Alla ricerca di te. Oltre il sentiero del cuore

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Il mio viaggio fino a te Eventuale sottotitolo SERENA BRUCCULERI

Con il senno di poi è facile ammettere che uscire auto da fé con lui sia stata una delle cose più stupide che Sarah abbia mai fatto in tutta la sua vita.


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opo aver perso i genitori, la nonna e un figlio Sarah è rimasta sola. Decide di rifarsi una vita in Nebraska dove conosce Peter, che la desidera senza però amarla: quando scopre di essere incinta fugge per non obbligarlo a riconoscere il bimbo. Peter capisce di amare Sarah ma ormai è troppo tardi e forse solo dopo un lungo viaggio riuscirà a raggiungerla. Una volta ritrovato il suo amore, riuscirà a finalmente a essere sincero con lei? Il sentiero per incontrarsi di nuovo è difficile, ma è l’unico che resta.

SERENA BRUCCULERI, nata a Mantova, lavora come insegnante alla scuola Primaria. È sposata, ha due figli maschi e un gatto persiano dal pelo arancione, maschio pure lui. È lettrice compulsiva di romanzi rosa e, come ogni donna, fa i salti mortali per cercare di conciliare famiglia e lavoro.

ISBN ISBN 9781548275181 978-1548275181

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€ 13,90

9 781548 275181


Auto da fé … Licenziando queste cronache ho l’impressione di buttarle nel fuoco e di liberarmene per sempre (E. Montale)


© Serena Brucculeri, 2017 © FdBooks, 2017. Edizione 1.0 L’edizione digitale di questo libro è disponibile online in formato .mobi su Amazon e in formato .epub su Google Play e altri store online.

ISBN 978-1548275181

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Serena Brucculeri

Alla ricerca di te Oltre il sentiero del cuore



Prologo Il coraggio di ricominciare



Capitolo uno

A

rriva un momento nella vita in cui devi rimboccarti le maniche e fare il punto della situazione. È necessario focalizzare l’attenzione sullo stato attuale, arrivandoci tramite un attento esame di ciò che la vita è stata finora. Tenere conto dei ricordi, delle esperienze, di ciò che si è vissuto. Discernere gli aspetti da eliminare da quelli da salvaguardare poiché possono sempre tornare comodi all’interno del bagaglio. Inoltre è importante darsi una scadenza, una linea di partenza. Sarah giunta alla soglia dei venticinque anni ha scelto come regola il numero 3: tre giorni per cambiare, o perlomeno è il periodo di tempo che si è prefissata per raccogliere le sue cose, fare le valigie, riordinare le idee e partire. Deve procurarsi i biglietti per il viaggio, ma quelli non rappresentano un problema. Ha ancora dei risparmi da parte, i guadagni del suo vecchio lavoro come lavapiatti; non sono molti ma comunque sufficienti per andarsene. Per andare dove? Ancora non lo sa. Distesa sul letto a pancia in su fissa il soffitto da un periodo interminabile e cerca di allontanare i ricordi spiacevoli per lasciare spazio a quelli meno insidiosi. I ricordi pericolosi, i più crudeli che avanzerebbero senza pensarci due volte veloci e guardinghi come ragni dalle lunghe zampe, per coglierla inerme e indifesa mandando all’aria i suoi piani e rischiando di far vacillare la sua volontà e i buoni propositi. Si guarda intorno per dare un’occhiata a ciò che sta per lasciare: le quattro mura familiari. Di fianco alla sua camera da letto dormivano i genitori e poco più in là la nonna, nella stanza degli ospiti, anche se ospite lei non lo era già da un po’, ma avevano adattata la camera perché si fermasse da loro in pianta stabile dopo che era venuto a mancare il nonno. D’altronde la nonna era sempre stata in gamba e non aveva particolari difficoltà a fare le scale, le aveva sempre affrontate senza problemi anche quando il dolore l’aveva attraversata lentamente fino a ingrigirle i lineamenti e i capelli.


A Sarah pareva così fragile in alcuni momenti quando la scorgeva rabbuiarsi o aggrottare la fronte a seguito di chissà quale pensiero. La mancanza del marito era stata per la nonna un peso da sopportare quotidianamente e ne prendeva atto a malincuore già al momento del risveglio: apriva gli occhi ma non si alzava subito; lasciava vagare la mente e i ricordi dai quali poi traeva il coraggio per scostare le coperte e darsi una mossa. Sarah di solito la trovava in cucina intenta a preparare caffè per tutti. La sorprendeva da dietro e l’abbracciava salutandola allegra. La nonna con le dita magre e premurose picchiettava dolcemente la mano che la nipote le appoggiava sul petto, per sorprenderla con affetto. Con il passare del tempo poi questo rituale era divenuto un’abitudine e la nonna guardava l’orologio sopra la sua testa con gli angoli della bocca levati, contando i minuti che la separavano da quell’incontro mattutino. A Sarah piaceva trascorrere il tempo con la nonna nella stanza da letto; era sempre generosa di ricordi e la coinvolgeva in storie del passato in un modo tanto vivido che se anche non aveva vissuto quei giorni in prima persona, quelle immagini riuscivano a prendere forma nella sua mente perfettamente, tanto erano dettagliate le sue parole. C’era poi un intenso odore di ciclamino in camera; la nonna aveva la mania di quella fragranza dolciastra e ne riempiva i cassetti e gli armadi. Sarah allora si sentiva immediatamente trasportata nel pieno di una giornata primaverile, anche se fuori la neve spadroneggiava fino a ricoprire tetti e viali raggiungendo il mezzo metro abbondante. In quella casa lei ci è nata e cresciuta, tra giochi e risate; da una parte le sembra impossibile abbandonarla. Ma deve, deve farlo. Sarebbe impensabile altrimenti darsi una nuova possibilità. Troppi ricordi, troppe cose che la tengono ancorata al passato. I profumi dell’aria estiva che entravano dalle finestre scostate subito prima di cena e l’aria tiepida che smuoveva le tende; le chiacchiere a tavola con i suoi e con la nonna che ora, come loro, non c’è più ma la cui presenza la può ancora sentire, quasi toccare. Tutto all’interno della casa è rimasto intatto, non ha spostato una virgola. Pensa di andare e lasciare ogni cosa così com’è, deciderà poi al suo ritorno, se e quando ritornerà; non pensa proprio di venderla, assolutamente. Partirà e chiuderà tutto a chiave per bene, porterà la chiave con sé e la conserverà in un luogo sicuro e accessibile in modo da essere facilmente recuperabile. Alla nonna aveva tanto parlato di Richard, di quanto le piaceva e di come sperava che un giorno le avrebbe chiesto di uscire, magari solo per

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un gelato o una serata al cinema; comunque sarebbe stato un inizio. La nonna l’aveva rassicurata dicendole che era una ragazza speciale, bellissima, simpatica ed educata; perché mai Richard non avrebbe dovuto invitarla? Se era un ragazzo intelligente e interessante come lei lo aveva descritto, sicuramente avrebbe notato le sue qualità. E così infatti accadde. Richard la notò e le chiese di uscire. Con il senno di poi è facile ammettere che accettare un appuntamento con lui è stata una delle cose più stupide che Sarah abbia mai fatto in tutta la sua vita, peggio ancora di non prepararsi con lo studio e rimanere indietro con gli esami. Solo l’anno successivo si era rimessa in carreggiata e aveva terminato l’università con successo conseguendo una laurea in Letteratura moderna. Quanto a Richard l’aveva solo illusa, presa in giro, non amata. Sarah tira un profondo respiro e si asciuga una lacrima sfuggita dall’angolo dell’occhio. Basta piangere, perché poi? Se continua in questo modo si sente ancora peggio. Richard lo stronzo; l’uomo che l’aveva ignorata quando gli aveva confidato che aspettava un bambino. Non aveva voluto saper nulla né di lei né del bimbo, un intruso, un ostacolo al suo futuro le aveva detto. Aveva fatto di tutto per convincerla a sbarazzarsene. Ma Sarah quel bambino lo voleva eccome e avrebbe lottato allo sfinimento pur di proteggerlo, perché si sentiva sola e con lui non lo sarebbe più stata. Dopo l’incidente che le aveva portato via i suoi tempo prima, aveva trascorso gli ultimi anni in quella casa con la nonna. Sarah e sua nonna erano una piccola famiglia, un punto di riferimento importantissimo l’una per l’altra. La nonna avrebbe sicuramente sostenuto la sua decisione. D’altronde al giorno d’oggi quante mamme single ci sono? Tante, tantissime… forse troppe. Ce l’avrebbe fatta, ne era più che sicura, sapeva di essere una tipa tosta. Poi ci ha pensato il destino a sbarazzarsi di quella piccola e innocente vita, un pomeriggio di qualche mese prima: è stata la molla che le ha fatto scattare in testa l’idea di partire. Certo, dovrà trovarsi un lavoro, mettere dei soldi da parte, cercare un appartamento in affitto, via da lì. Cavolo, a ventiquattro anni tutto è possibile e tre giorni sono più che sufficienti per ricominciare, ne è più che convinta. Eccola che chiude gli occhi e si mette una mano sulla pancia; a quest’ora l’avrebbe sentito muoversi, ma adesso non c’è più nemmeno lui. Richard era parso fintamente dispiaciuto dopo l’accaduto e aveva cercato di riallacciare i rapporti con lei, indossando una delle tante sue

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innumerevoli maschere. Sarah aveva imparato a riconoscerle tutte, una per una, con il passare del tempo. Ora è lei che non lo vuole più… Deve assolutamente trovare un lavoro, magari come cameriera in qualche pub o come commessa, lontano da Richard e dalla loro storia ormai conclusa. Potrebbe provare anche con l’insegnamento, non che si senta particolarmente adatta, ma comunque sarebbe un qualcosa con cui lei si vorrebbe misurare. Sua nonna le diceva sempre che possiede tutte le caratteristiche per diventare qualsiasi cosa, un’ampia gamma di scelte racchiuse in un ventaglio di colori, mentre a Richard ha sempre accreditato un’unica gamma cromatica che parte dal grigio e vira in un intenso e stucchevole nero: Sarah non ha bisogno di Richard e della sua monocromaticità. Se ne era convinta già nel momento in cui le aveva chiesto se fosse sicura che il padre fosse lui. Ma per chi l’aveva presa? Per una di quelle con cui si divertiva, anche quando stavano insieme? No, Richard non l’aveva mai veramente amata. Dalla strada provengono i profumi dell’autunno, quella fredda umidità colorata di caldo che ti abbraccia quando sei in vena, ma lascia infreddolita se non lo sei. Lei ora si sente così. Il rosso e l’arancione delle foglie che fanno capolino tra le tende scostate non la mette di buon umore, sembra portare con sé la fine di qualcosa più che un inizio. Prova a guardare il tutto da un’altra prospettiva. In fin dei conti può anche rappresentare la fine della sua vecchia vita. Forse tutto sommato è una cosa positiva. Si trova a riflettere su quel detto per cui ogni azione ha una conseguenza… no, forse uscire con Richard non è stata una delle cose più stupide che abbia fatto se questo è il risultato… in fondo è proprio una buona occasione per prendere in mano la sua vita.

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Capitolo due

L

a sveglia non è ancora suonata ma ha già aperto gli occhi. Scosta le coperte e si alza dirigendosi verso il bagno. Si guarda allo specchio. Si osserva e nota i soliti capelli castani lunghi fino alle spalle e un po’ mossi; gli occhi sono dello stesso colore e la carnagione è chiara. Si passa una mano tra i capelli, poi apre l’acqua calda della doccia e attende che il tepore si diffonda nella stanza. Adora fare la doccia calda ed essere avvolta dal vapore, che rende tutto più ovattato, anche il pensiero meno piacevole. Poi raggiunge la cucina; sul tavolo giace ancora il cartone della pizza che ha consumato la sera prima davanti alla televisione… era troppo stanca in quel momento per riordinare e ora l’odore di stantio è sgradevole, troppo per i suoi gusti. Si tappa il naso, prende il cartone e lo butta nel bidone della carta. Sicuramente un caffè è quello che ci vuole. Lo prepara e si siede al tavolo davanti al pc portatile, mangiando l’ultimo muffin che è riuscita a trovare e cercando tra gli annunci economici se c’è qualcosa che faccia al caso suo. È disposta ad allontanarsi parecchio da Chicago, d’altronde ha trascorso una vita nell’Illinois e deve provare a ripartire da zero lontano dal lago Michigan, testimone silenzioso della sua trasformazione da bambina a ragazzina e infine a donna. Adorava questi posti durante l’infanzia e ricorda quando partiva con suo padre alla mattina presto per andare a pescare. Prendevano la barca che non erano nemmeno le sei e si allontanavano lentamente dalla riva per raggiungere quasi il centro del lago e lì buttavano l’amo e rimanevano in attesa. Ricorda il freddo pungente di quei momenti nonostante il pesante giaccone invernale e la nebbiolina fine che pian piano saliva per lasciare posto ai primi raggi del sole. Alzava il viso al cielo e permetteva all’aria umida di bagnarle il naso mentre i muscoli del


viso cominciavano a dolerle per i frequenti sorrisi. Allora tutto intorno risplendeva in quello specchio d’acqua. Al momento del risveglio faceva fatica ad alzarsi e abbandonare il letto, ma una volta su quella barca non sarebbe mai tornata indietro. «Papà guarda, ha abboccato!» gridava lei, dimenticandosi del freddo e incurante della nebbia. «Cosa ti avevo detto Sarah, basta avere pazienza! Deve essere pure grosso, guarda come tira!» . Al ritorno puzzava dalla testa ai piedi, la coda di cavallo con cui acconciava i capelli era unta e collosa di umori di aria lacustre e le scarpe con un centimetro di melma fangosa sotto alle suole. Si recava in cucina di corsa e era mentre era ancora sulla porta cominciava a chiamare la madre. La raggiungeva in cucina e con orgoglio le esibiva il pesce come fosse un trofeo. In effetti lo era. Posato lì, sul tavolo della cucina grigio e lucido, con le sue innumerevoli squame, stava a ricordarle che era bello uscire in barca con il papà, irrigidire i muscoli per difendersi dal freddo e guadagnarsi qualcosa di così grosso da fotografare e portare a casa. Ora in quel lago ghiacciato sente solo il forte impulso di scaraventarci dentro Richard, con tutti i vestiti. Se lo immagina riemergere dalle acque con espressione sbigottita per essere stato preso alla sprovvista, magari in un momento di distrazione, con i capelli bagnati schiacciati sulla testa, in cerca di ossigeno, un’alga impigliata all’angolo della bocca pronta per essere sputata, il completo scuro gocciolante reso appesantito dall’acqua. Sarebbe una gran bella rivincita! Per lei e per tutte le donne in generale. Gente nuova, aria nuova, vita nuova… è proprio quello che ci vuole. La sua amica Lucy non è del parere; sono molto legate, se non fosse stato per lei se ne sarebbe andata molto tempo prima dalla città. Lucy è come una sorella. Si conoscono dai tempi della scuola media, quando l’età ancora non è definita e vorresti collocarti già nella fascia dell’adolescenza in quanto in quella dell’infanzia non vuoi più entrarci. Nel periodo adolescenziale si sono ascoltate e capite a vicenda condividendo emozioni, batticuori e racconti di vita familiare. Ricorda ancora di una sera sul letto della camera tappezzata di rosa, il piumone bianco, la radio accesa. «Mia madre non vuole capire che sono cresciuta…» diceva Lucy stesa a pancia in giù mentre Sarah soffiava sulle unghie per asciugare lo smalto rosso acceso steso di nascosto in fretta e furia prima che qualcuno se ne accorgesse.

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«Anche la mia, cosa pensi! Non posso più nemmeno andare a fare i compiti da Clara perché ha capito che parliamo di ragazzi… di cosa vuole che parliamo, non lo so… lo capisce che le bambole non ci interessano più?!» . «Certo, come no… mia madre e la tua potrebbero darsi la mano e camminare a braccetto tanto sono uguali! Dai, passami lo smalto. Tra poco ci chiameranno per la cena e non abbiamo ancora deciso cosa fare…» . «Non preoccuparti Lucy, qualcosa ci verrà in mente… vedrai che riusciremo ad andare alla festa di Mike, a costo di scappare dalla finestra!» . Ma a quella festa alla fine non ci andarono. Lucy si buscò una brutta influenza e Sarah senza di lei non ce la poteva fare a trasgredire un divieto… Andersonville è un quartiere di Chicago di origini svedesi; un tempo era un villaggio di pescatori ma negli anni ha sempre più acquisito le sembianze della grande città, piena di piccole e grandi botteghe colorate, con un fornito centro commerciale, un luogo in cui si respira un’aria multiculturale che apre la mente oltre che i polmoni. Ora però Sarah vuole respirare aria nuova. Alla domenica spesso va a pranzo a casa di Lucy; la sua famiglia è sempre stata accogliente con lei, soprattutto da quando la nonna è venuta a mancare. Sarah aveva proposto a Lucy di seguirla in questa avventura, ma l’amica non se l’era sentita di lasciare ogni cosa. Appena finiti gli studi in Economia aveva iniziato un tirocinio presso uno studio privato il cui proprietario era amico di suo padre. Inoltre era molto legata alla sua famiglia, perché andarsene? Per Sarah al contrario è tempo di voltare pagina e gli annunci economici che le appaiono davanti agli occhi sembrano accogliere la sua richiesta. Uno in particolare attira la sua attenzione: il locale è un bar ristorante a gestione famigliare a Waverly City, in Nebraska, a qualche ora di distanza da lì. Promette di essere un buon inizio. Prende il cellulare e digita il numero; «Tentar non nuoce» diceva suo padre. «Salve, mi chiamo Sarah, telefono per l’inserzione riguardo la vostra ricerca di personale» dice tutto d’un fiato. Dall’altra parte in sottofondo si sente della musica aleggiare nell’aria. Si è legata i capelli con una molletta e mordicchia la matita. «Sì, buongiorno, da dove chiama?». La voce che le risponde sembra appartenere a una donna interessata ma nel contempo prudente per chi le si propone. Troppe persone

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si prendono la briga di chiamare per un annuncio di offerta di lavoro, non sempre però le buone intenzioni corrispondono alla buona volontà. «Chiamo da Andersonville» risponde. Toglie la matita dalla bocca, comincia a picchiettarla sul ripiano del tavolo e aspetta di vedere come si mettono le cose. La musica di là dal ricevitore continua imperterrita, così come un insistente vociare che l’accompagna. «Ah, certo, conosco il posto. A nord di Chicago, vero?». Molti conoscono Andersonville a quanto sembra. «Già, proprio quello. Penso di trasferirmi nelle vostre vicinanze questa settimana, mi chiedevo se magari… fosse possibile fissare un colloquio, ho proprio bisogno di un lavoro…». La voce dall’altra parte sospira. Forse non è così facile come ha pensato all’inizio. «Non posso assicurarle niente signorina. In realtà è da un po’ che abbiamo messo questa inserzione, abbiamo già visionato diverse candidate, abbiamo in effetti individuato qualcuno che fa al caso nostro». Il silenzio che segue sottolinea la preoccupazione e lo sconforto di Sarah. Questo non ci voleva, se si fosse decisa prima ad affrontare questi cambiamenti ora magari sarebbe riuscita a fissare un colloquio per tempo. È che il posto le piace, si è convinta che questo paesino vicino al White Lake faccia proprio al caso suo. Sicuramente troverà qualcos’altro, basta non perdere la fiducia. Dall’altro capo del telefono sembra che ci sia qualcuno in grado di leggerle nel pensiero, una dote rara di questi tempi. La voce della donna appare sincera ed empatica, in grado quasi di percepire la sua preoccupazione. «Facciamo così, quando arriva qui da noi ci contatti, magari possiamo fissare un colloquio, anche solo per conoscenza; se non dovessimo avere bisogno potrei sempre fornire le sue referenze a qualche collega. Sa, il paese è piccolo e ci conosciamo un po’ tutti». Sarah si ritrova a sorridere, poi si morde il labbro per trattenere l’entusiasmo. Perfetto, ottimo, pensa. «La ringrazio, chiamerò sicuramente». Forse non tutto è perduto. Forse può ricominciare da capo. Questa consapevolezza è il motore che spinge il resto della sua giornata. Lavatrici, recuperare gli abiti da mettere in valigia e quelli da scartare, ricercare monolocali nelle vicinanze della zona dove ha intenzione di trasferirsi, fare la cernita degli oggetti utili che possono servirle una volta

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che sarà lontana da casa e quelli invece di cui non può fare a meno più per una motivazione affettiva che puramente pratica. Sarah recupera le vecchie foto, che passa al setaccio. Qualcuna la ripone all’interno dei cassetti del suo settimanale, altre le infila nella tasca del borsone senza pensarci troppo. Tutte ovviamente ritraggono lei, i suoi genitori e la nonna. Ne scorge una più vecchia, di molti anni prima. Avrà avuto all’incirca cinque anni e con loro raggiante e fiero c’era il nonno, in piedi di fianco alla moglie, sorridente verso l’obiettivo, con il suo solito gilet di lana a coprire una camicia a scacchi verde sopra a un paio di pantaloni scuri. Probabilmente era una domenica e probabilmente avevano pranzato insieme per poi fare una passeggiata all’aperto, approfittando della bella giornata. Adorava camminare lungo il sentiero ghiaioso dei giardini retrostanti la casa dei nonni, i sassolini che scricchiolavano rumorosi sotto i suoi piedi veloci. Sarah risolveva tutto in un impegnativo avanti e indietro per superarli prima e poi, di ritorno, farsi raggiungere. La bambina tornava dai genitori e dai nonni ogni volta con un entusiasmo nuovo, deridendoli per scherzo della loro lentezza e vantando a loro discapito la propria velocità; portava con sé un dono da offrire, la gioia e la gratitudine per le persone che aveva affianco. Le sue risate arrivavano al cielo. A quel punto il papà cominciava a correre forte e la prendeva sollevandola sulle spalle: ecco, questa è una di quelle foto che finiscono nella tasca del borsone. Esce di casa e si concede un’ultima passeggiata in mezzo a quelle strade che conosce così bene, piene di negozi e panifici; il profumo di cibo che si alza nell’aria le ricorda che a colazione ha mangiato poco, così decide di fermarsi e mettere qualcosa sotto i denti. Successivamente andrà a prendere i biglietti e contatterà Lucy per chiederle un passaggio tra due giorni fino alla stazione dei pullman, destinazione Waverly City, biglietto di sola andata. E se la signora Wilson al di là del bancone dovesse chiederle il motivo di un viaggio così lungo, lei risponderà che ha trovato un’opportunità di lavoro che non può rifiutare. Tutti la conoscono in paese, è cresciuta lì tra quelle botteghe; tutti sanno che ora è rimasta da sola e immaginano che quel luogo per lei non presenti molte prospettive. Nessuno pensa che in verità sta fuggendo da qualcos’altro che le va stretto. Vuole indossare abiti più comodi, in cui sentirsi a proprio agio, abiti con cui ricominciare.

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Serena Brucculeri

Alla ricerca di te Oltre il sentiero del cuore



Due mondi distanti



Capitolo tre

I

l locale comincia a riempirsi. A quest’ora la gente esce dagli uffici, qualcuno lascia le proprie attività commerciali, qualcun altro si prende una meritata pausa da un lavoro a catena che sembra spesso e volentieri interminabile; tutti a quest’ora si riversano da Sally per il pranzo. Il locale ha la stessa struttura di un rifugio di montagna. Le pareti sono di legno chiaro e il pavimento è in parquet. Sally è sempre stata affascinata dai boschi che circondano Waverly, con i loro colori brillanti in estate e caldi in autunno. Ci sono diversi rifugi nei dintorni per chi voglia avventurarsi lungo qualche sentiero e trovare alla fine un punto di ristoro. Sally ha deciso di ricreare quella stessa atmosfera all’interno del suo locale, che contiene all’incirca una ventina di tavoli con sedie e qualche panca addossata al muro per i tavoli più lunghi. Alle pareti foto di personaggi famosi negli anni passati e paesaggi di montagna lì nei dintorni. Nonostante la struttura sia completamente in legno, la porta d’ingresso è una grossa vetrata ad apertura laterale che lascia passare un bel po’ di luce rendendo il locale luminoso quanto basta per sentirsi a proprio agio. Sorge vicino alla strada hwr6 ed è un’istituzione tanto quanto la famosa Pizza Hut; forse dall’esterno non sembra promettere niente di buono, per l’insegna un po’ datata e scolorita dagli anni e dal vento che in quella zona soffia spesso. Fatto sta che chi viene qui è perché non si accontenta di una semplice pizza; chi entra da Sally sa che mangerà la miglior bistecca del paese, magari accompagnata da un’abbondante dose di patatine fritte; il dolce della casa è sempre una sorpresa ma non delude mai. Sally, la proprietaria, si dà un gran da fare in cucina e spesso e volentieri si ferma a chiacchierare con i clienti, che principalmente sono come persone di famiglia, anzi ancor meglio: amici.


Nonostante la confusione del momento Sally è riuscita a rispondere al telefono e parlare con la ragazza del Michigan in cerca di lavoro. La prima cosa che ha pensato nel sentire la voce di Sarah è che potrebbe essere sua figlia e che quando arriverà da loro – se mai lo farà – vedrà di darle una possibilità, forse aiutandola a trovare qualche impiego nei dintorni. Questo fa parte di lei e del suo modo di essere: aiutare chi ha bisogno di aiuto. Dare insomma alle persone una possibilità. Di possibilità Sally ne ha già date a parecchia gente in passato, primo fra tutti a Eric, il padre di suo figlio, che ha pensato bene di togliere il disturbo una sera di tanti anni fa e di fare le valigie perché ritrovarsi in un piccolo paesino con un bambino di appena tre anni era per lui come sentirsi in gabbia. Fortunatamente Sally non lo ha mai sposato, lui non se la sentiva di impegnarsi, ma con il senno di poi di questo gliene è sempre stata grata. Da allora lui si è rifatto una vita e si sente con il figlio qualche volta, quel tanto che basta per mettersi la coscienza a posto. Sally ha cresciuto Peter da sola, ha faticato eccome, ma è così orgogliosa di lui. L’ha sempre seguito durante gli studi al liceo, terminato il quale Peter ha deciso di dedicarsi completamente al lavoro al pub con lei. Ora, a ventotto anni, suo figlio è ancora lì accanto a lei e mandano avanti insieme la baracca. Il lavoro al locale è molto impegnativo ma a lui non dispiace trascorrere le serate al pub, anche perché c’è sempre qualche amico che passa di lì per un saluto o una birra. Se è un’amica ancor meglio. Di quelle ne bazzicano tante lì intorno. Non perché è suo figlio, ma Sally ammette che Peter è proprio un bel ragazzo. Ha una presenza imponente con i suoi capelli biondo scuri e gli occhi azzurro chiaro, le spalle larghe e sempre il sorriso sulle labbra. Questa è la parte positiva che ha acquisito dal padre, lo stesso aspetto che aveva conquistato lei a suo tempo, ma la somiglianza si ferma lì; Sally con orgoglio lo riconosce. Suo figlio ha un carattere socievole e tende sempre a sdrammatizzare, quasi prendesse la vita con leggerezza, dando poco peso ai problemi e cercando quando può una soluzione. È sicura che Peter abbia adottato questo atteggiamento inizialmente per sostenere lei e per non farle pesare la situazione creatasi dopo la fuga del padre. Ora con gli anni l’ha consolidato ed è divenuto parte integrante della sua personalità. Sally non ha mai visto una ragazza fissa al suo fianco. Non ne parlano mai ma è sicura che non si sia mai innamorato e che non intenda farlo. Le madri in questo possiedono un sesto senso particolare, una di quelle qualità che permette di dichiarare di conoscere bene il proprio figlio, conoscerlo come nessun altro.

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«Chi era al telefono mamma?». Peter è sempre indaffarato e il lavoro, soprattutto in questo momento che è preso dal sostituire un fusto di birra, è frenetico. Non gli sfugge niente; in questi giorni il telefono ha squillato diverse volte, sembra che la gente in cerca di lavoro sia tanta; peccato che al momento della prova il lavoro pesante e gli orari non sempre piacevoli scoraggino a tal punto da rinunciare all’impiego. La paga è buona, occorre comunque sapersi adattare e di ragazze adeguate ce ne sono poche; di quelle che ci hanno provato con lui invece ce ne sono tante. A volte ne ha pure approfittato; in fin dei conti ha ventotto anni, e chi non si vuole divertire alla sua età? Nessuna di queste avventure ha però avuto un seguito. La madre lo rimprovera che sarebbe il caso di mettere la testa a posto ma per ora non vuole un rapporto stabile. Troppe rogne. In fin dei conti di ragazze ne frequenta e ne ha frequentate, nonostante ciò nessuna di loro ha lasciato in lui un segno e probabilmente, per il tipo di impegno che ci mette nei rapporti, nemmeno lui in loro. «Sì, era una chiamata per l’impiego da cameriera» Sally risponde con un cenno della testa. «La ragazza non è di qui, ma dice che arriverà a giorni, le ho detto di passare al locale. Pensa di trasferirsi ad Andersonville». Alza le spalle e prosegue a lavare l’insalata. Se c’è una cosa che le riesce bene è continuare a parlare senza interrompere quello che sta facendo, tenendo sotto controllo la situazione. Peter ritiene che probabilmente questa sia una caratteristica delle donne in generale, ma smette di rincorrere quel pensiero e se lo tiene per sé. Dunque si presenterà un’altra candidata di lì a poche ore. Perfetto, tanto sa già come andrà a finire: un colloquio; una prova per la buona impressione e dopo due giorni la rinuncia al posto perché non si concilia con le proprie necessità. È che sua madre ha bisogno di una mano, ormai gli anni avanzano e la vede spesso stanca alla sera, quando chiudono il locale e contano i soldi in cassa. Certo, quelli non sono un problema. Sono sempre riusciti a sopperire a tutte le spese, si sono persino comprati la casa in cui vivono da quando è nato. Il signor Johnson aveva fatto loro a suo tempo un’offerta che non hanno potuto rifiutare e grazie al lavoro e a qualche risparmio è diventata loro a tutti gli effetti. Pagano sempre tutte le bollette, assolvono ogni tipo di scadenza, senza però permettersi molti lussi; non ricorda da quanto tempo non si concedono una vacanza. Peter sospira e sistema il fusto, facendo poi uscire un po’ di schiuma in un bicchiere.

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«In ogni caso mamma quando troveremo finalmente qualcuno che ti possa sostituire almeno qualche ora, ti prenderai una pausa». «Di cosa state parlando? Quale pausa?» chiede Jeffrey al banco dopo aver ordinato il piatto della casa. È seduto di fronte a loro con una camicia di jeans coperta da un pesante pile e i capelli scuri corti e mossi. Il sopracciglio alzato e le orecchie tese ai loro discorsi. «Una pausa da tutto. Un po’ di riposo insomma. Mia madre ne ha bisogno». Peter si avvicina a Jeffrey porgendogli una birra. «Già Sally, direi che è una buona idea, anzi un’ottima idea!» risponde lui levando il bicchiere nella sua direzione. Jeffrey si è sempre preoccupato per Sally ma non lo ha mai dato a vedere e lei non se ne è mai accorta. «Mio figlio è troppo in pensiero per me. Io sto benone. Davvero, dico sul serio. E poi a casa non saprei cosa fare». Sally alza le mani cercando di essere più convincente. Jeffrey inarca un sopracciglio e commenta con una frase fatta del tipo che le donne hanno sempre qualcosa da fare a casa; almeno così diceva la sua vecchia. E quanto gli piacerebbe avere Sally nella sua casa, l’ha sognato spesso in realtà. Ma anche questo a lei non lo ha mai confidato. «Questa è la mia casa!» ribatte lei indicando il pub intorno a loro. Con ciò Sally liquida la questione e si allontana. Jeffrey invece rimane a parlare con Peter prima di tornare al lavoro. Conosce quel ragazzo da quando era poco più che un bambino e gli è particolarmente affezionato. Jeffrey per Peter e Sally è uno di famiglia. Si sente vicino a loro e in tutti questi anni ha cercato per quanto possibile di dare una mano. Ha scoperto che ciò che prova per la madre di Peter è più che un senso di amicizia o fratellanza, ne è innamorato. Sul serio. E quella pausa pranzo in cui si reca al locale non è un semplice riempitivo dello stomaco ma una scusa bella e buona per stare con lei. Per vederla anche solo per poco o scambiarci due parole. A volte ha pensato di provare a esternarle la matassa intricata di sentimenti che si tiene dentro da tanti anni ma non ne ha mai avuto il coraggio. Riderebbe di lui? Lo prenderebbe sul serio? Per Sally lui è solo Jeffrey, l’amico di famiglia, una figura costantemente presente e disponibile al momento del bisogno. Non che Sally sia una persona egoista, non si è mai approfittata di lui, tutt’altro. Solo che Peter teme che se intuisse la profondità dei suoi sentimenti, si allontanerebbe. Questo lo spaventa

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parecchio, così lascia perdere e si accontenta di quello che ha. Non è mai riuscito a comprendere come quel bastardo possa essersene andato un bel giorno all’improvviso lasciandola lì da sola con il figlio. Quale uomo farebbe una cosa del genere? Forse un uomo mancato, un uomo a metà. Allontanandosi da lei l’ha resa però completa, più forte e determinata. All’epoca – da quello che Jeffrey ha potuto capire – i due erano molto giovani e Sally non aveva ancora trovato se stessa. Nel corso del tempo si è definita come donna, ha realizzato la propria vita lontano da lui e dalla sua mancanza di amore e attenzioni. Sally ha capito che poteva benissimo andare avanti senza quell’ombra al suo fianco, ha ritrovato un equilibrio e ora Jeffrey preferisce rimanere al proprio posto per non rischiare di farla di nuovo vacillare. Tante volte però ne è ancora tentato, desidera così tanto sapere cosa potrebbe succedere se si avvicinasse a lei. Ma se Sally nel corso degli anni vissuti ha raccolto tutti i pezzi di se stessa, impilandoli successivamente con cura e delicatezza per tentare di sostenere tutta la propria persona, e Jeffrey facesse crollare all’improvviso con un tonfo sordo l’intera impalcatura a causa di un involontario ma brusco movimento falso? Non riuscirebbe mai a perdonarselo. Volge lo sguardo al locale per riuscire a scorgere qualche faccia conosciuta, qualche possibile chiacchiera da intavolare che lo distolga dal bisogno quasi vitale di entrare nella vita di quella donna e farne parte. Meglio che Sally rimanga in cucina il più possibile, meglio sia per lui che per lei. Nota il viso di alcuni clienti intenti a proseguire in una anonima conversazione sul tempo e sulla giornata lavorativa. No, non ha intenzione di avvicinarsi a quelle persone. Gli rivolgerebbero domande riguardo i progetti che sta portando a termine in questo periodo, ma non è in vena di pensare a case e ristrutturazioni. Vuole staccare. Peter è comunque impegnato, non può trattenerlo. Finisce il pranzo, lascia una banconota da venti sul tavolo e con un cenno di saluto esce dalla porta. Peter lo vede allontanarsi e gli risponde di rimando con la mano per poi tornare a discutere con Michael, che è entrato da poco. L’amico passa spesso di lì all’ora di pranzo e si intrattiene prima di tornare in ufficio. Scambiano qualche parola sul weekend da organizzare, ma i discorsi non vanno mai oltre. Michael è un compagnone, uno con cui fare tardi alla sera, passare ore insieme discutendo del più e del meno, soprattutto del meno che del più. Della superficialità dell’amico non se ne è mai preoccupato più di tanto, non è un problema suo. Piuttosto è una questione

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delle ragazze che frequenta. Il rapporto d’amicizia tra Peter e Michael si potrebbe definire come il galleggiare di alcune gocce d’olio sulla superficie dell’acqua: sono lì, presenti sempre e comunque, ma non scendono a un livello più profondo, non condividono molto assieme, non ci provano nemmeno. In fondo Peter ritiene di non aver mai avuto rapporti che andassero al di là del primo strato se non con Jeffrey e alcuni amici con cui ha condiviso gli anni più belli del liceo. Si ritrovavano a discutere di molte cose, partendo magari da ciò che avevano studiato quel giorno particolare o prendendo spunto semplicemente da idee che nascevano da una riflessione intavolata dal professore in classe, inerenti l’origine del mondo, il senso dell’essere, la fede o meno in dio e cosa si aspettassero dal proprio futuro. La passione per la fotografia l’ha sempre portato a viaggiare e conoscere con occhi attenti e curiosi ogni mondo che ha visitato. Certo, quando era giovane era più libero e indipendente, rendeva conto solo a se stesso e alle proprie aspettative. Ora da adulto, dopo aver preso la decisione di fermarsi e rimanere accanto alla madre nella gestione del locale, ha meno tempo da dedicare a questa sua inclinazione; ma va bene così. Sorride all’idea di discutere del Simposio di Platone con Michael (d’altronde ha avuto modo a suo tempo di conoscere, anche se involontariamente, le sue idee circa l’amore e l’eros) o dell’esistenza effimera del nostro tempo. Già se lo vede, l’amico. Annuirebbe semplicemente risparmiando commenti personali, visto che non ne elaborerebbe nemmeno uno; non certo per incapacità o mancanze intellettive quanto per un semplice e genuino senso di pigrizia. Dopo di che si porterebbe il boccale alle labbra brindando alla sua salute. Con gli amici del liceo Peter si sente spesso per telefono, ma suo malgrado le loro strade si sono separate. Alcuni hanno cambiato città, se non addirittura Stato; altri dopo la laurea hanno intrapreso professioni che li hanno portati lontano. Altri hanno messo su famiglia, cambiando stile di vita. La situazione con Jeffrey è singolare. Sono sempre stati uniti in un rapporto padre-figlio pur non essendoci tra loro nessun legame di sangue. Certo con lui non ha mai intavolato argomenti pregnanti che li abbiano portati a riflettere sul significato delle idee in senso platonico o sulle principali strutture su cui si fondano i valori umani; comunque si sono spesso confrontati su questioni politiche o di attualità. Ma ciò che li lega è più una faccenda affettiva, sapere che l’uno c’è per l’altro nel momento del bisogno.

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Una volta finita la scuola, interrotti gli studi, ha abbandonato un po’ la propria vena idealista per immergersi nella quotidianità del lavoro e delle responsabilità più concrete. Il senso del dovere è forte in lui, non può negarlo neppure a se stesso. Dedica anima e corpo a ciò che fa e in effetti il locale è uno dei più frequentati della zona. Ha pensato così di equilibrare il tutto compensando la sua dedizione con uno stile di vita spensierato che lo porta a ricercare soprattutto divertimento nel tempo libero e a mantenere viva la sua parte indipendente, a cui non rinuncerebbe per niente e per nessuno. Con suo padre il rapporto è tale e quale a quello con Michael: un galleggiare di gocce d’olio sull’acqua, ma va bene così a entrambi per fortuna. Non ha mai stimato particolarmente Eric e non intende gettare le basi per un rapporto di parentela a tutti gli effetti. È già tanto che abbiano mantenuto i contatti, visto come se ne è uscito dalla vita di sua madre, senza fare rumore ma lasciando molti cocci lungo la strada. Sally ci ha sempre tenuto che si frequentassero e lui l’ha assecondata per il semplice fatto che a lei glielo deve; è sua madre e ha rinunciato a tutto per lui. Una madre esemplare, presente e paziente. Era giovane quando è rimasta sola ma non ha mai preso in considerazione di metterlo il secondo piano per rifarsi una vita. Tutt’altro. Il minimo che Peter possa fare è esaudire il suo desiderio.

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Capitolo quattro

«L

ucy, grazie mille per avermi accompagnato fin qui. Non so come avrei potuto fare altrimenti con questi bagagli» dice Sarah all’amica abbracciandola davanti alla macchina accesa, accostata sul lato della carreggiata. C’è molto traffico adesso e non sono riuscite a trovare un buco per parcheggiare. Sarah si domanda dove se ne vada tutta la gente a quest’ora. Consiglierebbe loro di rilassarsi un po’ tra le mura delle loro case, magari attardandosi a preparare il pranzo. «Non devi preoccuparti per questo, non avrei potuto farti partire da sola. Anzi, a essere sincera sono preoccupata per te, dove andrai, come ti manterrai?». Lucy la interroga corrugando la fronte; sia per la perplessità che per cercare di trattenere quei pensieri negativi che rischiano di minare la fiducia che ripone insensatamente nella nuova avventura dell’amica. «Un lavoro lo troverò, non preoccuparti». E invece Lucy si preoccupa, e non poco. Anche i suoi genitori non hanno accolto di buon grado la decisione di Sally, ma si sono fatti da parte nel rispetto delle sue intenzioni e della donna che è diventata. «È che è tutto così incerto, non devi andartene per colpa di quello stronzo. Lasciare tutto per cosa?!» le chiede Lucy guardandola con i suoi occhioni verdi, lucidi per le lacrime trattenute; con le mani sulle spalle di Sarah nell’ultimo tentativo di trattenerla. A suo tempo era stata tentata di seguire l’amica, ma poi ha rinunciato. Troppe cose da lasciare. E poi da qualche mese frequenta qualcuno e sembra andare tutto a gonfie vele. Sarah guarda l’orologio: purtroppo il momento dei saluti è arrivato. Abbraccia l’amica e le trema un po’ il labbro, così nasconde il viso nei capelli, celando anche tutto il resto.


«Ti chiamo appena arrivo, ti chiamo ogni giorno! E quando mi sarò sistemata mi verrai a trovare, magari passeremo insieme le vacanze di Natale, che ne dici?». Sarah ha la voce che trema, non vuole però fare preoccupare l’amica più del necessario. Deve farle credere che il suo turbamento sia dovuto a questa storia dei saluti e all’emozione del momento e non alla preoccupazione di affrontare tutto da sola; così, tanto per darsi la possibilità di convincersene lei stessa. «Ora vai, il tipo lì dietro che ti aspetta in macchina è da un po’ che ti suona». «Dì che vada a farsi fottere, stronzo pure lui!». Un ultimo abbraccio, la promessa di sentirsi presto e la macchina di Lucy si allontana; a Sarah non rimane che sedersi e aspettare il pullman, il passaggio per ciò che verrà. In poco più di dieci minuti il mezzo arriva, si ferma sbuffando di fronte a lei e spalanca le porte; è un invito a prendere coraggio e partire. È sola alla fermata, così l’autista scende e si prende la briga di aiutarla a caricare i bagagli. Sarah lo ringrazia, sale e si siede all’interno. Pochi minuti dopo il mezzo riparte immettendosi sulla strada verso l’Interstatale 80, direzione Nebraska. Osserva Andersonville allontanarsi, con i palmi aperti sui vetri un po’ appannati; un giorno sicuramente tornerà in quel posto. Cuffie alle orecchie, stretta nella giacca per il freddo che ha trattenuto durante l’attesa, si perde nei pensieri e poi si addormenta. Il viaggio certo è lungo, più di otto ore abbondanti; il pullman fa alcune soste per permettere a lei e ai passeggeri che sono saliti alle fermate successive di sgranchirsi un po’ le gambe e per fare rifornimento. Sarah ne approfitta per infilarsi in un bar a bere qualcosa di caldo e mangiare un panino; ultimamente ha sempre fame e un panino a quest’ora è ciò che ci vuole. Le strade si susseguono e corrono veloci e il cielo di fine ottobre è nuvoloso ma non lascia andare nemmeno una goccia di pioggia; questo rende le temperature più basse e l’atmosfera più cupa. Meno male che si è portata in valigia diverse felpe pesanti. Intanto che il pullman è impegnato in un sorpasso con un furgone, a Sarah sembra di avere a disposizione tutto il tempo di questo mondo. Forse un po’ di tempo può prenderselo pure lei, così rimette le cuffie alle orecchie, si alza la sciarpa sul volto e con la testa appoggiata allo schienale si addormenta. Quando si sveglia, ciò che vede davanti ai suoi occhi la lascia perplessa. Sapeva che si sarebbe diretta in un paesino di poco più di seimila abitanti, ma accidenti qui sembra di essere nel centro del nulla! Aveva sentito

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diversi anni fa in televisione (era una bambina allora) che nei pressi di Waverly era stato avvistato un pittogramma a forma di manubrio in un campo di grano. Aveva chiesto spiegazione a sua nonna naturalmente e lei aveva risposto che erano tutti supposti ritrovamenti di segnalazioni che testimoniavano la presenza di oggetti non identificati: pensavano insomma che di lì fosse passato un ufo. La nonna aveva liquidato la questione con un cenno della mano seguito da un ghigno scherzoso, così da dichiarare la propria incredulità a tutte quelle fantasticherie che ogni tanto si sentivano nei programmi serali. Ora Sarah guardandosi intorno pensa che ci voglia molta fantasia per movimentare le giornate in quei luoghi deserti e sconfinati. Forse quello era stato uno dei tanti modi. In lontananza scorge campi sterminati resi aridi dal rigido inverno e fattorie che sembrano abbandonate; la vita in ottobre inoltrato si svolge soprattutto al loro interno. Scende dal pullman e chiede informazioni per il motel più vicino; ha bisogno di una bella doccia calda e di un letto comodo. Inoltre il viaggio le ha procurato anche un fastidioso senso di nausea; ci vuole una camminata all’aria aperta. Ma come fare con i bagagli? Decide così di chiamare un taxi e raggiungere l’indirizzo indicatole dall’autista. Prima è meglio sistemarsi in camera, la passeggiata può aspettare. Arrivata in albergo, appena apre la porta della stanza storce un po’ il naso, sospira ed entra richiudendola con un calcio. La camera è assai spartana. Un letto a una piazza con a fianco un comodino essenziale in legno chiaro e una lampada di carta posata sopra. Sulla parete all’altro lato c’è un piccolo armadio a due ante, sempre in legno chiaro. Nel bagno un lavandino con mobile contenitore e una doccia; sul lavandino è affisso un piccolo specchio rettangolare. Si butta sul letto e afferra il cellulare per informare Lucy che è arrivata. Le manda un messaggio e la chiamerà dopo; sorride perché la immagina fissare lo schermo spazientita, dato che si aspetterebbe come minimo due parole da lei, anticipate magari da un saluto. Ma la conosce, sa che Lucy non chiamerà per prima; non certo per orgoglio ma per un profondo rispetto dei suoi tempi e dei suoi spazi. In ogni caso Sarah non ha un granché da raccontare per ora. Un rumore sordo attira la sua attenzione, un tonfo seguito da qualche imprecazione. Poi delle urla. Si mette seduta e tende l’orecchio: sono due le voci ora a cui presta più attenzione. La classica coppia di vicini incazzati e litigiosi. Accende la televisione e alza il volume. È stanca, prima di addormentarsi sul letto pensa di farsi una doccia, poi si collegherà a Internet e cercherà qualche appartamento nei dintorni.

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Capitolo cinque

«M

i scusi signore, potrebbe darmi un’informazione?». «Certo ragazzina, se posso esserti utile…» risponde Jeffrey preso alla sprovvista mentre si accinge a salire sul furgone. In effetti Sarah a una prima occhiata dimostra meno anni rispetto alla sua età. I lunghi capelli castani su cui è calata una cuffietta grigia e lo sguardo di chi non sa precisamente dove andare la dicono lunga sulla sua giovinezza; sotto alla giacca invernale spuntano due gambe esili non troppo lunghe, ricoperte da un jeans chiaro consumato. Le Converse lilla ai piedi confermano l’idea che Jeffrey si è fatto all’istante di lei, cioè che sicuramente non è del posto. A quest’ora da quelle parti la gente del paese è in giro con gli scarponi da neve, giusto per difendersi dal freddo. Non ha mai visto quella ragazza prima d’ora, e in paese si conoscono praticamente tutti: meno di settemila anime che condividono una quotidianità che in una grande città potrebbe quasi pesare, ma che in quella valle familiare è quasi una piacevole routine. «Avrei bisogno di raggiungere il pub di Sally, ho un colloquio fissato per questa mattina ma non so come arrivarci… cioè, la proprietaria mi ha fornito indicazioni per telefono, ma non sono di qui e…». Come immaginava. Jeffrey sembra avere un sesto senso per queste cose e di solito al primo impatto riesce a capire chi ha di fronte. «Sei fortunata ragazzina, sto andando proprio là in questo momento. Ti posso dare un passaggio, non è molto distante ma a piedi ci impiegheresti comunque tanto tempo e arriveresti di certo troppo affamata per affrontare un colloquio». Jeffrey si gratta il mento e sorride, si sistema il berretto e con la testa le fa cenno di seguirlo.


Il tipo sembra simpatico, un uomo di mezz’età che potrebbe essere coetaneo di suo padre… se fosse ancora al mondo. Il sorriso aperto e gioviale la convincono ad accettare l’invito. «Se non le è di troppo disturbo grazie, accetto volentieri». Lui le prende la valigia e la carica nel retro dell’abitacolo. Sarah sale sul furgone dopo che Jeffrey le apre la portiera e partono, tra qualche scoppio e scossone. L’uomo con la coda dell’occhio nota Sarah trasalire. «È vecchio questo furgone, non ci badare… ma finché fa il suo dovere non ho nessuna intenzione di cambiarlo». Il fatto è che Jeffrey si affeziona alle cose quasi quanto alle persone; quel camioncino ha condiviso tante avventure con lui, molti viaggi sia di lavoro che di piacere, e non ha mai pensato di liberarsene. Ci ha caricato spesso anche Peter, quando da ragazzino doveva raggiungere la palestra per l’allenamento o il campo per la partita. «Di dove sei, ragazzina?» le chiede a un certo punto, abbassa il volume della radio e si prepara ad ascoltare la risposta. «Non sono una ragazzina… ho ventiquattro anni. Ma non si preoccupi, tutti mi dicono che non li dimostro». In effetti quel viso acqua e sapone lo ha ingannato. «Vengo da Andersonville…». Sarah non è proprio dell’umore per affrontare una conversazione. Ha dormito male al motel per colpa dei vicini rumorosi e un po’ alticci; inoltre l’adrenalina accumulata negli ultimi giorni e la tensione per quella nuova situazione hanno fatto il resto. Jeffrey emette un sonoro fischio. «Wow ragazzina, ne hai fatta di strada… e i tuoi cosa dicono? Non sarai per caso scappata di casa, vero?». Jeffrey alterna lo sguardo da lei all’asfalto, chiedendosi se abbia imboccato la strada giusta non certo verso il locale ma nei confronti della sua compagna di viaggio. Non ci tiene a essere coinvolto in possibili diatribe famigliari, soprattutto se riguardano un cattivo rapporto tra genitori e figli. Non ha esperienza di queste cose e non vuole passare per l’alleato di una fuggitiva e schierarsi magari dalla parte sbagliata. «Veramente no… i miei sono morti cinque anni fa in un incidente stradale…». Sarah si volta verso il finestrino. Preferisce vedere il panorama piuttosto che sostenere uno sguardo di rammarico.

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«Oh mi spiace davvero… ma non ti è rimasto proprio nessuno laggiù? Qualche zio o qualche nonno…». Jeffrey sembra sinceramente dispiaciuto e Sarah lo capisce d’istinto. Solitamente detesta le espressioni compassionevoli che seguono ai racconti della propria vita, ma in questo caso è diverso. «No… veramente i miei erano figli unici… la nonna se ne è andata lo scorso anno». Accidenti. La vita a volte sa essere proprio ingiusta. Jeffrey di questo ne è sempre stato convinto e ora, dopo il racconto della ragazzina forestiera, ancora di più. Non è mai stato bravo con le parole, ma qualcosa deve pur dire. Sceglie di sdrammatizzare e di essere diretto per toglierla dall’imbarazzo in cui l’ha suo malgrado condotta e in cui è precipitato pure lui. «Beh ragazzina… non tutti i mali vengono per nuocere. Avrai modo di assaggiare la bistecca più buona di tutto il paese, e se sarai fortunata e verrai assunta potrai farlo ogni giorno». E con questo Jeffrey cerca di colmare il pozzo di silenzio in cui per pochi attimi sono precipitati. Alza il volume della radio e dà gas al furgone, sperando di raggiungere il prima possibile la destinazione. Sarah lo guarda con la coda dell’occhio e pensa che in fondo è un brav’uomo, che ha fatto bene a fidarsi di lui e salire su quel mezzo scalcagnato. Magari potrà mettere una buona parola per lei con la padrona, se la conosce abbastanza da dispensare consigli di quel tipo. Dopo venti minuti circa giungono a destinazione. Il pub di Sally a una prima occhiata sembra una grande baita più che un ristorante; l’insegna scolorita che fa capolino dal tetto spiovente sta a indicarne la presenza in modo discreto. Sicuramente se lavora tanto è perché si è fatto una clientela numerosa nel corso degli anni; la gente si reca lì a pranzo perché è sicura di mangiare bene, questo è certo. Jeffrey le apre la porta del locale e la fa entrare per prima; il campanello avverte della loro presenza. Nell’aria si espandono le note di una vecchia canzone dei Bon Jovi, al bancone c’è un ragazzo che dà loro le spalle; Jeffrey richiama la sua attenzione. «Peter, guarda chi ho qui…». Peter si volta e subito scorge accanto al volto familiare quello di una ragazza dai grandi occhi castani, con lunghi capelli e una cuffietta in testa. La carnagione è pallida, e accidenti avrà sì e no vent’anni. Sarah deglutisce e si sente presa in contropiede senza capirne il motivo. Non

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si aspettava di certo di ritrovarsi davanti un tipo del genere. Spiazzante, senza ombra di dubbio. I capelli sono di un biondo cenere, un po’ lunghi e legati in una crocchia dietro alla nuca; gli occhi sono azzurri, ma un azzurro intenso che la fa arrossire all’istante. A una prima occhiata sembra che Peter frequenti la palestra in modo assiduo, visto come riempie le maniche della camicia; oppure è solamente il lavoro o lo stile di vita che conduce. Fatto sta che è un ragazzo notevole, il viso è perfetto con il naso proporzionato e la bocca non troppo sottile né carnosa. Un filo di barba leggero ricopre il volto. Peter incrocia le braccia al petto e la squadra dall’alto al basso. A parte la prestanza fisica non sembra avere altri pregi, visto che ha già assunto l’aria da persona antipatica e arrogante. Deve stare alla larga da lui. Prende coraggio e si presenta. «Salve sono Sarah, avrei bisogno di parlare con la signora Sally, la proprietaria…». Tende la mano verso il ragazzo, ma lui non ricambia il gesto. In compenso la accoglie con un sorriso strafottente e si gratta il mento prendendosi un po’ di tempo prima di rispondere. «So chi è la signora Sally, è mia madre… come mai hai bisogno di lei?». Sarah pensa che non sarebbe potuto andare peggio di così. È il figlio della proprietaria! Si convince del fatto che sia possibile provare antipatia a prima vista, almeno nel suo caso. «Avrei un colloquio con lei…». Il ragazzo la fissa con presunzione, con quegli occhi azzurri chiari e nemmeno troppo calorosi. Le labbra sono imbronciate e su di esse sfugge una ciocca dalla piccola crocchia che trattiene i capelli dietro la nuca. Lo sguardo di Sarah cade ancora una volta sulle sue spalle. Certo sono notevoli, sarà forse dovuto ai frequenti cambi dei fusti di birra, necessari in quel locale. Comunque non è proprio il suo tipo. Nessun uomo dopo Richard a essere sinceri lo è mai stato; ce l’ha stampato in fronte e se ne va in giro orgogliosa esibendo quella scritta incisa a fuoco sulla pelle. La ragazzina, pensa Peter, non sembra promettere nulla di buono. La classica cittadina dalle manine fatate. Certo è carina, e ha una bocca a cui in questo momento non vuole pensare cosa potrebbe farci; gli occhi poi sono scuri e grandi e il nasino sembra dipinto a mano. Ma quello sguardo imbambolato che cerca di sostenere il suo non sembra appartenere a una tipa sveglia adatta a quel genere di lavoro. Proprio per niente.

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«Sai spillare una birra?» chiede guardandola dall’alto al basso. Tiene ancora le braccia incrociate sul petto e la mette di proposito a disagio. Lui stesso non ne è particolarmente fiero, ma non può farci niente. È partito male e deve proseguire in quel modo. «Prego? Cosa…». Sarah pensa che se crede di metterla in difficoltà con quel suo atteggiamento odioso e saccente si sbaglia di grosso; lei ha un colloquio con la signora Sally, non con questo essere scemo tutto muscoli e niente cervello che sicuramente sarà cresciuto tra vacche e fusti di birra. Non lo conosce, ma la prima impressione è chiara e lei non sbaglia mai in queste cose. O quasi mai. L’esperienza vissuta con Richard d’altronde le ha insegnato a tenersi in guardia, in generale. «Spillare una birra… preparare birra a un cliente insomma… lo sai fare?», ripete Peter agitando le mani e roteandole come volesse fare breccia nel suo imbarazzo. Jeffrey si sente in dovere di intervenire. «Sicuramente potrebbe imparare, insomma sembra sveglia la ragazza… dalle tempo!». Sarah alza il mento verso di lui in una sfida aperta. Non ci sta a farsi trattare come una stupida che non sappia nemmeno il motivo per cui si trova lì. «Se hai imparato tu, posso sicuramente farlo anche io!». Le sfugge questa provocazione e si mangerebbe la lingua per questo, non può rovinare tutto proprio ora visto che se lavorerà per sua madre lavorerà pure per lui; in qualche modo deve tenerselo buono. Cerca suo malgrado di non far trapelare il subitaneo pentimento, che sente già colare dai pori della pelle in un sudore freddo. Deve riuscire nell’intento di scoraggiare il tipo e indurlo a cambiare atteggiamento, ma quanto pare è proprio stronzo così come le è subito apparso visto che non ha cambiato di una virgola la sua espressione e che cerca di tenerla intrappolata in quella sfera di soggezione il più a lungo possibile. Continua ad ammirarla curioso di conoscere la sua prossima mossa, come un insetto fatto prigioniero in un bicchiere capovolto, in piedi sulle proprie zampe ma a corto di ossigeno. Nota che un fugace lampo di interesse attraversa lo sguardo di Peter, ma solo per un breve istante. Non le interessa saperne il motivo, le importa solamente di ottenere il posto. «Bene bene, anche spiritosa a quanto sembra… Mamma, guarda chi abbiamo qua, la ragazza che aspettavi per il colloquio!».

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Peter si volta e sparisce in cucina, certamente la cosa migliore che possa fare adesso. Sarah ne approfitta per tirare un profondo respiro e stringere gli occhi, che cominciano a bruciare. Non è più sicura di aver fatto la scelta giusta a lasciare tutto e trasferirsi qui. «Peter è un bravo ragazzo, non è scontroso come sembra» lo giustifica Jeffrey a bassa voce. Lo conosce da una vita e sinceramente non capisce questo suo atteggiamento. Sarà forse prevenuto a causa di tutto il personale che ultimamente hanno provato; ma in fondo sa che non è per quello, o meglio non è il motivo principale. Sembra quasi che abbia voluto confrontarsi con la ragazza in una sfida insensata e immaginaria, per dimostrare cosa è ancora da scoprire. Dalla porta dietro al bancone compare Sally, che la accoglie in modo più affabile rispetto al figlio. È una signora sulla cinquantina, bionda, occhi chiari come Peter e capelli legati in una coda approssimativa. Si pulisce le mani nel grembiule e si presenta. Una bella signora a una prima occhiata, che sembra però non badare a cose superflue come l’apparenza. Sul volto traspare lo sguardo di una donna aperta e cordiale, ma anche una certa stanchezza che non si premura da un po’ di nascondere. «Ciao tu devi essere Sarah, giusto? Per fortuna sei arrivata. La ragazza che avevamo preso in prova solo ieri questa mattina ha chiamato per rinunciare al posto. Ha trovato qualcosa più vicino a casa, dice». Finalmente una buona notizia, pensa. «Ah, perfetto. Io pernotto al Travelodge hotel, una mezz’ora circa da qui; è stato il signor Jeffrey a darmi un passaggio». Sally volge lo sguardo verso di lui e gli fa un cenno con il capo in segno di ringraziamento. Jeffrey annuisce e sorride. Sebbene ricerchi spesso quel tipo di sguardi negli occhi di lei, è difficile che la cosa accada. Forse perché è sempre impegnata, o semplicemente perché lei non tiene a lui come lui a lei. È da una vita che frequenta quel posto, ne ha seguito ogni cambiamento dall’arredamento al personale, ed è stato testimone indiretto di quello che succedeva mano a mano nella vita di Sally e di quel ragazzo. Per loro c’è sempre stato, ma lei – sempre sulle sue – sembrava non essersene accorta davvero, o non vi ha mai dato peso. «Ho presente, c’è un McDonald’s nelle vicinanze, vero?» chiede Sally alla ragazza. Sarà meglio che si trovi un alloggio alla svelta, riflette Sarah tra sé per un momento, altrimenti quel soggiorno diventerà molto dispendioso.

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Certo, se verrà assunta guadagnerà quel tanto che basta per mantenersi, ma per una giovane donna della sua età è sempre meglio avere una dimora fissa che dormire ogni notte in un motel frequentato da chissà chi. «Veniamo a noi, non so se tu abbia esperienza, in ogni caso cerchiamo principalmente una cameriera che serva le ordinazioni ai tavoli e che dia anche una mano in cucina. Cominciamo al mattino alle sei con le colazioni, proseguiamo preparando il pranzo; l’orario tra mezzogiorno e le due è il più frequentato. Il tuo turno termina per le quindici del pomeriggio. A volte, se c’è qualche festa, abbiamo bisogno anche alla sera; ma di solito è Peter che si ferma a quell’ora». Solo in quel momento Sarah si accorge della presenza di Peter, che la fissa senza convinzione appoggiato con la spalla alla parete e le braccia conserte, un atteggiamento di sufficienza che l’ha già esasperata. Prova a non farci caso e rivolge le sue attenzioni a Sally. Dare adito a come la fa sentire Peter in questo momento rischia solamente di minare la fiducia e la stima che ripone in se stessa: anni e anni di lavoro andati in fumo nel giro di un quarto d’ora… non ne vale proprio la pena. «Peter, mostra a Sarah il locale, la cucina e il magazzino per piacere. Devo fare una telefonata». Peter non sembra molto entusiasta della cosa, comunque per fare un piacere alla madre acconsente. Hanno bisogno di qualcuno che dia loro una mano, ma quella ragazzina prima gli ha risposto per le rime e non promette niente di buono. Forse non aspetterà il giorno successivo, forse la sera stessa chiamerà per informare che ha rinunciato al posto. Con un colpo di reni si stacca dalla parete e con un cenno le intima di seguirlo. Percorrono un lungo corridoio che termina con una porta, la quale ha accesso alle scale che portano al magazzino. Qui sono stipati centinaia di fusti di birra, casse di vino, enormi scatoloni contenenti vari tipi di alcolici e succhi di frutta, scaffali pieni zeppi di generi alimentari a lunga conservazione; il tutto perfettamente impilato e inserito in ripiani capienti. C’è anche un enorme congelatore, sicuramente per conservare i cibi freschi. Se Peter si occupa di tenere ordinato quel magazzino, ora si spiega come faccia a sembrare tanto in forma. Lui comincia senza nemmeno guardarla in viso a elencare le cose presenti e le spiega dove trovare scorte di tovaglioli e tovaglie di plastica, cannucce, carta da cucina, grembiuli e quant’altro. Sarah prende nota di quelle informazioni date alla spicciolata e alza gli occhi al cielo ogni qual volta lui cerca di metterla a disagio con un atteggiamento alquanto seccato.

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«Ora hai visto dove teniamo tutte le cose… se hai bisogno chiedi. I primi tempi starai a servire in sala, preparerai i tavoli per colazione e pranzo e riordinerai». Lui guarda il pavimento con le mani in tasca, poi solleva il viso e la fissa dritto negli occhi. Si morde l’interno del labbro inferiore e accartoccia il mento in un’espressione perplessa. Sarah deglutisce di nuovo. Peter lascia andare uno sbuffo e si sente in dovere di esternare ciò che gli passa per la mente, questa volta senza essere troppo ruvido. «Senti… non è per scoraggiarti, ma… se pensi che questo lavoro non faccia per te, non hai che da dirlo, insomma sei libera di accettare o rifiutare…». Sarah stringe i denti e pure i pugni nelle tasche. Cerca di controllare la reazione questa volta, in fondo Peter sarà il suo datore di lavoro. «Non c’è problema, davvero… sono interessata a provare…» si limita a rispondere scuotendo leggermente la testa. Peter toglie le mani dalle tasche e le fa strada verso l’uscita, poi spegne la luce e richiude la porta. Risale le scale senza aspettarla, dopo di che apre la porta e ritorna al locale. Sarah si ferma un attimo… si guarda intorno e ancora la assale la fastidiosa sensazione di stringere forte gli occhi, che cominciano a bruciare. Prende un bel respiro e rientra anche lei. Per fortuna Sally la chiama dalla cucina, così le evita di tornare in compagnia di Peter e di sentirsi ancora una volta fuori posto. Trova la donna intenta a friggere patatine e grigliare costate sull’ampia piastra che troneggia al centro del piano cottura. Sally indossa un cappellino bianco per tenere i capelli a posto e smuove con vigore le patate nell’olio bollente così che non si attacchino. Le spiega che in questi giorni che la friggitrice è fuori uso e sta adoperando una profonda e capiente padella; nel pomeriggio Peter si recherà in paese a ritirare la friggitrice nuova. Il segreto è usare molto olio, così che la frittura risulti omogenea; il contenitore viene in secondo piano, prosegue Sally. I clienti comunque apprezzano. Il profumo che si libera nell’aria ristretta di quella stanza riporta Sarah indietro di qualche anno. Anche sua nonna le preparava le patatine nella padella, non disponendo di alcun tipo di friggitrice, e a lei quelle patate piacevano da impazzire. Era un regalo che le concedeva spesso e con qualsiasi scusa: un bel voto a scuola; la pioggia fuori in giardino che non le permetteva di

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uscire; un litigio con Lucy che andava confortato nell’immediato o una riappacificazione che andava festeggiata. Non le va però di condividere i suoi pensieri e li tiene per sé. Sally di rimando è una persona discreta e sorvola sullo sguardo distratto di Sarah, così comincia a fornirle spiegazioni circa il giorno dopo, quando comincerà il turno di prova per la sua ipotetica assunzione. Più probabile che ipotetica a essere sinceri, poiché Sally ripone in quella ragazza molte speranze; non sa darsi una spiegazione, ma pensa che sia quella giusta. I fatti parleranno. Alla sera quando si ritrova nella sala dopo la chiusura, intanto che Peter è intento a chiudere la cassa, Sally solleva le sedie sui tavoli e raccoglie con la scopa ciò che è rimasto sul pavimento. Laverà la mattina dopo, ora è stanca e vuole andare a casa. Le piacerebbe intavolare con il figlio una discussione riguardo Sarah e l’impressione che le ha suscitato condividendola con lui, ma Peter le sembra un po’ sfuggente questa sera. Che sia un argomento che voglia evitare? D’altronde è curioso che per tutta la giornata non ne abbia mai fatto accenno. In ogni caso indagherà in un secondo momento. Lo vede avvicinarsi per aiutarla a sistemare il resto delle sedie; le stoviglie sono state tutte lavate e hanno già raggruppato in una pila le tazze che serviranno ad apparecchiare i tavoli per la colazione, le zuccheriere e le bottiglie di succo d’acero, i tovaglioli e le posate. Tutto è predisposto per ricominciare da capo la mattina dopo. «Mamma ora è tutto a posto, vuoi che ti accompagni a casa? Lascia la macchina qui, la recupererai domani». Peter è di fronte a lei, le mani sui fianchi e l’atteggiamento prevenuto di chi è sul chi va là per mantenersi in allerta e riuscire a schivare un sasso o un qualunque altro oggetto lanciato a sorpresa che lo possa colpire. È pronto a evitare qualsiasi accenno a Sarah e deve prevenire i tentativi della madre di intavolare il discorso in quella direzione, perché la conosce e sa che la sua mente preme in quel senso. Non glielo lascerà comunque fare. Non vuole impersonare l’antagonista cattivo della fiaba, ma quella ragazza non ha risvegliato in lui il minimo senso di fiducia e gli dispiace in fondo togliere alla madre quel velo di speranza che ha scorto nei suoi occhi dopo solo due parole scambiate con lei. Invece Sally apre bocca ed esprime esattamente ciò che Peter aveva solo supposto le passasse nella mente. «Sai Peter, quella ragazza mi piace».

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Sally si ferma al centro della sala, di fronte a lui, e lo guarda con un sopracciglio levato in attesa di risposta. Dovrà pur dire qualcosa accidenti! Peter sbuffa mentre si riveste indossando il giaccone, prende tempo dandole le spalle. Ma lei non demorde. «Cosa ne pensi? Voglio dire, mi sembra a posto… e interessata!». Sally è sicura del fatto che Peter non possa smontare questa sua teoria, dannazione l’avrà pur vista, avrà notato anche lui le stesse cose! Peter alza gli occhi al cielo e si volta verso di lei. «Mamma, ascolta. Sarà la milionesima ragazza che abbiamo avuto modo di conoscere e sinceramente a me sono sembrate tutte uguali. Non vedo perché debba subito convincerti del fatto che lei sia quella giusta, quella adatta a sostituirci in caso di necessità quando non sappiamo ancora quanti giorni resisterà qui dentro…». «Oh Peter, piantala di essere così… devi darle fiducia! Prova una buona volta a fidarti di qualcuno nella tua vita!». Sally allarga le braccia spazientita e cerca di cambiare atteggiamento ma Peter tacitamente pensa sia tempo perso. «Mamma senti… la mia fiducia qui non c’entra niente. Ok, la proviamo e poi vediamo… ma non illuderti un’altra volta per cortesia. Forse chi ha problemi di fiducia qui sei tu. Ne hai troppa, in abbondanza, in quantità eccessiva verso tutti! Una buona volta… ti chiedo di stare con i piedi per terra!». Sally in questi particolari momenti non riesce a comprendere a chi il figlio assomigli. A lei non di certo: ha sempre visto il buono nelle persone e non si è mai tirata indietro nel giudicarle in modo positivo ancor prima di conoscerle. Poi ci avrebbe pensato la storia a darle ragione o meno. Non ha mai riscontrato questo atteggiamento cinico del figlio nemmeno in Eric. Certo lei ed Eric sono stati insieme solo per qualche anno; si chiede se non abbia avuto tempo sufficiente a scoprire altri difetti oltre a quelli che conosce già. Fatto sta che non riesce a imputare questo aspetto di Peter in nessuno di loro, come se fosse un’appendice alla sua personalità che Peter si è forgiato da solo con il tempo, non certo una cosa programmata nel suo codice genetico. Quella sera, stesa nel suo letto, Sally ripensa come al solito alla giornata scorrendo nella mente i volti di chi ne ha fatto parte. Primo tra tutti suo figlio, poi la ragazza di Andersonville, i clienti abituali e infine, come per augurarle la buona notte, Jeffrey. Sì, proprio lui.

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Non ne è sorpresa del resto. Non è la prima volta che capita sia l’ultimo suo pensiero prima di prendere sonno. Per fortuna era nei paraggi, visto che Sarah aveva bisogno di un passaggio per raggiungere il locale. Sorride di come Jeffrey in realtà ci sia sempre nei momenti di bisogno di tutti. È da anni che c’è per lei e Peter, e si sente così profondamente legata a lui. È stato un sostegno fondamentale nella sua vita e a volte si è ritrovata a sognare di averlo al fianco come compagno. L’attrazione che prova per lui è cresciuta silenziosa nel tempo, le si è insinuata sotto pelle partendo in sordina dalla punta dei piedi per attraversarla poi completamente fino a giungere a quella dei capelli. È stato nei momenti più intensi che per evitare di essere scoperta e suscitare in lui sospetti, ha distolto lo sguardo e si è allontanata, ponendo come delle barriere tra loro per rimanere nascosta e al sicuro. Cosa ne sa di quali idee gli passano per la testa, quale sia la sua opinione nei propri riguardi, se non l’abbia sempre guardata con un occhio di commiserazione, come la ragazza abbandonata con un figlio a carico. Per evitare una delusione non ha mai cercato di scoprirlo, ma spesso la sera nella solitudine del suo letto se lo domanda. Poi immagina di passargli una mano tra i capelli, ha sempre sognato di farlo, così morbidi alla vista e invitanti. Forse è quel suo essere spesso spettinato che la induce in tentazione, quell’aria ogni volta spontanea e mai premeditata; al contrario di Eric, impostato nella sua parte come in un copione. Pensa che a Jeffrey avrebbe dato volentieri una possibilità, se solo lui gliel’avesse chiesta.

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Capitolo sei

«L

ucy, finalmente riesco a chiamarti. Non ci crederai ma non ho avuto tempo fino a ora». Finalmente una voce amica. Il giro per il locale con Peter è stato tutt’altro che piacevole. Si è accordata con Sally che avrebbe cominciato il turno la mattina dopo e Jeffrey le ha dato un passaggio fino al motel. Ha fatto una doccia veloce e ha preso in mano il cellulare per chiamare l’amica e informarla delle ultime novità. «Oh Sarah, non vedevo l’ora di sentirti! Anche i miei sono impazienti di avere tue notizie. Com’è il posto? Dove ti sei sistemata?». «Per adesso pernotto in un motel, ma appena potrò prenderò un appartamento in affitto. Il paese è piccolo, poche case, qualche bottega. Domani comincio come cameriera in un pub, il “Sally”». «Wow, ti sei già sistemata allora! Sei una forza Sarah! Com’è il datore di lavoro?». «A dire il vero la padrona del locale è una persona molto gentile e si è dimostrata subito disponibile. Dice che mi aiuterà a trovare un monolocale in affitto…». «… Ma?». Lucy conosce Sarah e quel sospeso nel discorso lascia intendere che non sia tutto qui. O meglio, che rimanga da chiarire qualche questione per essere precisi. «Ma niente… è il figlio della proprietaria che mi sta proprio sulle palle. Ha cercato in tutti i modi di mettermi in difficoltà. Non sarà facile andargli a genio». Ecco, l’entusiasmo di poco prima si è lentamente spento nel ricordare quel tipo. A questo rimedia Lucy, che senza tanti giri di parole le


consiglia di mandarlo gentilmente a quel paese. L’amica la fa riflettere sul fatto che in fondo lei è assunta dalla madre, quindi non deve farsi nessun tipo di scrupolo. «Almeno che tipo è? Voglio dire, è un cesso o cosa?». Una vera amica deve informarsi anche di questi interessanti aspetti, più che altro per capire se la tortura quotidiana nel frequentare un tipo del genere valga la pena e fino a che punto sia necessario il suo sostegno. «Lucy non è questo il problema… comunque non è un cesso, ma non è nemmeno il mio tipo. Ora ti saluto, sono stanca. Domani mattina comincio alle sei». «Veramente, dopo Richard nessuno è più stato il tuo tipo. È meglio che cominci ad abbassare un po’ le pretese». Sarah pensa bene di chiudere gentilmente la telefonata. Ultimamente Lucy con la scusa che sta uscendo con Mark vede rose e viole ovunque e soprattutto storie d’amore in fase ancora larvale dietro a ogni angolo. In realtà ha solo bisogno di allontanare il disagio che la domanda di Lucy le ha provocato, più che per un reale senso di stanchezza. «Buonanotte Lucy, ci sentiamo domani». Alla televisione non danno niente, per fortuna il motel dispone di un servizio Internet gratuito così ne approfitta per aprire il portatile e navigare alla ricerca di luoghi interessanti da visitare in quel di Waverly. Tra i servizi offerti c’è pure la prima colazione al mattino, ma non si è informata a che ora venga servita. Il pullman che la porta al “Sally” passa alle cinque e trenta di mattina e si ferma proprio di fronte a quel motel. No, non pensa che farà in tempo a quell’ora a usufruire della colazione. Pazienza. Ora invece si vestirà e andrà in cerca di qualcosa per la cena. Arrivato a casa Peter getta il giaccone sul divano. Abita in un monolocale, con un divano in tessuto marrone scuro e un televisore di ultimo modello che troneggia sul tavolino di fronte; al suo fianco un’alta piantana illumina il salotto. Più in là il tavolo in mogano con le quattro sedie in plexiglas costituiscono la sala da pranzo. Dietro a esso un ampio mobile in legno scuro che funge da credenza e contiene numerose riviste, libri e foto. Al fianco, un impianto stereo con alcuni cd. Non ha ancora acquistato una libreria come si deve per sistemare il tutto, ma prima o poi lo farà. Ecco un altro vantaggio nel vivere da solo: nessuno che ti dice quando fare le cose; le fai quando ti aggrada. La camera da letto è spaziosa, e poi c’è un piccolo bagno. La cucina non la usa spesso

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se non per farsi il caffè o per la colazione. Di solito alla sera è al locale e se invece è libero mangia fuori, con gli amici. Si avvicina al frigo, lo apre ed estrae l’occorrente per prepararsi un panino. Gli capita spesso di rimediare la cena in questo modo; è lo svantaggio, o meglio il vantaggio, del vivere da solo: non rendere conto a nessuno. Apre il pc e collega con il cavetto la macchina fotografica digitale per scaricare le ultime foto scattate lo scorso weekend. Si è preso un po’ di tempo libero approfittando del fatto che ci fossero due ragazze in prova nel locale ed è partito alla volta del Sud Dakota per immortalare lungo la strada gli ammassi imponenti delle montagne rocciose. Ha approfittato di una giornata di sole ed è partito zaino in spalla seguendo la statale che l’ha condotto fin lì. I laghi in quel periodo non sono ancora ghiacciati ed è interessante catturare ogni tipo di immagine che la natura offre in questo mese di ottobre ormai agli sgoccioli. Sfida chiunque ad avanzare obiezioni sul fatto che i colori di questa stagione siano i più belli in assoluto. In quei boschi le aghifoglie sempreverdi troneggiano tanto quanto le latifoglie, con le appendici gialle aranciate. Il cielo è sempre di un grigio azzurro, un colore di passaggio, nomade, che si dilegua per acquisire una tonalità più definita all’uscita del sole da dietro alle nuvole. La luce a quel punto ti ammutolisce e ti rende quasi cieco togliendo spazio a ogni pensiero, se non quello di rimanere a osservare. Peter adora il rumore del bosco sotto lo sferzare del vento, che in determinati momenti si alza e aumenta di intensità inghiottendoti all’interno del suo vortice fatto di sibili e fruscii. Poi all’improvviso si ferma. E allora si ritrova a immortalare i paesaggi prima e dopo il suo passaggio. Non sono mai uguali: prima e dopo cambiano. Le foto che scorrono ora davanti ai suoi occhi ne sono la testimonianza; una dopo l’altra le ripercorre più volte, indeciso nella selezione. Capita a volte che il «Nature» gli richieda immagini da inserire nel numero del mese. Il direttore del periodico è un suo amico, Phil, un vecchio compagno di scuola che ha avuto il coraggio dopo la laurea in giornalismo di osare e aprirsi una redazione di sana pianta, partendo dal basso e avvalendosi dell’ausilio di altri due o tre amici. Certo la rivista ha una bassa tiratura in quanto specializzata e indirizzata a un pubblico di nicchia; fatto sta che Phil conosce Peter e il suo talento. Spesso si è ritrovato a rinfacciargli di non averlo sfruttato come si deve, relegandolo in secondo piano alla stregua di un hobby, quando potrebbe benissimo vivere di esso. Ma Peter di rimando e in modo pacato gli ha sempre risposto che non vuole fare della fotografia la sua professione. Non ci ha mai tenuto più di tanto.

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Ama immortalare ciò che vede e intende continuare a farlo senza particolare impegno, come puro e semplice piacere. Ogni collaborazione di Peter con la rivista viene comunque ben remunerata, Phil non vuole sentire ragioni in questo senso. Il lavoro va pagato, soprattutto quello buono e di valore. E il lavoro di Peter lo è. Ogni volta che il mensile esce con un suo servizio fotografico è comunque un tassello che si aggiunge alla sua autostima, e ciò è di per sé gratificante; nel corso degli anni l’ha vista spesso vacillare. È dura per lui ammetterlo, ma gli è mancato un riscontro paterno in termini di orgoglio condiviso e stima reciproca. Certo, qualche pacca sulla spalla da Eric l’ha ricevuta. Quando Peter ha terminato gli studi Eric ha persino preso parte alla cerimonia di consegna dei diplomi applaudendolo con trasporto e stringendogli la mano una volta terminato il tutto. Ma la complicità che vedeva legare i suoi amici con i loro rispettivi padri, quella per lui è sempre stata un’estranea. Un filo invisibile ma presente che gli pareva di scorgere nell’aria al loro passaggio quasi fosse teso lì, come quello di una ragnatela a legare due rami. In diverse situazioni nel corso della sua adolescenza e in età adulta poi ha sperimentato la mancanza di un consiglio, un incitamento, una motivazione da parte dell’uomo che l’ha generato. Quell’orgoglio paterno che sprona a proseguire e rassicura, quella complicità tra uomini che non ritrovi con gli amici. È un’altra cosa. Peter questo lo sa, e ammette gli sia mancata. Ha ritrovato qualcosa di simile nel rapporto con Jeffrey. In qualche modo comunque e andato avanti, è cresciuto e ora può ritenersi quasi soddisfatto di ciò che è. Salva alcune immagini tra le sue preferite e le invia alla redazione; chiude tutto e si accorge che è trascorsa qualche ora da quando si è seduto al tavolo. Non ha nessuna intenzione di raggiungere Michael e gli altri a quest’ora, non ha voglia di uscire. Ci sono volte in cui ama stare solo e questa sera è una di quelle. Inoltre rischierebbe di vedere Tina, e non è dell’umore per una scenata. La trascura, lo riconosce, ma d’altronde non è la sua ragazza e non le deve niente se non un po’ di compagnia quando entrambi la richiedono. Ha intuito che lei vorrebbe qualcosa di più ma lui non è disposto a darglielo e Tina di rimando si accontenta. Non immagina un futuro con Tina, non potrebbe. È una ragazza carina e simpatica, che galleggia però pure lei a macchia d’olio sulla sua vita e rimane lì, stesa e sempre uguale, anche con il passare del tempo: sono due sostanze insolubili, e questo in fondo lo sa anche lei.

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Capitolo sette

L

a mattina successiva quando Peter si reca al locale è all’incirca mezzogiorno. Entra e trova la solita clientela puntuale per l’ora di pranzo. Si guarda intorno e scorge Sarah intenta in una conversazione con Jeffrey. La ragazza regge in mano un vassoio con dei piatti vuoti. Con la divisa del locale bordeaux e il cappellino che le trattiene i capelli sembra ancora più giovane. Strano, pensa, trovarla ancora qui. La vede in piedi di fronte a Jeffrey, con il sorriso sulle labbra e lo sguardo interessato e attento di chi ama ascoltare. Subito un moto di stizza lo pervade. Senza motivo, senza essere in grado di darsi una spiegazione, Peter detesta il fatto di trovarla lì a suo agio in un ambiente che non le appartiene. Dovrebbe essere contento e dichiararsi sollevato del fatto che probabilmente hanno trovato la dipendente giusta. Invece ecco che il suo stupido ego maschile chiede di essere riconosciuto con prepotenza. Lui non può sbagliare giudizio circa una persona, non è mai successo e mai deve accadere! Pensava di sorprenderla in difficoltà, a correre da un tavolo all’altro per tentare di accontentare i clienti negli ordini, affannata e a disagio nel cercare di dare buona impressione di sé. Invece suo malgrado sembra padrona della situazione e per niente impacciata. Peter si avvicina, non vorrebbe nemmeno essere notato. Gradirebbe poter assumere le sembianze di un minuscolo insetto che ronza nelle vicinanze per carpire parte del discorso tra lei e Jeffrey, poi magari la tallonerebbe fino a coglierla in flagrante. Oh sì, come gli piacerebbe! L’uomo lo nota con la coda dell’occhio e sorride facendogli cenno di avvicinarsi a loro per unirsi al quadretto. Peter risponde con un’espressione un po’ rigida, a dimostrazione del fatto che sta sulle sue e non ha intenzione di farsi risucchiare dal sentimento di simpatia che Sarah è riuscita a suscitare in Jeffrey. Deve solo assicurarsi che le cose procedano bene e che lei si dimostri all’altezza.


«Allora, come va qui? Tutto a posto?». Sarah si volta e nel giro di un secondo le sue labbra cambiano posizione; gli angoli un istante prima rivolti verso l’alto subiscono un repentino cambiamento e per la forza di gravità si ritrovano rovinosamente a cedere verso il pavimento. «Direi più che bene. Questa ragazza è in gamba, è una fortuna che abbia deciso di trasferirsi da Chicago fin qui!». Jeffrey accoglie Peter con delle pacche vigorose sulle spalle che vogliono essere di incoraggiamento, ma hanno solamente l’effetto di innervosirlo ulteriormente. «Bene, perfetto. Sei in pausa ora? Come mai sei ferma a parlare da almeno un quarto d’ora?». Sarah irrigidisce la mascella e reagisce alla provocazione cercando di mantenere la calma. «No, non ho ancora fatto nessuna pausa. Jeffrey mi stava dando solo qualche dritta sui clienti abituali del locale». Si guardano in cagnesco e l’atmosfera si inspessisce di parecchio. «Tranquillo Peter, è colpa mia. Mi sembra giusto informarla di quello che l’aspetta qui dentro». L’uomo sdrammatizza come al solito, ma non ha nessuna intenzione di lasciar perdere. Ha percepito l’ostilità di Peter e questa volta non gliela farà passare liscia; Sarah non merita un simile atteggiamento da parte sua. La ragazza sostiene il suo sguardo ancora per un attimo e poi si allontana. «Senti Peter, non so cosa ti passa per la testa ma non mi sembra che tu sia partito con il piede giusto». Peter alza il volto e chiude gli occhi per un attimo, giusto il tempo di riacquistare l’equilibrio necessario ad affrontare la situazione in modo obiettivo. «Ascolta Jeffrey, apprezzo che tu la sostenga. Ma ti ricordo che è ancora in prova e non è il momento ora di fermarsi per qualche chiacchiera». Jeffrey spalanca gli occhi incredulo, le braccia allargate come ad accogliere una spiegazione esauriente. «Peter, ti ho detto che è stata colpa mia. È tutta mattina che corre e si dà un gran da fare, tua madre ne è entusiasta. Che problema hai con quella ragazza, si può sapere?!». Peter scuote il capo e ride in modo sommesso. «Non ho proprio nessun problema con lei… la tengo solo d’occhio, tutto qui».

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Detto questo gli rivolge un cenno di saluto e si allontana lasciando l’uomo ancora più perplesso di prima. Sarah in cucina si appoggia con le mani sul tavolo, trattiene un sospiro e lo rilascia andare in modo rumoroso. Le braccia tese e il capo rivolto verso il basso, cerca di recuperare un po’ di fiducia in se stessa e di entusiasmo che l’ha accompagnata per tutta la mattina. Non le passa neanche per l’anticamera del cervello che qualcuno possa notarla. E invece accade. Sally si avvicina e le appoggia le mani sulle spalle. «Tutto bene cara? Se sei stanca ti puoi anche fermare». Sarah alza lo sguardo e le sorride. «Non si preoccupi, tutto bene. Ho avuto un attimo di giramento, tutto a posto». Sally si sente in colpa e pensa di aver tirato troppo la corda con lei. Come primo giorno è stato forse eccessivo. È dalla mattina che Sarah corre in sala e le ha dato una mano perfino in cucina, dove ha notato che riesce a districarsi in modo più che soddisfacente. «Ora prenditi una pausa. Fermati a pranzare, ci penso io qui». Sarah vorrebbe ribattere che non ce n’è bisogno ma in quel momento entra Peter, così coglie la scusa per uscire da lì. «Grazie, mangio qualcosa. Se posso mi metto di là in un angolo. Nessuno mi vedrà». «Non preoccuparti tesoro, mettiti dove vuoi, non c’è problema». Peter la segue con lo sguardo mentre esce dalla cucina, poi si rivolge alla madre. «Allora, come è andata oggi?». «Peter quella ragazza è davvero in gamba, si è dimostrata volenterosa e io spero proprio che rimanga». Peter stringe i denti e fa buon viso a cattivo gioco. «Bene, vuol dire che finalmente abbiamo trovato la dipendente adatta». Sally alza un sopracciglio nella sua direzione. «Sì Peter, solo… sii gentile con lei. Ti prego». Peter sospira e scuote la testa. «Certo, perché non dovrei?». In quel momento sentono bussare. «Vieni Jeffrey», lo invita Sally a raggiungerli. L’uomo ha preso l’abitudine di annunciarsi dando dei piccoli colpi alla porta della cucina per chiedere il permesso di entrare, quando sa benissimo che potrebbe farlo ogni volta che vuole senza particolari

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problemi visto che è uno di famiglia. Peter ne approfitta per dileguarsi mentre Jeffrey entra in cucina: non si sorbirà ancora una predica, questa volta da parte di entrambi, sulla modalità migliore di approcciarsi alla ragazza. Non permetterà a nessuno dei due di trattarlo alla stregua di un ragazzino a cui occorra insegnare le buone maniere. Jeffrey si avvicina con le mani in tasca. «Sally, bisogna sistemare l’insegna del locale, il vento l’ha messa fuori uso. Così tutta curva e piegata non è un bel vedere» dice indicando con il pollice l’esterno del pub. L’olio sfrigola nella padella liberando un odorino buono e generoso nell’aria. Jeffrey butta un occhio al piano cottura. «Stai cuocendo le mie patatine?» le chiede all’improvviso come fosse un bambino a cui sia stata fatta una promessa che debba per forza essere mantenuta. Sally ricambia teneramente il suo sguardo e lo rassicura. «Già. Sto friggendo le tue patatine. E… grazie Jeffrey, abbiamo già notato l’insegna…». Jeffrey si passa un mano dietro la nuca. «Se vuoi vi posso aiutare. Conosco qualcuno che potrebbe sistemarla». Jeffrey ha conoscenze ovunque ed estrae dal suo cilindro ogni volta una figura interessante e necessaria. «Grazie, sei molto gentile». Sally alza lo sguardo e incontra il suo. Spesso le è capitato di avere puntata addosso quella tonalità marrone scuro che talvolta pare aprirsi un varco di accesso nel suo animo, ma inspiegabilmente ora la cosa la imbarazza; così volge il viso altrove, per evitare di mostrare il rossore affiorato sul suo viso. Quell’uomo la fa sentire come un libro aperto, perciò si ritira d’istinto all’interno delle sue pagine così da nascondersi e non mostrarsi oltre. Jeffrey dopo un lungo istante di esitazione le rivolge un cenno ed esce dalla cucina, con passo incerto, quasi ci stesse ripensando. Lei è ancora lì, con la testa ricurva nel semicerchio delle sue spalle, in attesa. Sente la porta chiudersi alle sue spalle. Si raddrizza e inspira forte. Spesso si ritrova a immaginare una vita in cui al posto di Eric ci fosse stato Jeffrey. È sicura che a quest’ora sarebbe ancora al suo fianco. Non ha prove tangibili a dimostrazione di ciò, si basa semplicemente sulla conoscenza personale e ritiene di aver identificato già da tempo la persona di Jeffrey con un uomo completo, forte di verità e valori che si

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porta appresso come parte naturale del proprio essere, come fossero una terza mano o un secondo cuore. Quella parte di sé così ben radicata in lui non la tiene celata, ma la mostra involontariamente al mondo con il suo vivere quotidiano, il suo essere onesto, disponibile, il suo esserci per chi ha bisogno. Il suo esserci per lei e Peter. Sally prende la spugna e comincia a pulire gli schizzi d’olio che hanno imbrattato il ripiano della cucina. Immagina come le cose sarebbero potute essere diverse, semplicemente cambiando i soggetti della storia. È che Jeffrey allora non lo conosceva, aveva incontrato Eric; con il senno di poi ammette che se fosse in grado di riavvolgere tutto come un nastro, con Eric non sarebbe uscita neppure per un caffè. Avrebbe dato ogni possibilità a Jeffrey. Deglutisce a vuoto, le si è seccata la bocca. Le scelte giuste o sbagliate determinano la vita di ciascuno, questo le ha insegnato il passare del tempo. Ripone la spugna e alza il cestello della friggitrice sbattendolo per far ricadere l’olio. Con la padella saranno pure migliori, ma con gli strumenti adatti il lavoro è certamente più agevole. Comincia a preparare i piatti; nel frattempo Sarah la raggiunge rassicurandola di aver pranzato e di essere a posto. Non le accenna riguardo al fatto che suo figlio l’abbia osservata per tutta la durata del pasto, in silenzio e a braccia conserte, rendendole l’operazione difficoltosa e imbarazzante. Probabilmente ha voluto controllare quanto tempo si sarebbe fermata per la pausa, così la ragazza ha cercato di fare il più in fretta possibile. Non vuole dargli nessun motivo per cui lamentarsi: ha bisogno di quel lavoro, ne ha bisogno davvero. In effetti è vero che Peter l’ha osservata per tutto il tempo, ma non per il motivo che ha dedotto lei. Si è ritrovato a fissarla come uno stupido, lui stesso se ne è accorto solo dopo. L’ha guardata mentre distratta si portava la forchetta alla bocca puntando lo sguardo alla finestra, ma senza notare ciò che aveva davanti agli occhi. La sua mente rincorreva altro, ne è certo. Con la luce esterna che entrava dai vetri i capelli di Sarah risultavano più chiari e luminosi in alcuni punti, dopo averli liberati dal cappellino che usa durante il servizio, e la sua pelle ancora più candida. Ha studiato lo sbattere insistente delle ciglia lunghe e il profilo delle labbra morbide ed è rimasto fisso quasi ad ammirarla. Poi quando si è ridestato ha provato un senso prepotente di rabbia. Rabbia verso di lei e soprattutto verso se stesso poiché si è reso conto di esserne profondamente attratto e quindi, visto il tipo di rapporto, ha concluso che sia

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bene procedere ognuno sui propri binari, continuando a interagire poco e rimanendo entrambi ancorati a quel senso di antipatia reciproco che li lega. Ciò dovrebbe donargli una certa rassicurazione, invece lo fa sentire solo frustrato e irritato. Alla sera nel suo appartamento non è solo. Volta lo sguardo verso il letto; Tina si è addormentata ma deve fare in modo che se ne vada. Non gli piace condividere il letto, perlomeno oltre lo stretto necessario. Solo una volta anni fa è successo, quando il rapporto cominciava a farsi più serio. Poi lei se n’è andata, si è innamorata di un suo compagno del college; prima che lui comunque si affezionasse troppo a lei. Peter si alza e va in bagno, apre la doccia e ci si infila dentro. Domani, pensa, cercherà di raggiungere in anticipo il locale, ha delle cose da fare prima dell’apertura. Questa sera il locale ha chiuso prima. Apre il frigorifero e cerca qualcosa da mangiare: cavolo, è vuoto! si farà arrivare a casa una pizza. Scorge una birra ghiacciata, perfetto. Non fa in tempo a portarsela alla bocca che qualcuno da dietro gli avvolge le mani intorno alle spalle nude. «Ciao bellissimo, lasciamene un goccio». Tina si è svegliata e cerca un po’ di attenzione. Ma quella l’ha già avuta, lui per stasera non intende replicare. «Ne ho un’altra in fresca se vuoi, questa è mia». «Come sei egoista e antipatico quando ti ci metti» ribatte lei con un’occhiata languida. «Non sembravi di questo parere poco fa. Comunque ora devo uscire, mi spiace, magari ti richiamo». «Certo, dici sempre così, poi sono io a farmi sentire». Si frequentano da un po’, saltuariamente. Tina è alquanto insistente e lui si ritrova sempre a cedere. Non prova niente per lei tranne una certa attrazione, ma questa sera non è in vena per intrattenersi oltre. Il suo pensiero è completamente orientato al giorno dopo, al fatto di ritrovarsi Sarah davanti. Forse questo è l’unico caso in cui si sia augurato che la dipendente rinunciasse al posto e se la filasse a gambe levate. La ragazza prova forte antipatia nei suoi confronti, questo è palese e non può di certo biasimarla; ammette di averla ricambiata con la stessa moneta. Sua madre sembra invece averla presa in simpatia, ma lui dal canto suo non è del tutto convinto della cosa. Basta guardarla per vedere che è una tipa sulle sue, senza esperienza e senza palle. Poi ripensa a come l’ha trovata nella sala, con il cappellino a coprirle i capelli, il vassoio in mano pieno di stoviglie vuote e il sorriso aperto e cordiale con Jeffrey. Ricorda di come

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l’ha apostrofata e se ne vergogna. Tina si accorge che Peter stia pensando a tutt’altro. «Ok, ho capito, tolgo il disturbo. Ti chiamo». Gli dà un fugace bacio sulle labbra e si riveste per andarsene. È da una vita che sta dietro a Peter, ma con il passare del tempo si è resa conto che non ci ricaverà mai di più di un po’ di sesso. È per questo che tende a consolarsi anche con qualche altro amico. D’altronde, perché aspettare lui in eterno? Prima o poi troverà la persona che fa per lei. Basta saper aspettare, e nel frattempo divertirsi finché può. Peter l’accompagna alla porta e nel mentre gli suona il cellulare. Giusto, si era dimenticato! Jeffrey gli aveva chiesto una mano per scaricare dei vecchi mobili che ha recuperato a un’asta la settimana scorsa; deve rifare l’arredamento, dice, e questi fanno al caso suo. Contento lui… Si veste e lo raggiunge al parcheggio di fronte al magazzino di Jeffrey, si fermerà a mangiare qualcosa lungo la strada. Jeffrey è sempre pronto a correre in aiuto di chiunque glielo chieda, Peter non può esimersi dal ricambiarlo. Lo trova già lì quando arriva sul luogo dell’appuntamento. «Ciao Peter, grazie per essere passato». Gli rivolge un sorriso amichevole e lo guarda un secondo più del dovuto, con le sopracciglia aggrottate. Sembra quasi che voglia capire cosa gli passa per la testa o semplicemente se quell’appuntamento abbia interrotto qualcosa di interessante. «Non preoccuparti, te l’avevo detto che sarei venuto. Poi ci fermiamo a mangiare qualcosa al ritorno, non mi capita spesso di uscire alla sera». Peter guarda Jeffrey con circospezione; ha inteso che vuole porgli delle domande ma che non sta trovando il modo per farlo. «Tutto bene, Jeffrey?». Se ha qualcosa da dirgli, meglio che lo faccia subito. «Sì certo, alla grande. È solo che mi chiedevo perché mai oggi tu sia stato, diciamo così, poco accogliente con la ragazzina. Oggi o comunque in generale, da quello che ho potuto notare». Ecco. Ma che hanno lui e sua madre con quella tipa? Ha conquistato tutti a quanto pare. «Non so di cosa parli… non capisco, cosa dovrei fare con lei?». Peter comincia ad armeggiare con le ante caricate nel bagagliaio, le afferra una alla volta e le estrae appoggiandole di fronte a loro, sull’asfalto.

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Jeffrey si gratta il mento perplesso. «Mi è sembrato di scorgere in te una certa ritrosia nei suoi confronti, sinceramente non so spiegarmene il motivo. Insomma devi darle una possibilità. E poi è nuova qui…». Peter sbuffa in modo teatrale. «Ok, infatti le sto dando una possibilità! Ormai è qualche giorno che lavora da noi, dico bene?!». Peter sembra un po’ scocciato e Jeffrey capisce che è ora di chiudere la questione. «Perfetto, solo…». L’uomo ha intenzione di lasciar perdere; in effetti Sarah ora lavora al pub, la possibilità le è stata data. Per quanto riguarda l’atteggiamento di Peter nei suoi confronti, in fondo non sono affari che lo riguardano. «Solo… cosa?» lo incalza sgranando gli occhi. Poi si volta e prosegue estraendo uno dei cassetti dell’ottomana dal furgone. «Niente, solo vacci piano con lei. Avrà tante cose da imparare, ma è sola in paese…». No Jeffrey, pensa Peter a quel punto. Non intende sorbirsi la predica su come debba essere comprensivo con Sarah. Nessuno più di lui sa quanto la vita possa essere dura; è cresciuto senza un padre che si interessasse a lui se non per chiamarlo quelle due volte l’anno. C’era lui con la madre ad affrontare tutti i casini, a risollevare le sorti del pub, a fare sacrifici per risparmiare qualcosa in modo da riuscire ad acquistare la casa. Mentre il padre se la spassava giocandosi gli ultimi risparmi tra donne e casinò, c’era la mamma con Peter che lo spronava a terminare gli studi e a mandare avanti la baracca. Cosa ne può sapere la straniera, con quell’aria da perfettina timida e impacciata, cosa significa farsi il mazzo nella vita? No Jeffrey, piantala subito. Poi di questi pensieri se ne vergogna, ringraziando il buon dio di avere avuto il buon senso non esternarli. In fondo in fondo non riesce a spiegarsi nemmeno lui perché l’abbia presa così in antipatia; probabilmente il saperla sola, in quei dintorni, l’ha costretto a confrontarsi con la sua solitudine. Perché, ok, lui ha sua madre, gli amici e spesso le donne a fargli compagnia; ma qualche volta, sul divano davanti alla televisione, si sente solo. «Aiutami dai, così finiamo presto. Ho fame, devo mangiare qualcosa». Jeffrey si avvicina e lo aiuta. Conosce Peter da abbastanza tempo per sapere che ora nella sua testa ha attivato tutti gli ingranaggi e sta riflettendo su ogni singola parola che si sono detti.

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