ABBRACCIAMI Alla luce dell’amore tutto diventa possibile

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ANDREA ALFIERI PADIGLIONI

i m a i c c a r b b A

Alla luce dell’amore tutto diventa possibile



ANDREA ALFIERI PADIGLIONI

alla luce dell’amore tutto diventa possibile



Tutti siamo destinati a morire, ma gli istanti di amore e di gioia, di fedeltĂ al posto che abbiamo occupato nel mondo, la ricerca di significati profondi, creano una continuitĂ fra la vita e la morte che rivela una speranza di eternitĂ .



alla luce dell’amore tutto diventa possibile

BIOGRAFIA

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PIERO, TIZIANA, ANDREA, ELISA

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HO INCONTRATO TE GESÙ

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L’EDUCATORE

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DIACONO “ROMPI”

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SUPERIORMENTE ABILI

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PROFESSOR PIERO

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L’UOMO DI DIO

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LA SCALATA

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APPENDICE

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LETTERE, MESSAGGI 5



Prefazione

L’UOMO DI FEDE, IL PADRE, L’EDUCATORE

B

en volentieri scrivo due righe per accompagnare la bella testimonianza che Andrea fa di suo padre Piero Alfieri Padiglioni.

Ciò che scrive Andrea è un grande atto di amore verso suo padre tracciandone una identità di uomo, di padre, di educatore e di diacono. Ho conosciuto personalmente Piero, soprattutto nel suo ministero di insegnante di religione e nella fatica pastorale come diacono nella Parrocchia Cristo Divin Lavoratore. C’è una parola con la quale mi sento di riassumere l’impegno e il servizio del caro Piero: la passione. Piero era appassionato di Gesù Cristo: da ciò il suo entusiasmo per la scuola, luogo alto della formazione; da ciò il suo servizio ai piú deboli; da ciò la premura per l’annuncio della parola di Dio; da ciò il donare il tempo per accompagnare i ragazzi verso i sacramenti della iniziazione cristiana; da ciò la sua vita famigliare di sposo e di padre. Il caro Piero ci lascia un testamento di carità e un modo singolare di servire le persone e di essere credente. La grazia del diaconato in lui si è manifestata come continua diaconia verso tutti. Quanto Andrea, suo figlio, ha raccolto, offre uno spaccato più completo di tutta la sua intensa attività. Il testo viene consegnato a quanti lo hanno conosciuto e a quanti lo vogliono imitare nel bene. Sua Eminenza Cardinale Edoardo Menichelli Vescovo di Ancona e Osimo

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Mi fermo qui, poi se vuoi ne possiamo parlare insieme: prova a pensarci, magari sono stupidaggini quelle che ti dico, oppure potrebbero essere vere. Con tanto amore, papĂ


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INTRODUZIONE

Q

uesto non è un libro in memoria, questo è un libro di vita, per la vita. Chi gode della pienezza di Dio non ha bisogno di essere ricordato, di essere letto. Chi continua la sua missione in terra ha invece bisogno di ricordare, di proseguire. Questo non è un libro per ricordare Piero, questo è un libro per vivere. Le pagine non sono quelle di un album fotografico da sfogliare e accarezzare, queste pagine sono pagine da vivere, da capire. Questo è un libro per la vita. Piero Alfieri Padiglioni è stato un umile uomo di Dio, un ingegnoso professore e carismatico diacono. Credeva in quello che faceva e rifletteva la luce in cui lui stesso viveva: era un piccolo specchio della luminosità di Dio, bagliore che testimoniava con le sue missioni, il suo amore e la preghiera. Papà è stato un uomo che ha parlato a voce alta, ha sorriso tanto. Ha abbracciato tanto e tanti, sempre con dolcezza. La sua partenza ha fatto un gran rumore, o come tanto amava dire, un gran “casino”. Un viaggio nella vita di Piero, suddivisa in capitoli che affrontano gli ambiti per cui si è speso, nasce dall’esigenza di testimoniare il suo amore per Dio. Il ricordo delle lacrime è limitante, quello autentico si riflette nelle nostre vite. Quello che si leggerà dentro questa emozionante storia sia punto di partenza per rivoluzionare la propria esistenza, il proprio essere, l’intimità dell’esserci. Se non si accetta questa sfida, si troverà solamente un dolce racconto di un uomo che ha fatto della sua vita una sfida d’amore. Ogni singolo capitolo, realizzato con l’aiuto di molti, ripercorre il vivere di Piero non fermandosi alla quotidianità delle storie, ma cercando di testimoniare la straordinarietà dell’amore che le hanno mosse. Questo libro va letto per ricordarsi che tutti possono essere investiti da quell’energia che ha colorato la sua vita. Quello di Piero è un ricordo esigente che non si ferma alla transitorietà delle emozioni. Papà non è il vero protagonista di questo libro; preferisco definirlo coprotagonista o prestanome del grande personaggio di questa storia. L’Amore. È lui il protagonista. Permettetemi di accompagnarvi in questa storia che ha dell’incredibile: abbandono per qualche pagina ciò che mi sta intorno. Allontanate per qualche minuto ciò che vi disturba. Fatevi sorprendere dall’amore, fatevi intenerire dalla dolcezza, ma non fatevi rapire dal dolore. Alla luce dell’amore tutto diventa possibile. Tutto diventa possibile! il figlio Andrea

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Laudato sii, o mi Signore


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BIOGRAFIA

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iero Alfieri Padiglioni nasce il 17 novembre del 1956 alle ore 9 del mattino ad Ancona da mamma Ida Cardinali e papà Aldo Alfieri Padiglioni, secondogenito dopo il fratello maggiore Paolo. Piero Alfieri Padiglioni nasce il 17 novembre del 1956 alle ore 9 del mattino ad Ancona da mamma Ida Cardinali e papà Aldo Alfieri Padiglioni, secondogenito dopo il fratello maggiore Paolo. In pochi avrebbero immaginato di avere di fronte il futuro “diacono rompi” quando, appena arrivato in Parrocchia per il suo primo anno di catechismo, viene soprannominato Pierì la peste per “meriti” che non è difficile indovinare. Fa, sì, il chierichetto alla messa, ma ne combina una dietro l’altra, guadagnandosi infinite “cighe” (e, pare, pure qualche scoppolo’) da Don Giovanni Mantovani, il primo parroco della Parrocchia. Che scopre la sua inconfondibile, bellissima voce, quando Piero ha solo sette anni: una domenica, durante la messa, lo chiama al suo fianco e gli fa intonare il Padre Nostro. In chiesa cala il silenzio, nessuno riesce a credere che una voce tanto limpida, calda, vibrante possa appartenere a un bambino tanto piccolo. Sono gli anni delle scuole elementari, che Piero fa alle “Belvedere” di Ancona. Come i migliori geni, matematici, fisici, filosofi, anche Pierì la peste viene bocciato proprio nella “materia” che si sarebbe rivelata la vocazione della sua intera vita: riceve la Comunione l’11 settembre 1966, un anno più tardi perché Don Giovanni gli fa ripetere un anno di catechismo! Una settimana dopo, il 18 settembre 1966, Monsignor Bernardino gli somministra la Santa Cresima. Nel frattempo, continua gli studi alle scuole medie “Francesco Podesti” di via Urbino. Negli anni ’70 la Parrocchia era il centro di aggregazione dei bambini e dei giovani del quartiere che davano vita, in un’atmosfera di vivace, inarrestabile, fermento, a tante attività ricreative, culturali, sportive, solidali. Piero, ormai adolescente, si distingue fin da subito come il fulcro di tale fermento: al cinema in chiesetta della domenica pomeriggio è l’addetto alla proiezione, alle feste lui porta i dischi, al Trofeo S.P.A.F., l’antesignano del Gioca Quartiere, una sorta di Palio tra le vie del quartiere, è in prima linea in tutte le gare, sia che bisognasse cimentarsi nella pallavolo, sia che la sfida fosse canora. E poi inizia l’attività che avrebbe portato avanti per tutta la vita: quella di catechista. Dei bambini in quegli anni, di ragazzi e adulti per sempre. Il 1972 è l’annus horribilis per Ancona squassata e distrutta dal terremoto che la terrorizzò per mesi e mesi, ma è anche l’anno,

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per Piero, del primo campo scuola ACR: dal 28 agosto al 5 settembre sul Monte Peglia di Orvieto si condivise un’esperienza che sarebbe divenuta, negli anni seguenti, un appuntamento irrinunciabile, nonché, ancora oggi, il fiore all’occhiello della Parrocchia. Nel 1974 (anno in cui in Parrocchia Don Bartolomeo prese il posto

di Don Francesco al fianco di Don Isidoro) per Piero e i ragazzi del gruppo inizia una “carriera” parallela, quella di teatranti. Impegnati da sempre nell’organizzazione di recite natalizie con i bambini del catechismo, quando un amico torna dopo un anno di studio in America con il disco della storica opera rock Jesus Christ Superstar, si cimentano nel teatro con la T maiuscola. L’opera è d’avanguardia per l’epoca: parla di Gesù in modo moderno e profondo nel contempo, ma va tradotta in italiano, rimessa in metrica e adattata agli spazi disponibili. Dopo due anni di lavoro, prove quotidiane e provini per reclutare attori tra i giovani di tutta Ancona, il cast è completo, 80 giovani dai 14 ai 25 anni, e lo spettacolo pronto. Piero interpreta uno dei personaggi principali, l’apostolo Pietro. Il 26 ottobre 1976 Jesus Christ Superstar va in scena in Parrocchia di fronte ad un pubblico che sembra comprendere l’intera città, per quella che sarebbe stata la prima di tante repliche nei più importanti teatri della Marche, in una tournée che prosegue per tutto l’anno successivo riscuo-

Piero, fin da piccolo, ha sempre vissuto l’ambiente del suo quartiere. Il rione di Piazzale Camerino, circondante la parrocchia, è stato per lui e per i suoi coetanei, luogo di incontro, crescita e impegno. La mattina si andava a scuola e il pomeriggio si giocava: al parco, lungo le vie o dentro la parrocchia.

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Biografia

tendo grande successo. Il 1976 è un anno molto importante per Piero e per la Parrocchia anche per un altro motivo: prende vita il progetto della Casa dell’ospitalità. A Posatora, in quegli anni, c’erano la sede dell’INRCA e l’ospedale oncologico regionale, mete di pazienti provenienti da tutta Italia. Con i pazienti, le loro famiglie, costretta a dormire in albergo a caro prezzo o, in tanti casi, in macchina. Proprio a Piero e agli altri ragazzi viene l’idea di fare qualcosa di concreto per alleviare i disagi di tante persone già messe duramente alla prova dalla vita. E qualcosa di concreto lo fanno letteralmente: prendono in carico tutti i lavori di semplice manovalanza come demolire i vecchi rivestimenti del bagno, dipingere le pareti o i mobili presi da Padre Guido. Nel febbraio del 1977 viene inaugurata quella che oggi è la Casa dell’Ospitalità “Carlo Antognini”, a lui intitolata perché morì pochi giorni prima dell’inaugurazione. Nella stessa estate in cui si cimenta come manovale, Piero è alle prese con l’esame di maturità all’Istituto di Ragioneria “Stracca” di Ancona. E per festeggiare e riposarsi come ogni neo diplomato che si rispetti, fa un “viaggio” insieme ad altri ragazzi della Parrocchia. Vanno in Friuli

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Venezia Giulia ad aiutare la popolazione colpita dal terremoto del maggio 1976. Al rientro dal Friuli, Piero si iscrive all’Università, facoltà di Economia e Commercio di Ancona, prima, Giurisprudenza a Macerata l’anno successivo. Dopo appena un altro anno, aggiusta il tiro e lascia gli studi in legge per frequentare i corsi di teologia per laici presso l’Istituto Teologico Marchigiano, affiliato alla Pontificia Università Lateranense. A soli 23 anni inizia la professione di insegnante di religione in alcune scuole private, finché non approda dapprima all’IPSIA di Ancona e poi all’Istituto Professionale per il Commercio Calzecchi-Onesti di Ancona, dove in più di vent’anni di insegnamento diventa per tutti, alunni e colleghi, un punto di riferimento. Nel 1981 Don Isidoro viene succeduto come Parroco di Cristo Divino Lavoratore da Don Giancarlo Sbarbati che instaura fin da subito un legame speciale con Piero, fatto di collaborazione, stima, condivisione, affinità spirituale. Nel 1982, dopo il successo di Jesus Christ Superstar, Piero e il gruppo teatrale della Parrocchia tornano alla ribalta con un nuovo spettacolo, un musical sulla vita di San Francesco, “Forza venite gente”. Uno spettacolo teatrale in piena regola, con attori, cantanti, ballerini, un’orchestra che suona dal vivo e le scenografie realizzate da Don Bartolomeo. Le repliche sono andate avanti per oltre 10 anni in tutta la regione Marche. L’inesauribile voglia di fare qualcosa di concreto per rendere migliore la vita degli altri lo porta, agli inizi degli Anni ’90, in Africa. Nel 1991 e nel 1992 raggiunge per due volte la missione a Gathunga e si dedica ad aiutare i missionari nella costruzione di un dispensario con diversi ambulatori medici destinato a ga-


Abbracciami rantire la necessaria assistenza sanitaria alla popolazione poverissima di quella parte dell’Africa. Un’esperienza che lo segna irreversibilmente e lo spinge, una volta tornato, a coinvolgere gli altri giovani della Parrocchia in questa attività di volontariato che porterà tanti suoi coetanei a trascorrere le ferie estive tra le baracche di Gathunga. Intanto Piero conosce l’amore della sua vita, Tiziana, che porterà all’altare il 30 dicembre del 1995 in quello che sarà ricordato da tutta la Parrocchia come uno dei matrimoni più emozionanti e anticonvenzionali di sempre. Una festa per tutti. Con tutti. Da quel giorno Piero, attraverso la sua dolce Tiziana, entra a far parte anche di un’altra famiglia, quella “capeggiata” dall’energica suocera Irma. Il 1997 è un anno di emozioni estreme per Piero: infinito dolore ad aprile per la perdita dell’adorato papà Aldo, gioia immensa l’8 luglio quando nasce Andrea, il primo figlio.

L’8 novembre del 2008, altro grave lutto per Piero: muore l’adorato fratello Paolo. Scopre di essere malato nell’agosto 2015 e affronta i mesi successivi con la forza, la fiducia e il sorriso propri solo di chi sa di avere vicino Dio. Perde la sua battaglia terrena il 26 gennaio 2016, lasciando l’intera comunità parrocchiale – e cittadina – sgomenta, stordita, disorientata dall’improvvisa perdita di un punto di riferimento irrinunciabile. Dal 26 gennaio 2016, Piero continua a fare, da una “postazione privilegiata”, ciò che ha fatto per tutta la vita a Piazzale Camerino: aiutare il prossimo, pregare per le anime di tutti, “sistemare” piccoli e grandi problemi con l’aiuto di Collaboratori Speciali.

Tre anni dopo, nel 2000, corona il suo percorso di fede e di servizio alla Parrocchia e al prossimo diventando diacono il 21 ottobre. Un evento che coinvolge tutti i parrocchiani, una festa alla quale nessuno è voluto mancare. È l’occasione imperdibile per riconoscere “ufficialmente”, quasi per consacrare, il ruolo insostituibile di Piero all’interno della comunità parrocchiale. Una vita, la sua, al servizio del prossimo: educatore carismatico, organizzatore instancabile (non era ancora tornato dal campo scuola che già pensava a dove e come organizzare quello dell’anno successivo), braccia e spirito spalancati ad accogliere i piccoli e grandi problemi di chiunque. Sempre, senza se e senza ma. Nel luglio 2002 perde anche la mamma Ida, l’anno dopo, il 12 dicembre 2003, nasce la seconda figlia Elisa.

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Biografia

Le foto ritraggono Piero davanti la sua abitazione in Via Fabriano, strada sottostante la parrocchia “Cristo Divino Lavoratoreâ€?. Piero ha abitato qui per tutta la sua infanzia e giovinezza. TornerĂ poi, dopo la nascita della secondogenita, nella suddetta casa, abitata per anni dai suoi genitori.

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A casa il Diacono Piero diventava un “papone” con Elisa, un amorevole marito con mamma e un amico maturo con me.

PIERO, TIZIANA, ANDREA, ELISA

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apà è famiglia. Usare il passato sarebbe da stupidi: non muore mai infatti chi rimane vivo nei cuori di chi lo ama. Mamma, mia sorella Elisa ed io siamo la sua famiglia e per sempre lui sarà la nostra famiglia. La famiglia è lo spazio più personale di ciascuno di noi e per lui, che era padre e fratello in molte “famiglie”, eravamo preziosi. Le famiglie litigano, fanno pace, non si capiscono spesso, ma si amano. La famiglia è il tesoro più dolce per ciascuno di noi e per lui, che ha aiutato e sostenuto tante famiglie, eravamo esempio. Come ogni famiglia abbiamo attraversato dei momenti difficili, ma l’amore ci ha salvato! Non è stato semplice essere la famiglia del diacono Piero, ma il suo amore ci ha sorretto. Nella sua vita lui desiderava una famiglia: ha infatti scelto di diventare diacono dopo essersi sposato con mia madre. Il nostro essere famiglia era un po’ fuori dal comune proprio per la sua chiamata vocazionale. Essere cristiani cambia e arricchisce le nostre vite, non le rende migliori o superiori alle altre. A casa il Diacono Piero diventava un “papone” con Elisa, un amorevole marito con mamma e un amico maturo per me. L’unica cosa che non transigeva era la maleducazione e tante sono state le discussioni, con lui, per il mio ribellismo adolescenziale: seppur ero il suo fedele “compagno e consigliere”, le nostre divergenze erano numerose. La cena, oltre ad essere momento di condivisione e incontro, era spesso tavola rotonda dove poter discutere e confrontarci. Non scorderò mai il momento del dopo cena, quando si metteva nel divano a guardare film e io lo sentivo, dalla mia camera, ridere con pienezza. Sicuramente la nostra famiglia è particolare, ora più che mai. La morte decreta una divisione che destabilizza le nostre vite. La morte separa, ma non divide. Io voglio confidarvi un segreto: mio padre è ancora mio padre. Sento dire: “Andrea, poverino, non ha più il papà”. Io il papà l’ho sempre avuto e in eterno lo avrò. Ognuno di noi avrà per sempre suo padre. La morte non mi ha tolto mio padre; io continuo ad essere suo figlio! Non lo tocco, non ci parlo, non lo vedo, ma lo sento. Sento il suo consiglio, avverto la sua paternità e continuo a gridare al mondo che io ho ancora mio padre. La morte ci allontana, non ci separa. La lontananza ha in sé il dolore più aspro del distacco, ma ha anche la speranza del ritrovo, del rincontro che avverrà. La famiglia è uno dei doni più grandi per ciascuno di noi e per papà eravamo essenziali. La sua forte fede, 17


Abbracciami a cui ci ha appassionati, è stata un gran bella fortuna: essere famiglia cristiana ci ha uniti, ci ha maturati e ci ha reso una micro-meraviglia. Mio padre era solito dire “Tu sei una meraviglia” e ora non trovo frase più dolce per descrivere il nostro essere famiglia. Noi siamo una meraviglia. Tutte le famiglie sono una meraviglia. Le discordie, i litigi, si superano se si costruisce sul “cemento amoroso”. Questo la mia famiglia me lo ha insegnato e me lo ha testimoniato con luce durante il periodo della malattia di papà. Io ho vissuto cinque mesi bellissimi della mia vita. Sembro un pazzo, lo so, ma sono convinto di ciò che dico. La malattia di mio padre ci ha cambiato, ha rivoluzionato la vita della mia famiglia, ha spolverato i nostri occhi e smacchiato i nostri cuori. Il rapporto d’amore tra mamma e papà ha subito una dolce rivoluzione, si sono rinnamorati per l’ennesima volta. Il clima a casa era serenamente amorevole, si respirava qualcosa di particolare. Come possono la malattia e la sofferenza generare amore? Ancora non so rispondere, ma posso testimoniare che per me è stato così. Darei oro per avere mio padre accanto a me, mentre scrivo, ma non cederei nemmeno un centesimo per cambiare la vita della mia famiglia, il nostro essere stati ed essere famiglia. Per sempre.

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1991

Questo amore Così violento Così fragile Così tenero Così disperato Questo amore Bello come il giorno E cattivo come il tempo Quando il tempo è cattivo Questo amore così vero Questo amore così bello Così felice Così gaio E così beffardo Tremante di paura come un bambino al buio E così sicuro di sé Come un uomo tranquillo nel cuore della notte Questo amore che impauriva gli altri Che li faceva parlare Che li faceva impallidire Questo amore spiato Perché noi lo spiavamo Perseguitato ferito calpestato ucciso negato dimenticato Perché noi l’abbiamo perseguitato ferito calpestato ucciso Negato dimenticato Questo amore tutto intero Ancora così vivo E tutto soleggiato È tuo È mio È stato quel che è stato Questa cosa sempre nuova E che non è mai cambiata Vera come una pianta Tremante come un uccello Calda e viva come l’estate Noi possiamo tutti e due Andare e ritornare Noi possiamo dimenticare E quindi riaddormentarci Risvegliarci soffrire invecchiare Addormentarci ancora Sognare la morte 20


Piero, Tiziana, Andrea, Elisa

Svegliarci sorridere e ridere E ringiovanire Il nostro amore è là Testardo come un asino Vivo come il desiderio Crudele come la memoria Sciocco come i rimpianti Tenero come il ricordo Freddo come il marmo Bello come il giorno Fragile come un bambino Ci guarda sorridendo E ci parla senza dir nulla E io tremante l’ascolto E grido Grido per te Grido per me Ti supplico Per te per me per tutti coloro che si amano E che si sono amati Sì io gli grido Per te per me e per tutti gli altri Che non conosco Fermati là Là dove sei Là dove sei stato altre volte Fermati Non muoverti Non andartene Noi che siamo amati Noi tu abbiamo dimenticato Tu non dimenticarci Non avevamo che te sulla terra Non lasciarci diventare gelidi Anche se molto lontano sempre E non importa dove Dacci un segno di vita Molto più tardi ai margini di un bosco Nella foresta della memoria Alzati subito Tendici la mano E salvaci. Jacques Prévert

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30 dicembre 1995 22


Piero, Tiziana, Andrea, Elisa

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8 luglio 1997

È per te che il sole brucia a luglio È per te ogni cosa che c’è NINNA NA NINNA E 24


Piero, Tiziana, Andrea, Elisa

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12 dicembre 2003

Tu che sei nata dove c’è sempre il sole 26


Piero, Tiziana, Andrea, Elisa

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La vita non è aspettare che passi il temporale, la vita è imparare a danzare sotto la pioggia

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Piero era un beato costruttore di pace. Siamo portati a pensare a lui come il diacono, l’educatore alla fede dei giovani, l’ispiratore ed artefice delle veglie di preghiera. In realtà è stato un cristiano a tutto tondo, nella dimensione più strettamente di fede ma anche in quella sociale, uomo di Dio e del suo tempo


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HO INCONTRATO TE GESÙ

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o sempre ammirato una cosa di mio padre: il suo viaggio in Africa. Spendere tempo della sua gioventù per andare ad aiutare i poveri è una scelta rivoluzionaria, e lui ha avuto il coraggio di farlo. Spesso era solito ripetermi: “Andrea quanto ti farebbe bene un’esperienza in Africa…”. Io nemmeno rispondevo, anche se quella sua sarcastica osservazione mi metteva in crisi. Quella della missione africana fu una delle esperienze che più lo avvicinarono a Dio. Non perdeva occasione infatti di andare alla ricerca di eventi che potessero “incendiare” la sua fede e quella dei suoi coetanei. Il cammino verso Dio non è facile, è un sentiero tortuoso, particolare e affascinante. Le esperienze in cui si sperimenta la vera presenza di Lui sono propagatrici di felicità. Questo a papà non è mancato. Ogni volta che capitavamo ad Assisi mi raccontava delle bellissime giornate trascorse con i suoi amici ai convegni nella terra di San Francesco: intere notti dormite in macchina, meravigliose esperienze condivise alla ricerca di Dio, adorazioni del Suo grande amore. L’Africa tra tutte lo ha avvicinato alla povertà, alla miseria, alle realtà più disagiate, la cui testimonianza ha poi riportato con sé, in valigia ad Ancona. Per papà anche i più poveri e gli emarginati erano “Tabernacolo di Dio”, come era solito dire. Tutti siamo piccoli Tabernacoli, puliti e lucenti; i poveri però, pensa la gente, sono Tabernacoli sporchi, rovinati, quasi non degni di ospitare Dio. Papà in loro vedeva un privilegiato rifugio di Dio, proprio gli emarginati del mondo erano luminosa e lucente testimonianza di Dio, fattosi uomo povero tra gli uomini. C’è uno scritto di Don Tonino Bello, vescovo amato da papà, che ritrae l’amore di mio padre per le realtà più povere, il suo cammino per e verso la fede e la sua forte convinzione: ogni uomo ospita Dio. Io sono Basilica Maggiore, papà era ed è Basilica Maggiore. Tutti sono Basilica Maggiore!

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BASILICA MAGGIORE - DON TONINO BELLO Povero Giuseppe! Viveva allo sbando, come un cane randagio. Aveva 36 anni e metà dell’esistenza l’aveva consumata nel carcere. La mala sorte un po’ se l’era voluta da solo, per quella dissennata anarchia che gli covava nell’anima e lo rendeva irriducibile ai nostri canoni di persone perbene. Ma una buona porzione di sventura gliela procuravano a rate tutti quanti. A partire da me che, avendolo accolto in casa, gli facevo pagare l’ospitalità con le mie prediche... per finire ai giovanotti del bar vicino alla stazione che gli pagavano la bottiglia di whisky per godersi lo spettacolo di vederlo ubriaco... Quell’anno, alla fine di aprile, il Santuario di Molfetta, dedicato alla Madonna dei Martiri, con speciale bolla pontificia veniva solennemente elevato alla dignità di Basilica Minore. La città era in festa e per il singolare avvenimento giunse da Roma un Cardinale il quale, nella notte precedente la proclamazione, volle presiedere lui stesso una veglia di preghiera che si tenne nel Santuario. Poi, prima di andare a dormire tutti, diede la parola a chi avesse voluto chiedere qualcosa. Fu allora che si alzò un giovane e, rivolgendosi proprio a me, mi chiese a bruciapelo il significato di Basilica Minore. Gli risposi dicendo che “basilica” è una parola che deriva dal greco e significa “casa del re”, e conclusi con enfasi che il nostro santuario di Molfetta stava per essere riconosciuto ufficialmente come dimora del Signore del cielo e della terra. Il giovane, il quale tra l’altro disse che aveva studiato il greco, replicò affermando che tutte queste cose le sapeva già, e che il significato di basilica come casa del re era per lui scontatissimo. E insistette testardamente: «Lo so cosa vuol dire Basilica. Ma perché Basilica Minore?». Dovetti mostrare nel volto un certo imbarazzo. Non avevo, infatti, le idee molto chiare in proposito. Solo più tar-

di mi sarei fatta una cultura e avrei capito che Basiliche Maggiori sono quelle di Roma, e Basiliche Minori sono tutte le altre. Ma una risposta qualsiasi bisognava pur darla, e io non ero tanto umile da dichiarare lì, su due piedi, davanti a un’assemblea che mi interpellava, e davanti al Cardinale che si era accorto del mio disagio, la mia scandalosa ignoranza sull’argomento. Mi venne però un lampo improvviso. Mi avvicinai alla parete del tempio e battendovi contro, con la mano, dissi: «Vedi, Basilica Minore è quella fatta di pietre. Basilica Maggiore è quella fatta di carne. L’uomo, insomma. Basilica Maggiore sono io, sei tu! Basilica Maggiore è questo bambino, è questa vecchietta, è il Signor Cardinale. Casa del Re!». Il Cardinale annuiva benevolmente col capo Forse mi assolveva per quel guizzo di genio. La veglia finì che era passata mezzanotte. Fui l’ultimo a lasciare il Santuario. Me ne tornavo a piedi verso casa, quando una macchina mi raggiunse e alcuni giovani mi offrirono un passaggio. Lungo la strada commentavamo insieme la serata, mentre il tergicristallo cadenzava i nostri discorsi. Ma ecco che, giunti davanti al portone dell’episcopio, si presentò allo sguardo una scena imprevista. Disteso a terra a dormire, infracidito dalla pioggia e con una bottiglia vuota tra le mani, c’era lui, Giuseppe. Sotto gli abbaglianti della macchina, aveva un non so che di selvaggio, la barba pareva più ispida, e le pupille si erano rapprese nel bianco degli occhi. Ci fermammo muti a contemplarlo con tristezza, finché la ragazza che era in macchina dietro di me, mormorò, quasi sottovoce: «Vescovo, Basilica Maggiore o Basilica Minore?». «Basilica Maggiore» risposi. E lo portammo di peso a dormire.

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Don Tonino Bello


Ho incontrato te Gesù

IL MOVIMENTO “BEATI I COSTRUTTORI DI PACE”

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iero era un beato costruttore di pace. Negli anni ’80 all’interno della Chiesa Italiana prese vita un nuovo movimento del tutto spontaneo, che di fatto non fu mai istituzionalizzato. Nacque nel nord-est dell’Italia dove più si radicò ed ancora in misura ridotta oggi esiste. Ad Ancona iniziammo a sentirne parlare verso la metà degli anni ’80, regalando ispirazione ad un gruppo di giovani di alcune parrocchie di età compresa tra i venti e trent’anni. Il principale ispiratore del movimento fu Alessandro Zanotelli, un Padre comboniano che era allora direttore della rivista “Nigrizia”, particolarmente attenta alle problematiche del continente africano. Il giornalista Padre Zanotelli realizzò inchieste e pubblicò articoli dove denunciò, in modo diretto e senza troppa diplomazia, le enormi ingiustizie e responsabilità dei paese occidentali che si celano dietro la povertà dei due terzi del mondo. Le inchieste più scottanti furono quelle attinenti al commercio internazionale delle armi, che vedeva l’Italia

Piero era un amante della pace: ogni momento era giusto per promuoverla. Perfino il carnevale. Eccolo, durante la sfilata di carnevale organizzata dalla parrocchia, vestito da “Uomo della Pace”.

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uno dei principali esportatori di materiale bellico nei paesi sottosviluppati. “Se si producono le armi, queste vanno vendute e se si vendono è per essere usate”, era un ragionamento estremamente semplice e lineare ma che metteva in rilievo le responsabilità dei paesi più ricchi che hanno tutto l’interesse a mantenere in una situazione di povertà e dipendenza i paesi poveri. Padre Zanotelli intendeva richiamare la coscienza dei cristiani e promuovere azioni di cambiamento nella politica e nelle scelte economiche del nostro paese. Ad Ancona iniziarono ad interessarsi al suo movimento alcuni giovani delle parrocchie di San Paolo e di San Giuseppe di Falconara. Piero che aveva maggiori contatti con le varie realtà della diocesi, iniziò a frequentare alcuni incontri del gruppo B.C.P. che si era formato ad Ancona. Ritenne che poteva essere una bella esperienza da condividere e la propose ad alcuni di noi giovani perlopiù ventenni della parrocchia, impegnati soprattutto nell’animazione dei ragazzi post-cresima. Una


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delle prime esperienze non più strettamente parrocchiali ma con un respiro diocesano! Riteneva che era arrivato il momento di iniziare a formarsi ed interessarsi a problematiche anche sociali. Come cristiani non potevamo più tacere di fronte alle ingiustizie del mondo. Iniziammo a frequentare gli incontri che si tenevano a rotazione nelle parrocchie di provenienza. L’intuizione di Piero fu grande, capì che quella parte di giovani della

parrocchia poteva essere coinvolta in un nuovo progetto formativo. La nostra partecipazione al movimento fu da subito appassionata. Il gruppo che si era formato lavorava su due fronti di formazione e sensibilizzazione, quella interna rivolta a noi stessi (studio di problematiche, partecipazioni a conferenze, corsi, training sulle tecniche della non violenza) e quella esterna destinata alla città (organizzazione di conferenze pubbliche). In una di queste occasioni invitammo Don Tonino Bello, che era vescovo di Molfetta, all’epoca sicuramente una delle voci più sensibili della Chiesa Italiana sui temi della giustizia e delle povertà. Era il 24 marzo 1990, anniversario della morte di Oscar Romero, un vescovo dell’America latina martire perché ucciso proprio per il suo impegno a favore dei più poveri. La sera fu fatta una veglia con Don Tonino nella nostra parrocchia. Piero e noi tutti fummo catturati dalla persona e dalla sensibilità di questo vescovo. Piero comprò

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Il periodo trascorso in Africa, è per Piero occasione di maturazione personale e di crescita per il suo gruppo. Gli amici (foto sopra) ritratti nei luoghi della missione, sono in compagnia di Fratel Argese, missionario “dell’acqua”.


Ho incontrato te Gesù

nel giro di poco tempo tutti i libri fino ad allora pubblicati da Don Tonino, ogni incontro o momento di preghiera era l’occasione giusta per leggere un brano. Al compleanno o in altre ricorrenze regalava uno dei suoi libri. Rivedemmo Don Tonino Bello ad Ancona una seconda volta, nel 1993, al Porto quando s’imbarcò con un altro migliaio di pellegrini per raggiungere la Croazia, devastata dalla guerra come gli altri paesi della ex Jugoslavia, per una marcia della pace organizzata sempre dal movimento BCP. Al tempo don Tonino era già gravemente malato, era accompagnato dal fratello medico, voleva essere presente nonostante le condizioni fisiche non fossero idonee ad affrontare un viaggio del genere. Noi ci occupammo della logistica per l’accoglienza dei pellegrini e la predisposizione dei pass per l’imbarco. In quegli anni Piero si interessò anche alla marcia della pace del 31 dicembre, che attraversava le vie

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del centro della nostra città. Da qui trasse l’intuizione di festeggiare l’arrivo del nuovo anno in modo alternativo, stando in compagnia delle persone della nostra parrocchia che sarebbero state sole e non avrebbero festeggiato. Per alcuni anni molti giovani festeggiarono il capodanno in parrocchia coinvolgendo le persone più in difficoltà. Da allora Piero, già trentenne ha iniziato a parlare di più anche in termini di giustizia e di impegno del cristiano nella storia. Forse questo lato di Piero è il meno conosciuto, siamo portati a pensare a lui come il diacono, l’educatore alla fede dei giovani, l’ispiratore ed artefice delle veglie di preghiera. In realtà è stato un cristiano a tutto tondo, nella dimensione più strettamente di fede ma anche in quella sociale, uomo di Dio e del suo tempo. Elia Di Domenicantonio


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GIOVANI VERSO ASSISI

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pesso chiamava al telefono e diceva: Ciao Luca sono Pieeero! E attaccava con una o più delle sue richieste o proposte… Nel tono di questa chiamata tirava le “e” del suo nome per due atteggiamenti fondamentali. Il primo era di poterti mettere a tuo agio e di poter trovare le parole per comunicarti quello che doveva dirti, il secondo è che tante più “e” sentivi, tanto più quello che ti proponeva era basilare per te per lui e perché lo facessimo insieme... Una delle belle esperienze che Piero proponeva era il convegno ad Assisi del movimento “giovani verso Assisi” a cui partecipavamo in tanti. Era l’occasione insieme a tanti altri giovani da tutta Italia di confrontarsi sulla figura di San Francesco nel nostro essere cristiani. C’erano conferenze, momenti di riflessione, svago e tanta amicizia da condividere per tre giorni a fine ottobre. Fondamentale era la sua insistenza nel condurci nella cappellina di S.Elia, posta sotto la basilica inferiore, tutta in mattoni, dal semplice stile francescano. E qui, certamente, trovava il fulcro centrale della sua vita. La sua relazione con Gesù, intima e per questo molto profonda, tanto profonda e tanto grande da rendersi conto di non poterla contenere in se stesso e per questo da dover condividerla con altri. Ci diceva che da qui, da questo incontro con Gesù, dovevamo necessariamente partire. Per lui non c’erano vie di mezzo, non era neanche tollerante con se stesso. Capivamo, intuivamo, tutti insieme, il tempo, il valore, il mutamento che l’adorazione fatta insieme aveva provocato in noi. Aggiungeva poi a tutto delle “chicche”. Facevano parte della nostra comitiva anche alcuni ragazzi disabili del nostro quartiere. Venivano con noi in questi giorni. Dall’adorazione all’azione come diceva lui il passo era breve e facile. Con lui avevamo capito il bello di una relazione con Gesù che ti ama, così come sei, e che ti portava all’agire, come ama Gesù, verso i fratelli che ti metteva accanto. Adesso, mentre scrivo assaporo e gusto il sapore di quei momenti. Profondi tanto da ringraziarlo ancora adesso per le scelte di vita fatte insieme come famiglia e insieme a lui. Luca Ambrosini

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Ho incontrato te Gesù

“Amate la gente senza chiedere nulla in cambio. Anche quando l’altro non vi potrà dare nulla di buono, amatelo. Non vogliate bene ai vostri compagni soltanto perché sono bravi, perché scambiano con voi tante cose; vogliate bene anche a coloro che non vi danno nulla”.

Don Tonino Bello


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LA CAVALCATA

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arlare di Piero significa scrivere un libro dal titolo: “LA CAVALCATA”. Giovane docente di Religione, servo infaticabile della Comunità di Cristo Divin Lavoratore, della Diocesi di Ancona. Studioso, innamorato di Gesù, della Madonna e della Chiesa. Organizzatore di ore di preghiera, di celebrazioni liturgiche, matrimoni, funerali, di ritiri, di feste, di uscite per rafforzare lo Spirito e l’amicizia tra le persone. Piero è stato tutto per tutti: sacerdoti, scolari, parrocchiani, famiglie. Fidanzato dai principi sani e mirati al Sacramento del Matrimonio con Tiziana. Sposo, padre elegante, colto, sensibile, pronto ad affrontare i problemi della famiglia, dei figli e risolverli. Ha amato tantissimo la sua TIZIANA e i suoi tesori ANDREA ed ELISA. Lui è stato arricchito da Dio dei doni di cui parla S.Paolo nella lettera ai Galati, (capitolo V, versetti 22 ss): amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Per questo Gesù il 26 gennaio 2016 gli ha detto: “Oggi sarai con me in Paradiso”. Grande amante dei campi-scuola, organizzava la cucina, cuoche e cuochi. I catechisti e le catechiste, i ragazzi. Quanti sacrifici; ma tantissime, dico tantissime soddisfazioni. Luoghi stupendi: Piccolino, Rivisondoli, Monte Vettore, Monte Bianco, le Dolomiti, Boncio di Pesaro e tanti altri. È impossibile ricordare tutto. Alcuni episodi, però, li voglio descrivere. Primo: finito il campo di Boncio, avevamo preso la strada di ritorno, quando all’improvviso Piero scomparve col pulmino “FIAT 238” che guidava seguendo la mia macchina. Era caduto nel fosso adiacente la strada; tanta paura, ma nulla di preoccupante. Gli Angeli Custodi hanno protetto tutti. Con un trattore abbiamo tirato fuori il

pulmino e abbiamo continuato il cammino di ritorno ridendo e cantando. Secondo: un episodio pieno di dolore. Al campo svolto in Alta Italia, sulle Alpi, morì un caro ragazzo della parrocchia. Quanta tristezza, amarezza, sofferenza. Terzo: avevamo svolto un campo vicino Sassoferrato. Durante il ritorno dovevamo vivere la S.Messa. Arrivati nei pressi delle Grotte di Frasassi notammo il fiume “Sentino”, affluente dell’Esino, con le sue acque limpide e fresche. Vivemmo l’Eucaristia in perfetta letizia e in comunione con la natura. Piero, col suo canto, dava vita a tutto ed ha aiutato a crescere i ragazzi e tutte le persone presenti. È meraviglioso ricordare la grandissima manifestazione di “JESUS CHRIST SUPERSTAR” realizzata in Ancona e “FORZA VENITE GENTE”, che “Perfetta letizia”… I campi scuola in Kenia e GATHUNGA e MUKOTHIMA. Quanto amore abbiamo portato e ricevuto. Incontri con i Missionari, portatori di Cristo. Abbiamo costruito il Mathernity, le scuole, l’acquedotto, il Ponte di THANTU, le case e la Parrocchia di MUKOTHIMA. Piero, quanta energia ha dato nella preparazione dei ragazzi alla Cresima ed alla Prima Comunione, agli adulti. Tanto ha lavorato per la Casa “Carlo Antognini”, unito a don Isidoro, a don Giancarlo e Rita, opera di solidarietà e vita. Fino a qualche anno fa chi operava in costruzioni, restauri o cose simili era solito fare delle targhe celebrative: “FECIT; RESTAURAVIT ecc.”... Tu hai stampato nel nostro cuore il sigillo dell’AMORE VERO. Piero, telefonaci dal cielo, abbiamo bisogno di te!

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Don Bartolomeo Perrone


Ho incontrato te Gesù

LA SUA AFRICA

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enticinque anni, sì, sono passati venticinque anni dalla prima esperienza in cui un gruppo di persone, della comunità di Cristo Divino Lavoratore, partirono alla volta di orizzonti per lo più sconosciuti. Tra questo gruppo anomalo e alla ricerca di chissà che cosa, partecipava (dopo un anno di “combattimenti” interni e preso da mille dubbi) anche Piero. Non poteva lasciarsi sfuggire questa “ghiotta” occasione di poter sperimentare un intenso viaggio nel centro dell’Africa. In questo caso non era il viaggio di per sé, ma erano le persone che sarebbe andato ad incontrare ed accogliere. Sì, perché di quelle persone lui aveva letto tanto, si era formato tanto, aveva pregato tanto ed ora, era arrivato il momento di incontrarle, forse un po’ come quando uno studente prepara la sua tesi di laurea e finalmente arriva il giorno per poterla discutere davanti a tutti. Qui non si parla di fatti accaduti ma di ciò che ognuno di noi si è poi portato dietro per sempre, situazioni non facili da descrivere e forse per qualcuno dolorose da ricordare, ma Piero tutto questo lo ha portato “cucito” nel suo cuore. Lui doveva fare esperienza e l’ha fatta fino in fondo. Il fatto che era una persona “territoriale”, dedicava infatti la maggior parte del suo

tempo alle persone del quartiere, era una delle cose che più lo metteva in discussione. Ricordo le sere a discutere di ciò che ci era capitato durante la giornata: non eravamo persone che mettevano a rischio la propria vita, ma per poter capire ogni giorno di più, occorreva ogni giorno spostarsi sempre più avanti. L’impatto con una realtà poverissima rimarrà per sempre indelebile e Piero, persona con una sensibilità al di sopra della norma, l’ha trascinata sempre con sé fino ai suoi ultimi giorni di vita. Non è stato facile da digerire tutto, ma poi insieme ci siamo aiutati e sostenuti e forse tutto è risultato più semplice. Questa esperienza gli ha rafforzato la fede ed ha consolidato il suo amore verso gli ultimi che, sempre, sono stati i suoi compagni di viaggio. Non potendo vivere direttamente a contatto con queste realtà così lontane, continuò la sua missione verso i più poveri nel quartiere. I poveri sono poveri da nord a sud e da est a ovest, non importa se ti trovi in Africa o in Australia, lui si è ritrovato con noi e con noi ha camminato. L’esperienza africana è stata semplicemente un’ulteriore conferma dell’amore che aveva verso le persone. Roberto

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Abbracciami


Abbracciami

L’EDUCATORE

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a prima cosa che un padre cerca di dare al proprio figlio è l’educazione, l’insieme di quelle regole che fanno di te una bella persona, una persona civile, una persona educata. Non spetta a me dire se “profumo” di educazione ma sono pronto a giurare che quel profumo mio padre me l’ha fatto odorare, me l’ha fatto amare così tanto che tutte le mattine me ne spruzzo qualche goccia sperando non svanisca fino alla mattina seguente. Non è facile per un figlio imparare l’educazione, gli scontri sono all’ordine del giorno e non tutti i punti di questa enciclopedia della vita sono condivisi dalle due parti. Mi piace pensare mio padre come un educatore che ha spruzzato questo dolce profumo a molte persone. Una moltitudine di bambini, giovani, famiglie, adulti ha ricevuto in dono da mio padre una lezione per la vita. Posso difendere il primato di figlio ma non posso nascondere che per tanti è stato un padre, a tanti ha insegnato il “buon vivere”, molti ha educato a Dio. La sua educazione nasceva infatti in Gesù: non c’è educazione più bella di quella che si può imparare da Lui. Mio padre è stato un grande educatore di Dio e un attento fede-terapeuta dei più deboli. Da sempre ha creduto nell’importanza della condivisione e del gruppo dando vita, fino a due settimane prima di partire, ad incontri per giovani in cui poter trattare della propria vita. Ogni incontro aveva la propria traccia, il proprio foglio, il proprio argomento. Papà sapeva far parlare i giovani, li sapeva ascoltare e come un prestigiatore faceva uscire in tutte le loro esperienze l’amore di Dio. La sua arma segreta era il cellulare: quanti giovani ha consolato con un messaggio, quante coppie ha rincuorato con una chiamata, quanti adulti ha consigliato. Perfino i messaggi diventavano vangelo, testimonianza dell’amore di Gesù. Nonostante venisse snobbato o rifiutato lui continuava la sua missione senza perdersi d’animo. 43


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Nonostante venisse tradito o allontanato. La sua base segreta era la stanza con la fotocopiatrice, lì dentro ha ideato e stampato centinaia di testi e libretti per veglie, messe, campi-scuola, incontri, festività, auguri. Realizzava dei dolci capolavori da regalare ai suoi ragazzi affinché li utilizzassero come guida nel cammino della vita. Papà conosceva bene i ragazzi, li amava, era un educatore esigente che non si accontentava della mediocrità perché voleva che i giovani puntassero in alto. Non perdeva occasione per invitare i suoi ragazzi a sperimentare la santità. I giovani dovevano assaporare la santità che non è una vita di sacrifici e privazioni, ma un’esistenza di gioia in Dio. Io ho vissuto l’unicità e l’eccentrica originalità di un uomo che è stato per me sia padre che educatore. Piero è per me dolce e affettuoso padre ed è stato attento e grintoso educatore. Ho partecipato al mio primo campo scuola quando avevo un solo mese di vita. Il campo scuola, di cui è stato punto di riferimento per quarant’anni, era ed è un magico incontro tra Dio e il creato dove tutto ruota intorno all’esperienza di fede dei giovani. Fino a quattordici anni sono stato suo fedele compagno, poi ho deciso di affrontare una sfida: guardarlo ed ascoltarlo come educatore e non come padre che lavora con i giovani. Mi sono fatto giovane qualunque tra gli altri e mi sono fatto educare dai suoi trascinanti insegnamenti. Non è stato sempre facile essere figlio dell’educatore Piero, ma ora più che mai ne avverto la ricchezza e il profumo.

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L’Educatore

PIERO, EDUCATORE IMMENSO Piero accoglieva tutti coloro che chiedevano un suo consiglio su come crescere in questo mondo frenetico, lui per loro c’era non come educatore cristiano, ma come amico più adulto, come un approdo sicuro in un mare in tempesta.

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iero educatore. Non è facile descrivere che educatore era, le parole non sarebbero sufficienti perché era immenso in tutto ciò che faceva, e forse nessuno ha l’esperienza giusta per dire chi è un educatore e che caratteristiche dovrebbe avere. Però in questi anni in cui siamo stati insieme e abbiamo collaborato e camminato insieme, una certezza ce l’ho: lui era un vero educatore. Sapeva arrivare al cuore di tutte le persone ed in particolare al cuore dei giovani. Colpiva il cuore dei ragazzi, di quei ragazzi lontani da Cristo, lontani dalla chiesa. Piero accoglieva tutti coloro che chiedevano un suo consiglio su come crescere in questo mondo frenetico, lui per loro c’era non come educatore cristiano, ma come amico più

Le foto di gruppo ai campi scuola erano un rituale immancabile. Prima di ripartire verso Ancona, bisognava immortalare la dolcezza dello stare insieme, la bellezza dei posti e la magia del clima, creatosi durante la settimana.

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adulto, come un approdo sicuro in un mare in tempesta. Questa è la prima cosa che un educatore deve riuscire a fare: conquistare il cuore di un ragazzo, la sua fiducia, e parlare con lui ponendosi al suo stesso livello. Lui ci riusciva, riusciva ad entrare con delicatezza nella vita di un giovane perché riusciva a vedere molto più lontano di ciascuno di noi. Il suo era uno sguardo accogliente, uno sguardo di amore che gli permetteva di vedere in ogni ragazzo che ti era affidato, un ragazzo con tanta voglia di felicità, a prescindere dal suo carattere, dalla sua vivacità o curiosità, a prescindere dalle sue capacità o timidezza: Piero accoglievi tutti. Non si approcciava ad un ragazzo parlando di Gesù, ma si avvicinava al ragazzo partendo da lui, dal-


Abbracciami la sua vita, dai sui sentimenti. Ci ripeteva spesso di imparare i nomi dei ragazzi, perché il nome è un segno di unicità della persona e ogni ragazzo deve convincersi che è unico. Un buon educatore educa prima di tutto con la sua vita piuttosto che con le parole. Sandro Pertini, in un suo discorso di augurio disse: “I giovani non hanno bisogno di sermoni, ma di esempi di onesta, di coerenza e altruismo”. Lui in questo era un maestro. La sua vita, la sua quotidianità, raccontavano ciò in cui credeva, più di qualsiasi insegnamento. Non ha mai detto parole vuote, insignificanti, ma ha proposto un cammino che lui per primo viveva e sperimentava in ogni istante della sua vita. Educava all’amore e amava ogni persona; educava alla gioia e lui era gioia; educava alla generosità e alla disponibilità e lui era sempre presente per chi gli chiedeva aiuto. Piero educava con la sua vita prima che con le parole, ed è proprio questo che i ragazzi desiderano. Una parola insegnata ma non vissuta, allontana forse per sempre un ragazzo. Per questo insisteva tanto sulla credibi-

lità di un educatore perché bisogna vivere da educatori in ogni momento, non solo durante gli incontri. Ci diceva sempre di “svegliare” i ragazzi: questa società narcotizza le coscienze, spegne gli entusiasmi proponendo un mondo fatto di apparenza, egoismo e superficialità; lui invece, proponeva il cammino di Cristo, un cammino di carità e gioia. “È Gesù che cercate quando cercate la felicità” ripeteva rifacendosi al caro San Giovanni Paolo II. Ogni ragazzo merita quella gioia, nessuno escluso. È vero ci sono i ragazzi difficili da gestire, difficili da stupire, ma lui ci diceva “Dobbiamo inventarci qualcosa per farli venire in parrocchia, perché fuori da qui nessuno ci tiene alla loro felicità, al loro crescere e maturare serenamente, ma li sfrutterebbero e nient’altro”. La chiesa non esclude, non emargina, quindi non possiamo farlo di certo noi! Ci ha sempre spronato ad essere dei punti di riferimento per i ragazzi in una società che offre come idoli personaggi vuoti e superficiali. I ragazzi hanno bisogno di punti di riferimento presenti

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L’Educatore nella loro vita e se siamo educatori cristiani noi possiamo esserlo; ma per farlo dobbiamo essere presenti nelle giornate dei ragazzi, dobbiamo essere sinceramente interessati alla loro vita, ascoltare i lori dubbi, le loro ansie, gioire con loro per i loro successi, gratificarli e farli sentire una parte importante del gruppo, della parrocchia, della famiglia. “E Gesù disse loro: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna»” chi meglio di lui ha insegnato e vissuto tutto questo? La ricompensa di un educatore è solo la felicità dei ragazzi e la loro salvezza da una società egoista, e questa felicità lo ripagava della stanchezza che ogni tanto faceva trasparire. Piero sapeva che nel suo cammino di guida, di educare non era solo, ma camminava sulla via del Signore, il quale lo consigliava e lo sosteneva. La formazione di un educatore è un altro aspetto su cui lui insistevi particolarmente. “Con i ragazzi bisogna essere sempre informati, aggiornati, preparati, perché i ragazzi fanno tante domande e non dobbiamo essere impreparati”. Allora bisogna preparare per tempo un incontro e, contemporaneamente, bisogna avere l’umiltà di farsi educare anche dai ragazzi con le loro richieste, le loro risposte e le loro critiche. Se un educatore non è in grado di rispondere alle domande di un ragazzo e di lasciarsi educare anche da lui, quale sarà la sua utilità? Se non si è diversi dal resto della società che non dà risposte autentiche alle domande importanti di un giovane, come si può attirare la sua attenzione e conquistare la sua fiducia? Se noi non riusciamo ad attirare l’attenzione di un giovane, ci sarà sicuramente qualcosa che lo attirerà di più, ma spesso quel “qualcosa” non porta ad una vita di gioia, quel “qualcosa” spesso è “una sor-

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gente inquinata” come diceva Don Tonino Bello, al quale si ispirava spesso. Non esiste una ricetta che rende una persona un “bravo” educatore, perché ognuno fa l’educatore raccontando il Vangelo e il suo incontro con Gesù Cristo in base alla propria esperienza personale. Però due punti fermi per essere un educatore cristiano lui ce li hai sempre raccomandati: primo, dobbiamo raccontare di Gesù Cristo, non di noi, non una rivisitazione del Vangelo e del Suo messaggio in base al nostro punto di vista; Piero era una guida ferma e intransigente su questo, ci richiamava sempre quando, pur di accondiscendere un ragazzo, in alcune situazioni correvamo il rischio di scendere a compromessi anche nell’insegnamento della vita cristiana: assolutamente no, il Vangelo non è un compromesso, il Vangelo è una scommessa, chi la vuole giocare la gioca fino in fondo, altrimenti non educhiamo alla vita di Cristo. Secondo aspetto di un buon educatore è avere come unico obiettivo la crescita sociale e cristiana dei ragazzi; dobbiamo educare senza egoismi e invidie fra educatori, senza presunzione di conoscere tutto, ma con l’umiltà di studiare e approfondire, con la delicatezza di accompagnare e affiancare i ragazzi nella loro crescita. Ogni ragazzo ha i suoi tempi di crescita e maturazione: un educatore deve sapersi adattare ai ragazzi che ha di fronte, non devono essere i ragazzi a doversi adattare ad un educatore rigido e inflessibile. Un educatore cristiano non è un professore di scuola che deve rispettare un programma; un educatore cristiano ha il solo obiettivo di accompagnare un ragazzo nella sua crescita in una società convulsa e, spesso, egoista. Piero ci hai insegnato a credere sempre nelle persone, senza pregiudizi, credere ad ogni costo, credere che ogni ragazzo, anche il più irrequieto, il più assente, il più lontano dalla chiesa e dal Van-


Abbracciami gelo, si porti dentro un tesoro che sta a noi scoprire e portare alla luce. Quanto ha sofferto in tante occasioni in cui non era capito, in cui le sue azioni, azioni di pace e amore, erano interpretate come gesti di debolezza. Solo la pace e la mansuetudine possono costruire un ambiente sano dove educare i ragazzi al rispetto di sé stessi e degli altri. Un altro aspetto per lui molto importante era la fantasia. Un educatore deve avere sempre fantasia per stupire un ragazzo e oggi non è facile stupire ragazzi che hanno già tutto. Ma spesso “il tutto” che hanno è il superfluo, è il di più, hanno tutto per apparire belli, perfetti, accettati dal gruppo, ma non hanno gli strumenti necessari per vivere una vita piena e vera. Ai ragazzi lui ripeteva “Andate controcorrente ragazzi, non contromano!”, ma non sempre era ascoltato perché andare controcorrente richiede fatica, impegno, sacrifico, coraggio; seguire la corrente, seguire la massa, seguire un gruppo, invece è più semplice, ci si sente accettati se si fa ciò che fanno tutti, ci si sente realizzati e soddisfatti. Un educatore deve stimolare i ragazzi a sentirsi speciali, unici perché figli

di Dio, unici perché pensati e voluti fin dall’eternità da un Dio che è amore e che è padre, unici perché ogni ragazzo ha un’anima, un carattere, una sensibilità diversa. “L’educatore cristiano è una matita nelle mani di Dio”, usando una frase di Madre Teresa, Dio attraverso di noi educatori vuole raggiungere il cuore dei ragazzi che ci sono affidati; ma per fare ciò noi dobbiamo conoscere quel Dio che insegniamo, dobbiamo viverlo e amarlo. Per questo ad un educatore è richiesta non solo la bravura e la capacità di preparare un incontro, ma anche, e prima di tutto, una fede forte e viva; una fede che deve essere continuamente alimentata con l’incontro con Dio. E lui su questo era inflessibile, soprattutto nei confronti di noi educatori: “I ragazzi possono attraversare momenti di crisi in cui possono allontanarsi da Cristo e dobbiamo rispettarli, ma chi fa l’educatore non può prescindere dalla messa e dal rapporto con Dio”. L’educatore deve essere fedele alle proposte di Cristo, ma consapevole della sua condizione umana di peccatore; “Siamo fatti di anima e carne” diceva sempre e, proprio

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La maestosità delle montagne, per Piero, metteva i giovani dinanzi alla potenza del Signore. Il creato è il più bell’altare mai costruito, i sentieri sono le più belle cattedrali mai erette. Ogni sosta, durante le passeggiate, diventava momento di preghiera o adorazione, circondati dal verde e dall’immensità.

per questo, non siamo esenti dal peccato; ma nessun cristiano può permettersi di convivere con il peccato, con un cuore avvelenato dal peccato, ma ancora di più un educatore non può non accostarsi al sacramento della Confessione con umiltà e gratitudine ogni qualvolta ne senta la necessità. Un educatore deve distinguersi anche in questo: quanti cristiani accettano di vivere nel peccato senza sperimentare la misericordia di Dio? Un educatore questo non può permetterselo. Piero aveva una gestualità coinvolgente; ogni parte di lui ci esortava ad assaporare la misericordia di Dio e confessarci, perché solo un cuore pulito può amare, solo un cuore pulito può ascoltare, e soprattutto solo chi ha sperimentato la grazia del perdono di Dio può a sua volta trovare la forza per perdonare i torti subiti. La fedeltà alla Chiesa sposa di Cristo era un suo punto fermo; non possiamo accettare i discorsi facili e superficiali fatti da questa società che cerca di cucirsi un Dio e una fede personalizzata e adattata, che

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spesso dice di credere in Gesù Cristo ma non nella Chiesa: per un cristiano questo è e deve essere assolutamente inaccettabile, e deve esserlo ancora di più per un educatore. La chiesa è santa e peccatrice ci ripeteva e come tale dobbiamo ascoltarla, seguirla e professarla perché Santa, accettarla e perdonarla senza giudicare perché Peccatrice, “perché con la stessa misura con cui noi perdoneremo, anche noi saremo perdonati”. “È la Chiesa che ci porta Cristo, e ci porta a Cristo” rispondeva a chi, banalmente, gli obiettava argomentando con i preti pedofili o con gli scandali finanziari: “la Chiesa è fatta da uomini, e gli uomini sono la parte peccatrice della chiesa, ma la Chiesa è santa perché sposa di Cristo”. Ci diceva spesso che dovevamo crescere come gruppo di educatori e catechisti; bisogna ritrovarsi insieme per condividere le esperienze fatte con i ragazzi, il cammino fatto e da fare, e per pregare insieme perché la preghiera è la base di tutto: siamo strumenti di Dio, non siamo noi che parliamo, ma è Dio che ci rende edu-


catori credibili e noi con la preghiera troviamo conforto e forza in Lui. Piero ci caricava e ci spronava dicendo: “Del futuro di questi ragazzi non importa più a nessuno, per questa società un giovane serve solo per mantenere in moto la macchina del consumismo, per spendere soldi attraverso la pubblicità, la tecnologia e il conformismo; noi dobbiamo credere in loro e creargli un’alternativa”. Noi ci affidavamo a lui per il percorso da fare con i ragazzi perché era sempre pieno di idee, era una guida, sempre al passo con i tempi: questo è uno dei tanti insegnamenti che ci ha lasciato, non bisogna mai essere pigri, non bisogna mai stare fermi, ma crescere sempre, utilizzare al massimo il nostro tempo e viverlo appieno. Ai ragazzi ha proposto, e insieme abbiamo realizzato, tante iniziative e tanti traguardi; ma la proposta “indecente”, come la chiamava lui, che faceva ai ragazzi, e non solo a loro ma ad ognuno di noi e a se stesso, era un cammino di santità: è vero, proprio una proposta indecente e controcorrente, ma un visionario innamorato di Cristo come lui poteva

permettersi di farla. I ragazzi oggi si pongono obiettivi meno impegnativi, si accontentano di tirare a campare, di essere alla moda e di non essere mai emarginati dal gruppo, coltivano l’egoismo, la prepotenza. Il traguardo che lui proponeva era un traguardo alternativo a tutto questo: la santità seguendo le orme di Cristo, traguardo che si raggiunge con umiltà, amore, carità e gentilezza. I poveri, i puri di cuore, i miti, i misericordiosi non hanno vita facile, sono considerati i deboli del tessuto sociale, i deboli del gruppo. Ma per questi deboli, la forza è Cristo e lui ne era certo. “Fidatevi di Dio, perché tutto ciò che Lui fa, lo fa per il nostro bene, perché Lui ci ama”. Risuonano le tue parole, ora più che mai una “proposta indecente” per noi educatori, piccoli missionari tra i giovani cresciuti nella tua luce.

Andrea Olimpio

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L’Educatore

NON CONTA ARRIVARE PRIMA, MA GODERSI IL CAMMINO Piero è sinonimo di ragazzi, ragazzi e sinonimo di campi scuola è campi scuola è sinonimo di montagna. E Piero era innamorato di tutto questo. È difficile raccogliere in poche parole le esperienze dei campi scuola, momenti di una intensità straordinaria, veri e propri momenti di vita.

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er Piero la natura rappresentava la presenza concreta di Dio! Il creato e madre natura sono segno visibile e concreto della presenza di Dio, citando San Francesco, ci si innamora di fronte a “fratello sole e sorella luna”. Stare in mezzo ai monti è come stare in preghiera, in contemplazione del divino.

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Un prato o un bosco sono la cattedrale più bella che sia mai stata costruita, dove poter fare una messa o una celebrazione. Le montagne, poi, con la loro pace con la loro maestosità sono il “tabernacolo di Dio” luogo privilegiato di preghiera, di silenzio e di riflessione. Il luogo prediletto per l’Incontro… “incontro” con Dio, ma anche ”incontro” con l’altro.


E come rimaneva deluso quando i ragazzi, i “suoi ragazzi” perdevano questa occasione facendosi distrarre dalla musica o dai cellulari. Ma soprattutto le montagne, le cime da raggiungere, le vette sono metafora della vita, del sacrificio, ma anche della bellezza e della scoperta… L’orizzonte è aprire gli occhi alle bellezze del mondo. Perché il mondo è bello, basta scoprirlo, basta saperlo vedere. La vita è meravigliosa solo se sappiamo alzare lo sguardo verso grandi mete. Piero è infatti stato l’uomo dei SOGNI, della vita che “spicca il volo e non che razzola come le galline nel pollaio”, questo era un esempio calzante che ci faceva spesso. I giovani, soprattutto, sono chiamati a sognare in grande, a non accontentarsi. E la meta prin-

cipe di ogni di noi è la santità (“Santi? Si Grazie!” Così recitava uno degli slogan dei campi-scuola). Le passeggiate erano poi un momento particolare per quell’Incontro; camminare insieme è condividere, è mettere il proprio passo al passo con l’altro, è mettersi in ascolto delle esigenze dell’altro… è condividere il proprio cammino di vita, le proprie esperienze. La montagna non è un cammino da fare da soli. In montagna bisogna prendersi cura degli ultimi. “Non si riparte finché non sono arrivati tutti” ci diceva sempre; “non conta arrivare prima, ma godersi il cammino”. Il filo conduttore di tutti i campi scuola è infatti la vita, la nostra

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L’Educatore

Mai lasciare nessuno indietro o solo: era questa la grande regola delle passeggiate. Si cammina tutti insieme! La foto ritrae Piero, insieme ad alcuni giovanissimi, all’arrivo dopo un sentiero di montagna. Era essenziale riposarsi, rifocillarsi, ma anche confrontarsi e ricaricarsi.

vita, quell’esperienza di pochi giorni deve essere maestra di vita per tutti i giorni. Quelle esperienze fatte lontano devono poi portare i frutti nel quotidiano. Dall’essere stati lì in contemplazione sul monte Tabor deve poi partire un nuovo agire nella vita di tutti i giorni. Dal nostro essere lì, in montagna quella settimana, può e deve partire un nuovo stile di vita, un vero agire cristiano che è non lasciare mai che la fede sia fatta solo a parole, ma testimoniato, attuato, concretizzato con le azioni, i fatti, e agendo in prima persona sporcandosi le mani e mettendosi a servizio dell’altro. Fare il primo passo, darsi da fare: “deporre le vesti e cingerci l’asciugamano attorno alla vita” come Gesù nella lavanda dei piedi.

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Che esperienza unica erano le lavande dei piedi che organizzava durante i campi scuola estivi. Aprire i nostri cuori gli uni agli altri, metterci in comunione cristiana con gli altri. Questo è il segreto dei rapporti veri con le altre persone, portare nel cuore il nostro prossimo (I CARE – mi stai a cuore, come recitava un altro slogan di un campo-scuola). Bisogna alzarsi per compiere il nostro primo passo che ci impegna a non aspettare gli eventi per muoverci, ma ad avere un cuore che sa ascoltare e che sempre ci spinge al servizio, a prenderci a cuore l’altro ed aiutarlo. Un nuovo agire che però può partire solo da un cuore puro che si affida pienamente al Signore. Agire è andare incontro ad un’esigenza, con gratuità e generosità ma soprattutto con un cuore pulito o ripulito. Spes-


Abbracciami so ci invitava a liberare lo zaino della nostra vita da tutti quei sassi che appesantiscono il nostro cammino, anche grazie all’aiuto del sacramento della confessione. Partire dal nostro cuore per fare il primo passo verso gli altri, il cuore pulito è quello che ci permette anche di vedere in maniera più limpida, di accorgerci del bisogno nel cuore del prossimo, e come Piero ci ha insegnato a fare benissimo, il primo passo che accoglie il prossimo nel nostro cuore rende la nostra vita luminosa, disponibile a spendersi insieme ad ogni “prossimo” che incontriamo, senza farci abbattere dalle difficoltà, senza le preoccupazioni. Troppe volte, ci criticava quando mettevamo limiti nei progetti del Signore: no questo non si può fare, questo è fuori dalla nostra portata, accontentandoci di fare quello che ci andava di fare, rimanendo ancorati al nostro “sentirsi” pronti. Il Primo passo invece deve essere un passo scomodo come diceva l’amico Don Tonino, con la fiducia nello spirito di chi sa che nulla è impossibile al Signore. Un cuore che trasfiguri la nostra vita cristiana, che invece di scimmiottare i riti della società, torni a esser profetica nei contenuti e nei modi. “Bisogna essere cristiani scomodi”: quelli che non concludono la loro fede alla domenica alla messa, ma che ne fanno punto di partenza per l’azione missionaria. Infatti la vita che punta a grandi mete va vissuta senza compromessi! Anche se è difficile e comporta sacrifici; con l’aiuto del Signore che ci dona la forza tutto è possibile. Bisogna avere la fiducia cieca che a Lui niente è impossibile. In particolare la vita va vissuta con e per gli ultimi come ci ricorda ancora l’amico Don Tonino Bello “AMA GESU’ LA GENTE E I POVERI SOPRATTUTTO” questo è ciò che conta (slogan del CampoScuola del 1997).

E la prima parola del servire gli altri è esserci, esserci fino in fondo, esserci spendendo il proprio tempo quotidiano: vero e proprio stile di vita e punto di forza nell’esempio che Piero ci ha lasciato. Ogni anno lavorava alla “riapertura” dell’Oratorio, che fosse punto di riferimento per e dei giovani, ogni volta una nuova sfida a migliorare e a migliorarsi, perché quel luogo doveva essere il luogo dell’Esserci, il luogo dell’Incontro. Esserci significa dire il nostro sì al Signore partecipando ogni giorno al suo progetto… Perché come ha detto un altro suo amico Giovanni Paolo II e come campeggia da molto tempo nel nostro oratorio: “solo se saremo quello che dobbiamo essere saremo i giovani che potranno portare il fuoco in tutto il mondo”. L’essere cristiani significa soprattutto quotidianità… non quando ci fa comodo o quando non ho di meglio da fare ma l’esserci in modo particolare quando ci scoccia e proprio non vorremmo essere lì. L’appartenenza al progetto di Dio non ammette scuse, non ammette giovani ricchi, con preoccupazioni che li trattengono… ma esserci completamente, affidandosi completamente a Lui, con la fiducia degli uomini che vanno, vendono tutto quello che hanno e lo seguono. Senza scuse e senza compromessi. Continua a mettere dei sassolini nelle nostre scarpe e ad essere pietra di inciampo per il nostro passo!!! Daniele Ambrosi

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L’Educatore

IO, SALVATO DALLA FEDE E DA PIERO

Lui ci chiamava sempre “fioli” e oggi ci piace chiamarci “i fioli di Piero”. Se oggi siamo ancora insieme come gruppo è solo perché lui ci ha proposto un motivo di unione alternativo al ballo, agli spinelli, all’alcool o al semplice star bene insieme: lui ci ha proposto di basare la nostra vita di gruppo sulla fede in Gesù Cristo.

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iero era un grande diacono, un grande professore, un grande padre, ma anche un grande educatore. Piero ha fatto fare il salto di qualità alla mia vita nel periodo successivo alla Cresima. Fino a tredici anni andare a catechismo è “quasi obbligatorio”, spinti dai genitori, dalle amicizie e dal fatto di “dover fare” Comunione e Cresima. Fatta la Cresima si presenta il primo bivio importante nella vita di un adolescente: continuare a frequentare la parrocchia, questa volta “scegliendo liberamente” di partecipare agli incontri, oppure abbandonare finalmente tutti gli obblighi di orari di incontri, messa ogni domenica, omelie dei sacerdoti e del diacono? Io, come tanti altri adolescenti, avevo fatto la mia scelta: lasciare la parrocchia e vivere la mia vita libero dalle restrizioni di una religione che, in apparenza, non mi dava niente di positivo. Anche io, infatti, ho vissuto il catechismo, solo con l’intenzione di fare la Comunione e la Cresima e poi mollare tutto. Fu così che mi distaccai dalla vita parrocchiale e anche dal gruppo di ragazzi che, invece, avevano deciso di scommettere sugli insegnamenti di Cristo e del Vangelo, rimanendo in parrocchia e diventando parte attiva di essa. Iniziai ad uscire con un gruppo di ragazzi del mio quartiere, che non aveva una grande fama, ma erano “bulli”, liberi da impegni

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o aspettative di vita, vivevano alla giornata, senza responsabilità o impegni seri. E tutto questo, rispetto ad una Chiesa e un Vangelo che invece mi “obbligavano” a vivere su una retta via e, addirittura, a confessare ad uno sconosciuto tutte le volte in cui sbagliavo. In questo gruppo di ragazzi, già a quattordici anni, giravano spinelli e alcool e il massimo dei problemi da risolvere erano organizzare il sabato sera, il locale dove ballare e come sballarsi. Mi accorgevo che non si stava insieme perché legati da un rapporto di amicizia ma si stava insieme per fumare e bere e condividere quella “non vita”. Mi adattai a questo stile, e io stesso provai il fumo e l’alcool che “quegli amici” mi proponevano, ma ben presto capii che “quelle schifezze” non mi avrebbero portato a vivere una vita felice. Giorno dopo giorno iniziò e si alimentò una battaglia dentro di me: continuare a stare dentro un gruppo senza aspettative ma che, in apparenza, mi faceva sentire “figo”, rispettato e accettato da questa società, oppure tornare in parrocchia e scommettere su un cammino che mi avrebbe garantito una vita diversa, semplice e ricca allo stesso tempo? Non era una scelta facile perché scegliere di tornare in parrocchia prima di tutto richiedeva uno sforzo enorme per riconoscere che la strada che avevo intrapreso fino a quel momento, era una strada sbagliata;


Abbracciami

poi avrei dovuto riconquistare la fiducia degli animatori e degli amici che avevo abbandonato mesi prima dopo la Cresima. Ed è in questa mia crisi di adolescente che è entrato con delicatezza Piero come amico, come diacono e come educatore. Mi ha fatto rincontrare il mio vecchio gruppo di amici per ricominciare ad uscire insieme a loro e, soprattutto, mi ha proposto di partecipare al campo scuola, promettendomi che sarebbe stata una bellissima esperienza di vita utile per crescere. Questo invito di Piero mi rasserenò molto, perché non si era fermato all’apparenza e al mio trascorso, ma aveva visto in me qualcosa di positivo. Nelle settimane successive ho riflettuto molto su ciò che mi si prospettava per il futuro, volevo capire cosa fare di una parte della mia vita e se intraprendere questo nuovo cammino. Continuai a parlare con Piero, il quale mi ascoltava pazientemente e mi consigliava con affetto. Così decisi di dare una svolta a tutto e provai questa nuova esperienza. Una settimana prima della partenza per il campo scuola ci incontrammo in parrocchia con tutti i ragazzi e gli animatori, tra cui naturalmente Piero; gli animatori mi accolsero con titubanza e freddezza, con dei visi piuttosto preoccupati… tutti, tranne il viso di Piero. Capivo la reazione degli animatori sapendo con chi uscivo fino a pochi mesi prima, ma,

ancora una volta, rimasi sorpreso del sorriso e della disponibilità con cui mi accolse Piero. Da quel giorno capii che era una grande uomo, mi fece sentire a casa, e in quel campo scuola, grazie a lui, sono cresciuto molto soprattutto nel rapporto con Dio. Piero aveva visto prima di tutti, e anche prima di me stesso, le cose positive che mi portavo dentro e quanto potevo donare agli altri, e tutti gli animatori rimasero sorpresi: sono felice che quel campo scuola è servito per far cambiare idea a tutti, ma soprattutto, è servito per stupire me stesso e ritrovare fiducia in me stesso, dopo mesi passati in un gruppo di ragazzi che, con il miraggio di una vita facile, mi aveva completamente spento dentro. Da allora non cerco di non mancare più a nessuno campo scuola, né alle attività della parrocchia perché voglio seguire il suo cammino e donare agli altri tutto ciò che lui ha donato a me. Questo per me è Piero educatore. Educatore non solo a parole, ma prima di tutto con la vita e i sentimenti, senza fermarsi ai pregiudizi e alle apparenze. Piero era così con tutti. Anche altri ragazzi del gruppo erano stati richiamati e accolti da lui allo stesso modo. Ma la cosa più importante che lui ci ripeteva è che senza Gesù non ci può essere la vera gioia. Lui ci ha riunito come gruppo, ci ha consolidato facendo crescere ognuno di noi come persone nelle fede e grazie agli incontri ci ha aiutato ad amare Gesù e i suoi ingegnamenti. Lui ci chiamava sempre “fioli” e oggi ci piace chiamarci “i fioli di Piero”. Se oggi siamo ancora insieme come gruppo è solo perché lui ci ha proposto un motivo di unione alternativo al ballo, agli spinelli, all’alcool o al semplice star bene insieme: lui ci ha proposto di basare la nostra vita di gruppo sulla fede in Gesù Cristo. Alessandro Perucci

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Il quaderno di Piero

NOI NON SIAMO SOLO UN CORPO

SI

TI STAI IMPOVERENDO SPIRITUALMENTE: premesso che ognuno poi nella sua libertà fa le scelte che ritiene più opportune e, pur avendo i tuoi dubbi che sono leciti, non cerchi di andarci avanti: non ti svuoti come intelligenza, non ti svuoti come creatività e fantasia, non ti svuoti come doni che hai ricevuto gratuitamente da Dio (o se vuoi dalla natura) attraverso i tuoi genitori. Non ti svuoti fisicamente, MA TI SVUOTI NELL’ANIMA e certi segnali si vedono. Tu sei un ragazzo in gamba, ma ci sono alcune cose su cui non sei più padrone te stesso: la PIGRIZIA DELL’ANIMA, IL FARE QUALCOSA DI GRATUITO PER GLI ALTRI IN PARTICOLARE PER I PIU’ POVERI, IL CONDIZIONAMENTO DELLE COSE DA AVERE!!! E io sono convinto che il diavolo lavora facendoci allontanare dalla sorgente della pienezza di vita che è Cristo… lavora sotto banco, di nascosto, inserendosi in quegli stili di vita che accomunano tanti voi adolescenti. LA PIGRIZIA SPIRITUALE: ti sembra, come hai detto ieri, che “Si può essere felici anche senza Gesù”… per carità si vive bene lo stesso, ma non con quella pienezza che solo chi ti ha pensato da sempre può donarti. Le scienze umane, le cose, le persone non potranno mai saziare quella sete di felicità che ci portiamo nel cuore. È da tanto tempo che non vieni alla Messa, non preghi quasi mai, trascuri il catechismo. Ti ho regalato il libretto della Parola del Vangelo di ogni giorno e non so se lo hai mai aperto, ti ho regalato il cd di Don Tonino Bello e probabilmente è stato messo subito da parte. Lo so che nella vita ci sono varie fasi, ma ciò che è sazietà della vita rimane sempre. Questa tepidezza spirituale si è insediata in te e in diversi del gruppo, perché poi si può essere buoni amici… ma è altrettanto vero che ci si condiziona l’uno con l’altro. Attento, puoi continuare così, ma stai sprecando il dono più grande: la vita di Dio in te… la stai relegando in un angolino della tua esistenza. Il che ripeto non significa essere vuoti nei valori o nella vita, ma INCOMPLETI SÌ. Vatti a rileggere le parole bellissime che San Giovanni Paolo II° disse ai giovani nel 2000 a Roma… le metto in fondo a questo scritto. E vivere così significa fare il gioco del diavolo che non vuole altro che il nostro distacco da Gesù, luce e vita del mondo. Noi non siamo solo un corpo, un’intelligenza, ma siamo anche spirito, abbiamo l’anima che è quella parte interiore più segreta e nascosta, sul quale Dio desidera portare i suoi frutti, se lo si permette, tutto quel mondo interiore che dà senso ad ogni cosa che facciamo. IL CONDIZIONAMENTO DELLE COSE: in te ha preso tanto campo questo. Il problema centrale per quanto riguarda una ricerca di felicità, non passa solo attraverso il possesso delle cose... passa anche attraverso il far diventare Dio le cose da indossare, il look da tenere, l’apparire davanti agli altri in un certo modo. Anche del cellulare TU SEI SCHIAVO e questo non è un segnale positivo. Le cose non ti accontenteranno mai, perché saremmo poca cosa se bastassero solo le cose a renderci felici e liberi… Noi siamo stati fatti per volare alti e non per accontentarci di beccare solo attorno a noi. Non riesci a dominarti su questo, su queste cose il padrone sono le cose, non sei tu. LA GRATUITÀ a cui aggiungo il GIUDICARE. Tu spesso giudichi tanto le persone, anche quelle che hanno difficoltà, che invece dovrebbero essere quelle con cui abbiamo più MISERICORDIA proprio come ha fatto Gesù. “Dio ha scelto i deboli per confondere i potenti”. Non a caso crediamo in un Dio nato in una stalla, torturato, flagellato, crocifisso. Tu fai tante cose, ma se le ripassi ti renderai conto che non stai facendo niente DI GRATUITO PER QUALCUNO CHE HA BISOGNO…fai tante cose, sei bravo, sei educato, ma la tua vita è per te, per noi e per gli amici. Ma questo lo fanno anche i mafiosi. Mi fermo qui, poi se vuoi ne possiamo parlare insieme: per me, come ti ho detto, ti stai svuotando spiritualmente e svuotarsi nello spirito, significa impoverire la nostra vita, non liberarla o arricchirla. Prova a pensarci, magari sono stupidaggini quelle che ti dico, oppure potrebbero essere vere. Con tanto amore Piero


Abbracciami


Ogni campo scuola aveva un proprio motto e una propria maglietta. Piero, decise con gli animatori le linee guida della settimana, pensava ad uno slogan che faceva da sfondo a tutte le attivitĂ . I giovani, dovevano sentirlo proprio questo slogan, dovevano portarlo sempre con loro: quale modo migliore se non una t-shirt? Durante la celebrazione del primo giorno avviene la consegna: gli animatori donano le maglie ai ragazzi che, ricevendole, confermano il loro “Eccomi: anche io sono il campo scuolaâ€?.


Il quaderno di Piero Abbracciami

QUANDO SONO DEBOLE, ALLORA SONO FORTE II Lettera di San Paolo ai Corinzi 12,7-10 Perché non montassi in superbia per la grandezza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di satana incaricato di schiaffeggiarmi, perché io non vada in superbia. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che lo allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza». Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte.

C

ara ragazza, ho voluto unire alla PREGHIERA DI Don Tonino Bello, questa lettura che è proprio di oggi domenica 5 luglio. Quando la seguivo alla Messa ho pensato a te e a tutti quei giovani (e sono tanti) che non hanno stima di SE STESSI/E o ne hanno poca o una stima che al primo ostacolo si frantuma. Questa è Parola di Dio, quel Dio a cui ti ho invitato a rivolgerti di più, mettendo da parte i tuoi scoraggiamenti, le tue paure… quel Dio che ti ha pensato dall’eternità, che ti ha plasmato con le sue mani (e credimi ti ha plasmato BENE), quel Dio che in Gesù “HA SCRITTO: TI AMO… SULLA ROCCIA“ non sulla sabbia, perché le scritte sulla sabbia basta un’onda e svaniscono, quelle scritte sulla roccia restano per sempre. Tutto questo vuol dire che Lui ti è vicino sempre, ti porta nel palmo della sua mano e desidera comunicarti il “suo essere innamorato di te“, per farti felice. Se hai 2 minuti, rivediamo alcuni passaggi di questa lettura, cioè Dio che vuole parlare a te, a me, a tutti, per darci risposte vere alla nostra vita. Nelle nostre necessità amica mia… quando ci sembra di non riuscire, Gesù ci dice “Ti basta la mia grazia”, cioè non confidare solo nelle tue forze, nelle tue capacità che logicamente devi usare e far fruttare… MA AFFIDATI A ME CON FEDE, PERCHE’ IO SO CHE COSA C’È DENTRO IL TUO CUORE. Poi Paolo parla della DEBOLEZZA che secondo la nostra società, ma anche secondo il nostro modo di pensare, è una sconfitta: le nostre fragilità (e tutti le abbiamo anche il Papa) vengono viste solo come ostacoli, come qualcosa che ci manca: S. PAOLO invece ci dice che SE ACCETTIAMO LE NOSTRE DEBOLEZZE e in esse facciamo entrare Gesù, la sua potenza si manifesterà in noi. Per cui lui non le nasconde le sue fragilità, non le maschera, non vuole far finta di niente… ma sa che da soli non bastiamo… abbiamo bisogno degli altri (famiglia, amici ecc.) ma soprattutto ABBIAMO BISOGNO DI DIO. Qual è il contrario di questo? Il sentirsi sempre bullo, il sentirsi superman, il pensare di bastare a se stessi e di non aver bisogno di niente. QUESTA È LA VERA DEBOLEZZA, QUESTA E’ LA VERA POVERTÀ… non dire con il cuore nella nostra vita: SIGNORE HO BISOGNO DI TE, CONFIDO IN TE, SOSTIENIMI, ILLUMINAMI, DAMMI FORZA, CORAGGIO e stai certa che Gesù non se lo fa chiedere 2 volte, ma ti riempie, ci riempie subito della sua forza. A noi che cosa è chiesto: DI AVERE FIDUCIA IN LUI, di ACCETTARE IL SUO AMORE E DI AMARLO. Che cosa bella: certo questo discorso va molto controcorrente con la mentalità di oggi, ma è una consapevolezza che veramente dà slancio alla nostra vita anche nei momenti difficili. “INFATTI QUANDO SONO DEBOLE, ALLORA SONO FORTE!”. Solo se avremo il coraggio di tendere la mano con umiltà, ma sapendo che Dio è con noi, non ci vergogneremo più delle nostre debolezze, perché sappiamo che i nostri vuoti sono riempiti da LUI: è questa la nostra grande speranza altrimenti la vita diventa una gara continua con noi stessi, con gli altri, con la società, quando invece la vita come ce l’ha donata Dio attraverso i nostri genitori è GIOIA, AMORE, FELICITÀ. Spero di essere stato chiaro, se non ci sono riuscito, se ti va, possiamo riparlarne insieme. Ti voglio tanto bene, Piero


Abbracciami

“GIOVANI: SALE E LUCE DEL MONDO... SUI PASSI DEL BUON SAMARITANO” Agosto 2002

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i che cosa hanno bisogno i nostri ragazzi? Di una vita tranquilla? Forse, ma da quello che ci capiamo cercano soprattutto una vita felice… Hanno bisogno di avere molte cose? Forse, ma da quello che vediamo necessitano di dare il giusto valore alle cose che hanno, soprattutto a quelle semplici… Sono vuoti? Tutt’altro perché da quello che sperimentiamo ogni giorno e abbiamo sperimentato anche al campo scuola sono molto pieni, ma stentano, se non aiutati, a tirar fuori le loro qualità, le loro sensibilità, i loro sogni più belli… Sono egoisti? No, ma hanno bisogno di essere contagiati da qualcuno che parli loro di amore, di solidarietà, di pace, di bontà… Quei valori presenti nel loro cuore… Ma troppo spesso messi da parte o barattati con robetta da quattro soldi… Sono superficiali? Macché… A volte la superficialità o il menefreghismo che dimostrano sono delle armi di difesa contro una società che continuamente li violenta facendo dei soldi, del successo, dell’arrivismo, del potere, della violenza i propri idoli… Sono lontani da Dio? Tutt’altro… Hanno un profondo desiderio di scoprire o riscoprire un Dio che si faccia prossimo della loro vita, un Dio che dia significato pieno alla loro esistenza. Sono condizionati dai mass media, dalla pubblicità, dalla musica, dal chiasso? Tantissimo e questo non permette loro di essere se stessi come vorrebbero… Credono nell’amicizia e nell’amore? In un modo quasi esagerato, anche se a volte sono le esperienze che più li fanno soffrire… Sono forti? No… Sono molto fragili, specchio di un mondo fragile. E allora? Grazie Campo Scuola perché nei giorni passati con quasi sessanta adolescenti e giovani a Piccolino abbiamo potuto riscoprire che c’è un mondo diverso e più pieno di vivere la vita, rispetto a quello che comunemente ci vogliono far credere, c’è la possibilità di essere felici veramente e non a metà… Si può essere liberi anche se apparentemente non lo si è… E tutto questo grazie a colui che è il buon Samaritano per eccellenza della nostra vita, che non fa altro che chinarsi sulle nostre ferite, per guarire la nostra storia, e renderci così capaci di essere a nostra volta dei Samaritani con le persone che incontriamo ogni giorno: tutto questo si chiama GESÙ CRISTO, l’unico capace di renderci felici sul serio. È andato bene il campo scuola? Sì, ma il vero campo-scuola continua in parrocchia, nelle nostre vie, nelle case, nei volti dei nostri giovani… Giovani che a volte chiedono aiuto tirando le uova… Giovani che non desiderano altro che essere amati, ma sul serio pretendendo da loro il meglio, e donando loro al tempo stesso la verità della vita, perché è ciò che desiderano di più. Diacono Piero Alfieri

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Il quaderno di Piero

PROPOSTA PER UN GRUPPO FRATERNITÀ TRA ADOLESCENTI

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iamo un gruppo di adolescenti della parrocchia… e da qualche tempo stiamo cercando di capire in che modo poter vivere più “alla grande” la nostra vita… condividendo tra noi gioie, ansie, sogni, amicizia… la fede (a volte più incerta… altre più sicura) in Gesù e il desiderio di metterci a disposizione per chi nella vita vive situazioni di difficoltà, di ingiustizia, di solitudine ecc. La NOSTRA STORIA insieme è iniziata da alcuni anni (vorremmo chiamarla con il titolo di una canzone “Una storia più grande di noi”) in modo particolare dopo la Cresima che abbiamo ricevuto in momenti diversi. INSIEME abbiamo vissuto tante esperienze belle e difficili… campi scuola… incontri… esperienze di preghiera che a volte ci hanno commosso… discussioni, litigi, feste, cene, uscite… confronti tra noi su varie tematiche anche con l’aiuto di esperti… soprattutto su problematiche riguardanti la nostra adolescenza. Stiamo cercando, chi più… chi meno, di mettere Gesù al CENTRO DELLA NOSTRA VITA: non sempre ci rimane facile, anzi per qualcuno risulta ancora una casa un po’ lontana… soprattutto la difficoltà di vedere Gesù come punto di riferimento della nostra esistenza… vivendo con Lui una bella storia d’amore. MA NON CI ARRENDIAMO forti del fatto che ci siamo resi conto di aver ricevuto, grazie a Dio, alla comunità e ai nostri amici catechisti e animatori TANTI BELLISSIMI DONI… anche se a volte rischiamo di tenerli nascosti e non farli fruttare nel modo giusto. Un’altra tentazione è quella di non riuscire a condividere il nostro tempo, la nostra amicizia con TUTTI, con il solito rischio dei famigerati “gruppetti”: al tempo stesso ci portiamo nel cuore il sogno di una VITA VERAMENTE FELICE E LIBERA, il DESIDERIO di SEGUIRE GESU’ E FARLO CONOSCERE AI NOSTRI AMICI ANCORA TROPPO DISTANTI DA LUI, perché ci rendiamo conto, magari più a livello di testa che di cuore, che ciò che ci propone sia una bella avventura. CI PORTIAMO DENTRO IL SOGNO di UN MONDO PIU’ GIUSTO e LA VOGLIA DI DARE SPERANZA A CHI È TRISTE, POVERO, SOLO. Tutti questi sogni in alcune occasioni ci spingono in avanti, altre volte ci accorgiamo di essere un po’ troppo fermi. MA QUI VIENE IL BELLO: da un po’ di tempo ci stiamo ponendo una domanda: CI BASTA TUTTO QUESTO? SIAMO VERAMENTE FELICI E LIBERI? È POSSIBILE VIVERE IN MODO PIU’ RADICALE IL RAPPORTO TRA DI NOI, l’AMORE a CRISTO, alla COMUNITÀ, UN’AMICIZIA CON TUTTI e L’ESSERE DONO PER GLI ALTRI? PENSIAMO SINCERAMENTE DI SÌ e SOPRATTUTTO NON VOGLIAMO ACCONTENTARCI perché, come dice una canzone di un gruppo di Senigallia, “chi si accontenta… non gode… ma annaspa la vita” e riecheggia sempre nel nostro cuore l’invito di Giovanni Paolo II ad essere I SANTI DEL NUOVO MILLENNIO e LE SENTINELLE DEL MATTINO. A proposito dell’essere SENTINELLE DEL MATTINO, ci ricordiamo quando due anni fa in un campo scuola a Prati di Rivo abbiamo aspettato l’alba avanti la maestosa cime del Gran Sasso: vedere il sole sorgere e illuminare l’oscurità ci ha fatto comprendere con tanta emozione che cosa significhi annunciare a tutti che la LUCE DI GESU’, CHE È LA LUCE DELL’AMORE, sia capace di ILLUMINARE OGNI OSCURITÀ a partire dalle nostre. E allora abbiamo deciso di costituire tra noi una piccola FRATERNITÀ aperta a tutti coloro che vogliono condividere questi sogni e questo modo di vivere… una FRATERNITÀ di cui abbiamo pensato le mete che debba avere e gli impegni che vogliamo prenderci… una FRATERNITA’ che affidiamo al SIGNORE e ai SANTI perché ci aiutino a concretizzarla… in modo particolare a SANDRA SABBATINI, una ragazza appartenente alla comunità di Don Oreste Benzi, di cui è in corso il processo di BEATIFICAZIONE.

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Abbracciami DESIDERIAMO: - Vivere in modo più vero e fraterno la nostra amicizia e il nostro crescere come gruppo; - Aiutarci, incoraggiandoci e sostenendoci a vicenda, a vivere bene la nostra esistenza; - Condividere gioiosamente la fede in GESU’ e nella CHIESA, cercando di annunciarlo con le parole e l’esempio… credendo che sarà soprattutto Lui capace di unirci e farci fare “cose grandi” al di là delle nostre capacità; - Essere missionari in modo particolare tra i GIOVANI; - Metterci a SERVIZIO dei più POVERI. CI IMPEGNIAMO: CIASCUNO… - Ad essere sinceri gli uni con gli altri, non nascondendoci le cose… ma dicendoci ciò che non va: al tempo stesso accettandoci con misericordia e aiutandoci a tirar fuori da noi le cose più belle; - A non insultarci, mantenendo il rispetto dell’altro anche se si è in disaccordo… chiedendoci scusa quando ce n’è bisogno e provando a perdonare; - A cercare di stare con tutti, valorizzando tutti e non soltanto coloro con cui abbiamo più amicizia e confidenza; - A cercare di conoscere sempre meglio ciò che ciascuno si porta nel proprio cuore; - A non mettere zizzania fra le persone… ma al contrario se qualcuno è in disaccordo essere strumenti di pace; - A non usare le persone per i nostri comodi, a non parlare male degli altri (soprattutto se non ci sono) credendo nella fedeltà che è il segno più concreto di una vera amicizia; - A condividere i momenti belli e difficili che ciascuno si trova a vivere; - A non giudicare e a vedere soprattutto i lati positivi degli altri non fermandoci a quelli negativi… cercando sempre di più ciò che CI UNISCE e NON CIO’ CHE CI DIVIDE. COME GRUPPO: - A vivere insieme gli ideali che danno vita alla nostra esperienza (vedi sopra); - A credere nell’importanza e nella indispensabilità dell’altro… cercando di credere che se il Signore ci ha messi insieme è perché INSIEME si aspetta qualcosa da noi; - A trovare dei MOMENTI IN COMUNE per: condividere e confrontare la nostra vita alla luce del Vangelo; - Una volta al mese fare una REVISIONE DI VITA - Uscire insieme qualche volta il sabato, magari cenando prima in parrocchia; - Creare delle USCITE DOMENICALI o durante le vacanze se sarà possibile ritrovarci insieme per: ESERCIZI SPIRITUALI (cioè due o tre giorni in cui, guidati da qualcuno cerchiamo di crescere su un aspetto della fede, o della vita o dell’amore alle persone); - CONVIVENZE IN PARROCCHIA tra quattro o cinque persone per volta per quattro giorni; - CAMPI SCUOLA o CAMPI DI LAVORO; - UN INCONTRO SETTIMANALE; - GEMELLAGGI CON ALTRI GRUPPI GIOVANILI; - LA MESSA DOMENICALE e altre occasioni di PREGHIERA. COME SERVIZIO… CI IMPEGNIAMO: Ciascuno a dare il nostro contributo in una esperienza di servizio 1) Nella catechesi ai bambini e ai ragazzi 2) Come animatori nell’oratorio 3) Con una esperienza di amicizia presso il Centro “Papa Giovanni” o “Samaritano” 4) Come gruppo missionario 5) Per l’animazione del tempo libero dei bambini, il sabato e soprattutto la domenica mattina 6) Per seguire situazioni di solitudine nelle case del nostro quartiere 7) Creando una disponibilità giornaliera di due persone alla volta (un paio di ore al pomeriggio) mettendosi a disposizione di chi nelle case può aver bisogno di aiuto. Può diventare anche l’occasione per raccogliere soldi per la missione di TURUU in Africa con cui siamo gemellati.

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Il quaderno di Piero CI PIACEREBBE: - Ritagliarci ogni giorno 10 minuti per pregare, sapendo che anche gli altri lo fanno; - Crearci una “PICCOLA REGOLA DI VITA”; - Per chi vuole confrontarsi e verificarsi all’incirca una volta al mese con un PADRE SPIRITUALE con cui verificare il proprio cammino, con le difficoltà che si incontrano e i passi che si desidera fare. PUNTA IN ALTO QUESTA ESPERIENZA? FORSE SÌ!!! SIAMO IN GRADO DI VIVERLA INSIEME O CON CHI VUOLE?? SENZ’ALTRO SÌ! PUO’ RENDERCI PIU’ FELICI? CERTAMENTE SÌ. VALE LA PENA DI PROVARCI CON L’AIUTO DI DIO? ASSOLUTAMENTE SÌ!!! Ma d’altra parte non sono le cose grandi che ci riscaldano di più il cuore e ci fanno emozionare?

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Piero Diacono e animatore



Con tutto il bene che vi voglio

Diacono Rompi


Abbracciami

DIACONO “ROMPI”

“C

Piero, viveva con passione ed intensità il suo diaconato. Lo avvertiva come un dono nel Signore, messo nelle sue mani, per servire gli altri, per sostenere gli ultimi. Era un diacono dolce: il suo viso ne era la prova.

on tutto il bene che vi voglio, Diacono Rompi”. “Con tutto il bene che vi voglio, Diacono Rompi”. Terminavano così tutti i messaggi che papà inviava ai catechisti, agli educatori, ai giovani, ai parrocchiani per le mille iniziative che proponeva loro. “Diacono-rompi” era il suo distintivo, il suo soprannome. A lui, in effetti, piaceva “rompere”. Lui voleva essere un diacono scomodo, un diacono che metteva in crisi le persone. Non ha mai accettato di essere diacono solo durante le liturgie, lui voleva esserlo sempre e soprattutto fuori dalla parrocchia. Porto al collo un anello, che prima lui teneva al dito. Si tratta di un rosario da dito in argento con inciso il nome “Andrea”. Fu il mio regalo, per il suo diaconato. Avevo solo tre anni ma era un gesto per dire “Papà accetto la tua volontà, accetto questa tua missione”. Quello che lo ha reso un diacono fuori dal comune è stata proprio l’accettazione, il sentirsi amato e sostenuto nella sua particolare scelta di servizio a Dio. Non è stato semplice accettare il suo essere in mostra, il suo essere a servizio, il suo essere diverso. Per molti anni mio padre è stato diverso e solo con il tempo ho capito che questa sua diversità era in realtà privilegio. Tutte le sere, quando ero piccolo, lo accompagnavo a chiudere la chiesa. Lo sento ancora quando mi prendeva in braccio e mi faceva chiudere il pesante portone di legno. Poi spegnevo tutte le luci, chiudevo le porte e ce ne tornavamo mano nella mano a casa. Quanto vorrei chiudere ancora una volta il portone insieme a lui, mano nella mano, dopo una giornata di studio. Per me papà diacono era questo, insieme alla lunga tunica bianca che la domenica indossava alla messa. Poi con il tempo iniziai a scoprire dell’altro: lo seguivo alla messa per i bambini del catechismo, lo iniziai a guardare alla messa per i grandi e alla fine decisi di ascoltarlo alle sue catechesi e ai suoi incontri di formazione. Mio padre, col crescere dei miei anni, divenne una vera e propria figura di riferimento della mia piccola fede che sta continuando a crescere. Solo con il tempo compresi il suo più autentico essere “rompi”. Come i più grandi figli d’arte, però, furono molti i momenti in cui snobbai mio padre e la sua “professione”. Mi sentivo quasi ribelle dinanzi al suo essere uomo di Dio, sentivo di essere apposto con la religione: tanto c’era già mio padre ad essere diacono. Oggi devo ringraziarlo perché ha saputo accompagnarmi in questo difficile, ma meraviglioso cammino. Era sempre pronto, con lettere, libretti e cd a propormi nuovi punti di vista, nuove esperienze. Lui teneva a me, teneva al 67


Abbracciami

mio essere uomo, al mio essere cristiano, al nostro essere famiglia cristiana. Desidero svelare un segreto che lui stesso con il tempo mi ha fatto conoscere: vivere con Dio è una figata! Vivere la fede non è rinuncia, tristezza e proibizione. Essere cristiani ti riempie la vita, ti colora l’anima e lui ne era l’esempio vivente. Anche nei momenti di crisi e difficoltà ha sempre testimoniato la luce che Dio rifletteva attraverso di lui. Spesso ai ragazzi diceva: “Voi fumate? Io sì! Mi faccio gli spinelli con la Maria”. I ragazzi rimanevano sbalorditi e lui proseguiva: “Sì mi faccio gli spinelli con Maria, quella vera, con il Vangelo”. Mio padre era un “dipendente” da Dio, lasciava dietro di sé una scia di gioia, di pienezza. La sua originalità e il suo carisma coloravano tutte le messe che assumevano il carattere di una vera festa perché “con Dio è sempre festa, basta farlo entrare!”. Tutte le sue prediche non riuscivano ad essere normali, ogni volta aveva un gesto da compiere, un oggetto particolare da mostrare. Lo ricordo nel tavolo in cucina a preparare le centinaia e centinaia di libretti che hanno accompagnato ed abbellito messe, adorazioni e momenti di riflessione da lui organizzati. Tutte le veglie di preghiera che organizzava erano accompagnate da una sapiente scelta di brani e musiche che facevano commuovere i cuori e avvicinare l’anima a Dio. Uno dei suoi gesti preferiti era il bacio della croce, ma non di una croce normale. Il crocefisso usato da papà aveva perso entrambe le braccia. Lui ne andava fiero, per lui quel Cristo “menomato” era la più bella immagine di Gesù. Lui le sue braccia le aveva prestate al Signore, le utilizzava ogni giorno nel suo essere diacono a servizio degli altri. Papà era il diacono di tutti, che viveva la sua parrocchia e il suo quartiere; tutti lo conoscevano, tutti avevano visto comparire almeno una volta il suo numero nel cellulare. Metteva amore e passione in tutto ciò che faceva, in tutto ciò di cui si occupava. Papà aveva un pregio: era un diacono dolce. Sì, le sue parole erano dolci, il suo pregare, il suo cantare trasmetteva dolcezza. Aveva parole di conforto e un dolce canto per ogni funerale a cui partecipava. Riusciva a trasformare un momento di dolore e di abbandono in un campo da sfida in cui maturare e di cui gioire. La cosa più autentica era però il suo rapporto con Dio. “Dio non delude mai” ripeteva spesso. Lui ne era sicuro, Dio non delude mai. La sua vita, come quella degli altri, con l’aiuto di Dio poteva essere un piccolo miracolo di amore e carità. Quanto amava stare in silenzio davanti al Santissimo, lì trovava la forza, l’energia per poi esplodere di quell’amore che aveva ricevuto poco prima, davanti all’ostensorio. La preghiera era la sua forza, l’arma più potente per affrontare la vita. Il rosario infatti era sempre nella tasca dei suoi pantaloni, a casa ne aveva tantissimi, preferibilmente colorati. Papà era un vero e proprio diacono “fluorescente”. Lui voleva brillare, non per orgoglio, ma per testimoniare che con Dio la vita luccica. Provare per credere! 68


Diacono “Rompi”

La veste e gli scarponi erano il miglior outfit per la montagna. Dopo una bella passeggiata per i monti, ci si fermava in una chiesetta, in un rifugio o in un prato. Piero apriva lo zaino e tirava fuori la veste bianca. Lui sì che era un vero e proprio “diacono delle montagne”.

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Abbracciami

PIERO ERA UN VULCANO, UN MULINELLO

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arlare di Piero Alfieri è parlare anche della sua Comunità, quella di Cristo Divin Lavoratore, e un po’ anche del Centro di Accoglienza Padre Nostro. Egli era stato affascinato dalla figura del Beato Giuseppe Puglisi e fortemente ha voluto creare, insieme al suo Parroco, don Giancarlo, un gemellaggio tra le due comunità. Con gioia e sofferenza sono andato a riprendere le foto e a rivedere il TG dell’epoca (1996 e 2001). Quando arrivai ad Ancona e Don Giancarlo mi presentò Piero, subito compresi di che stoffa era fatto… Nel giro di poche ore mi raccontò delle attività socio-educative che egli svolgeva con e per i giovani, ma soprattutto mi colpì con quanta semplicità ed umiltà annunciava l’Evangelo a chi si rapportava a lui. Non vi era un ragazzo che lui incontrava per le vie del quartiere che egli non salutasse ed al quale non ricordasse di un appuntamento o un evento. Organizzò nelle scuole dove lui insegnava un incontro con me. Voleva che parlassi dell’esperienza di Brancaccio e che facessi conoscere il fondatore del Centro di Accoglienza Padre Nostro agli alunni della sua scuola: 3P come lo chiamavano gli amici, Padre Pino Puglisi. In quell’occasione compresi l’affetto e il rispetto che avevano non solo gli alunni ma anche i suoi colleghi nei suoi confronti. Era chiaro che l’attività didattica che egli espletava a scuola era il frutto di una convinzione, di una scelta di vita, di una missione. Nel pomeriggio mi portò all’Ospedale Regionale di Ancona ad assistere al Recital “Forza Venite Gente”, che aveva preparato con i ragazzi della parrocchia e della Cooperativa Papa Giovanni XXIII, per gli ammalati. Dopo cena Veglia di preghiera in parroc-

chia… L’indomani visita alla Comunità Papa Giovanni XXIII dove si assistono i portatori di handicap e gli anziani… Piero era un vulcano, un mulinello… Ricordo come armeggiava le chiavi che aprivano ora la casa del parroco, ora l’oratorio, ora la Parrocchia, e in quel sali e scendi, apri e chiudi, ti raccontava dei problemi dei giovani e delle cose che aveva in mente per andargli incontro e alleviare le loro sofferenze. Ma il suo passe-partout era Gesù, quella era la chiave che gli faceva aprire anche i cuori e gli animi più diffidenti e aridi. Era la parola del Cristo Risorto, che animava quel vulcano, che faceva girare il mulinello… Era la confidenza che egli aveva con Lui che lo faceva sempre ben sperare che le cose sarebbero cambiate in meglio. Negli anni ebbi a risentirlo e altre volte mi invitò ad Ancona per condividere con lui e i suoi ragazzi la realizzazione dei sogni di 3P. Diceva ai giovani, “se ci riescono loro, con tantissime difficoltà in più di noi, possiamo farcela anche noi. Se Dio è con noi chi sarà contro di noi?”. Era la stessa frase che 3P diceva a chi gli ricordava che il suo impegno per Brancaccio lo avrebbe portato alla morte certa per mano mafiosa. Sono grato al Signore per avermi fatto incontrare un fratello come Piero e sono riconoscente a Don Giancarlo che nel tempo ha saputo far crescere nella fede Piero e me. A tutti quelli che lo hanno conosciuto e a tutti quelli che non lo hanno conosciuto dico che, se offriremo la nostra vita nelle mani di Gesù, così come fece Piero, anche la sua morte prematura sarà per noi un’altra lezione e testimonianza di vita. Sono certo che la sua comunità lo ricorderà facendone memoria e non disperdendo i frutti del suo carisma. Maurizio Artale Presidente del Centro di Accoglienza Padre Nostro

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Diacono “Rompi”

CI RIMANE IL SUO ESEMPIO: FACCIAMONE TESORO

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l diacono Piero Alfieri ebbi occasione di conoscerlo quando, con mons. Livio Maritano da poco vescovo emerito della diocesi di Acqui-Piemonte fummo invitati a portare nella sua parrocchia, l’esperienza di Chiara Badano, beatificata il 25 settembre 2010 a Roma nel santuario del Divino Amore, alla presenza di circa 20.000 persone, provenienti da ogni parte del mondo, soprattutto giovani. Mons. Maritano era il Vescovo di questa ragazza, morta a 18 anni (1971-1990); le amministrò il sa-cramento della Cresima e la seguì nel periodo della malattia, con amore di padre e di pastore. Quindi, scoperta e approfondita la sublimità della sua anima, fu il promotore della sua Causa di canonizzazione; io, la vicepostulatrice. Il diacono si era letteralmente “innamorato” di lei e voleva donarla alla comunità, in special modo alla gioventù, per questo ci invitò ad offrire la nostra testimonianza. Fummo ad Ancona, ospiti nella casa parrocchiale, il 12 e 13 novembre 2011.

Giorni ricchi di impegni: celebrazioni liturgiche presiedute dal Vescovo, momenti di riflessioni e di gioia comunitaria. Cercavamo di donare la sua figura, di farla conoscere ed amare. Pensiamo di esserci riusciti: era quanto sognava Piero. Uomo colto ed affabile, ospitale e semplice, dall’animo ricco di sentimenti puri e profondi è rimasto nel nostro cuore. Aveva fatto suo il motto di Chiara: Sarò santo se sono santo subito! Con lui avevamo pregato, per intercessione della Beata, affinché il Signore lo lasciasse ancora per un po’ di tempo accanto ai suoi cari e a tutti noi... Nel Suo disegno di amore ha voluto che svolgesse in Cielo il suo servizio diaconale: “Vieni, servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore”... Di certo l’hanno accolto Chiara e il Vescovo, anch’egli dal 6 maggio 2014 nella Luce del Padre. Ci rimane il suo esempio: facciamone tesoro! Mariagrazia Magrini Vice Postulatrice Beatificazione Chiara Badano


Abbracciami

“AMA GESÙ, LA GENTE E I POVERI SOPRATTUTTO: QUESTO È CIÒ CHE CONTA” Dal Corriere Adriatico del 23 ottobre 2000:

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’era una volta – nel regno del benessere e dell’individualismo – un gruppo di persone normali, quasi tutte con famiglia, che decisero nel nome di Gesù Cristo, di mettere la loro vita al servizio degli altri, e a questo scopo ricevettero l’investitura dalla massima autorità della Chiesa locale, indossarono la veste bianca e partirono. Comincia più o meno così la favola moderna degli otto che sabato sera 21 ottobre, in Duomo sono stati ordinati diaconi dal Vescovo dell’arcidiocesi si Ancona-Osimo Franco Festorazzi. I coraggiosi cavalieri della fede, chiamati a mettere alla prova le loro virtù nel millennio dell’edonismo, rispondono ai nomi di Piero Alfieri, della parrocchia Cristo Divin Lavoratore di Ancona, Vittorio Antonante, San Marco di Osimo, Nello Caporaloni, San Biagio di Osimo, Fabrizio Mattioli, San Tommaso di Offagna, Marcello Ravaglioli, Santa Maria della Misericordia di Osimo, Franco Recanatini e Andrea Ulissi , Immacolata Concezione di Camerano, Maurizio Vannetti, San Giuseppe di Falconara. È affidata loro la missione in una cattedrale traboccante di fedeli e di entusiasmo, nella notte che il calendario cristiano dedica ogni anno alla preghiera e alla riflessione per stare vicini per qualche ora con il cuore e con la mente a chi è impegnato ad annunciare il Vangelo in terre lontane. Festorazzi parla di “veglia missionaria straordinaria, nella quale l’ordinazione dei diaconi

si inserisce nel modo migliore, perché il loro compito è portare Gesù in tutto il mondo”. Proprio in missionario, Don Emanuele, propone dall’altare la testimonianza viva di una fede che accomuna con i fratelli e che viene assunta da ognuno in modo unico e irripetibile. Ma la scena è tutta per i futuri diaconi, che nascondono l’inevitabile emozione dietro una religiosa concentrazione al momento della dichiarazione di idoneità presentata da Don Vincenzo Baiocco, responsabile diocesano per il diaconato che ne ha guidato il cammino di formazione lungo cinque anni e dell’ “Eccomi” proferito al cospetto del vescovo dopo un ossequioso inchino. Non sarà certo agevole il compito che il primo grado del sacramento dell’ordine assegna loro. “Dovrete mettervi al servizio del Vangelo, annunciare la Parola, andare nelle case e accostarvi ai giovani – ricorda nell’omelia Festorazzi – Dovrete portare l’eucaristia in tutte le case, e la croce di Gesù”. La diaconia della Parola, della liturgia e della carità, ovvero l’annuncio del Vangelo, il servizio alla mensa del pane e del vino e l’apertura ai poveri diventano impegno solenne assunto in ginocchio mani nelle mani con il vescovo, che – nel momento culminante della celebrazione – dopo l’invocazione dei Santi e la prostrazione dei candidati, impone le mani su ognuno di loro. La promessa di Fabrizio abbraccia anche la la scelta del celibato permanente. Lui si fa aiutare dalla mamma a indossare la stola bianca, i suoi compagni dalle mogli, chiamate a condividere la missione

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Diacono “Rompi”

dei mariti. Terminata la consegna del Vangelo si scatena l’applauso e qualche lacrima solca il viso di parenti e amici accorsi a San Ciriaco da ogni angolo della diocesi con pullman e mezzi privati. E arriva anche il momento di Giuseppe De Sisto, della parrocchia di San Giuseppe a Falconara. Si fa avanti per ricevere il ministero dell’accolitato che prevede il servizio all’altare a ricevere pane e vino, il primo passo sulla strada del diaconato. La celebrazione fila via tra canti e gesti solenni. I doni in processione all’atto dell’offertorio hanno un sapore missionario, da uno strumento a corde africano usato nelle feste tribali a esprimere gioia, a un ventaglio giapponese utilizzato nelle danze, a un copricapo di piume uso ornamento degli indios dell’Amazzonia.

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L’ultimo capitolo significativo è l’incarico affidato dal vescovo ai nuovi diaconi nelle comunità parrocchiali di appartenenza o in quelle circostanti. La loro favola è appena cominciata…” Il servizio diaconale si svolge su tre livelli: c’è una diaconia, o servizio, della Parola, c’è una diaconia, o servizio, della Liturgia, e c’è una diaconia, o servizio, della Carità, Piero Alfieri, che ha concluso la sua missione tra di noi, ce ne ha dato un esempio appassionato, prendendo alla lettera le parole di Don Tonino Bello, che lui tanto amava: “ama Gesù, la gente e i poveri soprattutto: questo è ciò che conta”. Ha saputo vivere il servizio diaconale con quella semplicità e verità che rimangono una testimonianza efficace per tutti. I Diaconi


Abbracciami

CHI DÀ SPERANZA AD UNA VITA, DÀ SPERANZA AL MONDO INTERO

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ono seduta in sala verde, osservo il cursore lampeggiare sullo schermo bianco del computer nel tentativo di trovare le parole, mentre tengo stretta fra le mani, quasi fosse un rosario, la chiave di questa stanzetta della parrocchia. Mi fece una copia della sua chiave qualche anno fa in un momento difficile della mia vita personale, come ne capitano nella vita di tutti, voleva avessi un posto dove andare che mi ricordasse di non perdermi per strada, che m’impedisse di arrancare o di indurirmi. Quando me la consegnò mi disse che quella chiave era un simbolo di condivisione e di appartenenza alla nostra comunità e che donare le chiavi della parrocchia, per lui, era come donare il suo cuore. CONTA SEMPRE SU DI ME, poi aggiunse. Il modo diretto, semplice e sincero con cui mostrava i suoi sentimenti mi ha sempre comunicato una forza interiore e una tenerezza unica. Non so come la ragazzina che ero, cresciuta in una famiglia non particolarmente religiosa o attiva in questa comunità cristiana, e seduta sulle sedie di questa stessa stanza fino a qualche anno fa con una fede ancora tutta da plasmare, sia diventata, qualche tempo dopo, la catechista che scrive ora, ma sono certa che non necessariamente questo sarebbe avvenuto senza la benedizione – e non la fortuna – di aver avuto al mio fianco per tutto il cammino un educatore sensibile e attento prima, un Diacono innamorato di Cristo e “missionario” poi, un caro amico e confidente e

tutti nella stessa persona, Piero. Piero diffondeva un vivo e grande calore della presenza di Dio, proprio come un radiatore umano, a coloro che gli erano accanto, un calore che neppure ora si è spento. Sotto ognuna delle vesti che indossava ogni giorno nei vari posti in cui operava, ardeva un cuore colmo dell’AMORE DI DIO, felice con GIOIA PIENA di farsi servo del Signore per gli altri, e questo grazie ad un immenso ma assolutamente umano comun denominatore, la sua Fede, la stessa che giorno dopo giorno lo ha portato ad accettare l’ennesima scommessa con cui il Signore puntava su di lui, vestendo un altro abito ancora, la stola di Diacono. Stringendo questa chiave fra le dita mi è venuto in mente che se dovessi descriverlo in qualche modo io direi che Piero è stato l’uomo del “Sì” “Sì, Signore” “Sì, Signore. ECCOMI!” “Sì, Signore. USAMI!” e ognuno di noi, ai suoi occhi, aveva il volto di Cristo e per ognuno di noi, con le nostre potenzialità e talenti, le nostre miserie e difficoltà, era chiamato a rispondere “Sì” a quella chiamata. Per questa ragione, anche, eravamo per lui croce e delizia, un buon motivo per cui spendersi instancabilmente, per cui mettere da parte sé stesso a volte, per cui perdonare e coltivare la speranza, una buona ragione per cui credere. Un giorno mi scrisse che il modo più bello per amare le persone è PORTARLE NEL CUORE E FRA LE BRACCIA perché “CHI DÀ SPERANZA AD UNA VITA, DÀ SPERANZA AL MONDO INTE-

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Diacono “Rompi” RO” e l’onore più grande per lui sarebbe stato sapere di aver contribuito alla felicità altrui, dando il meglio di sé stesso per rendere più bella la vita di uno. Vorrei dirvi che queste parole fossero il frutto di una fede illuminata o almeno lontana dall’essere umana, perché, se così fosse, forse per me sarebbe più facile testimoniarvi la facilità e la bellezza con cui queste parole riuscivano a contagiarmi. Preferisco invece raccontarvi di quando mi diceva di essere scettica nei confronti di quelli che se ne uscivano con la frase “Io ho trovato la fede” dopo una qualche esperienza di pellegrinaggio, gli piaceva piuttosto ripetermi che la fede è innanzitutto un atto d’amore verso Gesù e nell’amore occorre sempre TENERE ALTO IL TIRO e, per fare questo, il cammino è quotidiano, per fare questo occorre faticare “PERCHÉ L’AMORE COME TI INCORONA COSÌ TI CROCIFIGGE”. Questo è stato sicuramente l’insegnamento che custodisco con più grande attaccamento e quello che ha sicuramente influito maggiormente sul mio cammino di fede e non solo, ovvero: la necessità di coltivare prima di portare frutto, di sperimentare prima di farsi testimoni. L’AUTENTICITÀ, insomma. A questo proposito, l’ho sempre visto spendere tante energie nello spronarci a nutrire la nostra anima di Dio, ho perso il conto di quanti messalini mi abbia fatto trovare nella cassetta delle lettere, perché “Il Signore” mi scriveva “ogni giorno ha qualcosa da dirci per illuminare la nostra vita e renderla feconda nell’amore...” una certezza per lui, assieme a quella che avremmo trovato nella Parola di Dio un consiglio, una risposta, una parola di conforto, un messaggio diretto. Uno strumento, la parola di Dio, per vedere la Grazia dello Spirito Santo agire nelle no-

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stre vite tutti i giorni, perché essere cristiani non era per lui questione di grandi gesti, ma di tenerezza, il lasciarsi modellare in modo dolce dalla vicinanza di Gesù, mite e umile di cuore, ogni giorno. Così, la condivisione della parola di Dio è diventata nel corso degli anni un modo per saldare e fortificare i legami fra i membri di questa comunità, dando prova di unità, un’occasione per ritrovarci, per pregare (e poi mangiare, sempre), per confrontarci e far emergere dubbi o criticità, per crescere insieme o per programmare (anche quando, più spesso, era lui a decidere per poi notificarci lasciandoci ben poco spazio di manovra). Quest’ultimo è stato sicuramente l’aspetto che ho fatto più fatica a fare mio e nel quale il suo non darsi mai per vinto, nonostante le discussioni che avevamo a riguardo, ha saputo poi fare più la differenza per me. Da giovanissima catechista, molti dei coetanei e amici che con me avevano intrapreso questa strada avevano poi deciso di lasciarla, io che ero rimasta senza un gruppo di giovani come me, con cui condividere quelle esperienze, sentivo il distacco di età e nelle occasioni conviviali mancavo di quella ragione in più, che a volte serve a quell’età, per partecipare. Inoltre non avevo scoperto la ricchezza della pratica della preghiera, e, per quanto l’apprezzassi ad un livello comunque superficiale, tendevo a pensare che fosse sostituibile col il darsi da fare o con il volontariato. Quando finalmente iniziai ad averne una più profonda esperienza, questa rimaneva esclusivamente ad uso personale, non vedevo l’importanza di farlo insieme né tanto meno in modo convenzionale attraverso un rosario o una celebrazione. È stato Piero a insistere affinché io comprendessi il grande valore dell’esserCI, assieme agli altri, smetten-


Abbracciami do di autoassolvermi con frasi del tipo “tanto è uguale”, “posso pregare anche da casa mia”, “stavolta posso anche mancare”. Ed è stato così che, poco alla volta, l’ora solitaria di adorazione del giovedì pomeriggio si è trasformata nella veglia comunitaria del giovedì sera, partecipare agli incontri, alle cene contribuendo con le mie idee e le mie opinioni, mi ha aiutata a diventare una catechista più consapevole del compito che mi piaceva svolgere, ma di cui, fino ad allora, non mi ero molto preoccupata di prendermi cura. In questo modo il mio credere in Dio si è fatto Fede, una Fede che magari ancora troppo spesso entra in crisi di fronte a certi eventi della vita, ma che in quei momenti ripete a sé stessa le parole di Piero “Vai in chiesa, offri tutto al Signore… le tue fragilità e debolezze sono meravigliose

agli occhi di Dio perché è attraverso quelle che Lui può operare su di te” “La preghiera è fondamentale per avere la pace del cuore ed essere strumenti d’amore per il Signore”. Lui era riuscito a maturare il profondo significato della preghiera e ad apprezzarne la ricchezza e le potenzialità, tanto da far diventare quell’appuntamento quotidiano con il suo innamorato la sorgente di quello Spirito travolgente grazie al quale si faceva dono per gli altri, ovunque. In un libro che mi regalò, trovai questa frase: LA FELICITÀ NON DIPENDE TANTO DA CIÒ CHE VIVIAMO, MA DA COME DECIDIAMO DI VIVERE TUTTO CIÒ CHE DI DOLOROSO E MERAVIGLIOSO LA VITA CI REGALA. Giulia Mentrasti

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Il quaderno di Piero

PIERO DIVENTA DIACONO

21 OTTOBRE 2000, ORE 21,00 TUT TI AL DUOMO

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arissime Carissime persone della comunità parrocchiale, pensando al DIACONATO PERMANENTE che, se il Signore vorrà, per l’imposizione delle mani del nostro Arcivescovo, riceverò (con altri 7 compagni di strada) la sera del 21 ottobre in Cattedrale, mi vengono in mente tante sensazioni, pensieri ed immagini che mi fanno battere il cuore come quando si è davanti a qualcuno che si ama… sensazioni, sentimenti che vorrei condividere con voi perché vi voglio un gran bene. La prima sensazione è di stupore e di ringraziamento al Signore per il dono della fede e perché ha messo nel mio cuore il desiderio di diventare diacono: Lui è sempre tanto grande perché ci ama di un amore infinito, proponendoci cose grandi (nell’amore), non facendoci mai mancare la sua forza, la sua tenerezza, la sua speranza. Gesù è l’unico che può farti sperimentare la gioia e la libertà di non appartenerti più, perché la tua vita appartiene agli altri… proprio come la sua. Una profonda gratitudine, che senz’altro si trasformerà in grazia per noi e per tanta gente, è per mia moglie TIZIANA che ha accettato di iniziare e condividere con me questa scelta e per il mio bambino ANDREA che già cerca di destreggiarsi tra microfoni e leggii in Chiesa. Diventare Diacono, significa per me, legare sempre più la mia vita e quella dei miei cari al SIGNORE (quando si ama ci si dona sempre più), alla CHIESA, alla MIA COMUNITÀ PARROCCHIALE che amo tantissimo e che è parte della mia famiglia. Accanto a questi sentimenti vorrei trasmettervi anche alcune immagini a me molto care, che in questi anni di cammino mi hanno aiutato a capire chi sia il Diacono. La prima me la suggerisce la Parola di Dio, quando negli atti degli Apostoli si racconta l’istituzione dei sette diaconi, nata da una necessità concreta della comunità, una comunità attenta ai più poveri. I dodici apostoli allora riunirono il gruppo dei discepoli e dissero: “Non è giusto che noi trascuriamo la predicazione della parola di Dio per occuparci della distribuzione dei viveri. Ecco dunque, fratelli, la nostra proposta: scegliete fra di voi sette uomini, stimati da tutti, pieni di Spirito Santo e di saggezza, e noi affideremo a loro questo incarico. Noi apostoli, invece, impegneremo tutto il nostro tempo a pregare e ad annunziare la parola di Dio”. Questa proposta degli apostoli piacque all’assemblea. Allora scelsero Stefano, uomo ricco di fede e di Spirito Santo, e poi Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenàs e Nicola, uno straniero proveniva da Antiòchia. Presentarono poi questi sette uomini agli apostoli i quali pregarono e stesero le mani sopra di loro. Ora la mente corre a Gesù che sconvolse gli apostoli, quando prima dell’Istituzione dell’Eucaristia, si tolse la veste, si mise un asciugatoio, prese un catino con dell’acqua e si mise a lavare con amore e umiltà i piedi degli apostoli, invitandoli a fare la stessa cosa tra loro e con tutti quelli che avrebbero incontrato nella vita. Poco tempo fa ho conosciuto, rimanendomi molto impressa, la storia del diacono S. LORENZO (siamo attorno all’anno 258 d.C) che chiamato un giorno a presentare e rendere conto dei suoi averi, dei suoi possedimenti al console di Roma, si presentò con un gran numero di poveri dicendo: “QUESTE SONO LE MIE RICCHEZZE, I MIEI CAPITALI, I CAPITALI DELLA CHIESA.” Mi passano davanti agli occhi allora tutti i “NOSTRI POVERI”, le nostre ricchezze, tutti quegli ANGELI che il Signore ci mette accanto, non solo perché necessitano del nostro aiuto, ma anche perché grazie a loro la nostra vita può diventare più bella e più autentica. “SIGNORE BENEDICI NOI CON LA MANO DEI TUOI POVERI” recita un grande uomo… Jean Vanier. Ho sempre presente anche l’esempio altissimo di un innamorato di Cristo e della gente… Don Tonino Bello, che per sintetizzare la vita di un cristiano diceva: “AMA GESU’, LA GENTE E I POVERI SOPRATTUTTO: QUESTO È CIÒ CHE CONTA”. Vivere tutto questo significa per me essere DIACONO. Ma vicino a queste sensazioni, sentimenti e immagini permettete qualche altra notizia più “ufficiale” sul ministero del DIACONATO PERMANENTE (permanente perché non


Abbracciami finalizzato al sacerdozio in quanto possono essere ordinati diaconi, uomini sposati come me). Il diacono, un innamorato di Gesù, della Chiesa, della gente, dei poveri è un ministro consacrato che riceve il PRIMO GRADO DEL SACRAMENTO DELL’ORDINE (gli altri sono il presbiterato… cioè il sacerdote e l’episcopato… il vescovo). Al diacono le mani vengono imposte (durante la liturgia dell’ordinazione) non per il ministero ma per il SERVIZIO. Il diacono è diretto collaboratore del Vescovo a servizio del popolo di Dio. E’“il servizio di Dio alla comunità”… è colui che come Gesù lava i piedi alla gente… “è icona vivente dell’amore di Dio ai poveri”. Con l’ordinazione i diaconi vengono incardinati nella Diocesi, alle dirette dipendenze del Vescovo, che con un suo decreto darò loro il mandato per esercitare il ministero in una determinata parrocchia o in un settore della vita pastorale della Diocesi. Il diacono da parte sua, si impegna ad esercitare l’incarico trasmesso in spirito di filiale obbedienza e di collaborazione con i parroci e gli altri presbiteri. Il MINISTERO DEL DIACONO si svolge nell’ambito della triplice missione della Chiesa: - LA DIACONIA DELLA PAROLA… in quanto egli è chiamato ad annunciare il Vangelo come Ministro della Parola, a commentarlo, vivendo ciò che insegna; - LA DIACONIA DELLA LITURGIA, ponendosi a servizio della mensa del pane e del vino, cioè del Corpo e sangue di Cristo. Il diacono dovrebbe aiutare a far scoprire sempre più che l’Eucaristia è segno del servizio, della condivisione, della comunione nel Signore; - LA DIACONIA DELLA CARITÀ… mettendosi al servizio della gente, dei poveri, stimolando tutta la comunità a farlo. In modo più specifico ancora il DIACONO può: - amministrare solennemente il BATTESIMO; - conservare e distribuire l’Eucaristia; - esporre l’Eucaristia e impartire la benedizione eucaristica; - servire all’altare; - assistere e benedire il matrimonio; - leggere il Vangelo e fare l’omelia; - portare il viatico ai moribondi; - presiedere il rito funebre e della sepoltura; - amministrare i sacramentali. Questa è la missione del diacono, ma questa è soprattutto la missione di tutti coloro che nella loro vita hanno avuto la gioia immensa di incontrare Gesù e come Lui desiderano essere dono per i fratelli. Termino queste mie righe chiedendo DUE GROSSI REGALI: il primo è la preghiera perché con la mia famiglia possa vivere in modo autentico il ministero che mi verrà affidato… ma anche perché possiamo tutti innamorarci sempre più di Gesù e delle persone. Senz’altro anche i nostri angeli custodi in Paradiso, mio papà Aldo, Learco, Suor Mercedes, Francesco, Paola, Aurelio, Lorenzo, Davide, Simone, Raffaella… pregheranno per noi, per tutta la nostra comunità e le nostre famiglie. IL SECONDO REGALO è quello di chiedervi, se non avete grossi impegni, di essere con me e i miei cari sabato 21 ottobre in Duomo per l’ordinazione. Sarà il regalo più bello, perché quando ci si vuol bene si desidera essere insieme in ogni cosa della vita. Grazie. Con tanto affetto, Piero

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Abbracciami

QUESTA È LA SFIDA DELL’AMORE

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uongiorno a tutti: penso sia molto bello ritrovarci oggi a condividere il nostro essere famiglia e a sognare un po’ insieme riprendendo in mano quello che è il sogno di Dio (sì, perché il nostro è un Dio che sogna) e che cioè ogni uomo, ogni persona sulla faccia della terra possa vivere una vita decente… possa sperare nel futuro, possa avere vicino qualcuno che lo accarezzi, che lo faccia sentire amato e desiderato. Mi piace sempre ricordare un episodio successo a Madre Teresa di Calcutta. Dio ci chiama a sognare con Lui… Lui che è il Signore di ogni cosa, il creatore dell’universo, l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine affida a noi, a noi con i nostri pregi e difetti… la missione di realizzare il suo enorme desiderio. Come può allora una famiglia, che sperimenta al proprio interno che cosa significhi l’amore, che cosa significhi essere papà e mamma… come può non provare stupore, non consumarsi perché il grande sogno di Dio possa realizzarsi. Attorno a noi c’è tanta gente che ha bisogno di un po’ d’amore, di conforto, di sostegno e ciascuno di noi, ciascuna famiglia può fare qualcosa, deve fare qualcosa. A volte, si, la tentazione più grossa è quella di chiudersi solo esclusivamente sui propri problemi, sulle proprie esigenze, sui propri interessi: magari il giorno del matrimonio abbiamo fatto tanti propositi per noi e verso il prossimo, abbiamo sognato una casa aperta, disponibile a chi ha bisogno… ma poi ci siamo ridotti a dare doppia mandata alla nostra porta la sera… a dare doppia mandata di chiusura al nostro cuore. Eppure in un mondo in cui si misura tutto sul dare e avere, sulla logica del tornaconto, sull’affermazione della privacy e del potere, c’è bisogno proprio di famiglie un po’ pazze… come diceva l’Abbé Pierre, famiglie che forti dell’amore che vivono al proprio interno e con il coraggio di dirsi “SIGNORE CHE COSA VUOI CHE FACCIAMO” sappiano diventare delle piccole EUCARISTIE, tante ostie consacrate che non desiderano altro che farsi mangiare dagli altri, dai più poveri, proprio come il Signore che ha donato la sua vita per la salvezza di tutti. Che bello tutto questo! Il segreto per riuscirci? Fare entrare Gesù nella nostra vita, nella nostra casa, perché una volta entrato Lui ci mette dentro il suo modo di pensare, il suo modo di agire, di amare, di sognare … ci mette in moto… ci fa intravedere vette alte non facendoci accontentare della collina… ci dà sempre più la consapevolezza che anche se possiamo fare poco perché abbiamo solo due mani, il nostro cuore può contenere il mondo intero perché abbiamo la possibilità di avere un cuore come il suo. C’è una preghiera molto bella di San Francesco, un innamorato di Dio, un uomo pazzo per il suo tempo, ma soprattutto per il nostro tempo. Pensate che bello la sera addormentarsi tra moglie e marito, magari tenendosi per mano e constatare che in quel giorno si è fatto dono del proprio amore a qualcun altro… che non è della nostra famiglia… che magari la nostra casa è servita per ospitare qualcuno in difficoltà, che si è pregato insieme per alcuni fratelli… che alla nostra tavola si è aggiunta una persona che altrimenti avrebbe mangiato da sola… che magari i pavimenti non sono proprio lucidi o c’è un po’ di polvere sui mobili perché ci si è assentati da casa per fare compagnia a chi è solo e non può muoversi o per cantare o giocare con i ragazzi del Centro Papa Giovanni o magari si è lavorato per allestire un mercatino natalizio al fine di tirar su un po’ di soldi per le missioni! Pensate che bello tutto questo… pensate quanta più luce avrebbe anche la nostra casa, quanto più ricca sarebbe, quanta più vita avrebbero i nostri divani e i nostri mobili, quanto più sante sarebbero le scale dei nostri pianerottoli: altro che parquet, o quadri d’autore o ceramiche in bagno o vasca con l’idromassaggio… Tutto questo è alla portata di tutti, ognuno per il tempo, per le possibilità che ha… e anche se il lavoro ci impegna, la famiglia ci prende molto a volte basta anche una telefonata, un biglietto, un’ora la settimana

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Il quaderno di Piero per far sentire a chi è in difficoltà che gli vogliamo bene… che ci sta a cuore. La cosa stupenda è che tutte le volte che abbiamo il coraggio di donare amore a chi soffre, a chi ha bisogno di noi, non ci si rimette mai… non si rende mai più povera la propria famiglia (perché le si sottrae tempo) ma la si rende più bella e più feconda. Questa è la sfida dell’amore, un amore che se vogliamo ogni giorno è interpellato da varie forme di povertà: povertà materiale, povertà spirituali, fisiche, psicologiche… basta guardarsi attorno con gli occhi giusti e scoprire che Gesù povero percorre ogni giorno le nostre strade, che Gesù povero sale le scale del nostro palazzo o lavora vicino a noi… che Gesù povero invoca giustizia da quei paesi dove ancora milioni di persone muoiono di fame. Qui sarebbe bello aprire una parentesi sul ruolo che una famiglia dovrebbe avere di fronte anche a quei meccanismi economici che schiacciano milioni e milioni di essere umani, meccanismi che iniziano qui da noi e di cui anche noi, magari senza saperlo, ne siamo complici. Ma magari possiamo rimandarlo ad un’altra occasione e ragionarci insieme con più calma. Noi siamo fortunati perché la nostra parrocchia, e qui tutti siamo interpellati, ha scelto di condividere l’amore di Gesù… che è un amore molto concreto con gli ospiti del Centro Papa Giovanni… i ragazzi portatori di handicap e gli anziani; con gli ospiti della Casa dell’Ospitalità, con i fratelli del Kenya e i ragazzi disabili del Santo Stefano di Porto Potenza Picena. Insomma ce ne è per tutti. E siamo fortunati anche perché in questi anni di condivisione anche la nostra vita è diventata più bella… più autentica, perché i poveri ci fanno crescere, ci educano alle cose essenziali della vita, ci fanno scoprire la speranza che viene dalla fede… ci portano, ci costringono a rivedere l’utilizzo del nostro tempo e dei nostri beni. Sono anche una benedizione di Dio se sappiamo guardarli con i suoi occhi, sono degli angeli che il Signore ci mette accanto perché ci vuole bene. “Lucia ha alzato la sua piccola mano contemporaneamente alla mia e anche se non ha tracciato veramente il segno della croce (mi ha piuttosto strappato gli occhiali nel momento in cui l’assemblea diceva «amen»), eravamo tutti e due insieme in quel momento un duplice segno di Dio che, nel Cristo, ci benedice attraverso i suoi sacerdoti e i suoi poveri.” Vorrei terminare questo mio intervento, sperando di essere riuscito a dire qualcosa di importante, dedicando alla mia famiglia, a tutte voi famiglie, a voi amici che state preparando il vostro matrimonio e progettando la vostra famiglia due preghiere molto belle… chiedendo al Signore che diventi lo stile delle nostre famiglie… che diventi anche il nostro sogno come lo è anche di Dio. Mi veniva in mente un’ultima cosa… vi rubo solo un minuto: voi pensate che cosa possa significare tutto questo per i nostri figli. Pensate che cosa significhi per un figlio crescere in una famiglia dove si vive la solidarietà, il senso della giustizia, l’ansia per la gente. Molti genitori fanno le assicurazioni per assicurare un futuro ai figli. Assicuriamo ai nostri figli queste cose, costruiamo con loro capitoli d’amore… doniamo con loro rate di speranza a chi non ne ha o interessi di compagnia a chi è solo… e vedrete che il loro futuro sarà fecondo e senz’altro sarà il modo più bello per amarli e prepararli alla vita. Siamo a Loreto e non possiamo non affidarci a Maria la mamma di Gesù: “Santa Maria, serva del mondo, che subito dopo esserti dichiarata cancella di Dio sei corsa a farti ancella di Elisabetta, conferisci ai nostri passi la fretta premurosa con cui tu raggiungesti la città di Giuda, simbolo di quel mondo di fronte al quale la Chiesa è chiamata a cingersi il grembiule. Restituisci cadenze di gratuità al nostro servizio così spesso contaminato dalle scorie dell’asservimento. E fa’ che le ombre del non si allunghino mai sui nostri offertori. Tu che hai sperimentato le tribolazioni dei poveri, aiutaci a mettere a loro disposizione la nostra vita, con i gesti discreti del silenzio e non con gli spot pubblicitari.” Con tanto affetto Piero

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Il quaderno di Piero

BEATI I PURI DI CUORE… PERCHÈ VEDRANNO DIO

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gnuno ci porta dentro un gran desiderio di FELICITÀ di PIENEZZA. I nostri cuori sono inquieti e alla ricerca di un bene che possa saziare la nostra SETE. A volte ci abbeveriamo a cisterne screpolate, inquinate (diceva Don Tonino Bello). SOLO IN CRISTO si trova il pieno compimento del bisogno di felicità”. È Gesù che cercate quando sognate la felicità… è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca dentro con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vero che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vita qualcosa di grande. “Giovanni Paolo II”. Il cuore nella terminologia biblica, ma anche nel nostro modo di pensare, è il centro dei sentimenti, delle scelte e Dio non guarda le apparenze, ma guarda IL CUORE e attraverso il nostro cuore possiamo sperimentare l’amore di Dio PURO significa pulito, limpido, non inquinato: il contrario è un cuore ombrato dal peccato dalle impurità della vita. Occorre imparare a discernere il bene dal male, ciò che può inquinare il nostro cuore e ciò che lo rende libero e puro, capace di accogliere il tesoro più prezioso: GESÙ. L’invito è allora a rinnovare continuamente il nostro cuore ad una purezza nei sentimenti, nel valore del nostro corpo. Un amore vissuto in modo egoistico dà tristezza al cuore. Non dobbiamo aver paura di imparare ad amare e di star lontani dalla banalizzazione dell’amore, della sessualità, dalla cultura del “TUTTO E SUBITO”, del provvisorio che ci allontano da scelte decisive e maturate nel tempo. Decidiamoci di lasciarci incontrare dal Maestro, l’unico capace di liberare il nostro cuore da tutte le ombre che lo invadono, ridonando pace al nostro cuore. Riscopriamo e valorizziamo il Sacramento della Confessione, il Sacramento che ci fa nuovi, il Sacramento, di essere rivoluzionari, diventando strumenti della Misericordia...il valore della preghiera, dell’ascolto della Parola di Dio capace di illuminare la nostra vita per renderla santa. Dobbiamo essere puri di cuore anche con i poveri, facendoci dono per loro: un cuore puro sa vedere molto meglio le necessità di chi soffre. Abbiamo il coraggio di andare controcorrente, diventando con il nostro esempio di vita e la nostra parola strumenti della PUREZZA a cui ci chiama Dio e che può renderci veramente felici. Domandiamoci “Signore che cosa vuoi che io faccia” e se per caso sentiamo che il Signore ci chiama a consacrare a lui la vita nel matrimonio o nella vita sacerdotale, religiosa, missionaria… vediamole sempre come delle strade che Gesù desidera aprirci per renderci felici e attraverso di noi rendere felici gli altri. INVITO AI GENITORI: parliamo di più con i figli, diventiamo credibili, diamo l’esempio, abbiamo il coraggio di metterci in discussione, riscoprendo anche noi la bellezza di essere puri di cuore… una bellezza da trasmettere ai figli… domandiamo ai figli come stanno… aiutiamoli a scoprire la grandezza dell’amore, del corpo… RIMETTIAMOCI A SCUOLA DI VITA se vogliamo aiutare insieme, VOI GENITORI E NOI PARROCCHIA, i bambini, i ragazzi e i giovani a fare della propria vita qualcosa di fantastico. Piero Diacono


Abbracciami

VOI SIETE ABITAZIONE DI DIO, SIETE TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO, SIETE SACRI

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nnanzitutto desidero spiegare lo slogan che ci siamo dati per quest’anno: “GIOVANI NON DAL BALCONE… ma GIOVANI CHE SCENDONO IN STRADA” è una frase di Papa Francesco che pensiamo voglia esprimere il coraggio di mettersi in gioco (lo scendere per strada) e non rimanere a guardare nella propria vita, nella fede e nell’apporto che come giovani possiamo dare nella nostra parrocchia e nella società. Non ci si può solo lamentare, occorre sporcarsi le mani. Le letture di oggi vogliono riaffermare la chiamata e la possibilità per ognuno di noi di vivere una grande intimità con il Signore e inoltre la grande dignità che Dio ci ha dato. Torno un po’ indietro nel tempo: al tempo di Gesù per il popolo di Israele il tempio era l’ambiente sacro per eccellenza (anche se poi a volte come abbiamo visto nel Vangelo si riduceva a mercato). Gli Ebrei erano invitati a recarsi al tempio di Gerusalemme almeno nelle due tre feste più importanti del popolo ebraico (anche Maria, Giuseppe e Gesù lo fanno). Il centro del tempio, era chiamato “SANTO DEI SANTI“ ed era uno spazio vuoto riservato a Dio, inaccessibile all’uomo, in cui entrava una volta all’anno il sommo sacerdote a proclamare il nome di Dio… un luogo separato dagli altri spazi da una tenda. Alla morte di Gesù i Vangeli ci dicono che il velo del tempio si squarciò in due, quindi è un po’ annunciare che, in Gesù, Dio non è più l’inaccessibile, il lontano, non è più una presenza che può essere avvicinata solo da un privilegiato: il velo del tempio si squarciò significa che tutti possono entrare in comunione con Dio, attraverso CRISTO, IL VERO TEMPIO DI DIO. Infatti Gesù nel Vangelo sfidando gli Israeliti dice “distruggerò questo tempio e in 3 giorni lo farò risorgere”… nel senso che il tempio era il suo corpo che all’alba della Domenica sarebbe risorto. ANDIAMO A NOI: cosa può significare tutto questo per noi? Ce lo dice con intensissime parole Paolo nella sua lettera:

VOI SIETE ABITAZIONE DI DIO, SIETE TEMPIO DELLO SPIRITO SANTO, SIETE SACRI e tutto questo in forza del Battesimo in cui Dio ha preso dimora in noi… una dimora che però sta a noi rendere sempre accogliente nei confronti del Signore (perché molti battezzati hanno messo da parte questo germe di sacralità) e vivere da Figli di Dio non è una cosa automatica, ma frutto di una ricerca e di una scelta. SIAMO SACRI. Ma ci pensate che cosa immensa: io, Piero con tutti i miei limiti, le mie fragilità, sono stato reso sacro dal Signore e così ognuno di voi… se permetto a Gesù di continuare ad alimentare la mia anima. In che modo: innanzitutto aprendo il mio cuore a Lui, ascoltando la sua Parola, ricevendolo nei Sacramenti, amando la gente, i poveri… Se prendessimo sul serio questo discorso e ci fidassimo di ciò che Paolo ci dice e soprattutto rinnovassimo sempre il nostro ECCOMI CI STO… la nostra vita si rivoluzionerebbe, assumerebbe dei connotati, una speranza diversa, un modo di guardare a noi stessi e al prossimo in modo diverso. Possiamo essere un po’ come il Tabernacolo qui in Chiesa: sacro perché contiene Gesù nell’Ostia. La stessa cosa siamo noi se vogliamo... e il Gesù che riceveremo fra poco nell’ostia, viene a darci la forza, la gioia, lo stupore di vivere una dimensione così grande. Cambierebbe in meglio anche il modo di guardare gli altri, anche quelli che non la pensano come noi… se ci sentiamo tempio dello Spirito Santo non porteremmo rancore, odio, divisioni e tanto altro… Mi rivolgo a voi ragazzi: spesso cercate la vostra importanza da tante parti, pensate che essa dipenda dal possedere, dall’apparire, dal consumare. Molti non si stimano, non si vogliono bene perché pensano di non corrispondere ai canoni che la società ci propone: spesso cadiamo nella trappola dei mass media, o di un’educazione sbagliata che non si preoccupano di aiutarci a capire la vita e viverla bene, ma fanno solo i loro interessi e noi ci caschiamo. Io valgo perché SONO STATO SCELTO PER ABITA-

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Abbracciami

ZIONE DI DIO, indipendentemente se sono bello o brutto, ricco o povero, se ho la pelle chiara o nera, ecc... Tutto il resto passa, ci stufa, si rompe... l’essere abitazione di Dio, sempre se lo vogliamo, rimane per l’eternità. Ciò che mi viene chiesto è solo far entrare Dio nella mia vita e lasciarmi plasmare da Lui. Non svendiamoci ragazzi, siamo troppo importanti, puntiamo in alto… La felicità, la pienezza di vita passa per questa dignità che il Signore ci offre, non barattiamola con messaggi falsi, fidiamoci di Gesù…lui ha dato la vita per far sì che questa nostra importanza rimanga immutata… pensate solo al discorso della sessualità vissuta spesso e volentieri come merce di scambio o tanta superficialità. L’abbruttirsi con il bere, la droga, la violenza, la pigrizia, la volgarità, l’indifferenza, l’egoismo. Il nostro corpo ci è stato donato sacro, come la nostra anima, non possiamo sciupare tutto questo... non ci guadagneremmo niente, ma vivremmo con mediocrità la nostra esistenza. Se io venissi qui davanti al tabernacolo e con un

pennarello lo deturpassi tutti rimarremmo scandalizzati: quando sciupiamo la nostra vita, quando la viviamo a scartamento ridotto, quando la consumiamo su strade sbagliate è come se rovinassimo questo tabernacolo… e purtroppo non ci scandalizziamo o neanche ci facciamo caso. Le persone che hanno imbrattato il duomo di Milano questi giorni come sfregio, non hanno sfregiato un duomo, hanno sfregiato loro stessi, la loro dignità, la loro importanza, la loro possibilità di amare, di partecipare della vita di Dio. E allora chiediamo oggi al Signore quando lo riceveremo nel Suo CORPO di farci sentire dentro che con Lui il nostro è più pieno e più bello… che ci dia la forza per scommettere la nostra vita sulla sua Parola, di non tenerlo mai fuori della porta… perché Cristo non inganna, CRISTO CI AMA, e ci AMA anche quando roviniamo questo nostro tempio, ma c’è in noi il desiderio di restaurarlo, di rimetterlo in ordine. Confessiamoci di più, riusciremo a trovare molta più serenità e a sentire maggiormente la presenza di Dio nella nostra vita. Gesù è come un sarto che ha confezionato un vestito bellissimo per ognuno di noi: sta a noi indossarlo o no, ma se lo indosseremo, la luce, il profumo dell’amore e delle cose belle emaneranno dalla nostra vita, contagiando anche chi ci sta vicino. GRAZIE SIGNORE CHE CI CHIAMI ALLA SANTITÀ e CHE CI FAI PARTECIPI DI TUTTO CIÒ CHE TU SEI: SIAMO VERAMENTE A QUESTO PUNTO DEI PRIVILEGIATI… anche quando a volte non ce lo meritiamo, perché tu sei gratuità infinita.

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Piero Diacono



Abbracciami


Il quaderno di Piero

CHIUSURA DEL MESE DI MAGGIO

IL ROSARIO: LA PIÙ POTENTE DELLE ARMI Venerdì 31 Maggio 2013 COMUNITÀ C.D.L. “Dietro a GESÙ, sui passi di MARIA” MISTERI DELLA GIOIA 1) L’ANNUNCIAZIONE L’Angelo annuncia a Maria che era stata scelta per diventare la madre del Salvatore, del Messia, di colui che porta la vera liberazione… e soprattutto è stata scelta per vivere una storia d’amore con il Suo Salvatore, che avrebbe donato al mondo. Oggi la stessa storia ragazzi continua anche per noi: anche a noi Dio propone di vivere una storia non di regole o sottomissione, MA UNICAMENTE UNA STORIA D’AMORE… perché come Maria anche noi abbiamo trovato grazia presso Dio… cioè anche noi siamo preziosi agli occhi del Signore, che Lui ci ha fatti a immagine e somiglianza sua. Maria era una ragazza di 16/17 anni, la vostra età, e le meraviglie che poi Dio compirà attraverso di Lei (la meraviglia più grande la nascita di Gesù) si sono concretizzate perché MARIA, pur non riuscendo a capire tutto ha detto il suo «ECCOMI… sì, ci sto, mi fido.». Anche per noi ragazzi, per noi giovani, per noi catechisti, per noi tutti… la nostra piccola o grande fede, o è una storia di fiducia, o altrimenti non sperimenteremo mai quanto sia bello l’amore del Signore e quanto possa rendere straordinaria la nostra vita. L’Eccomi di Maria ha permesso a Dio di entrare in lei e di compiere meraviglie al di là di tutte le sue aspettative o i suoi pensieri… ha permesso a Dio di modellare come un vaso d’argilla la sua vita. Il bello sapete qual è: che la stessa cosa può avvenire anche in noi… sta a noi decidere se aprire la porta del cuore a Gesù e lui ci assicura la felicità e la pienezza di vita… oppure lasciarlo fuori della porta, sapendo che c’è, ma paurosi che prenda troppo campo nella nostra esistenza. Da qui nasce anche la stima che dobbiamo avere di noi stessi: la nostra società ci misura solo sul fare, Dio ci rende sacri nell’essere, indipendentemente da quello che con buona volontà riusciamo a fare. Chi scopre di essere creatura di Dio, capirà il senso della sua vita, non aggiungerà un giorno all’altro senza senso, non si sentirà un fallito o una fallita perché è troppo grasso, oppure non è bello, non ha i soldi o tanto altro o non possiede tutto della tecnologia… ma vivrà sempre con l’orgoglio di essere un FIGLIO, UNA FIGLIA DI DIO e questo non ce lo può togliere nessuno, se vogliamo. Come ogni storia d’amore siamo chiamati a buttarci, a fidarci… perché si dice sempre che IL CAMMINO SI APRE SOLO CAMMINANDO e non stando fermi. Questa decina diciamola allora con il cuore, pensando a Maria che ha avuto il coraggio di dire SÌ… perché aiuti anche noi a dire SÌ a Dio, un sì convinto, vero e a rinnovare questo sì ogni giorno, in ogni situazione. E vedremo meraviglie anche nella nostra storia. 2) MARIA VISITA SUA CUGINA ELISABETTA e RIMANE PER ALCUNI MESI CON LEI Una bella frase dice: “UNA VITA CHE NON SERVE, NON SERVE ALLA VITA”. Chissà se Maria la conosceva: certo che no… ma subito dopo l’annuncio dell’angelo che sarebbe diventata la Madre del Messia, Maria non si mette in poltrona, non comincia a ricevere visite, ma si mette in viaggio per andare a trovare sua cugina che doveva partorire da lì a poco. LA MADRE DEL SIGNORE, si METTE A SERVIZIO di una donna che deve partorire. Cosa avrà mosso tutto questo? LA PIENEZZA DELL’AMORE DI DIO, perché capita anche a noi che quando ci sentiamo amati ci rimane più facile amare, quando sperimentiamo che siamo AMATI DA DIO, che per lui siamo sacri (pur con i nostri limiti) la prima conseguenza è vivere anche noi la nostra


Abbracciami VITA COME UN DONO PER GLI ALTRI. Sia voi, che anche noi, siamo sulla buona strada perché in parte lo stiamo facendo: MARIA CI AIUTI A NON CHIUDERCI MAI IN NOI STESSI, ma a fare della nostra esistenza qualcosa di meraviglioso per tutti coloro che incontriamo e con cui viviamo… in famiglia, a scuola, con gli amici, verso le persone più povere… e attorno a noi ragazzi c’è bisogno di tanta speranza, tutti abbiamo bisogno di speranza. MISTERI DELLA LUCE 1) LA TRASFIGURAZIONE Il Vangelo ci dice che Gesù sopra il monte, si trasfigurò e le sue vesti divennero splendenti. Come sono le nostre vesti… forse quelle che indossiamo sempre a puntino… perché oggi non si può non essere a puntino, ma le VESTI DEL NOSTRO CUORE come sono? Un po’ logore oppure splendenti. Noi siamo molto condizionati dall’aspetto esteriore, viviamo nella società dell’apparire… la trasfigurazione di Gesù ci ricorda che la bellezza più importante è quella dell’anima, del cuore, è quella che proviene dai nostri gesti, dal nostro modo di amare, di comportarci. È una bella sfida quella che ci propone Gesù, ma sono le sfide di chi ci ama veramente che rendono bella la nostra esistenza… e Lui ci ama sul serio! Seconda cosa: quando ci sporchiamo un indumento che ci piace tanto, che ci fa fare bella figura… lo laviamo subito per ridargli la sua bellezza: anche la nostra anima, donataci per essere bella, a volte si sporca con il peccato. LA LAVIAMO, la rendiamo di nuovo splendente, oppure la lasciamo macchiata, sporca, rovinata? Gesù ci ha donato la CONFESSIONE di cui dovremmo approfittare di più, perché un cuore pulito riesce a cogliere di più la presenza del Signore e un’anima pura sa trasmettere anche a chi ci è vicino cose più belle, sa trasmettere un fascino che tutti i vestiti di questo mondo non riuscirebbero a fare. Anche Papa Francesco ci ricorda che Dio è misericordia perché ci vuol bene, nonostante le nostre fragilità: il problema è che noi usufruiamo poco del suo perdono, del suo amore infinito, del suo rigenerarsi. Qualche volta domandiamoci: chi ci conosce che cosa pensa di noi? Che cosa doniamo a chi incontriamo nella nostra vita o con cui viviamo, SPORCIZIA o BELLEZZA? MARIA anima purissima ci aiuti ad essere splendenti come Gesù nel nostro cuore, per poter rendere più pulito, più splendente anche il nostro mondo, un po’ inquinato. 2) GESÙ ISTITUISCE L’EUCARISTIA Veramente Gesù è figlio di Dio, è Dio… ma non solo perché è risorto, ma perché conosce il nostro cuore in profondità… sa quali sono le nostre aspirazioni, i nostri sogni d’amore, e conosce anche le difficoltà che incontriamo. È per questo che ci ha lasciato tutto se stesso con l’EUCARISTIA… in modo che cibandoci di lui riceviamo la forza per vivere da figli di Dio. Ci ha donato attraverso il pane, il suo Corpo e il Suo Sangue per far sì che la nostra vita possa essere come la Sua. Ci pensate cari ragazzi, catechisti e tutti che siamo qui: C’È UN DONO PIÙ GRANDE DI QUESTO? SOLO UN DIO CHE È AMORE POTEVA FARCELO. Quanto ne approfittiamo di questo regalo, quanto cerchiamo nelle nostre scelte la forza di Gesù che ci nutre con la Sua Parola e il Suo Corpo? Vedete l’invito a non perdere la Messa domenicale non è perché dobbiamo riempire la Chiesa, ma è mosso solo dal fatto di aiutarci a vivere il momento più alto di intimità con Gesù… che è la Messa. E questo va fatto anche quando non ce la sentiamo, anche quando siamo stanchi perché abbiamo fatto tardi la sera, quando abbiamo il cuore in subbuglio : anzi è proprio in questi momenti che dobbiamo essere fedeli a questo incontro con il DIO della vita, perché solo Lui è capace di rigenerarci fino in fondo… colmando quella sete di felicità, di libertà, di amore che ci portiamo dentro… e se impareremo a scoprire Gesù nell’Eucaristia, lo sapremo scoprire anche nei nostri fratelli e sorelle, nei

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Il quaderno di Piero più poveri. Maria che sin dal concepimento di Gesù, è come se si fosse cibata di Lui, ci aiuti a far tesoro di questo grande dono. MISTERI DEL DOLORE 1) LA FLAGELLAZIONE Pensando alla flagellazione di Gesù, ci vengono in mente due cose. La prima riguarda tutte quelle flagellazioni, quelle frustate che vi diamo noi adulti tutte le volte che non vi aiutiamo a crescere nel modo giusto… tutte le volte che buttiamo la spugna nell’educarvi ad una vita vera… le flagellazioni che il modo di vivere di questa nostra società vi infligge ingannandovi con valori falsi… facendovi credere (pur di guadagnare soldi) che la vostra importanza passa attraverso il consumo, il divertimento esasperato, una sessualità svuotata dell’amore, la violenza, la legge del più forte… per tutte quelle flagellazioni… per ogni volta che non vi DIAMO UN BUON ESEMPIO. Vedete ragazzi, Gesù non si è ribellato di fronte ai suoi flagellatori, lui agnello inerme nelle mani dei suoi carnefici. Non ne aveva neanche la forza. MA VOI, ma NOI DOBBIAMO RIBELLARCI A TUTTE QUESTE FLAGELLAZIONI CHE AVVENGONO OGGI. Non possiamo essere consenzienti con falsi profeti che ci illudono, con chi si presenta come agnello e in realtà è un serpente velenoso per la nostra vita… dobbiamo ribellarci nel nostro piccolo allo scandalo della fame, della povertà, di una politica che cerca solo, le poltrone e non il bene della gente, al commercio delle armi in cui l’Italia è tra i primi della classe, alla violenza, al crescere del razzismo e all’intolleranza verso chi consideriamo diverso…flagellazioni che vengono perpetuate soprattutto verso i più indifesi. NON POSSIAMO STAR FERMI LÌ, dobbiamo, con le nostre idee, con il nostro essere critici, con la nostra protesta, con il nostro fare, far si che queste flagellazioni diminuiscano o finiscano addirittura sia nei nostri confronti, sia nei confronti dei più deboli. SIATE CRITICI RAGAZZI, NON POLEMICI solo che distruggono, MA CRITICI per costruire qualcosa di nuovo. La seconda cosa che vogliamo dirvi e dirci: accettiamo di essere flagellati… cioè criticati, derisi, emarginati per il Vangelo. Non abbiamo paura di dare testimonianza dell’amore di Gesù, della verità, dell’onestà, del rispetto, della solidarietà anche quando tutto questo viene criticato da chi ci è vicino. Il cristiano come diceva il Beato Padre Puglisi deve rompere le scatole, amando, ma deve rompere le scatole. E Giovanni Falcone, che tutti conosciamo, diceva sempre: “È meglio camminare un giorno a testa alta, che cento giorni a testa bassa”. DIVENTIAMO RAGAZZI, CATECHISTI NELLA NOSTRA MISSIONE DI EDUCATORI, E TUTTI NOI CRISTIANI LA COSCIENZA CRITICA DEL MONDO. Maria donna della speranza ci aiuti come diceva Don Tonino Bello “ad essere sentinelle del mattino, che gridano a tutti che la notte sta per finire, per lasciare il posto al giorno nuovo”. 2) GESÙ SALE IL CALVARIO PORTANDO LA CROCE Anche nella nostra vita ragazzi, catechisti, fratelli e sorelle che siamo qui, esiste la croce, esiste un calvario che dobbiamo salire. PURTROPPO SÌ, perché la vita è cosi. Le croci, che non piacciono a nessuno, non le manda certo il Signore, fanno parte della nostra fragilità, frutto a volte del nostro peccato, fanno parte dell’uomo. Croce è la malattia, croce è la mancanza di amore in una famiglia, croci sono le divisioni, croce è non essere capiti, croce è perdere una persona cara, una delusione nell’amicizia o nell’amore… croce è non intravedere un buon futuro… tante sono le croci e anche voi ragazzi a volte siete costretti a salire il vostro calvario con delle croci ben pesanti. Di fronte a tutto questo vogliamo dirvi alcune cose: quanto sia importante condividere la croce delle persone, portarla insieme come il Cireneo ha fatto con Gesù… attraverso la condivisione, l’amore, la tenerezza, la sensibilità, l’aiuto concreto e quanto sia IMPORTANTE CREDERE CHE GESÙ anche lui a volte non ci toglie la CROCE, MA CI AIUTA A PORTARLA. E di fronte alla croce, alla sofferenza per tanti motivi, noi

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Abbracciami possiamo imprecare, maledire la vita, allontanarci dalla fede… ma non ci servirà a niente… oppure offrirla al SIGNORE perché ci aiuti a portarla e perché attraverso quella croce possa diventare più autentica la nostra vita e quella di tante persone. Sappiamo che questo discorso è difficile, ma dobbiamo prenderne coscienza, sapendo che comunque dopo il sepolcro c’è sempre la resurrezione. E qui non possiamo non ricordare un nostro carissimo amico ed educatore… MASSIMO GALEAZZI che in tutta la sua vita ha dato testimonianza della gioia di appartenere a Gesù e a tutti i giovani e alla gente e che anche nella sofferenza, con tanta fede e dignità e coraggio ha saputo darci una grande lezione di vita. MARIA MADRE DI CHI SOFFRE aiutaci ad offrire tutte le nostre piccole o grandi sofferenze a tuo Figlio Gesù, perché le trasformi come solo Lui può fare, in pienezza di vita e amore. MISTERI DELLA GLORIA 1) LA RESURREZIONE DI GESÙ e la SUA ASCENSIONE AL CIELO Proviamo con la nostra mente, ma soprattutto con il nostro cuore ad immaginare lo stupore di Maria Maddalena nel vedere GESÙ RISORTO: “RABBUNÌ” maestro e alla corsa appassionata di Pietro e Giovanni per andare a vedere il sepolcro vuoto. È iniziato un nuovo giorno: la notte è passata. La Resurrezione di Gesù, segno del suo essere Dio, è quella luce immensa che illumina ogni nostra cosa, quella forza capace di dare compimento ad ogni nostra speranza. È IL TUTTO… ed è ciò che oltre a darci forza e gioia per vivere alla grande da cristiani la nostra vita, ci dice che la vita non finirà mai, che siamo fatti per l’eternità, quell’eternità in cui godremo pienamente della dolcezza, della tenerezza, di Gesù, della Madonna, dei Santi. La Resurrezione di Gesù ci dice in continuazione: non mollare nelle cose in cui credi, non disperare, non abbatterti, PERCHÉ IO SONO CON TE FINO ALLA FINE DEL MONDO. Ragazzi tutto questo deve mandarci via di testa… pensate che cosa siamo davanti al Signore. Dopo la Resurrezione, dopo essere apparso diverse volte con il corpo agli apostoli per rassicurarli, incoraggiarli, confermarli… GESÙ RITORNA IN CIELO ed affida ai suoi amici un mandato: quello di continuare la sua missione, annunciando a tutti la buona notizia del Vangelo. Gesù vivo, risorto e presente è come se passasse in cabina di regia, dicendoci che adesso gli attori siamo noi e dandoci le dritte e la forza per esserlo. Questa è la missione a cui siamo chiamati: essere segno dell’amore di Gesù ogni giorno. È possibile tutto ciò. Da soli stentiamo, ma con la Grazia di Gesù niente è impossibile… Perché nulla è impossibile a Dio. Dio si fida di noi, AFFIDA A NOI se stesso, perché contagiamo il mondo con il suo Vangelo e il suo amore. Guardate ragazzi il regalo più bello che possiamo fare ai nostri genitori… perché anche noi siamo chiamati ad educarli alla fede e al bello dei valori… non solo loro con noi il regalo più bello che possiamo fare ai nostri amici, a coloro con cui viviamo è aiutarli a farli innamorare di Gesù. E’ l’unico fatto che non si usura e passa mai… è l’unica certezza capace di dare un senso vero e pieno alla nostra vita, alla vita di ogni uomo. GESÙ è RISORTO, ALLELUJA… cioè siamo contenti e come usiamo dire tante volte tra noi, facciamoci una canna con l’amore di Gesù… perché Lui veramente può farci sballare di Gioia. MARIA DONNA DELLA RESURREZIONE aiutaci a far sì che il piano non prevalga mai sulla speranza, che il pessimismo non prenda mai il sopravvento nella nostra vita, e donaci quell’amore per la Chiesa che hai avuto tu, sin dal concepimento, con la vita a fianco del tuo Figlio, e poi con la tenerezza e il sostegno che haI donato agli apostoli e alla Chiesa nascente fino alla tua ASCENSIONE IN CIELO e che continui a darci ogni giorno…

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Il quaderno di Piero Abbracciami 2) LA DISCESA DELLO SPIRITO SANTO SUGLI APOSTOLI Questo, cari ragazzi, catechisti e tutti che siamo qui, è uno dei fatti della nostra fede che deve darci più consolazione e coraggio. Gli apostoli avevano vissuto tre anni con Gesù, Gesù era apparso loro dopo la resurrezione, lo avevano toccato, ci avevano mangiato insieme… eppure hanno avuto bisogno dello SPIRITO SANTO che è DIO per fare un salto di qualità nella loro fede e nella loro vita… hanno avuto bisogno dello Spirito Santo per capire fino in fondo Gesù e trovare il coraggio di annunciarlo in tutto il mondo. Perché consolante: perché se hanno avuto bisogno gli Apostoli dello Spirito di Dio, pensate noi e Gesù questo lo aveva predetto conoscendo le nostre paure, le nostre incoerenze, le nostre fragilità che fanno parte della vita. Tutti abbiamo ricevuto il Sacramento della Cresima, cioè siamo stati abilitati da Dio con i doni dello Spirito a vivere seguendo Gesù… dolce impegno che abbiamo confermato con quell’ECCOMI il giorno della Cresima. Vedete abbiamo iniziato con l’Eccomi di Maria, adesso siamo qui a chiedere alla Madonna e allo Spirito che ci aiuti a riconfermare ogni giorno il nostro eccomi. Ci facciamo aiutare dalle persone benedette del Beato Giovanni Paolo II, il santo dei giovani: “Carissimi amici, come i primi discepoli seguite Gesù. Non abbiate paura di avvicinarvi a Lui, di varcare la soglia della sua casa, di parlare con Lui, come ci si intrattiene con un amico. È vero Gesù è un amico esigente che indica mete alte, chiede di uscire da se stessi per andargli incontro, affidando a Lui tutta la vita. Non abbiate paura essere i SANTI DEL NUOVO MILLENNIO: Siate contemplativi ed amanti della preghiera… coerenti con la vostra fede e generosi nel servizio ai fratelli. SE SARETE CIÒ CHE POTETE ESSERE METTERETE FUOCO IN TUTTO IL MONDO”. Dolcissima Maria, donna delle altezze, madre di Dio che mai ci abbandoni, tu che all’invito dell’Angelo con la forza dello Spirito hai detto il tuo “ECCOMI” aiutaci a far diventare come nostro stile di vita questa bella preghiera, concreta ed entusiasmante: “CRISTO NON HA PIÙ LE MANI, HA SOLTANTO LE NOSTRE MANI PER FARE IL SUO LAVORO OGGI. CRISTO NON HA PIÙ PIEDI, HA SOLTANTO I NOSTRI PIEDI PER GUIDARE GLI UOMINI SUI SUOI SENTIERI. CRISTO NON HA PIÙ FORZE, HA SOLTANTO IL NOSTRO AIUTO PER CONDURRE GLI UOMINI A SÉ. NOI SIAMO L’UNICA BIBBIA, CHE I POPOLI LEGGONO ANCORA; SIAMO L’UNICO MESSAGGIO DI DIO SCRITTO IN OPERE E PAROLE.” Amen… cioè… così sia. Piero Diacono

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Il quaderno di Piero

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LIBERI DI AMARE DI PIÙ

arissimo amico, carissima amica, la parola “vocazione” di solito non è molto gettonata tra noi giovani e in modo particolare l’espressione “vocazione religiosa” crea sempre tanto imbarazzo e un po’ di paura. Lo scorso anno, se ti ricordi, durante la Settimana dei giovani sul tema “L’AMORE E…” ci siamo fermati a riflettere sul bisogno di amare e di essere amati presente nel cuore di ciascuno, sulla bellezza dell’amore di coppia e sulla scelta di donare la vita ad un “tu” particolare con il sacramento del matrimonio. Ecco, amico nostro, anche in questa settimana che stiamo per iniziare, parleremo di AMORE, un amore che trova la sua pienezza e la sua gioia infinita nel donarsi completamente a Dio e alla comunità. SÌ… Perché scegliere di diventare un sacerdote, suora, missionario non è altro che rispondere ad una CHIAMATA DELL’AMORE. Senti quanto sono belle alcune righe con cui un giovane sacerdote missionario parla della sua storia: “Poter stare con Gesù, sedersi la sera a tavola con lui in intimità delle proprie cose: nessuno ti sa capire come Lui. Ascoltare le sue parole che riempiono il cuore di pace e di gioia: al mattino rimettersi in cammino per seguirlo mentre va in mezzo alla gente, tra la folla, a sanare, a consolare, a insegnare. Poi nella solitudine della montagna o nel silenzio del lago, da Lui e con Lui imparare a pregare il Padre. Poter stare sempre accanto a Gesù come hanno fatto Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni. Poterlo seguire sempre e dovunque. È questo desiderio che fa nascere un particolare stile di vita tra i cristiani: la consacrazione alla vita religiosa, sacerdotale, missionaria che porta, come i discepoli di allora, a lasciare tutto, per seguire nel proprio tempo il MAESTRO. Egli li aveva incoronati tutti ad uno ad uno i suoi apostoli: era andato a cercarli nelle loro situazioni concrete, nella loro vita quotidiana, mentre gettavano o rassettavano le reti. Aveva fissato negli occhi ciascuno e li aveva amati. Poi aveva detto ad ognuno “VIENI E SEGUIMI”. Per loro Gesù era diventato tutto… Fratello, sorella, madre. E per questo “TUTTO” loro avevano lasciato … Ogni cosa. Anche oggi, entrando nella vita di ogni giorno, Gesù continua a incontrare giovani, ragazzi e ragazze: li guarda negli occhi, li ama e li chiama a seguirlo in modo radicale, totale, esclusivo. Ed è per questo essere innamorati di Lui, del suo progetto di vita che si decide di percorrere le sue strade, gettando le reti della nostra storia sulla Sua Parola… Chi si consacra a Dio non spegne in sé l’amore, non lo reprime (per le scelte che farà… povertà, castità, obbedienza)… Non chiude il cuore ma lo SPALANCA, lo dilata sulla misura del cuore di GESÙ e si lascia invadere della sua pienezza d’amore. Questo vuol dire aprirsi all’umanità intera. LIBERI PER AMARE DI PIÙ, PER AMARE TUTTI (dice uno slogan vocazionale) per porre la propria vita al servizio di ogni uomo. Eccoli allora i sacerdoti, le suore, i missionari, persone specializzate nel servizio dell’umanità: li vedi andare tra la gente, entrare nelle case, nelle piazze, negli ospedali e stare con tutti, giovani ed anziani, buoni e cattivi, ammalati e poveri. Sono in mezzo alla gente, semplici e liberi, fragili e forti allo stesso tempo, resi tali dalla potenza di Dio che è in loro e con un immenso desiderio di comunicare il “tesoro” che hanno nel cuore per farlo diventare sorgente di vita e di speranza in tanti altri “cuori”. Ecco caro amico/a, ciò di cui parleremo in questi giorni: avremo la fortuna di ascoltare persone che hanno già fatto questa scelta e giovani che con gioia si stanno preparando a farla. NON CHIUDERE LA PORTA DEL TUO CUORE A QUESTO MODO DI AMARE… Ma insieme mettiamoci di fronte a Gesù per domandargli: “SIGNORE CHE COSA VUOI CHE IO FACCIA?”. Auguri, ti aspettiamo con affetto. Diacono Piero


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L’unica vera disabilità è quella che possiamo avere nel cuore


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SUPERIORMENTE ABILI

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Nella foto, Piero è in compagnia di tre ragazzi ospitati, negli anni ’90, presso l’Istituto “Santo Stefano” di Potenza Picena. La struttura, dedita all’accoglienza di ragazzi con handicap, era metà delle sue domeniche, in compagnia dei suoi amici.

unica vera disabilità è quella che possiamo avere nel cuore”. Papà era solito ripetermi questa frase: per lui erano diversamente-abili coloro che avevano un cuore sporco, coloro che erano maleducati e che non vivevano al meglio la propria vita. Le persone che possiedono una disabilità fisica o mentale per lui erano dei doni. Da sempre sono stato a contatto con queste persone speciali: mio padre ne ha fatto uno stile di vita e mia madre lavora da molti anni nel centro per disabili “Papa Giovanni XXIII”. Negli anni della sua giovinezza, papà trascorreva molto tempo con i ragazzi disabili. La sua sensibilità fuori dal comune lo aveva fatto avvicinare a questa ricca, ma rifiutata realtà. Il suo tempo non era sacrificato per i ragazzi con handicap, il suo tempo era gioiosamente condiviso con i suoi amici diversamente-abili. Ho sempre ammirato il coraggio di vivere e di esporsi di mio padre. Lui non si vergognava di passare i pomeriggi con i ragazzi disabili, era fiero di quello che faceva e si faceva portavoce di ciò tra i suoi amici. Papà sentiva in lui il bisogno di spendere la vita a servizio degli altri, a contatto con chi poteva dar valore alla sua; in questo si sentiva davvero valorizzato. Per anni ha coinvolto nelle attività parrocchiali e nella sua vita più privata i suoi “amici speciali” facendoli sentire importanti: di questo avevano bisogno, di sentirsi importanti per qualcuno. In un mondo dove disabile è uguale a sfigato e nullità, papà procedeva controcorrente dando un messaggio molto spesso snobbato e deriso. Non si può sprecare il proprio tempo con delle persone che non sono normali. Il suo non era volontariato mosso da pietà strappalacrime, la sua era una scelta di vita… proprio in questo stava la sua forza. Amava passare la domenica pomeriggio nelle strutture che accolgono ragazzi con handicap, per lui era strepitoso passare il capodanno con questi ragazzi. La dolcezza e l’affetto che riceveva lo facevano “felice un bel po’”. Ha cercato di estendere la sua piccola “rivoluzione” facendo partecipi anche altri giovani della parrocchia, proponendo loro questa sfida: far sentire importanti per sentirsi importanti. Un gruppo di amici diedero ben 95


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presto vita ad un meraviglioso film di amore e volontariato. Due scene di questo film ho impresse nella mente. Voglio provare a trasmettere l’emozione scaturita da queste due immagini. Il 30 dicembre del 1995 mamma e papà si sposarono: la loro torta era un grandissimo panettone che, però, non affettarono durante la festa. Il giorno dopo, serata dell’ultimo dell’anno, caricato in macchina il grande dolce, i miei genitori andarono al “Santo Stefano” (struttura a Potenza Picena che ospita ragazzi con handicap) per festeggiare insieme ai ragazzi la loro immensa gioia e l’arrivo del nuovo anno, il primo da sposi. Che gesto meraviglioso, condividere con tutti, ma proprio con tutti, la festa più bella della loro vita! I ragazzi disabili facevano parte della loro famiglia, erano la loro famiglia. Il secondo momento mi riporta nel centro “Santo Stefano” dove abitavano due ragazzi in carrozzina. Tony e Laura vivevano una dolce storia d’amore ma a causa della loro malattia non si erano mai potuti abbracciare e baciare. Un giorno, durante una gita di questo centro per disabili nella nostra parrocchia, mamma e papà portarono Tony e Laura in una stanza, li alzarono dalla carrozzina, li presero in braccio e reggendoli sulle loro gambe li fecero finalmente abbracciare. Che miracolo dell’amore. Due giovani sposi divennero rispettivamente braccia e gambe per i loro amici Tony e Laura. La vita non ha barriere se si scopre la bellezza dell’amore, l’amore come dono, come condivisione, come sostegno dei più deboli. Che ricchezza nei loro cuori, nei loro gesti, che hanno fatto diventare straordinario qualcosa di ordinario. Grazie papà per questa tua sensibilità: la diversità, la disabilità sono dei valori da condividere che arricchiscono i nostri cuori e le nostre vite. La vera disabilità sta in chi la trasforma in divisione e distanza.

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...E COSÌ SI DIVENTA UOMINI DI PACE, OPERATORI DI PACE

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unica vera disabilità è quella che possiamo avere nel cuore”. Ricordo come se fosse ieri quella giornata. La prima notte passata insonne, dopo aver trascorso un pomeriggio all’Istituto “Santo Stefano” di Porto Potenza. La vista ed il ricordo di quelle ore appena passate non mi lasciava. Quei corpi “storpi”, reietti, rifiutati dalla società. Quella camere con i soffitti alti, i muri imbiancati come se fosse un ospedale, i letti con le sbarre, l’odore di disinfettante ovunque... Mi giravo e rigiravo nel letto quella notte, pensando alla vita di quelle persone e mi chiedevo come fosse possibile vivere così e, come se non bastasse, io ero stata lì quel pomeriggio a festeggiare l’ultimo dell’anno… alle 6 del pomeriggio… con il “gruppo di Piero”. Avevo appena finito l’Università da pochi giorni ed ero tornata ad Ancona quando ricevetti la telefonata di Piero: “Ciao Giorgia! Come stai? Cosa fai il 31 pomeriggio… ti andrebbe di venire ad una festa con noi?”. Dopo quelle ore passate con lui ed altri ragazzi lì al Santo Stefano, mai avrei pensato che sarebbe stata l’esperienza che avrebbe cambiato la mia vita in meglio, per sempre. Il mese dopo mi richiamò, ed andammo di nuovo. La “domenica al mese” a Porto Potenza era diventato ben presto un appuntamento imprescindibile, irrinunciabile. Gli incubi della prima notte si trasformarono in ore di condivisione, gioia, ascolto, solidarietà. Piero aveva letteralmente trascinato me e gli altri ragazzi in quella incredibile esperienza, ed aveva operato il miracolo… le persone che avevamo conosciuto all’Istituto erano guarite. Si, erano guarite perché quello che ci diede in mano, era la possibilità di

non vedere più la malattia e l’handicap, ma la Persona. Vedevamo ormai solo Giovanni, Marco, Lorenza, Giorgio, Emilio, Paolo con la loro storia e la loro umanità, senza accorgerci iniziavamo la Relazione e non avevamo più paura. Ci aveva permesso di entrare nelle vite di quelle persone e di far entrare loro nelle nostre. Ogni volta poi che quelle storie, quei pezzi di vita ti scuotevano, lui era lì. Intrecciando le nostre vite ci aveva permesso di conoscere meglio anche la nostra di vita, ci aveva offerto l’opportunità di scegliere da che parte volevamo stare. Non c’era un senso pietistico in tutto questo, anzi! Le persone che avevamo incontrato erano portatrici di valori innanzitutto, anche nella disabilità. Ricordo una giornata in Parrocchia dedicata al tema dell’amore tra uomo e donna. Piero invitò una coppia di ragazzi che abitavano in Istituto. Essi erano entrambi affetti da tetraparesi spastica, non potevano toccarsi, neanche sfiorarsi e si guardavano appena... eppure il loro amore era così forte e così bello da far invidia. Con questi esempi ci siamo lasciati educare da lui. Molti di noi che oggi lavoriamo al Centro “Papa Giovanni XXIII”, abbiamo iniziato con la “domenica al mese” al Santo Stefano. Dopo le domeniche al Santo Stefano iniziarono le domeniche in Parrocchia CON il Santo Stefano. Erano giornate incredibili, dove solo per organizzare il tutto diventavamo matti. La sera eravamo sfiniti ed indolenziti ma felici di questa “contaminazione” tra persone. Tante volte è capitato negli anni di parlare con Piero della necessità di far rimanere la Parrocchia vicina a quell’idea di disabilità che avevamo

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Superiormente abili

allora. Un’idea di disabilità che non aveva tanto bisogno di muri dove stare, ma di persone con le quali stare. Lui ne era l’esempio vivente incarnando la Parrocchia stessa nel rapporto con le persone disabili, anche del quartiere. Sulla scorta di Don Oreste Benzi, di Jean Vanier e di tanti altri profeti che ci ha insegnato ad amare, non creava eventi artificiali per la disabilità ma era lì in prima persona a “sporcarsi” le mani come diceva lui, a condividere la sua vita con loro con quelli che scherzando ma al tempo stesso valorizzando chiamava: “Le nostre autorità”. In un incontrò ci raccontò appunto dell’esperienza dell’Arca di J. Vanier che accoglie persone disabili, e ci porto questo scritto: “Accogliere non è per prima cosa aprire la porta della propria casa, ma aprire le porte del proprio cuore e perciò diventare vulnerabili. È uno spirito, un atteggiamento interiore. È prendere l’altro all’interno di sé, anche se è sempre un rischio che disturba e toglie sicurezza: è preoccuparsi di lui, essere attenti, aiutarlo a trovare il suo posto...DARE LA VITA significa essere colmi di sacro stupore e di profondo rispetto davanti al mistero della persona; significa vedere al di là di tutto quello che è spezzato... Ciò che conta è l’incontro con le persone, l’ascolto, la condivisione; tutto ciò, insomma, che si chiama misericordia: dare la libertà alle persone grazie alla qualità del no-

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stro ascolto e della nostra attenzione, far loro sentire che sono importanti.... E così si diventa uomini di pace, operatori di pace”. J.Vanier E proprio la sua storia con Pallì parlava di tutto questo. Paolo, per gli amici Pallì, era sempre con lui. Lo accompagnava nelle giornate in Parrocchia, nei campi scuola, nella Giornate di Giovani verso Assisi, ed anche al lavoro a volte. Vederli insieme per noi, è stato un esempio vivente di come la disabilità non deve far paura, ma ci chiede solo il coraggio di conoscerla e toccarla con mano. Paolo era diventato da subito uno di noi. In molti poi decidemmo di “fare come faceva Piero”, ed iniziammo a passare il nostro tempo libero con gli altri ragazzi disabili del quartiere. E così anche Alessandro, Luca, Claudio divennero: uno di noi. L’opera di guarigione... continuava. Da lì a poco nacque la Cooperativa Centro Papa Giovanni XXIII. Per molti di noi, gli stessi di allora e Piero compreso, iniziò questa grande meravigliosa avventura che esiste ancora oggi. La Cooperativa è realmente uno dei frutti della vita di Piero accanto alle persone disabili. Oltre ad esserne un fondatore, per molti anni si prese anche l’impegno di essere uno dei consiglieri di amministrazione, assieme al parroco e presidente della Cooperativa Don Giancarlo Sbarbati. Instancabile per fare tutto (feste, eventi, incontri), è stato da sempre il punto di unione tra la Parrocchia, il Centro ed il quartiere. Questo faceva intuire quanto credeva in questo progetto. La Cooperativa Centro Papa Giovanni XXIII oggi, ha all’attivo quasi 20 anni di attività. Da allora ad oggi sono tantissime le cose fatte ed i sogni realizzati per le famiglie, le persone e tutti coloro che hanno sempre creduto in questo progetto. Inizialmente l’obiettivo era quello di creare spazi di aggregazione e animazione per alcuni ragazzi disa-


bili del quartiere. Ben presto è diventata una risposta a tutta la città di Ancona. In breve tempo un’attività inizialmente di volontariato, crebbe e si trasformò. Nacque così il primo Centro Diurno che diventò subito uno dei pochi servizi rivolti alle famiglie con figli disabili che hanno terminato il percorso scolastico e che non hanno alcuna possibilità di inserirsi nel mondo lavorativo. Ma tutto questo non bastava. Una nuova richiesta delle famiglie dei disabili risuonava forte nel nostro territorio: “Che fine avrebbero fatto quei ragazzi che non potevano più essere accuditi dalle loro famiglie?”. Per rispondere a questa esigenza, Piero e gli altri consiglieri decisero di avviare un nuovo servizio: la prima Comunità Residenziale “Il Samaritano”, che permetteva di ospitare otto persone disabili che non hanno più un riferimento famigliare con cui vivere. A questa prima Comunità Residenziale, dopo pochi anni se ne affianca un’altra: il “Don Paolo Paolucci”. Un cammino lungo che ad oggi coinvolge: 50 persone disabili e 50 tra educatori e operatori socio sanitari. Coinvolge tutti nelle più disparate attività: progetti di autonomie, laboratori creativi, vacanze, cura della persona, informatica, attività musicali, etc.) Il Centro, quel gruppo di ragazzi di Piero di allora, ancora oggi dopo tanto tempo cerca con tanta forza di mantenere quei “principi” importantissimi che negli incontri, nelle giornate al Santo Stefano, nei pomeriggi con Pallì, nelle chiacchierate fatte con lui, ci sono stati trasmessi ed oggi sono testimonianza in tutte le attività che vengono fatte e pensate:

LA FORZA DELLA RELAZIONE...non è la pietà quello di cui hanno bisogno le persone con disabilità, ma la vicinanza tra persone che hanno voglia in qualche modo di influenzarsi uno con l’altro, che possono volersi bene ma anche essersi antipatici, che riconoscono uno nell’altro il valore e la centralità della persona. LA PERSONA AL CENTRO… è il nostro motto sempre. Prima di ogni diagnosi ci sono Marco, Daniele, Rita, Laura e tutti coloro che, con le loro abilità e peculiarità, ogni giorno intrecciano con noi le loro storie. Chiediamo ad ognuno di loro di dare il massimo affinché la loro autonomia, dignità e integrazione nella società, sia reale e piena. Un cammino di arricchimento reciproco. IL SENSO DI COMUNITÀ… Il Centro vissuto come Comunità, una comunità che non è mai per se stessa, ma una comunità che si apre agli altri, alla Parrocchia nella quale è nata, al quartiere, alla città. Una comunità che è testimonianza di come ci si appartiene gli uni agli altri crescendo insieme e sorreggendosi a vicenda. Nella settimana che Piero se ne andato, questi principi risuonavano più che mai nelle nostre stanze. C’era sì tristezza, ma anche tanta consapevolezza che quello che ci ha “regalato” è un dono grande. Noi oggi non abbiamo bisogno di altro, perché come spesso ci ricordava: “Là dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore (Mt 6,21)”. Giorgia Sordoni Responsabile Centro Papa Giovanni XXIII

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Il quaderno di Piero

RENZINO... UN NOSTRO ANGELO È TORNATO DA GESÙ CIÒ CHE È STOLTEZZA NEL MONDO,DIO L’HA SCELTO PER CONFONDERE I SAPIENTI, CIÒ CHE È DEBOLEZZA NEL MONDO, DIO L’HA SCELTO PER CONFONDERE CIÒ CHE È FORTE. “San Paolo ai Corinzi ( 1.1,27)” Circa 1 mese fa, precisamente la sera del 16 febbraio, RENZINO, un nostro carissimo amico e fratello del Centro “Papa Giovanni XXIII” nella parrocchia di Cristo Divino Lavoratore è tornato da Gesù... che ha fatto il regalo di averlo con la famiglia e con tutti noi per 53 anni… fisicamente e spiritualmente per l’eternità. RENZO era uno dei 27 grandi amici diversamente abili in qualcosa (ma profondamente abili in tantissimi altri aspetti della vita) con cui abbiamo la fortuna di condividere ogni giorno la nostra vita. Michela, una operatrice del Centro, un giorno diede di loro la definizione più stupenda che abbia mai sentito: “SONO ANGELI CHE IL SIGNORE CI HA DONATO PER RENDERE PIÙ BELLA LA NOSTRA VITA”. RENZINO ha lasciato un gran vuoto nel cuore della mamma Maria (il papà e il fratello sono già nella Casa del Padre), della cognata Mara, degli adorati nipoti Marco e Federica, della cara cugina, e di tutti noi... anche se siamo profondamente convinti che continuerà ad amarci e a darci l’esempio su tante cose dal cielo. RENZO ci ha insegnato a sorridere con il cuore, ci ha ricordato ogni giorno lo stupore e la gioia di avere degli amici, ci ha imparato a vivere con semplicità la fede, ci ha trasmesso la voglia di darsi da fare pur con le sue difficoltà... ci ha fatto scoprire che la disabilità più grossa non è quella del fisico, ma quella del cuore: quando non si è capaci di amare. E noi vogliamo far nostra tutta questa lezione di vita che Renzo ci ha trasmesso... perché noi abbiamo fatto tanto per lui, ma lui ci ha ricambiato alla GRANDE. Ed è qui che scatta il miracolo della CONDIVISIONE, quando non ci sentiamo i soli a dare in certe situazioni, ma abbiamo una sensibilità ed un cuore aperto a ricevere. Quanto si riceve e quanto ci si sente fortunati ad avere AMICI COME RENZO. Sono un po’ le nostre AUTORITÀ, cioè coloro che provvedono al nostro bene, coloro che in un modo particolare si occupano della nostra vita. Per concludere questo articolo vorrei riportare una bellissima preghiera di Jean Vanier che spezza ogni giorno la sua esistenza con amici che hanno delle difficoltà e tante ricchezze. Questa preghiera è tratta da un libro stupendo intitolato “NON POSSO DIRE GESÙ MA LO AMO”. Questa la preghiera: “COLORO CHE VIVONO CON GESÙ NEI POVERI NON SONO CHIAMATI A FARE SOLTANTO DELLE COSE PER LORO, NÈ GUARDARLI COME OGGETTI DI CARITÀ, MA PIUTTOSTO COME SORGENTI DI VITA E DI COMUNIONE. IL LORO SCOPO NON È SOLO LIBERARE I POVERI, MA ESSERE A LORO VOLTA LIBERATI, NON SOLTANTO GUARIRE LE LORO FERITE, MA ESSERE GUARITI NELLE PROPRIE. NON SOLTANTO EVANGELIZZARE, MA ANCHE ESSERE EVANGELIZZATI DA LORO. SIGNORE, BENEDICI NOI CON LA MANO DEI TUOI POVERI. SIGNORE, SORRIDI A NOI NELLO SGUARDO DEI TUOI POVERI. SIGNORE, RICEVI NOI UN GIORNO NELLA BEATA COMPAGNIA DEI TUOI POVERI. Grazie di tutto RENZINO, noi ti porteremo sempre nel cuore, mettendo in pratica i tuoi insegnamenti: da parte tua chiedi a Gesù che ci faccia essere sempre strumenti di amore e, con papà Ilario e Paolo tuo fratello, abbraccia il nostro carissimo MASSIMO GALEAZZI che ti ha voluto un bene dell’anima. il tuo amico PIERO diacono


Abbracciami

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Professore? Chiamatemi Piero Abbracciami


Abbracciami

PROFESSOR PIERO

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Con il microfono in mano, il prof. Piero era l’anima delle assemblee di istituto. Affiancava i suoi alunni nell’ideazione, facendo da collante tra gli studenti e i professori. Ogni assemblea era un’occasione unica: per i suoi ragazzi, ma anche per lui.

apa chi era quello?”. Questa era la mia classica domanda quando venivamo salutati da una persona. “Era un mio alunno” – era la ricorrente risposta di mio padre. Tanti, o perlomeno “quasi tutti”, sono stati alunni di mio padre. Papà ha iniziato la sua carriera, o meglio, la sua missione scolastica insegnando religione ed ha concluso i suoi ultimi giorni facendo lezione di religione ai suoi alunni. Il filo conduttore tessuto in lui, da Dio, lo ha accompagnato anche nella sua carriera lavorativa. Devo confessare che non era un professore come gli altri. Non aveva nulla di più, era semplicemente diverso. La scuola per lui era una famiglia, una casa, e gli alunni non erano “voti” o cognomi ma doni da educare, accompagnare nel cammino della vita. Ogni alunno con i suoi difetti e i suoi pregi era una ricchezza per la scuola, ognuno doveva lasciare un’impronta. Questa sua sensibilità l’ha sempre avvicinato in modo particolare ai suoi ragazzi che lo cercavano per essere consigliati, per sfogarsi, per parlare. Nessuno ha mai avuto come insegnante il Prof. Alfieri: la prima cosa che diceva ai suoi ragazzi era di chiamarlo Piero, chiamarlo per nome. Non pensava fosse una mancanza di rispetto, lui lo esigeva, semplicemente voleva eliminare quella barriera che spesso si crea a scuola. Lui doveva condividere, bisognava crescere insieme. Le lezioni di papà erano un vero e proprio campo di prova dove poter discutere e confrontarsi sulla vita: lui non obbligava i suoi ragazzi a seguire Dio, gliene parlava testimoniando la bellezza di un cammino insieme. Papà ha sempre amato la scuola, ne ha “visitate” diverse, ma ormai da molti anni si era stabilizzato nell’ “Istituto Professionale Podesti - Calzecchi Onesti” di Ancona. Qui si è donato, è maturato, qui si è appassionato. Ha combattuto sempre per i suoi alunni ma esigeva rispetto ed educazione. Molte volte è stato il “terrore” dei consigli di classe: si batteva per non far bocciare i ragazzi che per lui avevano un luccicante forziere al loro interno; anche se non lo vedeva ne avvertiva la pesantezza. Papà si faceva giovane tra i giovani e li aiutava nelle assemblee e nelle feste che erano il più bel momento di incontro e di crescita. Spesso è tornato a casa deluso e affranto, perché veniva offeso da coloro per i quali spendeva tutto se stesso. Spesso tornava a casa arrabbiato, perché non riusciva a coinvolgere tutti i suoi colleghi nelle sue colorate iniziative. Una sola volta, ricordo, ha affrontato un momento di crisi 105


Abbracciami

circa la sua missione: deluso dal comportamento e dalla maleducazione di alcuni suoi alunni aveva pensato di chiedere il trasferimento. Il prof che si “faceva a pezzi” per i suoi alunni era stanco di combattere. Ma l’amore per i giovani, in particolare per i giovani “sfida”, lo ha ancora una volta convinto a continuare il suo servizio trentennale. Nessuno escluso, c’era posto per tutti alle lezioni di Piero. Non lasciava andare via i suoi alunni, si prodigava per quelli più problematici: lui voleva parlare ed aiutare tutti. Di certo la sua materia non richiedeva un grande studio. I compiti più belli che i suoi alunni potevano fare erano sperimentare la loro vita, mettere in crisi il proprio esserci, costruire il proprio futuro. Papà ha saggiamente tralasciato la freddezza dell’insegnamento per far spazio alla sfera emotiva che determina un cambiamento radicale: l’insegnante non insegna perché quello è il suo lavoro, il docente insegna per educare, per accompagnare i suoi alunni nella sfida più importante, quella della vita. Certo, il suo esporsi non era condiviso da tutti, ma lui credeva fermamente nel potere della sincerità, nel potere del sostegno. Anche a scuola era forte la sua testimonianza di aiuto ai diversamente abili, non permetteva che venissero emarginati o snobbati. Tanti ragazzi con handicap erano protagonisti delle assemblee e diventavano il punto di riferimento delle sue attività, permettendo loro un’affettuosa integrazione tra i compagni. Amalgamare il tessuto scolastico non è cosa facile, a molti non interessa. Lui ne sentiva il bisogno e si è prodigato nel farlo durante la sua intensa missione scolastica. Forse sta proprio qui la differenza: per lui insegnare non era una professione, ma una missione. Sentiva di dover dare il meglio di sé ai ragazzi, perché condivideva con loro sogni e progetti ad alto tasso di felicità. Lottava con loro affinché credessero nelle loro potenzialità e perché non fosse mai rubata loro la speranza. Le lezioni teoriche le lasciava ai suoi amati colleghi, lui aveva il privilegio di operare nella pratica. Film, poesia, canzoni e video erano il suo sussidiario. Papà iniziava la sua lezione sempre in orario: l’inizio era improrogabile, la fine la decretavano i ragazzi nelle loro vite.

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Professor Piero

INSEGNANTE DI RELIGIONE

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el colorato caleidoscopio della personalità di Piero, la scuola di religione, come la chiamava lui, faceva scintille. Un Professore, che tutti chiamavano semplicemente: Piero. Non ne risentiva l’autorevolezza del ruolo, anzi, si caricava di umanità e di simpatia. Cosa ha proposto Piero al Profesionale “Podesti” per più di trent’anni? Cercava modi sempre nuovi di testimoniare con efficacia la Vita! Convinto che i ragazzi non hanno tanto bisogno di maestri in cattedra, ha proposto in questa scuola di periferia, non solo geografica, esempi di impegno, di servizio, invitando, negli incontri in assemblea degli studenti, testimoni scomodi, che spiazzano, esistenze coraggiose: da Enzo Aprea a suor Anna Nobili, passando per Chiara Amirante, Alex Zanotelli, la comunità di don Oreste Benzi, Rita Borsellino: gente che ha scelto la vita e la propone con gioia a chi è stato incantato dalle sirene che lasciano prostrati sulle spiagge dell’emarginazione, della diversità. Lezioni di libertà, di verità, che lasciano un segno profondo. Ho avuto la fortuna di incontrarlo, conoscerlo ed essergli amica. Per tanti anni mi ha dato la mano e abbiamo camminato insieme su un sentiero spesso sconnesso, sognando ad occhi ben aperti un mondo nuovo, libero da pregiudizi e aperto all’accoglienza della diversità, pacificato, senza violenze, dove si pratichi la giustizia, la solidarietà, dove ogni uomo e ogni donna possa vivere in pienezza. Sogno? No, traguardo. Realtà da costruire insieme, con l’aiuto dello Spirito. Costa… la vita, di chi vive con coerenza la logica delle Beatitudini. È una promessa di Dio: “L’ho detto e lo farò” (Ez 37,14). La sera del tuo abbraccio con Gesù l’inno del vespro cantava: O Padre buono, Tu al sorger della luce ci chiamasti al lavoro nella mistica vigna; or che il sole tramonta, largisci agli operai la mercede promessa

e diffondi nei cuori la pace del tuo Spirito. Canta Piero, con la tua voce indimenticabile, insieme agli angeli. Andrea mi chiede di continuare il mio racconto e sono contenta di ricordare ancora e far ricordare, dal mio punto di visuale, alcuni aspetti del Piero che ho conosciuto. Illuminati dalla luce del vangelo, vissuto con semplicità e coerenza. “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt. 25,40) La sua prova scritta per diventare insegnante di ruolo e quella, appassionata, cui avevo assistito, dell’esame orale, vertevano su un unico argomento: la capacità del docente di interagire con alunni disabili, portatori di abilità diverse in un contesto di soggetti tutti diversi. Piero aveva un debole per questi studenti speciali, li voleva nelle sue classi, contrattava con i colleghi all’inizio dell’anno: “Questo lo conosco, viene in parrocchia, lo prendo io.” Ecco, li seguiva, con amore, fantasia. Una volta propose per il martedì grasso di fare l’Assemblea d’Istituto all’ODISSEA, la discoteca allora più alla moda, pensando agli studenti in carrozzina, con le stampelle, a braccetto dei compagni, che si inebriavano di musica, di luci colorate, quando ancora non esistevano quelle realtà straordinarie che oggi sono la CAROVANA, il CENTRO H… “Quando più gli capita un’occasione simile?”, diceva soddisfatto, dopo aver organizzato tutto nei particolari, dal trasporto dei ragazzi al bar analcolico. Certo con la collaborazione del personale, ma era sua l’iniziativa, la progettazione, l’anima della festa. Al funerale di Piero, i suoi ex alunni speciali c’erano tutti: come se… se ne fosse andato un parente, più che un parente. “Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino!” (Fil. 4) Che festa il CANTAMARE! Mia figlia ave-

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Abbracciami va partecipato con il coro della sua quinta elementare alla rassegna canora organizzata in parrocchia, ma con un’eco in città così vasta al punto che come ospite d’onore era stato invitato nientemeno che il mitico Mago Zurlì, presentatore dello Zecchino d’Oro. Beh, Piero era comunque il presentatore ufficiale e vi dirò che non sfigurava assolutamente davanti al professionista della televisione. La passione, il calore dei gesti e del sorriso, prima ancora delle parole, coinvolgevano, mettevano i ragazzi a loro agio, li facevano sentire stimati, pronti a fare del loro meglio. “Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti” (1Cor. 9) Purtroppo Piero ha anche celebrato le esequie di tanti ragazzi, a volte al termine di una grave malattia, più spesso vittime di incidenti stradali, dell’uso sconsiderato di sostanze. Ogni volta era un’occasione per gridare forte l’amore alla Vita; quel foglio che ogni volta trovavamo sui banchi della chiesa PREGHIAMO PER… PREGHIAMO CON… la diceva lunga sulla sua fede nell’abbraccio misericordioso del Padre. Abbracciava le madri impietrite dal dolore, prometteva la vicinanza e la manteneva negli anniversari, che ricordava sempre facendo partecipare i compagni di scuola. “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv. 10,10) Indimenticabile quella sera. “Vieni ad aiutarmi, tu sei una donna, a parlare con la mia alunna, 16 anni, incinta di un compagno di scuola. Lui vuole che abortisca”. Era buio nel cortile di Cristo Divin Lavoratore. Lei decisa a tenerlo, impaurita della reazione scontata del padre musulmano, lui urlava, la scuoteva, diceva: mi hai rovinato la vita, volevo comprarmi la moto. Piero, impotente, cosa c’entrava? Cosa c’entra un insegnante di religione, un padre, un cristiano di fronte alle scelte degli altri? “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia” (Mt. 5,6) Lezioni di giustizia, di legalità, solidarietà, in classe ma anche estese all’intero Istituto, alle altre scuole, alla cittadinanza. Una volta che Piero aveva contattato ed era riuscito a far venire persone del

calibro di Rita Borsellino, Alex Zanotelli, la Comunità Exodus di don Mazzi, Emergency, non se li teneva per sé e per i suoi, diventavano un evento degno del teatro Sperimentale, di Piazza del Papa. “Giovani… servi dei sogni, per essere nella vita di chi è tranquillo, spina dell’inappagamento”, lo scriveva sui volantini, leggeri, colorati, pieni di vignette, di canzoni, di frasi rubate a Tonino Bello, Madre Teresa, spunti per riflessioni profonde. “Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.” (Mt. 5,9) Lezioni di pace. Piero uomo sandwich, con indosso due enormi cartelloni colorati, sfilava per il Corso in mezzo ai giovani… quasi da vergognarsene a salutarlo… ma poi avevo letto, nell’inconfondibile stampatello della sua decisa grafia: “Non Ho Paura Della Cattiveria Dei Malvagi, Ma Del Silenzio Degli Onesti” <Martin Luther King>. Iniziava la guerra in Iraq e le bandiere arcobaleno, che per mesi avevano colorato tante finestre della nostra città, ce le aveva consegnate per primo, ripenso con orgoglio, proprio Piero a quella manifestazione studentesca per la pace, alla quale aveva invitato anche il Vescovo. “Perciò andate, fate che tutti diventino miei discepoli; battezzateli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo; insegnate loro a ubbidire a tutto ciò che io vi ho comandato.” (Mt. 28,19-20) Tante volte il Vescovo è stato presente alle iniziative scolastiche, chiamato da Piero (che era del giro, aveva le conoscenze e ne approfittava per proporre sempre iniziative “alte”!). La Messa di inizio anno scolastico, in Cattedrale, con organizzazione di autobus per tutte le scuole di Ancona, era stata fortemente voluta da lui, che tanto spesso rimproverava gli insegnanti di religione per la loro “tiepidezza”: avrebbe voluto un rapporto più stretto con i colleghi, incontri meno formali, tipo quelli cui eravamo abituati nei primi anni di insegnamento, quando ancora non c’era l’Istituto Superiore di Scienze Religiose e ci arrangiavamo per l’aggiornamento incontrandoci una volta al mese. Tante volte il Vescovo è venuto a celebrare il sacramento della Confermazione nella

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Professor Piero nostra Scuola. Piero era attento alla vita interiore dei suoi studenti che, per mille motivi, avevano perso il treno del catechismo. Proponeva: “Vuoi fare la cresima?”. E a fine mattinata, in un’aula scolastica, preparava i ragazzi. Ne ho incontrato uno quest’estate al parcheggio di Portonovo, ormai quarantenne, mi ha detto: “La Cresima è stata la cosa più bella che ho fatto a scuola”. Cosa c’entrava Piero con la loro vita spirituale? Se ne deve far carico un insegnante? Niente catechismo a scuola, ma cultura, questo porsi consapevolmente dell’uomo in rapporto con la realtà. Ecco quel che faceva Piero, uomo della Chiesa nella Scuola, uomo della Scuola nella Chiesa, sulle orme dell’Unico Maestro: ha seminato, ha gettato, nei solchi delle vite dei ragazzi che ha incontrato, semi di vita, parole eco della Parola che salva; con umiltà, rispetto delle differenze, dialogo anche con chi si dichiara indifferente, contrario. E con gioia, ottimismo, con pazienza, con la fiducia che ogni terreno può essere buono. Piero ha fatto suo il messaggio della GMG: “Cari giovani, spalancate il vostro cuore a Dio, lasciatevi sorprendere da Cristo, concede

tegli il diritto di parlarvi… anche attraverso la mia voce.” “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri.” (Gv.13,34-35) Piero uomo, fratello, marito, padre, diacono, catechista, collega, insegnante di religione, pienamente inserito in tutte le realtà, con i suoi difetti come tutti, oggi merita un libro che ne racconta briciole di vita. Ha lasciato briciole d’amore nei biglietti con cui accompagnava il cammino degli amici, nella buona e nella cattiva sorte, con cui ringraziava per una sostituzione nelle sue classi… e dentro c’era un immancabile cioccolatino! Piero, discepolo di Gesù, ora contempli con occhi di cielo il Volto del tuo Signore, che hai amato sino alla fine; sei andato a prepararci un posto, vicino a Lui, vicino a te. Guardaci, ora spetta a noi continuare il tuo lavoro, senza smettere di sognare...

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Stefania Felici Collega insegnante di religione per 25 anni all’Istituto Professionale “Francesco Podesti”


Abbracciami

UN MAESTRO DI VITA

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osa ha rappresentato Piero per l’Istituto Professionale Podesti? Ha testimoniato la vita!!! Non è stato “il” professore di religione, ma ha rappresentato, in una scuola di frontiera come la nostra, il servizio di un uomo a ragazzi spesso non compresi e a volte emarginati. Già, Piero era a loro più vicino, ha accolto, esortato, accompagnato ogni ragazzo a trovare la propria dimensione rendendoli capaci di trovare la verità e la vera libertà. Piero incantava con il sorriso, col suo sguardo limpido e sincero. Che dire poi delle sue battute, tutte ad effetto, delle sue parole sempre cariche di umanità e di simpatia? “La vita è un dono, ripeteva più volte, che si deve accettare, condividere e poi restituire”. “Mordete la vita”. “Apritevi agli altri”. “Il mondo ha bisogno di voi”. Quante volte nelle assemblee di istituto si sono dibattuti temi caldi o difficili, ma Piero riusciva sempre a trovare le parole giuste per sanare le questioni, per trasmettere quei messaggi di giustizia, di solidarietà e di pace. È vero i ragazzi non hanno bisogno di qualcuno che salga in cattedra, infatti era uno di loro, era sempre in mezzo a loro, pieno di un’energia che solo una grande fede può dare. Lui ha reso ogni ragazzo la farfalla di cui spesso raccontava la storia; spesso i ragazzi sono insicuri, timorosi e mascherano tutto ciò con comportamenti aggressivi e fuorvianti, ma Piero riusciva a trovare lo spiraglio per entrare in queste esistenze di sofferenza, solitudine ed emarginazione. Aveva la vocazione all’amore e ha cercato di trasmettere ai suoi alunni che l’amore è dono, consapevole e disinteressato, un dono che la società ha ormai dimenticato, ma che Piero ha quotidianamente ricordato ad ognuno di noi, solo con la sua presenza. Era sempre presente, nonostante i suoi mille impegni, non mancava mai, non deludeva; tutti sapevamo che su di lui si poteva contare; ha dato sempre una risposta

costruttiva ad ogni richiesta e questo era una garanzia per i ragazzi e per noi suoi colleghi. La sua sensibilità era unica: un biglietto o un sms per l’onomastico; gli auguri a tutti gli innamorati per san Valentino, e sottolineava, innamorati della vita, di se stessi, della famiglia, dei poveri e del mondo intero! I suoi volantini, ovunque; la scuola ne era inondata: sulle porte delle aule, sulle pareti, in sala insegnanti, sulle cattedre... chissà forse anche sulla scrivania del Preside!!! Non si poteva non leggerli, dovevi per forza prestar attenzione a ciò che vi era scritto. Era un invito a riflettere, a scandagliare il proprio animo e se era accaduto qualcosa di grave, le sue parole erano una condanna, ma sempre dolci, amorevoli, piene di quella misericordia di cui oggi tanto si parla. Le feste d’istituto erano una sua creazione: dalla riffa, i canti, i balli… e la sua voce che guidava, intratteneva con quello spirito goliardico che lo contraddistingueva. I disabili erano i protagonisti di varie sue attività, sempre al centro dell’attenzione, perché Piero sognava un mondo libero dai pregiudizi, aperto all’accoglienza e alla diversità e questo suo amore per l’ALTRO ha favorito nei suoi alunni la disponibilità verso tutte quelle persone scomode e non sempre accettate. Grazie a lui tanti ragazzi hanno iniziato volontariato, si sono avvicinati alla Chiesa, per non parlare di quegli anni in cui, la settimana precedente la Pasqua, tanti ragazzi hanno ricevuto la Cresima. Per tanti anni Piero ha animato la scuola in cui prestava servizio, non come docente di religione, ma come testimone di amore che non ha risparmiato nessuno. Tutti ne sono stati pervasi ed è per questo che Piero ci mancherà, come ci mancherà il suo sorriso, il suo sguardo dolce. Grazie maestro!!!

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Maria Cristina Fracassa Insegnante dell’Istituto Professionale Francesco Podesti


Professor Piero

BUONGIORNO DONNEEEE...

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on questa frase, urlata spesso da lontano, ci avvisava che stava per arrivare in classe e che era ora di mettere a posto i cellulari poiché a lezione bisognava di parlare di noi e del giusto modo di vivere la vita. Con lui non esistevano formalismi, ci si dava del tu, poiché per lui era importante stare “alla pari” con noi giovani, sentirsi uno di noi, un nostro amico più che un professore. Era sempre in prima linea accanto a noi studenti, ci aiutava ad organizzare le assemblee di istituto consigliandoci nella scelta degli argomenti di cui parlare e partecipando assieme a noi. Ogni lezione si parlava di vita, di come capire che la felicità è nelle piccole cose e senza alcun tipo di tabù: ci spingeva a confrontarci sulla sessualità e sull’amore, senza mai dimenticarci di Gesù. Era la nostra roccaforte, l’esempio di vita

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iero, un professore, un amico e un padre, si poteva descriverlo in mille aggettivi. Le sue lezioni non erano le classiche ore di religione, erano più un parlare della vita, delle cose attuali che capitano nel mondo. Spesso aveva con sé dei libricini fatti da lui che trattavano la lezione che poi avrebbe affrontato. Ha trasmesso tante cose a molte persone, è riuscito a cambiare anche qualche testa dura di qualche suo alunno, ha dato tutto se stesso per il nostro istituto. Ha amato la scuola come se fosse casa sua, la sua famiglia. Era sempre la prima persona ad organizzare feste di istituto,

da seguire, un valido aiuto per il prossimo. Indimenticabili i suoi detti: “l’abito non fa il monaco”, “gli studenti non sono vasi da riempire, ma…fiaccole da accendere”. Nei mesi della malattia, a scuola, ha dato più forza lui a tutti noi con il suo sorriso e il suo non mollare mai, che chiunque altro. Ci raccontava della sua malattia con il sorriso e tranquillizzava noi tutti che eravamo preoccupati. L’essenza di quello che Piero ha rappresentato per tutti noi studenti è tutta nel motto di Don Tonino Bello che lui spesso ricordava: “vivere non è trascinare la vita, non è strappare la vita, non è rosicchiare la vita. Vivere è abbandonarsi come un gabbiano all’ebrezza del vento. Vivere è assaporare l’avventura della libertà”. Alessandro Studente dell’Istituto Professionale Podesti

e gli riuscivano benissimo, era sempre il primo a ballare a cantare e ad incitare le persone a partecipare; ma allo stesso momento era anche un confidente sempre pronto ad ascoltare e a dispensare consigli senza giudicare, ma con il solo interesse di aiutare gli altri. Nonostante la sua malattia trovava sempre una ragione valida per sorridere! Difficile trovare una persona così buona e generosa, ma il nostro istituto ha avuto il privilegio di avere un insegnante così! Nessuno mai prenderà il suo posto. Letizia Studentessa dell’Istituto Professionale Podesti

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Il quaderno di Piero

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A TUT TI GLI INSEGNANTI DI RELIGIONE

o pensato di scrivere queste righe per ritornare un po’ sulla proposta che ho fatto durante l’incontro di Settembre, quando come insegnanti di Religione ci siamo incontrati con l’Arcivescovo. Una proposta non nuova e su cui non debbo convincerti… ti chiedo solo un po’ di attenzione. So che l’aggiornamento di questo nuovo anno e già stato deciso e inizierà tra pochi giorni, ma mi chiedo se possa bastare che ci incontriamo solo per parlare dell’ordinamento della scuola o della didattica contemporanea o della pedagogia generale ecc. Sento molto forte il desiderio soprattutto di condividere con te e gli altri insegnanti di Religione il mio lavoro a scuola, i problemi che mi trovo ad affrontare, le ansie e le gioie che vivo con i ragazzi/e che mi sono stati affidati… Sento forte il desiderio di progettare insieme itinerari o percorsi (oggi li chiamiamo moduli) da proporre alle nostre classi su alcune tematiche riguardanti la dimensione religiosa, la realtà giovanile, il mondo in cui viviamo… Sento forte il desiderio di far tesoro dell’esperienza altrui, di ciò che ciascuno ha elaborato e sperimentato… Sento forte il desiderio di sapere che ci sono persone con cui cammino e spero, a cui far riferimento… persone che condividono con me il bellissimo lavoro che ci troviamo a fare… e non persone che vedo una volta al mese, di cui so poco o niente, con cui scambio due parole senza entrare nella profondità dei rapporti. In più, (introduco la seconda proposta) ho sempre pensato che come insegnanti di Religione abbiamo la fortuna di incontrare ogni settimana tantissimi giovani (cosa non più possibile nelle parrocchie) e che possiamo avere un ruolo molto importante nella formazione delle coscienze… possiamo essere segno della tenerezza infinita del Signore per ogni creatura… possiamo essere voce profetica per un nuovo stile di vita, diverso da quello che ci propone la società dei consumi… dell’apparire… dell’usa e getta… uno stile di vita più rispettoso della dignità di ogni persona. Purtroppo mi sto accorgendo sempre più che i nostri ragazzi/e sono quasi completamente disincarnati dal mondo dove viviamo: sono assenti di fronte ai fatti che avvengono, di fronte alla politica (intesa nel modo giusto), alle scelte che vengono fatte, ai grandi problemi dell’umanità. Anche qui la scuola troppo spesso prepara professionalmente ma non aiuta a prepararsi bene alla vita e soprattutto non aiuta ad avere uno sguardo più ampio che superi il nostro naso. Nei primi giorni di scuola ho domandato a tutti se qualcuno avesse seguito la conferenza di Joannesburg sul futuro del pianeta: NESSUNO! E allora mi dico: ognuno di noi cerca di svolgere al meglio il suo lavoro a scuola, ma perché non pensare insieme qualcosa che aiuti i nostri alunni a diventare sempre più coscienti della vita che hanno tra le mani e buoni cittadini, o meglio, cittadini del mondo? Pensa che bello sarebbe se ci organizzassimo tra scuole per proporre alcune ASSEMBLEE dove confrontarci con alcuni personaggi significativi per quanto riguarda la GIUSTIZIA, la LEGALITA’, la SOLIDARIETA’, il PERDONO, la TOLLERANZA, la NON VIOLENZA, l’EDUCAZIONE ALLA POLITICA ecc.


Abbracciami

I ragazzi purtroppo hanno sempre meno persone che parlano di queste cose: e allora prende il sopravvento la playstation, il fantacalcio, le veline,“Saranno Famosi”, e tanti altri imbrogli dei mass-media. Purtroppo loro ci cascano come pere cotte. È logico che per condividere ciò che ciascuno di noi vive e per progettare qualcosa insieme occorre andare oltre il semplice aggiornamento: occorre magari incontrarsi qualche volta (tenendo conto degli impegni di ciascuno) e SOGNARE UN PO’ INSIEME. Ad esempio sono in contatto per la mia scuola e la mia parrocchia con RITA BORSELLINO, la sorella del giudice ucciso dalla mafia che verrebbe molto volentieri in Ancona per incontrare gli studenti… (è una persona bellissima, capace di trasmettere forti emozioni); in gennaio c’è la possibilità di far venire DON LUIGI CIOTTI e verso marzo PADRE ALEX ZANOTELLI. Ancora: Michele Paulicelli, autore e interprete di Forza Venite Gente ha iniziato a girare l’Italia con il suo nuovo musical su MADRE TERESA DI CALCUTTA e tante altre cose. Sarebbe molto bello unirsi tra scuole, dando un risvolto cittadino ad alcune manifestazioni. Il tutto per aiutare i nostri ragazzi non solo a chiarire o approfondire il problema religioso, ma anche a formarsi una coscienza critica di fronte agli avvenimenti della storia, contribuendo a rendere più bello, più vivibile, più alla portata di tutti il nostro mondo. Siamo forse vicini ad una nuova guerra: dobbiamo solo parlarne in classe o possiamo creare una certa mobilitazione per affermare il valore sacro della vita, attraverso iniziative… sit-in… manifestazioni ecc.? E ALLORA LA PROPOSTA!!! PERCHE’ NON CI INCONTRIAMO (se sei d’accordo) ALMENO PER PARLARNE UN PO’ INSIEME? PROVA A PENSARCI: tu sai che io sono disposto a fare tutto questo e se ti andrà di provarci, fammelo sapere. Grazie della tua attenzione, il Signore benedica e renda sempre più fecondo il nostro lavoro per contribuire a realizzare IL SUO SOGNO. Con affetto e stima Piero Alfieri

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Il quaderno di Piero

TANTI AUGURI A TE…

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na simpatica pubblicità interpretata da un gruppo di bambini canta: “Tanti auguri a te, tanti auguri… tanti auguri a te… tanti auguri!”. E allora amico nostro o amica nostra premettici di farti gli auguri di Natale: in tanti te li faranno, soprattutto le persone care… sai, anche ai nostri occhi tu sei tanto caro. Desideriamo prendere spunto da un versetto della Parola di Dio che forse ascolterai a Natale e che sicuramente già conosci… “Un angelo del Signore disse ai pastori: “Io vi porto una bella notizia che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi è nato il Salvatore, il Cristo Signore. Lo riconoscerete così; troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia…” TI ANNUNCIAMO UNA GRANDE GIOIA: sì questo vogliamo ripeterti, cantarti, urlarti, suonarti… Gesù è la bella notizia capace di dare un senso pieno alla nostra vita; è colui che sa donarci l’entusiasmo per colorare di amore ogni nostro attimo… è l’Unico che possa garantirci un’esistenza veramente libera… UNA VITA IN FESTA. E allora che cosa possiamo augurarti di più se non di aprire il tuo cuore a Cristo, che si è fatto vicino a ciascuno di noi per camminarci sempre accanto. Spesso nelle classi incontriamo tanti giovani non contenti della vita… con gli occhi tristi insoddisfatti di ciò che fanno, incapaci di sognare e di sperare. FORSE SUCCEDE ANCHE A TE! Il Natale possa allora regalarti l’ebbrezza di una vita piena, la gioia di spendere bene le tue giornate, la forza per dare il massimo a scuola o nel lavoro; lo stupore di chi sa scoprire cose sempre nuove, il coraggio di amare gratuitamente la gente… proprio come Gesù che ha dato tutto se stesso e non si è presentato al mondo in modo potente o presuntuoso o addirittura trionfalistico, ma attraverso un bambino piccolo, fragile, povero e indifeso. Quest’anno abbiamo voluto ricordare a tutta la scuola una grande fortuna che abbiamo. Che spesso rischiamo di dimenticare, di non valorizzare. Questa fortuna… che è dono di Dio, è di avere tra noi alcune amiche e amici che hanno difficoltà nella vita, difficoltà fisiche o psichiche, persone che necessitano del nostro aiuto ma che a loro volta possono aiutarci a crescere. Creature che sanno insegnarci tante cose proprio attraverso la loro fragilità e immensa sensibilità. E allora non possiamo non continuare i nostri auguri, facendoli anche a loro che sono i nostri angeli… perché il Signore li sceglie in modo particolare per farci capire il valore dell’amore e della vita. Tanti auguri a DAVIDE… auguri perché la tua voglia di vivere, di amicizia, di impegno non si spenga mai. Che belli i tuoi urli nell’atrio della scuola o in classe per esprimere la gioia di incontrare le persone (sai tu le fai sentire veramente importanti) e di fare qualcosa insieme. Ma anche tu Davide fai gli auguri a noi perché possiamo farci più vicini a te. Perché possiamo essere di più le tue braccia e le tue gambe per andare a spasso per il corso o per fare una pizza il sabato sera o addirittura per andare la domenica all’Odissea o a vedere l’Ancona. Se ci riusciremo sarà un modo per ricambiarti, perché tu ci stai insegnando che nella vita ciò che conta soprattutto è il cuore e la voglia di sognare anche da una carrozzina. Tanti auguri MARCONE: tu sei buono e fai sempre tutto ciò che ti si chiede. Prega Gesù per noi come sai fare tu perché anche noi possiamo riscoprire la bellezza di essere teneri e dolci come te. Tanti auguri ROBERTINO: sei il nostro Power Ranger. Tu giochi tantissimo e ogni mattina durante la ricreazione ti vediamo indaffarato in mille mosse con le tue ricetrasmittenti e i tuoi eroi. Chiedi per noi a Gesù bambino, che senz’altro ha giocato tanto come te, di farci amare il divertimento semplice e pulito, rispettoso di sé e degli altri… noi che andiamo continuamente alla ricerca di svaghi sempre nuovi e strani a volte, illudendoci di trovare chissà cosa. Tanti auguri PIETRO, auguri e grazie perché, sia alla tua classe che a tutti noi, dimostri che è bello saper le cose e parlare bene (a volte rimaniamo stupiti nell’ascoltarti) e auguri a noi ragazzi perché sappiamo vincere la nostra “ignoranza”, la nostra superficialità nell’imparare. Tanti auguri ALICE, tu sei tanto delicata e dolce e attraverso il tuo sguardo e i tuoi silenzi ci chiedi più amicizia e vicinanza. Scusaci perché non sempre ci riusciamo a dartela… forse quasi mai. Tu non stancarci di guardarci.


Abbracciami Auguri a DANIELE e grazie per i tuoi “bacini” che dai a tutti senza distinzione di persone, al contrario nostro che siamo diffidenti e freddi molte volte. Fai gli auguri anche a noi perché da te possiamo prendere la gioia di scherzare e perché no… di dare bacini alla gente. Tanti auguri CHRISTIAN: la tua passione per lo sport ci aiuti ad essere onesti ogni volta che giochiamo una partita o siamo impegnati in una competizione. Auguri SABRINA, persona schietta e sincera, tu dici sempre quello che pensi, non parli mai alle spalle… cosa molto frequente oggi. Prega per noi Gesù, che è verità, perché dalle nostre labbra non escano mai bugie e perché riusciamo a dire sempre apertamente ciò che pensiamo. Auguri MONICA e grazie perché tu domandi sempre tante cose, non vuoi rimanere mai fuori da ciò che si sta vivendo, proprio come Dio che ha scelto di incarnarsi nella storia dell’uomo. Continua ad insegnarci il gusto di “esserci”. Auguri GIORGIA, ragazza innamorata. Auguri Giorgina perché la purezza e la trasparenza che ci dimostri ogni volta che ti piace un ragazzo, contrasta con il modo che abbiamo noi di parlare dell’amore… pieno di volgarità e superficialità. Ed infine tanti auguri FRANCESCA amica del ballo e della danza che ami tantissimo e con cui dimostri la tua delicatezza e la tua sensibilità. Prega Gesù per noi e facci gli auguri perché anche noi possiamo danzare sempre la vita, non stancandoci mai di trovare movimenti sempre nuovi. AUGURI Preside, auguri cari Insegnanti, auguri Bidelli, Tecnici, Segretari e voi tutti che lavorate per rendere più bella la nostra scuola. Auguri perché possiate sempre credere nella vita e nelle risorse dei ragazzi che vi sono affidati e perché le lezioni di purezza e amore che Davide, Marco, Roberto, Pietro, Alice, Daniele, Alessandro, Christian, Sabrina, Monica, Giorgia, Francesca ci stanno dando, rendano più bella e più vera anche la vostra esistenza. Gesù Bambino dia pace a Voi e a tutti i vostri cari. Con affetto Piero Alfieri & Stefania Felici vostri insegnanti di religione

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Il quaderno di Piero

UN GRAZIE... CON UN PÒ DI TRISTEZZA ovvero i sentimenti, le speranze e le emozioni di un professore di religione il lavoro più bello che potessi fare”

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arissimo Direttore MARINO, da tanto tempo volevo condividere ed esternare tutto ciò che vivo, provo e desidererei per la scuola in Italia, che fa parte della mia vita... che significa poi aiutare i ragazzi a costruirsi un futuro autentico. IL GRAZIE innanzitutto è per il nostro Arcivescovo EDOARDO per il messaggio (bellissimo) con cui, anche all’inizio di questo nuovo anno scolastico, ha voluto fare gli auguri a tutti gli alunni ed alunne della Diocesi, a noi insegnanti e al personale che ogni giorno nelle nostre scuole svolge il proprio servizio per mandare al meglio le cose. GRAZIE Don Edoardo... perché con il suo messaggio, con delicatezza e saggezza, ha voluto metterci in guardia dai crescenti pericoli della “crisi etica” che viviamo ormai da tanto. E GRAZIE perché ci ha ricordato che la scuola deve essere un GRANDE LABORATORIO DI SPERANZA... desiderio che ciascuno ci portiamo ogni giorno nel nostro lavoro e nel nostro cuore. Ma permettimi Direttore di esprimere il mio rammarico e la mia tristezza verso le scelte che la SCUOLA ITALIANA, rappresentata dai vari ministri che si succedono, sta facendo. Mi soffermo su un aspetto dell’oggi: senz’altro ciò che scrivo non sarà condiviso da tanti, ma è ciò che provo... è ciò per cui mi trovo a soffrire... guardando negli occhi e cercando di scavare nel cuore dei giovani che mi sono affidati e verso i quali nutro un grande affetto e una grande passione per la loro vita. Certo non tutto va male, ma la mia paura è che stiamo andando indietro… anziché avanti, anche se in nome dello stare al passo con i tempi e in nome di una tecnologia che deve essere sempre più avanzata. Vado al sodo: MI RIFERISCO alla TRISTEZZA che provo nel pensare all’introduzione del REGISTRO ELETTRONICO... per non parlare della scelta fatta già da alcune scuole di utilizzare i LIBRI DIGITALI... sperando che nella mia scuola questo avvenga il più tardi possibile o non avvenga mai! Per qualcuno questo è progresso, per me è un impoverimento crescente che legittimiamo e che renderà la vita dei nostri ragazzi sempre più difficile e fragile. Io non sono contrario alla tecnologia, ma penso che tutto debba avere un limite. Prima della tecnologia, prima della informatizzazione della vita, VIENE L’EDUCAZIONE ALLA VITA VERA che è nostro compito trasmettere alle nuove generazioni. Potremmo girare un film a scuola: “LA NOSTRA VITA DAVANTI AD UN COMPUTER” e non più davanti al volto dell’altro, alla sua ricchezza o alle sue emozioni. Ogni mattina non apriamo più il registro cartaceo, ma accendiamo per l’appello un computer, inserendo una password, clicchiamo la classe e elettronicamente registriamo gli assenti, i presenti e coloro che arrivano in ritardo... tutto questo porta via anche tanto tempo. Se dobbiamo comunicare con i genitori dobbiamo farlo sempre elettronicamente in uno spazio apposito. Se un insegnante decide di fare un compito in classe (spero che almeno questo non riguardi mai noi insegnanti di Religione) deve registrarlo e l’insegnante successivo se ha lo stesso proposito deve aprire il computer ed andare a controllare, sempre su uno spazio apposito, se già qualcun altro è arrivato prima (era tanto semplice controllare il registro di classe)!!! A volte c’è bisogno di chiamare i genitori per metterli al corrente di situazioni difficili riguardante i loro figli: tutto questo si faceva spedendo una lettera o ancora meglio telefonando direttamente. Adesso questo non si deve più fare perché occorre risparmiare sul “CARTACEO” e i genitori possono sapere le cose solo attraverso internet. CHE TRISTEZZA MARINO... che spreco di energie e che povertà di rapporti umani stiamo creando, per non parlare della VIOLENZA che viene fatta alle famiglie, obbligandole ad avere il collegamento con internet... non rispettando la scelta di chi non lo vuole o di chi non può permetterselo. Ci lamentiamo come adulti che oggi i nostri


Abbracciami ragazzi, attraverso internet, facebook, vivono i rapporti con gli altri, le loro emozioni, i loro sogni VIRTUALMENTE e tutti noi, che abbiamo la fortuna di vivere con i giovani, lo constatiamo ogni giorno... ma noi COME SCUOLA INCENTIVIAMO QUESTO MODO DI FARE, DI PENSARE e DI VIVERE. Che bello guardarsi negli occhi e parlare... che bello telefonare ad un genitore per parlarci un po’ insieme, che bello tenere un registro nelle mani e sfogliarlo... sapendo che stiamo sfogliando le storie di tanti giovani. Il ministro dell’istruzione considera questo un progresso ed un risparmio (mi domando sempre se i ministri preposti all’istruzione conoscano profondamente la realtà delle scuole, la vita dei giovani, delle famiglie...e mi viene quasi sempre da rispondermi NO!). Ministro di uno stato che taglia pochissimo sulle SPESE MILITARI (noi dobbiamo educare alla pace e non alla guerra), ma taglia tanto nella scuola, nel sociale, negli ospedali e nella vita di tanta povera gente. Hanno calcolato che con i soldi per l’acquisto di un caccia bombardiere ci si potrebbero costruire 5.000 asili. MA NOI CHI DOBBIAMO BOMBARDARE... LA VITA È SACRA!!!! E dov’è il risparmio se più del 70% delle scuole italiane deve acquistare tanti computer e entrare con fatica, perché poi c’è sempre qualcosa che si blocca, sulla rete? Nella mia scuola abbiamo anche proposto durante un Collegio Docenti che ci saremmo acquistati ciascuno il proprio registro personale e autotassati per acquistare il registro di classe... MA TUTTO QUESTO NON È POSSIBILE. Sinceramente, forse sbagliando, ma sono convinto di ciò che dico...TUTTO NON È PROGRESSO, ma SOLO IMPOVERIMENTO SEMPRE MAGGIORE della vita delle persone in nome di un progresso freddo, interessato, NON EDUCATIVO. Il pericolo successivo saranno i LIBRI DIGITALI: ci priveranno anche di una delle cose belle che possiamo sperimentare: QUELLA DI TENERE UN LIBRO TRA LE MANI, di farci dei segni, di sentire l’odore che ha la copertina o le pagine, di metterlo in borsa per leggercelo da qualche parte, nel silenzio parlante del nostro cuore. NON MI PIACE SINCERAMENTE TUTTO QUESTO!!! So che molti mi criticheranno per ciò che scrivo: io rispetto l’opinione di tutti... so che debbo accettare queste scelte nel mio bellissimo lavoro, ma spero di continuare ad AVERE UN CUORE DI CARNE e non digitale, un cuore capace di stupirsi non davanti a un computer, ma davanti agli occhi dei miei ragazzi... o dei loro genitori... senza inserire una password!!! Piero Alfieri

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Professor Abbracciami Piero


Abbracciami

IO NON TROVO ALTRO MODELLO CHE QUELLO DI GESÙ CRISTO

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mmagino che voi conoscete un po’ la sua figura, che era impegnata su tre prospettive tutte e tre vissute da lui con grande responsabilità e con grande voglia. La prima bellezza della vita di Piero era essere sposo e poi padre, la custodia della sua realtà familiare. La seconda: aveva avuto dalla chiesa il compito di essere diacono che svolgeva con grande passione nella parrocchia in cui abitava. Tutti sanno quanto egli fosse impegnato nell’incontro con le persone, soprattutto nell’amore paterno ed educativo nei confronti dei giovani che frequentavano la comunità parrocchiale. Terzo è il servizio qui, servizio di educatore: non gli piaceva molto il termine professore, ma preferiva educatore, accompagnatore. Ho avuto la grazia e la gioia di incontrarlo quando io sono stato nominato Vescovo in questa città e so io quanti messaggini mi mandava incoraggiandomi, suggerendomi e anche rallegrandosi. Io custodisco ancora nel cuore l’incontro che ho fatto con tutti voi alunni un anno fa. Vorrei, cari ragazzi, che voi costudiste la memoria di quest’uomo sposo, padre, diacono, educatore e questa memoria di lui come uomo integro, di grande reputazione. Vorrei che la custodiste come una memoria da continuare. Riassumo cosi tutto questo: la vita se si vuole è un grande dono da offrire e offrirla è la maggiore sorgente di gioia e di libertà. Custodite la memoria di chi vi ha educato e vi educa, abbiate sempre nel cuore la gratitudine e la risposta generosa. So che avete messo una pianta per ricordarlo: vedetela crescere per il tempo che state qui e immaginate che ognuno di voi sia quella pianta, che cresca, che produca, che sia utile, che sia benevola. Sua Eminenza Cardinale Edoardo Menichelli Vescovo di Ancona e Osimo

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Omelia S. Messa, celebrata in occasione della Pasqua presso l’IPC Podesti. 23 Marzo 2016


Abbracciami

le chiavi del Paradiso

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L’UOMO DI DIO

Il mazzo di chiavi, ritratto nella foto, era il fedele amico di Piero. Lo portava sempre con sé: ogni chiave apriva una stanza diversa della parrocchia. Lui le conosceva tutte a memoria. Inconfondibile il loro suono. Rumore di chiavi? Sta arrivando Piero!

Come può un uomo appartenere a Dio? Dio non è padrone, Dio è padre. Appartenere a Dio non significa essere sua proprietà, essere uomo di Dio significa vivere con e per Dio. Piero ne aveva compreso il significato più profondo. Essere uomo di Dio è gioia vera e papà lo aveva compreso. Questo suo intimo rapporto con Dio è per me molto difficile da raccontare. Prima di essere un grande comunicatore di fede mio padre era un umile destinatario. Ascoltava il Signore, aveva costruito con lui un fedele rapporto di pienezza. Quando ripenso a papà, oltre alle mille immagini e ricordi, mi torna in mente il suo spessore, la sua caratura cristiana. Papà era davvero un uomo di fede ed era pieno dell’amore di Dio. Questo suo essere uomo di Dio lo aveva arricchito e, forte di questo dono, cercava di comunicarne la preziosità attraverso il donarsi agli altri. Papà era uomo di Dio a casa, a scuola, in parrocchia, con gli amici; non lo era solo in Chiesa o nella missione diaconale ma lo era a pieno nella sua vita, nel suo essere uomo. Prima di tutto mio padre aveva fatto la scelta di fede, aveva scelto di non essere un uomo qualsiasi ma di essere un uomo di Dio, un uomo testimone del Suo amore. Durante la malattia il suo essere fedele al Signore ha raggiunto il suo apice: papà ha sperimentato che insieme a Lui si vince anche la malattia, la sofferenza, la morte. Non è facile essere della “squadra” di Dio e spesso diventa una scelta scomoda, papà lo diceva sempre. Bisogna però, ripeteva, trovare il coraggio e non vergognarsi di amare Gesù, di seguire la bellezza e la gioia che Lui ci propone. Piero prendeva spunto da tante personalità, era in continuo aggiornamento e amava leggere per arricchire il proprio essere cristiano. Per lui la fede non era un pacchetto confezionato, ma una continua ricerca in cui approfondirsi, arricchirsi ed amare. Papà amava l’essenzialità e il carisma di Don Tonino Bello, instancabile uomo di Dio, papà amava la tenacia e la dolcezza di San Giovanni Paolo II, luminoso uomo di Dio, papà amava il coraggio e la fortezza della Beata Chiara Luce Badano, giovane donna di Dio. Ognuno è chiamato ad essere tutto ciò perché, citando Papa Wojtyla, “In realtà è Gesù che cercate quando sognate la felicità”. Papà lo aveva cercato ed era felice! 121


Abbracciami


L’uomo di Dio

PIERO VERO SACERDOTE

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esù lava più bianco” è il titolo del profilo facebook di Piero! Diceva San Paolo di se stesso: “Io sono vivo, ma certe volte mi sembra di non essere più io, ma Cristo che vive in me”. Piero è stato un uomo impregnato di Gesù Cristo, che l’ha accompagnato ad accettare la morte, avendolo sempre a fianco, come vero uomo di Dio. Scrive in un messaggio a Mariagrazia, vice-postulatrice di Chiara Luce Badano: “So che tanta gente prega per me, per la mia guarigione, ma io penso come Chiara Luce (di cui sono innamorato): chi sono io, perché il Signore mi debba guarire? A me interessa solo vivere in modo autenticamente cristiano questa situazione. Non so da dove mi venga questa forza, io che sono stato sempre un fifone davanti alle malattie, certamente è il Signore che mi dà forza”. Il diacono Piero sarebbe stato anche un buon parroco? Ci vorrebbe la controprova, ma se la disciplina ecclesiale l’avesse permesso, avrei consigliato all’Arcivescovo di affidargli una responsabilità piena, in proprio. Sicuramente aveva lo spirito del sacerdote. Negli anni già maturi Piero trascorse 10 giorni al seminario regionale di Fano per un’esperienza diretta con altri giovani aspiranti al sacerdozio e alla consacrazione totale con i 3 voti di povertà, castità e obbedienza. Le parole del Vangelo: “Vieni e seguimi, ti farò pescatore di uomini” e l’altra pa-

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rola di San Paolo: “Guai a me se non evangelizzassi”, hanno sempre esercitato in Piero un fascino straordinario. Tornò a casa felice di aver condiviso alcuni giorni con quei giovani chiamati a donare tutta la vita al Signore e alla comunità, ma con qualche perplessità che quella fosse la sua strada: ebbi occasione di parlarne con lui più di una volta, poi, memori che il Signore ci chiede di fare tutto in “perfetta letizia”, mi sembrò giusto esortarlo a fare serenamente la scelta di formarsi una bella famiglia, senza crearsi problemi di non piena fedeltà al Signore. Questo suo essere sacerdote nel cuore ci ha permesso di realizzare tantissime iniziative in piena straordinaria consonanza pastorale, che non sono mai riuscito a sviluppare con i confratelli sacerdoti: lui pensava ai ragazzi e ai giovani, mentre io seguivo la gente adulta: gli sposi, i gruppi di famiglie, gli anziani, le sportive, i pellegrinaggi, le strutture di accoglienza, completandoci ed integrandoci ad ogni occasione. Da persona di viva intelligenza sapeva cogliere il valore delle proposte e da uomo di Dio sapeva essere docile, dopo aver espresso le sue perplessità. Così abbiamo creato un nostro modello di parrocchia, aperto alle iniziative della diocesi, ma senza aderire a movimenti, gruppi o aggregazioni ecclesiali, fiduciosi di essere in grado di realizzare qualcosa di vivo per tutte le età, seguendo quanto la nostra fede creativa e generosa ci consigliava.


Abbracciami Credo, personalmente, di essere stato utile alla maturazione di Piero, incoraggiandolo ad una maggiore libertà dei figli di Dio, facendo nostra la parola di Gesù: “La lettera uccide, lo spirito vivifica”. Da qui ha accettato la libertà nelle celebrazioni liturgiche, specie dei bambini, di portare il Santissimo con sé, affidarlo ad alcuni malati di grande fede, lo svolgersi delle veglie di preghiera. La sua creatività trovava spazio anche nel consiglio pastorale parrocchiale, perché il coinvolgimento dei laici è stato sempre uno strumento basilare di lavoro: io, più portato alle costruzioni e alle iniziative pratiche, lui più idealista e più fervoroso uomo di preghiera, io più tendente alla mediazione a tutti i costi, lui più diretto e pronto a posizioni nette, anche polemiche, ma alla fine il cerchio quadrava sempre. Il giorno dopo le sue nozze (tutta la comunità presente in serena fraternità) mi sentii di convocare i giovani per sentire la loro disponibilità per coprire tutti gli spazi che Piero, ormai sposo, non avrebbe potuto più colmare. Con mia somma, felice sorpresa, Piero non ha mollato di una virgola i suoi impegni parrocchiali, anzi, diventato diacono, ha allargato e approfondito varie nuove proposte alla parrocchia, tra cui la giornata di adorazione al giovedì, le stupende veglie di preghiera durante l’Avvento e la Quaresima, l’adorazione con il Santissimo in alcuni portoni... Questo servizio pastorale generoso, continuo e ben accolto dalla comunità, ha costretto Piero ad una delicata ricerca di equilibrio di coppia. Questo grande spazio pastorale occupato da Piero, con un carisma riconosciuto dalla comunità, mi ha permesso di dedicare tempo ed energie alle tante opere realizzate: il centro “Papa Giovanni XXIII”

per diversamente abili, “Amore e Vita” per gli anziani, il “PalaMassimo” per lo sport giovanile, il banco alimentare, il gemellaggio con Tuuru. Abbiamo dato un sostegno determinante a circa 150 famiglie di Ancona: senza una spalla come Piero mai avrei potuto dedicarmi a quanto realizzato; io pensavo alle costruzioni, Piero ci metteva dentro il suo fuoco spirituale. La piena maturazione di Piero, per un cammino personale e pastorale inconfondibile, è avvenuta con l’incontro di tre grandi santi, tutti capaci di grandissimi sogni: Mons. Tonino Bello, Papa Giovanni Paolo II, Chiara Luce Badano. Mons. Tonino Bello lo ha affascinato con la sua capacità di riscrivere il Vangelo in linguaggi, immagini e scelte pratiche della vita attuale, sognando una Chiesa che al posto della stola indossa il grembiule. Don Tonino, in “Stola e Grembiule” del 1993, usa 3 verbi scarni: “Si alzò da tavola”: per i presbiteri ogni impegno vitale, ogni lotta a favore dei poveri, devono partire dalla “tavola”, dalla consuetudine con Cristo, da una intensa vita di preghiera. “Depose le vesti”: le vesti del tornaconto, dell’interesse personale, della ricchezza, del lusso, dello spreco, del dominio. In una parola, “depose le vesti”, per noi sacerdoti deve significare divenire clero degli ultimi, dei poveri, dei diseredati, di tutti coloro che rimangono indietro. “Si cinse un asciugatoio”: eccoci all’immagine che mi piace intitolare “La Chiesa del grembiule”. Con quel cencio ai fianchi, con quel catino nella destra e con quella brocca nella sinistra, viene fuori un’immagine che declassa la Chiesa al rango di fantesca. “Solo se avremo servito, potremo parlare e saremo creduti”. Stola e grembiule hanno troneg-

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L’uomo di Dio giato in ogni veglia di preghiera, in ogni appuntamento dei campi scuola, nelle varie celebrazioni di Piero, nelle proposte di vita ai ragazzi. Un secondo discorso di don Tonino ha illuminato Piero: “Basilica Maggiore e Basilica Minore”, terminologia usata per distinguere le 4 basiliche maggiori di Roma (San Pietro, San Paolo, San Giovanni, Santa Maria Maggiore) dalle altre basiliche del mondo. Nella terminologia di don Tonino le basiliche maggiori erano i poveri, gli ultimi visti come vera dimora del Re: i primi nel regno di Dio della nostra parrocchia erano quanti erano considerati un problema dalla gente. Piero è stato capace di far accettare alla comunità che a premiare i vari tornei “Carlo Rutolo”, giocaquartiere o altre manifestazioni fossero i ragazzi diversamente abili del centro “Papa Giovanni XXIII”, che per lui erano più significativi del sindaco o dei vari assessori del Comune. In classe, a scuola, era ben contento se vi fosse un ragazzo diversamente abile perché, diceva: “È un vero dono di Dio per tutti”. Mi accorgo ora di quanto fosse unico. Il secondo santo che ha inciso nella sua vita è stato San Giovanni Paolo II, da cui ha preso l’amore per Cristo, centro reale della sua vita: “È Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae”. È Gesù che Piero ha cercato e trovato quando sognava la felicità (non c’era biglietto di auguri, di felicitazioni, di lutto che non recasse il nome di Gesù!!!), non c’era settimana bianca o soggiorno estivo che Piero non arricchisse con momenti di adorazione al Santissimo: la bellezza di Gesù è tutta

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interiore, affascina e appaga, fa sentire sazi e non desideri niente altro. Nei primi mesi di malattia si tratteneva a lungo davanti al tabernacolo, per trovare luce e forza per vivere da buon “cristiano” quella tremenda situazione e il suo dolcissimo Gesù l’ha esaudito. Aggiunge Giovanni Paolo II: “È Lui che provoca con quella sete di radicalità che vi spinge a non adattarvi al compromesso”. La parola “radicalità” usata da Giovanni Paolo significa la fedeltà totale e assoluta a Cristo senza sconti e mezze misure (“sine glossa”, senza correzioni diceva S. Francesco). Quante volte Piero, parlando dell’eredità di Massimo Galeazzi (giovane animatore della parrocchia morto prematuramente), rimproverava i giovani di essere “bravi ragazzi” e basta, cioè gente che non fa nulla di male, ma senza entusiasmo per Cristo e senza impegni diretti a favore degli altri giovani e dei poveri! A volte, in questa proposta di radicalità, Piero poteva sembrare eccessivo e qualcuno faceva fatica a seguirlo e prendeva altre strade, ma Piero non riusciva a concepire che una persona, dopo aver conosciuto Gesù da vicino, lo potesse seguire... solo da lontano! Piero non aveva maschere, era troppo schietto e sincero, e aveva un gran bisogno di vivere con coerenza totale e di chiederla. Piero, che aveva coscienza che Gesù l’avesse chiamato a qualcosa di grande, proponeva a tutti i ragazzi “questo volare alto”, “prendere il largo”, “imitare il Gabbiano Jonhatan” e i ragazzi ascoltavano volentieri. Il suo funerale è stato la conferma di quanto Piero fosse entrato nel cuore di quanti lo avevano incontrato, perché in tutti aveva lasciato un’impronta che li aveva toccati dentro, aveva lasciato una traccia indelebile nella loro vita: molti


Abbracciami non erano riusciti a conservare ben viva la fiamma della Fede come Piero avrebbe voluto e sperato, ma il seme della Parola di Dio sparso a piene mani qualche frutto l’ha lasciato in ciascuno. In un mondo che a volte delude i giovani Piero significava un uomo vero, un cristiano gioioso, bello dentro, generoso e quindi ben positivo e capace di bilanciare le esperienze negative della vita. Chiara Luce Badano. È la scoperta degli ultimi anni: Piero dice apertamente di essere innamorato di lei. “Sarò Santa se Sono Santa Subito” è il programma di vita di Chiara Luce, quello delle 6 S. Alla vigilia della morte Chiara esorta i presenti: “Non dovete piangere, ma ripetere: Ora CHIARA LUCE è FELICE; VEDE GESÙ”. Perché Piero era incantato da Chiara? Il suo sorriso luminoso e pieno di gioia, la sua purezza senza ombre, la sua giocondità in ogni momento, il suo amore limpido e gratuito per Gesù la facevano l’ideale giusto per i suoi carissimi

ragazzi, che invitava a leggerne la vita e seguirne le orme. Tornato dal campo scuola anni fa ci impose di dedicarle una domenica, poi fece venire Mariagrazia Magrini, sua vice-postulatrice per la causa di beatificazione, con il vescovo Mons. Livio Maritano. Piero era convinto che scoprendo questa meravigliosa creatura avrebbe reso un gran servizio alla parrocchia, ma non poteva pensare che Chiara Luce sarebbe stato il suo angelo consolatore, che nel passaggio decisivo della vita, lo avrebbe accompagnato a varcare le soglie dell’infinito ed entrare nella nuova dimensione eterna, dove dice l’apostolo Giovanni: “Noi saremo simili a Lui perché lo vedremo così come egli è”. Si è ritrovato con Learco, Sr. Mercedes, Massimo e Rita ad operare dietro le quinte perché la “sua parrocchia” non può essere come le altre perché è stata fecondata dal passaggio di un “santo” moderno, Piero. parroco Don Giancarlo Sbarbati

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Il quaderno di Piero

LA PREGHIERA DI PIERO IO SONO LA LUCE DEL MONDO perché tu possa essere un mio riflesso che ridà bellezza al volto sfigurato di tante persone IO SONO LA PORTA perché tu possa essere la gioia di chi incontri IO SONO IL BUON PASTORE perché tu possa avere la forza di portare i pesi dei fratelli sulle spalle IO SONO L’ACQUA DELLA VITA perché tu possa essere ruscello che ristora chi ha sete di un sorriso IO SONO IL PANE VIVO perché tu possa essere mensa che accoglie chi è solo IO SONO LA VERITÀ perché tu possa orientare chi ricerca un senso alla propria vita IO SONO LA RISURREZIONE perché tu possa liberare chi è vittima dello scoraggiamento IO SONO L’AMORE perché tu possa amare con il mio cuore Piero Alfieri Padiglioni 21 giugno 2013


Il quaderno di Piero

ADORAZIONE EUCARISTICA

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ccomi davanti a questo mistero di amore: GESÙ EUCARISTIA. Essere qui è prendere coscienza di essere amati da Dio, è scoprire come Dio è nella mia vita, e come l’unica cosa che posso fare è quella di abbandonarmi a Lui. Sì, adorare è abbandonarsi a Dio, fra le sue braccia, spalancare, rifugiarsi “all’ombra delle sue ali”. Adorare è accogliere ciò che Lui mi vuole donare. È vero spesso non so adorare perché penso di essere io a dare qualcosa a Lui, e invece è vero il contrario. Io debbo accogliere ciò che Lui mi dona: la sua presenza, la sua Parola, il suo sguardo, la sua pace, la sua vita, il suo Essere Dio. Il tuo sguardo Signore, non solo mi entra dentro, ma mi dà il coraggio di guardarmi, perché non mi sento giudicato, non mi sento compatito, MA AMATO. Adorare non è solo “guardarti”, MA LASCIARSI GUARDARE DA TE. Il tuo sguardo Gesù, mi raggiunge ovunque, mi trasforma offrendomi di Guardare verso quell’impossibile che mi spingeva a chiudere gli occhi. La tua Presenza mi fa essere, la tua fedeltà mi fa responsabile, il tuo amore mi fa forte, il tuo sguardo mi fa credere, il tuo passo mi fa camminare. Il tuo sguardo mi fa vedere tutto il mio tempo che passa inutilmente e mi mostra in un attimo tutta la mia vita. Il tuo sguardo mi dona la pace del cuore e mi mette dentro la gioia di seguirti. Tu Dio onnipotente che ti sei fatto povero per me, perché io diventassi ricco per mezzo tuo. O vergine Santissima, i tuoi occhi, sono stati i primi a posarsi sul corpo nudo di Dio: lo hai avvolto con il tuo sguardo prima ancora di avvolgerlo in fasce. Mi piace pensare che con questi occhi posso avvolgere pienamente Dio. Quanti occhi si sono rivolti a Dio, quanti occhi si sono fermati su di TE MARIA: occhi stanchi, occhi delusi, occhi bagnati di lacrime, occhi spenti dal peccato, occhi che non sanno più vedere. Maria tu che sei la donna del primo sguardo, purifica gli occhi del nostro cuore perché possiamo vedere il tuo Gesù davanti a noi. Donaci la grazia dello stupore, che abbiamo perso nel corso della vita. Togli o Maria dai nostri occhi quella pesantezza che li fa chiudere e li rende assenti alla realtà delle cose di Dio. DONACI MARIA OCCHI INCONTAMINATI PERCHÉ POSSIAMO VEDERE LA BELLEZZA DEL FIGLIO TUO AMATISSIMO. DONACI O MARIA I TUOI OCCHI. Diacono Piero



Il quaderno di Piero

LA GIOIA DI CREDERE 17 maggio 2009

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esideriamo anche noi dire la nostra riguardo allo striscione scritto dalla Associazione atei di Ancona ed appeso fino a poco tempo fa all’entrata della galleria S. Martino… Vogliamo far nostro l’invito del nostro Vescovo Edoardo ad avere IL CORAGGIO DELL’INDIGNAZIONE contro tutto ciò che non è rispettoso della nostra dignità e del valore dell’uomo… il coraggio dell’indignazione verso tutto ciò che offende ed oscura la verità… Il coraggio di parlare, di testimoniare con gioia la nostra fede e non star zitti… Perché le religioni non dividono ma uniscono, perché Dio è amore… E dove regna Dio regna l’amore vero. Sono gli estremismi (e anche lo striscione fa parte di questi) che dividono… Ma gli estremismi non hanno niente a che fare con DIO AMORE (anche se a volte si nascondono dietro)… È l’egoismo che divide, è la violenza che divide, è una società dove tutto è lecito… Una società che non distingue più il bene dal male, che divide… È una società che ha messo da parte la gioia di educare i ragazzi e i giovani al senso vero della vita, della felicità e della libertà… Che divide e crea disagio. La riprova viene da un articolo riportato qualche giorno fa da un giornale locale che quantificava al 48% la percentuale di giovani che fanno uso esagerato di alcool in Ancona e dintorni… Per non parlare del dilagare delle droghe. LE RELIGIONI NON DIVIDONO… È ancora vivo nel nostro cuore il grande incontro promosso da Giovanni Paolo II con tutti i capi religiosi del mondo ad Assisi… Un incontro dove si è parlato di Dio, di pace, di tolleranza, di condivisione, di rispetto, di fratellanza. TUTTE QUESTE COSE NON DIVIDONO… MA UNISCONO nel rispetto dell’identità di ciascuno. Vogliamo fare nostro l’invito a riaffermare il primato di Dio nella nostra esistenza… Un primato fonte di felicità e pienezza di vita e vogliamo riproporre a tutti la bella frase di Papa Benedetto XVI che parlando ai giovani radunati a Colonia per la Giornata Mondiale della Gioventù disse: “Cari giovani la felicità che cercate, la felicità che avete diritto di gustare ha un nome, un volto: quello di Gesù di Nazareth. Siate pienamente convinti: Cristo nulla toglie di quanto avete in voi di bello e di grande, ma porta tutto a perfezione per la gloria di Dio, la felicità degli uomini, la salvezza del mondo”. E allora ho cercato con alcuni giovani della mia parrocchia di riaffermare LA GIOIA DI CREDERE IN DIO e tra vari modi di farlo ho pensato di far circolare questa idea tra le vie della nostra città attaccando dietro la propria macchina la frase: “GRAZIE ALL’AMORE DI DIO SIAMO CREDENTI E FELICISSIMI DI ESSERLO”. Per info: giovani parrocchia Cristo Divino Lavoratore nel senso che siamo a disposizione sia per chi vuole parlarne e sia per che desidera sperimentare ciò che diciamo. Comunque ancora una volta… GRAZIE VESCOVO EDOARDO! Diacono Piero



Il quaderno di Piero

IO OFFRO LA VITA

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el Vangelo c’è una espressione che dovrebbe essere uno dei caposaldi della nostra fede: “Il mercenario vede venire il lupo e fugge, perché non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore.”. È come se Gesù dicesse: “AL MERCENARIO NO, MA A ME, PASTORE VERO, LE PECORE IMPORTANO. TUTTE”. È come se dicesse a ciascuno di noi: “Tu sei prezioso ai miei occhi, tu sei importante per me”… IO GLI IMPORTO. A Dio l’uomo importa al punto che Dio considera ogni uomo più importante di se stesso: PER QUESTO DÀ LA VITA. A questa certezza vogliamo affidarci: a Dio importa. E questa certezza la mantengo viva anche quando vivo il suo silenzio, anche se non lo vedo… se per un periodo mi sento distante da Lui, quando c’è solo buio in me. IO SONO IL PASTORE BUONO, il testo greco dice: “IO SONO IL PASTORE BELLO”, una bellezza che non dipende dal suo aspetto esteriore, ma il suo fascino deriva dal suo coraggio, dal suo impeto, dal suo donarsi. Anche con le parole “IO OFFRO LA VITA”, Gesù non intende per prima cosa la sua morte in croce: dare la vita è inteso nel senso della VITE che da linfa ai tralci…è dare le cose che fanno vivere, vi dò il mio modo di amare, di lottare, di servire…perché solo con un supplemento di vita potremo battere i lupi che amano la morte, i lupi di oggi. Tutti siamo pastori seppur di un piccolissimo gregge, la nostra famiglia, la comunità, gli amici, coloro che si affidano a noi. Ma dirlo con i fatti: dare la vita concretamente significa dare del nostro tempo, far sì che l’altro sia felice in Gesù. Gesù ci invita a non rassegnare la nostra fame di felicità con pillole artificiali, ma dicendo un sì che riempie completamente l’essere umano. “Io ho detto sì a Dio e ho trovato la nota che ha fatto cantare tutta la mia vita” (Beata Teresa di Calcutta). Gesù però non vuole agire da solo, vuole che qualcuno renda visibile il suo volto, le sue mani, i suoi piedi instancabili. Dio continua offrendoci la grazia di continuare convinti la nostra esperienza con Lui e con la gente. Ma come si fa a sentire la sua voce? Gesù è come se ci dicesse: “La mia forza dell’amore, la mia grazia non finiranno mai”. Attraverso la preghiera, la grazia della Messa e delle confessioni, la Sua parola, i poveri, la Chiesa, la comunità. Ma il pastore deve camminare davanti alle pecore: deve guidarlo verso i prati LIBERI e NON INQUINATI e pone delle segnaletiche: la CHIESA e tutte quelle persone che hanno scelto di vivere al massimo l’intimità con Gesù. “ABBIATE IN VOI L’ODORE DELLE PECORE”. Cosa può voler dire per noi? Piero Diacono


Abbracciami

RIMANETE IN ME E IO IN VOI VANGELO

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o sono la vite e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto lo taglia e ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto. E voi siete già puri a causa della parola che vi ho annunziata. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto perché senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e poi secca: poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà fatto”. 1) Il Vangelo ci dice che Cristo è Vite e io sono tralcio: io e lui la stessa cosa. Stessa pianta (battesimo) stessa vita, unica radice, una sola linfa. Lui in me e io in Lui, come un figlio dalla madre. Tutto questo indipendentemente dai miei meriti, da ciò che faccio: certo, se do spazio a questa natura divina porterò frutto, altrimenti no. 2) CONDIZIONE: RIMANETE IN ME: Voi in me e io in voi. Prendiamo coscienza e aiutiamo a prendere coscienza che c’è un’energia che scorre in noi, che proviene da Dio, che non viene mai meno e alla quale possiamo sempre attingere. Noi dobbiamo solo aprire strade e canali A QUESTA LINFA. C’è una vita che viene prima di me, viene da Dio e va in amore, porta frutti di amore. E dice a me, piccolo tralcio: ho bisogno di te per una vendemmia di sole. 3) IL CENTRO DEL BRANO È IL FRUTTO. Ogni tralcio che porta frutto lo pota perché porti più frutto. Potare non significa amputare, MA DARE VITA, ORIENTAMENTO, ORDINE. Distacchiamoci dalle interpretazioni che leggono le potature come le sofferenze portate dalla vita. Come se il dolore fosse amico dell’uomo, fosse un bene. NON È COSÌ. 4) GESÙ mi chiede di portare frutto e non di fare sacrifici fini a se stessi: il sacrificio è importante quando rientra nella logica dell’AMORE, DEL DONARE, DELLA GIOIA. È come se Gesù ci dicesse “Non ho bisogno di sacrifici MA DI GRAPPOLI BUONI, non ho bisogno di sofferenza MA CHE TU FIORISCA… perché questo è il modo di glorificare il Padre.”. 5) Il nome nuovo del Vangelo è FECONDITÀ, FRUTTO BUONO che ha il gusto di tre cose: AMORE, LIBERTÀ, CORAGGIO. Piero Diacono

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Il quaderno di Piero

AUGURI PERCHÈ

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n semplice biglietto, come al solito artigianale, per dirvi di cuore… TANTI, TANTI AUGURI di BUON NATALE e di un BELLISSIMO 2009 INSIEME! Ho provato a pensare che cosa mettere in quel Buon Natale e che cosa augurarci per un nuovo Anno che sta per iniziare. Vi chiedo qualche minuto di attenzione... BUON NATALE PERCHÉ DIO È DIO e questo per far tesoro fino in fondo di un DIO che nasce piccolo “avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia”… per venirci a ridire quanto Lui ci ami e quanto sia disposto a rinunciare a tutto per noi. Dice S. Paolo: “Dio da ricco che era si è fatto povero, per arricchire la nostra povertà”. Auguri perché possiamo prendere sempre più sul serio un Dio così, perché la fede possa crescere, i dubbi possano chiarirsi, i momenti di aridità possano riempirsi della tenerezza di Gesù. Auguri perché la Parola di Dio possa diventare l’ispiratrice delle nostre scelte, dei nostri comportamenti… Auguri perché dentro casa nostra si possa pregare sapendo che anche gli altri pregano. Auguri perché la Messa possa diventare consuetudine, appuntamento irrinunciabile per cibarci di Gesù… perché la Confessione sia la sorgente dove poterci rigenerare il cuore perché solo il Signore è capace di liberarci dalla mediocrità e dalle bassezze in cui tutti cadiamo. Da soli non ce la facciamo. Auguri perché il profumo di Dio riempia le nostre case, perché possiamo riporre in Lui tutte le nostre pene, le nostre gioie, le nostre preoccupazioni… certi che Lui ci darà la forza per affrontare tutto con speranza... certi di un Padre che non abbandona i suoi figli, soprattutto quando sono più in difficoltà. Questa consapevolezza certo cresce con la preghiera, con lo stare un po’ con Lui, con il ruminare la Sua Parola…ricevendolo nei Sacramenti. BUON NATALE PERCHÉ DIO È CONDIVISIONE: infatti Dio ha scelto di condividere da vicino tutto se stesso (l’essere Padre, Figlio e Spirito Santo), la Sua Santità con noi persone, senza lasciare per sé niente e questo lo ha fatto per sempre, nella fedeltà e nell’amore. Auguri allora perché anche noi possiamo sceglierci per sempre, non a periodi, (con qualcuno passano settimane che non ci si riesce a vedere), non in base a criteri nostri… ma consapevoli che se Lui ci ha fatto incontrare e crescere insieme vuol dire che si aspetta qualcosa da noi tutti uniti. La tentazione è sempre quella di prendere le persone quando ci va, o se possono tornarci utili e non di sceglierle sempre, consapevoli del dono che ognuno può rappresentare. Auguri allora perché con umiltà riusciamo a legare sempre di più i nostri volti, le nostre storie… Auguri perché sappiamo fidarci gli uni degli altri, sappiamo CONFIDARCI gli uni con gli altri per portarci maggiormente nel cuore. Auguri perché non ci VERGOGNIAMO DI CHIEDERCI AIUTO o consigli, perché tutti ne abbiamo bisogno. Auguri perché come i bambini sappiamo ridiventare “innocenti” e come i bambini sappiamo vedere prime il bene e la positività nelle persone e poi magari anche i difetti che purtroppo non mancano mai in ciascuno… ma sono sempre di meno rispetto alle cose belle. Auguri perché come gruppo possiamo far tesoro di tutto ciò che abbiamo vissuto insieme e il sogno è che con determinazione possiamo arrivare a condividere sempre di più le scelte, le pene e i progetti che ciascuna famiglia o ciascuno di noi si porta nel cuore. Una canzone che di solito proponiamo ai ragazzi dice: “C’E’ UNA STORIA INCREDIBILE PER NOI”. È vero, se ci crediamo c’è una storia incredibile per noi tracciata da un Dio che


Abbracciami ci vuole Comunità… perché Lui è comunità… Lui è gruppo… Lui è amore. BUON NATALE PERCHÉ DIO È DONO GRATUITO. È sempre bella la frase “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Auguri allora perché possiamo ritornare a lavorare insieme per i più poveri, perché possiamo tornare a sognare insieme un mondo più giusto… sogni che hanno scaldato il nostro cuore e che ora, nascosti dietro l’alibi dell’impegno, o dei figli, o della stanchezza, o delle preoccupazioni, abbiamo messo da parte. Proprio ieri sera rileggevo alcune lettere di Zanotelli e pensavo a quanti discorsi ci abbiamo fatto su… o ripensavo a tutti i convegni a cui abbiamo partecipato o alle proposte che anni fa abbiamo fatto in parrocchia sul mercato Equo, la banca etica, altre forme di condivisione, l’amicizia e la condivisione con la disabilità. È stata solo una parentesi della giovinezza (perché eravamo più liberi e sognatori) o erano le premesse di uno STILE DI VITA che POSSIAMO CONTINUARE? Auguri perché possiamo ritornare ad infiammarci gli uni con gli altri su tutte queste cose, in base ai tempi di ciascuno, ma auguri perché nessuno si metta fuori pensando di non poterlo fare… perché se non “bruciamo d’amore qualcuno rimarrà a freddo” e soprattutto ricordiamoci che “NOI DIVENTIAMO QUELLO CHE SPERIAMO E CHE VOGLIAMO”. BUON NATALE PERCHÉ DIO È PANE o MEGLIO TRASFORMA IL PANE IN SUO CORPO. Auguri allora perché il Signore ci aiuti a far festa tutte le volte che ci incontriamo, ma ci aiuti anche a trasformare il nostro incontro di amicizia in incontro di Fraternità, in un incontro sacro… in cui non si parli solo dei figli, o del lavoro o del più e del meno… ma dove si ritrovi il gusto della preghiera, del confronto con la Parola, del progettare insieme come essere segno della tenerezza e della passione del Signore per ogni essere vivente. Auguri perché non ci accontentiamo di passare una bella serata insieme, ma rendiamo quel tempo fecondo anche per quanto riguarda il condividere fino in fondo le nostre situazioni mettendoci a disposizione del progetto di Dio. BUON NATALE PERCHÉ DIO È INIZIATIVA! Dio è venuto verso gli uomini…non ha aspettato la nostra richiesta, perché chi ama fa sempre il primo passo. Auguri allora perché ciascuno possiamo diventare sempre più promotori, propositori di cose belle non solo per la nostra famiglia, ma anche per gli altri. Questo non vuol negare l’esigenza a volte di stare da soli! Per tante cose siamo capaci di prendere iniziative (sport, vacanze, serate ecc...): che bello sarebbe se provassimo ad essere “organizzatori” di cose belle che coinvolgano anche gli altri? UN BUON NATALE DISCUTIBILE, CRITICABILE ED ESIGENTE? SENZ’ALTRO SÌ, ma è il Buon Natale che continuo ad augurare a me, alla mia famiglia e a tutti voi che considero mia famiglia e con cui penso sia molto bello vivere insieme… A volte il rischio è quello di accontentarsi, e l’accontentarsi è molto subdolo perché si inserisce nelle nostre cose senza che ce ne accorgiamo…per cui bisogna aiutarsi gli uni gli altri a tenere alto lo sguardo…che poi è un gran segno di amicizia. Queste mie considerazioni sono solo a riguardo del nostro essere “gruppo” e di come poter essere dono gli uni per gli altri e dono per chi è povero: per quanto riguarda tutto il resto ognuno di noi è in gamba con la propria famiglia, nel lavoro, nelle relazioni, ecc... MA SPERO CON TUTTO IL CUORE, CHE QUESTO CI DIA SEMPRE TANTA FELICITÀ… MA AL TEMPO STESSO NON CI BASTI MAI!!! TANTI, TANTI AUGURI PERCHÉ IL NATALE CI CONTAGI NELL’AMORE!!! Piero

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La nostra vita è fatta così, è fragile: a volte ci sentiamo i padroni del mondo, pensiamo di bastare a noi stessi e poi ci accorgiamo che non siamo padroni di niente. Ci è stata donata la vita e questa sua fragilità deve portarci a non sprecarla, a viverla al meglio, a riempirla di amore perché Dio è amore e l’amore è l’unica cosa che conta nella vita. Gesù non si è fatto uomo per eliminare la sofferenza: si è fatto persona, pur essendo Dio, per condividerla la sofferenza, per dare speranza nella sofferenza, per dire che la sofferenza e la morte non sono più le ultime parole, ma come Lui anche noi siamo chiamati alla Resurrezione Piero


Abbracciami

LA SCALATA

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on è semplice parlare della malattia, la sola parola fa paura, si riesce con difficoltà a pronunciarla. Eppure la malattia entra a far parte della tua vita, diviene un peso da condividere, un mostro di cui ridere. Il pensiero della malattia immobilizza ed è un tabù che si crede inesistente nelle proprie vite. Quando si vedono persone malate, quando si piangono parenti consumati da una malattia ci si sente come immuni. Io stesso, nipote lasciato da due zii per un tumore, pensavo che un male del genere non potesse mai attaccare il cuore della mia famiglia, anche se quest’ultima ne aveva già fatto i conti. Alle malattie non si comanda, non sono pacchi da poter scegliere o punizioni del Signore, sono ostacoli da superare e saltare. Un grande ostacolo si materializzò nella vita di mio padre. Nell’estate del 2015 papà, tornato da un meraviglioso campo scuola con noi giovani della parrocchia, iniziò a sentirsi molto stanco e debole. Nei mesi di luglio e agosto ad Ancona ci furono giornate di caldo torrido; viste le insopportabili temperature pensammo che la sua stanchezza fosse dovuta proprio a queste. Il caldo continuava e papà, preoccupato di questa strana e insolita debolezza, andò dal medico che gli prescrisse delle semplici analisi del sangue. Le vacanze proseguivano, ma i suoi pensieri erano fermi alla sua salute, io lo capivo, anche se lui negava. Per me era facile intravedere negli occhi celesti di papà se qualcosa non andava bene. Quelle sensazioni per lui erano terribili, non veniva al mare e si sentiva scoraggiato, lui, uomo attivo, che era ostacolato dal suo stesso corpo per far esplodere le proprie energie. Mamma era solita rassicurare papà, le analisi erano per lui annuali, non si poteva pensare che una malattia avesse iniziato ad abitare in papà. Io prima di cena mi sedevo nella poltrona davanti a lui e lo fissavo finché non alzava lo sguardo e i nostri occhi si incrociavano; che tenerezza che mi faceva. Lo guardavo finché non mi chiedeva cosa volessi e allora gli domandavo come stesse. Quando glielo domandavo un po’ mi vergognavo, avevo paura di disturbarlo o di essere insistente. Ero molto preoccupato. Quando si è in balia dell’attesa si girano una vastità di film mentali, più o meno brutti, più o meno tragici. Le carte però arrivarono, papà poté impugnare l’esito delle sue analisi e leggere nero su bianco che dei valori non andava137


Abbracciami

no bene. La pellicola cinematografica che avevo iniziato ad immaginare iniziò, piano piano, a proiettarsi nel grande schermo della nostra vita. Il fegato aveva dei valori fuori dalla norma, sarebbe stato migliore un esito negativo, ma non era poi la fine del mondo. Tanti amici lo rassicuravano e altrettanti offrivano a papà le loro esperienze simili. Per me era impossibile che un macigno potesse caderci addosso, per me papà non aveva nulla, non poteva essere malato. La mia estate continuava, era un’estate diversa dalle altre, ero un ragazzo diverso dagli altri. Non riuscivo a non pensare a quello che stava piano piano succedendo a papà. I miei amici, gli adorati giovani di papà, mi chiedevano e io li tranquillizzavo quasi volessi nascondere a me stesso le mie paure. Rassicurandoli era come se rassicurassi anche me. Sento ancora il profumo di quelle giornate estive in cui papà ancora stava bene, le sensazioni provate al suo ritorno a casa. In un mese di quella calda estate si materializzò in mio padre un tumore nella parte finale dell’intestino. In un mese si smaterializzarono le certezze di una vita. Quei giorni non furono facili. Penso a papà, cosa si può provare nel ricevere una notizia del genere? Come ci si può sentire sapendo di essere malati? Cosa si può pensare quando si scopre di avere un tumore? Non fu facile neanche per me, per mia madre e per mia sorella. Il mostro a cui avevo sempre pensato, ma che credevo inesistente, si era impossessato di mio padre. I miei primi pensieri furono questi, davanti a me comparì un muro, vedevo solo nero, niente luce, niente colori. Non è facile recuperare le sensazioni di quei giorni, si trattò di un vero e proprio tornado di sensazioni. Il mio primo pensiero fu per mio padre: come avrebbe fatto? Ce l’avrebbe fatta? E se fosse morto? Mio padre è sempre stato un fifone, le malattie e i problemi legati alla salute lo hanno sempre agitato e terrorizzato. Un anno prima era stato operato ad un piccolo tumore della pelle sotto l’occhio e questo intervento fisico l’aveva terrorizzato. Aveva temuto per tanto tempo che la radice maligna di quel tumore cutaneo si fosse potuta spostare nel suo corpo. Ora che il problema era assai più grave e rilevante come avrebbe reagito? Ero senza speranze, avevo paura che papà non ce l’avrebbe fatta nemmeno ad intraprendere la lotta contro il cancro. I giorni nel frattempo passavano e la notizia iniziò a circolare tra i parenti e tra gli amici più intimi. Un fulmine a ciel sereno aveva scosso la vita di ognuno. Piero, l’uomo che c’era sempre e sempre c’era stato per gli altri, ora doveva esserci per sé stesso. Non doveva solo esserci, doveva anche combattere. Papà, come normale che sia, era 138


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distrutto: quello che aveva sempre temuto, quello di cui aveva avuto sempre paura era entrato di colpo nella sua vita. Le sue molteplici paure spesso infondate e causate da una forte sensibilità dovevano ora lasciare il posto ad una lotta reale, ad una sfida tangibile. Il crollo era inevitabile e prevedibile. I primi giorni da “ammalato” furono molto duri per mio padre: mi raccontava che appena si svegliava e prendeva consapevolezza del nuovo giorno non riusciva ad alzarsi. Si sentiva schiacciato, ostacolato da un muro. Che tenerezza vederlo così! Non sempre la provai però, molte volte questa lasciò il posto ad una rabbia profonda: ero arrabbiatissimo con il destino, con Dio che aveva deciso di far soffrire mio padre. Ero incavolato con mio padre che stava male e che ci avrebbe fatto soffrire. Non era facile domare questo mio vortice interiore. Come potevo essere arrabbiato con mio padre per la sua malattia? Non era stato lui ad averla chiamata, non era stato lui ad averla voluta. La rabbia eppure era tanta e forte nei suoi confronti, vedevo in lui la causa dei nostri futuri problemi. Ora, ti chiedo scusa padre mio, per tutte le volte che ti ho guardato con rabbia ed hai sofferto per questo! Posso testimoniare quanto sia doloroso per un figlio accettare la malattia di un genitore, accettare che la propria esistenza sia messa in discussione, che la vita della propria famiglia sia minacciata. La sua e la nostra vita stavano vivendo una rivoluzione. L’unica cosa che ci era permesso era lottare, era danzare sotto quel brutto temporale. Le visite continuavano e dopo una settimana di ricovero per esami più approfonditi si concretizzò un progetto di cura: papà doveva iniziare il suo primo ciclo di chemioterapia non potendosi operare prima, data l’eccessiva grandezza della massa tumorale. Qui inizia la mia crisi: io che temevo la fine di mio padre, fui testimone di un piccolo, ma luminoso miracolo. Mio padre era vivo, era vivo più che mai. Nonostante le difficoltà fisiche ed emotive, incominciò nuovamente a vivere. Riprese la scuola, dopo il periodo delle vacanze estive, riprese le attività parrocchiali con il suo speciale carisma e la paura di non farcela divenne piano piano una brutta illusione. Mio padre sprigionò un’energia particolare, era come se avesse preso consapevolezza della sua nuova croce e proprio questa fosse diventata la sua pesante arma con cui combattere. Lo vedevo pieno di vita, pieno di noi, pieno di ciò che faceva. Pieno di amore. La mia rabbia continuava, ma ora la sua tenera forza di vivere la annientava. Le cure iniziarono e, come avvisato dai dottori, i giorni seguenti alle terapie non furono facili per papà. I piccoli dolori, i disturbi provati e le sensazioni vissute 139


Abbracciami

mettevano in lui un senso di rivalsa incontenibile così che, recuperate le forze, Piero tornava a vivere le sue mansioni, a compiere le sue missioni. Prima di ogni chemioterapia faceva delle analisi: bisognava vedere se il suo corpo poteva sottoporsi alle cure. Quando riceveva il buon esito degli esami scoppiava di gioia. Piero poteva fare la chemioterapia ed era felicissimo! Poteva affrontarla e sopportarla, poteva combattere! La chemioterapia è stupida, diceva papà, cura da una parte, ma uccide dall’altra. Ricevette anche un’altra cura, quella più potente e mirata: l’affetto dei suoi amici. Ogni sera prima della chemio suonava il campanello e un rappresentante del “gruppo” consegnava un regalo. Cartelloni, foto, fiori sempre allegati ad un messaggio di speranza alleggerivano la salita di Piero. L’otto ottobre arrivò il secondo ricovero: il sodio era alterato e bisognava capire quale fosse la causa. Papà stette una settimana in ospedale e riuscì a trasformare la sala d’aspetto in un oratorio in miniatura, dove parlava per ore con i ragazzi che lo venivano a trovare, con gli amici e i catechisti. Dopo una diagnosi rassicurante tornò a casa. Ogni mattina mamma gli portava un bicchiere di succo che lui beveva prima di alzarsi. Spesso diceva che la mattina era il momento più brutto della giornata poiché prendeva coscienza, dopo la notte, della sua nuova realtà. Spesso confidava a mamma che i brutti pensieri passavano subito poiché, girandosi, trovava nel comodino il bicchiere di succo che gli donava la forza necessaria per alzarsi. Quel bicchiere era pieno di attenzioni, pieno di amore della sua famiglia, pieno di speranza, pieno di vita. Che forza papà! Tutte le mattine si alzava senza esitare, anche se le forze non erano al massimo, e dopo essersi preparato correva a scuola. Tornato a casa, nonostante la stanchezza si facesse sentire, lavorava ai progetti della parrocchia. Lo ricordo al suo ritorno a pranzo: stanco e affaticato mangiava guardando il telegiornale ed io, non mi preoccupavo per il suo silenzio poiché avevo capito che era un suo modo per rilassarsi e ricaricarsi. Ogni quindici giorni mamma e papà, dopo aver accompagnato a scuola mia sorella, come due fidanzatini, andavano al day-hospital di oncologia per il ciclo di chemioterapia. Stavano tutta la terapia insieme, mamma non lo lasciava. Parlavano, dormivano insieme, pregavano, ridevano. Nella sua assurda tragicità la malattia ha “lucidato” il rapporto tra mio padre e mia madre. La malattia è grande maestra di vita, elimina il superfluo, annienta il cattivo ed educa alla semplicità, all’amore. Quando trema la terra sotto di noi le nostre vite entrano in crisi, quando da lontano si scorge la fine, cambia il linguag140


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gio del nostro vivere. Papà aveva fatto di questa nebbia la sua luce. Qualcosa di particolare era in lui: nonostante l’apprensione per il male e le faticose cure, il suo viso emanava una dolce serenità. Il suo sorriso era “fluorescente” proprio come piaceva a lui. Non era possibile che stesse meglio di prima, che fosse più felice di prima, che noi fossimo più sereni di prima. Le settimane che passavano portavano dietro una scia luminosa che colorava la nostra vita, la profumava: papà aveva il profumo più dolce di tutti, una fragranza unica di cui non capivo l’origine. L’iniziale “segreto della malattia” divenne piano piano una notizia fruibile a tutti: la tecnica della condivisione adoperata da papà era un importante modo per alleggerire il peso della sua croce. Piero parlava della malattia con i suoi giovani, con gli alunni, con i parrocchiani molto tranquillamente: non si vergognava infatti di essere malato, non si sentiva uno “sfigato” come lo voleva far sentire la società. Aveva tramutato il suo male in gioia di vivere e questa trasudava nelle sue veglie in parrocchia, nei suoi incontri con i giovani, con noi in famiglia, il sabato sera a cena con gli amici di sempre. A metà novembre, la terapia fu cambiata: le analisi non andavano più bene e i valori del tumore erano leggermente peggiorati. Per questo fu necessario cambiare cura ed iniziare un nuovo ciclo di chemioterapia, inizialmente scartato per i suoi forti effetti collaterali. Questo inciampo fu motivo di preoccupazione per papà che il 16 dicembre avrebbe scoperto, dopo una Tac, che il male era rimasto invariato: la situazione non era peggiorata, ma ahimè nemmeno migliorata. Pochi giorni dopo arrivò il Natale. Il calore curò le nostre preoccupazioni. Le festività, vissute in famiglia e con gli amici, furono momenti meravigliosi vissuti da papà con la sua strana e particolare serenità. Il 28 dicembre fu un giorno particolare, un giorno divenuto importante per me, un mese dopo, quando scoprii un messaggio inviato in quella data. Papà aveva scritto a Mariagrazia Magrini, vice- postulatrice della causa di beatificazione della beata Chiara Luce Badano tanto amata da papà. Mariagrazia era stata chiamata da papà nella nostra parrocchia per parlare di Chiara Luce Badano, giovane morta per un tumore a soli 18 anni. Da quell’inverno del 2012 tra loro due nacque una corrispondenza “digitale”. “Carissima Mariagrazia, grazie del messaggio che mi hai scritto sul cell. per domandarmi come stessi. Innanzitutto anche se in ritardo ti faccio tanti auguri per un SANTO NATALE e per un NUOVO ANNO 2016 vissuto all’insegna dell’amore. Ma non c’è bisogno di augurare a 141


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te, che sei propagatrice di amore e di luce. Io sto affrontando un momento difficile, anche se con serenità a causa di un tumore che mi è stato diagnosticato alla fine dell’intestino. Sto abbastanza bene, certo in questi giorni sono tanto debole, avendo fatto la chemio martedì scorso e sai gli effetti collaterali si fanno sentire. La fede in Gesù e nella Madonna, l’amore della mia famiglia, della mia comunità e di tutti i miei studenti mi incoraggiano tanto a lottare. Guardo avanti, mettendo tutto nelle mani del Signore e anche dei medici. Sai proprio oggi ho letto e condiviso su facebook una frase di Chiara Luce (che è nel mio cuore ogni secondo) in cui lei diceva che nel pregare non chiedeva al Signore il miracolo della guarigione per lei, sembrava forzare a Gesù la mano: se tutto ciò rientrava nei suoi piani andava bene, la cosa più importante era vivere santamente questa situazione. Mi ha fatto effetto questa frase Maria Grazia perché è ciò che provo anch’io. Quando mi trovo a pregare o gli altri mi dicono che pregano continuamente per me, mi viene da dire: ma io chi sono che dovrei guarire, farà il Signore secondo i suoi piani...l’importante che mi aiuti a vivere in modo autenticamente cristiano questa situazione. E sento che questa forza non viene da me, che sono un fifone di fronte alle malattie, ma viene da Dio, son convinto, da Chiara Luce di cui sono innamorato ecc. È forte in me anche il ricordo del carissimo e dolcissimo Mons. Maritano, che vicino a Dio e Chiara non si stancheranno mai di pregare per tutti. Grazie ancora Mariagrazia, se fai visita sulla tomba di Chiara metti un fiore da parte mia e se ti capitasse di incontrare i genitori, salutameli anche se non mi conoscono. Ti abbraccio con tanto bene e grazie di tutto ciò che fai e che sei. PIERO diacono di Ancona”. Che messaggio potente, padre mio! Che messaggio di fede e speranza! Come si fa a non chiedere la guarigione per se stessi? Come si fa a pregare per gli altri se si è ammalati? Papà ha avuto il coraggio di affidarsi a Dio nel momento più brutto della sua vita, ha avuto la sola pretesa di vivere cristianamente la croce che stava portando, ha avuto la fortezza di pregare per gli altri nel momento del dolore. “Farà il Signore secondo i suoi piani…” è un inno alla vita! Papà non si era arreso, non voleva morire. Aveva paura della morte, era attaccatissimo alla vita! Questo messaggio denso di amore per Dio non è un testamento: Piero era deciso nel continuare la sua missione, ma di fronte alla grandezza del male ha avuto l’umiltà e il coraggio di affidarsi a Dio. Logico, papà sperava di guarire come sperano tutti gli ammalati, ma di fronte alla sofferenza del mondo, si faceva piccolo uomo uguale 142


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agli altri, senza privilegi e pretese! In quei momenti non mi rendevo conto della sua grandezza, della profondità del suo animo. Solo ora mi rendo conto di aver incontrato Dio, ho visto Dio negli occhi di mio padre, nei suoi gesti, nel suo essere, nel suo vivere la malattia. Che cosa meravigliosa! Mio padre ha ospitato nel suo cuore Gesù anche nel momento della malattia. L’arrivo del nuovo anno portava con sé una speranza indicibile, una voglia di guarigione e felicità immensa. Dal primo giorno però del 2016 vidi in papà molta stanchezza. Da un giorno all’altro era avvenuto un cambiamento in lui: piano piano le sue forze iniziarono a calare, lui lo avvertiva. Nonostante questo, continuò a portare avanti la sua missione in parrocchia organizzando le attività. Il giorno dell’Epifania, celebrata la Santa Messa con i bambini, papà organizzò una grande tombolata nell’oratorio della parrocchia. Ricordo bene quel giorno, mio padre non voleva venire via! Mamma mi raccontò che non riusciva a farlo venire via dai bambini che giocavano con lui a tombola. Sempre un turno in più, sempre un premio in più. Papà non tornò a scuola il giorno successivo poiché era molto stanco e voleva prendersi qualche giorno di riposo. Pochi giorni dopo, il sabato, tornato da scuola non trovai mamma e papà a casa: erano dovuti andare all’ospedale poiché, dopo alcune analisi, si erano accorti che qualcosa non andava bene. Quel pomeriggio mio padre non riuscì ad andare a catechismo. Era la prima volta che papà saltava un incontro di catechismo durante quel difficile periodo. La sera le cose non migliorarono e papà tornò in ospedale per ulteriori accertamenti. Ero preoccupatissimo in quelle ore, non riuscivo a non piangere, a non pregare. Avevo paura fosse qualcosa di grave, avevo paura che il mio dolce padre mi avrebbe lasciato. Mamma e papà tornarono dal Pronto Soccorso alle 3 della notte. Il giorno seguente era domenica e, nonostante la stanchezza e i valori molto bassi, papà volle a tutti i costi andare alla Messa. Lo vedevo, sapeva di non star bene, ma si sforzava di farsi vedere in forze pur di tranquillizzarci. Quella mattina alla messa non andai, purtroppo. Mamma e papà si sedettero vicino, papà non rinunciò a cantare, ma date le sue condizioni dovette farlo seduto, vicino a sua moglie. Durante l’offertorio era solito cantare “Abbracciami”. Quel giorno la cantò con particolare dolcezza, con grande tenerezza, quasi si stesse rivolgendo al Signore. Alcune persone scoppiarono in lacrime, tanto era il suo coinvolgimento. Il canto di papà era particolarmente emozionante, sembrava un grido verso l’alto. Le sue condizioni non miglio143


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rarono e per questo dovette saltare la chemio-terapia fissata per il giorno seguente. Quel lunedì, visti i suoi valori, dovettero ricoverarlo: bisognava ristabilire le condizioni ottimali per poter continuare il ciclo di chemioterapia. Papà fu ricoverato nella prima stanza a sinistra del reparto di oncologia. Trascorse le prime giornate annoiato dalla lentezza delle pratiche dell’ospedale. Poi quella noia si trasformò in stanchezza e debolezza, che lo obbligavano a dormire gran parte della giornata. Era lucido, ma assopito e stanco a causa di alcuni valori alterati. Tutte le mattine io ed Elisa continuavamo ad andare a scuola e puntualmente all’intervallo chiamavo mamma per sapere come stesse papà. Era la telefonata che attendevo con più ansia ed attesa, ero felice nello sperare in un miglioramento di papà. Un giorno mia madre mi disse che i dottori gli avrebbero somministrato una cura sperimentale per far risalire il sodio. Fu uno dei giorni più belli della mia vita, vedevo una fiammella in fondo a quel buio tunnel. Una luce aveva illuminato la mia vita ed io ero al settimo cielo. Quella sera papà si alzò dal letto per cenare e fece una breve passeggiata con mamma nel reparto. Io continuavo a pregare, ero felicissimo, ero pieno di speranza! Dopo pochi giorni la situazione però tornò a peggiorare, papà era sempre più stanco. Non poteva più alzarsi da solo dal letto e i valori del tumore peggioravano di giorno in giorno. Quella prima porta a sinistra divenne da subito una delle porte più varcate: un pellegrinaggio di amici, colleghi e conoscenti faceva tappa nella stanza di mio padre. In quelle occasioni papà recuperava un po’ di forze per ringraziare chi gli aveva fatto visita. Nonostante la sua terribile spossatezza, lui voleva ringraziare chi gli stava donando affetto. Il via vai di persone era incessante tanto che alcuni erano costretti ad andarsene poiché trovavano papà addormentato. Mio padre faceva un grande sforzo a rimanere sveglio e a parlare con le persone, a lui costava fatica, ma quelle visite erano per lui doni immensi. Io all’inizio non riuscii ad andare a trovarlo, vedere il mio super-padre disteso in un letto mi dava fastidio. Per me fu una grande sfida: la prima volta riuscii solamente a salutarlo, la seconda volta ad abbracciarlo, dalla terza volta iniziai a parlarci e a coccolarlo. Sospesa la chemioterapia gli stavano ricrescendo i capelli e in pochi giorni gli crebbe una barba bellissima; stava tornando il “capellone” di sempre. Continuai a pregare, chiedevo al Signore di ripescarlo, di riportarlo nella strada della vita: lui poi se la sarebbe cavata da solo. Che tenerezza vedere mio padre in ospedale: quando vedeva entrare me e mia sorella i suoi 144


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occhi iniziavano a luccicare, con forza sovraumana si metteva seduto nel letto e ci rassicurava. Ricordo ancora un suo messaggio: gli avevo chiesto di promettermi che avrebbe lottato e che sarebbe tornato a casa. Lui mi rispose così: “Tranquillo amore mio, papà non abbandona mai”. Quanto ho pianto quella sera, quanta voglia avevo di caricare mio padre in macchina e portarlo in giro e chiacchierare insieme a lui, come facevamo durante le guide per la mia patente. Invece papà era in ospedale, a riposare quella vita spesa nella gioia e nell’amore per gli altri, per noi, per Dio. Mamma ogni sera non voleva tornare a casa, nonostante stesse tutto il giorno in ospedale, non voleva lasciare papà solo che, accarezzandola, le diceva di tornare a casa da me e mia sorella, perché lui stava bene ed era apposto. I giorni passavano, tra una visita e l’altra le condizioni peggioravano, ma il suo volto non smetteva di brillare. Lunedi 25 gennaio, esattamente due settimane dopo il ricovero, andai due volte a trovare papà: la sua voce era molto bassa, il suo viso molto stanco. Quel giorno volevo rimanere lì, nonostante non fossi a mio agio volevo rimanere lì. Il giorno dopo andai, come tutte le mattine, a scuola ma quella mattina non stavo bene, mi sentivo agitato. Alle 10 firmai una giustificazione ed uscii da scuola, chiamai subito mamma per sapere di papà. Quella mattina non stava per niente bene, non si era svegliato, dormiva. Ogni tanto apriva gli occhi, ma non parlava. I dottori non potevano fare più nulla, mancavano pochi giorni. Quella frase tuonò dentro di me, il mio cuore sussultò, scoppiai a piangere. Corsi in parrocchia, quella sera bisognava organizzare una veglia di preghiera per mio padre. Pregare era ciò che mi rimaneva, l’unica cosa che ci faceva sperare. Andai in ospedale a trovare papà: entrai nella stanza ma non riuscii ad avvicinarmi troppo. Lui dormiva su un fianco, respirava forte ed era appoggiato sul suo cuscino. Incrociai lo sguardo del paziente messo di fronte a lui, lo spavento per le sue condizioni fu tale che scappai e non riuscii ad abbracciare mio padre. Pranzai, piansi, mi sfogai ascoltato e coccolato dalla mia professoressa che mi accompagnò in quelle ore per me tremende. Tornato a casa intorno alle tre chiamai mia madre, volevo parlare con papà, dovevo dirgli delle cose. La sua unica raccomandazione fu: “Non piangere mentre gli parli”. Ci provai. Mamma mise il cellulare nell’orecchio di papà, sentivo il suo respiro più forte del solito, gli parlai. Mi ero scordato due cose: richiamai mia madre. La scena si ripeté: “Mamma tieni il cellulare all’orecchio di papà per dieci secondi, devo dirgli due cose”. “Papà ti voglio un bene dell’anima. Stasera ho organizzato una 145


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veglia per pregare per te, sei contento?”. Quando mamma riattaccò il telefono mio padre respirò per l’ultima volta e partì per il suo nuovo viaggio. Ho accompagnato mio padre, parlando con lui. Sicuro delle mie parole mio padre si era lasciato andare ed era partito. Grazie papà per questo dono eterno. Hai voluto donare fino all’ultimo, ci hai amato fino all’ultimo lasciandoti andare alla morte per non farci soffrire ancora. Che immenso amore! Non posso essere triste, non posso piangere di un amore così: di un amore così grande si può solo gioire! Alle tre del pomeriggio del 26 gennaio mio padre cantò più forte che mai “Abbracciami, Dio dell’eternità”. La sera la veglia si fece lo stesso, papà si era dolcemente lasciato andare forte che la sua famiglia, i suoi amici, i suoi ragazzi, i suoi parrocchiani, i suoi conoscenti avrebbero pregato per lui, lo avrebbero accompagnato verso la Pienezza vera. Che dolore padre mio accettare la tua partenza, non mi sembrava vero, volevo svegliarmi da quel sogno. Per due giorni papà salutò chiunque avesse voluto rendergli omaggio presso la nostra chiesa. Uscivo di casa, andavo in parrocchia e lo trovavi lì, bello come non mai con un viso sereno, luminoso, eterno. La parrocchia dove era cresciuto, dove era vissuto si era fermata per dargli un ultimo grande saluto. Anche lì ci fu un piccolo miracolo: furono due giorni di preghiera e serenità particolare. Nonostante ci si ritrovasse per un così grande dolore si sperimentava una pace fuori dal comune. Io per primo, distrutto dal dolore, passavo ore ed ore nella panca a sinistra dell’altare. Pensavo a mio padre, pregavo per lui, pregavo per noi, pensavo ai bei momenti, agli ultimi giorni. Nel pomeriggio del 27 gennaio la sua bara fu chiusa. Fu una scena bellissima. Mia madre, stava sopra la bara di mio padre e lo guardava per l’ultima volta; era abbracciata ai più cari amici che formavano un cerchio intorno a lui. Che festa, che gioia, che meraviglioso momento! La stessa sera andai in Chiesa, ricordo che era pieno di persone che pregavano, piangevano e testimoniavano su papà. Avevo il cuore pieno di orgoglio. Tornato a casa, trovai mia madre e mia sorella pronte per andare in chiesa a salutare papà, prima della grande confusione del funerale. Fu una delle sere più belle della mia vita! In Chiesa c’erano ancora tutti i miei amici, intorno a mio padre. Mia madre e mia sorella nei gradini dell’altare. Attaccai al computer della musica e iniziai a muovere le gambe accarezzando la bara. Stavo ballando di fronte a mio padre, non volevo smettere, volevo rimanere lì, per sempre. Arrivarono presto le tre del mattino e prima di andare a casa chiamai i miei amici, ci abbracciammo. Eravamo in cer146


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chio intorno a mio padre. Nelle casse “Abbracciami”, una delle canzoni preferite di mio padre e noi in cerchio, come facevamo ad ogni camposcuola insieme a lui. Il giorno seguente, al funerale, fu gran festa! La Chiesa gremita, il piazzale antistante pieno di persone. Musica, belle parole e commozione fecero da sfondo ad una delle giornate più importanti della mia vita, una delle giornate che mai scorderò. Importante, proprio così! Le cose importanti non per forza sono eventi positivi, importanti sono anche le cose che segnano la tua vita, la cambiano. Grazie padre mio per il tuo amore, per il tuo essere stato, per essere stato padre, per aver amato mamma, per aver aiutato i più deboli, per aver consigliato i dubbiosi, per aver accompagnato gli ultimi, per aver valorizzato i poveri, per aver santificato i giovani, per aver addolcito le vite, per aver cantato la luce, per aver sorriso la gioia, per aver danzato nei momenti più difficili, per aver sostenuto gli afflitti, per aver testimoniato, per avermi sostenuto, per avermi incoraggiato, per averci consolato, per averci insegnato che la vita non è aspettare che passi il temporale, ma che la vita è imparare a danzare sotto la pioggia. In un biglietto scrivesti così: “Alla luce dell’amore tutto diventa possibile”. Sì papà, voglio urlartelo. Alla luce dell’amore tutto diventa possibile, diventa possibile anche lasciarti andare. ALLA LUCE DELL’AMORE TUTTO DIVENTA POSSIBILE!

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Ho sognato che camminavo in riva al mare con il Signore e rivedevo sullo schermo del cielo tutti i giorni della mia vita passata. E per ogni giorno trascorso apparivano sulla sabbia due orme: le mie e quelle del Signore. Ma in alcuni tratti ho visto una sola orma, erano i giorni più difficili e tristi della mia vita. Allora ho detto: “Signore… io ho scelto di vivere con te e tu mi avevi promesso che saresti stato sempre con me, al mio fianco. Perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?” E Lui mi ha risposto: “... Figlio, tu lo sai che io ti amo e non ti ho abbandonato mai, i giorni nei quali c’è soltanto un’orma sulla sabbia sono proprio quelli in cui ti ho portato in braccio…” Anonimo Brasiliano

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APPENDICE LETTERE, MESSAGGI

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L’agenda e i pennarelli non potevano mancare nella sua borsa. Appuntava frasi, pensieri altrui, iniziative pensate la notte. Il passo successivo erano i cartelloni. Enormi manifesti, da lui creati, per pubblicizzare eventi, occasioni, ricorrenze. La parrocchia ne era piena!

apà scriveva molto: biglietti, messaggi e lettere erano parte integrante del suo essere persona. Sarebbe impossibile recuperarli tutti, forse centinaia, forse migliaia. Anche in ospedale, nonostante le sue condizioni, provava con fatica a rispondere a qualche messaggio. Il suo cellulare e i suoi biglietti erano parte integrante della sua evangelizzazione. Ogni pensiero conteneva una postilla di riferimento a Gesù, per lui la comunicazione diretta era essenziale anche nell’essere cristiani. Il giorno della sua morte tutto si è capovolto: non è stato più lui ad intasare telefoni, bacheche social e cassette delle lettere. Il giorno della sua morte sono state le persone che gli volevano bene a scrivergli. Centinaia e centinaia di messaggi, pensieri, poesie e foto hanno letteralmente invaso la sua bacheca facebook, il suo cellulare e la nostra cassetta delle lettere. Ognuno voleva ringraziare, ognuno voleva ricordare e rivivere. Sarebbe impossibile inserirli tutto, bisognerebbe farne un libro vero e proprio, un libro bellissimo. Ne ho ripresi alcuni, quelli che mi hanno fatto pensare di più, quelli che mi hanno fatto viaggiare, quelli che mi hanno consolato di più. Anche questo capitolo narra una storia: tutto per me ha una storia, anche i pensieri qui raccolti hanno un loro filo conduttore. La testimonianza delle persone è uno dei modi più dolci per ricordare papà. Ringrazio tutti coloro che hanno dedicato anche un solo pensiero a mio padre, scritto o pensato, condiviso o trattenuto. James Barrie dice che “Dio ci ha dato i ricordi in modo che potessimo avere le rose di giugno nel mese di dicembre”. Grazie per tutte queste rose, grazie per averle colte ed avermele donate. Grazie anche a te, papà, per le tue rose, condivise ed odorate insieme alla gente, affinché ognuno ne potesse annusare il profumo… per sempre!

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ABBANDONATO A DIO, AFFIDATO A DIO, PERCHÉ DIO NON DELUDE

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arissimi, avvio questa riflessione aprendo con voi il libro degli Atti degli Apostoli al Capitolo 6, versetto 3. Dissero i dodici: “Cercate tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo l’incarico del servizio delle mense”. L’elenco inizia con Stefano e da allora continua anche con Piero e altri che nella vita della Chiesa compiono l’opera di carità e di misericordia che è parola donata, servizio liturgico, accompagnamento generoso, testimonianza feconda di bene. Celebrando questa Eucarestia con la quale la nostra Comunità presenta a Dio Padre il caro diacono Piero, sposo e padre, vogliamo insieme farci educare dalla preghiera e dalla Parola di Dio perché tutto si compia nello sguardo della misericordia di Dio. Carissimi tutti e cari ragazzi, noi stiamo pregando e la preghiera ci fa guardare con fiducia alla vita ed alla morte perché essa ci educa alla confidenza con Dio e soprattutto alla fedeltà di Dio. Egli è un Padre che crea, dona, convoca, accompagna, richiama, comprende, consola e partecipa noi tutti alla Sua gloria. La preghiera che ha accompagnato nella vita, la vita di sposo, di padre, di diacono del nostro caro Piero; la preghiera con la quale stabiliva questa confidenza con Dio e soprattutto era confidente nella fedeltà di Dio

che nulla promette invano e anche nel tempo della prova rimane fedele ai suoi figli. Vorrei che ci facessimo educare dalla Parola di Dio, la Parola che abbiamo ascoltata, ma più ampiamente da tutta la Parola di Dio che è stata fatta carne in Cristo, che si fa educatore e testimone di chi sperimenta la debolezza del tempo, la fragilità dell’esistenza, la durezza della morte e offre la bellezza del sepolcro vuoto. Questo è ciò che la carne di Cristo e la Parola viva di Dio fatta all’uomo ci hanno testimoniato, il tutto dentro la logica spirituale; abbandonato a Dio e affidato a Dio. Anche questa parola è stata uno degli elementi del servizio di Piero, la parola nella quale credeva e, posso dire, della quale la sua vita, pur peccatore come tutti noi, era impastata. Abbandonato a Dio e affidato a Dio perché, come lui diceva spesso: “ Dio non delude”. La grandezza della fede sta dentro queste tre parole: “abbandonato a Dio, affidato a Dio, perché Dio non delude”. Dentro questa visione la testimonianza di Piero del quale tutti, a cominciare da me, sentiremo la mancanza, ma del quale non dobbiamo dimenticare quanto ci ha testimoniato. Perché dobbiamo capire tutti, carissimi, che gli ambiti, i luoghi del suo essersi fatto dono devono rimanere nella memoria viva di ognuno di noi.

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Appendice La casa: la testimonianza dell’essere sposo e amante della moglie; la comunità: questa comunità, della quale non solo si sentiva parte, ma in qualche modo, con la benevolenza del Parroco, ne era quasi il conduttore, l’ispiratore e Don Giancarlo questo non solo lo approvava, ma sono certo che ne sentirà la mancanza; la scuola: la scuola dove non ha raccontato storielle, la scuola dove si è appassionato all’incontro con le persone; i giovani: dei quali si sentiva non solo responsabile educatore, ma testimone di Cristo e della vita ecclesiale in genere. Le parole che spesso mi mandava nei lunghi messaggi erano tutte significative alla luce della vita ecclesiale perché sapeva che la Chiesa l’aveva consacrato a nome di Dio, l’aveva mandato a compiere l’opera di salvezza. Allora io finisco questa mia piccola riflessione, carissimi, come l’ho cominciata.Vorrei, a cominciare da me, che le caratteristiche del brano degli Atti degli Apostoli, relativo ai diaconi, fossero conosciute, riconosciute in pieno e fossero per tutti noi una sorta di memoria da custodire. Gli Atti dicono che il diacono è un uomo “di buona reputazione”, questa è una caratteristica, cari ragazzi, che nel mondo contemporaneo manca molto e quando si trova uno di buona reputazione, bisogna amarlo, bisogna seguirlo, bisogna custodire questa buona reputazione. In un momento, intendo, in cui tutti dicono tutto e dicono il contrario di tutto e vorrebbero mettere insieme la mondanità più alta con la spiritualità più alta, la testimonianza di

Piero è quella di un uomo di buona reputazione, consapevole pienamente della sua dignità di uomo e di consacrato, nonché di sposo e di padre. Custodite la buona reputazione di Piero! Inoltre gli Atti degli Apostoli dicono che il diacono deve essere “pieno dello Spirito di Dio”. Cosa vuol dire questo? Essere pieno dello Spirito di Dio non è altro che la descrizione piena e completa dell’essere credente, non dell’essere bigotto; dell’essere credente e personalmente posso dire che ho ricevuto grande testimonianza da lui di questa sua fede. Anche in questa ultima stagione della sua vita ha celebrato il tempo della malattia con un dolore che non si trova in giro, la malattia per lui non è stato un tempo di commiserazione da parte di qualcuno, è stato un entrare nella volontà di Dio, sempre misteriosa, sempre incomprensibile, ma sempre paterna; offrendo a chi lo ha avvicinato, a cominciare da me, un grande esempio di come si affronta anche la morte perché, cari ragazzi, bisogna che il Vescovo ve lo dica: “Con la morte non si gioca, non si scherza con la morte e nemmeno si può allontanare la morte”. Non possiamo dire al Signore: ”Signore, perché hai tolto Piero alla famiglia, ai figli, a noi? Perché?” Perché il tempo di Dio non è il tempo dei nostri desideri. E quanto mi piacerebbe pensare per me stesso, e per voi adulti, che cominciassimo a leggere la vita non come tempo di onnipotenza, ma come tempo di fragilità dentro il quale,

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Abbracciami tempo, c’è il morire: che è la più grande disgrazia, dal punto di vista umano, ma che non è altro (visto che siamo nel tempo della misericordia) che la porta per andare a vedere colui che ci ha amati per primo e cioè Dio; per andare a vedere Gesù Cristo, colui che è morto per me e per i miei peccati; per andare a vedere quella casa di serenità e di pace che ci attende, piena di Spirito di Dio e piena di fede. L’ultima caratteristica che gli Atti degli Apostoli dicono del diacono è la “saggezza” e quando si dicono queste parole, carissimi, si pensa subito al titolo di studio, ma la caratteristica più evangelicamente significativa non è il sapere con la testa. Figlioli, il sapere è la saggezza e la sapienza che appartiene a quella dimensione illeggibile, misteriosa di cui ognuno di noi, con l’aiuto di Dio, dovrebbe arricchirsi. Quando insieme si parlava per esempio della scuola e della fatica di essere educatore, lui stesso mi consegnava questa sua interiore sapienza e diceva: “Ma qualcosa di quello che noi diciamo è seminato nel cuore dei ragazzi”. Questa è la sapienza! Questa è la capacità di attendere! Non la capacità di sapere tutto. I superbi sanno tutto, ma non capiscono nulla della vita. I semplici, gli uomini e le donne delle Beatitudini che abbiamo letto nel Vangelo, questi sono i ricchi della sapienza vera. Quella che resta e che

educa. Allora la sua sapienza era un incrocio di tenerezza, di rispetto, di attesa. Appunto viveva la scuola come un mistero di buona speranza. Io non so se qui ci sono i suoi alunni, spero di sì. Dovete custodire la testimonianza di questo professore che educava molto di più con la vita che non con le parole. Ho cercato carissimi, in questi 10 minuti che ho avuto di tempo, ho voluto tratteggiare qualcosa che ci è appartenuto e che ci apparterrà. E vorrei che ognuno di noi sapesse la propria responsabilità nel custodire. Visto che sono in una parrocchia dove voi ragazzi siete molti e molto lo avete ascoltato, io vi faccio una domanda: chi prende l’eredità? Chi prende l’eredità? Forse la parola eredità oggi non si capisce più di tanto. L’eredità la faccio capire, ragazzi, con un oggetto dell’atletica: quando c’è la staffetta nell’atletica, quell’incontro chi lo vince? Chi arriva primo, sì, ma deve portare con sé il testimone. Quel pezzettino di legno. Perché se arrivi senza quel pezzettino di legno tu perdi. Allora chi prende l’eredità di Piero? Ve lo esprimo con un valore molto semplice, come sempre lui si è fatto capire in questa parrocchia: “Amate la vita. Vivete la vita.” E lo riassumo con una frase che sicuramente vi resterà: “Non pensate di fare una bella vita, pensate di fare una vita bella”. Questo vi auguro e 154


Appendice questo vorrei che anche per le famiglie che vi seguono fosse il compito. Non una bella vita da vagabondi, ma una vita bella piena dell’amore di Dio e piena dell’amore dei fratelli.

Adesso rimaniamo in silenzio un minuto, ognuno pensa‌ Sua Eminenza Cardinale Edoardo Menichelli Vescovo di Ancona e Osimo Omelia funerale 26/01/2016


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DOLCE PAPÀ Dolce papà, avevi proprio ragione “la vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”. Lo hai sempre detto a mamma in questi mesi e non c’è frase più calzante per descrivere questa nostra vita. Ieri sera allora, mi sono messo davanti a te con della musica e mentre ti accarezzavo, le mie gambe si muovevano a ritmo di musica. Quanto avrei voluto che passasse la tempesta… invece siamo ancora qui, sotto la pioggia. Non è facile per un figlio dire addio ad un padre: non ti vedrò arrivare più a pranzo, non potremo più fare le guide insieme, non sentirò più sfrecciare la magica punto sotto cassa, non sentirò più il rumore delle tue chiavi del paradiso, non faremo più quelle lunghe chiacchierate insieme e non riceverò più i tuoi messaggi pieni di coraggio e amore. Mi chiamavi e mi continuerai a chiamare Chicco. Vorrei potervi comunicare la dolcezza con cui ogni volta pronunciava quel nome. Anche questi giorni ero il tuo amore nonostante riuscissi a parlare poco e a fatica mi promettevi che saresti tornato a casa. Ci sei tornato per due lunghi giorni papà, hai visto? Sei stato con noi, nella tua amata parrocchia, con la tua amata famiglia e i tuoi amati amici. Ieri ti guardavo e quanto eri sereno, quanti eri bello. Per me, mamma ed Elisa il dolore è immenso e per questo ti chiedo un ultimo regalo: continua a baciare le dolci mani di mamma, continua ad accarezzare il cuore pieno di amore di Elisa e continua a portarmi in braccio come hai sempre fatto quando ero piccolo. Ma vedi quanta gente, sei contento dolce papà mio? Adesso però da bravo figlio di Piero non posso non fare due auguri, perché uno per te era poco. Il primo me lo hai suggerito tu con una canzone che tanto amavi, il ritornello dice: “Fa che non si perda tutto questo amore”. Mi auguro e vi auguro, ora che papà non c’è più, di coltivare questa grande eredità. A lui le lacrime dei funerali stavano sulle palle: prima c’è il pianto, il dolore ma poi deve esserci il ricordo più vero e autentico: continuare ciò che ci ha insegnato. Passati i giorni delle lacrime prendiamo in mano le nostre vite e facciamone un’opera d’arte per gli altri, come ha fatto lui. Secondo ed ultimo augurio è quello di lasciarlo andare. Lasciatelo andare, lasciatelo andare. Lasciamo che parta, lui vuole cosi. Io, papà, quanto ho pregato affinché fossi rimasto ancora con noi, ma adesso non posso incatenarti qui con me, devo lasciarti andare, devo abbandonarmi a questa tua dolce partenza, lasciamolo andare, lasciamo che parta e sono sicuro tornerai da noi. Dolce papà grazie, grazie, grazie. Sto malissimo ma sono pieno di orgoglio, sono pieno di vita, sono pieno di te! tuo figlio Andrea

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CARE AMICHE E AMICI NOSTRI Queste parole non vogliono essere un malinconico saluto, ma un modo per rendervi partecipi del percorso che Piero ha costruito giorno dopo giorno insieme a noi. Tutti noi abbiamo concordato nel definirlo una Stella Polare: la sua Luce, sempre presente e costante, è un punto di riferimento, l’unica certezza per chi naviga in mare aperto di notte, per chi si perde nel bosco, per chi contempla il cielo notturno e parte alla scoperta delle stelle. Piero lo ricordiamo così: un sognatore. Un sognatore che non teneva i sogni per sé, ma desiderava realizzarli solo nella condivisione. La sua guida nella fede è stata, lo è, e lo sarà, fondamentale per noi “fioli” - come amava chiamarci non solo nell’avvicinamento a Gesù in termini di cristianità, ma anche nella scoperta di tutto ciò che da Lui nasce: l’amore come mezzo di relazione, la preghiera come mezzo di meditazione, la misericordia come mezzo di condivisione. Per noi è difficile, lo è stato e lo sarà incontrare Gesù, ma no impossibile. “Per incontrare Gesù bisogna farsi piccoli, bisogna spogliarsi delle pretese e non aver paura della mansuetudine. Ascolta gli altri, vivi con tenerezza con loro, sii umile e usa misericordia per riconoscere la tua dignità.” Questo ci diceva. Credeva profondamente in ciò che predicava Dio, tant’è che lui stesso è diventato le sue braccia e le sue mani. In mezzo a noi, lui era lo spirito guida che ci univa, arrivando a chiamare il nostro gruppo “mani di Dio”. Piero era “un uomo che camminava sulla croce anziché sopportarne il peso”, essa era infatti più il percorso che l’ostacolo. Si è sempre infilato tra i nostri guai, anche quelli più intimi, tanto che, alla fine dei “messaggifiume” che ci inviava, si dichiarava diacono “rompi”: non stava mai con le mani in mano di fronte a nessuno, se significava condividere qualcosa dovevamo essere assolutamente tutti presenti. Ad esempio, non si dava per vinto quando ai nostri incontri quindicinali del venerdì sera qualcuno non poteva esserci, faceva di tutto purché nessuno mancasse all’appello. Amava inserirsi nei nostri discorsi, nelle nostre gioie, nelle nostre paure, amava trovare confronti e soluzioni perché nel nostro gruppo non si creassero crepe, amava trovare risposte alle nostre domande o cercarle insieme a noi, amava essere rincorso nei suoi mille progetti, amava la gioventù con tutto il bello e il brutto che comporta, amava riporre la speranza in noi: eravamo infatti i suoi “giovani nostra speranza”, eravamo i destinatari del suo imperterrito “non andate contromano, andate controcorrente”. Piero era un continuo organizzarsi, un continuo andare di qua e di là, un continuo “facciamo questo, facciamo quello!”, una continua novità, un continuo stargli dietro, insomma: basti pensare al fatto che, finito un campo-scuola, non faceva in tempo a scendere dal pullman che iniziava a descrivere cosa aveva pensato per il prossimo. Partecipare ai suoi progetti era sempre un far festa, pure nelle situazioni più noiose, e in ciò si distingue un sognatore: non solo nel riuscire a raggiungere le vette più alte, ma anche nel saper portarci tutti. Se è vero che “le nostre impronte non sbiadiscono dalle vite che tocchiamo”, Piero sarà per sempre parte della nostra pelle. Ecco perché, pur stando lì, chiuso tra “4 mura” di legno, non ti vediamo come un fantasma nell’ombra della morte, come un semplice corpo a cui dedicare un funerale, ma come una luce che illumina noi vivi, come un’anima luminosa a cui dedicare una festa, perché “la particolarità del tuo amore è che sei diventato vivo in corpi che non sono il tuo”. “Per essere straordinari non è necessario nascere perfetti”, e tu ne sei la prova. Ciao Piero, le tue “speranze”

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Abbracciami Io vorrei ringraziarti perché sei stato sempre dalla parte degli ultimi, hai sempre accolto, invitato, aiutato, compreso, stimolato tutti quei ragazzi che facevano fatica ad inserirsi. Li hai sempre amati, mai giudicati, hai sempre aperto loro le braccia, mai scansato qualcuno. Tu hai fatto tutto questo, anche quando, sono stato io l’ultimo. Credo amico mio, che tutta la tua vita sia stata una grande e continua lode al Signore senza parole altisonanti, ma mettendo in pratica quella che era la Sua volontà e per questo ti ammiro perché ci vuole tanta fede e tanta umiltà per mettere in pratica ciò che Gesù ci insegna. Ma hai anche molto più merito ai miei occhi, perché sei stato capace di portare tanti ragazzi verso Cristo e ce li hai portati con dolcezza e con rispetto senza mai importi. Hai sempre cercato di darci una buona ragione per non disperare e per non abbatterci. Hai sempre creduto in tutti noi, non dando mai per perso nessuno. La presenza viva del Signore in te si percepiva anche nella vicinanza al prossimo e nella condivisione del suo dolore. Non posso non dimenticare con quale delicatezza hai condiviso con mia madre e me la sofferenza di avere papà in ospedale, interessandoti come se lui stesso fosse un tuo congiunto. La tua presenza e la tua vicinanza sono state veramente boccate d’aria fresca in quei giorni terribili. Quando seppi che non stavi bene non lo accettai, ebbi una reazione di rabbia, ma poi riflettendoci su mi dissi che tu, amico mio sapevi bene come portare questa croce. L’avresti accettata. “Signore, non ti chiederò perché ce lo hai tolto, ma ti ringrazio per avercelo dato. Abbi cura della sua anima” Matteo Caro Piero, è stato difficile accettare il tuo ritorno al cielo. Rappresentavi per me una di quelle persone “immortali” che uno, anche se non lo sente per mesi, sa che è li, sa come trovarlo, sa che se ha bisogno, lui c’è. Anche se ultimamente ci vedevamo poco, trovavi sempre il modo di essere presente, con un messaggio, una chiamata, un progetto da portare avanti insieme. Perchè tu spronavi il prossimo a volare alto, a sognare, ad impegnarsi e a non mollare mai. Ne hai visti passare tanti di ragazzi in parrocchia nella tua vita e, nonostante le tante resistenze, tu continuavi comunque a chiamarli, eri lì a fianco, gli proponevi le cose belle e progetti su cui impegnarsi. L’aggettivo Rompi era il tuo stile di vita. Non ti piaceva vedere la gente accomodarsi e annullarsi nella quotidianità, ma gli davi sempre stimoli per sognare, progettare, crescere... insomma vivere appieno quel dono che il Signore ci ha dato, la Vita... e renderla un dono per gli altri. Sei stato per me un grande punto di riferimento, insieme a Massimo eravate due colonne su cui appoggiarsi e due fari da seguire. Ora ti vedo già impegnato a progettare la catechesi degli angeli... e dal cielo potrai senz’altro seguire e vedere meglio quello che combiniamo nelle nostre vite. Continua a smazzolarci e a romperci. Non farci dormire la notte e mettici in testa idee, progetti, sogni. Come hai sempre fatto. Grazie di tutto quello che hai fatto e farai per me. Un abbraccio forte Roberto Grazie Piero per avermi chiesto: “Tutto bene?” quando mi hai vista da sola davanti al tabernacolo venti giorni fa. La Chiesa era vuota, tu sei entrato per appoggiare qualcosa sull’altare. Avevi la veste bianca da diacono. Prima di andare mi hai fatto quella domanda. Io non sapevo che stavi male. Avevi tanto da pensare per te, eppure, nella tua generosità, ti sei preoccupato per me. Poi mi hai sorriso e sei andato via. È così che ti ricorderò! Rosella

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Appendice “Piero diacono di strada”: così si firmava ad ogni messaggio che mi inviava in varie occasioni durante l’anno. Uomo amante di Gesù che non aveva paura di annunciarlo per strada. Ricordo ancora il primo incontro con il diacono Piero: era il 9 Maggio 2004, avevo 9 anni ed ero andato nella parrocchia di Cristo Divino Lavoratore per la prima comunione di mia cugina. Mi colpì quasi subito quel diacono, con una stola tutta colorata, che sull’altare si muoveva con tanta gioia e faceva cantare tutta l’assemblea. Da quel giorno ci saremo rivisti un po’ di anni dopo in cattedrale per le celebrazioni del Vescovo Edoardo. Ogni volta che scopriva di dover far servizio al Vescovo, mi si avvicinava e mi diceva: “Lorenzo, stammi vicino, non so bene come ci si deve muovere col Vescovo, sai, sono un povero diacono di strada.” Da questi piccoli eventi nacquero molte chiacchierate dopo la Messa e in tante altre iniziative diocesane. Più di una volta, con i suoi modi anche molto scherzosi, ma profondi, mi faceva battute sul seminario. Io ero in un periodo (più o meno verso i 16 e 17 anni) in cui non ne volevo sapere nulla del seminario e spesso mi sentivo a disagio di fronte a queste battute. Così il nostro rapporto è continuato in questi anni e il giorno in cui gli dissi che era mia intenzione entrare e iniziare un cammino di discernimento serio in seminario, più che le parole, ricordo il suo sorriso e la gioia che emanava per questo mio passo. Da quel giorno più di una volta mi ha chiamato per dirmi che desiderava che io raccontassi la mia storia ai ragazzi della parrocchia. L’ultima volta me lo chiese il 13 dicembre 2015, alla Messa di apertura della Porta Santa, dicendomi: “Sentiamoci a fine gennaio così vediamo una data per farti venire”. Una cosa che porto ancora nel cuore del giorno del funerale è la grande presenza dei giovani e un manifesto fuori dalla Chiesa: CIAO DIACONO ROMPI! Piero mi ha insegnato cose che mi porto nel cuore: l’amore e la gioia che scaturivano dal suo quotidiano annuncio del Vangelo, la passione per gli ultimi e per i giovani, il suo non stancarsi mai di “rompere” per riportare i suoi giovani a Gesù e una frase, riportata anche dal vescovo al funerale: Dio non delude mai! Chiudo questa piccola testimonianza con il messaggio che lui mi ha inviato in occasione del mio onomastico: “Buon Onomastico caro Lorenzo, con l’augurio di tanta grazia nel tuo cammino da Gesù e Sua mamma Maria e perché come diceva sempre San Lorenzo: “I miei tesori sono i poveri”, la sua intercessione faccia di te, sempre di più un dono per gli altri. Un abbraccio con tanto affetto;) PIERO diacono di strada”. Lorenzo Chi era Piero? Me lo sono domandato tante volte e sempre, senza esitare, mi sono detta: “una persona che sa ascoltare, che sa intuire il mistero dell’altro e sa comportarsi con coerenza, sempre”. Piero era un uomo di Dio, ma in modo unico: lieve, sorridente, ironico, amabile, senza le spigolosità di altri, pure fortemente segnati dal Signore. Era un uomo in cui il profondo amore di Dio non cancellava quello terreno perché, per usare le parole di Bonhoeffer: “Quando il canto fermo è limpido e distinto il contrappunto può dispiegarsi in tutta la sua possibile energia”. Piero aveva, inoltre, il dono di una comunicazione facile, semplice e profonda insieme, che avvicinava tutti, piccoli e grandi, uomini e donne. Era convincente perché autentico. Dopo una delle sue testimonianze, una delle ultime in chiesa, credo, ho sentito il bisogno di ringraziarlo. Lui si è stupito domandandomi di cosa. Io sapevo che in realtà avevo ringraziato Dio alla sua presenza perché nel mondo esistono persone come lui, come Piero. Rosaria

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Abbracciami La lacerazione è immensa. Piero veramente un Santo dei tempi moderni. Un ragazzo che parlava dritto al cuore di ciascuno di noi. Un trascinatore, un uomo, un diacono, un marito, un padre, un educatore instancabile. Tutto con la pienezza della fede che non l’ha mai abbandonato. Sono certo che dal cielo manderà ceste piene di grazie, prima di tutto per la sua famiglia che maggiormente ne avvertirà la mancanza fisica. Un grande rimpianto per le nuove generazioni che non potranno avere l’opportunità di conoscerlo e farsi “contaminare” dal lui che ci parlava di un Signore misericordioso che solo lui sapeva descrivere in modo così tenero, perché con tenerezza lo custodiva nel suo cuore. Sante “Caro Piero, ogni seme, ogni goccia che ci hai donato diventeranno oceano di amore, di grazia, di impegno. Non ti dimenticherò”. Anonimo Per me non sei solo stato un insegnante, un diacono, uno che sapeva fare tutto in parrocchia, non sei stato solo un esempio di fede e di saper vivere nel mondo… ma sei stato soprattutto un AMICO. GRAZIE PIERO PER TUTTO QUELLO CHE HAI FATTO. Il tuo amore per il Signore è stato esemplare. Ce ne fossero come te!!! Ti prego, ora che tu vedi il volto di Dio, diglielo di cosa abbiamo bisogno. Digli che manda operai come te in questa parrocchia e in questa città. Diglielo che abbiamo bisogno di te. GRANDE PIERO. Come scordarti??!!” Boris Jean E ti rialzerà, ti solleverà su ali d’aquila, ti reggerà sulla brezza dell’alba ti farà brillar come il sole, così nelle sue mani vivrai!! Questa è una canzone che a me personalmente piace molto e tu la cantavi spesso in chiesa e quando a volte la canticchio mi vieni in mente tu! Come mi sei venuto subito in mente quest’estate quando mi sono sentito di riavvicinarmi alla fede che con il passare degli anni avevo perso, infatti ti sono venuto a cercare per parlarti, per avere da te una parola di conforto, ricordo anche il messaggio che ti scrissi su Facebook! Ricordo con gioia i campi scuola, le riunioni che facevamo nel salone e tutte le iniziative che ci proponevi per tenerci uniti! Sei stato un amico, un maestro di vita per tutti noi ragazzi! Grazie a te ho passato un’infanzia meravigliosa e solo ora mi rendo conto di quanto tu sia stato fondamentale per la nostra parrocchia! Semplicemente grazie per tutto quello che hai fatto e costruito con il cuore, con l’amore e con la tua devozione! Ti porterò sempre nel cuore! Anonimo Caro Piero, sono molto legato al mio quartiere, da un profondo senso di appartenenza. Tu sicuro mi battevi però. Hai speso tutte le tue giornate per portare le persone, soprattutto i giovani a Cristo. Oggi tra quest’ultimi che conosci bene, va di moda farsi tatuaggi; tu Gesù lo avevi scritto nel cuore. Ti voglio ricordare con una battuta un po’ provocatoria e un po’ scherzosa che ci facevi quando eravamo adolescenti, ma con un significato ben preciso: “Ragazzi, arrotolate le pagine della Bibbia e fatevi le canne di Maria… ma quella vera!” Adesso che sei lì con Lei, ti auguro delle belle fumate in Paradiso! Questo è il mio arrivederci fratello di fede e di quartiere, da uno dei nostri matti “del sabato della Luce” come mi chiamavi da quando facevamo questo incontro. Un abbraccio! Emiliano

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Appendice Ciao Caro amico Piero, con grande tristezza ho appreso questa terribile notizia che ha scosso l’intero quartiere e non solo… Con le lacrime agli occhi ti scrivo… insieme a te oggi se ne va un pezzo della mia gioventù passata nella nostra amata parrocchia e come me, penso a tanti di quei ragazzi, che con il tuo meraviglioso lavoro di fede e di amore verso il prossimo e verso soprattutto i giovani in tutti questi anni ci hai donato. Niente verrà dimenticato Piero, tutti i bei e indimenticabili ricordi rimarranno nel mio cuore. Tu insieme ad altre persone ci hai reso un’infanzia, un’adolescenza migliore seguendoci passo per passo, e se serviva aiutandoci, guidandoci e rimproverandoci molte volte. La tua vita l’hai spesa evangelizzando e aiutando il prossimo, penso che sia una delle cose più belle al mondo, un gesto d’amore indelebile. I nostri rapporti negli ultimi anni si erano riavvicinati molto, al punto che ci scrivevamo spesso anche se lontani km e km. Piero, l’unico grande rammarico è non stare lì e darti l’ultimo saluto in quella Chiesa che è stata grazie a te, Don Giancarlo, Massi e altre persone la casa di tanti giovani, quella Chiesa che domani sarà colma di tuoi amici di tante generazioni per ricordare un grande Uomo che ha scritto un grande pezzo di storia. Domani Piazzale Camerino si ferma, si ferma per darti Onore e Grazie, Uomo di fede e di speranza. Per me non è un Addio, ma solo un grande “Ciao Piero”, amico, fratello in Dio, grazie e un grande abbraccio. Francesco Mi manchi tanto caro amico sincero e molte cose sono rimaste da dire cose che affiderò al vento perché lui te le possa sussurrare. Ti voglio bene caro amico sincero, che più di amico sei il mio fratello del cuore. Angela C’è che vive e basta, chi vive ma non sa vivere, chi spreca la vita, chi lo fa con il cuore, con il corpo, con tutto se stesso… C’è chi ha saputo fare della vita ogni giorno un dono, trasmettendoti questo pensiero speciale, mostrando con semplicità come fare quasi sempre in modo divertente… Ora io so che lui sorride e continuerà a trasmetterci quell’amore incondizionato, quello che ti fa apprezzare la vita un dono… Oggi non piangerò, perché tu non vorresti, ma pregherò tanto per te. Un abbraccio speciale a te Piero!! Silvia Dovevi vivere altri 1000 anni per proseguire le tante cose che sapevi e volevi fare. Ne avresti avuto l’energia. Quell’energia contagiosa con cui tu ti approcciavi agli altri per trascinarli ad amare Dio. Se Dio avesse ascoltato le nostre preghiere non ti avrebbe richiamato a Lui così presto, ma io non credo che Lui si occupi delle vite di noi uomini, nemmeno di quelle dei suoi figli prediletti. Crea e poi…lascia fare. È di questa bella creatura che sei stato tu che io ringrazio, di averti potuto conoscere e goderne le gesta per anni. Di quello che hai fatto per le nostre famiglie, per i più deboli ed emarginati, per i ragazzi che stavano per prendere una “brutta piega” e tu cercavi di riportare alla vita sana. Parlavi dell’amore di Gesù e così dimostravi loro di amarli e di interessarti a loro. Grazie Piero, amico mio, amico di questa comunità. Don Giancarlo ha perso un figlio, noi un fratello che credeva di più e ci sapeva guidare con entusiasmo. Ora preghiamo per te ma pensiamo a Tiziana, Andrea ed Elisa. Riversiamo su loro l’amore che abbiamo avuto per te e, con il tuo aiuto da lassù, ce la faremo, ce la faremo. Raffaele

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Abbracciami Ti chiamavo sempre MIO SECONDO PADRE, perché è questo che sei stato per me. Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me, da quando ero bambina fino a questi ultimi anni. Porterò sempre nel mio cuore le tue parole e i tuoi insegnamenti. Eri un faro importante nella mia vita e quando non sapevo cosa fare mi orientavo nei tuoi occhi, cercando sempre dei consigli, perché sapevo che tu c’eri sempre per me. Continua a vegliare su di me e sulla mia famiglia come hai fatto da sempre. Un grande grazie Piero per tutto e grazie che mi hai fatto diventare la donna che sono oggi. Ti voglio bene.Ciao, la tua “figlioccia” (come mi chiamavi tu). Daniela Caro Piero, non dimenticherò mai quello che mi hai detto anni fa: “Tutto l’amore che hai dato, ti verrà ridato in futuro”. Ora ti è stato ridato tutto l’amore che hai donato a noi nel corso della tua vita, e penso che cosa più bella non ci possa essere. Sei stato un grande esempio per tutti noi, ed ora goditi tutto ciò che Dio ti ha riservato lassù! Sarai per sempre nel mio cuore! Veglia su di noi! Ti voglio bene! Anonimo Caro Piero, impossibile pensare a questa parrocchia senza vederti passare veloce, senza sentire il tintinnio delle chiavi che tenevi sempre agganciate ai pantaloni, alla tua voce nei canti alla Messa, nelle letture del Vangelo, senza sentire le tue parole. SEI UN PEZZO DI QUESTE MURA, sei un pezzo di Piazzale, per chi ci ha vissuto da sempre! Ognuno di noi, che ha frequentato di più, ha a casa qualche tuo biglietto, qualcosa di tuo scritto, le tue parole, i tuoi auguri. Sei parte della mia infanzia e della mia adolescenza. E tanti di noi devono quello che sono, per tante esperienze ed emozioni vissute, solo a te! Impossibile dimenticarti perché sei PIERO, un nome, un significato, un ricordo, un’emozione che sarà sempre nei nostri cuori. Riposa in pace! Erica “La tua vita, un dono. Ti voglio bene”.

Rosalinda

“Beati i morti che da ora muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14,13) Il tanto bene fatto, generosamente, e entusiasticamente elargito durante tutta la sua vita, accompagnano il caro Piero nella dimensione definitiva della sua esistenza, dimensione che non lo separa da noi ma lo avvicina. Stasera celebro l’eucaristia ringraziando il Padre per questa cara umana persona, un uomo di fede che ha sperimentato che la morte non ha interrotto la sua vita ma lo ha introdotto nella pienezza della sua esistenza, e che non si muore mai, ma si nasce due volte, e la seconda è per sempre. Alberto Maggi

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Appendice

Un abbraccio con tanto bene. PIERO diacono

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Abbracciami

SMS 6 AGOSTO 2015 Oggi è la FESTA DELLA TRASIFIGURAZIONE DI GESÙ: auguri allora a tuti noi perché con la grazia di Dio possiamo nella nostra vita essere splendenti nell’anima e luminosi in ciò che siamo e che facciamo e perché, aiutandoci A VICENDA, RIUSCIAMO A RIFLETTERE L’AMORE, LA TENEREZZA E LA MISERICORDIA DI GESU’ PER OGNI PERSONA… tutto questo con l’aiuto della dolce Maria… Mamma del Signore e Mamma nostra. Un abbraccio. PIERO diacono

SMS 1 NOVEMBRE 2015 Oggi è la BELLA FESTA DEI SANTI, questi fari stupendi che il Signore ci dona perché anche noi viviamo DA SANTI. E allora tanti auguri di vero cuore, perche’ in fondo oggi è la festa di tutti noi. “Non abbiate paura di essere santi del nuovo millennio” amava ripetere San Giovanni Paolo II. Non c’è chiamata piu’ affascinante di questa per ciascuno di noi: vivere da Santi, cioè con Gesù nel cuore, fare le cose di ogni giorno nell’ordinarietà della vita. Questo auguro a te o a voi, con l’aiuto e la tenerezza della Madonna, ai tuoi cari e tu augurala nel tuo cuore a me. GRAZIE! Un abbraccio con tanto bene. PIERO diacono

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SMS 25 DICEMBRE 2015 CERCA IL SIGNORE IN UN PRESEPE: “PER ENTRARE NELLA GROTTA DI Betlemme dove è nato Gesù bisogna abbassarsi, per incontrare Gesu’ bisogna farsi piccoli. Spogliati di ogni pretesa, abbassati, non avere paura della mansuetudine. Ascolta gli altri, vivi con tenerezza con loro, sii umile, e usa misericordia per riconoscere la tua dignità e quella degli altri”(Papa Francesco). USO queste belle parole per augurare, con la mia famiglia, a tutti voi un SANTO NATALE in cui poter far tesoro degli immensi doni che DIO-BAMBINO desidera farci. Un grande abbraccio con il solito grande affetto. PIERO diacono

SMS FESTA DELLE DONNE 2015 Un bacio e una dolce carezza a TE e a tutte le donne, in questo 8 Marzo... ed un grazie che parte dal cuore, perchè grazie alla vostra femminilità, sensibilità e tanto altro, ci aiutate a guardare il mondo con occhi più belli, con una tenerezza maggiore e ci aiutate a guardare oltre l’apparenza delle cose. È essenziale sentirci amati da voi. Un abbraccio con tanto bene. La Madonna… donna perfetta che ha generato Gesù l’AMORE PIENO, ti benedica e sia tua compagna di viaggio perché anche tu in ogni situazione posssa generare tanto amore… PIERO diacono

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Abbracciami

MESSAGGIO RICOVERO “PER SAPERE QUANTA FELICITÀ UNA PERSONA PUÒ RICEVERE NELLA VITA BASTA SAPERE QUANTO È CAPACE DI DARNE” (Schopenhauer)... e tu hai un cuore grande. Questa frase è scritta su un pannello lungo il corridoio in ospedale. Volevo dedicartela anche per ringraziarti della visita di ieri, che mi ha fatto tanto piacere. Grazie ancora e un abbraccio con tanto bene che ti voglio. PIERO

10 ottobre 2015 Cari catechisti e catechiste, cari amici, oggi non posso essere lì con voi a catechismo… sono ancora agli arresti domiciliari a Torrette (dovrei uscire lunedì) ma sono con voi nel grande affetto, nella gioia di condividere insieme la bella esperienza dell’annuncio di Gesù e nell’amicizia tra noi. Approfitto per augurarvi buon catechismo, buon sabato sera e buona Domenica. Un abbraccio, a presto PIERO

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Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di questo libro e a quanti lo leggeranno, ricordando PapĂ . Andrea

ANDREA ALFIERI PADIGLIONI alfieriandrea.aa@gmail.com 339.8728582 Ancona 6 dicembre 2016 Progetto grafico: Raffaele Giorgetti Stampa: Errebi Grafiche Ripesi



Lasciare qualcosa del nostro pensiero oltre la morte è il sogno di tanti, ma la realizzazione di pochi. Ci vuole contenuto, capacità, originalità, spesso ci vuole tempo, ma a volte esso si mostra in tutta la sua relatività cosicché, alla mente fuori dal comune, ne basta davvero poco per potersi esprimere al meglio


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