Moonstone
di
Gina Laddaga
Edizione formato e-book (Estratto) Edizioni Il Pavone 2011 © Gina Laddaga Questa edizione è stata pubblicata in accordo con Edizioni Il Pavone, Messina, Italia. © Edizioni Il Pavone Tutti i diritti riservati. Titolo originale: Moonstone Autori: Gina Laddaga
ISBN 9788896425442
E' vietata la riproduzione, anche parziale od a uso interno o didattico, con qualsiasi mezzo non autorizzato, cioè senza autorizzazione scritta dell’autore o di Edizioni Il Pavone. Ogni violazione sarà perseguita ai sensi di legge. Tutti i nomi, il testo ed i marchi citati appartengono ai rispettivi proprietari.
ÂŤE' tutta colpa della luna, quando si avvicina troppo alla terra fa impazzire tutti.Âť William Shakespeare
Prologo
Con mano tremante, presi in mano il coltello stringendolo forte per il manico. Mi avvicinai ai tre lupi e istantaneamente il lupo bianco mi guardò con i suoi occhi azzurro ghiaccio. "Come faccio?" domandai a me stessa "COME FACCIO?"
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Primo capitolo
La prima nevicata invernale a Montepulciano cittadina Toscana circondata da cinta murarie e fortificazioni datate intorno al 1500 - dopo anni di inverni miti, si presentò inaspettata e molto abbondante. Si formarono strati di ghiaccio, per colpa della bassa temperatura, che rendevano scivolosi i marciapiedi, le pendenze e le scalinate dei palazzi in Piazza Grande. I bambini erano eccitati: di pomeriggio tiravano fuori gli slittini colorati, usati nelle loro vacanze in montagna - qui non nevicava quasi mai - e a coppie scendevano le ripide discese del Corso. Era quasi impossibile arrivare a piedi in centro, percorrendo le antiche salite ripide. Eppure quella sera dovetti percorrere quasi tutta la strada a piedi - gli autobus che portavano in Piazza Grande dopo le 20.00 non viaggiavano piÚ. Tantomeno con la neve. 5
Lavoravo nel bar accanto al Palazzo Comunale e il mio turno iniziava ogni sera alle 22.00; questo voleva dire che per arrivare in orario ero partita, quella sera, circa un'ora prima da casa mia, per camminare lentamente nei miei Moon Boot azzurri ed evitare di rompermi l'osso del collo. Vivevo con mia nonna Lisa da quando i miei genitori si erano trasferiti in America. Mia madre Stella era toscana, ma mio padre Steven era del New Jersey. Si erano conosciuti a Tijuana in Messico, entrambi in vacanza, e da quell'amore nacqui io. Dopo essersi sposati a Las Vegas e dopo la mia nascita, mia madre decise di tornare in Italia e mio padre la seguì: si sposarono anche in Toscana. Per quanto mi riguarda, avevo visto l'America solo dall'interno del ventre materno, quindi era come se non la conoscessi. Avevo deciso di restare a Montepulciano con mia nonna materna. Io l'adoravo e lei adorava me. Mia madre, casalinga frustrata, aveva insistito fino allo stremo delle sue forze psichiche purchè li seguissi in America: mio padre, piscoterapeuta, era riuscito a trovare lavoro in un centro di detenzione minorile a Belvidere, nel New Jersey - da anni bramava quel lavoro - e voleva trasferirsi. Mia madre voleva seguirlo naturalmente, ma io no. Sentivo che il New Jersey non era casa mia. Montepulciano sì. "Tesoro, tuo padre può finalmente ritornare nella sua città. Lui ha rinunciato a tutto per noi due e tu vuoi restare qui? Il New Jersey ti piacerà! Potresti anche 6
iscriverti al college, ad Oxford. Noi ci trasferiremo proprio nelle vicinanze di quella città. Hai 17 anni e papà potrebbe…” Zittii mia madre in un istante, mentre mia nonna ci guardava discutere sogghignando. "Mamma, ti ho detto che voglio rimanere qui con la nonna. L'America per me è sconosciuta, non importa che io abbia mezzo sangue americano e che sia nata nella patria del gioco d'azzardo. Ho vissuto per 17 anni qui e non intendo lasciare l'Italia e i miei amici, ma sopratutto non intendo andare al College o all'università che sia. Voglio diventare indipendente e vivere qui, solo grazie alle mie forze!" Il discorso era perfetto. Avevo una certa predilezione nel chiarire le mie posizioni: mio padre diceva sempre che avrei potuto fare qualsiasi lavoro volessi. Secondo lui avrei potuto anche entrare in politica. Idea che a me faceva solo ridere. Lui arrivò alle mie spalle e mi baciò la nuca, accarezzandomi i capelli mossi. Lo guardai con i miei occhi grigioblu, occhi ereditati da lui, con cui mi ricambiò l'occhiata. Somigliavo molto a mio padre. A parte gli occhi dello stesso colore, ero mora come lui, dalla corporatura snella e molto alta. Non arrivavo al metro e ottantacinque di mio padre, ma comunque sfioravo il metro e settantacinque. Ero stata la più alta della classe fin dalle elementari e sia nei banchi che nelle file per andare in mensa, ero sempre l'ultima in fondo. 7
Mia madre diceva che sembravo molto americana, a parte la carnagione chiara che avevo preso da lei. Mi ripeteva che ero stata contaminata dalla sua parte toscana che odiava, ma io quella parte toscana l'amavo. "Stella, se Ciara vuole rimanere qui, non vedo perché tu debba opporti. E' grande e tra poco diventerà maggiorenne, quindi può decidere da sola" mio padre mi strinse per la vita e mi baciò ancora la nuca "Se tua madre non ha nulla in contrario, rimarrà con lei a Montepulciano” Mio padre viveva da così tanto tempo in Italia, che il suo accento del New Jersey era sparito, lasciando spazio a quello toscano. Mia madre restò inebetita - per una volta mio padre le era andato contro - e fissò sua madre con sguardo acido. Mia nonna, che era rimasta seduta accanto al caminetto del soggiorno, alzò il viso dai ferri da maglia, con cui stava facendo una sciarpa e fissò prima me, poi mio padre ed infine si soffermò su mia madre, che sembrava volesse incenerirla con lo sguardo. "Santi lumi, Stella! La tua aura è davvero scura!" Io e mio padre ridemmo sotto i baffi. Ero sicura che mia nonna non avrebbe detto di no. "Ciara può rimanere con me per tutto il tempo che vuole, o comunque finché io avrò aria nei polmoni” Mi staccai da mio padre e corsi verso mia nonna. "Nonna, ti adoro!" Sentii mia madre borbottare imprecazioni a bassa voce e poi, dopo aver fatto un grosso respiro, rispose: "Sono 8
sicura che sarai tu a seppellirci tutti!" e detto questo uscì dal soggiorno, seguita da mio padre che, prima di uscire dalla stanza, ci fece l'occhiolino. "Cavolo, era davvero nera!" dissi a mia nonna quando restammo da sole. Mia nonna scostò dalla spalla i suoi lunghi e ondulati capelli - simili ai miei, se non fosse per il colore grigio che ora avevano i suoi - e sorrise. "Forse non proprio nera, lei è una persona buona, ma era molto arrabbiata” e sospirò "Le passerà, semplicemente perché ti vuole bene". E così eccomi dopo quasi cinque anni a Montepulciano, con due lavori e una vita normale vivendo con mia nonna materna. La casa era fuori dalle cinte murarie, vicino a Sant'Albino e quasi in campagna, quindi per raggiungere il centro dovevo usare i mezzi di trasporto o la mia auto. Quella sera di Gennaio, mi aveva dato un passaggio il marito della mia vicina di casa fino all'autostazione e poi avevo fatto a piedi il resto della strada. C'era il divieto di transito alle auto senza permesso, nel centro di Montepulciano. Il Sindaco diceva: "Per diminuire lo smog" ma io ci credevo poco. La mia auto era ferma all'officina Carrera. Paolo, il meccanico, non aveva il coraggio di mettere le mani sulla mia auto americana, quindi nei pomeriggi liberi ci provavo io con l'aiuto di suo figlio Silvio. Un ragazzo 9
alla mano e molto premuroso nei miei confronti. Paolo, quando avevo portato la mia Plymouth Valiant color carta da zucchero - un regalo esoso di mio padre per i miei 18 anni - aveva sgranato gli occhi e il suo viso aveva cambiato colore: da rosa pallido a rosso vinaccia. "Ma è davvero una…” "Plymouth Valiant del 1976, direttamente dalla Contea di Warren, nel New Jersey?" finii la sua domanda, notando che gli si era quasi annodata la lingua dall'emozione "Certo che lo è!" Paolo iniziò a guardarla da cima a fondo, come se fosse un quadro mai visto del Botticelli. Anche se la sua espressione sembrava ricordare "L'urlo" di Munch. "E cosa gli è successo?" "Carburatore se non sbaglio, poi freni che non vanno come dovrebbero e qualche pistone o bobina…” Paolo smise di fissare la mia auto e iniziò a fissare me. "Oh Ciara, io non me la sento di mettere le mani su un veicolo del genere. Insomma, non mi è mai capitata l'occasione di…” "Io invece me la sento!" esclamò il giovane Carrera, arrivando in officina. Suo padre scrollò le spalle. "Ciara, a tuo rischio e pericolo!" E così, la mia piccola Valiant era chiusa in quell'officina da quasi due settimane e sentivo come se mi mancasse un braccio o una gamba. Fin da piccola giocavo con le macchinine e guardavo programmi sui motori con mio padre, al posto di giocare con le Barbie e guardare 10
Sailor Moon. Ma ora ero a piedi... Mi piaceva camminare, adoravo fare attività fisica, ma con tutta la neve che era caduta e che non accennava a sciogliersi, liberando la mia cittadina rinascimentale, stavo iniziando a cambiare idea. Dopo quasi mezz'ora di camminata - avevo pronosticato un'ora, ma ci avevo messo metà tempo - arrivai in Piazza Grande. Il mondo era totalmente bianco e silenzioso. L'odore di neve, malgrado tutti gli inconvenienti, mi piaceva - anche se la mia migliore amica Celeste mi ripeteva che la neve era inodore - e guardando la Piazza dipinta di bianco, fui colta da una sensazione di pace. Camminai verso il centro della piazza, dando le spalle al portone chiuso del Palazzo del Comune e fissai davanti a me. Tutto bianco. Perfetto ed intatto, finchè qualcosa attirò la mia attenzione. Una sagoma indistinta si mimetizzò tra la neve ancora immacolata, non deturpata dalle orme umane. La sagoma si mosse così velocemente che quasi mi chiesi se non fosse stato uno scherzo visivo o solo la mia immaginazione. Mi strofinai gli occhi e non la vidi più. "Sicuramente me lo sarò immaginato” confermai a me stessa. Mi girai e m'incamminai verso il bar. Fuori dalla porta trovai Ivonne, la mia collega di lavoro. "Ciara!” salutò ad alta voce, tanto che ci fu quasi l'eco. 11
Andai a darle tre baci sulle guancie per salutarla. Lei aspirò l'ultimo tiro di sigaretta e si aggiustò i gonfi capelli biondi, cotonati stile Madonna anni '80. Mentre chiacchieravamo, giocavo con la neve spostandola col piede. "Attenta che c'è del ghiaccio!” esclamò Ivonne, ma era troppo tardi. Avevo toccato una lastra di ghiaccio e stavo scivolando. Tentai di aggrapparmi a lei, ma a sorreggermi fu qualcos'altro. O meglio qualcun'altro. Io, Ivonne e lo sconosciuto che mi teneva tra le braccia restammo per un attimo in silenzio, un silenzio che aveva lo stesso suono della neve che stava ricominciando a cadere. "Tutto bene?” domandò lo sconosciuto. Mi rialzai da sola e lui mi lasciò andare. La bocca di Ivonne formò un piccola O. "Sì, grazie” biascicai. La mia voce suonava trascinata. Il ragazzo davanti a me era vestito di nero, con una sciarpa annodata al collo. La sua pelle era chiara, quasi bianca come la neve che ci circondava. Aveva i capelli neri e due occhi azzurri come il ghiaccio. Incarnava perfettamente un dio delle nevi, uscito da chissà quale posto ultraterreno. Lui sorrise ed entrò nel bar, senza aggiungere altro. Io ed Ivonne lo seguimmo con lo sguardo e poi ci fissammo. "Che gnocco!” si lasciò sfuggire lei. "Puoi dirlo forte!" "CHE GNOCCO!” urlò e la sua voce rimbombò nel 12
silenzio di Piazza Grande. Scoppiammo a ridere. La voglia di sapere chi fosse quel ragazzo iniziò a punzecchiarmi. Alle 21.55 entrammo nel bar e lasciai vagare lo sguardo finchè non lo trovai: il ragazzo era seduto in un angolo del bar e fissava davanti a sè un punto non definito. Appoggiata al bancone guardavo dalla sua parte, sorreggendomi la testa con una mano sotto al mento. Il bar era vuoto, com'era previsto visto il freddo pungente di quella sera. Solo dei pazzi sarebbero usciti con tutta quella neve! Ivonne mi diede una gomitata. "Hai visto? Non ha ordinato nulla” "Forse stà aspettando qualcuno” "O forse stà aspettando che tu” enfatizzò il soggetto”vada a chiedergli se vuole qualcosa da bere” Mi girai verso Ivonne e la guardai. Aveva un sorriso beffardo sul viso. Mi bagnai le labbra e annuii. Arrivai al suo tavolo col cuore accelerato. Era tanto bello che quasi mi vergognavo a guardarlo. "Posso portarti qualcosa?" Il ragazzo alzò il viso e mi guardò. I suoi occhi azzurri erano così chiari da sembrare trasparenti. "No, grazie” "Aspetti qualcuno?” azzardai a domandare. Lui sorrise. "Forse” e mi guardò fisso negli occhi. Innervosita, lasciai cadere il mio sguardo dai suoi occhi e mi soffermai a fissare, quasi concentrata, attorno alla 13
sua nuca. Ma non vidi nulla. Feci un passo indietro e con un mezzo sorriso mi allontanai da lui, mentre quest'ultimo continuava a fissarmi. Tornai dietro al bancone e mi appoggiai con la schiena al legno di mogano, dando le spalle ai tavoli. Dando le spalle a lui. Perché guardando la sua figura non vedevo nulla? Non trovavo una risposta esauriente. Forse avrei dovuto chiedere spiegazioni a mia nonna... "Allora?” domandò Ivonne, muovendo la testa verso la direzione del ragazzo. Tornai al presente. "Be', gli ho chiesto se voleva qualcosa e ha detto freddamente 'No grazie' “ imitai il suo tono di voce, ma ne venne fuori una storpiatura. "E poi gli ho chiesto se stava aspettando qualcuno e lui ha risposto 'Forse' ". Questa volta imitai la sua voce con disprezzo. Ivonne ridacchiò. "Non hai capito che lo stà facendo apposta? Ho visto come ti fissava!" Alzai il viso, dubbiosa. "Come?! A fare cosa?" "Ci stà provando con te, ma tu sei ancora acerba in queste cose!” esclamò con un tono da donna vissuta, che non le si addiceva, sopratutto perché aveva solo cinque anni in più di me. Le tirai una spinta con la spalla, che lei scansò abilmente. "Allora perché non vai tu da lui così ci provi, visto che io sono acerba in queste cose?” le feci il verso. 14
Ivonne alzò la mano sinistra e me la fece oscillare davanti al naso. "Perché io sono sposata" e andò nel magazzino sul retro. "Esistono le corna!” risposi ad alta voce, ma lei era già sparita. Sospirai e mi girai verso i tavoli, ma il ragazzo dai capelli neri era sparito. "Ma dove…” Fissai il bar vuoto e mi sentii vuota anche io.
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Secondo capitolo
"Ciara! E' ora di svegliarsi!" Un grugnito di disapprovazione uscì dalla mia bocca impastata. Mi rigirai nel letto e tolsi il cuscino dalla testa, sotto il quale mi ero nascosta. Guardai la sveglia sul comodino bianco accanto al letto: le lancette segnavano le sette in punto... le sette?! "Nonna, è presto! Sono tornata a casa alle due stanotte!" Sentii muovere una sedia e poi dei lenti passi sulle scale. Mi coprii la testa col piumone, cercando di ritrovare il caldo che avevo fatto evaporare. La porta si aprì lentamente e il viso di mia nonna fece capolino nella stanza. "Sò che è presto Ciara, ma c'è una montagna di neve nel vialetto davanti casa. Non vorrai che una vecchietta la spali tutta da sola!" 16
Sbuffai e uscii dalle coperte con la testa. "Sei vecchia solo quando lo vuoi tu!" Mia nonna rise e uscì dalla stanza silenziosamente, com'era entrata. "Beh, oramai sono sveglia” borbottai tra me e me. Mi feci coraggio e uscii dal piumone. Quando appoggiai i piedi nudi sul pavimento in cotto, ebbi un brivido. Guardai la finestra davanti a me e mi avvicinai. Le colline erano tutte bianche, sembravano dei craffen spolverati di zucchero a velo. A quel pensiero il mio stomaco ruggì. Il sole splendeva, ma sicuramente non avrebbe nè riscaldato l'atmosfera nè sciolto la neve. Pregai non si formasse il ghiaccio, altrimenti per raggiungere casa di Celeste, sarei sicuramente scivolata. Immediatamente mi tornò in mente il ragazzo della sera prima. Era stato molto veloce a prendermi tra le sue braccia per non farmi cadere... così veloce da sparire anche dal bar, senza che io me ne accorgessi. Ripensai al perché non riuscissi a vedere nulla attorno alla sua figura. Dovevo chiederlo a mia nonna, ma con discrezione. Era apparso così velocemente, che forse me l'ero immaginato, eppure anche Ivonne... Camminai verso l'armadio bianco, dello stesso legno liscio del comodino, e fissai la mia figura snella davanti agli specchi sulle ante. I miei capelli erano arruffati e gli occhi grandi contornati da occhiaie, ma avrei posto rimedio semplicemente con spazzola e cipria. Alzai la maglia del pigiama azzurro e scoprii il mio 17
addome piatto. Sopra l'ombelico c'era ancora un grosso cerotto bianco e quadrato. Guardai il calendario accanto alla scrivania e notai che oggi era il 12 gennaio. Erano passati più di 10 giorni, quindi potevo togliere il cerotto. Lentamente lo staccai e il disegno prese vita: il soleluna che circondava il mio ombelico era perfetto. Non era più gonfio e non aveva più quelle piccole ferite che mi avevano fatto girare la testa quando il tatuatore aveva finito di imprimere la sua opera d'arte sulla mia pelle. Il primo gennaio, per festeggiare l'arrivo del 2009, io e Celeste eravamo andate a Chiusi per farci un tatuaggio. Lo stesso tatuaggio: un soleluna. Io me l'ero fatta attorno all'ombelico, lei invece nella zona lombare. Sentivamo così di aver fortificato la nostra amicizia, che durava da quando andavamo alle scuole elementari. "Ciara, la colazione è pronta!" Uscendo dalla mia camera, gettai il cerotto nel cestino sotto al lavandino del bagno e scesi in cucina per riempire il mio stomaco, che continuava a brontolare. Ero praticamente imbacuccata: oltre al piumino verde smeraldo lungo fino alle ginocchia, mi ero messa una sciarpa di lana fatta da mia nonna e una cuffia con un copri orecchie. Sembrava di essere in Antartide: non avevo mai patito così freddo come in quel mese. Mentre aiutavo mia nonna a spalare la neve, ripensai al ragazzo misterioso. Era molto bello, il più bel ragazzo che avessi mai visto. I suoi capelli neri come la notte, 18
incorniciavano il viso bianco, quasi come la neve e quei suoi occhi azzurri... scrollai la testa, in preda ad una strana agitazione che mi tormentava lo stomaco. "Nonna, posso chiederti una cosa?" Mia nonna gettò a terra l'ultima spalata di neve e mi fissò dolcemente. "Certo tesoro mio” Smisi di armeggiare con la pala e la infilzai sopra il cumulo di neve che avevo creato. "Ti è mai capitato di non riuscire a vedere l'aura attorno alle persone?" Lisa con i suoi occhi color cioccolato, gli stessi di mia madre, studiò il mio viso e poi mi rispose, riprendendo la pala in mano. "Sì, quando avevo più o meno la tua età. Ero all'ospedale durante il mio primo anno di lavoro e mi è capitato di non vedere l'aura a più persone” Mia nonna era stata un'infermiera. In ospedale aveva conosciuto mio nonno, morto oramai da 10 anni. Gli aveva suturato la coscia, dopo che era stato ferito in un addestramento al campo militare, e la stessa sera erano usciti insieme. Da quella volta non si erano più lasciati. Nonno Michele, era un sergente dell'Aeronautica Militare e si addestrava per una futura guerra. Guerra che poi c'era stata. "E sai il perché non riuscivi a vederla?” domandai incuriosita. Mia nonna tranquillamente rispose: "Sì, perché erano morti” Sentii un velo di sudore addensarsi dietro al collo, 19
nonostante il freddo. Deglutii e dalla mia bocca uscì una domanda smorzata: "Morti?" Mia nonna, che non si era accorta della mia reazione, rispose: "Sì, quando una persona muore, tutto in lui lo abbandona. L'anima, l'alito di vita e anche l'aura. Insomma tutto. Oppure…” "Oppure?” domandai. Scrollò la testa e mi guardò. "Nulla. Perché me l'hai chiesto?" Io irrigidita fissavo in modo vacuo i Moon Boot ai miei piedi. Poi tornai al suo viso. "No, nulla. Semplice curiosità” Tornammo a spalare la neve in silenzio, ma quella parola continuava a martellarmi in testa. Morti. Camminavo lentamente per le strette strade della campagna. Stavo cercando di raggiungere casa di Celeste, ma non riuscivo a non pensare. Non vedevo l'aura di quel ragazzo. Forse c'era qualche intoppo nella mia mente, lui non poteva essere morto. Era stato al bar, mi aveva trattenuta tra le sue braccia sconosciute e ci eravamo parlati. Be', mi aveva detto praticamente tre parole, ma l'aveva fatto. Forse ero pazza, magari non ero ancora così allenata come mia nonna e vederle... Finalmente raggiunsi casa Giordani. Era una villetta a schiera a quasi 2 km a nord di casa mia e da Montepulciano. 20
Quando suonai il citofono rispose Stefano, il fratello minore della mia migliore amica. Lui stravedeva per me, diceva che gli avevo rapito il cuore. Era anche un bel ragazzino, ma era troppo piccolo perché gli concedessi di uscire con me. A 16 anni anche io mi ero presa una cotta per il nipote ventunenne di Mercedes, la vicina ficcanaso di mia nonna, ma non avrei mai avuto il coraggio di chiedergli di uscire. Stefano, invece, di coraggio ne aveva... eccome se ne aveva! "Non intendi uscire con me finché sarò maggiorenne?” mi domandò sulla soglia della porta. La sua aura era azzurra brillante. Risi. "Stefano, non esco con te perché sei il fratello minore di Celeste. Ti ho visto indossare il pannolino!" Mi lanciò un'occhiata di sfida. "Oramai sono un uomo... quindi il giorno del mio diciottesimo compleanno potresti farmi un bel regalo!" Si avvicinò a me con passo disinvolto, toccandosi i capelli rossi disordinati, al contrario di quelli della sorella che li portava sempre in un ordine impeccabile. "Stefano! La pianti di provarci con Ciara? Tanto non te la dà!” urlò Celeste dalla sua camera. Soffocammo entrambi una risata e mi avviai verso la camera rosa da cui proveniva la voce. La mia amica era sdraiata a terra, sopra un tappetino fucsia, fasciata in una tuta lilla, intenta a fare esercizi per addominali. I suoi rossi capelli lisci ondeggiavano dietro la schiena, mentre andava su e giù. Non capivo da dove tirasse fuori tutta quella voglia di fare 21
ginnastica in casa, dopo una settimana di Università. Studiava Storia dell'arte all'Università di Siena e tornava a casa ogni venerdì pomeriggio. Appena mi vide entrare sorrise e i suoi occhi verdi s'illuminarono. "Ciara, stasera devi controllare l'aura di Christian!” espirò tra un movimento e l'altro. Mentre mi toglievo il giubbotto e mi sedevo sul suo enorme letto a baldacchino, sommerso di peluches, sospirai. "Che c'è?” domandò preoccupata, alzandosi e arrivando al mio fianco. "L'aura del tuo fidanzato è sempre immacolata!” risposi in tono piatto. Celeste mi spostò i capelli dietro l'orecchio, per guardare il mio viso, e disse: "Lasciamo da parte l'aura di Christian per un momento... cosa c'è che non va?" Mi lasciai cadere sul letto e presi in mano un coccodrillo di peluches. Mentre gli accarezzavo la lunga coda seghettata, parlai. "Ieri sera al bar, è venuto un ragazzo…” "Un ragazzo? Descrivimelo!” trillò Celeste con entusiasmo. Sorrisi. "E' alto, capelli neri e occhi color del ghiaccio. Zigomi alti e mascella squadrata. Voce sensuale e braccia forti...” La mia voce sembrava trasognata. "Un figo in poche parole!” sentenziò Celeste. Tornai al suo viso e mi misi a ridere, subito seguita da lei. 22
"Oh sì! Assolutamente sì!" "Scusa un attimo, come fai a sapere che ha braccia forti?" "Perché mi ha presa tra le braccia” risposi. Avevo ancora la voce trasognata. "Cosa?!” Celeste mi fissò e la sua espressione si arricchì di un ghigno malizioso. "Ero fuori dal bar con Ivonne, stavamo parlando e sono scivolata su una lastra di ghiaccio. Lui è apparso al mio fianco, come se fosse uscito dal nulla e mi ha sorretta, così non sono caduta a terra. Mi ha risparmiato un bel livido sul sedere!" Celeste sospirò e si lasciò cadere sul letto. "Oh! Il principe azzurro che salva la damigella in pericolo!" Tirai una gomitata nel fianco a Celeste. Lei tossì. "Ma che principe azzurro!" bofonchiai. Restammo in silenzio. Eppure lui assomigliava davvero ad un personaggio delle fiabe. L'avevo definito un dio delle nevi... Continuai il mio resoconto: le raccontai delle due parole che avevo scambiato con lui e di cosa mi aveva detto Ivonne. "Forse Ivonne ha ragione. Forse ti ha trovata carina e voleva stuzzicarti...” Ci pensai su, palesemente dubbiosa. "Forse, ma…” Mi bloccai come se non riuscissi a formulare una frase di senso compiuto. "Ma?" 23
"Non riesco a vedere la sua aura. Oramai sono anni che mi sono accorta che vedo la luce che circonda le persone, come succede a mia nonna. Quella forma compatta simile ad un cerchio, attorno a lui non la vedo!" Celeste si alzò dal letto e io la imitai. "Magari è talmente puro quel ragazzo che la sua aura è trasparente” tentò di tranquillizzarmi. Io scrollai le spalle. "Forse... o forse non è nulla, magari non sono così allenata. Stò cercando di non badare più alle auree delle persone, perché influenzano la mia percezione, e sopratutto la tua che è sempre così brillante. Quasi mi acceca!” risi. L'espressione di Celeste si fece solenne. Drizzò le spalle e scrollò indietro i lunghi capelli. Si aggiustò il reggiseno, sotto alla maglietta fine e il seno sballonzolò. "Io sono tremendamente gnocca, anche nell'aura!" Mi cascò la mascella. Celeste era sempre in grado di sdrammatizzare qualsiasi cosa. E l'adoravo anche per questo. Era l'unica - a parte mia nonna - a sapere che ero in grado di vedere le auree delle persone. Mia madre sapeva di mia nonna, ma non di me. Quando era giovane se la prese con sua madre, perché lei non era in grado di vederle. Se avesse scoperto che quel dono aveva saltato una generazione arrivando a me, forse si sarebbe sentita non speciale. Anche se speciale non era un aggettivo che avevo considerato per descrivermi... Le tirai addosso un coniglio di peluches ed entrambe scoppiammo a ridere. 24
Mi offrì una cioccolata calda - con suo fratello che continuava a passare per la cucina - e restai a parlare con lei fino alle quattro del pomeriggio. "E' meglio che vada dalla signora Susanna, devo tenere Jacopo per due ore” Celeste mi accompagnò alla porta e mi diede tre baci. "Passiamo a prenderti alle nove stasera e mi raccomando…” "Sì, appena salgo in macchina controllo l'aura di Christian. Se è sempre bianca-azzurra tossisco una volta. Se ha qualche macchia nera, tossisco più volte!" Il sorriso di Celeste le illuminò il viso e mi salutò. Uscii da casa sua, tentando di non visualizzare il viso del possessore di quell'aura che... non vedevo. Arrivai davanti casa Mancini appena in tempo. Il ghiaccio e la neve da casa di Celeste mi avevano rallentato il passo. "Ciao Ciara. Sarò a casa massimo tra due ore” La signora Susanna Mancini era già vestita col cappotto e gli stivali invernali. Era talmente raffinata come donna che anche con indosso una tuta, avrebbe fatto la sua figura. Jacopo venne subito da me, barcollando instabile sulle gambine. "Ciao Cià!” trillò appena mi vide. Susanna baciò sulla fronte il figlio e uscì di casa. "A dopo signora!" Presi in braccio il piccolo Jacopo e gli diedi un bacio 25
sulla guancia. Jacopo aveva tre anni ed era un amore. Non piangeva mai, anzi rideva fin troppo e, cosa più importante, era obbediente. Se gli proibivi di fare una cosa, lui non la faceva. Chissà se avrebbe mantenuto questo atteggiamento crescendo... Accesi la televisione nel soggiorno e mi sedetti sul divano, accanto al camino, con a fianco il bambino. Lui masticava in silenzio un giocattolo di gomma e io facevo zapping per i vari canali del digitale terrestre. "Cià!” disse ad un tratto Jacopo. Mi girai verso di lui e lo vidi additare verso la finestra. "Che succede piccolino?” domandai. Jacopo con un po' di sforzo si alzò in piedi e andò verso la finestra. Lo presi in tempo, prima che si schiantasse sul tavolino di cristallo. Con lui in braccio andai verso la finestra. "Cià, guadda! Cane biacco!" Seguii il piccolo dito paffuto che Jacopo sbatteva sul vetro della finestra. I suoi occhi azzurri erano fissi su qualcosa, oltre la finestra. Vidi una presenza muoversi tra la neve in giardino. Sembrava la stessa sagoma indistinta che avevo visto in Piazza Grande la sera prima. Anzi ora non era più indistinta, capivo cos'era. "Cane!” esclamò cristallino Jacopo, che continuava a sbattere il ditino sul vetro. Lo portai sul divano e gli dissi: "Non ti muovere da qui!" Lui annuì e sorrise, mettendosi di nuovo a masticare il 26
giocattolo di gomma. Presi il piumino ed uscii in cortile. Mi fermai in mezzo al grande giardino, guardandomi per un attimo intorno, e poi andai verso il cancello. Guardai fuori e lo vidi. Un grande cane, bianco come la neve era fermo in mezzo alla strada. Era bellissimo e aveva due occhi chiari che quasi non si vedevano. Non ne capivo molto di razze di cani, ma forse quello non era un cane. Dalle sembianze e dalla grandezza sembrava assomigliare di più ad... un lupo. Ma... in Toscana non ce ne erano di lupi! Lo fissai, quasi incredula per un minuto. Anche l'animale mi fissò, poi all'improvviso scrollò il pelo e corse via. Cominciò a piovere, pioggia che da lì a poco si sarebbe trasformata di nuovo in neve. La temperatura era molto bassa. Tornai in casa correndo per non bagnarmi e andai da Jacopo, che mi accolse con un urletto felice. Quando Celeste e Christian passarono a prendermi per accompagnarmi al lavoro, pioveva già da qualche ora. Mi ero sbagliata, forse era la volta buona che la neve lasciasse Moltepulciano e i paesini limitrofi. Salendo sulla Seat Ibiza nera fissai Christian: la sua aura era immacolata. Come sempre era tra il bianco e l'azzurro e questo Celeste lo associava alla fedeltà del fidanzato. Io non ribattevo, anche perchè non conoscevo per bene i significati dei vari colori delle 27
auree. Solamente quella nera aveva un significato preciso: malvagità. Ma quella inesistente? Scrollai via quel pensiero, prima che si annodasse al mio cervello. Tossii una volta. "Bene, metti in moto amore!” ridacchiò Celeste, contenta del risultato. Arrivammo in Piazza Grande e Christian parcheggiò. Per nostra fortuna lui aveva il permesso per sostare in Piazza Grande, vivendo in centro con i genitori. La pioggia era diminuita e faceva ancora freddo. Pregai che l'asfalto sgombro di neve, non diventasse una lastra invisibile di ghiaccio. Il giorno dopo dovevo andare in officina dalla mia Valiant e non volevo che il ghiaccio mi ostacolasse. Salutai Ivonne e mi misi il grembiule nero del bar. C'era un po' di gente e quindi il lavoro mi tenne occupata per tutta la serata. Questo non mi impedì, ogni volta che sentivo la porta aprirsi, di girarmi speranzosa. Inconsciamente speravo di rivedere quel ragazzo, ma quella sera non apparve. Celeste e Christian andarono via verso mezzanotte. Quando alle due di notte chiudemmo, io ed Ivonne ci incamminammo verso la sua auto. Non pioveva più e la temperatura sembrava essersi alzata. "Ti ho vista strana questa sera” disse Ivonne mentre si accendeva una sigaretta. "Strana?” quella domanda fu inaspettata e mi fece vacillare per un attimo. 28
"Sì, ogni volta che la porta si apriva, tu guardavi verso quella direzione, anche se stavi servendo ai tavoli o al bancone” Ivonne era un'ottima osservatrice, ma non mi andava di raccontarle i fatti miei. Mugugnai qualcosa a bassa voce e lei capì che non ne volevo parlare. Ad un tratto mi fermai. Vidi di nuovo una sagoma bianca, che si mimetizzava con la neve ancora intatta, sotto ad un arco di pietra. Il cane - oppure lupo? - bianco mi fissava. Ivonne era già entrata in auto, mentre io ero ancora in strada. "Ciara?!” mi chiamò, abbassando il finestrino. Ruotai meccanicamente il mio viso verso di lei e annuii. Quando mi rigirai verso l'arco, il lupo bianco era sparito. Sento il cuore battere all'impazzata, quando lei mi è vicina. Il sangue bollente mi fluisce nelle vene quando sento il suo profumo. Come posso starle accanto senza farle provare ribrezzo per un essere come me?
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