CONI Scuola dello Sport Marche GESTIRE UN'ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA

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A R E A G E S T I O N A L E M A N A G E M E N T E GIURIDICA

GESTIRE UN'ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA: la normativa nazionale e regionale Avv. Barbara Agostinis

i volumi del CONI realizzato dalla Scuola Regionale dello Sport delle Marche



GESTIRE UN’ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA

INDICE

1 L’associazionismo sportivo marchigiano. 2 Cosa è un’associazione sportiva dilettantistica. 2.1 Modalità di costituzione. 2.2. L’affiliazione e l’iscrizione al Registro nazionale delle Associazioni e Società sportive dilettantistiche del CONI. 2.2 Gli organi dell’associazione sportiva dilettantistica. 2.2.a L’assemblea. 2.2.b Il consiglio direttivo. 2.2.c Il Presidente. 2.2.d Gli altri organi eventuali. 2.3 Il rapporto associativo. Lo status di socio e tesserato. 3 La tutela sanitaria degli atleti marchigiani. 3.1 L’idoneità alla pratica agonistica. Le disposizioni peculiari per gli atleti agonisti della Regione Marche. 3.2 L’idoneità alla pratica non agonistica. 3.3 La certificazione per lo svolgimento dell’attività di fitness. 3.4 L’importanza del certificato medico: strumento fondamentale di tutela della salute degli atleti e di esonero da responsabilità per i dirigenti. 3.5 L’obbligo di dotazione dei defibrillatori e di formazione del personale preposto al loro utilizzo. 4 Le responsabilità in ambito associativo. 4.1 Una breve premessa: la distinzione fra responsabilità civile e penale.

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4.2 La responsabilità (civile e/o penale) dell’allenatore e la responsabilità solidale dell’ente. 4.3 La responsabilità civile e penale del dirigente. 4.4 La responsabilità patrimoniale (ex art. 38 c.c.) del dirigente un’associazione sportiva dilettantistica priva della personalità giuridica.

5 Il lavoro sportivo: brevi cenni.

Appendice normativa

2

di


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Agostinis Barbara: è avvocato patrocinante avanti le Supreme Corti esperto di diritto sportivo. Componente del Collegio di garanzia del CONI e docente di diritto dello sport presso l'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo". E' autore di numerose pubblicazioni in materia di diritto dello sport, nonché relatrice a Convegni di rilevanza internazionale.

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La presente pubblicazione mira ad essere una guida pratica per i dirigenti, una sorta di consulenza on line in merito alle principali questioni giuridiche che devono essere conosciute dal dirigente di un’associazione sportiva (marchigiana). L’idea nasce dalla constatazione, acquisita durante l’attività di consulenza resa alle associazioni sportive – in particolare della Regione Marche -, della necessità di investire sulla formazione dei dirigenti, i quali, oltre a curare la preparazione sportiva degli atleti, devono “muoversi” con consapevolezza nell’ambito del diritto sportivo. La normativa giuridico-fiscale e la casistica relativa al contenzioso sportivo, in continua e rapida evoluzione, non possono invero essere ignorate dai dirigenti. Attraverso questa pubblicazione, si è ritenuto opportuno offrire uno strumento pratico per la gestione corretta di un’associazione sportiva dilettantistica, nonché per la formazione e l’aggiornamento dei dirigenti, chiamati a confrontarsi quotidianamente con l’applicazione di norme, la cui interpretazione è spesso fonte di dubbi e perplessità. Consapevoli dell’estrema complessità del sistema sportivo, si è pensato di focalizzare l’attenzione su alcuni temi, non sempre chiari ai dirigenti sportivi. Si pensi, tra l’altro, alla natura giuridica delle associazioni sportive dilettantistiche (provviste o prive di riconoscimento della personalità giuridica) e al regime di responsabilità che deriva dall’avere scelto di costituire un determinato tipo di associazione anziché un altro, nonché agli adempimenti richiesti in materia di tutela sanitaria degli atleti e alla responsabilità derivanti dall’inosservanza dei medesimi. L’approfondimento dei temi affrontati trae spunto dall’analisi normativa (anche regionale) ed è corredato dei riferimenti giurisprudenziali e di prassi, laddove significativi.

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I L’ASSOCIAZIONISMO MARCHIGIANO Il 2016, come ogni anno olimpico, “punta i riflettori” sugli atleti di alto livello; non può, tuttavia, trascurarsi la considerazione delle innumerevoli associazioni sportive e dello sport “di base”. Gli atleti che, con grandissima fatica e dedizione, si conquistano il pass olimpico rappresentano, infatti, solo la “punta dell’iceberg” dell’associazionismo sportivo. La conferma di una simile affermazione può trarsi dall’analisi dei seguenti dati. Nelle Marche 1 gli atleti tesserati sono 168.103, di cui 158.287,00 ad una Federazione sportiva nazionale (rispettivamente 51.152,00 appartengono alla provincia di Ancona; 24.693,00 a quella di Ascoli Piceno; 10.234,00 alla provincia di Fermo; 34.632,00 a quella di Macerata ed, infine, 37.576,00 a quella di Pesaro e Urbino).

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Secondo i dati aggiornati a maggio 2016.

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Atle% FSN Pesaro e Urbino 24% Ancona 32% Macerata 22%

Ascoli Piceno 16%

Fermo 6% Con riguardo alle Discipline sportive associate, gli atleti tesserati sono 9.816,00, di cui 3.110,00 per la provincia di Ancona; 1.469,00 per la provincia di Ascoli Piceno; 687,00 per la provincia di Fermo; 2.813,00 per la provincia di Macerata ed, infine, 1.737,00 per quella di Pesaro Urbino.

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Atle% DSA 1.737,00

Ancona 3.110,00

Ascoli Piceno Fermo Macerata

2.813,00 1.469,00

Pesaro e Urbino

687,00

I tecnici “marchigiani” sono complessivamente 9.127,00 di cui 8.785,00 federali (rispettivamente: 3.000,00 nella provincia di Ancona, 1413,00 in quella di Ascoli Piceno, 701,00 nella provincia di Fermo, 1812,00 in quella di Macerata e, infine, 1859,00 in quella di Pesaro ed Urbino) e 342,00 tesserati ad una disciplina sportiva associata (120,00 nella provincia di Ancona, 44,00 in quella di Ascoli Piceno, 26,00 in quella di Fermo, 97,00 nella provincia di Macerata ed, infine, 55,00 in quella di Pesaro ed Urbino)

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Tecnici FSN Pesaro e Urbino 21% Ancona 34% Macerata 21%

Ascoli Piceno 16%

Fermo 8%

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Tecnici DSA Ancona

55,00 120,00

Ascoli Piceno Fermo Macerata

97,00

Pesaro e Urbino 26,00

44,00

Numerosi sono invero anche i dirigenti sportivi federali “marchigiani” (22.538,00; di cui 6.593,00 nella provincia di Ancona; 3837,00 in quella di Ascoli Piceno; 2192,00 in quella di Pesaro, 5082,00 nella provincia di Macerata ed, infine, 4.888,00 in quella di Pesaro ed Urbino).

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Pesaro e Urbino 22%

Dirigen% FSN Ancona 29%

Macerata 22%

Ascoli Piceno 17%

Fermo 10%

Con riguardo alle discipline sportive associate, i dirigenti marchigiani sono 1435,00 (474,00 nella provincia di Ancona; 286,00 in quella di Ascoli Piceno; 93,00 nella provincia di Fermo; 443,00 in quella di Macerata ed, infine, 139,00 nella provincia di Pesaro ed Urbino).

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Dirigen% DSA 139,00

Ancona 474,00

Ascoli Piceno Fermo

443,00

Macerata Pesaro e Urbino 93,00

286,00

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2 COSA È UN’ASSOCIAZIONE SPORTIVA DILETTANTISTICA 2.1 Modalità di costituzione. L’art. 90, comma 17, legge 289/02 (e successive modificazioni)2 stabilisce che gli enti sportivi dilettantistici possano costituirsi nelle seguenti forme: “a) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato priva di personalità giuridica disciplinata dagli articoli 36 e seguenti del codice civile; b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361; c) società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro”. Le associazioni sono gli enti sportivi più diffusi in tutto il paese, non solo nella nostra Regione 3 , probabilmente per la maggiore semplicità del procedimento costitutivo rispetto alle società sportive dilettantistiche. Non si può, tuttavia, non evidenziare che – come si avrà modo di approfondire in seguito - alla minore complessità riscontrata nella fase iniziale, soprattutto con riguardo alla associazione sportiva sprovvista di personalità giuridica, segue una maggiore responsabilità delle persone fisiche che hanno agito in nome e per conto dell’ente. Nel nostro ordinamento vi sono due tipologie di associazioni: associazioni provviste di personalità giuridica e associazioni che ne sono prive.

2 La Legge n. 289/2002, all'art. 90, ha introdotto nel nostro ordinamento giuridico nuove norme volte ad incentivare il settore delle attività sportive dilettantistiche. Tale articolo è stato modificato dall'art. 4 del D.L. n. 72/2004 convertito in Legge n. 128 del 21 maggio 2004. 3 Nella Regione Marche (secondo i dati aggiornati a luglio 2016), su un totale di 5627 sodalizi sportivi iscritti al Registro Nazionale delle società e associazioni sportive tenuto dal CONI, ben 5421 sono associazioni sportive dilettantistiche, solo 180 sono società sportive dilettantistiche (e 26 sono società cooperative).

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Le

une

(disciplinate

degli

articoli

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ss.

Codice

civile),

attraverso

il

riconoscimento della personalità giuridica, assumono la natura di soggetti giuridici completamente autonomi – rispetto ai soci e ai terzi - dotati, in particolare, di “autonomia patrimoniale perfetta”; le altre (regolate dagli artt. 36, 37 e 38 c.c.) hanno una minor autonomia, soprattutto con riguardo all’aspetto patrimoniale. Gli enti interessati ad ottenere il riconoscimento della personalità giuridica devono seguire la procedura indicata dal DPR 10 febbraio 2000 n. 361, che impone (oltre alla richiesta agli organi competenti, i.e. alla Prefettura della provincia in cui ha sede l’ente o alla Presidenza della Regione, qualora le finalità statutarie si esauriscano nell’ambito di una sola Regione) il rispetto di alcune prescrizioni. Oltre alla costituzione con atto pubblico, è necessario che l’ente persegua uno scopo possibile e lecito e che disponga di un patrimonio adeguato al raggiungimento di detto scopo; quest’ultimo requisito deve essere comprovato da idonea ed adeguata documentazione allegata alla domanda di riconoscimento della personalità giuridica. In presenza dei requisiti di legge, le associazioni acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento determinato dall'iscrizione nel registro delle persone

giuridiche,

istituito

presso

le

prefetture

o

presso

le

Regioni

(limitatamente agli enti, le cui finalità statutarie si esauriscano, come detto, nell’ambito di una sola Regione). La circostanza per cui il riconoscimento della personalità giuridica sia subordinato, tra l’altro, alla necessaria dimostrazione dell’esistenza di un patrimonio idoneo al raggiungimento dello scopo, giustifica l’attribuzione di un’autonomia patrimoniale perfetta, che consente ai creditori dell’associazione di soddisfarsi esclusivamente sul patrimonio del sodalizio, senza potere “aggredire” quello personale dei singoli soci. Ove, viceversa, l’ente non abbia chiesto o ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, l’assenza di controlli sull’entità del patrimonio nella fase costitutiva, impone l’attribuzione di una autonomia patrimoniale cd. imperfetta, ai sensi dell’art. 38 c.c. (“per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono fare valere i loro diritti sul fondo

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comune.

Delle

obbligazioni

stesse

rispondono

anche

personalmente

e

solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”), a maggior tutela dei terzi. Come si approfondirà in seguito, una simile prescrizione può avere importanti conseguenze, in termini di responsabilità patrimoniale, per i soggetti che hanno “speso” il nome dell’associazione. La diversa natura giuridica degli enti sportivi dilettantistici – che spesso sfugge ai dirigenti - non può non essere chiara, considerati gli effetti

che derivano

dall’adozione di un modello anziché un altro, soprattutto in termini di responsabilità. L’assenza di controlli – anche sul patrimonio – nella fase iniziale è riconducibile alla circostanza per cui il procedimento di costituzione dell’associazione che non intende ottenere il riconoscimento della personalità giuridica è molto più snello, essendo sufficiente la registrazione all’Agenzia delle Entrate dell’atto costitutivo, il quale può essere redatto nella forma della semplice scrittura privata (autenticata). Seppure la forma scritta non sia richiesta – dal codice civile - a pena di nullità per la costituzione degli enti associativi privi della personalità giuridica,

rappresenta

un

requisito

necessario

al

fine

dell’obbligatoria

registrazione dell’atto costitutivo delle associazioni sportive dilettantistiche 4 all’Agenzia delle Entrate5, funzionale alla legittima fruizione delle agevolazioni fiscali. Qualunque sia la forma prescelta, la “nascita” delle associazioni sportive dilettantistiche prende vita da un accordo, qualificato come contratto con comunione di scopo, in considerazione della condivisione dello scopo associativo fra le parti. L’accordo si compone di due parti: l’atto costitutivo e lo statuto, l’uno “fotografa” l’associazione, l’altro mira a disciplinare la vita interna ed il funzionamento del sodalizio, la cui regolamentazione – laddove si tratti di enti non riconosciuti – è rimessa all’autonomia negoziale degli associati (ai sensi

4 Al riguardo, l’art. 90, comma 18, legge 289/02 dispone espressamente che “le società e le associazioni sportive dilettantistiche si costituiscono con atto scritto”. 5 Ai sensi dell’art. 148, comma 8, TUIR è obbligatoria la registrazione dell’atto costitutivo e dello statuto associativo (stipulati nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata) per la legittima fruizione delle agevolazioni ivi previste.

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dell’art. 36 c.c.) 6 , mentre, in caso di associazioni provviste di personalità giuridica, è soggetta al rispetto delle prescrizioni di cui all’art 16 c.c.. All’atto costitutivo deve essere allegato lo statuto. Qualunque sia la natura giuridica dell’ente (anche nel caso di associazioni sprovviste di personalità giuridica,

caratterizzate

dalla

massima

autonomia),

lo

statuto

deve

obbligatoriamente contenere le clausole imposte dall’art. 90, comma 18, legge 289/02, necessarie ed imprescindibili per il riconoscimento della natura sportiva del sodalizio. In particolare, devono essere indicate la sede dell’associazione e la denominazione, quest’ultima deve menzionare espressamente la natura di associazione sportiva dilettantistica7, al fine di rendere edotti i terzi sulla natura sportiva del sodalizio8. Non può invero essere trascurata la necessità di riportare un simile elemento, presupposto per il godimento dei benefici fiscali, in tutti i segni distintivi del sodalizio o comunicazioni rivolte al pubblico9. Il mancato riferimento – nella denominazione - alla natura di ente sportivo dilettantistico potrebbe invero impedire anche l’affiliazione all’ente prescelto (Federazione sportiva nazionale, Disciplina sportiva associata o Ente di promozione sportiva). Deve, inoltre, risultare espressamente l’oggetto sociale con riferimento all'organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l'attività

6 L’art. 36 c.c. enuncia che: “l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati. Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione”. 7 L’art. 90, comma 18 ter, della legge 289/02, al riguardo precisa che: “Le società e associazioni sportive dilettantistiche che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono in possesso dei requisiti di cui al comma 18, possono provvedere all'integrazione della denominazione sociale di cui al comma 17 attraverso verbale della determinazione assunta in tale senso dall'assemblea dei soci”. 8 Invero la norma richiede solo l’espressa indicazione della natura di associazione sportiva dilettantistica, senza alcun riferimento alla presenza o meno della personalità giuridica. 9 Ai sensi della Circ. 21 E/2003 dell’Agenzia delle Entrate “costituisce condizione per il godimento dei benefici fiscali l’adozione della denominazione indicata nel citato comma 17 dell’art. 90, che deve essere utilizzata in tutti i segni distintivi o comunicazioni rivolte al pubblico”. E’ oltremodo evidente il necessario rispetto di una simile prescrizione, considerate le pesanti conseguenze che possono derivare dall’inosservanza della medesima, eccepita peraltro dall’Agenzia delle Entrate nel corso dell’attività di accertamento. In senso contrario si è pronunciata la giurisprudenza di merito; da ultimo, v. la pronuncia della Comm. Trib. Reg. Firenze, 2. 02. 2016 n. 157/29/16, che, in un’ottica di prevalenza della sostanza sulla forma, ha enunciato il principio per cui il mancato inserimento della dizione “associazione sportiva dilettantistica” nella denominazione della società non impedisce di riconoscere i presupposti per l’applicazione del regime agevolativo di cui alla L. 398/91, sempre che sia verificato lo svolgimento, di fatto, dell’attività dilettantistica.

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didattica. Se, da un lato, è evidente il necessario svolgimento di attività sportiva dilettantistica da parte dei sodalizi sportivi, dall’altro, non può essere trascurata la

doverosa

previsione

ed

esecuzione

dell’attività

didattica,

consistente

nell’organizzazione di corsi per l’avvio ed il perfezionamento dell’attività sportiva. Al fine di evitare spiacevoli contestazioni, la clausola statutaria dovrà prevedere che l’attività didattica costituisce parte integrante dell’oggetto sociale.

Un’altra

clausola

immancabile,

oltre

all’indicazione

della

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rappresentanza legale dell’associazione , riguarda la necessaria assenza dello scopo di lucro, accompagnata dalla espressa previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette. È oltremodo evidente che una simile prescrizione deve trovare concreta attuazione nel “corso della vita” della società. La circostanza per cui il divieto dello scopo di lucro sia un principio fondamentale dello sport dilettantistico, impone ai sodalizi di reinvestire (e di prevedere, nell’ambito dello statuto, tale doveroso reinvestimento) gli utili prodotti nello svolgimento delle attività istituzionali. Il divieto di scopo di lucro non deve invero essere (fra)inteso come divieto di ricavare utili, necessari allo svolgimento delle attività istituzionali, bensì deve essere considerato come divieto di distribuire tali somme fra gli associati, anche in forme indirette. È doveroso prestare molta attenzione al rispetto di un simile obbligo, considerate le pesanti conseguenze derivanti dall’eventuale inosservanza del medesimo. In assenza di una definizione legislativa, volta a chiarire il significato dell’espressione “distribuzione indiretta di utili”, è opportuno fare riferimento alla prassi, ed in particolare alle indicazioni offerte dall’Agenzia delle Entrate11 che rimanda ai criteri menzionati dall’art. 10, comma 6, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460 (decreto istitutivo delle ONLUS)12.

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La rappresentanza legale (sostanziale e processuale) è perlopiù attribuita, nel caso di associazioni sportive dilettantistiche, al presidente dell’ente. In tal senso, si veda la risoluzione 9/E del 25 gennaio 2007 e alla circolare n. 124/E del 22 maggio 1998. 12 Il cui mancato rispetto configura – secondo l’ente - di per sé un’indiretta distribuzione fra i soci dei proventi dell’attività sociale di cui all’art. 90, comma 18, lett. d), della legge n. 289 del 2002. 11

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Secondo tale prescrizione normativa, costituiscono una distribuzione indiretta di utili le seguenti fattispecie: “l’acquisto di beni o servizi per corrispettivi che, senza valide ragioni economiche, siano superiori al loro valore normale” (lett. b); “la corresponsione ai componenti gli organi amministrativi e di controllo di emolumenti individuali annui superiori al compenso massimo previsto dal d.p.r. 10 ottobre 1994, n. 645, e dal d.l. 21 giugno 1995, n. 239, convertito dalla l. 3 agosto 1995, n. 336, e successive modificazioni e integrazioni, per il presidente del collegio sindacale delle società per azioni” (lett. c); “la corresponsione ai lavoratori dipendenti di salari o stipendi superiori del 20 per cento rispetto a quelli previsti

dai contratti collettivi di lavoro per le medesime qualifiche”

(lett. e). E’ oltremodo evidente che, poiché un simile elenco non è considerato esaustivo, possono ravvisarsi altre situazioni di distribuzione indiretta di utili, il cui accertamento deve essere verificato in concreto. Un’ulteriore clausola, collegata al principio del divieto di scopo di lucro (caratterizzante lo sport dilettantistico), concerne la necessaria previsione, all’interno dello statuto, delle situazioni, dei casi e delle modalità di scioglimento dell'associazione nonché dell'obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio nell’ipotesi di scioglimento del sodalizio. Come detto, la citata disposizione è una manifestazione del menzionato principio del divieto di scopo di lucro, il cui rispetto impedisce la distribuzione, anche indiretta, di utili non solo durante “la vita” del sodalizio, bensì anche al momento della cessazione dell’attività, ed impone che il patrimonio residuo (mobiliare ed immobiliare) in tale fase, non potendo essere ripartito tra i soci, debba essere devoluto ad altri enti che perseguono finalità analoghe. Un’altra prescrizione, necessariamente essere presente nello statuto, riguarda la regolamentazione dell'ordinamento interno, ispirata a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell'elettività delle cariche sociali, fatte salve le società sportive dilettantistiche che assumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si applicano le disposizioni del codice civile.

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La disciplina dell’ordinamento interno, volta a regolare il rapporto associativo, si pensi, ad esempio, allo status di socio, alle modalità di ammissione e alle ipotesi di decadenza o di esclusione, anche laddove è rimessa agli accordi degli associati (ex art. 36 c.c. per le associazioni prive di personalità giuridica), deve rispettare le regole fondamentali ed inderogabili sancite dall’art. 90 legge 289/02, tra le quali si evince l’osservanza dei principi di democraticità e uguaglianza di tutti gli associati. In virtù di quest’ultima previsione, lo statuto non può attribuire diritti particolari soltanto ad alcuni soci, poichè tutti devono godere dei medesimi diritti (con espresso riguardo anche all’elettorato attivo e passivo). Il principio di democraticità, richiamato anche dall’art. 29 dello statuto del CONI (“Le società e le associazioni sportive riconosciute ai sensi dell’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modifiche e integrazioni, fatti salvi i casi previsti dall’ordinamento ed i casi di deroga autorizzati dal Consiglio Nazionale, non hanno scopo di lucro e sono rette da statuti e regolamenti interni ispirati al principio democratico e di pari opportunità, anche in conformità ai principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale”) mira a garantire il coinvolgimento del massimo numero di associati ai processi decisionali dell’ente sportivo. La realizzazione ed attuazione di un simile principio presuppone l’osservanza di alcuni “passaggi”, si pensi, tra l’altro, alla regolare convocazione dell’assemblea, nel rispetto delle disposizioni statutarie. Al riguardo, è bene sottolineare l’importanza di prevedere delle modalità di convocazione “agili ed economiche” (la raccomandata con ricevuta di ritorno o il telegramma sono modalità ormai superate, contemplate soprattutto negli statuti più “datati”, attualmente sostituite dall’indicazione di strumenti più moderni, quali, ad esempio, la PEC13), in grado di attestare, anche a distanza di tempo, l’avvenuta convocazione14.

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Il valore legale della raccomandata con ricevuta di ritorno, del resto, è stato equiparato - dal D.P.R. n. 68 del 2005 - a quello della notifica a mezzo posta elettronica certificata (PEC), purché anche il destinatario sia in possesso di tale strumento. 14 Nel caso di affissione della convocazione all’interno della sede sociale, è opportuno fare firmare un documento “per presa visione”, a conferma del fatto che gli associati ne sono venuti a conoscenza.

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Il rispetto del principio di democraticità, in definitiva, non impone la necessaria ed effettiva partecipazione di tutti gli associati, ma il loro coinvolgimento, ovvero la possibilità, concessa a ciascuno, di prendere parte al processo decisionale. Oltre ad esprimere la sovranità dell’assemblea (e la necessità che siano seguite modalità di convocazione tali da garantire la massima partecipazione degli associati), altri “riflessi” del citato principio sono il criterio del voto per teste (ogni socio ha diritto ad un voto) e la libera eleggibilità degli organi amministrativi. Le associazioni sportive, seppure non siano obbligate – in base alle disposizioni del codice civile - al rispetto di particolari modalità nella tenuta della contabilità, devono tuttavia prevedere – ai sensi dell’art. 90 l. 289/02- l'obbligo di redazione di rendiconti economico-finanziari

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, nonché le modalità di

approvazione degli stessi da parte degli organi statutari. Con particolare riguardo a quest’ultimo aspetto, è doveroso sottolineare la necessità che lo statuto descriva in modo dettagliato le modalità di approvazione del bilancio da parte degli organi sociali, specificando i compiti di ciascuno. La tenuta di una contabilità regolare e trasparente, oltre ad essere rispettosa della disposizione suddetta, è funzionale, in caso di accertamenti fiscali, alla necessaria ricostruzione dei movimenti economici effettuati dal sodalizio. Da ultimo, lo statuto deve indicare il divieto per gli amministratori delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche di ricoprire la medesima carica in altre società o associazioni sportive dilettantistiche nell'ambito della stessa Federazione sportiva o disciplina associata riconosciute dal CONI, ovvero nell'ambito della medesima disciplina facente capo ad un ente di promozione sportiva, al fine di garantire l’autonomia ed indipendenza nell’assunzione delle decisioni, evitando il verificarsi di un possibile conflitto di interesse. Il rispetto dei requisiti indicati dall’art. 90 della legge 289/02 rappresenta un presupposto necessario affinché il sodalizio possa ottenere il riconoscimento a fini sportivi da parte del CONI.

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Nel rendiconto economico e finanziario devono essere menzionate sia l'attività istituzionale sia quella commerciale eventualmente esercitata.

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Il mancato riconoscimento della natura sportiva, d’altra parte, non si riflette, impedendola, solo sull’acquisizione dei diritti sportivi, bensì anche sulla legittima percezione delle agevolazioni tributarie e contributive connesse16. L’ingresso nel mondo sportivo impone l’osservanza delle regole dettate dai soggetti dell’ordinamento sportivo. Il necessario rispetto di simili disposizioni deve risultare nello statuto, ove va espressamente codificato l’obbligo di conformarsi

alle norme e alle direttive del CONI, nonché agli statuti e ai

regolamenti delle Federazioni sportive nazionali, degli Enti di promozione sportiva o delle Discipline sportive associate cui l'associazione intende affiliarsi. Anche la presenza di detta prescrizione è necessaria affinché l’ente possa essere riconosciuto in ambito sportivo17. Ulteriori clausole sono richieste dall’art. 148, comma 8, TUIR (unitamente alla registrazione dello statuto) affinché i corrispettivi specifici corrisposti da soci, associati e tesserati (si pensi al versamento delle quote dei corsi) possano essere de-commercializzati18. In particolare, deve essere espressamente indicato : il divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili, avanzi di gestione, fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge19; l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui

16

In tal senso, si v. la circolare dell’Agenzia delle Entrate 22 aprile 2003 n. 21/E, secondo cui: “… in mancanza del formale recepimento nello statuto o nell’atto costitutivo, nonché in caso di inosservanza di fatto delle clausole stabilite ... dal comma 18 dell’art. 90, le associazioni e società sportive dilettantistiche non possono beneficiare del particolare regime agevolativo ad esse riservato”. 17 Il Consiglio Nazionale del CONI, con delibera n. 1273 del 15 luglio 2004 (relativa ai “Principi fondamentali degli statuti delle associazioni e società sportive”) ha imposto che, al fine di ottenere il riconoscimento a fini sportivi, le società e associazioni sportive devono inserire nei propri statuti, oltre ai requisiti richiesti dalla legislazione statale, un simile obbligo (“l’obbligo di conformarsi alle norme e alle direttive CONI nonché agli statuti e ai regolamenti delle Federazioni sportive nazionali e delle Discipline sportive associate o dell’Ente di promozione sportiva cui la società o associazione intende affiliarsi"). È evidente che se, da un lato, la mancanza di una simile previsione – nel proprio statuto - può comportare il rifiuto del riconoscimento a fini sportivi, dall’altro, il recepimento della stessa impone al sodalizio la conoscenza ed accettazione di eventuali prescrizioni particolari dettate dall’organismo di riferimento. 18

A tal proposito, è oltremodo importante precisare che la possibilità di fruire dell’agevolazione fiscale concernente la decommercializzazione dei corrispettivi specifici è subordinata all’avvenuto perfezionamento dello status di associato e tesserato al momento dell’incasso del corrispettivo. In merito all’acquisizione della qualifica di associato, è necessario verificare le modalità indicate nell’ambito dello statuto, con riguardo a quella di tesserato, non può trascurarsi la procedura prescritta dall’organismo cui il sodalizio è affiliato (Federazione sportiva nazionale, Ente di promozione sportiva. Disciplina sportiva associata). 19 La formulazione di tale precetto è analoga al disposto contenuto nell’art. 90, c. 18, legge 289/02, lett. D, cui si rinvia.

20


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all’art. 3, c. 190, l. 23 dicembre 1996 n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge20. Un’altra clausola obbligatoria riguarda la disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto

medesimo,

escludendo

espressamente

la

temporaneità

della

partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori di età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione. Attraverso questo disposto, simile peraltro a quello contenuto nell’art. 90 della legge 289/0221, il legislatore mira ad evitare l’indebita percezione di agevolazioni da parte di enti solo “apparentemente” associativi, in realtà carenti dei requisiti imprescindibili per potere essere definiti tali, quali, l’uniformità del rapporto associativo, finalizzato ad evitare il riconoscimento di diritti particolari solo ad alcune categorie di soci, e l’effettività del medesimo, volto a consentire la partecipazione al maggior numero dei soci, il cui status non può essere temporaneo (potendo venire meno solo per recesso o esclusione secondo le modalità indicate nello statuto). Ai sensi dell’art. 148, comma 8, TUIR, deve inoltre essere necessariamente previsto l’obbligo di redigere ed approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie, in linea con quanto disposto dall’art. 90, c. 18, legge 289/02, lett. F. La forma ed il contenuto del bilancio, di cui deve essere assicurata la veridicità, trasparenza e completezza, sono determinati dagli amministratori, non essendo disciplinati dalla legge. Non può trascurarsi invero che eventuali attività commerciali svolte dal sodalizio vanno distinte – nella redazione del documento dalle attività istituzionali e redatte secondo quanto previsto dalla normativa fiscale vigente.

20

Anche questa previsione ha un contenuto simile alla prescrizione di cui all’art. 90, comma 18, legge 289/02 lettera H; si differenzia invero per la precisazione secondo cui la devoluzione del patrimonio al beneficiario è subordinata al preventivo parere dell’organismo di controllo. 21 Lett. E.

21


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Ai sensi della normativa sopra richiamata, non possono essere omesse le seguenti clausole relative a: l’eleggibilità libera degli organi amministrativi, il principio del voto singolo di cui all'articolo 2532, comma 2, del codice civile, la sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, i criteri e le idonee forme di pubblicità delle convocazioni

assembleari,

delle

relative

deliberazioni,

dei

bilanci

o

rendiconti 22 ; nonché, infine, l’intrasmissibilità della quota o del contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e la non rivalutabilità della stessa. Come enunciato in precedenza, la previsione - nell’ambito dello statuto - delle clausole indicate dall’art. 148, comma 8, TUIR è imprescindibile per potere decommercializzare i corrispettivi specifici pagati dai soci, tesserati e frequentatori, per il cui scopo non è sufficiente il rispetto delle clausole enunciate dall’art. 90, comma 18, legge 289/02, richiesto affinché il sodalizio possa ottenere il riconoscimento dello status di ente sportivo e delle agevolazioni tributarie ad esso connesse. È altresì opportuno ribadire che le clausole, obbligatoriamente previste all’interno dello statuto, non possono essere intese quali mere enunciazioni di principio, dovendo trovare concreta attuazione nella vita associativa. Se agli enti sportivi dilettantistici sprovvisti della personalità giuridica non è imposto il rispetto di altre disposizioni, non altrettanto può dirsi con riguardo ai sodalizi intenzionati ad ottenere un simile riconoscimento, i quali sono tenuti a recepire anche gli elementi elencati dall’art. 16 c.c., ovvero la denominazione dell’associazione sportiva dilettantistica, l’indicazione dello scopo perseguito dal sodalizio, del patrimonio e della sede, le norme sull’ordinamento interno e sull’amministrazione, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione. In

definitiva,

l’osservanza

delle

norme

sopra

enunciate

è

necessaria,

rispettivamente: ai fini del riconoscimento della natura di ente sportivo (l’art. 90,

22

La clausola, seppure simile a quella contenuta nell’art. 90, comma 18 lett. E della legge 289/02, non è sovrapponibile poiché menziona, tra l’altro, la necessaria indicazione dei criteri di ammissione e di esclusione dei soci, nonché le idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci e dei rendiconti.

22


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commi 17 e 18, l. 289/02 e delle disposizione emanate in ambito sportivo dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dagli Enti di promozione sportiva e dalle Discipline sportive associate); al conseguimento della personalità giuridica (l’art. 16 c.c.); alla de-commercializzazione delle attività svolte nei confronti dei soci, associati e tesserati (l’art. 148, comma 8, TUIR). Una volta redatto l’atto costitutivo e lo statuto (e richiesto il Codice fiscale unitamente alla partita iva se l’ente intende svolgere attività commerciale oltre a quella istituzionale -), è necessario registrare tali atti all’Agenzia delle Entrate23 e comunicare alla SIAE di volere beneficiare delle agevolazioni previste dalla legge 398/91 (ove interessati). Esauriti gli adempimenti citati, è necessario perfezionare l’iter di ingresso nel mondo sportivo, attraverso l’affiliazione ad una Federazione sportiva nazionale, ad un Ente di promozione sportiva o ad una Disciplina sportiva associata e l’iscrizione nel Registro delle società e associazioni dilettantistiche presso il CONI24. 2.2. L’affiliazione e l’iscrizione al registro nazionale delle Associazioni e Società sportive dilettantistiche del CONI. Il rispetto dei requisiti indicati dall’art. 90, commi 17 e 18 della legge 289/02, costituisce invero, come detto, un presupposto fondamentale, seppure non l’unico, per il riconoscimento della natura sportiva dell’associazione. Il percorso per ottenere il citato riconoscimento si articola in vari passaggi. Successivamente alla regolare costituzione del sodalizio, come anticipato in estrema sintesi, è necessario procedere all’affiliazione ad una Federazione sportiva nazionale, ad una Disciplina sportiva associata o ad un Ente di promozione sportiva. Un simile atto consente, tra l’altro, all’ente di: entrare nel mondo

sportivo,

partecipare

alle

competizioni

regolarmente

ottenere l’attribuzione dei risultati sportivi.

23 24

Un simile adempimento deve essere compiuto entro trenta giorni dalla costituzione dell’associazione. V. amplius, quanto previsto nel paragrafo dedicato.

23

organizzate,


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Il riconoscimento definitivo dello status di soggetto sportivo è demandato al Coni che è l’unico ente certificatore dell’attività sportiva effettuata dalle società e associazioni sportive dilettantistiche, nonché garante dell’ordinamento sportivo nazionale25. A tal fine, è stato istituito il Registro Nazionale delle Associazioni e Società sportive dilettantistiche, tenuto in forma telematica dal CONI, cui debbono obbligatoriamente iscriversi i sodalizi che vogliono ottenere il riconoscimento di ente sportivo dilettantistico. Il percorso per l’entrata in vigore di tale strumento ha invero incontrato numerosi “ostacoli”. La formulazione originale dell’art. 90, commi 20-22 26 , della legge 289/02, prevedeva l’istituzione di un Registro pubblico delle associazioni e società sportive dilettantistiche tenuto dal CONI. Una simile statuizione è stata oggetto di un giudizio di illegittimità costituzionale, sollevato dalle Regioni Toscana, Valle d’Aosta ed Emilia Romagna per presunta violazione degli artt. 3, 5, 114, 117, 118, 119 della Costituzione. In particolare, la presunta illegittimità dell’istituzione di un registro pubblico, tenuto dal CONI, si fondava sull’attribuzione di un tale strumento alla competenza esclusiva dello Stato, anziché a quella concorrente Stato – Regioni (ai sensi delle disposizioni costituzionali indicate). Il timore che l’abrogazione dei commi 20-22 dell’art. 90 27 , a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale, avesse potuto agevolare forme di evasione fiscale, venendo meno ogni potere di controllo da parte del CONI, il

25

Ai sensi dell’art. 7, l. 27 luglio 2004 n. 186 di conversione del decreto legge 28 maggio 2004 n. 136. Un simile principio è ribadito dalla recente lettera circolare (emanata in data 1° dicembre 2016, prot. 1/2016) dell’Ispettorato del lavoro. Si riporta di seguito il contenuto dei commi abrogati per chiarezza. Il comma 20 enunciava che: “presso il CONI è istituito, anche in forma telematica e senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato, il registro delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche distinto nelle seguenti tre sezioni: a) associazioni sportive dilettantistiche senza personalità giuridica; b) associazioni sportive dilettantistiche con personalità giuridica; c) società sportive dilettantistiche costituite nella forma di società di capitali”. Il comma 21 disponeva che: “Le modalità di tenuta del registro di cui al comma 20, nonché le procedure di verifica, la notifica delle variazioni dei dati e l'eventuale cancellazione sono disciplinate da apposita delibera del Consiglio nazionale del CONI, che è trasmessa al Ministero vigilante ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 31 gennaio 1992, n. 138”. Ai sensi del comma 22, infine “Per accedere ai contributi pubblici di qualsiasi natura, le società e le associazioni sportive dilettantistiche devono dimostrare l'avvenuta iscrizione nel registro di cui al comma 20” 27 L’abrogazione dei commi 20, 21,22 della legge 289/02 è avvenuta ad opera dell’art. 4 del Decreto Legge 22 marzo 2004 n. 72, convertito in Legge 21 maggio 2004 n. 128. 26

24


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quale non sarebbe più stato legittimato a riconoscere lo status di soggetto sportivo dei singoli sodalizi, ha spinto l’Esecutivo ad intervenire nuovamente28 e a stabilire che le disposizioni di cui all’art. 90 legge 289/90 (così come modificate dal decreto legge 22 marzo 2004 n. 72) avrebbero potuto trovare applicazione solo nei confronti delle società e associazioni sportive, la cui natura sportiva fosse stata “certificata” dal CONI, costituendo l’unico ente deputato al riconoscimento di un simile status. Muovendo da simili considerazioni, il CONI (con una propria delibera del Consiglio Nazionale dell’11 novembre 2004 n. 1288) ha istituito il Registro nazionale delle Associazioni e Società sportive dilettantistiche29. All’iscrizione al registro, istituito con proprio provvedimento amministrativo dall’ente esponenziale dello sport italiano, non è attribuita la stessa valenza riconosciuta all’iscrizione al “registro pubblico” previsto dall’art. 90 legge 289/02, essendo priva della medesima valenza costitutiva per l’ottenimento delle agevolazioni tributarie30. Con riguardo al registro attualmente in vigore, infatti, l’iscrizione è un requisito necessario, ma non sufficiente per il conseguimento delle agevolazioni fiscali, essendo richiesti altri elementi, si pensi, tra l’altro, alla partecipazione a manifestazioni sportive organizzate dall’ente cui la società o l’associazione è affiliata. Ai sensi delle attuali disposizioni normative, il riconoscimento definitivo dello status di ente sportivo dilettantistico spetta pertanto solo al CONI, potendo le Federazioni sportive nazionali, gli Enti di promozione sportiva e le Discipline

28

Al fine di evitare l’indebita fruizione delle agevolazioni fiscali da parte di enti sportivi dilettantistici privi dei requisiti, è stato emanato il decreto Legge 28 maggio 2004 n. 136, convertito con Legge 27 luglio 2004 n. 186, il cui articolo 7 dispone che “il Coni è l’unico organismo certificatore dell’attività sportiva svolta dalle società e dalla associazioni dilettantistiche”, deputato a trasmettere ogni anno all’Agenzia delle Entrate l’elenco degli enti sportivi dilettantistici iscritti al proprio registro, funzionale a consentire una verifica dei legittimi fruitori delle agevolazioni fiscali riservate all’associazionismo sportivo. 29 Con tale delibera (n. 1288 dell’11 novembre 2004), il Consiglio Nazionale del CONI ha modificato le deleghe alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate ed agli Enti di promozione sportiva relative al riconoscimento ai fini sportivi degli enti sportivi dilettantistici, disponendo l’obbligatoria iscrizione, a tal fine, al citato registro. Le norme di funzionamento del registro sono modificate con delibera del Consiglio Nazionale del CONI n. 1394 del 19 giugno 2009. 30 L’attribuzione dell’efficacia costitutiva all’iscrizione si riflette anche sulle modalità con cui può avvenire il disconoscimento della natura sportiva dilettantistica dell’ente privo dei requisiti. In tal caso, infatti, il disconoscimento può essere compiuto solo dal CONI mediante la cancellazione dal registro. Diversamente, qualora si optasse per una valenza dichiarativa, un simile accadimento potrebbe essere la conseguenza, tra l’altro, di un accertamento della mancanza dei requisiti in sede di verifica fiscale.

25


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sportive associate procedere esclusivamente ad un riconoscimento provvisorio di tale status31. La delibera istitutiva del registro CONI rappresenta invero il momento conclusivo di una serie di interventi, frutto della discrezionalità tecnica dell’ente, il quale ha deciso, autonomamente, di istituire il proprio registro. L’iscrizione al Registro ha una pluralità di funzioni. In primis, mira ad attribuire, come detto, il riconoscimento dello status di soggetto sportivo32; inoltre consente di creare un “data base” delle associazioni e società sportive dilettantistiche che praticano l’attività sportiva organizzata dalle Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva, funzionale a “fotografare” i sodalizi sportivi affiliati al “mondo CONI”. Più in generale, l’iscrizione permette di redigere un elenco dei sodalizi sportivi dilettantistici, trasmesso annualmente all’Agenzia delle Entrate, al fine di verificare quali società e associazioni sportive dilettantistiche, fra quelle registrate (presso tale ente), possano percepire legittimamente le agevolazioni fiscali33. A tal proposito, è opportuno rilevare che anche con riguardo ad altre agevolazioni, seppure non menzionate nell’art. 7 della legge 186/200434 (si pensi alla

de-commercializzazione

dei

corrispettivi

specifici

percepiti

da

soci,

associati e tesserati, di cui al comma 3 dell’art. 148 del d.p.r. n. 917/1986, alla possibilità di beneficiare del regime forfetario di cui alla l. 398/1991 da parte delle Associazioni sportive Dilettantistiche o, infine, alla legittima erogazione dei cd. compensi sportivi), è prudenziale ottenere il riconoscimento di ente sportivo dilettantistico

attraverso

l’iscrizione

al

registro

Coni.

Dall’analisi

delle

prescrizioni normative si evince infatti che la legittima fruizione di tali

31

Il CONI, con delibera del Consiglio nazionale n. 1438 del 7 giugno 2011, ha stabilito che, dall’anno sportivo 2011/2012, il riconoscimento provvisorio attribuito dalle Federazioni sportive nazionali, degli Enti di promozione sportiva o Discipline sportive associate, deve essere perfezionato, a pena di nullità dello stesso, attraverso la successiva iscrizione al Registro (elemento imprescindibile per poter godere delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 90, l. 289/2002). 32 La legittimazione del CONI (in particolare, del Consiglio nazionale) al riconoscimento dello status di ente sportivo dilettantistico, già prevista dall’art. 5, comma 2 lett. C, del decreto legislativo 23 luglio 1999 n. 242, è stata ribadita dall’art. 29, comma 2, dello Statuto del CONI, secondo cui “le società ed associazioni sportive aventi la sede sportiva nel territorio italiano sono riconosciute, ai fini sportivi, dal Consiglio Nazionale o, per delega, dalle Federazioni sportive nazionali, ovvero dalle Discipline sportive associate, ovvero dagli Enti di promozione sportiva. Il riconoscimento delle società polisportive è fatto per le singole discipline sportive praticate. 33 Ai sensi del citato art. 7, comma 1 del dl 136/2004 convertito nella legge 186/2004, v. supra nota 25. In particolare, l’iscrizione al registro è necessaria per potere percepire le agevolazioni di cui ai commi 1, 3, 5, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 dell'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni. 34 Al riguardo, si veda la nota 29.

26


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agevolazioni è riservata alle associazioni sportive dilettantistiche o ad organismi con finalità sportive dilettantistiche. Considerato che, come detto, lo status di ente sportivo dilettantistico può essere attribuito solo dal Coni, è opportuno procedere all’iscrizione per ottenere una simile “certificazione”. Proprio in virtù di una simile funzione, l’iscrizione al Registro CONI non è richiesta alle società professionistiche, essendo riservata agli enti sportivi dilettantistici, in possesso di determinati requisiti. In particolare, si tratta dei sodalizi, il cui Statuto, oltre ad essere rispettoso dell’articolo 90 della Legge 27 dicembre 2002 n. 289 e successive modifiche, preveda l’obbligo di conformarsi alle norme e ai principi del CONI e della Federazione sportiva nazionale, della Disciplina sportiva associata, e/o dell’Ente di promozione sportiva cui l’ente è affiliato. È oltremodo evidente che una simile prescrizione non possa risolversi in una mera indicazione di principio, dovendo trovare concreta attuazione nel corso “della vita” dell’ente. L’esistenza

dei

requisiti

statutari

indispensabili

per

potere

rimanere

legittimamente iscritti al registro, da un lato, la loro necessaria attuazione pratica, dall’altro, non possono essere trascurate, considerato che il Coni effettua (periodicamente) controlli “a campione”, al fine di verificare la veridicità (e la attuale sussistenza) dei dati comunicati al momento dell’iscrizione. Il riscontro di dichiarazioni non rispondenti al vero determina la revoca dell’iscrizione per la società o l’associazione, colpevole di avere trasmesso informazioni mendaci o di non avere comunicato eventuali variazioni35. Altre cause di cancellazione dal registro sono: la richiesta in tal senso presentata dal sodalizio sportivo e la perdita dei requisiti per l’iscrizione. Il provvedimento di cancellazione dal Registro può essere impugnato alla Giunta nazionale del CONI entro trenta giorni dalla data di comunicazione del provvedimento.

35

I sodalizi sportivi dilettantistici devono comunicare, entro 30 giorni dal verificarsi della situazione, qualunque modifica dei dati trasmessi nella fase di iscrizione.

27


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La procedura di iscrizione “ordinaria” si articola nei seguenti passaggi riguardanti: la fase dell’identificazione (o registrazione dell’utenza) e iscrizione provvisoria, che prevede la richiesta e la conferma del login di accesso all’area riservata, dell’applicativo web e l’assenso al trattamento dei dati; la fase dell’inserimento dei dati, che comporta la compilazione delle schede sull’applicativo web e la stampa dell’autocertificazione contenente le informazioni dell’associazione presenti nel sistema; infine la fase della convalida, in cui l’autocertificazione viene presentata (unitamente al documento di identità del legale rappresentante) al Comitato Regionale CONI territorialmente competente alla convalida dei dati inseriti 36 . In assenza di validazione da parte di quest’ultimo, la richiesta telematica è priva di effetto37. È importante non trascurare il fatto che il perfezionamento dell’iter e l'iscrizione definitiva avviene solo mediante provvedimento del Segretario Generale del CONI. L’iscrizione al Registro può essere effettuata anche tramite un iter alternativo, riservato ai sodalizi affiliati ad un organismo di riferimento (Federazione sportiva nazionale, Disciplina sportiva associata, Ente di promozione sportiva), legittimato all’iscrizione dei propri affiliati in virtù della sottoscrizione di una specifica convenzione con il CONI. Alla comunicazione dei dati da parte del citato organismo, segue la verifica dell’esattezza degli stessi (da parte del programma di gestione del Registro), e, successivamente, la trasmissione di un codice di identificazione alfanumerico che attesta l’avvenuta iscrizione. In definitiva, con riguardo alla procedura di iscrizione semplificata, il sodalizio sportivo deve solo limitarsi a completare l’affiliazione presso l’organismo di riferimento, il quale è tenuto a perfezionare l’iscrizione al Registro CONI. Meritano di essere segnalate, in conclusione, due situazioni particolari relative, rispettivamente,

all’iscrizione

delle

società

polisportive

e

dei

sodalizi

“monosportivi” affiliati a più enti.

36

La falsità dei dati inseriti nel modulo di iscrizione on line può comportare la responsabilità del legale rappresentante che ha sottoscritto l’autocertificazione. Si veda la delibera del Consiglio Nazionale del CONI n. 1475 del 30 ottobre 2012.

37

28


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Se le une devono provvedere a curare l’iscrizione di ogni singola disciplina presso l’organismo di riferimento (Federazione sportiva, Disciplina sportiva associata, e/o Ente di promozione sportiva), analogamente gli altri sono tenuti ad effettuare l’iscrizione presso ogni singolo ente. La validità dell’iscrizione, il cui certificato deve essere stampato annualmente dalla società, coincide perlopiù con la durata dell’affiliazione all’organismo di riferimento e si rinnova (in assenza di variazioni sostanziali dei dati) in occasione del rinnovo dell’affiliazione. Il registro, pubblicato sul sito del CONI, è articolato in tre sezioni (relative alle: associazioni sportive dilettantistiche senza personalità giuridica; associazioni sportive dilettantistiche con personalità giuridica; società sportive dilettantistiche costituite nella forma di società di capitali o di società cooperative) ed è suddiviso in una parte generale ed una analitica. L’una, liberamente accessibile a qualunque utente, contenente informazioni generiche relative all’ente iscritto, quali: la denominazione esatta del sodalizio sportivo, il numero e la data di iscrizione, il codice fiscale, la regione ed il comune in cui è posta la sede, l’organismo cui l’associazione è affiliata ed il codice di affiliazione; nonché la natura giuridica dell’ente e la disciplina praticata dal medesimo. L’altra, la cui consultazione è riservata agli utenti abilitati dotati di una password, menziona dati più specifici (codice fiscale e/o partita IVA dell’ente, la sede legale, i riferimenti relativi al legale rappresentante).

29


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2.2 Gli organi dell’Associazione sportiva dilettantistica.

2.2.a L’assemblea. Gli organi obbligatori dell’associazione sono: l’Assemblea (organo deliberativo), il Consiglio direttivo (organo esecutivo) ed il Presidente (legale rappresentante). L’ente, nell’ambito della propria autonomia, può dotarsi di altri organi di giustizia o di controllo (si pensi al collegio dei revisori o dei probiviri). L’assemblea, che può essere ordinaria o straordinaria38, in base alle competenze, è l’organo sovrano (formato da tutti gli associati) deputato ad attuare e concretizzare il principio di democraticità, principio cardine delle associazioni sportive. L’assemblea ordinaria è legittimata a: deliberare sugli indirizzi e sulle direttive generali dell’associazione; approvare il bilancio (rendiconto economico e finanziario) e i regolamenti predisposti dal consiglio direttivo39; eleggere (perlopiù ogni quadriennio) il consiglio direttivo e le altre cariche sociali; ratificare i provvedimenti disciplinari adottati dal consiglio direttivo nei confronti dei soci; nonché, ove previsto nello statuto, decidere in merito alla partecipazione ai bandi per la gestione di impianti sportivi, al compimento di operazioni inerenti beni immobili o affidamenti bancari e a tutte le questioni riguardanti i rapporti associativi, escluse dalle competenze dell’assemblea straordinaria. L’assemblea ordinaria deve essere convocata dal consiglio direttivo almeno una volta all’anno (entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio sociale) per l’approvazione del bilancio consuntivo (rendiconto economico e finanziario) e ogniqualvolta se ne ravvisi la necessità o ne sia fatta richiesta motivata da almeno

38 L’assemblea straordinaria può deliberare sulle seguenti materie: modificazioni dello statuto sociale; decadenza del consiglio direttivo e degli altri organi associativi (riguardo ai quali può anche adottare provvedimenti disciplinari nei confronti dei medesimi); scioglimento dell’associazione e modalità di liquidazione. Per procedere alla modifica dell’atto costitutivo e dello statuto, se in essi non è altrimenti disposto, occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti (art. 21, comma 2, c.c.). Per deliberare lo scioglimento del sodalizio e la devoluzione del patrimonio è richiesto il voto favorevole di almeno tre quarti degli associati (art. 21, comma 3, c.c.). 39 Nelle deliberazioni di approvazione del bilancio ed in quelle che riguardano la loro responsabilità, gli amministratori non hanno diritto di voto (art. 21, comma 1, c.c.).

30


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un decimo degli associati40 (ex art. 20 c.c., che, seppure riferito alle associazioni riconosciute, si ritiene applicabile anche a quelle prive di personalità giuridica). La convocazione dell’assemblea deve indicare l’ordine del giorno, il luogo e l’ora della riunione, nonché la data prevista per l’eventuale seconda convocazione. Le modalità di convocazione dell’assemblea (si pensi, ad esempio, al termine entro cui questa deve essere effettuata; ai mezzi utilizzabili per comunicarla ai soci) sono previste nell’ambito dello statuto. Come sottolineato in precedenza, è evidente l’opportunità di individuare degli strumenti che, oltre ad essere “al passo con i tempi”, siano in grado di dare la prova dell’avvenuta convocazione anche a distanza di tempo. La circostanza per cui il principio di democraticità è un principio cardine dell’associazionismo, comporta che i verificatori ne controllino il doveroso rispetto nel corso di eventuali accertamenti fiscali. Per evitare spiacevoli contestazioni, è pertanto necessario non solo la rigorosa osservanza di tale prescrizione da parte dell’ente, bensì anche la capacità di dimostrare in modo adeguato (ove necessario) a distanza di tempo, la correttezza del comportamento. In linea con simili premesse, oltre alla prova dell’invio della regolare convocazione a tutti gli associati (in conformità alle prescrizioni statutarie e normative), dovrà essere attestato il regolare svolgimento e la legittima deliberazione da parte dell’assemblea41. Al fine di “conservare agli atti” la dimostrazione di avere seguito l’iter corretto, è necessario redigere un verbale di ogni riunione (firmato dal presidente della stessa e dal segretario) e riportarlo sul libro verbale delle assemblee, così da consentirne, non solo la conservazione, bensì anche la consultazione ai soci eventualmente interessati.

Una prassi utile ad assicurare una buona amministrazione del sodalizio è proprio quella di adottare e tenere costantemente aggiornato il libro verbale delle

40

“In quest’ultimo caso se gli amministratori non vi provvedono, la convocazione può essere ordinata dal Presidente del Tribunale” (art. 20, comma 2, c.c.). Ai sensi dell’art. 21, 1° comma, c.c. “Le deliberazioni dell’assemblea sono prese a maggioranza di voti e con la presenza di almeno la metà degli associati. In seconda convocazione, la deliberazione è valida qualunque sia il numero degli intervenuti”.

41

31


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assemblee (cui allegare, per ogni assemblea, la prova della regolare convocazione e costituzione42, dello svolgimento e deliberazione in conformità alle prescrizioni statutarie e di legge43). È doveroso ricordare che, seppure tutti i soci (purchè in regola con il pagamento della quota sociale e non sottoposti ad un procedimento disciplinare in corso di esecuzione) hanno diritto di essere convocati e di partecipare all’assemblea, soltanto i maggiorenni hanno il diritto di elettorato attivo (oltre che passivo). I soci minorenni possono essere rappresentati, esclusivamente ove previsto nell’ambito dello statuto, dagli esercenti la potestà genitoriale. Una simile prassi è seguita soprattutto dai sodalizi composti perlopiù da minorenni. Ogni socio ha diritto ad un voto. Ove ammesso il voto per delega, lo statuto deve prevedere il numero massimo di deleghe attribuibili a ciascun socio. Al fine di evitare

la

violazione

del

principio

di

democraticità

(consentendo

la

rappresentanza, per delega, ad un gruppo eccessivamente ristretto di soci), deve essere consentita l’attribuzione di un numero limitato di deleghe a ciascun soggetto. 2.2.b Il consiglio direttivo. Il consiglio direttivo è l’organo amministrativo, deputato all’attività esecutiva, di gestione

ordinaria

dell’associazione.

Seppure

l’associazione

possa

avere,

teoricamente, anche un amministratore unico, l’organo è perlopiù collegiale, formato da un numero dispari di membri (normalmente superiore a cinque) scelti fra gli associati. I primi componenti sono indicati nell’atto costitutivo, i successivi sono nominati dall’assemblea. È doveroso prevedere nello statuto eventuali cause di revoca e decadenza dei consiglieri, nonché le modalità scelte per la sostituzione dei componenti deceduti, decaduti, revocati o dimissionari. Come evidenziato in precedenza, la legge 289/02 (art. 90, comma 18 bis) vieta agli amministratori di ricoprire la medesima carica in un’altra società o

42

L’assemblea, regolarmente convocata e costituita, rappresenta l’universalità degli associati e le deliberazioni da essa legittimamente adottate obbligano tutti gli associati, anche se non intervenuti o dissenzienti. Le deliberazioni dell’assemblea contrarie alla legge, allo statuto o all’atto costitutivo possono essere annullate su istanza degli organi dell’ente, di qualunque associato o del pubblico ministero (art. 23 c.c.). 43

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associazione sportiva dilettantistica affiliata alla stessa Federazione sportiva o della stessa disciplina sportiva facente parte del medesimo ente di promozione sportiva44. Il consiglio direttivo è legittimato a compiere gli atti di gestione ordinaria dell’associazione che lo statuto (o la legge) non riservi all’assemblea dei soci, al segretario o al tesoriere (soprattutto ove attinenti ad aspetti finanziari relativi alla gestione dei conti correnti, richiesta di mutui e finanziamenti), nonché a determinare le quote associative e le quote di frequenza che devono essere versate rispettivamente dai soci e dai tesserati per potere prendere parte alle attività dell’associazione. Con particolare riguardo a quest’ultimo aspetto, il consiglio direttivo è legittimato a prevedere l’istituzione di quote di frequenza a carico di soggetti, che, seppure non soci, sono intenzionati a partecipare alle attività organizzate dall’associazione o ad utilizzarne gli impianti. È inoltre competente a: predisporre il bilancio (rendiconto economico – finanziario), subordinato ad approvazione assembleare; tenere i libri contabili e sociali; convocare le assemblee dei soci e dare esecuzione alle delibere. Laddove previsto dallo statuto, può essere inoltre chiamato a pronunciarsi in merito alle domande di ammissione presentate dagli aspiranti soci e a ratificare eventuali dimissioni, nonché ad adottare provvedimenti disciplinari nei confronti degli associati (che dovranno essere portati a ratifica dell’assemblea); a redigere, infine, eventuali regolamenti interni (la cui approvazione è demandata all’assemblea) per l’uso degli impianti sportivi e della sede sociale, nonché per la fruizione dei servizi resi agli associati ed ai tesserati. Con particolare riguardo alla predisposizione dei regolamenti, è doveroso ricordare

l’obbligatorietà,

per

le

associazioni

sportive

dilettantistiche

marchigiane, di dotarsi di un regolamento antidoping ai sensi dell’art. 6 legge 14 dicembre 2000 n. 376 “Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping”, in esecuzione di quanto disposto dalla Legge Regionale 02 aprile 2012, n. 5, “Disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero”, che (ex art. 19, comma 6) esclude dalla partecipazione alle procedure ad

44

È opportuno riportare una simile prescrizione nello statuto.

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evidenza pubblica per l’affidamento degli impianti sportivi le società e associazioni sportive, le quali, pur avendone l’obbligo, non hanno adeguato i loro regolamenti alle disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 14 dicembre 2000, n. 376 45 . La redazione di un simile documento è, altresì, necessaria per potere ottenere i contributi previsti dalla legge regionale46. La circostanza per cui il sodalizio possa prevedere, nell’ambito del proprio regolamento antidoping, cause di esclusione dei soci colpiti da provvedimenti disciplinari in materia di doping, comporta la necessità di uniformare simili cause di esclusione con quelle contemplate nell’ambito dello statuto. Al fine di precostituirsi una prova della regolare convocazione e svolgimento dell’attività del Consiglio direttivo, è buona prassi redigere un verbale di ogni seduta di tale organo (da riportare sullo specifico libro verbale), che, oltre ad essere utile in caso di eventuali accertamenti, è consultabile anche dai soci che ne facciano richiesta. La responsabilità degli amministratori verso l’associazione dotata di personalità giuridica ed estesa, per analogia, a quella che ne è sprovvista, disciplinata dall’art. 18 c.c. 47 con espresso riferimento alle norme sul mandato (art. 1710 c.c.48), è espressamente esclusa, ai sensi di legge, per l’amministratore che non abbia partecipato all’atto che ha causato il danno, “salvo il caso in cui, essendo a

45

La legge regionale 02 aprile 2012, n. 5, “Disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero” (art. 19, comma 6), dopo avere premesso che “i soggetti cui affidare la gestione degli impianti sportivi sono individuati tra coloro che presentano idonei requisiti, in base a procedure di evidenza pubblica nel rispetto della normativa vigente”, esclude espressamente dalla partecipazione “ai bandi di cui al comma 1 le società e le associazioni sportive che, pur avendone l’obbligo, non hanno adeguato i loro regolamenti alle disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 14 dicembre 2000, n. 376 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping)”. Un simile adempimento è invero ribadito dall’art. 17, comma 3, del Regolamento Regionale 7 agosto 2013 n. 4 “Disposizioni di attuazione della Legge Regionale 2 Aprile 2012, n. 5 (disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero)”, che pone a carico degli enti, società e associazioni sportive l’obbligo di adeguare “i loro regolamenti alle disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 14 dicembre 2000, n. 376, cit. entro otto mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento”. 46 In tal senso, si veda l’art. 24, comma 2, della legge regionale, secondo cui: “il regolamento [di attuazione della legge regionale] assicura altresì che i contributi previsti dalla presente legge siano erogati a enti e società sportive che hanno adeguato i loro regolamenti alle disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 376/2000”. In attuazione di quanto disposto da una simile prescrizione, l’art. 18, comma 2, del regolamento statuisce che “a favore degli enti e delle società e associazioni sportive che non hanno provveduto all'adeguamento dei loro regolamenti nel termine di cui all'articolo 17, comma 3, non può essere erogato alcun contributo ai sensi della legge regionale 5/2012”. 47

Art 18 c.c. “gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le norme del mandato. È però esente da responsabilità quello degli amministratori il quale non abbia partecipato all’atto che ha causato il danno, salvo il caso in cui, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constatare il proprio dissenso”. 48 In merito al comportamento del mandatario, l’art 1710 c.c. enuncia che “il mandatario è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minore rigore. Il mandatario è tenuto a rendere note al mandante le circostanza sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato”.

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cognizione che l’atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constare il proprio dissenso”. Alla responsabilità è attribuita natura contrattuale, posto che la condotta scorretta degli amministratori, fonte di danno per l’associazione, è la conseguenza di un inadempimento di un obbligo imposto dalla legge o dallo statuto. 2.2.c. Il presidente. Il presidente è il legale rappresentante dell’associazione di fronte ai terzi ed in giudizio. Presiede l’assemblea dei soci ed il consiglio direttivo, controlla l’esecuzione

delle

relative

deliberazioni

ed

il

corretto

andamento

dell’associazione, in genere, preoccupandosi anche di fare rispettare lo statuto ed i regolamenti. I poteri del presidente sono elencati, in modo dettagliato, nello statuto. Egli, normalmente, può (ove previsto nell’ambito di tale atto di autonomia negoziale), sentito il consiglio direttivo: conferire e revocare procure speciali; stipulare contratti di lavoro e di collaborazione sportiva ed emanare provvedimenti relativi al personale ed ai collaboratori. Il

presidente,

infine,

è

competente

a

gestire

l’attività

di

ordinaria

amministrazione del sodalizio, sulla base di quanto disposto dal consiglio direttivo, nonché a compiere, in casi di necessità e urgenza, atti di straordinaria amministrazione, che devono essere ratificati (il prima possibile) dal consiglio direttivo.

2.2.d Gli altri organi eventuali. Oltre all’organo deliberativo ed esecutivo possono essere istituiti ulteriori, eventuali, organi di controllo e/o di giustizia. Come organi di controllo possono essere previsti: il collegio dei probiviri e i revisori dei conti. Gli uni (costituiti perlopiù in forma collegiale ed in numero dispari) vigilano sull’osservanza dello statuto e dei regolamenti da parte degli

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associati e deliberano in ordine alle questioni che sono loro riservate dalle disposizioni statutarie. Agli altri sono attribuiti perlopiù poteri (elencati nello statuto) relativi alla verifica della gestione contabile. Il funzionamento ed i poteri dell’organo di controllo sono regolati nell’ambito dello statuto, il quale normalmente dispone che qualora il citato organo, nell’esercizio dei propri poteri, riscontri irregolarità nell’amministrazione dell’associazione o nella gestione contabile, debba comunicarle al consiglio direttivo per l’adozione dei necessari provvedimenti. Oltre ad organi di controllo, come detto, possono essere previsti ulteriori organi volti ad assicurare una giustizia endoassociativa, per la risoluzione di eventuali controversie sorte all’interno del sodalizio. È doveroso sottolineare che l’introduzione di tali organi richiede particolare cautela, dovendo avvenire nel necessario rispetto delle norme di giustizia emanate dalla Federazione o dalla Disciplina sportiva associata, cui l’ente è affiliato. 2.3 Il rapporto associativo. Lo status di socio e di tesserato. Il rapporto associativo può perfezionarsi ab origine, per i soci fondatori che costituiscono l’associazione o, successivamente, attraverso l’adesione al contratto originario. Proprio in virtù delle modalità di ingresso nel rapporto associativo, il contratto associativo è definito “contratto aperto” (con comunione di scopo). Al fine di concludere il contratto associativo (inizialmente per i soci fondatori o successivamente per i nuovi aderenti) è necessario l’incontro della volontà di entrambe le parti: l’associazione e l’aspirante socio. In particolare, è imprescindibile, da un lato, la volontà dell’aspirante socio di entrare a far parte del sodalizio (in quanto interessato a partecipare alle attività sociali, condividendone gli scopi) e, dall’altro, dell’ente di associarlo.

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I requisiti 49 e le modalità da seguire per l’ammissione a socio nonchè, più in generale, la disciplina dello status di socio sono regolati nell’ambito dello statuto. La procedura, normalmente prevista nell’atto di autonomia negoziale dell’ente (lo statuto) si basa su una richiesta scritta di ammissione inoltrata dall’aspirante socio all’associazione, in particolare al Consiglio Direttivo, in cui l’interessato all’ammissione dichiara di possedere tutti i requisiti richiesti, di condividere gli scopi e le finalità, di conoscere e di accettare lo Statuto (con particolare riferimento alle disposizioni relative ai diritti e ai doveri dei soci e alle cause di perdita dello status di associato), infine, di impegnarsi al rispetto delle regole emanate dall’associazione. La richiesta di ammissione, ove presentata da un aspirante socio minorenne, deve essere firmata anche dall’esercente la responsabilità genitoriale, considerata la mancanza di capacità di agire del minorenne. La domanda di ammissione deve essere valutata dal Consiglio direttivo, il quale è tenuto a pronunciarsi (entro un certo numero di giorni indicati nello statuto), motivando l’eventuale accettazione o rifiuto della richiesta. In caso di accoglimento, il nuovo socio deve essere iscritto nel libro soci unitamente all’indicazione dei propri dati anagrafici, della data di ammissione (che coincide con la pronuncia di accoglimento emessa dal Consiglio direttivo) nonché del pagamento della quota associativa. Nel citato documento dovrà essere riportata anche l’eventuale data di “uscita” del socio dall’associazione. È oltremodo evidente, a questo punto, l’illegittimità della prassi abitualmente seguita da molti sodalizi sportivi secondo cui la procedura di ammissione a socio si perfeziona con la consegna di una tessera all’aspirante socio al momento in cui quest’ultimo sottoscrive la domanda di ammissione. Seppure l’orientamento maggioritario esclude che l’aspirante socio abbia un diritto soggettivo ad entrare a fare parte dell’associazione (ai sensi del combinato disposto dell’art. 18 e dell’art. 2 Cost.), muovendo dalla considerazione che la proposta – avanzata dall’interessato – e l’accettazione dell’associazione siano atti

49 Una simile prescrizione, enunciata dall’art 16 c.c. con espresso riguardo alle associazioni riconosciute, è ritenuta applicabile anche a quelle prive di personalità giuridica.

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di autonomia negoziale (non coercibili), è pacifico che il rifiuto ingiustificato della richiesta di ammissione dell’aspirante socio in possesso di tutti i requisiti richiesti dallo statuto, possa costituire un comportamento illecito, che espone gli amministratori ad un obbligo risarcitorio (secondo l’indirizzo maggioritario riconducibile ai sensi dell’art. 1337 c.c.)50. Il rapporto associativo, una volta perfezionatosi, è a tempo indeterminato, salvo il diritto di recesso del socio, i cui termini e modalità devono essere previsti nello statuto. Lo status di socio, come detto, è disciplinato dallo statuto. Il diritto più importante, fondamentale ed innegabile per i soci maggiorenni (in regola con il pagamento della quota associativa) è il diritto di voto in assemblea, in relazione a qualsiasi argomento posto all’ordine del giorno. La qualifica di socio comporta invero anche alcuni doveri, tra i quali possono essere menzionati, l’obbligo di rispettare i principi dettati dall’ordinamento sportivo, le norme federali e/o dell’ente di promozione sportiva cui l’associazione è affiliata nonchè le regole emanate dall’associazione sportiva; il dovere di tenere un comportamento corretto, ispirato ai principi di lealtà, fair play e ai valori fondamentali dello sport e di versare regolarmente le quote associative e i contributi imposti dall’associazione. Seppure lo statuto possa prevedere varie categorie di soci (soci fondatori, che hanno costituito l’associazione; soci ordinari; soci onorari, che, essendo nominati tali per speciali benemerenze acquisite nei confronti dell'associazione o per particolari meriti sportivi, sono perlopiù esonerati dal pagamento della quota annuale;

soci

sostenitori,

che,

per

puro

spirito

di

liberalità,

versano

spontaneamente una quota associativa maggiorata) è doveroso ricordare che tutti devono godere dei medesimi diritti e doveri, nel rispetto del principio di uguaglianza e di democraticità. Lo status di socio può essere perso, come già sottolineato (oltre che per morte), per recesso51 o per esclusione.

50

Art. 1337 c.c. L’art. 24, 2° comma, c.c. che, pur riferito alle associazioni riconosciute, è applicabile anche a quelle non riconosciute enuncia che: “l’associato può sempre recedere dall’associazione se non ha assunto l’obbligo di farne parte per un tempo determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell’anno in corso, purchè sia fatta almeno tre mesi prima”.

51

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Le modalità del recesso devono essere stabilite nell’ambito dello statuto (normalmente le dimissioni vanno indirizzate all’organo cui è stata avanzata la richiesta di ammissione) così come quelle relative all’esclusione, le cui cause possono essere riconducibili ad un grave inadempimento relativo, tra l’altro, al mancato pagamento degli oneri associativi o, più, in generale, a qualsiasi comportamento scorretto tenuto nei confronti degli altri soci o dell’ente, nonché all’inosservanza di qualunque dovere statutario. La certezza della data di “uscita” del socio è necessaria – non solo per la corretta iscrizione nel libro soci, bensì anche – perché fino a tale momento il socio deve essere considerato tale (seppure non più interessato alla vita associativa) e, ad esempio, convocato alle assemblee associative. A tal fine, è necessario indicare nello statuto dei criteri chiari di cessazione del rapporto associativo per il socio che, pur non avendo formalizzato il suo recesso, non intenda più fare parte del sodalizio (si pensi alla decadenza del socio per il caso di “morosità” nel pagamento della quota oltre un certo termine). L’eventuale delibera di esclusione pronunciata dall’assemblea, su proposta del Consiglio direttivo, successivamente alla contestazione degli addebiti a carico del socio, deve essere sorretta da adeguate motivazioni, considerato il diritto (irrinunciabile ai sensi degli artt. 2 e 24 Cost.) del socio di impugnare il provvedimento di esclusione innanzi all’Autorità giudiziaria52. Nessuna delle ipotesi di “uscita” dall’associazione consente la ripetizione dei contributi versati né attribuisce alcun diritto sul patrimonio dell’associazione53. Lo status di socio deve essere distinto, in quanto non necessariamente coincidente, con quello di tesserato. Se l’uno è interessato a partecipare al sodalizio sportivo perché ne condivide gli scopi e le finalità, l’altro mira, in primis, ad entrare a fare parte del mondo sportivo54.

52 Secondo quanto disposto dall’art. 24, 2 ° comma, c.c. “l’esclusione d’un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi; l’associato può ricorrere all’autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione”. 53 Ai sensi dell’art. 24, comma 4, c.c., che, seppure relativo alle associazioni riconosciute, si ritiene applicabile anche a quelle non riconosciute, “gli associati, che abbiano receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all’associazione, non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell’associazione”. 54 La distinzione fra le qualifiche si ravvisa soprattutto nel caso di atleti minorenni, i quali devono essere necessariamente tesserati, ma non sempre sono considerati soci dallo statuto che, per consentire il regolare svolgimento delle assemblee e

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È oltremodo evidente che il socio, atleta, dovrà essere tesserato alla Federazione sportiva nazionale, all’Ente di promozione sportiva, alla Disciplina sportiva associata,

seguendo

le

modalità

indicate

dall’organismo

di

riferimento

nell’ambito del proprio regolamento (organico). In estrema sintesi, fra il rapporto associativo ed il tesseramento possono ravvisarsi le seguenti differenze. L’uno, che si perfeziona a seguito dell’accettazione espressa dal sodalizio sportivo – della manifestazione di volontà comunicata (attraverso la domanda di ammissione) dall’aspirante socio, si configura come rapporto bilaterale, a tempo indeterminato, regolato dalla normativa civilistica in materia

di

contratti

in

combinato

disposto

con

le

norme

relative

all’associazionismo sportivo e comporta l’obbligo di corrispondere la quota associativa. L’altro, che costituisce un rapporto perlopiù trilaterale fra atleta, associazione o società sportiva dilettantistica e Federazione sportiva nazionale, Ente di promozione sportiva o Disciplina sportiva associata (tranne le situazioni in cui è possibile perfezionare il vincolo senza il tramite del sodalizio sportivo), ha una durata annuale, è regolato dalle disposizioni emanate da ciascun ente sportivo ed impone il pagamento di una quota di tesseramento. Entrambe le situazioni (lo status di socio e di tesserato), in quanto atti negoziali, non possono essere perfezionate da minorenni, privi della capacità di agire, se non rappresentati dagli esercenti la responsabilità genitoriale55.

del processo decisionale, può prevedere la qualifica di associati (con la conseguente attribuzione del diritto di voto) in capo ai genitori. 55 Con espresso riguardo al tesseramento degli atleti minorenni, è opportuno sottolineare l’importanza di prestare attenzione alle norme dettate dall’organismo di riferimento (Federazione sportiva nazionale, Disciplina sportiva associata, Ente di promozione sportiva) perché in alcuni casi è richiesta la firma di un esercente la potestà genitoriale, in altri di entrambi.

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3 LA TUTELE SANITARIA DEGLI ATLETI MARCHIGIANI 3.1 L’idoneità alla pratica agonistica. Le disposizioni peculiari per gli atleti della Regione Marche. L’affermazione del Barone De Coubertin secondo cui «Lo sport è parte del patrimonio di ogni uomo e di ogni donna e la sua assenza non potrà mai essere compensata», seppure risalente a molti anni fa, è tuttora attuale. L’importanza ed insostituibilità dell’attività sportiva, anche in virtù della sua funzione sanitaria,

è,

infatti,

universalmente

accolta,

in

ambito

nazionale

56

ed

57

internazionale . Se sport e salute sono considerati un binomio inscindibile, è innegabile che la tutela della salute riconosciuta alla pratica sportiva possa essere pregiudicata, tra

56

Si pensi, tra l’altro, alla “Carta dei principi dello sport per tutti” (pubblicata in: Il Sole 24 Ore Sport, 2004 n. 4, 27 febbraio- 11 marzo 2004, p. 2) è stata approvata dal Consiglio Nazionale del forum permanente del Terzo settore il 17 dicembre 2002 e presentata alla Camera dei deputati il 19 febbraio 2004), in cui viene ribadito l’importante ruolo dell’attività fisica nella formazione della personalità degli individui e nella prevenzione delle malattie. In particolare, è disposto (art. 2) e che: “Lo sport per tutti svolge una preziosa funzione sanitaria a beneficio di tutti: tutela la salute ed è fattore di prevenzione contro le malattie … Il diritto allo sport è quindi parte integrante del diritto alla salute” e che (art. 3) “l’attività motoria e sportiva svolge un ruolo fondamentale nel migliorare e conservare la salute dei cittadini ed è uno strumento efficace per contrastare alcune malattie. Contribuisce, inoltre, al mantenimento di un buono stato di salute e di qualità della vita in età avanzata”. 57 La consapevolezza, supportata da numerose evidenze scientifiche a partire dalla metà del secolo scorso, che l’esercizio fisico costituisca un’attività rilevante per il mantenimento di un corretto equilibrio psico-fisico dell’individuo, in grado di migliorare in modo significativo la qualità della vita e di attuare una prevenzione efficace nei confronti di numerose patologie tipiche della società contemporanea, trova un espresso riconoscimento in molteplici documenti comunitari. Si pensi alla Carta Internazionale per l’educazione fisica e lo sport approvata dall’UNESCO (approvata dall’UNESCO il 21 novembre 1978), oppure alla risoluzione dell’Assemblea del Consiglio d’Europa n. 588/1970 (adottata dal Consiglio d’Europa nella seduta del 26 gennaio 1970), che, attribuite allo sport una funzione “biologica - consistente nella preservazione e nello sviluppo delle capacità fisiche delle generazioni presenti e future -” ed “una funzione socio culturale”, e considerata la necessità di una diffusione capillare dell’attività sportiva idonea a combattere i gravi danni che possono derivare alla salute degli individui dalla mancanza di regolare esercizio fisico, “indispensabile all’equilibrio fisiologico dell’essere umano”, invita i Governi degli Stati membri a “lanciare o ad appoggiare sul piano nazionale delle campagne per lo sport per tutti”. Oltremodo significativo è il contenuto della Dichiarazione sullo sport (n. 29) allegata al Trattato di Amsterdam che modifica il Trattato sull’Unione Europea, i Trattati che istituiscono le Comunità Europee e alcuni atti connessi. La considerazione che lo svolgimento di attività sportiva sia inevitabile per la società europea odierna è ribadita, a distanza di un breve intervallo di tempo, dalla “Dichiarazione del Consiglio Europeo sulle caratteristiche specifiche dello sport e sulla sua funzione sociale in Europa, di cui tenere conto nell’attuazione delle politiche comuni del dicembre 2000” (cd. dichiarazione di Nizza), la quale ha affermato la necessità della massima diffusione della pratica sportiva. Analoghe riflessioni sono contenute nella relazione presentata al Consiglio di Helsinki sullo sport (è consultabile sul sito: www.europa.eu.int/comm/dg10/sport/publications.com) e nell’ambito del Libro bianco sullo sport (adottato dalla Commissione europea l'11 luglio 2007), che costituisce la prima analisi completa della situazione dello sport in Europa.

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l’altro, dal mancato rispetto degli obblighi in materia di tutela sanitaria. Per potere essere realmente benefica l’attività sportiva deve essere praticata solo dopo un’adeguata visita medica; è ormai “un dato consolidato che l'attività fisica regolare è in grado di ridurre l'incidenza di eventi correlati alla malattia cardiaca coronarica e di molte altre patologie, tuttavia l'attività fisica costituisce di per sé un possibile rischio di Arresto Cardiocircolatorio (ACC) per cause cardiache e non cardiache”58. In considerazione di simili premesse, è evidente il necessario rispetto delle prescrizioni

dettate

in

materia

sanitaria,

con

particolare

riguardo

alla

certificazione medica, strumento fondamentale di protezione della salute degli atleti e di esonero da responsabilità per il Presidente della società. La disciplina concernente la tutela sanitaria degli atleti è caratterizzata dalla distinzione fra attività agonistica e attività non agonistica. Nella Regione Marche, la pratica dell’attività agonistica è regolata dal DM 18 febbraio 1982 “Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica”, in combinato disposto con la delibera di Giunta Regionale del 3 dicembre 2007 n. 1438. L’interpretazione del significato di attività agonistica, presupposto di applicazione della normativa, si è rivelata foriera di dubbi e contraddizioni. Il fatto che la definizione di attività agonistica sia stata demandata ai singoli organismi di riferimento (Federazioni Sportive nazionali, Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva), muovendo dalla constatazione dell’impossibilità di fornire una nozione unitaria, valevole per tutti gli sport, ha portato all’adozione – da parte di tali enti - di un criterio anagrafico, secondo cui al di sotto di una certa età è esclusa l’esistenza di attività agonistica. Il citato criterio non si è, però, rivelato in grado di chiarire quando l’attività sportiva,

58

In tal senso, v. il decreto, noto come Decreto Balduzzi, emanato il 24 aprile 2013 dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, in attuazione dell’art. 7, comma 11, del decreto legge n. 158 del 2012, convertito, con modificazioni,dalla legge 8 novembre 2012, n.189 (ai sensi del quale, “al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un'attività sportiva non agonistica o amatoriale,il Ministro della salute, con decreto adottato di concerto con il Ministro delegato al turismo ed allo sport,è tenuto a disporre garanzie sanitarie mediante l'obbligo di idonea certificazione medica, nonché linee guida per l'effettuazione di controlli sanitari sui praticanti e per la dotazione e l'impiego, da parte delle società sportive sia professionistiche sia dilettantistiche, di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita”).

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teoricamente agonistica perché praticata al di sopra dell’età, al cui compimento la Federazione di riferimento fa decorrere la possibilità di svolgere una simile attività, presenti le caratteristiche per potere essere considerata tale. Resosi consapevole delle difficoltà interpretative, il Ministero della Salute ha emanato una circolare agonistica:

59

chiarificatrice, secondo cui si considera attività

“l’attività

sportiva

praticata

sistematicamente

e/o

continuativamente e soprattutto in forme organizzate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dagli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI e dal Ministero della Pubblica istruzione per quanto riguarda i Giochi della gioventù a Livello nazionale, per il conseguimento di prestazioni sportive di un certo livello. L’attività sportiva agonistica non è quindi sinonimo di competizione. L’aspetto competitivo, infatti, che può essere presente in tutte le attività sportive, da solo non è sufficiente a configurare nella forma agonistica un’attività sportiva”60. Ai fini della tutela della salute, gli atleti interessati a praticare attività sportiva agonistica devono sottoporsi (prima dell’inizio dell’attività) alla visita per il rilascio del certificato di idoneità specifica allo sport che intendono svolgere o che svolgono61; qualora pratichino più sport, è sufficiente che si sottopongano ad una sola visita di idoneità comprensiva di tutti gli accertamenti medici stabiliti per i singoli sport62. Gli esami, funzionali al rilascio del certificato di idoneità 63, nonché la durata del medesimo, si differenziano in base al tipo di sport praticato, rispettivamente a basso o elevato impegno fisico, secondo quanto indicato nei protocolli allegati al citato Decreto Ministeriale.

59

Il riferimento è alla Circolare del Ministero della Sanità 31 gennaio 1983 n. 7, finalizzata ad offrire un criterio interpretativo ai quesiti pervenuti al Ministero riguardo il carattere e i limiti dell’attività agonistica. Le indicazioni offerte dalla circolare interpretativa di cui sopra sono state invero disattese dalla Cass., 3 luglio 2011 n. 15394, che ha definito l’attività sportiva agonistica in modo restrittivo, identificandola con l’attività competitiva (“il carattere competitivo caratterizza anche il torneo amatoriale, considerato che non può non ritenersi agonistico un torneo fondato sulla gara e sulla competizione tra i partecipanti, tale da implicare un maggiore impegno psicofisico ai fini del prevalere di una squadra sull’altra”). 61 Art. 1 DM 18 febbraio 1982 “Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica”. 62 Art. 1 DM 18 febbraio 1982 “Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica”, “nel caso in cui l'atleta pratichi più sport, deve sottoporsi ad una sola visita di idoneità con periodicità annuale. La visita sarà, nel caso predetto, comprensiva di tutte le indagini contemplate per i singoli sport”, con la precisazione (ai sensi della circolare emanata dal Ministero della Sanità n. 7/1983) che devono essere rilasciati singoli certificati di idoneità per ogni sport praticato. 63 Gli esami elencati dal dettato normativo possono essere integrati, ove ritenuto necessario, secondo il giudizio del medico certificatore (ai sensi dell’art. 3 del DM 1982 “Il medico visitatore ha facoltà di richiedere ulteriori esami specialistici e strumentali su motivato sospetto clinico”). 60

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Il fatto che la normativa sia stata emanata oltre un trentennio fa, può invero comportare la mancata previsione e regolamentazione di alcune discipline sportive, diffusesi in epoca più recente. Una simile lacuna può essere colmata attraverso il ricorso all’art. 3 del Decreto, secondo cui “gli sport non contemplati nelle sopracitate tabelle sono assimilati, ai fini degli accentramenti sanitari da compiersi, a quello che, tra i previsti presenta maggiore affinità con il prescelto dall'interessato”. Con particolare riguardo ai medici certificatori, la normativa regionale (art. 4 della L. R. 33/94, richiamato dalla delibera di Giunta Regionale del 3 dicembre 2007 n. 1438), muovendo dalla considerazione secondo cui la certificazione alla pratica sportiva agonistica, essendo una certificazione medico-legale, deve essere emanata da strutture pubbliche o private accreditate o autorizzate dalla Regione, sentito il parere della Z. T. dell’ASUR competente, stabilisce che sono legittimati a rilasciare la certificazione di idoneità all’attività agonistica: “a) la Z. T. dell’ASUR di residenza dell’atleta. In casi particolari, da valutare singolarmente, la certificazione può essere rilasciata dalla Z. T. dell’ASUR di appartenenza della società sportiva (domicilio provvisorio o per ragioni di tesseramento); b) i centri di medicina dello sport del CONI, il cui personale appartenente alla Federazione medico sportiva italiana si sia costituito in associazione; c) il centro di medicina dello sport autorizzato dalla Facoltà di Scienze Motorie; d) le strutture private ritenute idonee ed autorizzate o convenzionate dalla Giunta regionale che posseggano adeguate attrezzature”. Le strutture pubbliche e private accreditate e autorizzate a svolgere le visite mediche finalizzate al rilascio della certificazione di idoneità agonistica, nell’ambito della Regione Marche64, sono consultabili sul sito del CONI Marche65. Qualora all’esito della visita, l’atleta sia ritenuto non idoneo, al medesimo e al competente ufficio regionale viene comunicata anche la diagnosi posta alla base del giudizio66, alla società di appartenenza solo l’esito negativo.

64

In virtù di quanto previsto dalla delibera di Giunta Regionale del 3 dicembre 2007 n. 1438, “le Società, ai fini della pratica sportiva agonistica, non debbono accettare, in quanto privi di validità medico-legale a norma, i certificati rilasciati da strutture diverse da quelle specificate nel presente atto”. 65 http://217.58.15.151/WebWinners/Documentazione/ElencoStruttureAutorizzate.pdf. 66 Ai sensi dell’art. 6 DM 18 febbraio 1982 “Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica”.

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L’interessato è legittimato a presentare ricorso (entro trenta giorni) dinanzi alla commissione regionale composta da: un medico specialista o docente in medicina dello sport che svolge anche le funzioni di presidente; un medico specialista o docente in medicina interna o in materie equivalenti; un medico specialista o docente in cardiologia; un medico specialista o docente in ortopedia; un medico specialista o docente in medicina legale delle assicurazioni. La commissione può, in relazione ai singoli casi da esaminare, avvalersi della consulenza di sanitari in possesso della specializzazione inerente al caso specifico. Ove l’atleta è giudicato idoneo, gli è consegnato un certificato, la cui validità è differenziata in base al tipo di sport prescelto. Tale documento, che, giova ribadirlo, è un certificato di idoneità specifica, in quanto limitato alla disciplina sportiva agonistica praticata (valevole anche per qualunque attività non agonistica 67 ), deve essere presentato alla società di appartenenza68 per potere svolgere la pratica sportiva. Il medico certificatore è tenuto ad inserire i certificati rilasciati nel Registro Regionale delle Idoneità sportive della Regione Marche (Registro Regionale Informatico Centralizzato)69, che costituisce un registro informatico protetto, ad accesso controllato, ove devono essere registrate (a cura dei medici prescrittori) tempestivamente (al massimo entro il mese di effettuazione) tutte le idoneità rilasciate 70 , la cui validità può essere verificata inserendo il codice fiscale dell’atleta. Qualora l’idoneità non venga concessa ab origine o sia scaduta, compare la dicitura “dato non disponibile”, per la tutela della privacy del’atleta. 3.2 La disciplina per la certificazione di idoneità all’attività non agonistica.

67

Secondo quanto espressamente previsto dalla delibera di Giunta Regionale del 3 dicembre 2007 n. 1438. 68 La società di appartenenza è tenuta a conservare il certificato durante tutto il periodo di validità, il medico certificatore deve conservare la documentazione relativa agli accertamenti effettuati nel corso delle visite per almeno cinque anni (art. 5 DM 18 febbraio 1982 “Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica”). 69 Il link per accedere a tale documento è il seguente: http://217.58.15.151/webwinners/ Tale strumento, introdotto con la delibera della Giunta Regionale delle Marche n. 1438 del 3 dicembre 2007 (avente ad oggetto il riordino delle attività della medicina dello sport), è contemplato dall’art. 4 – bis della legge Regionale 2 Aprile 2012, n. 5 disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero. 70 In particolare, devono essere trasmessi, tra l’altro, i dati quantitativi delle visite effettuate, distinti per età e tipologia di sport, specificando struttura erogatrice, nominativo del medico certificante, esito della visita, scadenza, società sportiva, vaccinazione antitetanica. In caso di non idoneità o accertamenti strumentali aggiuntivi verrà annotato anche il codice diagnostico (ICD 9) che ha determinato il parere negativo o la motivazione degli accertamenti integrativi richiesti, andando a costituire una sezione separata della banca dati che costituirà il motore di ricerca per il registro epidemiologico delle patologie sportive della regione marche.

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La disciplina della certificazione medica per la pratica di attività sportiva non agonistica è stata modificata dal Decreto Balduzzi71 che ha abrogato la normativa precedentemente in vigore, contenuta nel decreto ministeriale 28 febbraio 1983, “Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva non agonistica”. L’introduzione, da parte del Decreto Balduzzi72, dell’attività ludico motoria, poi peraltro abrogata73, e la necessità di distinguerla dall’attività non agonistica ha ostacolato l’interpretazione del significato di quest’ultima tipologia di attività. Ai sensi dell’art. 3 del citato provvedimento sono considerati atleti non agonisti “a) gli alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dagli organi scolastici nell'ambito delle attività parascolastiche; b) coloro che svolgono attività organizzate dal CONI, da società' sportive affiliate alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline associate, agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, che non siano considerati atleti agonisti ai sensi del decreto ministeriale 18 febbraio 1982; c) coloro che partecipano ai giochi sportivi studenteschi nelle fasi precedenti a quella nazionale”. Al fine di chiarire alcuni aspetti relativi, tra l’altro, agli accertamenti medici obbligatori e all’interpretazione del concetto di “non agonista”, nonché i numerosi dubbi che ostacolavano l’interpretazione della normativa di riferimento (c.d. “Decreto Balduzzi e successive modificazioni ed integrazioni) in merito all’obbligatorietà (o meno) del certificato medico per lo svolgimento delle varie attività sportive praticate, sono state emanate circolari esplicative, note integrative e “Linee guida” (con decreto dell’8 agosto 2014 a firma del Ministero della Salute). Il mancato conseguimento del risultato atteso e l’esigenza di offrire maggiore chiarezza in materia, sembra avere indotto il Ministero della Salute a pubblicare

71

Decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport in data 24 aprile 2013, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana 20 luglio 2013, n. 169, recante “Disciplina della certificazione dell’attività sportiva non agonistica e amatoriale e linee guida sulla dotazione e l’utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita”. 72 Ai sensi dell’art. 2 è definita “amatoriale l'attività ludico-motoria, praticata da soggetti non tesserati alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline associate, agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, individuale o collettiva, non occasionale, finalizzata al raggiungimento e mantenimento del benessere psico-fisico della persona, non regolamentata da organismi sportivi, ivi compresa l'attività che il soggetto svolge in proprio, al di fuori di rapporti con organizzazioni o soggetti terzi”. 73 Ad agosto 2013, il legislatore ha soppresso l’obbligo della certificazione medica per lo svolgimento di attività ludico – motoria.

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(in data 17 giugno 2015) una nota esplicativa del Decreto 8 agosto 2014 “Recante linee guida di indirizzo in materia di certificati medici per l’attività sportiva non agonistica”, finalizzata ad una corretta applicazione del decreto di cui sopra. Il citato provvedimento, dopo avere richiamato il contenuto delle “Linee guida” (l’elencazione dei medici che possono rilasciare le certificazioni - nel rispetto delle prescrizioni fornite dalla legge - e degli accertamenti necessari al rilascio di tali documenti, nonché le indicazioni sulla conservazione della copia dei referti), interviene a chiarire il concetto che, fin dall’entrata in vigore del decreto Balduzzi, ha presentato, come detto, i maggiori profili di ambiguità: la definizione di attività non agonistica, presupposto di applicazione della disciplina 74 , con particolare riguardo alla categoria di cui alla lett. B), secondo cui sono considerati non agonisti “coloro che svolgono attività organizzate dal CONI, dalle Società Sportive affiliate alle FSN, alle Discipline Associate, agli EPS riconosciuti dal CONI, che non siano considerate agonistiche ai sensi del D.M. 18 febbraio 1982” e che sono stati identificati, dalla circolare esplicativa, con i soggetti tesserati in Italia. Se

un’interpretazione

letterale

del disposto

normativo,

focalizzata

sullo

svolgimento di “attività organizzata” da soggetti appartenenti all’ambito CONI, anteriormente all’emanazione della nota esplicativa, portava ad includere nella categoria degli atleti non agonisti anche i meri soci (non tesserati) dei sodalizi sportivi dilettantistici, nonché gli utenti (“clienti”) degli impianti sportivi gestiti da associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni sportive nazionali, agli Enti di promozione sportiva ed alle Discipline sportive associate, la precisazione contenuta nella nota esplicativa pare escludere l’obbligatorietà del certificato per simili categorie di persone. È opportuno sottolineare che, seppure l’obbligatorietà ex lege della certificazione attestante l’idoneità alla pratica sportiva non agonistica sia stata limitata ai soggetti tesserati – in Italia –, la richiesta di un simile documento (oltre ad essere un importante strumento di tutela della salute dei praticanti) un utile strumento di esclusione della responsabilità a carico del gestore dell’impianto sportivo per

74

L’attività agonistica è stata esclusa, fin dall’inizio, dall’ambito di applicazione del Decreto Balduzzi.

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eventuali infortuni verificatisi a danno di un utente, in quanto indice di un comportamento diligente del medesimo. Anche l’identificazione degli atleti non agonisti con la categoria dei “tesserati” non sembra invero avere chiarito ogni dubbio, posto che è stato demandato al CONI75, sentito il Ministero della Salute, l’onere di individuare chi, nell’ambito di tale categoria, sia tenuto all’obbligo della certificazione medica, sul presupposto dello svolgimento di attività sportive regolamentate, differenziandoli da coloro ai quali non è imposto un simile dovere, in quanto praticanti attività sportiva che non comporta impegno fisico 76 o, addirittura, non praticanti alcuna attività sportiva, seppure tesserati. In adempimento di quanto disposto dal Ministero della Salute con nota esplicativa del 16 giugno 2015 e successiva nota integrativa del 28 ottobre 2015, il CONI (in data 10 giugno 2016), con il parere favorevole e definitivo del Ministero della Salute, ha chiarito che l’obbligo di certificazione medica per la pratica di attività sportiva non agonistica è posto solo a carico dei soggetti “tesserati che svolgono attività sportive regolamentate”; ovvero a carico dei tesserati, i quali praticano attività sportiva non agonistica organizzata dal CONI, da società o associazioni affiliate a Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate o Enti di promozione sportiva, purchè non si tratti di attività caratterizzate dall’assenza o dal ridotto impegno cardiovascolare. Se, ad una prima analisi, quest’ultima categoria sembra esaurirsi in un elenco di attività ben definite (sono menzionate le seguenti discipline: sport di tiro, biliardo sportivo, bocce – ad eccezione della specialità volo di tiro veloce -, bowling, bridge, dama, giochi e sport tradizionali, golf, pesca sportiva di superficie – ad eccezione delle specialità del long custing e del big game -, scacchi, curling e

75

La circolare esplicativa del 16 giugno 2015 aveva previsto che il termine entro cui si sarebbe dovuto pronunciare il CONI fosse, auspicabilmente, entro la fine di ottobre 2015. In particolare, l’ente esponenziale dello sport italiano, avrebbe dovuto fornire alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate ed agli Enti di promozione sportiva, indicazioni utili a differenziare “a) i tesserati che svolgono attività sportive regolamentate dai b) tesserati che svolgono attività sportive che non comportano impegnano fisico dai c) tesserati che non svolgono alcuna attività sportiva”, al fine di limitare la prescrizione della certificazione medica solo alla prima categoria. 76 Anche per questi soggetti potrebbe essere tuttavia essere opportuno sottoporsi ad un controllo medico, in linea con quanto espresso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome in data 24 luglio 2013, in occasione dell’abrogazione della certificazione medica per l’attività ludico-motoria (“ciò non esclude la raccomandazione di rivolgersi al medico curante nei casi in cui si passi dalla sedentarietà ad uno stile di vita attivo o qualora si intenda praticare un esercizio fisico particolarmente intenso soprattutto nei soggetti a rischio”).

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stock sport), in realtà ad un’attenta lettura si evince anche l’esistenza di una clausola ampia, finalizzata ad escludere dall’obbligo di certificazione medica, la pratica di tutte le attività (riconducibili a Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva) caratterizzate da un impegno fisico evidentemente minimo (ad es., aeromodellismo, imbarcazioni radiocomandate, attività sportiva cinotecnica). Una simile disposizione ed in particolare l’elencazione non esaustiva, ma meramente esemplificativa di attività sportive non sottoposte a particolari obblighi (di certificazione sanitaria o di dotazione del defibrillatore), già nota al Decreto Balduzzi, si presenta invero foriera di molteplici dubbi e perplessità. La circostanza per cui il CONI, nell’ultima circolare, abbia raccomandato ai tesserati esonerati dall’obbligo della certificazione per attività sportiva non agonistica, in quanto praticanti discipline caratterizzate dal ridotto impegno cardiovascolare,

l’opportunità

di

un

controllo

medico

prima

dell’inizio

dell’attività sportiva, non deve essere trascurato – oltre che dai diretti interessati anche – dai gestori di impianti sportivi. Il mancato recepimento di un simile “consiglio”, codificato in una prescrizione normativa potrebbe essere fonte di responsabilità nella malaugurata ipotesi di un evento lesivo. Anche la previsione della clausola “aperta” che esclude la certificazione per gli sport in cui l’impegno fisico è evidentemente minimo può rivelarsi “pericolosa”, qualora ad un tesserato non venga chiesta la certificazione medica sul presupposto della qualificazione della disciplina in tal senso, poi smentita in un eventuale giudizio. È

quindi

raccomandabile

un’attenta

valutazione

delle

discipline

non

espressamente considerate “a ridotto impegno cardiovascolare”; la pretesa della certificazione, soprattutto nei casi dubbi, è fortemente auspicabile, come più volte ribadito, non solo a tutela della salute dei praticanti bensì anche come strumento di esonero da responsabilità per i dirigenti. L’ultima categoria di tesserati, contemplata dalla recente circolare esplicativa del CONI, concerne i tesserati “non praticanti”, esonerati dalla certificazione per attività

sportiva

non

agonistica

purchè

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all’atto

del

tesseramento

sia


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espressamente indicato che il soggetto tesserando non pratica alcuna attività sportiva.

Una

simile

prescrizione

si

presenta

invero

poco

chiara,

non

comprendendosi la ratio di tesserare un soggetto intenzionato a non svolgere alcuna attività sportiva. Alla luce dei chiarimenti forniti recentemente, si ribadisce, ancora una volta, la necessità di prestare particolare attenzione alla qualificazione della disciplina sportiva praticata dai propri tesserati e di non sottovalutare l’importanza della richiesta della certificazione medica. Il rilascio del certificato di idoneità alla pratica non agonistica, che (diversamente da quello finalizzato alla pratica agonistica) è un certificato di idoneità generica, utilizzabile per tutte le discipline sportive, presuppone il compimento di alcuni esami

clinici

indicati

dalla

normativa

di

riferimento.

Se

la

previsione

dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, comprensivo della misurazione della pressione arteriosa, è stata accolta in modo indiscusso, non può dirsi altrettanto con

riguardo

all’effettuazione

dell’elettrocardiogramma,

inizialmente

obbligatoria; le critiche sollevate da più parti circa la difficoltà operativa, per i medici di base ed i pediatri, di effettuare un simile accertamento, nonché i costi eccessivi, hanno portato ad attribuire natura discrezionale alla realizzazione di detto esame77. Da ultimo, le linee guida dell’otto agosto 2014, hanno distinto varie situazioni con cui deve essere compiuto relativamente alla periodicità con cui effettuare tale esame clinico. Un elettrocardiogramma a riposo (basale) deve essere debitamente refertato con periodicità annuale per gli sportivi che oltre ad avere superato i sessant’anni di età, associano altri fattori di rischio cardiovascolare, nonché per coloro i quali, a prescindere dall’età, presentano patologie croniche conclamate comportanti un aumentato rischio cardiovascolare; per il resto della popolazione

77

Ai sensi dell’art. 42-bis, comma 2, della l. 9 agosto 2013 n. 98 di conversione del d.l. 21 giugno 2013 n. 69 è rimessa alla “discrezionalità del medico certificatore ravvisare la necessità o meno di prescrivere ulteriori esami clinici, come l’elettrocardiogramma”. La portata applicativa di tale disposizione normativa è stata chiarita nella circolare del Ministero della salute dell’11 settembre 2013. L’obbligo di eseguire il citato accertamento è stato ripristinato dall’art. 4, comma 10-septies, d.l. 31 agosto 2013 n. 101 convertito in l. 30 ottobre 2013 n. 125 .

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è sufficiente la realizzazione dell’elettrocardiogramma a riposo (basale), debitamente refertato, almeno “una volta nella vita”78. Maggiori e più complessi sono gli accertamenti richiesti per il rilascio della certificazione necessaria alla partecipazione, da parte di soggetti non tesserati, alle manifestazioni non agonistiche o di tipo ludico-motorio, di particolare ed elevato impegno cardiovascolare (quali manifestazioni podistiche di lunghezza superiore ai 20 km, gran fondo di ciclismo, di nuoto, di sci di fondo o altre tipologie analoghe), patrocinate da Federazioni Sportive Nazionali, Discipline Sportive Associate o da Enti di Promozione Sportiva79. Con riguardo a tali attività, se le modalità di tutela sanitaria sono ampiamente descritte, non può dirsi altrettanto per le discipline ritenute ad elevato impegno cardiovascolare, visto il rinvio a “tipologie analoghe”. Sia quest’ultima tipologia di certificato sia quello di idoneità alla pratica sportiva non agonistica (la cui durata è annuale), possono essere rilasciati dai medici specialisti in medicina dello sport ovvero dai medici della Federazione Medico Sportiva Italiana del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, nonché dai pediatri di libera scelta e dai medici di medicina generale, relativamente ai propri assistiti80. A tal riguardo, pare opportuno fare presente che, nella Regione Marche, i certificati per lo svolgimento di attività sportiva non agonistica sono gratuiti, per i soggetti under 18 e over 60, qualora effettuati dai medici di medicina generale, trattandosi di una prestazione ricompresa nell’accordo integrativo regionale firmato in data 29 maggio 2007 tra la Regione e i medici di medicina generale e tuttora vigente. 3.3 La certificazione per lo svolgimento dell’attività di fitness.

78

Nell’ambito della nota esplicativa emanata nel giugno 2015 è chiarito che “il medico certificatore, tenuto conto delle evidenze cliniche e/o diagnostiche rilevate, si può avvalere anche di una prova da sforzo massimale e di altri accertamenti mirati agli specifici problemi di salute. Nei casi dubbi, il medico certificatore si avvale della consulenza del medico specialista in medicina dello sport o, secondo il giudizio clinico, dello specialista di branca”. 79 Ai sensi dell’art. 4 del Decreto Balduzzi, i praticanti, seppure non tesserati, devono sottoporsi ad un accurato controllo medico comprendente la rilevazione della pressione arteriosa, un elettrocardiogramma basale, uno step test o un test ergometrico con monitoraggio dell'attività cardiaca e altri accertamenti che il medico certificatore riterrà necessario per i singoli casi. 80 Nella nota esplicativa emanata il 16 giugno 2015 è stato imposto ai medici certificatori l’obbligo di conservare copia dei referti di tutte le indagini diagnostiche eseguite, in conformità alle disposizioni vigenti per tutto l’intervallo di tempo di validità del certificato.

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Seppure la certificazione per attività non agonistica non sia necessaria, ai sensi del Decreto Balduzzi, per la pratica di attività sportiva - svolta da parte di soggetti non tesserati - in strutture non affiliate a Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate ed Enti di promozione sportiva, nella regione Marche lo è ai sensi del Regolamento regionale 7 agosto 2013 n. 4 “Disposizioni di attuazione della Legge Regionale 2 Aprile 2012, n. 5 disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero” (art. 11, comma 6)81, emanato in attuazione della legge 2 aprile 2012 n. 5 “Disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero”, che, in un’ottica di maggiore tutela della salute degli utenti, estende l’obbligatorietà del certificato di idoneità alla pratica sportiva non agonistica anche all’attività svolta presso strutture “estranee al mondo CONI” (in quanto non affiliate ad alcuno organismo di riferimento) e, conseguentemente, ai soggetti non tesserati. Numerose sono invero le norme, a tutela della salute dei praticanti attività di fitness, riscontrabili nella legislazione emanata dalla Regione Marche. Si pensi, non solo all’obbligo di esibire la certificazione per l’attività non agonistica, bensì anche alla necessaria presenza di un medico, preferibilmente specializzato in medicina dello sport o iscritto alla Federazione Medico Sportiva Italiana, con funzione di responsabile sanitario della struttura sportiva, cui sono attribuiti una pluralità di compiti, tutti finalizzati alla tutela della salute degli utenti dell’impianto82. Oltre ad essere tenuto alla redazione di una scheda sanitaria sullo stato di salute di ciascun utente, deve, fra l’altro, adoperarsi per combattere l’assunzione di sostanze dopanti. Anche la predisposizione di un’attività “personalizzata” 83 , secondo le esigenze dei singoli utenti, può invero essere

81

“In ogni impianto il direttore tecnico deve acquisire per ciascun iscritto la certificazione medica di buona salute atta alla pratica sportiva non agonistica, nel rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali”. Ai sensi dell’art. 11, commi 4 e 5, “Il titolare dell'impianto utilizza un medico, preferibilmente specializzato in medicina dello sport o iscritto alla Federazione medico sportiva (FMS), tenuto a garantire la sua presenza presso l’impianto almeno ogni tre mesi, con funzioni di responsabile sanitario per lo svolgimento dei seguenti compiti: a) garantire la tenuta di un'apposita scheda riservata sullo stato fisico e di salute di ciascun utente, evidenziando in essa eventuali limiti rispetto all'attività svolta nell'impianto; b) collaborare con il titolare nell'allestimento delle strutture e delle attrezzature di primo soccorso; c) favorire, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative volte a contrastare l'assunzione di sostanze dopanti nello svolgimento di qualunque attività motoria e fisica; d) collaborare con il direttore tecnico nella personalizzazione delle attività fisiche praticate dall'utente”. 83 Secondo l’art. 11 comma 2, lett. F, del citato Regolamento regionale, il direttore tecnico “imposta l'attività motoria personalizzata per ciascun utente secondo le indicazioni del responsabile sanitario di cui al comma 4 e risponde della corretta esecuzione da parte degli operatori”. 82

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ritenuta in linea con la finalità di protezione della salute posto che se, da un lato, è pacifica la funzione sanitaria della pratica sportiva, dall’altro, è indiscusso che tale attività – per potere essere realmente benefica – debba essere programmata sulla base delle esigenze di ciascun praticante (età, genere, presenza di eventuali problematiche fisiche e/o patologie). 3.4 L’importanza del certificato medico: strumento fondamentale di tutela della salute degli atleti e di esonero da responsabilità per i dirigenti. La circostanza per cui la Regione Marche abbia esteso l’obbligo della certificazione di idoneità non agonistica all’attività che non è praticata sotto l’egida del mondo CONI, consente di svolgere alcune riflessioni in merito all’importanza del certificato medico, come strumento privilegiato di tutela della salute degli atleti, nonché di esonero da responsabilità per il Presidente dell’associazione. Come si è già osservato, se, da un lato, è ormai consolidata la convinzione che l’attività sportiva abbia un’indubbia funzione sanitaria, dall’altro, è pacifico che una simile funzione possa essere pregiudicata dal mancato rispetto delle prescrizioni in materia di tutela sanitaria. Con

riguardo

espressamente

alla

pratica

riconosce

dell’attività

l’obbligo

delle

agonistica,

la

associazioni

Regione e

società

Marche

84

sportive

dilettantistiche, delle Federazioni Sportive Nazionali e degli Enti di Promozione Sportiva di subordinare – sotto la propria responsabilità - il tesseramento dei soggetti che intendono svolgere attività sportiva agli accertamenti ed alle certificazioni di legge in corso di validità (attenendosi alla scadenza). Una simile imposizione è stata estesa anche all’attività di fitness praticata negli impianti sportivi aventi la sede nella citata Regione, seppure in assenza di tesseramento, ove il direttore tecnico è tenuto ad acquisire per ciascun iscritto la certificazione medica di buona salute atta alla pratica sportiva non agonistica (funzionale all’accertamento delle condizioni di salute), in virtù della posizione di

84

Il riferimento è alla delibera di Giunta Regionale del 3 dicembre 2007 n. 1438.

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garanzia riconosciutagli nei confronti degli atleti e del pubblico – qualora presente -. Il certificato medico è ritenuto uno strumento privilegiato di tutela della salute, considerata la provenienza da un professionista esperto e qualificato, soprattutto se rilasciato da un medico specialista. L’acquisizione della specializzazione, sintomo di particolare esperienza e competenza, si riflette sulla valutazione di un’eventuale responsabilità del sanitario, giudicata – dalla giurisprudenza - con maggior rigore rispetto la responsabilità del medico generico85. Presupposto fondamentale ai fini dell’accertamento della responsabilità del professionista è la prova (non solo dell’evento lesivo e della negligenza, imprudenza, imperizia del sanitario, bensì anche) del nesso di causalità, ovvero la dimostrazione che il compimenti di eventuali esami clinici – omessi - avrebbero evitato il verificarsi del danno. Per ragioni di completezza, è opportuno segnalare che la Suprema Corte 86 ha esteso alla Federazione (Federazione Italiana Giuoco Calcio) la responsabilità per il fatto illecito provocato dalla condotta negligente del medico delegato al rilascio del certificato per l’idoneità all’attività sportiva. La responsabilità della Federazione trova giustificazione nel principio "cuius commoda, eius et incommoda", ossia nell’esigenza che colui, il quale svolge un'attività, oltre a trarre vantaggi dall’esercizio della stessa, ne sopporti anche i rischi. Muovendo da simili considerazioni, il giudice di legittimità ha statuito che “la prassi di delegare a medici esterni la funzione prevista dallo statuto della Federazione Italiana Giuoco Calcio di tutelare la salute degli atleti dilettanti sotto il profilo medico-sportivo comporta la responsabilità della stessa Federazione per il fatto illecito provocato dalla condotta negligente del medico delegato”.

85

In tal senso, si v. Cass., 8 gennaio 2003 n. 85 “la condotta del medico sportivo, dal punto di vista dei diversi connotati che può assumere la colpa, deve, in ragione della sua competenza essere valutata con maggiore rigore di quanto richiesto all’operato di medico generico”. 86 Cass. pen., sez. IV, 5 giugno 2009 n. 38154.

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Il fatto che il certificato medico sia considerato uno strumento privilegiato di tutela della salute, evidenzia l’importanza di pretendere un simile documento anche laddove non espressamente richiesto dalla legge (seppure nella Regione Marche non sembrano sussistere ipotesi di tal genere), in quanto espressione di particolare diligenza da parte del gestore di un impianto o di un organizzatore di competizioni sportive. Se infatti l’omessa richiesta di un simile documento può costituire (qualora si verifichi un evento lesivo) un presupposto di responsabilità civile e/o penale – sussistendone tutti i presupposti –, in ipotesi di violazione di norme di legge o, comunque di precetti codificati (cd. colpa specifica), la stessa condotta omissiva, in assenza di espresse prescrizioni scritte in tal senso, può avere conseguenze analoghe in termini di colpa generica (per negligenza, imprudenza o imperizia), purchè si dimostri che la pretesa della certificazione avrebbe impedito la realizzazione dell’evento lesivo. È opportuno ribadire che se la violazione delle prescrizioni normative può giustificare un addebito di responsabilità civile e/o penale, sussistendone i presupposti (cd. Colpa specifica), altrettanto può dirsi nel caso di condotta negligente o imprudente (colpa generica). L’attività prudente del presidente di un’associazione sportiva può rivelarsi in grado di evitare il verificarsi di una situazione dannosa, il cui mancato impedimento costituisce un presupposto di responsabilità penale ai sensi dell’art. 40 c. p. (“non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”). In linea con tali considerazioni, si rivela oltremodo criticabile la prassi di richiedere, agli utenti degli impianti sportivi, l’autocertificazione del proprio stato di salute, nonché la sottoscrizione delle clausole di esonero da responsabilità, considerata la nullità di simili strumenti (tanto diffusi quanto dannosi). La mancata pretesa del certificato, sul presupposto della natura non sportiva (ma ludico – motorio o amatoriale) dell’attività praticata, potrebbe inoltre avere ripercussioni negative in caso di accertamenti fiscali.

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3.5 L’obbligo di dotazione dei defibrillatori e di formazione del personale preposto al loro utilizzo. Nella stessa ottica di tutela della salute dei praticanti attività sportiva si collocano anche le disposizioni relative all’uso dei defibrillatori, resi obbligatori dal Decreto Balduzzi. L’emanazione del citato provvedimento è stata invero preceduta da altri interventi normativi, volti a disciplinare l’utilizzo di simili strumenti salvavita nonché la formazione la formazione del personale legittimato all’utilizzo dei medesimi. La disciplina di riferimento per l’uso del defibrillatore da parte del personale non sanitario è la Legge 3 aprile 2001 n. 120 87 (art. 1), secondo cui “l’uso del defibrillatore semiautomatico in sede extraospedaliera è consentito anche al personale sanitario non medico, nonchè al personale non sanitario (laico) che abbia ricevuto una formazione specifica nelle attività di rianimazione cardiopolmonare”. Tale normativa è stata seguita, a distanza di un decennio, dal DM 18 marzo 2011, contenente la Determinazione dei criteri e delle modalità di diffusione dei defibrillatori semiautomatici esterni88, che sembra “avere posto le basi” per il Decreto Balduzzi. L’idea fondamentale, alla base del citato provvedimento, è l’importanza di una diffusione capillare (in grado di favorire la defibrillazione entro pochi minuti dall'arresto cardiaco, qualora necessario prima dell'intervento dei mezzi di

87

Legge 3 aprile 2001, n° 120 “Autorizzazione all’utilizzo extraospedaliero dei defibrillatori semiautomatici”, ove si legge che “Le regioni disciplinano il rilascio da parte delle aziende sanitarie locali e delle aziende ospedaliere dell'autorizzazione all'utilizzo extraospedaliero dei defibrillatori da parte del personale [di cui al comma 1, i.e., medico, sanitario non medico e laico], nell'ambito del sistema di emergenza 118 competente per territorio o, laddove non ancora attivato, sotto la responsabilità dell'azienda unità sanitaria locale o dell'azienda ospedaliera di competenza, sulla base dei criteri indicati dalle linee guida adottate dal Ministro della sanità con proprio decreto, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge”. Tale legge (seguita dall’accordo Stato-Regioni del 27 febbraio 2003 «Linee guida per il rilascio dell'autorizzazione all'utilizzo extraospedaliero dei defibrillatori semiautomatici») è stata modificata dal Decreto Legge n° 273 del 30 dicembre 2005, che ha aggiunto - all’art. 1 della Legge 3 aprile 2001, n° 120 - il seguente comma: “ 2-bis. La formazione dei soggetti di cui al comma 1 può essere svolta anche dalle organizzazioni medicoscientifiche senza scopo di lucro nonché dagli enti operanti nel settore dell’emergenza sanitaria che abbiano un rilievo nazionale e che dispongano di una rete di formazione.” 88 “Per la realizzazione di programmi regionali per la diffusione e l'utilizzo di defibrillatori semiautomatici esterni (DAE), indicando i criteri per l'individuazione dei luoghi, degli eventi, delle strutture e dei mezzi di trasporto dove deve essere garantita la disponibilità dei defibrillatori semiautomatici esterni, nonché le modalità della formazione degli operatori addetti. Le regioni provvedono altresì a disciplinare l’erogazione dei corsi di formazione e di addestramento in Basic life support – defibrillation (BLSD) per i soccoritori non medici, la definizione dei programmi di formazione, l’aggiornamento, la verifica e le modalità di accertamento”.

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soccorso sanitari) e strategica dei defibrillatori, considerata la necessità che tali strumenti salvavita siano posti in contesti di aggregazione cittadina e di grande frequentazione o ad alto afflusso turistico, in cui può essere più probabile il verificarsi di arresti cardiaci. Tra i luoghi, elencati a titolo esemplificativo, in cui è opportuna la collocazione dei DAE, sono menzionati anche quelli in cui si pratica attività ricreativa ludica, sportiva agonistica e non agonistica anche a livello dilettantistico. In linea con tali argomentazioni, si pone il decreto Balduzzi 89 , che obbliga i sodalizi sportivi (ad eccezione di quelli che svolgono attività sportive con ridotto impegno cardiocircolatorio, quali bocce - escluse bocce in volo -, biliardo, golf, pesca sportiva di superficie, caccia sportiva, sport di tiro, giochi da tavolo e sport assimilabili) 90 a dotarsi del defibrillatore semiautomatico 91 , nel rispetto delle modalità indicate dalle linee guida riportate nell'allegato E del citato decreto92,

89

Dalla lettura del Decreto Balduzzi (all. E “linee guida sulla dotazione e l’utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita”), si evince che “ogni anno, in Italia, circa 60.000 persone muoiono in conseguenza di un arresto cardiaco, spesso improvviso e senza essere preceduto da alcun sintomo o segno premonitore. La letteratura scientifica internazionale ha ampiamente dimostrato che in caso di arresto cardiaco improvviso un intervento di primo soccorso, tempestivo e adeguato, contribuisce, in modo statisticamente significativo, a salvare fino al 30 per cento in più' delle persone colpite. In particolare, e' dimostrato che la maggiore determinante per la sopravvivenza e' rappresentata dalle compressioni toraciche esterne (massaggio cardiaco) applicate il prima possibile anche da parte di personale non sanitario. Senza queste tempestive manovre, che possono essere apprese in corsi di formazione di poche ore, il soccorso successivo ha poche o nulle probabilità di successo. A questo primo e fondamentale trattamento deve seguire, in tempi stretti, la disponibilità di un Defibrillatore Semiautomatico Esterno (DAE)che consente anche a personale non sanitario di erogare una scarica elettrica dosata in grado, in determinate situazioni, di far riprendere un'attività cardiaca spontanea. L'intervento di soccorso avanzato del sistema di emergenza 118 completa la catena della sopravvivenza”. 90 Ai sensi dell’art. 5 del decreto Balduzzi, le società' sportive professionistiche (intese quelle di cui al Capo II della legge 23 marzo 1981,n. 91 e successive modifiche e integrazioni), hanno dovuto dotarsi di defibrillatore entro 6 mesi dall'entrata in vigore del citato decreto. Gli enti sportivi dilettantistici, di cui al comma 17 dell'art. 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 e successive modifiche e integrazioni, avrebbero dovuto dotarsi dello strumento salvavita – secondo la previsione iniziale del decreto Balduzzi - entro 30 mesi dall'entrata in vigore del decreto. Il termine è stato prorogato di sei mesi con decreto del Ministro della Salute in data 11 gennaio 2016 (pubblicato nella G. U., serie generale n. 13, del 18 gennaio 2016), con cui viene modificato il decreto 24 aprile 2013, recante: «Disciplina della certificazione dell’attività sportiva non agonistica e amatoriale e linee guida sulla dotazione e l’utilizzo di defibrillatori semiautomatici e di eventuali altri dispositivi salvavita». In particolare, all’art. 5, comma 5, del decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, in data 24 aprile 2013, le parole “30 mesi” sono sostituite dalle seguenti: “36 mesi”. Una successiva proroga di ulteriori quattro mesi e 10 giorni è stata disposta con decreto del Ministro della Salute emanato, di concerto con il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il 19 luglio 2016 (al citato art. 5, comma 5, del decreto del Ministro della salute, adottato di concerto con il Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, in data 24 aprile 2013, le parole “36 mesi” sono sostituite dalle seguenti: “40 mesi e 10 giorni”). Secondo questa proroga, ai sodalizi sportivi dilettantistici era stato concesso tempo fino al 30 novembre 2016 per dotarsi di defibrillatori. Un’ulteriore dilazione dell’entrata in vigore dell’obbligo, al primo luglio 2017, è stata disposta dalla legge 15 dicembre 2016 n. 229. 91 Fermo restando l'obbligo della dotazione di DAE da parte di società sportive professionistiche e dilettantistiche, si evidenzia l'opportunità di dotare, sulla base dell'afflusso di utenti e di dati epidemiologici, di un defibrillatore anche i luoghi quali centri sportivi, stadi, palestre ed ogni situazione nella quale vengono svolte attività in grado di interessare l'attività' cardiovascolare, secondo quanto stabilito dal D.M. 18 marzo 2011, punto B.1 dell'allegato. 92 I DAE, tra l’altro, devono rispettare alcuni requisiti tecnici, devono essere marcati CE come dispositivi medici ai sensi della vigente normativa comunitaria e nazionale (Dir. 93/42/CEE, D.lgs n. 46/97) e devono essere resi disponibili all'utilizzatore completi di tutti gli accessori necessari al loro funzionamento, come previsto dal fabbricante (decreto Balduzzi).

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muovendo dalla constatazione che “l'attività fisica costituisce di per sè un possibile rischio di Arresto Cardiocircolatorio (ACC) per cause cardiache e non cardiache”. Sulla base di simili considerazioni, sembra pertanto ragionevole affermare che i contesti in cui si pratica attività fisica e sportiva, agonistica e non agonistica, possano costituire lo scenario di arresto cardiaco più frequentemente di altri. Ai sensi del decreto Balduzzi, l’onere della dotazione e della manutenzione dello strumento salvavita spetta ai sodalizi sportivi, con la precisazione che, qualora uno stesso impianto sportivo, anche scolastico, sia utilizzato da più società sportive, queste possano associarsi per l’esecuzione delle prescrizioni o, addirittura, demandarne l’attuazione al gestore della struttura. È oltremodo evidente, in queste ultime ipotesi, la necessaria predisposizione di un accordo scritto e dettagliato in cui siano specificati i compiti e le responsabilità di ciascuno (“chi fa cosa”), considerate le gravi conseguenze che possono derivare dall’inadempimento degli obblighi di legge (mancanza del defibrillatore e/o manutenzione inadeguata). La circostanza per cui la ratio sottesa alla dotazione obbligatoria del defibrillatore da parte dei sodalizi sportivi sia la tutela della salute e della vita dei praticanti attività sportiva, evidenzia l’imprescindibilità non solo della dotazione, bensì anche di un’adeguata manutenzione dello strumento, finalizzata al corretto e costante funzionamento dello stesso

93

. A tal fine, infatti,

l’apparecchio salvavita deve essere sottoposto ai controlli ed alle manutenzioni periodiche secondo le scadenze previste dal manuale d'uso e nel rispetto delle vigenti normative in materia di apparati elettromedicali. Oltre alle verifiche svolte periodicamente, a norma di legge, lo strumento deve essere mantenuto in condizioni di costante operatività (la batteria deve possedere carica sufficiente a garantirne il funzionamento e le piastre adesive devono essere sostituite alla scadenza).

93

Ai sensi del decreto Balduzzi all. E (4.3) “Gli enti proprietari dei DAE possono stipulare convenzioni con le Aziende Sanitarie o con soggetti privati affinché gli stessi provvedano alla manutenzione delle apparecchiature, ponendo comunque i costi a carico del proprietario”.

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Per evitare che l’utilizzo dello strumento sia impedito a causa di un malfunzionamento (dello stesso), potrebbe costituire “una buona prassi” per la società individuare un preposto al controllo quotidiano della corretta funzionalità. A nulla vale, giova ribadirlo, la mera presenza del defibrillatore, ove non in grado di garantire la propria funzione (“salvavita”) perché difettoso o non funzionante. Nella stessa ottica di tutela della salute degli atleti, le società che utilizzano permanentemente o anche solo temporaneamente un impianto devono tuttavia assicurarsi della presenza e del regolare funzionamento del dispositivo. Quest’ultimo deve essere collocato in luoghi accessibili ed essere facilmente riconoscibile; il cartello indicatore della posizione del DAE con gli adesivi “Defibrillatore disponibile” e “AED available”, deve essere ben visibile e posizionato all'ingresso dell’impianto. Per i DAE posti (in modo fisso) in luoghi aperti al pubblico è raccomandato, ove possibile, l'utilizzo di contenitori esterni con meccanismi automatici di comunicazione che si attivano al prelievo del dispositivo con segnalazione immediata alla Centrale Operativa 11894. Affinchè il defibrillatore possa realizzare realmente la funzione di strumento salvavita, è necessario che sia assicurata (oltre alla corretta e regolare manutenzione), la costante presenza, durante le gare e gli allenamenti, di almeno una persona debitamente formata al suo utilizzo. In assenza di una chiara ed esaustiva definizione legislativa, è opportuna un’interpretazione prudenziale del concetto di “allenamenti”, estendendolo anche all’attività di “affitto” dell’impianto sportivo. Si pensi, alle gravi conseguenze che potrebbero derivare dall’impossibilità di utilizzare il DAE per mancanza di personale formato in caso di evento lesivo occorso ad un “cliente” della struttura. I corsi di formazione possono essere effettuati dai Centri di formazione accreditati dalle singole Regioni secondo specifici criteri e svolti in conformità alle Linee guida nazionali del 2003, così come integrate dal D. M. 18 marzo 2011, nonché dal CONI. L’ente esponenziale dello sport italiano, nell'ambito della

94

Una simile prescrizione è contenuta nel decreto Balduzzi All. E (4.3).

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propria autonomia, ha adottato 95 un protocollo di Pronto soccorso sportivo defibrillato (PSSD) con la Federazione Medico Sportiva Italiana (nel rispetto delle disposizioni del citato decreto ministeriale 18 marzo 2011), al fine di garantire una formazione più completa agli operatori, non limitata all’utilizzo del defibrillatore, ma estesa alla “valutazione del rischio sportivo (VRS)”, quale elemento fondamentale di prevenzione e per la programmazione ed attuazione di ogni intervento di gestione delle emergenze, traumatiche e non, in base al rischio sportivo specifico per ogni disciplina (MOGESS – Modello Organizzativo di Gestione Emergenze Sanitarie nello Sport). La constatazione delle criticità relative alla disomogeneità, riscontrata fra le varie

Regioni

(successivamente

all’emanazione

del

DM

2011)

in

merito

all’organizzazione ed erogazione dei corsi di formazione e all’accreditamento dei soggetti formatori, da un lato, unitamente alla previsione dell’inevitabile aumento del numero delle persone da formare e sottoporre a re-training in seguito all’entrata in vigore del Decreto Balduzzi, dall’altro, ha indotto il Ministero della Salute ad emanare una circolare volta a fornire indirizzi in merito ai corsi di formazione finalizzati al rilascio di un attestato di autorizzazione all’impiego del DAE a personale non sanitario (c. d. laico), al fine di perseguire un modello unitario di formazione96. In particolare, i soggetti erogatori dei corsi di formazione devono possedere, per potere svolgere una simile attività, alcuni requisiti minimi imprescindibili, tra cui – oltre ad essere accreditati dalle Regioni ed essere inseriti nell’elenco dei soggetti autorizzati - la disponibilità di: un direttore scientifico della struttura formativa, medico, responsabile della rispondenza dei corsi ai criteri previsti; almeno cinque istruttori certificati; una struttura organizzativa per le funzioni di segreteria e di registrazione dell’attività; materiale didattico (computer,

95

Il 13 novembre 2015. Il riferimento è alla circolare del Ministero della salute 16 maggio 2014. La necessità di uniformare le procedure di riconoscimento e di accreditamento degli enti erogatori dei corsi di formazione è stata oggetto anche dell’accordo Stato regioni del 30 luglio 2015, in virtù del quale si è ribadito che le Regioni siano legittimate ad accreditare solo i soggetti in possesso di determinati requisiti.

96

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videoproiettore, manichini, simulatori DAE); un manuale didattico che segua le ultime raccomandazioni International Liason Committee On Resuscitation (ILCOR). L’organizzatore deve trasmettere i dati relativi al corso programmato sul territorio regionale, nonché (al termine dello stesso) è tenuto a comunicare i nominativi dei partecipanti che hanno superato la prova di valutazione pratica e che risultano, pertanto, in possesso dei requisiti per l’autorizzazione all’impiego del DAE. L'autorizzazione all’utilizzo dello strumento salvavita, rilasciata a coloro i quali, al termine del corso di formazione, hanno dimostrato di aver acquisito la competenza per l'effettuazione delle manovre di BLS-D97, ha validità su tutto il territorio nazionale, è nominativa ed ha durata illimitata, ferma restando l’esigenza di un retraining periodico98. Per consentire un uso efficiente e razionale dei defibrillatori esistenti sul territorio regionale, i proprietari di strumenti salvavita (extraospedalieri) nella Regione Marche 99 sono tenuti a comunicare alla centrale 118 competente per territorio una serie di dati utili a realizzare “una mappatura dei DAE”, comprensiva della localizzazione degli strumenti, dei soggetti responsabili e “abilitati” all’utilizzo dello strumento salvavita, in linea con quanto disposto dalla normativa nazionale100. Seppure il legislatore101 si sia preoccupato di chiarire (probabilmente al fine di non disincentivare l’utilizzo del defibrillatore) che l’attività di soccorso costituisce un obbligo solo per il personale sanitario, non per quello “laico”, è

97

Presso le strutture del sistema 118 identificate dalla Regione è mantenuto un registro dei nominativi delle persone in possesso dell'autorizzazione all'impiego del DAE. Il Decreto Balduzzi (All. E, 4.2) impone che l’attività di re-training per il personale formato sia effettuata ogni due anni. 99 Ai sensi della DGR Marche 23/10/2012 n. 1493, in linea con quanto disposto dalla normativa nazionale, al fine di assimilare l'impianto sportivo "cardioprotetto" ad un punto della rete PAD (Public Access Defibrillation) e pianificare una serie di interventi atti a prevenire che l'ACC esiti in morte, “tutti i soggetti, che sono tenuti o che intendono dotarsi di DAE devono darne comunicazione alla Centrale operativa 118, territorialmente competente, specificando: il numero di apparecchi, la specifica del tipo di apparecchio, la loro dislocazione, l'elenco degli esecutori in possesso del relativo attestato, per rendere più efficace ed efficiente il suo utilizzo o addirittura disponibile la sua localizzazione mediante mappe interattive”. 100 Il decreto Balduzzi (All. E, 4.1), impone a tutti i soggetti, “che sono tenuti o che intendono dotarsi di DAE, di darne comunicazione alla Centrale Operativa 118 territorialmente competente, specificando il numero di apparecchi, la specifica del tipo di apparecchio, la loro dislocazione, l'elenco degli esecutori in possesso del relativo attestato. Ciò' al fine di rendere più efficace ed efficiente il suo utilizzo o addirittura disponibile la sua localizzazione mediante mappe interattive”. 101 Secondo quanto disposto dal decreto Balduzzi (All. E, 4.5) “l'attività' di soccorso non rappresenta per il personale formato un obbligo legale che e' previsto soltanto per il personale sanitario”. 98

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oltremodo evidente la necessità che gli operatori formati si adoperino per l’utilizzo dello strumento salvavita, costituendo, se non un obbligo giuridico, un dovere morale. Non può trascurarsi, a tal proposito, la limitazione di responsabilità per l’operatore che attua la manovra, somministrando lo shock elettrico,

il

quale

non

è

responsabile

della

corretta

esecuzione

della

somministrazione (data dall’apparecchio), ma solo dell’attuazione della manovra in condizioni di sicurezza anche per i presenti. Nonostante la mera inosservanza delle prescrizioni normative in materia di DAE non sia stata espressamente sanzionata, in quanto tale dalla normativa nazionale, è inconfutabile che le conseguenze lesive (o addirittura la morte) derivante dall’inadempimento agli obblighi di legge possono costituire un presupposto di responsabilità civile e/o penale. Quest’ultima, riconducibile all’art. 40 c.p., per cui “non impedire un evento, che si ha obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”, può riguardare solo le persone fisiche, in virtù del brocardo latino “societas delinquere non potest”. Sarà quindi necessario individuare la causa dell’evento lesivo (che può essere riconducibile alla mancanza o all’inadeguata manutenzione dello strumento salvavita, nonché all’assenza di personale debitamente formato, legittimato all’utilizzo del medesimo) e il soggetto cui è imputabile l’omissione, determinante il sinistro. La responsabilità (per l’assenza o la manutenzione inadeguata del DAE) è riconducibile perlopiù al Presidente del sodalizio102, in assenza di espressa delega – auspicabilmente scritta103 - ad altre persone (ad esempio al gestore dell’impianto secondo quanto previsto dalla normativa vigente). La constatazione di alcune criticità, ravvisate nell’ambito della normativa in materia di defibrillatori, si pensi alle difficoltà di rispettare le prescrizioni per i sodalizi che praticano sport all’aperto anche in forma individuale (ciclismo, podismo, e altri) o attività in acqua, ha portato il Presidente del Coni (con nota del 2 novembre 2015) a chiedere il differimento dell’entrata in vigore della

102 Ai sensi del Decreto Balduzzi (All. E, 4.5) “La società e' responsabile della presenza e del regolare funzionamento del dispositivo”. 103 Seppure, tale forma non sia richiesta ex lege, è necessaria a fini probatori, ovvero per potere avere certezza del conferimento dell’incarico e del suo contenuto; la disponibilità di un documento scritto può rivelarsi particolarmente utile in caso di contenzioso.

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disciplina,

considerata

dilettantistico

104

la

specificità

delle

attività

esercitate

a

livello

.

Una simile proroga del termine (peraltro ulteriormente differito), concessa per l’attuazione delle prescrizioni normative, potrebbe costituire anche l’occasione per una rivisitazione delle criticità.

104

Vedi nota 90.

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4 LE RESPONSABILITÀ IN AMBITO ASSOCIATIVO 4.1 Una breve premessa: la distinzione fra responsabilità civile e penale. La constatazione che ipotesi di responsabilità possano verificarsi anche in ambito associativo, impone una disamina, seppur breve, delle caratteristiche specifiche di ciascuna forma di responsabilità, nonché delle differenze ravvisabili fra quella civile e penale. Quest’ultima, che rappresenta la fattispecie più grave di responsabilità esistente nel nostro ordinamento giuridico, è riconducibile alla commissione di un reato. L’estrema gravità delle conseguenze derivanti dalla realizzazione di un comportamento delittuoso ha comportato la necessaria tipizzazione (in attuazione del principio di legalità, sintetizzato nel brocardo “Nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali”) dei reati e delle sanzioni (raggruppabili in sanzioni detentive e pecuniarie, rispettivamente ergastolo, reclusione, arresto, multa e ammenda) nonché la natura personale della responsabilità (ex art. 27 Cost.). La codificazione degli illeciti rilevanti ai fini penali comporta che la condanna per la realizzazione di uno di tali comportamenti è subordinata alla commissione di un illecito esattamente riconducibile ad una fattispecie descritta dal legislatore (con riguardo sia alla condotta vietata sia all’elemento soggettivo). In merito a quest’ultimo aspetto, è opportuno precisare che la punizione della maggior parte dei reati presuppone l’intenzionalità della condotta, essendo rare (e necessariamente tipizzate) le figure di illecito colposo, pressoché assenti le ipotesi di responsabilità oggettiva (o senza colpa). Una simile circostanza è riconducibile alle estreme gravità della responsabilità penale, che richiede quantomeno un addebito colposo (per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi) a carico dell’autore, in linea con la previsione della responsabilità personale. Quest’ultimo disposto indica la necessaria colpevolezza dell’autore del fatto (ovvero la riconducibilità della commissione dell’illecito al dolo o colpa di quest’ultimo), nonché la coincidenza del soggetto che realizza l’illecito con colui il quale subisce la condanna. Conseguenza del carattere personale della responsabilità è l’impossibilità di estendere la responsabilità penale agli enti associativi (dovendosi necessariamente individuare “il colpevole”, autore della violazione), come enunciato dal brocardo latino (tuttora valido) “societas delinquere non potest”.

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A diverse conclusioni può giungersi con riguardo alla responsabilità civile, la quale può interessare anche i sodalizi sportivi, chiamati a rispondere del fatto illecito commesso da un proprio organo o collaboratore. La citata responsabilità può essere di natura contrattuale o extracontrattuale: entrambe connotate dall’obbligo risarcitorio a carico del contraente inadempiente o all’autore dell’illecito civile. L’una, derivante dall’inadempimento di un contratto, è regolata dagli artt. 1218 ss. c. c.; l’altra, conseguenza della commissione di un fatto illecito, ovvero di un fatto contrario all’ordinamento giuridico e lesivo di un interesse meritevole di tutela – per l’ordinamento giuridico - , è disciplinata dagli artt. 2043 ss. c.c. . Dalla lettura dell’art. 2043 c.c., secondo cui: “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”, si evincono gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale; ovvero il fatto illecito - atipico 105 - commesso con dolo o colpa106, causa di un danno ingiusto, ed il rapporto di causalità. Il “fatto”, fonte di un danno ingiusto, è un comportamento umano attivo od omissivo (quest’ultima ipotesi può sussistere solo se il soggetto aveva un obbligo giuridico di attivarsi e di compiere l’azione che non ha posto in essere), realizzato intenzionalmente o, qualora non voluto, verificatosi quantomeno per negligenza, imprudenza, imperizia (cd. colpa generica) o per violazione di leggi o regolamenti (cd. colpa specifica). Seppure il richiamo all’ingiustizia possa sembrare pleonastico, in realtà offre un’importante specificazione, ovvero che il danno possa costituire un presupposto di responsabilità e dell’obbligo risarcitorio solo laddove il fatto illecito sia lesivo di una situazione giuridica meritevole di tutela per l’ordinamento giuridico. La caratteristica di ingiustizia del danno, unitamente all’atipicità dell’illecito civile, consente invero di “attualizzare” costantemente le figure di illecito civile, in base all’emergere (di nuove) situazioni giuridicamente rilevanti. Da ultimo, è imprescindibile il rapporto di causalità, ovvero il legame fra il fatto illecito e il danno ingiusto, tale per cui quest’ultimo elemento deve essere la conseguenza del primo. La responsabilità extracontrattuale può essere diretta ovvero per fatto proprio (art. 2043 c.c.), o per fatto altrui, qualora l’obbligo risarcitorio sia posto a carico di un soggetto diverso dal danneggiante, si pensi alla responsabilità di genitori, tutori e maestri d’arte per l’illecito commesso dai figli minori non emancipati o

105 A differenza dei reati, necessariamente descritti dal legislatore (in ragione della gravità anche delle conseguenze), l’illecito civile è atipico, come si evince dall’art. 2043 c.c., che punisce qualunque fatto illecito. 106 La nozione di dolo e colpa accolta in ambito civilistico è mutuata dal diritto penale secondo cui il reato si considera (art. 43 c.p.) “doloso, o secondo l’intenzione, quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. È definito “colposo o contro l’intenzione, quando l’evento, anche se preveduto non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”.

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dalle persone soggette a tutela (art. 2048 c.c.), fattispecie peraltro estesa alla responsabilità dell’allenatore e dell’istruttore per gli illeciti posti in essere dai soggetti sottoposti a sorveglianza; nonché all’ipotesi della responsabilità dei padroni e committenti per le violazioni dei commessi (art. 2049 c.c.), “attualizzata” come responsabilità dei datori di lavoro per i danni causati dal comportamento scorretto dei collaboratori. Quest’ultima figura di responsabilità, qualora riferita al contesto dell’associazionismo sportivo, può implicare “l’estensione” all’associazione sportiva della responsabilità dell’allenatore per gli illeciti commessi dai soggetti sottoposti alla sua sorveglianza. È oltremodo evidente che, in tal caso, la responsabilità solidale dell’ente sarà di tipo indiretto o per fatto altrui, poiché derivante da un comportamento scorretto posto in essere da un soggetto diverso dal sodalizio sportivo (i.e. l’allenatore). La responsabilità dell’ente può invero essere anche diretta qualora costituisca la conseguenza di un illecito realizzato dagli organi dell’associazione sportiva, i quali abbiano agito in rappresentanza dell’ente. È doveroso sottolineare che le “pesanti” conseguenze dell’obbligo risarcitorio derivante dalla responsabilità civile extracontrattuale – diretta ed indiretta – evidenziano l’importanza di un’adeguata copertura assicurativa, che, nella maggior parte dei casi, deriva dall’affiliazione107. 4.2 La responsabilità (civile e/o penale) dell’allenatore e la responsabilità solidale dell’ente. La responsabilità civile dell’allenatore per i danni che gli allievi cagionano a se stessi o ad altri durante lo svolgimento dell’attività sportiva è regolata – a prescindere dal fatto che egli sia o meno in possesso della qualifica federale - ai sensi dell’art. 2048 c.c. oppure dell’art. 2047 c.c. se l’allievo è incapace di intendere e di volere. È opportuno, a tal proposito, distinguere la responsabilità per i danni che il soggetto sottoposto alla vigilanza procura a terzi, “responsabilità cd. esterna”, da quella per le lesioni “autoprocuratesi”, “responsabilità cd. interna”, l’una è ricondotta, in modo pacifico, all’art. 2048 c.c. (o all’art. 2047 c.c.108 se l’allievo è incapace di intendere e di volere), considerato il particolare dovere di sorveglianza e di controllo tecnico e disciplinare imposto agli istruttori, l’altra si presta ad interpretazioni più discusse. A fronte di chi109, e rappresenta l’indirizzo maggioritario, limita l’applicazione dell’art. 2048 c.c. (o 2047 c.c.) all’ipotesi in

107

Considerata la differenza fra le diverse polizze, è sempre necessario verificarne con estrema precisione il contenuto. 108 Ai sensi dell’art. 2047 c.c. “In caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non avere potuto impedire il fatto.” 109 Trib. Roma, 2 ottobre 1997; Cass., 13 settembre 1996 n. 8263 in Repertorio Foro Italiano, 1996, voce “Responsabilità civile”; Cass., 13 maggio 1995 n. 5268 in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 1996, I, p. 239; Cass. Civ., 12 luglio 1974, n. 2110, in Giurisprudenza Italiana, 1975, I, 1, p. 70.

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cui l’allievo cagioni danni a terzi, riconducendo la responsabilità per le lesioni che l’atleta procura a se stesso all’art. 2043 c.c., vi è chi110 riferisce l’art. 2048 c.c. anche alla responsabilità cd. interna, ritenendo che il dovere di vigilanza è posto in primo luogo a tutela degli allievi loro affidati. Il richiamo a tali disposizioni e, più in generale, alla responsabilità extracontrattuale, è stato invero pressoché abbandonato in seguito alla decisione pronunciata dalla Suprema Corte (a Sezioni Unite) 111 , che ha attribuito natura contrattuale ad una simile forma di responsabilità, muovendo dal presupposto che “la presunzione di responsabilità dei precettori ex art. 2048, comma 2, c.c. opera solo in caso di danno cagionato a terzi dal fatto illecito del minore, non essendo al contrario invocabile al fine di ottenere il risarcimento del danno che l’allievo abbia, con la propria condotta, arrecato a se stesso. Tale pregiudizio, tuttavia, troverà ristoro ai sensi dell’art. 1218 c.c. qualora l’insegnante non abbia ottemperato ai propri obblighi professionali, ivi incluso quello di vigilanza”. L’art. 2048 c.c.112, la cui applicazione è pacifica – come ricordato - con riguardo alla responsabilità cd. esterna (e discussa in relazione a quella cd. interna) enuncia, tra l’altro, la responsabilità dei precettori e di coloro che insegnano un mestiere o un’arte per il danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. La formulazione, invero arcaica, dell’art. 2048 c.c. è stata interpretata in modo estensivo dagli interpreti 113 , che riferiscono il termine “precettore” a tutti coloro che “per pubblico ufficio o per incarico privato impartiscono al minore un insegnamento culturale, tecnico, sportivo”, a tutti gli insegnanti, pubblici e privati114, ai docenti di educazione fisica, agli istruttori sportivi e agli allenatori. Il fondamento della responsabilità dell’istruttore di cui all’art. 2048 c.c. si ravvisa nella violazione del dovere di sorveglianza (cd. culpa in vigilando) 115 che è

110 In tal senso, vedi, Cass. 26 giugno 1998 n. 6331; Cass 11 agosto 1997 n. 7454; Cass. 1° agosto 1995 n. 8390, in Repertorio del Foro Italiano 1995, voce “Responsabilità civile” n. 110; Trib. Napoli 5 dicembre 1989, in Archivio Civile, 1990, p. 393 “Gli insegnanti elementari sono responsabili non soltanto degli atti dannosi compiuti dagli alunni nei confronti dei terzi, ma anche dei danni che gli alunni possono procurare a se stessi con la loro condotta, salvo liberarsi della responsabilità de qua dimostrando di non avere potuto impedire il fatto, pur avendo esattamente e completamente adempiuto al dovere di vigilanza imposto loro in relazione all’età degli alunni”. 111 Cass., SS. UU., 27 giugno 2002 n. 9346. 112 L’art. 2048 c.c. dispone che “il padre, la madre, o il tutore sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei figli minori non emancipati o delle persone soggette alla tutela, che abitano con essi. La stessa disposizione si applica all’affiliante” (comma 1). “I precettori e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza” (comma 2). “Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non avere potuto impedire il fatto” (comma 3). 113 In giurisprudenza, vedi App. Firenze, 29 ottobre 1996 in materia di responsabilità sciistica; Trib. Monza, 13 settembre 1988 con riferimento agli istruttori di tennis; Cass., 27 marzo 1984 n. 2027 riguardo agli istruttori di nuoto. 114 Cass. 20 settembre 1979 n. 4835; Cass. 22 ottobre 1965 n. 2022; Cass. 4 marzo 1977 n. 894. 115 Nel diritto applicato, vedi, ex plurimis, Cass. Civ., 1° agosto 1995 n. 8390 in Massimario del Foro Italiano 1995; Cass. Civ., 22 gennaio 1990 n. 318, in Archivio e Responsabilità Civile 1990, p. 365.

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presunta dal legislatore – con una presunzione iuris tantum116- per agevolare il danneggiato. Secondo una simile impostazione, “la responsabilità dei precettori per il danno causato dal fatto illecito dei loro allievi, nel caso in cui gli stessi precettori non abbiano potuto fornire la prova dell’impossibilità di impedire il fatto e non sia possibile ricostruire le esatte modalità dell’evento lesivo, può essere fondata su un ragionamento induttivo dal quale risulti senza dubbio la colpa dei precettori medesimi”117. La circostanza secondo la quale il legislatore ha previsto un’ipotesi di responsabilità aggravata, ponendo a carico dei soggetti indicati una presunzione iuris tantum - di colpa, comporta che gli stessi, al fine di liberarsi dalle accuse, debbano fornire la prova contraria, dimostrando di avere adempiuto diligentemente al dovere di sorveglianza e di avere vigilato sugli allievi in modo adeguato ad evitare l’insorgere del pericolo. In particolare, dall’analisi della casistica si evince un atteggiamento rigoroso riguardo il contenuto della prova liberatoria di “non avere potuto impedire il fatto” che l’istruttore deve offrire, ai sensi dell’art. 2048 c.c., per superare la presunzione di responsabilità derivante dall’illecito commesso dall’allievo nel tempo in cui si trova sotto la sua vigilanza. E’ reputata inidonea, a tal fine, la mera “dimostrazione di non essere stato in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo, dopo l’inizio della serie causale sfociata nella produzione del danno, essendo richiesta anche la dimostrazione di avere adottato, in via preventiva, le misure organizzative o disciplinari idonee ad evitare una situazione di pericolo favorevole all’insorgere di detta serie causale”118. La presunzione di colpa può essere superata invero anche attraverso la dimostrazione che “l’evento è stato imprevedibile ed improvviso, tale, quindi, che malgrado la dovuta vigilanza non avrebbe potuto essere impedito o evitato”119: la responsabilità presuppone che “il fatto sia prevedibile, in quanto ciò che è imprevedibile è anche per definizione non prevenibile. Per accertare la prevedibilità del fatto il giudice del merito deve fare riferimento alla sua ripetitività o ricorrenza statistica, non astrattamente intesa, ma correlata al particolare ambiente di cui si tratta, sulla base della ragionevole prospettazione secondo cui certi eventi, già verificatisi in date condizioni, possono, al riprodursi di queste, ripetersi”120.

116 La presunzione iuris tantum o relativa ammette la prova contraria, diversamente dalla presunzione iuris et de iure o assoluta che non l’ammette. 117 Nel caso concreto, è stata affermata la responsabilità degli insegnanti presenti ad una gara sportiva scolastica per i danni riportati da uno scolaro minore colpito da un attrezzo sportivo mentre assisteva alla gara (Cass. Civ., 22 novembre 1991 n. 12538, in Rivista di Diritto Sportivo, 1992, p. 660). 118 Cass. 27 marzo 1984 n. 2027. 119 Cass. Civ., 24 febbraio 1997 n. 1683; Cass. Civ., 11 marzo 1977 n. 894. 120 Cass. Civ., 2 dicembre 1996 n. 10723, in Archivio Civile, 1997, p. 1040. Nella specie, il Ministero della Pubblica Istruzione veniva condannato al risarcimento del danno in relazione alle lesioni subite dall’allievo di una scuola in

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La giurisprudenza si presenta divisa sulla efficacia della prova del gesto improvviso e repentino, alcune decisioni 121 considerano liberatoria una simile dimostrazione, purchè, anche in tal caso, non si ravvisi un’inerzia del soggetto nell’adottare le cautele necessarie ad evitare il danno; altre pronunce 122 , discostandosi da un simile orientamento, ritengono che anche il fatto repentino sia prevedibile e quindi prevenibile da parte del soggetto preposto alla vigilanza posto che “un gesto, solo perché repentino e improvviso non è anche imprevedibile perché l’esperienza quotidiana insegna che, in genere, nella condotta dei ragazzi sono sempre prevedibili gesti inconsulti e pericolosi anche se improvvisi”123. In particolare, secondo tale impostazione, i citati comportamenti possono essere previsti e prevenuti da parte dell’istruttore che, conoscendo la situazione, è in grado di adottare le cautele necessarie. La circostanza per cui il dovere di vigilanza non sia predeterminato in astratto e con riferimento ad un modello generale, ma debba essere adeguato alle circostanze concrete, comporta che anche l’oggetto della prova liberatoria diversificato in base alle modalità di svolgimento del fatto storico - debba tenere conto di vari elementi, quali: la pericolosità intrinseca dell’attività sportiva, il grado di apprendimento, l’età, la formazione e la maturità dell’allievo124. Particolare importanza sembra essere attribuita all’età degli allievi “il dovere di vigilanza imposto dall’art. 2048 c.c. non ha carattere assoluto, bensì relativo, occorrendo correlarne il contenuto e l’esercizio in modo inversamente proporzionale all’età ed al normale grado di maturazione degli alunni, in modo che, con l’avvicinamento di costoro all’età del pieno discernimento, l’espletamento di tale dovere non richiede la continua presenza degli insegnanti, purché non manchino le più elementari misure organizzative dirette a mantenere la disciplina tra gli allievi”125. In definitiva, la considerazione per cui il dovere di sorveglianza debba essere determinato tenendo conto, tra l’altro, dell’età degli allievi, comporta la necessità di una vigilanza tanto più continua ed attenta, quanto minore è l’età degli alunni.

conseguenza del lancio, da parte di un suo compagno, di una pallina di carta che l’aveva colpito all’occhio. La S. C., in applicazione dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza del merito che, nell’affermare la prevedibilità del fatto, aveva tenuto conto del già avvenuto lancio di palline di carta in quella scuola e durante certe ore di insegnamento, nonché della situazione di indisciplina della classe.” 121 Cass. Civ., 25 marzo 1997 n. 2606, in Archivio Civile, 1998, p. 122; Trib. Genova, 13 gennaio 1995 n. 199, in Giurisprudenza Italiana, 1995, I, 2, p. 554; Cass. Civ., 10 febbraio 1981 n. 826. Dalla lettura di Cass. Civ., 22 gennaio 1990 n. 318 si evince che: “l’art. 2048 pone una presunzione di responsabilità a carico dei precettori in caso di danno cagionato da fatto illecito dei loro allievi. che può essere superata soltanto con la dimostrazione di avere esercitato la sorveglianza sugli stessi con una diligenza diretta ad impedire il fatto, cioè quel grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere”. La mancanza delle più elementari misure organizzative per mantenere la disciplina tra gli allievi impedisce, secondo l’Autorità, di invocare “quella imprevedibilità del fatto che, invece, esonera da responsabilità soltanto nelle ipotesi in cui non sia possibile evitare l’evento nonostante l’adozione di un comportamento di vigilanza adeguato alle circostanze”. 122 App. Lecce, 22 dicembre 1969. 123 Cass. 4 marzo 1977 n. 894. 124 Cass. 23 giugno 1993 ha escluso la responsabilità dei sorveglianti perché l’età degli allievi era tale da non richiedere una sorveglianza continua. 125 Cass. Civ., 23 giugno 1993 n. 6937, in Vita Notarile, 1994, I, p. 227.

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È oltremodo evidente che l’obbligo di sorveglianza nei confronti degli allievi “in tenera età” possa essere considerato un obbligo di “custodia” che permane finchè non sono riconsegnati ad un adulto. L’art. 2048 c.c. si riferisce (diversamente dalla norma precedente), come evidenziato in precedenza, al dovere di sorveglianza che deve essere esercitato nei confronti degli allievi capaci di intendere e di volere. Questi ultimi, poiché la capacità di intendere e volere costituisce il presupposto per l’imputazione dell’illecito all’autore, possono essere ritenuti responsabili (ai sensi dell’art. 2043 c.c.) per avere commesso materialmente il fatto unitamente all’istruttore (ai sensi dell’art. 2048 c.c.) che non lo ha impedito. Sulla base di una simile premessa, può ravvisarsi una responsabilità solidale (di entrambi), secondo la gravità della propria colpa e delle conseguenze che ne sono derivate, ai sensi dell’art. 2055 c.c., il quale dispone che: “se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della colpa e della entità della conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio le singole colpe si presumono uguali”. Se gli interpreti126 sono concordi nel richiamare la prescrizione di cui all’art. 2048 c.c. con riguardo alla responsabilità dell’istruttore per il fatto illecito commesso dall’allievo minorenne (capace di intendere e di volere), non altrettanto può dirsi con riguardo agli allievi maggiorenni. Secondo alcuni 127, l’art. 2048 c.c. presuppone la minore età dell’allievo che ha commesso il fatto, considerato il riferimento contenuto nel primo comma (ai figli minorenni). Altri 128 , non attribuiscono rilevanza all’età dell’allievo ma, distinti gli illeciti strettamente collegati all’attività di insegnamento da quelli che si trovano in un rapporto di mera occasionalità, ammettono la responsabilità dell’istruttore solo con riguardo ai primi. Una simile impostazione è accolta anche dalla giurisprudenza di merito; la quale, chiamata a pronunciarsi con riguardo alla responsabilità dell’istruttore per i danni cagionati da un allievo che, recatosi durante la pausa degli allenamenti sulle gradinate della piscina, era caduto cagionando gravi lesioni ad una spettatrice, ha espresso il principio secondo cui: “l’evento dannoso, scaturito dalla perdita di equilibrio o scivolamento del ragazzo, si era verificato per cause che non comportavano una particolare vigilanza, non rientrando tra le incombenze del personale della società quelle di seguire le modalità con le quali i ragazzi scendevano i gradini”129.

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Cass. 25 marzo 1997 n. 2606, in Archivio Civile, 1998, p. 122; Cass. 15 gennaio 1980 n. 369, in Archivio della Responsabilità civile, 1980, I, p. 632; Cass. 31 giugno 1967 n. 734, in Responsabilità civile e previdenza, 1967, p. 567. Ex plurimis, si veda, F. Rovelli, Responsabilità civile da fatto illecito, Torino, 1964, p. 273. 128 L. Corsaro, Sulla natura giuridica della responsabilità del precettore, in Rivista di Diritto Commerciale, 1967, I, p. 51. 129 App. Genova 6 ottobre 1981. 127

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La responsabilità dell’allenatore sembra invero essere giudicata in modo più rigoroso qualora sia riconducibile ad eventi lesivi cagionati dall’allievo all’avversario durante l’allenamento: le differenti finalità e connotati di quest’ultima attività rispetto quelle caratterizzanti la competizione non consentono di adottare gli stessi parametri di giudizio. La circostanza per cui l’allenamento è finalizzato a perfezionare e a migliorare la tecnica, a “studiare i colpi e le azioni” piuttosto che a prevalere sull’avversario ed è caratterizzato da una minore carica agonistica, impone all’atleta di avere un maggiore controllo delle proprie azioni e di adottare un comportamento più diligente e prudente di quello tenuto durante la gara 130. L’osservanza delle regole tecniche non è pertanto ritenuta sufficiente, dalla giurisprudenza, ad escludere la responsabilità dell’atleta per gli illeciti commessi durante l’allenamento. L’idea comunemente accolta è quella secondo la quale “l’attività sportiva nel caso di esibizione e/o allenamento richiede nel comportamento dei contendenti una maggiore prudenza e cautela per evitare non necessari pregiudizi fisici all’avversario, quindi maggiore controllo dell’ardore agonistico e della forza dei colpi e ciò a fortiori nell’ipotesi di sportivi di diversa esperienza e capacità e privi dei mezzi di protezione individuale nelle competizioni agonistiche”131. Oltremodo interessante si presenta la casistica in materia di responsabilità del maestro di sci per gli illeciti commessi dagli allievi, ricondotta all’art. 2048 c.c. sul presupposto che: “il maestro (di sci) è una persona alla quale l’allievo si affida per averne gli insegnamenti necessari all’apprendimento della tecnica di un’attività che intende svolgere, ipotesi che è appunto quella prevista da detta norma”132; dall’analisi delle decisioni emergono invero una pluralità di elementi di cui deve tenere conto il giudice nell’accertare l’adempimento dell’obbligo di vigilanza – anche con riguardo ad altri sport -. Diversa è infatti la condotta imposta (al maestro di sci [e non solo]) nel corso di una lezione individuale o collettiva, in particolare se rivolta a principianti; in quest’ultimo caso infatti deve essere particolarmente vigile ed esercitare un attento controllo su tutti i componenti del gruppo. A tal riguardo, è interessare analizzare una sentenza pronunciata da un giudice di merito sul seguente fatto. Durante una lezione collettiva a principianti, il maestro, salito sulla sommità della pista, era disceso facendo vedere agli allievi i movimenti che avrebbero dovuto fare e si era fermato ad attenderli alcuni metri

130 La funzione di perfezionamento e miglioramento della tecnica riconosciuta all’allenamento può richiedere un incontro fra atleti di diverse categorie per consentire allo sportivo di categoria inferiore di confrontarsi con soggetti più esperti e di apprendere da questi utili insegnamenti. 131 Cass. Pen., sez. IV, 25 febbraio 2000. 132 App. Firenze 29 ottobre 1996.

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più avanti. Uno sciatore scendendo sbagliava la traiettoria ed investiva un’altra componente del gruppo cagionandole gravi danni. La Corte ha riconosciuto la responsabilità del maestro ritenendo “innegabile che il fare partire degli allievi, sicuramente principianti … con quelle modalità … integri un comportamento imprudente, dal momento che notoriamente, all’inizio della pratica dello sci, è assai facile perdere l’equilibrio e comunque non è sempre facile riuscire ad indirizzarsi nella direzione voluta: per cui non è affatto imprevedibile che un allievo, nell’attuare la discesa possa andare dritto anziché procedere come richiestogli facendo delle ‘piccole curve’, venendo così ad investire quelli partiti prima di lui … il maestro avrebbe dovuto, almeno fino quando non si fosse reso conto che tutti avevano una sufficiente padronanza dei fondamentali più elementari e seguivano disciplinatamente le istruzioni, disporre che gli allievi effettuassero la discesa uno alla volta o comunque ad una tale distanza l’uno dall’altro da evitare incidenti come quelli verificatosi. Ed appunto nel non avere organizzato la lezione con tali modalità deve essere ravvisata la sua responsabilità”133. Diversa è anche la diligenza richiesta al maestro nel caso in cui svolge la lezione su pista o fuori pista, in quest’ultimo caso, è opportuno distinguere “il fuori pista” vicino agli impianti da quello lontano dagli impianti. Se quest’ultima ipotesi impone al maestro una condotta particolarmente vigile ed attenta considerato l’elevato rischio di valanghe che caratterizza la zona134, anche la lezione su pista implica l’adozione di cautele volte ad evitare il verificarsi di un danno, quali la segnalazione di eventuali insidie presenti sulla pista, eventuali tratti ghiacciati, dossi improvvisi o eventuali zone scarsamente innevate . La lezione, di qualunque sport, deve essere sempre adeguata alle capacità tecniche degli allievi. La circostanza secondo la quale la diligenza richiesta all’istruttore è diversa in base all’età degli allievi, alle loro capacità tecniche e al carattere individuale o collettivo delle lezioni, rende oltremodo vario il contenuto della prova liberatoria che deve essere fornita per vincere la presunzione di responsabilità. La responsabilità dell’allenatore può invero derivare non solo dalla mancata sorveglianza dell’allievo, ma può essere altresì riconducibile ad una erronea metodologia d’allenamento (si pensi alle conseguenze derivanti da carichi di lavoro eccessivi o dalla ripresa affrettata dell’attività sportiva dopo un infortunio, ipotesi – quest’ultima - che può comportare la responsabilità solidale dello staff sanitario oltre che della società sportiva).

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App. Firenze 29 ottobre 1996. Sul punto, vedi ad esempio, la sentenza della Cass., 5 marzo 1999 n. 1879.

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La responsabilità dell’istruttore sportivo può, invero “estendersi”, ai sensi dell’art. 2049 c.c., al sodalizio dal quale esso “dipende”. Il citato disposto normativo disponendo, con formulazione arcaica, che “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”, prevede una responsabilità oggettiva per fatto altrui, che prescinde dalla colpa del soggetto. Presupposto necessario affinché possa sorgere una simile responsabilità è l’esistenza di un rapporto di preposizione o dipendenza. La considerazione che la ratio di detta presunzione normativa sia ravvisabile “nell’appropriazione del lavoro altrui” ha portato ad estendere tale forma di responsabilità a tutti i rapporti di preposizione in cui un soggetto utilizza e dispone del lavoro altrui; se, infatti, l’ipotesi tipica è costituita dal lavoro subordinato, eseguito per conto e sotto la direzione di altri, la preposizione è ravvisabile anche in situazioni differenti in cui il preposto realizza un’opera o un servizio sotto il controllo o la sorveglianza del preponente. L’elemento imprescindibile è costituito dall’incarico conferito dal preponente al preposto con conseguente potere di controllo, vigilanza, direzione e sorveglianza dell’uno nei confronti dell’altro: simili circostanze escludono l’applicabilità della fattispecie ai rapporti di lavoro autonomo. Al riguardo, merita di essere segnalata una pronuncia della Suprema Corte135 , secondo cui: “i datori di lavoro … rispondono dei danni arrecati dai loro dipendenti … a titolo di responsabilità per fatto altrui, connessa al rischio oggettivamente assunto con l’inserimento dei lavoratori nell’organizzazione, più o meno complessa, da essi creata per lo svolgimento di determinate attività di loro pertinenza … Conseguentemente non si tratta … di responsabilità derivante dal fatto proprio di non averli adeguatamente scelti o sorvegliati nei modi dovuti e ne discende che, affinché il fatto illecito del commesso o domestico risalga al committente o padrone, a titolo di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2049 c.c. è sufficiente il presupposto della sussistenza di un rapporto di subordinazione e la presenza di un collegamento dell’illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, mentre si deve prescindere del tutto dai profili di una concreta culpa in eligendo o in vigilando del datore di lavoro”. Dall’analisi del dettato normativo si evince la necessaria presenza di un ulteriore elemento per il sorgere della fattispecie di cui all’art. 2049 c.c.: il fatto illecito deve essere realizzato dal “collaboratore” nell’esercizio delle incombenze cui è adibito (deve cioè sussistere il collegamento funzionale dell’illecito con le mansioni svolte dal dipendente). L’imprescindibilità di un simile elemento porta

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Cass. 7 gennaio 2002 n. 89.

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ad escludere la responsabilità del preponente per i danni commessi dal “collaboratore” durante lo svolgimento dell’attività privata. La circostanza secondo cui il titolare degli impianti è responsabile della sicurezza degli stessi e del benessere degli utenti, comporta che il medesimo abbia un dovere di vigilanza e di controllo sull’attività esercitata all’interno della struttura e sull’operato del personale: collaboratori, direttore tecnico, responsabile sanitario ed istruttori, con conseguente responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c. per i fatti illeciti eventualmente commessi da questi. In presenza di tutti i presupposti richiesti dalla legge, l’istruttore ed il sodalizio sportivo risponderanno dei danni subiti dall’allievo (seppure a titolo diverso, ex art. 2048 c.c. l’uno, ai sensi dell’art. 2049 c.c., l’altro) in solido fra loro, con la conseguenza che qualora l’ente provveda a risarcire il danneggiato, ha azione di rivalsa nei confronti dell’allenatore responsabile. Come evidenziato in precedenza, con riguardo alle conseguenze risarcitorie della responsabilità civile in genere, è doveroso ribadire l’importanza della stipulazione di un’adeguata copertura assicurativa per la responsabilità civile dell’allenatore e del sodalizio sportivo. Se quest’ultimo è esente da responsabilità penale, in virtù del già citato brocardo latino per cui “societas delinquere non potest”, non altrettanto può dirsi per l’allenatore che, nei casi più gravi, può incorrere anche in responsabilità penale ai sensi dell’art. 40 c.p., laddove l’omessa sorveglianza causi la commissione di un reato che l’allenatore – in virtù della sua posizione di garanzia – avrebbe dovuto impedire. 4.3 La responsabilità civile e penale del dirigente. Il sodalizio sportivo può anche incorrere in responsabilità (civile) diretta per fatto proprio, qualora l’illecito – fonte del danno – sia direttamente imputabile agli organi dell’ente, che abbiano agito come rappresentanti del medesimo, nel causare il danno; il rapporto di immedesimazione organica - sussistente fra gli organi e l’ente – consente di imputare a quest’ultimo tutti i comportamenti tenuti dagli amministratori e dal Presidente. Non può essere trascurata, invero, la responsabilità del Presidente per mancata tutela sanitaria degli atleti, qualora una simile omissione sia la causa di un evento lesivo. La circostanza per cui la normativa statale in materia di tutela sanitaria non sanzioni espressamente l’omessa sottoposizione dell’atleta alla visita di idoneità (agonistica o non agonistica), comporta che la responsabilità civile e/o penale136

136 Il riferimento normativo (oltre alle disposizioni specifiche relative al reato che è stato commesso, perlopiù sarà ravvisabile il reato di lesioni o, nei casi più gravi, di omicidio colposo) è l’art. 40 c.p., citato in precedenza.

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del Presidente possa ravvisarsi solo ove una simile mancanza sia la causa di un evento lesivo, che si sarebbe potuto evitare rispettando le regole cautelari. La richiesta del certificato medico, seppur non obbligatoria ex lege, può costituire “indice” di diligenza perché in grado di impedire il verificarsi dell’evento dannoso. La responsabilità (civile extracontrattuale) diretta dell’associazione sportiva può derivare altresì da omissioni e/o negligenze riscontrabili nella gestione di un impianto sportivo o nell’organizzazione di una competizione sportiva. Come è noto, infatti, l’organizzatore è “la persona fisica o giuridica che promuove, assumendosi le relative responsabilità, l'incontro di uno o più atleti con lo scopo di raggiungere un risultato sportivo, indipendentemente dalla presenza o meno di spettatori”137. All’organizzatore incombono alcuni doveri, la cui violazione può costituire il presupposto di responsabilità. In particolare, muovendo dalla considerazione per cui l’organizzatore è tenuto a garantire che la manifestazione si svolga in condizioni di sicurezza per tutti i partecipanti e per il pubblico laddove presente -, egli dovrà, non solo rispettare le prescrizioni in materia di pubblica sicurezza indicate dalle norme di legge e dai regolamenti federali, bensì anche accertarsi della sicurezza e idoneità dei luoghi in cui intende svolgere la competizione (al riguardo è opportuno sottolineare che è insufficiente l’omologazione); della regolarità e sicurezza degli strumenti utilizzati dagli atleti, nonché delle loro condizioni di salute. È oltremodo evidente che il mancato rispetto di uno o più di tali obblighi, qualora costituisca la causa del verificarsi di un evento lesivo, può costituire il presupposto della responsabilità del sodalizio, organizzatore di un evento sportivo. Con particolare riguardo alla (doverosa) tutela della salute degli atleti da parte dell’organizzatore di una competizione sportiva, merita di essere segnalata una sentenza della Suprema Corte 138 , chiamata a pronunciarsi sulla presunta responsabilità dell’organizzatore di una competizione sportiva per il decesso di un partecipante, cui non era stata chiesta la certificazione medica. Secondo il giudice di legittimità, “gli organizzatori di un torneo […] possono rispondere dei danni alla salute dei partecipanti se prima della partecipazione non li hanno sottoposti alle necessarie visite mediche per una attività agonistica o quantomeno chiesto idonea ed adeguata certificazione medica ai fini della partecipazione”. A prescindere dalle obiezioni che possono essere mosse alla decisione per l’identificazione, in contrasto con la circolare del Ministero della Sanità 139 ,

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Dini P., L’organizzatore e le competizioni: limiti della responsabilità, in Rivista di diritto sportivo, 1971, pag. 416 ss. Cass., sez. III, 13 luglio 2011 n. 15394. Il riferimento è alla circolare del 31 gennaio 1983 n. 7.

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dell’attività agonistica con quella competitiva 140 , merita di essere segnalata l’importanza attribuita dalla Suprema Corte alla certificazione medica, quale imprescindibile strumento di tutela della salute dei partecipanti. Come già evidenziato in precedenza, la pretesa di un simile documento, anche laddove non obbligatorio ex lege, può denotare un comportamento particolarmente diligente e prudente da parte del sodalizio (di appartenenza dell’atleta, organizzatore dell’evento o gestore dell’impianto), in linea con la necessaria predisposizione – da parte sua - di misure atte a garantire la sicurezza e l’incolumità degli atleti e del pubblico. L’organizzatore è tenuto ad adottare tutti gli strumenti utili a tutelare i partecipanti, modulati in rapporto ai rischi che la programmata manifestazione sportiva consente di prefigurare secondo un ponderato giudizio prognostico che tenga conto di tutte le circostanze del caso 141 , non potendo limitarsi alla predisposizione di quelli imposti da norme specifiche legislative o regolamentari – si pensi, tra l’altro, ai regolamenti federali -. È infatti accolta in modo pacifico l’opinione per cui l’inosservanza di regole, che, seppure non scritte, devono essere rispettate poiché funzionali ad assicurare la posizione di garanzia unanimemente riconosciuta all’organizzatore di competizioni sportive, può costituire il presupposto della cd. Colpa generica. La necessità che l’organizzatore predisponga tutte le misure funzionali alla sicurezza e all'incolumità degli atleti, tenendo in considerazione anche i comportamenti prudenti “non codificati”, è ribadita da una sentenza di merito142, dalla cui lettura si evince la distinzione, importantissima, fra il rischio consentito (riferito alla prestazione sportiva e ad essa funzionale) ed il rischio riconducibile ad altre cause, ad esempio, a carenze dell’impianto, dei quali solo il primo può essere posto a carico degli atleti. La decisione muove dalla considerazione che l'attività agonistica implica – da parte dei praticanti – l’accettazione del rischio, circoscritto al cd. rischio consentito, connesso allo sport praticato, da cui esula un'alea eccezionale, o che, comunque, non tragga giustificazione diretta dalla pratica sportiva stessa, si pensi alla situazione in cui l'incolumità del competitore sia stata messa a repentaglio dall’obsolescenza dell’impianto. Se con esclusivo riferimento al rischio consentito può accettarsi che l'eventuale effetto lesivo (es. infortunio derivante, tra l’altro, dallo scontro con un altro

140 La sentenza della Suprema Corte secondo cui: “il carattere competitivo caratterizza anche il torneo amatoriale, considerato che non può non ritenersi agonistico un torneo fondato sulla gara e sulla competizione tra i partecipanti, tale da implicare un maggiore impegno psicofisico ai fini del prevalere di una squadra sull’altra”, identificando il carattere agonistico dell’attività con l’aspetto competitivo, si discosta dalla definizione data dalla circolare del Ministero della Sanità (di cui alla nota precedente), che esclude l’identificazione dell’attività agonistica con quella competitiva. 141 Si pensi, tra l’altro, alla doverosa adozione di misure cautelari di protezione e prevenzione, quali la neutralizzazione delle fonti di pericolo, l’apposizione di segnali e cartelli indicatori delle insidie. 142 Tribunale Milano, 23 febbraio 2009, n. 2430, con nota di B. Agostinis, Brevi note in materia di responsabilità dell’organizzatore di competizioni sportive e della Federazione per gli infortuni subiti dagli atleti, in Rassegna di diritto ed economia dello sport, 2010 n. 1, p. 160-181.

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giocatore o da caduta accidentale) verificatosi in danno dell'atleta, rimanga a suo carico, non altrettanto può dirsi con riguardo all’altra ipotesi. Una simile distinzione è stata accolta peraltro anche dalla Suprema Corte 143 , secondo cui “posto che la responsabilità del sorvegliante per fatto dell'incapace presuppone che il danno venga da quest'ultimo inferto in assenza di una causa giustificativa e si risolva nella lesione di un interesse rilevante per l'ordinamento, l'organizzatore di un torneo di calcio non risponde delle lesioni riportate da un minore durante una partita a seguito di uno scontro con altro atleta minorenne, che sia collegato allo svolgimento del gioco e presenti un grado di irruenza compatibile con lo sport praticato”. In definitiva, la responsabilità dell’organizzatore per i danni riportati da un atleta presuppone che l’evento lesivo si ponga oltre il rischio consentito o sia determinato da carenze organizzative. Oltre a potersi ravvisare una responsabilità a carico dell’organizzatore che non abbia predisposto tutte le misure cautelari necessarie a tutelare in modo adeguato gli atleti, potrebbe sussistere anche una responsabilità civile per i danni riportati dagli spettatori e/o dai partecipanti. Considerato che, attraverso il pagamento del biglietto, il pubblico ottiene il diritto ad assistere incolume alla manifestazione, l’organizzatore può essere tenuto a risarcire eventuali danni subiti a titolo di responsabilità contrattuale. La gratuità dell’evento, non presupponendo alcun rapporto contrattuale, può fare scaturire una responsabilità extracontrattuale, ex art. 2043 c.c. o 2050 c.c.144, se l’attività è pericolosa. Con riguardo a quest’ultima ipotesi, in assenza di una definizione legislativa di tale fattispecie, il giudizio di pericolosità viene formulato dal giudice ex ante e in concreto. Sulla base di simili considerazioni, viene reputata pericolosa l’attività che, per sua natura (si pensi all’automobilismo) o per la natura dei mezzi adoperati, ha una potenzialità lesiva superiore al normale, per gravità e per numero elevato di illeciti. L’organizzatore può (o meno) coincidere con il gestore di impianti sportivi145 ; anche quest’ultimo, mettendo a disposizione degli utenti una struttura sportiva,

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Cass., 30 marzo 2011 n. 7247. 144 L’art. 2050 c.c. dispone che: “Chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno”. La gestione di una piscina, ad esempio, non è stata inclusa tra le attività pericolose "ex lege" ai sensi dell'art. 2050 c.c., sul presupposto che “a norma dell’art. 2050 c.c. la pericolosità deve essere tale per la natura stessa dell’attività o per i mezzi adoperati dall’agente, mentre non può parlarsi di pericolosità quando il pericolo sia insito non nell’attività svolta dall’agente, ma nel modo in cui i terzi si servono di tale attività”. Muovendo da simili considerazioni, con riferimento al caso in esame, non è stato ravvisato una situazione di pericolo in una piscina di nuoto in quanto l’utente della piscina, per sua incapacità o per imprudenza o per stato di salute, non riesce a nuotare, mentre l’esercizio della piscina è svolto nell’interesse di persone che si presume sappiano stare in acqua” (Cass. civ., sez. III, 12 maggio 2005 n. 10027). 145 Ai sensi dell’art. 2 DM 18/3/1996 –Dm 6/6/2005, è considerato impianto sportivo “l’insieme di uno o più spazi di attività sportiva dello stesso tipo o di tipo diverso che hanno in comune i relativi spazi e servizi accessori preposti allo svolgimento di attività sportive”.

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è tenuto a garantirne la sicurezza146, posto che l’impianto (comprensivo di spazi di attività sportiva; zona spettatori; eventuali spazi e servizi accessori) è il luogo destinato allo svolgimento di attività sportiva in condizioni di igiene e di sicurezza per i frequentatori,inclusi i collaboratori. Un simile dovere comporta che il gestore della struttura sia obbligato al rispetto delle norme dettate a tutela della sicurezza del lavoratore147; figura intesa in senso ampio ed estesa a tutti coloro, i quali prestano la propria opera gratuitamente (i volontari)148. Nei confronti di questi ultimi (i.e. i soggetti che prestano la propria attività spontaneamente e a titolo gratuito o con mero rimborso spese in favore delle associazioni sportive dilettantistiche)149, il “datore di lavoro” 150 è tenuto ad un obbligo informativo 151 avente ad oggetto i rischi esistenti nel contesto “lavorativo” e le misure di prevenzione e protezione adottate al fine di ridurre tali rischi. È oltremodo evidente che un simile dovere informativo non possa prescindere dall’adozione di adeguate misure finalizzate ad eliminare o, quantomeno, a ridurre i potenziali pericoli. Nel caso in cui gli enti sportivi dilettantistici si avvalgano di lavoratori dipendenti, troveranno applicazioni anche le disposizioni contenute negli artt. 26 e 28 che impongono la redazione del DUVRI (Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze) e del DVR (Documento di valutazione dei rischi). La società sportiva - che gestisce impianti ed attrezzature - è invero titolare di una posizione di garanzia, ai sensi dell’art. 40 c.p., a tutela della incolumità di coloro che utilizzano le strutture, anche a titolo gratuito, sia in forza del principio del "neminem laedere", sia nella sua qualità di custode delle stesse attrezzature (come tale civilmente responsabile, per il disposto dell’art. 2051 c.c. dei danni provocati dalla cosa, fuori dall'ipotesi del caso fortuito), sia infine, ai sensi dell’art. 2050 c.c.152 quando l'uso delle attrezzature dia luogo ad una attività da qualificarsi pericolosa.

146 Significativo è, ad esempio, l’obbligo della dotazione del defibrillatore, che, ai sensi del decreto Balduzzi, può essere delegato al gestore dell’impianto. 147 La disciplina è contenuta nel d. lgs. 81/2008 “Testo unico in materia di tutela e sicurezza nei luoghi di lavoro” (abrogativo del d. lgs. 626/1994), applicabile al mondo sportivo. 148 Il lavoratore (ex art. 2, lett. a) è “colui il quale, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione”. 149 In tale ambito sono compresi anche i percettori dei cd. compensi sportivi ex art. 67, comma 1, lett. m, TUIR ed i collaboratori amministrativo-gestionali. 150 Ai sensi dell’art. 2, lett. b., è definito datore di lavoro “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo o l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività ha la responsabilità dell’organizzazione stessa”. 151 Analogamente a quanto disposto nei confronti dei lavoratori autonomi. 152 Cass. 20 settembre 2011 n. 18798.

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In un’ottica di massima protezione della salute degli utenti, il gestore è tenuto ad assicurare anche il rispetto delle norme in materia di tutela sanitaria 153 , analizzate in precedenza. Con particolare riguardo alla natura della responsabilità in cui può incorrere il gestore è opportuno ribadire che, poichè l’utente della struttura conclude un rapporto direttamente con il gestore, quest’ultimo è contrattualmente responsabile (ex art. 1218 c.c.) per eventuali danni subiti dal praticante anche ove dipendenti dall’istruttore (ex art. 1228 c.c.). Ciò non esclude che il danneggiato possa agire anche a titolo di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’allenatore/istruttore154. Con riguardo alla responsabilità del gestore, un aspetto interessante concerne la ripartizione di compiti e responsabilità nel caso in cui l’ente pubblico proprietario affidi la gestione dell’impianto ad un sodalizio sportivo; in particolare, si discute se la privazione della gestione comporti anche l’esclusione di ogni dovere di controllo e responsabilità per il proprietario. Su quest’ultimo 155 grava invero un dovere di straordinaria manutenzione della struttura, che permane - secondo l’orientamento maggioritario – anche qualora la gestione sia affidata ad altri. Emblematica, in tal senso è la decisione di un giudice di merito156, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta risarcitoria presentata da un utente di una piscina, il quale, uscendo dall’impianto, scivolava dalla scaletta, procurandosi un’ampia ferita al tallone destro poiché i gradini erano “taglienti e non smussati”. Il tribunale meneghino ha ravvisato la responsabilità del proprietario e del gestore della struttura, ritenendo che entrambi fossero “gravati dall’obbligo di custodia con riferimento alle attrezzature presenti nel centro […] ove è avvenuto l’incidente: la qualità di custode discende dall’essere, al momento dei fatti, il soggetto gestore del centro come risulta dal contratto stipulato con il comune […]”. Peraltro la qualità di custode di tale soggetto “non ha escluso, nel caso concreto, l’obbligo di custodia esistente in capo al comune proprietario del suddetto centro, dovendo ritenersi che il Comune, con la stipula del contratto de quo, non si sia (neppure temporaneamente) spogliato del potere-dovere di vigilanza dello stato di conservazione delle proprie strutture”. Un’altra fattispecie in cui la mancanza di sicurezza dell’impianto sportivo ha comportato la responsabilità del gestore, è derivata dalla caduta di un giocatore,

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Relative a qualunque tipologia di attività sportiva: agonistica, non agonistica e di fitness. Se normalmente la responsabilità contrattuale – ex art 1218 c.c. - ed extracontrattuale – ex art. 2043 c.c. – si differenziano anche per il regime probatorio, con riguardo alla responsabilità dell’istruttore (ai sensi dell’art. 2048 c.c.) l’onere è analogo, essendo a carico del medesimo la prova contraria, ovvero la dimostrazione di “non avere potuto impedire il fatto”. 155 In merito alla responsabilità del proprietario, l’art. 2053 c.c. enuncia che: “il proprietario di un edificio o di altra costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione”. 156 Tribunale Milano 1° luglio 2004. 154

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il quale - durante una partita di calcetto – finiva contro le reti di recinzione (disancorate da terra e non ben tese), urtando contro un lampione dell'illuminazione (non adeguatamente protetto) posto a ridosso delle reti stesse, con gravi lesioni157. La posizione di garanzia (ex art. 40 c.p.) attribuita al gestore di un impianto sportivo nei confronti degli utenti è stata ribadita dalla Suprema Corte 158 , chiamata a pronunciarsi in merito alla responsabilità del gestore di un campo da calcio per la frattura omerale riportata da un giocatore di calcetto caduto contro un cordolo di cemento. In particolare, il riconoscimento di una simile posizione di garanzia, che impone al titolare di porre in atto le misure volte ad impedire il verificarsi di eventi lesivi a danno di coloro i quali praticano attività sportiva, è alla base dell’affermazione di responsabilità a carico del gestore, per l’omessa adozione di accorgimenti idonei al suddetto scopo di protezione (anche in termini di inadeguata manutenzione delle strutture e dei presidi esistenti) in presenza dei quali l’incidente non si sarebbe verificato o avrebbe determinato un pregiudizio meno grave per l'incolumità fisica dell'utente. In definitiva, “la posizione di garanzia rivestita dall'imputato, quale responsabile della società di gestione del campo da gioco, nei confronti degli utilizzatori comporta pacificamente l'obbligo di adottare tutte le necessarie cautele a tutela della incolumità degli utilizzatori, in relazione sia alla rete di recinzione del campo di gioco (posta a meno di un metro di distanza dal fondo campo) sia al cordolo in cemento sul quale risultava infissa ed alla cunetta di scolo delle acque meteoriche realizzata alla base di quest'ultimo, quali "componenti" coessenziali dello stesso impianto”. Nel caso concreto, in merito al quale è stata chiamata a pronunciarsi la Suprema Corte, sono state ravvisate “una serie di omissioni colpose, ascrivibili al gestore, sul presupposto del prevedibile rischio che i giocatori, nel corso della normale azione di gioco, potessero finire per entrare in contatto con la rete, con il cordolo o con la cunetta di scolo e della evitabilità, attraverso l'adozione delle necessarie cautele, dei pregiudizi per l'incolumità degli stessi (elementi essenziali, entrambi ai fini della configurabilità dell'addebito a titolo di colpa)”. In particolare, è stato addebitato al medesimo di non avere posto in essere “appositi interventi manutentivi, alla rete che, ove integra e ben infissa alla base, avrebbe contribuito al "respingimento" e, nel contempo, al "contenimento" del giocatore che, come accaduto nel caso de quo, lanciato in corsa verso la porta

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Tribunale Monza 16 aprile 2004 Cass. Pen., 20 settembre 2011 n. 8798.

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avversaria e nell'impossibilità di arrestarsi preventivamente, avrebbe potuto verosimilmente evitare il successivo impatto contro il cordolo di cemento sottostante … Nello stesso, colposamente omessa doveva ritenersi l'adozione di eventuali altri accorgimenti (quali appositi rivestimenti con materiale elastico) idonei ad impedire ulteriori pregiudizi derivanti agli utilizzatori del campo di gioco in caso di violento impatto con la canaletta di scolo, fiancheggiante il cordolo”. Muovendo dalle stesse considerazioni, la Suprema Corte ha ravvisato la responsabilità a carico del gestore di una piscina per violazione dell’obbligo di garanzia, in un caso per l’annegamento di una bambina159, in un altro per non avere evitato la caduta di un utente della struttura, minorenne, dal trampolino (alto 5 metri)160. Se, fortunatamente, la casistica in materia di responsabilità penale a carico del gestore di un impianto sportivo non è particolarmente “ricca”, non altrettanto può dirsi con riguardo alla responsabilità civile. Una simile responsabilità è stata riscontrata161, ad esempio, a carico del gestore di una palestra (ai sensi dell’art. 2051 c.c.) per i danni provocati ad un associato da una cyclette difettosa (a causa dello sganciamento del fermo del sellino), muovendo dalla considerazione per cui: “la responsabilità prevista dall'art. 2051 c.c. per i danni cagionati da cose in custodia presuppone la sussistenza di un rapporto di custodia della cosa e una relazione di fatto tra un soggetto e la cosa stessa, tale da consentire il potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa; detta norma non esonera il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. Resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità”. In merito al riconoscimento della responsabilità ex art. 2051 c.c., merita di essere segnalata una decisione del giudice di legittimità 162, che ha ravvisato una simile

159 Cass. 2010/27367. In particolare, a carico del gestore è stato ravvisato il reato di omicidio colposo, per avere preposto all’attività di sorveglianza un solo bagnino, nonostante le dimensione particolarmente ampie dell’impianto ed il particolare affollamento della struttura. 160 Cass., 1° dicembre 2009 n. 3348; il giudice di legittimità muoveva dalla considerazione che il gestore dell’impianto, in virtù dell’obbligo di assicurare l’integrità fisica degli utenti, posto a suo carico, avrebbe dovuto impedire ad un minore di 14 anni di salire sul trampolino di 5 metri (dal quale cadeva sul bordo della piscina, riportando gravi ferite).

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Cass., 17 gennaio 2008 n. 858.

162 Cass. 28 ottobre 1995 n. 11264, chiamata a pronunciarsi in merito alla richiesta di risarcimento avanzata da un utente di un impianto sportivo (campo da tennis), il quale si era procurato una frattura tibio tarsica.

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responsabilità a carico del gestore di un campo da tennis per mancata manutenzione dello stesso. Da ultimo, può essere ricordata anche la responsabilità del gestore di un impianto per furto di oggetti depositati all’interno dello spogliatoio163; il gestore ha invero un preciso dovere di custodia, in virtù del consenso espresso dal medesimo, da un lato, e dell’affidamento riposto dall’utente, dall’altro. 4.4. La responsabilità patrimoniale (ex art. 38 c.c.) del dirigente di un’associazione sportiva dilettantistica priva della personalità giuridica. La responsabilità patrimoniale per le obbligazioni assunte dall’associazione sportiva dilettantistica priva della personalità giuridica rappresenta una tematica oltremodo attuale a seguito dell’intensificarsi dei controlli fiscali nei confronti degli enti sportivi dilettantistici. La disciplina di tale responsabilità è contenuta nell’art. 38 c. c., il quale dispone che: “per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono fare valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”. La diversa regolamentazione rispetto alle associazioni provviste di personalità giuridica (caratterizzate da un regime di autonomia patrimoniale perfetta, che comporta la responsabilità patrimoniale esclusiva dell’ente) è riconducibile, come detto, al mancato riconoscimento e, quindi, all’assenza di controlli da parte dell’autorità governativa nella fase iniziale. Nei confronti dell’associazione non riconosciuta non viene, infatti, compiuta quella verifica della congruità del patrimonio al raggiungimento degli scopi sociali, che costituisce un momento essenziale per il perfezionarsi della procedura di riconoscimento della personalità giuridica. La necessità di offrire un’adeguata garanzia ai creditori sociali, in mancanza di controlli sulla consistenza patrimoniale, è alla base della statuizione della responsabilità solidale di “coloro i quali hanno agito in nome e per conto dell’associazione” (art. 38 c.c.). La convinzione che una simile responsabilità (di cui all’art. 38 c. c.) debba essere posta a carico di colui, il quale agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, non essendo collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa ed i terzi, ha portato, ad esempio, la Suprema Corte 164 a rigettare la pretesa contributiva avanzata dall’ENPALS nei confronti del presidente di un’associazione non

163

Cass., 19 maggio 2009 n. 11579.

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Cass., 27 dicembre 1991 n. 13946.

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riconosciuta, in virtù della carica ricoperta, per l’omesso versamento dei contributi assicurativi previdenziali relativi a rapporti di lavoro dei dipendenti, sul presupposto che anche di una simile omissione debba rispondere personalmente e solidalmente ai sensi dell'art. 38 cod. civ. la persona che ha agito in nome e per conto della associazione (stipulando i relativi contratti di lavoro in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta con i dipendenti). L’opportunità di privilegiare lo svolgimento dell’attività compiuta in nome e per conto dell’ente rispetto alla carica ricoperta, enunciata in numerose occasioni dalla Suprema Corte165 e dai giudici tributari166, è stata invero spesso disattesa dagli organi preposti alle attività di accertamento di carattere tributario167, che sembrano perlopiù propensi ad attribuire automaticamente una responsabilità (solidale) del rappresentante legale, non curanti dell’art. 38 c.c.. Una simile impostazione ha determinato l’emergere, nella prassi, di una distinzione fra responsabilità derivante dall’inadempimento di atti negoziali e responsabilità riconducibile alla violazione di obblighi ex lege (imposti soprattutto in materia fiscale). Nell’un caso, l’esigenza (funzionale alla tutela dei creditori sociali) di sopperire alla mancanza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, comporta un addebito di responsabilità al soggetto che si è impegnato con i terzi, spendendo il nome della società, indipendentemente dalla carica ricoperta dal medesimo all’interno della compagine sociale. Con riguardo ai debiti di imposta, che non sono la conseguenza di un atto negoziale volontariamente assunto, bensì derivano “ex lege” al verificarsi di un determinato presupposto, è ritenuto responsabile (in rari casi anche dai giudici tributari della Suprema Corte - che costituiscono però un’opinione minoritaria ) 168 , colui il quale ha diretto l’ente nel periodo d’imposta considerato,

165 Il principio, ribadito da ultimo dalla Cass., sez. trib., con la sentenza n. 20485 del 6 settembre 2013, è stato condiviso, ex plurimis, da Cass., 14 dicembre 2007 n. 26290; Cass. (sez. trib.), 12 marzo 2007 n. 5746; Cass., 16 gennaio 2006 n. 718; Cass., 12 gennaio 2005 n. 455; Cass., 11 maggio 2004 n. 8919; Cass., 20 luglio 1998 n. 7111; Cass., 21 maggio 1998 n. 5089; Cass., 27 dicembre 1991 n. 13946. Esplicita, in tal senso, è anche Cass. 26 febbraio 1985 n. 1657, secondo cui: “la responsabilità personale e solidale imposta dall’art. 38 c.c. a chi agisce in nome e per conto di un’associazione non riconosciuta non è istituzionalmente collegata alla mera rappresentanza dell’ente, ma all’attività per esso concretamente svolta”. Negli stessi termini anche la giurisprudenza di merito. Secondo il Trib. Ragusa, 15 maggio 1999, in Rivista di diritto dello sport., 2000, p. 674, in base al criterio “di effettività”, inteso quale completo ed effettivo svolgimento di attività negoziale indipendentemente dalla titolarità istituzionale della rappresentanza dell’ente, può essere chiamato a rispondere dei debiti dell’associazione non riconosciuta solo colui che ha agito all’esterno come rappresentante dell’ente, impegnandosi in nome e per conto di quest’ultimo.

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Si veda, tra gli altri, Comm. Trib. Prov. Forlì 3 novembre 2014 n. 555; Comm. Trib. Prov. Messina 11 giugno 2013 n. 447.

167 Significativo è il caso affrontato dalla Commissione Tributaria provinciale di Messina nella decisione dell’11 giugno 2013 n. 447. La decisione trae spunto dal ricorso presentato nei confronti dell’Agenzia delle Entrate per l’annullamento della cartella esattoriale relativa ad IVA, IRPEG e IRAP da parte del destinatario della notifica, fondata sulla presunta qualità di rappresentante legale dell’associazione. Le contestazioni mosse dal ricorrente vertono non solo su carenze procedurali relative ad anomalie della notificazione, bensì anche su irregolarità sostanziali concernenti l’individuazione del soggetto responsabile delle obbligazioni dell’associazione sportiva non riconosciuta. 168 Secondo Cass. (sez. trib.), 12 marzo 2007 n. 5746, “in tema di associazioni non riconosciute, la responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione, prevista dall'art. 38 c.c. in aggiunta a quella del fondo comune, è volta a contemperare l'assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell'ente con le esigenze di tutela dei creditori, e trascende pertanto la posizione astrattamente assunta dal soggetto

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limitatamente ai tributi non corrisposti (e alle relative sanzioni pecuniarie) sorti durante la sua “investitura”, trovando applicazione il principio dell’effettività dell’ingerenza nelle operazioni sociali169. La Suprema Corte sembra confermare la distinzione, già espressa in precedenza170, fra responsabilità derivante dall’inadempimento di atti negoziali e di obblighi imposti dalla legislazione fiscale. La convinzione che la responsabilità tributaria esuli dall’art. 38 c.c., pur rappresentando una posizione minoritaria, testimonia il contrasto interpretativo esistente in merito al contenuto della disposizione, il cui ambito di applicazione deve pertanto essere chiarito. Nonostante il tenore letterale, in particolare il riferimento alle obbligazioni “assunte”, sembri riferirsi esclusivamente alla responsabilità contrattuale, la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie estendono l’applicazione di tale disposto normativo anche alle obbligazioni extracontrattuali 171 , derivanti ex delicto172 o ex lege (significativo è, a tal riguardo, l’esempio della responsabilità per debiti di imposta). Questa tesi, propensa ad estendere la portata applicativa dell’art. 38 c.c. anche alla responsabilità derivante da inadempimento di obbligazioni di natura tributaria 173, è accolta dal giudice di legittimità 174, il quale ha chiarito che il principio per cui “la responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta ai sensi dell'art. 38 c.c., non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza formale dell'associazione,

nell'ambito della compagine sociale, ricollegandosi ad una concreta ingerenza dell'attività dell'ente: ciò non esclude, peraltro, che per i debiti d'imposta, i quali non sorgono su base negoziale, ma “ex lege” al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato, fermo restando che il richiamo all'effettività dell'ingerenza vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto investito di cariche sociali alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura”. 169 In tal senso, si veda Cass., 14 ottobre 2009 n. 126, in www.dejure.giuffre.it chiamata a pronunciarsi sul seguente caso. A seguito di verifica fiscale eseguita nei confronti di un’associazione non riconosciuta (esercente l'attività di trasmissioni televisive) emergeva la cessione (nel corso dell’anno 2004) di alcune trasmissioni televisive senza la tenuta delle scritture contabili, la registrazione delle fatture emesse e la presentazione della dichiarazione unica Iva, Irap e Ires relative all'anno di riferimento. Accertata, pertanto, la presenza di un reddito superiore a quello dichiarato, veniva emesso un avviso di accertamento nei confronti dell'associazione e delle persone ritenute colpevoli “dell’omessa istituzione delle scritture contabili, della [omessa] documentazione e registrazione di operazioni imponibili e dell’omessa presentazione della dichiarazione annuale Iva - Ires - Irap, oltre interessi”. Una di queste, sostenendo di essere cessata dalla carica di rappresentante legale dell’associazione e di non averla comunque ricoperta nel periodo in cui era sorta l’obbligazione, chiedeva che fosse ravvisata la responsabilità del successivo rappresentante legale. La tesi è stata rigettata dalla Suprema Corte, che ha confermato la sentenza (emessa dai giudici di merito) di condanna al pagamento delle somme (comprensive delle imposte non versate e delle relative sanzioni), trattandosi di omissioni, tardivi adempimenti e, più in generale, violazioni di obblighi stabiliti dalle norme fiscali, accertati nel periodo del mandato del ricorrente ed ascrivibili a sua responsabilità, a nulla rilevando la cessazione dall’incarico di rappresentante legale. 170 Cass. (sez. trib.), 12 marzo 2007 n. 5746. 171 Cass., 26 febbraio 1985 n. 1657; Cass., 22 luglio 1981 n. 4710; Cass., 9 settembre 1978 n. 4084; Cass., 18 gennaio 1978 n. 236; Cass., 1° aprile 1977 n. 1227; Cass., 11 ottobre 1973 n. 2561; Cass. 10 dicembre 1971 n. 3579; Cass., 25 ottobre 1969 n. 3502; Cass., 17 dicembre 1962 n. 3384. 172 Trib. Milano, 16 marzo 2006. 173 In merito alla responsabilità per obbligazioni tributarie bisogna considerare anche l’art. 11 del decreto legislativo 472/97, il quale sancisce la responsabilità personale del soggetto che ha commesso la violazione unitamente al reale beneficiario degli effetti della violazione tributaria. 174 Cass., 10 settembre 2009 n. 19486.

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ma si fonda sull'attività negoziale concretamente svolta e sulle obbligazioni assunte verso i terzi che hanno confidato sulla solvibilità e sul patrimonio di chi ha concretamente agito” trova applicazione anche nel caso di responsabilità tributaria per mancato adempimento dei debiti di imposta (nel caso di specie da parte di un’associazione sportiva). La decisione traeva origine dalla seguente vicenda. A seguito di una verifica compiuta nei confronti di un’associazione sportiva, veniva accertato un debito d'imposta (per parecchie migliaia di lire) derivante dall’omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’IVA e dall’emissione di una fattura per operazioni inesistenti. La Suprema Corte, accogliendo la richiesta del ricorrente, ha annullato la sentenza della commissione tributaria regionale (di condanna nei confronti dell’ex presidente dell’associazione non riconosciuta) ed ha enunciato la massima secondo cui la responsabilità patrimoniale dell’ex rappresentante legale di un’associazione sportiva (ai sensi dell’art. 38 c.c.) non può fondarsi sulle mera titolarità della rappresentanza dell’ente, derivando piuttosto da un suo coinvolgimento nell’attività dell’associazione. Il giudice di legittimità, in definitiva, enuncia l’illegittimità della prassi (diffusa ad opera degli organi deputati al compimento di accertamenti tributari) propensa ad ammettere l’automatica responsabilità del rappresentante legale del sodalizio, in virtù della carica ricoperta. È evidente che l’accoglimento di una simile impostazione presuppone la dimostrazione dell’attività concretamente svolta in nome e per conto dell’associazione 175 , a nulla rilevando la prova della carica (di rappresentante legale). L’affermazione del citato principio, del resto, si pone in linea con l’orientamento condiviso in modo pacifico nel diritto applicato, secondo cui la responsabilità enunciata dall’art. 38 c.c. non è collegata ad un debito proprio del rappresentante dell’ente, costituendo piuttosto una garanzia “ex lege” (assimilabile alla fideiussione) 176 dell’adempimento delle obbligazioni assunte dall’associazione, a tutela dei terzi, che, non conoscendo – in mancanza di un sistema di pubblicità legale - l’ammontare del patrimonio dell’ente, confidano sulla solvibilità dei soggetti con cui contrattano.

175

Nel senso della necessaria dimostrazione della concreta attività in nome e nell’interesse dell’associazione, da parte di chi invoca in giudizio la responsabilità ex art. 38 c.c., si cfr., ex multiis, Cass., 24 ottobre 2008 n. 25748; Cass., 14 dicembre 2007 n. 26290; Cass., 11 maggio 2004 n. 8919; Cass., 4 marzo 2000 n. 2471. 176 Cass., 24 ottobre 2008 n. 25748, cit.; Cass., 12 gennaio 2005 n. 455 (“la responsabilità personale e solidale di colui che agisce in nome e per conto di un'associazione non riconosciuta … non è riferibile, neppure in parte, ad un'obbligazione propria dell'associato, ma ha carattere accessorio rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione stessa, di talché detta obbligazione (di natura solidale) è legittimamente inquadrabile fra quelle di garanzia “ex lege”, assimilabili alla fideiussione”); Cass., 11 maggio 2004 n. 8919; Cass., 18 gennaio 1978 n. 236.

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La natura solidale ma non sussidiaria, pacificamente attribuita a tale responsabilità rispetto alla responsabilità primaria dell’associazione, consente, d’altra parte, ai creditori sociali di rivolgersi indifferentemente nei confronti dell’ente o (senza essere tenuti al beneficio della preventiva escussione del fondo comune) delle persone che hanno agito per suo conto e nome. Il fatto che l’obbligazione di cui all’art. 38 c.c. possa essere equiparata ad una fideiussione comporta l’onere per il creditore di agire verso il debitore principale o il garante177 entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione, ai sensi dell’art. 1957 c.c.178. Alla base di quest’ultima disposizione vi è l’esigenza di sollecitare un intervento celere del creditore, atto ad evitare che la posizione del garante sia pregiudicata da un’eccessiva inerzia della controparte179. Tale interpretazione induce a ritenere che il termine “istanza” comprenda vari mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione, esperibili al fine di conseguire il pagamento (indipendentemente dal loro esito e dalla loro idoneità a sortire il risultato sperato)180. In linea con questa impostazione, è considerato inidoneo ad evitare la decadenza prevista dall’art. 1957 c.c., un precetto non seguito da esecuzione181, un semplice atto stragiudiziale182, una denuncia o querela presentate in sede penale183, un

177 Cass., 1° luglio 1995 n. 7345, in Giur. it., 1996, I,1, c. 620, “nell'ipotesi di fideiussione cosiddetta solidale l'istanza che il creditore deve proporre contro il debitore, entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale, pena la decadenza dalla garanzia fideiussoria, può essere indifferentemente rivolta contro l'uno o contro l'altro dei due condebitori solidali e con effetti ugualmente idonei ad impedire l'estinzione della fideiussione”; Cass., 27 dicembre 1991 n. 13946, per quanto concerne poi i residui motivi di impugnazione, ed in particolare la applicabilità alla fattispecie in esame dell'art. 1957 c. c., questa Suprema Corte ha già altre volte ritenuto (S.U. 25 ottobre 1979 n. 5572, Cass. 26 febbraio 1985 n. 1655) che “la responsabilità solidale prevista dall'art. 38 cod. civ. per colui che ha agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non concerne, neppure in parte, un debito proprio dell'associato, ma ha carattere accessorio, anche se non sussidiario, rispetto alla responsabilità primaria della associazione stessa, con la conseguenza che l'obbligazione, avente natura solidale, di colui che ha agito per essa è inquadrabile fra quelle di garanzia ex lege, assimilabili alla fideiussione e che il diritto del terzo creditore è assoggettato alla decadenza di cui al cit. art. 1957 c. c. secondo i principi riguardanti la fideiussione solidale (art. 1944 c. c.), per cui non richiedesi la tempestiva escussione del debitore principale, ma, ad impedire l’estinzione della garanzia, è indispensabile che il creditore eserciti tempestivamente l'azione nei confronti, a sua scelta, del debitore principale o del fideiussore”. 178 Cass., 27 settembre 2011 n. 19736, “la liberazione del fideiussore per mancato esercizio del diritto da parte del creditore entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione (disciplinata dall'art. 1957 c.c.) opera … in modo oggettivo, a prescindere dall'atteggiamento colposo o meno del creditore e senza che assuma alcun rilievo il danno, conseguendo la invocata decadenza ipso facto al mancato, diacronico esercizio del diritto”. 179 Cass., 18 maggio 2001 n. 6823, in Foro it., 2001, I, c. 3174, “l'art. 1957 c.c., nell'imporre al creditore di proporre la sue "istanze" contro il debitore entro sei mesi dalla scadenza per l'adempimento dell'obbligazione garantita dal fideiussore, a pena di decadenza dal suo diritto verso quest'ultimo, tende a far sì che il creditore stesso prenda sollecite e serie iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del garante non resti indefinitamente sospesa”. Nello stesso senso, Cass., 14 gennaio 1997 n. 283. 180 Cass., 18 maggio 2001 n. 6823; Cass., 14 gennaio 1997 n. 283. 181 Cass., 18 maggio 2001 n. 6823, per cui “il precetto non può essere considerato “istanza” a norma dell'art. 1957 c.c., essendo atto che precede l'esecuzione, come anche formalmente risulta dall'art. 491 c.p.c. Indipendentemente, poi, dall'aspetto formale, non può negarsi che il precetto, di per sè, non assolve alla funzione di recuperare giudizialmente il credito e non corrisponde, dunque, alla ratio della norma indicata. Nè può valorizzarsi, al fine di ritenere assolto l'onere imposto dall'art. 1957 c.c., il fatto che al precetto sia seguita l'esecuzione mobiliare con esito negativo, sia pure dopo il termine di sei mesi. Appare infatti, comunque, decisiva la circostanza del mancato esperimento dell'esecuzione immobiliare. La circostanza esposta dal ricorrente che l'esecuzione immobiliare non avrebbe avuto successo, non esclude la violazione dell'art. 1957 c.c. e la conseguente decadenza, non essendo rimesso al creditore la valutazione circa il possibile esito dell'azione esecutiva”. 182 Cass., 19 dicembre 1985 n. 6498; Cass., 16 giugno 1981 n. 3901. 183 Cass., 12 dicembre 1974 n. 4241.

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ricorso per accertamento tecnico preventivo184, o, ancora, la partecipazione del creditore all’adunanza dei creditori convocata a seguito della proposta di concordato preventivo presentata dal debitore, trattandosi di attività che non costituisce domanda giudiziale e non integra l'esercizio di un mezzo di tutela processuale185. Viceversa, è ammessa l’idoneità, a tal fine, del procedimento per sequestro conservativo di beni del debitore principale anteriormente al giudizio di merito186. Le caratteristiche della responsabilità ed in particolare il legame con gli atti compiuti, ma soprattutto la funzione di garanzia per i terzi, hanno portato gli interpreti a ravvisare una simile responsabilità a carico del soggetto che ha speso il nome dell’associazione (con esclusivo riguardo alle obbligazioni per le quali si è impegnato) anche successivamente alla cessazione dalla carica187.

5 IL LAVORO SPORTIVO: BREVI CENNI La circostanza per cui gli enti sportivi dilettantistici, per poter svolgere la propria attività debbano avvalersi di collaboratori, il cui inquadramento giuridico può assumere varie connotazioni, impone alcune riflessioni, seppur sintetiche, sulle configurazioni che può assumere il “lavoro sportivo”, espressione invero spesso utilizzata in modo molto (forse troppo) ampio. In ambito sportivo, le collaborazioni possono essere di varia natura. Oltre agli ordinari rapporti di lavoro (retribuito o gratuito), possono ravvisarsi collaborazioni precipue di tale sistema, sportive e amministrativo gestionali, che presentano caratteristiche peculiari.

184

Cass., 26 aprile 1972 n. 1305. Cass., 19 dicembre 1985 n. 6498, in Il foro italiano, 1986, I, c. 685; in Giustizia civile, 1986, I, p. 1937 e in Fallimento 1986, p. 854. 186 Cass., 4 settembre 1991 n. 9364. 187 Così, ex plurimis, Cass., 24 ottobre 2008 n. 25748; Cass., 14 dicembre 2007 n. 26290; Cass., 16 gennaio 2006 n. 718, per cui “la responsabilità, di cui all'art. 38 c.c., delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, non grava su tutti coloro che, essendo successivamente a capo di questa, ne assumano la rappresentanza, ma riguarda esclusivamente le persone suddette, a tutela dei terzi che con esse siano venute in rapporto negoziale, facendo affidamento sulla loro solvibilità e sul loro patrimonio personale, sicché il semplice avvicendarsi nelle cariche sociali del sodalizio non comporta alcun fenomeno di successione nel debito”. Idem, Cass., 12 gennaio 2005 n. 455. Anche secondo la dottrina (C.M. Bianca, Le norme e i soggetti. Diritto civile I, Milano, 1996, p. 349) “la responsabilità continua a sussistere anche dopo la cessazione della carica sociale rivestita al momento dell’assunzione dell’obbligazione con il terzo, solo relativamente agli atti compiuti durante il proprio mandato. In particolare, tale responsabilità continuerebbe ad esistere sia qualora il soggetto non faccia parte dell’associazione sia qualora questa abbia acquisito la personalità giuridica”. 185

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È pacificamente condivisa l’idea che lo sport si fondi sul volontariato. Nonostante sembri una contraddizione, infatti, chiunque può prestare la propria opera gratuitamente (affectionis vel benevolentiae causae)188, non ravvisandosi alcuna norma giuridica che imponga la corrispettività delle prestazioni, ovvero che l’attività professionale sia resa in cambio di retribuzione. Per evitare che il collaboratore (a titolo gratuito) instauri una controversia, volta ad accertare che il rapporto esistente (di volontariato) simuli, nella realtà, un rapporto di lavoro, è opportuno formalizzare (attraverso la redazione di un documento scritto) la natura gratuita della prestazione. Oltremodo diffuse – oltre al volontariato – sono altresì le cd. “collaborazioni sportive”; la mancanza di un intervento normativo, in grado di chiarire la natura giuridica di simili fattispecie, da un lato, e l’esclusiva regolamentazione delle medesime con riguardo agli aspetti tributari e fiscali189, ha reso la qualificazione giuridica di tali figure particolarmente discussa tra gli interpreti. Ai sensi dell’art. 67, comma 1 lett. m, del TUIR sono considerati “redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente: m) le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati […] nell'esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI,

dalle

Federazioni

sportive

nazionali,

dall'Unione

Nazionale

per

l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto. Tale disposizione si applica anche ai

rapporti

di

collaborazione

coordinata

e

continuativa

di

carattere

188 In tal senso, si veda l’art. 2 della legge 11 agosto 1991 n. 266, che “legittima” le prestazioni del volontario. Ai sensi di tale disposizione normativa, “per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, gratuito e spontaneo, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà. L’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse”. 189 Cass. Pen., 18 luglio 2014 n. 31840. Probabilmente la necessità di chiarire quale fosse il trattamento fiscale da attribuire alle somme erogate durante lo svolgimento di attività sportiva si è rivelata più impellente della definizione della natura giuridica delle medesime.

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amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”190. Nonostante l’Inps e l’Inail191, con propri provvedimenti, abbiano specificato che i cd. compensi sportivi, in quanto inquadrati tra i redditi diversi, siano esonerati dal versamento dei contributi previdenziali ed assicurativi, non è tuttora chiara l’esatta natura giuridica di dette somme. La mancata tutela previdenziale ed assicurativa192 sembra invero far propendere per l’assenza di un rapporto di lavoro, seppure “precipuo” del sistema sportivo, considerato il contrasto con l’art. 38 Cost.193. Con riguardo al dettato normativo di cui all’art. 67, comma 1 lett. m, TUIR, è opportuno chiarire l’aspetto, relativo ai soggetti che possono erogare tali somme, da un lato, e ai percettori, dall’altro. Se i soggetti legittimati ad elargire i cd. compensi sportivi sembrano essere identificati chiaramente dal legislatore (trattandosi del CONI, Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate, Enti di promozione sportiva, associazioni e società sportive dilettantistiche iscritte al Registro CONI), non altrettanto può dirsi con riguardo all’altro aspetto. L’affermazione per cui le agevolazioni citate riguardano somme erogate “nello svolgimento diretto di attività sportiva dilettantistiche” ha richiesto numerosi chiarimenti. Dall’analisi di provvedimenti emanati dall’Agenzia dell’Entrate194 si evince che: “sono da considerare corrisposti nell’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica, i compensi erogati agli atleti dilettanti, agli allenatori, ai giudici di gara, ai commissari speciali che durante le gare e le manifestazioni, aventi natura dilettantistica, devono visionare o giudicare l’operato degli arbitri” e, più

190 Ai sensi dell’art. 69, comma 2, TUIR, le citate somme non concorrono a formare il reddito per un importo non superiore (complessivamente) ad euro 7.500 nel periodo di imposta considerato. 191 Il riferimento è, rispettivamente, alla circolare INPS del 7 febbraio 2001 n. 32 e alla circolare INAIL del 26 febbraio 2003 n. 42. 192 L’assenza di alcuna tutela è, del resto, confermata dal Ministro del lavoro (nell’ambito della circolare del 21 febbraio 2014), il quale intende “farsi promotore, d’intesa con l’INPS, di iniziative di carattere normativo volte ad una graduale introduzione di forme di tutela previdenziale a favore di soggetti, che nell’ambito di società e associazioni sportive dilettantistiche riconosciute dal CONI, svolgono attività sportiva dilettantistica nonché attività amministrativa gestionale non professionale ex art. 67, 1° comma, lett. m, TUIR”. 193 In particolare, si cfr. l’art. 38, comma 2, Cost. “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi, adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. 194 Il riferimento è alle risoluzioni n. 34/E del 26 marzo 2001 e n. 39 del 3 aprile 2001.

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in generale, “a tutti quei soggetti, le cui prestazioni sono funzionali alla manifestazione sportiva dilettantistica, determinandone, in sostanza, la concreta realizzazione, ivi compresi coloro che, nell’ambito e per effetto delle funzioni di rappresentanza dell’associazione, di norma presenziano all’evento sportivo”. Sul punto, è intervento anche il legislatore 195 , fornendo un’interpretazione autentica dell’espressione “esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica”, secondo cui tale locuzione è estesa “alla formazione, alla didattica, alla preparazione e all’assistenza sportiva dilettantistica”, e pertanto all’operato degli istruttori sportivi nello svolgimento di attività didattica e di preparazione alla pratica agonistica196. In definitiva, l’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica sembra caratterizzare

le

seguenti

figure:

atleti,

allenatori

e

tecnici,

dirigenti

accompagnatori, giudici di gara, commissari e istruttori sportivi. A tali collaboratori sportivi devono essere aggiunti, per espressa previsione normativa, i cd. collaboratori amministrativo gestionali, titolari di un particolare rapporto di collaborazione coordinata e continuativa nei confronti di un sodalizio sportivo. Entrambe le categorie di collaboratori possono percepire i cd. compensi sportivi purchè non operino nell’esercizio di una professione. È pertanto necessario escludere, ai fini della legittimità della percezione del compenso l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato e, più in generale, la natura professionale dell’opera svolta dai collaboratori sportivi e dai collaboratori amministrativo-gestionali (in cui rientrano perlopiù le attività tipiche di segreteria) nei confronti di un sodalizio sportivo dilettantistico. Con riguardo questi ultimi, l’Agenzia delle Entrate197 ha precisato che un ulteriore requisito affinchè possano godere dei benefici fiscali è il carattere continuativo della prestazione resa.

195

Art. 35 della l. 14/2009. 196 Una simile interpretazione è stata “avallata” dall’ADE con propria risoluzione 38/E, in cui si legge che l’art. 35, comma 5, del dl. 207/2008 “ha ampliato il novero delle prestazioni riconducibili nell’ambito dell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche nonché dei destinatari del regime di favore sopra richiamato, eliminando, di fatto, il requisito del collegamento fra l’attività resa dal percipiente e l’effettuazione della manifestazione sportiva”. 197 Circolare 21/E del 22 aprile 2003

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Come già premesso, anche gli istruttori possono percepire i compensi sportivi solo laddove non operino nell’esercizio di una professione, svolto in regime di rapporto autonomo o subordinato. Con riguardo a quest’ultima fattispecie, sono stati evidenziati alcuni indici198 di qualificazione del rapporto come subordinato199, si pensi al vincolo di orario o di presenza imposto al collaboratore, nonché alla predeterminazione delle attività che il medesimo deve svolgere (tipologia dei corsi, orario e modalità cui deve attenersi) e del compenso. Un simile rapporto di subordinazione può essere escluso dalle parti mediante accordo scritto200, che può essere “riqualificato” solo attraverso la prova dello svolgimento in concreto di un rapporto di subordinazione. La qualificazione della subordinazione può essere esclusa anche ove l’istruttore operi come “lavoratore” autonomo201, nell’esercizio della professione. In assenza di un’espressa definizione legislativa, una simile locuzione è stata foriera di numerosi dubbi e orientamenti contrastanti anche da parte degli accertatori in sede di verifica fiscale. Un presupposto spesso utilizzato202 per verificare l’esistenza dell’esercizio di una professione è il possesso di particolari qualifiche professionali (da parte del tecnico) 203 , unitamente alla percezione di compensi “significativi, nonché al carattere dell’abitualità (ovvero deve trattarsi di attività caratterizzata da ripetitività,

regolarità,

stabilità

e

sistematicità

di

comportamenti)

204

,

indipendentemente dal fatto che il collaboratore svolga un’attività abituale

198

Vedi, tra l’altro la circolare del Ministero del Lavoro 14 novembre 1996 n. 218 L’art. 2094 c.c. definisce lavoratore subordinato “chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. 200 Al fine di comprendere la qualificazione giuridica del rapporto, non può essere trascurata la volontà delle parti (indipendentemente dalla denominazione attribuita al rapporto). 201 Al riguardo, v. circolare INPS n. 108/2000 ove sono indicati alcuni indici di autonomia del rapporto (si pensi alla mancata predeterminazione dell’orario e del compenso – quest’ultimo, stabilito in rapporto alle singole prestazioni; nonché delle modalità di svolgimento delle prestazioni). 202 In tal senso si è pronunciato anche l’Enpals con la circolare n. 13/06, secondo cui sussistono i presupposti per la nozione di reddito professionale qualora lo svolgimento dell’attività implichi il possesso di specifiche conoscenze tecniche connesse all’attività svolta. 203 Al riguardo, la nota circolare (emanata in data 1° dicembre 2016, prot. 1/2016) dell’Ispettorato del lavoro ha chiarito che “la qualifica acquisita, attraverso specifici corsi di formazione tenuti dalle Federazioni, dai soggetti che svolgono le mansioni di istruttore, allenatore, addetto al salvamento ecc.) non rappresenta in alcun modo un requisito, da solo sufficiente, per ricondurre tali compensi tra i redditi di lavoro autonomo, non essendo tale qualifica requisito di professionalità, ma unicamente requisito richiesto dalla federazione di appartenenza per garantire un corretto insegnamento della pratica sportiva”. 204 Id. nota 202. 199

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presso un unico sodalizio sportivo dilettantistico (mono committenza) o presso più committenti205. Qualora la collaborazione costituisca, in realtà, un rapporto di lavoro, devono essere garantite al lavoratore tutte le tutele che, per il nostro ordinamento, sono inderogabili. Si pensi, tra l’altro, alla tutela previdenziale, che impone l’assicurazione obbligatoria all’INPS (ex Enpals) di alcune figure: gli addetti all’impianti e circoli sportivi, gli istruttori, i direttori tecnici, i massaggiatori, i dipendenti degli enti sportivi, purchè sia ravvisabile un rapporto di lavoro206 nei confronti del sodalizio, anziché un esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica. La specificità dei rapporti “di lavoro” in ambito sportivo è peraltro ribadita dal decreto legislativo n. 81 del 25 giugno 2015 (Testo unico dei contratti di lavoro, attuativo del Jobs act), il quale, dopo avere esposto un principio generale secondo cui “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”207, chiarisce che una simile disciplina non si applica alle collaborazioni rese in ambito sportivo, in particolare “alle collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline sportive associate e agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, come individuati e disciplinati dall’articolo 90 legge 289/02”208. Se, in virtù della precisazione contenuta nel citato disposto normativo, le collaborazioni rese in ambito sportivo non sono trasformate ex lege in rapporti di lavoro subordinato, una simile qualificazione giuridica possa essere può essere attribuita

in

sede

di

giudizio,

qualora

nel

corso

di

un

controllo

amministrativo/fiscale, ad esempio, siano emersi alcuni indici di subordinazione (ai sensi dell’art. 2094 c.c.).

205 Anche la giurisprudenza di merito (Trib. Roma, 11 luglio 2013) prende in considerazione, ai fini dell’accertamento della natura subordinata o professionale dell’attività gli indici “dell’abitualità, ripetitività, il possesso di conoscenza tecniche e la non irrisorietà o marginalità delle somme percepite”. 206 Ai sensi della circolare n. 7/2006 dell’Enpals, l’obbligatorietà dell’iscrizione per gli istruttori e gli addetti agli impianti e

circoli sportivi prescinde dalla natura subordinata o autonoma del rapporto di lavoro 207 Art. 1 del D. lgs. n. 81/2015. 208 Art. 2, comma 2 lett. d, del d. lgs. n. 81/2015.

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Appendice normativa. •

Art. 90, commi 17-18 legge 289/02

17. Le società e associazioni sportive dilettantistiche devono indicare nella denominazione sociale la finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica e possono assumere una delle seguenti forme: a) associazione sportiva priva di personalità giuridica disciplinata dagli articoli 36 e seguenti del codice civile; b) associazione sportiva con personalità giuridica di diritto privato ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 febbraio 2000, n. 361; c) società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro. 18. Le società e le associazioni sportive dilettantistiche si costituiscono con atto scritto nel quale deve tra l'altro essere indicata la sede legale. Nello statuto devono essere espressamente previsti: a) la denominazione; b) l'oggetto sociale con riferimento all'organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l'attività didattica; c) l' attribuzione della rappresentanza legale dell'associazione; d) l'assenza di finì di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli, associati, anche in forme indirette; e) le norme sull'ordinamento interno ispirato a principi di democrazia e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell'elettività delle cariche sociali, fatte salve le società sportive dilettantistiche che assumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si applicano le disposizioni del codice civile; f) l'obbligo di redazione di rendiconti economico-finanziari, nonché le modalità di approvazione degli stessi da parte degli organi statutari; g) le modalità di scioglimento dell'associazione; h) l'obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso dì scioglimento delle società e delle associazioni. 18-bis. È fatto divieto agli amministratori delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche di ricoprire la medesima carica in altre società o associazioni sportive dilettantistiche nell'ambito della medesima federazione sportiva o disciplina associata se riconosciute dal CONI, ovvero nell'ambito della medesima disciplina facente capo ad un ente di promozione sportiva. 18-ter. Le società e le associazioni sportive dilettantistiche che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono in possesso dei requisiti di cui al comma 18, possono provvedere all'integrazione della denominazione sociale di cui al comma 17 attraverso verbale della determinazione assunta in tale senso dall'assemblea dei soci.

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Art.148 TUIR (D.P.R., 22/12/1986 n° 917)

1. Non e' considerata commerciale l'attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo. 2. Si considerano tuttavia effettuate nell'esercizio di attività' commerciali, salvo il disposto del secondo periodo del comma 1 dell'articolo 143, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto. Detti corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo come componenti del reddito di impresa o come redditi diversi secondo che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità. 3. Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attività' svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonchè le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati. 4. La disposizione del comma 3 non si applica per le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, per le somministrazioni di pasti, per le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore, per le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito e per le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali ne' per le prestazioni effettuate nell'esercizio delle seguenti attività: a) gestione di spacci aziendali e di mense; b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; d) pubblicità commerciale; e) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari. 5. Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici,

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sempre che le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3. 6. L'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici di cui al comma 5 non e' considerata commerciale anche se effettuata da associazioni politiche, sindacali e di categoria, nonchè da associazioni riconosciute dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, sempre che sia effettuata nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3. 7. Per le organizzazioni sindacali e di categoria non si considerano effettuate nell'esercizio di attività commerciali le cessioni delle pubblicazioni, anche in deroga al limite di cui al comma 3, riguardanti i contratti collettivi di lavoro, nonche' l'assistenza prestata prevalentemente agli iscritti, associati o partecipanti in materia di applicazione degli stessi contratti e di legislazione sul lavoro, effettuate verso pagamento di corrispettivi che in entrambi i casi non eccedano i costi di diretta imputazione. 8. Le disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata: a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonche' fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge; b) obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo di cui all'articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge; c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione; d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie; e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all'articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; e' ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1° gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell'articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e

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sempre che le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale; f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa. 9. Le disposizioni di cui alle lettere c) ed e) del comma 8 non si applicano alle associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonche' alle associazioni politiche, sindacali e di categoria.

Legge regionale 2 aprile 2012, n. 5 Disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero

CAPO I Disposizioni generali Art. 1 (Finalità) 1. La Regione, promuove lo sport e le attività motorio-ricreative in genere quale strumento fondamentale per la formazione e la salute della persona, per il miglioramento degli stili di vita individuali e collettivi nonché per lo sviluppo delle relazioni sociali e dell'integrazione interculturale. 2. Per le finalità di cui al comma 1, la Regione in particolare favorisce e promuove: a) la diffusione della pratica sportiva, il diritto al gioco e allo sport di cittadinanza; b) la divulgazione dei valori dello sport e della cultura olimpica, al fine di sostenere l'integrazione sociale e interculturale, il miglioramento della qualità della vita, la salute individuale e collettiva, la prevenzione delle patologie; c) l'attività sportiva per i diversamente abili, quale strumento per il miglioramento del benessere, il recupero e la crescita culturale, fisica ed educativa; d) la valorizzazione di proposte tese a diffondere la cultura del movimento a tutte le età, tenuto conto della necessità di prevenire le malattie croniche legate a stili di vita scorretti e non salutari; e) la realizzazione, la riqualificazione e la gestione degli impianti e delle attrezzature sportive, nonché delle aree e degli spazi destinati allo sport e all'attività motoria ricreativa, al fine di garantire la massima fruibilità di ambienti sicuri e idonei incentivando le strategie d'intervento volte a minimizzare l'impatto ambientale e a implementare il livello di sicurezza; f) lo sviluppo e la diffusione dell'associazionismo sportivo e del tempo libero senza fine di lucro, nonché delle iniziative sportive con valenza anche turistica e culturale; g) la formazione degli operatori sportivi, per lo sviluppo e la qualificazione dell'offerta; h) l'alfabetizzazione motoria nella scuola primaria e la diffusione dell'attività dei centri di avviamento allo sport, al fine di consentire un efficace avvio della pratica sportiva nei giovani; i) lo svolgimento di manifestazioni e competizioni sportive;

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l) la tutela sanitaria dell'attività sportiva e la lotta contro il doping; m) la raccolta, l'aggiornamento, il monitoraggio e l'analisi dei dati e delle notizie riferiti allo sport; n) i rapporti di collaborazione con le società sportive, gli enti di promozione sportiva, il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), il Comitato italiano paralimpico (CIP), le Federazioni sportive, gli organi scolastici e ogni altro organismo e istituzione che svolge attività sportiva e motorio-ricreativa; o) l'organizzazione diretta e indiretta di iniziative e manifestazioni sportive in ambito regionale rivolte alla generalità degli utenti. 3. Ai fini della presente legge per sport s’intende qualunque forma di attività fisica e motoria esercitata in forma individuale o collettiva in particolare finalizzata al miglioramento delle condizioni psicofisiche e alla leale competitività. Art. 2 (Funzioni della Regione) 1. La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento nelle materie di cui alla presente legge e in particolare quelle relative: a) alla programmazione delle sedi degli impianti e degli spazi destinati alla pratica sportiva, al fine di favorirne l'equilibrata distribuzione sul territorio regionale; b) al miglioramento e alla qualificazione degli impianti esistenti, con particolare attenzione agli impianti polivalenti, alla manutenzione e all'adeguamento tecnologico; c) all'incentivazione dell'accesso al credito per gli impianti e le attrezzature sportive da parte dei soggetti operanti nel settore, anche attraverso convenzioni con gli istituti di credito; d) alla promozione e all'avviamento alla pratica sportiva dei giovani, anche contrastandone l'abbandono precoce; e) alla promozione e all'avviamento alla pratica sportiva dei soggetti anziani e svantaggiati; f) alla realizzazione e al sostegno di manifestazioni e iniziative di particolare rilevanza regionale, nazionale e internazionale che interessino in tutto o in parte il territorio regionale, ivi compresi convegni, corsi, seminari e pubblicazioni, nonché aventi la finalità di tutelare e valorizzare il patrimonio storico-culturale delle società sportive e le discipline della tradizione locale o volte ad assicurare la formazione,l'aggiornamento e la qualificazione tecnica degli operatori sportivi per una migliore qualità dell'offerta dei servizi e delle attività sportive; g) alla promozione di interventi diretti a diffondere l'attività motoria e sportiva come mezzo efficace di prevenzione, mantenimento e recupero della salute psicofisica, nonché a prevenire il fenomeno del doping; h) all'organizzazione e al coordinamento di attività di monitoraggio, studio, ricerca e costituzione di banche dati. Art. 3 (Funzioni degli Enti locali) 1. Le Province concorrono alla programmazione regionale nelle materie di cui alla presente legge, nell'ambito

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delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla normativa regionale vigente. 2. I Comuni, singoli o associati, nel rispetto delle norme regionali, statali ed europee, nonché degli obiettivi, indirizzi e criteri determinati dalla programmazione regionale, esercitano in particolare le seguenti funzioni: a) svolgimento di attività promozionali concernenti la pratica sportiva; b) elaborazione dei progetti riguardanti l'impiantistica sportiva, privilegiando la riqualificazione, l'adeguamento e la messa a norma del patrimonio sportivo esistente; c) completamento, manutenzione straordinaria, messa in sicurezza e superamento delle barriere architettoniche, nonché realizzazione degli impianti sportivi e degli spazi sportivi; d) promozione dello sport per i diversamente abili e dello sport per tutti; e) realizzazione di progetti per l'attività motoria nelle scuole, a partire dalle scuole primarie; f) gestione degli impianti sportivi pubblici, secondo quanto previsto dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), e dal Capo VII della presente legge; g) utilizzo degli impianti sportivi scolastici da parte di soggetti sportivi in orario extrascolastico; h) realizzazione e sostegno di manifestazioni e iniziative legate al mondo dello sport, compresi convegni, seminari, corsi e pubblicazioni; i) ricognizione e censimento degli spazi e degli impianti sportivi e relativo aggiornamento. CAPO II Strumenti operativi e di programmazione Art. 4 (Comitato regionale dello sport e del tempo libero) 1. Presso la struttura organizzativa competente della Giunta regionale è istituito il Comitato regionale dello sport e del tempo libero, con compiti consultivi e propositivi nelle materie di cui alla presente legge. 2. Il Comitato, in particolare: a) propone iniziative a favore della promozione e dello sviluppo delle attività sportive; b) formula proposte ed esprime parere sul piano e sul programma di cui agli articoli 6 e 7; c) esprime suggerimenti e valutazioni sullo stato di attuazione della presente legge e concorre a verificarne la realizzazione in termini di risultati e di effetti prodotti. 3. Il Comitato è composto da: a) l'assessore regionale competente in materia di sport, che lo presiede o suo delegato; b) il dirigente della struttura organizzativa regionale competente in materia di sport o suo delegato; c) il direttore dell'Agenzia regionale sanitaria (ARS) o suo delegato; d) un rappresentante del Comitato regionale del CONI; e) un rappresentante per ciascuno dei Comitati provinciali del CONI;

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f) tre rappresentanti del Comitato regionale del CIP; g) un rappresentante delle Province, designato dall'Unione regionale delle Province marchigiane (UPI Marche); h) tre rappresentanti dei Comuni, designati dall'Associazione regionale dei Comuni marchigiani (ANCI Marche); i) un rappresentante dell'Ufficio scolastico regionale; l) un rappresentante designato congiuntamente dagli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI; m) un esperto di impiantistica sportiva, designato dalla Giunta regionale; n) un rappresentante del Comitato regionale della Federazione medico sportiva italiana (FMSI); o) un rappresentante regionale dell'Istituto per il credito sportivo (ICS); p) un rappresentante della Federazione regionale dei Laureati in Scienze Motorie e diplomati ISEF (FEREDI) delle Marche; q) un rappresentante della Facoltà di Scienze motorie avente sede nella regione; r) un rappresentante indicato dalle associazioni dei consumatori ed utenti iscritte al registro regionale di cui all'articolo 4 della legge regionale 23 giugno 2009, n. 14 (Norme in materia di tutela dei consumatori e degli utenti). 4. Il Comitato è nominato con decreto del Presidente della Giunta regionale e dura in carica tre anni. Le designazioni devono pervenire entro quarantacinque giorni dalla richiesta e il Comitato può essere costituito qualora le designazioni pervenute nel termine permettano la nomina di almeno la metà più uno dei componenti, salve le successive integrazioni. 5. Il Comitato approva il proprio regolamento interno nel quale può essere prevista la costituzione di un consiglio direttivo, composto da non più di cinque membri. 6. In caso di assenza o impedimento del presidente, il Comitato è presieduto dal dirigente indicato al comma 3, lettera b). 7. Il presidente può autorizzare tecnici ed esperti di settore a partecipare alle riunioni del Comitato. 8. La partecipazione ai lavori del Comitato non dà diritto alla percezione di alcun compenso. 9. Salvo quanto diversamente disposto dal regolamento interno, il Comitato delibera validamente con la maggioranza dei presenti. Art. 5 (Conferenza regionale sullo sport e il tempo libero) 1. La Giunta regionale, con il supporto del Comitato di cui all'articolo 4, indice ogni quinquennio la Conferenza regionale sullo sport e il tempo libero, al fine di verificare lo stato delle attività nel territorio e l'attuazione della normativa regionale, nonché di formulare proposte e iniziative per la predisposizione dei piani e dei programmi di cui alla presente legge. Art. 6 (Piano regionale per la promozione della pratica sportiva e dello sport di cittadinanza) 1. All’inizio di ogni legislatura la Giunta regionale, in coerenza con le finalità indicate nell’articolo 1 e previo parere del Comitato di cui all’articolo 4, presenta per l’approvazione all’Assemblea legislativa regionale il Piano regionale per la promozione della pratica sportiva e delle attività motorio-ricreative.

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2. Il Piano ha una durata pari a quella della legislatura regionale, può essere aggiornato prima della scadenza e resta in vigore fino all'approvazione del successivo. 3. Il Piano, nel rispetto della salvaguardia della qualità e dell'equilibrio territoriale, individua in particolare: a) le strategie generali di intervento e gli obiettivi da realizzare nel periodo di riferimento; b) il fabbisogno di impianti e di infrastrutture sportive, rapportato alla densità demografica e all'attività sportiva svolta sul territorio; c) gli interventi prioritari nel settore dell'impiantistica e delle relative attrezzature; d) le finalità generali degli interventi regionali nel settore delle attività sportive, motorie e ricreative e le priorità tra le diverse iniziative, con particolare riferimento ai progetti relativi alla valorizzazione delle attività motorie nelle scuole; e) le linee di formazione e di aggiornamento dei dirigenti, dei tecnici, degli operatori sportivi, degli amministratori delle società e delle associazioni sportive, nonché degli animatori sportivi, nel rispetto della normativa statale vigente in materia; f) i limiti, i criteri e le modalità per il rilascio gratuito del passaporto ematochimico di cui all'articolo 4 bis della legge regionale 12 agosto 1994 n. 33 (Medicina dello sport e tutela sanitaria delle attività sportive), come inserito dal comma 1 dell'articolo 28 della presente legge, tenendo conto del reddito familiare; g) le modalità operative con cui gli enti locali, il CONI, i soggetti dell'associazionismo e gli operatori dello sport in genere interagiscono all'interno del sistema sport delle Marche, secondo il principio di sussidiarietà. Art. 7 (Programma annuale degli interventi di promozione sportiva) 1. In attuazione del Piano di cui all'articolo 6, la Giunta regionale, previo parere del Comitato di cui all'articolo 4, approva, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria della Regione, il Programma annuale degli interventi di promozione sportiva. 2. Il Programma individua in particolare: a) le iniziative promosse dalla Regione, dal CONI e dal CIP in materia di promozione sportiva; b) le manifestazioni sportive di rilevante interesse promozionale, turistico, culturale e ambientale che si svolgono nel territorio regionale; c) la quota dei contributi per progetti, attività e manifestazioni che si svolgeranno nella Regione, nonché per progetti, studi e ricerche proposti dall'associazionismo sportivo, dagli enti locali, dal CONI, dal CIP e da enti di promozione sportiva; d) i criteri e le modalità per il riparto dei fondi di cui all'articolo 14; e) i criteri e le modalità per l'applicazione del vincolo di destinazione d'uso sulle aree, gli impianti e le attrezzature che usufruiscono di contributi regionali; f) le modalità, i criteri e le priorità per la concessione dei contributi previsti dalla presente legge;

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g) la quota del fondo da destinare al finanziamento degli interventi indicati al Capo III, nonchè la quota del fondo da destinare agli interventi di cui al Capo IV e alla lettera b) del comma 2 dell' articolo 14. 3. Il programma, inoltre, promuove iniziative volte a sostenere associazioni sportive che effettuano accertamenti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa vigente per lo svolgimento della praticasportiva. In particolare è incentivato il monitoraggio sistematico e continuativo dei valori ematici degli atleti non indicati al comma 3 dell’articolo 4 bis della l.r. 33/94, introdotto dall’articolo 28 della presente legge. Art. 8 (Convenzioni) 1. La Regione può stipulare con il CONI, il CIP, gli enti locali e le associazioni sportive apposite convenzioni dirette a promuovere un efficace coordinamento delle rispettive iniziative sul territorio regionale. 2. Le convenzioni di cui al comma 1 possono riguardare anche attività di collaborazione volte alla realizzazione di specifici progetti. 3. La Regione favorisce la stipula di apposite convenzioni fra gli enti locali e le Università per consentire la fruizione degli impianti sportivi di proprietà o comunque in uso alle Università stesse da parte della comunità locale e in particolare da parte delle associazioni sportive. 4. La Regione promuove la stipula di convenzioni con associazioni o federazioni dei donatori di sangue per l’esecuzione degli accertamenti sanitari necessari al rilascio delle certificazioni di cui al comma 3 dell’articolo 7 e del passaporto ematochimico. 5. La Regione può avvalersi del CONI Marche come consulente tecnico per i pareri sugli impianti sportivi e per l’attività di monitoraggio di cui al comma 1 dell’articolo 9. 6. La Regione può partecipare alla Scuola regionale dello sport del CONI, per l’organizzazione di corsi, convegni, studi e ricerche al fine di favorire la formazione, la qualificazione e l’aggiornamento dei tecnici e degli operatori sportivi, degli amministratori e funzionari degli enti pubblici, dei dirigenti delle società e associazioni sportive. 7. Gli Enti locali possono stipulare convenzioni con le istituzioni scolastiche per consentire l’utilizzo in orario extrascolastico degli impianti sportivi scolastici da parte delle comunità locali e delle associazioni sportive. Art. 9 (Attività informativa e monitoraggio) 1. La Giunta regionale, in collaborazione con gli enti locali, il CONI, il CIP, le Federazioni sportive, gli enti di promozione sportiva e gli altri soggetti pubblici e privati interessati, provvede alla raccolta, all’aggiornamento e all’analisi dei dati relativi allo sport marchigiano, ai fini di un efficace monitoraggio di impianti, attrezzature, attività e utenze, società e associazioni sportive, nonchè delle certificazioni delle idoneità sanitarie-sportive. 2. I soggetti pubblici e privati beneficiari dei contributi di cui alla presente legge che non ottemperano all’invio dei dati loro richiesti sono esclusi dai finanziamenti regionali. CAPO III Sport di cittadinanza Art. 10 (Definizioni)

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1. Ai fini della presente legge si intende per sport di cittadinanza qualsiasi forma di attività motoria con finalità ludico-ricreative svolta in favore delle persone di tutte le età, senza discriminazioni o esclusioni, che ha come obiettivo, oltre al miglioramento degli stili di vita e delle condizioni fisiche e psichiche, lo sviluppo della vita di relazione per favorire l’integrazione sociale degli individui. 2. Non rientrano tra le attività di cui al comma 1 quelle svolte in ambito professionistico esemiprofessionistico. Art. 11 (Contributi per la diffusione dello sport di cittadinanza) 1. Al fine di favorire lo sviluppo dello sport di cittadinanza, la Regione concede contributi per: a) garantire l’integrazione delle politiche di cui al presente Capo con quelle sociali, turistiche e culturali,promuovendo interventi per il miglioramento dei servizi per la mobilità e il tempo libero; b) promuovere l’attività degli enti di promozione sportiva, delle associazioni sportive e di promozione sociale che operano nell’ambito delle finalità di cui all’ articolo 10; c) promuovere l’attività di soggetti pubblici e privati che svolgono attività motorio-ricreativa nel settore della terza età; d) promuovere l’attività delle associazioni senza fine di lucro che perseguono finalità sociali attraverso interventi sportivi finalizzati a incentivare la partecipazione attiva e l’inclusione sociale delle persone in difficoltà socioeconomica o ad attuare progetti educativi contro l’intolleranza, il razzismo e la discriminazione culturale o di genere. CAPO IV Attivita sportive delle persone diversamente abili Art. 12 (Principi) 1. La Regione promuove e favorisce lo sviluppo delle attività sportive delle persone diversamente abili, considerando la pratica delle stesse un servizio sociale e un elemento basilare di formazione psicofisica. Art. 13 (Contributi per la promozione delle attività) 1. Per le finalità indicate all’articolo 12, la Regione concede contributi alle società sportive e alle associazioni operanti nelle varie attività, riconosciute dal CONI e dal CIP, che promuovono la partecipazione di persone diversamente abili alla pratica sportiva, esclusivamente per far fronte alle spese: a) di trasporto degli atleti disabili per la partecipazione alle attività sportive; b) inerenti le manifestazioni sportive aperte anche ai disabili; c) per istruttori, tecnici e medici specifici per atleti disabili; d) per corsi specifici a favore di istruttori di atleti disabili. 2. Sono ammesse ai contributi di cui al comma 1 anche le società e le associazioni composte prevalentemente da persone diversamente abili che partecipano o programmano attività e iniziative sportive riconosciute dal CONI e dal CIP. 3. I contributi di cui ai commi 1 e 2 sono concessi previo parere del CIP regionale. 4. Sono esclusi dai contributi gli interventi realizzati nell’ambito di programmi di medicina riabilitativa. CAPO V Impianti e attrezzature per lo sport Art. 14 (Contributi per l’adeguamento e la realizzazione degli impianti)

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1. La Regione promuove la realizzazione, mediante l’utilizzo di tecnologie ecocompatibili, di un sistema regionale di impianti e attrezzature sportive, nonché di aree e di spazi destinati allo sport e all’attività motorio-ricreativa. 2. Per le finalità di cui al comma 1, la Regione concede contributi in conto capitale e in conto interessi a favore di Comuni, società, associazioni sportive, altri soggetti pubblici e privati senza fine di lucro per: a) l’adeguamento degli impianti e delle attrezzature sportive esistenti alle normative vigenti; b) l’abbattimento delle barriere architettoniche ed interventi necessari ad assicurare l’esercizio della pratica sportiva ai diversamente abili; c) il completamento, il recupero e la ristrutturazione degli impianti esistenti, ivi compresa la dotazione di attrezzature; d) la realizzazione di strutture, spazi e attrezzature sportive all’aperto; e) la realizzazione di nuovi impianti sportivi almeno conformi ai regolamenti del Coni e delle Federazioni sportive nazionali ai sensi della normativa statale vigente; f) il ripristino di impianti e il reintegro di attrezzature sportive danneggiate o andate perdute a causa di eventi naturali, nonché la realizzazione e la manutenzione straordinaria delle opere necessarie per la protezione degli impianti stessi. 3. La realizzazione di nuovi impianti può avvenire anche mediante l’acquisto di immobili da destinare all’attività sportiva. 4. La Regione può stipulare convenzioni con l’ICS e con altri istituti di credito per la concessione di mutui a tasso agevolato. 5. Il concorso finanziario della Regione può avvenire in conto capitale in misura non superiore al 50 per cento della spesa ritenuta ammissibile, ovvero in conto interessi mediante contributi pluriennali nella misura massima stabilita dal programma di cui all’articolo 7. 6. Il finanziamento è subordinato alla presentazione, da parte del beneficiario, del progetto definitivo corredato del parere tecnico del Coni. 7. Sulle aree, gli impianti e le attrezzature indicate al presente articolo è costituito vincolo di destinazione secondo criteri e modalità stabiliti dal programma di cui all’articolo 7. Art. 15 (Fidejussione regionale) 1. I finanziamenti richiesti agli istituti di credito dai soggetti ammessi ai benefici indicati all’articolo 14 possono essere garantiti da fidejussione regionale, da concedere secondo i criteri e le modalità determinati dal regolamento di cui all’articolo 24. CAPO VI Impianti e attrezzature per l’esercizio di attività ginniche, di formazione fisica e motorio-ricreative Art. 16 (Requisiti) 1. Nel rispetto della normativa statale vigente in materia di impiantistica sportiva, i requisiti tecnici, igienico-sanitari e di sicurezza degli impianti e delle attrezzature per l’esercizio di attività ginniche, diformazione fisica e sportiva e di attività motorie esercitate a scopo non agonistico sono determinati con il

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regolamento di cui all’articolo 24. Sono esclusi dall’ambito di applicazione del regolamento: a) gli impianti ove è svolta attività sportiva disciplinata dalle Federazioni sportive nazionali, organi del CONI, non gestiti da soggetti che svolgono attività di impresa; b) gli impianti ove è svolta attività sportiva da parte di società o associazioni sportive dilettantistiche, affiliate alle Federazioni sportive nazionali riconosciute dal CONI o agli enti di promozione sportiva, tenute a esercitare la loro attività nel rispetto degli Statuti o delle norme degli enti a cui sono affiliate; c) gli impianti sportivi scolastici; d) gli impianti ove è prevista la presenza di spettatori. 2. L’apertura e l’esercizio degli impianti indicati al comma 1 sono subordinati a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), da presentare al Comune territorialmente competente ai sensi dell’articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi). 3. La cessazione dell’attività è soggetta a comunicazione, da inviare al Comune entro sessanta giorni dalla cessazione medesima. Art. 17 (Vigilanza e sanzioni) 1. La vigilanza sull’applicazione delle disposizioni di cui al presente Capo è affidata ai Comuni. 2. È soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria: a) da un minimo di euro 1.000,00 a un massimo di euro 10.000,00 chiunque intraprenda l’attività indicata all’articolo 16 senza aver inoltrato la SCIA, fatta salva l’applicazione della sanzione accessoria della chiusura dell’impianto; b) da un minimo di euro 5.000,00 a un massimo di euro 10.000,00 chiunque violi le disposizioni relative all’attuazione del presente Capo contenute nel regolamento di cui all’articolo 24, fatta salva l’applicazione, in caso di mancanza dei requisiti previsti, della sanzione accessoria della chiusura dell’impianto per il periodo necessario all’adeguamento oppure della chiusura definitiva in caso di mancato adeguamento; c) da un minimo di euro 500,00 a un massimo di euro 3.000,00 chiunque ometta di inviare la comunicazione di cui all’articolo 16, comma 3. 3. Per l’applicazione delle sanzioni previste dal presente articolo si osservano le disposizioni della legge regionale 10 agosto 1998, n. 33 (Disciplina generale e delega per l’applicazione delle sanzioni amministrative di competenza regionale). CAPO VII Gestione degli impianti sportivi Art. 18 (Affidamento) 1 Il presente Capo disciplina le modalità di affidamento a terzi degli impianti sportivi di proprietà degli enti pubblici territoriali, in attuazione dell’articolo 90, comma 25, della legge 289/2002. 2. Rientrano nell’ambito di applicazione del presente Capo gli impianti sportivi di proprietà di enti pubblici territoriali, intesi quali strutture in cui possono praticarsi attività sportive di qualsiasi livello eventualmente associate ad attività ricreative e sociali di interesse pubblico.

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3. L’uso degli impianti sportivi deve essere improntato alla massima fruibilità per la pratica di attività sportive, ricreative e sociali ed è garantito, sulla base di criteri obiettivi, a tutte le società e associazioni sportive chepraticano le attività a cui l’impianto è destinato. Art. 19 (Modalità) 1. I soggetti cui affidare la gestione degli impianti sportivi sono individuati tra coloro che presentano idonei requisiti, in base a procedure di evidenza pubblica nel rispetto della normativa vigente. 2. La gestione degli impianti sportivi è affidata, in via preferenziale, a società e associazioni sportive dilettantistiche, enti di promozione sportiva, discipline sportive associate e Federazioni sportive nazionali. 3. Gli enti territoriali provvedono a stipulare con i soggetti affidatari convenzioni che stabiliscono i criteri d’uso degli impianti sportivi, nel rispetto delle finalità del presente Capo. 4. L’uso dell’impianto sportivo è garantito anche a società e associazioni sportive non affidatarie. 5. Nel regolamento di cui all’articolo 24 sono definiti i criteri, le modalità e i requisiti minimi per la partecipazione ai bandi per l’affidamento degli impianti sportivi. 6. Sono escluse dalla partecipazione ai bandi di cui al comma 1 le società e le associazioni sportive che, pur avendone l’obbligo, non hanno adeguato i loro regolamenti alle disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 14 dicembre 2000, n. 376 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping). CAPO VIII Sostegno ad attivita e manifestazioni sportive Art. 20 (Contributi per attività sportive) 1. La Regione promuove le attività sportive volte alla diffusione dello sport aperto alla generalità degli utenti, secondo le esigenze, le possibilità e le aspirazioni di ciascuno. 2. Per le finalità indicate al comma 1, la Regione in particolare concede contributi a favore: a) di società e associazioni sportive dilettantistiche per attività promozionali svolte attraverso i CAS; b) del Comitato regionale e dei Comitati provinciali del CONI per attività promozionali a favore degli alunni delle scuole elementari, con specifico riferimento ai progetti di alfabetizzazione motoria; c) delle scuole elementari e degli istituti di istruzione secondaria di primo e secondo grado per attività sportiva in orari extrascolastici, con particolare riferimento ai Giochi della gioventù e ai Giochi sportivi studenteschi; d) dei Comitati e delle delegazioni degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI per attività sportiva amatoriale; e) delle associazioni di promozione sociale per attività sportiva amatoriale; f) degli enti locali, del Comitato regionale e dei Comitati provinciali del CONI, delle Federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva, delle società e associazioni sportive per l’organizzazione

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di manifestazioni e competizioni sportive di livello regionale, nazionale e internazionale; g) del Comitato regionale e delle strutture territoriali del CONI, dei Comitati regionali e delegazioni delle Federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate, degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, delle società e associazioni sportive e di enti pubblici per l’organizzazione di convegni, seminari e corsi di formazione per l’aggiornamento di tecnici e operatori. Art. 21 (Contributi per manifestazioni sportive agonistiche) 1. La Regione sostiene lo svolgimento di manifestazioni e competizioni sportive nel territorio marchigiano e promuove la partecipazione degli atleti marchigiani a manifestazioni ed eventi sportivi di particolare rilevanza anche fuori dal territorio regionale. 2. Per le finalità indicate al comma 1, la Regione concede in particolare contributi per lo svolgimento e la partecipazione a manifestazioni sportive di carattere prettamente agonistico, in favore di: a) Federazioni sportive nazionali, discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI; b) società e associazioni sportive aventi sede nella regione, affiliate e associate da almeno due anni a una Federazione sportiva nazionale o a una disciplina sportiva associata, che hanno svolto attività agonistica per lo stesso periodo di tempo. Art. 22 (Contributi per l’attività sportiva giovanile a carattere dilettantistico) 1. La Regione concede contributi per la promozione e lo svolgimento dell’attività sportiva giovanile a società e associazioni sportive dilettantistiche con almeno settantacinque iscritti a favore dei giovani atleti che svolgono attività sportiva di accertato livello tecnico. Art. 23 (Incentivi al merito sportivo) 1. La Regione incentiva la promozione della pratica sportiva dilettantistica dei giovani e la cultura dello sport e sostiene i progetti tesi a valorizzare e ampliare la pratica motoria e sportiva nella scuola mediante intesa con l’Ufficio scolastico regionale, valorizzando la progettualità delle autonomie scolastiche del territorio e favorendo un’adeguata fruizione delle strutture sportive da parte delle scuole. 2. Nel rispetto di quanto indicato al comma 1, la Giunta regionale istituisce annualmente premi destinati: a) ai giovani atleti non professionisti, residenti nel territorio regionale e di età non superiore ai diciotto anni, che si sono ripetutamente distinti a livello nazionale e internazionale, manifestando uno spiccato talento sportivo; b) alle società sportive alle quali i giovani atleti di cui alla lettera a) risultano tesserati; c) al miglior progetto di sport realizzato negli istituti scolastici di ogni ordine e grado del territorio regionale, che promuove ed esalta le finalità educative e formative di cui la pratica sportiva è portatrice. 3. I criteri e le modalità per l’istituzione dei premi di cui al comma 2 sono definiti nel programma di cui all’articolo 7.

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CAPO IX Disposizioni finanziarie, transitorie e finali Art. 24 (Regolamento di attuazione) 1. La Giunta regionale adotta il regolamento di attuazione della presente legge, sentita la competente Commissione assembleare. Il regolamento contiene, in particolare: a) le modalità di svolgimento dell’attività informativa e di monitoraggio di cui all’articolo 9; b) i criteri e le modalità di concessione della fidejussione regionale indicata all’articolo 15; c) i requisiti tecnici, igienico-sanitari e di sicurezza degli impianti e delle attrezzature di cui all’articolo 16 e ogni altra disposizione necessaria a dare applicazione alle norme di cui al Capo VI con particolare riferimento a: 1) vigilanza sulle attività e controllo degli impianti e delle attrezzature; 2) termini e modalità di adeguamento degli impianti esistenti ai requisiti previsti dal regolamento medesimo; 3) livello di qualificazione professionale degli operatori e dei dirigenti; d) le modalità con cui i gestori di impianti sportivi consentono l’uso degli stessi da parte di associazioni e società sportive, nonché di gruppi sportivi scolastici e aziendali operanti nella Regione. 2. Il regolamento assicura altresì che i contributi previsti dalla presente legge siano erogati a enti e società sportive che hanno adeguato i loro regolamenti alle disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 376/2000. Art. 25 (Fondo unico per lo sport) 1. E’ istituito, a decorrere dall’anno 2013, il fondo unico per lo sport, finalizzato al finanziamento degli interventi indicati dalla presente legge. 2. Il fondo è alimentato dalle risorse europee, statali e regionali destinate al settore, nonché da eventuali risorse assegnate alla Regione da altre istituzioni o enti pubblici e privati. 3. Le modalità di riparto del fondo sono stabilite dal programma di cui all’articolo 7, nel rispetto delle disposizioni del piano di cui all’articolo 6. Art. 26 (Norme finanziarie) 1. Alla realizzazione degli interventi previsti dalla presente legge, a decorrere dall’anno 2013, si provvede mediante le risorse del fondo unico regionale per lo sport di cui all’articolo 25. 2. Il fondo unico è determinato annualmente nella sua componente regionale, con legge finanziaria nel rispetto degli equilibri di bilancio. Le ulteriori risorse derivanti da assegnazioni statali o da contributi di terzi possono essere iscritte con successivi atti. 3. Le somme occorrenti per il pagamento delle spese indicate al comma 1 sono iscritte a decorrere dall’anno 2013 nelle nuove UPB denominate: Fondo unico dello sport - corrente e Fondo unico dello sport - investimento, a carico dei capitoli che la Giunta regionale è autorizzata ad istituire, ai fini della gestione, nello stato di previsione della spesa del programma operativo annuale (POA). Art. 27 (Norme transitorie) 1. Le disposizioni della presente legge si applicano a partire dal 1° gennaio 2013, fatto salvo quanto previsto ai commi 2, 3, 4 e 5.

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2. In fase di prima attuazione, il piano di cui all’articolo 6 è adottato entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. 3. Il regolamento indicato all’articolo 24 è adottato entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. 4. Ai fini dello svolgimento delle funzioni di cui all’articolo 16, i Comuni adeguano i propri regolamenti edilizi e igienico-sanitari al regolamento regionale di cui all’articolo 24 entro un anno dalla data di entrata in vigore del regolamento medesimo. Fino a tale adeguamento, le disposizioni del regolamento regionale prevalgono sulle disposizioni comunali difformi. 5. Fino all’adozione degli atti e dei provvedimenti attuativi della presente legge continuano ad applicarsi le disposizioni legislative abrogate dall’articolo 28 e gli atti attuativi delle medesime. Art. 28 (Modifiche e abrogazioni) 1. ............................................................................ 2. ............................................................................ Nota relativa all'articolo 28: Il comma 1 aggiunge l'art. 4 bis alla l.r. 12 agosto 1994, n. 33. Il comma 2 abroga la l.r. 3 aprile 2009, n. 10; la l.r. 13 novembre 2001, n. 23; la l.r. 1° agosto 1997, n. 47; la l.r. 23 gennaio 1992, n. 9; la l.r. 25 maggio 1976, n. 14; la l.r. 30 ottobre 1973, n. 30; il r.r. 28 febbraio 2005, n.1.

Regolamento regionale 7 agosto 2013 n. 4

Disposizioni di attuazione della Legge Regionale 2 Aprile 2012, n. 5 (disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero) Art. 1 (Oggetto e finalità) 1. Il presente regolamento, in attuazione dell'articolo 24 della legge regionale 2 aprile 2012, n. 5 (Disposizioni regionali in materia di sport e tempo libero), disciplina in particolare: a) le modalità di svolgimento dell'attività informativa e di monitoraggio di cui all'articolo 9 della l.r. 5/2012; b) i criteri e le modalità di concessione della fidejussione regionale di cui all'articolo 15 della l.r. 5/2012; c) i requisiti tecnici, igienico-sanitari e di sicurezza degli impianti e delle attrezzature di cui all'articolo 16 della l.r. 5/2012 e ogni altra disposizione necessaria a dare applicazione alle norme di cui al Capo VI della legge regionale medesima, con particolare riferimento alla vigilanza sulle attività e al controllo degli impianti e delle attrezzature, nonché ai termini e alle modalità di adeguamento degli impianti esistenti ai requisiti previsti e al livello di qualificazione professionale degli operatori e dei dirigenti; d) i criteri, le modalità e i requisiti minimi per la partecipazione ai bandi per l'affidamento in gestione degli impianti sportivi, ai sensi dell'articolo 19, comma 5, della l.r. 5/2012; e) le modalità con cui i gestori degli impianti sportivi consentono l'uso degli stessi da parte di associazioni e società sportive, nonché di gruppi sportivi scolastici e aziendali operanti nella Regione.

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Art. 2 (Osservatorio dello sport delle Marche) 1. Nell'ambito del Comitato regionale dello sport e del tempo libero di cui all'articolo 4 della l.r. 5/2012 è costituito l'Osservatorio dello sport delle Marche, con il compito, in particolare, di favorire la conoscenza della realtà sportiva regionale e una costante informazione agli enti e agli operatori del settore tramite il monitoraggio della domanda e dell'offerta e l'organizzazione e il coordinamento di studi e ricerche sulle persone che fanno o non fanno sport o attività fisica, sui luoghi dove viene praticata e sugli operatori del settore. 2. Mediante l'Osservatorio di cui al comma 1 la Regione, secondo quanto previsto dall'articolo 9 della l.r. 5/2012, esercita le funzioni di osservatorio del sistema sportivo regionale, acquisendo i dati e le informazioni relativi al settore in collaborazione con gli enti locali, il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), il Comitato italiano paralimpico (CIP), le Federazioni sportive nazionali, le Discipline sportive associate, gli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, la Facoltà di scienze motorie dell'Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e gli altri soggetti pubblici e privati interessati che abbiano maturato specifiche e riconosciute competenze nel settore sportivo o nella ricerca statistica. 3. Le modalità di funzionamento dell'Osservatorio di cui al comma 1 sono disciplinate dal regolamento interno del Comitato previsto dall'articolo 4, comma 5, della l.r. 5/2012, in modo da assicurare la divulgazione e la messa in rete dei dati raccolti, in forma singola e aggregata, nel rispetto della normativa vigente in materia. 4. Come previsto dall'articolo 9, comma 2, della l.r. 5/2012, i soggetti pubblici e privati beneficiari di contributi concessi ai sensi della l.r. n. 5/2012 che non ottemperano all'invio dei dati loro richiesti dall'Osservatorio di cui al comma 1 sono esclusi dai finanziamenti regionali. Art. 3 (Fidejussione regionale) 1. I finanziamenti richiesti agli istituti di credito dai soggetti ammessi ai contributi di cui all'articolo 14 della l.r. 5/2012 possono essere garantiti da fidejussione deliberata dalla Giunta regionale. 2. Ai fini della concessione della fidejussione di cui al comma 1: a) i soggetti pubblici richiedenti devono dimostrare l'integrale o parziale carenza di cespiti delegabili e precisare come intendono assolvere agli obblighi derivanti dal finanziamento; b) le società o associazioni sportive e i privati richiedenti devono dimostrare la situazione economico-patrimoniale e precisare l'esistenza di mezzi per l'assolvimento degli obblighi derivanti dal finanziamento. 3. L'attendibilità dei programmi di finanziamento presentati dai richiedenti deve essere certificata da una società di revisione ovvero dall'istituto di credito che eroga il finanziamento. CAPO I Impianti e attrezzature per l'esercizio di attività ginniche, di formazione fisica e motorio-ricreative Art. 4 (Definizioni) 1. Sono soggetti al rispetto delle disposizioni di cui alla l.r. 5/2012 e al presente regolamento gli impianti in cui sia presente anche un solo spazio appositamente

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attrezzato e deputato all'esercizio di qualunque forma di attività fisica e motoria finalizzata al raggiungimento del benessere psicofisico degli utenti. 2. L'impianto è l'insieme di uno o più sale o spazi attrezzati per attività motorie, che hanno in comune i servizi di supporto e accessori. Sono escluse le piscine a uso natatorio, oggetto di apposita disciplina. 3. La sala di attività motoria è un locale destinato a consentire la pratica di attività motorie, così come definite dal comma 1. 4. I servizi di supporto sono ambienti direttamente funzionali alle attività motorie e alla presenza degli utenti,quali spogliatoi, servizi igienici, locali di pronto soccorso. 5. Gli spazi o servizi accessori sono spazi o servizi, non direttamente funzionali alle attività motorie, accessibili agli utenti o dagli stessi fruibili, quali solarium, bar, sauna. 6. La via d'uscita è il percorso senza ostacoli che consente il deflusso degli utenti e del personale dagli spazi dedicati all'attività motoria verso una zona esterna. 7. Le strutture pressostatiche sono coperture di spazi destinati alle attività motorie, sostenute unicamente da aria immessa a pressione. 8. La capienza è il massimo affollamento ipotizzabile. 9. Sono attrezzature: a) i piccoli attrezzi o gli attrezzi mobili per attività ginniche a corpo libero e aerobica in genere; b) le macchine e attrezzature per l'allenamento dell'apparato cardiovascolare; c) le macchine e attrezzature fisse per l'allenamento dell'apparato muscolare; d) ogni altro strumento necessario allo svolgimento dell'attività fisica e motoria. Art. 5 (Ubicazione degli impianti) 1. L'ubicazione dell'impianto per attività motorie deve essere tale da garantire l'avvicinamento dei mezzi di soccorso fino all'impianto stesso, nonché la movimentazione della barella lungo i percorsi interni. 2. Gli impianti possono essere ubicati nel volume di altri edifici ove si svolgono le attività soggette alle visite di prevenzione incendi, nel rispetto della vigente normativa in materia. 3. L'ubicazione dell'impianto deve essere compatibile con quanto stabilito dagli strumenti urbanistici comunali. Art. 6 (Superficie e capienza) 1. La superficie complessiva dell'impianto non può essere inferiore a mq 100 di superficie utile. 2. Per l'individuazione della capienza, il rapporto minimo superficie-sala/utente è il seguente: a) mq 3/utente in caso di sale per attività aerobiche, a corpo libero, di allenamento dell'apparato cardiovascolare o simili, che utilizzino o meno le attrezzature di cui all'articolo 4, comma 9, lettere a) e b); b) mq 5/utente in caso di sale per attività di allenamento dell'apparato muscolare con l'ausilio delle attrezzature di cui all'articolo 4, comma 9, lettera c). 3. I servizi igienici per gli utenti devono essere almeno due, divisi per sesso. Per il loro dimensionamento si applicano le disposizioni di cui all'articolo 8. Art. 7 (Strutture, finiture, arredi e segnaletica)

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1. Per il calcolo delle strutture orizzontali o solai, se non collocate su vespaio, si tiene conto anche del sovraccarico accidentale delle macchine e delle attrezzature ivi previste, a prescindere dalla destinazione dello spazio ad attività motoria. Il solaio è in ogni caso calcolato applicando il massimo sovraccarico ipotizzabile. 2. Le finiture e gli arredi, se collocati lungo le vie di uscita o presso le uscite, devono essere rispondenti, per i materiali combustibili non imbottiti, alla classe di reazione al fuoco non superiore a 2, mentre per i mobili imbottiti, quali poltrone e divani, alla classe di reazione al fuoco non inferiore a 1 IM. 3. L'impianto deve essere dotato di idonea segnaletica, in conformità alle prescrizioni del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro), finalizzata principalmente all'indicazione dei percorsi, delle vie di uscita e dei presidi antincendio e al riconoscimento dei luoghi. Art. 8 (Requisiti tecnici, igienico-sanitari e di sicurezza) 1. Per gli impianti sono fissati i seguenti requisiti tecnici e igienico-sanitari e la seguente distribuzione interna: a) le caratteristiche ambientali dei locali che compongono l'impianto devono essere conformi ai parametri indicati nell'allegato A; b) l'altezza minima netta dei vani è stabilita in m 2,70 per le sale, gli spogliatoi, il pronto soccorso e gli altri locali a servizio degli utenti. I depositi, i WC, le docce e gli altri locali non destinati agli utenti possono avere un'altezza minima di m 2,40; c) la distribuzione degli spazi di attività motoria e degli spazi e servizi di supporto e accessori deve avvenire in modo da garantire sempre passaggi e corridoi che consentano il transito di due persone. I percorsi verso le uscite devono essere lasciati sempre liberi, in modo da garantirne la percorribilità anche alle persone con limitata o impedita capacità motoria. 2. Per le sale di attività sono fissati i seguenti requisiti: a) la pavimentazione deve essere adatta alle attività motorie praticate, tale comunque da garantire il rispetto delle norme di igiene; b) le pareti della sala devono essere prive di sporgenze per un'altezza non inferiore a m 2,50 dal pavimento. In caso di sporgenze non eliminabili le stesse devono essere ben segnalate e protette contro gli urti; c) le vetrate, gli specchi, le parti a vista degli impianti tecnici, gli elementi mobili, i controsoffitti e quant'altro presente devono essere in grado di resistere, per le loro caratteristiche intrinseche costruttive e di fissaggio,agli urti di persone o di oggetti. Si deve garantire in ogni caso la massima sicurezza dell'utente. In particolare le vetrate, in caso di rottura, non devono produrre frammenti pericolosi; d) le attrezzature e i macchinari utilizzati devono essere sempre sottoposti a costante pulizia, accurata manutenzione e non devono comportare rischi per gli utenti. Quest'ultimo requisito deve essere attestato nel documento di valutazione dei rischi di cui all'articolo 10, comma 2. 3. I nuclei-servizi comprendono:

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a) i locali spogliatoi, che devono essere dotati di arredi commisurati all'utenza; b) i locali WC, le docce e i lavandini. 4. Almeno un nucleo-servizi, dotato di doccia, deve essere accessibile anche ai disabili secondo le caratteristiche di cui alla normativa statale vigente. 5. Le caratteristiche dei nuclei-servizi sono le seguenti: a) le porte di accesso ai WC devono aprirsi verso l'esterno e la loro larghezza non può essere inferiore a m 0,80; b) le pareti delle docce e dei WC devono essere rivestite, fino all'altezza di m. 1,80, con materiale facilmente lavabile. Non è consentito l'uso di vernici, smalti o simili. Le restanti superfici devono essere trattate con vernice all'acqua o simile, altamente traspirante. I pavimenti devono essere antiscivolo e facilmente lavabili; c) la superficie totale degli spogliatoi, il numero complessivo delle docce e dei lavabi per gli utenti necessari per l'impianto e il dimensionamento di ciascun nucleo-servizi sono determinati secondo i seguenti parametri: 1) n. 1 WC ogni 30 utenti o frazione, con un minimo di n. 1 WC per spogliatoio; 2) n. 1 lavandino ogni 20 utenti o frazione, con un minimo di n. 1 lavandino per spogliatoio; 3) posto spogliatoio (mq/utente): mq 1 fino a 50 utenti per spogliatoio, mq 0,80 per ogni utente oltre i 50; 4) n. 1 doccia ogni 12 utenti, con un minimo di n. 2 docce per ogni spogliatoio. 6. La presenza del nucleo-servizi per il personale, composto da spogliatoio e servizio igienico, è obbligatoria quando l'impianto prevede una capienza superiore a 150 utenti. Lo spogliatoio deve avere la dimensione minima di mq 3,2 al netto dei servizi igienici. Il servizio igienico è composto almeno da un water, un lavabo e una doccia. 7. Lo spazio per la doccia deve essere dimensionato in modo da consentire il facile movimento delle braccia e del corpo da parte del fruitore. Davanti ad ogni doccia deve essere previsto uno spazio di scorrimento. Lo spazio antistante può essere comune con gli altri posti doccia. 8. L'impianto con capienza superiore a 150 utenti deve prevedere un locale per il pronto soccorso, facilmente raggiungibile e accessibile, che può essere usato anche per altre attività con esso compatibili. Deve essere altresì garantita la movimentazione della barella. Il locale deve avere una larghezza minima di m 2,50 e un'altezza netta non inferiore a m 2,70, in modo da consentire lo svolgimento delle operazioni di pronto soccorso, con adeguato ricambio d'aria naturale o forzato. Il locale deve essere dotato di un lavabo. Fino a 150 utenti è prevista una cassetta di pronto soccorso. 9. E' consentito collocare, all'interno dell'impianto, locali e spazi accessori alle attività motorie. I locali e gli spazi, qualora arredati, non devono comunque costituire pericolo per gli utenti, né essere d'intralcio per i percorsi e per le uscite. In particolare i locali solarium, sauna o simili devono essere dotati di appendiabiti e di aerazione diretta con l'esterno o, in alternativa, di aerazione forzata. I locali devono essere dotati di pulsanti da usare in caso di emergenza, muniti della scritta: "Pulsante malore". La segnalazione deve essere sia

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acustica sia ottica. Il segnalatore deve essere posto sopra la porta del locale e nella zona ricevimento. I locali sauna, qualora inseriti negli spogliatoi, possono avere accesso diretto dagli stessi. Per altri locali accessori si deve tenere conto della loro destinazione d'uso, la quale, secondo le norme vigenti, deve essere compatibile con l'attività principale. 10. Gli impianti elettrici devono essere realizzati in conformità alla normativa statale vigente e progettati da un tecnico abilitato. Ai fini della prevenzione incendi e della sicurezza degli utenti deve essere posta particolare attenzione alle seguenti regole: a) il quadro elettrico generale, opportunamente segnalato, deve essere ubicato in posizione facilmente raggiungibile e accessibile, anche in caso d'incendio o di altra emergenza, al fine di porre fuori tensione l'impianto stesso; b) i locali, comprese le vie di uscita, devono essere dotati di impianto di illuminazione di sicurezza che deve assicurare un livello di illuminazione non inferiore a 5 lux a un metro di altezza dal pavimento, lungo le vie di uscita, per un tempo di almeno 60 minuti. Sono ammesse singole lampade con alimentazione autonoma che garantiscano comunque le suddette prestazioni. L'illuminazione di sicurezza deve essere prevista anche all'esterno dei locali in corrispondenza delle porte; c) tutti gli apparecchi di manovra devono essere ubicati in posizioni protette e devono riportare chiare indicazioni dei circuiti cui si riferiscono; d) deve essere istituito un registro per l'impianto elettrico, nel quale vanno annotati tutti gli interventi, le sostituzioni e le variazioni eseguite nel tempo. Il registro deve essere tenuto presso l'impianto, a disposizione degli organi di vigilanza; e) i corpi illuminanti, non opportunamente protetti, devono essere fuori dalla portata di mano degli utenti e di eventuali attrezzi mobili. 11. Gli impianti di riscaldamento e condizionamento devono essere realizzati in conformità alle prescrizioni in materia di contenimento energetico di cui alla normativa statale vigente e progettati da un tecnico abilitato. Non possono essere usati elementi mobili alimentati da combustibile solido, liquido o gassoso per la variazione termica degli ambienti. 12. Eventuali impianti di rilevazione, segnalazione degli incendi e allarme devono rispondere alle vigenti norme in materia antincendio. 13. Tutti gli impianti devono essere dotati di un adeguato numero di estintori. 14. L'impianto deve essere provvisto di non meno di due uscite, di cui almeno una di larghezza non inferiore a due moduli (m 1,20). Per la seconda è consentita una larghezza non inferiore a m 0,80. Le uscite devono essere dimensionate in base alla capienza dell'impianto e in funzione delle capacità di deflusso (50 persone/modulo). Tutte le porte di uscita devono aprirsi verso l'esterno a semplice spinta. Art. 9 (Coperture pressostatiche) 1. E' consentito l'uso di coperture pressostatiche quando il numero massimo delle persone contemporaneamente presenti nell'impianto non supera le 50 unità tra utenti e personale. Le coperture devono essere realizzate con materiali aventi classe di reazione al fuoco non superiore a 2 e omologati a

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norma di legge. L'uso è condizionato alla realizzazione dei seguenti accorgimenti: a) va assicurata la presenza di adeguati sostegni, in grado di impedire il rischio del repentino abbattimento del telone in caso di caduta di pressione; b) il sistema di illuminazione, se sospeso alla copertura, deve essere dotato di idonei dispositivi di protezione e di sicurezza contro la caduta accidentale; c) i varchi devono essere opportunamente intelaiati in modo che ne sia sempre garantito l'uso, anche in caso di caduta di pressione del telone; d) i varchi devono essere dotati di porte apribili a semplice spinta, verso l'esterno. La loro larghezza non può essere inferiore a m 1,20 e il numero non può essere inferiore a due. Art. 10 (Sicurezza e benessere degli utenti) 1. Il titolare dell'impianto è responsabile del mantenimento delle condizioni di sicurezza e di benessere degli utenti e del personale. A tale scopo può avvalersi di una o più persone appositamente delegate. Durante l'orario di apertura dell'esercizio deve essere assicurata la presenza del titolare o del delegato. Per soggetto titolare dell'impianto si intende il proprietario o detentore a qualsiasi titolo dell'impianto medesimo. 2. Il titolare dell'impianto deve essere in possesso di un documento di valutazione dei rischi, redatto da un professionista abilitato secondo la normativa vigente in materia, nel quale, in relazione alle caratteristiche degli ambienti, vengono valutati i rischi per gli utenti e il personale, vengono individuate tutte le misure di prevenzione e protezione necessarie e vengono indicate tutte le procedure da attuare per il conseguimento e il mantenimento delle condizioni di sicurezza. Tale documento è comunque aggiornato ogniqualvolta si verifichi un mutamento della situazione degli ambienti e delle attività inizialmente previste. 3. Le persone delegate dal titolare al mantenimento delle condizioni di sicurezza devono essere informate esaurientemente sui contenuti del documento di cui al comma 2 e sono responsabili al pari del titolare delle procedure in esso previste. Art. 11 (Istruttore, direttore tecnico e responsabile sanitario) 1. Per l'esercizio delle attività motorio-ricreative e di qualunque forma di attività fisica e motoria il titolare dell'impianto deve utilizzare istruttori provvisti di diploma di laurea in scienze motorie o del diploma conseguito presso l'ISEF o di titolo equivalente ai sensi della normativa europea ovvero, limitatamente alla pratica delle singole discipline, tecnici abilitati dalle Federazioni sportive nazionali, dalle discipline sportive associate o dagli enti di promozione sportiva che abbiano frequentato corsi integrativi, con superamento di prova finale di qualificazione, promossi dal CONI, dalle discipline sportive associate o dagli enti di promozione sportiva o dall'ente al quale sono tesserati. 2. Fra il personale di cui al comma 1 il titolare dell'impianto individua un direttore tecnico, che svolge le seguenti funzioni: a) organizza le attività motorie programmate dal titolare; b) supervisiona lo svolgimento delle attività motorie, assicurando che gli operatori raggiungano, in modo omogeneo, lo standard di servizio prefissato dal titolare; c) promuove l'aggiornamento e la crescita professionale degli operatori; d) cura l'efficienza delle attrezzature e segnala al titolare eventuali carenze dell'impianto;

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e) assicura il corretto flusso di informazioni tra il responsabile sanitario di cui al comma 4 e gli operatori; f) imposta l'attività motoria personalizzata per ciascun utente secondo le indicazioni del responsabile sanitario di cui al comma 4 e risponde della corretta esecuzione da parte degli operatori. 3. Il direttore tecnico deve assicurare una presenza costante, con orario che può essere inferiore a quello di apertura dell'impianto, ma tale comunque da garantire la corretta organizzazione e lo standard di qualità delle attività ginniche. 4. Il titolare dell'impianto utilizza un medico, preferibilmente specializzato in medicina dello sport o iscritto alla Federazione medico sportiva (FMS), con funzioni di responsabile sanitario per lo svolgimento dei seguenti compiti: a) garantire la tenuta di un'apposita scheda riservata sullo stato fisico e di salute di ciascun utente, evidenziando in essa eventuali limiti rispetto all'attività svolta nell'impianto; b) collaborare con il titolare nell'allestimento delle strutture e delle attrezzature di primo soccorso; c) favorire, nell'ambito delle proprie competenze, iniziative volte a contrastare l'assunzione di sostanze dopanti nello svolgimento di qualunque attività motoria e fisica; d) collaborare con il direttore tecnico nella personalizzazione delle attività fisiche praticate dall'utente. 5. Il responsabile sanitario garantisce la sua presenza presso l'impianto almeno ogni tre mesi. 6. In ogni impianto il direttore tecnico deve acquisire per ciascun iscritto la certificazione medica di buona salute atta alla pratica sportiva non agonistica, nel rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali. 7. Il direttore tecnico e il responsabile sanitario sono presenti, secondo le prescritte modalità, durante lo svolgimento delle attività motorie-ricreative praticate al di fuori dell'orario scolastico in impianti scolastici e pubblici. 8. In ogni impianto, oltre al direttore tecnico, almeno un istruttore o figura preposta in sua assenza deve essere munita della certificazione basic life support (BLS), al fine di garantire una presenza costante in grado prestare interventi di primo soccorso, respirazione assistita e massaggio cardiaco. 9. In ogni impianto deve essere esposto, ben visibile per il personale e gli utenti, il cartello con i numeri telefonici dei servizi sanitari di emergenza e di continuità assistenziale. Art. 12 (Modalità per l'apertura e l'esercizio degli impianti) 1. L'apertura e l'esercizio di un impianto sono subordinati alla presentazione, da parte del titolare, della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) di cui all'articolo 16, comma 2, della l.r. 5/2012 al Comune competente per territorio, tramite lo sportello unico per le attività produttive (SUAP). 2. Nella SCIA sono indicati: a) la cittadinanza, le altre generalità e i dati fiscali del richiedente; b) la denominazione e l'indirizzo dell'impianto che si intende attivare; c) l'indicazione della capienza e delle attività svolte;

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d) l'indicazione del numero e della superficie delle sale o spazi attrezzati per lo svolgimento dell'attività motoria; e) le generalità e i titoli professionali del direttore tecnico e del responsabile sanitario. 3. Alla SCIA è allegata la seguente documentazione: a) copia di polizza assicurativa di responsabilità civile e professionale verso terzi; b) planimetria generale, piante e sezioni con l'indicazione dell'ubicazione dell'impianto e della destinazione di ciascun locale; c) dichiarazione di conformità alla normativa vigente degli impianti tecnologici, in particolare termici, elettrici e dell'aria; d) relazione tecnica descrittiva, redatta da un professionista abilitato, dalla quale risulti la conformità dell'impianto ai requisiti previsti dal presente regolamento, nonché il calcolo della capienza secondo quanto previsto dall'articolo 6, comma 2; e) certificato di idoneità statica relativo alle strutture portanti, riferito alle attività previste nell'impianto, redatto da tecnico abilitato; f) valutazione di impatto acustico, da cui risulti il rispetto delle disposizioni statali e regionali in materia di inquinamento acustico; g) parere dell'autorità sanitaria di vigilanza in merito ai requisiti igienici degli ambienti; h) dichiarazione di accettazione dell'incarico da parte del direttore tecnico. 4. Ogni modifica dei requisiti dell'impianto deve essere tempestivamente comunicata al Comune a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento o posta certificata. 5. La SCIA deve essere affissa in maniere visibile nella zona di accesso all'impianto. Art. 13 (Vigilanza e controllo) 1. La vigilanza sull'attività e il controllo degli impianti e delle attrezzature spettano ai Comuni, che li esercitano avvalendosi della collaborazione tecnica dei servizi del dipartimento di prevenzione dell'Azienda unica sanitaria regionale (ASUR) competenti per territorio. 2. Al fine di consentire l'espletamento delle funzioni di cui al comma 1, il titolare dell'impianto assicura la disponibilità della relativa documentazione. Art. 14 (Sospensione e cessazione dell'attività) 1. Il Comune provvede, previa diffida, alla sospensione dell'attività e alla chiusura dell'impianto per un periodo non superiore a sei mesi, eventualmente prorogabile di ulteriori sei mesi, nei casi in cui venga accertato il venir meno di uno o più dei requisiti previsti della l.r. 5/2012 e dal presente regolamento. 2. La sospensione di cui al comma 1 cessa a seguito della verifica da parte del Comune dell'avvenuto ripristino delle condizioni violate. In caso contrario, il Comune dispone la cessazione dell'attività. 3. La cessazione volontaria dell'attività è comunicata al Comune tramite SUAP nei termini previsti dall'articolo 16, comma 3, della l.r. 5/2012. CAPO II Gestione degli impianti sportivi di proprietà degli enti pubblici territoriali Art. 15 (Affidamento della gestione)

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1. I soggetti cui affidare la gestione degli impianti sportivi di proprietà degli enti pubblici territoriali, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 90, comma 25, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2003), e dal Capo VII della l.r. 5/2012, sono individuati tra coloro che presentano idonei requisiti e che garantiscono il perseguimento delle finalità di cui all'articolo 18 della l.r. 5/2012, mediante procedure a evidenza pubblica che tengono conto della diversa tipologia e della rilevanza economica o meno del singolo impianto nel rispetto della normativa europea e statale vigente. 2. La gestione degli impianti sportivi è affidata in via preferenziale a società e associazioni sportive dilettantistiche, federazioni sportive nazionali, enti di promozione sportiva e discipline sportive associate. 3. Gli enti territoriali provvedono alla stipula di convenzioni che stabiliscono i criteri d'uso degli impianti sportivi, nel rispetto delle finalità di cui alla l.r. 5/2012 e del presente regolamento. 4. L'uso dell'impianto sportivo deve essere garantito anche alle società e associazioni sportive non affidatarie che ne fanno richiesta, pena la revoca dell'affidamento. Art. 16 (Requisiti e criteri per l'affidamento) 1. Nella redazione dei bandi per l'affidamento della gestione degli impianti sportivi, gli enti territoriali tengono conto in particolare del possesso dei seguenti requisiti in capo ai soggetti richiedenti: a) rispondenza dell'attività svolta al tipo di impianto sportivo e alle attività sportive in esso praticate; b) esperienza nella gestione degli impianti sportivi; c) qualificazione degli istruttori e degli allenatori; d) livello di attività svolta; e) attività svolta a favore dei giovani, dei disabili e degli anziani; f) anzianità di svolgimento dell'attività in ambito sportivo; g) numero di tesserati per le attività sportive che possono svolgersi nell'impianto. 2. Gli enti territoriali possono individuare ulteriori elementi di valutazione rispetto a quelli indicati al comma 1, anche con riferimento all'economicità di gestione e alla conseguente ricaduta sulle tariffe applicate. 3. A ciascuno degli elementi di cui ai commi 1 e 2 devono essere attribuiti valori omogenei e proporzionati tra loro, da pubblicizzare adeguatamente in sede di gara. 4. Il totale dei valori assegnati ai sensi del comma 2 non può comunque superare il 30 per cento del valore complessivo di tutti gli elementi individuati. CAPO III Disposizioni transitorie e finali Art. 17 (Norme transitorie) 1. L'altezza minima di m 2,40, prevista dall'articolo 8, comma 1, lettera b), per i depositi, i WC, le docce e gli altri locali non destinati agli utenti, può essere ridotta a m 2,20 per gli impianti in attività e autorizzati ai sensi della normativa previgente alla data di entrata in vigore del presente regolamento. 2. I titolari degli impianti di cui al Capo VI della l.r. 5/2012 e al Capo II del presente regolamento, in esercizio

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alla data di entrata in vigore di quest'ultimo, hanno l'obbligo di adeguarsi alle prescrizioni in esso contenute entro sei mesi dalla data di entrata in vigore. In difetto, i Comuni provvedono ai sensi dell'articolo 14. 3. Gli enti, le società e le associazioni sportive adeguano i loro regolamenti alle disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 14 dicembre 2000, n. 376 (Disciplina della tutela sanitaria delle attività sportive e della lotta contro il doping), entro otto mesi dalla data di entrata in vigore del presente regolamento. Art. 18 (Norme finali) 1. Le convenzioni tra gli enti territoriali e i soggetti affidatari della gestione degli impianti sportivi di cui all'articolo 15, stipulate antecedentemente alla data di entrata in vigore del presente regolamento, restano valide fino alla scadenza prevista nelle convenzioni stesse. 2. A favore degli enti e delle società e associazioni sportive che non hanno provveduto all'adeguamento dei loro regolamenti nel termine di cui all'articolo 17, comma 3, non può essere erogato alcun contributo ai sensi della l.r. 5/2012. 3. Per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche valgono le disposizioni di cui all'articolo 24 della legge 5 febbraio 1992, n. 104 (Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate). 4. Il presente regolamento entra in vigore trenta giorni dopo la data di pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione. Altri provvedimenti normativi: •

Delibera regionale Regione Marche 2007 n. 1438

Decreto Balduzzi

D.M. 18 febbraio 1982 Norme per la tutela sanitaria dell'attività sportiva agonistica

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Fac simile di certificato per attività sportiva non agonistica

Certificato di idoneità alla pratica di attività sportiva di tipo non agonistico

Sig.ra/Sig. ……....................................................................................... Nata/o a ….il… e residente a………………………………………………… Il soggetto, sulla base della visita medica da me effettuata, dei valori di pressione arteriosa rilevati, nonché del referto del tracciato ECG eseguito in data …….……, non presenta controindicazioni in atto alla pratica di attività sportiva non agonistica.

Il presente certificato ha validità annuale dalla data del rilascio. Luogo, data, timbro e firma del medico certificatore

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Facsimile di certificato di idoneità alla pratica di attività sportiva di particolare ed elevato impegno cardiovascolare, ex art. 4 Decreto Balduzzi

Certificato di idoneità alla pratica di attività sportiva di particolare ed elevato impegno cardiovascolare, ex art. 4 Decreto Balduzzi

Sig.ra / sig……..................................................................... Nata/o a ……il….,residente a…………… Il soggetto, sulla base della visita medica da me effettuata, dei valori di pressione arteriosa rilevati, nonché del referto degli esami strumentali eseguiti…., non presenta controindicazioni in atto alla pratica di attività sportiva di cui all’articolo 4 del Decreto Balduzzi. Il presente certificato ha validità annuale dalla data del rilascio. Luogo, data, timbro e firma del medico certificatore.

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i volumi del CONI realizzato dalla Scuola Regionale dello Sport delle Marche


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