Ogni giorno è natale

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Ogni giorno è Natale Un’iniziativa di:

CULTURA, SPETTACOLO, ARTE, GOSSIP & PEPERONCINO

auto da fé


S

fogliando, cosa trovo? Un insieme di pensieri, parole espresse da tanti esseri comuni che si incontrano in un mondo virtuale, che tanto virtuale non è. Scrivono liberamente poesie e racconti ma non sono scrittori affermati, alcuni non scrivono da tempo. Ma questa volta è accaduto qualcosa di fantastico. Il Natale ha avvicinato tutti attorno a un caldo focolare e ha chiesto loro di fare un regalo: donare qualche parola per regalare un sorriso a chi vive in difficoltà. Questo scritto racchiude cuori di donne e uomini veri che vogliono donare speranze. Nasce così un comune scritto cui il ricavato sarà devoluto all’AUSER Noi ci siamo di Bovalino (RC). Acquistandolo donerai anche tu un sorriso a chi ti guarda sempre con il sorriso perché ama vivere più d’ogni altra cosa.

Iniziativa a favore dell’AUSER Noi ci siamo ISBN ISBN 9781981512638 978-1981512638

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9 781981 512638


Auto da fé … Licenziando queste cronache ho l’impressione di buttarle nel fuoco e di liberarmene per sempre (E. Montale)


© Autori vari, 2017 © FdBooks, 2017. Edizione 1.1 L’edizione digitale di questo libro è disponibile online in formato .mobi su Amazon e in formato .epub su Google Play e altri store online.

ISBN 978-1981512638

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Ogni giorno è Ogni Natale giorno è Natale Un’iniziativa di:

CULTURA, SPETTACOLO, ARTE, GOSSIP & PEPERONCINO



Prefazione

Questo libro è uno scritto che nasce spontaneo, una raccolta di pensieri di persone comuni che partecipano al mondo virtuale. Non abbiamo dato un ordine preciso ma abbiamo raccolto ciò che amici scrittori volevano regalare, nel periodo natalizio, per fare una raccolta. Una raccolta che ha uno scopo, quello di aiutare chi vive oggi, nella nostra società, affrontando quotidianamente difficoltà dovute a problemi fisici. Aggiungere altro è superfluo, parlare dei problemi e delle sofferenze di chi vive in disagio sarebbe come fare pietismo e francamente non lo facciamo. Noi vogliamo sentire battere quei cuori pieni di speranza e accarezzare volti che in effetti non sono altro che i nostri riflessi nei loro sguardi. Un editore, un amico, Fabio Di Benedetto poi ha fatto il resto. Così il libro non avrà lauti guadagni per chi lo ha prodotto ma ciò che è stato speso per l’acquisto sarà in percentuale devoluto a una Auser, precisamente alla Noi ci siamo di Bovalino (Reggio Calabria). Un piccolo gesto che vuol regalare un sorriso. Grazie a chi ha scritto, grazie a Elisa Santucci per aver pazientemente raccolto i nostri scarabocchi e poi a Elena Coriani che ha disegnato per noi una copertina piena d’amore. Grazie a tutti voi, perché acquistando il libro avete donato un sorriso. Buon Natale.


Associazione Auser Noi ci siamo L’associazione, sita in Bovalino (RC), si occupa di assistenza sociale, disagio giovanile, anziani, disabili, extracomunitari, tutela dei diritti, cooperazione e solidarietà, istruzione e ricerca. Anche se nata da poco l’associazione può già vantare numerose iniziative sociali come la realizzazione di vari laboratori con disabili e anziani; la realizzazione della banca del tempo; raccolta alimentare e distribuzione alle famiglie bisognose sul territorio; animazione presso il carcere di Locri; accoglienza di minorenni e adulti messi alla prova che il Tribunale di Reggio Calabria affida per essere seguiti in un percorso di legalità.Inoltre ogni anno per consuetudine l’associazione mette in scena spettacoli teatrali nel periodo natalizio. Nello svolgimento di alcune attività l’associazione collabora con l’Unitalsi e associazioni affini. Un progetto importante è attualmente in corso e sono le Olimpiadi della Legalità, in collaborazione con l’Associazione nazionale calciatori, il Comune e la scuola elementare e media di San Luca. Associazione di volontariato Onlus con sede legale in via xxiv maggio n. 59. Sede operativa in via Dromo ii° n. 81 - Bovalino (RC) fax 0964.66174, cell. 338/9933148. E-mail: ausernoicisiamo@libero.it.

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Ogni giorno è Natale



Il ritratto. Le origini del Natale di Alessandra Micheli

Il Natale e la sua magia: le luci, i regali, Babbo Natale, l’albero e la stella, i canti. Quest’atmosfera ci rende di nuovo bambini, illuminati dalla gioia più naturale e straordinaria. Non è Natale senza i racconti, senza la sensazione di bearsi davanti al fuoco, magari sorseggiando un tè caldo e immaginando fiocchi di neve danzare fuori dalla finestra; magari sognando la fantastica gara canora tra il bricco del tè e il dolce grillo del focolare descritto da Dickens. Ma tutti noi che amiamo festeggiarlo, sospesi tra rituali commerciali e un’autentica verace fede cristiana, sappiamo davvero cosa accade in quei magici giorni? Voi, amanti delle decorazioni dell’albero, conoscete davvero le origini di questa festività? E tutti voi che avete sognato da bimbi Babbo Natale, conoscete davvero le origini di questo bonario omaccione barbuto? Per molti il Natale resta la più importante festa cristiana assieme alla Pasqua; in questo giorno si onora la nascita della sua maggiore divinità, un tale Gesù il Cristo, il Joshua, menzionato nel nuovo testamento in quasi tutti i Vangeli sinottici. È celebrato il 25 dicembre dalla Chiesa cristiana occidentale e da quella Greco ortodossa (per quelle orientali il Natale cade il 6 gennaio, il 7 per quelle slave e tutte quelle che seguono il calendario giuliano). È dunque una solennità grande, che prepara il terreno per l’altra festa cardine delle religiosità cattolica, quel sacrificio supremo della divinità durante l’equinozio di primavera (Pasqua) fino alla sua fulgida risurrezione. Strano raccontato così, vero? Non vi dà quasi un sapore pagano? La festa più amata è legata non soltanto alla nascita di Gesù ma anche al senso di famiglia, al concetto di dono, al rinnovare il legame con le


tradizioni antiche e alla memoria dei nostri avi, ed è condensata in figure simboliche e caratteristiche come Babbo Natale o in elementi come il vischio, l’albero di Natale o le candele. E se vi dicessi che la festa, così come la conosciamo oggi, ha profonde e più oscure radici? Anzi, radici pagane… andiamo a conoscerle da vicino. Alla ricerca delle origini. Culto solare? Il termine con cui ai tempi d’oggi il 25 dicembre è conosciuta come festività (Natale) deriva dal latino natalem, ossia nascita, a sua volta derivato dal latino natalis, da natus, nato. Quindi identifica proprio una nascita. Pertanto non è assolutamente un caso che la data del 25 dicembre fosse collegata a una nascita specifica, quella del Sole, celebrata a Roma come solis invictus o solstizio invernale. Il Natale come festa solare? Bisogna avere in mente un dato prima di procedere in questo affascinante viaggio. Il sole per l’umanità, fin dall’alba dei tempi, era importantissimo. Anzi oserei dire fondamentale. Questo perché seppur diamo per scontato l’importanza del fuoco per lo sviluppo della vita sul pianeta, al tempo dei nostri progenitori tutto veniva guardato attraverso gli occhi dell’incanto e della meraviglia. Al suo splendore viene contrapposto, da sempre, quel chiarore quasi oscuro di una notte irta di pericoli, di enigmi, di misteri e di inquietanti ombre (spesso considerate demoni in cerca di prede) che si fondevano in un binomio indispensabile: il mistero, e la vita che da questo mistero si sviluppava. La notte divorava il sole, ma il giorno lo faceva rinascere all’alba forte e spettacolare, con la sua promessa di rinascita e di nascita. E da questa dicotomia giorno/notte non poteva che arrivare il passo successivo, morte/vita o maschile/femminile, entrambi di primaria importanza per la nostra precaria esistenza. Se la Luna era la sede dell’enigma della morte, il Sole restava il centro dell’universo, della vita feconda, della logica e del raziocinio, della capacità della coscienza umana di interpretare, osservare e dare un nome alle cose. Tanto importante, tanto degno di rispetto, che il faraone eretico Akhenaton lo fece assurgere a divinità principale dell’allora pantheon egizio fatto di stelle e costellazioni. Ma anche senza Aton era il dio Ra a navigare con la sua barca lungo i cieli del Duat (l’oltretomba) durante la notte per poi sorgere orgoglioso, guerriero e

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signore del mondo, riverito e adorato perché creatore e distruttore al tempo stesso. E durante il suo peregrinare in tutte le migliori religioni (Lugh il dio luminoso, oppure il Sol Indiges ai tempi di Romolo e Remo, o Malakabel il dio arabo presente a Palmira, o Tonatiuh di azteca memoria) si ritroverà a Roma, la fiera Roma caput mundi, fino ad assumere le sembianze di un dio antichissimo, particolare sicuramente, chiamato Mitra. Che oltre a vincere sulle altre divinità si appropriò di quella festa, già esistente, celebrata come Sol Invictus, o Soli Invicto Dei (frase trovata su un altare del 158 d.C.). Chi era, dunque, questo Mitra? Mitra e il sol invictus, il Natale pagano Riassumiamo. Secondo fonti storiche la festa, denominata Sol Invictus, uno dei culti più importanti della Roma imperiale, si sovrappose alle celebrazioni tipiche (ricordo che i nostri antenati, gli Italici o i Sabini, furono fortemente legati alla terra prima che Roma divenisse Roma) e alle feste dei saturnali romani (dal 17 al 23 dicembre). Questo sol invictus celebrava dunque la rinascita, o nascita del sole identificato dal dio Mitra (tale festa fu introdotta dal 218-222 a.C. e fu ufficializzata da Aureliano nel 275 d.C. con la data del 25 dicembre). E Mitra, credetemi, è una delle divinità più intriganti, più particolare che uno storico o un antropologo abbia mai esaminato. Non solo perché le sue origini sono oscure e molteplici (come vedremo tra poco), ma perché analizzarlo significa anche trovare analogie sconvolgenti con una delle religioni più importanti del nostro secolo, che in un tempo lontano ne assorbì, letteralmente, tutte le sue caratteristiche principali. Ma andiamo con ordine. Innanzitutto non è facile raccontare di Mitra, questo perché è una divinità composita che contiene in sé elementi differenti e distanti di tre religioni diversissime: iraniana, persiana e induista. Queste confluiranno, in parte, nella tradizione ellenica romana rendendo la divinità spesso di difficile interpretazione e comprensione, proprio per quegli elementi così dissonanti tra loro: divinità solare ma dualistica; monoteista e guerriera; protettrice del commercio ma anche dell’onestà; regolatrice dei rapporti umani nel senso della convivialità e della cooperazione. Diciamo che ritroviamo Mitra sia nella religione induista che persiana e, pur avendo frammentarie e scarse notizie sui suoi culti, possiamo – tramite i Veda – ricostruire la sua essenza. Iniziamo dalla sua parte

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indo-persiana. Questo culto compare nei Veda come una delle divinità solari che proteggevano i contratti, l’onesta e l’amicizia. Nel mondo persiano fu accostato al dio Indra, da cui assorbì molte caratteristiche (Indra era il dio delle folgori, del temporale e della magia e diede al nostro Mitra questa connotazione misterica e anche direi guerriera. Da questa prese anche il collegamento con il vino e la venerazione per la conoscenza, e la connotazione positiva della guerra come valore, forza e coraggio) fino a trasformarsi in una divinità maggioritaria del pantheon zoroastriano, divenendo uno dei protettori dell’ordine cosmico. Non solo: esso divenne (ce lo raccontano gli Avesta) il giudice delle anime, protettore della verità e nemico dell’errore. E ancora: egli divenne il rappresentante divino di Ahura Mazda sulla terra, incaricato di proteggere i giusti dalle forze maligne di Angra Mainyu. Mitra era conosciuto come la verità e la vita, accompagnava le anime nel percorso di redenzione e soprattutto donava la vita poiché era connesso con il calore, necessario alla crescita della vegetazione e dell’uomo. Era detto onnisciente e infallibile, baluardo contro le forze demoniache, la cui nascita veniva celebrata nel solstizio di inverno. Strano, tutto questo mi ricorda qualcosa… Continuiamo. Questo dio sempre più complesso venne inserito anche nella cosmologia romana tramite gli Ellenici (secondo alcuni questo culto sarebbe stato influenzato dalla scoperta della precessione degli equinozi da parte di Ipparco di Nicea e Mitra, appunto, sarebbe la potenza celeste capace di causarne il fenomeno). Il nuovo culto però non ebbe mai popolarità in Grecia, dove fu sempre preferito il soave Apollo-Helios, mentre a Roma divenne una religione ufficiale con lo sviluppo notevole di luoghi di culto tutt’oggi visibili, ossia i mitrei. Nelle raffigurazioni romane il dio era immortalato nell’atto di sgozzare un toro, mentre sul suo capo si posava il berretto frigio, memoria del suo viaggio attraverso l’Asia minore. L’uccisione del toro sacro ha delle valenze interessanti dal punto astronomico-antropologico. Nel primo caso questa sua azione poteva rappresentare una fase del ciclo solare, l’equinozio di primavera o anche l’importanza di una precisa era astrologia, quella del toro. Non a caso l’Era del toro (il periodo compreso tra il 4.000 a.C. e il 1.800 a.C.) è il periodo in cui i sacerdoti studiano le stelle, l’astrologia entra a servizio dell’agricoltura, si programmano le semine, i raccolti e le irrigazioni e si usano gli astri per cercare di imbrigliare le forze della natura al fine

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di utilizzarle a vantaggio dell’uomo. Questo ha conseguenze sul piano della civilizzazione con la nascita dei centri urbani e il loro sviluppo, necessario al passaggio tra un’era pastorale (nomade) a una agricola (stanziale). Dall’uccisione di questo toro nacquero tutte le erbe benefiche per l’uomo, in particolare il grano e la vite, nata – caso bizzarro – dal sangue del toro. Non voglio attardarmi a indagare sui profondi segreti astronomici del mito, ma è interessante notare come molte delle caratteristiche del dio confluiranno, successivamente, nei racconti cristiani fondendosi in un unicum intrigante dal punto di vista antropologico. Si racconta di un dio forte, potente, che addirittura sconfisse il Sole in una battaglia cosmica. Pertanto la divinità solare strinse un patto con il dio, un’alleanza suggellata dal dono di una corona raggiata. Famosa è anche un’altra interessante similitudine: Mitra nasce da una roccia, sulle sponde del fiume, all’ombra di un albero sacro venerato dai pastori. Nell’iconografia la divinità viene spesso rappresentata assieme a due personaggi, i dadofori o portatori di fiaccole (i cui nomi erano Cautes e Cautopates), e questi confermerebbero l’origine solare del mito raccontando in termini evocativi lo stesso ciclo solare (dall’alba al tramonto) e quindi lo stesso ciclo vitale, ossia la vita (calore luminoso) e la morte (la gelida notte). Ed è per questo che il Mitra romano-ellenico fu in parte derivato dalle sue antiche origini induiste – delle quali mantenne più che altro l’elemento di divinità solare – ed ebbe una profonda connotazione misterica di iniziazione al pari dei più famosi misteri eleusini, con segreti strettamente riservati ai soli iniziati. Altro dato interessante. Il culto mitraico è una religione misterica di iniziazione i cui segreti sono riservati ai soli iniziati e quindi tenuti segreti. Era quindi un’attività esoterica che si svolgeva in una caverna e prevedeva pasti sacri che venivano consumati da un gruppo di fedeli. Una sorgente vicina caratterizzava il mistreum ed era considerata taumaturgica. Strana assonanza, no? Il mitraismo fu così seguito che molti storici lo considerano il primo concorrente del cristianesimo nascente, mentre altri lo identificano come un vero e proprio precursore. Non è un caso che gli elementi prima elencati vi siano familiari, visto che sono entrati di prepotenza nella pratica cristiana comune. Anche i dodici apostoli sono connessi con l’idea del culto come sistema astrologico, tanto che alcuni hanno proposto un’interpretazione del racconto (o mito) di Gesù come un’allegoria

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astronomica. È interessante notare come il numero 12 sia associato alla circolarità, che si rivolge a una delle scoperte più interessanti, ossia la precessione degli equinozi che rappresenta un vero e proprio orologio cosmico. I seguaci del Sole (apostoli) sembrano rappresentare i dodici mesi dell’anno, dello zodiaco e delle costellazioni attraverso i quali il Sole stesso dovrà passare. Fu dal sincretismo del culto di Mitra e del culto del sol invictus che si sviluppò la festività del 25 dicembre, che nacque come grandioso evento cosmico della nascita del dio Sole. Come scrisse papa Leone i nel suo sermone per il Natale del 460: È così tanto stimata questa religione del Sole che alcuni cristiani, prima di entrare nella Basilica di San Pietro in Vaticano, dopo aver salito la scalinata, si volgono verso il Sole e piegando la testa si inchinano in onore dell’astro fulgente. Siamo angosciati e ci addoloriamo molto per questo fatto che viene ripetuto per mentalità pagana. I cristiani devono astenersi da ogni apparenza di ossequio a questo culto degli dei.

Dopo il periodo più buio dell’anno, alla fine del giorno più breve dell’anno, si festeggiava l’antica e suggestiva Festa della luce. Nel Natale odierno mantiene un sapore propiziatorio, che ci ricorda un’altra importante festa solare, anch’essa entrata a far parte della festività cristiana: Yule. Il Natale e lo Yule celtico Il Natale, all’origine, fu dunque una festa solare legata profondamente a una tradizione contadina che celebrava, in quel giorno specifico, feste legate all’agricoltura; questa appunto diveniva fattibile solo con la comparsa del sole allo zenit, divorato dalla notte di Samahin (il 31 ottobre). Queste feste esaltavano la fecondità, la cooperazione tra i componenti della società o del clan rurale e legittimavano, ogni anno, il rinnovo del patto sociale attraverso banchetti e scambi di doni. Ecco Yule, festa del 21 dicembre, notte in cui la dea della fertilità partorisce nel ventre della terra colui che, nel corso del ciclo annuale, diventerà il dio della luce e suo nuovo compagno. È uno degli otto sabbat (feste legate ai movimenti del sole) e la sua etimologia è fatta risalire al norreno Hjòl (ruota), riferendosi al fatto che al solstizio d’inverno la ruota dell’anno – che si trova al suo estremo inferiore – inizia lentamente a risalire. Jul o Yule ha anche il significato di natalis, ossia nascita, e

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indica infatti la nascita o rinascita del sole, ingoiato dall’oscurità della notte del 31 ottobre, quando le forze dell’inverno prendono il sopravvento sulla luce. Nulla di drammaticamente maligno, soltanto il lento e inesorabile ripetersi di un ciclo vitale considerato sacro e importantissimo ai fini dell’attività agricola. La citazione più antica del termine appare su un frammento del Codex ambrosianus del vi e vii secolo d.C., laddove il mese di novembre viene definito il mese prima di Jul. La radice Jul/jol avvicina il suo significato a quello di festa, o banchetto festoso. Il termine Joln indicava inoltre gli dei antichi, e uno degli stessi nomi di Odino era Jolnir, ossia Signore degli dei. Altri studiosi riconoscono nel termine un’eco della ruota del sole. Un’altra possibile derivazione è «el», ossia tempesta di neve. Il che collega Yule all’estremo Nord, nella mitica terra di Thule. Se la semiotica del termine è ardua, lo è ancor di più la ricerca di antichi frammenti che ci possano agevolmente raccontare dei riti propri della festività. Su Yule non sono molti i dati che ci sono pervenuti – tranne qualche riferimento nelle antiche saghe irlandesi – che narrano di giorni di letizia, di danze e di riposo che in Islanda continuò a essere celebrato per tutto il Medioevo fino alla riforma protestante. Altro elemento (estrapolato dai miti) prevedeva il sacrificio di un suino in onore del dio Freyr, tradizione rimasta viva nella cultura scandinava, per cui a Natale si consuma esclusivamente carne di maiale. Ma cerchiamo di approfondire di più l’essenza della festa. Il contesto. L’anno volge al temine e le notti si allungano riducendo quasi in un angolo le ore di luce. Sembra che la notte divenga predominante, finché arriviamo al 21 dicembre. Un’atmosfera rarefatta e sospesa, al pari di quella avvertita a Samahin, ci avvolge. Il mistero diviene quasi palpabile e tutto attende una trasformazione, o una nascita. Il tempo si è di nuovo fermato. Ecco un altro di quei momenti in cui il velo tra noi e il mondo sovrannaturale si assottiglia e apre una sorta di passaggio dimensionale per far fluire le energie da una dimensione all’altra. Ma è anche un momento drammatico: l’oscurità ride serafica, ma nel momento in cui è al suo culmine si ritira e cede lo scettro alla luce, che piano piano inizia a prevalere. Ecco quel senso di circolarità caratteristico del numero 13, che in queste festività pagane si avverte in modo tangibile. Il giorno più lungo dell’anno, il solstizio, riporta la luce nel mondo e dunque nella vita di ognuno, una vera e propria rinascita di cui il Natale è

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soltanto la versione edulcorata. È la morte del vecchio sole, stanco e abbattuto, e la nascita del sole giovane o del sole bambino, ma anche la storia della sconfitta del re Agrifoglio (il re dell’anno calante) per opera del buon vecchio e forte (guerriero come Mitra) re Quercia (re dell’anno crescente). Quest’immagine altamente simbolica si legava all’ethos degli antichi popoli, che non si consideravano di passaggio nel mondo o inseriti da una divinità bizzarra e crudele, ma si sentivano parte di un immenso mosaico ritenendo i loro gesti, la più piccola azione, in grado di influenzare il tutto, compresi i grandi cicli cosmici. Pertanto la celebrazione dei riti solari aveva l’obiettivo di assicurare la rigenerazione del sole grazie alla magia simpatica, di accendere falò per sostenerne la forza e incoraggiarne la rinascita, entrando trionfalmente alto nel cielo. Ecco che abbiamo il bellissimo rito della candela, con cui le donne celtiche attendevano immerse nell’oscurità l’arrivo della luce/candela portata dagli uomini e con la luce venivano accesi falò. In un componimento poetico del 900 d.C. a opera dei trovatori norvegesi o svedesi (gli skalden) chiamato Haraldskvæði (uno degli scritti più antichi) si parla di questa festa, lo Yule. Il re vuole bere per la festa di Jul fuori, sul mare, e iniziare il gioco di Freyrs.

E qua si nota l’enfasi sul senso di Yule come momento di convivialità, in cui è il banchetto a fare da primadonna. Si faceva uso di bevande alcoliche per festeggiare tutti assieme e rinsaldare i legami di comunità e dare nuova energia al patto tra comunità e sovrano. Quest’accento sull’uso smodato di bevande lo si ritrova, addirittura nella Preistoria. Nei tempi antichissimi (Età del bronzo) infatti si sono ritrovate testimonianze dell’uso di bevande fermentate quali idromele, vini di vite selvatica, di more e di corniolo. È dall’Età del ferro che in ambito celtico si ritroveranno le prime testimonianze del consumo di birra; la recente scoperta archeologica di Pombia costituisce la più antica attestazione di materiale europeo di birra: bevuta da popolazioni protoceltiche intorno al 550 a. C., scura e rossastra, era prodotta da una miscela di cereali e aromatizzata con il luppolo. I nostri antenati usavano le bevande alcoliche o le droghe naturali per innescare una sorta di estasi mistica in grado di metterli a contatto con le dimensioni dell’oltremondo. Inebriarsi significava raggiungere altri livelli di coscienza e ottenere informazioni utili per la sopravvivenza etica e fisica della propria comunità.

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All’elemento estatico si associava anche la tradizione del Julbock ossia un feticcio, di solito a forma di caprone, fatto con la paglia. Questo feticcio simboleggia i caproni che trainavano il carro del dio Thor e richiamano anche una ancor più antica divinità propriamente celtica ossia Cerunnos, il dio selvaggio, protettore della vegetazione e del legame con il mondo naturale, rappresentato iconograficamente nel famoso calderone di Gundetrup (Cerunnos è la divinità dalle corna di Cervo, signore degli animali e archetipo dell’incontrollabile forza della natura. In quest’immagine tiene con una mano il serpente dalla testa di ariete, simbolo di fertilità, e con l’altra il Torquis, un collare ornamentale tipico dei nobili celti. Accanto al dio troviamo un cervo, un toro e gli animali sacrificali e alla sua destra è la lupa, mangiatrice di uomini). Collegato al dio selvaggio nelle vesti di caprone, si riferisce anche uno dei miti più intriganti e inquietanti del panorama celtico norreno, ossia la caccia selvaggia: la Wilde Jagd. Il mito racconta che in una delle dodici notti, chiamate Rauhnachte, che si susseguono dopo il 25 dicembre, un’orda di cacciatori sovrannaturali giungono dal cielo notturno in cerca di prede o, nelle versioni più macabre, di anime. Si tratta della famosa Caccia di Odino, o Orda di Asgard, a cui partecipano morti, fantasmi, dannati che riempiono le notti gelide di urla e lamenti e a volte con una musica agghiacciante che sommerge il silenzio. Chi ha il coraggio di assistere a quest’oscuro spettacolo rischia di essere rapito e trascinato via da queste forze indomite. E spariscono per anni o per secoli prigionieri dell’altro mondo. Un mondo ultraterreno dominato dalla dea Hel (la leggendaria Frau Holla, antenata della Befana) che in quelle notti magiche apre le porte del suo regno e interagisce con i vivi. Quest’interazione si rende necessaria proprio per lo scambio di energie che mantiene, stranamente, in vita entrambi i mondi, che se troppo chiusi in se stessi rischiano di stagnarsi e crollare miseramente. Ecco, forse dovremmo imparare la cooperazione da questi antichi miti. Oggi l’antico Yule che fine ha fatto? L’usanza è fortunatamente sopravvissuta in Scandinavia. Infatti già dal Medioevo i sovrani, decisi a imporre (per motivi politici più che di fede) il divieto della Chiesa a celebrare le feste pagane, trovarono immense e innumerevoli difficoltà. Pertanto molte delle usanze rimasero invariate, come l’abitudine di eccedere con il bere, o formule rituali che di cattolico non hanno nulla. Anche l’uso della paglia (presente nei presepi) è di origine pagana e si identifica con il simbolo di fertilità e, proprio, della festa.

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Resta l’usanza di imbandire la tovaglia o di cuocere pani speciali, a volte dolci da condividere tutti assieme (panettone... non vi ricorda nulla?). L’elemento del fuoco o delle candele per esempio è molto usato nelle notti della Vigilia o del Natale vero e proprio, del resto lo cantò anche Jon Bon Jovi: After the smoke clears when it’s down to you and I, when the sun appears, silent night, we hold up our candle light. Dopo che il fumo si dirada quando è attorno a te e a me, quando appare il sole, notte silenziosa, interrompiamo la luce della nostra candela.

Ed è questo primeggiare del falò, del fuoco, che racconta una rievocazione della antica celebrazione della nascita del dio Sole: il fuoco di Yule. Pertanto possiamo dire che i rituali dell’antico paganesimo e della nuova religione si intrecciano indissolubilmente e fanno parte del nostro quotidiano quasi a simboleggiare una continuità mai interrotta veramente: l’uso dei regali; l’albero pieno di luci; il simpatico omino con la barba bonario ed elargitore di doni sono tutti i lasciti dei nostri antichi progenitori. Questo perché quando i missionari cattolici iniziarono la conversione dei popoli celtici adattarono alla tradizione cristiana molte feste pagane, che vennero ricondotte così alle celebrazioni del Natale mantenendo alcune delle tradizioni e dei simboli originari (lo stesso papa Gregorio Magno fu il primo a suggerire quest’approccio alle gerarchie ecclesiastiche). Fra questi possiamo elencare il vischio, l’albero di Natale e la figura del simpatico omone barbuto e rubicondo: Babbo Natale. Il Natale costituisce probabilmente l’esempio più significativo di come una tradizione pagana sia stata assorbita dal cristianesimo e abbia assunto un nuovo significato.

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A volte di Emanuele Angione

A volte capita di incontrare e conoscere qualcuno per caso. A volte capita che quella persona che conosci e ignori ti possa cambiare la vita. Fine autunno, nel caos della città, Angelo rincorreva la metro e come ogni mattina arrivava sul posto di lavoro strisciando, appena in tempo, il badge nella marcatrice. Il grigio call center per cui lavorava offriva magiche scope in grado di fare tutto; le casalinghe avrebbero dovuto soltanto star sedute comode in poltrona, magari sorseggiando un caffè e leggendo una rivista. La tecnologia, infarcita di parole ridondanti, avrebbe fatto il resto… il prezzo? Quel che bastava a fare ennesime rate per mesi e a prendere una misera provvigione. Per un venerdì Carmela, sua collega, infilò tre appuntamenti e così Angelo, da provetto addetto alle vendite, si preparò ad andare in visita. Abito grigio a basso costo, scarpe classiche nere di pelle immaginaria, borsa contenente contratti di speranze e sacca nera con lo strumento del suo guadagno. Un moderno porta a porta, arricchito però da un’elegante telefonata persuasiva e dallo slogan di coloro che, al vertice della piramide, ogni santa mattina entravano nel call center suonando una campanella urlando: «Noi vendiamo scope! Vendiamo magie che volano e rendono il lavoro più antico e nobile un passatempo rilassante!». Un giorno a tal proposito Walter, collega di Angelo, fece una domanda: «Ma il lavoro più antico non è la meretrice?». Così lo sgradevole e brillantinato Teodoro, ultrasessantenne titolare del call center, rispose: «Sempre di scope parliamo!». Teodoro usava mettere l’ultima parola alle ardue selezioni per scegliere il personale. Gli operatori call center dovevano essere obbligatoriamente


ragazze o donne senza figli e prosperose, mentre l’esercito disperato che andava in visita a chiudere le vendite, beh, uomini scaltri e capaci di piazzare anche la propria madre pur di vedere una provvigione. Il bello è che in fase di preselezione vi erano addirittura dei test di ammissione, seguiti da una telefonata in cui il factotum si complimentava con il candidato per il buon esito dei test e lo convocava per il colloquio di assunzione e, solo allora, venivano svelati i misteri della vendita di scope magiche… A sorpresa, però, quasi sempre si rincontravano tutti i candidati che avevano sostenuto i test, una selezione davvero selettiva! Angelo bucò due appuntamenti: una giovane donna da poco sposata che lo mandò via subito e un’altra signora pensionata che aveva due domestiche, le quali misero subito il veto su quello strumento. Rimaneva da fare un’altra visita a un famiglia che viveva al lato opposto della città; una pizzetta al taglio e poi prese la metro. Seduto sui seggiolini, in un veloce passare di stazione in stazione, pensava alla sua famiglia lontana circa settecento chilometri; l’ennesimo giovane meridionale approdato nel grande Nord a cercar fortuna. Figlio di padre operaio e madre casalinga, con una sorella di ventitré anni che sbarcava il lunario facendo mercatini di oggetti usati, aveva voluto fare l’università laureandosi in Scienze della comunicazione, poi la chiamata al Nord per uno stage non retribuito a Milano di sei mesi a far disegni e slogan e poi di nuovo a passeggio. La retta che riceveva a trentacinque anni dai cari genitori era per lui l’unica fonte di sostentamento, a parte fugaci prestazioni domenicali di cameriere. Angelo divideva una stanza in appartamento con un altro giovane sognatore come lui di un lavoro a cinque stelle. Quanti giornali aveva sfogliato e quanti curricula aveva consegnato! «Le faremo sapere…»; «Purtroppo è un profilo interessante, ma…»; «Lei è troppo professionale, merita ben altro!» erano le risposte più comuni ricevute dietro quelle porte aperte con speranza. Una voce femminile metallica lo risvegliò dai suoi pensieri annunciando la fermata. Via delle betulle numero 5, un condominio elegante con il citofono a interni; Angelo riassettò il nodo della cravatta, schiarì il timbro di voce e suonò; il cancello si aprì, e così il portone. «Buongiorno signora Elide, sono Angelo e vengo a farle visita per presentarle… Furbetta, la scopa perfetta!». La signora Elide sorrise e fece accomodare Angelo nel salone, poi chiese se poteva offrirgli qualcosa e portò un caffè. Angelo sorseggiò

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lentamente concentrandosi sul motivo della sua visita e quindi, da professionista delle vendite, prese a fare apprezzamenti sulla casa. «Signora complimenti, un arredamento davvero elegante, quadri stupendi». «Grazie, gentile da parte sua». Così cercò di instaurare un rapporto con la cliente informandosi, in modo indiscreto, sulla sua professione e la composizione del nucleo familiare. La donna fu accondiscendente e convinta dall’interessante motivo di quella visita permise ad Angelo di fare una dimostrazione sull’utilizzo dell’oggetto misterioso che portava nella sacca nera. Furbetta rotolò sul pavimento sotto lo sguardo attento della signora Elide, mentre Angelo descriveva i suoi movimenti come fossero quelli di un bambino che, gattonando, muove i primi passi. Aprì un sacchetto contenente delle briciole, poi strappò un foglio e buttò tutto in terra e Furbetta spazzò via tutto ingoiando voracemente. Ma non finì lì il miracolo della tecnologia; Furbetta era in grado anche di passare i tappeti e arrivare agli angoli più scomodi e difficili, persino sotto le feritoie dei mobili; inoltre dal minuto serbatoio, attraverso dei fori, produceva vapore che lavava anche il pavimento. La dimostrazione continuò, Furbetta fu attrezzata sul suo disco di una specie di manico, così vennero puliti vetri e tendaggi… insomma un gioiello di tecnologia! «Mi scusi Angelo – disse la signora Elide – devo dirle che questa Furbetta è davvero interessante. Quanto costerebbe?». Angelo spense Furbetta prendendola tra le mani, poi la posò dinnanzi ai suoi piedi risedendosi di fianco alla signora, quindi aprì la borsa tirando fuori il catalogo e un contratto. «Ecco, vede signora Elide, l’azienda ha pensato di farle un prezzo speciale. Allora vediamo, il modello super lusso con cento sacchetti omaggio e due filtri anticalcare lo potremmo dare a circa… mmh, mi faccia vedere bene… ah sì, 549 euro!». Seguì silenzio. Angelo pensò: «Ecco, la frittata è fatta!». Prese coraggio e aggiunse: «Signora, però si potrebbe dilazionare il pagamento anche in comode rate senza interessi… volendo trimestrali… e in più per lei è previsto in omaggio un abbonamento di un anno alla rivista “Deliziosamente a casa” e se acquista Furbetta in questo mese parteciperà a un’estrazione di un viaggio per due persone per visitare i mercatini di Natale in val Pusteria!».

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Ancora silenzio, quindi Angelo iniziò a riporre Furbetta nella sacca nera. Quando fu quasi in ginocchio dinnanzi alla signora Elide, ella disse: «Angelo, va bene un assegno e saldo tutto subito?». Angelo sorrise. Ebbe difficoltà, emozionato com’era, a compilare il contratto; era la prima volta che riceveva un sì. La signora Elide gli diede dei nominativi accompagnandolo nel palazzo a fare altre visite e quel pomeriggio divenne per Angelo un vero trionfo. «Bravo Angelo! – l’indomani mattina Roberto, responsabile delle vendite, esclamò ad alta voce dinnanzi a tutti in azienda – Ecco come si fa a vendere Furbetta!». Alcuni ebbero invidia e altri invece, stupiti, gli domandarono come avesse fatto a piazzare Furbetta. Altri appuntamenti per il mercoledì e ancora due vendite, poi il giovedì e il venerdì altre ancora, e Angelo divenne il venditore più abile. Cinico, risoluto, determinato, aveva appreso tutti i segreti di un grande piazzista. Si vestiva di grande professionalità e arricchiva le sue presentazioni dipingendo Furbetta come un meccanismo sofisticato studiato addirittura nei laboratori della Nasa. Il mese di novembre portò grandi novità per Angelo, egli risultò essere il miglior venditore e fu così che Teodoro decise di farlo diventare il responsabile delle vendite offrendogli un contratto con una minima quota di guadagno stabilito arricchito da interessanti provvigioni. Roberto, amareggiato, lasciò il lavoro e quindi Angelo si trovò a coordinare i suoi vecchi colleghi. Le operatrici call center fissavano appuntamenti di continuo, ma sistematicamente gli addetti alle vendite non portavano risultati; Angelo invece continuava a marciare senza ostacoli vendendo a casalinghe, professionisti, uomini single e addirittura ad aziende di pulizie. Fu così che si presentò a un appuntamento in una splendida villa in collina, appena fuori città. Una domestica aprì la porta e lo fece accomodare nello studio. Poi dopo alcuni minuti apparve una donna fine e sofisticata; Angelo si alzò in piedi e salutò con educazione, una stretta di mano frugale e la donna lo fece riaccomodare posizionandosi di fronte a lui, seduta dietro una grande scrivania in noce. «Mi dica, a cosa devo la sua visita? Signor…». «… Angelo, mi chiamo Angelo Beneo e vengo per presentarle uno elettrodomestico all’avanguardia, semplice e pratico…».

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La donna rimase perplessa, poi si lisciò i capelli, accese una sigaretta e disse: «Mi scusi, non ho capito bene, lei è qui per fare cosa?». «Mah, signora…». «… Alessandra, dottoressa Alessandra Derogatis». «Ecco dottoressa Derogatis, io avevo appuntamento per presentare Furbetta la scopa perfetta; la mia segretaria aveva parlato con… la signora Greta al telefono e aveva detto di presentarmi oggi pomeriggio». «Ah – esclamò la dottoressa – Ora ho capito, un dispetto bizzarro di mia nipote Greta! Attenda un attimo». Così prese il telefono e chiamò la nipote: «Greta, son qui a casa e dinnanzi a me c’è un certo Angelo che mi vuol vendere una scopa elettrica… ma dico, siamo impazzite! Siccome ho tempo da perdere, vero…? Mmh, ah ok avevi capito che era un azienda interessata a pubblicizzare… va bene, va bene d’accordo… a proposito, va avanti con il mastice Kolkoll, serve per martedì!». Riattaccato il telefono, la dottoressa Derogatis esclamò: «Dura di comprendonio, Greta! Ecco svelato l’arcano, un simpatico equivoco, mi spiace e scusi». Angelo si alzò, poi giunto sull’uscio della porta si voltò e disse: «Dottoressa mi scusi, lei si occupa di pubblicità?». «Sì, sono una pubblicitaria, lavoro in un’agenzia o meglio l’agenzia principale d’Italia, che è collegata a un network internazionale. Facciamo campagne pubblicitarie per riviste e reti televisive». «Sa, io sono laureato in Scienze della comunicazione, ho fatto marketing pubblicitario e poi ho svolto un master presso la Valloti&Partners e ho realizzato anche dei corti con slogan…». «La miglior scuola in circolazione – rispose lei – bravo, ma posso farle una domanda? – Angelo tornò indietro e si mise in piedi di fronte alla donna, ancora seduta – Come mai vende scope?». Angelo raccontò un po’ della sua vita, rimarcando la difficoltà di trovare lavoro nel settore pubblicitario. Aveva ricevuto un paio di offerte ma tutte non retribuite. Per mantenersi in quella grande città del Nord aveva necessità di guadagnare, ma era pronto a sfidare tutto e tutti per entrare in quel mondo, che amava più di se stesso. Alessandra ascoltò attentamente e fu incuriosita da quell’uomo così determinato ad affermarsi in una società che lesinava nel concedere valide e soddisfacenti opportunità; così mentre lo accompagnava verso l’uscita, sulla porta di casa, disse: «Angelo, lunedì le andrebbe di venire in sede per fare quattro chiacchiere con la responsabile e vedere se vi sono possibilità per inaugurare una collaborazione con noi?».

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I suoi occhi brillarono, la bocca si spalancò e un sì quasi soffocato dall’emozione fu l’unica parola che egli riuscì a dire. Non ne parlò con nessuno, neanche quando la mamma al telefono gli disse: «Ti sento euforico… forse hai una fidanzata?». Ma in quel weekend fu il suo grande segreto da custodire, e poi si diceva: «Non mi hanno mica assunto, vado lì come sono andato ad altri incontri, e ancora ricordo le loro risposte…». Arrivò il lunedì, una scusa architettata con tanto di telefonata sofferente – mal di denti – per non andare al call center e poi il primo pomeriggio uscì di casa. Metro, tre fermate, cambio e poi altre cinque. Risalì le scale del tunnel, un grigio stradone circondato da alti e vecchi palazzi accompagnò il suo incedere, poi uno spazio di verde e un cancello rosso. «Salve, sono Angelo Beneo». Ma fu più lesto lo scatto elettrico del citofono, che aprì il cancello senza dar risposte. Un vialetto di marmo grigio, due gradini in fondo e una porta a vetro elettrica. Angelo entrò e di fronte a lui trovò la reception; così, con la borsa ben stretta tra le mani, si mosse timidamente. «Desidera?» una voce squillante lo fece tremare. «Ecco, sono Angelo Beneo e avrei un colloquio di lavoro con la dottoressa Derogatis». «Un attimo, prego – la receptionist fece una telefonata, poi – Sì, si accomodi su quelle poltrone lì infondo, la chiameranno loro, grazie». Angelo si sedette e osservò il via vai frenetico di impiegati. Dopodiché un uomo e una donna vestiti di tutto punto si avvicinarono a lui, la donna sorrise e chiese: «Il signor Beneo?» «Sì» rispose Angelo alzandosi in piedi. «Sono la dottoressa Maria Terli e lui il dottor Steve Haffel – veloce stretta di mano – Ci vuol seguire? Venga». Attraversarono un lungo corridoio con tante stanze, poi in fondo una porta bianca. Entrarono e Angelo fu fatto sedere. Così, dopo aver chiuso la porta ed essersi accomodati dal lato opposto della scrivania, la dottoressa Terli disse: «Benvenuto innanzitutto, io sono la responsabile scouting nuovi clienti e il dottor Haffel il mostro della nostra pubblicità! Ah ah… scherzo naturalmente, egli è il nostro faro, è irlandese, un giramondo: vero Steve?». «Wow che presentazione miss Maria, grazie, sì in effetti ho vissuto in Olanda, Belgio e Svizzera. Ho studiato a Cambridge e conseguito due

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master, uno in Wisconsin e l’altro a Baltimora. Ora da tre anni sono prigioniero qui! Ah ah… scherzo, sorry!». «Bene – disse Maria – dopo questo siparietto Angelo, tu cosa ci racconti? Sappiamo poco di te. Alessandra ci ha detto che sei laureato in Scienze della comunicazione e hai fatto un master alla Vaillati se ricordo bene… ora di cosa ti occupi?». Angelo si vergognò a parlare, poi: «Ecco, ora sbarco il lunario con un’azienda, la Zetabitech, sono il responsabile delle vendite. Cioè anche io vendo, vendo piccoli elettrodomestici…». «Ah ok, porta a porta! Yes, sure! – fece Steve – ottima palestra amico, io cominciai con le enciclopedie, ah ah!». «Grazie dottor Steve, ecco io volevo fare altro ma…». «… con i tempi che corrono – sorrise Maria – Ok, allora ti dirò in breve chi siamo e cosa facciamo. Siamo una società nata nel 2005 dall’idea geniale del padre della dottoressa Derogatis e altri due soci, inizialmente ci occupavamo di vendere spazi pubblicitari su riviste e quotidiani, poi i soci andarono via e il dottor Derogatis fece una partnership con una struttura pubblicitaria. Così iniziammo a vendere pubblicità completa: slogan; disegni animati; videoclip etc. Egli morì e con noi venne la figlia, poi dopo due anni venimmo acquisiti dalla multinazionale tedesca Milkosh, leader in marketing pubblicitario che trasmette i suoi spot in ben nove Paesi della Unione Europea». «Sì, Caspita, sì che la conosco!» rispose interessatissimo Angelo. «Ecco, noi qui in Italia siamo una sede che risponde a Berlino, trova clienti, sviluppa commesse e poi crea. Il placet viene dagli uffici tedeschi, che poi fanno il resto e si va in tv in tutta Europa!» aggiunse Steve in un simpatico italiano. «Siamo una grande realtà Angelo, siamo presenti in Europa con varie sedi come questa. Le migliori pubblicità sono nostre, un network con più di cinquemila impiegati sparsi qua e là e i clienti vengono da soli… allora Steve, vuoi continuare tu?». «Sure – rispose Steve – allora Angelo, noi ora stiamo cercando abili commerciali in grado di prender piccoli e medi clienti tagliati fuori dalla rete della grande distribuzione per consolidare i guadagni della nostra sede italiana. Vi sono molti clienti in difficoltà pronti a investire sulla pubblicità ma non osano o non sanno bene come funziona e quindi noi vogliamo andare da loro con persone di alta professionalità che offrano un servizio davvero di livello. Non è un vendere door-to-door

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