a quello F. Quest’ultimo, a pianta circolare, misura m. 6,50 di diametro e ha quattro nicchie rettangolari sormontate da archi. Le suspensurae e i tubi fittili, di cui restano tracce nella parte bassa delle pareti, risalgono ad un rifacimento tardo ma, data anche la sua ubicazione, è evidente che l’ambiente era in origine un “laconicum” senza ipocausto e non il frigidario24. La sala G che, come abbiamo visto, appartiene alla fase successiva, è un secondo calidario, con una vasca nell’abside del lato Nord. Della parte di servizio delle terme si sono potuti finora riconoscere il corridoio I, di cui è conservata parte della volta e, ad esso prospicienti, l’ambiente D, il “praefurnium” (K) e il pozzo (L). Come si è visto, le terme centrali di Cales sono uno dei pochissimi edifici relativamente ben conservati di epoca anteriore al II sec. d.C. Anche se fino a scavo compiuto non si potrà avere un’idea esatta della funzione di tutti gli ambienti e dei successivi adattamenti e adeguamenti e benchè finora è accertata l’esistenza di una sola sezione, le terme pompeiane25 costituiscono il confronto migliore. I paramenti in opus quasi- reticulatum associati ad ammorsature a vela trovano confronto nel “theatrum tectum” di Pompei, datato verso l’80 a.C.26 In particolare il quasi-reticulatum è assai simile a quelle mura di Aeclanum, datate pure verso l’80 a.C., in cui, come a Cales, non è usata la schiuma di lava ma di calcare27. Potrebbe invece destare stupore in quest’epoca la forma triangolare dei mattoni, i quali hanno tuttavia uno spessore di 4 cm., che, per quanto io sappia, non troviamo in Campania in edifici di età imperiale28. Le nicchie per il vestiario o degli stalli con analoga funzione esistono, per quanto mi consta, solo nelle terme Stabiane e del foro a Pompei, nelle terme del foro di Ercolano e in un complesso termale di età repubblicana a Cuma29, mentre mancano del tutto già negli edifici termali più recenti delle due città vesuviane.

23

V. sul tipo M. FLORIANI-SQUARCIAPINO, in Boll.d’Arte XXXVIII (1953), p. 105 ss. Cfr. soprattutto il torso di Monaco A 919 (S. REINACH, Répert. Statuaire, III, Parigi 1904, 96, 1), quello da Cartagine (Répert. St., cit., III, 96,9), quello del Vaticano (Répert. St., cit., III, 255, 8; W. AMELUNG, Vat., I, 1893, pp. 41, 125) e la statua di Madrid (Rép. St., cit. IV, 1910, 1189, 8). 24 Le rotonde degli edifici termali più antichi di Pompei e di Ercolano (su queste ultime v. MAIURI, Ercolano, Roma 1959, p. 91 ss.) sono state generalmente interpretate come frigidari, anche dopo che lo Hartmann (Roem. Mitteilungen, XXXV, 1920, p. 152 ss.) aveva dimostrato attraverso una lunga disamina delle fonti, che erano adibite piuttosto ad uso di “laconicum” come del resto quelle delle terme centrali della stessa Pompei e delle terme suburbane di Ercolano (MAIURI, op.cit., p. 147 ss.), che sono di poco anteriori al 79 d.C. e dove, per la presenza delle “suspensurae”, non si pone il problema. Lo Staccioli (Archeologia classica, VII, 1955, p. 75 ss.) ha giustamente osservato che Vitruvio non parla del “frigidarium” come ambiente. Del resto sia a Cales, sia nelle terme Stabiane a Pompei, la rotonda è accanto al “tepidarium” come lo prescrive Vitruvio per il laconicum (V, 10, 5) e anche nelle terme del Foro a Pompei si accedeva in origine alla sala circolare dal tepidario attraverso l’ambiente quadrato reso accessibile dalla palestra in epoca più tarda. Come evidentemente anche a Cales, quest’ultimo doveva essere pertanto, come suppone lo Hartmann per le terme Stabiane, il “destrictarium” citato da una epigrafe di età sillana (C.I.L., X, 819) come aggiunto insieme al “laconicum”, cosa d’altra parte confermata dalla struttura dei due ambienti in quasi-reticulatum, diversa da quella del nucleo delle terme, che sono in opus incertum a grossi “caementa”. 25 Sulle terme Stabiane v. J. OVERBECK-A. MAU, Pompeij, Lipsia 1884, p.215 ss.; MAIURI, in Not. Scavi, 1931, p. 564 ss.; 1932, p. 507 ss. Sulle terme del foro OVERBECKMAU, p. 200 ss. Sulle terme presso il foro triangolare MAIURI, in Not. Scavi, 1950, p. 116 ss. Cfr. anche le terme del foro di Ercolano (MAIURI, Ercolano, Roma 1958, p. 91 ss.). 26 Cfr. G. Lugli, La tecnica edilizia romana, Roma 1957, p. 422, tav. CLIII, I; v. meglio il quasi-reticulatum a tav. CXXXVII, I. 27 I. SGOBBO, in Atti II Congr. Di Studi Romani, I, Roma 1937, p. 394 ss. 28 Cfr. invece i mattoni delle semicolonne e colonne della basilica di Pompei che hanno lo spessore di 5 cm. (sull’uso di mattoni in età sannitica a Pompei v. M. NAPOLI, Pompeiana, Napoli 1950, p. 238, n. 1). L’edificio viene datato dal Napoli (Pompeiana, p. 230 ss.) e dal Maiuri (Not. Sc., 1951, p. 125 ss.) all’ultimo periodo sannitico. 29 A Cales, nel tepidario e nel calidario i blocchi di tufo sotto le nicchie sporgevano originariamente di più, ma furono ridotti quando, successivamente, i tubi fittili vennero applicati alle pareti.

19


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 20

20

Lo schema decorativo dell’apoditerio ricorda nella disposizione degli elementi fondamentali esempi del “primo stile pompeiano”30 e alcune delle più antiche decorazioni di secondo stile, fra cui le pareti della sala n.6 della “Villa dei Misteri”31 e soprattutto di quella n. 46 della Casa del Labirinto a Pompei e della cella del Capitolium repubblicano di Brescia32. Assai vicini a quelli della Villa dei Misteri, la cui datazione alta verso il 70-60 a.C.33 mi pare la più convincente, sono anche alcuni particolari, fra cui il kymation ionico ad ovuli appuntiti. I quadri in stucco nella parte alta della parete sopra le cornici e il tipo di alcune erme ricordano invece motivi analoghi nella fase stilistica immediatamente successiva34. Tuttavia la predominanza ancora assoluta della linea, sia pure accompagnata da una nota coloristica di carattere ellenistico in qualche figura, impedisce di scendere con la datazione verso la metà del I sec. a.C. Anzi l’ottima qualità degli stucchi dell’apoditerio, certo più lontani da schematismi provinciali che non per es. quelli della casa dei Grifi sul Palatino35, sono elementi in favore di una datazione alta, verso il 90-70 a.C. C’è pur sempre da tener presente che si tratta, dopo la terma di Mercurio a Baia, che è però più recente, e accanto al nucleo più antico delle terme Taurine presso Centumcellae, del più grandioso complesso termale di età repubblicana finora conosciuto36 e che Cales era sede del questore per la Campania37. Anche di età repubblicana è il teatro; della sua originale costruzione di età ellenistica è visibile parte dell’analemma meridionale in opus incertum a grossi elementi; rifatto nella parte esterna, venne ampliato una prima volta fino a 70 metri di diametro e poco dopo di nuovo fino a raggiungere le mura. Le strutture sono tutte in opus quasi-reticulatum di tufo assai simile a quello delle terme centrali e in grossi tufelli, mentre le testate dei muri radiali erano in blocchi dello stesso materiale uniti senza malta. Le volte di sostruzione della cavea si raddoppiano andando verso l’esterno, disposizione di cui non conosco finora altri esempi. Del tempio nella zona a Nord del teatro affiorava prima dell’esplorazione parziale la parte anteriore del podio a due ripiani, di cui quello superiore è ornato da piattabande in laterizio38. È stata esplorata tutta la cella con parte delle peristasi, del cui pavimento in litostroto bianco sono conservati larghi tratti nel “posticum”. Il colonnato esterno era, come risulta dai pochi frammenti di colonne e di capitelli in marmo, di ordine corinzio. Anche se la costruzione attuale risale, a giudicare dalla tecnica costruttiva e dai pochi elementi decorativi superstiti, alla prima metà del I sec. d. C., alcune terrecotte trovate nelle vicinanze fanno supporre una fase precedente, non posteriore al IV sec. a.C. Pertanto nulla ci autorizza per ora a vedere in questo tempio il tempio di Augusto, di cui parte di una lastra dell’altare, con la dedica del 28 d.C., è stata trovata presso le terme centrali.

30

Cfr. per es. le pareti dell’atrio della “Casa di Sallustio” a Pompei (H.G. BEYEN, Die Pompeianische Wanddekoration, I, l’Aia 1938, fig. 1) e soprattutto una parete di giardino di Pompei (BEYEN, op.cit., I, fig. 3) e una parete della Casa del Meleagro pure a Pompei (Museo Borbonico, VI (1830), tav. A-B). 31 BEYEN, op. cit., I, figg. 15 ab, 17. 32 Sulla Casa del Labirinto v. BEYEN, op. cit., I, figg. 96-97, sul Capitolium di Brescia M. MIRABELLA-ROBERTI, in Atti del VII Congr. Internaz. Di Archeologia classica, II, Roma 1961, p. 347 ss., figg. 10-11. 33 K. SCHEFOLD, Pompeianische Malerei, Basilea 1952, p. 160 s., p. 176. 34 Sulle erme LUDOVISI v. E. PARIBENI, Museo Nazionale Romano, Sculture greche del V sec., Roma 1953, p. 16 s. Cfr. le erme del Criptoportico a Pompei (BEYEN, II, p. 102, figg. 32-40 e 59-61 a), che hanno però funzione tettonica. 35 Su questi ultimi v. G.E. RIZZO, Mon. Della pittura antica scoperti in Italia, III, fasc. I, tavv. C, V, VI; BEYEN, op. cit., I, fig. 8. 36 Sulle terme Taurine v. R. MENGARELLI, in Not. Sc., 1923, p. 327 ss., fig. 2; S. BASTIANELLI, ibidem, 1942, p. 236 ss., fig. 2; lo stesso, in Centumcellae, Roma 1954, p. 72 ss. Di un edificio termale di Cuma, databile dalle strutture al II sec. a.C. avanzato, come il nucleo delle terme Stabiane di Pompei, ma non ancora scavato, sono conservati avanzi di due ambienti di dimensioni minori a quelli corrispondenti di Cales. 37 Tac., Ann., IV, 27. 38 Era un periptero esastilo di m. 26x15 circa, con lo pteròn anteriore molto profondo.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 21

21

Fig 12 Cales, loc. S.Pietro, Terrecotte votive e vasi in miniatura. Fig 13 Cales, antefissa arcaica.

Poco più di un centinaio di metri verso Nord-Ovest, presso una delle porte della città, è stata rinvenuta, ma esplorata finora solo in parte, una stipe votiva in cui abbondano gli stamnoi in miniatura che vanno dal tipo protostorico a quello classico39. Fra i frammenti di statuette, pure d’impasto rosso, sono sia tipi maschili, sia femminili. Mentre i primi hanno per lo più carattere italico, alcune statuette femminili con polos sono visibilmente influenzate da tipi ionizzanti della prima metà del V sec. a.C. e ricordano sotto questo aspetto dei bronzetti campani e etruschi della stessa epoca (fig. 12)40. Nelle vicinanze sono stati rinvenuti casualmente frammenti di terrecotte architettoniche, fra cui un’antefissa quasi completa della fine del VI sec. o dell’inizio del V sec. a.C. con testa femminile fra due fiori di loto, di un tipo già noto da Cuma, da Capua e da Suessula (fig. 13)41. In una seconda stipe votiva, all’estremità Sud-Est della città, con materiale che va dal VI al II sec. a.C., e che era stata già parzialmente scavata nel secolo scorso e verso il 193842, sono stati eseguiti dei saggi per accertare l’esistenza o meno di stratigrafia.

39

Cfr. gli stamnoi dal santuario di Marica presso Minturnae (P. MINGAZZINI, Mon. Antichi Lincei, XXXVII (1938), coll. 88 ss., tav. XXXIV, 3, 5, 10). Cfr. per es. Röm. Mittheil., II (1887), p. 238 ss., fig. 8, da Suessula, e 7, 8, da Capua; J. HEURGON, Capoue préromaine, Parigi, 1942, tavv. VII-VIII, da Capua. Sui vasi a figure nere di tipo etrusco rinvenuti e, almeno in parte, prodotti in Campania v. MINGAZZINI, C.V., Museo Campano, III, p. 1 ss. 41 H. KOCH, Dachterrakotten aus Campanien, Berlino 1912, tav. XII, 5. 42 V. M. RUGGIERO, Scavi di antichità nelle Province di Terraferma, Napoli 1888, p. 272 ss. 40


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 22

Figg 14-15 Cales, terrecotte votive dalla loc. Ponte delle Monache.

22

Mentre da questo punto di vista l’esito è stato negativo, si sono potuti recuperare numerosi frammenti di terrecotte, di grandezza in parte naturale, fra cui prevalgono le figure femminili, qualcuna delle quali di tipo non ancora noto, con i capelli uniti al di sopra della fronte e orecchini ornati da gorgoneion (figg. 14,15). Ad occidente della città lungo la via Latina, presso il rivolo di Pezzasecca, sono state esplorate alcune tombe del IV sec. a.C. e qualche monumento funerario. Le prime in parte a fossa rettangolare con la sola copertura in lastroni di tufo e, in qualche caso, in tegole, in parte a cassa in lastroni di tufo con copertura a due spioventi molto ripidi. Di queste ultime, che sono generalmente le più ricche, alcune hanno un singolare tipo di decorazione. La cornice superiore dei lati lunghi, abbastanza frequente in altre tombe campane dov’è di solito più aggettante43, consiste in un listello inferiore dappertutto orizzontale e in una serie di tondini e di becchi di civetta che continuano sulle testate lungo gli spioventi (fig. 16). Il più antico dei monumenti funerari finora messi in luce è un tempietto con due ante sporgenti alle estremità della fronte del podio di un tipo finora conosciuto da Paestum44 e da Ostia45 (m. 5,16 sulla fronte per m. 4,63). Un frammento di iscrizione a grandi caratteri certamente pertinente la fa attribuire alla Gens Calpurnia46. La sagoma a quarto di cerchio, che ricorda da vicino quella inferiore del tempio piccolo di Pietrabbondante47, e frammenti ceramici trovati all’interno del podio suggeriscono una datazione al III sec. a.C. avanzato e con essa concordano gli avanzi di decorazione dipinta a fasce su elementi caduti dell’elevato e il ductus dell’iscrizione.

Fig 16 Cales, tombe del IV sec. a.C. in loc. Pezzasecca.

42

V. M. RUGGIERO, Scavi di antichità nelle Province di Terraferma, Napoli 1888, p. 272 ss. Cfr., p. es., Not. Scavi, 1936, p. 354, fig. 1. 44 P.C. SESTIERI, in Not. Scavi, 1948, p. 156 ss. 45 M. FLORIANI-SQUARCIAPINO, Scavi di Ostia, III, Roma 1955, p. 26 s., fig. 4. 46 C CALPV[rniu - CAPRV[- - - PIO 47 V. A. MAIURI, Passeggiate Campane, I, ed. II, Milano 1940, tav. XXVIII. 43


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 23

Fig 17 Cales, cippo funerario di M. Orofius.

Dinanzi al podio sono stati trovati in situ tre cippi in tufo su sepolture a incinerazione. Quello di M.Orofius che, malgrado la “m” di tipo osco, dovuta certo a ragioni ambientali, sembra per i caratteri epigrafici il più recente, è ornato dal busto a rilievo del defunto rivestito originariamente di stucco. Il viso molto appiattito, dai contorni netti, in cui sono annotati in modo molto schematico gli elementi essenziali e alcuni tratti fisiognomici, fa rientrare il pezzo nella corrente espressionistica del II sec. a.C. (fig. 17)48. Segue in ordine cronologico un monumento dal nucleo in opera a sacco e rivestimento in calcare bianco, il cui basamento quadrato misura m. 6,90x6,90 allo zoccolo. Gli elementi dell’elevato finora rinvenuti sparsi intorno ne danno un’idea abbastanza completa. Su una parte inferiore molto alta con paraste agli angoli e un fregio dorico sormontato dalla cornice molto aggettante sorgeva un monopteros circolare sormontato da cuspide. Il soffitto sotto quest’ultima è ornato da lacunari formanti un quadrato iscritto in un cerchio, con al centro una grande rosetta e nei quattro spazi esterni dei delfini. Per le sagome, il motivo a tralci con foglie cuoriformi del fregio del monopteros, lo stile di parte di un grande rilievo con un carro o un aratro trainato da buoi e il tipo dei capitelli ionici a quattro facce con kymation derivante da quello sannitico, il monumento deve essere sorto in età tardo repubblicana ed è poco più antico di quello abbastanza simile di Aquileia49. Più ad Est, pure sul lato Sud della Via Latina e di fronte al monumento dei Calpurni è stato parzialmente esplorato un grande complesso rettangolare di epoca tardo- augustea o giulio-claudia, la cui parte centrale era occupata da una natatio e che sarà stato probabilmente una palestra. Nel tardo impero il recinto divenne area di sepoltura e verso la fine del IV o nel V secolo fu inserita nella parte Sud-Ovest la primitiva chiesa di San Casto Vecchio, che ne incorporò parte dei muri perimetrali. Nella parte Nord dell’edificio sono stati rinvenuti gli avanzi di una camera sepolcrale absidata con strutture in laterizio e opera listata. Nell’abside, sotto il pavimento, erano quattro sarcofagi con copertura a due spioventi, di cui uno figurato in marmo bluastro, forse microasiatico, misurante m. 2,20x0,88x0,71 di altezza. Lo schema del lato anteriore è quello dei sarcofagi con stagioni, sostituite qui da erotes cacciatori di lepri, con al centro due vittorie ai lati di un medaglione rimasto anepigrafe (fig. 18)50. Sui lati corti sono delfini incrociati e il coperchio ha acroteri solo negli angoli anteriori e una modanatura lungo il lato posteriore. La relativa plasticità e organicità, il senso di volume delle figure, in cui sono ancora evidenti i rapporti con il classicismo gallienico, e la notevole attenuazione della linea del panneggio delle vittorie fanno rientrare il sarcofago nel cosiddetto periodo di transizione fra il 260 e il 280 d.C. all’incirca51.

48 Cfr. soprattutto una testa da Praeneste (O. VESSBERG, Die Kunst der Römischen Republik, Lipsia 1941, tav. XXI, 1), un rilievo del Nuovo Museo Capitolino (ibidem, tav. XXII, 1) e dei denari della metà del II sec. a. C. (ibidem, p. 116 s., tav. XX, 6-7). 49 G. BRUSIN-A. DEGRASSI, Il monumento funerario di Aquileia, Padova 1956. 50 Il motivo delle lepri è assai raro e trova riscontro per quanto io sappia solo in un sarcofago del Museo delle Terme (inv. 135.930), databile verso la metà del III sec. d.C., di cui devo la conoscenza alla gentile segnalazione della collega dott.ssa V. Scrinari. Su sarcofagi con putti e vittorie v. G. HANFMANN, The Season sarcophagus in Dumbarton Oaks, Cambridge (Mass.) 1951, p. 43. 52 Prevalgono fra i frammenti decorati quelli di coppe ombelicate e di coppe a medaglione, ma mancano fino a questo momento i gutti. I motivi rinvenuti qui sono fra quelli già noti. Invece nella zona di Ponte delle monache, all’interno della città, dove il rinvenimento di matrici, fra cui una variante di coppa di Ulisse (PAGENSTECHER, n. 126, p. 81 s.) (fig. 19 a, b), fa pensare ad un’altra officina, sono stati trovati tipi nuovi. Uno di questi, frammentario, rappresenta Afrodite che si lava le chiome (fig. 21). Un altro, del tipo Pagenstecher n. 54 (p. 55 s., fig. 31) (fig. 20), con scena di vendemmia, reca il bollo “C. ATILIO”, evidentemente una variante del bollo Pagenstecher p. 148, n. 9-19, che ricorre su coppe e gutti databili ancora alla prima metà del III sec. a.C. Questi rinvenimenti confermano l’attribuzione di gran parte della ceramica cosiddetta calena e, fra l’altro, di tutta quella con bolli, a Cales, cosa che sembrava già logica in seguito al rinvenimento in quella città di ben quattro matrici pubblicate dal Pagenstecher (nn. 5, 26, 133 h, 138), che erano finora le sole di provenienza sicura. Purtroppo non possiamo pertanto andare d’accordo con quanto è stato scritto recentemente dal Mingazzini (Arch. Classica, X, 1958, p. 224 ss.).

23


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 24

24

Fig 18 Cales, sarcofago dalla loc. Pezzasecca.

L’assenza dei valori compositivi che troviamo invece in sarcofagi romani contemporanei, e del busto a rilievo nel medaglione di questi ultimi può far pensare ad una officina campana, anche se la qualità del lavoro è discreta. A nord della Via Latina, alle spalle delle tombe sono stati eseguiti dei saggi in due scarichi di officine figuline. Mentre quello occidentale ha dato ceramica campana del tipo B e presigillata di età tardo-repubblicana, nell’altro sono stati rinvenuti frammenti di ceramica del III sec. a.C., alcuni dei quali con decorazione a rilievo di tipo “Caleno”52. Sotto quest’ultimo è stata inoltre accertata l’esistenza di fondi di capanna dell’età del ferro, con finora ben 10 strati nettamente differenziati. Il materiale finora trovato è datato dall’associazione dei frammenti di ceramica proto corinzia all’VIII e all’inizio del VII sec. a.C. e mentre nelle fasi più antiche prevale oltre all’impasto grezzo quello buccheroide, in quelle più recenti appare quello a superficie rossa lustrata. Fra le forme sono frequentissime le situle e le coppe a spalla concava con bugne fra i manici. È il primo abitato dell’età del ferro finora riconosciuto in Campania a Nord del Volturno in territorio che la tradizione dice abitato dagli “Ausones”53 e il recente rinvenimento di tombe con materiale strettamente affine presso Sessa Aurunca54 sembra confermare tale notizia.

53

Liv. VIII, 16; Dionys., I, 15 fr. Il materiale di questa necropoli ha notevoli analogie con quello delle necropoli laziali, più che con quello campano a Sud del Volturno, il che farebbe pensare ad una differenza culturale fra Opici e Ausoni. 54


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 25

Fig 19 Matrice e calco di coppa calena.

25

Figg 20-21 Cales, frammenti di coppe a medaglione.




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 28

Nuova epigrafe di Cales*

28

Fig 1 Epigrafe da Cales.

*

W.J., Nuova Epigrafe di Cales, Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli, n.s. vol.XXXVII, 1962, pp. 163-166.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 29

L’epigrafe che qui si pubblica1 è stata rinvenuta casualmente nel 1958 nell’area urbana dell’antica Cales, e precisamente fra le terme centrali, allora non ancora scavate, e il «Cardo maximus», nella zona del Foro. È incisa con bei caratteri tendenti, salvo nell’ultima riga, al corsivo, nella parte superiore di una lastra di marmo italico, frammentata in basso2. In alto e sui lati è contornata da un kymation lesbio di tipo classicheggiante, ma dalla modellazione piuttosto secca, con negli angoli foglie di platano. In alto, separata da un breve listello, è una fascia a rilievo con tre bucrani da cui si diramano rami di alloro disposti a mo’ di festone. La modellazione, un po’ dura e lineare, anche se non del tutto esente dalla vivacità compositiva negli elementi vegetali, indulge un po’ al pittorico nelle teste di bue completamente scarnite, per le quali si è fatto anche uso del trapano. Sotto l’epigrafe, a destra delle ultime due righe, è conservata la parte superiore di una elegante oinochoe dal becco trilobato e dall’ansa sopraelevata contornata da una fila di fori incisi col trapano, mentre altri fori meno profondi segnano l’attacco del labbro. Il testo, perfettamente conservato, salvo nell’ultima riga, i cui elementi sono però sufficienti per una integrale restituzione, è il seguente:

Sacratissimo die natali Divi Augusti // prosperis felicibusque auspiciis dedicata // est per pontifices et augures pecunia // Q. Murrasi Glyconis L. Dentri Communis // VIIII K(alendas) octobr(is) L. Iunio Silano C. Vellaeo Tutore Co(n)s(ulibus). Sacr(um)

1 Ringrazio il prof. A. Maiuri, allora Soprintendente alle Antichità della Campania, per avermene concesso la pubblicazione. Il recupero è stato curato dal custode Vincenzo Perrotta, le fotografie sono dell’archivio fotografico della Soprintendenza alle Antichità. 2 Alt. conservata m. 0,45, lung. m. 0,65, spessore della lastra m. 0,11. 3 V. A. DEGRASSI, Inscriptiones Italiae XII (Fasti et Eogia), Roma 1947, pp. 299, 663. Sul problema della datazione v. P. ROMANELLI, in Boll. Commiss. Archeol. Comunale LXVII (1939), Suppl. pp. 41 s.

29


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 30

30

È evidente che si tratta di parte di una lastra di rivestimento di una ara, anzi della sua fiancata destra, poiché la riga 7 non è che la prosecuzione di una formula dedicatoria con il nome della divinità che era sulla fronte o sul lato opposto, o, se era più di una, forse su ambedue. Risulta anche chiaro dall’ubicazione dell’urceus che quest’ultima è contemporanea alla lavorazione della lastra, mentre le altre sei righe si sono dovute adattare allo spazio esistente dopo la messa in opera. L. Giunio Silano e C. Velleo Tutore sono i «consules suffecti» del 28 d.C.3 e pertanto a tale anno dev’essere datata l’ara con la sua modesta, ma pur sempre interessante ornamentazione. Infatti il motivo della fascia superiore non è dei più frequenti. I bucrani sono del tipo ossuto, comune all’età augustea in poi, ma i rami d’alloro disposti a mo’ di festoni li troviamo in forma abbastanza simile solo nell’ara dei Lari al Museo Vaticano4, in un’altra ara da Cerveteri al Laterano5, in un elemento di fregio del Museo Nazionale di Napoli6, identici fino nei particolari a quelli di Calvi e nella fontana Sud dell’agorà di Corinto7. Mentre però nelle due are, databili ad età tardo-augustea e tiberiana non troppo avanzata8, i rami, fortemente incurvati come dei pesanti festoni, campeggiano nel vuoto, nel fregio di Napoli che è l’esempio di qualità migliore, come a Corinto e a Calvi abbiamo un maggiore equilibrio fra composizione e spazio disponibile. I rami leggermente inflessi sono adagiati fra i due listelli e i bucrani, di proporzioni minuscole, hanno più che altro la funzione di cesura, resa più evidente dalle «vittae» che pendono, sia pure un po’ flosce, dall’innesto con i rami. La scarsa profondità del rilievo, il moderato pittoricismo di questi due e la composizione piuttosto rada costituita da pochi elementi lineari s’inquadrano bene nella moda decorativa del cosiddetto «terzo stile pompeiano», anche se non conosco esempi di tale ornamentazione nella pittura. Il ritrovare lo stesso identico motivo, uguale persino nel numero e nella disposizione delle foglie e delle bacche, nello stesso linguaggio formale a così grande distanza e per giunta a Cales su una superficie piana, e a Corinto su una modanatura a «cyma recta»9 è dovuto certamente, come nella pittura, all’uso di cartoni. Possiamo aggiungere che anche la fontana di Corinto faceva parte di un complesso di carattere pubblico e presenta nei capitelli strane combinazioni di elementi italici e greci10. Poiché Corinto era colonia di cittadini fondata non molto prima e temporaneamente capitale della provincia Acaia, nulla autorizza a datare la prima fase di tale fontana ad epoca di molto posteriore all’ara di Cales, e pertanto la datazione a poco prima della metà del I sec. d. C. proposta dal Broneer11 ci sembra anche se in linea di massima accettabile, forse un po’ troppo bassa. Con una cronologia un po’ più alta non contrasterebbe infatti anche lo stile delle parti decorative decisamente più plastico e meno lineare che non negli elementi architettonici del bema nella agorà della stessa Corinto, con cui li confronta il Brooner12.

4

W. ALTMANN, Die römischen Grabaltaere d. Kaiserzeit, Berlino, 1905, p. 176, n. 232, fig. 141. ALTMANN, op. cit., p. 177, n. 235, fig. 143. 6 V. SPINAZZOLA, Le arti decorative in Pompei e nel Museo Nazionale di Napoli, Milano 1928, tav. XIX. 7 O. BRONEER, Corinth I, parte IV, pp. 116 s., 127 s., fig. 64, 6. 8 Quella del Vaticano viene datata al 7 d. C., l’altra sembrerebbe di non molto posteriore. 9 In Grecia simili incongruenze sono abbastanza frequenti nell’architettura del I sec. a.C: cfr. p. es. i fregi con sagoma ad onda del monumento di Babbio a Corinto (Corinth I parte III (1951) pianta D) e del frontescena neroniano del teatro di Dioniso ad Atene dove vi è incisa l’epigrafe dedicatoria (E. FIECHTER, Das Dionysostheater in Athen III), Stoccarda 1936, figg. 41-43, tav. VIII, 1. 10 BRONEER, Corinth I, parte VI, tavv. XXXVII-XXXVIII. 11 Op. cit., pp. 127 s. 12 Cfr. Corinth I, parte III, tavv. XLII, XLIX, XLIX, 2, 3. 5


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 31

Tornando al motivo in questione è logico ritenere che lo sviluppo verso la forma che troviamo a Cales e a Corinto sia avvenuto in ambiente italico e non certo in Grecia, dove nel periodo Giulio-Claudio non conosciamo, nel campo della decorazione architettonica, che rielaborazioni non molto felici di temi più antichi (v. sopra nota 9). Rari sono invece quelli della κοινή romana, anche se più abbondanti che non nei periodi successivi e nella stessa Corinto, più aperta agli influssi occidentali, essi vengono talvolta malamente adattati come nel caso in questione che ne è un tipico esempio. A considerazioni non meno interessanti ci induce il testo dell’iscrizione. L’ara, che di questa si tratta, è stata dedicata e consacrata con il rito, usuale a Roma e nei municipi e colonie, dai pontifices dopo un responso favorevole degli augures13. I donatori non sono altrimenti noti, ma mentre il primo, di evidente origine libertina, appartiene ad una «gens» attestata oltre che a Cales anche a Capua14, la gens Dentria che compare a Cales in una epigrafe sepolcrale rinvenuta di recente, non è finora nota in altre città della Campania15. L’ara era evidentemente sacra ad Augusto o al suo genio, che altrimenti non si spiegherebbe la data della dedica. Interessante è anche l’epiteto «sacrissimus» di cui per quanto io sappia non abbiamo altre testimonianze per il natalizio dell’imperatore, nel quale venivano celebrati dei sacrifizi16 e, fin dall’8 a. C., dei ludi circensi (Dio. Cass. 55, 6)17. Per quel che riguarda in particolare Cales abbiamo così una nuova importante testimonianza del culto di Augusto, già attestato da epigrafi relative al collegio degli Augustali e a suoi componenti18.

13 Serv. ad Aen. I, 446 «antiqui aedes sacras ita templa faciebant ut prius per augures locus liberaretur affareturque, tum demum a pontificibus consacraretur, se post ibidem sacra edicerentur». 14 Cfr. C.I.L., X 4652, 4690 (Cales), 4367 (Capua). 15 Nel vicino «Latium adiectum» la gens Dentria è invece largamente attestata ad Aquinum (Cfr. C.I.L., X 5406, 5413, 5463, 5531). 16 Come espressamente stabilito in due decreti di Atene (I.G. II² 1071) e di Mitilene (I.G. XII, 2, 58²º); v. anche A. BENJAMIN, in Hesperia XXVIII (1959) pp. 65 s. 17 V. E. DE RUGGIERO, Dizionario epigrafico di antichità romane, s.v. «Dies Natalis» e I (Roma 1886) pp. 914 s. sul culto di Augusto. 18 Cfr. C.I.L., X 4651, 3919, 4643, 4645, 4646, 4647, 4653, 4659, 4661, 8378. Il culto del Lar Augusti è attestato dalla dedica C.I.L. X 4364.

31




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 34

Modelli di edifici da Teano*

34

Figg 1 - 2 Tempietto n.1 da Teano.

Nello scavo da poco iniziato del grande complesso di santuario al limite Nord dell’antica Teanum Sidicinum, in località Loreto, sono state rinvenute due favisse di notevole entità, di cui diamo maggiori ragguagli altrove, nella relazione preliminare. La più antica è stata depositata al più tardi verso la metà del III sec. a.C. e la più recente negli ultimi decenni del II sec. a.C. I modelli di edifici e le arule che qui si rendono noti1 provengono tutti, salvo il frammento n. 4 raccolto in superficie e quello n. 6 trovato presso il sacello B, da quest’ultima. Inoltre almeno i tempietti più completi nn. 1 e 2, sono stati rotti al momento dello scarico nella favissa, poiché i loro frammenti giacevano sparsi e a profondità diverse in uno spazio di circa 4 mq. Tutti i modelli, salvo l’arula n. 7, sono in un’argilla rossa tendente al viola, abbastanza depurata, dai piani di frattura irregolari, che è da considerare locale2. In tutti, infine, le singole parti sono state modellate separatamente e subito dopo attaccate. Il n. 1 (figg. 1-2) è un tempietto prostilo con due colonne sulla fronte e cella interamente aperta fra le ante. Il piano su cui poggia l’elevato misura alla base m. 0,44 sulla fronte e m. 0,315 di profondità. L’altezza fino al tetto è nel lato anteriore di m. 0,44, l’altezza totale di m. 0,5253.

*

W.J., Modelli di edifici da Teano, Bollettino d’Arte 1962, pp. 63-69.

1

Ringrazio in particolare il prof. Amedeo Maiuri, fino a poco tempo fa Soprintendente alle Antichità della Campania, per avermi concesso la pubblicazione di tali importanti oggetti e colgo l’occasione per ringraziare il Barone Michele Mazzoccolo, proprietario del suolo, che ha messo a disposizione con la massima liberalità il suo fondo per le ricerche. Il tempietto n. 1 è stato ricomposto dai restauratori Luigi Formicola e Cristoforo Miele della Soprintendenza alle Antichità della Campania, dal cui Gabinetto fotografico provengono le fotografie. 2 Nella stessa argilla sono gran parte delle terrecotte votive di grandi dimensioni e le terrecotte architettoniche di età ellenistica rinvenute nel santuario. Matrici di terrecotte architettoniche della stessa epoca sono state trovate recentemente a Teano in località Trinità, lungo la strada provinciale per Torricella, 50 metri ad Est del bivio per la stazione. 3 Sono di restauro la parte centrale dello zoccolo, gran parte della parete di fondo e di sinistra, la parte posteriore sinistra del tetto, parte dell’anta di sinistra e le estremità della colonna di destra.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 35

Fig 3 Frammenti dei tempietti nn. 4 e 3 da Teano.

Le ante, scanalate sulla fronte, hanno dei semplici listelli in funzione di basi e capitelli, mentre le colonne, lisce e leggermente rastremate, ne sono prive. Sul lato anteriore di queste ultime sono due figure a rilievo di satiri stanti, nell’atto di suonare la siringa. Il campo frontonale, compreso tra un listello orizzontale e il bordo del tetto, solo leggermente ingrossato verso l’alto, era fiancheggiato da due antepagmenta, che scendono a coprire la parte più alta delle colonne. Su quello di sinistra, parzialmente conservato, è una figura panneggiata, probabilmente femminile, in movimento verso il centro, e una figurazione simmetrica sarà da ricostruire sull’altra. Al centro del frontone è un busto femminile panneggiato e tagliato a semicerchio, dal capo leggermente girato verso destra e con, all’incontro delle bretelle incrociate, un disco con testa non meglio identificabile. Ai lati sono due delfini dal muso molto lungo. Sul listello che ha funzione di sima frontale erano un disco acroteriale centrale leggermente frammentato in alto, con testa di Dioniso coronata di pampini, e presso le estremità altri due con testa femminile, di cui è perduto quello di destra. Sul tetto sono quattro file di coprigiunti che attraversano il colmo e terminano con antefisse circolari a rosetta. Su ambedue i lati del disco acroteriale centrale, a fianco di ognuno di quelli laterali e, in numero di 3 sulla fronte di ogni colonna fra le teste dei satiri e gli antepagmenta, sono incisi dei fori, evidentemente per bastoncini che dovevano reggere qualcosa. Si potrebbe pensare a dei festoni, forse con un clipeo al centro, disposti in modo simile a quelli dipinti nella tomba della Tassinaia a Chiusi4 e con le estremità pendule come anche nella ceramica tipo “Gnathia”5. Ma siamo nel campo delle ipotesi, tanto più che la direzione obliqua dei fori nelle colonne renderebbe possibili almeno per questi ultimi anche altre soluzioni. Tutto l’edificio si allarga e si innalza leggermente andando dal retro verso la fronte, ma data la mancanza di altri esemplari completi non si può dire con certezza se ciò sia dovuto ad un accorgimento estetico o piuttosto ad un difetto di cottura6. Del tempietto n. 2 (fig. 4) sono stati trovati tre frammenti della parte superiore. Quello A (m. 0,12 di larghezza, m. 0,14 di altezza, m. 0,085 di profondità) comprende la parte di destra del frontone, con il geison obliquo molto aggettante. Il timpano è incassato fra cornici costituite da una gola fra listelli al cui incontro è un foro. Sul lato inferiore del frammento è l’attacco della trabeazione lavorata a parte. I frammenti B (lungh. m. 0,12, Fig 4 largh. m. 0,05, alt. m. 0,09) e C (lungh. m. 0,095, Frammento del tempietto largh. m. 0,12) appartengono rispettivamente aln. 2 da Teano. l’estremità di uno spiovente con bordo obliquo e parte del muro della cella, e al colmo del tetto, anch’esso attraversato da file di coprigiunti a sezione più o meno semiellittica, i quali però non terminano con antefisse. La forte pendenza del tetto di ben 40° non trova finora riscontro tra i modelli di Teano.

4

Su quest’ultima v. R. BIANCHI-BANDINELLI, in Mon. Ant., XXX, 1925, coll. 263 ss., fig. 7. Forse avevano lo stesso scopo i fori nei mutuli di un’urna a tempietto da Chiusi con Lasa seduta sul davanti (ora al Museo Britannico; cfr. F. MESSERSCHMIDT, in Röm. Mitt., XLIII, 1928, p. 9 ss., fig. 1 tav. V). 6 Nella ceramica campana tale tipo di decorazione persiste, irrigidendosi sempre di più fino al III sec. a.C. molto avanzato (cfr. Gallia, XII, 1954, p. 53, fig. 15 da una nave affondata presso Marsiglia). In uno dei tempietti da Medma (P. Orsi, in Not. Scavi, 1913, Suppl. p. 69, fig. 76) e in uno da Capua (N. Inv. 189, G. Patroni, Cat. vasi del Museo Campano, Capua 1899, pp. 269, 667-7113, tav. XII e sotto) sul lato posteriore è praticato un buco di sfogo a clepsidra, ma ciò malgrado il primo si è deformato. 5

35


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 36

36

Fig 5 Frammento del Tempietto n.5 da Teano.

Fig 6 Frammento del Tempietto n.6 da Teano.

Anche del tempietto 3 (fig. 3b), pure proveniente dalla favissa, sono stati trovati tre frammenti, di cui due angolari della parte posteriore della cella (A, B, alt. risp. m. 0,12 e m. 0,20) e uno (C) (largh. m. 0,075, prof. m. 0,035, alt. m. 0,062, pendenza circa 38°) con il disco acroteriale di sinistra su un geison molto aggettante. La sima è rettilinea e sul disco è un “gorgoneion” con folta capigliatura ricadente sui lati in due masse quasi compatte a terminazione orizzontale. A sinistra del mento è un foro con funzione evidentemente analoga a quelli di 1 e 4. Poco più grande è il frammento del tempietto 4 (fig. 3a), (largh. m. 0,145, prof. m. 0,108, alt. m. 0,09) raccolto sul terreno circa 10 m. ad Ovest della parte esplorata della favissa, che comprende parte del geison e della sima frontonale con disco acroteriale centrale, del tetto con il “kalypter hegemon”, e del campo frontonale. La sima, piuttosto alta, è costituita da una gola, da una fascia piana e da un breve listello terminale. Sul disco è una testa gorgonica di tipo analogo a quello del n. 3, ma un po’ meno lontana dal prototipo ellenistico. Sulla sua sinistra, nella gola della sima, è un foro. Del tempietto 5 (fig. 5) ci è pervenuta l’estremità sinistra del frontone con parte del tetto frammentato all’attacco del geison obliquo (largh. 0,18, prof. 0,135, alt. 0,145). Sotto l’angolo e è la traccia della colonna, dinanzi ad esso la traccia rettangolare di una trave che si prolungava fino al mutulo, e nel campo frontonale un’antefissa semiellittica con testa femminile. Il tempietto 6 (fig. 6) infine, del quale è stato trovato il colmo del frontone con parte del tetto (largh. m. 0,25, prof. m. 0,145, alt. m. 0,138), aveva il timpano aperto o fortemente arretrato, una sima piuttosto alta del tipo più semplice e un’antefissa con testa femminile al posto del disco alla testata del “columen”.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 37

Figg 7 - 8 Arula fittile da Teano.

Fig 9 Arula in tufo da Teano.

L’arula 7 (figg. 7, 8) è il modello che, nella forma e nelle proporzioni, più s’avvicina ai tipi realmente esistiti. Alta m. 0,163, larga e profonda alla base m. 0,105, è costituita da uno zoccolo a semplice listello, da un parallelepipedo fra due sagome con toro accoppiato ad una “cyma reversa”, dai pulvinaria a volute e da due guance. Mentre queste hanno i contorni del motivo oltremodo frequente della palmetta fra due volute ad S, i pulvinaria sono di tipo abbastanza comune, con fascia centrale e estremità espanse. Ben diversa, e non solo per il materiale, tufo grigio – bluastro locale, è l’arula 8 (fig. 9), di proporzioni alquanto più slanciate (m. 0,12 x 0,10; alt. m. 0,194) che ha uno zoccolo costituito da un listello e un toro, e in alto un semplice listello. Nella faccia anteriore è rappresentata una porta a due battenti costituiti da una serie di elementi verticali. Nel loculo, circondato su tre lati da un bordo sopraelevato, è incisa la sigla SK. I caratteri sono quelli oschi normali, K è evidentemente la sigla della divinità ancora ignota, anche se non è del tutto da escludere che sia Keri o Kerri, o dell’offerente, mentre S è quella di sakarom (sacrum) o la terza persona del verbo corrispondente (sacravit)7. Il gruppo più interessante è quello dei tempietti, i quali, per quanto io sappia, sono fra i pochi di età ellenistica che possono essre datati in base a dati archeologici, sia pure nello spazio di pressappoco un secolo e mezzo. Anche se si tratta evidentemente di semplificazioni più che di riduzioni fedeli di edifici realmente esistiti, non si può negare, come vedremo, qualsiasi rapporto diretto con l’architettura templare italica della Campania, della quale peraltro ben poco sappiamo8. Naturalmente ciò non implica obbligatoriamente una derivazione da edifici del santuario nel quale sono stati trovati, e, direi, neanche sempre una relazione con la divinità cui sono stati offerti, salvo naturalmente la statua di culto la quale almeno in quello n.1 non era un elemento integrante. Infatti nulla farebbe pensare ad un rapporto stretto fra i motivi dionisiaci nel disco acroteriale e dinanzi alle colonne di quest’ultimo e una dea che dal materiale della stipe risulterebbe piuttosto affine ad Afrodite. Inoltre i delfini e altri animali marini sono un luogo comune nei frontoncini delle stele funerarie di Teano, talvolta associati ad un clipeo9, che peraltro forse nei tempietti non mancava del tutto10. Altri luoghi comuni sono i gorgoneia nei dischi acroteriali e, se è lecito interpretarlo in tal senso, quello all’incrocio delle bretelle del busto nel frontone del n. 1. Come nelle “Cariatidi” da Vaste11 le quali sono da datare in ogni caso in epoca ad esso abbastanza vicina, esse hanno infatti funzione esclusivamente decorativa.

7

Cfr. per tali forme R.S. CONWAY, The Italic Dialects, Cambridge 1897, I, p. 191 (n. 175) e II, p. 653. Dei templi di cui si sono trovati almeno avanzi del podio quello nel foro di Cuma (A. MAIURI, in Campania Romana, I, 1938, p. 1 ss.) può risalire alla fine del IV sec. a.C. o all’inizio del III secolo; mentre non molto posteriore dev’essere quello di Diana Tifatina (A. DE FRANCISCIS, Templum Dianae Tifatinae, in Arch. St. di Terra di Lavoro, II, 1956, p. 316 ss.). Fra la fine del III e il II sec. a.C. vanno datati forse quel poco che rimane delle strutture di età sannitica del tempio di Apollo a Pompei, i quattro edifici finora scoperti nel santuario di Teano (fig. 10), il Dionysion in località S. Abbondio e il tempio di Zeus Meilichios a Pompei (MAIURI, Pompei, Itinerario, 9a ed. , Roma 1958, p. 102, tav. LXII, fig. 107; J. OVERBECK-A.MAU, Pompeji, Lipsia 1884, p. 110 ss.) e i podii dei “Capitolia” di Liternum (MAIURI, Campi Flegrei, Itinerario, 3 a ed., Roma 1958, p. 162) e di Pompei (Id., in Not. Scavi, 1942, p. 285 ss.). 9 Cfr. E. GABRICI, Mon. Ant., XX, coll. 11 s., fig. 5; Enc. dell’Arte antica e orientale, II, s.v. “Capua” (Museo), p. 335, fig. 484; M.W. FREDERIKSEN, Republican Capua, in Br. Sch. Rome, XXVII, 1959, p. 96. 10 Forse aveva tale funzione una pelta con Scilla rinvenuta nella favissa più recente. 11 P. WUILLEUMIER, Tarente, Parigi 1939, p. 289 s., tav. IX, 1, 4; L. BERNABÒ BREA, in Riv. Ist. Naz. Arch. e St. Arte, N.S. I (1952), p. 94, figg. 65-66. 8

37


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 38

38

Di carattere altrettanto generico è quindi il busto, che deriva infatti con ogni probabilità da esempi analoghi su coppe a medaglione fin dal primo ellenismo12. Mentre ragioni cronologiche si oppongono almeno per ora ad un eventuale rapporto con le “imagines clipeatae”, che derivano certo dallo stesso tipo di vaso13 e appaiono anche nei frontoni, ma non prima dell’età imperiale14, un altro motivo non pare del tutto estraneo all’origine di quello che abbiamo discusso. È la testa femminile fra racemi che troviamo in analoga situazione nella “Tomba del Tifone” a Sovana15 e non è che una derivazione provinciale della testa che spunta da un cespo d’acanto, tema d’origine forse apula, che ha resistito finora ai tentativi d’interpretazione16 e che è stato largamente applicato in Campania, a partire dal primo ellenismo, nei capitelli figurati di tipo tarantino17, ma soprattutto nelle antefisse18, dove sostituisce il tipo arcaico analogo con il fiore di loto19. Riprenderemo questo discorso più oltre laddove tratteremo più specificamente il problema architettonico, ma a proposito dei già citati capitelli sarà interessante notare che quelli con figure a mezzo busto sono assai probabilmente più recenti degli altri20. Quanto al modello 1, il prostilo diptero senza podio che è accanto all’ “oikos”- il tipo più comune fra i tempietti votivi greci e italici - trova riscontro nel tempio di Alatri, che per le sagome può essere datato al III sec. a.C.22 Comune nei modelli italici è anche l’assenza della parete anteriore della cella, e ciò in funzione della visibilità della statua di culto23. Non conosco invece altri esempi della combinazione del campo frontonale chiuso con gli antepagmenta, che abbiamo pure nel tempietto 1, ma lo strano tipo di frontone della “tomba del Tifone” di Sovana con gli elementi di raccordo fra geison orizzontale e obliquo24 può esserne un ricordo. E sarà interessante notare a questo proposito, oltre alla già discussa analogia nella decorazione frontonale, quella dell’assenza dell’antepagmentum centrale. Mi pare evidente che in ambedue i casi abbiamo il ricordo di soluzioni di transizione dal frontone aperto con antefisse del tipo rappresentato probabilmente dal nostro frammento n.6, da quelli da Orvieto25 e da Nemi26 e in alcuni specchi etruschi27 - a quello chiuso. Una fase di sviluppo intermedia è rappresentata forse dal frammento da Fratte28 e certamente dal nostro n. 5, mentre nel n.1 il motivo dell’antefissa, ingigantito, è diventato quello centrale del rilievo.

12

Cfr. R. PAGENSTECHER, Calenische Reliefkeramik, Berlino, 1909, tipi n. 1 (fig. 5), 7 (fig. 8), 29 (fig. 17), 93 (tav. XII). Cfr. sulla questione O. VESSBERG, Studien zur Kunstgeschishte der romischen Republik, Lund 1941, p. 78 s., e O. DEUBNER, in Ath. Mitt., LXII, 1937, p. 79 ss. 14 Per es. nel frontone dei grandi propilei di Eleusi quella di M. Aurelio (V. DEUBNER, op. cit., p. 73 ss.; U. WEGNER, Die Herrscherbildnisse in Antoninischer Zeit, Berlino 1939, p. 172). Una “imago clipeata” di Corinto del primo terzo del II sec. d. C. (F.P. JOHNSON, Corinth IX, Cambridge Mass., 1931, n. 173, p. 90) era certamente al centro di un frontone. 15 R. BIANCHI-BANDINELLI, Sovana, Firenze 1929, p. 66 s., fig. 39, tav. XXVIII. 16 Su questo motivo cfr. oltre BIANCHI-BANDINELLI, op.cit., anche E. BIELEFELD, in Arch. Anz., 1950-51, p. 47 ss. 17 Su quelli conosciuti a Pompei e a Napoli cfr. K. RONCZEWSKI, Arch. Anz. 1934, coll. 17 ss. I più antichi sono certamente i capitelli di uno degli ipogei in Via Cristallini a Napoli, databili alla fine del IV o alla prima metà del III sec. a. C.e assai vicini ad alcuni esemplari di Taranto. 18 Cfr. p. es. H. KOCH, Dachterrakotten aus Campanien, Berlino 1912, tavv. XIV, 5, XV, 3, da Capua; P.C. SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, p. 96 ss., figg. 12-14, da Fratte (Salerno); e W. JOHANNOWSKY, in Bull. d’Arte, XLVI, 1961, p. 264, fig. 13, da Cales. Altri esemplari vengono da Suessula (KOCH, op. cit., p. 99), da Cuma e da Teano. 19 KOCH, op. cit., tavv. XII, 2, 5, XIII, 2, 3, XIV, 2. 20 Tale considerazione vale sia per Taranto, sia per la Puglia, la Lucania e la Campania (cfr. RONCZEWSKI, loc. cit.), se non consideriamo le sopravvivenze provinciali. 21 Cfr. elenco con bibliografia, in A. ANDRÉN, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund 1940, p. XXIV ss. Il modello da Orvieto è ripubblicato dallo stesso, in Rend. Pont. Accad., XXXII, p. 35 s., fig. 12. Sul modello di Fratte cfr. P.C. SESTIERI, in Boll. d’Arte, 1948, p. 335 ss., e Not. Scavi, 1952, p. 105 s.; su quello di Garaguso M. SESTIERI-BERTARELLI, in Atti e memorie della Soc. Magna Grecia, N.S. III, 1958, p. 67 ss. I soli esemplari con podio che conosco sono quello in tufo da Capua (KOCH, Röm. Mitt., XXII, 1907, p. 387 ss., figg. 11 a, b, c) e la parte bassa, tuttora inedita, di un’urna a tempietto in pietra fetida del museo di Chiusi. 22 H. WINNEFELD, in Röm. Mitt., IV, 1889, p. 143 ss.; A. COZZA, ibidem, VI, 1891, p. 349 ss.; ANDRÉN,op. cit., p. 390 ss. Le terrecotte architettoniche, (ANDRÉN, Arch. Terr., tavv. CXVIII-CXIX) in cui gli elementi vegetali tendono a perdere ogni organicità, sono del II sec. a.C. avanzato. Su templi dello stesso tipo, del VI e V sec. a.C. in ambiente greco, cfr. G. OIKONOMOS, in Ἐφημερὶς Ἀρχαιολογική, 1931, p. 25 ss. 23 Cfr. su tale argomento SESTIERI-BERTARELLI, op. cit., p. 70 ss. 24 BIANCHI-BANDINELLI, op. cit., fig. 39; in un’altra tomba di Sovana (ibidem fig. 36) abbiamo la stessa disposizione, ma con in più il ricordo dell’antepagmentum del columen. 25 Cfr. sopra, nota 21. 26 G.B. RIZZO, in Bull. Com., XXXVIII, 1910, p. 281 ss., e Andrén, op. cit., p. 381 ss. 27 BIANCHI-BANDINELLI, in Bull. Com., XLVI, 1918, p. 229 ss. 28 P.C. SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, p. 106 ss., fig. 23. 13


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 39

Naturalmente l’antepagmentum del “columen” dava fastidio al libero sviluppo del motivo ed è stato perciò soppresso, mentre quelli laterali sono ridotti nella tomba di Sovana, che rappresenta uno stadio evolutivo ancora più recente, a dei semplici elementi di raccordo fra geison frontonale e geison obliquo. Per le figure applicate a rilievo sulle colonne non conosco altri esempi, ma più che come riduzioni di “columnae coelatae”, di cui non abbiamo esempi nello stesso periodo e prima, il figulo le avrà intese come statue antistanti alle colonne, magari sulle guance sporgenti di un podio29, caso probabilmente frequente soprattutto in epoca più tarda30. Il disco terminale del καλυπτὴρ ἡγημών è, anche negli edifici veri e propri, un luogo comune che perdura in Campania dalla prima metà del VI sec. a.C. fino al periodo ellenistico31 , ma di cui non mi risulta finora nell’Italia centrale che un solo esempio molto tardo32 e una isolata testimonianza in un coperchio di urna molto antico, su cui torneremo. Non si può dire altrettanto per l’antefissa che lo sostituisce nel frammento n. 6 e per i dischi presso le estremità della sima frontonale, che rientrano in un certo qual modo nella logica delle cose. La prima trova per quanto io sappia riscontro solo in un tempietto da Velletri33 e, nella realtà, in un’antefissa frammentaria da Capua, troppo grande per i καλυπτῆρες normali34. I dischi laterali, che hanno invece funzione esclusivamente decorativa e sono ridotti nel caso nostro ai minimi termini, esistono nella già citata urna in bucchero da Chiusi della seconda metà del VII sec.a.C., che è pertanto anteriore a tutte le terrecotte architettoniche conosciute in Etruria35, e in un altro tempietto di tutt’altro ambiente e cronologia. Quest’ultimo, rinvenuto a Medma in una stipe votiva, non può scendere, per il materiale trovato in associazione, più giù della fine del V secolo36. Esclusa, o almeno improbabile, per i già esposti motivi e per l’assenza di tali dischi nel solo gruppo di modelli più largamente diffuso37, ogni interdipendenza diretta e anche indiretta, non si può pensare che a derivazioni da decorazioni fittili templari. Non è escluso che un riesame dei dischi acroteriali attualmente noti38 possa far identificare alcuni come laterali e solo in questo senso può essere già forse interpretato quello recentemente scoperto a Locri e pertinente alla più antica decorazione di tipo laconico del tempio di Marazà, che non attacca ad un καλυπτὴρ ma ha sul lato posteriore un lungo gancio39.

29

Tali guance le troviamo in tempietti funerari di Cales e di Paestum (su questi ultimi P.C. SESTIERI, in Not. Scavi, 1948, p. 155 ss.) e nel già citato modello in tufo da Capua. 30 Ad. es. nel già citato “Capitolium” di Pompei certamente già prima del terremoto del 62, come risulta dal noto rilievo del larario della casa di L. Cecilio (A. MAIURI, L’ultima fase edilizia di Pompei, Spoleto 1942, tav. II); cfr. anche le sfingi sulle guance della scalinata dell’altare di fondo Patturelli a Capua, il quale, in base alle sagome, può essere datato fra la fine del III e l’inizio del II sec. a. C. (KOCH, in Röm. Mitt., cit., pp. 368 ss., figg. 1-10). 31 Cfr. KOCH, Dachterrakotten, pp. 17 ss., 73 ss., 170, fig. 13-15, 22, 81-86, tavv. II, 1, XX-XXII. 32 ANDRÉN, op. cit. , tav. LXXIX, fig. 273. 33 ANDRÉN, op. cit., fig. 3. 34 KOCH, op. cit., p. 259, fig. 3, 87. 35 Da Val di Sasso; cfr. MESSERSCHMIDT, in Röm. Mitt., XLIII, 1928, p. 96 s., fig. 5; nella stessa tomba è stata trovata ceramica tardo protocorinzia e del corinzio antico, e pertanto l’urna dovrebbe essere ancora del VII secolo avanzato. 36 L’altro tempietto trovato nella stessa stipe (cfr. Orsi, in Not. Scavi, cit., fig. 75) è di tipo certamente più recente. Il pezzo più tardo databile è la “peplophoros” riprodotta a fig. 115, la quale non può certo scendere, anche in ambiente provinciale, più giù del 450-440. 37 Si tratta di due frammenti di tempietti di produzione corinzia rinvenuti a Poseidonia e di uno del Museo Nazionale di Napoli di provenienza non determinabile. 38 P. ZANCANI MONTUORO, in Mem. Lincei, S. VI, I, 1925, p. 295 ss.; cfr. E.D. VAN BUREN, Greek Fictile Revetments in the Archaic Period, Londra 1926, p. 179 ss.; Id., Archaic Fictile Revetments in Sicily and Magna Graecia, Londra 1923, p. 151 ss.; R.M. Dawkins, Artemis Orthia, Londra 1929, p. 118 ss., figg. 88-90; L. KJELLBERG, Larisa am Hermos, II, Stoccolma 1940, p. 131 ss., fig. 39, tav. LXIII; L. BERNABÒ-BREA, in Ann. Sc. Arch. It. Atene, XXVII-XXVIII (1949-51), p. 66 ss. (Gela), E. DYGGWE, Das Laphrion, der Tempelbezirk in Kalydon, Copenhagen 1948, p. 146 ss. fig. 158-159; K.A. RHOMAIOS, in Ἐφημερὶς Ἀρχαιολογική, 1952, p. 18 s., f. 15 (Tegea); Id., ibidem, 1957, p. 114 ss., fig. 6-7 (Asea); G. DAU, in Bull. Corr. Hell., LXXXV, 1961, n. 685, fig. 6 (Amicle). Tutti o quasi tutti gli esemplari trovati in Grecia e nell’occidente greco e quello di Larissa sono da datare in epoca anteriore alla metà del VI sec. a.C. Le varie ricostruzioni con un settore tagliato non sono tutte sicure, anche perché almeno i più antichi erano certamente associati ad un campo frontonale aperto, sia pure con pilastro centrale, come nel tempietto rappresentato in un pinax Locrese (P. ZANCANI MONTUORO, in Riv. It. Arch. e St. dell’Arte, VII, 1940, p. 205 ss.).

39


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 40

40

Di due dischi frammentari da Reggio trovati insieme, e da datare forse ancora nella prima metà del VI sec.40, quello minore era fissato con chiodi e può pertanto essere stato angolare, e un buco per chiodi presenta anche uno dei frammenti di dischi con ogni probabilità acroteriali dell’Athenaion di Gela41. Analoga funzione devono aver avuto due mascheroni, l’uno con gorgoneion da Hipponion42, databile all’ultimo quarto del VI sec.a.C., e l’altro da Capua con Acheloo, di tipo tardo-arcaico43. Certo è che non può trattarsi di una soluzione provinciale, ma di uno schema molto arcaico e di origine probabilmente peloponnesia44, rimasto in uso a lungo in ambiente provinciale. Le antefisse trovano riscontro per la forma circolare in alcune a testa leonina trovate nello stesso santuario, anzi in parte nella favissa più recente. Ma a parte una non impossibile comune derivazione da dischi acroteriali, il motivo della rosetta appare già in un gruppo di antefisse capuane del tardo arcaismo, in cui fa da sfondo ad una testa con alto copricapo45. Quanto, infine, all’assenza del καλυπτὴρ ἡγημών nei modelli 1 e 2, può darsi che sia dovuta all’adozione della copertura del colmo con καλυπτῆρες e στρωτῆρες piegati al centro, di uso comune nei tetti di tipo corinzio in tutto il mondo greco già nel V secolo, ma di cui non abbiamo ancora testimonianze sicure in Campania46. La cronologia relativa dei tempietti può essere determinata in base al graduale sviluppo del campo frontonale aperto o con timpano arretrato a quello chiuso e alla progressiva dissoluzione e schematizzazione degli elementi formali nella decorazione figurata47 la quale, salvo nel n. 5, è ben povera cosa. I più antichi sono evidentemente, nell’ordine, i frammenti 6 e 5. L’antefissa del primo è del tipo a nimbo, assai diffuso in ambiente italico, ma che in Campania non sembra scendere più giù del IV sec. a. C. avanzato48; ma nella testa l’ampia e voluminosa massa dei capelli ricadente sui lati a guisa di salsicciotti, pur essendo tipicamente italica, e un certo dinamismo, sono elementi che ne abbassano la datazione ad età ellenistica49.Più vicina a tipi greci anche nello sfumato dei capelli che non troviamo ancora così accentuato nelle terrecotte della stipe più antica e più organica è invece la testa che occupa quasi per intera l’antefissa superstite del n.5. Nelle parti figurate del modello 1 i particolari sono già confusi e approssimativi; anche nelle linee di contorno e nella testa gorgonica del frammento 4 la linea è quasi completamente scomparsa, tanto da potervi riconoscere solo a stento una derivazione da un tipo di tendenza barocca. Da questa deriva a sua volta la testa del frammento 3, in cui il viso sorgente e i particolari della chioma completamente appiattita hanno il carattere di pure e semplici annotazioni prive ormai di qualsiasi contenuto organico.

39

Ringrazio il Soprintendente Prof. Alfonso de Franciscis per avermi dato agio di esaminarlo. Cfr. anche DE FRANCISCIS, in Fasti Archeol., XI, 1958, n. 2048. VAN BUREN, op. cit., p. 452; N. PUTORTÌ, in Italia Antichissima, I, 1929, tav. II, 15. 41 BERNABÒ-BREA, art. cit. 42 PUTORTÌ, art. cit., p. 97, fig. 19. 43 KOCH, op. cit., p. 96 s. tav. XXXI, 2. 44 La maggior parte dei dischi conosciuti è stata infatti rinvenuta nel Peloponneso e soprattutto in Laconia (Sparta, Amicle), Arcadia (Mantinea, Tegea, Asea, Orcomeno, Bassae). In Elide l’Heraion di Olimpia aveva oltre ad un grande disco acroteriale anche le antefisse a disco; infine un modello di tempietto da Skillous (Krestaina) ha dei dischi alle testate del καλυπτὴρ ἡγημών (OIKONOMOS, art. cit., p. 47 ss., figg. 27-29). Da quelli a disco sono forse derivati gli acroteri angolari a volute, di cui vorrei ricordare quelli del più antico tempio di Athena polìas sull’Acropoli di Atene (W.H. SCHUCHARDT, in Ath. Mitt. LX-LXI, 1935-36, p. 85 s.;tav. I, i) e di Larissa in Eolide (KJELLBERG, op. cit., p. 133, fig. 40) e la rappresentazione in un modello di tempietto dal santuario della Malophoros a Selinunte (E. GABRICI, in Mon. Antichi, XXXII, 1927, tav. LXXVIII, 2). 45 KOCH, Dachterrakotten, p. 47 s., tav. X, i. 46 Due grossi frammenti di καλυπτῆρες in marmo di tipo corinzio del V-IV sec. a.C. sono stati rinvenuti recentemente a Napoli negli scavi sotto la Basilica di San Lorenzo. 47 Cfr. sul problema BIANCHI-BANDINELLI, Storicità dell’Arte Classica, Firenze 1950, p. 127 ss. 48 Fra gli esempi più tardi sono quelli di Koch, Dachterrakotten, tav. XI, 6 e 7. 49 Essa ricorda in un certo qual modo l’acconciatura a riccioli con “boccoli libici” che troviamo in teste fittili del III sec. a.C. di Cales (W. JOHANNOWSKY, art. cit., fig. 14), e di Luceria (R. BARTOCCINI, in Japigia, N. S., XI, 1940, p. 203 ss., fig. 16 bis). 40


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 41

Uno sviluppo parallelo, che conferma la successione da noi proposta e quanto abbiamo detto sopra circa la dipendenza, sia pure fino ad un certo punto, dall’architettura contemporanea, possiamo notare nella pendenza dei frontoni. Essa è infatti minima nel frammento 6 e aumenta man mano nei modelli 5, 1, 4, 3, fino a raggiungere i 40° in quello 2. In quest’ultimo non ci sono più né sima né acroteri a disco come nel già ricordato tempietto in tufo da Capua e in uno fittile da Vulci50, che hanno più o meno gli stessi caratteri. Quanto alla cronologia assoluta, fermo restando, salvo forse per 6, il “terminus a quo” dei decenni intorno alla metà del III sec. a.C., il frammento 4 può essere datato al più presto intorno alla metà del II sec. a.C. e quello 2 agli ultimi decenni dello stesso secolo. E dobbiamo considerare più che soddisfacente tale risultato, se teniamo conto che degli altri tempietti trovati in Campania e nell’Italia Centrale solo quelli da Fratte si possono datare con una certa sicurezza in base al contesto della favissa. Fra l’altro vi sono stati infatti trovati numerosi balsamari piriformi e di transizione, ma neanche uno del tipo fusiforme già sviluppato, e così anche i kantharoi più recenti sono vicini a quelli dello scarico di Minturnae51, ragion per cui lo scarico dev’essere avvenuto al più tardi verso la metà del III sec.a.C.52 Non molto più antico di tale data può essere comunque il frammento menzionato sopra, che offre difficoltà nell’interpretazione53, ma le cui antefisse derivano comunque da tipi trovati nella stessa favissa e databili al più presto verso la fine del IV sec. a.C.54 Più o meno contemporaneo o non molto più antico, come quasi tutto il materiale votivo, dev’essere l’esemplare più completo, che anche il Sestieri data in epoca relativamente recente55. Strettamente affine a quest’ultimo nel tipo, nelle proporzioni e per la pendenza minima del tetto è il tempietto del Santuario di Marica sul Garigliano, che sarà da datare nella stessa epoca e non certo ad età arcaica56. Più recenti e vicini a quelli di Teano sono invece i modellini fittili del Museo di Capua. Del più complesso (n.inv. 358) è conservato solo poco più del tetto, ma tuttavia abbastanza da poter capire che era un prostilo con il campo frontonale chiuso, gli spioventi molto sporgenti sul davanti e disco acroteriale centrale. Abbastanza simile, pure con sima sui lati lunghi, ma con acroteri angolari a palmetta, è l’oikos n.inv.18957, dove gli angoli anteriori del tetto erano collegati da sostegni al muro frontale58, mentre quello n.inv. 186 è più semplice e ha la sima solo sui lati corti. Più tardo del II sec. a.C. avanzato o forse addirittura di età sillana è il tempietto in tufo che, come forse anche gli altri, proviene dal fondo Patturelli a Curti. Mentre il podio con le ante sporgenti lo fa ricollegare con i già citati tempietti sepolcrali di Paestum, di Cales e di Ostia59, il frontone ricorda il modello 2 da Teano e quello di Vulci, per il quale una datazione in età sillana sembrerebbe anche più logica60. Alquanto più antichi sono, infine, due dischi acroteriali dal santuario di Marica61, di cui quello con testa femminile non può discostarsi troppo nella cronologia, data la vicinanza tra le due località, dal frammento n.6 di Teano. Concludendo, possiamo senz’altro affermare che i tempietti da Teano, pur nella loro frammentarietà, costituiscono, insieme al frammento con le antefisse da Fratte, il gruppo più interessante di modelli trovato finora in Campania.

50

BARTOCCINI, in Atti del VII Congresso internazionale di Archeologia Classica, Roma 1961, II, p. 274 ss., tavv. XII 3, 4 XIII i. Sulla cronologia di questi ultimi cfr. P. ORLANDINI, in Arch. Class., VIII, 1956, p. 210 s.; IX, 1957, p. 154, 170; XII, 1960, p. 108 e G. RIZZA, ibidem, XI, 1959, p. 79 ss. Ringrazio il Soprintendente Prof. Mario Napoli per avermi agevolato nell’esame di tutto il materiale da Fratte. 52 Sullo scarico di Minturnae cfr. A. K. LAKE, in Boll. Assoc. Studi Mediterranei, V, 1934. Ovviamente la data 194 a.C. proposta dal Sestieri è troppo tarda. Se lo scarico è da mettere in relazione con la distruzione della città, questa può essere avvenuta nel periodo immediatamente antecedente alla deportazione dei Picentini nella zona (268 a.C.). 53 Cfr. sopra nota 18. La pendenza è molto irregolare e talmente insignificante da non escludere soluzioni diverse da quella proposta dal Sestieri, anche perché il tetto piano non è finora documentato nell’architettura templare della Campania. Comunque non è chiaro se si tratti di una sima frontale con motivi identici a quelli delle antefisse o della riproduzione di antefisse vere e proprie, poi non ritagliate, nel campo frontonale o sul lato di gronda. Certo i fori presso l’acroterio dovevano servire perlomeno a ricevere dei perni che fissavano forse altri elementi dell’edificio. 54 Cfr. SESTIERI, op. cit., figg. 11, 13, 14. 55 SESTIERI, op. cit., p.105 ss., fig. 22; Id., in Boll. d’Arte, 1948, p. 335 ss. 56 P. MINGAZZINI, Mon. Ant., XXXVII, col. 919 s., tav. XLII, 3,4 57 Cfr. sopra, nota 6. Devo la conoscenza del tetto n. 358 all’amico Dott. Bruno d’Agostino, il quale l’ha ricomposto da più frammenti. 58 Non è chiara la forma di questi elementi, che non trovano riscontro altrove. 59 Cfr. sopra, nota 21. Quello di Ostia (M. FLORIANI SQUARCIAPINO, Ostia, III, Roma 1958, p. 26 s., fig. 4) è di età Sillana. 60 Per es. la trabeazione a mensole non appare a Roma prima della fine del II sec. a.C. 61 MINGAZZINI, op. cit., col. 920 s., tav. XLII, 2, 4. 51

41


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 42

42

Fig 10 Teano, Santuario in loc. Loreto: Tempio B.

Benché in parte meno precisi negli elementi struttivi di quelli da Nemi, da Satricum62 e da varie località etrusche63, essi dimostrano che l’architettura templare della Campania interna era, anche nell’elevato, molto simile a quella dell’Italia centrale e che lo sviluppo della decorazione del campo frontonale è avvenuto in modo parallelo. Certo le interdipendenze fra le due zone non sono ancora chiare e dei frontoni figurati sono stati creati già prima del IV secolo avanzato in zone particolarmente aperte all’influsso greco64.Ma la fossilizzazione di forme più antiche, dovuta in ambiente italico oltre che al radicarsi o al riaffiorare di certi fattori di gusto al conservatorismo specie in quel che ha attinenza col campo religioso65, ha certamente ostacolato e ritardato addirittura fino al II sec. a.C. certe soluzioni che anche nei centri greci più provinciali erano già da tempo luoghi comuni66, portando localmente, magari per necessità di compromesso, ad un processo di sviluppo analogo a quello svoltosi in epoca molto più antica in Grecia67. E che tale processo si sia svolto nei centri campani meno vicini a Neapolis e forse nella stessa Capua, proprio per le ragioni anzidette almeno non molto prima che nell’Italia centrale, lo dimostra proprio la successione che abbiamo notato a Teano, la quale sarebbe impensabile con una distanza di tempo troppo grande dagli edifici che hanno ispirato i modelli. Una ulteriore conferma a quanto abbiamo esposto viene dall’arula n. 7, le cui modanature sono molto vicine a quelle inferiori dei sacelli A, B, e D del santuario di Teano (fig. 10) e dell’ara della palestra sannitica a Pompei68. Per la linea piuttosto tesa della “cyma reversa” tali sagome vanno datate già in pieno II sec.a.C.69 e l’uso dell’opera cementizia nei sacelli A e B e nelle strutture della palestra è un elemento in favore di una datazione non troppo alta. Ma l’interesse dell’arula in questione, che per la sua derivazione da modelli greci trova riscontro anche altrove in Campania70, è nel tipo delle guance sopraelevate che uniscono i pulvinaria. Diverse sono infatti quelle di un’ara in tufo da Capua che per analogia s’avvicinano di più71, ma lo stesso motivo delle doppie volute, sia pure con l’elemento centrale assai ridotto o soppresso, ha avuto molta fortuna in are, in gran parte funerarie e per lo più senza loculo, dall’età agustea in poi72 e - sia pure con proporzioni assai diverse - nell’ “Ara pacis augustae”73.

62

RIZZO, op. cit., figg. 3-5. Oltre al già citato esemplare di Orvieto, i più notevoli sono alcune urne cinerarie soprattutto da Chiusi del IV e III se. a.C. (cfr. ANDRÉN, op. cit., p. XXV ss.). 64 Per es. Pyrgi (A. CIASCA, in Not. Scavi, 1959, p. 170 ss.), dove può essere datata verso il 480-60 a.C., ecc. 65 Non si può spiegare altrimenti, per es., la presenza di sagome di tipo arcaico in tutto il gruppo di altari del I sec. a.C. (cfr. F. CASTAGNOLI, in Bull. Com., LXXXVII, 1959-60, p. 17 ss., figg. 11-20). È forse un fattore di gusto invece il carattere arcaistico nella parte figurata di alcune terrecotte architettoniche dello stesso periodo, dal Lazio, dalla Campania e dal Sannio (Alatri, Cales, Pietrabbondante). 66 Per es. a Locri troviamo ancora nel II sec. avanzato il rivestimento fittile dei piedritti della porta (ANDRÉN, op. cit., tav. XLII, 16) e ad Alatri, dove tutta la decorazione è dello stesso periodo, la sima con un pesante kymation a canne (ANDRÉN, op. cit., tav. CXIX, 5-6). 67 Su questo cfr. ZANCANI MONTUORO, in Mem. Lincei, cit., e DYGGWE, op. cit., p. 315 ss. 68 E. PERNICE, Hellenistische Kunst in Pompeji, V, Berlino 1935, p. 58 ss., fig. 23. 69 Cfr. p. es. quelle dell’ara del tempio nell’area sacra di largo Argentina in Roma (G. MARCHETTI-LONGHI, in Bull. Com., LXXI, 1943-45, p. 58, fig. 1) la quale sembrerebbe di poco più antica. 70 Cfr. le arule da Pompei (PERNICE, op. cit., p. 69 s., tavv. XL-XLII, e C. YAVIS, Greek Altars, St. Louis (Missouri), 1949 p. 176, figg. 80-81). Di tutt’altro genere sono invece le arule da Capua, una delle quali è di tipo laziale. 71 Koch, Röm Mitt., XXII, 1907, p. 396 ss., fig. 15. 72 Cfr. per es. W. ALTMANN, Römische Grabaltäre, Berlino 1905, figg. 16, 22, 29, 62, 63. 73 G. MORETTI, Ara Pacis Augustae, Roma 1948, figg. 153-154. 63


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 43

Di tipo più antico per la sagoma inferiore, ma non meglio databile, è l’arula in tufo, che per il motivo della porta ricorda in un certo qual modo un’ara di Capua sul cui lato anteriore è rappresentato uno strano edificio a due piani74. Ma piuttosto che pensare ad una eventuale ma tutt’altro che probabile derivazione da altari veri e propri, mi sembra più logico vedere, almeno nell’esemplare di Teano, un modellino di ara portatile con armadietto per gli arredi di culto, analogo a quello di qualche larario di età imperiale75.

74

KOCH, op. cit., p. 407 ss., fig. 22. Per es. MAIURI, Ercolano, I, Roma 1958, p. 254, fig. 202. Probabilmente pure da un’ara portatile deriva un esemplare in pietra da Alessandria di epoca tardo ellenistica (ALTMANN, op. cit., fig. 10). 75

43




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 46

Relazione preliminare sugli scavi di Teano*

46

Fig 1 Topografia di Teano antica.

Di TEANUM SIDICINUM, che coincide con l’attuale Teano, si conosceva finora praticamente, oltre al tracciato delle mura dell’arce, solo un settore della necropoli ellenistica e romana nella località Gradavola e parte di una terma di età imperiale nel territorio, esplorate ambedue nel primo decennio di questo secolo e pubblicate dal Gabrici1. Ben poco si sapeva invece finora, malgrado i numerosi ruderi affioranti e varî rinvenimenti fortuiti, della città, che Strabone menziona come unico centro di qualche importanza della Campania interna accanto a Capua2. Il Raiola, che per primo indagò il perimetro delle mura dell’arce3, ritenne che l’abitato fosse limitato in età preromana a quest’ultima e individuò nell’andamento rettilineo del Corso Vittorio Emanuele il tracciato di una strada antica. A tale ipotesi aderì il Della Corte che propose una datazione della cinta alla fine del IV sec.a.C.4 e ritenne che i ruderi di età romana nella località San Pietro a Fuoco, circa 500 metri ad Est della cittadina attuale, appartenessero ad una villa suburbana5. Ma tale opinione, che restringe al minimo anche l’area della città romana, contrasta con il citato passo di Strabone e con la distanza di oltre due chilometri fra le mura dell’arce e la necropoli più importante. Ora alcuni punti essenziali del problema topografico sono vicini alla soluzione in seguito a ripetute ricognizioni sul terreno e all’apporto delle fotografie aeree, e i primi scavi sistematici nell’area della città hanno dato già risultati notevolissimi che mi affretto a render noti6. In base alle tracce visibili sulle fotografie aeree e ad elementi esistenti sul terreno si è potuta delimitare un’area a pianta ortogonale, comprendente l’arce e una vasta zona ad Est, fino a poca distanza dal Savone (fig. 1).

*

W.J., Relazione preliminare sugli scavi di Teano, Bollettino d’Arte 1963, pp. 131-165.

1 Su questi scavi cfr. Mon.ant. , XX, 1910, coll. 5 s.; Not. Scavi, 1908, p. 399 s. Su precedenti rinvenimenti cfr. anche M. BROCCOLI, Teano Sidicino antico, Napoli 1825 e M. RUGGIERO, Degli scavi di antichità nelle province di Terraferma, Napoli 1888, p. 370 s. Su Teanum Sidicinum cfr. inoltre T. MOMMSEN, in C.I. L., X, p. 471 s.; H. PHILIPP, in PAULY-WISSOWA, s. 2a, II, 2, 1923, s.v. Sidicini (coll. 2214 s.) e ibidem, 2a s., VA I, 1934, s.v. Teanum (coll. 97 s.). 2 Geogr., V, 273, 248. 3 G. RAIOLA, Teanum Sidicinum, S. Maria C. V. 1922, p. 50 s. 4 In Not. Scavi, 1925, p. 165 s.; ibidem, 1928, p. 365 s. 5 In Not. Scavi, 1929, p. 173 s. 6 Lo scavo è stato eseguito in parte con fondi della Soprintendenza alle Antichità della Campania e in parte, sempre sotto la direzione della Soprintendenza, da cantieri di lavoro gestiti dal comune di Teano. Ringrazio i Soprintendenti prof. Amedeo Maiuri e prof. Alfonso De Franciscis per avermi concesso la pubblicazione dei risultati e per avermene facilitato in ogni maniera lo studio; mi è inoltre gradito ricordare per la fattiva collaborazione data alla Soprintendenza l’arch. Paride Lerro, sindaco di Teano fino al 1901, il dott. Vincenzo Mancini, attuale sindaco di Teano, il can. Arminio De Monaco, ispettore onorario alle Antichità, e il dott. Carmine Razzino. Lo scavo in località Loreto si è svolto in terreni di proprietà del barone Michele Mazzoccolo che ne ha autorizzato l’occupazione con la massima liberalità. Gli oggetti sono custoditi provvisoriamente in un locale del seminario messo gentilmente a disposizione da Mons. Guido Sperandeo, vescovo di Teano e Calvi. I lavori sono stati seguiti da me con l’efficiente collaborazione dell’incaricato alla custodia sig. Arturo Zanni. Le fotografie sono in massima parte dell’archivio fotografico della soprintendenza e i disegni sono dovuti al sig. Pierpaolo Paolini.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 47

Sono riconoscibili con sicurezza almeno 6 decumani orientati esattamente da Est ad Ovest, con un interasse medio di 39 metri, tre dei quali conservati nell’impianto urbano attuale, e tre cardini con l’interasse medio di 59 metri, tutti nell’abitato. Degli altri tre decumani in questione affiorano ad Occidente del centro attuale avanzi del selciato. Infine due lunghi tratti delle mura dell’arce hanno lo stesso andamento dei cardini e gli avanzi della fiancata Sud di una porta fiancheggiano il decumano che è tuttora la sola via transitabile fra l’arce e la città bassa. In questo reticolato urbano, che è da ritenere pertanto contemporaneo all’impianto delle mura dell’arce, s’inseriscono: un grande edificio probabilmente sacro di età ellenistica di cui sono trovati resti sotto la cattedrale7, delle opere di terrazzamento di età sillana comprendenti le costruzioni di un tempio, il teatro che è addossato a queste ultime, la chiesa paleocristiana di S.Pietro in Aquariis, e alcune strutture di età romana ad Ovest, Est e Nord-Est del teatro. Sono orientati diversamente gli avanzi antichi in tre zone periferiche. La prima, nella parte Nord della città, comprende un complesso di santuario a Nord-Est, verso il Savone, attualmente in corso di scavo, e i ruderi di costruzioni probabilmente private fra questo e l’attuale porta S. Caterina. La seconda, pure sul Savone, è una vasta area a dolce declivio ad Oriente nella località Trinità, dove affiorano tra l’altro grosse strutture appartenenti ad edificio di carattere evidentemente pubblico. La terza, a Sud, s’allinea su un tratto di via antica corrispondente all’attuale strada provinciale per Torricella, dal bivio di S. Barillo oltre Porta Napoli (della Ruva). Il santuario è, come vedremo, finora il solo luogo nel perimetro di Teano antica dov’è stato trovato materiale anteriore agli ultimi decenni del IV sec. a.C. e tutto fa pensare che esso sia più antico del nucleo urbano, come forse anche il quartiere adiacente. Altri avanzi più ad Ovest sono evidentemente orientati in base all’andamento delle mura o per sfruttare meglio le pendici della collina che qui delimita l’abitato. Nella zona della Trinità, che può essere invece considerata un ampliamento dell’area urbana, i singoli edifici sembrano disposti in gran parte lungo una strada dal tracciato non perfettamente rettilineo, di cui alcuni tratti possono essere individuati grazie alle fotografie aeree, e che è il prolungamento di due vie extraurbane. Di queste l’una, verso Nord, di cui sono visibili avanzi all’inizio della discesa verso il Savone, si dirigeva, dopo aver attraversato il fiume, verso Allifae. L’altra usciva dalla città in località S. Barillo e girava poi intorno alle colline della Gradavola, dirigendosi verso Sud-Ovest, dove se ne perdono le tracce in località S. Giulianeta. Ad essa s’innestava presso S. Barillo la via Latina, proveniente da Cales, la cui prosecuzione verso Nord-Ovest è probabilmente da identificare con il già menzionato tracciato che raggiunge le mura dell’arce all’interno dell’attuale porta Napoli e su cui sono orientati un edificio di età imperiale in località Casaquinta e l’anfiteatro8. Poco a monte di quest’ultimo s’innestava a questa via quella proveniente da Suessa, di cui sono conservati lunghi tratti9. Il più antico materiale databile proveniente dall’area della città e dai suoi dintorni immediati è costituito da alcune antefisse e da qualche vaso d’impasto rinvenuti nella parte Sud del santuario nella località Loreto, che sono da datare, come vedremo, fra la fine del VI secolo a.C. e l’inizio del secolo successivo. Nella parte dell’abitato a pianta ortogonale non si è trovato invece finora, neanche negli strati più profondi laddove sono evidenti, materiale anteriore agli ultimi decenni del IV secolo a.C. e la stessa osservazione vale per la vasta necropoli che si estende verso Sud-Est nelle località Gradavola e Campofaio e per le tombe isolate rinvenute a Sud lungo la strada per Suessa e a Nord in località Cavone, dove presumibilmente la Via Latina usciva dalla città. In queste necropoli infatti la ceramica a figure rosse è rappresentata solo da pochissimi vasi molto

7

Ne sono stati identificati finora due tratti di muro di fondazione in blocchi di tufo grigio uniti senza malta sotto il lato Sud della chiesa, che sono attualmente visibili nella cripta, e due basi, pure in tufo, di colonne lignee di notevoli dimensioni trovate al loro posto nel sottosuolo dell’abside. 8 È l’edificio chiamato volgarmente “circo” che si trova fra la via suburbana di cui abbiamo detto e la scarpata su cui erano con ogni probabilità le mura. L’asse maggiore, normale alla strada, superava in lunghezza i 90 metri e i settori Nord e Nord-Ovest erano poggiati alla scarpata, mentre la parte Sud era costruita. Si possono riconoscere due fasi costruttive, l’una in quasi-reticulatum di tufo, apparentemente tardo-repubblicana, l’altra in laterizio, di età imperiale. 9 Si tratta di un tronco della variante dell’Appia che da Minturnae raggiungeva Beneventum toccando, dopo Teanum, Allifae e Telesia (Tab. Peutingeriana; Itiner. Antoninianum, pp. 121, 122, 304, per cui cfr.: C. I. L., X, p. 59 s.; K. MILLER, Itineraria Romana, Stuttgart 1916, coll. 364 s., n. 61).

47


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 48

48

tardi, trovati in associazione con ceramica sovradipinta di tipo già piuttosto tardo e con qualche Arethusaschale10,e la stessa ceramica sovradipinta e a vernice nera semplice, che è quella che, come vedremo più avanti, abbiamo tutte le ragioni per ritenere locale, è la più antica in quasi tutta l’area urbana. A quest’epoca, come ha giustamente intuito il Della Corte, si possono datare anche le mura dell’arce che, per la presenza, ad intervalli regolari, di contrafforti interni, ricordano le mura di Pompei della prima e seconda fase sannitica11, anche se a Teano insistono su di essi rocchi cilindrici che, per quanto io sappia finora, non trovano confronti altrove12. Mentre di queste anche il tracciato può dirsi, salvo particolari13, sicuro, nulla sappiamo fino a questo momento delle opere di difesa della città, i cui limiti Nord e Sud sono però abbastanza chiaramente riconoscibili nei costoni di Loreto e di S. Pietro a Fuoco, al di là dei quali si trovano anche tutte le necropoli salvo quelle più tarde14. È dunque molto probabile che a questi si appoggiassero anche le mura, mentre rimane dubbio se la zona della Trinità ne fosse almeno in un primo tempo esclusa. Comunque l’assenza di sepolture di epoca ellenistica o di buona età romana, l’affioramento di strutture in blocchi uniti senza malta a Nord della strada per Torricella, a circa 100 metri dal bivio di S. Barillo, e il ritrovamento presso quest’ultimo di matrici di terrecotte architettoniche del III-II secolo a.C. fa supporre in questa zona almeno l’esistenza di un sobborgo già in epoca ellenistica. Quanto allo sviluppo successivo possiamo dire che il restringimento all’arce è avvenuto evidentemente, come in altri casi15, nella tarda antichità o nell’alto medio evo. Con questo quadro dello sviluppo urbano di Teanum Sidicinum che possiamo ricavare da dati archeologici sicuri non contrasta quanto sappiamo dalle fonti. Livio menziona infatti a proposito degli avvenimenti del 34341 a.C.16 e del 337-34 a.C.17 solo il popolo dei Sidicini, ma mai Teanum Sidicinum, e l’accenno del discorso del pretore Ti. Emilio all’ambasceria sannitica e di nuovo in relazione ai fatti successivi alla conquista di Cales nel 33418 ad una “Urbs” dei Sidicini che stava per essere presa, è nel primo caso evidentemente come tutta l’allocuzione una ricostruzione a fine retorico, e nell’altro una pura e semplice ripetizione ai fini della logica del discorso. La prima menzione di Teanum Sidicinum la troviamo presso Polibio19, che è evidentemente la fonte principale di Livio per gli avvenimenti del 217 a.C.20 Evidentemente all’epoca della prima guerra sannitica e almeno fino al 334 a.C. Teanum non esisteva ancora come città anche se i Sidicini erano già insediati nella zona forse fin dall’ultimo quarto del VI secolo, epoca cui risale il materiale più antico a Loreto e a cui si riferisce, se di essi effettivamente si tratta, un passo di Strabone, ammesso che derivi dalla stessa fonte di uno di Plinio in cui al loro posto si parla di Umbri21. La cosa più probabile mi pare quindi, allo stato attuale delle ricerche, che i Sidicini, come del resto gli stessi Sanniti22, abbiano vissuto, almeno fino verso il 334, in “pagi” e che Teanum

10 Cfr. GABRICI, Mon. Ant. cit., figg. 79-83. Una “lekythos” a figure rosse molto vicina stilisticamente è fra gli oggetti più antichi trovati a Suessula (G. TOMMASINO, Aurunci Patres, Gubbio, 1942, tav. XIV) che è stata fondata nel 295 a.C. Cfr. anche vasi da uno scarico di età ellenistica a Minturnae (A.K. LAKE, in Boll. Ass. St. Medit. V, 193435, p. 107 s., tav. XX, tutto posteriore alla ricostruzione della città nel 295 a.C., e fig. 28). 11 Su queste cfr.: A. MAIURI, in Mon. Ant., XXXIII, 1929, coll. 113 s., fig. 10; E. KIRSCHEN, in E. PERNICE, Hellenistiche Kunst in Pompeji, VII, Berlino 1941, p. 75, fig. 8-9. 12 Cfr. Not. Scavi, 1925 cit., figg. 1-2. 13 È da correggere rispetto alla pianta pubblicata dal Raiola (op. cit.) il tracciato del settore Sud-Est, che lasciava fuori l’area occupata attualmente dal monastero di S. Maria de Foris. Poco chiara è invece tuttora la situazione in corrispondenza del Sedile, ad Ovest di S. Caterina. 14 Di epoca tardo-romana o alto-medioevale sono evidentemente le sepolture trovate sull’arce, nell’area del seminario (DELLA CORTE, in Not. Scavi, 1925 cit.) e quelle in località S. Pietro a Fuoco (ID., in Not. Scavi, 1929 cit.) fatte, fra l’altro, con materiale di spoglio. 15 Non avrebbe, altrimenti, alcuna ragione d’essere il rifacimento con materiali di risulta di quasi tutto il tratto della cinta dell’arce fra S. Maria de Foris e il municipio, che guarda verso aree incorporate mell’abitato ancora in epoca medioevale. 16 VII, 29; VIII, 1-5. 17 VIII, 15-17. 18 VIII, 2, 17. 19 III, 91. 20 XXII, 57; XXIII, 24. 21 Strab., V, 242; Plin., Nat. Hist. III, 60 ; G. RADKE, in PAULY-WISSOWA, s. 2a, IX A 1, 1961, coll. 802 s., con bibl. Gli Umbri sarebbero in tal caso gli stessi che nel 524 furono alleati degli Etruschi contro Cuma (Dion. Hal., Ant., VII, 5). 22 Sul problema cfr., per quel che riguarda i Sanniti, D. MUSTILLI, in Bull. It. Paletn., LIV, 1934, p. 98, n. 3.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 49

Fig 2 Località Loreto Pianta del Santuario.

sia sorta per sinecismo non molto dopo quella data, evidentemente, anche se forse non esclusivamente, per esigenze difensive. Uno dei “pagi” preesistenti alla città sarà stato nella zona di Loreto, e un secondo o almeno un santuario può essere forse localizzato nella zona di Fontana Regina, 4 Km più ad Est, da dove provengono statuette votive di tipo arcaico23. Invece le sepolture del VII secolo avanzato o degli inizi del VI secolo trovate nel territorio a Terragnano24, a Pugliano e nella valle d’Assano25 non avranno probabilmente nulla a che fare con i Sidicini e il toponimo “Teanum” può anche non avere alcuna importanza per la questione26. I due complessi di cui si è iniziato lo scavo sono il santuario in località Loreto27 e quello comprendente il teatro, mentre nella zona della necropoli c’è stata qualche scoperta fortuita. Il santuario (fig. 2) è sulle pendici orientali del costone di Loreto, che degradano verso il Savone, in situazione periferica rispetto alla città antica. Occupava un’area superiore ai due ettari ed era disposto su almeno quattro terrazze, mentre i suoi principali edifici sembrano tutti orientati pressappoco da Nord-Est verso Sud-Ovest. Sui lati NordNord-Ovest e Nord-Est i limiti coincidono con la scarpata naturale e probabilmente anche con le fortificazioni, a Sud-Est il muro del temenos corre parallelo ad un fosso rettilineo oggi molto più profondo che in antico e di origine evidentemente non naturale in cui affiora un tratto di selciato stradale, e a Sud-Ovest la situazione non è ancora chiara. Le due terrazze inferiori (I e II) a Nord-est sembrano estendersi per tutta la larghezzaa dell’area sacra da Sud-Est a Nord-Ovest, mentre quelle più alte, a Sud (III) e Ovest (IV) sono divise da una rampa porticata che sale verso Sud-Ovest più o meno nell’asse centrale del complesso. Il materiale più antico abbonda finora soprattutto nella terrazza III verso l’angolo Sud, mentre manca completamente in quella IV, ma proviene tutto da scarichi depositati in epoca non anteriore al primo quarto del III secolo a.C. Dalla parte Sud del recinto provengono, fra l’altro, tutti i frammenti di terrecotte architettoniche anteriori al IV secolo ed è probabile che in tale zona fosse l’edificio cui appartenevano, al quale può essere forse attribuito un avanzo di fondazione in blocchi squadrati di tufo tagliato da una struttura in pietrame con calce di epoca tardo-ellenistica. Certo è che nelle vicinanze sono stati trovati dei muri che legano con quello Sud-Ovest del temenos della prima metà del III secolo a.C., i quali però hanno un orientamento diverso che con ogni probabilità è dovuto a qualcosa di preesistente. 23

RAIOLA, op. cit., fig. 3. GABRICI, in Mon. Ant., XXII, 1913, coll. 379 s. Sotto “lekythos cuoriforme” sarà evidentemente da intendere un aryballos piriforme, e pertanto almeno qualcuna di tali sepolture sarà da datare nella seconda metà del VII sec. a.C. 25 Secondo le notizie agli atti la tomba di Pugliano conteneva vasi di “bucchero rosso” e italo-geometrici ed era a quanto pare in tegole, come numerose tombe del VI secolo avanzato di Capua e di Cales. Pure da vasi di “bucchero rosso” è costituita la parte recuperata di un corredo dalla valle d’Assano. 26 È pertanto priva di fondamento l’ipotesi del RADKE (PAULY-WISSOWA cit., col. 804). 27 Sulle prime scoperte in quest’ultimo cfr. W. JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, XLVII, 1962, p. 63 s. 24

49


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 50

50

Fig 3 Strutture della Terrazza III del Santuario.

Fra le terrecotte architettoniche arcaiche trovate finora, un’antefissa con testa femminile28 (fig. 5 a) con due file di ciocche sulla fronte e dalle lunghe trecce che seguono le volute inferiori del nimbo e acconciatura a larghi spicchi nel senso della profondità sopra un cercine, appartiene ad un tipo documentato anche a Capua, e altre due devono essere considerate come varianti di tipi campani. Più recente di quella descritta che, sebbene un po’ più schematica e lineare dell’esemplare capuano, è ancora vicina al prototipo ionico e potrebbe essere datata ancora alla fine del VI secolo a.C., è una di modellazione più sommaria con la testa femminile in un antemio con fiori di loto penduli29(fig. 5 b). È infatti evidente che la disposizione delle trecce, inserite in modo non perfettamente comprensibile fra le volute e i petali, deriva dal tipo descritto, di cui può essere forse considerato una variante un frammento con trecce ondulate e un risvolto del chitone o del manto in posizione innaturale e con pieghe ondulate, dipinte subito al di sopra del listello inferiore30 (fig. 5 i). Non trovano invece confronti altrove uno o più tipi in impasto rosso-bruno con almeno due nimbi di palmette intorno a teste dai tratti ancora più approssimativi, accostate fra di loro e con agli innesti delle testine ridotte ai soli elementi più espressivi oppure delle figurine. Di queste ultime presento una seduta, apparentemente maschile, con ampio copricapo31(fig. 5 c), sbozzata nei soli tratti essenziali in modo abbastanza efficace, ma che l’assenza di valori formali accomuna ad altre fra le più semplici terrecotte votive della stipe dei primi secoli di vita del santuario. Ad un secondo periodo di attività costruttiva appartengono un lungo tratto del muro Sud-Est della terrazza II, con due ingressi, e i muri Sud-Est, Nord-est e Nord-Ovest della terrazza III.Tali opere di terrazzamento, che coincidono a Sud-Est con il limite dell’area sacra, sono in grandi blocchi di tufo uniti senza malta con assise piane alte in media m.0,40 e spesse m.0,80 circa. I muri Sud-est e Nord-est della terrazza III (fig. 3) hanno la faccia a vista ornata nelle assise più basse da bozze rustiche e nella parte alta da striature verticali. Un lungo tratto del primo e almeno quello adiacente del secondo hanno degli speroni interni dello stesso spessore che raggiungono un muro parallelo, il quale in prossimità dell’angolo corre più vicino a quello esterno. Nella parte ovest della stessa terrazza, presso le strutture che potrebbero essere di epoca precedente vi sono muri meno spessi orientati in modo diverso, uno dei quali, in ortostati, con la faccia a vista verso Nord dov’era forse una rampa d’ingresso, s’innesta al muro del temenos. Dei due ingressi in corrispondenza della terrazza inferiore l’uno, adiacente all’angolo della terrazza III, era probabilmente doppio, con un propylon. Ne è conservato il vano Nord-Ovest con parte della rampa antistante, pavimentata in cocciopisto, e la soglia a gradino interrotta obliquamente, forse in epoca successiva, dai solchi per le ruote dei veicoli.

28

Alt. m. 0,275; largh. m. 0,205; cfr. H. KOCH, Dachterrakotten aus Campanien, Berlin 1912, tav. VIII, 2. Alt. m. 0,335; largh. m. 0,285; argilla rosa chiara, non depurate. Alt. m. 0,200; largh. m. 0,220; argilla rossa, non depurata; ingubbiatura crema; sono usati il marrone e, per il panneggio e i legacci delle trecce, il rosso. Cfr. KOCH, op. cit., tav. VII, 5. 31 Alt. m. 0,129; largh. m. 0,064; prof. m. 0,040; impasto rosso, non depurato. 29 30


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 51

Fig 4 a, b Strutture della Terrazza IV: a) veduta di insieme da NE (a destra muri tardo-ellenistici); b) strutture di età sillana.

51

Accanto a quest’ultima sono i resti di una fontana con pozzo di alimentazione e avanzi del tubo d’immissione e della sua bocca a testa leonina in cocciopisto, L’altro ingresso, a breve distanza dall’angolo Est della terrazza II, è delimitato a Sud-Ovest da un risvolto del muro del temenos, pure in blocchi, e a Nord-Est da un muro in blocchetti in tufo uniti da argilla e consolidati da una graticola di blocchi, presso il quale si trova un pozzo, distrutto nella parte superiore. Tutte le strutture descritte, salvo forse la fontana presso l’ingresso A, si possono agevolmente datare per la gran massa di materiale di scarico trovato in strati sicuri alle loro spalle. Oltre al materiale votivo vario che descriveremo più avanti, abbonda fra questo la ceramica e non mancano le monete. Al periodo di vita più antico del santuario che, per la mancanza assoluta del bucchero e anche del cosiddetto bucchero rosso32, non può essere anteriore alla metà o piuttosto all’ultimo quarto del VI secolo a.C., possiamo riferire alcuni vasi d’impasto. Fra i più antichi è indubbiamente uno skyphos (fig. 5 h) d’impasto arancione, non depurato, dal bordo rientrante e con bugne fra i manici, trovato isolato da materiale posteriore e in stretto contatto con il vergine, di una forma che perdura nel vicino Sannio fino al VI secolo avanzato33. Più comune e frequente nel santuario di Marica sul Garigliano è l’olla a quattro prese coniche (fig. 5 g) nella sua forma più recente con labbro34, e anche i vasi in miniatura, fra cui abbondano i boccali con bugne sia ad un manico che a due manici (fig. 5 m), trovano riscontro nel santuario di Marica e nella stipe in località S.Pietro a Cales35.Tali tipi devono essere rimasti in uso fino al IV secolo inoltrato, epoca in cui incomincia ad abbondare la ceramica a vernice nera. Scarsissimi e poco significativi sono i frammenti di ceramica attica, fra cui uno di piatto con palmette impresse, e più interessante è quel poco che s’è trovato di ceramica Campana a figure rosse. Una lekythos ariballica con testa femminile36 (figg. 6 a,b) dalla capigliatura quasi interamente chiusa nel sakkos e con diadema a raggiera, orecchini a rosetta, e collana in bianco sovradipinta, è stata attribuita dal Trendall ad un pittore del gruppo C A37, e una epichysis (figg. 5 e, f) con corpo e collo a baccellature e testa femminile sulla spalla apparterrebbe secondo lo stesso al gruppo APZ38. Oltre a questi due vasi di probabile fabbricazione cumana e databili rispettivamente al secondo e terzo quarto del IV secolo, e a qualche altro frammento che non se ne discosta molto per la datazione, sono stati trovati una lekythos39 (fig. 5 p) e varî frammenti di crateri a campana del gruppo del pittore di Vitulazio che si possono datare agli ultimi decenni del secolo e il cui centro di produzione è probabilmente la vicina Cales, a giudicare dai caratteri tecnici e dalla diffusione40. Fra i vasi non campani dello stesso periodo l’unico di un certo rilievo è un frammento di piatto del tipo Genucilia con testa femminile41.

32 Nella necropoli di Capua, in cui ho avuto recentemente occasione di scavare, il bucchero pesante è predominante fino verso la metà del VI secolo a.C. e manca già totalmente nelle tombe dell’ultimo quarto del secolo, in cui è sostituito da ceramica d’argilla figulina a vernice nera o con decorazioni a fasce e da vasi a figure nere, sia campani sia attici. Il “bucchero rosso” abbonda a Cales, dove è stato trovato anche in tombe a cassa di tegole e di tufo che, come a Capua, saranno difficilmente anteriori alla metà del VI secolo circa. Un ampio ragguaglio sulle necropoli di Capua e Cales sarà dato nel catalogo della Mostra dell’Etruria Campana, in preparazione a cura di A. de Franciscis, M. Bonghi, W. Johannowsky e M. Merolla. 33 Vari esemplari sono stati trovati recentemente a Caudium, nel Sannio, in tombe del VI secolo a.C. 34 Cfr. P. MINGAZZINI, in Mon. Ant., XXXVII, 1938, col. 874, tavola XXXIV, 6. 35 JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, XLVI, 1961, p. 264, fig. 12. 36 Alt. m. 0,16; argilla rosa chiara, vernice brunastra. 37 Per questa, come per le successive attribuzioni, sono riconoscente al prof. A.D. Trendall. Sul pittore CA cfr. TRENDALL, Vasi antichi del Vaticano (Vasi italioti e etruschi a figure rosse, I), Roma 1953, p. 395. 38 Alt. m. 0,078, diam. m. 0,096; argilla rosa chiara, vernice nerastra. Sul pittore APZ cfr. TRENDALL, op. cit., p. 40. 39 Alt. m. 0,081, argilla nocciola, vernice nerastra. 40 Oltre al cratere a campana da Vitulazio (MINGAZZINI, in Not. Scavi, 1930, p. 549 s., fig. 6) sono venuti alla luce vari frammenti della stessa officina a Cales. L’argilla è quella tipica della ceramica calena sia del IV secolo, sia più tarda. 41 È dopo quello di Cuma (M.A. DEL CHIARO, The Genucilia Group, Berkeley 1957, p. 265, tav. XIX), il secondo esemplare noto finora dalla Campania.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 52

Fig 5 a-p Terrecotte architettoniche arcaiche e ceramica dalla stipe piĂš antica in localitĂ Loreto.

52

a

b

d

e

g

l

c

f

h

m

n

i

o

p


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 53

Invece una lekythos con mezze palmette comprese in una serie di tornanti stretti e alti42 (fig. 6 c) è da attribuire ad una delle officine locali la cui attività incomincia proprio allora e i cui prodotti più fini si distinguono per l’argilla bianco-grigiastra o color avorio dal contenuto micaceo e per la vernice piuttosto opaca. I vasi grezzi e gran parte delle terrecotte votive, soprattutto se di grandi dimensioni, sono invece già in epoca precedente in un impasto color carminio in cui pure abbonda la mica. Le forme dei vasi a vernice nera sono praticamente quelle già conosciute dalla necropoli della Gradavola. Abbondano soprattutto i grandi piatti a pareti ricurve, le coppette a bordo rientrante, le brocche con sagoma a becco di civetta, i kantharoi con ventre rigonfio spesso baccellato e manici con linguetta superiore43, gli skyphoi dal bordo svasato, le coppette su alto piede con bordo orizzontale44, le coppe ombelicate, le brocchette con becco45, i gutti. Frequentissimi sono in questi vasi gli ornati incisi, sovradipinti e impressi, fra i quali prevalgono oltre ai luoghi comuni dell’onda, del tralcio con foglie e bacche e della palmetta impressa quelli tipici della ceramica teanese, il kymation ionico, i cerchietti concentrici impressi, i semicerchi concentrici prolungati da brevi tratti rettilinei e motivi simili semiellittici nella stessa tecnica (figg. 6-7). I gorgoneia sui fondi dei piatti sono sia del tipo ridotto agli elementi essenziali, tipicamente teanese, che avrebbe già dovuto far escludere di per se stesso l’attribuzione a officine tarantine46, sia di un tipo sommariamente abbozzato. Meno frequenti sono le fasce curve intersecantisi e le palmette unite da linee curve con al centro un elemento di meandro, che sono viceversa comuni nei prodotti di altri centri campani47. Rappresentate finora da tre soli esemplari frammentari, ma importanti perché attribuibili per i loro caratteri tecnici alla fabbrica locale, sono le kylikes con nel medaglione tipi monetali siracusani che vengono ad aggiungersi alle quattro finora note dalla necropoli48. Lo stesso emblema è usato per un piattello a bordo leggermente svasato, credo finora isolato nel suo genere (figg. 6 h, l). Le lekythoi sono per lo più di tipo ariballico con decorazione a reticolato o con semplice palmetta a figure rosse e talvolta anche del tipo κέμαι49. Fra i vasi solo parzialmente verniciati o con decorazione a fasce o grezzi prevalgono le brocchette, i balsamari piriformi e i thymiateria, che hanno dei precedenti d’impasto pure già con costolature orizzontali50. Fra le terrecotte architettoniche è stata trovata tra l’altro un’antefissa del IV secolo a.C. avanzato con testa femminile con kalathos di tipo abbastanza diffuso a Capua51.

42

Alt. m. 0,165, argilla nocciola, vernice nerastra. Appartiene al gruppo più diffuso in Campania (D.M. ROBINSON, Excavations at Olynthos, XIII, Princeton 1950, pp. 280 s., 288 s.; N. LAMBOGLIA. Per una classificazione preliminare della ceramica campana, in Atti del I Congr. Intern. St. Liguri, Bordighera 1952, p. 186 s., tipi E e D). 44 LAMBOGLIA, op. cit., p. 167, forma 4 (d nella figura). 45 Cfr. Mon. Ant., XXXVII, cit., tav. XXXV, 10, col. 889, dal santuario di Marica. 46 Cfr. Mon. Ant., XX, cit., fig. 14. L’attribuzione a fabbriche tarantine della ceramica sovradipinta di Teano recentemente sostenuta dal MINGAZZINI (in Arch. Class., X, 1958, p. 220 s.) non trova conforto né nel tipo dell’argilla, che anche nella categoria in questione è quella che abbiamo già ritenuto locale, né nel repertorio formale. A Taranto manca infatti, fra l’altro, la coppetta su alto piede (cfr. nota prec.) e anche se qualche forma (per es. il cratere a calice, Mon. Ant., XX cit., fig. 86) è di evidente origine tarantina e in una firma di vasaio appare un nome apulo (Πλάτως; cfr. Mon. Ant. XX, cit., coll. 30 s.) non è illogico pensare ad un immigrato. Del resto, se è esatta la nostra teoria della fondazione della città verso la fine del IV secolo a.C., è logico che possano essere venuti dei vasai e forse, come vedremo, anche dei figuli, allettati dalla disponibilità di nuovi mercati. Qualcosa di simile si è verificato in Sicilia dopo la riconquista Timoleontea (solo così si spiegano in parte gli stretti rapporti fra ceramica campana e siceliota, su cui cfr. A.D. TRENDALL, op. cit., p. 38 s.) e in tutti i tempi sono avvenuti fatti del genere, per cui non posso condividere le tortuose interpretazioni che dà il Mingazzini delle firme di vasai, tanto più che uno dei vasi firmati è stato trovato a Suessula. 47 Cfr. per es. C. V. Museo Campano, III, tav. XXVII, 6. 48 GABRICI, in Mon. Ant., XX, cit., coll. 31 s., fig. 15. Sulla categoria delle “Arethusaschalen” cfr. R. PAGENSTECHER, Die Calenische Reliefkeramik, Berlin 1909, pp. 16 s., 121. 49 Cfr. J.D. BEAZLEY, in Journ. Hell. Stud., LXIII, 1943, p. 109 s.; MINGAZZINI, in C.V. Museo Campano, III, p. 23 s. 50 Cfr. quelli con decorazione a fasce da Minturnae (LAKE, op. cit., tav. XI, 14°; 14b). Notevole è fra i vasi grezzi un orciuolo privo di naso con breve collo e corpo appiattito (fig. 5 l), su cui è stata incisa prima della cottura l’iscrizione “ siEЯisE, ”. La desinenza “eis” è quella del genitivo osco, ma il “digamma” nella forma Ғ non è documentato finora in epigrafi osche. Sorge dunque il dubbio se il segno Я abbia il valore di “r”, come in iscrizioni etrusche o di “d”, come di solito nell’epigrafe osca. Comunque si tratta di un nome di persona, forse di dedicante, e sia Vesidiis, sia Vesiriis sono possibili. Mentre il primo è documentato in ambiente umbro nelle forme Vessidia (R.S. CONWAY, The Italic Dialects, Cambridge 1897, p. 445),e Vesidiena (Ibidem, p. 177), la radice della seconda ricorre nella forma Veserena documentata in Sabina (Ibidem, p. 367) e Veseria, attestata in Campania (Ibidem, p. 162), dove troviamo anche il fiume Veseris (Liv., VIII, 8, 19) che non doveva essre molto lontano da Teano. 51 KOCH, op.cit., tav. XIV, 6a. 43

53


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 54

54

Per l’assenza di balsamari di transizione52 e in genere di altre forme tarde quali i kantharoi a piede alto e i gutti a spalla ripida già presenti nel deposito trovato a Minturnae53 lo scarico e quindi anche la costruzione delle opere di terrazzamento in tufo di cui si è detto devono essere avvenuti ancora nel corso del primo quarto del III secolo a.C., data che sembra confermata anche dalle monete di bronzo e d’argento abbastanza numerose54. Si tratta in grande prevalenza di conî di Neapolis e di altre città campane, fra cui soprattutto la stessa Teanum e Cales, e di romano-campane con testa di Marte e testa equina, la quale appare anche sui due lati di un “aes grave”, mentre sono finora isolati un obolo di Canusium e un bronzo di Posedonia55. Di entità limitata, ma di notevole interesse, perché datato da balsamari di transizione56 al terzo quarto o tutt’al più verso la metà del III secolo a.C. è lo scarico trovato nello strato più alto del pozzo nell’ingresso più orientale. Prevalgono fra i vasi a vernice nera, tutti locali, gli skyphoi, già di forma più pesante di quelli sopra descritti57, le brocche di medie dimensioni, i piatti, le coppe con orlo svasato58. Mentre solo una olpe ha decorazione incisa e sovradipinta sul collo, nei piatti sono abbastanza frequenti i motivi impressi, che si riducono però ormai alle palmette e al motivo centrale, per lo più un gorgoneion o una triquetra. Quest’ultima, spesso con una rosetta al centro, non appare, per quanto io sappia, altrove nella ceramica campana59 ed è seducente metterla in relazione con la presenza a Teano di qualche vasaio siceliota di cui c’è anche una testimonianza epigrafica60. Fra i vasi grezzi sono degne di nota alcune grandi brocche a becco con ansa a nastro a luce allungata, di un tipo documentato anche nel santuario di Marica sul Garigliano61. Ad una fase costruttiva successiva appartengono quattro templi a podio (A-D) da Nord a Sud, tutti più antichi delle sostruzioni della terrazza IV, dinanzi alle quali sono allineati con la facciata a Nord-Est. Quelli A, B, D misurano in larghezza m. 9,15 e il secondo, di cui è stata messa in luce anche parte della fronte con avanzi della gradinata, è lungo m. 13,10. La loro cronologia può essere determinata in base ai livelli di fondazione, alle sagome dei podii (fig. 8) e alla tecnica costruttiva. Il tempio C, che è il più antico, misura in larghezza m. 11,48 ed è l’unico di cui è conservata, sul lato posteriore, anche parte della cornice superiore del podio. Il terreno è in leggera pendenza, per cui presso l’estremità Sud-Ovest dei lati lunghi c’è una sola assisa di fondazione sulla quale poggia la sagoma inferiore e sul lato Sud-Ovest questa manca addirittura. La struttura è come nel tempio D in assise regolari di blocchi di tufo uniti senza malta alte da m. 0,42 a m. 0,52 e l’esecuzione, anche in particolari come l’anthyrosis, piuttosto accurata. Le sagome delle due cornici, piuttosto espanse, la cui sporgenza è di m. 0,22, sono costituite da un listello abbastanza alto, da una “cyma reversa” dalle curvature abbastanza pronunciate e da un toro. Sul piano del podio, alto m. 1,81 sopra la risega di fondazione, sono, a m. 0,26 dal bordo, le tracce di due basi circolari con un diametro di m. 0,72, e un interasse di m. 3,37. Sotto queste ultime, come anche in corrispondenza degli angoli, la struttura del podio sporge verso l’interno e pertanto l’edificio doveva essere un anfiprostilo o più probabilmente un periptero, come per esempio il tempio di Apollo a Pompei e il Capitolium di Cuma62, con quattro colonne sui lati corti.

52 Cfr. per la cronologia di questi P. ORLANDINI in Arch. Class., VIII, 1956, p. 210 s.; IX, 1957, pp. 154, 170; XII, 1960, p. 108 e G. RIZZA, ibidem, XI, 1959, p. 79 s.; su Fratte cfr. JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, XLVII, cit., p. 67, nota 51. 53 LAKE, op. cit., tavv. V 37, VI 37; LAMBOGLIA, op. cit., p. 185 s. 54 Saranno pubblicate prossimamente dalla dott.ssa E. Pozzi della Soprintendenza alle Antichità della Campania. 55 È del tipo con Poseidon e il thymiaterion sul dritto e il toro sul rovescio, su cui cfr. P. ZANCANI MONTUORO, in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, N.S. II, 1958, p. 79 s., tavv. XXVII-XXIX. 56 Cfr. sopra nota 52. 57 Cfr. GABRICI, Mon. Ant., XX, cit., fig. 51 d. 58 LAMBOGLIA, op. cit., p. 177 s. 59 Sulla triquetra cfr. G. PUGLIESE-CARRATELLI, in Enc. Ital.., XXXIV, 1937, p. 384, s.v. Triscele. 60 Πλατῶνος Σικελιώτας Άπολωνιεὺς ἐποίησε su un piatto del Museo di Palermo, cfr. GABRICI, in Mon. Ant., XX, cit., col. 30. 61 MINGAZZINI, in Mon. Ant., XXXVII cit., col. 904, tav. XL, 4. 62 Sul primo cfr. A. MAU, Pompeji in Leben und Kunst, I ed., Leipzig 1900, p. 72 s.; A. SOGLIANO, Pompei preromana, Roma 1937, p. 88 s. Il secondo, praticamente inedito, aveva nella sua fase più antica una peristasi di 6x12 colonne.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 55

Fig 6 a-m Ceramica a figure rosse, sovradipinta, e a vernice nera dalla stipe piĂš antica e dal pozzo in localitĂ Loreto.

55

a

b

c

f

g

d

i

e

l

h

m


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 56

56

Nei tre templi minori la sagoma inferiore, che è l’unica conservata, è composta dagli stessi elementi ma nella “cyma reversa” la gola è più appiattita e addirittura quasi inesistente e il toro ha in alto un breve listello e confluisce nel tempio B nella sagoma sottostante. Il più antico fra questi è quello D, con tracce di rivestimento di stucco. Nel tempio A poi, la fondazione e l’assisa corrispondente alla cornice sono ancora opus quadratum e l’elevato del podio è in opera cementizia con pessima malta e in quello B i blocchi hanno soltanto funzione di rivestimento e la parete del podio è in opus incertum con grossi caementa uniti da malta rossastra. Di quest’ultimo è stata scoperta, oltre agli avanzi della gradinata d’accesso sul lato Nord-Est, una fondazione trasversale al lato Nord-Ovest aggiunta successivamente all’interno del podio, e all’elevato possono essere forse riferiti per il luogo di rinvenimento elementi di un fregio dorico in tufo. Tutti questi edifici sono certamente anteriori alle opere di sostruzione sorte alle loro spalle, come vedremo, ancora nel II secolo a.C. Le sagome del tempio C ricordano per la relativa altezza ancora molto da vicino quelle prive però di toro del Tempio rettangolare di Tivoli63 e del Tempio suburbano di Gabii64 e hanno carattere poco più recente di quelle della prima fase costruttiva meglio identificabile del tempio italico di Paestum, di due tempietti funerari pure a Paestum65, e del tempio a Villa S. Silvestro presso Cascia66, in cui l’altezza del listello equivale a quella del kymation. Di tutti questi monumenti solo il tempio di Paestum può essere datato per la sua stretta connessione con l’adiacente comizio a non molto dopo la deduzione della colonia nel 27667. Carattere un po’ più arcaico ha, è vero, la sagoma inferiore del tempio sotto la cattedrale ad Aesernia68, che per il suo tipo decisamente laziale in una zona che è sotto forte influsso campano non può essere gran che posteriore alla fondazione della città nel 268 a.C., ma ciò si può spiegare anche con un attardamento provinciale69. Più recenti e vicine a quelle dei templi A, B e D sono invece le cornici dell’ara di A. Postumio Albino dinanzi al tempio A di Largo Argentina a Roma70 e del podio della prima fase, meglio identificabile nelle sue strutture del tempio A di Largo Argentina71, che è ancora più tardo e posteriore ad una pavimentazione in tufo forse di non molto successiva alle inondazioni del Tevere avvenute fra la fine del III e i primi decenni del II secolo a.C.72 Penso pertanto che si possa ragionevolmente proporre, considerando anche che siamo in Campania e che dalla Campania è forse penetrato a Roma e poi nell’Italia centrale l’alto podio sagomato73, una datazione verso la metà del III secolo a.C. o non molto dopo. Passando agli altri tre templi, la sagoma di quelli A e D può essere paragonata, oltre a quelle citate dal tempio A dell’Argentina, a quella dell’altare della “palestra sannitica” di Pompei74. In quest’ultima la troviamo associata anche con il toro, che ritorna pure nell’altare del santuario di fondo Patturelli nel suburbio di Capua75.

63

R. DELBRÜCK, Hellenistische Bauten in Latium II, Strassburg 1912, tav. IX. DELBRÜCK,op. cit., II, fig. a p. 9. 65 F. KRAUSS-R. HERDIG, Der Korinthisch-dorische Tempel am Forum von Paestum, Berlin 1939, tav. XVIII; P.C. SESTIERI, in Not. Scavi, 1948, p. 160 s., fig. 13, 19, 21, 22, 25. 66 G. BENDINELLI, in Not. Scavi, 1938, p. 143 s., figg. 3-6. 67 Contrariamente a quanto supposto dal SESTIERI (Paestum, Itinerario, IV ed., Roma 1956, p. 21) non mi pare che ci siano motivi per ritenere la cavea circolare del comizio anteriore al tempio; infatti i muri di quest’ultima verso il tempio legano con quelli esterni del complesso e con le gradinate, e l’area circolare sembra essere più o meno tangente al podio del tempio, mentre non è chiaro se le curie erano tre già nell’impianto originario. Sul comizio cfr. J.A. HANSON, Roman Theater-Temples, Princeton 1959, p. 37 s. Sul comizio di Cosa, accanto al quale è pure un tempio, cfr. L. RICHARDSON, in Archeology, 1957, p. 459 s. 68 F. CASTAGNOLI, in Bull. com., LXXVII, 1959-60, p. 166, figg. 28 e 29 d. 69 Ciò può valere anche per il tempio di villa S. Silvestro, per cui è usato lo stesso tipo di podio, che a Roma appare già sostituito da quello alto, comune in Campania, verso la fine del IV secolo o agli inizi del III secolo a.C., epoca cui risale con ogni probabilità la prima fase del tempio C di Largo Argentina (cfr. G. MARCHETTI-LONGHI, in Bull. Cam. LX, 1932, p. 278 s., fig. 11, tav. d’agg. B. CASTAGNOLI, in Mem. Acc. Linc., 1946, p. 93 s.), la cui sagoma superiore è molto vicina a quella del tempio sull’arce di Lanuvio, che ha anch’esso il podio alto (cfr. BENDINELLI, in Mon. Ant.., XXVII, 1921, coll. 296 s., fig. 6). 70 MARCHETTI-LONGHI, in Bull. Cam. LXI, 1933, p. 163 s., tav. I, e ibidem, LXXVI, 1956-58, p. 71 s. 71 MARCHETTI-LONGHI, in Bull. Cam. LXIV, 1936. p. 63 s., tavv. II e VI. 72 Su questo problema cfr. MARCHETTI-LONGHI, in Bull. Com. LXXVI, cit., p. 71 s. e CASTAGNOLI, in Enc. Class., Sez. III, X, Torino 1957, p. 121 s. 73 Di questo tipo era probabilmente, a giudicare dagli elementi riutilizzati nella costruzione di epoca ellenistica, già il più antico tempio di Apollo a Pompei, con cui sono forse in relazione le terrecotte architettoniche della fine del VI e della prima metà del V secolo a.C. (SOGLIANO, op. cit., fig. 25, tav. X, 26). Fra la fine del IV e l’inizio del III sec. a.C. sono invece da datare i podi del tempio nel foro di Cuma (A. MAIURI, in Campania Romana, I, 1938, p. 1 s.) e del tempio di Diana Tifatina (A. DE FRANCISCIS, in Arch. Storico di terra di Lavoro, I, 1956, p. 16 s., fig. C, tavv. I-II). 74 PERNICE, op. cit., V, 1932, p. 58 s., fig. 23. Per il tempio B troviamo un confronto, sia pure vago, nel tempio di Volterra. (D. LEVI, in Not. Scavi, 1928, pp. 34 s., fig. 4). 75 KOCH, in Röm. Mitt., XXII, 1907, p. 370 s., fig. 3. 64


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 57

Comunque siamo ancora lontani dal voluto arcaismo che appare in alcuni monumenti degli ultimi decenni del II e dei primi decenni del I secolo, fra cui il tempio B di Largo Argentina76 e i templi A e B del Foro Olitorio77 a Roma, il tempio di Ercole a Cori78, il tempio rotondo di Tivoli79, e i tempietti repubblicani di Ostia80. Pertanto è da ritenere che questi edifici minori siano sorti fra la fine del III e i decenni intorno alla metà del II secolo a.C., epoca cui può essere datata anche un’arula dallo stesso santuario che ha delle sagome quasi identiche a quelle dei loro podii81. Intorno ai tempietti sono stati raccolti numerosi frammenti di terrecotte architettoniche, che per le loro dimensioni possono appartenervi, anche se non abbiamo ancora elementi sufficienti per decidere le pertinenze singole. Su due lastre di una sima di gronda, di cui presento quella più intera (fig. 15 h), sono rappresentate donne alate che suonano timpani, i quali sono tagliati dalle gronde a testa ferina82. Le proporzioni fortemente rastremate delle figure e le pieghe del peplo che scendono ai lati delle anche derivano da tipi del medio ellenismo, ma le palmette dalle volute insolitamente pesanti non permettono di scendere al II secolo a.C. troppo inoltrato. Forse alla stessa decorazione apparteneva un frammento di antepagmentum con sagoma identica, di un tipo noto anche da Capua, con grifi ai lati di un kantharos dai manici a volute ad S, su alto piede e con il collo stretto e alto83. Di fattura più accurata, ma più o meno dello stesso periodo, semmai forse un po’ più antico, dev’essere un frammento di sima frontonale con cavalli trainanti un carro in piena corsa84 (fig. 15c). Il motivo, abbastanza frequente su terrecotte architettoniche dell’Italia Centrale in età arcaica85, è reso qui con dinamismo e senso plastico abbastanza vivo, anche se rispetto a qualche rilievo da Taranto della fine del IV secolo a.C., con cui non mancano affinità stilistiche86, c’è già la tendenza a ridurre il modellato all’essenziale e una ricerca espressionistica particolarmente evidente nella criniera a ciocche, che è più viva nel rilievo tarantino e ancora più schematica in coppe calene del III secolo a.C.87. Di epoca tardo-ellenistica, e forse già nel I secolo a.C., deve essere invece una sima di gronda con sagoma ad onda e palmette e fiori di loto di carattere classicheggiante, analoga ad altre trovate presso la rampa porticata. Fra le antefisse ce ne sono due semicircolari, figurate, in argilla giallognola, molto frammentarie e analoghe ad una terza trovata nella parte Est del santuario, le quali non sembrano scostarsi troppo cronologicamente e anche stilisticamente dalla sima con i cavalli, ma abbondano soprattutto tre tipi che, anche per la profondità cui sono stati trovati, non possono non aver appartenuto ai tempietti in questione. Di uno, circolare, a maschera leonina, (fig. 15 f) assai viva nell’espressione e di carattere decisamente pittorico, l’esemplare meglio conservato proviene dalla favissa più recente, depositata, come vedremo, ancora nel II secolo a.C.88, e gli altri provengono dalle vicinanze dei templi C e D. Di una categoria presente in Campania già nel VI secolo a.C. con alcuni esemplari da Capua a testa di pantera89, essa deriva da un prototipo degli ultimi decenni del IV secolo e sembra comunque più antica di alcune antefisse chiusine dove lo stesso soggetto è già notevolmente deformato in senso espressionistico90.

76

MARCHETTI-LONGHI, in Bull. Com. LXXVI, cit., tav. V. DELBRÜCK, Die drei Tempel am Forum holitorium in Rom, Roma 1903, tav. I. 78 DELBRÜCK, Hellenistische Bauten, cit., II, p. 29 s., tav. XVIII. 79 DELBRÜCK, Hellenistische Bauten, cit., II, p. 16 s., tav. XIII. 80 R. PARIBENI, Mon. ant., XXIII, 1916, coll. 441 s., figg. 6 e 7. 81 JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, 1962, cit., p. 64 s., figg. 7-8. 82 Alt. conservata m. 0,17, lungh. conservata m. 0,24. 83 KOCH, Dachterrakotten, cit., tav. XXVI, 1. 84 Alt. m. 0,200, lungh. m. 0,142, argilla chiara, non depurata. 85 Per es. A. ANDRÈN, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund1939, tavv. CIV, CXXVII. 86 Cfr. L. BERNABÒ-BREA, in Riv. Ist. Naz. Arch. e St. Arte, N.S. I, 1952, p. 135 s., fig. 90. 87 Cfr. PAGENSTECHER, op. cit. tav. XV, fig. 113. 88 JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, 1962, cit. 89 KOCH, Dachterrakotten, cit., tav. XI, 5. 90 ANDRÈN, op. cit., tav. LXXXVI, 307. 77

57


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 58

Fig 7 a-n Ceramica di produzione locale dalla stipe più antica in località Loreto.

58

a

b

e

i

f

l

c

g

d

h

m

n


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 59

Fig 8 Località Loreto Sagome dei podi dei templi.

Almeno insolita nel soggetto è invece una serie trovata soprattutto intorno al tempio B, a spiga chiusa con al nascimento due sottili tralci a rilievo su sporgenze laterali piane91, motivi che si trovano in modo simile su qualche gronda angolare da Capua92. Di tipo assai comune in epoca tardo-ellenistica e nel I secolo a.C., e forse anche dopo, sono invece le antefisse a palmetta traforata che spunta da un cespo d’acanto trovate soprattutto presso il tempio A93. Più o meno contemporaneo ai due edifici più recenti sembra un complesso, apparentemente di fontana, verso l’estremità Sud del santuario, con strutture in opera cementizia e lastricato in tufo, sotto il quale sono state trovate terrecotte votive del medio ellenismo avanzato. A una fase successiva appartengono le ampie sostruzioni dei lati Nord-Ovest, Nord-Est e Sud-Est della terrazza IV e del lato Sud-Est di parte di quelle II e I (fig. 4 a). Le strutture sono in opera cementizia con grossi caementa di tufo di forma spesso tendente al quadrato o al rettangolo e disposti più o meno in assise regolari, e le volte sono in cunei pressappoco parallelepipedi. Alle spalle dei tempietti, dove tali opere presentano maggiore complessità, sono riconoscibili due muri paralleli, al più esterno dei quali si appoggiano, verso le estremità, degli ambienti con volta a botte. Di questi almeno quelli a Sud avevano larghe aperture verso l’esterno ed erano apparentemente rinforzati dietro il tempio C da una struttura curva. Nelle concamerazioni piene alle spalle dei muri Sud-Est delle terrazze I e IV è stato raccolto numeroso materiale votivo, fra cui abbonda oltre alle figure fittili di varie dimensioni, di cui tratteremo più avanti, la ceramica (figg. 16 d-g), e non mancano oggetti di altro genere, come le arule e i modelli di edifici già resi noti94 e lamine rettangolari di bronzo con occhi umani dai contorni a rilievo95. Fra i vasi grezzi prevalgono le olle con bordo svasato, le brocchette e i balsamari fusiformi di tipo già evoluto. Fra quella a vernice nera le forme più frequenti sono krateriskoi a campana di proporzioni molto slanciate, che sembrano avere sostituito gli skyphoi, praticamente assenti nel deposito96, i calamai a fondo piano97, i piatti ormai senza più decorazione impressa e le coppe. Fra i vasi più specificamente votivi sono i thymiateria (figg. 16 e-f), sia a coppa su alto piede, sia di forma troncoconica, spesso rivestiti di colore bianco, sia, infine, a forma di testa femminile con polos (fig. 16 c). Questi ultimi, di argilla grigiastra forse non locale e non troppo frequenti, sono di un tipo perlomeno molto diffuso in ambiente punico98 e noti finora in Campania da altri ritrovamenti recentissimi a Teano e a Cales. Un frammento di piatto a vernice nera in argilla gialla viva porta impresso sul fondo interno il bollo lineare C.PACT.C.F.SVES. L’argilla è quella tipica della ceramica rinvenuta recentemente in uno scarico di epoca ellenistica a Sessa Aurunca e coincide apparentemente anche con quella dei vasi da Minturnae99 e pertanto possiamo considerare questo bollo come la prima testimonianza sicura di un’officina di vasaio a Suessa. La “gens Pactumeia” alla quale con ogni probabilità si riferisce il nome, è molto diffusa a Capua già in epoca repubblicana100 e documentata anche in altre località Campane, fra cui Teano101, mentre i caratteri epigrafici insieme all’etnico ci portano fra il III e il II secolo a.C.102

91

Un esemplare inedito, di cui non si conosce la provenienza, è nel Museo Nazionale di Napoli (n. provv. 948). KOCH, Dachterrakotten, fig. 90. È un tipo classicheggiante che riecheggia uno schema in voga fra la fine del V e il IV secolo a.C. Più tardi sono evidentemente gli esemplari dove un gorgoneion o una testa qualsiasi sostituisce il cespo d’acanto (p. es. H.V. ROHDEN, Terrakotten von Pompeji, Stuttgart 1890, fig. II, tav. XVII). 94 JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, 1962, cit. 95 Cfr. le laminette auree dal santuario in località Pozzarello presso Bolsena (GABRICI, in Mon. Ant., XVII, 1906, col. 213 s., fig. 32) che sono di forma identica. 96 Qualche esemplare è stato trovato nella necropoli (GABRICI, Mon. Ant., XX, cit., fig. 51c). 97 LAMBOGLIA, op. cit., p. 145, forma 3. 98 A. TARAMELLI, Mon. Ant., XX, 1910, col. 179 s., figg. 9-15 ; cfr. anche Mon. Ant., XXX, 1925, fig. 17 (da dove ?). 99 LAKE, op. cit., p. 99. 100 C.I.L., X, 3778 (=C.I.L., I, 678), del 106 a.C.; 3785 (= I, 638); 4171; 4254; 4270; 4294. 101 C.I.L., X,, 1165 (Abellinum); 4736 (Teanum Sidicinum). 102 Cfr. i bolli da Cales (C.I. WOLLEY, in Journ. Rom. Studies, I, 1911, p. 199 s.). 92 93

59


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 60

60

L’assenza in queste favisse delle forme tarde della ceramica Campana B, fra cui le coppe a bordo svasato con piede a sagoma obliqua, derivanti dai calamai, e i piatti con piede a tondino sporgente103, che non mancano negli strati sconvolti, e la tecnica delle volte104 nonché delle facce a vista, non permette di scendere con questa fase molto più giù della metà del II secolo a.C. e difficilmente ai suoi ultimi decenni. La fase Sillana (fig. 4 b) è rappresentata per ora dall’aggiunta di cinque ambienti di sostruzione al centro del lato NordEst della terrazza IV105, di cui i tre centrali più profondi e collegati fra di loro da stretti vani ad arco, e dal portico che copre la rampa fra le terrazze III e IV. Questo è costituito da una doppia serie di pilastri rettangolari con semicolonne doriche lisce sia verso l’interno, sia verso l’esterno, anche laddove la distanza dei muri è minima, come su tutto il lato Nord-Ovest, dove lo spazio è quasi interamente occupato da una cunetta in blocchi di tufo106. Le strutture sono in opus incertum tendente verso il quasi-reticulatum con caementa di piccole dimensioni e i pilastri e le testate di muro in tufelli alti sui 10-11 cm. e le volte in opera a getto. Di elementi dell’elevato del portico ci sono pervenuti oltre a molti cunei degli archi che univano i pilastri numerosi blocchi della cornice in tufo, i quali per tipo e sagoma si ricollegano a quelle di monumenti ben datati in età sillana, quali il santuario della Fortuna a Praeneste107 e il tempio di Giove Anxur a Terracina108. Mentre una colmata alle spalle del tempio C è forse di poco successiva alla fase precedente, un successivo rialzamento di livello in tutta la zona dei tempietti, che presuppone l’avvenuta distruzione di almeno quello D, in quanto il muro di terrazzamento verso la rampa poggia in parte sul suo podio, può essere messa in relazione con tali opere. Il materiale raccolto in strato è costituito oltre che dalle già descritte antefisse e dall’antepagmentum con i grifi, che presentano tutti tracce di bruciatura, da ceramica a vernice nera e grezza. Fra quest’ultima prevalgono le ollette con bitorzoli irregolari e, soprattutto nell’area alle spalle del tempio C, i foculi a scodellone con protomi femminili e giacenti su kline applicati a rilievo sulle pareti interne109. Tutto quello che c’è di opere posteriori è di scarsa importanza e per lo più di estensione assai limitata. Alla fine della repubblica o ad età augustea si possono con ogni probabilità attribuire alcune strutture di rinforzo e di tompagno in opera reticolata presso l’estremità Sud-Ovest della rampa porticata e l’angolo Sud della terrazza IV, nonché un criptoportico lungo il lato Sud-Est della terrazza II con pilastri in tufelli e lunette laterali nella volta a botte. Ad età giulio-claudia non troppo avanzata risalgono, a giudicare dal materiale trovato in strato, fra cui abbondano soprattutto le lucerne, una ulteriore colmata sopra i tempietti e la sistemazione a ninfeo dell’area antistante alle sostruzioni Nord-Est della terrazza IV, di cui qualche ambiente fu trasformato in cisterna. Di particolare interesse è tutta la serie delle terrecotte votive e dei bronzetti figurati rinvenuti nel santuario, soprattutto perché proviene in gran parte da scarichi abbastanza ben datati e anche per la varietà dei tipi rappresentati, fra i quali le donne incinte sono un motivo tutt’altro che frequente in ambiente italico110. Ma prima di seguirne lo sviluppo per tipi integrando qualche lacuna con materiale strettamente affine soprattutto dal santuario di Marica e da Cales, sarà opportuno discutere brevemente di qualche elemento di caratterizzazione esterna e in particolare dei copricapo. Quello a punta talvolta smussata e spesso ripiegata in avanti era finora conosciuto in Campania da due teste di grandezza naturale da Cales111 e da due testine pertinenti a statuette dal Garigliano, in cui si sono voluti vedere dei Dioscuri112.

103

LAMBOGLIA, op. cit., p. 146 s., forma 5. Su tale tecnica, che è usata nel II secolo a.C. abbastanza di frequente anche in Campania (p.es. in un edificio termale di Cuma presso il bivio per l’acropoli e in una cisterna sul lato sud dell’acropoli di Puteoli), cfr. G. LUGLI, La tecnica edilizia romana, Roma 1957, p. 664. 105 Almeno quello centrale era chiuso sul davanti ed è quindi probabile che la loro funzione originaria fosse quella di favisse. 106 I pilastri che poggiano su uno stilobate in blocchi di tufo conservano in parte avanzi del rivestimento d’intonaco, che nelle semicolonne è ornato da baccellature. 107 Cfr. F. FASOLO-G. GULLINI, Il santuario della Fortuna primigenia a Palestrina, Roma 1953, fig. 67; LUGLI, op. cit., tav. CXVI. 108 LUGLI, Forma Italiae, Regio I, 1, Roma, 1926, col. 172 s., fig. g. 109 È una forma di tipo tutt’altro che noto, ma che si è probabilmente sviluppata da quella del braciere o fornello con protomi come sostegni di bacino diffuse in tutto il mondo Greco nel II secolo a.C. (su questi cfr. A. CONZE, in Jahrb., V, 1890, p. 113 s.; A. FURTWANGLER, ibidem, VI, 1891, p. 110 s.) 110 Cfr. F. WINTER, Die Typen der figürlichen Terrakotten, III, 2, Berlin 1903, p. 469, 8. 111 Napoli, Museo Nazionale, n. Inv. 21201 e 21202; A. LEVI, Le terrecotte figurate del Museo Nazionale di Napoli, Firenze 1925, n. 542, fig. 114 e n. 643. 112 MINGAZZINI, in Mon. Ant., XXXVII, cit., col. 524, tav. XXV, 12. 104


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 61

Fig 9 a-i Terrecotte votive e scultura in tufo del VI-V secolo a.C. dalla localitĂ Loreto.

a

b

g

h

c

d

e

f

i

61


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 62

62

Ma lo troviamo anche in una statuetta di fanciullo e in alcuni bambini in fasce da Capua113 e a Teano, oltre che in alcune teste (figg. 9 a, b; 12, a, b, c, d), in una statuetta maschile ammantata (figg. 11 l, m) caratterizzata dalle braccia protese e da un oggetto nella sola mano conservata come offerente. Si distingue dai berretti ritenuti attributo sacerdotale che conosciamo da alcuni monumenti etruschi del IV secolo a.C. e di età ellenistica114 solo per l’assenza della fascia rigida e probabilmente non ha nulla a che vedere con il copricapo di un’antefissa arcaica di Capua115 che è con ogni probabilità un elmo tracio116. Comunque, anche se troviamo in alcune di queste terrecotte votive campane gli stessi ritagli per le orecchie e gli stessi lacci che scendono sotto le guance in quelli e più tardi nei copricapo dei “flamines”, l’assenza di una particolare foggia di vestire nelle statuette da Teano e da Capua e l’uso per i bambini sembra escludere che si possa parlare nel nostro caso di un attributo sacerdotale. Si tratta tuttavia in realtà semplicemente di un tipo di berretto maschile diffuso dall’Etruria alla Campania, cioè praticamente nell’area di espansione etrusca, soprattutto fra il VI e il III secolo a.C. e che sarà forse lecito chiamare anche in Campania con il nome, che è probabilmente quello suo, di “tutulus”117. Un secondo tipo di copricapo troviamo invece usato per figure femminili oltre che a Teano (figg. 9 c, e; 10 a, b) a Capua118. È a forma di busta relativamente alta e con il taglio superiore nel senso della larghezza, in modo da rassomigliare esteriormente ad un “polos”. La sua funzione risulta chiara da una statuetta da Capua119 e da una figura su un vaso campano del Museo Nazionale di Napoli120, dove serve da sostegno ad un lungo velo che copre le spalle e tutto il lato posteriore. Come abbiamo già visto in precedenza non c’è materiale databile con sicurezza ad epoca anteriore agli ultimi decenni del VI secolo a.C., e che non sia casuale mi pare si possa dedurre dalla mancanza totale sia del bucchero, che è scomparso a Capua nell’ultimo quarto del secolo121, sia del cosiddetto bucchero rosso che a Cales dura oltre la metà del secolo122. Mancano anche i pupazzetti informi d’impasto con le mani spesso attaccate direttamente al corpo o a braccia brevissime, le gambe unite o quasi e le membra appena accennate, che troviamo nelle stipi del santuario di Marica sul Garigliano123, a Capua124 e in esclusiva in quelle di Monte Puntiglio e S.Scolastica sopra Cassino125. Qualche ricordo sopravvive però in alcune sculture in tufo vicine in genere a quelle più primitive di Fratte126, di cui presento un esemplare (fig. 9 g) completamente amorfo e senza estremità, con il collo indicato da una doppia linea incisa con una serie di puntini in mezzo, gli occhi, il naso e la bocca pure indicati da puntini e sul corpo delle linee verticali che non sono altro che una rudimentale indicazione di panneggio127.

113

Capua, Museo campano, n. Inv. 1502, 3601. Su questi cfr. M. PALLOTTINO, in Rend. Lincei, S. VI, VI, 1930, p. 57 s. 115 KOCH, Dachterrakotten, cit., tav. X, 1. 116 Sull’elmo “tracio” cfr. B. SCHRÖDER, in Jahrb., XXVII, 1912. Come elmo “tracio” o sua derivazione è anche da considerare evidentemente il copricapo di un gruppo di teste femminili su un elemento architettonico fittile della prima metà del V secolo a.C. da Capua (G. PATRONI, Catalogo dei vasi del Museo Campano, II, Capua 1904, n. 574, p. 254, tav. IX, p. XXXIV). 117 Sul “tutulus” cfr. PALLOTTINO, op. cit. e R. KREIS-V. SCHAEWEN, in PAULY-WISSOWA, S.B., VII, coll. 1627 s. 118 Museo Campano, n. Inv. 2241 p. es. 119 Museo Campano, s.n., alt. m. 0,255. 120 S. n., è uno skyphos databile verso la metà del IV sec. a.C. 121 Mentre in queste è stata trovata, spesso in associazione con ceramica attica, della ceramica locale a vernice nera o con decorazione a fasce o a figure nere (cfr. su queste categorie MINGAZZINI, in C. V. Museo Campano, III, p. I s.), nelle tombe databili intorno alla metà del secolo si trova quasi soltanto bucchero pesante. 122 Se n’è trovato anche in tombe con copertura in tegole e a cassa di tegole, che non potranno certo essere anteriori a quelle analoghe finora esplorate a Capua, una sola delle quali ha dato del bucchero. I soli vasi di bucchero rosso di provenienza campana in senso lato finora pubblicati sono quelli dal santuario di Marica (MINGAZZINI, in Mon. Ant.., XXXVII, cit., coll. 866 s.) ma proprio in questi ultimi anni, in seguito a ritrovamenti fortuiti, che non si sono potuti sempre controllare, e a scavi sistematici nella necropoli arcaica di Cales, è risultato che tale tipo di ceramica è diffusa soprattutto a Nord del Volturno e a Capua fin dalla prima metà del VII secolo a.C. e si è attardata per quel che sappiamo almeno a Cales. 123 Mon. Ant.., XXXVII, cit., coll. 760 s., tavv. XII-XIII. 124 Museo Campano, n. Inv. 507. 125 A. PANTONI, in Not. Scavi, 1949, p. 143 s.; L. PIGORINI, in Bull. It. Paletn., XLIII, 1917, p. 85 s., fig. A. 126 P.C. SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, p. 151 s., figg. 65-66. 127 A. ADRIANI, in Cataloghi illustrati del Museo Campano, I, Sculture in tufo, [Alessandria d’Egitto] 1939, tav. I, 1. 114


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 63

Fig 10 a-i Terrecotte votive del V-IV sec. a.C. dalla localitĂ Loreto.

b

a

d

c

e

g

f

h

i


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 64

64

Ma proprio la soppressione di ogni differenziazione plastica delle singole parti del corpo e la maggiore angolosità dei contorni può essere dovuta a quel rassodamento formale di cui è frutto tra l’altro, fra le madri di Capua, quella n. 1128 e che noteremo nelle nostre terrecotte più antiche. Fra queste statuette d’impasto a superficie per lo più rossastra quelle a corpo piuttosto appiattito, che finora erano rappresentate soprattutto nel santuario di Marica129, si ricollegano apparentemente, per le braccia a semicerchio, al gruppo precedentemente discusso. Ma per evitare di capitare in un vicolo cieco e tentare di stabilire una cronologia relativa e in qualche modo assoluta più valida è pur sempre necessario, tenendo presente l’impossibilità di valutare in termini più sicuri il ritardo particolarmente frequente in ambiente italico rispetto a materiale meglio databile, considerare anche le sculture fittili maggiori e pertanto anche di maggiore impegno dal lato formale. Si tratta di teste e talvolta anche di statue di grandezza media o naturale per lo più impresse a matrice, come la grande maggioranza degli analoghi ex voto di altri santuari italici130 e di cui alcune sono, come vedremo, contemporanee alle statuette di cui si è parlato. Per tentare d’inquadrare meglio il problema sarà opportuno prendere le mosse da una statuetta maschile di media grandezza del santuario di Marica che allo stato attuale delle cose è apparentemente la più antica fra le terrecotte votive non greche della Campania in cui l’influsso greco è tuttavia evidente131. Per l’acconciatura di derivazione dedalica essa si richiama a tipi non posteriori alla metà del VI secolo, ma non c’è nemmeno quel po’ di saldezza, sia pure solo nella linea, che sopravvive invece abbastanza a lungo alla graduale schematizzazione, perché legato ai contorni e al fondo del rilievo, in teste e figure simili sulle più antiche antefisse campane132. Ben diversa e assai vicina al capo di una statuetta con copricapo a busta da Teano (figg. 9, c, e) è una testa d’impasto di grandezza naturale, forse maschile e pure dal Garigliano, con basso copricapo cilindrico133. L’estremismo formale, particolarmente evidente nella spigolosità dei contorni, fenomeno che notiamo in alcuni prodotti etruschi dell’ultimo terzo del VI secolo134 con i quali forse non mancano rapporti, e che vedremo riaffiorare ogni tanto più tardi in Campania, ha avuto come effetto quel rassodamento cui avevamo accennato. Nella statuetta da Teano il dinamismo un po’ attenuato e la minore cura dei particolari sono dovuti alla qualità più scadente, come anche la fronte apparentemente più mossa, che è da considerare un elemento occasionale, ma come quella dal Garigliano la possiamo datare ragionevolmente ancora verso la fine del VI secolo o poco più in giù. Troviamo invece una accentuazione meno estrema degli elementi espressivi ma in cambio una maggiore solidità strutturale in una testa con copricapo a punta, pure da Teano (figg. 9 a, b)135. Un elemento di arcaismo è il capo buttato all’indietro, mentre la larghezza del collo, controbilanciata dall’altezza abbastanza notevole, contribuisce a rendere unitaria nei contorni la veduta frontale, come nella già descritta scultura in tufo. A questa la accomunano anche le linee assai leggermente arcuate e gli angoli quasi dovunque smussati che attenuano le durezze della struttura, sostanzialmente geometrica, del volto.

128

[Cfr. A. ADRIANI, Sculture in tufo, op. cit., p.16 a p. 41 n. 1 catalogo, Inv. 394.] MINGAZZINI, in Mon. Ant., XXXVII cit., coll. 770 s., tavv. XV-XVI, 1. 130 Mentre le statuette di cui sopra sono eseguite, salvo nel caso di quelle a corpo xoanizzante (v. nota prec.), interamente a mano, nella maggior parte delle teste di Teano è usata una matrice per la parte anteriore. La parte posteriore del capo è sempre modellata a mano, come spesso anche il corpo delle terrecotte più antiche soprattutto. Alla bibliografia data dal MINGAZZINI, (Mon. Ant.., XXXVII, cit., coll. 782 s.) sono da aggiungere soprattutto: R. BARTOCCINI, in Japigia, N.S. XI, 1940, pp. 185 s., 241 s. (Luceria); P. ROMANELLI, in Not. Scavi, 1948, p. 209 s. (Tarquinia); A. CEDERNA, in Not. Scavi, 1951, p. 169 s. e in Arch. Class., V, 1953, p. 187 s. (Carseoli); P.C. SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, cit., p. 86 s. (Fratte); A. DE FRANCISCIS, in Not. Scavi, 1952, p. 324 (Capua); G. MAETZKE, in Studi Etruschi, XXIV, 1955-56, p. 238 (Fiesole); F. DE VISSCHER-J. MERTENS, in Not. Scavi, 1957, p. 170 s (Alba Fucens); M. BIZZARRI, in Not. Scavi, 1959, p. 89 s. (Marsiliana d’Albenga); J.M. BLAZQUEZ, in Zephyrus, XII, 1961, p. 25 s. (Cales); B.M. THOMASSON, in Opuscula Romana, III, 1951, p. 123 s. (Lavinium). È in corso la pubblicazione delle terrecotte del Museo Campano a cura di M. BONGHI-JOVINO. Sul significato e l’importanza delle terrecotte maggiori per la conoscenza dell’arte Italica cfr. anche L. FORTI, in Rend. Acc. Napoli, N.S., XXIV-XXV, 1949-50, p. 283 s. e G. COLONNA, in Enc. Arte antica, IV, Roma 1961, p. 257. 131 G.Q. GIGLIOLI, in Ausonia, VI, 1912, p. 66 s., tav. IV. 132 KOCH, Dachterrakotten, cit., tav. XIX, 1; R. BIANCHI-BANDINELLI, Storicità dell’arte classica, 2a ed., Firenze, 1950, tav. LX, 118, da Capua; MINGAZZINI, in Mon. Ant., XXXVII, cit., col. 738, tav. V, 2-4. 133 MINGAZZINI, in Mon. Ant., XXXVII, cit., col. 738, tav. XVI, 6-7. 134 P.es. in qualche sarcofago ceretano (GIGLIOLI, Arte etrusca, tavole CXVI-CXVIII) e in qualche rivestimento eburneo di cassetta (M. PALLOTTINO, in Riv. Ist. Arch. e St. Arte, V, 1935, pp. 39 s., tav. I, figg. 1-2; Y. HULS, Ivoires d’Etrurie, Bruxelles 1957, tavv. XXXII, XXXIII, XXXV-XXXVII). 135 Alt. m. 0,235, largh. m. 0,098, prof. m. 0,091; impasto non depurato con nucleo grigio e superficie rosa, vuota nell’interno, lavorata a mano. 129


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 65

Questa è resa ancora più semplice e chiara dalla mancanza di separazione netta fra il berretto e l’acconciatura sulla fronte, resa con linee incise alla stecca e il cui carattere decorativistico contrasta con il vigoroso trattamento plastico dei boccoli che cadono sulla nuca. Di un’estrema chiarezza è anche la resa dei piani facciali, che già preclude a quella visione planimetrica che nella sua forma più spinta avrà fortuna, più che in Campania, nell’ambiente osco-sabellico136. Ma presto questa concezione formale, che sembra particolarmente accentuata nella già ricordata scultura in tufo n. 1 da Capua, è attenuata dagli influssi del tardo arcaismo dell’Italia centrale e prevale almeno nelle teste la struttura stereometrica più propriamente etrusca. Fra i prodotti tipicamente etruschi presentiamo una statuetta femminile con un enorme diadema137 (fig. 9 f), che nella sua concezione estremistica è molto vicina a terrecotte votive di Capua e di Cales138 e alle figurine di bronzo che ornano alcuni lebeti campani dello scorcio fra il VI e il V secolo a.C., mentre un’altra con “polos” e capelli con scriminatura al centro139 (fig. 9 d) ha qualche analogia stilistica con tipi greco-orientali della fine del VI secolo a.C. Ma il pezzo più interessante di questo periodo è senza dubbio una testa votiva femminile di grandezza naturale (figg. 9 h, i) con ciocche a due fasce concentriche scendenti da un cercine, di cui quelle estreme sono più lunghe140.Tale acconciatura, frequente in Etruria già nell’ultimo quarto del VI secolo141, si trova in Campania in forma simile solo su un’antefissa da Capua142, ma nello stile essa è più di ogni altra terracotta votiva campana vicina alla grande plastica fittile sud-etrusca e laziale. L’alta fronte sfuggente e il dorso del naso leggermente concavo che ne continua la linea ricordano le sculture acroteriali e le antefisse del tempio di Portonaccio a Veii143. Tuttavia certi elementi di maggiore arcaismo, che possono essere pure provinciali, ma sono ancora troppo vivi per abbassarne la cronologia, come gli occhi spalancati, il mento massiccio e il taglio rettilineo della bocca, accomunano la nostra testa ancora maggiormente alle terrecotte architettoniche di quella che riteniamo la seconda fase di Satricum144 e ad alcune antefisse del tempio maggiore di Vignale a Falerii veteres145, anch’esse in gran parte esenti da certo manierismo ionizzante. Pertanto abbiamo buoni motivi per datarla ancora nel primo terzo del V secolo a.C., cioè in un’epoca in cui i rapporti artistici fra Campania interna e l’Italia centrale sono ancora molto stretti146. Nella scia della testa con “tutulus” di cui abbiamo discusso poc’anzi è una dello stesso tipo di Cales147in cui però ai tratti esteriori ancora più rigidi corrisponde una minore chiarezza dei piani facciali dovuta all’impianto stereometrico e alla presenza di particolari che in quella sono soppressi per esigenze compositive. Più esteriori sono gli influssi etruschi in una maschera fittile da Nola148 dove gli elementi nuovi sono adattati in una visione planimetrica, mentre in una testa femminile da Capua149, che per la chiarezza dei rapporti nella sua solida struttura è nella diretta discendenza di quella di Teano, è evidente l’influsso, apparentemente non filtrato attraverso l’ambiente etrusco, di tipi greci del primo terzo del V secolo.

136 Cfr. sul problema M. NAPOLI, in Parola del Passato, XI, 1956, p. 386 s. Esempi tipici di questa concezione sono, fra l’altro, il guerriero di Capestrano (G. MORETTI, Il guerriero italico da Capestrano, Opere d’Arte, II, Roma 1937) e alcune terrecotte, bronzetti e sculture in legno del santuario della Mefite nella valle d’Ansanto (G. ONORATO, La ricerca archeologica in Irpinia, Napoli 1960, tavv. XXII c, XXV a, XXVII a-b). 137 Ne è conservata solo la testa, frammentata alla base del collo (altezza m. 0,136, largh. m. 0,073, prof. m. 0,055). 138 JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, XLVI, 1961, p. 264, fig. 12. Sui lebeti capuani cfr. J. HEURGON, Recherches sur l’histoire, la religion et la civilisation de Capoue préromaine, Paris 1942, p. 397 s. (cfr. soprattutto tav. VIII). 139 Alt. della testa, sola parte conservata, m. 0,087, largh. m. 0,063, prof. m. 0,041; il lato posteriore è piatto (cfr. l’antefissa KOCH, Duchterrakotten, tav. IX a) 140 Alt. mass. m. 0,205, largh. mass. m. 0,143, prof. mass. m. 0,120; vuota all’interno, è nella solita argilla locale rossa scura con mica. 141 Cfr. GIGLIOLI, Arte etrusca, cit., tavv. CXXII, 2-3, CLXXVIII, 1. 142 KOCH, Dachterrakotten, cit., tav. XII, 5. 143 GIGLIOLI, Arte etrusca, cit., tavv. XCIII-XCV; M. SANTANGELO, in Boll. d’Arte, XXVII, 1952, p. 156, figg. 25-26 (cfr. anche la testa femminile, ibidem, fig. 19). 144 ANDRÉN, op. cit., p. 470, tavv. CXLVII-CXLIX. 145 ANDRÉN, op. cit., p. 94 s., tav. XXIX, 102-103. 146 A questo periodo risalgono infatti i più tardi fra i vasi campani a figure nere (MINGAZZINI, C. V. Museo Campano, III, pp. 3 s.) e non molto più recenti sono i vasi a figure rosse del gruppo del pilastro della civetta, in cui l’impronta etrusca è ancora evidentissima (su questi cfr. J.D. BEAZLEY, in Journ. Hell. St., LXIII, 1943, p. 66 s.; TRENDALL, op. cit., p. s.). Anche l’unica tomba dipinta capuana anteriore al IV secolo a.C. (F. WEEGE, in Jahrb. XXIV, 1909, p. 108 s., n. 15, figg. 4-5) può essere datata in base a confronti tarquiniesi nei primi decenni del V secolo a.C. Nel V secolo avanzato sono inoltre abbastanza diffusi in Campania dei vasi etruschi sovradipinti (su questi cfr. BEAZLEY, Etruscan Vase-Painting, Oxford 1947, p. 195 s.; TRENDALL, op. cit., II, p. 258 s.). 147 Napoli, Museo Nazionale, n. Inv. 21202 (v. sopra nota 111). 148 Napoli, Museo Nazionale, n. Inv. 24401. D. LEVI, op. cit., p. 134, n. 606. È in corso di pubblicazione nel catalogo della mostra dell’Etruria Campana. 149 Museo campano. Cfr. BONGHI, Catalogo, tipo A 1.

65


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 66

66

Nella stessa linea evolutiva è un’altra testa femminile di grandezza naturale da Teano (figg. 10 d, e), la quale per il carattere più morbido del modellato e il maggiore realismo della capigliatura che è trattata alla stecca, è alquanto più recente e presuppone tipi di derivazione peloponnesia dei decenni intorno alla metà del V secolo, ma è meno vicina a questi che non, ad esempio, una testa fittile dal tempio in località Manganello a Caere150. Un elemento di arcaismo può essere considerato la bocca rettilinea, mentre l’acconciatura è certo uno degli esempi più antichi con scriminatura centrale e boccoli pendenti sui lati, la cui rassomiglianza con quelli libici in terrecotte più recenti di ambiente soprattutto laziale è soltanto casuale, e pertanto è da considerare come italica151. Molto vicina a tipi greco-occidentali del terzo quarto del V secolo o di poco posteriori152, tanto da far supporre un divario cronologico minimo, è una testa femminile della stessa provenienza con copricapo a busta153 (fig. 10, a, b), in cui la salda e organica costruzione del volto, eseguito con una matrice probabilmente ricavata da una terracotta importata, contrasta con le enormi orecchie eseguite a mano come il resto. Pure incomprensibili, se non attraverso contatti con lo stesso ambiente artistico154, sono due teste maschili155 (figg. 10 c, f, g, h) fra di loro molto vicine, con la capigliatura a calotta liscia e le orbite degli occhi che seguono la curvatura della fronte. Ma per la loro struttura decisamente stereometrica, la soppressione di qualsiasi particolare o sfumatura non essenziale e il mento sollevato, esse sono già più italiche che non per es. una testa femminile da Fratte, derivata anch’essa da tipi italici, dell’ultimo quarto del V secolo156, e ricordano molto da vicino le teste sulle monete di Cuma Sannitica157, per cui la loro datazione va abbassata forse fino agli inizi del IV secolo a.C. La tendenza alla schematizzazione è ancora più accentuata in una testa d’impasto da Cales158 (fig. 11 c) e soprattutto in una maschera da Fratte159 che, salvo per la capigliatura a calotta, deriva dalla testa dianzi citata. Invece alcune teste da Capua dai tratti meno rigidi160 e quelle di qualche statuetta a corpo appiattito da Teano (fig. 11 h, i), in cui la profondità dei singoli tratti del volto è notevolmente esagerata161, e dal Garigliano162 sono nella discendenza delle teste teanesi dianzi discusse. Mentre il corpo della statuetta in questione da Teano ha nella resa plastica di qualche particolare-come la mano destra, i glutei e il bordo della tunica-qualche residuo di plasticità, sia pure in minor misura che p. es. nel bronzetto da Serra d’Arce163, nell’altra la riduzione al solo profilo ritagliato annulla la frontalità e il viso è ridotto quasi alla sola maschera senza alcun rapporto con tutto il resto164.

150

R. MENGARELLI, in Studi Etruschi, IX, 1935, tav. XIX, 3. La ritroviamo in forma simile in qualche testa votiva del Museo Gregoriano Etrusco di provenienza probabilmente Cerretana (G.V. KASCHNITZ-WEINBERG, in Rendic. Pont. Acc., III, 1928, tav. XIX) e con i boccoli attorcigliati in un gruppo di terrecotte laziali diffuse anche a Cales e a Luceria (v. sotto, note 229, 230, 231). 152 Cfr. R. KEKULE, Die Terrakotten von Sizilien, Berlin 1884, tav. XI, 2, 6. 153 A) alt. m. 0,269, largh. m. 0,200, prof. m. 0, 148; B) alt. m. 0,295, largh. m. 0,168, prof. m. 0,175; dello stesso tipo è una testa del Garigliano (Mon.Ant., XXXVII, cit., tav. XXIII, 11-12). 154 Cfr. L’’Apollo’ da Cirò (P. ORSI, in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia, 1932, p. 135 s.; A. DE FRANCISCIS, in Rom. Mitt., LXIII, 1956, p. 45 s.) e terrecotte tarantine strettamente affini. 155 A) alt. m. 0,269, largh. m. 0,200, prof. m. 0, 148; B) alt. m. 0,295, largh. m. 0,168, prof. m. 0,175. 156 SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, p. 112 s., fig. 26. 157 L. BREGLIA, in Le Arti, IV, 1941-42, tav. XI, 4. 158 Rinvenuta recentemente in località Ponte delle Monache, di dimensioni vicine alla metà del naturale; è vuota all’interno e ha un buco di sfogo sul lato posteriore, ma nessuna apertura alla base del collo. 159 SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, p. 120, fig. 32. 160 Museo Campano, v. catalogo in corso di pubblicazione, I fasc. 161 Alt. m. 0,238, largh. m. 0,154, prof. m. 0,072. 162 MINGAZZINI, in Mon.Ant., XXXVII, cit., col. 795, tav. XX, 1. 163 SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, p. 49 s., fig. 2. 164 In contrasto con la datazione troppo alta sostenuta dal Mingazzini il GIGLIOLI (in Studi Etruschi, XXIII, 1954, p. 408 s.) ne aveva proposto una, troppo bassa, al III-II secolo a.C. Comunque non è da escludere che alcuni tra i bronzetti a corpo appiattito di provenienza etrusca (su questi ultimamente O. TERROSI-ZANCO, in Studi Etruschi, XXIX, 1961, p. 423 s.) possano scendere al III secolo a.C. 151


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 67

Fig 11 a-m Terrecotte votive dalla stipe piĂš antica in localitĂ Loreto e testa fittile da Cales (c).

c

a

e

h

i

b

d

f

g

l

67

m


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 68

68

Assai simili a queste teste sono quelle pure maschili su alcuni oboli di Phistelia165, in cui le singole ciocche sono rappresentate schematicamente, e che costituiscono un caposaldo in quanto numerosi esemplari in ottimo stato provengono da un ripostiglio di Cales che apparentemente è da mettere in relazione con gli avvenimenti del 334 a.C.166 A tale tipo monetale può essere accostata fra le terrecotte di Teano anche la testa di un bambino in fasce su cui torneremo (fig. 12 e), con l’acconciatura trattata però in modo più sommario e altri tratti tardi. Non molto distante dai tipi maschili di questa serie è la testa di una statuetta femminile d’impasto pure da Teano (figg. 11 d, g) modellata alla stecca167, la quale, per la linea convessa che forma il dorso del naso con la fronte, ricorda la statuetta già descritta dalla stessa stipe e si accosta per il diadema a globuli dal quale pare scenda un velo, ad una testa da Capua168. Quanto alle due donne incinte più antiche, cui manca però il capo, che è pur sempre un elemento di giudizio, possiamo dire soltanto che l’esemplare più realistico169 (figg. 11 a, b) precede con ogni probabilità quello a corpo piatto170 (figg. 11 e, f) dove il ventre emisferico è improntato al più crudo naturalismo. In altre terrecotte di carattere italico di Teano è evidente l’influsso dell’arte greca del IV secolo magari mediato da tipi di derivazione più diretta di cui ci occuperemo più avanti. Meglio databile per tali elementi estrinseci è una testa di grandezza naturale con copricapo a punta171 (figg. 12 a, b) in cui la fronte mossa e corrugata è resa eccessivamente evidente fino a dare al profilo un aspetto quasi caricaturale, accentuato dalle orecchie che sporgono in modo innaturale e hanno nella visione frontale qualcosa di animalesco. Insomma siamo già nell’ambito di quell’estremismo che si manifesta in Campania nell’ultimo quarto del secolo e di cui sono esempi più tipici una testa maschile da Capua172 e una femminile da Teano, delle quali fra breve tratteremo. Ma proprio la veduta laterale svela il carattere disorganico e tipicamente italico di questa testa ancora buttata indietro e dal cranio poco profondo appena sporgente rispetto alla nuca, particolare che troviamo a partire dagli ultimi decenni del IV secolo e che sarà ancora frequente nel medio ellenismo. Molto vicino a questa è il capo della già discussa statuetta ammantata con corpo appiattito173 (figg. 11 l, m). Questa, che può essere considerata un rilievo, ha i piedi e gli avambracci sporgenti e indossa un manto che copre la spalla sinistra, lascia scoperta gran parte del petto e giunge fino alle caviglie. La testa, di proporzioni relativamente grandi rispetto al corpo, è, a differenza di quanto avviene in tutte le altre terrecotte minori, vuota, e ha sul retro un buco di sfogo. Mentre il trattamento del corpo è molto sommario e l’oggetto cilindrico nella mano sinistra, la sola conservata, è irriconoscibile, il viso, impresso evidentemente a matrice, è di buona fattura. Anche se il mento è già quasi a punta come nella testa precedente, non c’è ancora quell’esagerazione di alcuni tratti caratteristici che abbiamo notato in quella, e le labbra, mosse come nei tipi maggiormente influenzati dall’arte greca, e le ciglia sono più nettamente definite. Tutti questi elementi sono in favore di una datazione un po’ più antica della statuetta rispetto alla testa di cui si è parlato prima, mentre ad un tipo ancora più antico, rappresentato da una testa di grandezza naturale di Cales174, risale una testina di più scarsa qualità175 (figg. 12 c, d) dal copricapo ancora più alto e incurvato in avanti, caratterizzata ancora da una certa saldezza dei contorni e dall’ampio mento rettilineo.

165

Sylloge nummorum graecorum. Italy, 1, (Etruria Campania), Copenhagen 1942, tav. XIV, n. 576. Cfr. su questo A. STAZIO, in Parola del Passato, XV, 1960, p. 225 s. 167 Alt. m. 0,084, largh. m. 0,053, prof. m. 0,064; impasto giallognolo, non depurato. 168 Museo Campano, n. Inv. 107. 169 Alt. m. 0,120, largh. m. 0,102, prof. m. 0,049; impasto con nucleo grigio e superficie rosa, sul lato posteriore del collo tracce di capigliatura. 170 Alt. m. 0,140, largh. m. 0,130, prof. m. 0,064; impasto rosa, non depurato. 171 Alt. m. 0,315, largh. m. 0,125, prof. m. 0,120. 172 BREGLIA, in Le Arti, IV, cit., p. 40 s., tav. X; BIANCHI-BANDINELLI, Storicità, cit., p. 127, tav. LVIII, 112. 173 Alt. m. 0,370, largh. m. 0,112, prof. m. 0,060; impasto nerastro con superficie arancione. 174 Napoli, Museo Nazionale, n. Inv. 21202; A. LEVI, op. cit., p. 143, n. 643. 175 Alt. m. 0,154, largh. m. 0,057, prof. m. 0,054. Cfr. Mon. Ant., XXXVII, cit., col. 824, tav. XXV, 12. 166


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 69

Fig 12 a-l Terrecotte votive dalla stipe piĂš antica in localitĂ Loreto.

69

a

b

c

e

h

f

i

d

g

l


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 70

70

Un secondo gruppo di terrecotte pure tipicamente italiche è costituito dai bambini in fasce, non molto frequenti, di cui presento i due esemplari più notevoli. L’uno (fig. 12 e) è, per il suo stile lineare, ancora nella tradizione delle teste con calotta, anzi la testa è, come abbiamo visto, molto vicina a quelle sulle monete di Phistelia e solo la disposizione delle fasce presuppone esperienze più recenti. Nell’altro176 (fig. 12 h) la minore nettezza dei particolari, la fronte mossa e il carattere ormai fanciullesco del volto ci portano negli ultimi decenni del secolo177. Pure a quest’epoca o agli inizi del secolo successivo sono da datare due teste femminili derivanti da tipi molto simili fra loro. L’una178 (figg. 12 f, g), di proporzioni molto ampie, con la fronte a forma di triangolo incurvato ai lati verso il basso, la bocca incurvata nello stesso senso, l’incontro ad angolo del dorso del naso con gli archi sopracciliari, è vicina a qualche scultura in tufo da Capua179 in cui è evidente il ricordo di tipi greci nell’ultimo terzo del IV secolo, e ad una datazione piuttosto bassa ci porta anche il carattere classicheggiante dell’acconciatura180 che delle figure capuane conserva solo la scriminatura al centro ma non il tratto vigoroso. L’altra (figg. 12 i, l), dal cranio più piatto e con la capigliatura abbozzata sommariamente e in modo disorganico, è, per l’esagerazione degli elementi espressivi -più accentuata che nella più recente fra le teste con “tutulus”, pur nel suo modellato meno vigoroso- pressappoco l’equivalente femminile di una testa barbuta maschile del Museo di Capua181. Le teste di grandezza naturale che si ricollegano strettamente a tipi greci sono tutte di divinità e appartengono a statue a tutto tondo. Una di Ercole182 (figg. 13 a, b), di cui sono conservate in parte anche le spalle, ha la λεοντÁ allacciata sullo sterno e i capelli a grosse ciocche trattate in modo sommario. Le orecchie decisamente sproporzionate sono eseguite a mano e per sottolineare le ciglia, le narici, la bocca e il distacco della capigliatura dalla fronte è usata la stecca. Nello stile essa si riannoda alla tendenza scopadea ed è vicina ad un tipo di Herakles con corona di pioppi conosciuto da varie repliche183. Ma malgrado la relativa vivezza della superficie è evidente nell’eccessiva profondità del mento e nell’accentuazione della punta del naso, insomma nell’esagerazione degli elementi espressivi a scapito del particolare, e nell’assenza di struttura interna, il suo carattere tipicamente italico. Lo stesso tipo ricorre su una serie di antefisse del tempio dorico di Pompei184 in una versione più rigida e pertanto con ogni probabilità più recente, ed è abbastanza diffuso in bronzetti provenienti dall’ambiente italico185. Nelle antefisse pompeiane il busto è inserito in un robusto cespo d’acanto che trova i suoi immediati precedenti in sime a rilievo greche databili intorno alla metà e nel terzo quarto del IV secolo186 e che è ridotto in alcune antefisse da Fratte187 ad una pianticella striminzita. Poiché queste ultime per varie considerazioni sono da datare con ogni probabilità ad epoca anteriore al 268 a.C.188 la terracotta di Teano -e forse anche quelle di Pompei- vanno poste ancora nell’ultimo terzo del IV secolo. Una seconda testa di Ercole con λεοντÁ della stipe di Teano189, (figg. 13 g, h), di fattura alquanto più accurata ed evidentemente eseguita a mano, ha la parte posteriore trattata con relativa sommarietà, ma saldata in modo relativamente organico con il resto. Inoltre, a differenza delle altre maggiori, le orecchie non sono molto esaltate o trascurate, ma rese con un certo realismo e negli occhi sono accennate, come spesso nelle migliori terrecotte italiche, l’iride e la pupilla.

176

Alt. m. 0,365, largh. m. 0,160, prof. m. 0,073. Cfr. Mon. Ant., XXXVII, cit., col. 794, tav. XIX, 7. Alt. m. 0,312, largh. m. 0,100, prof. m. 0,085. 178 Alt. m. 0,235, largh. m. 0,170, prof. m. 0,160. 179 ADRIANI, op. cit., nn. 14, 19, tav. IV. 180 Cfr. p. es. alcune terrecotte da Capua (DE FRANCISCIS, in Not. Scavi, 1952, p. 320 s., fig. 6b) 181 V. sopra, nota 172. È una versione esasperata del tipo Mon. Ant., XXXVII, cit., col. 805, tav. XXIII, 5. 182 Alt. m. 0,215, largh. m. 0,144, prof. m. 0,140. 183 P.E. ARIAS, Skopas, Roma 1952, p. 104 s., figg. 6-7. 184 Tuttora inedite, sono esposte nell’Antiquarium di Pompei. 185 Sul tipo cfr. Enc. Arte Antica, III, Roma 1960, p. 1152, s.v. Hercle; esemplari relativamente buoni sono, fra quelli editi, uno di Bologna (Studi Etruschi, XIX, 1946-47, tav. VIII, 5) e tre del Museo di Potenza (M. SESTIERI-BERTARELLI, Itinerario, Roma 1957, figg. 58-60). 186 Per es. le sime del tempio di Alea Athena a Tegea (CH. DUGAS-J. BERCHMANS- M. CLEMMENSEN, Le sanctuarie d’Aléa Athéna, Paris 1924, tavv. XLVI-XLVII, LXXXVI B) del tempio di Zeus a Nemea (DUGAS ecc., op. cit., LXXXVI A; DUGAS-CLEMMENSEN, in Bull. Corr. Hell., XLIX, 1925, p. 6 s., figg. 7-8). 187 SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, p. 96 s., fig. 12-13. 188 Su questo problema cfr. JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, XLVII, cit., p. 67. 189 Alt. m. 0,235, largh. m. 0,174, prof. m. 0,212. 177


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 71

Impressionistica è la resa delle sopracciglia e dei capelli, che contrasta con il carattere pittorico dei particolari della pelle leonina. Per la minore durezza nei contorni del viso rispetto alla testa precedentemente discussa e per le sopracciglia arcuate e la fronte bassa essa deriva comunque da tipi tardo-lisippei190 ed è vicina, anche per l’alta qualità, ad un gruppo di terrecotte forse architettoniche da Arezzo191. Ma mentre per la sua minore disorganicità e il trattamento più vivo della superficie essa è, fra le teste da Teano, una di quelle che s’avvicinano di più all’arte greca, il carattere più accentuatamente impressionistico la rende di un qualcosa più italica di quelle aretine. Vicino a questa può essere datata verso la fine estrema del IV secolo o agli inizi di quello successivo ancora un’altra testa di Ercole da Teano192 (figg. 13 d, e) la quale ha le stesse proporzioni del volto, ma un’espressione meno patetica e contorni più spigolosi. Duri, a volte lineari, sono in parte anche i tratti del volto, evidenziati dalla stecca rispetto ad altri particolari in cui si nota la stanchezza della matrice. Oltre a tale contrasto di effetto non molto felice sono estranei ai tipi di “stile austero”, da cui la testa in questione è manifestamente influenzata19, le ciocche sulla fronte, appena abbozzate, e quelle che spuntano dietro le orecchie da sotto la λεοντÁ, le quali ricordano nel loro trattamento espressionistico fra l’altro di nuovo le dianzi citate teste di Arezzo. Mancano invece confronti più stringenti per un’altra testa forse femminile con λεοντÁ pure da Teano19 (figg. 13 c, f) la quale può essere tuttavia accostata per la forma ovale del volto e la modellazione relativamente morbida dei piani facciali a tipi tarantini con influssi prassitelici195. Con lo sfumato dell’acconciatura sulla fronte, dovuta però, come dimostra la scarsa evidenza data agli occhi, in gran parte alla matrice stanca, contrastano le ciocche che scendono sui lati dietro le orecchie modellate con la stecca, simili a quelle delle già citate terrecotte italiche dello scorcio fra il IV e il III secolo a.C. Isolata è una testa di satiro di dimensioni più piccole196 (figg. 14 a, b) con un basso modio tagliato orizzontalmente e il lato posteriore piano. È certamente la più greca fra le terrecotte maggiori di Teano, dalle quali si differenzia anche per l’uso di argilla depurata e per la coerenza e la vigoria plastica del modellato. Tuttavia la solida costruzione del volto cui dà maggiore risalto con il suo carattere più pittorico che plastico la massa della capigliatura non corrisponde ad una altrettanto chiara struttura interna e anche dei particolari come la pupilla e le voluminose orecchie ci portano, a parte l’argilla locale, in ambiente italico. La testa può essere avvicinata a quella di un satiro di Villa Albani che deriva evidentemente da un tipo del primo ellenismo197 e, fino ad un certo punto, ad una testa di satiro, facente parte di un rilievo, dal teatro di Efeso198. La funzione era evidentemente quella di telamone e il copricapo ricorda per le sue proporzioni molto da vicino quello di due cariatidi da Taranto del IV secolo a.C. avanzato, che hanno in comune con la nostra testa anche le proporzioni del volto e il carattere pittorico della capigliatura199. Comunque si tratta certo del più antico esemplare fittile fra quelli finora conosciuti di questa categoria, cui appartengono in Campania i papposileni delle terme del foro a Pompei200 e una cariatide pure da Pompei201, che trovano i loro equivalenti in tipi centuripini202 e hanno anch’essi un copricapo, e inoltre un satiro-trapezoforo da Pompei203.

190

Cfr. p. es. le teste delle figure del sarcofago da Sidone con la caccia al leone (CH. PICARD, Manuel d’archèologie grecque, La sculture, IV, Paris 1954, tav. VIII; R. LULHIRMER, La scultura greca, II ed. Firenze 1962, fig. 236, tav. VIII) e del grande bronzo da Anticithera (G. RODENWALDT, Die Kunst der Antike, Berlin 1927, fig. 354; LULLIES-HIRMER, op.cit., figg. 219-221). 191 ANDRÉN, op. cit., tav. LXXXIX, 318-319; BIANCHI-BANDINELLI, Storicità, cit., fig. 142. Cfr. per l’acconciatura una testa da Fratte (SESTIERI, in Not. Scavi, 1952, p. 117, fig. 29 b). Nello stile è molto vicina alla testa da Teano una da Bolsena in pietra locale (D. LEVI, in Riv. Ist. Arch. e St. Arte, IV, 1932, p. 107, fig. 46). 192 Alt. m. 0,190, largh. m. 0,155, prof. m. 0,138. 193 Per es. una testa di Atene (G. LIPPOLD, Handbuch d. Archaeologie, V, München 1950, tav. CIX, 2) 194 Alt. m. 0,220, largh. m. 0,150, prof. m. 0,120. 195 Cfr. per es. una testa da Taranto (L. BERNABÒ-BREA, in Riv. Ist. Arch. e St. Arte, N.S. I, 1952, figg. 46-47). 196 Alt. m. 0,118, largh. m. 0,090, prof. m. 0,106. 197 M. BIEDER, The Sculture of the Hellenistic Age, 2a ed., New-York 1961, fig. 568. 198 F. EICHLER, in Jahreshefte, XLIII, 1956-58, p. 14 s., fig. 5-6. 199 BERNABÒ-BREA, op. cit., p. 93 s., figg. 63-64. 200 H. V. ROHDEN, Die Terrakotten von Pompeji, Stuttgart 1880, p. 39 s., tav. XXV. 201 V. ROHDEN, op. cit., p. 39, tav. XXIV. 202 G. LIBERTINI, Centuripe, Catania 1926, tav. XVII. 203 V. ROHDEN, op. cit., p. 40, tav. XXIV. LIES-M.

71


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 72

Fig 13 a-i Terrecotte votive dalla stipe piĂš antica in localitĂ Loreto.

a

b

d

e

g

c

f

h

i


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 73

Fra le terrecotte minori abbondano in questa stipe fra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. le statuette femminili panneggiate e gli ‘erotes’ di tipi diffusi in tutto il mondo greco e anche altrove in Campania204 (figg. 14 e, f, h, i, l, m, o). Alcune fra le migliori di queste statuette sono evidentemente opera di coroplasti greci, e in alcuni casi l’argilla, che per lo più è ben depurata, non sembra locale. Abbastanza frequenti sono anche i busti femminili con “polos” (fig. 14 c) che si trovano anche in altre stipi campane, mentre finora isolati sono una Artemide (fig. 14 p), d’impasto non depurato che ripete un noto tipo scopadeo, e di cui sono conosciute varianti da Capua205, e un rilievo con Ercole sacrificante (fig. 14 d), di tipo, per quanto io sappia, nuovo. Pure d’impasto sono un “oscillum” a forma di maschera206 (fig. 14 n) con il volto di una vecchia con berretto frigio, evidentemente il tipo di Ecuba, e, fra le terrecotte in cui è più evidente l’impronta italica, una statuetta di Athena207, (fig. 10 i) acefala, pure del IV secolo avanzato, con l’apoptygma e il kolpos del peplo attico stilizzati in senso manieristico, che ricorda molto da vicino quella su una metopa da Pompei208. Non mancano poi, come nella maggior parte delle altre stipi italiche, i piedi e altre parti del corpo umano nonché le statuette di animali, fra le quali presento un cinghiale (fig. 15 g). Dei bronzetti trovati nella stessa associazione (figg. 14 q-t) due sono di Ercole. L’uno, senza valori formali, è del tipo Fucino209, con la λεοντÁ di cui un lembo svolazzante scende dall’avambraccio destro. L’altro, di buona fattura, sebbene un po’ pesante nelle proporzioni, rappresenta il dio in atteggiamento di riposo, con la destra appoggiata sulla clava attualmente mancante210, e risale a un tipo greco del V secolo avanzato. Di dimensioni maggiori è una statuetta femminile211 con chitone e himation e acconciatura a melone nell’atteggiamento di offerente, di un tipo dell’ultimo terzo del IV secolo, di cui una variante è molto diffusa in ambiente italico212. Doveva invece servire da elemento di rivestimento il quarto di questi bronzi213, che è una spessa lamina ritagliata con i particolari del capo e gli arti di profilo incisi in modo molto approssimativo e con un perno al centro. Nel pozzo presso l’ingresso più orientale del lato Sud-Est sono state trovate una testa di Ercole con λεοντÁ di grandezza quasi naturale214, (figg. 15 d, e) e una femminile di dimensioni più ridotte215. La prima, di ottima qualità, è nella linea evolutiva dell’Ercole di tipo tardo-lisippeo, ma ha il volto impresso a matrice e la capigliatura sulla fronte resa già in maniera classicistica mentre l’espressione è ancora più patetica e la modellazione più morbida che in quella. Delle ciocche spuntano dietro le orecchie dalla λεοντÁ e sono lavorate come i particolari di questa con la stecca. Nella testa femminile (figg. 15 a, b) l’ampiezza del mento è maggiore che non nelle teste più recenti della stipe e torniamo con l’accentuazione delle verticali quasi a quella tendenza geometrizzante di più di due secoli prima. La capigliatura, divisa in ciocche rigide terminanti a punta che spuntano da un velo limitato da un cercine, ha anche qui carattere espressionistico ed è molto vicina a quella di alcune teste dal santuario di Marica216 dove il tipo continua ad evolversi tendendo sempre più a soluzioni manieristiche217.

204

Cfr. WINTER, op. cit., III, 2, tavv. XXVIII, 4; CCL, 4; a testa di papposileno (fig. 14 g) appartiene ad un vaso configurato, simile a quello Mon. Ant., XX, cit., fig. 70. WINTER, op. cit., III, 2, tav. CLXIV, 6. 206 Alt. m. 0,115, largh. m. 0,052. 207 [manca la nota] 208 MAIURI, in Parola del Passato, X, 1955, p. 50 s. La pertinenza della metopa al tempio dorico è assai probabile anche per la sua contemporaneità alle antefisse già menzionate. 209 Alt. m. 0,111. Sul tipo cfr. G. BAYET, Herclé, Paris 1926, p. 44 s. 210 Alt. m. 0,110. Sul tipo cfr. E. CONTU, in Archeol. Class., XII, 1955, p. 98 s. 211 Alt. m. 0,148. 212 Cfr. le statuette più recenti da Nemi, (S. HAYNES, in Röm. Mitt., LXVII, 1960, p. 34 s., tavv. XII-XV). 213 m. 0,086x m. 0,031. 214 Alt. m. 0,105, largh. m. 0,132, prof. m. 0,121. 215 Alt. m. 0,160, largh. m. 0,125, prof. m. 0,128. 216 Cfr. MINGAZZINI, in Mon. Ant., XXXVII, cit., p. es. tav. XXI, 5; più vicine nello stile a quella di Teano sono le teste tavv. XVII, 1, 2, 11, e XVIII, 1. 217 Cfr. Mon. Ant., XXXVII, cit., tavv. XXI, 7, 9-12, XXII, 10 205

73


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 74

74

Dalla stipe più recente provengono gli stessi tipi di terrecotte che abbondano in quella più antica. Una testa femminile di grandezza naturale218 (figg. 16 a, b), con velo, deriva (per il rilievo dato alla ciocca nel mezzo della fronte, che le dà un tono individualistico, da tipi del medio ellenismo219) e anche le guance piuttosto scarne sono un elemento a favore di una datazione fra il III secolo avanzato e gli inizi del II secolo a.C. Ancora più recenti sono alcune statuette di Eros (fig. 16 o) visibilmente influenzate dalla corrente barocca, che vanno pertanto datate non molto lontano dalla metà del II sec. a.C., e una figura femminile seduta (fig. 16n) in cui gli elementi manieristici sono più accentuati che non in qualche terracotta laziale di tipo simile220. Più decisamente italiche sono invece alcune statuette femminili ammantate derivanti da tipi ellenistici, ma con i tratti più espressivi eccessivamente accentuati e il viso ridotto al solo naso, che trovano i confronti più diretti in alcune figurine da Capua. Meno frequenti sono i tipi con Eros sull’ariete221 e di Europa sul toro222 (fig. 16 p) e forse isolato è un “tintinnabulum” a rilievo223 (fig. 16 m); ma fino a che tutto il materiale non sarà stato ripulito e restaurato non se ne potrà avere un’idea più esatta. Anche se fin quando non sarà nota una maggiore quantità di oggetti provenienti da strati sicuri qualsiasi tentativo di inquadramento deve avere per forza di cose carattere provvisorio, sarà pur sempre utile riassumere per sommi capi le nostre impressioni. Anzitutto è da rivelare che la sostanziale unità di linguaggio artistico, -sia pure più o meno evidente a secondo dei periodi e con sfumature locali diverse, fra Etruria, Lazio e Campania- risulta in complesso confermata, come del resto abbiamo già potuto constatare studiando i tempietti votivi224. Per quel che riguarda poi in particolare la Campania, ad una fase che più che subgeometrica225, com’è stato proposto, si potrebbe chiamare, se per forza si vogliono cercare analogie, protogeometrica, subentra, per impulso esterno, una tendenza espressionistica in senso geometrico che persiste, pur assimilando elementi esterni sia greci sia etruschi e malgrado la penetrazione di tipi della stessa provenienza, fino al V secolo avanzato. È questa l’unica espressione artistica valida dell’ambiente campano, che come abbiamo visto non manca di dare frutti, sia pure in un linguaggio diverso, nel retroterra già da tempo sannitico. Dalla seconda metà del V secolo la tendenza stereometrica è quella dominante ma si accentua l’influsso greco che però anche nei periodi in cui è più forte, come verso la fine del IV secolo, e laddove le reazioni contrarie sono di scarso rilievo, condizionerà anche come fattore di sviluppo più l’aspetto esteriore che non la sostanza perdendo d’intensità non appena un tipo incontra favore226. Conseguenze ancora minori sembrano aver avuto certe manifestazioni di un espressionismo più estremo che affiora in momenti diversi, e che per ora almeno possiamo ritenere, come del resto anche in Etruria227, episodiche, anche se talvolta, come abbiamo visto, sono pur sempre conseguenza di fenomeni più estesi. Meno effimere, anche se di limitata estensione, anzi strettamente connesse con l’inserimento di elementi latini, sono state invece le intrusioni laziali in rapporto con la penetrazione romana. Le notiamo soprattutto in numerose teste fittili da Cales, per lo più femminili, con boccoli o con riccioli228, di tipo identico ad altre da Lanuvium229, da Carsoli230 e da Luceria231, che è anch’essa fin dal IV secolo a.C. colonia latina, ma ne troviamo

218

Alt. m. 0,268, largh. m. 0,188, prof. m. 0,136. Cfr. p. es., il tipo del Menandro (L. LAURENZI, in Critica d’Arte, IV, 1939, p. 28 s.) e in ambiente italico una testa del Museo Gregoriano (KASCHNITZ, in Rend. Pont. Acc., cit., tav. XVIIIa) e la testa dell’urna di Larth Sentinate Caesa da Chiusi (D. LEVI, in Riv. Ist. Arch. e St. Arte, IV, 1932, p. 161 s., figg. 39-45, tavv. III-V). 220 Alt. m. 0,225, largh. m. 0,170, prof. m. 0,118. Cfr. Le terrecotte da una stipe di Ariccia (R. PARIBENI, in Not. Scavi, 1930, p. 375 s., figg. 5-6). 221 WINTER, op. cit., III, 2, tavv. CCCV, 3. CCCVI, 4-6. 222 Alt. m. 0,100, largh. m. 0,110, prof. m. 0,142. Cfr. R. KEKULÈ, Die Antiken Terrakotten von Sizilien, Berlin 1884, p. 21, fig. 46: non conosco tuttavia confronti più precisi per il nostro esemplare con il toro natante. 223 Alt. m. 0,057, largh. m. 0,062, prof. m. 0,125. Cfr. WINTER, op. cit., III, 2, tav. CCLXXI, 3, dove non è però sicuro che si tratti di un “tintinnabulum”. 224 JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, XLVII, cit., p. 67 s. 225 Cfr. il già citato tentativo di sintesi e di inquadramento dell’arte italica di G. COLONNA, in Encicl. Arte Antica, IV, p. 257 s., con ampia bibl. Sui capitelli figurati della Campania v. adesso anche E. V. MERCHLIN, Antike Figuralkapitelle, Berlin 1962, p. 70 s. 226 Su tale fenomeno cfr. BIANCHI-BANDINELLI, Storicità, cit., p. 1175. 227 È per es. il caso per alcune urne volterrane del II secolo a.C. (DUCATI, Storia dell’arte etrusca, Firenze 1927, tav. CCLXX; GIGLIOLI, Arte etrusca, cit., tav. CCCXIV, 2). 228 BLAZQUEZ, op. cit., figg. 15-21 soprattutto. 229 Villa Giulia, n. Inv. 25249; sui tipi simili da Lanuvium cfr. THOMASSON, op. cit., tavv. I-VI. 230 CEDERNA, in Not. scavi, cit., fig. 19,4. 231 BARTOCCINI, Japygia, cit., figg. 16bis-18. 219


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 75

Fig 14 a-t Terrecotte e bronzi dalla stipe piĂš antica in localitĂ Loreto.

75

b

a

e

c

f

g

h

i

d

l

o

m

n

p

q

r

s

t


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 76

76

solo scarse testimonianze fra le terrecotte votive di Minturnae232, dove tuttavia verso la fine del II secolo a.C. tale influsso si manifesta nella decorazione architettonica del ‘Capitolium’233. Ma si tratta più di diffusione di titoli che non di differenze sostanziali e, semmai, la generica impronta classicistica, pur consistendo con altre correnti, ne è pur sempre il denominatore comune234. Dalla fine del III secolo, come in Etruria e nel Lazio, anche in Campania da un lato diventa più evidente l’influsso ellenistico, dall’altro s’afferma maggiormente la corrente espressionistica235, ma nel II secolo avanzato gli elementi di giudizio diventano più scarsi e non riusciamo ad avere più un quadro d’insieme di una certa attendibilità. Questo quadro dello sviluppo della plastica campana, certo ancora in gran parte provvisorio e di cui alcuni aspetti potranno essere suscettibili di chiarimenti o di discussione, non è comunque contraddetto da quel poco che conosciamo della pittura236 e della ceramica figurata237. Meno nota è l’architettura, soprattutto nel periodo più antico, ma anche se nei particolari ci possono essere delle differenze e talvolta l’influsso greco è più o meno evidente pure se segue forse vie differenti, come abbiamo visto a proposito dei tempietti votivi i contatti e i parallelismi con l’Italia centrale, almeno nell’interno della regione, sono stretti. Comunque il santuario in località Loreto a Teano è il primo grande complesso del genere in Campania, da cui s’incomincia ad avere un’idea, sia pure ancora molto incompleta, delle fasi anteriori a quella tardo-ellenistica238. Di simile conosciamo in ambiente italico finora solo il santuario a Pietrabbondante nel Sannio, che ha in comune con Teano la posizione in pendio e una certa unità di orientamento di tutti gli edifici, i quali hanno anche lì la fronte verso valle. Ma almeno negli elementi finora databili quel santuario sannitico è più tardo e ricorda nella sua parte più monumentale soprattutto le fasi più recenti del santuario teanese in questione e, come vedremo subito, in maggior misura l’altro complesso analogo in località Grotte nella stessa Teano, di cui faceva parte il teatro. Prematura sarebbe comunque qualsiasi conclusione sulla funzione dei templi minori che, a giudicare dalla quantità e varietà delle terrecotte architettoniche, esistevano verosimilmente anche nel santuario di fondo Patturelli a Capua239, anche se nel caso del tempio piccolo di Pietrabbondante appare possibile quella di θησαυρός240. L’altro complesso di santuario già menzionato, chiamato volgarmente “Grotte”, appare, a giudicare dagli elementi attualmente conosciuti, ancora relativamente scarsi, più organico di quello descritto. Ne è stata scavata solo parte del teatro (figg. 17-32), del quale affioravano già notevoli avanzi della cavea addossata alle sostruzioni della terrazza retrostante, ma da quel che se ne vede si può avere un’idea degli elementi essenziali dell’insieme. Le più antiche strutture visibili (fig. 19) hanno il paramento in opus incertum tendente al quasi-reticulatum con caementa di tufo grigio molto grossi e ammorsature in blocchetti rettangolari, mentre per le volte della stessa fase sono usate grosse scaglie disposte a cuneo. Per tali caratteri queste opere devono essere senz’altro più recenti delle sostruzioni della terrazza superiore di Loreto, ma più antiche delle aggiunte sillane di queste ultime e vanno quindi datate con ogni probabilità fra gli ultimi decenni del II e l’inizio del I secolo a.C. Il quasi-reticulatum non contrasta, a mio avviso, con una datazione così alta, in quanto troviamo già le premesse per uno sviluppo verso tale tecnica nelle strutture superstiti della ‘porticus Aemilia’ a Roma, che con

232

Almeno nella stipe del santuario di Marica, il cui materiale è in genere più simile a quello da Teano che non a quello da Cales (fra le poche attestazioni è la testa Mon. Ant., XXXVII, cit., tav. XXII, 8). 233 J. JOHNSON, op. cit., I, p. 575. 234 Tale è l’impressione che si ricava dal grosso del materiale di questo periodo delle stipi laziali e da quelle di Cales e Luceria, anche se in quest’ultima non mancano tipi di tutt’altra ispirazione. 235 Cfr. KASCHNITZ, in Rend. Pont. Acc., cit, p. 329; D. MUSTILLI, in Apollo, I, 1962, p. 3 s. Alla corrente espressionistica appartengono fra l’altro alcune fra le sculture in tufo più recenti di Capua (ad es. ADRIANI, op. cit., tav. VIII, p. 42) e una stele in tufo di Cales (JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, XLVI, cit., p. 264, fig. 17). 236 Il materiale finora rinvenuto è quasi tutto raccolto dal WEEGE (in Jahrb., XXIV, 1909, pp. 100 s.) e una pittura tombale trovata recentemente ad Afragola è strettamente affine ad altre da Capua degli ultimi decenni del IV secolo a. C. 237 Su questa cfr. BEAZLEY, in Journ. Hell. Stud., cit.; TRENDALL, op. cit., p. 38 s. e in Jahrb. d. Berliner Museen, II, 1960, p. 75. 238 Nel santuario di Diana Tifatina (DE FRANCISCIS, Memorie, cit.) conosciamo di strutture presilane solo il podio del tempio e un tratto del muro della terrazza più alta. 239 Quasi tutto il materiale Capuano pubblicato dal KOCH (Dachterrakotten, cit.) viene infatti da lì. 240 Su Pietrabbondante cfr. V. CIANFARANI, Santuari nel Sannio, Chieti 1960, p. 17 s.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 77

ogni verosimiglianza sono del 174 a.C.241 e d’altra parte le mura di Aeclanum, datate da iscrizioni ad età Sillana242, e un tratto delle mura di Suessa, che pure va datato con ogni probabilità intorno al 79 a.C.243, sono in un quasi-reticulatum in conci più piccoli e alquanto più sviluppato. A questa fase più antica appartengono le già menzionate sostruzioni della terrazza superiore e i muri radiali con parte delle volte della cavea del teatro. La connessione fra le due parti non è chiara, poiché quando il teatro fu rifatto nel II secolo d.C. vi fu inserito il nuovo ambulacro esterno. La parte alta del complesso poggia ad Est su otto ambienti con volta a botte larghi in media m. 3,50 e divisi da muri dello spessore medio di m. 2,10 e ai lati su altri ambienti normali ai primi, larghi m. 2,80 e divisi da muri spessi m. 1,40, che si prolungano a Sud e Nord di quelli verso Ovest. La parte centrale del muro di fondo degli ambienti Est è costituita dal lato anteriore di un nucleo centrale largo m. 16,90, che non lega con le altre strutture, ma dev’essere per l’identità della tecnica costruttiva ad esse contemporaneo, e nel quale si prolungano per la profondità di m.5,53 le due concamerazioni centrali. Gli ambienti sul lato Sud comunicano fra di loro per mezzo di vani ad arco lunghi m.0,70 e la parte Sud dei primi quattro da Est è occupata da un corridoio a rampa poggiante su archi e con volta a botte indipendente dalle altre strutture (fig. 19). Nel quarto ambiente tale rampa proseguiva probabilmente scoperta verso nord e sboccava sulla terrazza, ma questo tratto è reso inaccessibile da tompagni che sono evidentemente fondazioni di strutture aggiunte e che proseguono nei due ambienti successivi. La cavea del teatro si prolunga oltre il semicerchio con due tratti rettilinei e ha gli analemmata divergenti, come nei teatri attici244 e in Campania in quello di Pompei245. I muri radiali, originariamente venticinque nella parte esterna, sono spessi m. 1,40, erano attraversati da vani ad arco larghi m.0,80 e reggono ancora verso l’interno le volte rampanti contemporanee. Gli analemmata sono più spessi degli altri muri e hanno il paramento esterno in assise regolari di blocchi di tufo uniti senza malta, nascosto dietro un muro in laterizio della seconda fase. Da quel poco che se ne intravede a Nord si può dedurre che agli angoli esterni erano delle larghe paraste come in qualche teatro ellenistico in Asia Minore246 e che le parodoi erano con ogni probabilità scoperte247. Le strutture più recenti (figg. 20-23), appartengono, salvo aggiunte di poco conto, ad un’unica fase costruttiva che è caratterizzata dall’uso del laterizio quasi dappertutto nella faccia a vista248 e dell’opera cementizia a piccole scaglie di tufo stratificate nel nucleo dei muri e nelle volte. Frequenti sono i ricorsi in bipedales, i quali sono anche usati come cunei negli archi e, apparentemente, per i piani delle gradinate della cavea, mentre solo nella parte interna di qualche ambiente radiale la faccia a vista è in tufelli dai contorni notevolmente smussati, tecnica che è frequente a Roma a partire dall’età Adrianea249. In questo suo aspetto definitivo la cavea è costituita oltre che dagli ambienti radiali da tre ambulacri esterni sovrapposti, larghi m. 5,40. I muri divisori dei primi sono rimasti, salvo nelle parti più esterne e più alte e salvo quello assiale, che è stato soppresso, quelli antichi, ma i vuoti sono stati suddivisi in varî modi nel senso della profondità e dell’altezza. I due ambulacri inferiori comunicano, per mezzo di ampie arcate, con quasi tutti gli ambienti radiali e sono coperti da volte a crociera a tutto sesto su peducci in laterizio che spuntano direttamente dal muro.

241

LUGLI, op. cit., tav. CVII. Cfr. anche le opere di sostruzione del clivo capitolino, ibidem, tav. CVIII 4. I. SGOBBO, in Atti II Congr. Studi Romani, I, Roma, 1937, p. 394 s. 243 Sulle vicende di Suessa durante la guerra civile cfr. Appian., Bell, civ., I, 85,86. 244 Su questi cfr. M. BIEBER, History of the Greek and Roman Theater, Princeton 1961, figg. 250-254 (Atene), 463 (Pireo); dello stesso tipo è la cavea del teatro di Eretria (ibidem, fig. 285-286). 245 MAIURI, in Not. scavi, 1951, p. 126 s., fig. 2. 246 Per es. a Magnesia sul Meandro (C. HUMANN, Magnesia am Maeander, Berlin 1904, fig. 4). 247 Come nella prima fase del teatro di Pompei, alla quale appartiene,per la tecnica costruttiva analoga a quella degli analemmata primitivi, evidentemente anche la scena più antica. 248 Alt. media dei mattoni 38 mm., alt. media di ogni corso 50 mm. 249 LUGLI, op. cit., tav. CII 2 e CXCIV, 1. 242

77


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 78

Fig 15 a-h Terrecotte votive dal pozzo e dalla stipe piĂš antica (g) e terrecotte architettoniche dalla localitĂ Loreto.

78

a

b

d

c

e

g

f

h


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 79

Le singole campate di volta sono divise da catene di laterizio e altre analoghe, ma oblique, sono nella campana centrale, che ha larghezza doppia delle altre. Infatti il muro radiale assiale che doveva essere in corrispondenza di quest’ultima è stato evidentemente soppresso e quelli laterali sono stati notevolmente rafforzati, creando in ogni piano un ambiente unico accessibile da un arco depresso i cui cunei continuano nei piedritti. La media cavea, che poggia su volte oblique giungenti all’altezza di quelle dell’ambulacro del secondo ordine, aveva dei gradini alti m. 0,44 e profondi m. 0,74, misure che danno una inclinazione abbastanza frequente nel I secolo avanzato e nel II secolo d.C.250 Una pendenza costante con gradini alti 0,22 e larghi 0,32 hanno anche le scalinate interne, ivi comprese quelle che dal piano delle paredoi salivano a quello dell’ambulacro del primo ordine. Come la pavimentazione di quest’ultimo, i gradini di tutte queste scale, le quali univano i due piani inferiori e in tal caso erano a doppia rampa, o sboccavano nella cavea con ampi vomitori ad arco, erano in blocchi squadrati di calcare biancastro. Di tipo diverso doveva essere invece la pavimentazione dell’ambulacro del secondo ordine, in corrispondenza del quale le arcate che si aprono sul vuoto delle scalinate aventi inizio da quello inferiore erano chiuse da baltei marmorei a transenna, di cui sono stati trovati frammenti. L’ambulacro superiore comunicava con la parte più alta della media cavea per mezzo di vani che forse erano in rapporto con le gradinate che dividevano i cunei e con gli ordini inferiori attraverso gradinate forse lignee allogate negli ambienti più antichi retrostanti. Altre scalinate in muratura il cui inizio a due rampe contrapposte è appoggiato al muro esterno, attraversavano la volta ad arco depresso e permettevano di accedere alla summa cavea. Delle parodoi è stata interamente scavata quella Nord, che conserva intatta la pavimentazione in blocchi di calcare e aveva come gli altri ambienti radiali almeno nel tratto più interno una volta a botte obliqua. Del tribunal corrispondente sono conservati gli attacchi della volta, che è orizzontale solo verso l’orchestra, e l’arco di rinforzo in corrispondenza del suo limite esterno. Nel lato Est della parodos sono due larghi vani ad arco, di cui quello in corrispondenza dell’ambulacro è stato successivamente trasformato in nicchia rettangolare e conserva avanzi del rivestimento dello zoccolo in cipollino. Nel tratto adiacente dell’ambulacro inferiore e nei vani attigui sono inoltre avanzi di decorazione dipinta, costituita da uno zoccolo rosso con riquadri e motivi centrali a rosetta in giallo e da una parte alta bianca (fig. 24). Della scena, che misura m. 40,75x6,70, è stata appena iniziata l’esplorazione dell’estremità settentrionale ma con alcuni saggi è stata chiarita la situazione nella parte centrale e più a Sud. I tribunalia sporgono di m. 4,20 rispetto alle versurae, i cui itinera sono larghi m. 2,95, mentre della fronte del pulpitum s’intravvede appena l’estremità Nord, e l’iposcenio è pieno di elementi architettonici caduti. La scaenae frons, rettilinea, con almeno tre porte, è preceduta da un podio alto circa m. 1,90 ed era a due ordini. Della sua ricchissima decorazione si è già trovata, in posizione di caduta, una quantità di elementi sufficienti a darcene un’idea (figg. 25-32). Salvo per i fusti delle colonne, che sono in granito e marmi colorati, è usato un marmo bluastro a grana non molto sottile con venature. Gli innesti di questi elementi piuttosto pesanti erano rinforzati da blocchi di calcare bianco locale inseriti nella muratura in laterizio, di cui qualcuno, sagomato, è con ogni probabilità riutilizzato. Le basi delle colonne dell’ordine inferiore, alte m. 0,59 e con un basso plinto di m. 1,40 per lato, sono del tipo a doppia scozia con due tondini sul listello intermedio. I fusti-di cui il primo da Nord, in granito bigio, è stato trovato rotto in spezzoni- erano alti circa m. 8,25 e il loro diametro misurava all’imoscapo m. 1,03 e al sommo-scapo m. 0,88. I capitelli, di uno dei quali ci è pervenuto un grosso frammento, erano del tipo corinzio normale251con una doppia serie di otto foglie d’acanto, volute e helices. I caulicoli sono costituiti da tre foglie a lancetta dietro le quali spuntano tre piccole foglie di acanto anche esse erette, per cui è abolita quella netta divisione orizzontale che troviamo in quasi tutti i capitelli dello stesso tipo. Fra gli helices spuntano dei fiori con petali lanceolati fortemente divergenti e le foglie d’acanto con costola centrale ad angolo hanno, pur nel loro stile lineare e un po’ freddo, notevole corporeità e organicità (fig. 28).

250 Troviamo le stesse misure in Campania nel teatro di Neapolis, che è di età flavia, e pressappoco la stessa pendenza nei teatri di Perge (K. LANCKORONSKI, Städte Pamphiliens und Pisidiens, I, Wien 1890, p. 51 s.), Aspendos (LANCKORONSKI, ibidem, p. 102 s.), Sabratha (G. CAPUTO, Il teatro di Sabratha, Roma 1959, tavv. LXXIII-LXXVI). 251 L’altezza totale doveva essere, a giudicare dalle misure delle parti superstiti, di m. 1,03.

79


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 80

Fig 16 a-p Terrecotte e bronzi dalla stipe piĂš recente in localitĂ Loreto.

80

a

d

m

e

b

f

c

g

n

h

o

i

l

p


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 81

Fig 17 Teano. Pianta del teatro.

81

Dell’epistilio e del fregio di questo primo ordine non è stato trovato ancora nulla, ma ci sono pervenuti due grossi elementi della cornice, alta m. 0,97, in cui si sovrappongono nell’ordine un tralcio ad onda con modanatura a cyma reversa, un dentello con motivo ad occhiali, un kymation lesbio, un ovulo con foglie intermedie a freccia e una soffitta liscia (fig. 30). Dell’ordine superiore conosciamo tutti gli elementi, salvo forse il balteo, cui potrebbe tuttavia riferirsi un frammento con doppia cornice semplicemente modanata252. Le basi, alte m. 0,96 per lato e con il diametro superiore di m. 0,88 sono del tipo descritto e le colonne finora conosciute sono in granito rosso e di diametro corrispondente. I capitelli, compositi, sono alti m. 0,85, misurano in basso m. 0,66 di diametro e hanno l’abaco largo m. 1,18. (fig. 27) Le foglie, dello stesso tipo di quelle dei capitelli corinzi e disposte nello stesso modo, hanno un maggior numero di lobi, ma anche una maggiore saldezza nei contorni, che ne fa risaltare ancora di più il volume. Il kalathos, ornato laddove la sua superficie traspare fra le foglie del giro superiore da tralci con fiori, è coronato da un astragalo a fuseruole coniche alternate con elementi ellittici. Il kymation ionico dell’echino ha fra gli ovuli delle fogliette con un incavo semicircolare da cui sporgono elementi a punta di freccia, e dal cespo d’acanto che si trova al centro del canale spuntano delle foglie che si prolungano nelle volute e lungo il dorso di queste. Dell’architrave e fregio, che sono uniti, ci è pervenuto intero uno degli elementi di collegamento fra il muro e la trabeazione che poggiava sulle colonne e che era legato a quest’ultima con grappe a coda di rondine di bronzo. L’architrave, alto m. 0,59, a tre fasce divise da astragali del tipo descritto, è coronato da una cornice a kymation lesbio con foglie d’acanto, mentre il fregio, grezzo, era nascosto evidentemente da lacunari di cui si sono trovati frammenti. La soffitta, ad angoli arrotondati e con un incavo più che semicircolare verso la colonna e leggermente curvo verso la parasta, ha il bordo ornato da foglie di acanto e il campo centrale, piuttosto ampio, occupato da un tralcio (fig. 28, a sinistra).

252

A meno che non appartenga ad una delle nicchie del muro.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 82

Fig 18 Teano - Sezione del teatro.

82

La cornice, alta m. 0,46 aggetta m. 0,43 ed è costituita nell’ordine da un astragalo, da un dentello, da un ovulo, da un lacunare sporgente e dalla sima. Un fregio a tralci coronato da una cornice (fig. 31), dell’altezza complessiva di m. 0,59, con soffitta sul lato inferiore, appartiene all’inquadratura della ‘porta hospitalis’ di sinistra, mentre altri elementi, di dimensioni simili, sono evidentemente pertinenti ad edicole antistanti a nicchie che ornavano la parete. Fra questi sono frammenti di colonne del diametro di 45-48 centimetri in “rosso antico” e in marmo giallo numidico, e altri di pavonazzetto e di “nero africano” di dimensioni minori, oltre ad elementi di trabeazione varî, riconducibili anche essi a due misure che evidentemente corrispondono agli ordini (fig. 32), e, infine, una mensola a doppia voluta con foglia d’acanto. Tutta questa decorazione è di ottima qualità, sobria nell’insieme, ma assai elaborata e accurata nei particolari. I sottoquadri e la notevole profondità del rilievo nei fregi e nelle soffitte contribuiscono a dare plasticità ai singoli elementi. I tralci e le altre forme vegetali sono organici e vitali, e a tale loro carattere non nuoce una certa astrazione in senso decorativo che tende ad attenuare gli spunti più vivaci accentuandone l’eleganza. Già alcuni particolari struttivi, fra cui le volte a crociera e l’uso di bipedales in funzione di diatoni, non permetterebbero di datare il restauro dell’edificio in età anteriore all’ultimo quarto del I secolo d.C.253, ma poiché conosciamo ancora troppo male lo sviluppo della tecnica murale locale e ci mancano altri elementi, la cronologia di questo restauro può essere basata per ora solo sulla decorazione. È vero che il kymation ionico con le foglie intermedie a punta di freccia254, il kymation lesbio con cespi di acanto255, il motivo ad occhiali nel dentello e il carattere piuttosto voluminoso dei tralci sono luoghi comuni che troviamo dal periodo flavio256, ma lo stile più espressionistico che naturalistico di tali motivi e una certa abbondanza dei kymatia con foglie di acanto fanno scendere perlomeno all’età tardo-adrianea o antoniniana, quando tornano in voga tali elementi. D’altra parte il carattere più plastico che pittorico di tutta la decorazione-in cui l’uso del trapano corrente è limitato quasi solo ai contorni- e la sua organicità non permettono di abbassarla fino alla fine del II secolo o ad epoca più tarda. Molto vicini, per la sintassi decorativa e i caratteri stilistici, sono un epistilio e una cornice, ambedue di notevoli dimensioni, da Via delle Tre Pile a Roma. Il capitello dell’ordine superiore presenta strettissime analogie con l’unico capitello in marmo del portico del foro di Aquileia257, salvo nel fogliame del calice, in cui questo si avvicina di più al capitello corinzio dell’ordine inferiore. Quest’ultimo è, per la forma del caulicolo, nella scia di quelli del Pantheon a Roma258 in cui il calice non è ancora obliterato, ma è già evidente la tendenza ad abolire la cesura orizzontale. Quanto poi alle basi, sono di un tipo diffuso a Roma fin dall’età repubblicana e abbastanza frequente in Campania, ma scarsamente attestato nelle province259.

253

Su tali elementi cfr. LUGLI, op. cit., p. 560 s. Lo troviamo già nei capitelli dell’arco di Tito. 255 Cfr. su tali motivi e il loro sviluppo V. BLANCKENHAGEN, Flavische Architektur und ihre Dekoration, Berlin 1940, p. 109 s. e D.E. STRONG, in The Brit. Sch. Rome, N.S., XXI, 1953. 256 STRONG, op. cit., tavv. XXXVII b. 257 V. SCRINARI, I capitelli romani di Aquileia, Padova 1952, p. 59 s., p. 77. 258 J.-M. MAUCH, The Architectural Orders of the Greeks and Romans, New York, s.d., tav. LXIV. 259 STRONG, op. cit., tav. XXXI. 254


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 83

Fig 19 Sostruzioni del complesso alle spalle del teatro: rampa lungo il lato Sud.

La stessa secchezza del modellato e la stessa plasticità troviamo, in un contesto architettonico non romano urbano ma microasiatico, nella decorazione dell’Adrianeo, che è dovuta almeno in parte evidentemente a maestranze di Asia minore ed è da datare intorno alla metà del II secolo d.C.260, e in quella di un tempio di Pozzuoli261, in cui sono evidenti rapporti con lo stesso ambiente. Gli elementi vegetali delle soffitte e dei riquadri delle porte ricordano nello schema generale quelli di una trabeazione marmorea, più classicistica, di Aquileia262 e nello stile alcune decorazioni riconducibili ad officine microasiatiche263, mentre contrastano con i girali, assai triti e in cui la ricerca coloristica prevale sul senso plastico, del Serapeo sul Quirinale264. Dovremmo quindi con ogni probabilità attribuire la decorazione architettonica della scena ad una officina di tradizione soprattutto romana urbana, ma che deve avere assorbito maestranze asiatiche, forse delle stesse che avevano già lavorato all’Adrianeo e a qualche edificio di poco anteriore265, il che mi sembra rendere attendibile una datazione entro il secondo quarto del II secolo o solo di poco più tarda. L’apertura sul lato Est della parodos in corrispondenza dell’ambulacro dev’esser stata tompagnata in epoca non molto più recente, mentre al tardo impero risale evidentemente una base in muratura inserita nella scalinata di fronte. La distruzione è almeno in parte dovuta alla mano dell’uomo, come dimostra la posizione di alcuni elementi della scena, ma la caduta delle murature ne impedì il saccheggio sistematico266. In conclusione il teatro di Teano è, nella sua prima fase costruttiva, accanto a quelli di Pompei267, di Cales268 e di Capua269, fra i più antichi della Campania e, forse insieme a quest’ultimo della cui fase tardoellenistica abbiamo tuttavia solo testimonianze epigrafiche a partire dal 108 a.C., il più antico edificio per spettacoli in cui le gradinate poggiavano sicuramente almeno in tutta la parte esterna su fornici. Infatti anche se sembra da escludere che a Capua esistessero già allora delle confornicationes sulle parodoi270, è tuttavia possibile che vi fosse, invece di tutta una serie, qualche fornice isolato nel terrapieno, come in teatri greci fin dal IV secolo a.C.271, mentre d’altra parte non sappiamo se nel teatro di Zea al Pireo i muri radiali nella cavea erano anche verso l’esterno in esclusiva funzione del terrapieno272. Il sistema adottato a Teano è, in sostanza, l’adattamento ad un edificio curvo di quello usato nella ‘porticus Aemilia’ con ogni probabilità già nel 174 a.C.273 cioè una serie di muri con aperture molto ridotte ma con la novità delle volte a tromba, e lo stesso che troveremo poco più tardi nell’ampliamento sillano del teatro di Cales274.

260

STRONG, op. cit., p. 123, tav. XXXI. V. SPINAZZOLA, Le arti decorative in Pompei e nel Museo Nazionale di Napoli, Milano 1928, tav. XXIII. 262 G. BRUSIN, Gli scavi di Aquileia, Udine 1934, p. 103 s., figg. 51-58; M. WEGNER, Ornamente kaiserzeitlicher Bauten Roms, Köln 1957, p. 89, tav. 9 a-b. 263 Cfr. per es. i tralci dei fregi della scena del teatro di Sagalassos (LANCKORONSKI, Städte Pamphyliens und Pisidiens, II, Wien 1892, fig. 135, dell’ ordine inferiore della biblioteca di Efeso (Forschungen in Ephesos, V, 1, 1953, figg. 13-14), del tempio di Garni in Armenia (Enc. Arte Antica, Roma 1960, p. 793, fig. 981). 264 V.F. TOEBELMANN, Römische Gebälke, I, Heidelberg 1923, p. 35. 265 Sull’attività degli ’Αφροδισιεις a Roma cfr. M. SQUARCIAPINO, La scuola di Afrodisia, Roma 1943. Cfr. per il trattamento del fogliame in particolare il pilastro dalle terme di Aphrodisias, tav. XX. 266 La base della prima colonna da Nord dell’ordine inferiore è stata trovata presso il muro del tribunal, verso il quale era rivolto anche l’imoscapo del fusto. 267 MAIURI, in Not. scavi, 1951, cit., con bibl. 268 JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte, 1961, cit. p. 263. 269 DE FRANCISCIS, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, Milano 1956, III, p. 353 s. 270 Nell’ ‘odeion’ di Pompei, che è da datare intorno all’80 a.C. (MAU, op.cit., p. 140 s.), i tribunalia risultano chiaramente aggiunti. 271 Per es. nel teatro di Mantinea (G. FOUGERES, Mantinée et l’Arcadie orientale, Paris 1898, p. 165 s., figg. 37-41), Sicione (E. FIECHTER, Das Theater in Sikyon, Stuttgart 1931, v. bibliogr.) e Tegea (R. VALLOIS, in Bull. Corr. Hell., L, 1926, p. 135 s.). 272 BIEBER, op. cit., p. 120 s., pianta fig. 963. 273 LUGLI, op. cit., p. 409; L. CREMA, Enc. Class. III, XII, Architettura romana, Torino 1959, p. 61, fig. 59. 274 Con la differenza fondamentale dell’uso dell’opera a getto nelle volte. 261

83


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 84

Fig 20 Teatro: ambulacro della media cavea.

84

Ma anche per un’altra particolarità questo teatro più antico di Teano occupa un posto notevole nell’architettura italica del tardo ellenismo. Come abbiamo già detto esso faceva parte di un complesso assai malamente noto, è vero, ma di cui si possono riconoscere, soprattutto in base al confronto con Pietrabbondante, dove il teatro dev’essere pressappoco della stessa epoca275, e con un complesso analogo a Cagliari276, gli elementi fondamentali delle sostruzioni della terrazza retrostante. Il nucleo centrale, che con le massicce ante laterali ricorda nella planimetria la parte sillana delle sostruzioni della terrazza IV di Loreto, coincide molto probabilmente con il podio di un tempio, mentre le sostruzioni sui lati Nord e Sud della terrazza corrispondono a dei corpi laterali, che potranno essere stati dei portici277 o, come nel caso delle esedre teatrali dei santuari di Gabii278, di Ercole a Tivoli279 e della Fortuna a Preneste280, le ali estreme di un triportico. Se le cose stanno effettivamente così, si tratta fino ad ora dell’unico esempio di uno stretto rapporto fra tempio e teatro in Campania, il che rende più facile la spiegazione del complesso di Pietrabbondante, dove pure le due componenti sono equivalenti e anche altri elementi sono certamente dovuti ad influsso Campano281.

275

CIANFARANI, op. cit., p. 23 s. MINGAZZINI, in Not. scavi, 1949, p. 213 s.; su tutto il problema dei teatri connessi con templi cfr. HANSON, Roman Theater-temples, cit. 277 Come forse a Cagliari. 278 DELBRÜCK, Hellenistische Bauten, cit., II, fig. 6. 279 FASOLO-GULLINI, op. cit., tav. XXIX. 280 FASOLO-GULLINI, op. cit., tav. VI. 281 Per es. i motivi decorativi della cavea del teatro, che trovano analogie nell’ ‘odeion’ di Pompei. 276


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 85

Fig 21 Teatro: ambulacro della media cavea.

Fig 22 Teatro: veduta d’insieme da NordEst.

Degli esempi laziali quelli di Tibur e di Preneste, in cui il tempio con gli annessi è di gran lunga l’elemento più importante, sono di età sillana, mentre a Gabii e a Cagliari non c’è, almeno per ora, alcun elemento concreto per sostenere la contemporaneità fra le due parti282. Per quanto riguarda poi l’origine di tale disposizione, in cui si è voluto vedere il frutto di una assialità tipica dell’architettura italica in contrapposizione con quanto conosciamo di quella greca283, anche se non possiamo certo sottovalutare gli esempi forse precoci dei ‘comitia’ di Cosa e di Paestum che nella forma originaria non saranno forse di molto posteriori al 273 a.C.284, è probabile che essa sia dovuta ad influssi esterni. Infatti mentre è stato rilevato che la terrazza che domina la cavea del teatro di Priene e si trova quasi nel suo asse era forse quella del santuario di Dionysos Phleos285, nel teatro di Alinda in Caria, che per il suo bel bugnato e le sagome degli elementi architettonici può essere datato alla fine del III o alla prima metà del II secolo a.C., la parte più alta della cavea è interrotta da un podio, che a quanto pare è perfettamente assiale286. Comunque si tratta di uno schema che ha avuto particolare fortuna in epoca tardo-ellenistica e agli inizi del I secolo a.C., e che già nel teatro di Pompeo è trasformato nel senso che il tempio è ridotto ad un accessorio287. Di interesse notevolissimo è anche la fase più recente, e non solo per lo stato di conservazione. La ‘scaenae frons’ trova, per il suo andamento rettilineo, confronti più o meno contemporanei in Italia a Minturnae, dove tuttavia ciò può essere dovuto a mancanza di spazio288, il che non pare sia il caso a Teano, e in qualche teatro molto piccolo, come ad esempio quello di Liternum289.

282

A giudicare dalla pianta (MINGAZZINI, in Not. scavi, cit., fig. 1), il muro posteriore della cavea sembrerebbe malamente adattato alle strutture della terrazza superiore. K. KAEHLER, Wandlungen der antiken Form, München 1949, p. 27 s.; v. anche PH.W. LEHMANN, in Journal of the Society of the Architectural Historians, XIII, 1954, p. 25 s. 284 [manca la nota] 285 A.V. GERKAN, Das Theater von Priene, München 1921, p. 66; KAEHLER, in Gnomon, XXXIV, 1962, p. 512 s. 286 PH. LEBAS, Voyage archeologique en Grèce et en Asie Mineure (Architecture), Paris 1854, tavv. II, 2 ; II, 3. Troviamo lo stesso tipo di bugnato negli analemmata del teatro di Magnesia sul Meandro, che per le epigrafi incise su di essi non può essere posteriore alla fine del III secolo a.C. (HUMANN, op.cit., p. 22 s., fig. 8), e nell’analemma Nord del teatro di Iasos (D. LEVI, in Ann. Sc. Arch. It. Atene, XXXIX-XL, 1961-62, p. 541 s., fig. 60). 287 Di uso incerto, ma comunque assiali alla cavea, sono i complessi a monte dei teatri di Faesulae (C. MAETZKE, in Studi Etruschi, XXVII, 1959, pp. 45 s.) e di Verona (L. BESCHI, in Verona e il suo territorio, I, Verona 1960, p. 409 s.), ambedue ben datati in età augustea. 288 JOHNSON, op. cit., p. 57 s, fig. 1; S. AURIGEMMA, Gaeta, Formia, Minturno (Itinerario), Roma 1955, pp. 43 ss. 289 Come fa supporre l’assenza di fognature questo teatro doveva essere fra l’altro coperto. 283

85


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 86

Fig 23 Teatro: gradinata d’accesso all’ambulacro.

86

Fig 24 Teatro: decorazione dipinta di una delle gradinate d’accesso alla cavea.

Fig 25 Teatro: colonna dell’ordine inferiore della “scaenae frons”. Fig 26 Teatro: elementi architettonici dalla “scaenae frons”.

Ciò vale pure per le altre province occidentali dove dal I secolo d.C. avanzato la scena rettilinea è usata solo per gli ‘odeia’ e gli edifici più piccoli290; ma anche in qualche provincia orientale in cui la tradizione ellenistica è meno forte, come la Siria e la Palestina, prevale nei teatri maggiori la ‘scaenae frons’ a pianta più movimentata, del tipo cosiddetto occidentale291. Il tipo rettilineo è invece il più usato in Asia minore e a Cipro, associato nella maggioranza dei casi conosciuti ad un alto logeion292, e nella provincia di Creta e Cirene293, ed è frequente in Grecia294. È ormai un fatto dimostrato che l’influsso microasiatico è molto forte a Roma nel II secolo inoltrato dal periodo tardo-adrianeo in poi e si può pensare che uno dei tramiti possa essere stata Puteoli, la quale continua a essere lo scalo per la “pars Orientis” dell’Impero295, e dove effettivamente tali influssi sono evidenti. Ma c’è di più. La cavea del teatro di Teano ha nella sua fase più recente le stesse dimensioni e la stessa disposizione in elevato di quella del teatro di Miseno, e aveva-se c’è da fidarsi del rilievo riprodotto del Saint Non296 eseguito in un’epoca in cui esso era ancora completamente libero-una pianta più che semicircolare. Ora sappiamo che Misenum non esisteva come città prima della deduzione della colonia avvenuta con ogni probabilità sotto Claudio297 e pertanto questo teatro, che è da datare anch’esso per le caratteristiche struttive nel II secolo d.C., non può essere stato condizionato, come invece lo è a Teano, da un preesistente impianto ellenistico. D’altra parte anche la chiarezza dell’impianto delle sostruzioni, limitate agli elementi funzionali, e le ampie aperture ad arco dei vomitori sono caratteristiche che più che negli edifici per spettacoli in Occidente troviamo sviluppati, in età imperiale, in ambiente greco298 e anche il frammento di cornice o mensola con rosoni, (fig. 29) trovato nella scena, ma evidentemente non pertinente ad essa per il suo carattere, trova oltre che per la modellazione del fogliame strette analogie formali in Grecia e in Asia minore. La decorazione della ‘scaenae frons’, che doveva superare i 24 metri in altezza e che, come abbiamo visto, rientra invece nei suoi elementi costruttivi nella tradizione romana in senso stretto, è eccezionale per la sua monumentalità. Infatti in nessun altro teatro, anche nei maggiori, laddove li conosciamo, gli elementi architettonici sono di queste dimensioni, e solo in qualche caso vi si avvicinano quelli dei protiri delle porte o della sola ‘valva regia’299.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 87

Fig 27 Teatro: “scaenae frons”, capitello dell’ordine superiore.

87

Fig 28 Teatro: “scaenae frons”, frammento di capitello dell’ordine inferiore e soffitta di architrave dell’ordine superiore.

Fig 29 Teatro: cornice a mensole.

Fig 30 - 31 - 32 Teatro: cornice dell’ordine inferiore della “ scaenae frons”; frammento della “valva hospitalis “ sinistra; cornice di nicchia della “scaenae frons”.

290 Cfr. sul problema E. FIECHTER, Die baugeschichtliche Entwicklung des antiken Theaters, München 1914, p. 108 s.; G. GULLINI, in Bull. Com., LXXI, 1943-45, suppl. p. 215. 291 Sui teatri delle province Siriane cfr. E. FRÉZOULS, in Annales Arch. de Syrie, IV, 1954, p. 123 s. e in Syria, XXXVI, 1959, p. 202 s., XXXVIII, 1961, pp. 54 s. 292 FIECHTER, op. cit., p. 88 s. 293 Di questo tipo sembrano essere almeno il teatro presso il Pythion a Gortina. Sui teatri della Cirenaica cfr. G. CAPUTO, Il teatro romano di Sabratha, Roma 1961, p. 65 s. 294 Dei teatri che hanno subito rifacimenti in età romana solo quello di Corinto (R. STILLWELL, Corinth. II, Princeton 1952) ha la ‘scaenae frons’ di tipo occidentale. 295 Oltre alla trabeazione già menzionata sono abbastanza frequenti gli elementi architettonici di tipo microasiatico, fra i quali alcuni bei capitelli corinzi ad acanto spinoso. Pure del II secolo avanzato è un monumento sepolcrale sulla via Domitiana con volta a cupola su pennacchi. Sui rapporti fra Pozzuoli e il Mediterraneo orientale cfr. anche C. DUBOIS, Pouzzoles antique, Paris 1907, p. 83 s. 296 Voyage pittoresque ou description des royaumes de Naples et de Sicile, II, Paris 1782, tav. CXVI. 297 V. PHILIPP, in PAULY-WISSOWA, XV, 2, 1932, coll. 2043 s. 298 Per es. nello stadio di Nysa sul Meandro (W. V. DIEST, Nysa ad Maeandrum, Berlin 1913, tav. VI) e nel teatro di Side (LANCKORONSKI, op. cit., I, fig. 107). 299 Cfr. per es. i teatri di Arausio, Lugdunum, Arelate, Vienna in Gallia (BIEBER, op. cit., p. 199 s., con bibl., figg. 675, 676, 679, 674, 671 e quello di Palmira; FRÉZOULS, in Syria, XXXVIII, 1961, tavv. V, 1; VI, 2; BIEBER, op. cit., p. 209 s., fig. 707).




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 90

Gli Etruschi in Campania*

90

Si è svolto nel mese di giugno di quest’anno il VII Convegno dell’Istituto di Studi Etruschi per cui, non a caso, è stata scelta come sede la Campania. Erano infatti venute maturando in questi ultimi anni nel Salernitano, quasi nel cuore della Lucania antica, e in Terra di Lavoro, delle scoperte archeologiche che riproponevano sotto nuovi termini l’annoso problema della presenza degli Etruschi nel Mezzogiorno, a contatto diretto con colonie greche come Cuma e Poseidonia. E il problema dell’espansione etrusca verso il Sud che certo non può dirsi ancora del tutto chiarito, ma rientra ormai, sia pure con i suoi limiti, fra le cose concrete, è stato nelle varie sedute il tema dominante, anzi quasi esclusivo. Fino a meno di un decennio fa ben poco se ne conosceva di sicuro all’infuori delle testimonianze letterarie e di alcune iscrizioni incise su vasi in lingua etrusca o con nomi di persona etruschi trovate qua e là in Campania, soprattutto a Capua, a Nola e a Pompei, ma tutte non anteriori al VI secolo a.C. avanzato1, tanto che era addirittura invalsa l’opinione che la penetrazione degli Etruschi in Campania fosse avvenuta tardi, quando la potenza di quel popolo era ormai già vicina al declino2. E quel poco che si conosceva dell’età del ferro di anteriore e di posteriore alla metà dell’VIII secolo a.C., epoca in cui i primi coloni greci provenienti da Calcide e da Eretria si istallarono stabilmente dapprima a Pitecusa e poi a Cuma, faceva infatti supporre che la Campania fosse tutta intera nell’ambito di quel tipo di civiltà caratterizzata dall’inumazione in tombe a fossa che era estesa sia pure con caratteri non dappertutto uniformi soprattutto sul versante tirrenico da Roma fino alla punta estrema della Calabria e che è ormai lecito mettere in rapporto con popolazioni di lingua italica3. Giunse quindi inaspettata, nel 1954, la scoperta a Pontecagnano presso Salerno, non lontano dalla zona in cui la tradizione antica collocava una città di fondazione etrusca, Marcina, di sepolture ad incinerazione di carattere tipicamente villanoviano4 con ossuario di forma biconica o sferoidale chiuso con uno scodellone o con un simulacro fittile di elmo. Tale facies, i cui rapporti con quella precedente dell’ultima età del bronzo detta «dei Campi di urne», e nella sua forma più tipica in Italia «protovillanoviana», o «Ausonio B»5 non sono ancora del tutto chiari, anche se ne deriva evidentemente il rito sepolcrale, risultava diffusa fino ad allora solo nel territorio etrusco vero e proprio e in aree limitate del Bolognese e della Romagna6. Poiché in tale zona non risulta alcuna soluzione di continuità o distacco netto fra essa e la successiva civiltà orientalizzante etrusca, sembra tuttavia abbastanza accettabile l’equazione villanoviano-protoetrusco, ammessa da un certo numero di studiosi, per cui apparve abbastanza legittima l’ipotesi che vi fosse un nesso fra questo tipo di civiltà e quella successiva che possiamo chiamare etrusca anche per quel che riguarda la Campania7. Altre necropoli affini a quella di Pontecagnano sono state successivamente scoperte a Capodifiume presso Capaccio8, non lontano da dove sorse più tardi la colonia greca di Poseidonia, e a Sala Consilina nell’alta valle del Tanagro, quasi nel cuore della Lucania antica9, che costituisce tuttora la punta più avanzata verso Sud del villanoviano vero e proprio. Queste scoperte vennero subito messe in rapporto con le tradizioni relative alla presenza degli Etruschi in Campania, ma finché rimanevano episodi isolati e confinati ad un’area marginale davano adito a varie ipotesi, fra le quali trovava maggior credito quella di un’espansione via mare. A chiarire

*

W.J., Gli Etruschi in Campania, Klearchos 1963, pp. 62-75.

1 Sui termini della questione prima delle recenti scoperte v. A. Maiuri, Saggi di varia Antichità, Venezia 1954, p. 111 s.; sulle iscrizioni di Pompei in particolare ibidem, pp. 241 s. Assai poco chiara è l’iscrizione incisa su una coppa ionica da Capua, del tipo B1 secondo la classificazione del Villard (v. sotto n. 35) e quindi della fine VII o degli inizi del VI sec., su cui v. A. de Franciscis in Not. Scavi 1954, pp. 275 s. 2 Tale è la tesi sostenuta da J. Heurgon in Recherches sur l’Histoire, la religion et la civilisation de Capoue préromaine, Paris 1942. 3 Sulla «Fossakultur» v. soprattutto G. Kaschnitz-Weinberg in Handbuch d. Archäologie IV, Monaco 1950, pp. 370 s.c. bibliografia. 4 P. C. Sestieri in Studi Etruschi XXVIII (1960) pp. 91 s. B. D’Agostino in Mostra della Preistoria e della Protostoria nel Salernitano (Catalogo), Salerno 1962, pp. 105 s. 5 Su tale tipo di civiltà v. soprattutto Kaschnitz, op. cit, pp. 364 s.; L. Bernabò Brea - M. Cavalier in Bull. Paletn. It., LXV (1956), pp. 72 s. 6 Sulla situazione prima delle scoperte recenti v. Kaschnitz, op. cit., pp. 375 s.; su tutto il problema anche in rapporto con fatti collaterali o precedenti v. M. Pallottino, Etruscologia, V ed., Milano 1963, pp. 25 s., e bibliografia. Di notevole interesse per i problemi che pone è la presenza di una necropoli villanoviana a Fermo nel Piceno meridionale (G. Annibaldi in Bull. Paletn. It. LXV (1956) pp. 229 s.). 7 V. soprattutto Pallottino, op.cit., pp. 95 s. 8 Sestieri, op. cit., pp. 73 ss.; G. Voza in Mostra della Preistoria e della Protostoria cit., pp. 79 ss. 9 K. Kilian in Mostra della Preistoria e della Protostoria cit., p. 63 s. e in Apollo, Bollettino dei Musei provinciali del Salernitano I (1961), pp. 67 s. 10 Su materiale recuperato a Capua v. E. Gabrici in Riv. indo-greco-Italica III (1919-20) p. 129 e soprattutto A. de Franciscis in Not. Scavi 1954 pp. 272 s.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:06 Pagina 91

la situazione sono sopraggiunti l’anno scorso i rinvenimenti nella necropoli di Capua, che tuttora continuano con risultati sempre più interessanti. In realtà non erano mancate anche prima sia a Capua, sia a Pontecagnano delle scoperte di materiale dell’età del ferro, ma coloro che scavarono nel secolo scorso nella necropoli capuana senza alcun criterio scientifico erano più attratti dal materiale più vistoso delle tombe più recenti e in particolare dai bronzi del VI e V secolo a.C., che non dalla precedente ceramica d’impasto, la quale per la sua maggiore friabilità si trova quasi sempre in cattive condizioni e veniva quindi di solito abbandonata sul posto. Quel pochissimo che si conosceva anche da qualche recupero più recente non era pertanto sufficiente per caratterizzare l’aspetto culturale di un centro10, e tanto meno gli oggetti ornamentali di bronzo, per lo più fibule o braccialetti, più largamente soggetti ad essere esportati che non i vasi di uso più comune. È quindi naturale che gli scavi recenti condotti con maggiore rigore di metodo hanno completamente cambiato il quadro della situazione, in quanto oramai anche Capua risulta esser stata uno dei centri della civiltà villanoviana in Campania, il che rende anche più attendibile la notizia data da Velleio Patercolo11, il quale richiamandosi a fonti più antiche pone la fondazione di quella città da parte degli Etruschi verso l’800 a. C., epoca cui risale appunto il materiale più antico ivi trovato. E a completare il quadro sono stati resi noti recentemente ritrovamenti di ceramica villanoviana ad Alatri in Ciociaria, che tendono a confermare l’esistenza di un collegamento terrestre fra l’Etruria e la Campania attraverso le valli del Sacco e del Liri. Tali sono nelle grandi linee i termini della questione quali sono emersi dalla lunga e approfondita discussione cui hanno partecipato i proff. Massimo Pallottino, Giacomo Devoto, R. Peroni e con particolar riferimento alle loro zone i Soprintendenti Mario Napoli, G. A. Mansuelli, G. Caputo, Annibaldi, Foti e Moretti mentre sui dati di scavo da Pontecagnano, Sala Consilina e Capua hanno conferito rispettivamente il dott. Bruno D’Agostino, il dott. Venturino Panebianco e chi scrive e dei problemi monetali del periodo arcaico e classico in Campania si sono occupati il prof. Attilio Stazio e la dott. Enrica Pozzi. I materiali provenienti dagli scavi di Sala Consilina sono stati presentati in un primo allestimento provvisorio nel Museo Provinciale di Padula curato dal Direttore dott. V. Panebianco, mentre quelli dal Salernitano e dalla Campania centro-settentrionale sono stati esposti in due mostre allestite dalle Soprintendenze alle Antichità di Salerno e di Napoli. Queste tre rassegne hanno dato un quadro abbastanza organico dello sviluppo culturale delle singole zone dalla fine del IX fino al V sec. a. C., quando cessa il dominio politico etrusco in Campania. Per Sala Consilina si ha la sensazione che i contatti con il Nord siano venuti a cessare ben presto e che la facies villanoviana in senso ristretto si sia attardata, ma comunque già nel VII secolo avanzato l’aspetto della cultura locale è assai diverso e prevale la ceramica geometrica dipinta tipica dell’ambiente apulo-lucano. Tutt’altra impressione si ricava dalla rassegna allestita a Salerno nei locali in corso di avanzato restauro dell’ex Badia di S. Benedetto, sede del nuovo Museo Provinciale e che è stata curata dal prof. Napoli con la collaborazione dei dott.ri Bruno D’Agostino e Giuseppe Voza e della dott.ssa Giuliana Tocco. Mentre, come s’è visto, nel Vallo di Diano il «villanoviano» può essere considerato come un episodio che ha avuto scarsissime conseguenze dirette, a Pontecagnano quello che segue alla fase «villanoviana» ne è pur sempre nella discendenza diretta, anche se in parte fortemente influenzato dalla «Fossakultur» che sopravvive in Campania fino a tutto il VII secolo, sia pure impregnata di elementi orientalizzanti e Etruschi. Indubbiamente vi hanno influito oltre a questi fattori locali, elementi esterni dovuti ai traffici marittimi, ma i rapporti con l’Italia centrale, se sono spesso più teneri, non sono stati mai completamente interrotti, tanto che nel VI secolo vi abbonda il bucchero pesante. E anche quando verso la fine di quel secolo l’abitato che ha preceduto Pontecagnano pare sia stato, per cause che ancora ci sfuggono, in decadenza, è in piena fioritura un altro centro nella periferia dell’attuale Salerno, in località Fratte, che si è voluto identificare con Marcina e dove continua lo stesso tipo di civiltà. Più o meno la stessa fisionomia hanno due altre località, a giudicare da quel poco che è finora conosciuto, Capo di Fiume, dove è nota la fase più antica e Arenosola sul Sele di cui è nota la fase orientalizzante12.

11 I 7, in polemica con Catone il quale poneva tale data 260 anni prima della conquista di Capua da parte dei Romani, cioè nel 471 a. C, se riferita al 211, o al 600 circa se riferita allo «deditio», il che è meno probabile. 12 Sulla necropoli in località Arenosola v. Voza, op. cit., pp. 89 s. 13 Su tale categoria e anche sui vasi affini semplicemente decorati v. P. Mingazzini in C.V. A. Museo Campano, III, pp. 3-25.

91


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 92

Fig 1 Teano, Mostra degli Etruschi in Campania.

92

Ma il centro più importante dell’Etruria campana doveva essere, secondo le testimonianze, Capua, che anche nei periodi successivi rimase sempre la città più importante di tutto l’interno della regione. E ciò è risultato in sostanza confermato sia per il VI e V secolo dai vecchi scavi il cui frutto è andato in gran parte disperso, sia da quelli ultimi per tutto il periodo in cui Capua è stata etrusca. Con parte del materiale significativo, fra cui soprattutto corredi tombali, proveniente anche da altre località della Campania centro-settentrionale è stata allestita a Teano l’altra rassegna (figg. 1 e 2). Tale mostra è stata realizzata dal prof. Alfonso de Franciscis con la collaborazione delle dott.sse Maria Bonghi-Jovino e Maria Merolla nonché di chi scrive e del sig. Pierpaolo Paolini, che ha curato l’allestimento. Vi si son voluti mettere in risalto soprattutto la continuità culturale di Capua dalla fase villanoviana attraverso quella orientalizzante fino alla conquista da parte dei Sanniti (425 a.C.) e la progressiva etruschizzazione degli altri centri campani meglio conosciuti. In confronto a Pontecagnano infatti, Capua è assai meno periferica rispetto all’Etruria, con la quale è rimasta sempre in stretto contatto, e ha perciò assorbito assai meno dalla «Fossakultur», influendo anzi su questa in modo tale da assimilarla. A Capua e nei centri ad essa più vicini il bucchero appare già molto presto, ancor prima della metà del VII secolo e con molteplicità di espressioni. A tale periodo appartengono infatti anche dei vasi con figurazione incisa, di tipo fino a poco fa noto solo dall’Etruria, di cui uno è stato trovato a Capua stessa e l’altro faceva parte di un ricco corredo dalla vicina Cales nel quale abbondano anche imitazioni etrusche di vasi corinzi e greco-orientali e suppellettili di bronzo. Nel VI secolo avanzato il bucchero viene soppiantato dalla ceramica con decorazione a fasce e a vernice nera e scompare, mentre si intensificano, forse a seguito della sconfitta nel 525, le importazioni di vasi attici. Contemporaneamente però anche le officine locali creano prodotti di maggior impegno artistico, come vasi a figure nere di tipo ionico-etrusco13 e oggetti di bronzo fra i quali occupano un posto di notevole rilievo i lebeti con figure a tutto tondo sul coperchio14. Questa, nelle grandi linee, la situazione alla luce dei recenti ritrovamenti per quel che riguarda il problema visto dall’interno, dal punto di vista etrusco-italico. Ma sono dati di fatto e questioni ancora aperte che c’interessano anche in senso più lato, nei loro rapporti con il mondo greco fin da prima della colonizzazione in occidente. In due tombe di Cuma proprio di quest’epoca con corredi tipici della «Fossakultur» si sono trovate delle coppe, geometriche di tipo greco che possono essere datate fra la fine del IX e l’inizio dell’VIII sec. a. C. e una o forse due15 sono evidentemente di importazione attica o cicladica, mentre almeno una terza16 sembra rientrare in quel gruppo prodotto in ambiente etrusco che fu individuato dall’Akerström17e meglio inquadrato dal Blakway18. Ceramica di questa categoria, la quale deriva da prototipi attici, cicladici e anche greco-orientali

14

Sui bronzi capuani e in particolare sui lebeti v. Heurgon, op. cit., pp. 397 s., nel cui elenco non è però compreso l’esemplare esistente a Capua nel Museo Campano. Su Cuma v. H. Müller-Karpe, Beiträge zur Chronologie der Urnenfelderzeit nördlich und südlich der Alpen, Berlin 1959, pp. 36 s., tavv. XVI-XXII. Sicuramente di provenienza greca è la coppa tav. XVI A 3, mentre ciò mi pare dubbio per quella affine della tomba 29 (tav. XV1 B 1). 16 Müller-Karpe, op. cit., tav. XVI B; l’argilla è identica a quella di alcune coppe italo-geometriche da Capua. 17 Der geometriche Stil in Italien, Lund 1943, pp. 51 s. 18 Journ. Rom. St., XXV (1935), pp. 129 s. 19 Sul materiale da Ischia v. G. Buchner in Bull. Paletn. It., N.S. (1936-37), pp. 81 s. 15


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 93

Fig 2 Teano, Mostra degli Etruschi in Campania.

è stata trovata pure a Capua in tombe della prima e seconda fase e a Suessula, mentre a sua volta la facies pre-ellenica di Cuma e di Ischia (Castiglione) appare influenzata da quella villanoviana di Capua19. Viceversa i contatti fra la Cuma calcidese e l’interno della Campania risultano per un lungo periodo di tempo perlomeno molto scarsi, se è lecito trarre deduzioni dalla ceramica, e assai minori comunque di quelli fra Capua e l’Etruria vera e propria. Tale situazione cambia solo nell’ultimo quarto del VI sec., dopo la sconfitta della coalizione etrusca contro Cuma, quando i mercati interni vengono addirittura invasi dalla ceramica attica fino ad allora tutt’altro che abbondante20. Sotto questo aspetto Capua e Nola si differenziano fino ad un certo punto in alcuni periodi anche da Pontecagnano, che si trova nella situazione più favorevole. per uno sbocco a mare dell’Etruria campana e di tramite dei contatti con il mondo greco. Ma mentre qui può forse lasciar perplessi un certo provincialismo che si manifesta talora rispetto all’ambiente etrusco e ai due centri maggiori della Campania interna, nella vicina Poseidonia che a giudicare dai dati di scavo dev’essere sorta verso l’inizio del VI secolo e, ciò che meraviglia ancora maggiormente, nell’Heraion alla foce del Silaris che risulta più antico sia pure di pochi decenni, mancano per quel che sappiamo quasi completamente le importazioni etrusche. Infatti proprio fra la metà del VII e il primo quarto del VI secolo può essere datato il grosso del materiale di quella provenienza esportato nel mondo greco che è costituito quasi esclusivamente da bucchero21. E che ciò sia avvenuto attraverso o addirittura in parte dalla Campania è probabile, perché il repertorio formale di questa ceramica non è quello dell’Etruria costiera, bensì quello dell’Etruria meridionale interna, del Lazio e della Campania22. Tutto quel che conosciamo finora fa supporre che, contrariamente a quanto sostenuto da qualche studioso, Poseidonia sia stata una colonia achea, anzi probabilmente di Sibari, e dei strettissimi rapporti con quest’ultima fa fede l’iscrizione recentemente rinvenuta ad Olimpia23, mentre sappiamo d’altra parte dei rapporti commerciali fra Sibari e gli Etruschi da un lato e con Mileto dall’altro24. Ora, dopo Siracusa e accanto a Corinto e vicinanze, è l’Heraion di Samo che ha dato il maggior quantitativo di bucchero etrusco trovato in territorio greco e dei kantharoi provengono da Rodi, da Chio e da Smyrne, mentre d’altra parte nella seconda metà del VII secolo abbonda da

20 Tale impressione si ricava non solo dal materiale trovato in scavi recenti a Capua, ma anche da quello del Museo Campano (Mingazzini, C.V.A., II) e da quello da Suessula. 21 Sul bucchero importato in Grecia e trovato in contesti datati in Sicilia (soprattutto a Siracusa e in minor misura a Megara Hyblaea e a Selinunte) v. T. J. Dunbabin, in Perachora II, Oxford 1962, pp. 385 s. 22 Prevalgono su tutte le altre forme i kantharoi, ma non mancano del tutto le oinochoai a collo troncoconico e le kylikes di tipo ionico. 23 E. Kunze in VII Bericht über die Ausgrabungen in Olympia, Berlin 1961, pp. 207 s. 24 Su tali rapporti Tim. apd. Athen. XII, 519b, e per quel che riguarda Mileto Her. VI, 21, 1. 25 P. es. le oinochoai con anello plastico alla base del collo, le olpai a bocca trilobata e le kylikes.

93


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 94

94

Vulci fino a Capua e vicinanze accanto a quella italo-corinzia una ceramica subgeometrica di evidente derivazione greco-orientale25, e sono di evidente derivazione ionica anche alcune forme diffuse nel bucchero sottile26. Mi sembra però prematuro voler porre il problema dei centri greco-orientali che in questo periodo hanno avuto maggior peso in questi contatti, in quanto gran parte delle maggiori città ioniche sono praticamente inesplorate. Inoltre solo il materiale da Samo27, da Rodi28 e da Larissa29 dove la ceramica sicuramente locale ha rapporti solo generici con quella in questione, è stato pubblicato in modo adeguato, mentre quello da Mileto, Smyrne e Focea è tuttora praticamente inedito. Si è spesso insistito sull’importanza di quest’ultima per la diffusione di materiale greco-orientale in Occidente30, ma anche se certi vasi dalla vicina Smyrne sono strettamente affini a quelli prodotti nell’ambiente etrusco, ben poco possiamo dire per quel che riguarda il periodo anteriore alla fondazione di Massalia. Diversa è invece la questione per il periodo dopo la fondazione di Elea da dove si diffonde a Cuma e anche nella Campania interna un tipo di decorazione fittile architettonica tipico della Ionia settentrionale31 che si sostituisce a quello precedente di origine corinzia32 e viene accettato, sia pure con particolari diversi, in Europa e nel Lazio, dove potrebbe però essere penetrato anche per altre vie33. Dalla Ionia meridionale e dalle isole vicine è invece arrivata in occidente nei decenni intorno alla metà del VI secolo, sia pure in scarsissima quantità, della ceramica di Phikellura34, per cui si è voluta chiamare in causa Mileto, ma l’hydria trovata a Poseidonia non è certo sufficiente come testimonianza del commercio che si sarebbe svolto attraverso Sibari. D’altra parte non è stato ancora individuato il luogo di fabbricazione delle coppe e degli anforischi con decorazione a fasce tanto diffusi nel VII secolo avanzato e nella prima metà del VI secolo anche all’interno e che nella maggior parte sono certamente di provenienza greco-orientale35.

26

[manca la nota] W. Technau in Athen. Mitt. LIV (1929), pp. 6 s.; H. Walter ibidem LXXII (1957), pp. 35 s. e LXXIV (1959), pp. 10s. 28 V. soprattutto in Clara Rhodos III (1929), IV (1931), VI-VII (1932-33), VIII (1936). 29 J. Boehlau-K. Schefold, Larissa am Termos III, Berlin 1942. 30 Sulla questione v. ultimamente G. Vallet in Vie di Magna Grecia (Atti del II convegno di Studi sulla Magna Grecia), Napoli 1963, p. 128. 31 Su tale tipo di decorazione v. A. Andrèn, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund 1940, pp. LXXIX s., con bibliografia. Sono da aggiungere i frammenti da Focea, su cui E. Akurgal in Am. Journ. Arch. LXVI (1962), tav. CI, figg. 24-25. Diverso è quel poco che conosciamo finora dalla Ionia meridionale, e in particolare da Mileto (H. Koch, in Roem. Mitt. XXX (1915), pp. 33 s., figg. 13-22) e da Samo (E. Buschor, in Athen. Mitt. LV (1930), pp. 87 s., tav. d’agg. XXIII, e ibidem LXXII (1952), pp. 10 s.). Sulle terrecotte architettoniche arcaiche da Velia v. Sestieri, in Fasti archaeologici XI (1958), n. 2174, tav. XXX a; W. Johannowsky, in Klearchos III (1961), p. 128 n. 37; su quelle campane v. Koch, Dachterrakotten aus Campanien, Berlin 1912 e Mingazzini, Mon. Ant. XXXVII (1938), coll. 719 s. 32 Koch, Dachterrakotten cit., tav. XIX, l. 33 Mancano, p. es. finora in Campania quasi del tutto le sime a fregio figurato, frequenti invece più a Nord. 34 Sestieri in Arch. class., II (1950), pp. 1 ss. 35 Su queste coppe ioniche v. intanto F. Villard in Mél. Arch. Hist. LV (1955) pp. 14 ss. 36 Su Siris v. ultimamente L. H. Jeffery, The local Scripts of Archaic Greece, Oxford 1961, pp. 286 s. c. bibliografia. 27


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 95

Proprio a Sala Consilina le kylikes di questo tipo abbondano in modo particolare nei decenni intorno allo scorcio fra i due secoli, ma siamo in un periodo in cui vi manca completamente il materiale di provenienza etrusca e d’altra parte oltre che ad un eventuale influsso commerciale di Sibari si potrebbe pensare a quello di Siris, che era per quel che sappiamo, colonia di Colofone e fu distrutta nel VI secolo36 e la cui supposta e anzi assai probabile via istmica avrebbe in ogni caso precluso ai Sibariti l’accesso al Vallo di Diano37. Si potrebbe anche pensare che i rapporti diretti fra Sibari e gli Etruschi siano stati limitati al periodo in cui la civiltà di Sala Consilina aveva ancora carattere tardo-villanoviano o era di derivazione villanoviana. Ma anche se abbassassimo fino agli estremi limiti compatibili con la logica la durata di tale facies, tali contatti sarebbero durati al massimo qualche decennio e poi mancano almeno per ora anche testimonianze archeologiche. Certo è che nell’VIII e nella prima metà del VII secolo non solo delle fibule ma anche vasi italo-geometrici provenienti dall’area etrusca sono pervenuti finanche nel settore estremo dell’area della Fossakultur meridionale, a Torre Galli e a Locri (Canale)38 e ciò è, indipendentemente dal fatto se tali contatti si siano svolti via terra o, com’è più probabile, data la loro assenza a Sala Consilina, via mare, un fatto di un certo interesse sia perché vi mancano in quel periodo oggetti sicuramente greci, sia perché i prodotti consimili delle officine della vicina Sicilia orientale39 non vi predominano affatto. Ma allora Locri non era stata ancora fondata e per quel che sappiamo non c’erano ancora centri greci sulla costa tirrenica fra il Silaris e lo stretto. Questo è per sommi capi il quadro, ancora sotto molti aspetti tutt’altro che chiaro, che possiamo ricavare dall’attuale situazione di fatto, con la problematica che ne scaturisce. Un più organico programma di esplorazione, già in atto in limitati settori, ma per cui ci vorranno maggiori mezzi, certamente non sarà avaro di risultati, ma è auspicabile una presentazione in tempo utile, sia pure anche in forma preliminare, dei risultati già acquisiti che ancora praticamente ignoriamo, e ciò sia per quel che riguarda l’occidente sia per la costa orientale dell’Egeo.

37

Sulla questione v. P. Zancani-Montuoro, in Arch. St. Cal. Luc. Akerström, op. cit., pp. 37 s. 39 Akerström, op. cit., pp. 14 s. 38

95




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 98

Problemi di classificazione e cronologia di alcune scoperte protostoriche a Capua e Cales*

98

Fino a pochissimo tempo fa praticamente quasi tutto quello che era noto dalla Campania del periodo finale dell’età del bronzo e dell’età del ferro riguardava la parte meridionale della regione e dalla vasta area fra la linea Cuma - Valle del Sarno a Sud e Caracupa - Praeneste a Nord si conosceva solo materiale sporadico, troppo poco caratteristico per stabilire con sicurezza la facies di pertinenza. Invero assai poco significativo è, infatti, il materiale dalle stipi votive di Minturnae1, del territorio Cassinate2 e dalla necropoli di Isola del Liri3, parte del quale è del resto di un’epoca più tarda in cui appare già costituita, sia pure con sfumature locali, una κοινή etrusco-laziale Campana. Procedendo verso Sud, delle necropoli di Trebula4, Capua5, Suessula6 erano stati pubblicati solo oggetti singoli, senza associazione, mentre sono tuttora insufficientemente noti i corredi da Allifae7 e dalla Valle del Sarno8 e inediti quelli scavati nel 1939 a Nola9. Qualcosa di più si sapeva dei tipi tombali soprattutto di Suessula, dove le sepolture più antiche erano ad inumazione con copertura di pietre calcaree10 e di Rocchetta dove secondo notizie raccolte dal Von Duhn erano state trovate tombe pressappoco contemporanee ad inumazione coperte anch’esse con pietre dello stesso tipo e con corredo di vasi d’impasto e bronzi11. In questi ultimi anni la pubblicazione, da parte del de Franciscis, di un gruppo di materiale da un settore sconvolto della necropoli Capuana12 se non ha dato nessun apporto alla soluzione dei problemi culturali13, ha invece dimostrato in modo inequivocabile una continuità di vita sul posto dall’VIII sec.a.C., data della fondazione della città secondo Velleio14 oltre la data del 471 a.C. accettata da Catone15. Successivamente è venuto alla luce materiale della prima età del ferro a Cales e a Suessa Aurunca che in base al repertorio formale e decorativo prevalente non ebbi difficoltà a mettere in rapporto con la civiltà laziale16 cui appartengono anche alcuni corredi della necropoli di Casinum recentemente pubblicati dal Carettoni17 e nel 1962 e nel 1963 si sono iniziati, dopo ulteriori scoperte fortuite, degli scavi sistematici nella necropoli di Capua, che tuttora continuano18. In seguito a queste ultime scoperte e ricerche si è cominciato ad avere un quadro più chiaro della situazione basato su un numero oramai abbastanza notevole di corredi che vanno a Capua senza soluzione di continuità dalla seconda metà del IX secolo alla metà del V secolo a. C. e a Cales dalla metà del VII secolo al VI secolo a. C. avanzato. *

W.J., Problemi di classificazione e cronologia di alcune scoperte protostoriche a Capua e Cales, Studi Etruschi vol. XXIII - 1965, pp. 685-698 e tavv. f.t.

1 P. MINGAZZINI, in Mon. Ant. XXXVII, 1938, col. 693 sg. Più che per le statuette più antiche (tavv. XII-XIII), le quali non si discostano affatto da quelle rinvenute in altri tipi di ambiente italico, il discorso vale soprattutto per la ceramica d’impasto (tavv. XXVII-XXXIII) costituita per la massima parte da vasi in miniatura, per cui mi sembra esagerato voler mettere in relazione la facies in questione, come ha fatto il KASCHNITZ-WEINBERG (Handbuch d. Archäologie fasc. IV, Monaco 1950, p. 374) con quelle precedenti del Veneto. 2 L. PIGORINI, in B P I, XLII, 1918, p. 85 s.; G. CARETTONI, Casinum, Roma 1940, p. 19, tav. 1 b; A. PANTONI in Not. Scavi 1949, p. 143 sg.; CARETTONI in B P I LXVII LXVIII, 1958-59, p. 194 n. 49. 3 G. NICOLUCCI in Mem. Soc. It. Scienze, Napoli VI, 1887, p. 1 sg. dell’estratto, tavv. I-III. 4 A. MAIURI, in Not. Scavi 1930, p. 224 sg., fig. 5. 5 E. GABRICI in Riv. Ind. Gr. It. III, 1919-20, p. 129 sg. 6 F. von DUHN in Röm. Mitt. II, 1887, p. 249 sg., figg. 19-22; A. MILANI- A. SOGLIANO in Not. Scavi 1878, p. 98 sg., tavv. IV-VI. 7 M. DELLA CORTE in Not. Scavi 1928, p. 229 sg. 8 G. PATRONI in B.P.I, XXVII-XXVIII, 1901-1902, p. 41 s., tavv. III-IV. 9 Alcuni corredi della seconda fase orientalizzante saranno resi noti da M. Bonghi-Jovino in un catalogo di materiale protostorico della Campania, di prossima pubblicazione. 10 F. VON DUHN, Röm. Mitt., cit., e Italische Gräberkunde, I, Heidelberg 1924, p. 550. 11 VON DUHN, It. Gräberkunde, cit. I, p. 554. 12 In Not. Scavi 1954, p. 272 sg. 13 L’orciolo a collo troncoconico (fig. 7 d) è, per esempio, come vedremo, una forma attestata a Capua finora da un solo altro esemplare, mentre 1’anforetta a corpo sferico più o meno schiacciato (figg. 6 b; 7 a, b) è diffusa sia in Campania, sia nella cultura laziale, sia in area villanoviana. 14 I, 7; la data precisa coinciderebbe secondo tale cronologia con l’anno 800 a. C. all’incirca e sembrerebbe, come avremo occasione di notare, almeno di alcuni decenni posteriore a quella del materiale più antico rinvenuto nella necropoli. 15 Apd. VELL. 1, 7; è evidente che Catone è stato influenzato, nell’accettare o proporre questa data, dall’animosità contro Capua diffusa dopo gli avvenimenti del 214211 a. C.; al massimo si potrebbe pensare all’arrivo di altri elementi dall’Etruria nel 471 a. C., ma per ora una simile tesi non appare giustificata da alcun elemento concreto. 16 In Boll. d’Arte XLVI, 1961, p. 268. 17 G. CARETTONI in BPI LXVII-LXVIII, 1958-59, p. 163 sg. 18 Colgo l’occasione per ringraziare il Soprintendente Prof. Alfonso de Franciscis per avermi concesso lo studio e la pubblicazione dei risultati di tali scavi ed anche del materiale precedentemente da lui scoperto. I lavori sono stati seguiti da me personalmente con la collaborazione, saltuaria, ma efficiente, delle dott.sse Maria Bonghi-Jovino e Maria I. Merolla.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 99

99

Fig 1 Vasi del periodo 1 A: a,b) Capua, Tomba 232 a; c) S.Angelo in Formis.

a

b

c


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 100

Fig 2 Vasi del periodo 1 A (Capua, Tomba 232 a).

100


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 101

A Capua possiamo ormai distinguere sei fasi, di cui le prime due coincidono più o meno con quelle più antiche riconosciute dal Pallottino e dal Müller Karpe a Tarquinia19 e dal D’Agostino a Pontecagnano20. Nella più antica, il cui periodo iniziale è il solo finora rappresentato in un’altra necropoli a S. Angelo in Formis, presso il santuario di Diana Tifatina, le tombe sono in grande prevalenza ad incinerazione, sia del tipo a pozzetto, sia del tipo a ziro, e solo tardi vi compaiono le tombe a fossa in ciottoli, in gran parte ancora a cremazione e per il resto ad inumazione. All’inizio il corredo è costituito solo dall’ossuario con uno scodellone o una pietra in funzione di coperchio, da uno o due altri vasi al massimo, in genere capeduncole21 (figg. 1, 2) e dai bronzi che talvolta sono fusi dal rogo. Nel periodo finale della prima fase c’è spesso un maggior numero di oggetti e appaiono, oltre a perle di pasta vitrea e scarabei di provenienza orientale e ad altre forme fra cui l’anforetta, la tecnica dell’impasto a superficie rossa viva e la ceramica geometrica di tipo greco. Quest’ultima ancora non molto frequente, è rappresentata principalmente da coppe biansate, le quali per la forma e la distribuzione della decorazione ricordano molto da vicino coppe attiche datate dal Kübler alla seconda metà del IX e agli inizi dell’VIII sec. a. C.22. Mentre alcune di queste sono da considerare senz’altro importate, una fiasca sferoidale, nella stessa tecnica, che trova analogie per la forma solo nella ceramica d’impasto locale, permette di assegnare anche altri vasi ad officine locali, sia pure molto probabilmente a figuli greci23. Le fibule più antiche (fig. 3) ad arco semplice o serpeggiante con staffa a spirale con risvolti sono ancora di

Fig 3 Bronzi del periodo 1 A.

19 Beiträge zur Chronologie der Urnenfelderzeit nördlich und südlich der Alpen, Berlin 1959, figg. 46 e 56; con una certa approssimazione esse coincidono anche con i periodi arcaico I e arcaico II del Pallottino (St. Etr. XIII, 1939, p. 85 sg.; Mon. Ant. Linc. XXXVI, 1937, col. 123 sg.), e lo stesso si può dire a proposito delle due fasi successive. 20 In Mostra della preistoria e della protostoria del Salernitano (catalogo), Salerno, 1962, p. 105 sg. In seguito ai risultati più recenti dello scavo mi è parso lecito chiamare questo primo periodo I A e quello successivo I B. 21 Già in questo periodo più antico le capeduncole sono spesso in impasto buccheroide, ma in quelle aperte l’ansa, sempre del tipo a lira, perlopiù non è bifora. 22 Kerameikos V, I, Berlin 1954, p. 143, tav. XC, XCI; di imitazione probabilmente capuana sembrano essere invece altre due tazze trovate a Cuma (W. JOHANNOWSKY in Klearchos XIX, 1963, p. 69). 23 Sarebbe altrimenti inspiegabile la perfezione tecnica di quasi tutti gli esemplari della prima fase e la scarsezza in questo periodo di forme non greche; una conferma di ciò potrebbe essere il livello medio più scadente della produzione del periodo successivo. Sul problema v., per quel che riguarda l’Etruria. A. BLAKEWAY in B. S. A. XXVIII, 1932-33, p. 170 sg.; lo stesso in J. R. S. XXV, 1935, p. 129 sg.; A. AKERSTRÖM, Der geometrische Stil in Italien, Lund 1943, p. 51 sg. MÜLLER-KARPE, Zur Stadtwerdung Roms, Heidelberg 1963, p. 67 sg.

101


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 102

102

tipo protovillanoviano, mentre quelle trovate nelle tombe della prima fase avanzata sono ad arco ingrossato con staffa simmetrica o a doppio occhiello come varii esemplari dalla necropoli preellenica di Cuma, che, come vedremo, è influenzata nei suoi corredi più recenti dalla seconda fase di Capua, mentre risultano già assenti nelle tombe più antiche di Pitecusa24. Gli ossuari (fig. 1, 2) sono sia del tipo biconico normale con collo alto o basso e anse orizzontali o prese sulla spalla25, sia apparentemente di forma ovoidale con labbro fortemente svasato di un tipo frequente nell’agro falisco26. Talvolta fungono da ossuari però anche brocche o olle che ricordano nella forma delle situle di bronzo sempre di ambiente villanoviano (Tav. I a) mentre lo scodellone è del tipo troncoconico con labbro rientrante con o senza ansa27. La capeduncola è talvolta del tipo profondo con ansa semplice e collo verticale o svasato, ma assai più spesso di proporzioni basse con fondo troncoconico o leggermente convesso e ombelicato, parte verticale più o meno concava e ansa oramai generalmente bifora, a lira e spesso apicata. Già presto negli esemplari di questo tipo, che è diffuso in Etruria quasi soltanto nella fascia che da Tarquinia e Vulci si stende verso l’interno fino a Bisenzio, Volsinii e Chiusi28, mentre manca quasi del tutto nell’area della cultura Laziale, l’elemento a lira è traforato da una o più finestre e ornato al centro da una bugnetta, mentre il raccordo con il labbro è bifido (Tav. I a). Tale variante che almeno nella sua forma definitiva è probabilmente frutto di un’evoluzione locale29, continua ad essere in uso fino agli inizi del periodo orientalizzante, come anche l’anforisco a corpo sferico più o meno schiacciato che poi tende a diventare ovoide. Caratteristico è il tipo degli ziri più recenti, con anse tubolari fra due costolature sulla spalla e sull’orlo del coperchio.

24

Sul problema v. MÜLLER-KARPE, Beitrage, cit., p. 39 sg. e Stadtwerdung. cit., p. 70 sg. Quest’ultimo tipo è diffuso fra l’altro a Caere (Mon. Ant. Linc. XLIII, 1955, fig. 10 a, 16 b, 17 a, b, c, 26), a Tarquinia (MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit., tav. XXVIII, 21), Not. Scavi 1907, p. 241, fig. 46, a Vetulonia (D. LEVI, C. V. A. Firenze, Museo nazionale I, IV B k, tav. XI, 12) a Bologna (MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit., tav. LXXIX, A 5) e a Narce (C. V. A. Copenbagen IV, tav. CXC, I). Cfr. esemplari da Trevignano romano (Not. Scavi 1913, p. 37 s.), da Monte S. Angelo (Mon. Ant. Linc. IV, 1898, col. 110 sg., fig. 3), da Narce (E. DOHAN, Italic Tomb-Groups in the University Museum, Philadelphia 1942, tav. V, 3/4) e da Falerii (O. MONTELIUS, La civilisation primitive en Italie, Stockholm 1904, II B, tav. CCCX, 15). 26 Cfr. esemplari da Trevignano romano (Not. Scavi 1913, p. 37 s.), da Monte S. Angelo (Mon. Ant. Linc. IV, 1898, col. 110 sg., fig. 3), da Narce (E. DOHAN, Italic TombGroups in the University Museum, Philadelphia 1942, tav. V, 3/4) e da Falerii (O. MONTELIUS, La civilisation primitive en Italie, Stockholm 1904, II B, tav. CCCX, 15). 27 Il tipo senza ansa, rappresentato a Bisenzio in alcuni corredi della fase Tarquinia I dalla località Polledrara (Not. Scavi 1894, p. 123 sg., tuttora inediti e esposti al museo Pigorini), trova precedenti diretti di epoca protovillanoviana a Castelfranco-Lamoncello (F. RITTATORE in St. Etr. XXIX, 1961, p. 297 sg., fig. 1 e, 2 b. 28 Mentre la vasca ha tale foggia già nella fase subappenninica, (v. sulla forma in tale periodo R. PERONI, in Mem. Linc., s. VIII, IX, 1959, fasc. I, p. 13 sg., tav. I, a-z), la forma appare pienamente sviluppata nella facies «protovillanoviana» [cfr. gli esemplari da Pianello di Genga: MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit. tav. LV, 9) e da Sticciano Scalo (G. MAETZKE, in Museo archeologico di Firenze, guida alla sezione preistorica, Firenze 1963, p. 32, fig. 7)]; interessanti, benché di forma diversa, già vicina a quella che troveremo successivamente nelle necropoli calabresi della prima età del ferro, sono per la presenza dell’ansa a lira, alcune capeduncole da Milazzo (L. BERNABÒ-BREA, Mylai, Novara 1959, tav. XXIII, 16; XXIV, 13; sul tipo dell’ansa p. 100). Capeduncole di fase villanoviana con fondo convesso strettamente affini e in qualche caso identiche ad esemplari capuani sono note, fra l’altro, da Tarquinia (MONTELIUS, op. cit., II B, tav. CCLXXVIII, 10 e MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit. fig. I, 14 d. dalla tomba del 21-3-1883, della prima fase, di notevole interesse per la presenza di costolature radiali sul fondo che derivano evidentemente, come le serie di solchi in quelle capuane, da prototipi metallici del tipo MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit., tav. XXXII), da Narce (DOHAN, op. cit., tav. VII, 6a, 6b), da Bisenzio (E. GALLI, in Mon. Ant. Linc., XXI, 1912, col. 421, N. 21, fig. 8 e altri inediti), da Vetralla (inedite), da Orvieto (inedita) e da Chiusi (inedita); altre analoghe, ma con piede, provengono da Tarquinia (MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit., tav. XXVII B 3), da Vulci (DOHAN, op. cit., tav. XLIX, 9) e da Bisenzio (R. PARIBENI, in Not. Scavi, 1928, p. 455, fig. 32 a). 29 All’infuori degli esemplari di Capua conosco finora soltanto qualche capeduncola da Suessula e una da Nola, pure al Museo Nazionale di Napoli, nelle quali però le finestre sono disposte già su due piani, come a Capua nel periodo II B. 25


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 103

La decorazione è, salvo nei vasi d’argilla figulina, di solito incisa o a serie di intacchi impressi a rotella e fra i motivi prevalgono il meandro, le linee a zig zag e, soprattutto negli anforischi e nelle olle i gruppi di linee radiali sulla spalla e le bugnette sormontate da solchi semicircolari concentrici30. La seconda fase nella quale prevalgono ormai le tombe ad inumazione a ciottoli o a fossa semplice è caratterizzata dalla presenza delle fibule a sanguisuga con ingrossamenti laterali, a drago con ardiglione bifido e ad arco rivestito con grani d’ambra o con dischi d’ambra e d’osso con staffa estroversa o già lunga, nonché dall’apparizione di qualche forma nuova e di nuovi elementi decorativi e di dettaglio. Nella ceramica d’impasto (Tav. I b) le olle sfeiroidali su alto piede che tendono ad evolversi dal tipo a corpo espanso presente già alla fine del periodo precedente verso forme più slanciate trovano stretti confronti nell’Etruria centrale31; sono inoltre particolarmente frequenti, oltre agli anforischi, ai due tipi di capeduncole, agli ziri che sono generalmente di dimensioni anche anche molto più ridotte tanto da non poter essere più usati come tali e alle olle biconiche in cui la spalla assume maggiore importanza, le olle ovoidi con breve collo e labbro espanso e le coppe a basso o alto piede, di solito prive di anse e con labbro introverso a rigonfiamenti orizzontali, anch’esse tipiche dell’Etruria centrale32. Abbastanza diffusi sono inoltre gli scodelloni con labbro verticale, di un tipo diffuso in epoca più antica soprattutto nell’area laziale33 e di cui si conoscono degli esemplari anche da Cuma34, le coppe biansate di tipo analogo e i boccali biansati a corpo schiacciato, di cui un esemplare ha le anse ad orecchioni35. Rari sono invece la fiasca priva di anse, l’orcio con l’ansa sulla spalla e l’orcio a collo troncoconico tipico della civiltà delle tombe a fossa. Appaiono però anche delle fogge nuove come l’ansa bifida e nuovi elementi decorativi fra cui le doppie spirali impresse a stampa che si trovano anche su due vasi da Cuma, di cui uno in associazione36, mentre la spalla degli anforischi è decorata ormai da solchi radiali in serie continua come in particolare a Volsinii37 e molto spesso quelle delle grandi olle sono ornate da costolature elicoidali e poi anche orizzontali38. Accanto alla ceramica italogeometrica, in cui oltre alle tazze biansate, strettamente affini a quelle conosciute dall’Etruria centro-meridionale sono frequenti le coppe troncoconiche con largo labbro orizzontale e a decorazione lineare, appare una categoria di vasi d’impasto con ingubbiatura crema e decorazione geometrica in colore rosso, costituita

30

Questo motivo, che appare in fase protovillanoviana a Pianello di Genga (MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit., tav. LIII, 15), è più tardi assai comune nel Lazio (PERONI, in Civiltà del ferro, Bologna 1960, p. 467, fig. 2, I; 2, 14) e non manca a Cuma (MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit., tav. XVII B 25, XVIII, A 8), dove è però più frequente la bugna più pronunciata con solcature ad angolo, motivo che manca finora completamente a Capua. 31 Fra l’altro a Tarquinia (p. es. MONTELIUS, op. cit., II B, tav. CCLXXXII, 18; CCLXXXV, 20; Not. Scavi, 1907, p. 231, fig. 32), Vulci (MONTELIUS, op. cit., II B, tav. CCLIX, II; DOHAN, op. cit., tav. XLIII, 5; XLIV, 3; XLV, 7), Bisenzio (GALLI, op. cit., col. 447, fig. 35), Vetralla (esemplari inediti) e Narce (DOHAN, op. cit., tav. VI, 13; XXVII, 4). 32 Cfr. per Vulci DOHAN, op. cit., tav. XLIII, 18, per Statonia G. MATTEUCIG, Poggio Buco, Berkeley 1951, tav. II, 7; per Narce DOHAN, op. cit., tav. XXVIII, 5; il tipo diffuso nell’Etruria meridionale si differenzia da questo per la presenza di un’ansa o almeno di costolature verticali. 33 Cfr. P. G. GIEROW, The Iron Age Culture of Latium, Lund 1964, fig. 24, 27; E. GJERSTAD, Early Rome II, Lund 1956, fig. 39, 3; 82, 8. 34 MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit., tav. XIX A, 23; XXI A, li; XXI B, 2. 35 Esemplari con anse basse, spesso bifide, sono noti, fra l’altro, da Tarquinia (MONTELIUS, op. cit., II B, tav. CCLXXXI), Vulci (DOHAN, op. cit., tav. XLVI, 10, 11), Bisenzio (MONTELIUS, op. cit., II B, lav. CCLV, 10; Mon. Ant. Linc., cit., fig. 35), Narce (DOHAN, op. cit., tav. VII, 10), e Volsinii (R. BLOCH, in Ciba Foundation Symposium on Medical Biology and Etruscan Origins, London 1959, fig. 2); il tipo con anse ad orecchioni è attestato a Tarquinia (tomba del guerriero, d’argento, MONTELIUS, op. cit., Il B, tav. CCLXXXIX, 8; MONTELIUS, op. cit., II B (tav. CCXCI, 10), Vulci (DOHAN, op. cit., tav. XLIV, 11, 12), Bisenzio (Not. Scavi 1928, cit., fig. 32 b), Statonia (MATTEUCCIG, op. cit., tav. VII, 6) e a Volterra (MONTELIUS, op. cit., II A, tav. CLXXI, 6). 36 MÜLLER-KARPE, Beiträge, cit., tav. XXI, D II. 37 BLOCH in Mél., LXV, 1955, p. 63, dis. 3, c, d; dis. 4, f, g. 38 Tale ornato, che deriva evidentemente dalle costolature assai meno evidenziate piuttosto comuni già in epoca precedente fra l’Etruria e la Campania, riappare anche nella valle del Sarno e in fase orientalizzante a Caudium, nel Sannio.

103


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 104

104

soprattutto dai due tipi di grandi olle di cui si è parlato. I motivi più frequenti sono i denti di lupo pieni o a tratteggio, i triangoli contrapposti per i vertici e i rettangoli a doppio o a triplice contorno sulla spalla, e le linee radiali sulla parte bassa, come nelle stesse forme nell’area che si estende da Vulci a Tarquinia, a Bisenzio e Narce dove anche la tecnica è strettamente affine39. Di notevole importanza per la cronologia è la presenza in un corredo relativamente tardo di questa fase di tre vasi del protocorinzio antico fra cui un aryballos globulare40, per cui mentre il suo inizio dev’essere forse di non molto precedente alla κτίσις di Cuma avvenuta con ogni probabilità poco prima del 757 a. C.4 il suo limite inferiore dev’essere posto non molto lontano dalla fine dell’VIII secolo4. Nella fase successiva (Tav. II a) troviamo fra i bronzi ancora le fibule a drago, ma abbondano anche quelle a navicella con protuberanze laterali. Nella ceramica d’impasto incominciano a farsi strada le forme di origine corinzia, fra le quali la kotyle e 1’oinochoe e appare l’anforisco con la parte inferiore concava, la spalla convessa e quattro grandi bugne allo spigolo che è caratteristica dell’area laziale (4.3) e la coppa quadriansata su alto piede43. Nella decorazione abbondano i denti di lupo incisi e i cerchietti impressi come anche nella ceramica dipinta ormai generalmente d’argilla figulina la quale adesso dipende nelle sue forme da quella protocorinzia. Per la presenza in un corredo di un aryballos ovoide protocorinzio e in un altro di una anforetta di bucchero sottile con doppia spirale incisa nonché per l’apparizione in tombe relativamente antiche della fase successiva di vasi del « transizionale » la durata della terza fase può coincidere più o meno con i primi due terzi del VII secolo. La quarta fase (Tav. II b) è caratterizzata da ceramica subgeometrica praticamente identica nel repertorio formale e nella decorazione a quella che si trova contemporaneamente in Etruria e influenzata oltre che da prototipi corinzi anche da tipi greco-orientali44, e da ceramica d’impasto marrone ancora molto vicina a quella della fase precedente. Nel primo periodo di tale fase, che per la presenza di ceramica transizionale e di vasi etrusco-protocorinzi e imitanti già quelli transizionali può essere datata a cavallo fra il terzo e l’ultimo quarto del VII secolo, si trova della ceramica di bucchero sottile già evoluta che è rappresentata per il momento in maggior misura che a Capua, in un corredo eccezionalmente ricco di Cales e proviene evidentemente da officine dell’Etruria meridionale45. Nella quarta fase avanzata, datata da ceramica del corinzio antico e del

39

Su tale categoria, diffusa particolarmente nell’area fra Tarquinia, Vulci, Vetralla, Bisenzio, Narce e Chiusi, ma che ha influito notevolmente sulla ceramica d’impasto dipinta dell’Etruria settentrionale e di Bologna, v. MATTEUCIG, op. cit., p. 14, con bibliografia precedente. 40 Si tratta della tomba 282; oltre all’aryballos vi sono stati trovati una tazza biansata tipo Thapsos, una oinochoe, alcuni vasi d’impasto, fra i quali due capeduncole con doppio ordine di finestre nell’ansa, tipiche del periodo II B, due olle con costolature orizzontali e due coppe biansate, nonché delle fibule a drago. 41 Sulla questione v. J. BÉRARD, La colonisation grecque de l’Italie méridionale et de la Sicile dans l’antiquité, 2 ed., Paris 1957, p. 37 sg. 42 Il corredo della tomba tarquiniese con il vaso di fayence che reca il nome di Bocchoris (MONTELIUS, op, cit., II B, tav. CCXCV; Ciba Found. Symp.,cit., figg. 13-18) rientra già nella prima fase orientalizzante. 43 MÜLLER-KARPE, Stadtwerdung, cit., tav. XLIV, forma 51. 44 45

Sa tale categoria v. G. COLONNA in St. Etr., XXIX, 1961, p. 47 sg., con bibliografia precedente; A. GIULIANO in Jahrb., LXXVIII, 1963, p. 183 sg. Vi sono rappresentate fra l’altro le forme MINGAZZINI, I vasi della collezione Castellani, Roma 1930, tav. II, 6; III, 1; V, 1-6; VI, 4.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 105

corinzio medio intorno allo scorcio fra il VII e il VI secolo a. C. abbonda già il bucchero di transizione e poi anche quello pesante, tanto da far pensare all’esistenza di officine locali. Il repertorio formale è pressochè identico a quello dell’Etruria meridionale interna e qualche forma, come la brocca con collo troncoconico trova confronti più a Nord46 e la decorazione è costituita da solchi o linee orizzontali e da elementi a ventaglio impressi. Forme esclusive di questa fase sono il kantharos su piede a tromba e il calice biansato. Assai più raro è il cosiddetto bucchero rosso, il quale abbonda invece a Cales e manca per ora completamente la ceramica etrusco-corinzia figurata. La tipologia dei bronzi, più rari in quanto incomincia ad abbondare il ferro anche per gli oggetti ornamentali, rimane pressochè la stessa della fase precedente, ma nella fibula a drago l’ardiglione bifido tende a scomparire e le protuberanze laterali sono spesso ornate da ghiande come anche l’estremità della staffa, e nelle fibule a sanguisuga quest’ultima è talvolta ornata da una apofisi verticale47. Incomincia a riapparire per diventare più frequente il rito dell’incinerazione e spesso la fossa serve da ustrinum. La quinta fase (Tav. III a) è caratterizzata da bucchero pesante, dall’assenza totale della ceramica d’impasto decorata e pressoché totale di bronzi ornamentali e dall’apparizione della ceramica a vernice nera locale. Nel bucchero la forma più tipica è il kantharos carenato a basso piede che si trova contemporaneamente anche nell’Etruria interna fin su ad Orvieto, ma il repertorio appare impoverito rispetto alla fase precedente 48. In alcuni corredi sono state trovate delle coppe ioniche del tipo B 2 e vasi attici a figure nere, per lo più kylikes, databili verso la metà del VI sec. a. C., ma non si può dire che la ceramica greca abbondi anche se le kylikes a vernice nera trovate in tombe di questa fase imitano tipi attici con il labbro concavo49. Nella sesta fase (Tav. III b) manca totalmente il bucchero, sostituito ormai dalla ceramica a vernice nera e da quella di tradizione subgeometrica, il cui repertorio deriva del resto, in gran parte direttamente da quello del bucchero50. Dall’ultimo quarto del VI secolo incomincia poi ad abbondare la ceramica attica ed è frequente anche quella non figurata, per cui sarà forse lecito pensare ad una conseguenza economica della sconfitta subita per opera dei cumani nel 525/24 a. C. Allo stesso periodo appartengono anche i vasi a figure

46

P. es. a Volsini (E. GABRICI, in Not. Scavi, 1906, p. 59, fig. 1 d; BLOCH, in Mél. LXV, 1955, p. 63, dis. 4 j) e a Pitigliano (MONTELIUS, op. cit., II, A, tav. CCVIII, 21). Il tipo coincide pressappocco con quello SUNDWALL (Die älteren italischen Fibeln, Berlin 1943), G I β c 54 (fig. 344) e trova confronti anche nelle fibule della tomba D XXVI di Sala Consilina (K. KILIAN, Untersuchungen zu früheisenzeitlichen Gräbern aus dem Vallo di Diano, Heidelberg 1964, Beil. XXIV A), datate dall’associazione con una coppa di tipo ionico al VII secolo. 48 Tipici di questa fase sono 1’olletta ad orlo svasato, e la situla dal collo alto, ma persistono anche l’olletta biconica e il piatto dall’orlo concavo. Non mancano del tutto forme greche, fra le quali la kylix su alto piede di tipo attico e il cratere del tipo «calcidese». 49 La forma deriva da esemplari del tipo PFUHL, Malerei u. Zeichnung der Griechen, München 1923, fig. 250-253. 50 Ad esempio la brocca a corpo ovoidale con il labbro impostato direttamente sulla spalla e la situla del tipo di cui alla n. 48. 51 Su questa v. P. MINGAZZINI, C.V.A., Museo Campano III p. 3 sg.; IV Es. tav. I-XI e ultimamente F. BADONI in AC., XVI, 1964, p. 26 sg. 47

105


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 106

106

nere locali51 e i lebeti di bronzo dai coperchi ornati da figure52 nonché altri bronzi strettamente affini a quelli contemporanei in Etruria, e non anteriori a tale fase sono anche le tombe in tufo sia a cassa sia ad incinerazione (a cubo) di cui si conoscono i corredi53. In conclusione, anche se non pochi problemi rimangono tuttora aperti e il vuoto fra il Lazio e la Campania centrale è ben lungi dall’essere colmato in maniera soddisfacente per quel che riguarda soprattutto la prima età del ferro e il periodo orientalizzante, può dirsi tuttavia superato definitivamente il quadro che si aveva della situazione culturale campana mezzo secolo fa e che a molti sembrava ormai scontato. I risultati dello scavo di Capua sono di particolare interesse perchè non c’è soluzione di continuità alcuna fra la fase Tarquinia I e il V secolo a. C. né per quel che riguarda la cronologia, né dal punto di vista culturale, in quanto come si è visto le singole fasi si agganciano strettamente a quelle precedenti e successive. Inoltre la presenza di materiale greco piuttosto ben databile fin da epoca molto antica permette di dare una impalcatura più valida alla cronologia di gran parte del materiale proveniente da altre località della Campania centrale, fra cui soprattutto Suessula, tanto più che le deposizioni sono quasi tutte singole. Il materiale più antico di Capua non si riallaccia affatto alla civiltà tipo Torre Galli, né strettamente a quello laziale, ma piuttosto a quello dell’Etruria e in particolare dell’area compresa fra l’agro falisco settentrionale, Vetralla, Bisenzio e Volsinii, il che potrebbe far supporre che i rapporti fra l’onomastica capuana e quella volsiniese in età più tarda non siano casuali54. I contatti con tale area diventata poi retroterra vulcente e in parte tarquiniese, assai stretti nella seconda fase, continuano anche dopo, fino al VI secolo inoltrato e la mancanza di elementi tipicamente ceretani induce a pensare che essi si siano svolti per la via interna attraverso le valli del Liri, del Sacco e del Tevere e non certo o in misura assai minore per via marittima.

51

Su questa v. P. MINGAZZINI, C.V.A., Museo Campano III p. 3 sg.; IV Es. tav. I-XI e ultimamente F. BADONI in AC., XVI, 1964, p. 26 sg. Su questi v. J. HEURGON, Recherches sur l’histoire, la réligion et la civilisation de Capoue préromane, Paris 1942, p. 397 s., tav. VIII. 53 Su tale tipo di tomba e la sua diffusione in Campania v. JOHANNOWSKY, in Boll. d’Arte 1960, p. 202, con bibliografia precedente. 54 Sull’onomastica e la toponomastica capuana v. HEURGON, op. cit., p. 71 sg. 52


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 107

Tav. I a) Vasi del periodo 1B; b) Vasi della fase II.

107

a

b


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 108

Tav. II a) Vasi della fase III; b) Vasi della fase IV.

108

a

b


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 109

Tav. III a) Vasi della fase V; b) vasi della fase VI.

109

a

b




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 112

Un corredo tombale con vasi di bronzo laconici da Capua*

112

Il 24/5/1973, nel corso dell’esecuzione di saggi lungo il perimetro esterno dell’Anfiteatro Campano veniva alla luce a m. 1,60 dal piano di calpestio di età romana, costituito da uno strato di scaglie di lavorazione di blocchi calcarei (spess. 0,60 circa), una tomba del tipo cosiddetto a ricettacolo, (fig. 1) non raro nella necropoli di Capua e in altre necropoli del VI e V secolo a.C. in Campania, che, per il notevole interesse del corredo presento in questa sede1. Si tratta come in altri casi di un blocco squadrato di tufo grigio locale delle dimensioni di cm 82 x 88, e cm 54 d’altezza, cavità circolare dal diametro di pochissimo superiore a quello dell’ossuario e del recipiente che lo copriva, e che trovava la sua continuazione sul lato inferiore del coperchio alto cm 54, che esteriormente ha, su un listello alto cm 25, quattro spioventi, di cui due maggiori meno ripidi divisi da un culmine di 70 cm. Le ossa, fortemente combuste, e le ceneri erano raccolte, avviluppate da una stoffa, entro un cratere a volute di bronzo (fig. 2a, 4, 5, 6) coricato su un fianco, mentre fungeva da coperchio un calderone egualmente di bronzo (fig. 2b, 7, 8), capovolto, e accanto erano nell’incavo due fibule di ferro (fig. 3) e cinque bottoni di bronzo. Il cratere, alto cm 41,8 del diametro massimo di cm 45,2, è costituito da vasca ovoide con spalla relativamente breve a quarto di cerchio e collo quasi verticale (alto cm 7,3) lavorati in un’unica lamina incurvata2, e da elementi più massicci applicati con pochi bulloni e, nel caso dell’orlo e del piede, con un mastice biancastro che andrà analizzato ma è forse a base di gesso, in quanto, espandendosi con l’umidità ha teso a staccarli. Il piede anulare, fuso in un sol pezzo, ha una sagoma a gola ornata da foglie a linguetta pendenti e fogliette intermedie a punta ed è sormontato da un tondino. L’orlo, fuso in due parti uguali che si avvicinano moltissimo sopra le anse, è costituito da un listello con cane corrente ad onda destrorsa a doppia serie di incisioni con palmette a due foglie spuntanti tra le volute, e da una sagoma a kymation ionico con foglie a linguetta eretta dalla estremità semicircolare. Le anse, abbastanza massicce, sono costituite da cordoncini con risvolti terminanti con teste di serpente, interrotti al centro dagli elementi a voluta. Questi presentano costolature laterali a listello più rilevate con l’estremità inferiore spiraliforme, e scanalature a sezione rettangolare che terminano in basso contro due falangi di quattro dita rivolte verso l’alto. I bordi delle costolature laterali e di quella al centro sono sottolineati da linee incise al bulino. Dalle fiancate delle volute si sviluppano, a metà della spirale interna, obliquamente verso il bordo delle linguette fissate a questo mediante bulloni, e da quelle minori spuntano le protomi di serpenti, unite al corpo con due bulloni in corrispondenza degli occhi, che hanno i particolari incisi con stilizzazione a palmetta del muso. Il calderone è costituito da una vasca in lamina a calotta dal fondo quasi piano, alta cm 29,6 e del diametro di cm 56,7, cui sono applicate presso il bordo quattro anse mobili (cm mass. 60,8). Queste, a sezioni poligonale, e di forma tendente all’ellittico, hanno due costolature fra listelli e sono inserite in un elemento a sezione più che semicircolare con cinque costolature analoghe, di cui quelle estreme fortemente rilevate, come anche quella centrale, da cui scende verso il basso un’appendice a forma di palmetta tra volute con cinque foglie dalle estremità semicircolari. Tali elementi, lavorati a parte, sono fissati alla lamina con tre bulloni. Le fibule, lunghe cm 14,3 e 16,7 e alte cm 5,6 sono a sanguisuga, con sezione semicircolare, attacco dell’ardiglione a spirale e staffa abbastanza lunga rastremantesi, in funzione di una breve apofisi terminale e rientrano pertanto nel tipo più diffuso a Capua nelle tombe femminili della prima metà del VI secolo. I bottoni di bronzo hanno il diametro di cm 1,5. La staffa, in filo sottile, ha attualmente un colore grigio-marrone, ed è mal conservata. * W.J., Un corredo tombale con vasi in bronzo laconici da Capua, Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli vol. XXXXIX- 1974, pp. 3-20.

Hanno collaborato allo scavo la Dott.ssa Gabriella Ciaccia e l’assistente Donato di Giacomo. Ringrazio il Soprintendente, Prof. Alfonso de Franciscis, per avermi agevolato la pubblicazione dei materiali. I disegni sono dovuti alla Sig.ra Eva Nardella-Calvanese. Le fotografie sono dovute al gabinetto fotografico della Soprintendenza alle Antichità di Napoli, salvo quelle del cratere di Caltagirone, che devo alla cortesia dell’amico Giuseppe Voza. 1 Sulla diffusione di tale tipo di sepoltura di origine greca in Campania v. recentemente W. JOHANNOWSKY in Boll. d’Arte XLV (1960), p. 202, n. 2. La più antica trovata finora a Capua conteneva un aryballos del corinzio antico e va datata pertanto verso la fine del VII secolo, ma a Cuma il tipo in questione appare già poco dopo la κτίσις, ancora nell’VIII secolo (v. sulla datazione della tomba n. 104 del fondo Artiaco JOHANNOWSKY in D.d.A. I (1967), n. 155 e. I. STRÖM, Problems Corcerning the Origin and Early Development of the Etruscan Orientalizing Style, Odense 1971, p. 196 s.) e in ambiente indigeno lo troviamo a Praeneste e a Pontecagnano nel corso della prima metà del VII secolo (v. B. D’AGOSTINO in Atti dell’VIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1968, p. 212 s.). 2 L’orlo superiore, svasato quasi a quarto di cerchio, è nascosto dal kymation applicato. Parte della parete presso il piede che poggiava sul fondo, è ridotta in frammenti in seguito a schiacciamento.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 113

Tav. I

Fig 1 Capua, tomba “a cubo” 1426.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 114

Tav. II

114

Fig 2 a Capua - Tomba 1426, ansa del cratere di bronzo.

Fig 2 a Tomba 1426, cratere di bronzo;

Fig 2 b Capua, Tomba 1426, calderone di bronzo.

Fig 2 b Capua, tomba 1426, ansa del calderone di bronzo.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 115

L’oggetto che si può facilmente attribuire ad una determinata officina è il cratere, che trova per la forma i particolari confronti con altri di bronzo, tutti databili nel VI secolo inoltrato, e con esemplari fittili distribuiti in un ambito cronologico più vasto. Con gli altri esemplari di bronzo che sono uno da S. Mauro presso Caltagirone a Siracusa (fig. 9-10)3, uno proveniente dalla Campania, attualmente a Monaco4, due provenienti da Trebenischte, rispettivamente a Sofia e a Belgrado, uno frammentario da Mostanoch, a Leningrado5, e quello da Vix6 il cratere di Capua ha in comune la tecnica in cui sono lavorate a parte e applicate alla lamina con bulloni e con mastice le anse e le parti ornamentali anch’esse massicce, fra cui le protomi di serpente che prolungano le anse e il kymation dell’orlo. D’altra parte l’onda con le palmette riappare identica nel cratere di Monaco, simile in alcuni pithoi a rilievo da Sparta e, sembra, in quello di Leningrado, e un po’ più complessa, date le dimensioni alquanto maggiori, e più plastica, ma sempre nello stesso schema, nel cratere da Vix. Tutto il gruppo è stato attribuito, insieme ad alcune anse7 ed applicazioni plastiche del collo8, da parte di coloro che se ne sono occupati più recentemente, a Sparta, e, oltre alla notizia di Erodoto sul cratere destinato dagli spartani a Creso e rimasto poi a Samo, nell’Heraion9, Rumpf ha addotto tutta una serie di elementi molto stringenti a favore di tale tesi giungendo alla conclusione che con il termine kratὴr lakwnikός attestato da un’iscrizione attica del IV secolo sia da intendere il cratere a volute, così come il kratὴr korinqiourgής è quello a colonnette10. A tal proposito sono stati messi in rilievo la coincidenza di alcuni elementi decorativi, fra cui le larghe foglie dei kymatia e il motivo ad onda, con quelli che si trovano nella ceramica del laconico III e IV e perfino nella decorazione architettonica, lo stile tipicamente laconico delle parti figurate, e il fatto che nei vasi laconici i soli crateri rappresentati sarebbero quelli a volute, il che è vero anche se fino ad

3

P. ORSI, in Mon. ant., XX (1901), col. 818 s., figg. 67-69, tav. VIII. V. su questo J. SIEVEKING, in Jahrb. für bild Kunst, 1908, II, 1-10; e lo stesso, Antike Metallgeräte, München, s.d., tavv. II, III. Come località di provenienza è indicata Rua con punto interrogativo. Piuttosto che dell’antica Rufrae nel territorio di Presenzano, il cui nome sopravvive in S. Felice a Rufa e Fontanarufa, e nelle cui vicinanze è stato trovato recentemente anche materiale arcaico, si tratterà, penso, di una trascrizione illeggibile, forse di Cuma o, più probabilmente, di Capua o di Nola. 5 B. FILOW, Die Archaische Necropoli von Trebenischte, Berlin 1927, p. 68 s., figg. 35-36, tavv. VII, VIII, N. VULIČ, in A.A. 1930, p. 287 s., figg. 13, 15-19; lo stesso in Jahreshefte Öst. Inst. XXVII (1932), p. 19 s., figg. 31-35, p. 106, fig. 87; (Praschniker ibidem; p. 106 s.; LJ. POPOVIČ, Katalog Trebeništa, Beograd 1956, n. 50, tav. XXII ac; su quello dell’Ermitage v. V.K. NALMBERG in Gaz. arch. XIII (1888), p.79 s., tav. XIII; S. REINACH, Rép. Stat. V, Paris 1924, p. 199; E. BELIN DE BALLU, Olbia, Leiden 1972, p.39, tav. LXVIII; mancano la parte inferiore e un’ansa. 6 J. CHARBONNEAUX in Revue des Arts III (1953); R. JOFFROY in Mon. Piot LXVIII, I (1954); P. AMANDRY, in Rev. Archéol. XLIII (1954), p. 125 s.; G. VALLET-FR. VILLARD, in Bull. Corr. Hell. LXXIX (1955), p. 50 s.; A. RUMPF, in Charites (Festschr. Langlotz), 1957, p. 127 s.; C. ROLLEY, in Bull. Corr. Hell. LXXXII (1958), p. 168 s. e ibidem LXXXVII (1963), p. 474 s.. Sulla classificazione in senso metrologico della capacità v. RUMPF, art. cit.; i crateri da Caltagirone, da Capua e di Sofia contengono un solo ἁmforeύς. 7 Sono: A) 1) Museo Britannico N. 593 (H.B. WALTERS, Cat. of Bronzes, London 1899, p. 85; Mon. Piot LXVIII, I (1954) cit., tav. XXI, 1), di provenienza Castellani, quindi rinvenuta evidentemente in Etruria o nell’Italia meridionale; 2) Nimes, Maison carrée, probabilmente dallo stesso cratere; B) Parigi (A. DE RIDDER, Collection de Clercq III, Paris 1905, les bronzes N. 423, tav. LVIII; REINACH, Rép. stat. IV, Paris 1910, p. 239, 2; Mon. Piot LXVIII (1954) cit., tav. XXIII, 2), secondo l’indicazione di provenienza dalla Cilicia; C) Parigi, Louvre, N. 2636 (REINACH, op. cit., IV, p. 239, 3; DE RIDDER, Bronzes du Louvre, II, Paris 1915, tav. XCV; Mon. Piot LXVIII (1954) cit., tav. XXII, 2), dall’Italia. Per la presenza di una costolatura centrale sull’elemento a voluta e la vigorosa modellazione del volto della gorgone, con la bocca ancora notevolmente curva, l’ansa A è molto vicina a quelle del cratere di Monaco, ma se ne discosta per le teste di serpenti, non più aderenti alla spalla del vaso. Le anse B e C, alla seconda delle quali è rimasto aderente un tratto dell’orlo, apparentemente identico a quello del cratere di Monaco, si ricollegano per l’acconciatura ondulata delle gorgoni a quella A e alle figure simili sul sostegno del cratere di Belgrado e anche il tipo di panneggio fa pensare a una datazione intorno al 540-30. L’ansa D, praticamente identica, salvo nelle dimensioni, a quelle del cratere da Vix ha in comune con quelle da Trebenischte la bocca meno incurvata delle gorgoni, ma se ne distingue nettamente per le teste di serpenti convergenti sulla spalla. Su tutta la categoria v. soprattutto K.A. NEUGEBAUER in R.M. XXXVIII-XXXIX (1923-24), p. 383 s.; JOFFROY, in Mon Piot LXVIII (1954) cit. 8 Sono finora conosciute le seguenti: A) Berlino, Staatliche Museen N. 1969, 8 (U. GEHRIG, in A.A. 1971, p. 602 s., figg. 4-7), intorno al 560-50; B) Atene, Museo Nazionale N. 7550 (REINACH, op. cit., IV, p. 100; Ath. Mitt. LI (1926), p. 88, fig. 51; GEHRIG, art. cit., fig. 12) da Edessa, intorno al 550; C) Sparta, Museo (R.M. DAWKINS, Artemis Orthia, London 1929, tav. LXXXVIII), dal santuario di Artemis Orthia a Sparta; D) Atene, Museo Nazionale, coll. Karapanos N. 36 (C. CARAPANOS, Dodone et ses ruines, Paris 1878, tav. XIII, I; REINACH, op. cit., II, p. 527) da Dodona; Atene, Museo Nazionale (Mon. Piot LXVIII (1954) cit., tav. XXIV, 3, 4) dallo Ptoion; Berlino, Antiquarium (NEUGEBAUER, Katalog d. statuarischen Bronzen im Antiquarium, Berlin 1931, N. 216, p.110 s., tav. XL). Fra gli elementi pertinenti evidentemente a crateri a volute è parte di un orlo da Delfi (Fouilles de Delphes, V, I, Paris 1908, p. 129, fig. 481), molto vicino a quello del cratere di Sofia. 9 Herod. I, 70 ..aὐtoὶ (oἱ Lakedaimόnioi)... poihsάmenoi krhtῆra cάlkeon zwjdίwn te ἔxwqen plήsanteς perὶ tὸ ceῖloς kaὶ megάqei trihkosίoiς άmforέaς cwrέonta ἧgon, dîron boυlÒmenoi ¢ntidoànai Kro…sῳ. 10 RUMPF, in Charites cit.., p. 127 s.; le contestazioni di C. ROLLEY, in Bull. Corr. Hell. LXXXII (1958), p. 168 s., sono, salvo per qualche dettaglio, inattendibili o superate; v. più recentemente sulla questione fra l’altro ROLLEY, in Bull. Corr. Hell. LXXXVII (1963), p. 482 s.. H. JUCKER, Bronzehelker u. Bronzehydria in Pesaro, in Studi Oliveriani XIII-IV, Pesaro 1966, p. 106 s. che si oppone giustamente alla cronologia eccessivamente alta e all’attribuzione a Corinto proposte da GJÖDESEN (in Am. Journ. Arch. LXVII (1963) per il cratere da Vix. Sul termine kratήr korinqiourgήϛ v. fra l’altro NEUGEBAUER, in Roem. Mitt. XXXVIII-XXXIX (1923-24) cit., p. 400 s.; RUMPF, Chalkidische Vasen, Berlin, 1937, p. 123; J.D. BEAZLEY, in Am. Journ. Arch. XXXI (1927), p. 351. Crateri a colonnette di bronzo sono noti da Trebenischte (FILOW, op. cit., N. 64, 65, 66) e un’ansa proviene da Dodona (CARAPANOS, op. cit., tav. XLVIII, I, I bis). 4

115


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 116

116

un certo punto11. Da parte nostra possiamo aggiungere a conferma, che, mentre ci è pervenuta, come vedremo, tutta una serie di crateri a volute laconici del periodo fra il 570 e il 54012, il cratere François è finora un’eccezione nell’ambito della ceramica attica dello stesso periodo, e tutti gli altri crateri attici di tal tipo non sono anteriori all’ultimo quarto del VI secolo13 e che esistono rapporti piuttosto stretti con le hydrie del gruppo di Telestas14. Però, a parte il problema dei rapporti fra officine laconiche e officine coloniali, in particolare tarantine, ha suscitato controversie ancora di recente quello dell’alfabeto del cratere di Vix, che la Jeffery ritiene senz’altro laconico15, Bloch ha ritenuto contro ogni evidenza etrusco16, e la Guarducci vorrebbe attribuire a Locri Epizephyrii o a Siracusa17. Tuttavia, oltre al fatto che la presenza del koppa che adduce la Guarducci è da considerare, per la scarsità delle iscrizioni laconiche e tarantine arcaiche finora conosciute un argomento «ex silentio» manca nella cultura artistica locrese e della Sicilia orientale del VI secolo inoltrato qualsiasi rapporto più stretto con le figure e le decorazioni del cratere di Vix, in cui a parte lo stile degli elementi figurati, anche il costume della figura femminile del colum che funge da coperchio è tipicamente laconico18. La forma del cratere da Capua, con il corpo piuttosto espanso, la spalla a quarto di cerchio e il collo abbastanza basso, ricorda da vicino quella di due esemplari fittili, il cratere Castellani che rientra nel laconico III19 e il vaso François, che vanno ambedue datati intorno al 580-565, in cui, come nel cratere di bronzo da Caltagirone, che è l’unico con lo stesso motivo delle quattro dita, e anche negli altri esemplari fittili i manici sono privi dei gorgoneia che diventano poi protomi di gorgoni o gorgoni intere. Mentre tuttavia la forma a serpente delle estremità delle anse è quella degli altri crateri di bronzo, quella dei raccordi a volute con le estremità interne bipartite, le volute laterali e la costolatura centrale si trova, semplificata, nel cratere da Caltagirone, e in forma più simile nell’ansa del museo britannico e nel cratere di Monaco, in cui però le costolature, diventate ormai due, presentano al posto dei profili rigidi e angolosi l’ornamentazione a linguette e astragali che ricorre anche negli esemplari più tardi insieme con la decorazione a linguette incise sulla spalla. Anche la forma delle teste

11 Crateri a volute sono rappresentati certamente sui seguenti vasi: 1) Louvre E 662 (C.V. I, III Dc, tav. VII (29); C.M. STIBBE, Lakonische Vasenmaler, Den Haag 1972, N. 313, tav. CXI, 1); 2) Br. Mus. B3 (E. PFUHL, Malerei u. Zeichnung d. Griechen, München 1923, fig. 196; STIBBE, op. cit., N. 308, tav. CIX, 1-2); 3) Parigi Cab. Méd. 192 (C.V. I, tav. XXII, 5-7; STIBBE, op. cit., N. 228, tav. LXXX, 3-4); 4) Leipzig (A.A. 1923-24, col. 86, fig. 20; STIBBE, op. cit., N. 314, tav. CXII, 1); Taranto (Ann. Br. Sch. XXXIV (192324), tavv. XLVII-XLVIII; P. PELAGATTI, in Annuario Sc. Atene XXXIII-XXXIV (1955-56), p. 35 s., figg. 35-37; STIBBE, op. cit., N. 329) in contesto del terzo quarto del VI secolo; 5) da Tocra (J. BOARDMAN-J. HAYES, Tocra, Oxford 1960, p. 83, N. 933, fig. 40; STIBBE, op. cit., N. 284). Del tipo «calcidese» è il cratere Bruxelles R 401 (C.V. III, II e D e III D, tavv. IV, VI; STIBBE, op. cit., N. 192), e nessuno dei crateri in questione è fantastico, come dice ROLLEY, in Bull. Corr. Hell. LXXXII (1958), art. cit. 12 Gli esemplari sicuri finora conosciuti, sui quali v. A. LANE, in Ann. Br. Sch. XXXIV (1933-34), p. 147 s., sono: A) Louvre, Camp. 2761 (C.V. Louvre I, III Ds, tav. II, 7), evidentemente dall’Italia centro-meridionale; B) Roma, Museo dei Conservatori (P. MINGAZZINI, I vasi della collezione Castellani, I, Roma 1930, p. 187), evidentemente dall’Italia centro-meridionale; C) Napoli, Centre J. Bérard (G. VALLET-F. VILLARD, Megara Hyblaea II, Paris 1964, p. 128, tav, CXIX, 6), da Megara Hyblaea; D) Ann. Br. Sch. XXXI (1930-32), p. 107, fig. 34, da Eleutherna; E) Villa Giulia (MINGAZZINI, op. cit., p. 188 s., tav. XLII), dall’Italia centro-meridionale; F) Louvre E 665 (C.V. Louvre I, III, Dc, tav. VI, 1-2; STIBBE, op. cit., N. 42, tav. XXI, 2, 4); G) Siracusa (VALLET-VILLARD, op. cit., p. 128), da Magara Hyblaea, frammentario. Gli esemplari A-D sono teoricamente i più antichi, in quanto l’elemento a voluta, ancora poco sviluppato, ha la parte inferiore verticale, mentre non conosciamo l’esatta forma di G. È probabile, inoltre, che altri crateri figurati frammentarii siano stati a volute piuttosto che del tipo «calcidese», in quanto fra questi non è conosciuto nessun esemplare figurato di produzione laconica. D’altra parte anche nella ceramica «calcidese» e in quella corinzia tale tipo è perlomeno assai raro. Passando ai particolari, mentre la spalla dei crateri fittili a volute laconici è decorata da baccellature, come in quelli di bronzo più recenti (Monaco, Vix, Trebenischte) e il piede ha la stessa ornamentazione a linguette di quelli di bronzo, un frammento di orlo da Sparta (Ann. Brit. Sch. XXXIX (1933-34), p. 147 s., fig. 19) è a due listelli sovrapposti con una treccia e foglie erette. 13 Firenze, Museo Archeologico 4209. V. fra l’altro E. PFUHL, Malerei u. Zeichnung d. Griechen, München 1923, p. 255 s.,figg. 215, 217; P. F. ARIAS- M- HIRMER, Mille anni di ceramica greca, München 1960, tavv. XL-XLVI. 14 V. su questo G. HAFNER, in Charites cit., p. 119 s. e E. DIEHL, Die Hydria, Mainz 1964, p. 10 s. 15 Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 1961, pp. 202, 375, tav. XXXIX n. 66. 16 R. BLOCH-R. JOFFROY, in Rev. de Philol. XXVII (1953), p. 179 s. 17 In Rend. Lincei XVIII (1963), fasc. 1-2, p. 3 s.; sull’alfabeto v. le osservazioni giustissime di C. ROLLEY, in Bull. Corr. Hell. LXXXVII (1963), p. 483; sugli aspetti che si possono cogliere meglio della cultura artistica di Locri in età arcaica v. fra l’altro P.E. ARIAS, in Critica d’Arte VI (1941), p. 55 s.; ma più dalle terracotte di qualità scadente e da bronzetti di origine nella migliore delle ipotesi incerta (il gruppo attribuito a Locri da Jantzen (Bronzewerkstätten in Grossgriechenland u. Sizilien, Berlin 1937, p. 3 s.) non è omogeneo e comprende anche importazioni, come, fra l’altro, il giacente su kline, figg. 6, 7 che ha rapporti con quanto conosciamo da Taranto e con i tripodi del tipo Metaponto-Trebenischte- Metaponto, ma non con materiali locresi) potrebbe orientarci qualche terracotta di buona qualità anteriore al tardo arcaismo p. es. A. LEVI, Le terrecotte figurate del Museo di Napoli, Firenze 1926, fig. 17), assai diversa da quanto conosciamo di contemporaneo da Taranto, ma è pur sempre molto poco e lo stesso si può dire per quel poco che è noto da Siracusa. 18 V. su tale problema JOFFROY, in E.A.A. VI (1966), n. 1193 s.; M. W. STOOP, in B. A. Besch, XXXIX (1964), p. 83 s.; sulla scultura laconica in età arcaica v. fra l’altro E. LANCLOTZ, Frühgriechische Bildhauerschulen, Nürnberg 1927, p. 86 s. 19 Per la bibliografia v. sopra n. 12 D. La forma è, semmai, più arcaica di quella del cratere François soprattutto per il taglio netto nella sagoma del piede, e lo stesso vale teoricamente per le chiusure a rosetta delle volute che non trova finora confronti, se non nel cratere del Louvre E. 661 (v. sopra n. 12 F) e in un cratere apparentemente metallico, rappresentato nella tomba dei vasi dipinti di Tarquinia (P. DUCATI, Le pitture delle tombe delle leonesse e dei vasi dipinti, Mon. pitt. ant. I, I, Roma 1937, tav. VI).


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 117

Tav. III

117

Fig 3 Fibula dalla Tomba 1426.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 118

Tav. IV

118

fig 4 Capua, Tomba 1426, cratere di bronzo.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 119

di serpente, appiattita con i lati verticali e il disegno dei particolari della parte superiore ritorna sia pure in forma diversa, nel cratere di Monaco e, fino ad un certo punto, nel cratere da Vix e nell’ansa del Louvre, mentre in quello di Caltagirone c’è più senso di massa e il disegno sembra essere più semplice, e in quelli successivi esse sono più plastiche20. Abbastanza vicino al disegno del naso e degli occhi dei serpenti del cratere di Capua, ma un po’ più antico, è quello nelle teste dell’attacco superiore di un’ansa da Olympia, ad Atene21, evidentemente laconica e apparentata a quella di una hydria a Berlino nella successione del tipo Telestas22, e questa nei rocchetti che fiancheggiano l’attacco inferiore presenta anch’essa sagome ancora relativamente rigide come quelle delle anse del cratere. Quanto alla cronologia degli altri crateri e di elementi ad essi pertinenti, è stata stabilita in maniera abbastanza corretta da Rumpf e da Gehrig, che non hanno tenuto però conto di quello da Caltagirone, che va datato intorno al 580-70 e il cui xwόforoς inciso, vicino nella stile a vasi laconici, in particolare del pittore di Naukratis, costituisce un precedente per quelli a rilievo più recenti, così come anche i pithoi a rilievo23. Ma mentre non è forse casuale la contemporanea apparizione, anche in vasi che hanno in comune con quello da Capua la modesta misura di un ἀmforeύς, come il cratere di Belgrado, degli elementi figurativi più complessi sulle anse e sul collo verso il 550 circa, quando fu creato il cratere per Creso, daterei il cratere di Vix e quelli da Trebenischte ancora entro il terzo quarto del VI secolo. Infatti, a parte il caso non raro della maggiore antichità di vasellame metallico di lusso rispetto a quello fittile in corredi tombali, la tazza antica a figure nere da Vix rientra nel gruppo delle droop cups che per Beazley, a parte considerazioni stilistiche che non tendono certo a farne abbassare la data, non scende più giù del 515 circa24 e la coppa verniciata ad essa associata è di tipo attestato in contesti fin dal 540-3025. Se è attendibile tale datazione relativamente alta che cercheremo di convalidare più avanti e anche in altra sede, in base a considerazioni su circostanze che hanno investito il modo di produzione di Sparta del VI secolo inoltrato, il quadro evolutivo di tale tipo di artigianato risulterebbe più organico e in coerenza con gli altri dati concomitanti, in quanto spiegherebbe anche meglio la sopravvivenza praticamente inalterata di certi motivi decorativi anche complessi, come l’onda a palmette. Infatti il calderone, che senza dubbio è fra i meglio conservati pervenutici dal mondo greco26, trova, per la forma delle anse confronti più che altro nel Peloponneso e in particolare ad Olympia e a Sparta. Importanti per la sua posizione cronologica e l’attribuzione a tale area sono i rocchetti notevolmente articolati con rigonfiamenti fra tondini, di cui si può seguire l’evoluzione, e che si differenziano da quelli semicilindrici ornati da rigonfiamenti semplici e ad astragalo, prevalenti nell’Heraion Argivo27 e da quelli a cilindretto concavo apparentemente tipici dell’area sulle coste dell’Egeo e dell’ambiente greco-romano nel VII secolo e in parte

20

Occorrerebbe, come in genere per il vasellame di bronzo arcaico, una più precisa documentazione grafica di tali particolari, che ho potuto studiare da vicino finora solo a Monaco. 21 Olympia, Ergebnisse d. Ausgrabungen IV, tav. IV, 895, DIEHL, op. cit., p. 213. B 9. 22 Berlin, Staatl. Museum, 30880, dall’Italia meridionale; Politis in 'Efhm. 'Arc. 1936, p. 152 s. tav. 114, fig. 7 f.; DIEHL, op. cit., p. 214, B 25, JUCKER, in Zur griechischen Kunst (Festschr. H. Bloesch) Bern 1973, tav. XIII, 4. 23 I Comasti e gli auletristi del fregio del cratere da Caltagirone si distinguono per il movimento meno violento da quelli corinzi contemporanei (cfr. p. es. H. PAYNE, Necrocorinthia, Oxford 1931, n. 1159, p. 316, tav. XXXIV, 2; A. SEEBERG, Corinthian Komos Vases, London 1971, tav. XV) e sono vicini a quelli di vasi laconici (p. es. STIBBE, op. cit., tav. VII, 3 (15) cfr. per le figure vestite ibidem tav. IV, 3 (8); XV, 3 (31). La tazza STIBBE N. 8 è stata trovata a Taranto in associazione con ceramica del corinzio antico inoltrato (P. PELAGATTI, in Ann. Sc. Atene XXXIII-XXXIV (1955-56, p. 26 s.) per cui può essere datata intorno al 580-575. Per la centauromachia cfr. STIBBE, op. cit., N. 110, fig. 85. 24 J.D. BEAZLEY, Attic Black-Figure vase-Painters, Oxford 1956, p. 201. La data più probabile per il cratere da Vix mi sembra il periodo 550-40; mentre quelli da Trebenischte vanno datati intorno al 530. 25 Cfr. p. es. un esemplare da Megara Hyblaea in Mél. Ec. Fr. LXV (1955), tav. IX A (tomba 882); un esemplare di officina non attica e evidentemente locale è stato trovato a Capua nella tomba 362 (loc. Fornaci) insieme con una tazza del pittore del centauro databile verso il 530. 26 In stato altrettanto buono di conservazione sembra essere pervenuto solo un calderone a 4 anse da Ialiso, di dimensioni alquanto minori e con spalla, in contesto del VI secolo inoltrato (Cl. Rh. III (1929), p. 225, fig. 221; discretamente conservato è anche un calderone da 4 anse a Siracusa, nei primi decenni del VII secolo che sembra un precedente di quello da Ialiso (Not. Scavi 1903, p. 533 s.) o di uno da Eretria (NEUGEBAUER, in Röm. Mitt. XXXVIII-XXXIX (1923-24) cit. p. 405 s., e in buono stato sono quattro da Olympia (Olympia IV cit., p. 134, n. 844, 845 pure del tipo dei precedenti, p. 131, tav. L, 835 e Olympia ber. II (1938), p. 104 s. figg. 65, 66 con dedica degli Argivi, ambedue a due anse e aperti, e uno analogo al Museo di Napoli (Inv. 74747), di provenienza sconosciuta). 27 CH. WALDSTEIN, The Argive Heraeum, Boston 1905, p. 289 s., tav. CXXI, CXXII; Olympia IV, tav. L.

119


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 120

120

anche dopo28. Ma al di là della forma dei manici mobili, che proprio in area peloponnesia sono spesso rettangolari29,e dal numero delle costolature,30 l’appendice a palmetta, sviluppatasi in ambiente greco dalle protomi figurate orientalizzanti31, appare come caratteristica ben definita di un gruppo conosciuto in forma per lo più plasticamente elaborata più che altro dal Santuario di Olympia32, dove prevale un tipo di costolature alle estremità dei rocchetti. Più decisiva per l’attribuzione ad una officina del calderone capuano è la stretta analogia delle anse con una da Olympia e una, sia pure un po’ più recente, da Sparta, in cui la palmetta è nel prolungamento di una costolatura33, e nella palmetta con la quale l’hydria già citata di Berlino, dove troviamo lo stesso parallelismo iniziale dei tondini che si sviluppano verso il nucleo centrale e le volute34, il che può far considerare come di produzione laconica oltre all’esemplare capuano almeno una parte del gruppo che ha caratteristiche simili. Invece un altro gruppo di anse simili ma con palmetta meni plastica tendente al triangolare potrebbe essere attribuito in base ai luoghi di rinvenimento ragionevolmente a Corinto35. L’associazione fra il cratere e il calderone, che nelle sagome dei rocchetti sembra un po’ più recente, consente anche di stabilire ulteriori correlazioni fra le varie categorie di bronzi attribuiti a Sparta, e di arrivare a maggiori precisazioni cronologiche sia nel loro ambito, sia in rapporto con la ceramica. Infatti da un lato la protome all’attacco dell’ansa dell’hydria di Berlino discende da quelle delle hydrie de gruppo Telestas36 e si colloca per la sagoma dei raccordi accanto al cratere e prima del calderone da Capua mentre d’altra parte già prima della metà del secolo appare la palmetta allungata con foglie per lo più appuntite37. Nella successione dell’hydria in questione vengono poi quelle del sacello ipogeo di Poseidonia e da Sala Consilina, in cui troviamo, oltre allo schema sviluppatosi forse altrove con i leoni e gli arieti ai lati degli attacchi dell’ansa verticale, soprattutto le palmette del tipo più tardo dianzi descritto, che ritornano anche nei crateri

28 WALDSTEIN, op. cit., tav. CXXII, 2187; CHR. BLINKENBER-K.F. KINCH, Lindos I, Berlin 1931, tav. XXX, 714, 715 Clara Rhodos III (1929), p. 225, fig. 221, senza contesto, ma trovato in un gruppo di tombe databili nel periodo 530-510; Olympia IV, p. 840 s. (845-814); ORSI, in Röm. Mitt. XV (1900), p. 84, fig. 29 da Leontinoi. Fra gli esemplari più tardi, del VI secolo inoltrato e degli inizi del V secolo, sono quelli con spalla rientrante e quattro rocchetti, di cui due soli con anse, derivati dal tipo attestato a Ialiso (Clara Rhodos VIII (1936), p. 179, fig. 167, pure da Ialiso; 'Arc. Delt. XXV (1970), p. 126 s., 'Arc. Delt. XXIV (1969), p. 11 s. dall’Attica; tav. CI da Liopesi (Attica), 'Arc. Delt. XXVI (1971), p. 129 da Merenda in Attica tav. XXXVII. 29 Così fra l’altro WALDSTEIN, op. cit., tav. CXXII, 2174; Olympia IV cit., tav. L, 827, 835 Olympiaber, I (1937), p. 75, fig. 37, Olymp. Forsch. VI (1966), p. 138 s., tav. LIX; F. HALBHERR-P. ORSI, in Museo It. di ant. class. 1888, col. 38, tav. XII, 4, dall’antro Ideo; lo stesso tipo di anse hanno anche i due calderoni da Sala Consilina della collezione Duthuit, praticamente inediti. 30 Rocchetti costolati, ma senza appendice a palmetta, sono stati ritrovati fra l’altro a Lindo (BLINKENBERG-KINCH, op. cit., tav. XXX, 718, 719), a Dodona (CARAPANOS, op. cit., tav. XLIV, 6) e a Didyma (Istamb. Mitt. XXIII-XXIV (1973-74), tav. LVIII); esemplari probabilmente già tardo-arcaici con astragali provengono dall’Heraion alla foce del Sele (P. ZANCANI MONTUORO, in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia IV S. VI-VII (1965-66), p. 148, tav. XLIII), e dall’antro Ideo (HALBHERR-ORSI, op. cit., tav. XII (15) ed erano applicate ad un calderone tendente al globulare, dell’Attica ('Arc. Delt. XXIV (1969), p. 11 s.) con ogni probabilità databile al 490-79. 31 H.V. HERMANN, in Olymp. St. VI (1966), p. 138 s.; un esemplare di transizione è quello ibidem tav. LIX, pertinente ad un tripode con anse fisse; cfr. anche l’ansa Olympia IV cit. N. 830, tav. L. 32 Olympia IV cit. N. 827, 828 (tav. L); Olympiaber I (1937), p. 75, fig. 37; Olymp. St. VI (1966), tav. LX, 7; Parigi, Petit Palais, da Sala Consilina; Not. Scavi 1954, p. 111 s., fig. 35, da Megara Hyblaea. Archivio Storico Siciliano S. III, IV, tav. II, fig. 3, da Longane; Museo It. 1888 cit., tav. XII, 4, dell’antro Ideo; Fouilles de Delphes V, II, cit., p. 79, fig. 27, 3 da Delfi. In base all’iscrizione dedicatoria su un calderone completo da Olympia, che presenta due anse ed è per la forma arrotondata della palmetta uno degli esempi più antichi (Olympiaber, II (1938), p. 104 s. figg. 65, 66) il numero delle foglie è spesso pari, può essere attribuito con buona probabilità ad una officina argiva e un predecessore del tipo può essere quello con appendice a pelta in Fouilles de Delphes V, II, p. 79, fig. 275, gli esemplari da Megara Hyblaea e dell’antro Ideo presentano decorazione figurata sulle costolature. 33 Olympia IV cit., N. 826, tav. L e DAWKINS, Artemis Orthia, cit., fig. 65 d; un loro precedente è evidentemente l’esemplare Olympia IV cit., p. 830, tav. L, con pelta semplice al posto della palmetta, la quale ha un numero di foglie dispari e piuttosto notevole; forse anche il numero delle anse è la caratteristica di officina. Nella loro successione sono invece anse figurate con gorgoni al posto delle palmette, che corrispondono cronologicamente e nello stile degli elementi decorativi e figurati a quelle dei crateri a volute, fra le quali un esemplare inedito da Locri (Taranto, Inv. 2725; NEUGEBAUER, in A.A. 1925, col. 199) e una da Delfi (Fouilles de Delphes V, I, Paris 1908, p. 76, fig. 260). 34 NEUGEBAUER, in A.A. 1925, col. 188 s., fig. 8; DIEHL, op. cit., p. 11 s. tav. I. 35 Sembrano caratterizzate anche in esemplari piuttosto antichi dalla palmetta allungata; nel gruppo rientrano fra l’altro gli esemplari PAYNE, Perachora I, Oxford 1940, p. 162, tav. LXVII, 13-16, da Perachora; 'Arc. Delt. II (1916), p. 85 s., fig. 20, da Longà (Messenia); nel caso specifico la presenza di due anse di un calderone si spiega evidentemente con la posizione del santuario di Apollo Korynthos, dove sono state trovate; 'Arc. Delt. XXIII (1968) B 2, tav. CCLI, da Corcyra; CARAPANOS, op. cit., tav. XLVII, 6, da Dodona; Napoli, Museo Nazionale, N. 70930, da Ruvo; ibidem N. 74747, di provenienza sconosciuta; Olympia IV cit., 829. 36 N. 30880, dall’Italia meridionale (K.A. NEUGEBAUER, in A.A. 1925, col. 188 s. fic. 8; DIEHL., op. cit., p. 11 s., 214; JUCKER, in Z. griech. Kunst cit., tavv. XII, 2, XIV, 5. 37 P. es. nella hydria fittile Louvre S 3996 (dalla coll. Campana C. ROLLEY, in Bull. Corr. Hell. LXXXVII (1963), p. 478 s., figg. 23-37; STIBBE, op. cit., N. 44), del pittore di Naukratis, e nella hydria di Ialiso, a Rodi, del pittore di Arkesilas (STIBBE, op. cit., N. 219, tavv. LXXVI, LXXVII), in cui tali elementi sono plastici, così come anche il piede, conservato nella seconda, ricorda nella sua forma vasi metallici, quali il cratere di Monaco.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 121

Tav. V

Fig 5 Capua, Tomba 1426, ansa del cratere di bronzo.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 122

Tav. VI

122

Fig 6 Capua, Tomba 1426, cratere di bronzo, particolare dell’ansa.

Fig 7 Capua, Tomba 1426, calderone di bronzo.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 123

più recenti38. A parte il contesto ornamentale le teste femminili presentano infatti strette analogie con bronzi laconici, come ha notato già Rumpf39, per cui anche se la provenienza di un esemplare ha di per se scarso valore, vanno evidentemente considerate come prodotti laconici del terzo quarto del VI secolo40. Quanto alle hydrie del tipo Grächwil, pertinenti ad un gruppo parallelo a quello di Telestas, perlomeno strettamente legato alla produzione laconica41, come dimostra fra l’altro lo stretto legame fra la scena di combattimento di una delle hydrie da Treia e quelle sui pithoi a rilievo da Sparta, di produzione tipicamente locale. D’altra parte i leoni con la criniera compatta tagliata nettamente sul davanti, che costituisce volume a se e deriva da tipi tardo-hittiti, delle hydrie di Nimes42 e da Grächwil ritornano più tardi nei tripodi da Metaponto e da Trebenischte43 e sono in strettissimo rapporto con quelli di fibule laconiche da Sparta e Olympia e il leone dedicato dallo spartiata Eumastos nell’Heraion di Samo, che deriva certo da un’applicazione plastica di vaso, e con altri bronzi di tendenza laconica44. Pertanto l’assegnazione delle hydrie tipo Grächwil e dei tripodi da Metaponto e Trebenischte ad una officina bronzistica periferica che si vuole localizzare a Taranto45, se potrebbe essere anche ammissibile, andrebbe confortata con eventuali analisi, in quanto la presenza di influssi grecoorientali, a cui si riferisce la Diehl, non è sufficiente per parlare di provincialismo46. Semmai potrebbero essere intesi come provinciali in lavori che sono pur sempre di buona qualità, e che vanno datati entro un periodo relativamente breve, fra il 590-80 e il 550 circa, data del tripode di Trebenischte, d’accordo con Jucker, le palmette piuttosto trite e le anse figurate a traforo, non funzionali, delle hydrie e forse le figure che ornavano i tripodi, ma a questo punto si pone anche il problema delle figurine di stile laconico che erano certamente ornamenti dell’orlo dei vasi, anch’esse non posteriori al periodo intorno alla metà del VI secolo47. Comunque non implica per forza una produzione greco-occidentale il fatto che i discendenti tardo-arcaici di tale modo di ornare sono, oltre ad un gruppo di tripodi etruschi48, anche i «lebeti» campani, i cui più antichi esemplari, databili all’ultimo quarto del VI secolo, sono molto vicini sia nella decorazione incisa della spalla, sia nella forma, ai crateri più tardi, fra i quali quello di Belgrado ha anch’esso il trepiede pertinente49. Come si vede, anche se, per mancanza di analisi e, spesso, di una documentazione completa, molti problemi di attribuzione sono tuttora in sospeso e non possono esser certo risolti con affermazioni apodittiche50, esistono validi argomenti per attribuire a Sparta, e ciò in accordo con la tradizione letteraria51, un numero abbastanza rilevante di vasi di bronzo di alta qualità del periodo fra il 600 e il 530-20 circa.

38

Sulle hydrie del tipo Sala Consilina v. DIEHL, op. cit., pp. 13 s., 214., P.C. SESTIERI, in Boll. d’Arte XL (1955), p. 60 s., figg. 15-19; B. NEUTSCH, in Abh. Heid. 1957, 2, 19. In Charites cit. 40 Oltre al confronto già addotto da Rumpf della sfinge da Sparta (DAWKINS, Artemis Orthia cit., p. 202, fig. 116) è valido quello di una sfinge poco più antica a Napoli (Mus. Naz. N. 5541). 41 V. su tale gruppo recentemente JUCKER, Bronzehenkel u. Bronzehydria in Pesaro cit. e in Z. griech. Kunst cit. 42 DIEHL, op. cit., p. 11 s., 114, tav. III, 1-3; JUCKER, Bronzehenkel u. Bronzehydria in Pesaro cit., p. 90 s., tav. LVII. 43 A) Berlin, Staatl. Museen F 768; Mon. Ant. VII (1897), tav. VIII, JANTZEN, op. cit., p. 27, tav. IX; JUCKER, Bronzehenkel u. Bronzehydria in Pesaro cit., p. 47 s., tavv. XLIV, XLV, LV; B) Beograd, Museo Naz.; VULIČ, in A.A. 1933, col. 463, fig. 5; L. POPOVIČ, Katalog Trebeništa, Beograd 1956, p. 49, tav. XXII; POPOVIČ, in Antička Bronza u Jugoslaviji, Beograd 1969, N. 32. 4 DAWKINS, Artemis Orthia cit., tavv. LXXXVII f, LXXXVIII m; BLINKENBERG, Fibules grecques et orientales, Kopenhaghen 1926, p. 280 s.; P.J. RIIS, in Acta Archaeologica X (1939), p. 14; G. DUNST, in Ath. Mitt. LXXXVIII (1972), p. 140 s., tav. LVI; sul tipo del leone v. H. GALBELMANN, in Marb. Winkelmannsprogr. 1964, p. 6 s. 45 JUCKER, Bronzehenkel u. Bronzehydria in Pesaro cit. e in Z. griech. Kunst cit.; DIEHL., op. cit., p. 7 s. ROLLEY (in Bull. Corr. Hell. LXXXVII (1963), p. 474 s.) pensa di poter attribuire a Taranto fra l’altro anche il cratere da Vix a causa della decorazione a baccellature incise della spalla, che ritiene, seguendo la vecchia tesi di Neugebauer (in Röm. Mitt. XXXVIII-XXXIX (1923-24), p. 341 s.) una tecnica greco-occidentale. Ma tale moda decorativa, che fin da quando è attestata nel bronzo (gli esempi più antichi pervenuteci sono il cratere di Monaco e una oinochoe a Berlino (NEUGEBAUER, art. cit., p. 349 s., fig. 3), anch’essa databile verso la metà del VI secolo) non sembra essere tipica di una sola officina, è certamente in rapporto con l’analogo motivo frequente sui vasi fittili sia corinzi, sia attici, sia laconici, nel corso della prima metà del VI secolo e occupa la spalla intera di grandi vasi solo in prodotti laconici (nel cratere Castellani e in quello Louvre E. 661, per i quali v. sopra n. 12 E e F) e, più tardi, nelle hydrie ceretane e in vasi a figure nere campani. 46 Influssi greco-orientali sono evidenti anche in alcuni vasi laconici (v. fra l’altro STIBBE, op. cit., p. 8). 47 Fra queste sono, oltre al già menzionato giacente da Locri (JANTZEN, op. cit., tav. II, 6-7), due fanciulle in corsa risp. dall’Albania e da Dodona (LANGLOTZ, Frühgr. Bildhauersch. cit., tav. XLVIII), le menadi di Palermo (JANTZEN, op. cit., tav. XI, 44-45) e da Tetovo (VULIČ, in A.A. 1933, col. 481, figg. 19-20; Antička Br. Jug. cit. N. 19 a), una fanciulla a Taranto (Jantzen, op. cit., tav. XI, 42-43), una Artemide dalla Tesprozia a Berlino (GEHERIG, in A.A. 1971 cit., figg. 13-14) e un gruppo da Olympia (ibidem, figg. 8-11). 48 V. su questi RIIS in Acta Archeologica X (1939), p. 22 s. 49 Cfr., fra l’altro, F. v. DUHN, Ann. Inst. 1879, p. 133-4; ibidem 1880, p. 345; J. HEURGON, Recherches sur l’histoire, la religion et la civilisation de Capoue préromaine (2), Paris 1970, p. 399 s., tav. VIII, I, attualmente al Museo britannico (n. 559), dell’inizio del v secolo; altri lebeti hanno attualmente sostegni non pertinenti. 50 Cfr., p. es., in Boll. d’Arte LIII (1968), p. 110 s., e in Atti e Mem. Soc. Magna Grecia XI-XII (1970-71), p. 108. 39

123


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 124

124

Il corredo della tomba 142652 costituisce comunque una delle testimonianze più cospicue del favore che hanno goduto i bronzi laconici nelle famiglie aristocratiche di Capua, ad una delle quali va attribuito il gruppo di tombe lungo il perimetro NO dell’Anfiteatro, come si può dedurre da scoperte effettuate proprio in questi giorni53. Anche il cratere di Monaco proviene, come si è già visto, dalla Campania, e da Cuma e da Capua provengono anche, sia pure finora in scarsa quantità, vasi del laconico III54, mentre al laconico IV sono pertinenti una kylix da Sorrento55, un frammento, ancora inedito, dalla stipe del tempio di Apollo a Pompei56. Significativa inoltre la presenza a Capua di due crateri a volute in bucchero pesante che imitano, sia pure in forma più semplificata, esemplari fittili laconici57. Ma si può dire forse anche qualcosa di più. L’aggiunta in antefisse campane e eleati di tipo greco-orientale dell’ultimo terzo del VI secolo, fra cui alcune a gorgoneion, di un tondino terminante a volute estroverse, fra la figurazione e il nimbo a palmette58, è forse ispirata dalle anse dei crateri laconici più recenti. Malgrado l’interesse che ha suscitato la società di Sparta di età arcaica e le non poche scoperte archeologiche di questo secolo, che hanno chiarito alcuni aspetti del problema in rapporto alla cultura artistica, c’è qualche questione che merita forse di essere puntualizzata meglio di quanto non sia stato fatto finora59. Dell’attività di bronzisti di notevole levatura si ha com’è noto, notizia a Sparta fin dall’epoca delle guerre messeniche e Gitiadas, autore fra l’altro di tripodi con sostegni figurati nell’Amiklaion è detto da Pausania ὲpicώrioς60, e ai primi decenni del VI secolo va posta anche ormai l’attività di Telestas e di suo fratello Ariston61. È evidente che questi artisti non potevano essere Spartiati, ma perieci, o, più difficilmente, iloti, e, mentre l’introduzione, verso la metà del VII secolo, della lavorazione dell’avorio non può che essere stata introdotta da maestranze specializzate, certo straniere62, nel corso del VI secolo anche commissioni di stato venivano date a stranieri, come Theodoros di Samo e Bathykles di Magnesia63. D’altra parte la produzione di beni di lusso, anche se, come vedremo, largamente incrementata dall’esportazione, era certamente anche in funzione del mercato interno, come dimostrano più che altro i rinvenimenti nei santuari64. Quanto all’esportazione, è interessante

51

P. es., oltre a Herod. I, 70, Paus. III, 17, 2; III, 18, 7-8. Dalla tomba 1505 provengono, fra l’altro, due hydrie del gruppo Telestas insieme con altri bronzi greci e etruschi e con vasi del corinzio antico finale. 53 Anche nella tomba 1503, che fa parte dello stesso gruppo, le ossa combuste, avvolte in un drappo, erano in un bacino con orlo perlinato di bronzo e un altro bacino di bronzo fungeva da coperchio (nell’ustrinum pertinente (T. 1504) erano tre vasi del corinzio medio iniziale). Tale tipo di deposizione è, nel periodo arcaico, diffuso presso l’aristocrazia euboica almeno ad Eretria (sull’heroon dell’VIII secolo v. C. BÉRARD, Eretria III, Bern 1970, p. 13 s.; da una sepoltura dello stesso tipo proviene apparentemente anche calderone quadriansato presso la Società archeologica greca, su cui v. DE RIDDER, Catal. des bronzes de la Soc. Arch., Paris 1894, p. 9, N. 16 e NEUGEBAUER, in Röm. Mitt. 1923-24 cit., p. 405 s. con l’iscrizione ‘ Eretrίaqen ἄqlwn paῤ Ἡraklέoς) e, evidentemente, di conseguenza, presso l’aristocrazia cumana (oltre alla tomba 104 del fondo Artiaco, per cui v. sopra alla n. 1, sono di tale tipo le tombe I (Mon. ant. XXII cit., col 214), II (ibidem, col. 214 s.) XI (ibidem, col. 223 s.), XLIII (ibidem, (1913), col. 235 s.), LVI (ibidem, col. 259 s.), LIX (ibidem col. 264 s.); ad una sepoltura di tale tipo era inoltre pertinente il bacino con orlo perlinato con l’iscrizione ὲpὶ toῖς῾ Onomάstou toῦ Fεidίlew ἂqloiϛ ὲqέqhn (Mon. ant. XXII cit., col. 558 s., tav. LXXVII; v. per altri lebeti ibidem, col. 558 s.). Pertanto le tombe capuane di tal tipo saranno derivate con ogni probabilità da quelle cumane e saranno ispirate a motivi ideologici in parte analoghi (v. anche HEURGON, op. cit., p. 397 s.). 54 Per il cratere di Monaco v. sopra, n. 4. A Capua sono stati rinvenuti un frammento di coppa del pittore di Naukratis (STIBBE, op. cit., n. 15, tav. VII), uno di una coppa del pittore di Arkesilas (Mon. Ant. XXII cit., col. 509, fig. 60, 1; STIBBE, op. cit., N. 195, tav. LXII), uno di aryballos sovradipinto in bianco e un cratere del tipo «calcidese» (Mon. ant. XXII cit., tav. LXVIII, tutti al Museo di Napoli; da Capua provengono una kylix vicina al pittore di Naukratis, al Museo britannico (STIBBE, op. cit., N. 96, tav. XXXII) e due aryballoi globulari trovati recentemente in tombe. 55 MINGAZZINI, in Forma Italiae, Surrentum, Firenze 1956, p. 219 s., tav. XLV, 180-181; STIBBE, op. cit., N. 351. 56 È abbastanza vicino al pittore di Arkesilas. 57 JOHANNOWSKY, in Atti dell’VIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 1968, p. 209, tav. XXVII. 58 Tipicamente greco-orientale è il tipo H. KOCH, Dachterrakotten aus Campanien, Berlin 1912, tav. III, I, da Cuma; fra gli esemplari più antichi del tipo più recente è quello ibidem, tav. V, 5. 59 V. recentemente, fra l’altro, C. MASSÉ, in Pd.P. XXVIII (1973), p. 7 s. 60 Paus. III, 17, 2. 61 Paus. V, 23, 7. 62 Su lavori laconici v., fra l’altro, piuttosto recentemente, R.D. BARNETTJ in Journ. Hell. St. LXVIII (1948), p. 13 s. 63 Paus. III, 12, 10; III, 18, 6-19, 5; sull’architettura del thronos di Amicle v. soprattutto E. FIECHTER, in Jahrb. XXXIII (1918), p. 107 s.; W. KLEIN, in A.A. 1922, col. 6 s.; E. BUSCHOR, in Ath Mitt. LII (1927), p. 18 s. 64 DAWKINS, Artemis Orthia cit.; òArc. Delt. (1916) cit., p. 80 s. 52


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 125

notare che sia quella della ceramica, sia quella dei bronzi cessa improvvisamente nel decennio 530-20, e che tale fatto deve aver creato anche una crisi nella produzione, in quanto non conosciamo un gran che di oggetti di lusso e di ceramica figurata laconica posteriore a tale data, e, anche se ha indubbiamente contribuito, la concorrenza della ceramica attica non sarà stata certo l’unica causa di tale fatto65. La distribuzione di tali esportazioni fornisce però, a mio avviso, dei dati di notevole interesse in merito alla questione. Infatti il nucleo più grande di vasi laconici figurati noti finora proviene da Samo e notevoli quantità ne sono state trovate, a parte Taranto e le città della Cirenaica che hanno avuto, per la partecipazione di Sparta alla loro fondazione, un rapporto privilegiato con essa, e dove abbonda pertanto anche quella non figurata66, soprattutto a Naukratis, nel Peloponneso, e ad Olympia. Per il resto vasi laconici sono relativamente diffusi nella Sicilia sud-orientale, nella fascia costiera fra il golfo di Napoli e il territorio Vulcente e si sono trovati nell’Egeo settentrionale più che altro a Neapolis di Tracia, in Asia soprattutto in Lidia, e, infine, anche a Massalia, mentre a Rodi essi rimangono pur sempre scarsi, e lo stesso vale anche per la diffusione dei crateri del tipo «calcidese». Quanto ai bronzi, a parte il grosso nucleo proveniente dal santuario di Olympia, il quale rientra in età arcaica nell’orbita politica ed economica di Sparta, ne sono stati trovati dei nuclei a Delfi e di nuovo nell’Heraion di Samo67, dov’era ai tempi di Erodoto anche il cratere destinato a Creso. Quanto ai bronzi di stile laconico da Dodona o dall’Albania, è legittimo il dubbio che una parte di essi possa essere attribuita all’officina che ha prodotto i tripodi tipo Metaponto, la cui ubicazione a Sparta è incerta68, ed altrettanto incerto è se i bronzi sicuramente laconici siano pervenuti a Trebenischte dal versante adriatico o piuttosto attraverso l’Egeo settentrionale, come probabilmente anche l’hydria da Novi Pazar69 e la menade da Tetovo e sicuramente il cratere da Edessa70. In Sicilia quel che è noto proviene dalla parte SE dell’isola71 e in Italia, mentre rimane la riserva per le hydrie da Treia nel Piceno, troviamo una certa concentrazione di bronzi laconici relativamente antichi in Campania e testimonianze in pitture tombali tarquinesi del VI secolo inoltrato72. Più isolati sono l’ansa del cratere della Russia meridionale, il cratere di Vix, che, per ovvii motivi geografici, per la presenza di anfore massaliote alla Heuneburg (Hundersingen) e l’assenza fino ad oggi, di importazioni greche arcaiche nelle valli delle Alpi centro-orientali, riterrei importata per la valle del Rodano73, e l’hydria del tipo Telestas da una tomba scitica ad Artand, nel bacino carpatico74.

65

V. sul problema recentemente STIBBE, op. cit., p. 8 s. e p. 192 s.; è certamente significativo che i più tardi vasi laconici figurati non risultano esser stati diffusi al di là di Olympia. Continuano, naturalmente, ad essere prodotti, per uso interno, bronzetti votivi e, soprattutto per l’aristocrazia degli Spartani, rilievi funerari in marmo (v. LANGLOTZ, op. cit.). 66 Sulla ceramica laconica a Taranto v., fra l’altro, P. PELAGATTI, in Annuario Sc. Atene XXXIII-XXXIV (1955-56), p. 7 s.; per quel che riguarda la Cirenaica, basta ricordare che il lacedemone Chionis viene annoverato fra i fondatori di Cirene (Paus. III, 14, 3; VI, 13, 2); v. comunque sulla diffusione della ceramica laconica nella Pentapoli fra l’altro J. BOARDMAN-J. HAYES, Tocra, Oxford 1960, p. 81 s. e i suoi soggetti cirenaici su vasi laconici STIBBE, op. cit., pp. 101, 116 s. 192, 195 s. 67 Da Samo sono conosciuti almeno 114 vasi laconici figurati (STIBBE, op. cit., passim), oltre a bronzi in parte inediti e ad un avorio figurato (v. DUNST, in Ath. Mitt. LXXXVIII (1972), p. 140 s.). 68 È evidentemente laconico il cavaliere N. 36 della collez. Karapanos (v. sopra n. 8 D) 69 Antička Bronza u Jugoslaviji cit., N. 42 e DJ. MANO-ZISI-LJ. POPOVIČ, in Ber. Röm. Germ. Komm. L (1969), p. 195 s., tavv. XLVII-L. 70 Sia Trebenischte che Edessa si trovano più a meno sul percorso che fu segnato fin dalla conquista romana della Macedonia dalla Via Egnatia ed è lecito supporre che esso coincidesse con una delle vie praticate già in epoca protostorica per raggiungere dal golfo Termaico l’Adriatico. 71 Oltre al cratere da Caltagirone (v. sopra n. 3), conosciamo un’hydria del gruppo Telestas da Gela (ORSI, in Not. Scavi 1932, p. 141 s.; DIEHL, op. cit., p. 213; JUCKER, Bronzehenkel u. Bronzehydria in Pesaro cit., p. 29, tav. XXXIX). 72 Cfr., oltre a quella della già citata tomba dei vasi dipinti (Mon. pittura antica, Tarquinia I, tavv. IV, V), quella della tomba delle Leonesse (ibidem, tavv. I, II; M. PALLOTTINO, La peinture étrusque, Genève 1952, p. 43) e quella della tomba della Caccia e della pesca (St. Etr. III (1933), tav. XL e P. ROMANELLI, in Mon. pitt. ant., Tarquinia II, Roma 1938, tav. C). 73 V. recentemente sulla diffusione di oggetti greci a N. delle Alpi nel tardo periodo di Hallstatt W. KIMMING in A.A. 1964, p. 467 s., con carta di distribuzione; H. REIM, in Germania XLVI (1968), p. 274 s.; W. KIMMIG-E. GERBACH, in Germania XLIX (1971), p. 40 s., soprattutto per quanto riguarda le importazioni massaliote; L. PAULI, in Hamburger Beitr. z. Archäologie I (1971), p. 1 s.. 74 J.G. SZILAGYI, in Antik Tanulmányok II (1955), p. 45 s.; M. PARDUCZ, in Acta Ac. Scient. Hung. XVII (1965), p. 217 s., tavv. I-III.

125


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 126

Tav. VII

126

Fig 8 Capua, Tomba 1426, ansa del calderone di bronzo.

Fig 9 Siracusa, Museo Nazionale. Cratere di bronzo da S.Mauro presso Caltagirone.

Fig 10 Siracusa, Museo Nazionale. Cratere di bronzo da S.Mauro presso Caltagirone, veduta laterale.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 127

Quel che risulta più evidente da tale quadro, laddove sembra meno dovuto al caso, è la presenza massiccia di importazioni laconiche a Samo e la loro diffusione soprattutto in aree in cui troviamo interessi samii, come forse a Neapolis di Tracia, non lontana dalla colonia samia di Samotracia, ma anche in zone dove interessi samii s’incrociano con interessi focei, come fra l’altro a Naukratis e nell’Italia tirrenica, o dove prevalgono questi ultimi, come in Lidia e a Massalia. Esse mancano invece del tutto o sono presenti in maniera del tutto irrilevante nell’area sotto prevalente influsso milesio e a Mileto stessa, mentre non è ancora chiara, come si è visto, la situazione nell’Adriatico, né si può dire per ora molto di positivo sul motivo della loro diffusione in una parte della Sicilia. Altro dato importante è l’apparente coincidenza della cessazione di tale diffusione con la crisi dei rapporti tra Samo e Sparta nel 525, e qui giova ricordare che fra i pretesti addotti dagli spartani per la loro azione contro Policrate riferiti da Erodoto è il fatto che i Samii s’erano impadroniti del cratere destinato a Creso75. Si potrebbe forse dire qualcosa di più in quanto i vasi di Neapolis di Tracia sono in parte relativamente tardi, come i bronzi sicuramente laconici da Trebenischte e da Novi Pazar, mentre a Massalia troviamo materiale molto antico, di poco posteriore alla kt sij e all’incirca coevo all’hydria da Grächwil. Con ogni probabilità Samo, dove tutte le fasi della ceramica laconica fino verso il 525 sono rappresentate, deve averne avuto in mano gran parte del commercio, e lo stesso varrà anche per i bronzi, in quanto Sparta non possedeva infrastrutture adatte per poter diffondere su basi concorrenziali i propri prodotti almeno fuori dal Peloponneso76. Tale sfasamento fra l’economia interna, basata sostanzialmente sullo sfruttamento agricolo dei lotti attribuiti agli spartiati in un ambito ancora sotto certi aspetti premonetale, e la distribuzione esterna, che sembra quindi evidenziarsi da quanto si è detto, appare comunque abbastanza coerente con quanto conosciamo del modo di produzione di Sparta arcaica e ne costituisce un elemento di indubbio interesse.

75

Herod. III, 47. Per agire contro Samo nel 525 l’alleanza tra Sparta e Corinto è stata evidentemente una condicio sine qua non per trasportare l’esercito spartano. V. comunque sulla vicenda Herod. III, 48 s..

76

127




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 130

Problemi archeologici campani*

130

Ager Falernus Le notizie che ci danno gli autori antichi sull’ager Falernus sono, sia pure nella loro brevità, di notevole interesse1, e, insieme con i dati archeologici possono contribuire, come vedremo, a mettere maggiormente a fuoco certe situazioni storiche. A proposito delle conseguenze della guerra contro i Latini e Campani del 340 Livio (VIII, II, 13-14) dice che l’ager Falernus «qui populi Campani fuerat, usque ad Volturnum flumen plebi Romanae dividitur» e che «bina in Latino agro iugera, ita ut dodrante ex Privernati complerent, dato, terna in Falerno quadrantibus etiam pro longinquitate adiectis», quote che per la loro esiguità non soddisfecero la plebe2. Con ogni probabilità, come ha ritenuto, credo giustamente, già Mommsen, non si tratta però di una deduzione di colonia, e anche quando nel 318 vengono create le tribù Oufentina e Falerna, l’ager Falernus continua ad essere «ager populi Romani»3. Nel 305 e nel 296 l’ager Falernus viene devastato dai Sanniti ed è da supporre che lo sia stato anche prima nel 3154. Nel 296 viene creata, di conseguenza, a difesa della Via Appia costruita nel 312 attraverso l’ager Falernus, la colonia di Sinuessa5. Nel 217 a.C. poi Annibale, penetratovi per un valico dei monti Trebulani attraverso il territorio di Cales, lo devasta completamente insieme alla parte attigua del territorio di Sinuessa6. Successivamente, con ogni probabilità dopo la guerra civile, Silla vi deduce una colonia, Urbana che poi, forse in seguito alla deduzione di coloni nell’agro Campano del 53 d.C. viene aggregata a quest’ultimo7. Una assegnazione di terreni di epoca apparentemente augustea è inoltre documentata per Forum Popili (Liber coloniarum p. 233: «Forum Popili oppidum muro est ductum; iter populo debetur p. XV; limitibus augusteis ager eius in iugeribus est adsignatus; nam imp. Vespasianus postea lege sua agrum censeri iussit»), il che concide con il fatto che in una iscrizione trovata molto probabilmente presso masseria Aciti dove adesso si trova murata, che, come vedremo, era sicuramente nell’ager Falernus e non nel territorio Sinuessano e in una iscrizione rinvenuta a Civitarotta nel 1915 sono menzionati dei duoviri e doveva essere quindi colonia8. Forum Popili è menzionata anche nell’elenco di Plinio dei centri autonomi della Campania9 e una dedica del «populus civitatis Foropopiliensium» a Minucio Eterio porta la data del 367 d.C.10. Di notevole interesse sono inoltre le notizie sulla topografia e l’economia agricola dell’ager Falernus. Livio, a proposito della distribuzione di terreni del 340 (VIII, 11) dice «Falernus, qui populi Campani fuerat, usque ad Vulturnum flumen plebi Romanae dividitur» e a proposito degli avvenimenti durante la guerra annibalica (XXII, 15) «quae urbs (Casilinum) Volturno flumine dirempta Falernum a Campano agro dividit». Plinio (N.H. XIV, 62) parlando dei vini prodotti in Italia, e in particolare del Faustiano, dopo aver assegnato il Falerno al secondo ordine della sua graduatoria, dice: «Falernus ager a ponte Campano laeva petentibus Urbanam coloniam Sullanam nuper Capuae contributam incipit. Faustianus circiter IIII milia passuum a vico Caedicio, qui vicus a Sinuessa VI milia passuum abest; nec ulli nunc vino maior auctoritas: solum vinorum flamma accenditur; tria eius genera, austerum, dolce, tenue, quidam ita distingunt; summis collibus caucinum gigni, mediis Faustianum, imis, Falernum» e dice poi che il vino Statano viene prodotto in un’area attigua sia all’Ager Falernus che al territorio Caleno. Livio, a proposito dei fatti del 217, fa dire a Fabio Massimo che le colture dell’Ager Falernus *

W.J., Problemi archeologici campani, Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere Belle Arti di Napoli vol. L- 1975 pp. 3-38 e tavv.f.t.

1

V. sull’ager Falernus TH. MOMMSEN in C.I.L. X, 1, p. 460 s.; H. Nissen, Italische Landeskunde II 2 (Berlin 1902), p. 691; J. BELOCH, Campanien (2a ed.. Breslau 1890), p. 15, 360; C.H. HÜLSEN in Pauly-Wissowa VI, 2 (1909), col. 171 s.; E. LOMMESCH in C.I.L. 1, 2, p.409; J. HEURGON, Études sur l’histoire, la religion et la civilisation de Capoue préromaine, Paris 1942, p. 13, 255. 2 Liv. VIII, 12, 2. 3 MOMMSEN, C.I.L X, p. 460; sulla creazione delle due tribù v. Liv. IX, 20; Diod. XIX, 10. 4 Liv. VIII, 44; Diod. XX, 90, 3; Liv. X, 20. 5 Sulla costruzione della Via Appia v. Frontin. Aq. 1, 4 (Appio Claudio, nell’anno della sua censura (312) «viam Appiam a porta Capena usque ad urbem Capuam muniendam curavit»); sulla fondazione di Sinuessa v. Liv. X, 21. 6 Polyb. III 90-7-94, Liv. XXI, 13, 1-18, 6 v. sulla durata di tale soggiorno, che viene calcolato più o meno in una settimana e sulle conseguenze della devastazione ultimamente P.A. BRUNT, Italian Manpower. Oxford 1971, p. 270. 7 Plin. XIV, 62…«Urbanam coloniam Sullanam nuper Capuae contributam»… 8 Atti Commiss, conservatrice monumenti Terra di Lavoro 1886, p. 27, 127; Eph. Epigraphica VIII, p. 142, 565, l’altra iscrizione è inedita (v. sotto). 9 Plin. N.H. III, 64; Ptolem. III, 1, 59; Dion. Hal. I. 21. 10 C.I.L. X 4724 = DIEHL, Inscr. Lat. Christ Vet. 97.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 131

(arbusta vineaeque et consita) erano più amene che necessarie11, ma è anche possibile che si tratti di un’invenzione retorica di Valerio Anziate più che di un dato risalente a fonti sicure. Ateneo (I 26, 27, 33) dà altre notizie di notevole interesse per giudicare le quali occorre però il parere di un enologo. Dagli itinerari12 possiamo ricavare il nome delle «stationes» dell’Appia, sia pure con qualche lacuna e una divergenza pur sempre sensibile nell’indicazione delle distanze, Il più completo per il tratto in questione è la «tabula Peutingeriana» che non dà la distanza da Sinuessa «ad ponte(m) Campanum» e indica quelle successive in 3 miglia fino a Urbana, in altrettante da qui a ad Nonum, e successivamente 6 fino a Casilinum e poi 3 fino a Capua. Nell’itinerario ravennate non troviamo le distanze, né é menzionata ad Nonum, in quello ierosolimitano le misure sono di 9 miglia rispettivamente da Sinuessa al Pons Campanus e da qui a ad Octavum, e di 8 da qui a Capua. e l’itinerario Antoniniano dà coerentemente la lunghezza complessiva del tratto Sinuessa-Capua in 26 miglia. Comunque la divergenza fra la «tabula Peutingeriana» e l’itinerario ierosolimitano è, per quel che riguarda la distanza Capua-Pons Campanus, di 2 miglia, il che non sembra dovuto solo a diverse interpretazioni dovute a frazioni di miglia, ma questo è un problema che affronteremo con dati più precisi più avanti, quando discuteremo del percorso originario del tratto inferiore del Savone13. Floro parla anche di «saltus Falerni» (II, 6, 28) e di un «mons Falernus» (I- 16) e Servio (Georg. II, 143) del «vinum a montibus Falernus qui Massici dicuntur», il che porta a dedurre che la zona in questione sia il versante del Massico verso l’ager Falernus, in contrapposizione con quello opposto che faceva evidentemente parte del «saltus Vescinus»14. Da tutto ciò risulta che l’ «ager Falernus», era diviso a S. dal Volturno dall’ager Campanus, a N. 0., verso il Lazio15 da un tratto del corso del Savone dal territorio di Sinuessa e da parte della cresta del Massico almeno dal territorio di Suessa. A NE. esso confina inoltre con Cales e il campus Stellatis attraverso il quale passava la via Latina16 e ad E. esso doveva raggiungere la parte dell’abitato o del territorio di Casilinum sulla destra del Volturno17, mentre non sappiamo se i vigneti del vino Statano, che veniva prodotto apparentemente non lungi dall’Appia, in una zona che confinava con le aree di produzione del vino Caleno e di quello Falerno18, erano ancora nell’«ager Falernus» o nel «campus Stellatinus». Più discutibile è, come vedremo, a proposito del confine verso Sinuessa la pertinenza all’ager Falernus del vicus Caedicius e del vicus Petrinus, anche se Porfirione ve lo assegna esplicitamente (ad Hor., Ep., I, 5,5). Infine, per quel che riguarda le preesistenze, Dionigi di Alicarnasso (I, 21, 3) parla di una città o fortezza (Larisa) ormai deserta da tempo non lontana da Forum Popili, risalente all’epoca degli Αυρώνισσοι evidentemente da identificare con gli Aurunci, di cui attribuisce la costruzione ai Pelasgi, il che è qui certo sinonimo di opera poligonale o affine.19 Prima di completare tale quadro con i dati delle iscrizioni che hanno importanza anche topografica, fra le quali è particolarmente importante un cippo terminale con caratteri latini arcaici rinvenuti nel fondo Marchesa20, e di parlare delle preesistenze, occorre evidenziare gli elementi ancora individuabili utili per la topografia generale, e in primo luogo quanto è riconoscibile della rete stradale e poi del sistema idrografico. 11

XXII. 15. 2. Su Valerio Anziate quale fonte di Livio v. recentemente VOLKMANN in Pauly-Wissowa VII (1948), col. 2313 s. MOMMSEN in C.I.L. X, 1, p. 59: K. MILLER, Itineraria romana, Stuttgart 1916, p. 338 s. 13 Il nome di Savone ci è pervenuto nelle forme Savo (Plin. n.h. XIV. 62. Stat., Silv. IV, 3, 66 e Safo o Safon rispettivamente nella tabula Peutingeriana dove la distanza da Sinuessa è di 7 miglia e nell’itinerario Ravennate (MOMMSEN in C.I.L. X, p. 58 e MILLER, op. cit., p. 347). 14 Sinuessa era secondo Livio (X, 21, 7) «in saltu Vescino Falernum contingente agrum». 15 Almeno Sinuessa faceva parte in origine del Latium adiectum (Strab. 5, 3, 4, p. 231; Mela 2, 4, 70; Plin. 3, 5, 59) e ne abbiamo la controprova dal nome stesso del Pons Campanus e dal fatto che nell’ordinamento augusteo fu aggregata alla Campania (Plin. 21, 2, 8, Ptolem. 3, 1, 6) come «tractus Campaniae», in quanto era oltre il centesimo miglio dell’Appia, quindi fuori della giurisdizione pretoria del Lazio. 16 Il Campus Stellatis che continuò a far parte del territorio campano anche dopo la cessione a Roma dell’Ager Falernus (Liv. IX, 44; X, 31, XXII, 13; Cic de leg. agr. 1, 20; 2, 85; Svet. Caes. XX, 3); è stato ubicato convincentemente da Beloch (Campanien, cit., p. 15). Sulla porta Stellatina a Cales v. recentemente W. JOHANNOWSKY in Boll. d’Arte, XLVI (1961), p. 259, n. 3. 17 Liv. XXII, 15. 18 V. Strab. 5, 3, 6, c2 34; Plin. n.h. XIV, 65; v. sul vino Statano anche Plin. n.h. XXIII, 36; Athen. I, 26e; non documentabili sono le illazioni toponomastiche di PHILIPP in Pauly-Wissowa III A2, col. 2168. 19 È evidente il ricordo del Πελασγικόν dell’acropoli di Atene (Strab. V, 221; IX, 397; Philochoros in F.H.G. p. 385. fr. 7; Serv. Aen. VIII, 600); sull’attribuzione di tale tecnica ai Ciclopi v. in J. OVERBECK, Die antiken Schriftquellen, Leipzig 1868, p. 3 s. Potrebbe anche trattarsi di una villa rustica abbandonata. 20 C.I.L. X 1, 4719; X 2, tav. I; C.I.L. I, 2, 400. 21 Su Forum Popili v. oltre a MOMMSEN C.I.L. X cit., p. 460, WEISS in Pauly-Wissowa VII, 1, col. 72. 12

131


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 132

132

Forum Popili, di cui non si è forse mai perduta la nozione dell’ubicazione, e della cui probabile origine ci occuperemo più avanti, era nella località Civitarotta, circa 2 km. a S. di Carinola, delimitata a O. dalla valletta non molto incassata del Rio Fontanella. L’area grosso modo trapezoidale compresa nella cinta, che segue la scarpata ad O. e il ciglio di un leggero pendìo a S., è di circa 5 ettari, ma l’abitato si è esteso probabilmente in un secondo momento ad E., dove la mancanza di dislivelli e la rete viaria favorivano la sua espansione. Le fortificazioni (fig. 11) il cui tracciato è condizionato ad O. dall’andamento NE-SO del pendio, sono costituite da un muro spesso m. 1,48 in opera a sacco di calcare con paramento verticale in «opus incertum» a «caementa» di 10-12 cm. in media, e hanno gli angoli curvi21. Non sono conosciute torri sporgenti, nè è noto il tipo delle porte, ma sia per la struttura che non è certo dovuta ad una situazione di emergenza, sia per quel che si può capire dal sistema che rientra ancora nello schema italico anche se è dubbia l’esistenza di un aggere la data più probabile è il II secolo a.C. inoltrato anche se non sono da escludere i primi decenni del I secolo22. Immediatamente ad O. di Forum Popili è riconoscibile dalle fotografie aeree e dalle carte 1:25.000 dell’I.G.M.23 un sistema viario ortogonale in cui è facile identificare una suddivisione agricola. Essa è costituita da 3 decumani in direzione E-O con lieve deviazione verso N. distanti fra di loro circa 4000 m. e da una serie di kardines, il cui interasse può essere ricostruito in m. 147,50 = 500 piedi romani (fig. 1-4). Se dividiamo la superficie risultante per mq. 7570 che equivalgono a 3 iugeri arriveremmo ad una somma equivalente pressappoco a 78 quote. Da tale cifra non verrebbe però fuori alcuna misura meglio conosciuta, mentre se 9 iugeri o poco meno, o 6 iugeri equivalessero a strade larghe m. 5.92 = 20 piedi avremmo per ogni striga 75 heredia di 480 x 180 piedi, con iugeri dai lati di 160 x 180 piedi in direzione E-O., o 76 heredia dai lati di 290 x 360 piedi in direzione N-S. con strade più strette, fra i 12 e 15 piedi. Mentre così l’interasse dei cardines verrebbe forse a coincidere con 5 vorsus, la larghezza delle singole strigae equivarrebbe sicuramente a 4 actus. I «quadrantes longique adiecti» sarebbero quindi comunque dei quadrilateri il cui eventuale rapporto con il piede monetale rimane in ogni caso oscuro; anche se ambedue i lati degli heredia sarebbero divisibili per 1224. Sono però possibili anche altre soluzioni, con vie più strette, forse anche più probabili, ma meno facilmente risolvibili con le misure note. Del sistema stradale gli elementi meglio conservati sono parti cospicue del decumano massimo e di quello S., un tratto di quello N. cui si è sovrapposta l’attuale strada statale N° 7 (Appia) ad O. del bivio per Nocelleto, e soprattutto il kardo che delimitava ad occidente tutta l’area limitata, ma si riconoscono anche varii tratti assai lunghi di altri kardines. Il kardo occidentale è conservato a S. per quasi 2 km. in una strada campestre che va da Masseria Aciti a Masseria Spano poi per due brevi tratti a S. di Forum Popili, e inoltre in più di 3 km. della metà settentrionale, dove in parte concide con la strada provinciale che dalla statale N° 7 porta a Carinola. Il decumano massimo partiva da Forum Popili, ma per circa 1200 m. fino a Masseria Piscina Trippette è conservato solo in sentieri di campagna, e poi per altri 3 km. in una strada campestre, e più ad E. se ne possono riconoscere degli spezzoni e forse è pertinente anche un breve tratto di sentiero ad E. del Rio dei Lanzi, con il quale la lunghezza massima documentata raggiungerebbe quasi i 12 km. Il decumano superiore è conservato, come si è detto, solo in un chilometro della statale N° 7, e doveva essere relativamente breve, in quanto la limitazione non continua nell’area compresa fra il Savone e il Rio Persico che sembra aver fatto parte del territorio di Teanum Sidicinum, come tuttora25. Il decumano S. è conservato per 14,00 m. da Masseria Aciti verso E. nella strada provinciale Sparanise-Mondragone e per altri 3.200 m. in una strada campestre fra il vecchio e il nuovo Savone, per una lunghezza complessiva di 6.300 m. Nel settore

22 Gli angoli curvi che derivano evidentemente dal sistema usato negli aggeri di terra privi di opere murarie continuano ad essere usati in Italia in fortificazioni in muratura fino ad età tardo-repubblicana, e nelle province per castelli anche molto dopo. Per la struttura cfr. fra l’altro la tecnica usata nel II sec. a.C. inoltrato per i rabberciamenti e le torri delle mura di Pompei in Mon. Ant. XXXII (1929), col. 113 s.. fig. 2, 13. 23 Le coperture aeree che ho potuto finora studiare sono quelle VAP 620 USN 35 del 22/1/57 e la copertura base per il foglio I.G.M. 172. 24 Su un presunto rapporto con il quadrans monetale v. H. Chantraine in Pauly-Wissowa XXIV, col. 664 s. 25 La zona di Maiorisi, delimitata dal Savone e da un suo affluente ad O. rientra nel territorio comunale e nella diocesi di Teano, il che, pur con le dovute riserve circa la coincidenza dei confini diocesani con quelli municipali, può riflettere la situazione antica. 26 V. su questo sopra n. 8.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 133

N., che tutto fa supporre sia stato delimitato ad E. dal corso inferiore del Rio Persico e da un tratto del Savone in cui quello sbocca, sono conservati per lo più per notevole lunghezza in fossi, sentieri incassati e strade campestri dei tratti di «kardines» in corrispondenza di Masseria Nola, di Masseria Casiello, e in numero di 4 nella zona di Nocelleto. Nel settore S. continua per un breve tratto il kardo proveniente da Masseria Casiello, la cui direzione è poi ripresa più a S. da delimitazioni di campi, e sono conservati inoltre degli spezzoni presso Masseria Belvedere, Masseria Difesuola, Masseria La Bastia, la chiesa vecchia di S. Andrea e in località Mazzamauro, e un tratto di oltre 2 km, da Ciamprisco verso S. Evidentemente il kardo occidentale e i decumani si sono conservati meglio perché dovevano essere lastricati, come, del resto, fa pensare anche l’iscrizione trovata presso Masseria Aciti, che si trova all’angolo SO. dell’intero sistema26. Le altre vie dovevano essere invece «glareate», e ciò spiega anche la graduale trasformazione in fossi di alcune di esse, non mantenute più in efficienza dalla fine dell’antichità in poi, e la scomparsa di altre, dovuta in parte forse alla loro inclusione, già in epoca relativamente antica, in fondi più estesi in direzione E-O che non le singole «strigae». La cattiva conservazione e la scomparsa di gran parte del sistema man mano che si procede ad E. è invece certo la conseguenza delle alluvioni dell’attuale Agnena e del Volturno e del regime idrico instabile di tutta la zona rimasta abbandonata e impaludatasi in seguito soprattutto al sia pure parziale dissolvimento di qualsiasi organizzazione comunitaria più ampia dagli inizi del medioevo. Concordemente con le notizie letterarie citate l’area suddivisa doveva raggiungere il Volturno e avvicinarsi molto a Casilinum, e a tale esigenza è evidentemente dovuto anche lo stesso orientamento dei decumani, per cui possiamo supporre il suo limite orientale qualche chilometro ad E. di Brezza e forse addirittura verso il Parco della Nunziatella, dove i tornanti del fiume, in quella zona più accentuati alcuni secoli fa e forse anche in antico, riducevano di molto lo spazio disponibile. Del resto, mentre, come vedremo, non sono rare anche nella Bassa o meglio nel «Mazzone», com’è chiamato attualmente, delle testimonianze archeologiche riferibili a fattorie agricole, anche un cippo, trovato in località «Marchesa» ad E. di Ciamprisco27, apparentemente sul decumano maggiore nella zona con il nome suggestivo di Limitone sembra convalidare una notevole estensione in tal senso dell’area assegnata «ab initio». In tale iscrizione, incisa su un blocco di calcare, che per i caratteri arcaici, fra cui la L a sbarra obliqua, la A con tratto obliquo e la E a due tratti verticali, ricorda da vicino quelle dei cippi di Tor Ti(?), V. Autrodius. C.f., S. Racectius S.f, S. Teditius S.f.), i gnosa28, sono menzionati quattro personaggi ( quali «statuendos locaverunt» evidentemente i fines o i «termini» e sono quindi da considerare membri di un collegio «agris dandis». Mentre i dati epigrafici ci portano in epoca certamente anteriore, anche se non sappiamo di quanto, al III secolo a.C. inoltrato, l’assenza dei cognomina è indubbiamente un elemento di arcaismo che ci può riportare al IV secolo a.C.29, e la presenza di quattuorviri laddove troviamo poi normalmente dei tresviri fa pensare ad una normativa non ancora consolidata, per cui ha probabilmente ragione il Mommsen che mette il cippo in rapporto con la deduzione del 340 a.C.30. Anche il tipo della spartizione, per strigas è, del resto, relativamente antico, e ricorda pertanto, soprattutto oltre a precedenti alquanto più antichi in Magna Grecia e non di molto anteriori nel Ponto31 le assegnazioni poco più recenti di Cales, del 334, Luceria, del 314, di Alba Fucens, del 303, e di Cosa, del 27332. Nessuna di tali spartizioni ha però delle «strigae» di larghezza così ridotta, mentre d’altra parte nulla dimostra se la coincidenza della larghezza con 5 vorsus sia un fatto voluto o casuale, in quanto l’esistenza di tale unità misurativa

27

V. sopra, n. 20; la prima riga è quasi illeggibile, ma all’inizio vedrei una S. V. su questi M. GUARDUCCI in Bull. Com. LXXII (1946-48), p. 3 s., che li data approssimativamente agli inizi del III secolo a.C., e A. DEGRASSI, Inscriptiones latinae liberae reipublicae. Imagines, Berlin 1965. No. 3-6 (tav. VII-VIII). Per quel che riguarda i cippi Pisaurenses (ibidem. No. 7-20) che possono essere difficilmente anteriori alla fondazione della colonia nel 184, il carattere arcaico delle lettere può essere dovuto a motivi sacrali. 29 V. sul problema A. MAU in Pauly-Wissowa IV, I, col. 221 s.. La prassi di usare il cognomen anche negli atti ufficiali sembra invalsa già nel IV secolo inoltrato anche a giudicare dalla tradizione letteraria risalente a fonti documentarie. 30 V. sui «triumviri agris dandis et coloniis deducendis» e cariche analoghe H. STRASBURGER in Pauly-Wissowa VII A I, col. 511 s. 31 Sulle suddivisioni agrarie, nel territorio di Metaponto e nella Siritide v. recentemente G. VALLET in Atti del VII Conv. St. M. Gr., Taranto 1968, p. 97 s.e D. ADAMESTEANU ibidem, p. 246, 251 s.; su quelle nel Ponto v. A. WASOWICZ,ibidem, p. 195 s. 32 V. su tali suddivisioni F. CASTAGNOLI, in Bull. Com. LXXV (1953-55), suppl., p. 3 fig. 1-3. tav. I. 33 Gli interassi di circa 480 m., di cui abbiamo testimonianza a Cales si risolvono comunque anche in una misura di 1600 piedi. 28

133


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 134

134

presso gli Umbri non prova automaticamente il suo uso anche presso le altre popolazioni etnicamente affini e non sappiamo se la misura adottata per Cales non sia per caso in rapporto con l’unità usata in territorio latino e non a Roma33. D’altra parte, anche se la suddivisione in heredia di 3 iugeri non è documentata in altri casi, la ipotesi di Beloch circa una precedente suddivisione dell’ager Falernus fra i cavalieri campani che erano 1600 all’epoca delle guerre sannitiche34, ripresa poi da Heurgon che vuol vedere nei tre iugeri la prova dell’adozione dei «vorsus»35, è, benché suggestiva, da considerare allo stato attuale delle nostre conoscenze eccessivamente audace. Piuttosto si potrebbe pensare per la discriminazione nelle misure delle assegnazioni non coloniali del 340, che per la loro esiguità rientrano comunque nella norma usata per i cittadini romani di classe plebea prima della guerra annibalica a causa delle note preoccupazioni censuarie dell’aristocrazia dominante36, all’intenzione di avvantaggiare i più distanti e più esposti rispetto a quelli con poderi relativamente vicini a Roma. Così troverebbe infatti una spiegazione relativamente logica l’assegnazione di 2 iugeri nell’agro latino e di 2-4 iugeri dell’agro privernate. mentre d’altra parte la suddivisione definitiva delle singole strigae in 75 appezzamenti potrebbe far ipotizzare una intenzione originaria di creare delle centurie di 21/4 iugeri per l’ager Falernus, caduta poi in seguito a contestazioni. Quanto al numero delle quote, già nella parte dell’area suddivisa, per cui disponiamo di elementi sicuri avremmo nel settore S. 11.800 m. più 3.240 nel settore N., il che ci porterebbe a 102 strigae e a 7650 heredia su un’area di 60 km.2. mentre con un’estensione della zona S. fin dove è possibile presso Casilinum si arriverebbe pressappoco a 10.500 quote su un’area di 20 km.2. Anche se non sappiamo se tutta l’area disponibile sia stata effettivamente assegnata nel 340, anzi, lo riteniamo poco probabile, dobbiamo pur sempre pensare che il restante nell’area suddivisa doveva essere di scarsa entità data anche l’estensione dell’ager publicus che documenteremo più innanzi, per cui si avrebbe comunque una delle maggiori assegnazioni documentate nel periodo a cavallo delle guerre sannitiche. Purtroppo non conosciamo ancora elementi abbastanza attendibili per le parti di territorio confiscate alle città latine e a Privernum e assegnate a cittadini romani e i primi calcoli censuarii per cui abbiamo dati relativamente sicuri sono quelli del 225, ma la cifra ricavata può essere pur sempre di qualche interesse per avvicinarsi alla reale consistenza del proletariato agricolo e urbano di Roma e dell’ager Romanus intorno al 340 a.C.37. L’unico ricordo che possiamo ritenere probabile della fase sannitica dell’Ager Falernus è costituito pertanto dalle pomperiai Falerniai (quincuriae Falernae) del calendario sacrale di Capua, di cui è menzione in due iscrizioni juvila38. Heurgon, il quale tende istintivamente ad abbassare la cronologia pensa invero ad accreditare una etimologia non territoriale39, ma anzitutto i caratteri epigrafici non sono facilmente databili neanche con l’aiuto di elementi figurati in parte abbastanza ben datati40 e poi è da supporre che, come in altri casi parte della popolazione campana sia rimasta in qualità di «incolae» nelle zone non divise nell’agro Falerno, mentre comunque i luoghi di culto vi devono essere sopravvissuti, a parte qualsiasi considerazione in merito alla «civitas», sia pure con ogni probabilità «sine suffragio» che i Campani ebbero nel 338. Mentre l’area suddivisa e assegnata è evidentemente quella più redditizia dal punto di vista agricolo, i percorsi antichi dei corsi d’acqua, fin dove sono più o meno accertabili, e l’estensione di suddivisioni di altre circoscrizioni territoriali, nonché i luoghi di rinvenimento con l’indicazione della tribù, che per l’ager Falernus era

34

Liv., VIII, 11, 16. V. sul problema J. HEURGON, Recherches sur l’histoire et la civilisation de Capoue préromaine, Paris 1942, p. 255 s. e 2a ed. Paris 1970, ibidem. 36 V. sul problema fra l’altro G. TIBILETTI in Athenaeum, XXVIII (1950), p. 225 s.; CASTAGNOLI in Bull. Com., LXXV cit., suppl., p. 8 s. 37 V. su tutte il problema del censo P.A. BRUNT, Italian Manpower, Oxford 1971, p. 27 s. e 121 s.; tuttavia alcuni dati di epoca anteriore al 225 possono essere considerati attendibili. Infatti già nel periodo delle guerre sannitiche il numero dei beneficiari delle assegnazioni è spesso notevole, anche in colonie latine (a Cales 2.500 nel 334, p. es.; a Interamna Lirenas 4.000 nel 312; a Venusia nel 291 ben 20.000). 38 HEURGON, Études sur les inscriptions osques de Capoue, Paris 1942. No. 20 e 21, ambedue attualmente presso l’antiquarium statale di S. Maria Capua Vetere = E. VETTER, Handbuch d. Italischen Dialekt, Heidelberg 1953, No. 82 e 83. 39 HEURGON, op. cit., nota precedente. p. 75 s.; VETTER, op. cit., p. 40 s., ipotizza una datazione nel III secolo per almeno quella No. 83 senza addurre però argomenti stringenti. 40 HEURGON, op. cit. note precedenti, p. 41 s. 41 La scomparsa di due diocesi attigue a quella di Forum Popili, trasferita poi a Carinola, cioè di quelle di Sinuessa e di Volturnum, può aver influito almeno teoricamente sull’assetto territoriale. 35


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 135

la Falerna, istituita nel 318, sono, più che i limiti diocesani41, nel caso specifico elementi utili per riconoscere approssimativamente i confini anteriori alla creazione della colonia di Urbana e forse anche quelli successivi. La caduta in rovina degli argini per mancanza di manutenzione in seguito al decadimento economico che ebbe inizio con le incursioni dei Vandali e raggiunse il culmine con le incursioni saracene in concomitanza con la scomparsa definitiva di centri come Minturnae, Sinuessa, Volturnum, Forum Popili e Urbana42, ebbe come conseguenze radicali cambiamenti nella topografia della zona. Un ulteriore graduale sconvolgimento è avvenuto da un secolo a questa parte in seguito ai lavori di bonifica, che hanno portato a deviazioni anche notevoli di corsi d’acqua e alla scomparsa di altri. Pertanto è di estrema importanza la cartografia degli ultimi decenni del XVIII secolo e degli inizi di quello successivo, quando solo un tratto del medio corso dell’Agnena era canalizzato, la quale è dovuta più che altro a Rizzi-Zannoni43. Il Savone confluiva allora con l’Agnena poco a valle di Cappella reale, e non molto più a valle un dedalo di corsi d’acqua costituiva la tenuta reale di caccia. Altri rivoli, provenienti dalle pendici del Massico, fra i quali il più importante era il Rio Fontanelle, o che sono attualmente canalizzati nel fosso delle acque medie, erano affluenti del Savone, mentre a sua volta il Rio dei Lanzi confluiva con l’Agnena (fig. 9). Di tutti questi affluenti del Savo, che Stazio dice lento (Silv. IV, 3, 66: «pigerque Savo»), riferendosi evidentemente al suo corso inferiore, solo il nome attuale dell’Agnena ha evidentemente origine antica, in quanto la radice coincide con quella di Anio, di cui Anien è la forma arcaica44, anzi potrebbe risalire alla stessa stratificazione linguistica, di tipo latino-falisco, cui sembrano appartenere i nomi stessi dell’ager Falernus, derivante certo da una località dal nome almeno affine a Falerii45 e del campus Stellatis, o Stellatinus che trova anch’esso diretto riscontro nell’agro Falisco46. Quanto poi al nome del Savo o Safo47, è probabilmente apparentato a quello del Savus in Pannonia e potrebbe anche risalire ad epoca diversa, forse più recente48, mentre non riterrei che il suo corso superiore con uno dei suoi affluenti provenienti dal Massico, fossero privi o quasi d’acqua anche nell’antichità, come sembrerebbe suggerire la «tabula Peutingeriana», in quanto questa non è molto precisa per quel che riguarda l’ubicazione di monti e fiumi49.

42 Mentre tra le città campane solo Nola risulta, a giudicare dalla tradizione letteraria pervenutaci (ma a Nola era vescovo Paolino, in rapporti epistolari con Agostino), aver subito gravi danni dall’incursione di Alarico nel 420 (August. de civ. dei I, 10, 2; Cur. pro mort. ger. 16, 19). Genserico conquista al suo ritorno da Roma nel 455 Capua e Nola e devasta tutta la Campania (Hist. Misc. XVIII; Paul. Diac. XIV, 7). Nel 457 dei Vandali sbarcati per saccheggiare vengono sconfitti nella pianura costiera non lungi da un porto naturale e da un fiume (foce del Sarno? Salernitano? meno probabilmente zona di Sinuessa, se la descrizione è esatta) e ricacciati sulle navi (Apoll. Sid. Carmina V, 388 s.). Nulla di più preciso sappiamo invece delle incursioni vandale del 461 e 462, che possono aver interessato anch’esse la Campania (Prisc. frg. 30; Procop. I, 5, 22; Apoll. Sid. Carmina, II, 349). Quanto alle incursioni saracene, durate all’incirca dall’840 fino al X secolo, non sembrano aver risparmiato che Napoli, Salerno e i centri più interni. 43 G.A. RIZZI-ZANNONI, Carta geografica della Sicilia prima, Paris 1769. 44 V. HÜLSEN in Pauly-Wissowa I, 2, col. 2211 s.; da documenti medioevali risultano i nomi Anglena e Aolia. 45 V. HÜLSEN in Pauly-Wissowa VI, 2, col. 1971 s. 46 V. PHILIPP in Pauly-Wissova 2a s. III A 2, col. 2325 s.; G. DEVOTO, Gli antichi Italici, 3a ed. Firenze 1967, p. 119. 47 Savo (Plin., n.h. III, 60; Stat., Silv. IV, 3, 66); Safo (Tab. Peut.). 48 Un’altra possibilità apparentemente più remota può essere un rapporto con Safinim e Sabus, la divinità eponima dei Sabini e probabilmente dei Sanniti, v. sul problema E. SALMON, Samnium and the Samnites, Cambridge 1967). 49 A parte le deformazioni dovute alla necessità di rendere tascabile la carta, il Calore vi sostituisce l’alto Volturno e il Rapido il medio e alto Liri, per non parlare della spaventosa confusione fra i fiumi del versante adriatico, cui hanno cercato di porre rimedio Cunz (in Jahreshefte II (1890), p. 97 s.) e in maniera un po’ meno convincente Miller (op. cit. fig. 100). 50 Sulla costruzione della via Appia v. Front., Aq., I, 4. Appio Claudio in qualità di censore nel 312 «viam Appiam a porta Capena usque ad urbem Capuam muniendam curavit». Di restauri abbiamo testimonianze dai miliarii pervenutici. Mentre non sappiamo a quale dei consoli dal nome Cn. Domitius (Ahenobarbus, evidentemente) sia dovuto il rifacimento di cui abbiamo testimonianza sul miliario 112 dalle vicinanze di Mondragone, riutilizzato sotto Nerva (C.I.L., X, 6872, 6873; consoli con tale nome sono noti per il 192, 162, 122 e 115, 96, 82 e 33 a.C.). abbiamo altri miliarii che risalgono a Vespasiano (76 d.C), a Nerva (97), a Traiano (dopo il 100), a Settimio Severo (201), a Caracalla (è del 216 un’iscrizione relativa a riparazioni dei danni di un’inondazione (C.I.L. X 6876), ai tetrarchi, a Massenzio, a Costantino, a Teodosio e Arcadio, e, infine, a Teodorico. La strada doveva essere di conseguenza ancora in buone condizioni all’opera delle guerre gotiche (Procop. VII, 26, 4). V. comunque sulla via Appia e in particolare sul tratto fra Sinuessa e Capua soprattutto MOMMSEN in C.I.L. X (Berlin 1883), p. 59 e 693 s.; MILLER, op. cit.. p. 333 s.; G. LUGLI in Beiträge z. älteren europäischen Kulturgeschichte (Festschr. R. Egger 1), Klagenfurt 1952, p. 276 s.; T.P. WISEMAN in Pap. Br. Sch., Rome XXXVIII (1970), p. 130 s; G. RADKE, in Pauly-Wissowa suppl. XIII (1973), col. 1494 s. Il tracciato contorto proposto dal Lugli per il tratto in discussione contrasta, come vedremo, con i dati archeologici finora noti. Quanto all’ipotesi di Radke secondo cui solo il tratto da Roma a Formiae risalirebbe al 312 e quello successivo al 307, è basata sulla presunzione sbagliata e contestatagli con argomenti convincenti da Wiseman, che i «fora» marcassero sempre il centro di una strada.

135


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 136

136

Altro elemento di non secondaria importanza è il tracciato della Via Appia fra Sinuessa e Casilinum, che ritengo sia rimasto invariato dal 312, quando fu sistemata, fino al tardo impero50. L’opinione di Radke51, condivisa da Wiseman52, secondo il quale in un primo momento il tratto da Minturnae a Casilinum sarebbe passato per Suessa e il valico di Cascano a causa degli ostacoli costituiti da paludi e da aree facilmente inondabili incontra infatti, anche se forse teoricamente non impossibile nei termini proposti da Radke, cioè per il periodo anteriore al 296, delle serie difficoltà, fra cui la mancanza assoluta di testimonianze sia letterarie che epigrafiche che archeologiche. Conosciamo, è vero, il tracciato e resti abbastanza cospicui di una strada da Minturnae a Suessa e da qui a Cascano53. Ma mentre il primo tratto, di cui, oltre a varii settori selciati, sono conservati avanzi di opere di terrazzamento delle scarpate in «opus quadratum» di tufo, è probabilmente non posteriore al 313, anno in cui fu dedotta la colonia latina di Suessa54, il tratto che superava il valico di Cascato proseguiva poi per Teanum Sidicinum per dove la fa deviare il Radke55, e, anche se esistevano certamente collegamenti stradali che permettevano di raggiungere Capua da Suessa magari per Cales, tutto quel che ne sappiamo fa pensare che questi fossero vie secondarie56 mentre Forum Claudi se riportata ad Appio Claudio avrebbe dovuto chiamarsi Forum Appi come la località nelle paludi Pontine. D’altra parte, fra Minturnae e Sinuessa, l’Appia girava alla larga del Pantano di Sessa, deviando sensibilmente dalla linea retta, mantenuta anche nell’attraversamento delle paludi Pontine, dove il tracciato è evidentemente quello originario, come dimostrano l’ubicazione di Forum Appi57 e il fatto che l’unica, sia pure leggera, divergenza è dovuta alla centuriazione dell’agro di Terracina che risale al 32958. Quanto, poi, al tracciato attraverso la parte S-E. del territorio Sinuessano e l’ager Falernus, le divergenze dalla linea retta erano, come vedremo, di entità minima e dovute forse ad ostacoli e alla necessità di evitare il più possibile di avvicinarsi a zone paludose o troppo facilmente inondabili, e non si può certo dire che affrontasse direttamente la palude vera e propria che prima della bonifica probabilmente anche nell’antichità era circoscritta alle adiacenze del tratto del Savone più prossimo alla foce. D’altra parte anche le aree d’inondazione dell’Agnena e del Volturno non dovevano costituire per la strada un ostacolo maggiore che non per la suddivisione agraria del 340 che si estendeva fino al Volturno e per l’ubicazione di insediamenti agricoli di cui, come vedremo, si trovano testimonianze anche nelle zone più basse. Infine fra i motivi fondamentali che hanno consigliato il tracciato il più vicino alla costa dell’Appia, nè più breve, nè meno accidentato di quello dell’antica via di comunicazione interna utilizzata poi in gran parte dalla via Latina59 era l’esigenza, dettata dall’esperienza estremamente negativa del 315, di poter disporre di una via di comunicazione fra Roma e la Campania che fosse il meno possibile esposta alle scorrerie dei Sanniti, il più possibile alle spalle delle colonie latine di Interamna, Suessa e Cales, e inoltre la pratica eliminazione del popolo aurunco nel 314 permetteva il passaggio del tratto che qui c’interessa maggiormente attraverso territori che erano «ager populi romani», senza dover implicare, come sarebbe avvenuto giocoforza in un eventuale tragitto più interno, i ter-

51 Pauly-Wissowa, suppl. XIII cit., col. 1498 s. Quanto alla presunta via Popilia del 316, di cui si parla in tale contesto, e al cui centro si troverebbe, naturalmente, Forum Popili, si tratta di un’invenzione pura e semplice basata su elementi topografici che sarebbe irrazionale collegare fra di loro, ad esempio, il ponte Ronaco presso Sessa, che apparteneva in realtà ad una via da Suessa a Sinuessa, a parte il fatto che solo nel 314 il territorio aurunco divenne «ager populi Romani». La maggiore esposizione alle incursioni sannitiche di una via che sarebbe passata per il valico di Cascano è invece un argomento plausibile. 52 Art. cit., p. 130. 53 È chiaramente riconoscibile il tracciato dalla zona a S. di Fasani fino alla porta S. di Suessa e dalla porta SE. di tale città a Cascano, e di ambedue si conservano tratti con lastricato naturalmente alquanto posteriore al IV secolo. 54 Liv. IX, 38, 7. 55 Su tale via. attestata in itin. Antonin. p. 122, 304, e, sia pure confusamente, in it. Rav. 33 e nella tabula Peutingeriana v. MOMMSEN in C.I.L. X, p. 60 e MILLER, op. cit., p. 364. 56 Nella cartina di RADKE in Pauly-Wissowa, suppl. XIII cit. fig. 10, Forum Popili è ubicata in posizione errata. Comunque mentre non abbiamo attualmente la certezza di una strada di comunicazione diretta da Forum Claudi a Cales, dal decumano massimo dell’ager Falernus si stacca, come vedremo in seguito, una via per tale città. 57 Su Forum Appi v. fra l’altro WEISS in Pauly-Wissowa VII, 1 (1910). col. 64. 58 V. su questa LUGLI, Forma Italiae Reg. I, 1 (Anxur-Tarracina), Roma 1926, p. 22; F. CASTAGNOLI in Bull. Com. LXXV (1933-55), suppl., p. 3 s. 59 Sulla via Latina v., fra l’altro. RADKE. in Pauly-Wi.ssowa suppl.XIII cit., col. 1487 s.; WISEMAN in Pap. Br. Sch. 1970 cit. p. 139. Poiché si può escludere che la via Latina passasse originariamente per Venafrum (v. a tal proposito A. LA REGINA in Quaderni dell’Istituto di Topografia antica dell’Università di Roma, I (1964), p. 56 s.) è impossibile la pertinenza del miliario C.I.L. X 6905 = I.L.L.R.P. 457, del 127 a.C., attribuito ad essa dal Degrassi in base ad una presunta lacuna accettata anche da Wiseman e Radke. 60 Sugli avvenimenti del 315/312 v. fra l’altro SALMON, op.cit., p. 233 s.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 137

ritori delle colonie di Suessa e Cales e di Teanum, che non sappiamo se possedesse già la «civitas sine suffragio» in un momento oltre tutto assai delicato per la politica romana fuori del Lazio60 (v. fig. 2-8). Da Capua conosciamo esattamente il tracciato della Via Appia fìn dov’è sicuramente rettilineo, cioè fino subito oltre il ponte sul Volturno a Casilinum, per una lunghezza complessiva di m. 4.800 circa, equivalenti a poco più di 3 m.p., mentre l’attraversamento della città è di poco più di 1500 m. e supera quindi di pochissimo il miglio. Egualmente ben riconoscibile è il tratto da Sinuessa fino alla località Starza di Mondragone, che, a giudicare da un’epigrafe rinvenutavi sembra coincidere con il centro amministrativo del Pagus Sarclanus61, per una lunghezza complessiva di circa 6.700 m., quindi circa 41/2 m.p. Fra la Starza di Mondragone e l’inizio del ponte di Casilinum la distanza in linea d’aria è di m. 25.000 che, sommata agli altri tratti extraurbani porta ad una distanza minima fra Capua e Sinuessa di m. 36.500 circa. ossia poco più di 24 m.p. Mentre l’attraversamento di Sinuessa non ha rilevanza, in quanto si tratta della misura irrisoria di circa 200 m., arriveremmo a più di 25 m.p. aggiungendo il tratto urbano a Capua. Ci avviciniamo quindi moltissimo alla misura di 26 m.p. indicata dall’itinerario ierosolymitano, per cui è evidente, come vedremo anche in base ai luoghi di rinvenimento dei miliarii e ai dati archeologici, che nel tratto Starza-ponte di Casilinum le divergenze da un tracciato rettilineo non potevano superare una misura relativamente scarsa. Se passiamo all’ubicazione dei miliarii il problema non si complica un gran che, in quanto è possibile dimostrare che con la deviazione traianea a Terracina le distanze non hanno subito alcuna sostanziale variazione62 né sembrano esserci stati, d’altra parte, ulteriori cambiamenti fino alla fine dell’antichità63. Mentre per nessun miliario abbiamo argomenti sicuri che si trovi tuttora in posto o che sia stato trovato in situ in epoca relativamente recente, alcuni di essi devono esser stati spostati, se non per niente, solo di poco, al massimo di poche centinaia di metri. È così, ad esempio, per quelli N.° 85 e 87 del tratto Fundi-Formiae64, 92 del tratto Formiae-Minturnae65 e quello 98 trovato a Minturnae66, e da ulteriori calcoli risulta la stessa cosa per quelli N.° 108 dalla località Vagnole che coincide con le Aquae Sinuessanae67 e N.° 111, reimpiegato nel palazzo ducale di Mondragone68. Mentre però questi cippi sono stati trovati lungo tratti ben conosciuti della strada, non è così per il miliario N.° 126, trovato presso la strada Capua-Brezza, 240 m. ad E. dell’ingresso del parco della Nunziatella69, a circa 21/2 m.p. in linea d’aria dal ponte sul Volturno a Casilinum. Tuttavia la distanza in linea d’aria del palazzo ducale di Mondragone supera per quest’ultimo di appena 200 m, quella di 15 m.p., per cui, anche se l’ultimo luogo di rinvenimento del miliario era, come vedremo, probabilmente abbastanza discosto dal tracciato stradale, la distanza dal suo posto originario è alquanto inferiore al miglio. Ad O. le tracce della via si perdono nella località Starza, a circa mezzo miglio dal palazzo ducale di Mondragone70, presso la periferia dell’abitato attuale, dove si staccava un’altra via che raggiungeva la parte occidentale

61 L’iscrizione, che sarà pubblicata in altra sede, è citata da MAIURI in Passeggiate Campane (2). Firenze 1960, p. 127 s.. 399. Piuttosto che dal sarculum il nome sarà derivato da qualche toponimo di età preromana. 62 Cfr. LUGLI, Forma Italiae I, 1 cit., carta No. 2. 63 Procop. V, l4, 6; VII, 26, 4-9, dove la distanza fra Minturnae e Capua è indicata con circa 300 stadii; comunque la rapidità dell’avanzata e della fuga dei cavalieri goti e dell’inseguimento da parte delle truppe imperiali (l’episodio è del 547) presuppone che almeno le opere essenziali fossero in condizioni discrete. 64 C.I.L. X 6861, 6863. 65 C.I.L. X 6868. 66 C.I.L. X 6868 e Eph. Epigr. VIII, 901. 67 C.I.L. X 6870 e F. RIBEZZO in Riv. indo-greco-italica V (1921), p. 74. 68 C.I.L. X 6871. 69 C.I.L. X 6874, 6875; per l’ esatta ubicazione del rinvenimento v. G. IANNELLI in Atti Comm. cons. Mon. Terra di Lavoro 1874, p. 69. 70 A N. del complesso edilizio di età repubblicana in località Starza, in cui ho proposto di riconoscere il foro del pagus Sarclanus (v. in Les cryptoportiques dans l’architecture romaine, Roma 1973, p. 150 s.) la via Appia era incassata nel tufo. ma delle cave hanno cambiato l’aspetto della zona in epoca non recente. per cui solo sul lato N. è conservato un tratto di muro di terrazzamento in blocchi uniti senza malta. Subito ad E. del complesso, dopo un piedritto di età repubblicana a N., un ponte a tre fornici non anteriore all’età flavia attraversava la via in corrispondenza di una strada di centuriazione (tale ripartizione di terreni, con centurie di 120 actus per lato si estende nella zona dell’attuale abitato di Mondragone). 71 Tale diverticolo aveva inizio presso il cimitero di Mondragone, nella cui area si sono avuti in varie epoche rinvenimenti, e dove, a giudicare da varii indizi, la via Appia correva al livello del piano di campagna.

137


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 138

138

dell’ager Falernus71 e su cui ritorneremo più avanti. Ad E. il ponte sul Volturno72 è nell’asse del tratto Casilinum-Capua, ma oltre la sua testata N-O. non conosciamo per ora avanzi dell’antica via. D’altra parte è logico ritenere che gli elementi del lastricato, in trachite di Roccamonfina, siano diventati facile preda di chiunque avesse intenzione di costruire nei «Mazzoni», una vastissima zona priva di pietra da costruire e che quel che si è salvato si trovi sotto spessi strati alluvionali di duro terreno argilloso. In base alle fotografie aree73 e ad altri elementi è tuttavia possibile ricostruire, in qualche tratto con una certa sicurezza, in altri approssimativamente, il tracciato, e stabilire in qualche caso almeno, fino ad un certo punto l’ubicazione delle «stationes » e «mutationes». Su varie coperture aeree eseguite in tempi diversi è evidente una traccia rettilinea che può esser seguita quasi ininterrottamente dal fosso della Cavata in contrada Terranova, circa 21/2 km. a S-S-O. da S. Andrea al Pizzone, fino alla località Capitolo a N-E. di Brezza, per la lunghezza di 7 km., e di cui un tratto coincide con l’attuale strada provinciale Brezza-Capua. In corrispondenza di tale traccia, in territorio di Grazzanise, sul lato O. di Via Pizzo della Torre, che si stacca a S. dalla strada Brezza-S.Andrea, due anni fa la ruspa che scavava un fosso incontrò delle tombe in tegole che fiancheggiavano evidentemente la via e un grosso blocco squadrato di calcare è stato trovato un anno fa scavando il fosso lungo la strada Brezza-Pignataro, mentre esistono evidenti indizi di costruzioni di età romana in località Parco Spine, laddove via antica e moderna si sovrappongono, e dove era con ogni probabilità lo statio Ad octavum. Inoltre in località Terranova, in territorio di S. Andrea sono stati rinvenuti a breve distanza dalla traccia due grossi blocchi squadrati di trachite, i quali potevano però appartenere anche ad attrezzature di una villa rustica, di cui affiorano tracce evidenti nella stessa zona, mentre a NE. del cimitero di Brezza è stato rinvenuto un tratto di lastricato stradale74. Infine non sembra del tutto casuale che il prolungamento della traccia di cui s’è parlato e quello del tracciato della Via Latina convergono poco più di 100 m. a N.O. dell’attuale chiesa di S. Giuseppe con l’unico tracciato rettilineo possibile dal ponte del Volturno, distante circa 500 m., non interferisce con le anse antiche e moderne del fiume. Più problematica, sotto certi aspetti, è la situazione più ad O., dove le tracce probabilmente pertinenti all’antica via sono minime e si riducono apparentemente a brevi tratti ad O. del canale di S. Paolo e nella contrada Sepricella. Tutto fa pensare comunque che il leggero cambiamento di direzione fra i due tratti possa coincidere con il «Pons Campanus», la cui ubicazione può esser stata determinata da difficoltà di attraversamento delle aree adiacenti più a valle, o forse anche da qualche preesistenza. Si tratterebbe comunque in questo caso di uno spostamento minimo dalla linea retta, non superiore ai 250 m., mentre doveva essere certamente di maggiore entità la deviazione sulla destra del Volturno, determinata dalle anse del fiume, a Casilinum, dove non è escluso che qualche tratto prossimo al ponte sia precipitato nel fiume.

72

Dell’aspetto precedente alla distruzione effettuata dai nazisti nel 1943 e che, nonostante varie opere di restauro, era in sostanza quello antico, sono testimonianze, fra l’altro, le fotografie Alinari No. 41258 (1929) riprodotta in Enciclopedia Italiana VIII (1930), tav. CCXXXV insieme con un’altra, e quella in P. GAZZOLA, Ponti romani, Firenze 1963, e rilievi e fotografie nell’archivio della Soprintendenza alle Antichità di Napoli. Le arcate erano originariamente sei, a pieno centro e di varia ampiezza (dalla riva destra m. 5.20; 18; 10,90; 12,60; 10,80, e circa 6,70), impostate di conseguenza ad altezze diverse, in modo da dare alla carreggiata, a doppia pendenza leggerissima, un livello costante di m. 3,50 circa sopra gli introdossi. La larghezza era di m. 7,40 (25 piedi) e le pile, larghe m. 5,40 (l8 piedi) avevano a valle delle sporgenze rettangolari profonde circa m. 1.50 e meno alti e a monte degli speroni trapezoidali sporgenti controcorrente m. 2,40 circa. La struttura. visibile attualmente solo nel piedritto sulla riva destra, largo m. 11,30 e munito anch’esso di un mezzo sperone, era anche nel nucleo in blocchi squadrati di tufo grigio, larghi m. 0.59 uniti senza malta e secondo il sistema a chiave, mentre i cunei, lunghi circa m. 1,75, erano apparentemente in alternanza in uno o due blocchi. I blocchi avevano nella faccia a vista un vigoroso bugnato rustico e l’unico elemento decorativo era costituito dal leggero aggetto a mo’ di listello dell’assisa sotto le imposte delle singole arcate. Il manufatto attuale non poteva ancora esistere all’epoca della guerra annibalica, quando fallirono, a causa della piena del fiume, i varii tentativi dei romani di rifornire la guarnigione di Casilinum (Liv. XXIII, 19, 4-14) e va datato con ogni probabilità al II secolo a.C. non troppo inoltrato. Infatti la tecnica costruttiva è sostanzialmente identica a quella del «pons lapideus» (Aemilius) sul Tevere iniziato nel 179 a.C. con le «pilae» e completato con le arcate nel 142 a.C. (v. R. DELBRUECK, Hellenistische Bauten in. Latium, Strassburg 1907, p. 12 s., fig. 12-21; CASTAGNOLI, in Enciclopedia classica X, III-IV, p. 93) e ancora molto diversa da quella del ponte Milvio, costruito nel 109 a.C. (DELBRUECK, op. cit.. p. 3 s., fig. 3-11, tav. 11), mentre le arcatelle sui filoni, attestate nei due ponti di Roma. sembrano non esser esistite a Casilinum. Pertanto l’esecuzione di tale opera potrebbe essere messa in rapporto con i restauri effettuati sotto il consolato di Cn. Domitius (Ahenobarbus) attestati sul miliario 112 e potrebbe trattarsi in tal caso di uno dei consoli di tal nome del 192 piuttosto del 162, come ritiene Wiseman. 73 La traccia è ben visibile sia sulle coperture eseguite nel 1943, sia su quelle del 1957. 74 Risulta dagli atti della Soprintendenza; non ho però potuto sapere finora nulla sul luogo preciso dagli attuali abitanti della zona, dove nulla affiora attualmente. 75 Si tratta di un arco onorario a tre fornici impostati alla stessa altezza, che andrebbe accuratamente rilevato e studiato. Comunque la tecnica di costruzione con paramenti in laterizio coincide anche nelle misure con quella dell’anfiteatro campano e i lacunari delle nicchie laterali del fornice centrale, che sono gli unici avanzi della decorazione marmorea, rientrano nel classicismo del II secolo non troppo inoltrato. Pertanto si potrebbe mettere tale monumento anche in rapporto con il rifacimento dell’Appia sotto Nerva e Traiano.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 139

In base ad una simile ricostruzione del tracciato il miliario 126 sarebbe stato trovato a circa 500 m. dalla strada antica e a distanza di poco maggiore dal suo posto originario, mentre la distanza totale da Sinuessa a Capua sarebbe stata di 25 m.p, se ci riferiamo alla zona immediatamente fuori le mura di quest’ultima città, all’incirca laddove si trova l’Arco Felice, per cui è pertanto lecita l’ipotesi che l’ubicazione di esso possa coincidere con il 132° miglio da Roma75, mentre con il centro dell’attraversamento urbano ci approssimeremmo al 133° miglio. Per «ad octavum» l’identificazione si pone da sé, in base alla distanza da Capua e, come si è visto, tutto concorre a localizzare la «statio» nel Parco Spine, in prossimità di un grande complesso, evidentemente di villa, più vicino al fiume, in località Torre Fra scale, dove affiorano in grande quantità detriti di murature e cocciame di età romana76. Nulla affiora, invece, dove andrebbe identificata «ad nonum», poco a NE. di Brezza, ma ciò sarà dovuto con ogni probabilità al forte interramento, confermato dalla profondità di m. 2.50 alla quale, nel fosso che costituisce il confine tra i comuni di Capua e di Grazzanise, sono state trovate delle tombe in tegole, e di 2 m. del già menzionato blocco di calcare rinvenuto lungo la via Brezza-Pignataro. Varii rinvenimenti risultano invece nell’abitato di Brezza, il cui nome «Villa Britiae» in un documento del 137577, potrebbe avere anche origine antica. A varie riprese vi sono stati trovati pavimenti in mosaico e strutture antiche, in parte anche con intonaci dipinti78 e nell’immediato dopoguerra era ancora accessibile un ambiente a volte sottostante alla strada dinanzi alla chiesa, apparentemente con strutture in opera reticolata e nicchie, dalle cui adiacenze provengono una mano sinistra di statua in marmo delle dimensioni di 11/2 il naturale, reggente un’asta o uno scettro, lunga m. 0,23, e due vasetti per garum. Man mano che si procede poi verso O. ci si inoltra maggiormente nell’area soggetta alle inondazioni del Volturno e dell’Agnena, i cui apporti alluvionali hanno man mano livellato il suolo, colmando le, sia pur minime, depressioni; ma ciononostante nel punto dove il canale sul lato NO. della strada di bonifica Pizzo della Torre incontrava il tracciato che abbiamo ritenuto quello dell’Appia, sono state trovate, sempre a discreta profondità, delle tombe in tegole, e alcuni tratti di vie campestri sembrano possibili, anche se incerti indizi della sopravvivenza dell’antica via. Per quel che riguarda Urbana, che non sappiamo fino a qual punto sia stata un vero e proprio nucleo abitato o piuttosto costituita da abitazioni sparse con un centro della vita pubblica e commerciale, la localizzazione che appare più probabile è nella zona fra Rimesse ad O. di Borgo Appio e Tor degli schiavi, da dove proviene anche un sarcofago con iscrizione greca che vi era stato riutilizzato come fontana79. Si tratta infatti delle sole località relativamente elevate in quel tratto della pianura fra Volturno e Agnena, e vi affiorano detriti di costruzioni e numerosi frammenti di ceramica di età romana, mentre a varie riprese vi sono state trovate; soprattutto alle Rimesse, tombe in tegole. È vero che tale zona dista dal tracciato dell’Appia più di mezzo chilometro, ma, a parte il fatto che tale distanza non è grande, la «statio» o «mansio» poteva essere al bivio, che è da supporre in qualche modo condizionato dal ponte sull’Agnena, e nei cui pressi poteva essere anche il foro. Forse ancora più cruciale è il problema del «pons campanus», complicato dalla divergenza delle distanze negli itinerari, che tutto fa supporre dovuta ad errori paleografici, ma può anche aver contribuito, più che uno spostamento del corso d’acqua, uno spostamento della «statio», sempre possibile in zone minacciate da piene e indubbiamente malsane. Anzitutto non è detto che il ponte attraversasse il Savo, il cui percorso interessava gran parte dell’ager Falernus, ma può aver subito spostamenti anche di una certa entità anche prima della bonifica, e le cui piene hanno certamente contribuito a cancellare le tracce dell’insediamento antico.

76

Dalla stessa località proviene anche un cippo in calcare, attualmente inserito nella base della torre, con iscrizione in caratteri condizionati dalla durezza del materiale, relativa ad un L. Diomedes Campanus e per il resto quasi illeggibile, ma comunque di età imperiale (v. supplemento No. 2). 77 F. GRANATA, Santuario Capuano, Napoli 1766, p. 5. 78 Su tali rinvenimenti v. in Atti Comm. cons. mon. Terra di Lavoro 1870, p. 142. 79 È in marmo bardiglio, delle dimensioni di m. 2,16x0,80x0,61 di altezza; il lato anteriore è ornato da un clipeo scorniciato con l’iscrizione sostenuto da delfini fra due festoni di foglie di lauro con bacche legati da bende alle estremità e sormontatì da rosette con petali appuntiti: sulle fiancate sono festoni analoghi; il rilievo è molto piatto e i festoni sono poco articolati, ma, tutto sommato, l’esecuzione è relativamente discreta. Anche se una datazione più precisa è difficile per la mancanza di confronti di cronologia più sicura, specie in Campania, dovremmo rimanere, a mio avviso, nell’ambito del III secolo non troppo inoltrato, anche per la relativa organicità dei delfini e lo schema derivante da una tipologia abbastanza diffusa in età antoniniana. V. Atti Comm. cons. mon. Terra di Lavoro 1886, p. 135 s. 80 V. oltre a Plin., n.h. XIV, 62, Fest., ep. p. 45 (Caediciae tabernae); Plin., n.h. XI, 97, 241 (caseus caedicius); v. anche sotto, n. 82.

139


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 140

140

Poteva trattarsi infatti anche dell’attraversamento di qualcuno degli affluenti, come, per esempio, il Rio Roda vecchio, che si trova anch’esso fuori dell’area della distribuzione di terreni nella zona interessata dal tracciato della Via Appia. Più in là, un tratto di via campestre ad O. della stazione Falciano-Mondragone, in territorio probabilmente già sinuessano, e uno in località Salera, non molto lontano ormai dalla zona del cimitero di Mondragone e dove non manca qualche blocco di trachite, potrebbero essere in rapporto con la strada. Fra questi due luoghi dovevano essere, nella regione chiamata campus Caedicius, le Caediciae tabernae, alla distanza di 6 miglia da Sinuessa circa, mentre il vicus omonino era, come vedremo, probabilmente più a monte80. Per quel che riguarda l’ulteriore percorso del confine fra il territorio di Sinuessa e l’ager Falernus conosciamo anche qualche altro indizio, anche se per il momento pure assai vago, quasi quanto l’ubicazione del «pons campanus». Se non è chiaro il valore di un’iscrizione di carattere pubblico trovata presso Masseria Agiti, pressappoco all’incontro fra il kardo occidentale e il decumano inferiore dell’ager Falernus, e perciò pertinente, se non viene da zone molto più ad O., evidentemente a Forum Popili e non a Sinuessa81, un’iscrizione riutilizzata nel campanile della cattedrale di Carinola, databile verso la metà del I secolo a.C. o poco dopo, proviene evidentemente dal vicus Caedicius e risolve forse il problema della pertinenza territoriale di tale entità82. Questa apparteneva al monumento di un certo L. Papius della tribù Falerna, che può essere nato quindi nell’ager Falernus o anche a Capua o a Nola ed è stata apposta dal figlio omonimo, ascritto alla tribù Teretina, che, fra l’altro, è la tribù di Sinuessa83, e che ricopriva evidentemente in quella città la carica di duovir. La sportula offerta da costui in memoria del padre consisteva in un «crustum et mulsum» per i coloni, evidentemente gli ammessi al voto, di Sinuessa e tutti i Caediciani, compresi probabilmente donne e schiavi, e in uno spettacolo gladiatorio e una cena offerti ai soli coloni sinuessani e ai propri familiari. Sono a favore dell’ubicazione del vicus Caedicius nel territorio di Sinuessa la graduatoria nell’offerta del «mulsum et crustum», il fatto che il duumvirato non appare accompagnato dal nome della comunità, e, in misura non del tutto irrilevante, il fatto che, contrariamente a Sinuessa, Forum Popili non doveva essere ancora colonia in età tardorepubblicana84, e la presenza della gens Caedicia, di origine evidentemente laziale, nell’ordo di Sinuessa, dov’è attestata fin dall’età tardo-repubblicana, e di Minturnae, fondata contemporaneamente come colonia di cittadini85. In base alla misura itineraria da Sinuessa data da Plinio il vicus Caedicius86 è più o meno localizzabile e doveva essere evidentemente non troppo lontano dal piede del Massico, in quanto la via proseguiva per Faustianum. Si è già accennato alla strada che si staccava dall’Appia poco ad E. della Starza presso Mondragone e di cui è in gran parte conservato il tracciato antico e si conservava fino a non molto tempo fa qualche tratto di selciato in calcare. Dopo un primo tratto, attualmente incassato, ma sul cui lato destro sono visibili, poco sotto il piano di campagna, resti della massicciata e, in corrispondenza del percorso antico del fosso di S. Paolo, avanzi di un ponte con il fornice di blocchi di tufo uniti senza malta e il nucleo in opera a

81

Atti Comm. cons. mon. Terra di Lavoro 1886, p. 27, No. 12; Ephem. epigraphica VIII, 565. È su un cippo di calcare locale conservato per l’altezza di m. 0,98, largo 0,62, e spesso 0,29, con lettere incise piuttosto accuratamente, quasi senza apici, alte 0.055, per cui va datata con ogni probabilità alla prima età imperiale. Il testo è stato interpretato: ...../ DVOVIR / pORTAS IIII LAP(ide) / STERNENDAS EX / D.D.F.C.IDEMQUE / PROBAVERUNT. In realtà nella seconda riga sembra poter leggere ..ORIAS, per cui si potrebbe anche pensare ad una restituzione fORIAS, e in tal caso si tratterebbe della costruzione di 4 loriche pubbliche, di etti una potrebbe esser stata nel luogo di rinvenimento, dove sono noti avanzi antichi, sia pure non meglio definibili nelle condizioni attuali. Se fosse vera l’altra ipotesi, l’iscrizione sarebbe stata invece trasportata almeno da Forum Popili, che si trova a ben 4 chilometri e si tratterebbe, ovviamente, di un restauro delle porte già esistenti. 82 C.I.L. X. 4727; C.I.L. I, 2, 1578; DESSAU, I.L.S. 6294; DEGRASSI I.L.L.R.P. 667; R. DUNCAN-JONES, in Pap. Br. Sch. Rome XXXIII (1965), p. 243. No, 585. 83 Sulla questione v. R. TAYLOR, The voting Districts of the Roman Republic, PMAAR XX (1960), p. 58, 90, 94, 245. 84 Nel Liber Coloniarum (p. 233) è detto: Forum Popili oppidum muro est ductum (è chiaro che si tratta, come in altri casi, quali Beneventum, Aquinum, ecc., di mura già esistenti da tempo, e non come sostiene recentemente P.A. FÉVRIER, in Omaggio a F. Benoît, III. Bordighera 1972, p. 278 s., di mura contemporanee alla deduzione); iter populo debetur p. XV: limitibus augusteis ager eius in iugeribus est adsignatus; nam imp. Vespasianus postea lege sua agrum censeri iussit. D’altra parte nessuna delle iscrizioni in cui sono citati i duoviri è anteriore all’età augustea, contrariamente a quanto risulta per Sinuessa, dove una iscrizione trovata recentemente relativa a un DVOMVIR è tardo-repubblicana (v. sotto n. 85). 85 Una iscrizione di età tardo-repubblicana, che sarà resa nota in altra sede e in cui figura un Caedicius come duomvir (v. sopra. n. 84) è stata rinvenuta recentemente a Sinuessa; una Caedicia Victrix appare su un bollo di anfora (C.I.L. XV, 2, 3424) impresso sul collo come i pochi rinvenuti finora a Sinuessa e evidentemente locali; per Minturnae, v. C.I.L. X 6017. 86 Per le fonti v. sopra. n. 80; sulla questione v. fra l’altro NISSEN, Ital. Landeskunde, II cit., p. 665. 87 La villa in località Ciaurro. dove la strada attuale devia dal tracciato antico, si trova, come degli affioramenti di ceramica in località Lenze, a monte della via, mentre altre ville, presso la «torre del paladino», in località Lenze e ad O. del fosso S. Paolo erano a valle. L’abbondanza di frammenti di anfore in tali ville dimostra evidentemente che si trattava di centri di importanti aziende agricole.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 141

sacco, questa via proseguiva fino a NO. dal lago di Falciano, da dove raggiungeva Forum Popili, mentre un diverticolo si dirigeva verso Casanova di Carinola. Sicuramente antico è inoltre il tratto di via che attraversa Falcìano da SO. a NE., dalla cui pavimentazione in grandi lastre, conservata ancora nell’immediato dopoguerra, deriva il nome di Falciano Selice. Un suo prolungamento nello stesso asse è possibile verso SO. in quanto, oltre a non incontrare ostacoli naturali, verrebbe a coincidere con un tratto di via campestre in località Lenze e a sboccare sull’Appia più o meno in corrispondenza dell’innesto della strada per Forum Popili subito fuori del cimitero di Mondragone; mentre un eventuale prolungamento verso NE., meno probabile, a causa della presenza di rivoli incassati, ma non del tutto impossibile, raggiungerebbe Forum Claudi. La zona di Faustianum doveva essere evidentemente relativamente in alto verso il piede del Massico, e, a giudicare dalla distanza indicata da Plinio, all’incirca fra Falciano e Casanova, anzi, se nel percorso non c’era una deviazione netta, piuttosto verso quest’ultima, per cui era possibile raggiungerla dal pagus Sarclanus per ambedue le vie. La strada più a valle sembra, per il suo tracciato non rettilineo e per l’allineamento su di essa di varie ville rustiche risalenti, in base alla presenza di ceramica a vernice nera, almeno in parte ad età repubblicana, la più antica, e la sua sistemazione ad arteria di traffico dev’essere avvenuta, a giudicare dalla tecnica di costruzione del ponte, al più tardi in età tardo-repubblicana. Vi troviamo un certo addensamento di avanzi antichi fra le località Lenze e Masseria Ciaurro, dove sono tre complessi di ville87 e due monumenti funerari, dei quali quello più importante, chiamato torre del Paladino, si trova esattamente alla distanza di 6 m.p. da Sinuessa. Inoltre proprio in corrispondenza di quest’ultimo la via è fiancheggiata a N. da una fascia di costruzioni in laterizio di profondità limitata che potrebbero far pensare a tabernae, ma se, d’accordo con Festo, le Caediciae tabernae, erano con ogni probabilità sull’Appia, il tracciato di questa distava poco meno di mezzo miglio; il che non è incompatibile con un’eventuale estensione di un fundus, che poteva anche comprendere parte del campus Caedicius dove veniva prodotto il formaggio omonimo88. Anche se, come si è detto, lungo la via Appia sono ancora possibili sorprese, la presenza di un nucleo più a monte, per cui è lecito pensare ad un diverticolo e la menzione in altri casi di tabernae che tutto fa supporre ad una certa distanza dell’insediamento vero e proprio, di cui costituivano uno sbocco commerciale89, può concorrere a localizzare il vicus Caedicius nella zona della torre del paladino. Invece più a monte e pertanto ad una maggiore distanza dell’Appia doveva, semmai, trovarsi il vicus Petrinus, che le notizie letterarie concorrono ad ubicare nella zona di confine fra Sinuessa e l’ager Falernus90 e il nome stesso, conservatosi nelle colline che sovrastano Mondragone, impedisce di discostare troppo dalle ripide e sassose pendici del Massico, ai cui piedi, nella conca fra Ponte dell’impiso e masseria Fievo si è potuta riscontrare una notevole densità di avanzi di età romana e in parte più antichi91. Quanto alla torre del Paladino, anche se l’incasso in alto sul lato verso la strada (S.) ha la stessa larghezza dell’iscrizione funeraria di L. Papius (m. 2,70) è stata costruita certamente con una spesa alquanto superiore ai 12.000 sesterzi, da cui va comunque detratta quella delle sportulae, in quanto si tratta di un monumento costituito da un podio di m. 8 x 8 circa e altrettanto alto, contenente la camera sepolcrale rivestita, come in antico anche l’esterno, da blocchi squadrati di calcare, e sormontato da un’edicola, di cui ci è pervenuta solo la parte più bassa92. Piuttosto andrebbe preso in considerazione per l’epigrafe l’altro monumento più piccolo, di cui sopravvive solo il nucleo in opera a sacco presso masseria Lenze, sempre a N.

88 V. su questo Plin., n.h., XI. 97, 241, che lo distingue dal formaggio Vestino. Non sappiamo se era prodotto con latte ovino o bovino (non c’erano ancora bufali ma si tratta comunque di una produzione tipica di un’economia latifondistica). 89 Cfr. il caso di Caudium (Horat. Sat. I 5, 51, dove le cauponae sono evidentemente la stessa cosa); sul significato di taberna a tal proposito v. anche K. SCHNEIDER, in Pauly-Wissowa IV A 2, col. 1870 s. 90 V. sul vicus Petrinus Cic., fam. VI, 19, 1 (la villa di Macula nell’ager Falernus sarebbe adatta come «deversorium», ma non così quella di Lepta nel vicus Petrinus o nelle sue vicinanze, più adatta per trattenervisi, il che sembra dimostrare che quest’ultima doveva essere più fuori mano); Horat., epist. I 5, 5 (pone la località nel territorio sinuessano); Pomponius Porphyrion, ad Hor. loc. cit. (Petrinum vicus olim et locus in agro Falerno). 91 Tutta la conca fra l’attuale monte Petrino, su cui sorge il castello di Mondragone, e la vetta del Massico, a valle delle cave di marmo, è ricchissima di avanzi antichi. Nella parte più vicina alla presumibile linea di confine fra Sinuessa e l’ager Falernus affiorano a monte dell’attuale strada da Mondragone a Falciano tracce di una grande villa rustica o di un agglomerato, dove ho potuto raccogliere anche qualche frammento di «bucchero rosso» di età arcaica. 92 Il nucleo della muratura è in opera cementizia fatta di scaglie calcaree: la camera sepolcrale, accessibile dal lato opposto alla strada (N.), ha la volta a botte in grandi cunei, riceve luce da lucernarii ed ha lungo le pareti incassi per un rivestimento, forse marmoreo, che fa pensare ad una datazione non anteriore all’età cesariana. 93 In una bolla di Innocenzo II del 1138 (MENNA, Carinola cit.. p. 16) il confine della diocesi di Forum Claudi seguiva, partendo da una località chiamata Petra minutula una via, probabilmente quella antica da Suessa a Teanum, e poi il Savone (Sagonem) fino oltre la confluenza con l’Aolia (evidentemente l’Agnena); comunque tale confine che taglia in due l’ager Falernus dev’esser ritenuto antico e risale, come si vedrà, evidentemente alla deduzione della colonia di Urbana in età sillana.

141


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 142

142

della strada, o qualche altro di cui non sussiste attualmente alcun avanzo visibile. A N.O. il confine dell’ager Falernus verso Sinuessa e in parte verso Suessa doveva poi coincidere più o meno con il crinale del Massico e raggiungere poi probabilmente la località Tre vescovi a monte di Casale, dove confinavano le diocesi di Carinola, Sessa e Teano. Poiché poi la parte N. della centuriazione sembra interrompersi in corrispondenza del Rio Persico, è probabile che questo costituisse, insieme con il Rio Fontanelle, anche il confine antico, verso Teanum, così come lo è oggi per la diocesi e per il comune. Oltre il Savone non sono invece altrettanto chiari i confini verso Cales e il campus Stellatis, in quanto la località Ciamprisco, facente parte della diocesi di Capua, rientrava certamente nella centuriazione dell’ager Falernus93. Quanto al sistema viario, mentre non conosciamo ancora sufficientemente quello dell’area fra la centuriazione e il piede del Massico, dove tuttavia qualche strada antica è sicuramente individuabile, è abbastanza chiaro il tracciato di due vie che si diramavano nello stesso luogo dal decumano principale presso Ciamprisco per raggiungere Teanum e Cales. Mentre ambedue sembrano non posteriori al III secolo a.C., in quanto sono fiancheggiate nei territori di ambedue le città da tombe in parte di tale periodo94, la seconda, perfettamente rettilinea, è fiancheggiata anche in più punti da tombe in tegole in gran parte di età imperiale. Oltre a Forum Popili e ad Urbana, è noto, sia pure solo da fonti medioevali, un abitato dal nome Forum Claudi, che fu sede vescovile fino verso la fine dell’XI secolo, quando fu costruita la cattedrale di Carinola. Il nucleo era fra l’abitato attuale di Ventaroli e l’attuale strada nazionale N.° 7 (Appia), all’estremità N. del kardo occidentale della centuriazione. Su una bassa collina affiorano le strutture, pertinenti in parte alle fondazioni, di un vasto complesso, che comprendeva forse il foro, e sulle pendici a S. l’antica cattedrale, chiamata tuttora episcopio, che risale all’XI secolo, ha incorporato parte delle strutture di una basilica più vasta, orientata anch’essa verso S.-O. e inserita fra strutture in parte precedenti. Ad E. sono infatti gli avanzi di un edificio ottagono, evidentemente un monumento sepolcrale con l’accesso dal lato S.O., opposto alla strada, e fra questa e il nartece-battistero sono ambienti risalenti anch’essi, per la tecnica di costruzione, con ogni probabilità al I secolo dell’impero. La chiesa più antica, databile per la tecnica piuttosto accurata del laterizio fra gli ultimi decenni del IV e VI secolo non troppo inoltrato95, era a tre navate con abside semicircolare all’estremità di quella centrale, alquanto più larga, aperta a N-E. con tre arcate verso il nartece, i cui corpi laterali si aprivano verso le navatelle. A N.O. del vestibolo sono gli avanzi di un complesso databile anch’esso, per la tecnica di costruzione, ad età tardo-romana e forse contemporaneo alla basilica, con ambienti a volte che potrebbero far pensare ad un uso termale96. A N.O. dell’abitato attuale, su una collina, sono, inoltre, avanzi di un complesso di cisterne databili per le strutture in quasi-reticulatum di tufo, rimaneggiate più tardi, con ogni probabilità di età tardo-repubblicana. Nella zona chiamata Faustianum non è stato finora individuato un vero e proprio nucleo, ma nella zona maggiormente indiziata, fra Falciano e Casanova, sono stati individuati varii avanzi antichi. In località Cambieri, a S. del cimitero di Casanova, sono state trovate sul lato S-E. della carrozzabile attuale tombe in tegole di età romana e affiorano tuttora sul terreno frammenti di tegole e di ceramica di quel periodo. In località S. Salvatore (quota 131) e Cerquelle (quota 86) ad E. di Masseria Zannini affiorano avanzi importanti di ville rustiche, di cui tratteremo più avanti. Per il resto, mentre lungo le vie principali e in particolare lungo i decumani sono accertati allineamenti di tombe, soprattutto in tegole97, anche le ville rustiche che, a giudicare dall’estensione degli affioramenti di

94

Il tratto della prima di queste vie che corre lungo la linea ferroviaria tra Sparanise e Teano è fiancheggiato su ambedue i lati da tombe in blocchi di tufo con copertura a doppio spiovente; sull’altra ha il prospetto, nella necropoli di Cales, almeno una tomba ad edicola di tipo laziale in blocchi di tufo uniti senza malta (v. su tale tipo JOHANNOWSKY in Boll. d’Arte XLVI (1961), cit., p. 264). 95 Purtroppo lo scavo è stato eseguito con i criteri ancora troppo in uso presso varie Soprintendenze ai monumenti, fra cui soprattutto quella di Napoli. Infatti non si è tenuto nessun conto della stratigrafia e dei materiali utili per la datazione delle varie fasi. 96 Potrebbe essere un annesso della residenza vescovile o di pertinenza ad una diaconia, come il «balneum Nostriani» a Neapolis (v. su questo «gesta Epp. Neapol. c 31, p. 418). Almeno uno degli ambienti sembra esser stato una cisterna. 97 Ho raccolto sul posto, devastato da una cava di tufo, frammenti di ceramica a vernice nera e di «presigillata»; devo le notizie su altri materiali rinvenuti soprattutto al geometra Santoro, ispettore onorario della Soprintendenza ed ex sindaco di Carinola, benemerito anche per numerose altre segnalazioni. 98 In località Vaglie, dove esistono pochi avanzi in opera cementizia della villa, ho potuto raccogliere nel luogo della figulina fra l’altro frammenti di ceramica a vernice nera; vi è stato trovato inoltre il frammento di tegola con bollo circolare al No. 5 della sylloge epigrafica; le altre due ville, di cui si conservano imponenti strutture di sostruzione in opera poligonale, sono in località S. Salvatore, su un costone fra Falciano e Casanova, e in località Castellone sopra Falciano Capo.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 143

cocciame e calcinacci dovevano essere, con tutte le riserve per l’incompletezza dell’esplorazione, fra le più importanti, erano spesso in diretto rapporto con la rete viaria principale. Un complesso di santuario di cui fu esplorata una favissa, con materiali che non è stato possibile individuare con sicurezza nel museo di Napoli, era in località Starzetella, ad O. del lago di Falciano, presso la via del foro del pagus Sarclanus a Forum Popili, in territorio forse già sinuessano o comunque non lungi dal confine. Comunque, a giudicare dalla presenza di teste, mezze teste e membra, in parte di grandezza naturale, almeno una parte dei materiali non sembra essere anteriore al IV secolo inoltrato, mentre altre terrecotte votive, trovate presso Croce di Casale, sono di età ellenistica anche inoltrata. Contrariamente a quanto avviene per Forum Popili, nella maggior parte degli affioramenti di cocciame in pianura e, fra l’altro, anche nella zona più bassa, sono stati trovati frammenti di ceramica a vernice nera, per cui si può dire che almeno fin dall’età tardo-ellenistica c’era una certa densità abitativa. Ciò vale anche per la zona pedemontana a monte di Forum Popili, mentre sulle propaggini vere e proprie del Massico sono finora note solo delle ville di pendio in parte con opere di sostegno in opera poligonale, risalenti al più tardi al periodo immediatamente successivo alla guerra annibalica, ma largamente rifatte in età tardo-repubblicana, presso una delle quali, in località Vaglie, sono stati trovati anche evidenti indizi di una figulina, la cui attività, favorita da una abbondante sorgente, si è protratta almeno dal II secolo a.C. al II secolo d.C.98. Sono frequenti quasi dovunque i frammenti di anfore vinarie, ovviamente dei tipi la cui produzione in Italia è ormai accertata e che potrebbero essere anche in parte di manifattura locale, data la presenza di cave d’argilla sfruttate fino ad alcuni decenni or sono presso la località Cerquelle e l’argilla color crema, morbida, diversa, p. es., da quella tipica di Sinuessa, in cui sono gran parte dei frammenti, e in particolare quelli da Vaglie99. Ciò e la presenza di numerosi frammenti di dolii conferma quanto conosciamo dalle fonti letterarie sull’economia in gran parte basata almeno fino a tutto il I secolo d.C. sulla viticoltura dell’ager Falernus, come, del resto, quella del vicino territorio sinuessano, dove però sono più abbondanti le figuline pertinenti in parte a ville, mentre l’abbondanza di sigillata chiara sia del tipo A, che di quello B-C, dimostra che le aziende agricole devono essere sopravissute fino al tardo impero. Se è chiaro che ciò non implica la sopravvivenza dello stesso tipo di colture, nulla ci permette di affermare il contrario, in quanto la scomparsa della produzione di anfore italiche nel corso del II secolo sarà dovuta con ogni probabilità al graduale prevalere di altri tipi di contenitori quali, ad esempio, i fusti100. Se e solo quando l’indagine sul terreno sarà stata maggiormente sviluppata e integrata da qualche scavo si potrà forse avere un’idea più precisa dello sviluppo della proprietà e, sia pure di larga massima, dell’estensione media dei praedia in alcune parti dell’ager Falernus in età tardo-repubblicana e imperiale, sembra tuttavia giustificata l’impressione che nelle zone alte, in origine certo ager publicus e comunque più adatte a sfruttamento estensivo, le proprietà fossero notevolmente ampie, mentre l’estensione di 1.000 iugeri attestata per l’età augustea per la «bassa»101 potrebbe esser stata più o meno la norma per le proprietà grandi, ma non grandissime nella pianura. Mentre è probabile, comunque, che, indipendentemente dalla vendita di appezzamenti assegnati, verificatasi, data l’esiguità delle quote, forse già presto, già prima della guerra annibalica zone di ager publicus siano state date in uso ad esponenti della classe dirigente romana, dopo il 211 e nel corso del II secolo la situazione dell’ager Falernus dev’esser stata, sia pure forse in misura minore che non il vicino territorio di Sinuessa, fra i più colpiti dalla crisi agraria e dall’espansione della proprietà latifondistica, di cui le colture viticole ed olearie e l’allevamento, praticato poi nel campus Caedicius, sono ben note caratteristiche. Non a caso, infatti, proprio in tale periodo i vini italici, fra cui evidentemente anche le varie qualità di Falerno, che non possono aver acquistato fama di botto, diventano concorrenziali rispetto a quelli greci, i cui contenitori, frequenti negli strati più antichi di Sinuessa, tendono man mano a scomparire102.

99

L’argilla tipica delle anfore di Sinuessa è rossiccia, dura, abbastanza porosa. V. su tale problema fra l’altro C. PANELLA in D.d.A. VII (1973), p. 343 s. 101 Hor., Epod., IV, 13. 102 Già negli strati più antichi trovati l’anno scorso immediatamente fuori delle mura ad E., sono presenti, accanto a frammenti di anfore rodie, in quantità notevole quelle locali, anch’ esse con anse a sezione ovale e con orlo a taglio obliquo nettamente sporgente, insieme a lucerne a vernice nera con presa laterale forata, che rientrano anch’esse sostanzialmente nel III secolo. 103 Oros. V, 9 «Nam et Minturnis quadrigenti et quinquaginta servi in crucem et Sinuessae ad quattuor milia servorum a Q. Metello et Cn. Servilio Caepione oppressa sunt». 100

143


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 144

144

E proprio a Sinuessa, dove la presenza di manifatture di anfore in tale periodo è sintomatica, scoppiò nel 133 una rivolta servile che si ebbe difficoltà a reprimere, ed ebbe come strascico l’esecuzione di circa 4.000 schiavi103. Pertanto non mi pare troppo avventato ipotizzare che Forum Claudi e, d’accordo con Mommsen, Forum Popili, che erano ambedue in territorio allora evidentemente ager publicus, possano esser state create nell’ambito delle distribuzioni immediatamente successive a tale avvenimento, volute da Tiberio Gracco e, in concorrenza, evidentemente dal suo avversario P. Popillius Laenas, e ciò si accorderebbe anche meglio con i dati archeologici attualmente disponibili. Mentre Forum Claudi potrebbe aver infatti avuto il nome da Appius Claudius Pulcher, console nel 143 e triumvir agris dividendis colonisque deducendis nel 133 insieme con Tiberio Gracco104 e Forum Popili potrebbe esser stata fondata, come il centro omonimo in Lucania da P. Popillius Laenas, console nel 132, il quale si vanta nell’elogium da Polla «eidemque primus fecei ut de agro poplico aratoribus cederent pastores»105, manca allo stato attuale qualsiasi conferma alle ipotesi secondo le quali tali «fora» sarebbero stati creati da loro progenitori che furono consoli nel IV secolo106. Oltre tutto la soluzione per cui propendo sarebbe coerente con la politica di rivitalizzazione di centri scomparsi e di creazione di nuove entità politiche sia pure con diritti limitati in zone che ne erano prive, perseguite soprattutto dal partito democratico dai Gracchi fino a Cesare107. Dopo lo scarso successo delle riforme graccane, troppo moderate per poter coinvolgere le masse popolari, in età sillana una parte piuttosto estesa dell’ager Falernus, che comprendeva molto probabilmente tutta l’area fra Savo e Volturno, fu attribuito alla nuova colonia di Urbana, dedotta forse in seguito alla guerra civile, la quale perse l’autonomia evidentemente in coincidenza con la deduzione della colonia cesariana a Capua nel 59. Infatti il progetto forse completamente realizzato solo dai triumviri nel 43, di dedurre nell’agro Campano ben 20.000 coloni con l’assegnazione individuale di 10 iugeri era effettivamente concretabile solo comprendendovi non soltanto le aree non centuriate a valle di Casilinum e il Campus Stellatis, ma anche una fascia più vasta sulla destra del Volturno108. Il resto del territorio rimase a Forum Popili che al più tardi con la deduzione della colonia in età augustea, quando furono probabilmente distribuite vaste zone di ager publicus ad O., ebbe piena autonomia109. Ciò spiega, fra l’altro, anche la sopravvivenza di tali confini per la diocesi di Forum Claudi e di conseguenza per il gastaldato longobardo di Carinola che sopravvivono nei confini comunali di età moderna 110.

104

Il suo nome risulta, fra l’altro, sui cippi C.I.L. I 553 = X 289, dal Vallo di Diano; C.I.L. I 552 = X 3861, da S. Angelo in Formia; C.I.L. I 1504 = X 3760, da Arienzo, in territorio di Suessula. 105 C.I.L. X 6950; contrariamente a Radke e Wiseman accolgo l’opinione di Degrassi (I.L.L.R.P., p. 253 s.). secondo cui la via da Capua a Rhegium, portata a buon punto da P. Popillius Laenas, sarebbe stata semplicemente completata dal pretore T. Annius Luscus. 106 Sul problema di Forum Popili v. fra l’altro MOMMSEN in C.I.L. X. p. 460; NISSEN, Ital. Landeskunde II, cit, p. 691; WEISS in Pauly-Wissowa VII, I, col. 72, che pensa al console del 316; RADKE in Pauly-Wissowa suppl. XIII col. 1498 s., che mette in relazione la fondazione di Forum Claudi con il consolato di Appius Claudius Caecus nel 307. 107 Nell’ambito di tale politica vanno visti, oltre ai varii tentativi di ridare a Capua il diritto di città, conclusisi nel 59, dei fatti di cui si è potuta avere un’idea più precisa solo recentemente, grazie ad indizi archeologici. Così pare sia successo, infatti, per il centro economico e politico del pagus Sarclanus, che era fino al II sec. a.C. nella zona di Penetelle a S. di Mondragone, presso un importante santuario risalente ad età arcaica, e che risulta poi nel complesso in località Starza, in posizione più favorevole ai traffici, costruito fra gli ultimi decenni del II e gli inizi del I secolo. Lo stesso pare si possa ormai dire per Rufrae, che in età sannitica e, fino a dopo la guerra annibalica sembra essersi accentrata principalmente nella zona intorno all’attuale abitato di Presenzano, e dove, fra la fine del II secolo e la prima metà di quello successivo, sorge un nuovo complesso pubblico del vicus a ben 3 km. di distanza, in posizione anch’essa più commerciale, sulla via Latina, presso la stazione ferroviaria. 108 Il fatto che Plinio (N.H. III, 5, 64) menzioni fra le comunità autonome gli Urbanates non vuol dire che questi fossero autonomi ancora ai suoi tempi. Sulla deduzione della colonia cesariana v. Vell. Pat. II, 44; Suet., Caes. 20; Appian, bell. civ., II, 10. 109 Sulla municipalizzazione dell’Italia v. fra l’altro E. GABBA in Studi classici e orientali, 1973. 110 Non sappiamo a quando risale l’occupazione del sito dell’attuale Carinola, che si trova in posizione ben difendibile, circondata da burroni, ma è probabile, data anche l’assenza, per il momento, di avanzi antichi, che sia avvenuta dopo la distruzione definitiva di Forum Popili, forse in seguito alle devastazioni operate dai Saraceni.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 145

SUPPLEMENTO EPIGRAFICO

Alle epigrafi già edite in C.I.L. X, p. 460 e., sono venute ad aggiungersi le seguenti, tuttora inedite: 1) rinvenuta nel 1915 a Civitarotta, in proprietà Sciandone Nicola, attualmente perduta, su lastra di marmo di 0,81 x 0,59 (atti Soprintendenza) C.MESSI0.C.F.Q.L.SCAEV (ae ) / II VIR. TERT/ CVI.LEGE.FLAVIA. DATUM.EST / PRIMVS. SENTENTIAM. SVI. ORDINIS/INTERROGARETVR.CUIQUE / POST.MORTEM.PVBLICE.FUNVS / LOCVSQVE. SEPVLTVRAE. DECRETUS / EST SCAEVA F è di notevole interesse dal punto di vista giuridico in quanto il personaggio in questione è il primo, evidentemente, dell’ordo di Forum Popili, cui erano stati concessi, probabilmente quando ricopriva la carica di duovir, determinati poteri giurisdizionali, la cui più precisa natura ci sfugge, in base ad una finora sconosciuta lex flavia che è lecito supporre riguardasse i poteri dei magistrati municipali. 2) rinvenuta a Torre Frascale (Capua) e attualmente inserita nella muratura, su cippo di calcare alto 1,75, largo, fino ad una risega di fondazione che si trova all’altezza di 1.08, 0,67, e più in alto 0,53, frammentata in alto a destra e molto rovinata nella superficie C......... / LDIOMEDIS / CAMPANI . / ///..... ETEx.../ ............ le lettere, alte 5,5 crn, sono incise piuttosto male, il che rende piuttosto problematica anche la datazione, anche se propenderei per l’età imperiale inoltrata. Non è chiaro se si tratti di un cippo funerario o di un limite. 3) S. Andrea al Pizzone, dinanzi alla chiesa vecchia; cippo di calcare a forma di ara, sporgente dal suolo per l’altezza di m. 0,82; m. 0,52 x 0,49 M M S / CORNELIAE ADA / .AE QUE VIXIT /......... sul lato destro patera; probabilmente, per i caratteri relativamente curati, I o II secolo d.C.

4) Falciano di Carinola; lungo il decumano meridionale dell’ager Falernus 400 m. ad E. di S. Ianni è stata rinvenuta una tomba alla cappuccina costituita da tegole, in parte con il bollo SABATI: si tratta di un bollo databile alla primissima età imperiale, (C.I.L. X, 8042, 98), di diffusione prevalentemente costiera (altri esemplari provengono, fra l’altro, da Sorrento, Pompei, Ercolano, Forio d’Ischia, Paestum, Marano, Pignataro maggiore). 5) Località Vaglie; nello scarico della figulina è stato raccolto un frammento di tegola con il bollo piuttosto mal impresso, che non trova riscontro in altri finora noti, e non può comunque essere anteriore all’età flavia.

145


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 146

REPERTORIO TOPOGRAFICO

146

Pur essendo l’esplorazione ancora largamente incompleta, ritengo opportuno e utile aggiungere in questa sede un elenco delle preesistenze archeologiche accertate nell’area principalmente interessata dalla presente ricerca che verrà, ovviamente, proseguita. Ai numeri corrispondono, ovviamente, quelli indicati sulle carte allegate. I numeri romani si riferiscono ai ritrovamenti di età preromana, troppo scarsi tuttora per non essere allo stato attuale sporadici e isolati. Seguono le vie di traffico, indicate con lettere, e poi gli abitati e i ritrovamenti di altro genere, indicati con numeri arabi. Per ciò di cui si è parlato già in una certa misura più sopra, si farà riferimento al testo. I Casanova di Carinola, presso l’estremità S. dell’abitato, in proprietà Passarelli, fu rinvenuta verso il 1924-25 una tomba apparentemente ad incinerazione (?), con «ossuario» d’impasto andato perduto e due cavigliere di bronzo massiccio databili in base ad associazioni di Capua e Calatia al periodo finale della prima età del ferro o all’orientalizzante antico (sul rinvenimento v. Maiuri, in Not. scavi 1925, p.90 s.). II Casale di Carinola - Località imprecisata. Verso il 1950 fu trovato un ripostiglio di bronzi, andato disperso, di cui ho potuto vedere in una collezione privata di Caserta un’ascia ad alette di un tipo notevolmente diffuso nella media età del bronzo nell’Europa centrale e in Italia. III Falciano del Massico - Località Masseria Curti - Sulle prime propaggini del Massico era stata intaccata da una cava di pietra una grotta contenente manufatti del paleolitico inferiore (musteriano); risulta dagli atti della Soprintendenza (relazione Buchner). IV Capua - Località Frascalicello - Ho potuto raccogliere sul terreno per un’estensione abbastanza vasta frammenti di ceramica d’impasto grezzo e un raschiatoio di selce. Nessuno dei frammenti ceramici presentava caratteri che potessero agevolarne la datazione. A-A) Decumano inferiore v. testo. All’estremità occidentale erano conservati pochi avanzi di lastricato fino a pochi anni fa. In località S. Ianni, 400 m. più ad E. e in località Terranuova sono state trovate a varie riprese tombe in tegole, e numerosi frammenti di tegole antiche sono riutilizzati nella muratura della masseria S. Ianni. B-B) Decumano massimo: per il tracciato v. testo. C-C) Decumano superiore, conservato in un tratto della strada nazionale Appia ad O. del ponte sul Rio Persico. D-D) Kardo occidentale: per il tracciato v. testo. E-E) Via Appia: v. testo. F-F) Strada dal decumano massimo a Cales: v. testo per il tracciato; nella zona a S. di Francolise e Sparanise risulta per lunghi tratti fiancheggiata da tombe in tegole e si è potuta raccogliere, poco ad O. dell’incrocio con l’attuale strada nazionale, ceramica grezza di età imperiale. G-G) Strada dal decumano massimo a Teanum Sidicinum: v. testo; del primo tratto che dalla zona di Ciamprisco raggiungeva Francolise, sono conservati tratti di massicciata in pietrame, probabilmente antichi, perché non tengono conto di irregolarità del tracciato della via attuale. H-H) Strada dalla Starza a Forum Popili: v. testo. I-I) Strada selciata lungo il piede del Massico. J-J ) Strade antiche fra Forum Popili e il Massico. 1) Forum Popili: v. testo per la descrizione del sito e delle fortificazioni; a breve distanza dalla parte O. del lato S. della cinta affiora la fondazione di un nucleo in opera cementizia a pianta quadrata; di m. 4x4 circa, pertinente probabilmente ad un monumento funerario. 2) Forum Claudi: v. testo. 3)Foro del «Pagus Sarclanus»: v. testo. 4) Santuario a S. di Mondragone, località Penetelle: v. testo. 5) Santuario in località Starzetella: v. testo. 6) Santuario in località Croce di Casale: v. testo. 7) Ad O. di Civitarotta: sul lato O. della fossa dell’Annunziata sono avanzi di un vasto complesso, i cui resti più visibili consistono in opere di terrazzamento sul bordo della fossa, con volte a botte e sulla fronte semicolonne di ordine dorico in parte franate; il complesso si estendeva, a giudicare dall’affioramento di materiali varii, soprattutto verso O.; le strutture, in quasi-reticulatum di tufo, fanno propendere per una datazione ad età tardo-repubblicana. 8) Falciano: località Castellone; sulla collina affiorano avanzi di una villa piuttosto estesa con muro di terrazzamento in opera pseudopoligonale con bugnato rustico e strutture affioranti in opus incertum e, più che


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 147

altro nella parte periferica, in opera reticolata; nel nucleo sono visibili in due ambienti attigui un pavimento in opus segmentatum con motivo stellare e uno in tessellato molto irregolare. Mentre il nucleo può risalire al II secolo a.C., così come l’opera di terrazzamento, e anche il pavimento in segmentatum, le altre strutture, in parte con orientamento diverso, possono essere di età tardo-repubblicana come di età imperiale non troppo inoltrata. 9) Località Ciaurro: v. testo. 10) Torre del paladino: v. testo. 11) Località Lenze: v. testo. 12) Località Torone (fra fosso S. Paolo e cimitero di Mondragone): v. testo. 13) Località Cerquette (presso casa Zannini): avanzi di villa rustica; affiorano le strutture di una cisterna, in opus incertum di calcare con volte a botte; si è potuta raccogliere ceramica, fra cui molti frammenti di anfore vinarie; frammenti a vernice nera e sigillata chiara. 14) Località S. Salvatore: su un costone del Massico avanzi di villa su due ripiani, di cui quello inferiore si estende a S. e E.; le opere di terrazzamento originarie sono in opera pseudopoligonale in grandi blocchi di calcare dalla faccia a vista levigata e con giunti perfettamente aderenti; al lato S. della terrazza superiore sono stati aggiunti dei vani con volta a botte aperti sul davanti e collegati fra di loro da aperture ad arco, con strutture in opus incertum di calcare e grossi caementa usati per i piedritti e i cunei; sulla terrazza superiore si intravede una cisterna o un bacino con rivestimento in cocciopisto pieno di detriti e di vegetazione; mentre le strutture in opera poligonale possono essere datate fra il III e il II secolo non inoltrato, quelle della fase successiva appartengono agli ultimi decenni del II secolo o agli inizi di quello successivo. Sui resti della villa è sorto, apparentemente nel XVI secolo, un convento, a sua volta poi trasformato in masseria e attualmente da tempo abbandonato. 15) Località Vaglie: per la figulina v. testo; gli avanzi della villa, con opere di terrazzamento in opus incertum di calcare, affiorano 200 m. ca. ad O. della figulina; vi affiorano frammenti di ceramica a vernice nera, di presigillata, arretina, e tardo-italica. Le strutture, tendenti già al quasi-reticulatum, possono esser datate ad età tardo-repubblicana. 16) Località S. Guido (a N-E. di Civitarotta): sono state rinvenute a varie riprese tombe di età romana, sia in tegole, sia a sarcofago di tufo, pertinenti probabilmente, data la vicinanza, ad una delle necropoli di Forum Popili. 17) Ventaroli, a N. dell’abitato (quota 166): cisterne romane, per cui v. nel testo. 18) Grazzanise, località Masseriola: avanzi di strutture e affioramenti di ceramica di età romana circa 1200 m. ad O. di Borgo Appio, a S. della strada per Cancello Arnone. 19) Zona fra Cavallerizze e Festarulo, ad O. di Borgo Appio: per una vasta fascia, e soprattutto in una zona leggermente soprelevata ad O. della via consorziale affiorano frammenti di ceramica, soprattutto sigillata chiara, e di tegole; risultano esser state rinvenute tombe in tegole e in muratura. 20) Torre degli Schiavi: circa 500 m. ad E. della masseria affiorano frammenti di ceramica di età romana, numerose tegole ed elementi di strutture in disfacimento; a detta dei contadini sono stati trovati anche resti di costruzione nei lavori di dissodamento del terreno. Per l’ubicazione probabile di Urbana v. testo. 21) Brezza: sui ritrovamenti nell’abitato v. testo. 22) S. Andrea al Pizzone: a S. del decumano inferiore dell’ager Falernus, in località Terranuova, affiorano numerosi elementi di murature disfatte in tufo, oltre a frammenti di tegole e di ceramica, fra cui della sigillata chiara; nei pressi, lungo il decumano, sono state trovate a più riprese delle tombe. 23) Località S. Aniello, circa 500 m. ad E. della precedente: a N. del decumano affiorano frammenti di tegole e di ceramica di età romana. 24) Località Rimessa, presso il Lago Fusariello, in un’area leggermente sopraelevata, dove sono i resti di un’edicola moderna, si sono incontrati nei lavori agricoli murature e pavimenti, anche in tessellato; vi ho raccolto frammenti di ceramica, fra cui qualcuno a vernice nera e altri di sigillata chiara. 25) Capua, località Torre Frascale: v. testo. 26) Località Frascalicello: affiorano in larga misura elementi di murature sconnesse, di tegole e di ceramica di età romana. 27) Parco Spine: v. testo, per l’ubicazione di «ad octavum».

[Avvertenza: nel testo originario si fa riferimento ad immagini non pubblicate e che non è stato possibile reperire. Alle figure presenti (fino alla 9) è stata aggiunta la didascalia relativa, come voluto dall’Autore.]

147


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 148

Tav. I

148

Fig 1

[ Ager campanus. Elaborazione grafica dell’area oggetto dell’indagine (Dis. E. Nardella) ]


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 149


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 150

150

Appendice alle figg. 1-8

Disposizione delle carte

INSEDIAMENTI

FIG. 6

FIG. 5

FIG. 8

FIG. 2

FIG. 3

FIG. 4

CINTE FORTIFICATE

STRADE ANTICHE

NECROPOLI

MONUMENTI FUNERARI

VILLE

SANTUARI EXTRAURBANI

CHIESE TARDO-ANTICHE O ALTO MEDIAEVALI

FIG. 7


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 151

Tav. II

151

Fig 2

[ Carta I G M F. 171 II NE. Mondragone (Elaborazione) ]


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 152

Tav. III

152

Fig 3

[ Carta I G M F. 172 III N. O. S. Andrea (Elaborazione) ]


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 153

Tav. IV

153

Fig 4

[ Carta I G M F. 172 III N. E. Grazzanise (Elaborazione) ]


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 154

Tav. V

154

Fig 5

[ I G M F. 172 IV S. O. Carinola (Elaborazione) ]


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 155

Tav. VI

155

Fig 6

[ Carta I G M F. 171 I. S. E. Sessa Aurunca (Stralcio fuori scala - Elaborazione) ]


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 156

Tav. VII

156

Fig 7

[ Carta I G M. F. 172 II N. O. Capua (Stralcio-Elaborazione) ]

Tav. VIII

Fig 8

[ Carta I G M F. 172 IV S. E. Pignataro Maggiore (Stralcio-Elaborazione) ]


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 157

Tav. IX

157

Fig 9

[ G.A., Rizzi Zannoni, rilievo 1789 per l’Atlante geografico del Regno di Napoli, 1808, F.10, Stralcio ]




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 160

Appunti sulla cultura di Capua nella prima Età del Ferro*

160

Scopo della presente comunicazione è puntualizzare alcuni aspetti della «facies» culturale di Capua durante la prima età del ferro, che comprende le fasi I e II, ed evidenziarne la posizione in rapporto con quanto è noto in Etruria e in altre aree vicine e lontane. Ci basiamo ovviamente su quanto è venuto alla luce fino al 1976, in quanto degli scavi effettuati successivamente nessun dato utilizzabile è stato reso noto per il periodo in questione1, con tutte le riserve che ciò comporta, specialmente per il periodo I A, ancora troppo poco conosciuto. Com’è stato detto da più parti il «villanoviano» di Capua, è, sotto varii aspetti, anche di una certa importanza, abnorme, così come lo è in parte anche quello di Pontecagnano, per non parlare di Sala Consilina2, e la situazione campana è sostanzialmente diversa da quella dell’Emilia-Romagna, dove tale cultura ha anche caratteri meno differenziati3. D’altra parte, mentre per vaste aree della penisola italiana la documentazione è ancora largamente insufficiente, se non inesistente, per il bronzo finale, ancora troppo poco conosciuto nell’Italia meridionale tirrenica, è stata di enorme importanza la scoperta dell’insediamento di Frattesina4. Tale grosso agglomerato che era una tappa importante sulla via dell’ambra ed anche un centro di produzione di oggetti di pasta vitrea, ha continuato ad esistere anche durante la prima età del ferro ed è un precedente per quanto si è verificato in tale fase storica in area etrusca e, con aspetti abbastanza simili, anche a Capua e a Pontecagnano5. D’altra parte proprio Capua è stata allora, data la grande quantità di ambra ivi rinvenuta, uno dei punti d’arrivo e, insieme con qualche località dell’Etruria interna, forse, uno dei centri di lavorazione di tale minerale6. Inoltre è ormai da prendere in più seria considerazione, come vedremo, l’eventuale presenza di paste vitree di origine padana accanto a quelle sicuramente orientali ed, eventualmente forse, locali, data anche la presenza di sabbia adatta alla loro manifattura non troppo lontano dalla foce del Volturno7.

* W.J., Appunti sulla cultura di Capua nella prima età del ferro, La presenza etrusca nella Campania meridionale, Atti delle giornate di studio SalernoPontecagnano 16-18 novembre 1990, Biblioteca di studi Etruschi 28, Firenze 1994, pp. 83-109 e tavv.f.t.

I disegni sono di Eva Nardella, della Soprintendenza Archeologica di Napoli e di Anna Maria Caccavo. Ringrazio la d.ssa Raffaella Bonifacio per aver rivisto la correzione delle bozze. Le fotografie sono state eseguite dal Gabinetto fotografico della Soprintendenza archeologica per le provincie di Napoli e Caserta. 1 Sulla cultura di Capua v. soprattutto W. JOHANNOWSKY, in DialArch III (1969):, p. 31 s.; lo stesso, in EAA, suppl. 1970 (Roma, 1973), p. 180 s.; B. D’AGOSTINO, Ibid., p. 926 s.; ID., 1974, p. 11 s.; JOHANNOWSKY, 1983; B. D’AGOSTINO, in AA.VV., Italia, omnium terrarum alumna, Milano, 1989, p. 531-589; PERONI, 1990, p. 552 s. 2 Su Pontecagnano, v., tra l’altro, B. D’AGOSTINO, in Mostra della Preistoria e della protostoria nel Salernitano, Salerno 1962, p. 105 s.; ID., in Seconda mostra della preistoria e della protostoria nel Salernitano, Salerno, 1974, p. 92 s.; ID., 1974, p. 19 s.; ID., in Pontecagnano II.1. Su Sala Consilina v. soprattutto DE LA GENIÈRE, 1969; KILIAN, 1970; D’AGOSTINO, 1974, p. 22 s.; PERONI, 1990, p. 552 ss. Sul concetto di «villanoviano» v. le recenti osservazioni di PERONI, in La civiltà picena nelle Marche, Ripatransone 1992, p. 13 s. 3 Sulla situazione in Emilia-Romagna v., tra l’altro, MÜLLER-KARPE, 1959, p. 795, 209, 218 s., 230 s.; R. PINCELLI - C. MORIGI GOVI, La necropoli villanoviana di S. Vitale, Bologna, 1975; M. ZUFFA, in PCIA V, Roma, 1977, p. 320 s.; C. MORIGI GOVI - S. TOVOLI, in StEtr. XLVII (1979), p. 3 s.; S. TOVOLI, 1989. 4 4 Su Frattesina v. soprattutto G. F. BELLINTANI - C. e F. PERETTO, in Padusa II (1966), p. I s.; G. F. BELLINTANI, Ibid., IX (1973), p. 95 s.; F. BELLATO - G. F. BELLINTANI, Ibid., II (1975), p. 15 s.; A. M. BIETTI SESTIERI, Ibid., p. I s. e in Atti XI Conv. St. Etr., 1976 (1980); BIETTI-SESTIERI - M. DE MIN, in Atti XXII Riun. Scient. Ist. It. Preist. Protost., 1977 (1979), p. 205 s.; DE MIN-E. GERHARDINGER, in L’antico Polesine, Adria-Rovigo, 1986, p. 117 s. E. BIANCHIN CITTON, Gli Etruschi a Nord del Po, I, Mantova, 1976 p. 44 s., 48 s.; L. VAGNETTI, in Cyprus between Orient and Occident, Nicosia, 1985 (1986); F. SALZANI, in Padusa XXV (1989), p. 5 s., PERONI, 1990, p. 272 s. 5 Sulla formazione dei grandi agglomerati in Etruria v., tra l’altro, G. COLONNA, in Civiltà del Lazio primitivo (cat. mostra), Roma, 1976, p. 25 S. F. DE GENNARO, in DialArch N.S., IV, 2 (1982), p. 102 s.; G. BARTOLONI, 1989b, p. 105 s.; PERONI, 1990, p. 428 s., con bibliografia precedente. 6 Già nel periodo I B sono frequenti i vaghi di collana in ambra e della fine di tale periodo cominciano ad apparire le fibule ad arco rivestito con lamelle dello stesso materiale, che sono state certamente lavorate sul posto, in quanto rientrano, laddove lo stato di conservazione è buono, nella variante campana allargata a losanga della fibula a sanguisuga. Nell’orientalizzante antico invece troviamo in genere un elemento di ambra tra due elementi troncoconici di osso, come altrove sul versante tirrenico. 7 Per Frattesina v., nell’ambito della bibliografia citata, per una valutazione di tali attività artigianali, soprattutto PERONI, 1990, p. 272 s. Sulla presenza di sabbia adatta alla produzione del vetro in Campania v. Plin. n.h. XXXVI, 194 (Haec fuit antiqua ratio vitri. Iam vero et in Volturno amne Italiae harena alba nascens sex milium passuum litore inter Cumas atque Liternum qua mollissima est, pila molave teritus). Non conosciamo tuttavia ancora indizi relativi a quando può esserne incominciata l’utilizzazione, anche perché la fascia costiera tra Cuma e la foce del Volturno ha subito notevoli sconvolgimenti quando fu iniziato lo sterro della «fossa Neronis» (v. su questa JOHANNOWSKY, in Boll. di Archeologia III (1991), p. 15) ma anche successivamente in seguito alle variazioni del livello del mare ed alle opere di bonifica dell’età moderna.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 161

Relativamente frequenti sono a Capua, comunque, almeno dal periodo I B, gli oggetti di ferro, come, a quanto pare, contemporaneamente in Etruria solo a Veio, dove però l’esplorazione delle necropoli è stata più sistematica e recente8. Ciò vale sia per i coltelli a fiamma, di cui è noto un solo esemplare di bronzo, da un contesto di II B, sia per i morsi di cavallo trovati in alcune sepolture maschili e sempre accoppiati, che cominciano dal periodo II A e sono tutti in ferro, sia per le fibule, tra cui un esemplare ad arco ingrossato da un contesto di I B è per le sue grandi dimensioni di produzione campana, come uno ad arco serpeggiante da Cuma9. Recentemente è stato osservato, a tale proposito, infatti, che anche in Campania dovevano essere disponibili minerali ferrosi, trasportati dal Volturno e dal Garigliano, comunque sufficienti a rifornire anche le officine attestate in fase orientalizzante a Pitecusa10, e a Nord di Caiazzo, nei monti Trebulani, esiste una miniera abbandonata11. Comunque, come vedremo, anche la peculiarità di certi oggetti di bronzo sembra confermare l’importanza della metallurgia campana nella prima età del ferro. Mentre non sappiamo fino a che punto la produttività agricola fosse competitiva, dato che larghi tratti della pianura campana dovevano essere ancora acquitrinosi, invece proprio la relativa frequenza di morsi di cavallo fino all’orientalizzante antico e la presenza, insieme con essi, in due corredi del periodo II C, quindi contemporanei al «tardo-geometrico I» di Pitecusa, di coppe su alto piede con cavalli sull’orlo12, fa pensare ad una certa rilevanza dell’allevamento di equini, così come almeno nell’orientalizzante antico anche a Pontecagnano13. Poiché si tratta di tombe emergenti ed anche le altre sepolture con morsi di cavallo sono relativamente ricche, è lecito supporre che tale attività fosse retaggio di parte dell’aristocrazia dominante14. Un altro discorso è quello dei montanti incurvati in alto di parte di tali morsi, che presuppone contatti con l’Europa centro-orientale, mediati evidentemente attraverso il «caput Adriae» il che, come altri elementi di provenienza danubiana, di cui diremo più avanti, conferma l’esistenza di rapporti con quell’area probabilmente non solo commerciali15. Com’è noto, nel periodo I B il rito di sepoltura è misto e nei periodi II A e II B l’incinerazione diventa sempre più rara, mentre soprattutto le tombe più ricche venivano coperte, sopra coperchi lignei, con ciottoli, il che ne ha però facilitato l’individuzione e, dall’età romana repubblicana, il saccheggio più che altro degli oggetti metallici, per cui molte sono sconvolte16. Il repertorio formale essenziale della ceramica è costituito dall’olla che funge in un primo momento da ossuario e poi da recipiente per l’acqua, dallo scodellone e dalla tazza ad ansa verticale, e sono abbastanza frequenti l’anforisco e la brocchetta. Significativa è, fin dal periodo I A, l’assenza di anse, molto frequente nelle olle e negli scodelloni, che è anche una caratteristica di un gruppo di fiasche con collo lungo e stretto, note finora solo da Capua17. Comunque già dal periodo I B ed in maggior misura da quello successivo si manifesta un’evoluzione in senso locale con caratteri nettamente distinti da altre «facies» contemporanee sia in Campania, sia altrove nell’Italia centro-meridionale. Oltre all’impasto buccheroide e all’impasto a superficie chiara,

8

Nella necropoli di Quattro fontanili a Veio gli oggetti di ferro sono relativamente frequenti (v. in NS, 1963, p. 77 s. NS, 1965, p. 49 s.; NS, 1967, p. 87 s.; NS, 1970, p. 178 s.; NS, 1972, p. 195 s.; NS, 1975, p. 63 s.; NS, 1976, p. 149 s.), e non sono rari a Tarquinia, dove appare pure già nella prima fase inoltrata (v. H. HENCKEN 1968, p. 570 s.; v. anche l’indice per la presenza nelle singole tombe). Sembra invece assente nella necropoli del Sorbo di Cerveteri (su cui v. POHL), che è contemporanea alla fase I B di Capua e al «preellenico I» di Cuma, ma non è da escludere che eventuali oggetti di ferro siano andati distrutti. Per quanto riguarda altre aree dell’Italia meridionale v. M. GUALTIERI, Iron in Calabria in the IX and VIII centuries b.c. (diss.) Ann Arbor, 1977. F. DELPINO, in PACT XXI, 1988, 47 s., tra l’altro a proposito di indizi di attività siderurgica a Torre Galli. 9 MÜLLER-KARPE, tav. XVIII, A (tomba Osta 5). 10 V. su ciò, tra l’altro, D. RIDGWAY, L’alba della Magna Grecia, Milano, 1984, p. 105 s.; 113 s. 11 V.I.G.M., foglio 173, I, S-E., alle falde di Monte Grande, circa un chilometro ad Ovest della statale n. 8. 12 JOHANNOWSKY, 1983, p. 144, tavv. XLI e 12, dalla tomba 697; un altro esemplare è stato rinvenuto nella tomba 692. Su tale motivo iconografico v. recentemente G. Camporeale, in M.E.F.R.A. 1991 p. 64 s. 13 V. su queste D’AGOSTINO, 1968a, p. 109, fig. 28 e ID., in MonAntLinc XLIX (serie misc. II), 1977, p. 43, fig. II, 27 (forma 75), tav. IX, XXVIII. 14 Sull’allevamento di cavalli in Campania v., tra l’altro, M. FREDERIKSEN, in DialArcb II (1968), p. 3 s. 15 Sui morsi di cavalli in Italia v. soprattutto F. W. VON HASE, Die Trensen der Früheisenzeit in Italien (PBF XVI, I, München, 1961). 16 Suet., Caes. 81.

161


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 162

Fig 1 Capua-Corredo vascolare della Tomba 1200.

162


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 163

usato frequentemente per le olle, appare, fin dalla fase finale del periodo I B la ceramica italo-geometrica, e troviamo dall’inizio della II fase l’impasto dipinto con decorazione geometrica (che sembra diffuso soprattutto tra l’Etruria centrale, Veio, e l’agro falisco)18, e l’impasto con superficie rossa viva. Significativa è soprattutto la tipologia delle tazze monoansate, che sono in grandissima prevalenza del tipo a parete verticale, che da leggermente svasata o concava diventa poi rigida, mentre la brevissima spalla su cui è impostata scompare del tutto già nel corso del periodo II A. Ciò vale sia per gli esemplari con fondo convesso, sia per quelli con piede, che sono, salvo nel periodo II C, più grandi, mentre l’ansa a nastro è, con l’eccezione di alcuni degli esemplari più antichi, a lira. Si tratta, come ho già sottolineato più volte, di un tipo caratteristico dell’Etruria centrale e settentrionale, che ha precedenti in un’area alquanto più vasta nella tarda età del bronzo e nella fase protovillanoviana19, e che sembra assente a Veio e a Caere, ma non raro nell’area comprendente Tarquinia, Vulci, Bisenzio, Vetralla20, attestato anche a Bologna21 e, con ansa più semplice, in tazze di bronzo22. Invece del tipo con spalla più o meno ampia, comune nell’Etruria meridionale, in ambito la-

17

JOHANNOWSKY, 1983, p. 19-30, tav. XII (T. 181, 2), XIV (T. 248, 1), XXIII (T. 193, 2), XXIV (T. 684, 3); ED. 1a [sic]. V. JOHANNOWSKY, 1983 cit., 42 s., tav. XVII (T. 436, I); XIX (T. 502, I); XXII (T. 350, 1); XXIV (T. 684, I), XXV (T. 360, I); XXVII (T. 573, I, 27; XXIX (T. 71, I); XXXVII (T. 465, 3); Tav. 6a, 10b, 11a; per Tarquinia HENCKEN, 1968, fig. 127 [T. 140 di Selciatello di Sopra, in associazione con un vaso decorato a tenda (su tale tipo di importazioni v., tra l’altro, F. DELPINO, in Archeologia della Tuscia, II (1986), p. 167 s.; BARTOLONI, 1989b, p. 159 s.], fig. 172b (dalla tomba Monterozzi 8.3.1883) = MÜLLER-KARPE, 1958, fig. 3. Per Vulci v., tra l’altro, M. T. FALCONI-AMORELLI, Vulci (Scavi Bendinelli, 1919-1923), Roma, 1983, p. 117 (n. 114-116), fig. 50, 51. Per Bisenzio O. MONTELIUS, La civilisation primitive en Italie, Stockholm, 1904, tav. CCVI, I, 3; R. GALLI, in MonAntLinc XXI 19, col. 48, fig. 29, a, b, tav. I; A. AKERSTRÖM, Der geometrische Stil in Italien, Lund, 1943, tav. XI, 2, 8, XXVI, 6; M. A. FUGAZZOLA DELPINO, La cultura villanoviana (Guida museo di Villa Giulia), Roma, 1984, p 162 s., fig. 65, A, B. Per Vetralla v. NS, 1914, p. 323 s., fig. 16, 28, tav. XXVVI. Per l’agro Falisco v. MONTELIUS, op. cit., tav. CCX, 5, CCCXI, 1, CCCXVIII, 21, CCCXIX, 8; AKERSTRÖM, op. cit., tav. XXVI, 3. Per Veio v. in NS, 1963, p. 226 s., fig. 120, 121, 133; NS, 1965, p. 205 s., fig. 36, 114; NS, 1967, p. 116 s., fig. 16, 24, 28, 116; NS, 170, p. 213 s., fig. 18, 24, 57, 65; NS, 1972, p. 204 s., fig. 7, 26 e, ultimamente, A. GUIDI, La necropoli veiente dei quattro Fontanili, Firenze 1993, p. 83. Le olle a seme di papavero da Pitigliano (in MONTELIUS, op. cit., tav. CCVI, 26, 287) e da Statonia (AA.VV., Etruschi in Maremma, Milano, 1981, fig. 289) sono relativamente tarde, come due di quelle da Vulci, anch’esse a corpo allungato, di cui una ha elementi decorativi in parte influenzati dalla ceramica italo-geometrica, nell’ambito della quale troviamo già relativamente presto, intorno alla metà dell’VIII secolo, tale forma ancora a corpo schiacciato (p. es. l’esemplare NS, 1914, p. 333, fig. 25 = AKERSTRÖM, op. cit., tav. XXVII, 2, da Vetralla). La tecnica della «Mattmalerei» è attestata in area villanoviana, sia pure eccezionalmente, già nella prima fase inoltrata di Veio in un ossuario biconico da Valle la Fata (v. BARTOLONI, 1989b, p. 1548, fig. 6, 147, la cui decorazione è tipicamente villanoviana, ed anche i motivi e la sintassi decorativa che troviamo nel villanoviano evoluto hanno poco a che fare con quelli noti nell’Italia meridionale, in particolare dell’area lucana, da cui sono pervenuti in Etruria alcuni esemplari (su cui v. F. DELPINO, in Archeologia della Tuscia II, Roma, 1988, p. 167 s.; 1989b, p. 1946). Comunque, indipendentemente dalla sua forma, non conosciamo precedenti greci né per tale tipo, né per quello senza piede, di cui la variante ovoide è affine a tipi diffusi anche in area atestina (cfr. R. PERONI, Studi sulla cronologia delle civiltà di Este e Golasecca, Firenze, 1975, fig. 17, 18), pure non rara, né per altre, per cui è usata la tecnica della «Mattmalerei». Anche i motivi non hanno alcun rapporto con stili geometrici greci, ma presuppongono almeno in parte il repertorio villanoviano, anche se non sono da escludere rapporti con materiali orientali, data anche l’ingubbiatura biancastra abbastanza frequente (un uovo di struzzo dipinto proviene dalla tomba 865 di Capua, su cui JOHANNOWSKY, 1983, p. 148, che rientra nel periodo II C, che coincide con il terzo quarto dell’VIII secolo, il che non esclude però che ne siano pervenuti già prima, sia in Etruria che in Campania, insieme con le perle di pasta vitrea, attestate almeno dagli inizi del secolo). Comunque tutta questa categoria di ceramica, in cui appare anche la bicromia, andrebbe ripresa in esame senza farsi tentare da suggestioni euboiche o simili. 19 JOHANNOWKSY, 1983, p. 21 s., n. 86, 87, con bibliografia, nell’ambito della quale v. soprattutto R. PERONI, in Mem. Linc., cl. se. mor. stor. fil., S. VIII, IX (1960), tav. I (capeduncole carenate); C. E. ÖSTENBERG, Luni sul Mignone e i problemi della preistoria d’Italia; v. più recentemente anche PERONI, 1990, figg. 19, 21, 25 e, a proposito della ceramica a pasta grigia di ascendenza egea diffusa tra la Puglia e Broglio di Trebisacce, a p. 254 s. 20 Per Tarquinia HENCKEN, 1968, dove le proposte di cronologia sono in più punti discutibili e talvolta un po’ basse, fig. 46, 52, 58, 64, 77, 78, 83, 102, 108, 109, 118, 121, 124, 135, 148, 150, 157, 164, 170, 182, 186, 223, 225, 229. Comunque, anche se la frequenza di tale tipo di tazze è qui minore che a Capua, dove se ne sono trovate in quasi tutte le tombe della prima età del ferro, esse vi si trovano nelle necropoli urbane in contesti di tutte le fasi di tale periodo, ma va tuttavia notata la presenza di un solo esemplare in una necropoli del territorio ristretto, sia pure limitata alla I fase, quale quella Le Rose (su cui v. BURANELLI, 1983). Dalla «tomba del guerriero», su cui v. KILIAN, in Jahrbuch d. Instituts XCII (1977), p. 24 s., che va datata all’inizio dell’orientalizzante antico, all’incirca verso il 720 a.C. proviene un esemplare d’argento che, diversamente da quelli in bronzo, ha l’ansa a lira (n. 97, p. 36, 88 s., fig. 4, 4,; 13, 3), ma si distingue da quelli precedenti per l’orlo fortemente aggettante. I due esemplari da Vulci (FALCONI-AMORELLI, op. cit., p. 79 (44), fig. 26; (47), fig. 287 non sono in contesto, così come una tazza-filtro (ibid., fig. 267, simile ad un esemplare tarquiniese (HENCKEN, 1968, fig. 341) e ad uno da Capua, dalla tomba 865, del periodo II C (JOHANNOWSKY, 1983, tav. XLV A). Mentre da Volsinii conosciamo finora un esemplare parimenti senza contesto (MONTELIUS, op.cit., tav. CCXXXIX), quelli di Bisenzio provengono da tombe attribuite in parte già alla I fase inoltrata (v., oltre a MonAntLinc XXI e NS, 1928, F. DELPINO, La prima età del ferro a Bisenzio; aspetti della cultura villanoviana nell’Etruria meridionale interna, in Acc. Naz. Lincei, Mem. Cl. sc. mor. stor. fil. S. VIII, XXI (1977), p. 468 s., tav. d’associazione a p. 462 e tav. VIIIc, IX, b, c, XIb), ma, mentre conosciamo ancora quasi nulla del villanoviano volsiniese, quanto sappiamo delle fasi più antiche di quello visentino, comunque sotto certi aspetti atipico (PERONI, 1990, p. 553), è insufficiente, mentre dei materiali dalla necropoli di Vetralla, dove pure la tazza del tipo in questione è diffusa, manca ancora una pubblicazione più dettagliata di quella in NS, 1914 cit. In area falisca il tipo è, sia pure scarsamente, attestato a Narce, su cui v. recentemente M. P. BAGLIONE - M. A. DE LUCIA BROLLI, in Atti XV Convegno St. Etr. 1987 (Firenze 1990), p. 92, fig. 11. A Populonia, dove, peraltro, come a Vetulonia (MONTELIUS, tav. 176, I), è frequente una variante in cui la spalla e un orlo fortemente svasato si equivalgono, due tazze, purtroppo senza contesto (v. D. LEVI, CVA, Firenze, I, IV Bk, tav. III, 7; IX, 6), sembrano essere del tipo in questione. 21 TOVOLI, 1989, p. 242, tav. LXVII, (T. 49, II), tav. CX, 37, in associazione con una fibula a sanguisuga campana del periodo II B di Capua, e tav. CX, 40. Altre tazze dello stesso tipo (tav. CX, 38, 397) hanno un’ansa più semplice con il dorso bifido. 22 V. MÜLLER-KARPE, 1959, tav. XXXI, XXXII, XLVI, e NS, 1967, p. 213, fig. 76 (II), da Veio. 18

163


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 164

Fig 2 Capua- corredo vascolare dalla Tomba 1200.

164


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 165

ziale, a Cuma, a Pontecagnano, e diffuso nell’ambito della «cultura delle tombe a fossa», sono stati trovati nelle necropoli di Capua solo pochissimi esemplari, forse neppure locali23. Importante per la cronologia relativa è, come ho già scritto, anche l’evoluzione dell’ansa, dal lato interno piegato in fuori, in cui già nel corso del periodo I B comincia a prevalere il tipo a poggiapollice allargato a lira, che diventa poi prevalente e comincia ad essere attraversato da finestre, per evolversi ulteriormente nella seconda fase, in cui, irrigidendosi, assume connotati più conformi a soluzioni di cui forse esistevano paralleli metallici simili a quelli documentati nell’ambito delle fibule24. Successivamente, dall’inizio dell’orientalizzante, in tale tipo di tazza, che serviva anche da cucchiaio, si riduce la vasca, per cui questa cessa di essere funzionale e sopravvive con valore esclusivamente ideologico, rarefacendosi sempre di più, fino agli ultimi decenni del VII secolo25. Più che lo scodellone, di cui il tipo monoansato con breve orlo verticale impostato sulla spalla è attestato solo nel periodo I B, già insieme a quello con orlo introverso26, i varii tipi di olla tradiscono il carattere composito della cultura di Capua. Il tipo biconico è di proporzioni relativamente massicce ed ha in genere due anse orizzontali, mentre quello senza anse ha per lo più il collo relativamente breve. Un altro tipo, tra il globulare e l’ovoide, è tipico della seconda fase e sopravvive anche in quella successiva, e la sua decorazione più comune è costituita da costolature elicoidali sulla spalla, che nell’orientalizzante diventano orizzontali, ma non mancano esemplari d’impasto con decorazione dipinta. Questa è quasi la norma nelle olle a seme di papavero, che, insieme a quelle con anse cruciformi, tipicamente tarquiniesi, sono un apporto dell’Etruria centro-meridionale27, ed è costituita in genere, come in Etruria, da quadrilateri concentrici, da motivi a clepsidra con triangoli a reticolato e da denti di lupo ed è talvolta arricchita da uccelli acquatici stilizzati28. A rapporti con la «cultura delle tombe a fossa» è invece dovuta la presenza di olle con anse a bottone-poggiapollice contrapposte in un caso ad un’ansa tubolare29, e più ampiamente diffusi sono gli anforischi, di cui tuttavia la variante a collo alto, che incominciamo a trovare dal periodo II B, è anch’essa apparentata con tipi che si trovano in aree adiacenti sia ad Est che a Nord, nella cultura della valle del Liri30.

23

Tra l’altro JOHANNOWSKY, 1983, tav. V A, 6; VII, 4, del periodo I B, XXXI, 17; XXXVI A 5, del periodo II B. Nelle fibule a carrettino e nella loro evoluzione verso il tipo a drago con apofisi laterali, avvenuta con ogni probabilità in Campania, si può forse vedere un processo parallelo. 25 Tale fatto è già evidente nelle tazze della tomba 282 (JOHANNOWSKY, 1983, tav. XLVI, 10; cfr. anche quella della tomba 238, a tav. L, I). 26 V. per il primo tipo quelli delle tombe 845 (JOHANNOWSKY, 1983, tav. V, B 8) e 805 (ibid., tav. VII, 3). Tra gli esemplari più tardi è quello della tomba 1132, del periodo IV B. 27 Comunque la prima di tali forme, che appare a Tarquinia in impasto buccheroide già nel IX secolo a.C., in un momento, sia pure non troppo antico, della I fase iniziale (F. DELPINO, in Secondo Convegno Internazionale Etrusco, p. 5 s., tav. IV, c, d) è attestata a Capua nella stessa tecnica in un contesto del periodo I B inoltrato, quindi degli inizi dell’VIII secolo (T. 632, con una tazza mediogeometrica e una grande fibula campana ad arco ingrossato, su cui v. JOHANNOWSKY, 1983, p. 106, tavv. XIII; 36). Indipendentemente da quella che può esser stata la sua funzione, essa sembrerebbe derivare, piuttosto che da crateri greci (anche se alcuni esemplari italo-geometrici hanno le stesse proporzioni (cfr. AKERSTRÖM, tav. XIV, 1, la, 4, da Bisenzio), da vasi di bronzi prodotti con ogni probabilità almeno in massima parte in area villanoviana (cfr., tra l’altro, delle situle, quali quelle delle tombe di Tarquinia/Monterozzi dell’8.3.1883 e del 12.3.1883 (MÜLLER-KARPE, 1959, fig. 2 (15) e 3 (25) del periodo iniziale del villanoviano evoluto, da Bisenzio/Olmo bello (tomba XVI, in NS, 1928, p. 460, fig. 42, in associazione con un askos geometrico forse ancora del terzo quarto dell’VIII secolo). Non sembrano esserci invece precedenti greci né per tale tipo di olla, né per quella ovoide senza piede, affine a tipi diffusi anche in area atestina (cfr. R. PERONI, Studi sulla cronologia delle civiltà di Este e Golasecca, Firenze, 1975, fig. 17, 18), pure non rara, né per altre per cui è usata. Per le olle ad anse cruciformi, i cui esemplari capuani (JOHANNOWSKY, 1983, tav. VII (T. 36, I), XVIII (T. 917, 1) rientrano nel periodo II A, cfr. HENCKEN, 1968, p. 89 s., fig. 78, l, della I fase finale, p. 100 s., fig. 80e, p. 107 s., fig. 95f, dello stesso periodo o di poco posteriori, fig. 419 e 420 (sporadiche). 28 Sull’olla della tomba 436 di Capua (JOHANNOWSKY, 1983, tav. XVII), del periodo II A, troviamo sia l’uccello, sia il motivo a zigzag, che ne è la riduzione a Bisenzio (MONTELIUS, tav. CCLVI, I, 3) attestato altrove in Etruria, dove motivi figurati più complessi appaiono poi nella fase di transizione verso l’orientalizzante (p. es. l’olla MonAntLinc XXI cit., tav. I e quella in FUGAZZOLA DELPINO, op. cit., p. 161 s., fig. 65, a, b. 29 JOHANNOWSKY, 1983, tav. VII, T. 805, I, per cui i confronti più stretti sono delle olle da Cuma (MonAntLinc XXII (1913), tav. VIII, 5; XIII, 5; cfr. anche degli esemplari da Sala Consilina, in KILIAN, op. cit., tav. 73, I, 3; 126, II, 1, anche se il tipo non manca del tutto a Tarquinia (BURANELLI, 1983, p. 24, fig. 23, 57). Quanto all’olla con l’ansa o le anse a piattello (del tipo JOHANNOWSKY, 1983, tav. V, T. 845, I), si tratta di un tipo che sopravvive, con funzioni evidentemente rituali, in aree dove la cultura delle tombe a fossa dura più a lungo, tra l’altro a Caudium e ad Aufidena (MonAntLinc X (1917, fig. col. 275 s., figg. 22-24, tav. XI, 13, 14) e si ritrova addirittura, adattata alla forma del cratere a colonnette, nel tardo V secolo a Carife, sempre nel Sannio (tombe 90 e 91bis, di prossima pubblicazione). 30 Anforischi di tale tipo sono noti da Cassino (G. F. CARETTONI, in BPI N.S. XIII (1968), p. 14, tav. Ib), da Frosinone (I. BIDDITTU - S. CASSANO, in Origini III 6 1969), p. 311 s., fig. 4), ma anche dalla Campania interna, p. es. da Ruviano, e, nell’ambito della cultura della valle del Liri, da Presenzano. 24

165


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 166

166

Nell’ambito del repertorio decorativo dell’impasto buccheroide, per cui, fin dall’inizio di I B l’uso della rotella dentata, già precedentemente attestato, ha sostituito l’incisione a pettine, troviamo, soprattutto nei periodi II A e II B, altri tipi di impressione. Mentre la doppia spirale ad S sembra derivare da un motivo protovillanoviano sopravvissuto apparentemente in Campania, dove non ha subito il processo di geometrizzazione che si nota in gran parte dell’area villanoviana31, i gruppi di linee radiali frequenti già nel periodo I B sul fondo delle tazze ombelicate ricordano le costolature a sbalzo di esemplari metallici e i cerchi concentrici che appaiono tra di essi trovano analogia a Bologna32. Ma quel che sembra costituire un fatto peculiare della cultura di Capua rispetto, almeno, alle «facies» contemporanee dell’Italia peninsulare, è una relativa frequenza, tra i periodi I B e II B, di applicazioni plastiche a protome di uccello acquatico di tipo danubiano al posto dei cornetti ai lati dell’ansa degli scodelloni, cioè di un motivo che, alla pari di uccelli interi dello stesso tipo, è diffuso sostanzialmente nei bronzi, ma particolarmente frequente in tale periodo proprio nella Campania settentrionale, e, in una certa misura, in Etruria33. Ciò pone, ovviamente, in misura ancora maggiore che non la parentela di qualche forma vascolare, in particolare la brocchetta e l’anforisco con collo basso e ampio e bugna sormontata da solchi curvi negli esemplari più antichi anche sotto le anse34, e dell’assenza dell’ansa in molti scodelloni e olle35, il problema dei rapporti con l’area danubiana, da cui sono giunti in Etruria anche vasi di bronzo, e da dove proviene evidentemente una situla tipo Kurd trovata a Pontecagnano36. Per certe categorie di oggetti tali importazioni sono servite da modelli, come ad esempio per dei morsi equini con montanti infilati37 e delle fibule a sanguisuga con uccelli di officine campane del periodo II A, che sono caratterizzate dall’arco allargato a losanga38, così come anche per parte delle fibule da parata capuane, ma, anche se la tecnica a cuppelle e perline a sbalzo è abbastanza largamente diffusa, per qualche esemplare fuori della tipologia ordinaria non è forse azzardato supporre l’arrivo di qualche artigiano da aree adiacenti al «caput Adriae», come vedremo fra breve. Le fibule da parata finora conosciute in Campania provengono sostanzialmente da Capua e da Suessula, mentre non si conosce il luogo di rinvenimento del gruppo conservato nel museo britannico, è molto dubbia la provenienza di un esemplare da Cuma e non è certissimo il rinvenimento a Perugia di un esemplare frammentario nel museo preistorico dell’Italia centrale in quella città39, anche se sarebbe coerente con quanto conosciamo dei traffici tra la Campania settentrionale e il Nord per le valli del Sacco e del Tevere. Quelle trovate in contesto provengono tra l’altro dalle tombe 368, 363, 500 e 1304 di Capua e quanto abbiamo detto del motivo degli uccelli acquatici che sono conosciuti nella ceramica d’impasto più che altro da Capua, fa

31 La doppia voluta ad S è attestata nell’età del bronzo finale a Pianello di Genga, (v. MÜLLER-KARPE, 1959, tav. LV, 1), e poi a Cuma già nel preellenico I (ibid., tav. XXI, D 1). Il motivo ad N che ne deriva è particolarmente frequente nell’Etruria centro-meridionale e diffuso fino a Sala Consilina e Bologna. 32 Per la tazza della tomba 789 (JOHANNOWSKY, 1983, tav. VI, 6), cfr. lo scodellone in R. PINCELLI - C. MORIGI GOVI, La necropoli villanoviana di S. Vitale, Bologna, 1973, p. 736, fig. 46, tav. LXXV = MÜLLER-KARPE, op. cit., tav. LXIV, J 5. 33 Cfr. per Tarquinia l’esemplare dalla tomba 3 di Poggio dell’Impiccato (HENCKEN, 1968, 69 g) e per Bologna quello dalla tomba 709 di S. Vitale (PINCELLI – MORIGI GOVI, fig. 63, 2, tav. CCLXXX-CCLXXXI). Da tale tipo deriva l’ansa con occhielli laterali, attestata a Bologna (ibid., fig. 48, 2, tav. CVII, 2) e a Pontecagnano (B. D’AGOSTINO, in Mostra della Preistoria e della Protostoria nel Salernitano, Salerno, 1962, p. 113, tav. CLIIIg (dalla tomba 153). 34 È interessante notare, comunque, che elementi del genere sono penetrati in Italia settentrionale già nella media età del bronzo (v. PERONI, 1990, p. 3327, ma si affermano in un’area più vasta dal bronzo finale in poi. Nella prima età del ferro tale tipologia è attestata comunque, oltre che a Capua (v. JOHANNOWSKY, 1983, tav. IX, T. 386, 4), in Campania anche a Cuma (MÜLLER-KARPE, 1959 cit., tav. XIX A, 197). 35 Si tratta di un fenomeno generalizzato a Nord del Po e nell’area prealpina orientale. 36 V. su questa L. CERCHIAI, in StEtr LIII (1985), p. 27 s., tav. IVb. Dall’area a ridosso delle Alpi orientali proviene evidentemente un’olla a colonnette da Bisenzio (v. NS, 1928, p. 434, fig. 2). 37 Da Capua ne provengono esemplari in ferro, quali quello della tomba 573 (JOHANNOWSKY, 1983, tav. XXVIII) affine al tipo Ronzano (PERONI, Popoli e civiltà IX, fig. 84, 6), che sembrano affermarsi in Etruria relativamente tardi (v. BARTOLONI, 1989b, p. 194 s.). 38 Del tipo Sundwall J II ac, p. 314, fig. 7, attestato a Capua nella tomba 917 (JOHANNOWSKY, 1983, tav. XVIII, 5) ed anche a Suessula; gli esemplari trovati in Etruria a Veio (NS, 1972, p. 265, 13, 14, fig. 46; NS, 1975, p. 104, 27, fig. 24: p. 125, 8, 9, fig. 39) e a Vetralla (NS, 1914, p. 314, fig. 7) sembrano essere importazioni campane, mentre quelle trovate a Tarquinia (HENCKEN, 1968, fig. 171d, 1741, 398) potrebbero esserne delle imitazioni, sia pure molto vicine, così come lo sono certamente due fibule dello stesso tipo dalle necropoli bolognesi (TOVOLI, 1989, p. 261, tav. XCIV (Tomba Benacci-Caprara 60, 10 e un esemplare da Villanova) e una da Este (P. V. ELES MASI, Le fibule dell’Italia settentrionale, PBF XIV, 5 München, 1986, p. 157, n. 1455, tav. CXIX, dalla tomba Candeo 301). Con l’eccezione di quelle di Tarquinia tali fibule si distinguono da quelle a staffa allungata prodotte in Etruria per l’assenza di una breve sporgenza della staffa verso l’interno, e l’associazione con fibule almeno in parte ancora a staffa simmetrica sembra confermare una datazione intorno al 780-70 a.C.); v. comunque su tale tipo di fibule recentemente F. W. v. HASE, in MRGZM XXXI (1984), p. 263 s. 39 MONTELIUS, op. cit., tav. CXXVI, 8; SUNDWALL, 1943, p. 257, fig. 436.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 167

Fig 3 Capua-Fibule ed oggetti dalla Tomba 200 (scala 1:2).

167


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 168

168

supporre che tale centro sia stato il loro luogo di fabbricazione, o almeno quello principale. D’altra parte l’importanza della metallurgia del bronzo nella Campania settentrionale nella prima età del ferro sembra dimostrata dalla presenza di tipi e varianti di fibule che, in parte, salvo esemplari esportati nel retroterra o, isolatamente, in parte, via mare, non sembrano conosciuti altrove prima del periodo II B, e che continuano in parte ad evolversi fino a tale fase, che è almeno in buona parte anteriore alla fondazione di Pitecusa40. Sono tra queste le fibule ad arco ingrossato di grandi dimensioni con ampia staffa simmetrica del periodo I B41, le fibule a carrettino a doppia verga collegata con spirali e staffa a disco, che hanno contribuito, insieme con il tipo ad occhiello e gomito alla formazione di quello a drago e cui sono subentrati intorno all’800 a.C. la forma rigida tipicamente campana42, e poi, nella II fase, il tipo a sanguisuga allargata a losanga e quello a drago, la cui parte centrale insellata ha la stessa foggia e che ha avuto poi un grande successo sia in Etruria, sia nel villanoviano settentrionale, dove ha dato luogo alla variante a lumaca43. Quanto alle fibule ad arco rivestito di dischi di ambra, che durano per tutta la II fase, sono in tale periodo di forma identica a quelle campane a sanguisuga44; invece un tipo ad arco foliato composto da verghe a sezione triangolare convergenti alle estremità, con staffa a disco ovale o rettangolare ornata da cuppelle e serie di perline anch’esso associato con fibule da parata è noto solo da contesti di II B45. La tomba 363 conteneva, infatti, oltre a fibule del tipo descritto e a fibule a sanguisuga, in parte ad arco molto appiattito, e quindi tipiche di II B, due fibule a placca a quadrifoglio, in cui quattro spirali sono fissate con bulloni al lato inferiore della lamina, la quale poggia a sua volta, su un arco appiattito con staffa simmetrica, che ritroveremo negli altri esemplari dello stesso tipo, ed ha al centro una applicazione plastica con barca ad estremità ornitomorfe su cui è una figura antropomorfa o scimmiesca con braccia piegate in direzioni alternate e orecchini a catenella analoghi ai pendagli dei becchi degli uccelli46. Tale tipo di fibula si colloca in uno stadio di evoluzione successivo ad esemplari da Cuma e da Suessula, in cui l’applicazione plastica, a foggia di uccello, funge da perno per l’arco, le spirali ad S incrociate, e la lamina47, derivanti dal tipo ornato dalla sola lamina quadrangolare o circolare, perlopiù con perline a sbalzo, attestato in Campania a Cuma e, in contesti degli inizi dell’VIII secolo, a S. Marzano sul Sarno48. Significativa è, a tal proposito, nell’area, estesa

40 L’elemento più recente, che potrebbe già presupporre la fondazione di Pitecusa, anche se non necessariamente, data la presenza di una tazza a chevrons corinzia a Veio (J-P. DESCOEUDRES - R. KEARSLEY, in ABSA LXXVIII (1983), p. 9 s.; G. BARTOLONI, 1989, p. 117 s.), è la presenza di imitazioni in impasto di coppe tipo Thapsos in un contesto del periodo II B di Capua (JOHANNOWSKY, 1983, p. 477). 41 Tale tipo di fibula femminile, che è il più frequente a Capua (JOHANNOWSKY, 1983, tav. III, 4; XI, T. 934, II, I 4: XIII, T. 632, 57), da dove proviene anche un esemplare in ferro, e a Cuma (MÜLLER-KARPE, 1959, tavv. XVI-XXI), e presente anche a Suessula, sembra assente finora a Pontecagnano. 42 Il tipo più antico che tuttavia non può essere definito tipicamente campano è rappresentato a Cuma (MÜLLER-KARPE, 1959, tav. XXI, A II) insieme a quello più recente (ibid., tav. XX B I), il quale, oltre ad essere attestato a Capua, a Suessula e a S. Marzano, è diffuso verso S. fino a Pontecagnano (KILIAN, op. cit., tav. 265, 25; D’AGOSTINO, in M.E.F.R. (1970), p. 588, figg. 8, 9,10, 11; Pontecagnano 11, 1, Napoli, 1988, p. 103 s., fig. L, 45) e all’interno con esemplari in bronzo fino a Cairano (G. COLUCCI - PESCATORE, in NS, 1971, p. 483 s., fig. 4) a S. Marco dei Cavoti, S. Barbato (M. NAPOLI, in P.d.P., 1957, p. 140) a Casalbore. Un esemplare da Verucchio (E. TAMBURINI MÜLLER, in Romagna protostorica. Atti di Convegno, S. Giovanni in Galilea, 1987, p. 220, fig. 150) è finora iolato, così come due esemplari da S.Teodoro presso Metaponto, di cui uno in ferro, come un altro da Sala Consilina (v. sotto n. 90). 43 SUNDWALL, 1943, p. 141, figg. 204, 205. 44 P.es. quelle della tomba 363 di Capua (JOHANNOWSKY, 1983, p. 135 s., tav. XXXIII, 40-47). 45 A Capua ne sono stati trovati esemplari nella tomba 363 (JOHANNOWSKY, 1943, p. 135, tav. XXXIV, 54-57) e 358 (qui, fig. 5); altri esemplari provengono da Suessula (MEROLLA, in Materiali cit., p. 252, tav. 59b; SUNDWALL, 1943, fig. 354). Esse derivano forse da un tipo diffuso più che altro a Veio e Tarquinia, a due pezzi, ma di solito ad arco spezzato o rettilineo in ferro e a due pezzi, con ardiglione in bronzo, di cui un esemplare interamente in ferro proviene dalla tomba 1200 di Capua, del periodo I B (v. sotto). Cfr. comunque anche i tipi SUNDWALL, 1943, figg. 189-191, che ne sono varianti bolognesi. 46 È un tipo che troviamo come applicazione plastica, oltre che nelle fibule da parata dalla tomba 358 di Capua, da Suessula e «dalla Campania» al Museo britannico (su cui v. sotto), su una fibula di cui è andata persa la placca, pure da Suessula (SUNDWALL, op. cit., p. 257, fig. 435). Per la figura stante cfr. comunque l’applicazione plastica con orecchini di bronzo di una tazza della tomba Polledrara 2 di Bisenzio, attribuita alla fase I B (DELFINO, in MemLinc, tav. VIII, c), ma la cui fibula (fig 4 (15)) ha già una staffa asimmetrica. 47 MonAntLinc XXII, tav. XXII, 5 = SUNDWALL, 1943, fig. 278 (la placca è perduta) da Cuma; AA.VV., Greek, Etruscan and Roman Bronzes in the Museum of Fine Arts, Boston, NewYork, 1971, p. 232, n. 33, da Suessula; SUNDWALL, 1943, fig. 282, della stessa provenienza, in cui l’uccello ha una testa bovina, come in una fibula a placca «dalla Campania» del museo britannico (v. L. AIGNER FORESTI, in British Museum occasional Papers, 1982, p. 37 s., (fig. 1). 48 V. D’AGOSTINO, in M.E.F.R. LXXXII (1970), p. 571 s., fig. 11 (T. 30, 2) 15 (T 46, I; 55, 47). Il tipo a lamina quadrata degli ultimi due esemplari, attestato anche a Cuma (Mon. Ant. XXII, col. 72, tav. XXI, 4 = MÜLLER-KARPE, 1959, fig. 55, 47) è apparentemente una delle prime varianti diffuse in Campania, che si ritrova anche nella Sicilia orientale, a Pantalica (MÜLLER-KARPE, 1959, fig. 54, 6) e a Veio (2 esemplari dalla tomba G 20, in NS, 1976, p. 168, fig. 15, 4; 167), ma potrebbe provenire anche dalla Calabria, come il tipo con lamina circolare (B); v. comunque sulla tipologia F. LO SCHIAVO, in AttiMGrecia XVIII-XX (1977-1979), p. 93 s.; XXI-XXIII (1980-1982), p. 131 s., XXIV-XXV (1983-1984), p. 111 s.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 169

tra la Siritide e la fascia ionica della Calabria, dove tale foggia si è sviluppata nel corso del IX secolo49, la presenza, in una delle sepolture più recenti della necropoli di S. Teodoro presso Metaponto, di due fibule a ponticello bifido campane del primo quarto dell’VIII secolo, che dimostra l’esistenza di contatti tra le aree in questione50. Nella tomba 368 (fig. 5, tavv. I-V) di Capua, che faceva parte dello stesso gruppo di quella 362, sono state trovate, oltre a vasi tipici del periodo II B, 12 fibule, di cui una ad arco rivestito di ambra allargato a losanga, una ad arco rivestito da perle di pasta vitrea, quattro ad arco foliato composto da verghe, con staffa ovale ornata nelle due più grandi da uccelli a contorno di perline, una a lumaca a due pezzi, rivestita da perle di pasta vitrea, una a drago, due a placca cruciformi e due a placca circolari. Il corredo vascolare di tale sepoltura, a fossa ed orientata come le altre dello stesso tipo della prima età del ferro da Est ad Ovest, era dietro il capo, le prime otto fibule si trovavano all’altezza delle spalle, e quelle a placca coprivano la parte inferiore del corpo della donna51, e pertanto, probabilmente, non erano indossate. Le fibule cruciformi hanno delle spirali applicate separatamente al lato inferiore della placca negli spigoli e, intorno ad una barca ad uccelli con figura scimmiesca, come applicazioni plastiche 4 uccelli acquatici52, le due fibule a placca più grandi, del diametro di 26 cm, hanno 8 spirali in corrispondenza di altrettante aperture quadrangolari, al centro un bue, dietro e ai lati barche del tipo descritto e due serie di 8 uccelli acquatici, di cui quella esterna è fissata ad un cerchio di rinforzo sottostante alla lamina. Ad ognuna di esse erano pertinenti cinque pendagli a fiore cruciforme e uno triangolare costituito da verghe contornanti tre spazi subtriangolari in basso, due a losanga e uno circolare in alto, e il lato inferiore a listello. Questo presenta in un esemplare, ornato sui lati da 4 protomi di uccelli, 5 fori e reca nell’altro, ornato sui lati da verghe sporgenti, tre applicazioni plastiche ornitomorfe e sei pendagli a doppia protome di uccello. I fili che reggevano tutti questi elementi penduli, salvo quest’ultimo gruppo, passavano evidentemente all’interno di saltaleoni di forma tendente al conico, di cui due più piccoli probabilmente contrapposti dovevano essere in rapporto con ognuno di quelli a fiore, e quelli più lunghi dovevano appartenere a quelli a triangolo. Degli stessi tipi erano le fibule a placca arbitrariamente restaurate da Suessula, quelle «dalla Campania» del museo britannico con un aratro trainato da una coppia di buoi, delle quali facevano pure parte evidentemente pendagli triangolari traforati53 e, con la variante di figure umane con braccia divaricate, una del museo di Napoli dalla collezione Borgia oppure da Cuma54, ed una «dalla Basilicata», in cui troviamo anche dei quadrupedi55. Inoltre possono esser ricostruite forse in forma analoga la fibula con bue, certamente campana, di

49 V. F. LO SCHIAVO, in AttiMGrecia XVIII-XXV cit.; B. CHIARTANO, in NS, Supp. 1983, p. 77 s. La variante con la lamina a losanga dai lati concavi, che sembra la più antica, a giudicare dal fatto che a S. Teodoro presso Metaponto sono stati trovati esemplari con l’ardiglione e la staffa facenti corpo con spirali contrapposte, sembra esser diventata nella sua foggia più recente con l’arco sottostante, sviluppatasi con ogni probabilità verso la fine del IX secolo, particolarmente frequente nella Sibaritide, dove rimane di moda a lungo, come dimostra quanto risulta per Amendolara (v. J. DE LA GENIÈRE, in AnnScPisa S. III, VIII (1978), p. 335 s.), anche se è possibile che si tratti di residui di una produzione esuberante. Comunque sia a Francavilla, sia a S. Teodoro, sia a S. Maria d’Anglona (su cui v. recentemente O. H. FREY, Eine Nekropole der frühen Eisenzeit in S. Maria d’Anglona, Lecce, 1991) l’uso del ferro si afferma fin dai primi decenni delI’VIII secolo, sia per l’arco, come a Francavilla, sia per l’intera fibula, e lo stesso avviene più a Sud. La diffusione nell’entroterra (su cui v. CHIARTANO, 1983) sembra abbastanza consistente fino a Chiaromonte, ma non possiamo dire se gli esemplari con supporto privi di placca siano da considerare un arcaismo o invece come mal conservati. Esemplari in bronzo analoghi a quelli calabresi con quadrato dai lati concavi dei gruppi Amendolara - S. Onofrio provengono da Suessula (MEROLLA, in Materiali, p. 258, tav. 59c) e da Tarquinia (HENCKEN, 1968, p. 241, fig. 720b). 50 CHIARTANO, 1983 cit., p. 59, fig. 109 (nella tomba 140). Nell’area intermedia sembra aver rilevanza la presenza a Sala Consilina di un esemplare in ferro (DE LA GENIÈRE, Études cit., p. 29 s.; KILIAN, S. C. cit., tav. 136, 1, 5b), in contesto piuttosto antico, di una fibula a quattro spirali (KILIAN, Sala Consilina cit., tav. 55, I 8b); per la concomitanza con la presenza in Campania e in Etruria di fibule a quattro spirali con ceramica nella tecnica della «Mattmalerei» dell’Italia meridionale v. DELPINO, in Archeologia della Tuscia II cit. e D. YNTEMA, Tbe matt-painted Pottery from Southern Italy, Lecce, 1990, p. 118 s., fig. 90. 51 La stessa cosa si è potuta osservare per le fibule a placca e ad arco composto da verghe della vicina tomba 363. 52 Il diametro è di 15 cm. 53 M. HOERNES, Urgeschichte der bildenden Kunst in Europa (III ed. curata da O. MENGHIN, Wien, 1925, fig. a p. 499, 3; D’AGOSTINO, in PCIA Il, tav. VII; AIGNER FORESTI, in Briti. Mus. Occasional Papers, 1982, p. 34 s., fig. 2. 54 HOERNES, op. cit., fig. a, p. 499, 4; I. DALL’OSSO, in Napoli Nobilissima XV (1906), p. 43, fig. VI, 2. 55 HOERNES, op. cit., fig. a, p. 499, 2.

169


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 170

170

Perugia56 e forse quella già citata da Cuma con l’uccello sull’incrocio di due coppie di spirali e quella da Suessula con la «Vogelbarke» con figura stante. Mentre ci sfuggono eventuali rapporti, probabilmente inconsistenti, con fibule a placca greche57, i pendagli traforati di forma triangolare con l’angolo superiore smussato hanno diretti antecedenti in un esemplare da Cuma infilato in una fibula della fine del IX o dei primi decenni dell’VIII secolo58. La fibula a lumaca e quella a drago, ancora a due pezzi, e quella ad arco rivestito di perle di pasta vitrea, di cui fa anche sfoggio soprattutto la seconda, rientrano, anche per i legami trasversali a filo con spirale delle prime due, in un gruppo che, in questo periodo, è tipico dell’area bolognese-romagnola, dove però non conosciamo ancora per il terzo di tali tipi la staffa allungata59. Mentre questa presenta anche delle perle in pasta blu con striature trasversali, le altre due hanno la parte centrale dell’arco a barchetta su cui poggiano degli uccelli acquatici60 e l’esemplare a drago ha elementi laterali rivestiti da fili attorcigliati e uniti da tre archi trasversali dello stesso tipo. A meno che non si tratti di prodotti di un’officina ancora sconosciuta dell’area villanoviana settentrionale, il che è la cosa più probabile, data la totale assenza di simili oggetti anche in tutta l’Italia centrale, si potrebbe pensare, data anche la presenza di un bottone di pasta vitrea in una fibula a ponticello in contesto di IIa, ad un artigiano venuto dal Nord, area con cui esistevano comunque, come si è visto e vedremo ancora, stretti rapporti sia di scambi attraverso la via dell’ambra, ma anche culturali. In tale problematica rientrano le fibule ad arco cristato con pendagli, attestate nel periodo II A61 ed anche i torques, di cui un esemplare è stato trovato in associazione con una di queste nella tomba 50262, mentre una fibula a corpo d’ambra, dalla tomba 200, (fig. 3) del periodo II B, è da considerare, dato il suo isolamento nell’Italia centro-meridionale, un’importazione dai Balcani nord- occidentali63. Le prime, di cui sono noti due esemplari da Capua, e due da Suessula, potrebbero avere un precedente in un tipo ad arco ingrossato ornato da incisioni oblique con cresta semplice e staffa simmetrica, particolare che si ritrova negli esemplari di cui si è detto, noto finora da un esemplare sporadico da Capua (fig. 4) e da uno in contesto del IX secolo inoltrato da Monte Saraceno nel Gargano64, mentre gli esemplari finora noti dalle Alpi orientali non sembrano anteriori alla metà dell’VIII secolo, come quelli atestini, attestati fino a Veio65. Comunque il gruppo campano, la cui ricca articolazione con applicazioni plastiche ornitomorfe sia nei pendagli, sia su un contrarco interno, trova un’analogia, penso, puramente casuale, anche se forse concettuale, in un gruppo con animali all’interno del VII secolo delle Alpi nord-orientali66, è per ora completamente isolato, ma, quali che siano state le origini, deve aver avuto almeno rapporti di parentela con quello veneto-alpino, la cui variante balcanica occidentale a doppia spirale è attestata fino in Albania67. Se la forma massiccia dei pendagli con un elemento biconico sormontato dall’uccello sembra

56

SUNDWALL, 1943, fig. 436. V. su queste soprattutto CH. BLINKENBERG, Fibules grecques et orientales, Kopenhagen, 1926, p. 260 s. Comunque anche queste derivano dal tipo a quattro volute, di cui i prototipi sia della variante greca, che di quella italica si sono evidentemente sviluppati dalla fibula ad occhiali presumibilmente tra i Balcani nord-occidentali e la Pannonia (v., tra l’altro, J. ALEXANDER, in AJA LXIX (1965), p. 8 s.). 58 MonAntLinc XXII, tav. XXVI, 3; la fibula, di grandi dimensioni, è del tipo campano ad arco ingrossato. 59 V. PINCELLI-MORIGI GOVI, fig. 73; TOVOLI, 1989, tav. 117; le fibule con perle di pasta vitrea trovate a Tarquinia (HENCKEN, fig. 31 s., 496, 57c) sono tutte in contesti della I fase inoltrata; tipico per Bologna è l’adattamento a tipi «maschili». 60 Lungh. 14; alt. 8; cfr. una fibula a lumaca da Suessula, di tipo più semplice (JOHANNOWSKY, 1983, tav. 59c). 61 JOHANNOWSKY, 1983, p. 44 s., 116 tav. XIX, T. 502, 3; MEROLLA, ibid., p. 259, tav. 59b; v. HASE, in MRGZM XXXI cit., fig. 10 (11) da Suessula, ridotta rispetto ad un altro esemplare da Suessula, identico a quelli capuani. 62 JOHANNOWSKY, 1983, p. 45, 116, tav. XI, T. 930, 15, tav. XIX, T. 502, 4. 63 SUNDWALL, 1943, p. 194 s., fig. 313-315; il tipo è diffuso in Italia, ad Este, a Bologna, e in area adriatica fino a Numana, e in Etruria un esemplare è stato rinvenuto a Tarquinia (MÜLLER-KARPE, fig. 2, 4, dalla tomba 8.3.1883); v. S. BARTOVIC, in Jadranska Obala protobistoriji,Zagreb. 1976, p. 44, carta b. 64 Dalla tomba 1002; devo la conoscenza dell’esemplare dalla tomba 84 di Monte Saraceno, che è in associazione con una a carrettino campana in ferro alla collega Maria Luisa Nava, che ringrazio vivamente. V. comunque la stessa, in XIII Convegno nazionale sulla Preistoria, Protostoria, Storia della Daunia - Atti I, Foggia 1993, p. 100. Per le fibule ad arco cristato dall’Italia settentrionale v. P. VON ELES MASI, PBF, XIV, III; p. Bologna v. TOVOLI, 1989, p. 260, n. 84. 65 NS, 1967, p. 246 s., fig. 97, 20, dalla tomba EB 6-7. 66 È un tipo abbastanza diffuso nella necropoli di Hallstatt (v. K. KROMER, Das Gräberfeld von Hallstatt, Firenze, 1959, p. 27; tav. 15, 2), ma attestato anche nell’area circostante. 67 Un esemplare proviene dalla valle del Mati nell’Albania settentrionale (DialArch II (1969), p. 43, fig. Ab), mentre in Epiro e più a Sud il tipo può considerarsi sconosciuto. 57


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 171

Fig 4 Capua-Fibula bronzea dalla Tomba 1002.

171


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 172

172

caratteristíca della metallurgia capuana, invece i denti di lupo incisi a tratteggio obliquo potrebbero essere di tradizione diversa, anche se la presenza dello stesso motivo all’interno delle tazze d’impasto ai lati dell’ansa non va sottovalutata. Quanto al possibile significato degli elementi figurati delle fibule di cui abbiamo discusso, ovviamente non possiamo basarci che su indizi tutt’altro che sufficienti e, quanto meno, indiretti, per quel che riguarda le fonti. Va comunque sottolineato che rappresentazioni di uccelli acquatici, legati ad una divinità o facenti parte essi stessi del soprannaturale, sono particolarmente diffuse, con caratteri iconografici analoghi, nell’Europa centrale e nell’area medio-danubiana dalla tarda età del bronzo in poi68 e che nell’ambito greco, a Sparta, dove la tradizione classica localizza il mito di Leda, esse ricorrono nelle hydrie di bronzo, anche se collegate piuttosto alla funzione del vaso, secondo un concetto che troviamo anche nell’Italia protostorica69. D’altra parte va anche sottolineato che proprio alcune delle immagini più antiche in ambito europeo sono su armi protettive, quali gli schinieri ed anche su corazze pertinenti alla panoplia di personaggi emergenti nell’ambito della società70, per non parlare dei carrelli con specifiche funzioni cultuali. Tra questi quelli con il disco solare ci interessano più che altro per il motivo della barca a doppia protome che sembra conferire in Campania carattere magico-religioso alla figura, scimmiesca o umana che sia, che lo sormonta71, mentre quelli con un vaso sono attestati ancora in età classica fino in Tessaglia ed un esemplare del gruppo ornitomorfo proviene dai dintorni di Salerno72. Come dimostra la presenza dell’aratro nella fibula più grande del museo Britannico, l’immagine del bue sembra invece legata piuttosto al concetto della fertilità che non ad una forma di culto dell’animale di per sé, anche se pure tale animale rientra spesso nel sacrale e va ricordato che presso i Sanniti esso ha avuto, insieme con il lupo, anche carattere totemico73. Non va però trascurato il fatto che l’aratro veniva usato, probabilmente nell’ambito della «etrusca disciplina», per tracciare il «sulcus primigenius», il che potrebbe quadrare benissimo con la presenza degli uccelli, l’osservazione del cui volo aveva una notevole importanza in tale normativa74, mentre appare più misteriosa la presenza di un uccello con testa bovina in una fibula da Suessula e su una dalla Campania del museo britannico75. Quanto al motivo per cui le donne nelle cui tombe sono state trovate a Capua le fibule a placca le sfoggiassero, si può discutere, ma il fatto stesso che quelle più grandi, nelle tombe 368 e 362 poggiavano, insieme con quelle ad arco composto da verghe, sulla parte inferiore del corpo, fa pensare che non le abbiano mai indossate tutte insieme con le altre. Ciò non è sufficiente, tuttavia, a dimostrare che tali oggetti fossero insegna di qualche carica sacerdotale, anche se erano indubbiamente simboli di distinzione sociale ed erano probabilmente in rapporto, oltre che con l’ideologia delle classi sociali dominanti, in misura forse anche maggiore, con concezioni magiche religiose. Mentre tali fibule rientrano in un periodo cronologico limitato, non si può dire altrettanto per un elemento che è molto più peculiare di certo costume femminile, quale il torques con verga a spirale ed estremità a lamina accartocciata. Infatti i cinque esemplari noti finora a Capua, cui va aggiunto uno da Cuma76, sono stati

68 V. su tali problemi, tra l’altro, G.V. MERHART in Ber.RGK XXX (1947, p. 33 s.; e, ibid., XXXVII-XXXVIII (1956-1957); p. 101 s.; G. KOSSACK, Studien zum Symbolgut der Urnenfelder-und Hallstattzeit Mitteleuropas, in Röm. Germ. Forsch. XX (1954), p. 45 s., che propendono per uno sviluppo in area danubiana di tale simbolismo e, più recentemente, A. JOCKENHOVEL, PBF XX, I (1974), p. 86 s.; H. MATTHÄUS, in JDI XCV (1980); v. HASE, in MRGZM XXXI (1984), p. 264, n. 18, che tengono conto del forte influsso esercitato durante l’età del bronzo dalle culture egee anche nell’Europa centrale. Se è vero, comunque, che nella ceramica protogeometrica in ambito greco il motivo dell’uccello è quasi assente, la sua frequenza in quello successivo è forse da considerare un indizio di continuità. 69 V. E. DIEHL, Die Hydria, Mainz, 1964, p. 9 s.; v. in particolare il gruppo Telesstas, ma anche quello Sala Consilina, del VI secolo inoltrato. Le protomi di uccello sono ancora subgeometriche negli esemplari più antichi del gruppo, del tardo VII secolo. È interessante la presenza di un motivo analogo su anse di scodelloni dei periodi I B e II A di Capua e a Bologna. 70 V. recentemente P. SCHAUER, in MRGZM XXIX (1988), p. 113 s., fig. I, 5, 12, 13e, per le corazze, in v. MERHART, Hallstatt und Italien, Mainz, 1969, p. 149 s. 71 Non è comunque da escludere un rapporto con il tipo del Bes mediato attraverso i contatti con i navigatori fenici. Una statuetta in fayence è stata trovata a Vetulonia (FALCHI, 1891, p. 86 s., Tav. VI, 24). 72 V. soprattutto CH. PESCHECK, in Germania L (1972), p. 50 s. 73 A proposito della leggenda di fondazione di Bovianum v. Strab. V, 4. 74 Sul «sulcus primigenius» v. Macrob., Sat. V, 9; sulla «etrusca disciplina» v., tra l’altro, S. WEINSTOCK, in RE B V, A 1 (1934), col. 480 s. 75 SUNDWALL, 1943, fig. 282. 76 JOHANNOWSKY, 1983, p. 45 s.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 173

Fig 5 Capua-Fibule e pendaglio dalla Tomba 368.

173


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 174

174

trovati in contesti che vanno dal periodo IB a quello IIB e, a differenza da quelli diffusi in un contesto culturale diverso a Francavilla Marittima, tutti lisci salvo uno a solchi trasversali, appartengono ad un tipo di cui un esemplare da Salapia è finora completamente isolato ed uno da S. Maria d’Anglona proviene da una tomba sconvolta77, mentre altri tre sono noti finora dall’area Atestina78, ma è diffuso abbastanza tra l’attuale Slovenia, il medio Danubio e la cultura lusaziana79. Non sembra casuale il fatto che tale distribuzione coincide abbastanza con la via dell’ambra, e la controprova della presenza di fibule italiche, in parte anche dell’orientalizzante antico, nelle stesse aree sembra indicare che si tratta di prodotti importati e che ci sono stati rapporti abbastanza diretti almeno con il bacino danubiano, dal quale o attraverso il quale sono pervenuti, tra l’altro, nell’Etruria interna a Veio e Bisenzio vasi di bronzo ed a Pontecagnano la situla del tipo Kurd trovata in un contesto dell’ultimo quarto dell’VIII secolo80. Ma tra i motivi di maggiore interesse che, malgrado i numerosi sconvolgimenti, offre la necropoli capuana della prima età del ferro è, accanto alla rilevanza dei rapporti con l’alto Adriatico e l’Europa centrale, la relativa frequenza di oggetti importati dal mondo greco e dal vicino Oriente, la cui comparsa nell’ambito del periodo I B coincide più o meno con quanto è stato notato per Pontecagnano, per l’abitato indigeno di Cuma e, in Etruria, per Veio81, e con il formarsi di una società più articolata, favorito dall’evolversi degli scambi e dalla possibilità di accumulo, tra i cui sintomi è anche l’ostentazione in tomba. Proprio ciò ci consente però di affrontare un problema ancora dibattuto della cronologia del geometrico greco in rapporto con i suoi primi prodotti pervenuti nell’Italia tirrenica, con la fondazione di Pitecusa, e con l’inizio del «villanoviano evoluto», ma anche di allargare lo sguardo più a Nord82. Mentre si stanno guadagnando attraverso l’analisi delle argille, anche se attraverso un’indagine ancora limitata e non scevra di fatti ancora poco chiari, di cui una delle cause potrebbe anche essere la possibile importazione e commistione di argille, alcuni punti fissi83, bisogna osservare che va tenuto conto della possibilità di «décalages» tra l’inizio di produzioni più «moderne» tra centri diversi, ma anche nell’ambito di questi, con ovvie situazioni residue, sia in ambito greco, sia in Italia. Un «décalage» c’è stato certamente tra l’Attica e l’Eubea e non è da escludere che i prodotti più recenti del subprotogeometrico C euboico presenti in Occidente a Villasmundo, a Pontecagnano e a Veio84 possano essere contemporanei alla produzione della ceramica del medio-geometrico B in Attica, così come sembra essercene stato uno tra l’Attica e Corinto, dove le tazze Aetos 666 sono almeno nella forma iniziale un residuato medio-geometrico, attestato a Pitecusa in contesto già tardo-geometrico, com’è stato giustamente ribadito anche recentemente85. Considerazioni analoghe si possono fare a proposito dei rapporti tra i vari centri protoetruschi, nel cui ambito comunque non tutto sembra quadrare in base al semplice rapporto costa-interno, in quanto, a parte la possibilità di qualche sorpresa in centri meno ben conosciuti, ha avuto indubbia importanza anche la valle del Tevere con le sue propaggini verso la Campania e verso i valichi appenninici e diramazioni quanto meno verso l’area Tarquinia-Vulci, innestate in un sistema viario complementare agli itinerari marittimi, che si andava man mano sviluppando86. Comunque, anche se

77 P. ZANCANI-MONTUORO, in AttiMGrecia N.S. XV-XVII (1974-1976), p. 18, fig. 2, 5, a solchi trasversali, dalla T. 60; ibid., XVIII-XX (1977-1979), 39, fig. 12; p. 78, fig. 29; p. 82, fig. 32; ibid., XXIV-XXV (1983-1984), p. 39, fig. 9; 43, fig. 11. 78 V. sui torques in genere l’elenco di G. COLUCCI PESCATORI, in NS, 1971, p. 529 s.; su quelli tra la tarda età del bronzo e la prima età del ferro v. recentemente U.WELSWEYRAUCH, Die Anhänger und Halsringe in SW Deutschland und Nordbayern, (PBFX, 1) München, 1978, p. 160b, e B. TERZAN, Stareg sa Zelezna doba stovenskem Stajerskui, Ljubljana, 1990, p. 210. 79 V. MÜLLER-KARPE, 1959, p. 114, n. 4; 152, 175; tav. CX, A1. 80 V. CERCHIAI, in StEtr LIII cit.p. 27 s. 81 V. su tale problema soprattutto D. RIDGWAY, L’alba della Magna Grecia, n. 136 s. e J. BOARDMAN, I Greci sui mari, Firenze, 1986 ( = 3 a ed. di The Greeks overseas, London, 1980), p. 35 s. 82 Sulla cronologia greca v., tra l’altro, recentemente, COLDSTREAM, Greek geometric Pottery, Oxford, 1968; ID., Geometric Greece, Oxford, 1977; RIDGWAY, op. cit., p. 22 s. e in Nouvelle contribution à l’étude de la société et de la colonisation Eubéenne, Napoli, 1981, p. 45 s. Mentre la cronologia di Coldstream appare viziata dalla datazione troppo bassa della cessazione della produzione di tazze tipo Thapsos con pannello in rapporto con la fondazione di Gela (su cui v. P. ORLANDINI, in Cronache di Archeologia e Storia dell’arte, II (1963), p. 50 s.), su altri problemi il dibattito è ancora intenso. 83 V. sui primi risultati di un’analisi comparata B. D’AGOSTINO, Secondo Congresso Internazionale etrusco, p. 69 s.; A. DOVIU, ibid., p. 79 s. 84 Su Villasmundo v. G. VOZA, in Cronache di Archeologia, XVII (1977), p. 108, tav. XXXVII, 1; su Pontecagnano B. D’AGOSTINO, Secondo Convegno Internazionale Etrusco cit.; su Veio v. BARTOLONI, ibid., p. 175 s.; DELPINO, in Archeologia nella Tuscia II cit., p. 167 s. 85 B. D’AGOSTINO, in Secondo congresso internazionale etrusco, p. 69 s. 86 V. su tali problemi, tra l’altro, S.QUILICI GIGLI, in St. Etr. XXXVIII (1970), p. 363 s.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 175

qua e là sono certamente sopravvissute realtà «cantonali» arretrate, i fenomeni di concentrazione sinecistica della popolazione verificatisi dalla fine dell’età del bronzo in poi ed i conseguenti mutamenti nella società devono aver creato anche le premesse, sia pure condizionate da situazioni particolari, che in massima parte ci sfuggono, per dei contatti. I modi in cui questi si sono svolti potrebbero esser stati in qualche caso anche analoghi a quanto tramandato dalle fonti per periodi successivi e non tutto era certo condizionato dal fattore ferro, il che potrebbe anche spiegare meglio l’apparizione precoce in un centro dell’interno come Veio, grazie forse a premesse più favorevoli, della ceramica greca, cosa che almeno finora non sembra risultare contemporaneamente nella stessa misura per Tarquinia e Vulci, dove tuttavia non manca qualche testimonianza di rapporti precoci con la Campania. Comunque, anche se la cronologia assoluta anteriore alle date «ufficiali» più antiche delle fondazioni di colonie in Occidente è tuttora un problema aperto e soggetto a stime più o meno ragionevoli, tra cui quella che pone intorno alla metà dell’VIII secolo la fondazione di Pitecusa sembra abbastanza accettabile, è da ritenere perlomeno azzardato il voler restringere in uno spazio di qualche anno tutta una situazione di sviluppo differenziato in aree diverse sia del mondo greco, sia dell’Italia88. La produzione in Attica della ceramica del medio-geometrico B sarà durata quanto meno più di un decennio, se consideriamo anche il tempo che ci sarà voluto per il suo attecchimento in Eubea e a Corinto, da dove una tazza a «chevrons» può essere benissimo arrivata a Veio non come conseguenza, ma come premessa del «boom» che è stato poi l’effetto di interessi comuni euboico-corinzi dovuti all’opportunità di utilizzare l’istmo o un’altra via terrestre ad esso vicina, ma sempre nella sfera d’interessi corinzia89. Ma oltre ai vasi fittili, anche del tardo-geometrico iniziale sia attici che euboici e forse anche cicladici, che sembrano mancare a Pitecusa, sono pervenuti nell’Italia meridionale e in Etruria dei tipi di oggetti di materiale diverso che pure non vi son rappresentati, e che a Capua erano in contesti del periodo II B. Se ciò è forse dovuto a consuetudini sepolcrali per le coppe di bronzo a calotta, in quanto le tombe pitecusane non hanno restituito finora vasi metallici, forse riservati a sepoltura di aristocratici, come poi a Cuma90, ciò non sembra valere comunque per i vaghi di pasta vitrea a forma di uccelli di un tipo noto anche dalla stipe di Camiro91 e per dei vaghi a forma di astragalo in lamina d’argento molto sottile92. D’altra parte le tazze del medio-geometrico B sono presenti a Capua in contesti del periodo I B e a Cuma in un corredo del periodo corrispondente93 e quelle del tardogeometrico iniziale in contesti del periodo II A di Capua, mentre, se delle imitazioni di tazze tipo Thapsos in impasto in un corredo di II B potrebbero far pensare alla fondazione di Pitecusa nel corso di tale periodo, la presenza di ceramica pitecusana del tardo-geometrico I è una caratteristica delle tombe emergenti del periodo II C di Capua94. Il periodo II A, caratterizzato nell’ambito degli oggetti ornamentali dallo sviluppo della fibula a sanguisuga e ad arco rivestito a staffa allungata con l’allargamento a losanga e dall’apparizione della fibula a drago e, nell’ambito della ceramica, da un graduale irrigidimento delle forme e quindi, se vogliamo, di transizione verso la sottofase successiva, e tenendo conto del numero delle tombe scavate, non può aver avuto comunque una durata troppo breve. Pertanto, anche se si volesse restringere al massimo il tempo trascorso tra i primi contatti documentabili e anche considerando che da Capua non conosciamo ancora ceramica subprotogeometrica, dovremmo supporre uno spazio di circa una generazione tra i primi rapporti di età postmicenea tra il mondo greco, la Sicilia e l’Italia tirrenica e l’impianto protocoloniale di Pitecusa. Quanto poi al rapporto con il «villanoviano evoluto», va detto che fin dall’inizio di II A appaiono forme e motivi decorativi tarquiniesi di tale fase, forse non a caso in concomitanza con la produzione italo-geometrica locale, in un mo-

87 È probabile che siano giunti per via marittima oggetti come la fibula a carrettino dalla tomba 203 di Selciatello sopra (HENCKEN, 1968, fig. 1046) e l’anforisco dalla necropoli delle Arcatelle di Tarquinia (V. D’ATRI, in AC XXIX (1977), tav. II, 1), e una fibula a carrettino ed una ad arco in grossato da Vulci (FUGAZZOLA DELPINO, La Cultura villanoviana (Guida ai materiali della prima età del ferro nel Museo di Villa Giulia), Roma, 1984, p. 119 (n. 427; 123 n. 45). 88 118 Come lo vorrebbero invece S. P. DESCOEUDRES e R. KEARSLEY (in ARSA LXXVIII (1983), p. 9 s.) e BARTOLONI (Atti Il congr. etr. cit.). 89 V. su tali problemi RIDGWAY, op. cit. e BOARDMAN, op. cit. 90 Su tali oggetti v. recentemente C. ALBORE LIVADIE, in AC.MGrecia, N.S. XVIII-XX (1977-1979), p. 127 s. 91 V. recentemente su tali oggetti FREY, Zur Seefahrt im Mittelmeer während der Früheisenzeit (10.bis 8. Jh.v. Chr.), AVA-Kolloquien (curato da MÜLLER KARPE) 2 (1982), p. 21 s., fig. 8; in op. cit. (Lecco, 1991), p. 14, n. 29, fig. 5, tav. XIV, 5. 92 Vaghi di tale tipo sono stati rinvenuti, in parte in associazione con quelli di cui alla n. 91, tra l’altro, a Veio (NS, 1967, p. 132, fig. 26) e a Vetulonia (FALCHI, 1891, tav. XVII, 13), a Bisenzio (MonAntLinc XXI (1912), col. 409 s., tomba 29, fig. 29). 93 MÜLLER-KARPE, 1959, tav. XVI, A 3. 94 V. JOHANNOWSKY, 1983, p. 45.

175


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 176

176

mento non lontano forse da una data intorno al 780, anche se ci sarà voluto forse un decennio per imprimere una effettiva trasformazione anche nell’ambito della ceramica. Alla fase più antica di tale periodo di frequentazione delle coste della Campania, per cui il termine di precolonizzazione, anche se forse non del tutto soddisfacente, rende in un certo qual modo l’evidenza, può essere assegnata, tenendo anche conto della possibile contemporaneità degli ultimi prodotti subprotogeometrici euboici o delle Cicladi settentrionali con i primi del medio-geometrico B della stessa area, la tomba 1200 di Capua, (fig. 1, 2) tra le poche trovate intatte di I B. Si tratta di una sepoltura a cassa formata da grossi ciottoloni calcarei, certamente ad inumazione, caratterizzata come maschile dal rasoio a paletta con manico in materiale deperibile e dalle fibule, di cui una, a doppio occhiello, è di bronzo e l’altra, in ferro, è a due pezzi, con la parte dell’arco adiacente all’ardiglione che aveva la testata in pasta vitrea, a tre verghe parallele95. Il corredo vascolare è composto da un’olla biconica senza anse con il lato interno del labbro ornato da una linea a zigzag impressa a rotella96, da due tazze dei due tipi principali rappresentati a Capua, da una brocchetta del tipo «danubiano» a quattro bugnette sotto solchi incurvati, e da una coppa a chevrons euboica o cicladica97. Particolarmente significativi sono comunque la decorazione dell’olla, che trova confronti già nel periodo I A di Tarquinia98, e la forma delle tazze, di cui una ha ancora l’ansa a linguetta, e della brocchetta. Importanti sono però anche i rapporti reciproci con la zona dell’alto Adriatico da Bologna in su. Si è già detto della fibula di Perugia, cui vanno aggiunte le imitazioni della variante campana del tipo a sanguisuga con uccelli sovrapposti dall’area Bolognese e da Este. Comunque, però, la fibula con arco ornato da perline di pasta vitrea e quelle ad arco a gomito e a lumaca della tomba 368 di Capua presuppongono l’inizio del «villanoviano evoluto» a Bologna, che quindi non può essere datato più giù del 770-60 circa, il che sembra abbastanza coerente con la presenza nella tomba 61 della necropoli di S. Vitale, che anche per la tipologia delle fibule rientra nella fase precedente, di uno scodellone che ricorda molto da vicino un tipo presente a Capua nel periodo I B99. Ciò implica, ovviamente, la necessità di una parziale revisione della cronologia centro-europea, discorso da farsi con maggiore documentazione in altra sede, fermo restando che l’inizio del periodo di Hallstatt va ormai posto intorno al 725, in sincronia con quello dell’orientalizzante in Etruria, in Attica e a Corinto. Se è lecito azzardare qualche idea conclusiva, va rilevata innanzitutto l’importanza della metallurgia della Campania settentrionale già nella prima fase inoltrata della prima età del ferro, in un’area che comprende Capua, Cuma, Suessula, in concomitanza con la ripresa dei contatti tra l’area Egea e l’Italia tirrenica, sempre nell’ambito più vasto dei traffici lungo l’asse del Mediterraneo, che dall’età del bronzo non sembrano aver avuto alcuna soluzione di continuità. Almeno da quest’epoca quanto conosciamo dalle necropoli di Capua si distingue da quel che si può constatare per Cuma e per S. Marzano sul Sarno sia per l’assenza di armi, salvo in una tomba emergente del periodo II C100, sia per le pochissime eccezioni alla regola della differenziazione dei sessi per quel che riguarda le fibule101, così come a Pontecagnano e in area villanoviana vera e propria, il che è pur sempre un fatto distintivo rispetto alla «cultura delle tombe a fossa», a parte quanto si è detto di certe forme vascolari e in particolare per le tazze. Proprio l’evoluzione di queste è, d’altra parte, così come quella di altre fogge decorative quali le costolature elicoidali sulla spalla delle olle, indizio di un’autonomia culturale sia rispetto all’area circostante, sia nei confronti dell’Etruria, con la quale i rapporti sono stati continui e strettissimi almeno dal periodo I B fino alla fase finale nella prima età del ferro. L’evoluzione della metallurgia, dal tardo IX secolo in poi ne è un altro aspetto, caratterizzato tra l’altro dall’elaborazione, nelle fibule da parata, di motivi di origini diverse, sia alto-adriatici, in parte di matrice danubiana, sia dell’area ionica calabro-lucana.

95

Cfr., tra l’altro, la fibula HENCKEN, 1968, fig. 101b, 135a. Alt. 56 97 Alt. 11,6 dm. 22,5; argilla crema; vernice bruna, a tratti diluita; qualche sciatteria. V. per Tarquinia, BURANELLI, p. 131 s., fig. 105. 98 V. per Tarquinia, BURANELLI, p. 131 s., fig. 105. 99 PINCELLI-MORIGI-GOVI, op. cit., fig. 46, tavv. LXXV-LXXVII. 100 V. JOHANNOWSKY, 1983, tav. XLIV, T. 865, 12. 101 Per la cultura delle tombe a fossa in Campania è sintomatico quanto rilevato da D’AGOSTINO a S. Marzano (v. Mél, 1968 cit.), anche per il periodo orientalizzante. 102 Tra l’altro la fibula aurea da Vulci e quella della tomba Regolini-Galassi a Caere, su cui v. HASE, in MRGZM cit. 96


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 177

Anche se non è certo che tutto debba essere attribuito a Capua, è comunque coerente con tale quadro, che non sembra coinvolgere nella stessa misura Cuma e comunque non coinvolge, se non in maniera assolutamente secondaria, gli insediamenti della valle del Sarno, caratterizzati da una cultura fortemente conservatrice, sopravvissuta nei suoi caratteri essenziali anche nella fase orientalizzante, mentre quanto proviene da Suessula, di cui non conosciamo quasi gli altri aspetti della cultura materiale, coincide, pur nella sua varietà, negli elementi essenziali con quel che è noto da Capua. Quel che sembra abbastanza chiaro, ormai, è che nella Campania settentrionale dev’essersi svolta l’evoluzione della fibula a carrettino verso quella a drago e, sotto l’influsso del tipo a doppio occhiello, lo sviluppo della staffa allungata nei tipi femminili, laddove in Etruria e a Pontecagnano sopravvive in questi, per qualche tempo ancora, la staffa simmetrica, di cui resta anche nei tipi più aggiornati un residuo nella sporgenza verso l’interno. Tipicamente campani sono pure gli allargamenti a losanga anche nei tipi maschili, che contribuiscono a dare un aspetto notevolmente articolato a tali oggetti, pari a quello dell’attacco della staffa a disco fortemente allargato all’inizio della fase orientalizzante102, quando sembra essersi ormai esaurito qualsiasi impulso creativo delle officine campane. Tra le cause sono da individuare probabilmente le conseguenze della colonizzazione greca in Campania e di quella fenicia in Sardegna. Da Pitecusa i centri costieri dell’Etruria erano infatti a portata di mano, così come dalla Sardegna meridionale era possibile raggiungere con relativa sicurezza tramite il cabotaggio la zona mineraria, che era quella che offriva le maggiori risorse. Dopo l’appropriazione, in conseguenza della fondazione di Cuma, di un territorio agricolo funzionale alla sopravvivenza, ma anche alla τρυφή dell’aristocrazia degli ἱπποβόται, era, del resto, divenuto meno essenziale il rifornimento delle colonie euboiche attraverso i centri protoetruschi e indigeni della Campania, e una situazione di crisi che pare evidenziarsi a Capua, che sembra nell’orientalizzante antico più di prima in contatto con le aree interne103, ed anche, sia pure in minor misura, a Pontecagnano, avvantaggiata dalla posizione sul mare, dove, accanto alla presenza di prodotti di lusso di provenienza esterna nelle tombe dei gruppi dominanti104, possiamo notare una certa chiusura provinciale nella cultura materiale, oltre a rapporti con l’area retrostante105. Gli oggetti di lusso che non sono di provenienza orientale arrivano ormai dall’Etruria e, in qualche caso, tramite l’Etruria, il che vale anche per Cuma negli ultimi decenni dell’VIII secolo106. Mentre siamo ansiosi di conoscere qualcosa di più sugli oggetti ornamentali di Pitecusa in materia di accoglimento di moda etrusco-italica dal primo volume della pubblicazione di scavo, ormai in avanzato corso di stampa, e dal volume di Fulvia Lo Schiavo sulle fibule, va detto che dalle tombe del fondo Artiaco provengono solo poche fibule, in parte d’argento, di produzione o di tradizione campana, anteriori comunque di decenni alla deposizione. Anche se le incognite sono di non poco conto e riguardano centri importanti, come Volsinii e Perusia, tra l’altro, e s’impone una revisione dei materiali già parzialmente editi di altre necropoli in area etrusca, così come una maggiore conoscenza degli abitati della prima età del ferro, per chiarire meglio gli altri aspetti dell’evoluzione verso una società più articolata e dei modi e dei rapporti di produzione nell’ambito di strutture preurbane in corso di formazione, è forse possibile specificare meglio alcuni sincronismi che equivalgono in parte a tappe di tali processi. Nei primi decenni dell’VIII secolo, in concomitanza con il medio-geometrico B in Attica e l’inizio di una produzione medio-geometrica anche in Eubea, dove si sostituisce al sub-protogeometrico B, vanno datate con ogni probabilità le prime evidenze archeologiche di una ripresa di contatti tra l’area egea e le coste del Tirreno, non certo casualmente contemporaneamente o quasi all’espansione commerciale, pure soprattutto euboica, verso Cipro e l’area fenicia, iniziata forse poco prima107. La creazione di una probabile struttura emporica a Posideion, forse analoga a quella di poco più antica o contemporanea a Kommòs, funzionale ai traffici fenici verso l’Occidente108, dev’esser stata comunque frutto di un’intesa, anche se non

103

V. JOHANNOWSKY, 1983, p. 55. D’AGOSTINO, in MonAntLinc, 1978 cit. Nella cultura di Oliveto citra-Cairano, su cui v. lo studio complessivo di G. BAILO-MODESTI (Cairano nell’età arcaica, Napoli, 1980), troviamo nell’orientalizzante antico nella ceramica d’impasto motivi impressi mutuati da Pontecagnano, dove sopravvive fino nel VII secolo una moda decorativa che è a Capua tipica della II fase. 106 V. in MonAntLinc XIII, col. 228 s., fig. 78, 265 s., fig. 45, già però con staffa notevolmente lunga. 107 V. BOARDMAN, op. cit. Quanto alle fibule italiche di epoca precoloniale pervenute a Creta (E. SAPOUNA SAKELLARAKI, in PBF XIV, 4 (München, 1977, p. 16 s.), è quanto meno probabile che vi siano arrivate tramite navi fenicie di ritorno. 108 Sul santuario di Kommòs v. J. W. SHAW, in AIA XCIII (1989), p. 165 s. 104 105

177


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 178

178

è detto che si estendesse a tutta l’area fenicia, che dev’esser durata, come fanno pensare i rinvenimenti di Pitecusa, fino all’assoggettamento della Fenicia da parte degli Assiri, il che sembra quadrare con la contemporanea presenza di oggetti orientali in parte analoghi in contesti sia greci sia italici di epoca precoloniale. Dal momento finale della prima fase della prima età del ferro artigiani greci devono aver dato inizio alla produzione della ceramica italogeometrica tra Veio, Vulci e Capua, almeno109. Più o meno in coincidenza con il passaggio al tardo-geometrico nell’area tra l’Attica, l’Eubea e le Cicladi, almeno, deve aver avuto inizio il «villanoviano evoluto» di Tarquinia, Veio, Pontecagnano, e se vogliamo, di Capua e Bisenzio, e, contemporaneamente o solo poco più tardi, quello di Bologna. Alla produzione di generi di lusso sia in centri del mondo greco, sia in quelli costieri dell’Etruria, ha dato inoltre impulso la migrazione di artigiani orientali che sembra aver coinciso, dopo una prima ondata nell’Egeo meridionale, più o meno con la prima fase della colonizzazione ed è stata determinata soprattutto dalle nuove possibilità di mercato offerte dal consolidarsi del potere economico delle aristocrazie dei centri in fase avanzata di evoluzione preurbana.

109

V. a tal proposito soprattutto RIDGWAY, op. cit.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 179

Tav. I

a,b,c,d) Capua Fibule dalla Tomba 368.

179

a

b

c

d


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 180

Tav. II

a,b) Capua - Pendagli di fibule da parata dalla Tomba 368; c) Capua - Appendici di fibule dalla Tomba 358.

180

a

c

b


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 181

Tav. III

a,b) Fibule dalla Tomba 368; c) Suessula - Fibula.

181

a

b

c


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 182

Tav. IV

a,b) Capua - Fibule da parata dalla Tomba 368.

182

a

b

a

b

Tav. V

a) Capua - fibula da parata dalla Tomba 368; b) Suessula - Fibula da parata.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 183

Tav. VI

“Tipologia delle tazze monoansate capuane”. 6) Tazze della I fase di Capua.

IA

183

IB


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 184

Tav. VII

“Tipologia delle tazze monoansate capuane”. 7) Tazze della I fase B e della II fase A di Capua.

184


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 185

Tav. VIII

“Tipologia delle tazze monoansate capuane”. 8) Tazze della II fase B e C e della III fase A di Capua.

II B

185

II C

III A




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 188

Premessa*

188

Quel che conosciamo della storia dell’area campana dalla κτίσις di Cuma fino agli avvenimenti del 524 a.C., cioè di ben due secoli che hanno fortemente inciso sull’evoluzione sociale e culturale, è dovuto esclusivamente alla documentazione archeologica, per di più quasi tutta limitata ai dati che ci hanno fornito le necropoli1. La scarsezza dei dati acquisiti anteriormente agli anni Sessanta di questo secolo attraverso scavi condotti con metodologie scientifiche, insieme con le lungaggini nell’edizione di quanto venuto anche successivamente alla luce, dovute soprattutto a carenze dell’opera di restauro, ha inoltre contribuito all’affermazione e alla persistenza di concezioni storiche talvolta superate dai fatti2. Ciò malgrado, i rinvenimenti degli ultimi decenni ci consentono di fare un discorso più ampio che coinvolge fino a un certo punto anche il tipo di insediamento cui le necropoli erano pertinenti, e l’evoluzione verso realtà protourbane, limitata in tale periodo pur sempre alla pianura campana3. Nella fase finale della prima età del Ferro, che coincide con il periodo IIc di Capua e con il Tardo Geometrico A di Pithecusa, cioè all’incirca con il terzo quarto dell’VIII sec. a.C.4, riappaiono prodotti greci, questa volta pithecusani e corinzi, in un gruppo di tombe capuane pertinenti evidentemente a poche famiglie aristocratiche, tra le cui attività economiche doveva esserci, tra l’altro, l’allevamento equino, a giudicare dalla presenza di coppe con il δεσπότης ἵππων5. Nella diretta successione di queste - di cui una, femminile, è del tipo «ad ustrinum» secondo un rito abbastanza diffuso in Grecia6, ma completamente assente in Italia in questo periodo - sono sepolture «principesche» prevalentemente a cremazione dell’Orientalizzante antico, in cui l’ideologia delle classi dominanti si precisa meglio ed elementi di costume etrusco-italici appaiono combinati con consuetudini greche7. Oltre alla tomba 297 di Capua rientrano in tale gruppo delle tombe di Cuma e di Pontecagnano8, in parte già dei primi decenni del VII secolo, da cui provengono, oltre a oggetti di importazione anche orientali, altre coppe con coppie di cavalli sull’orlo, derivanti probabilmente da quelle capuane, certamente apparentate con esemplari analoghi dal territorio falisco e da Bologna, ancora in parte del periodo finale della prima età del Ferro9. Invece, come nei pochi corredi con materiali pithecusani di San Marzano sul Sarno, la ceramica delle altre tombe di Capua e di Pontecagnano rientra, come del resto quella parte delle stesse tombe emergenti, nella norma, anche se comincia a essere più diffusa dall’inizio della fase Orientalizzante una consistenza numerica

*

W.J., Premessa, in F. Chiesa, Aspetti dell’Orientalizzazione recente in Campania-La tomba 1 di Cales, Quaderni Acme19, Milano 1993, p. 9-16.

1

Sui problemi storici v., tra l’altro, J. Heurgon, Recherches sur l’histoire, la réligion et la civilisation de Capoue préromaine des origines à la deuxième guerre punique, I ed. Algier 1942, II ed. Paris 1970, alle pp. 485 ss.; M. Frederiksen, Campania, London 1984 (passim); G. Colonna, in La Campania tra il VI e il III sec. a.C., Atti del XIV Convegno di Studi Etruschi e Italici, Benevento 1981 Galatina 1992, pp. 65 ss., 102 ss.; B. d’Agostino, ibid., pp. 73 ss.; E. Lepore, ibid., pp. 175 ss.; M. Bonghi Jovino, in AA.VV., Ricerche a Pompei, l’«insula» 5 della «Regio» VI dalle origini al 79 d.C., I, Campagne di scavo 1976-1979, M. Bonghi Jovino (a cura), Roma 1984, pp. 375 ss. Sui problemi archeologici v., tra l’altro, B.d’Agostino, in PCIA, II, Roma 1974, pp. 11 ss., s.v. le pp. 26 ss., pp. 79 ss.; W. Johannowsky, Materiali di età arcaica dalla Campania, Napoli 1983; Id., in La Campania tra il VI e il III secolo cit., pp. 257 ss. Su Capua in particolare, oltre a W. Johannowsky, Materiali cit., s.v. anche Id., in RendNap, XLIX, 1974, pp. 3 ss., nonché dello stesso autore, Capua antica, Napoli 1991. Su Pontecagnano, B. d’Agostino, in NS, 1968, pp. 75 ss.; B.d’Agostino, in MonAnt. XLIX, ser. misc. II, 1, 1977, pp. 5-75; L. Cerchiai, Le officine etrusco-corinzie di Pontecagnano, Napoli 1990, p. 12; M. Cuozzo-A.d’Andrea, in AnnOrNap, XIII, 1991, pp. 47 ss. Sulla cultura della valle del Sarno, vedi B. d’Agostino, in AnnOrNap, I, 1979, pp. 59 ss. Sulla cultura di Cairano-Oliveto Citra vedi, tra l’altro, B. d’Agostino, in NSc, 1964, pp. 40 ss.; G. Bailo Modesti, Cairano nell’età arcaica. L’abitato e la necropoli, Napoli 1980. Sulla cultura della valle del Liri vedi, tra l’altro, G.F. Carrettoni, in BPI, XII, 195859, pp. 163 ss.; nonché I. Biddittu-S. Cassano, in Origini, III, 1969, pp. 311 ss. Su Pithecusa e Cuma v., tra l’altro, D. Ridgway, L’alba della Magna Grecia, Milano 1981; G. Buchner, in ASAtene, XII, 1981, pp. 263 ss.; su Partenope vedi S. De Caro, in RendNap, XLIX, 1974, pp. 37 ss. 2 G. Colonna, in La Campania tra il VI e III secolo…cit., sotto certi aspetti più aderente alla realtà, e più approfonditamente in G. Colonna, in Storia e civiltà della Campania, I, L’Evo antico, Napoli 1992, pp. 25 ss., nonché M. Cristofani, in AA.VV., I Volsci, Archeologia Laziale, XX, 1992, pp. 13 ss. Quanto affermato da quest’ultimo alla nota 12 sugli anforischi di tipo Aufidena è in contrasto con i dati archeologici già noti, su cui W. Johannowsky, Materiali cit., p. 291 e, per la tomba 548 di Capua, pp. 172 ss., tavv. 22a, LIII, LIV. Colonna ritiene, nel suo lavoro più recente, di notevole importanza l’apporto falisco nella Campania settentrionale e a Capua stessa, il che è innegabile, anche se quello «etrusco», che egli non nega più per il periodo antico, non va certo sottovalutato, insieme con altri apporti e sopravvivenze del Bronzo finale. 3 Vedi su tale problema W. Johannowsky, in La regione sotterrata del Vesuvio nel 79 d.C…Studi e prospettive, Napoli 1982, pp. 835 ss., e S. De Caro, in AnnOrNap, VII, 1985, pp. 75 ss. 4 W. Johannowsky, Materiali cit., pp. 52 ss. 5 Ibid., pp. 144 ss., tav. 12 XLI; sul motivo v. recentemente G. Camporeale, in MEFRA CIII, 1991, pp. 64 ss. 6 Ibid., p. 15, n. 35, con bibliografia. 7 Tra l’altro la diffusione degli spiedi, sulla quale v. recentemente O.H. Frey, Zur geschichtlichen Bedeutung der frühen Seefahrt, in AVA-Kolloquium, 1982. 8 Sulla tomba 104 del Fondo Artiaco, v. G. Pellegrini, in MonAnt. XIII, 1903, coll. 225 ss.; B. d’Agostino, in MonAnt. XLIX, 1977 cit., pp. 51 ss. 9 H. Müller Karpe, Beiträge zur Chronologie der Urnenfelderzeit nördlich und südlich der Alpen, Berlin 1959, tav. LXXXIII, I, dalla necropoli di Borgo Savena, purtroppo senza contesto.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 189

media alquanto maggiore dei corredi, fenomeno che si estende rapidamente anche ad altre aree culturali dell’Italia meridionale10. Tale ostentazione in tomba di un «surplus» più o meno consistente, in concomitanza con un incremento degli scambi che cominciano ormai ad assumere carattere «commerciale», e un maggior sviluppo dell’artigianato, sono evidenti indizi dell’affermarsi di ceti la cui economia è basata in misura rilevante su tale attività. Pertanto non è da considerare casuale che, anche nell’ambito di un tale sviluppo meno appariscente in una cultura conservatrice come quella della valle del Sarno, si possano notare, tra l’altro, come a Capua e sotto certi aspetti, a Pontecagnano, novità consistenti sin dall’inizio dell’Orientalizzante antico. Nella stessa maniera vengono alla ribalta nell’area sannitica, a Nord del Volturno, e nella parte confinante della Lucania, altre realtà culturali di cui non conosciamo in misura adeguata i precedenti nella stessa zona. Tra il Volturno, il Liri e la valle del Sacco, dove si sviluppa la cultura della valle del Liri, e nella zona a cavallo dello spartiacque dell’Ofanto, il Sele e il Calaggio a Nord, nell’ambito «facies» di Cairano-Oliveto Citra sembra certa una continuità. Mentre a Capua sembrano avere maggiore incidenza anche nella ceramica di impasto le forme greche usate per il banchetto, come l’oinochoe, lo skyphos e la kotyle, e lo stesso vale per Calatia, dove nasce un agglomerato in posizione difendibile11, la ceramica di Pontecagnano si mantiene, malgrado una frequenza relativamente maggiore dei prodotti subgeometrici, più che altro nell’ambito del repertorio tradizionale12. In ambedue i centri sembra tuttavia evidente in un primo momento un rapporto meno stretto con l’Etruria, e proprio a Capua, che appare in qualche modo emarginata in conseguenza dei contatti abbastanza intensi tra i centri costieri di tale regione e Cuma, si notano contatti maggiori con le aree interne e limitrofe, mentre la principale via di diffusione dell’ambra sembra spostarsi lungo le coste dell’Adriatico13. A Capua gli elementi di continuità sono soprattutto l’olla costolata e la tazza carenata con ansa cornuta, la quale però cessa di essere funzionale e, pur sopravvivendo con valore puramente ideologico fino alla fine del VII secolo a.C., diventa sempre più rara14. A Pontecagnano sopravvive per lo stesso lasso di tempo, tra l’altro, l’olla biconica, come anche nelle culture di Cairano-Oliveto Citra e della Valle del Liri, insieme con la decorazione impressa a doppia spirale a «S» usata anche in altri vasi di impasto della II fase capuana15. Tali elementi scompaiono solo gradualmente nel corso dell’Orientalizzante recente, a Capua e, soprattutto, a Pontecagnano e una categoria di vasi capuani in impasto tornito di colori tra il bruno e il rossiccio con decorazione a motivi impressi, tra cui è tipica la coppa biansata carenata, si diffonde nel tardo VII secolo in tutta la pianura campana16, dove peraltro Calatia subisce una graduale acculturazione da parte di Capua già nel corso dell’Orientalizzante antico. Si può dire, tuttavia, che la cultura di tale centro minore rientra, a giudicare dagli elementi originari che sopravvivono, tra cui sono un tipo di kotyle con anse sopraelevate e l’anfora con alto collo spesso a clepsidra, in una «facies» diffusa più all’interno, tra Caudium, Abella e la valle del Sabato, che può essere considerata quella degli Oπικοὶ, mentre quella, strettamente apparentata, della valle del Sarno è pertinente a un sottogruppo di questi, i «Sarrastes»17. Ͻ

10 Mentre nella valle del Sarno, nel retroterra campano tra l’altro a Caudium, e nella cultura di Oliveto Citra-Cairano tale fenomeno incomincia presto, già nell’Orientalizzante antico, si nota un ritardo nella cultura della valle del Platano, dove, sia a Volcei che ad Atina sino alla metà del VII secolo, corredi anche ricchi contengono solo pochi vasi fittili. 11 L’andamento irregolare della cinta muraria è dovuto alla confluenza di due rivoli. 12 V. Cuozzo-d’Andrea, in AnnOrNap, XIII, 1991 cit. 13 Tuttavia l’assenza a Capua di fibule a drago in argento con elemento tubolare al posto della molla, di un tipo attestato in Etruria, a Cuma e a Pontecagnano, su cui si veda B. d’Agostino, in MonAnt, XLIX, 1977 cit., pp. 28 ss., pp. 52 ss., fig. 29, tav VIII, nonché di fibule a pettine, potrebbe essere anche casuale, in quanto vi è nota sinora una sola tomba emergente dell’Orientalizzante antico, purtroppo saccheggiata, su cui v. W. Johannowsky, Materiali cit., pp. 152 ss., tavv. 15-16, XLVI-XLVII. 14 Tra gli esemplari più recenti è quello della tomba 1132 di Capua, del periodo IV b, su cui W. Johannowsky, in AA. VV., Les céramiques de la Gréce de l’Est et leur diffusion en Occident, Napoli 1976, Paris-Naples 1978, pp. 137 ss., s.v. le figg. 1-2. 15 Anche se i vasi capuani di tale tipo non sembrano esservi finora attestati, l’olla a seme di papavero dipinta sulla tomba 3280, su cui s.v. S. De Natale, Pontecagnano, II. La necropoli di S. Antonio: propr. ECI 2. Tombe della Prima Età del Ferro, Napoli 1992, p. 108, fig. 63, 5-6, fig. 90 è forse d’importazione capuana. 16 CVA Italia, Museo Campano di Capua, IV, P. Mingazzini (a cura), Roma 1969, IV B, tavv. VI-VIII. 17 Su questi vedi ultimamente E. Esposito, in RendNap, 1984, pp. 221 ss.

189


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 190

190

La cultura della valle del Liri, la cui prima fase è rappresentata, tra l’altro, dalle tombe di Cassino dell’VIII secolo e dall’insediamento a Frosinone, e nel cui ambito si diffonde poi la ceramica a superficie rossa lustrata, può essere, invece, attribuita con buone ragioni agli «Ausones» e, nella sua propaggine settentrionale, agli Hernici, che ne furono separati forse in seguito alla presentazione dei Volsci18. La «facies» di Cairano-Oliveto Citra è caratterizzata, oltre che da forme vascolari residue per cui sopravvive a lungo l’impasto con decorazione impressa influenzata da quella comune a Pontecagnano, da elementi femminili in bronzo peculiari, quali quelli ad arco inflesso per gli avambracci e i cosiddetti orecchini19. La presenza, soprattutto su vasi non funzionali, quindi rituali, di applicazioni plastiche rappresentanti, sotto forma di protomi, dei canidi con il muso aguzzo, potrebbe fare attribuire tale cultura, che rientra pur sempre tra le varianti di quella delle tombe a fossa, a un nucleo originario degli Hirpini che, almeno dal VI secolo inoltrato, si distingue abbastanza nettamente dalla compagine sannitica vera e propria20. L’Orientalizzante recente assume carattere di fase a se stante in seguito a rinnovati e più stretti rapporti con l’Etruria, di cui un aspetto evidente è l’arrivo di artigiani, dapprima a Capua, che in quel periodo sembra aver avuto carattere urbano, e poi anche a Pontecagnano, che vengono a far parte di una κοινή etrusca, sia pure in senso generico e con aspetti residui e apporti culturali anche greci2. Le conseguenze sono evidenti più che altro nell’ambito della pianura campana, dove Nola, anch’essa secondo una tradizione di fondazione etrusca, ha dall’ultimo quarto del VII secolo, cioè da quando riusciamo ad averne un’idea più concreta, gli stessi aspetti culturali di Capua, e sotto il cui influsso anche la «facies» della valle del Sarno subisce nei primi del secolo una trasformazione che si chiude con la creazione di strutture urbane22. Per quel che riguarda in particolare Capua, l’abbondanza, nell’ambito della ceramica etrusco-protocorinzia in parte certamente locale del periodo IV A, di balsamari, che si riflette anche nella vicina Calatia, potrebbe essere, anche se una parola decisiva spetta ai risultati di future analisi delle argille, in rapporto con una produzione sul posto di profumi già in quest’epoca23. Per quanto riguarda il bucchero, invece, la sua produzione a Capua e forse anche a Nola doveva essere già in atto dal periodo IV B, data la presenza del calice biansato di un tipo che sembra sconosciuto in Etruria, e contemporaneamente o forse dopo a Pontecagnano, dove la forma più caratteristica è l’anforisco con anse bifide24. Comunque poco prima della fine del VII secolo l’acculturazione delle aree tra il basso Volturno e la piana del Sele, nella cui parte Sud sorge poi per opera dei Sibariti Poseidonia, può dirsi, malgrado qualche sopravvivenza, compiuta. Più a Nord e verso l’interno sopravvivono più o meno inalterate le «facies» culturali precedenti e il tipo di insediamento resta quello vicano-paganico, anche se qualche ubicazione comincia ad essere dettata da esigenze difensive, come, ad esempio, a Cales25, ma bisogna aspettare gli avvenimenti intorno al 524 a.C. per vedere gli effettivi cambiamenti26.

18

La questione è tutt’altro che chiara, comunque, in quanto le testimonianze archeologiche sono ancora carenti: v. M. Cristofani, in Archeologia Laziale, 1992 cit. Gli anelli ad arco inflesso, per cui, a parte l’uso, gli esemplari della tarda età del Bronzo diffusi tra la Svizzera Occidentale e l’alta valle del Reno non sembrano essere i precedenti diretti, e altri più recenti della Germania centrale sono attestati in un’area che non sembra aver avuto rapporti con l’Italia centromeridionale, sono un ornamento femminile che rivestiva gli avambracci con fino a sedici esemplari in maniera probabilmente inamovibile, soprattutto quando si trattava di quelli più massicci, usati però singolarmente. Quelli a verga più sottile, più elastici e più frequenti, anche nella necropoli di Campo dei Cerasuoli di Morra de Sanctis, erano talvolta anche inseriti l’uno nell’altro a uso di «chatelains». 20 Sulle propaggini più meridionali di questa nella valle del Miscano e dell’Ufita v. W. Johannowsky, in AA. VV. Sannio, Pentri e Frentani dal VI al I secolo a.C., catalogo della mostra, Roma 1979, pp. 103 ss.; le stesse in W. Johannowsky, in AA. VV., Italici in Magna Grecia. Lingua, insediamenti e strutture, Atti del Convegno di Acquasparta, Venosa 1990, pp. 13 ss., e su tutta la situazione in Irpinia Id., in AA. VV., Annali 1985-86. L’Irpinia nella società meridionale, (Annali del Centro Guido Dorso, II), Avellino 1987, pp. 103 ss. 21 Tra questi sono la riapparizione della cremazione fin dal periodo IV a di Capua anche in tombe tutt’altro che eccezionali e l’introduzione delle tegole di tetto, di cui è un’ulteriore testimonianza a Capua la presenza di antefisse tardo-dedaliche (v. H. Koch, Dachterrakotten aus Campanien, Berlin 1912, pp. 71 ss., tav. XIX, 1). 22 M. Bonghi Jovino-R. Donceel, La necropoli di Nola preromana, Napoli 1969. 23 Vedi, su tale problema, W. Johannowsky, Capua antica cit. pp. 44 ss. 24 Tale forma, di cui un esemplare isolato e pertanto evidentemente importato, è stato rinvenuto a Capua nella tomba 548 (vedi sopra, nota 2), del periodo IV a, è frequentissima a Presenzano in contesti che vanno dall’ultimo quarto del VII secolo alla metà di quello successivo, ma apparentemente assente a Pozzilli, dove le sepolture più antiche sono datate a quest’ultimo periodo (S. Capini, in Sannio cit., pp. 112 ss.; Ead., in Samnium, Archeologia del Molise, catalogo della mostra, S. Capini e A. Di Niro (a cura), Roma 1991, pp. 76 ss.). La sua apparizione ad Aufidena, dove non sembra appartenente al repertorio originario, non può essere pertanto posteriore al terzo quarto del VI secolo, e la sua sopravvivenza in tale area non autorizza affermazioni quali quelle del Cristofani (vedi sopra alla nota 2). 25 Su Cales vedi, tra l’altro, W. Johannowsky, Relazione preliminare sugli scavi di Cales, in BdA XLVII, 1961, pp. 258 ss. 26 W. Johannowsky, in Italici in Magna Grecia cit., pp.17 ss. 19


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 191

E in questa società conservatrice, in cui l’economia è basata ancora sostanzialmente sull’agricoltura e, in misura anche molto rilevante, sull’allevamento, le tombe emergenti sono caratterizzate da un lato dal rispetto della tradizione, nel cui ambito rientra anche la presenza delle armi, così come anche nelle altre tombe delle stesse aree, che invece a Capua e a Pontecagnano diventa rara già nel corso della prima età del Ferro27, e dall’altro di vasi di forme tradizionali tra cui quelle rituali28 e solo eccezionalmente di possibili insegne di potere29. Accanto a ciò troviamo però oggetti di prestigio, per lo più esotici, tra cui sono relativamente frequenti i servizi da banchetto in bronzo, soprattutto di produzione etrusca, per la cui diffusione Capua sembra aver avuto, dall’Orientalizzante recente fino al V secolo, un ruolo maggiore che non Pontecagnano30. Accanto all’ostentazione in tomba, che sopravvive anche in tali centri che possiamo considerare «etruschi», ma per cui vengono ormai usati frequentemente oggetti di tipo greco e di importazione31, si diffondono nell’ambito di classi dominanti anche costumi greci, quali la deposizione delle ossa combuste avvolte in stoffe in contenitori di bronzo, in parte anche di provenienza greca, secondo l’uso delle aristocrazie greche, e l’unico elemento non greco è in qualche caso la presenza delle fibule32. La Tomba 1 di Cales rientra, malgrado la prevalenza di oggetti di provenienza esterna, quasi tutti di provenienza non campana, comunque nella cultura della valle del Liri, la quale, a giudicare da quanto conosciamo dalla stessa necropoli calena e da quelle di Presenzano e Pozzilli, conserva almeno nella stessa area di diffusione più meridionale a lungo le sue peculiarità33, non senza influire su zone limitrofe del Sannio. Particolarmente significativa in tale sepoltura l’abbondanza di vasi di bucchero ceretani accanto a qualche prodotto vulcente tra i bronzi; la tazza, di officina probabilmente samia, e la phiale ombelicata non sembrano trovare confronto in simili contesti34, mentre il balsamario in pasta vitrea a superficie irsuta è l’unico trovato nell’Italia meridionale.

27

Fa eccezione a Capua la tomba 865, del periodo II c, che per il corredo rientra tra le sepolture emergenti e conteneva una cuspide di lancia in ferro (W. Johannowsky, Materiali… cit., p. 148, tavv. XLIII-XLV, 13-14). 28 Tali sono da considerare, alla stessa stregua delle coppe con cavalli da Capua, da Pontecagnano e da Narce, nell’ambito della cultura di Cairano-Oliveto Citra gli scodelloni e boccali con animali e protomi di animali sull’orlo (B. d’Agostino, in Nsc, 1964 cit., pp. 89 ss., fig. 50; G. Bailo Modesti, Cairano nell’età arcaica cit., tav. LXXIII, 59-61, LXXXIII, t. XII, 10, LXXXV, 37, LXXXIX, 49; XCVI, t. XVII, 46; W. Johannowsky, in Annali cit., pp. 112, fig. 9) 29 Tale è da considerare un oggetto dalla Tomba 1 di Cales (si veda, in questo stesso testo, alle pp. 74-75), a meno che non si tratti di una mazza di un tipo conosciuto in area picena, attestata anche in una tomba di Presenzano di carattere non eccezionale e quindi da considerare un’arma. Certamente non appartiene a un «bastone di comando» il globo in avorio da Serra del Vaglio (G. Greco-A. Maiuri, in AA. VV., Popoli panellenici in Basilicata, Potenza 1971, p. 74, tav. XXIV) che è invece un pendaglio, come analoghi pomi d’avorio rinvenuti ad Atena Lucana e a Capua; per questi ultimi vedi W. Johannowsky, Materiali cit., t. 346, p. 176, n. 24, tav. LV, nn. 19-20. 30 V. a tale proposito W. Johannowsky, in PP, XXXVI, 1980, pp. 443 ss. 31 Oltre ai bacini ad orlo perlinato e a quelli con treccia incisa sull’orlo, anch’essi di produzione etrusca, anche se la loro larga diffusione in Campania e nel suo retroterra non esclude a priori l’esistenza di imitazioni campane, per cui peraltro non si ha alcuna prova, sono usati fin dall’inizio del VI secolo crateri corinzi (v. W. Johannowsky, Materiali cit., p. 187, tavv. 27, LVII). E più tardi anche crateri di bronzo laconici (v. W. Johannowsky, in RendNap, 1974 cit.). 32 Tra l’altro nella tomba 1426, del tipo a ricettacolo, con il cratere laconico di cui alla nota 30, e un bacino probabilmente anch’esso laconico. 33 Su Pozzilli s.v. S. Capini, in Sannio cit., pp. 112 ss., tavv. 29-37 e Ead., Samnium cit., pp. 76 ss. 34 Sulla possibile attribuzione a Samo, v. W. Johannowsky, in Les céramiques cit.: di produzione samia sembrano comunque delle tazze da Stabiae, Pithecusa e Partenope (v. ibid e S. De Caro, in RendNap, 1974 cit.).

191




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 194

Aggiornamenti sulla prima fase di Capua*

194

A causa dell’uso prolungato, dal IX sec. a.C. alla conquista da parte dei Sanniti nel 426 a.C., degli sconvolgimenti dovuti alla necessità di creare nuove sepolture fin dal VII sec. a.C., e ai saccheggi dall’età romana fino a questo secolo, nella necropoli delle Fornaci la documentazione relativa al periodo più antico di Capua era finora assai ridotta e frammentaria1. Tale lacuna è stata in parte colmata dalle esplorazioni effettuate fra il 1987 e il 1988 nell’area del nuovo mattatoio: delle tredici tombe a cremazione rinvenute, dodici sono databili al periodo IA2, e tra queste cinque contengono una serie di elementi che permettono di collocarle fra la fine del Protovillanoviano e l’inizio dell’Età del Ferro (IA1), nel momento cronologico più antico della sequenza capuana documentato, prima di questi rinvenimenti, dalla sola sepoltura di S. Angelo in Formis3 e dalle fibule sporadiche al Museo Campano4. Gli ossuari, sia con un’ansa verticale ad occhiello sulla spalla, sia con due anse orizzontali alla massima espansione - come quello di S. Angelo in Formis - presentano sul collo e sulla spalla un’ampia decorazione resa in prevalenza con uno strumento a pettine5. I motivi sono quelli caratteristici della più antica produzione villanoviana: triangoli campiti, motivi a gancio (t. Fornaci 1182, fig. 1.7), linee a zigzag, motivi a meandro (t. 1/86, fig. 1.1)6. Di notevole interesse è l’ossuario della t. 23/87 (fig. 1.8) che, sia per la forma, a collo quasi cilindrico su ampia spalla, sia per la decorazione a meandro, trova stretti confronti con la fase Roma-Colli Albani I7. Accanto al biconico, coperto da uno scodellone spesso con ansa a maniglia quadrangolare8, sono documentate poche forme vascolari: gli askoi, del tipo con ansa al labbro o sulla spalla (t. 23/87, fig. 1.11), le scodelle, qualche esemplare di tazza sia del tipo con spalla ampia e bugnetta sul ventre (t. 7/87, fig. 1.3) documentato anche a Pontecagnano e a Sala Consilina, sia del tipo carenato che diventerà, nel periodo successivo, una delle forme più caratteristiche del patrimonio vascolare capuano9. Particolarmente significativo un vaso multiplo a doppia brocchetta con unica ansa verticale, che ha numerosi confronti in area villanoviana10. La t. 12/87, una sepoltura femminile ad incinerazione, accanto al biconico e ad una brocca con ansa sulla spalla11 (fig. 2.1) ha restituito una tazza e due piccole pissidi, di cui una con coperchio (fig. 2.2). Tra il materiale sporadico dalla necropoli due calefattoi, di cui quello rinvenuto nei pressi della t. 1/86 con la

*

W.J., Aggiornamenti sulla prima fase di Capua, Annali di Archeologia e Storia Antica dell’Istituto Universitario Orientale, n.s. n. 3, Napoli 1996, pp. 59-65.

1 Sulle fasi più antiche della necropoli di Capua cfr. Johannowsky 1965; B. d’Agostino, ‘La civiltà del ferro nell’Italia Meridionale e in Sicilia’, in Popoli e civiltà dell’Italia Antica, vol. II, Roma 1974; Johannowsky 1983; B. d’Agostino, in Italia omnium terrarum alumna, Milano 1988, p. 531 ss.; Peroni 1989; Johannowsky 1994. 2 Ringrazio la dott.ssa Luisa Melillo, sotto la cui gestione è avvenuto il rinvenimento e la dott.ssa Valeria Sampaolo, che mi hanno agevolato nello studio dei materiali, e i colleghi Stefano De Caro e Bruno d’Agostino che mi hanno sollecitato. La località si trova a non grande distanza a nord della necropoli delle Fornaci e coincide probabilmente con il fondo Tirone, da cui sembrano provenire almeno parte degli oggetti di bronzo del protovillanoviano finale e della Prima Età del Ferro conservati al Museo provinciale Campano (cfr. Johannowsky 1983, tav. III). I materiali che si presentano sono in parte esposti nel Museo Archeologico dell’Antica Capua (cfr. AA.VV., Il Museo Archeologico dell’Antica Capua, Napoli 1995, p. 19 s.). 3 Cfr. Johannowskv 1983, tav. II. 4 Cfr. Johannowskv 1983, tav. III. 5 La tecnica dell’incisione a pettine può essere ormai considerata tipica del Protovillanoviano soprattutto là dove a questo subentra il “Villanoviano tipico”, in cui è di norma in misura alquanto maggiore che nella cultura laziale, mentre è usata solo raramente nell’ambito della Cultura delle Tombe a Fossa, tra l’altro forse a Cuma. 6 Si tratta di elementi che trovano un puntuale riscontro nelle più antiche tombe di Pontecagnano, dove gli ossuari del Periodo IA hanno forma e decorazione molto simile a quelli capuani: cfr. Pontecagnano II.1, p. 103, fig. 1. 7 Cfr. la brocca e, per la sintassi decorativa, l’anfora dalla t. II del Foro Romano (H. Müller Karpe, Zur Stadtwerdung Roms, Heidelberg 1962, tav. III, attribuita dallo stesso alla fase II) e la tipologia proposta da J. Chr. Meyer (Prerepublican Rome, Odense 1983, p. 30 s., fig. 9) per la I fase. Sulla cultura laziale v. anche M. Battelli, in PBSR LXII 1994. pp. 1-66. 8 Cfr. Pontecagnano II.1, tipo 15Ala. 9 Cfr. Johannowsky 1994, p. 88 s., figg. 1-2 e tavv. VI-VIII; oltre agli esemplari citati un esemplare da Vetulonia (cfr.Cygielman 1994, fig. 11). 10 Il tipo è documentato ad esempio a Tarquinia, a Vetulonia (cfr. Cygielman 1994, tav. III, b). Sui precedenti in area danubiana cfr. H. Müller Karpe, Vom Anfang Roms, Heidelberg 1959, p. 56 s., tav. XXXV.9. 11 Cfr. Pontecagnano II.1, tipo 8A. 12 Il confronto più stretto per i calefattoi di Capua sono i tre esemplari dalla t. I 9-10 di Veio (cfr. NSc 1972, p. 354, fig. 111)- La forma di questo vaso si può avvicinare


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 195

Fig 1 1-2: Parte del corredo della Tomba 1/86; 3-6: Parte del corredo della Tomba 7/87; 7: Il vaso biconico della Tomba Fornaci 1182; 8-11: Il corredo della Tomba 23/87.

195

2 1

3

5

7

4

6

8

11

9

10


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 196

Fig 2 1-2: Parte del corredo della Tomba 12/87; 3: Le fibule e lo spillone della Tomba 38/87; 4/5: Parte del corredo della tomba 21/87; 6: Rasoio sporadico dagli scavi 1988; 7/9: Parte del corredo della Tomba 39/87; 10: Spada sporadica dalla necropoli.

196

1

3

2

5

4

7

6

8

9

10


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 197

Fig 3 Calefattoio dall’area presso la Tomba 1/86.

parte superiore costituita da un’olla globosa con tre prese coniche alla sommità del corpo12 (fig. 3). Molto ricco il repertorio delle fibule che conferma la datazione di questi corredi: tra le più antiche il tipo ad arco sottile e staffa breve dalla t. 25/87 e quello ad arco serpeggiante a sezione circolare con grossa molla di raccordo e spirale13, attestata sul versante tirrenico soprattutto nell’area fra Allumiere, il Fucino e la Campania. Un tipo quest’ultimo che è ben rappresentato in tutto il periodo IA, con disco a fettuccia o intagliato e l’ardiglione rettilineo (t. 7/87, fig. 1.4; t. 23/87, fig. 1.9; t. 21/87, fig. 2.4) o ricurvo (t. 13/87)14. Nelle sepolture femminili sono documentate le fibule ad arco uniformemente ingrossato, molla di raccordo di grandi dimensioni, a un avvolgimento, disco spiraliforme o intagliato15 (t. 1/86, fig. 1.2; t. 38/8716, fig. 2.3). Un tipo di fibula che nella t. 7/8717 è associato, oltre che a una fibula ad arco serpeggiante con ardiglione rettilineo, a un esemplare con arco in filo ritorto a formare occhielli doppi e spirale18 (fig. 1.4-6). Nelle sepolture maschili sono documentati i rasoi bitaglienti a lama rettangolare con presa di riporto (t. 13/87; sporadico dalla necropoli, fig. 2.6) o solidale alla lama come l’esemplare dalla t. 23/8719, (fig, 1.10): una tomba ad incinerazione che ha restituito, oltre al vaso biconico ricoperto da uno scodellone20 (fig. I.8) e all’askos (fig. 1.11), una cuspide di giavellotto (fig. 1.10). Dalla t. 21/8721, accanto a due fibule - una ad arco serpeggiante con ardiglione rettilineo e l’altra con arco foliato e disco intagliato22 - proviene un coltello a lama serpeggiante con breve codolo23 (fig. 2.4).

anche ad alcuni esemplari dalla necropoli di Osteria dell’Osa, dove l’olla è biansata (cfr. Osteria dell’Osa, p. 258, tipo 9a). 13 Cfr. Johannowsky 1983, tav. III. 1. 14 Cfr. Pontecagnano II.1, tipo 32B3 (con ardiglione rettilineo e disco spiraliforme) e tipo 32B4 con ardiglione ricurvo e disco intagliato). 15 Cfr. Pontecagnano II.1, tipo 32B13a1. 16 La t. 38/87 è una sepoltura femminile del tipo a fossa. II corredo è composto, oltre che dalle tre fibule e dallo spillone a doppia spirale (cfr. G.L. Carancini, Die Nadeln in Italien, PBF XIII.2, München 1975, p. 135), da un askos, da anelli a matrice d’oro (un esemplare) e di bronzo, da due spirali in filo raddoppiato con le estremità ad onda, da borchiette a calotta e da nove vaghi di pasta vitrea blu e di ambra. 17 La t. 7/87 è una tomba femminile del tipo a fossa che ha restituito oltre alle fibule (due ad arco ingrossato, una ad arco serpeggiante, una ad occhielli doppi) un askos, due tazze, tre anelli in bronzo a matrice (fig. 1.3-5). 18 L’esemplare da Capua, con la spirale ancora a filo sottile rientra in una tipologia diffusa soprattutto tra l’area medio-danubiana (cfr. tra l’altro B. Betzler, Die Fibeln in Süddeutschland, Österreich und der Schweiz, PBF XIV. 9, München 1974, p. 23 s.; J. Richovsky, Die Fibeln in Mähren, PBF XIV. 9, München 1993, p. 21 s.) e la bassa valle Padana, dove un’officina doveva esistere a Frattesina (cfr. P. von Eles, Le fibule dell’Italia settentrionale, PBF XIV.5, München 1985, p. 8 s; A.M. Bietti Sestieri, in PPS 29, 1973, p. 383 s.; M. de Min, Il Veneto nell’antichità. Preistoria e Protostoria. Età del Ferro, Venezia 1984, p. 651 s.) aree in cui si era precocemente diffuso anche lo spillone da cui deriva (cfr. Peroni 1989, p. 60 s.) parallelamente al tipo con staffa breve. La relativa quantità di esemplari con staffa a disco di Pontecagnano (Pontecagnano II.1, tipo 32B10) potrebbe far pensare ad un ulteriore sviluppo del tipo tra l’altro proprio in Campania, mentre non è da escludere che l’esemplare trovato a Çaka in Slovacchia, da cui il tipo prende il nome, possa essere stato importato dall’Italia, così come uno da Vitov in Moravia, altra località sulla via dell’ambra. D’altra parte è suggestivo pensare che la presenza di un esemplare più antico a Diakladi a Cefalonia, in una tomba del tardo-elladico III C, periodo in cui l’ambra è frequente proprio nelle tombe di quell’isola, possa essere dovuto a rapporti con l’alto Adriatico, dove a Frattesina tale materiale veniva lavorato già allora (di produzione altoadriatica sono infatti anche i vaghi del tipo attestato a Tirinto, sulla cui diffusione nell’Etruria v. recentemente B. Capasso-M.G. Ruggiero, ‘ Preistoria e protostoria in Etruria’, in ‘Atti II Incontro di Studi’, Milano 1996, p. 247 s.). In questo stesso quadro rientra anche la presenza nella t. Fornaci 1182 di un torques di una tipologia rappresentata anche in tombe più recenti di Capua sulla cui origine centroeuropea cfr. tra l’altro Johannowsky 1994, p. 101, con bibliografia precedente: v. anche recentemente B. Tevzan, Staresa Zelezna doba na Slovenskem Stajerskem, Ljubljana 1990, p. 216. 19 Esemplare vicino per la forma della lama al tipo Timmari, Terni e Allumiere (cfr. V. Bianco Peroni, I rasoi nell’Italia Continentale, PBF VIII.2, München 1979, p. 20 ss.). L’esemplare sporadico è finora il solo a Capua con decorazione incisa. 20 Cfr. nota 7. 21 La t. 21/87, a fossa, ha restituito anche tre scodelle, anelli a doppia matrice, una spirale in filo raddoppiato, borchie a calotta. 22 Cfr. Pontecagnano II. 1, tipo 32B17. 23 Cfr. V. Bianco Peroni, Die Messer in Italien, PBF VII.2, München 1976: forse vicino al tipo Bismantova.

197


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 198

Fig 4 Olla, tazza e fusaiola dalla Tomba Fornaci 1074.

198

Infine, sporadica dalla necropoli, una spada con impugnatura a lingua di presa tipo Cuma24 (fig. 2.10). La t. 39/87, del periodo di passaggio verso IB, caratterizzata dalla presenza di un rasoio a lama rettangolare stretta (fig. 2.7), ha l’ossuario ancora decorato a pettine, con un motivo a meandro a scala sul collo, ma sul ventre presenta già elementi metopali con svastiche e croci complesse (fig. 2.8). Fra il corredo sono degni di nota lo scodellone con breve orlo distinto e una brocca con ansa all’orlo, breve collo e corpo espanso (fig. 2.9). Nell’IB iniziale le tombe ad inumazione diventano frequenti e si fanno più evidenti i contatti con la Cultura delle Tombe a Fossa, per la presenza di olle con ansa a piattello e di scodelle con breve labbro verticale25. Accanto alle fibule con disco solido fanno la loro comparsa quelle a staffa simmetrica, di cui un esemplare con arco ingrossato e sezione a losanga potrebbe essere il precursore di quelle con arco crestato26. L’incisione a pettine viene sostituita da quella a rotella. Un esempio di notevole interesse per l’uso di questa tecnica è l’olla dalla t. Fornaci 1074 (fig. 4) che ricorda, sia per la forma, sia per l’assenza di anse, tipi attestati già nella fase finale dell’Età del Bronzo nell’Alto Adriatico, che potrebbero avere influito sullo sviluppo formale a Capua27, dove ha assunto caratteri peculiari soprattutto a partire dal periodo IB, in cui sono documentati i primi contatti con l’Oriente e il mondo greco. La documentazione proveniente dalla necropoli delle Fornaci riveste dunque un carattere rilevante nel quadro della protostoria italiana poiché consente di inquadrare, meglio di quanto era stato finora possibile, la transizione tra il periodo protovillanoviano, peraltro ancora assai poco conosciuto nell’Italia meridionale tirrenica, e l’inizio dell’Età del Ferro28. I tipi di ossuari presenti nei corredi più antichi del periodo IA di Capua trovano largo riscontro sia nell’Italia peninsulare, sia nell’Ausonio II di Milazzo; ma tale recipiente, anche se non è più usato per il rito crematorio, sopravvive a questo forse più per motivi pratici che non per un suo significato ideologico. Tale uso tuttavia all’inizio può forse avere avuto qualche importanza e contribuisce a spiegare la sua sopravvivenza anche sotto forma di varianti in altre aree culturali29.

24 Cfr. V. Bianco Peroni, Die Schwerter in Italien, PBF IV.1, München 1970, p. 87 ss. e Beiträge zu italischen und griechischen Bronzefunden, PBF XX.I, München 1979, p. 20; K. Kilian, ibidem, p. 45 ss. Va notato che il fodero in materiale deperibile era rinforzato da listelli anulari di bronzo. 25 Cfr. Johannowsky 1983, pp. 28, 30: tav. V (t. 845) e VII (t. 800). 26 Cfr. Johannowsky 1994, p. 98; tra gli esemplari da Este su cui cfr. A.M. Chieco Bianchi – L. Calzavara – M. de Min- M. Tombolani, Proposta per una tipologia delle fibule di Este, Firenze1976, che rientrano nel gruppo VII (p. 10), quella a tav. III. 7- trovata in un contesto del periodo medio della II fase – è relativamente vicina alle fibule capuane del periodo IIA, mentre le altre quattro (di cui un esemplare alla tav. III. 6), più o meno contemporanee, hanno l’arco ribassato e sono analoghe a quella rinvenuta a Veio. 27 Johannowsky 1994, p. 87. Cfr. tra l’altro alcuni ossuari da Frattesina (M. de Min, in AA.VV., Antico Polesine. Testimonianze archeologiche e paleoambientali, Adria/Rovigo 1986, p. 148, t. 38/84, tav. III.l associato con una delle fibule ad occhielli doppi), dove lo scodellone è normalmente privo di anse. 28 Cfr. fra l’altro A.M. Bietti Sestieri, in Roma e il Lazio dall’Età della Pietra alla formazione della città, Roma 1985, p. 129; Peroni, 1989, pp. 286 s., 293. 29 Nella cultura di Cairano-Oliveto Citra, a Morra (AV) il tipo sopravvive fino al VII sec. a.C. e nell’ambito di quella della valle del Liri a Presenzano (CE) fino verso il 600 a.C. Per la sopravvivenza in Daunia cfr. E. De Juliis, La ceramica geometrica della Daunia, Firenze 1977, p. 25 s. Per il Piceno cfr. fra l’altro AA.VV., La civiltà picena nelle Marche. Studi in onore di G. Annibaldi, Ancona 1988, p. 156, figg. 13, 14.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 199

La diffusione della decorazione geometrica del villanoviano tipico, affermatasi in un periodo molto breve fra Frattesina e Sala Consilina, riunisce in una sintesi più organica motivi già presenti in parte nelle facies protovillanoviane, con una certa concentrazione nell’area fra Caere e Tarquinia30. Se il motivo del meandro sia dovuto a tale evoluzione o sia nato sotto l’impulso di contatti con un’area culturale diversa, come quella greca, dove il motivo appare in un momento cronologico molto vicino, o se possa essere successo l’inverso, o per altri influssi, non siamo in grado di dirlo. È però importante attirare l’attenzione sul Protogeometrico iapigio, ancora troppo poco noto da contesti tombali, che presenta un repertorio ed una sintassi decorativa affini a quelli delle fasi di transizione fra protovillanoviano e villanoviano31. Ed è diffuso in un’area in cui, almeno in parte, i contatti con la Grecia non sono mai stati completamente interrotti. Ma lo «scoppio» della cultura Villanoviana e i movimenti di gruppi interessati allo sfruttamento di risorse che noi solo in parte conosciamo, (metalli e loro modi di lavorazione, ma anche generi voluttuari quali pasta vitrea ed ambra) non possono essere scissi dai fenomeni di aggregazione di insediamenti in aree ristrette e allo sviluppo di attività produttive dovute a più ampie possibilità di mercato, fino alla nascita di concentrazioni preurbane. Questo è avvenuto arche in Campania, dove la tradizione parla di insediamenti etruschi a Capua

30 31

Cfr. Müller Karpe 1959, figg. 23, 30; R. Peroni. in NSc 1960, p. 351, fig. 12, t. 2.1. Sul Protogeometrico Iapigio cfr. D. Yntema, The mattpainted pottery of southern Italy, Galatina 1990, p. 19 s.

199


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 200

200

e a Pontecagnano, e nella Lucania interna a Sala Consilina32, le cui fasi più antiche risultano ormai avere le stesse caratteristiche essenziali. A Capua, dove le prime manifestazioni di tipo villanoviano sembrano avere un carattere precoce poiché sono presenti fibule e rasoi ancora protovillanoviani, si può ritenere che la concentrazione in un’unica sede di gruppi originariamente insediati in villaggi (fra i quali quello di S. Angelo in Formis e un altro verso Casilinum) possa essere avvenuta intorno alla metà del IX sec. a.C. È inoltre lecito supporre che in questo processo si siano inserite anche componenti culturali diverse che hanno contribuito, in misura certo non irrilevante, allo sviluppo della cultura di Capua. Tra queste quella laziale, in cui sono frequenti gli askoi33 e i calefattoi - diffusi anche a Veio34 -, la Cultura delle Tombe a fossa di area forse campana, oltre a una cultura di origine altoadriatica interessata probabilmente alla lavorazione e allo smercio dei prodotti di ambra che da allora cominciano ad essere particolarmente frequenti. Intensi anche i rapporti con l’Etruria, in misura maggiore che non a Pontecagnano e Sala Consilina, come documentano sia il rinvenimento di un elmo crestato35 sporadico da Capua, sia motivi decorativi quali il motivo a meandro complesso, sia forme ceramiche quali la tazza carenata. Accanto ad una via terrestre che spiega i contatti con l’area Falisca e Capenate, deve essere stata in uso durante la buona stagione anche la via marittima che giustifica i legami, innegabili, con Tarquinia e Vulci36.

32

Cfr. da ultimo P. Ruby, Le crépuscule des marges : le premier âge du fer à Sala Consilina, Rome-Naples 1995, p. 242 s. Sui rapporti fra Campania e cultura laziale cfr. G. Bartoloni, ‘La cultura laziale e il villanoviano salernitano’, in La presenza etrusca nella Campania Meridionale, Firenze 1994, p. 194 ss. 34 Cfr. nota 12. 35 Cfr. Johannowsky, 1983, p. 83, nota 433. 36 Sulle forme e i modi di sviluppo della società nel periodo di transizione verso strutture preurbane cfr. fra l’altro G. Bartoloni, La Cultura villanoviana, Roma 1989, p. 105 ss.; Peroni 1989. p. 426 s., con bibliografia precedente. 33


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 201

Se è da ritenere certo che alle migrazioni che hanno diffuso verso sud il repertorio villanoviano e più tardi la ceramica dipinta abbiano partecipato artigiani specializzati37, a maggior ragione dobbiamo immaginare che la diffusione della metallurgia del ferro nei centri che andavano assumendo carattere proto-urbano, nel corso del periodo IB, sia dovuta a specialisti, la cui presenza ha dato un indubbio contributo alla nascita di società più articolate. Per quel che riguarda la cronologia relativa, quanto abbiamo proposto per Capua implica una revisione, sia pure parziale, di quel che era stato scritto finora, anche se restano molte incognite dovute alla scarsa conoscenza sia della situazione generale sia degli insediamenti abitativi in molte aree anche estese. Ciò vale soprattutto per l’Italia meridionale, ma anche per gran parte dell’Italia centrale, dove tuttora la necropoli di Terni rimane il più importante punto di riferimento per l’area umbro-sabina e non conosciamo praticamente nulla di consistente nelle zone appenniniche dell’Abruzzo e del Molise. Va detto innanzitutto che, a giudicare dai prodotti della metallurgia, che si ricollegano più che altro all’area sud-etrusca, e della ceramica del periodo che abbiamo chiamato di transizione, che trova confronti nella stessa zona e nella fascia costiera a nord fino a Populonia - cioè forse non a caso nella zona mineraria - il periodo Capua IA1 deve aver avuto inizio non molto dopo la fase Roma-Colli Albani I, cioè, in termini assoluti, verso la fine del X sec. a.C. Il periodo IA2 coincide evidentemente con quello IA di Pontecagnano38 e con il momento iniziale di Sala Consilina ed in parte anche con la facies recente di Roma-Colli Albani I. È ovvio comunque che devono esserci stati attardamenti provinciali più che altro nelle aree meno interessate da cambi e traffici, soprattutto nell’ambito dei materiali meno soggetti a questi, come la ceramica di impasto. Nel periodo IB1 appaiono, in un ambito che è ancora quello del villanoviano tipico, elementi della Cultura delle Tombe a Fossa e altri, sia villanoviani dell’Etruria centrale, sia di provenienza alto-adriatica e danubiana, che nel periodo IB2, in concomitanza con l’inizio o almeno l’intensificazione dei traffici con il Mediterraneo orientale, caratterizzeranno la facies capuana della Prima Età del Ferro inoltrata.

37

Anche se non possiamo non rilevare che i motivi decorativi possono avere avuto altri tramiti. Non è comunque ancora possibile dire se una fibula con staffa a spirale 32B2, dalla necropoli di S. Antonio di Pontecagnano (Pontecagnano II. 1, p. 51 s.), possa essere indizio di un periodo precedente anche in questo centro, o se si tratti di un oggetto singolo più antico.

38

201




mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 204

Presenzano: necropoli in località Robbia*

204

La protostoria del settore del versante compreso tra l’area interessata dalla cultura laziale a nordovest e il corso inferiore del Volturno a sud, era, fino a non molti anni fa, assai poco conosciuta, e tuttora non è noto nulla di consistente da tutta la fascia costiera tra Terracina e Minturno. Anche se i contesti sinora conosciuti non sono anteriori alla seconda fase della prima età del Ferro, possiamo ormai ritenere superata l’opinione tradizionale secondo cui la parte del territorio attualmente in provincia di Frosinone sarebbe rientrata nella cultura laziale e incomincia a farsi strada il concetto di un’area culturale intermedia tra questa e quella ormai nota in Campania. Già nel complesso più antico attualmente meglio noto - la necropoli presso l’anfiteatro di Cassino, in cui si è cominciato a inumare in tombe a fossa in parte coperte con pietre verso la metà dell’VIII secolo a.C. e le cui sepolture più recenti sono del VII secolo a.C. inoltrato - cominciano a evidenziarsi più che altro nell’artigianato della ceramica alcune forme peculiari che, insieme con l’impasto a superficie rossa viva, che possiamo chiamare bucchero rosso, sono caratteristiche fino al tardo VI secolo dell’area a nord del Volturno, abitata secondo la tradizione scritta dagli Ausones e dagli Aurunci. Un altro elemento che caratterizza tale cultura - per cui si è proposta la denominazione di “cultura della valle del Liri” - è la presenza generalizzata di armi nelle tombe maschili, comune presso le popolazioni sabelliche e indicativa invece in area etrusca di distinzione sociale. Mentre il Volturno fungeva evidentemente da confine verso gli Etruschi attestati a Capua e gli Opici, non è chiara la situazione a nord, dove non sono mancati, a giudicare dai materiali rinvenuti a Frosinone, contatti con il territorio ernico: rimane peraltro aperto il problema dei Volsci, così come più a sud quello dei Sidicini, anche se non è possibile che questi fossero una tribù Ausone. Quanto al rapporto con i Sanniti sono attestati contatti con Aufidena nell’Orientalizzante recente e il materiale più antico del santuario rinvenuto tra Presenzano e la necropoli in località Robbia, databile verso la fine del VI secolo a.C., presuppone la presenza sannitica nell’area di Rufrae, la cui arce, sorta al tempo delle guerre sannitiche, coincide con il castello di Presenzano. Altri centri degli Ausones erano Cales e Minturnae, e materiali della cultura ad essi attribuibile provengono anche da Trebula e Atina, mentre quelli importati a Pozzilli costituiscono la più importante testimonianza della sua fase più tarda, durata fino al V secolo inoltrato. Mentre la necropoli di Cassino è rappresentativa del periodo finale della prima età del Ferro e dell’Orientalizzante antico (725-640 a.C. circa), le tombe rinvenute a Cales e quelle di Presenzano rientrano nell’Orientalizzante recente (640-570 a.C. circa) e nel periodo successivo e tra i materiali non mancano gli oggetti importati dall’area etrusca. Le 27 sepolture trovate in località Robbia a sud del centro attuale di Presenzano, in massima parte intatte, possono essere datate grazie agli oggetti importati nel periodo tra il 620 e la metà del VI secolo a.C. e i loro corredi sono significativi nella cultura della valle del Liri per la ricchezza del repertorio vascolare, funzionale all’ideologia del banchetto, con cui sono in rapporto anche gli spiedi, rinvenuti solo in tombe di guerrieri, per la cui nutrizione era essenziale, anche nell’oltretomba, la carne. Tra i vasi aperti abbondano le coppe carenate d’impasto a superficie nera o bruna lustrata, spesso su alto piede e con le due anse ornate per lo più da costolature trasversali e una bugnetta tra di esse, mentre coppe a calotta di bronzo erano deposte ai piedi in alcune tombe di adulti. Tra i vasi chiusi sono presenti le anfore, anch’esse d’impasto buccheroide e divisibili in quattro tipi: mentre quello a corpo globulare più o meno schiacciato è molto diffuso anche in altre aree culturali e quelle a quattro grandi bugne ricordano tipi laziali, sono invece peculiari quelle di proporzioni più alte. Di queste una variante biconica con incavi verticali nella parte più larga è poco diffusa, mentre il tipo con costolature verticali sul corpo e anse doppie unite al centro è stato imitato nell’Orientalizzante recente anche ad Aufidena. Tra le brocche abbondano le oinochoai in bucchero rosso, utilizzato anche per le olle biconiche di tipo tradizionale, rimaste tra le forme più comuni sul versante adriatico e lungo gli Appennini, e le olle stamnoidi da esse derivate: frequenti sono, infine, le olle con le bugnette sulla spalla o sporgenti spesso da un cordone sotto l’orlo, di cui gli esemplari minori fungevano da bicchieri, insieme con i kantharoi di bucchero etrusco. Mentre le armi, tutte in ferro, tra cui spicca una testa di mazza sferica, sono tipi comuni in area sabellica, tra le fibule, prevalentemente di bronzo, gli esemplari ad archi doppi o tripli allargati al centro sono tipici


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 205

della cultura della valle del Liri: ma proprio tra questi oggetti di ornamento sono frequenti anche le importazioni, tra cui le fibule a drago con ghiande del tipo campano. La necropoli, di cui sono state esplorate nel 1973 ventisette tombe, si trova circa un chilometro a sud dell’area sannitica, il cui sito fu poi occupato dal castello di Presenzano, subito a monte della strada pedemontana che collega la parte bassa dell’abitato attuale con San Felice a Rufa. La presenza su tale via di un santuario risalente anch’esso a età preromana e, presso l’imbocco per San Felice, di un complesso che dall’età tardo-repubblicana dovette essere il centro pubblico del pagus Rufranus, fa pensare che il tracciato di questa possa coincidere con un collegamento antico tra le direttrici delle due varianti della via Latina1. Le fosse rettangolari, di cui parte di quelle per la deposizione di adulti avevano riseghe lungo i bordi, erano orientate da ovest verso est, in direzione normale al leggero pendio e la posizione del defunto era supina; sempre nelle tombe di adulti la maggior parte del corredo vascolare si trovava alle estremità e in parte sulla risega. Di solito una coppa, talvolta di bronzo, era collocata vicino a una brocca presso la mano destra e sullo stesso lato erano deposte nelle sepolture maschili le armi, in posizione d’uso. In base soprattutto ai materiali di importazione di provenienza campana, la cronologia della necropoli, che deve essere appartenuta a uno dei vici di Rufrae, può essere stabilita tra gli ultimi decenni del VII e la metà del VI secolo a.C. Nell’ambito della ceramica d’impasto buccheroide, lavorata in parte con l’uso del tornio lento, sono particolarmente caratteristici gli anforischi con collo alto, anse bifide a X e corpo ornato da costolature verticali, l’anforisco a corpo basso spesso biconico con anse a nastro e solchi verticali nella carenatura, la coppa carenata talvolta su alto piede con anse crestate appiattite. In argilla bigia a superficie rossa lustrata alla stecca sono le olle biconiche di tipo decisamente tradizionale, ma mancano le olle con anse tripartite sulle spalle attestate a Cales. Si tratta di un repertorio diffuso nell’area a nord del Volturno derivante in parte da tipi attestati a partire dall’VIII secolo a.C. nella necropoli di Cassino2 e di cui la forma più caratteristica, l’anfora costolata con anse bifide, è nota anche a Frosinone e in ambito diverso da quella che ho proposto di chiamare “cultura della valle del Liri”, ad Aufidena, dove sembra essere stata anche imitata3, mentre qualche vaso isolato è stato rinvenuto nelle necropoli di Capua e di Suessula4. Tra gli oggetti metallici sembra peculiare della stessa facies la fibula ad arco doppio che si differenzia per lo spigolo vivo da tipi simili diffusi tra l’area peucetica e quella enotria5, e di cui alcuni esemplari sono pervenuti in area laziale e in Campania fino a Fratte6. Affini sono le fibule a tre bozze, apparentate con quelle ad arco rettangolare frequenti ad Aufidena7, mentre quelle a navicella piegata a triangolo sono vicine a esemplari diffusi nel Sannio meridionale e in particolare a Casalbore8. Gli esemplari a drago, che si trovano, come quelli a doppio arco, anche in tombe femminili sono invece evidentemente importati dalla Campania9, da dove provengono anche i vasi di bucchero, pertinenti alla IV e V fase di Capua, e quelli subgeometrici, anch’essi prevalentemente in funzione del banchetto10.

*

W.J., Presenzano: necropoli in località Robbia, Soprintendenza Archeologica di Roma, Studi sull’Italia dei Sanniti, 2000, pp. 16-32.

1

Su Rufrae cfr., tra l’altro, Mommsen 1883, p. 475; Nissen 1902, p. 797; RE, 1, A, 1, 1914, c. 1200, s.v. Rufrae (Philipp); Conta Haller 1978, p. 35 s. Cfr. su questa Carettoni 1958-1959, p. 163 s.; Johannowsky 1983, p. 288. 3 Cfr. soprattutto Mariani 1901, c. 291 s., tav. XI, 3, 8; Parise Badoni, Ruggeri Giove 1982, p. 1 s., da cui risulta che del tipo è sopravvissuta una variante ad anse tortili. 4 A Capua un’anfora del tipo di cui si è detto è stata rinvenuta nella tomba Fornaci 548 (Johannowsky 1983, p. 172, tav. LIII b I, tav. 22a) insieme con una kotyle e una oinochoe di bucchero sottile; due vasi a superficie rossa lustrata provengono dalla necropoli di Suessula (Johannowsky 1983, p. 291). 5 Cfr. sulla diffusione Guzzo 1972. 6 Cfr. Fratte 1990, passim. 7 Parise Badoni, Ruggeri Giove 1982. 8 Johannowsky 1990, p. 13 s., tav. II, fig. 5. 9 Esemplari di questo tipo sono giunti fino ad Aufìdena, dove uno è stato trovato in associazione con un’anfora con anse bifide della forma tipica della “cultura della valle del Liri” (Mariani 1901, c. 352, fig. 5 tav. XI, 3, c. 595, tomba CCCLXIII). 10 Il bucchero è rappresentato, tra l’altro, da kantharoi sia con piede tromba sia con piede anulare, da kotylai e da oinochoai con collo alto; in argilla figulina sono coppette su alto piede, kotylai e olle stamnoidi. Dumitrescu 1929; Saulnier 1983, p. 28. 2

205


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 206

206

Tra le armi che, come parte delle fibule, sono in ferro, meritano attenzione i pugnali con tre globuli alla testata del manico e una mazza a corpo sferico, pure di un tipo diffuso in ambito piceno11. Alla fase successiva della facies culturale in cui s’inquadra la necropoli di Presenzano e che, a giudicare dall’area di diffusione, possiamo attribuire agli Ausones di età storica12, appartengono le tombe finora pubblicate di Pozzilli, di cui le più recenti, databili intorno alla metà del V secolo a.C.13, sono già decisamente più tarde del momento iniziale del santuario scoperto a Presenzano nel fondo Vacca. Dato che la stretta affinità delle terrecotte più antiche da tale complesso con materiali medioadriatici fa pensare all’avvenuta penetrazione di elementi sannitici nell’area rufrana14, è lecito pensare che questi abbiano, come del resto in Campania, convissuto con la popolazione già insediatavi.

11

Dumitrescu 1929; Saulnier 1983, p. 28. Cfr. recentemente Mele 1991. 13 Capini 1980, p. 119 s., tavv. 29-37; i materiali della tomba 55 coincidono con quelli più recenti della necropoli di Presenzano, la fibula a arco rettangolare in ferro trova confronto ad Aufìdena. 14 Johannowsky 1990, p. 16 s., tavv. VIII-IX. 12


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 207

Fig 1 Presenzano, Tomba 24- coppa biansata.

207

Fig 2 Presenzano, Tomba 24- olla d’impasto.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 208

Fig 3 Presenzano, Tomba 24- Anforiskos.

208

Fig 4 Presenzano, Tomba 24-oinochoe.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 209

Fig 5 Presenzano, Tomba 24- olla biansata.

209

Fig 6 Presenzano, Tomba 24- Spade.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 210

Elenco delle abbreviazioni*

210

A.A. / Arch. Anz. Archäologischer Anzeiger Abh. Heid. Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften zu Heidelberg ABSA / An. Br. Sch. / B.S.A. The Annual of the British School at Athens A.C. L’Antiquité Classique A.C. Magna Grecia Atti del Convegno di Studi sulla Magna Grecia Acta Acc. Scient. Hung. Acta Academiae Scientiarum Hungaricae AJA / Am. Journ. Arch. American Journal of Archaeology Ann. Inst. Annales des Deutschen Archäologischen Instituts Ann. Or. Nap. Annali dell’Istituto Orientale di Napoli Ann. Sc. Arch. It. Atene Annali della Scuola Archeologica Italiana ad Atene Ann. Sc. Atene Annuario Sc. Atene / ASAtene Annuario della Scuola Archeologica di Atene Ann. Sc. Pisa Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa Annales. Arch. de Syrie Annales Archéologiques de Syrie Annali Annali 1985-86. L’Irpinia nella società meridionale. Annali del Centro Guido Dorso Apollo Apollo. Bollettino dei Musei Provinciali del Salernitano Archaeology Archaeology Arch. Class. / Arch. Classica Archeol. Class / Archeologia Classica Archeologia Classica Arch. St. di Terra di Lavoro Archivio Storico di Terra di Lavoro Arch. St. Cal. Luc. Archivio Storico per la Calabria e la Lucania Archeologia Laziale Archeologia Laziale 'Arc. Delt. 'ArcaiologikÕn Delt…on Ath. Mitt. / Athen. Mitt. Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Athenische Abteilung Atti Comm. Cons. mon. Terra di Lavoro / Atti Commiss. Conservatrice Monumenti Terra di Lavoro Atti della Commissione conservatrice dei monumenti ed oggetti di antichità e belle arti nella provincia di Terra di Lavoro

Atti Mem. Magna Grecia / Atti e Mem. Soc. Magna Grecia / Atti e Memorie della Soc. Magna Grecia Atti e Memorie della Società Magna Grecia Ausonia Ausonia AVAKoll. / Ava Colloquium / Ava Kolloquien Kolloquien zur Allgemeinen und Vergleichenden Archäologie BABesch Bulletin Antieke Beschaving Bda / Boll. d’Arte Bollettino d’Arte Ber. Röm. Germ. Komm. Bericht des Römisch Germanischen Kommission Boll. Ass. St. Medit. Boll. Assoc. Studi Mediterranei Bollettino dell’Associazione di Studi Mediterranei Boll. d’Archeologia Bollettino di archeologia BPF Bulletin Societé Préhistorique Française B.P.I / Bull. It. Paletn. / Bull. Paletn. It. Bullettino di Paletnologia Italiana Br. Sch. Rome / Pap. Brit. Sch. Rome / PBSR Papers of the British School at Rome British Museum Occasional Papers British Museum Occasional Papers Bull. Arch. Comunale / Bull. Com. Bull. Commissione Comunale Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma Bull. Corr. Hell. Bulletin de Correspondance Hellénique Campania Romana Campania Romana Carettoni 1958-59 G.F.Carettoni, Sepolcreto dell’Età del Ferro scoperto a Cassino, in «Bollettino di Paletnologia», 67-68 (1958-59), pp. 163-204. CIL / C.I.L. Corpus Inscriptionum Latinarum Cl. Rh. / Clara Rhodos Clara Rhodos. Studi e materiali pubblicati a cura dell’Istituto Storico-Archeologico di Rodi. Conta Haller 1978 G. Conta Haller, Ricerche su alcuni centri fortificati in opera poligonale in area campano-sannitica (Valle del Volturno-Territorio tra Liri e Volturno), Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, Monumenti III, Napoli 1978. Critica d’Arte Critica d’Arte Cronache d’archeologia Cronache d’Archeologia e Storia dell’Arte Cygielman 1994 M. Cygielman, Note preliminari per una periodizzazione del Villanoviano di Vetulonia, in «La presenza etrusca nella Campania meridionale», Firenze 1994, pp. 253 ss. D.d.A / Dial. Arch. Dialoghi di Archeologia Dumitrescu 1929 V. Dumitrescu, L’età del Ferro nel Piceno, Bucarest 1929.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 211

Eph. Epigraphica / Ephem. Epigraphica Ephemeris Epigraphica 'Efhm. 'Arc. 'Efhmerˆj 'Arcaiologik¾ Fasti Archeol. / Fasti Archeologici Fasti Archeologici Fratte 1990 AA.VV, Fratte: un insediamento etrusco-campano. Catalogo Mostra a cura di G. Greco-A. Pontrandolfo, Modena 1990. Gallia Gallia. Fouilles et Monuments Archeologiques en France Métropolitaine Gaz. Arch. Gazette Archéologique Germania Germania Gnomon Gnomon Guzzo 1972 P.G. Guzzo, Le fibule in Etruria dal VI al I sec. a.C., Firenze 1972. Hamburger Beit. z. Archäologie Hamburger Beiträge zur Archäologie Hesperia Hesperia, Journal of the American School of Classical Studies at Athens I.G. Inscriptiones Graecae IL.L.RP Inscriptiones Latinae Liberae Reipublicae Istamb. Mitt. Istanbuler Mitteilungen Jadranska Obala Protohistory Jadranska Obala u Protohistoriji Jahr. d. Berliner Museen Jahrbuch der Berliner Museen Jahrb. Ergänzungheft Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts. Ergänzungheft Jahrb. für bild. Kunst Jahrbuch für bildende Kunst Jahresefte / Jahresefte Öst. Inst. Jahreshefte des Österreichischen Archäologischen Institutes in Wien Japigia Japigia. Rivista pugliese di archeologia, storia e arte JDI /Jahrb. Jahrbuch des Deutschen Archäologischen Instituts

Johannowsky 1965 W. Johannowsky, Problemi di classificazione e cronologia di alcune scoperte protostoriche a Capua e Cales, StEtr 33 (1965), pp. 685-698. Johannowsky 1983 W. Johannowsky, Materiali di età arcaica dalla Campania, Napoli 1983. Johannowsky 1990 W. Johannowsky, Il Sannio, in «Italici in Magna Grecia» 1990, pp. 13-33. Johannowsky 1994 W. Johannowsky, Appunti sulla cultura di Capua nella Prima Età del Ferro, in «La presenza etrusca nella Campania meridionale», Firenze 1994, pp. 83-109 e tavv. Journ. Hell. St. / Journ. Hell. Stud. Journal of Hellenic Studies Journal of the Society of the Architectural Historian Journal of the Society of the Architectural Historian J.R.S / Journ. Rom. St. Journal Rom. Studies Journal of Roman Studies Klearchos Klearchos. Bollettino dell’Associazione Amici del Museo Nazionale di Reggio Calabria - Reggio Calabria. Le Arti Le Arti Mariani 1901 L. Mariani, La necropoli di Alfedena, in «Mon. Ant.» 10 (1901), cc. 225-638. Materiali W. Johannowsky, Materiali di età arcaica della Campania, Napoli 1983 Mefr / Mefra / MEFRA / Mél. Éc. Fr. Mélanges de l’École Française de Rome. Antiquité Mél. / Mel. Arch. Hist. Mélanges d’Archéologie et d’Histoire de l’École Française de Rome Mele 1991 A. Mele, Le popolazioni italiche, in AA. VV., «Storia del Mezzogiorno» I, 1 Salerno 1991, pp. 237-300. Mem. Acc. Lincei / Mem. Acc. Naz. Lincei Mem. Class. Sc. Mor. / Mem. Lincei Memorie dei Lincei. Atti della Accademia Nazionale dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filosofiche Mem. Soc. It. Scienze Memorie della Società Italiana di Scienze Mommsen 1883 Corpus Inscriptionum Latinarum, vol. 10, parte I: Inscriptiones Bruttiorum,Lucaniae, Campaniae, Siciliae, Sardiniae, Latinae (ed. Th. Mommsen), Berolini 1883. Mon. ant. / Mon. Ant. / Mon. Ant. Linc. Mon. Antichi Lincei Monumenti antichi dell’Accademia dei Lincei

211


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 212

212

MRGZM Mitteilungen des Römisch-Germanischen Zentralmuseums Museo it. di ant. class. Museo italiano di antichità classica Napoli Nobilissima Napoli Nobilissima Nissen 1902 H. Nissen, Italische Landeskunde II, 2, Berlin 1902. N.S. / NSc / Not. Scavi Notizie degli Scavi di Antichità Olymp. Forsch. Olympische Forschungen Opuscula Romana Opuscula Romana Osteria dell’Osa A.M. Bietti Sestieri (ed.), La necropoli laziale dell’Osa, Roma 1992. PACT PACT, Revue du Groupe européen d’études pour les techniques, physiques, chimiques et mathématiques appliquées à l’archéologie. Parise Badoni, Ruggeri Giove 1982 F. Parise Badoni-M. Ruggeri Giove et al., Necropoli di Alfedena (scavi 1974-79). Proposta di una cronologia relativa, in «Annali dell’Istituto Orientale di Napoli», 4 (1982), pp. 1-41. PBF Prähistorische Bronzefunde PCIA Popoli e Civiltà dell’Italia Antica P.d.P / PP / Parola del Passato La Parola del Passato Peroni 1989 R. Peroni, Protostoria dell’Italia continentale. La penisola italiana nelle età del bronzo e del Ferro, in «Popoli e civiltà dell’Italia Antica», vol. IX, Roma 1989. Pontecagnano, II. 1 B. d’Agostino-P. Gastaldi (edd.), Pontecagnano. II. 1. La necropoli del Picentino. Le tombe della Prima Età del Ferro, Napoli 1989 (Quaderni di AION. Annali Istituto Orientale Napoli, n. 5). PPS Proceedings of the Prehistoric Society RE / Pauly Wissowa P.W. Realencyclopädie der Klassischen Altertumswissenschaft Rend. Acc. Napoli / Rend. Nap. Rendiconti dell’Accademia di Archeologia Lettere e Belle Arti di Napoli

Rend. Lincei Rendiconti dell’Accademia Nazionale dei Lincei Rend. Pont. Acc. / Rend. Pont. Accad. Rendiconti. Atti della Pontificia Accademia romana di Archeologia Rev. Archéol. Revue Archéologique Rev. de Philol. Revue de Philologie Revue des Arts La Revue des Arts. Musées de France Riv. Ind. gr. it. / Riv. Indo-greco-italica / Riv. Indo-greco-italica-classica Rivista Indo-greco-italica di filologia, lingua e antichità Riv. Ist. Arch. e St. dell’Arte / Riv. Ist. Naz. Arch. e St. Arte Rivista dell'Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell'Arte R.M. / Roem. Mitteilungen / Röm. Mitt. / Röm. Mitteil. Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung Röm. Germ. Forsch. Römisch-Germanischen Forschungen Samnium Samnium. Archeologia del Molise. Catalogo Mostra, Roma 1991 Sannio Sanniti Pentri e Frentani dal V al I a.C. Catalogo Mostra, Roma 1979 Saulnier 1983 Ch. Saulnier, L’armée et la guerre chez les peuples samnites (VIII-IV s.), Paris 1983. St. Etr. / St. Etruschi / Studi Etruschi Studi Etruschi Zephyrus Zephyrus. Crónica del seminario de arqueología y de la sección arqueológica del Centro de Estudios Salamantinos. *Avvertenza Si è scelto di lasciare inalterate le abbreviazioni utilizzate dall’Autore nei singoli contributi: si fornisce, pertanto, un elenco completo delle convenzioni utilizzate.


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 213


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 214

finito di stampare nel novembre 2010 in Cava de’ Tirreni (SA)


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 215


mibac_VOL1_V3_7D DEF3 _05 11 10:Layout 1 15/11/10 15:07 Pagina 216




Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.