Milano, 5-6-7-8/12/1992
Conferenza di
Giambattista Pagan
Per una
VERA GUARIGIONE: metodologie di guarigione a confronto e nuove proposte.
NOTA PER IL LETTORE: questa conferenza può essere ASCOLTATA sul sito:
www.giambattistapagani.com
CONFERENZE
1992
Il lettore comprenderà meglio certi aspetti del testo presentato in questo volume se vorrà considerare che si tratta di insegnamento esclusivamente orale.
Testo, NON rivisto e NON coretto dall'autore, trascritto a due mani da «Mendoza & Stefano»
Stralcio da …
«La Vera Guarigione» (da cassetta 4 di lunedì). ricordando che i due spunti che ci hanno accompagnato questa mattina e questa
collocazione
del
fenomeno
malattia
ed
altri agganci
che
sicuramente ci hanno aiutato in questa comprensione del fenomeno malattia come riflessione di un fenomeno che ci può legare al ricordando passato, e ci può proiettare verso il futuro, quindi già un'ipotesi che allarga sicuramente la possibilità di interpretazione e di comprensione della nostra esperienza. Se non altro, come ipotesi siamo chiamati ad accettare la possibilità che ci possa succedere qualcosa non perché c'è qualcos'altro che è successo prima che ne spiega le ragioni, il cosiddetto "perché causale", ma che ci possa succedere qualcosa per una causa nel futuro, per una finalità, quindi mi sta succedendo qualcosa perché la vita mi vuole portare a… una situazione, a una maturazione, a un cambiamento di cui io sento magari il desiderio di fare ma non lo sto facendo, oppure non sono neanche cosciente di avere questa esigenza però la mia vita in me sta elaborando questa esigenza ed io sono maturo per fare queste cose, però in realtà non sto partecipando coscientemente a questa trasformazione. L'importante di tutto questo è nelle vere trasformazioni, quelle che determinano la maturazione della nostra realtà - poi qui naturalmente entra direttamente il concetto di guarigione come sempre abbiamo sottolineato dall'inizio, di guarigione come santificazione, prodotto di una realtà personale, di una maturazione personale, dove noi siamo protagonisti - quindi questa trasformazione può avvenire solamente attraverso anche la partecipazione della nostra capacità di scelta libera, quindi della nostra partecipazione di volontà, come già ci dicevano questa mattina, e quindi questo suppone che tu ti renda conto delle esigenze che si stanno creando in te. E quando non ci si rende conto di queste esigenze
è quando molte volte si crea quello squilibrio di rapporto fra noi, il noi cosciente, e il se stessi non cosciente che spesso evidenzia questa necessità di rapporto, di presa di coscienza, di sincronia, viene evidenziata legata alla malattia, legata allo squilibrio, legata alla disgrazia, legata all'incidente, legata a quello che viene a scombussolare i tuoi sistemi, che viene scombussolare la tua situazione. È chiaro che il discorso non va applicato solamente alla malattia, ma va applicato a tutto …. …. qualcuno mi chiedeva oggi "non avendo malattie, faccio riferimento a qualcosa che mi è successo nella vita che mi ha creato dolore?". Certamente. Malattia può essere qualunque tipo di squilibrio a che si manifesti a vari livelli della nostra realtà, malattia può essere una grossa crisi a livello, per esempio, di lavoro. Cioè questo discorso di malattia lo potete applicare a un momento in cui ad un certo punto vi si inceppa il lavoro che avete fatto per anni, lo avete fatto per 10,20 anni … È vero, bisogna sempre andare al di là delle situazioni esterne di tipo sociale. Giustamente uno potrebbe dire "il mio lavoro oggi non va perché ci sono delle situazioni sociali, esterne, economiche che giustificano perfettamente che possa essere in crisi. È vero, tutte queste cose lasciatele lì, però indubbiamente ci sarà sempre un senso che tu appartenga a quella categoria di persone che in questo momento siano destinate ad affrontare una situazione in cui il tuo lavoro non gira più e tu sei obbligato a cercartene un altro, sei obbligato a costruirti un'altra situazione, a trovare un'altra alternativa. Quindi mai fermarsi di fronte agli elementi esterni che spiegano la situazione, ma andare sempre accogliere il senso esistenziale del perché noi ci troviamo in un certo momento storico della nostra vita, in un certo momento della nostra esperienza, a dover affrontare un certo tipo di difficoltà. Al di là di questo spunto, per il passato/futuro come aspetto della malattia, tenete presente anche lo spunto brevissimo, però importante che è stato dato prima, e cioè del senso spirituale della malattia. Sia che la malattia sia del passato, sia che malattia possa essere un fenomeno che evidenzia l'esigenza di realizzazione di qualcosa che ti proietti nel futuro, in ambedue i casi che senso ha la malattia, cioè cosa sta evidenziandone dei significati profondi della tua vita. Perché sia il tuo passato che il tuo
futuro non sono altro che i due spazi, perché il presente in realtà non esiste, è il momento fugace in cui il futuro diventa passato, il presente è una categoria mentale. Quindi esiste il passato, esiste il futuro, il futuro e il passato sono lo spazio della tua esperienza dove tu sei chiamato a realizzare te stesso. Cosa vuol dire realizzare se stesso? Cosa vuol dire realizzare la propria realtà più profonda? Cosa vuol dire realizzare la propria realtà più vera? La domanda fatta in un'altra maniera è "qual è il senso della mia vita? Perché sono nato?" Il perché causale di ciò che ha determinato la mia nascita. Il perché finale, con che progetto sono nato. Perché è fra queste due grandi domande che si pongono all'inizio ed alla fine di questo momento di esperienza che tu chiami essere la tua vita, che si collocano tutti i fenomeni che ti succedono, malattia compresa. E quindi è in questo ambito di esperienze dove sia la malattia, sia il processo di guarigione assumono il loro senso. Ed il senso del fenomeno viene colto attraverso il senso della tua vita. In fondo è il tentativo attraverso questi piccoli dettagli - attenzione, la nostra vita è fatta di molte altre cose, non è fatta solo di momenti di malattia e non è fatta solamente di momenti in cui cerchiamo di attuare la guarigione - diciamo che la nostra vita, come vedremo, è fatta proprio in un tentativo costante, attraverso l'arco di tutta la vita di realizzare la vera guarigione, allora sì, perché allora la vera guarigione non è solamente guarire il momento della malattia, ma è guarire la grande dualità di conflitto che ti accompagna in tutta la vita, in tutte le cose che fai. Però chiaramente tutto questo va capito nel senso della tua vita, che senso hanno tutti, nel loro insieme, i fenomeni che ti succedono nella tua vita. Ecco allora il senso spirituale. E io posso cogliere più facilmente il senso spirituale della mia vita … e spirituale sta per vero, profondo, essenziale, partendo anche dalle modifiche che il fenomeno malattia mi ha creato ad alti livelli più superficiali, più osservabili. Ecco perché stamattina nel suggerimento di meditazione vi ho richiamato di dire "prendi in considerazione un momento di malattia". Tendenza importante: tutto il lavoro posto, personale di ricerca, non perdiamoci troppo su elaborazione né fantastiche, né immaginative, né
scollegate o lontane dalla realtà, caliamo sempre della realtà. Quindi non parliamo di malattie in senso generico perché all'essere umano capita di essere malato, no! Partiamo sempre dal concreto: quando mi è già capitato di essere malato, concretamente. Quindi, osservare se stessi attraverso le esperienze già vissute, dove si è evidenziato in se stessi in qualche maniera. Quindi vi ho fatto riflettere su questo, cogli che cosa ha creato di squilibrio il tuo conflitto sul piano fisico la tua malattia, cogli che modifiche ha creato a livello emotivo la tua malattia, cogli cosa ha creato a livello di valutazione mentale, di struttura mentale la tua malattia. E vi facevo qualche esempio. Io posso aver vissuto vent'anni, trent'anni, quarant'anni della mia vita con questo entusiasmo, con questo slancio, con questa forza interiore con cui affrontavo la vita con estrema fiducia, con estrema apertura, con estremo ottimismo, spaccavo e superavo qualunque cosa. Mi capita a 30 o quarant'anni quel tocco di malattia che mi blocca per 15 giorni e può rimanere intaccato per tutto il resto della mia vita la mia sicurezza. Non sono più quello che, guardandosi alle spalle sono la persona forte, piena di salute, piena di equilibrio, ma da quel momento guardo alle spalle e so che c'è uno spazio oscuro fatto di malattia, fatto di fragilità, fatto di un momento in cui magari, mai fatto nella vita, ma ho dovuto accettare che qualcuno che mi portasse il tè o il caffellatte a letto oppure che arrivasse lì e mi curasse o che mi facesse qualcosa quando io ero abituato a fare sempre io. Il momento in cui ho dovuto accettare che qualcuno facesse per me. E già quello ti può minare completamente la tua struttura, minare nel senso che ti toglie quella carica. Da allora puoi rimanere colui che deve gestirsi meglio, deve controllarsi meglio, deve salvaguardarsi meglio … È un esempio, perché non a tutti caspita ma a molti capita. E quindi vedere cosa malattia ti ha toccato a livello mentale. Ed allora, vedendo che cosa ha modificato … Perché, teniamo presente, può darsi benissimo che tu abbia vissuto la tua vita per tanti anni in una certa maniera, quella malattia viene, ti tocca fisicamente in una certa maniera, e tu fisicamente non puoi più fare certe cose, perché il tuo fisico rimane toccato. Non puoi più muovere un dito come l'uomo vedi prima, anche se è solo un dito. Non puoi più muovere la mano con la stessa agilità con cui la
muovevi prima. Vita
normale
lo
stesso
realtà, fondamentalmente
guardando, però ti rimane quel piccolo condizionamento fisico per cui tu certe cose non le puoi più fare, corredi 10 km in X tempo, ma da quel momento rimani colui che deve salvaguardarsi da certi sforzi, per esempio. Ecco, tutte queste cose possono essere il piccolo trampolino che, riflettendoci bene, vi porta a cogliere il senso spirituale della situazione, perché in quel momento se la malattia ti dice "ok, fino adesso ti sei comportato così ed hai vissuto così; fuori questo. Fino adesso hai corso per i boschi, non vai più a correre nei boschi."… Faccio un'ipotesi assurda, prendetela come tale. Potrebbe essere che la vita ti stesse dicendo "più importante che correre e per correre uno spazio fisico nei boschi, sarebbe molto più importante che imparassi a fare delle corse interiori, per realizzare qualcosa di diverso". Cioè, di là del camminare o correre fisico hai bisogno di correre dal punto di vista interiore o spirituale. Ed allora, visto che non capisci, ti tarpo una possibilità esterna, che è quella che capisci più facilmente in modo che tu abbia la possibilità di guardarti dentro e capire qualcosa d'altro. Ripeto, è un'ipotesi, pigliatela proprio come un'ipotesi estrema ma che può servire di esemplificazione per cogliere, attraverso gli elementi esterni, il senso profondo di quello che vi sta succedendo. Tenendo presente gli spunti che vi sono stati dati negli esercizi precedenti, facciamo ora questo esercizio dove l'orizzonte si amplia ulteriormente ESERCIZIO Il nostro tema stasera era toccare un pochino quello che poteva essere il senso sociale di quello che è la malattia. Non rimane che considerare che questo discorso cade questa sera dopo discorsi dove l'aspetto è già stato toccato in realtà, è già stato toccato in diversi momenti di cui probabilmente anche voi potreste essere perfettamente coscienti, consapevoli, perché tutti i discorsi ascoltati sono tutti discorsi ci hanno richiamato al fenomeno malattia come un
fenomeno che non si può restringere in se stesso, ma come un fenomeno che allarga il significato della nostra esperienza, tenendo presente che la nostra esperienza non è l'esperienza di un essere umano chiamato a vivere da solo, chiamato a vivere nella sua individualità, ma indubbiamente noi siamo chiamati a vivere con gli altri, quindi siamo costantemente in rapporto con gli altri ed è soprattutto nel rapporto con gli altri che noi evidenziamo noi stessi. In realtà se noi avessimo la vita chiusi in una stanza, o chiusi in una caverna, che uno sia introverso, che sia estroverso, che sia aperto, che sia chiuso, che sia represso o no avrebbe pochissima o nessuna importanza. Quando uno vide per conto suo, vive nel suo eremo, vive contemplando quello che ha deciso di contemplare, vive facendo le sue preghiere e le sue meditazioni, mangia quando vuole, mangia quello che vuole, dorme quando vuole… Se non c'è il rapporto con l'altro che ti obbliga a renderti conto, che ti obbliga ad adattarti, una tua realtà in effetti non ha più importanza. È nel rapporto con l'altro e allora se tu sei introverso o se sei estroverso, se sei più attivo se sei più passivo, si evidenzia la differenza e si evidenzia anche la problematicità e la conflittualità: cioè si crea il problema. In caso contrario non si creerebbe. Ecco allora che la dimensione del rapporto con l'altro è la dimensione essenziale, non perché ci permette di evidenziare, ma è una dimensione essenziale perché ci permette di renderci conto di aspetti di noi stessi di cui in altre occasioni non ci renderemmo conto. Allora, puntualizzando quello che può essere il punto di partenza, credo che possiamo tirare la conclusione, giunti a questo momento, che se parliamo di malattia, come aspetto, e quindi di guarigione, parliamo di una disarmonia, quindi la malattia è una disarmonia, un qualcosa che non gira bene. Lo possiamo vedere sotto forme diverse però, schematizzando e richiamando quello che vi è già stato detto, può essere una disarmonia con te stesso, quindi una disarmonia che riguarda il te stesso in quanto passato, o una disarmonia che riguarda il te stesso in quanto futuro, per esempio, citando quanto dicevamo poco fa. Ma può essere una disarmonia con gli altri, può essere una disarmonia con l'ambiente che ti circonda. Lo stato di stress che uno può cumulare e dal quale poi può derivare una sua malattia, può derivare semplicemente dal fatto che si trova a dover
convivere con delle persone con le quali non si trova profondamente in sintonia: da lì deriva il suo stress che può essere lì presente perché convivi con le persone quotidianamente e tu lo puoi mantenere questo stress nei tempi lunghi che sono quelli che portano poi ad influire e a modificare il funzionamento del nostro corpo, delle nostre ghiandole, quello che sia, e poi far partire quel processo che giustamente ci può portare al fenomeno chiamato malattia. Qui c'è un elemento che può essere molto interessante da sottolineare specificare ancora di più. Io ricordo un mio professore di quando frequentavo psicologia in questa scuola privata, non ufficiale, comunque molto interessante perché erano professori piuttosto in gamba, e c'era un professore molto particolare, un grosso personaggio. Siamo nella Spagna degli anni 70, era un cattedratico dell'Università che veniva farci i suoi corsi di psicofisiologia. Era uno di quelli che si era dedicato ad imparare il greco, ad imparare l'aramaico, ad imparare tutte le lingue possibili per poter studiare i testi sacri nella lingua originale, per capirli, perché con le traduzioni perdano, quindi bisogna sapere le lingue originali e questo per darvi lo spessore dell'individuo. Lui scrisse una specie di dispensa che usava all'università e che poi aveva pubblicato come libro, ma era un libro scritto proprio in funzione degli alunni che frequentavano le sue lezioni. E alla fine di questo libro fa delle riflessioni interessanti, ma giustamente uno direbbe: a livello universitario parlando di psicofisiologia o di fisiologia del cervello, di comportamento umano non sempre potevano sembrare perfettamente normali. E lui, citando S. Paolo, diceva "quando noi vogliamo elaborare, vogliamo capire un processo psicosomatico di una malattia, andiamo a cercare di capire l'individuo - come giustamente ci veniva ricordato, quindi capito l'individuo e la sua esperienza - e lui diceva "se tu vai a scandagliare, a scoprire nella vita dell'individuo che presenta sintomi normalissimi studiati quotidianamente da un medico, troveremmo sempre che in questo individuo raramente mancano i processi di esperienza che noi definiamo esperienza dell'invidia, della gelosia, dell'odio, del rancore, del conflitto, dell'antipatia e faceva tutto l'elenco di questi fenomeni che conosciamo molto bene. E lui dice: "questi fenomeni che noi consideriamo
perché li viviamo, sono quotidiani, sono quelli che nel criterio religiose vengono chiamati peccati", e lui faceva quindi quest'aggancio: "quando io mi ritrovo davanti ad un paziente e devo dargliene suggerimenti per poter guarire dalla sua malattia, non posso prescindere da prendere in considerazione questi aspetti ed allora – dice – lì la cosa mi diventa meno facile da realizzare perché qualche volta l'individuo per portarla guarire devo riuscire a trasmettergli un principio interiore di religiosità che gli permetta di capire che nella vita può essere molto meglio non invidiare se si vuole star bene; che nella vita potrebbe essere importante non odiare se si vuole guarire, che nella vita è importante non avere gelosie se si vuole guarire e star bene. Però giustamente dice "un medico che andasse dal paziente a dirgli "per guarire la tua malattia devi semplicemente un essere invidioso o metterti d'accordo con tuo fratello perché vi state scannando per un'eredità", ti guarderebbe con due occhi così e probabilmente non tornerebbe più. Però giustamente lui dice: due sono i nostri limiti di intervento in questo campo, semplicemente che noi non abbiamo sempre la possibilità di avere una disponibilità della persona ad accogliere delle stimolazioni che lo portino ad essere cosciente di elementi profondi ma che stanno collaborando alla costruzione della sua malattia, alla costruzione del suo squilibrio. E quindi è molto interessante tenere presente questo aspetto importantissimo del rapporto che noi abbiamo con gli altri se vogliamo capire qualunque tipo di fenomeno che ci riguarda e di cui la malattia è semplicemente uno dei tanti di questi fenomeni. Ora qui mi piacerebbe di richiamare qualcosa che in altre occasioni ho richiamato, perché potrebbe essere interessante. Noi parliamo di malattia, anche nell'aspetto del rapporto con gli altri, quando soprattutto vogliamo parlare di guarigione, la guarigione quindi che ci porta, come anche il testo del foglietto del programma ci ricorda, è anche una trasformazione del rapporto con gli altri, ecco poter fare una domanda: quando noi parliamo di malattia e naturalmente una delle domande che ci poniamo è perché ci si ammala, qual è la ragione per cui ci si ammala. Ecco, le ragioni per cui si ammala possono essere diverse, però la ragione che comunemente si prende in considerazione, e questo è molto comune, nel
nostro parlare quotidiano molte volte quando ad uno capita di ammalarsi, io dico malattia ma poi pensate all'incidente, pensate a qualunque tipo di intoppo, a qualunque tipo di conflitto di dolore o di sofferenza o di difficoltà che vi possa capitare. Molte volte la reazione spontanea, emotiva della persona, dice "perché mi capita, io non lo meritavo?" Molte volte lo si usa il termine, molte volte vediamo la persona a cui capita la disgrazia e diciamo "ma è una persona buona, è una persona che non ha fatto mai niente, è una persona che non fa male ad una mosca, perché gli di recapitare questa cosa?" E magari è la persona cui è capitato la morte di un figlio, oppure qualcosa di molto grosso. E noi ci diciamo perché? La domanda cosa presuppone in realtà? Ecco il primo elemento importante. Presuppone che noi siamo normalmente portati a considerare che se ti capita in un momento di sofferenza è perché hai fatto qualcosa, perché te lo sei meritato. Ed allora quando nell'osservare la realtà non vediamo ragione che ci spieghino, cioè non hai fatto grandi errori, non hai fatto grandi cose, non hai fatto grandi ingiustizie, e allora dici: "perché mi capita questo?" Come dire "non me lo merito, non c'è ragione, è gratuita la cosa". È questo è un elemento molto importante tener presente. È la ragione che fondamentalmente facciamo fatica comunque ad accettare malattia, intoppo di qualunque tipo – ma quando vediamo che è stato fatto qualcosa di molto evidente, riusciamo a farcene una ragione con un po' più di facilità. Ora questa evidenza del qualcosa raramente lo cogliamo, comunque la tendenza fondamentale è considerare che se c'è una malattia, la malattia c'è perché è successo qualcosa, hai fatto qualcosa, sei responsabile di qualcosa e quindi ecco la conseguenza: hai la malattia. Questo spiega perché noi per esempio facciamo una fatica enorme a capire la sofferenza del bambino. Io ne ho sentite tantissime di persone e penso che per voi sia la stessa cosa: tumore in una persona di quarant'anni e dici "perché, ha ancora i figli piccoli, famiglia dipende da lui…" però… Tumore ad un bambino di due anni e dici "perché, cosa ha fatto questo bambino per avere un tumore a due anni?" Ecco, noi nella persona adulta riusciamo a trovare comunque una possibilità di ragione perché pensiamo "l'adulto è sempre l'adulto, ha fatto delle scelte, ha fatto degli sbagli", poi per il religioso "ha fatto dei peccati", il bambino no! Ed allora perché
soffre bambino? E noi di questi misteri inspiegabili ne abbiamo tanti che non riusciamo a risolvere. Per molti di voi può essere un aggancio nuovo, ma per capire i fenomeni che ci succedono dobbiamo prendere in considerazione tutti gli aspetti della nostra esistenza, non dobbiamo aver timore a prendere in considerazione agganci che ci portano sul discorso del religioso. Religioso è solamente l'aspetto che la scienza non ha ancora spiegato bene, che aspetta di spiegare, poi ci dovrebbe essere una convergenza tra religione e scienza, ci dovrà esserci questa convergenza. Allora, accettando questa possibilità vi faccio un esempio, vi do i collegamenti evangelici dove nel Vangelo si dice perché si può soffrire, quali sono le ragioni per cui si può soffrire. Io vi spiego dei riferimenti poi chiaramente li leggiamo insieme e li vediamo. Abbiamo Matteo 9,5; abbiamo Luca 13,1-5; poi abbiamo Giovanni 5,14 e 9 quasi tutto il capitolo. Questi sono i riferimenti. Il capitolo 9 di San Matteo parla della guarigione del paralitico, forse è l'aggancio un pochino più indiretto. C'è questo paralitico che viene presentato a Gesù per essere guarito - poi andatelo a rileggere voi il testo, io vi accenno solo il testo -. Attenzione, il nostro aggancio è un aggancio letterale, non è di tipo religioso, io non ti sto citando i Vangeli per dirvi "i Vangeli sono veri e ci dovete credere", no, per carità. È un testo scritto, se fossimo qui con un testo scritto da Einstein o da Gandhi diremmo "ah, è un testo scritto da Gandhi, di quello che lui pensa", è un testo che marca da 2000 anni la cultura nostro occidentale, vediamo cosa dice. D'altronde è uno dei testi che ha condizionato profondamente la nostra cultura e la nostra vita e la sta condizionando. La prima reazione di Gesù di fronte a questo paralitico non dice "ti guarisco, guarisci, stai bene, prendi il tuo lettuccio e vai…", No, la prima cosa che dice "coraggio figliolo, ti sono rimessi tuoi peccati". La gente intorno, soprattutto quella che sa, si scandalizza "chi è questo che si permette di perdonare i peccati, solo Dio perdona i peccati". Notate gli elementi paranormali del testo: Gesù intuisce il pensiero delle persone, le persone non lo esprimo perché hanno fifa. Intuisce il pensiero delle persone e dice "perché stare pensando queste cose, perché state
pensando che io non possa dire di sono perdonati due peccati? È più facile dire ad una persona ti perdono i peccati o è più facile dire alzati e cammina? Ed allora affinché sappiate che ho potere dell'una e dell'altro si gira verso il paralitico e dice- alzati e cammina." Quello si alza e cammina. Però notate, prima relazione. La guarigione fisica, Gesù la fa precedere dalla guarigione psichica: prima cancelliamo il peccato, cancelliamo quel fenomeno che probabilmente potrebbe averti portato ad essere paralitico. Allora, notate, queste è l'elemento che dovete coglierlo indiretto. Allora, per cogliere un elemento diretto da questo punto di vista, potremo andare a Giovanni 5,14 - vi faccio notare poi il collegamento - dove c'è la guarigione dell'altro paralitico vicino alla piscina. Lui arriva alla piscina dove c'è la tradizione in cui quando l'angelo scende a muovere le acque, il primo che si butta dentro, guarisce. Lui arriva, vede questo malato, sa che è lì da parecchi anni perché quando l'angelo scende e muove le acque lui, il paralitico, ora che arrivi a trascinarsi e buttarsi in piscina c'è sempre qualcuno che arriva primo di lui, perché guarisce il primo che si butta - questo è il racconto - e lui è lì da diversi anni ed allora Gesù prende e dice "hai aspettato tanto, alzati e cammina" e fa il miracolo che la guarisce. Siccome è sabato e lui si prende il suo lettuccio e se lo porta via sulle spalle, cosa proibita dalla legge perché il sabato non si deve fare nessun tipo di lavori o di sforzo, lo riprendono e lui dice "chi mi ha guarito mi ha detto prendilo e portalo ed io l'ho preso e lo porto", cioè ha fatto una cosa così importante che non importa certo se è sabato, mi ha detto di portarlo ed io lo porto. Comunque lui lo ritrova dopo alcune ore nella stessa giornata, ed ecco il 5,14: poco dopo Gesù lo trova nel tempio e gli dice "ecco che sei guarito, non peccare più perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio". Ecco, in questo testo voi avete la chiara relazione di quello che qua veniva intuito. Il Vangelo qualche volta dice "se ti capitano qualcosa, ti capitano perché hai fatto qualcosa". Quindi in questo caso gli dice "guarda adesso sei guarito, però non ripetere più quello che hai già fatto, perché non ti capiti qualcosa di peggio".
Luca 13. C'è un testo molto particolare. Questo testo è corto e vale la pena leggerlo:
In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa dei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. (Era successo che mentre facevano dei sacrifici al Tempio alcuni Galilei, sapete che c'era la conflittualità romanica e Galilei, i Galilei erano un popolo molto ribelle e probabilmente per qualche motivo i romani erano intervenuti e mentre il giudei stavano sacrificando gli animali, quindi stavo facendo scorrere il sangue, arrivarono romani che uccisero i Galilei e si è mescolato il loro sangue con il sangue degli animali. Ecco la notizia: qualche Galileo è stato ucciso mentre faceva il sacrificio)
Prendendo la parola, Gesù rispose: "credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? (Notate, è molto interessante risposta che lui dà, forse sono testi che qualcuno di voi lo non sapeva neanche che esistessero,. Quindi lui dà per scontato quindi che sempre ci sia un collegamento tra fatto qualcosa, ti succede qualcosa. Ed allora la domanda dice "pensate che quelli che sono stati uccisi fossero di quelli che ne hanno fatte di peggio di altri per essere loro ad essere uccisi?” Cioè per dire, è capitato di essere uccisi, erano più peccatori degli altri, erano più disgrazia e degli altri? Ed ecco cosa dice Gesù)
No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo (Va avanti…)
O quei 18, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, (fa riferimento ad un altro fatto, cade una torre -capita anche ai nostri giorni - e qualcuno ci rimane sotto. Qui ne sono rimasti sotto 18, ed allora lui dice)
Credete che (quei 18 che cadendo la torre sono rimasti sotto) fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo". E qui abbiamo un testo completamente diverso, perché qui abbiamo delle persone che subiscono una situazione e lui dice "non sono più colpevoli degli altri". Quindi cosa si può intuire? Che il colpevole, lo dice la fase
dopo, "Loro muoiono, ma non sono più colpevoli degli altri, però ragazzi datevi una mossa" dice "perché se non cambiate - quel convertirvi - vi succederà anche a voi qualcosa, ma anche qualcosa di peggio". Cosa sta ipotizzando? Che quindi qui il colpevole non è l'individuo, ma il gruppo. È il gruppo che non sta funzionando bene e per il non funzionamento ottimale del gruppo qualcuno paga per tutti. Stavolta è toccato a loro, ma non sono più colpevoli; è toccata loro, ma voi datevi una mossa, perché se la cosa va avanti, adesso è toccato a loro, domani toccherà a te, o potrebbe toccare a te. Ma qui la responsabilità è del gruppo. Quindi abbiamo già una doppia ragione per cui ad uno può capitare di ammalarsi di o di soffrire: o ha fatto qualcosa lui o potrebbe essere che tu paghi per gli altri. È molto interessante. Giovanni, Capitolo 9, ultimo. Il capitolo 9 è molto più interessante ancora. Qui siamo alla storia del cieco nato, forse questo ve lo ricordate di più. Questo uomo cieco dalla nascita che viene guarito da Gesù. Ma prima ancora della guarigione incontrandolo - notate, in questi interventi c'è la conferma di quello che abbiamo già detto - domanda che fanno subito i discepoli a Gesù, ve lo leggo testuale:
Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?" (La domanda presuppone sempre il concetto di base che è ancora il nostro: se ti succede qualcosa vuol dire che qualcosa è successo prima. Ma qui danno per scontato la doppia possibilità: puoi aver fatto qualcosa tu, ma possono aver fatto la cosa gli altri che si riversa su di te ed in questo caso sono i genitori. Risposta, dopo rivediamo gli altri elementi)
Rispose Gesù: "né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. …" E quindi abbiamo già una terza ragione per cui si può soffrire. Il resto del testo ve lo lascio leggere, perché poi andando avanti il testo può essere interessante. Comunque "né lui né i suoi genitori, ma è per la gloria di Dio". E chiaramente qui o fai qualcosa tu o fanno qualcosa gli altri o potrebbe essere - e qui prendiamo i termini come ci vengono dati - o per la gloria di Dio. Abbiamo quindi tre elementi che possono spiegare una malattia.
Ecco qui io prima di andare avanti vorrei farvi notare una cosa molto interessante. La domanda che propongo i discepoli di Gesù in questo caso "ha peccato lui ho suoi genitori", è una domanda molto interessante da capire, perché il cieco nato e cieco-nato, è nato cieco! Quindi la domanda non avrebbe senso: come fa ad aver peccato lui se è nato cieco? Non ha senso la domanda che fanno i discepoli. Avrebbero potuto chiedere "hanno peccato di suoi genitori perché nascesse cieco?". Se la domanda ha senso, ed è quello importante da ammettere perché in realtà dobbiamo dire che ha senso, allora cosa vuol dire? Vuol dire che chi fa la domanda crede che uno possa aver commesso qualcosa prima della sua vita. Cioè la domanda presuppone con chiarezza che chi fa la domanda crede che si possa aver commesso qualcosa prima, se no sarebbe illogica la domanda, sarebbe irrazionale, assurda. Ecco questo è un dettaglio che vi faccio notare perché questi sono i testi dove uno può dedurre da questi testi informazioni più interessanti e molto più profonde di quelle che magari tradizionalmente ci possono dare. Comunque non è questo il discorso che noi vogliamo portare avanti stasera, il nostro discorso e l'altro. Attenzione, può essere molto interessante, perché noi dopo 2000 anni ci ritroviamo a rivivere le stesse situazioni. Però ecco, un elemento molto interessante da capire è che dopo 2000 anni questa tradizione come altre tradizioni che possono essere confluite nella nostra cultura, ci hanno portato ad essere oggi coloro che la forma più spontanea con cui noi cerchiamo di spiegare una malattia o spiegare un qualcosa che ci succede è l'aver fatto qualcosa prima. Già il pensare che abbiano fatto qualcosa gli altri ci risulta abbastanza accettabile e razionale, ma solo in certi casi. Lo diamo abbastanza per scontato quando parliamo di un bambino che diciamo che paga lo scotto dell'esperienza dei genitori e quindi che paga gli errori dei genitori. È un'affermazione antichissima anche questa, comunque, non già nei Vangeli ma già nel testo biblico più vecchio, il cosiddetto Vecchio Testamento, c'è la famosa frase che viene poi usata molto frequentemente "i genitori mangiano l'uva acerba ed ai figli gli si legano i denti". Il legarsi i denti è la forma con cui uno sente quella sensazione strana di quando mangiate l'uva acerba o la frutta acerba, che avete quella sensazione strana che diciamo che gli si sono legati i denti.
Allora dicono: i genitori mangiano l'uva acerba, ma la conseguenza di quello che loro fanno la sento i figli e confermano questo dato psicologico ormai scontato, che tu come figlio puoi avere delle conseguenze a causa di errori, a causa di scelte, a causa di esperienze. Ecco, in certi casi noi ammettiamo anche di pagare determinate situazione a causa di altri. Se poi il discorso si allarga molto di più non lo diamo poi così per scontata la cosa. Perché per esempio quello che già ci richiama questo testo che abbiamo appena letto di dire: va bene pagano questi però attenzione, non è che sono peggio di te, anzi, stavolta semplicemente tocca a loro … ed è già una cosa che ci piglia un po' più alla sprovvista. L'altra cosa invece che nonostante tutto abbiamo abbastanza perso, per esempio, è che qualcosa ti possa succedere per un'altra ragione. Qui usano il termine "per la gloria di Dio". Noi potremmo aver già dato l'ipotesi di spiegazione di cosa può voler dire "la gloria di Dio" quando già stamattina nell'esercizio vi è stato detto che la malattia può essere causata da qualcosa di passato o da qualcosa di futuro. Cioè la malattia può essere l'occasione mediante la quale la vita ti mette in condizioni di rendere evidente qualcosa di molto bello che tu sei chiamato a rendere evidente e non lo stai facendo. Ecco quello che potrebbe essere dentro il concetto di "gloria di Dio". Quindi la malattia che ti succede per stimolarti a fare quello che non faresti se non ti trovassi in questa situazione, per portarti a capire quello che non capiresti se non ti trovassi in questa situazione. E già voi potete intuire quanto può essere importante per capire non solo la malattia, ma per elaborare il processo di guarigione, quando la guarigione vuole essere vera, di capire perché sei malato, se sei malato. Sei malato per qualcosa di passato, sei malato perché stavolta capita a te per ragioni di altri o sei malato per qualcosa che riguarda la gloria di Dio? Usiamo i termini, adesso sapete cosa significano, tanto per capirci. E questo già può essere un elemento estremamente interessante. Quindi il punto che io volevo sottolineare e che praticamente già potrebbe concludere la mia precisazione, perché non vogliamo grosse elaborazioni, voleva solamente sottolineare un elemento - è il secondo elemento da
sottolineare - che ci possa capitare qualcosa perché abbiano fatto qualcosa noi è logico scontato, razionale, accettato, pacifico, lo sappiamo. L'elemento molto interessante è il secondo, che qualcosa ti capiti perché tu sei partecipe della vita di una struttura più ampia. L'esercizio fatto poco fa sulla Terra di può aver dato proprio delle stimolazioni in questo senso, di come si può percepire la propria esperienza collocandola in uno spazio molto più ampio, però l'elemento che può essere interessante da capire è qualcosa di molto concreto. Perché sì, possiamo anche adesso davanti a qualcuno che magari te lo sta dicendo, dici "sì, è comprensibile, razionale, io potrei essere colui che per qualche ragione mi capita di subire una certa conseguenza per una situazione che è sociale, che non è mia personale, però in questo momento tocca a me con qualcun altro, o magari solamente a me, pagare sulla mia pelle conseguenza di questo qualcosa che vivo. Applicate questo concetto a livello familiare, per esempio, potrebbe essere molto interessante. Potete capire come molte volte le situazioni conflittuali di una famiglia creano degli squilibri e quante volte questi squilibri chi li paga e li smaltisce saranno i bimbi, per esempio quella famiglia, perché sono più sensibili, perché sono più aperti, perché noi adulti razionalmente gestiamo le cose in maniera diversa, ci difendiamo di più, scarichiamo un po' di più, ci sfoghiamo di più in altra maniera, il bimbo no, il bimbo è lì e subisce completamente la cosa, e spesso è lui il parafulmine che assorbe la situazione e la paga su se stesso. E la può pagare benissimo con delle situazioni di malattia. Applicate per esempio tutto questo a quello che può essere una situazione di ambiente di lavoro, una situazione che non gira può diventare uno il parafulmine della situazione che paga sulla sua pelle la situazione di tutti, e poi lui paga e la situazione si risolve. E la domanda sarebbe "perché a me?" Ma non è lì che io volevo arrivare. Nell'elaborare concetto di guarigione, là dove il concetto di guarigione è di profonda trasformazione … la vera guarigione è una trasformazione che va da fuori a dentro, ma va a toccare in profondità la persona, va a trasformarla su tutti i livelli. Il che vuol dire, io posso lavorare sul sintomo e farlo scomparire. Massimo faceva l'esempio del sintomo a livello di stomaco che viene curato e l'altro va in depressione. E allora medico può dire "abbiamo curato lo stomaco", e non
si rende conto che l'altro non solo è la continuità della situazione, ma è un aggravamento della situazione, che è la stessa situazione che andrebbe valutata nello stesso quadro di elaborazione. Ecco, il punto è questo. Come in un livello personale un sintomo che mi viene non curato, ma solamente tacitato, controllato e quindi siccome è solamente una modifica superficiale della struttura e rimanendo la radice della situazione di conflitto, questo conflitto che si aggravi o non si aggravi non è l'aspetto importante, ma quel conflitto si manifesterà in un altro spazio, su un altro organo per esempio, oppure toccando dimensioni più profonde, dal fisso va a toccare l'emotivo, va a toccare il mentale. Come questo può succedere nell'ambito mio personale, il punto dolente da mandar giù è quando questo discorso siamo chiamati ad applicarlo a livello sociale. Cosa vuol dire? Qui dovremo fare un passaggio molto importante, un passaggio che io ve lo posso collocare qui a livello di schema. O
COSMO io
La mia realtà messa in una realtà Cosmo, situazione di cui parlavamo oggi, l'individuo che inconsciamente vive il rapporto con la realtà, il rapporto con questo corpo cosmico, quindi sentono di poter subire positivamente o non positivamente tutte le energie di quel momento, di quel momento astronomico, ecc.. Quindi c'è la persona che inconsciamente è vero, in maniera infantile è vero, in modo quindi che diventa magico è vero, ma vive comunque un suo rapporto con il Cosmo. È la situazione primitiva, è la situazione di quando le persone non avevano una grossa individualità, poi
l'evoluzione continua, l'evoluzione va avanti e al livello di quella che può essere la nostra situazione noi potremmo rappresentarla così: IO COSMO
COSMO
IO
io IO
c'è un cosmo e c'è un Dio che sicuramente un è che si colloca completamente al di fuori e al di là del cosmo, ma si separa sufficientemente da Cosmo per sentirsi come una realtà diversa, ed è la situazione in cui noi viviamo, dove essendoci individualizzati noi ci sentiamo una realtà a parte, sì collegata, ma sufficientemente anche slegata da tutto il resto ed ecco perché noi oggi ci viviamo non solamente un legame troppo fragile con il Cosmo come realtà amplia, macrocosmica, ma questo ci ha portato per esempio a sentirci separati da tutti gli altri io, da tutte le altre persone. Difatti un aspetto tipico della nostra cultura è la mia personalità, il mio prestigio, la mia privacy, la mia vita che difendiamo a denti stretti di fronte a qualunque tipo di invadenza al punto che persino quando tu ed io diciamo di essere innamorati e di volerci bene, una delle cose che si cercano di mettere subito in chiaro è salvaguardare il proprio spazio a difesa dall'invadenza dell'altro. Dove quindi le grandi conflittualità del rapporto di coppia molte volte dipendono proprio dal fatto che "sì, io ti voglio bene e tu mi vuoi bene, però rispetta la mia interiorità e ci sono delle cose che io spesso non ti racconto, perché non è giusto, perché sono mie". E quindi c'è la difesa di questa diversità, al punto che questo per noi è diventato così banalizzato, così esasperato, che anche il rapporto, la relazione esterna, civile o religiosa, che possa essere fatta, detta matrimonio, detta nozze, lo sposarsi, l'abbiamo definito come un contratto. È stipulare un contratto, dove una delle cose che vengono salvaguardate, separazione dei beni, situazione tue situazione mia, è la
salvaguardia di uno spazio personale diverso, a parte l'ipotesi che se ci separiamo, se quindi le cose non vanno, se le cose non funzionano, ma in realtà è l'evidenziarsi molto profondo di un tuo spazio individuale che tu senti separato dall'altro. E quindi neanche nel momento di esperienza di profondo amore rinunci completamente a questo spazio. È la nostra situazione, la situazione di separazione e dovrebbe camminare verso una situazione in cui, ricolloco la stessa situazione di prima, cioè colloco lì quello che può essere il Cosmo e l’io, ma non metto più l'io qua, metto Cosmo e io, insieme. È una presa di coscienza diversa. COSMO IO
COSMO IO
io IO
COSMO
io
(*)
io
È un po' il nostro futuro, di quando noi, pur conservando la nostra individualità, pur conservando la coscienza del nostro spazio, ci sentiremo profondamente a contatto con questa realtà, ne sentiremo il contatto, la sintonia e la partecipazione e la compartecipazione al tutto. È un po' il senso dell'esercizio che abbiamo appena fatto. Allora, collocandolo qua, indipendentemente che io mi senta separato, e questo è un grande stato di malattia, il sentirsi separati, è un grande stato di conflitto, questa è la grande guarigione che ha bisogno di essere realizzata nella cultura di oggi, di incominciare a non sentire separati dal resto ed agli altri, ma sentire che noi siamo nel resto e negli altri, cioè recuperare questa unione. Lui lo faceva a livello inconscio, non cosciente, quindi è infantile, quindi magico, quindi non va bene, giustamente dobbiamo conquistarla in una maniera cosciente, accettandone il coinvolgimento e la responsabilità. Siccome la realtà è questa (*), al di là dell'apparente separazione che io posso vivere adesso, cosa può succedere? Ecco la conclusione
come il sintomo può essere bloccato in un organo e spostato su un altro organo, un sintomo che viene bloccato da me, se non c'è vera guarigione, rimane la radice, si può spostare su un altro: questa è la cosa più dura da mandare giù. È un concetto molto semplice. Perché se io sono parte di un tutto, la mia realtà e parte di un tutto e in questo tutto qualche volta tocca qualcuno qualche volta tocca qualcun altro, dicevamo prima. In questo tutto se io blocco un sintomo su un aspetto, questo sintomo lo obbligò a spostarsi in un'altra parte del mio corpo. Ora invece di pensare al mio corpo individuale, se io penso al corpo sociale e se io penso che è un corpo, quindi è una struttura unitaria, è una struttura organica e quindi integrata, io blocco un sintomo in un punto e questo si intoppo si può spostare su un altro, dove non è più lo spostamento che avviene in un individualità, ma qui avviene da una individualità ad un'altra individualità. Ecco allora che nell'interpretare la mia malattia, nell'interpretare il mio problema, ma soprattutto nel voler guarire il mio stato, guarire la mia realtà, ecco che sarà indispensabile, affinché sia vera guarigione e non modificare semplicemente
un
sintomo
lasciando
intatto
il
conflitto,
sarà
indispensabile che io mi trasformi profondamente nel rapporto che ho con gli altri. Quindi nel modo con cui io vivo il mio essere con gli altri, nel modo con cui accetta la presenza degli altri, nel modo con cui io mi offro agli altri, nel modo con cui io stabilisco qualunque tipo di rapporto con gli altri. Sarà fondamentale. Perché è solamente in questa maniera che mi trasformerò al punto tale che non potrò evitare queste possibilità, quindi potrà capitare a me di essere uno dei 18 che rimane sotto la torre, ma in questo caso sarò colui che pur essendo uno che sa di pagare per gli altri, potrà scegliere, con la sua volontà creativa, di pagare un prezzo ma lo paga realizzando veramente se stesso, realizzando quel momento d'amore che realizza l'essere umano nella sua massima completezza. Perché è sempre stato detto che il gesto d'amore gratuito, non determinato dalla necessità, attenzione, ma gratuito, è il momento d'amore che qualifica il massimo della vita di un essere umano. Però attenzione, questo a cosa ci porta come conseguenza? Che di fronte a certi stati di malattia o di sofferenza, per una vera guarigione non sarà essenziale la medicina, non
sarà necessaria la terapia esterna di intervento che possiamo sempre richiedere ed utilizzare, nessuno sta dicendo il contrario, ma sarà soprattutto fondamentale quella trasformazione … chiamatela religiosa, chiamatela spirituale, chiamatela interiore - sono termini - ma quella trasformazione interiore che ti permetta di collocare il tuo fenomeno malattia, il tuo fenomeno incidente, il tuo fenomeno dolore, collocarlo come un momento di dolore o un momento di malattia non di te come individuo ma è un momento di dolore che avviene in te come individuo, ma in realtà è un momento del dolore della Terra, è un momento del dolore di tutta la realtà. Quindi è lì dove puoi capire che se guarisci te stesso guarisci l'universo. Però attenzione, non devono essere belle parole queste, perché questo vuol dire una responsabilità estremamente impegnativa nella propria esistenza, questo vuol dire nella propria esistenza precludersi qualunque possibilità di lamentela. Non avere più la possibilità nella vita che qualunque cosa ti accada di lamentati dicendo che non va bene, che è troppo. Riuscite capire? Ecco questa è un'impostazione che porta ad una profondissima trasformazione interiore, però è l'unica possibilità della vera guarigione. Perché se non c'è questa profonda trasformazione, continueremo a tappare buchi, continueremo a lavorare sui sintomi, continueremo a fare quello che abbiamo fatto da sempre a tutti i livelli, con quale risultato? E ve lo dicevo nell'esercizio: sono aumentati i medici, sono aumentate le medicine, sono aumentate le terapie, sono aumentati i mezzi economici per gli interventi, è aumentato tutto quello che volete, ma il dolore della Terra non è diminuito. Intervento:
è aumentato.
GiBi:
non m'importa che si dica che è aumentato, mi basta dire
che non è diminuito, per dire: è aumentato tutto il sistema di intervento, ma il sistema di intervento che rimane sempre alla superficie. Se poi siamo di quelli che possa accettare come vero che è aumentato, ci dice semplicemente che il sistema di separazione in cui viviamo ci sta portando ad un aggravamento della situazione piuttosto che ad un alleggerimento. Ma è un di più, non m'interessa arrivare lì, mi basta dire che posso rischiare di continuare a investire me stesso e le mie forze per tentare di
risolvere ed in realtà non risolvere niente perché rimango sempre in superficie
(da inizio cassetta 5 di lunedì) In realtà quello che può esserci interessato è, al di là della consapevolezza delle persone che fanno queste cose, un dato importante è vedere come queste cose vengono fatte in ampiezza di zone geografiche maggiori di quelle che noi possiamo ammettere. Indubbiamente anche noi possiamo esserci trovati ad essere di quelli che hanno vissuto questi aspetti … mi sono ricordato che da bambino c'era l'abitudine in famiglia di mettere il grande ciocco di legna nel cammino la notte di Natale, che doveva durare tutta la notte. In realtà vedere come tante volte senza rendersene conto o, senza essere consapevoli di quello che si fa, comunque con tutti questi dati cosa salta all'occhio per uno che vuol guardare con un minimo di comprensione più profonda? Che in realtà l'essere umano sempre in qualche maniera ha vissuto il fatto di sentirsi partecipe della vita dell'universo, della vita che lo circonda, della realtà che lo circonda. Quindi che poi si manifesti questo nel fatto che in certi giorni mi taglio i capelli invece che le in altri, che in certi giorni faccio certe cose che negli altri giorni non le faccio perché se lo faccio mi capita la disgrazia, mi capita il figlio in una certa maniera o nell'altra, in fondo sotto sotto cosa sta a dirci? Sta a dirci che dal mio comportamento possono dipendere un riciclaggio di energie da cui me ne può derivare un beneficio o un maleficio. Andiamo al di là del concetto in se stesso, della banalità o meno del processo, la persone in questa maniera cos'è che sta vivendo? Sta vivendo in maniera molto infantile, potremmo dire, molto incosciente, il fatto di essere partecipe di una realtà molto più ampia. Di essere partecipe di queste realtà energetiche legate… non so, ai mesi dell'anno, legate alla situazione astronomica. Quindi c'è questa partecipazione cosmica della vita dell'universo. In realtà forse l'aspetto di imperfezione di tutto questo è
che le persone facessero questo… dico le persone, tradizioni intere, io penso popolazioni intere, lo facessero senza rendersi conto veramente della cosa. Ecco, l'interessante per noi sarebbe l'ascoltarsi, per noi ascoltare questo potrebbe essere una cosa che non faremo mai, le ascoltiamo con curiosità, poi sorridiamo per dire "va bene, mangio il pollo o mangio lo zampone alla fine dell'anno o mangio le lenticchie, poi in realtà sappiamo perfettamente che ci sono quelli che mangiano le lenticchie e l'anno va che peggio non potrebbe andare e ci sono quelli che non mangio le lenticchie e l'anno va molto meglio di quello che si aspetterebbero. Gli elementi sono diversi in gioco, però potrebbe essere interessante un'altra cosa da tutto questo. Una volta, in modo molto inconscio, molto infantile, molto imperfetto, potremmo dire, comunque le persone vivevano un rapporto con una realtà più ampia. Era un rapporto magico, è vero, era un rapporto imperfetto, è vero, era un rapporto che molte volte poi cadeva in banalità, cadeva in esasperazioni, è vero, però vivevano una coscienza di partecipazione. Sono cambiati i tempi, è cambiata la cultura, è cambiata l'informazione, in realtà quello che si è realizzato in noi è un principio di maggiore definizione dell'identità personale, siamo più noi stessi, siamo più coscienti di noi stessi, siamo più coscienti delle nostre capacità, e come giustamente ci stavano sottolineando … in realtà ci sono delle forme il cui rispetto - usando il pendolo, facendo una terapia di qualche tipo - ci danno un supporto di sicurezza, supporti che ti danno maggior affidabilità nella cosa che fai ma quando tu sei cosciente, poi puoi prescindere da queste cose, perché diventi signore della tua realtà, diventi signore della tua esperienza. Alberto alla domanda «è possibile l'auto iniziazione?», è una presa di coscienza che ti porta a possedere una capacità senza passare attraverso altri tipi di rituali, altri tipi di iniziazione dipendendo da altri. Ecco, questo è l'elemento interessante: per noi sono cambiati i tempi, è cambiata la cultura, è cambiata l'informazione, ci stiamo individualizzando molto di più, siamo molto più coscienti di noi stessi.
Ora il passo ulteriore è l'altro: per noi vivere una partecipazione cosmica come la vivevano cinquant'anni fa o un secolo fa i nostri nonni eccetera, non è più possibile perché non arriviamo più a crederci. Ci saranno quelli che riescono a farlo ma poi se io vi dicessi «andate a casa e mettete - se avete un cammino - un ciocco nel cammino la notte di Natale», fareste fatica a fare il gesto perché non ne percepiamo la consistenza, non ci crediamo, non riusciamo a crederci. C'è una riflessione molto interessante. Può essere molto buono il passaggio di maturità che noi abbiamo vissuto, ma attenzione, non sarebbe buono se tutto quello che abbiamo conquistato in maggiore individualità, in maggiore coscienza, in maggiore consapevolezza ci preludesse dalla partecipazione cosmica con la realtà che ci circonda. Ora questa partecipazione con la realtà che ci circonda non potremo più giustamente viverla con dei comportamenti tradizionali che facciamo perché li hanno fatti tutti, quindi li faccio anch'io. A questo punto diventeranno dei comportamenti che esprimono questa partecipazione che dovranno essere comportamenti scelti da noi, coscientemente, sapendo perché li scegliamo, sarà una conquista di coscienza che dobbiamo fare. Ma di questa partecipazione cosmica alla realtà che ci circonda, dal punto di vista astronomico, dal punto di vista del ciclo annuale, dal punto di vista delle intensità dei ritualità di feste, noi non ne potremmo fare a meno perché se ne facessimo a meno, cioè se diventasse una dimensione che ci viene a mancare probabilmente ci verrebbe a mancare un collegamento con un'energia, un collegamento con delle realtà che ci impoverirebbe eccessivamente e lì nascerebbe forse una situazione dove nonostante tutto il più grosso potenziale che ci troviamo a poter esprimere in noi, diventerebbe anche un grosso potenziale, cioè un potenziale più grande per poterci creare malanni più grandi, per poterci creare elementi non positivi più grandi. Perché, come sempre è stato detto da secoli, più crescono le tue capacità e più è importante che tu le sappia canalizzare positivamente sia per te che per gli altri. Se questo non avviene è chiaro che se vado a schiantarmi contro un muro - cosa che non auguriamolo mai a nessuno - con una cinquecento che va a 70 all'ora mi faccio una certa cosa, ma se mi vado a schiantare contro un muro a 250 all'ora con una
Ferrari, potrei farmi qualcosa di più. Il concetto in sé stesso è sempre «mi sono schiantato contro un muro», cos'è cambiato però? Lo strumento con cui tu hai vissuto l'esperienza: là c'era un potenziale piccolo, qui c'era un potenziale grande. Là dove il grande potenziale puoi fare cose molto più grandi positivamente, ma qualora facessi delle cose non positive molto peggiori saranno le conseguenze non positive. Ecco questo potrebbe essere sicuramente un aggancio importante da tenere presente. Abbiamo abbandonato un certo tipo di collegamento, ma non possiamo prescindere dal conquistarne un altro di qualità diversa, di dimensione diversa, con profondità ma soprattutto con consapevolezza diversa. …………
(da parziale cassetta 6 – 353 - di lunedì/martedì) ……… Domanda (di Gandalf): Giambattista, mi pare che tu abbia fatto quattro ipotesi di malattia GiBi:
mi sembrava tre, comunque…
Gandalf:
ho peccato io, ho peccato per il passato, ho peccato perché non
ho fatto, ha peccato mio padre o hanno peccato gli altri GiBi:
ah ecco, l'io lo divide in due
Gandalf:
si certo. Se ho peccato io, ok, il MIN ci insegna alcune
tecniche per andare a vedere che cosa non ho fatto o che cosa ho fatto e siamo a posto. Se hanno peccato i miei o hanno peccato gli altri io cosa posso fare? GiBi:
essere paziente…
Gandalf:
accettare e basta, allora…
GiBi:
in questo caso molte volte, solamente accettare. È un prezzo
che paghi di partecipazione. Gandalf:
con le varie tecniche mi arrivano le risposte di questo tipo? Per
cui io venga a sapere che siccome dipende … è fuori da me, io debbo soltanto aspettare, diciamo… GiBi: in quei casi sì. Attenzione che è molto interessante tutto questo, soprattutto per quanto riguarda padre e madre. Perché in effetti,
se vogliamo cogliere un elemento psicologicamente fondamentale per l'equilibrio personale dovremmo andare ancora, purtroppo o per fortuna, andare a collegarci con un elemento religioso. Cioè, di tutto sistema eticomorale che ci ha accompagnato finora, che sono poi i comandamenti della tradizione giudaica che vengono poi raccolti nella tradizione cristiana, tutti i comandamenti o fanno riferimento a un dio, a un principio cosmico di creazione o fanno riferimento genericamente al rapporto con gli altri dicendo, per esempio, "sii sincero" con tutti, "non uccidere" riguarda tutti, "non desiderare" è generico. Ce n'è uno solo di queste normative che riguarda personaggi specifici che sono "venera tuo padre tua madre". Ecco quel venerare tuo padre e tua madre sicuramente è un elemento importantissimo dove fondamentalmente uno è chiamato, in quel concetto di venerazione, ad accettare serenamente aspetti positivi ed aspetti condizionanti che geneticamente anche tuo padre e tua madre ti hanno trasmessi essendo tu nato da loro o attraverso loro, meglio. Quindi in molti aspetti l'unica possibilità che noi abbiamo in quel caso è accettare di pagare il prezzo di una situazione che indubbiamente, ripeto, nella presa di coscienza puoi trovare anche ragioni di vita, ragioni di futuro. Cioè, posso essere nato in quella situazione perché avevo bisogno di imparare, ecco il senso del futuro, avevo bisogno di apprendere certe capacità. Ecco, l'elemento in più che vorrei dire è questo. È inevitabile che io sia simile a mio padre e a mia madre, è inevitabile, quindi è inutile lottare contro questo, anzi la cosa peggiore quando uno si illude di essere proprio l'opposto, di essere diverso, perché allora vive nell'illusione. Quello che è importante dal punto di vista umano è nella visione in cui tu nella somiglianza che tu hai con tuo padre e con tua madre, che ripeto è inevitabile, ti dedichi a modificarti. Perché, ripeto, come tu sei simile a tuo padre e tua madre, tuo padre e tua madre erano simili ai tuoi nonni, e i tuoi nonni erano simili ai loro rispettivi genitori. Se tu non cambi, tuo figlio sarà simile a te, come sarà simile a suo nonno e sarà simile al suo bisnonno. Allora la nostra responsabilità creativa sarà riuscire, nella misura in cui diventiamo coscienti, riuscire a rompere questa catena; e rompendo questa catena, se io riesco a modificarmi, ed ecco l'interessante di possedere delle tecniche, delle metodologie che mi
permetto di farlo, sì, io da mio padre ho ricevuto una certa eredità, ma io modifico me stesso, modificando me stesso guarisco me stesso, miglioro l'universo … e lo potete capire, perché mio figlio sarà uguale a me ma sarà meglio di mio padre, perché io mi sono cambiato; non sarà più uguale a suo nonno. Cioè metto in moto una catena evolutiva completamente diversa che va all'infinito. Riuscite a cogliere? Gandalf: tu questo lo hai detto molto spesso, però io non sono mai riuscito a capir una cosa…
Intrusione: tutto questo dove ci porterà alla fine? GiBi: è una domanda che uno non si porrebbe mai, non ha importanza. Mano a mano andiamo avanti vediamo il paesaggio… Altra intrusione … GiBi: sta parlando ancora, non ha finito… Gandalf:
se i figli sono già nati?
GiBi:
se i figli sono già nati, nella misura in cui è possibile si aiutano a
cambiare Gandalf:
quando tu dici i figli saranno diversi, è per i figli che ancora
debbono nascere? GiBi:
perché?
Gandalf:
perché quando nascono sono già formati da …
GiBi:
quando nascono tu trasmetti quello che sei in quel momento. Ma
se il figlio è già nato c'è sempre la possibilità di intervento da parte tua per modificare e per aiutare questo figlio a modificarsi. Uno delle tecniche del metodo Silva è "la comunicazione non verbale durante la notte", tanto per fare un riferimento. È la comunicazione non verbale durante la notte, cioè quando uno si mette in comunicazione mentale con il figlio che dorme mediante il quale uno viene aiutato a stimolare quelle forze in tale che gli permettono di cambiare. … … … segue … …