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UniversitĂ Iuav di Venezia corso di laurea in disegno industriale anno accademico 2012/2013 sessione di laurea di novembre Tesi di laurea Giordano Zennaro 271102


Geografia Generale la Terra nell'Universo Capitolo dimostrativo



indice

INDICE La Terra è un pianeta instabile

1. I fenomeni vulcanici 1 Vulcani, terremoti e attività endogena 2 Vulcani e plutoni, manifestazioni diverse di uno stesso processo 3 Classificazione dei corpi magmatici intrusivi 4 I vulcani 5 I prodotti dell'attività vulcanica – SCHEDA Le lave: forme e strutture 6 Le forme degli edifici vulcanici – SCHEDA Il pericolo e il rischio vulcanico 7 Le diverse modalità di eruzione – SCHEDA L'eruzione del monte St. Helens 8 La geografia dei vulcani 9 Il vulcanesimo secondario – PER IL RIPASSO – in sintesi

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INTENTI Questo fascicolo presenta un solo capitolo dimostrativo al solo scopo di illustrare il progetto grafico per la collana Materia. La presenza, alla pagina successiva, dell'elenco dei 4 capitoli della sezione (La Terra è un pianeta instabile) serve quindi soltanto per tale scopo. Le informazioni sono comunque state trattate con il massimo rigore senza alterarne il valore scientifico, cercando di mantenere fedeltà assoluta al testo di provenienza.

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LA TERRA è un pianeta instabile


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1. I fenomeni vulcanici 2. I fenomeni sismici 3. La struttura interna e le caratteristiche fisiche della Terra 4. Tre teorie per spiegare la dinamica della litosfera



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1. I fenomeni vulcanici

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VULCANI, TERREMOTI E ATTIVITà Endogena Vulcani e plutoni: manifestazioni diverse di uno stesso processo CLASSIFICAZIONE DEI CORPI MAGMATICI INTRUSIVI I Vulcani I prodotti dell'attività vulcanica Le forme degli edifici vulcanici Le diverse modalità di eruzione La geografia dei vulcani Il vulcanesimo secondario


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Figura 1. L’attività vulcanica può dare luogo a manifestazioni varie e complesse che non sempre sono associate alla costruzione di un cono vulcanico classico, come quello del vulcano Kilauea, nelle isole Hawaii.

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vulcani, terremoti E attività endogena

Vulcanesimo e attività sismica sono la testimonianza più drammatica ed evidente che il nostro pianeta è geologicamente attivo, sottoposto cioè all’azione di forze interne di notevole intensità, che trasformano e rendono instabile la crosta terrestre. I terremoti e le eruzioni vulcaniche, infatti, non sono fenomeni locali collegati a singoli episodi di instabilità, ma sono espressione di processi generati all’interno della Terra, che interessano globalmente tutta la litosfera. Le stesse forze endogene, che causano i fenomeni sismici e vulcanici, sono responsabili di molti altri fenomeni, quali la deformazione e l’innalzamento di grandi porzioni della crosta o la scomparsa di antichi mari e la formazione di nuovi oceani. Proprio perché la loro origine è collegata con processi complessi, lo studio dei vulcani e dei terremoti, che negli ultimi decenni si è notevolmente sviluppato, si è rilevato molto proficuo per comprendere ciò che si verifica all’interno della Terra e i meccanismi della dinamica crostale. Lo studio dei vulcani e dei terremoti non ha solo fini teorici: le eruzioni vulcaniche e i terremoti rappresentano un grave pericolo per la vita e le opere dell’uomo e quindi è auspicabile mettere a punto procedure che rendano possibile la previsione e la prevenzione di tali eventi.

Vulcani e plutoni: manifestazioni diverse di uno stesso processo

Tra le manifestazioni della dinamica interna del nostro pianeta, l’attività vulcanica, con la fuoriuscita di materiali dall’interno della Terra (eruzioni), è senza dubbio la più spettacolare, quella che più ha colpito la fantasia ed è rimasta impressa nella coscienza dell’uomo fin dalla sua comparsa. Ciò è testimoniato tra l’altro dalla quantità di miti, di tradizioni, di superstizioni con chiaro riferimento all’attività vulcanica, arrivati sino a noi. Con il termine vulcanesimo viene indicata l’emissione attraverso condotti e fenditure sia di fluidi a composizione silicatica (lave), sia di materiali solidi (materiali piroclastici), sia di vapori e gas, la cui origine è legata alla presenza di masse magmatiche fuse e calde all’interno della crosta terrestre (figura 1). Il vulcanesimo è l’aspetto più vistoso del processo attraverso il quale i magmi generano le rocce magmatiche. Il vulcanesimo è quindi inserito in un contesto più complesso ed è una fonte preziosa di informazioni sui magmi e in generale sul processo magmatico. Come abbiamo già accennato parlando della genesi delle rocce magmatiche, nelle zone della Terra immediatamente sottostanti alla crosta non esiste uno strato interamente fuso da cui provengono i materiali che alimentano i vulcani o l’attività intrusiva. Nel suo complesso l’interno della Terra è solido fino a una profondità di circa 2900km e il magma è presente sotto forma di sacche isolate in regioni circoscritte della crosta o del mantello superiore, che si formano quando si verificano variazioni locali delle condizioni di temperatura o pressione che portano alla fusione dei materiali preesistenti (figura 2). Un magma può formarsi a causa di un aumento di temperatura, oppure per una riduzione di pressione (quando la pressione diminuisce, si ha un abbassamento delle temperature di fusione dei minerali). Anche un aumento del contenuto di acqua (dovuto per esempio allo sprofondamento di una parte di crosta ricca di acqua in una regione già calda del mantello) può facilitare la trasformazione di una massa solida in magma: infatti l’acqua provoca un abbassamento del punto di fusione dei silicati. Variazioni significative di temperatura e pressione si possono verificare in profondità, nelle


fenomeni vulcanici

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Figura 2. Il magma primario si forma nel mantello superiore, in prossimità della litosfera. Il magma secondario si forma nella crosta, è più ricco in silice, ha un contenuto d’acqua maggiore ed è più viscoso rispetto al magma primario. Magma primario ~ 1300°C MAGMA SECONDARIO ~ 700°C

regioni instabili della Terra sottoposte all’azione di forze endogene di notevole portata, che deformano la litosfera. In alcuni casi, tali forze provocano fenomeni di distensione, determinano cioè la formazione di grandi fatture che attraversano l’intera litosfera. Nelle zone fratturate la pressione sulle rocce sottostanti diminuisce, perciò i materiali, parzialmente fusi del mantello, possono fondere del tutto, generando un magma primario. In altri casi, invece, si creano forze che causano la compressione o lo sprofondamento di vaste regioni della litosfera in cui sono presenti sedimenti ricchi di acqua. In queste zone così tormentate si ha la produzione sia di magmi primari (per fusione del mantello) sia di magmi di anatessi (o secondari), cioè di magmi che si formano in seguito alla fusione della crosta. Il magma primario è un magma femico, molto caldo all’origine, mentre il magma di anatessi ha una temperatura iniziale minore e una composizione variabile, ma sempre più sialica rispetto al magma primario. In entrambi i casi, all’origine della formazione del magma c’è un processo di fusione parziale di rocce preesistenti: all’interno della massa solida sottoposta alla variazione di temperatura e di pressione, fondono per primi i minerali che hanno temperatura di fusione più elevata formando gocce di fluido meno dense dei materiali circostanti. Queste gocce non hanno la stessa composizione delle rocce da cui deri-

vano, perché i minerali più sialici fondono a temperature inferiori rispetto a quelli femici: per questo dal mantello formato di rocce ultrafemiche deriva un magma basaltico, mentre dalle rocce della crosta, di composizione variabile (ma non ultrafemiche), deriva un magma più sialico. Le gocce fuse sono meno dense delle rocce che le circondano. Esse perciò si muovono facilmente e si aggregano formando una massa unica di magma che risale verso la superficie, insinuandosi nelle zone in cui la pressione litostatica è minore. Una parte dei magmi non riesce a raggiungere la superficie e solidifica in profondità: in tal caso si forma un colpo igneo intrusivo, chiamato plutone. In molti casi, invece, la massa fluida del magma risale verso le regioni superficiali della crosta e tende a concentrarsi in bacini, detti camere magmatiche, che alimentano le eruzioni vulcaniche. La composizione dei magmi che formano i plutoni o alimentano le eruzioni vulcaniche può essere molto varia. Indipendentemente dalla sua origine, infatti, una massa di magma può differenziarsi durante la sua risalita, sia perdendo parte dei minerali che cristallizzano per primi (i più poveri in silice), sia perché si arricchisce di nuovi componenti, fondendo parte delle rocce circostanti. Il processo di differenziamento è importante sopratutto per il magma primario, dal quale possono deriva-

Pressione litostatica È la pressione determinata dal peso delle rocce.


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Figura 3. Differenze di composizione tra magma sialico e magma femico. Il contenuto in silice influenza la viscosità del magma, mentre la quantità d’acqua presente è importante per determinare il punto di fusione dei silicati.

Magma FEMICO

MAGMA Sialico

SILICE ~ 50%

SILICE ~ 70%

Acqua ~ 2% Acqua ~ 15% altro ~ 48%

1 Il magma è una miscela, perciò non ha una propria temperatura di fusione. Qui s’intende, perciò, temperatura di fusione media.

Viscosità È una grandezza che misura la resistenza allo scorrimento di un fluido.

polimeri Molecole complesse formate da un numero elevato di molecole più piccole e in genere simili unite mediante legami covalenti.

altrO ~ 15%

re magmi caratterizzati da un tenore in silice molto superiore rispetto al contenuto iniziale. In linea di massima possiamo distinguere magmi femici (con basso tenore di silice), magmi sialici (con elevato tenore di silice) e magmi intermedi, a composizione andesitica, che contengono una percentuale di silice intermedia. I tre tipi di magma hanno caratteristiche fisiche differenti. Le proprietà che influenzano maggiormente il loro comportamento sono la viscosità e la percentuale d’acqua e di gas presenti. La viscosità del magma è condizionata principalmente dal contenuto in silice: più il magma è sialico, maggiore è la sua viscosità. Infatti, gli ioni silicato che formano la silice tendono, già allo stato fuso, a legarsi tra loro formando lunghi polimeri che ostacolano lo scorrimento del magma. Altri fattori influenzano, seppure in modo meno significativo, la viscosità del magma: una temperatura elevata, per esempio, facilita lo scorrimento del magma, mentre la

presenza di quantità elevate di bolle di gas ne aumenta la viscosità, perché il fluido si trasforma in una sorta di schiuma. Tra i gas importanti da questo punto di vista va ricordato il vapor d’acqua, che solitamente è più abbondante nei magmi sialici, mentre è scarso nei magmi femici. In generale, quindi, i magmi femici, caldi, poveri di silice e di vapor d’acqua hanno una viscosità decisamente inferiore rispetto ai magmi sialici, che sono più freddi, più ricchi di silice e di vapor d’acqua. I magmi andesitici ovviamente hanno caratteristiche intermedie. Dalla percentuale di acqua presente nel magma non dipende solo la quantità di vapore che si può produrre: come abbiamo detto, l’acqua riduce la temperatura di fusione dei silicati. Per questo motivo, il punto di fusione1 del magma sialico, spesso ricco di acqua, è relativamente basso rispetto a quanto prevedibile. Quando il magma risale verso la superficie, la pressione esterna diminuisce e parte dell’acqua contenuta si libera sotto forma di vapore. In questo modo il punto di fusione aumenta e il magma sialico, già relativamente freddo, può solidificare. Il magma femico invece, più caldo e più povero d’acqua non risente in modo significativo di questo effetto (figura 3). Dalla viscosità e dalla temperatura di fusione dei silicati presenti dipende la tendenza dei magmi a generare corpi intrusivi o fenomeni effusivi: i magmi più viscosi solidificano più facilmente (ma non sempre!) in profondità, mentre i magmi fluidi raggiungono più spesso la superficie alimentando eruzioni vulcaniche. Per questo la maggior parte delle lave ha composizione basaltica (o andesitica), mentre la maggior parte dei plutoni e formata da graniti (figura 4).

3 Figura 4. I rilievi che formano la Sierra Nevada, in California, sono per la maggior parte la porzione affiorante di un grande ammasso intrusivo di tipo granitico, modellato dall’azione dei ghiacciai.

Classificazione dei corpi magmatici intrusivi

I corpi magmatici intrusivi, cioè i plutoni, possono avere forme e dimensioni molto variabili e sono sempre circondati da rocce di altra natura (rocce incassanti), spesso sedimentarie o metamorfiche. I rapporti con le rocce incassanti possono essere vari: alcuni plutoni hanno forma massiccia; altri si intrudono (cioè si inseriscono) tra uno strato e l’altro di rocce sedimentarie, formando strutture allungate; altri ancora attraversano trasversalmente gli strati sedimentari. I rapporti tra magma intruso


fenomeni vulcanici

e rocce incassanti sono importanti per capire l’attività magmatica intrusiva. Quando il plutone attraversa trasversalmente una serie di strati sedimentari, si parla di plutone discordante, mentre in presenza di plutoni che si inseriscono tra uno strato e l’altro, si parla di plutoni concordanti. La classificazione dei plutoni si basa sulla forma, sulle dimensioni e sui rapporti con le rocce incassanti (figura 6). • I batoliti sono i plutoni affioranti di più grandi dimensioni (almeno 100 km2 di superficie). Si incontrano batoliti granitici o granodioritici nei nuclei di numerose catene montuose e molti costituiscono le radici di rilievi da tempo spianati dall’erosione (figura 6). L’osservazione rivela che i batoliti possono avere origine diversa: talora derivano dalla solidificazione di masse di magma proveniente da regioni più profonde, ma più spesso derivano da magmi di anatessi che non hanno subi-

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to alcun movimento. In questo caso, il limite di contatto con le rocce incassanti non è netto e la composizione difficilmente è omogenea, perché la fusione può essere avvenuta in modo parziale. • I FILONI sono corpi tabulari dello spessore di pochi metri. I filoni possono intrudersi tra i piani di stratificazione preesistenti nelle rocce incassanti, in tal caso si parla di filoni-strato (concordanti). Se i filoni tagliano trasversalmente gli strati preesistenti si parla di dicchi (discordanti) (figura 7). Spesso si osservano dicchi che si diramano dai batoliti. • I LACCOLITI sono plutoni concordanti, con una tipica a forma a fungo, che si formano per intrusione di magma lungo i piani di stratificazione. A causa della pressione con cui vengono iniettati, riescono ad inarcare gli strati di roccia sovrastanti.

Figura 5. Affioramento di rocce granitiche attraversate da due filoni, ben distinguibili per il colore scuro.

Figura 6. a sinistra Spesso i batoliti, di enormi dimensioni, costituiscono le radici di rilievi montuosi. a destra Le masse rocciose che prendono origine dalla solidificazione in profondità dei magmi sono dette corpi magmatici intrusivi. Essi possono essere molto vari nelle dimensioni, nella forma e nei rapporti con la roccia incassante. Su queste caratteristiche si basa la loro classificazione.

a.

b.

c.

Figura 7. I filoni sono corpi intrusivi dello spessore di pochi metri, che spesso compaiono associati in gruppi. I filoni si classificano in base ai rapporti con la roccia incassante in: filoni concordanti

o filoni-strato (a) e filoni discordanti o dicchi (B). I filoni possono intrudersi anche in rocce ripiegate e in tempi diversi (C): il filone più recente è quello più chiaro, perchè attraversa quello di più antica formazione.


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Figura 8. La risalita del magma avviene attraverso la formazione di “gocce di magma” (dette diapiri magmatici) che, essendo più leggere delle rocce circostanti, raggiungono la camera magmatica attraverso fratture della litosfera. Durante la risalita il magma si raffredda e inizia la cristallizzazione di alcuni componenti.

i vulcani

L’attività vulcanica si manifesta nelle regioni della Terra dove grandi fratture e tensioni, causate da movimenti in grande scala della litosfera, riducono la pressione litostatica e consentono la risalita del magma verso la superficie. La spaccatura della superficie terrestre, attraverso la quale fuoriescono lave e materiali aeriformi o solidi derivanti dal magma, prende il nome di vulcano (nel linguaggio corrente il termine vulcano indica non solo la frattura, ma anche l’intero edificio). L’edificio che si forma in superficie per l’accumulo di tutto il materiale eruttato (lava, frammenti di roccia strappati al substrato preesistente, brandelli di lava solidificati rapidamente nella caduta ecc.) costituisce nel suo insieme l’edificio vulcanico. Il vulcano è in genere alimentato da una camera magmatica, situata nella crosta a una profondità di alcuni kilometri, che comunica con l’esterno attraverso un condotto, o camino vulcanico. Nella camera magmatica, il magma, proveniente da regioni più profonde, si accumula e ristagna: alcuni componenti cominciano a cristallizzare, mentre i gas e i vapori, a causa della diminuzione della temperatura e della pressione esterna, tendono a separarsi dal fluido e si raccolgono nella zona superiore. In prossimità della superficie, infatti, la pressione scende considerevolmente e i gas possono liberarsi ed espandersi (figura 8). L’eruzione, cioè la fuoriuscita del materiale magmatico in superficie, si verifica quando nella camera magmatica si crea una pressione che supera la pressione litostatica. Ciò può accadere in vari modi. Per esempio, nella camera magmatica può giungere nuovo magma proveniente dalle zone profonde della litosfera, provocando un aumento della pressione interna, oppure la pressione litostatica può diminuire, perché si creano fratture nella crosta, o, più semplicemente, i gas con il tempo si separano dal magma, provocando un aumento di pressione. In ogni caso quando la pressione esercitata dal magma e dai gas supera la pressione litostatica che grava sul condotto, i componenti volatili si espandono trascinando il magma lungo il condotto e all’esterno. Le eruzioni vulcaniche non sono continue e possono avvenire con modalità diverse. Le differenze riguardano i prodotti, la durata dell’attività e i meccanismi eruttivi.


fenomeni vulcanici

Innanzitutto, il vulcano può eruttare principalmente lava (attività effusiva) o materiali solidi (attività eiettiva) o gas (attività esalativa). In secondo luogo, si possono alternare periodi di attività a periodi di quiete di durata diversa, durante i quali il magma riempie nuovamente la camera magmatica. Talvolta il vulcano resta attivo per un breve periodo, settimane o al massimo alcuni mesi, e in seguito si esaurisce; si parla allora di attività parossistica. In altri casi, il vulcano continua la sua attività emettendo lave, scorie, o vapori per mesi, anni o secoli, in questo caso si parla di attività persistente. Ogni fase eruttiva può essere differente da quelle precedenti sia per le modalità con cui si realizza, sia per i materiali eruttati. Infine, per quanto concerne i meccanismi eruttivi si osserva un netto dualismo. Quando il vulcano ha un’attività tranquilla si parla di vulcanesimo effusivo, vi sono piccole esplosioni, la lava fuoriesce senza ostacoli e scorre senza difficoltà lungo i fianchi dell’edificio vulcanico (figura 9). Si parla invece, di vulcanesimo esplosivo, quando l’eruzione è caratterizzata da esplosioni violente e distruttive. Nel vulcanesimo effusivo i prodotti principali dell’attività del vulcano sono lava e scorie; nel vulcanesimo esplosivo vengono, invece, eiettati soprattutto frammenti solidi di varie dimensioni. La lava è scarsa mentre vengono spesso disperse significative quantità di gas. Il tipo di attività di un vulcano dipende dai caratteri chimico-fisici del magma, in particolare dalla viscosità e dalla percentuale di vapor d’acqua e gas presenti. Dalla viscosità dipende la facilità con cui il magma risale nel condotto: i magmi viscosi si muovono a fatica e si raffreddano facilmente nel condotto, formando tappi che occludono le vie di accesso verso l’esterno. I gas ( che possono costituire fino al 5% della massa totale del magma), e in particolare il vapor d’acqua, sono importanti perché influenzano la mobilità del magma e sono il motore fondamentale delle eruzioni. Infatti, quando il magma risale, la pressione diminuisce e il gas, caldo, tende ad espandersi occupando un volume che può essere centinaia di volte maggiore di quello originario. Se però i gas non hanno la possibilità di espandersi liberamente e regolarmente, è probabile che a un certo punto si verifichi un’esplosione (con un effetto analogo all’esplosione di una lattina che contenga gas a forte pressione). In genere, i magmi femici sono fluidi, hanno

uno scarso contenuto in acqua, scorrono con facilità, e durante la risalita liberano in modo regolare i gas che contengono. Essi perciò alimentano solitamente vulcani con attività effusiva tranquilla. I magmi sialici e andesitici, invece, sono più viscosi, perciò possono formare tappi densi che ostruiscono i condotti di fuoriuscita della lava. La crosta solidificata e la lava viscosa che resta nel condotto vulcanico impediscono la fuoriuscita dei gas, che si accumulano senza riuscire ad espandersi liberamente. La pressione , perciò aumenta fino al momento in cui i gas riescono a vincere la resistenza dei materiali che li sovrastano e liberano improvvisamente e violentemente il condotto vulcanico, trascinando verso l’esterno la lava e i frammenti e le polveri, prodotti durante l’esplosione. In molti casi l’esplosione che si verifica distrugge la parte alta del condotto vulcanico e i frammenti delle rocce vengono eiettati insieme ai gas e alla lava. Per questo, i magmi sialici e i magmi andesitici, ricchi di gas e di vapor d’acqua, alimentano un’attività prevalentemente esplosiva. Ovviamente il limite tra i due tipi di attività non è netto e un medesimo vulcano può alternare fasi esplosive e fasi di effusione tranquilla.

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Figura 9. Quando la lava eruttata da un vulcano è fluida scorre, formando fiumi di lava.

Magma FEMICO attività effusiva

MAGMA Sialico e andesitico attività esplosiva P


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Figura 10. Affioramento di ossidiana, prodotto del raffreddamento di una lava sialica; si tratta di una roccia con struttura vetrosa.

i prodotti dell’attività vulcanica

I materiali emessi nel corso di un’eruzione possono essere: colate laviche, materiali piroclastici, gas e vapori. Le quantità dei tre tipi di materiali variano da eruzione a eruzione. Inoltre, lo stesso vulcano può attraversare, nel corso della sua storia, fasi diverse caratterizzate da emissioni differenti.

di lava. Quando il raffreddamento è particolarmente rapido e il magma contiene notevoli quantità di gas e vapor d’acqua, la lava assume l’aspetto spugnoso della pomice oppure si formano vetri vulcanici come le ossidiane (fig. 10). Le lave andesitiche presentano un comportamento intermedio: spesso formano strutture bollose, perché liberano con difficoltà i gas e si muovono meno facilmente delle lave basaltiche.

• Le colate laviche (anche dette effusioni) possono avere composizione basaltica, riolitica o andesitica. Le lave basaltiche, derivano da magmi femici, hanno una temperatura di 1000-1200 °C, scorrono velocemente e si espandono come veri e propri fiumi intorno alla spaccatura da cui fuoriescono. Possono muoversi con una velocità notevole (anche di 50 km/h) creando espandimenti di spessore ridotto, che ricoprono vaste superfici intorno al vulcano. A ogni nuova eruzione corrisponde la formazione di un nuovo strato, che si sovrappone a quelli precedenti, ormai solidi. Le lave riolitiche hanno una temperatura di 800-900 °C, derivano da magmi sialici perciò sono più viscose e lente nello scorrimento. Creano in genere strutture bulbose (cupole, guglie e duomi) che solidificano prima di allontanarsi dal condotto vulcanico o all’interno di questo. Sono molto più rare di quelle basaltiche, sia perché i magmi sialici tendono a solidificare in profondità, sia perché quando giungono in superficie alimentano eruzioni esplosive, in cui vengono prodotte scarse quantità

• I materiali piroclastici sono frammenti solidi o semisolidi, di composizione e dimensioni varie, eiettati dal vulcano nell’atmosfera durante una fase di attività esplosiva. Derivano da materiali strappati alle rocce dell’edificio vulcanico, oppure da lave solide che ostruiscono i condotti e vengono frantumate durante un’esplosione. I frammenti eiettati sono chiamati piroclasti e sono classificati in base alle dimensioni: in ordine di grandezza crescente, si parla di polveri, ceneri, lapilli (grandi come sassolini) e bombe (di maggiori dimensioni, spesso formate da lava che viene eiettata allo stato semisolido) (figura 11). Durante le esplosioni più violente possono essere eiettate quantità enormi di materiali piroclastici. Quando i frammenti ricadono, per effetto della gravità, si formano depositi simili a depositi sedimentari (caduta gravitativa). I frammenti più pesanti si depositano nei pressi della bocca del vulcano, quelli più fini possono essere portati a distanze anche considerevoli dal vulcano. Quando i frammenti vengono cementati fra loro si formano le rocce piroclastiche. Da ceFigura 11. a sinistra I piroclasti vengono classificati in base alle dimensioni come polveri, ceneri, lapilli e bombe. a destra Modalità di movimento lungo le pendici di un cono vulcanico di una nube ardente, che si deposita come un fluido.


fenomeni vulcanici

neri e polveri derivano i tufi vulcanici, mentre da bombe e lapilli derivano le brecce vulcaniche. Talvolta i materiali piroclastici vengono trasportati e depositati mediante meccanismi particolari, diversi dalla caduta gravitativa. Quando l’esplosione è accompagnata dall’emissione di grandi quantità di gas, i frammenti più fini, polveri, cenere e lapilli, mescolati a gas densi, possono restare in sospensione e originare gigantesche nubi ardenti. Le nubi ardenti si muovono come colate mobilissime e scendono lungo i fianchi del vulcano con velocità incredibile perché le particelle sono tenute in sospensione dai gas e non c’è attrito. Si formano nubi ardenti nell’attività esplosiva di molti vulcani alimentati da magmi sialici (figura 11). Tristemente famoso è il caso del vulcano La Pelée, nella Martinica, che con una nube ardente distrusse nel 1902, la città di St. Pierre, causando in pochi minuti la morte di 28000 persone. La nube ardente aveva una temperatura di circa 800 °C e si muoveva con una velocità superiore ai 100 km/h. I depositi prodotti da nubi ardenti sono caldi e plastici, perciò si cementano facilmente originando vaste coltri di rocce piroclastiche sialiche, chiamate ignimbriti. Si conoscono espandimenti

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sopra Figura 12. Il vulcano islandese Eyjafjallajökull durante la sua eruzione nel 2010. sotto Figura 13. Un esempio di bomba vulcanica.

sopra Figura 14. Lapilli eruttati dall’Etna, in Sicilia.


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Figura 15. a sinistra alcune eruzioni esplosive generano dei lahars: colate di piroclasti che si mescolano a laghi o a ghiacciai, sciolti dal calore dei gas vulcanici, diventando fango. a destra In seguito alle esplosioni freato-magmatiche a partire dal cratere del vulcano si forma una nube di vapore e materiali solidi, che espande molto rapidamente in senso radiale, detta base surge.

Figura 16. Ignimbrite riolitica, all’interno della quale sono riconoscibili alcuni lapilli di colore rosso-bruno.

ignimbritici, formatisi in epoche passate, che coprono aree con una superficie di decine di migliaia di kilometri (figura 16). Talvolta, durante le eruzioni esplosive, i materiali piroclastici, mescolandosi con l’acqua di laghi o ghiacci sciolti dal calore dei gas vulcanici, producono gigantesche colate di fango chiamate lahars. Le colate di fango si incanalano in genere lungo i corsi dei fiumi preesistenti generando potenti ondate distruttive che seppelliscono quanto incontrano sul loro percorso (figura 15). Una colata di fango di questo genere è stata prodotta dall’eruzione del 1985 del vulcano Nevado del Ruiz, in Colombia: i materiali emessi durante l’eruzione provocarono la fusione del ghiacciaio che si trovava sulle pendici del vulcano, generando una valanga di acqua e fango che si abbatté a velocità elevatissima sulle città e sui villaggi circostanti, provocando la morte di più di 25000 persone. Rapide colate di fango possono avvenire anche a distanza di anni dall’eruzione stessa, quando sui versanti del vulcano, ricoperti di materiali piroclastici, cadono piogge abbondanti. Lahars e nubi ardenti sono chiamate colate piroclastiche. Colate di materiali piroclastici meno dense (perché contengono più gas e meno materiali piroclastici), dette base-surge, si formano quando il magma si mescola con grandi quantità d’acqua, che si infiltrano nel condotto vulcanico. In tal caso il vapore che si forma genera una pressione elevatissima, causando un’onda esplosiva che si espande ad anello intorno ad un getto verticale di gas e piroclasti. Poiché la forma della nube in espansione ricorda il fungo di un’esplosione atomica, il fenomeno viene indicato con lo stesso termine: base-surge (onda basale) (figura 15).

• I gas emessi durante un’eruzione variano, per tipo e quantità, considerevolmente da caso a caso. Il vapor d’acqua è sempre il componente principale e può essere miscelato con molti altri gas. I più frequenti sono il biossido di carbonio (CO2), l’ossido di carbonio (CO), il solfuro di idrogeno (H2S), il triossido di zolfo (SO3) e il biossido di zolfo (SO2), l’acido cloridrico (HCl), l’ammoniaca (NH3) e il metano (CH4). È difficile comunque fare una valutazione precisa della composizione delle miscele, per le difficoltà che ovviamente si incontrano nella raccolta di campioni, prima che si mescolino con i gas dell’aria. I gas vulcanici, inoltre, si trasformano facilmente generando sostanze diverse; il triossido di zolfo, per esempio a contatto con l’umidità dell’aria si trasforma in acido solforico (H2SO4). I gas svolgono un ruolo importante nel determinare le modalità con cui avviene un’eruzione. Infatti, la pressione che esercitano facilita la risalita e contribuisce alla fuoriuscita del magma, mentre l’attività esplosiva o effusiva dipende, come abbiamo visto, dalla loro concentrazione e dalla velocità con cui vengono liberati durante il raffreddamento. I gas emessi si disperdono nell’atmosfera e possono essere trasportati a grande distanza (figura 17). Oggi l’immissione di gas vulcanici non modifica sostanzialmente la composizione dell’atmosfera, ma nelle fasi primordiali della storia del nostro pianeta, i gas prodotti da eruzioni, sicuramente più imponenti e numerose di quelle attuali, hanno contribuito in modo determinante alla formazione della primitiva atmosfera.


fenomeni vulcanici

Figura 17 La gigantesca nube ricca di triossido di zolfo prodotta dall’eruzione del vulcano Pinatubo, nelle Filippine, nel giugno del 1991. I gas eruttati si sono dispersi lungo tutta l’atmosfera terrestre. Si tratta della seconda esplosione più violenta del xx secolo.

le lave: forme e strutture Le lave ormai solidificate possono presentarsi con forme varie e curiose, che dipendono principalmente dalle modalità di raffreddamento (lento o rapido) e dalle condizioni ambientali. Le lave a corda (anche dette pahoehoe, dal nome utilizzato nelle isole Hawaii dove sono presenti vulcani che eruttano lave basaltiche) originano da colate molto fluide in prossimità del camino vulcanico e si distendono in strati sottili, ricoperti da una pellicola levigata che solidifica rapidamente. Lo strato superficiale solido mantiene una certa plasticità e viene continuamente deformato dal fluido sottostante, fino a formare strutture a pieghe simili a corde (figura 18). Le lave a blocchi scoriacei (dette anche aa, ancora con un termine hawaiano) hanno aspetto spugnoso e sono costituite da blocchi con una superficie irregolare e scoriacea. Questa struttura

si forma quando la lava basaltica, allontanandosi dal vulcano, si è in parte raffreddata e ha ormai perso buona parte dei componenti volatili. In tal caso lo stato superficiale solido è molto spesso e non può deformarsi, perciò mentre il materiale ancora fuso sottostante si muove ancora, lo strato superficiale si spacca in blocchi frastagliati (figura 19). Colate di questo tipo si osservano facilmente in molte eruzioni dell’Etna. Le lave basaltiche sottoposte a un brusco raffreddamento danno origine a particolari strutture a fessurazione colonnare: la lava subisce una forte contrazione e solidifica in colonne verticali a sezione prismatica (figura 20). Le lave a cuscini (pillow lavas) si formano, invece, quando lave basaltiche o andesitiche vengono effuse in mare profondo da vulcani sottomarini. In queste eruzioni in genere i gas vengono liberati lentamente e senza esplosioni, per via della pressione

esercitata dall’acqua, e la lava sgorga tranquillamente. La superficie della lava, a contatto con l’acqua, si raffredda molto rapidamente, formando una pellicola vetrosa che isola dall’ambiente esterno la bolla di materiale fuso eruttato che può anche mettersi in movimento. All’interno il liquido solidifica lentamente e si può fratturare, creando nel cuscino strutture radiali (figura 21). Se un’eruzione basaltica avviene in acque poco profonde, la pressione dell’acqua non è sufficiente a contrastare la rapida fuga dei gas che vengono emessi al contatto della lava calda con il liquido freddo. Le grandi quantità di vapore che si liberano producono getti violenti, che si innalzano oltre la superficie del mare. Si alternano esplosioni ed emissioni tranquille e dalla superficie del mare si elevano nubi bianche di vapore. Le lave solidificate e i frammenti piroclastici si accumulano, creando un edificio che infine emerge dalle acque e origina un’isola vulcanica.

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Figura 18. Le lave a corda hanno una superficie liscia e poco accidentata. Figura 19. Le lave a blocchi scoriacei presentano una superficie accidentata e scabra. Figura 20. Affioramento di basalti colonnari, prodotto di un rapido raffreddamento, che determina la contrazione della massa lavica. Figura 21. Affioramento di lave a cuscino.

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Figura 22. a sinistra Nel corso delle eruzioni lineari la lava fuoriesce da lunghe fenditure e forma estesi ricoprimenti. a destra Sezione schematica di un apparato vulcanico. Dalla camera magmatica, il magma risale attraverso il condotto principale e gli eventuali condotti secondari. L’eruzione può avvenire attraverso il cratere principale o i crateri avventizi. Parte del magma può dare origine a filoni e dicchi, che solidificano prima di raggiungere la superficie. L’apparato vulcanico sarà costituito da colate successive che si accumulano, o da strati di colate alternati a strati di scorie, o ancora solo da scorie, a seconda del tipo di attività.

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Le forme degli edifici vulcanici

In base alle caratteristiche peculiari dei materiali eruttati, alle dimensioni dei bacini magmatici che fungono da serbatoio, alla natura e alla giacitura, cioè alla disposizione delle rocce preesistenti, gli apparati vulcanici possono assumere varie morfologie. Innanzitutto, è importante distinguere i vulcani ad attività lineare dai vulcani ad attività centrale (tabella). lava

Eruzioni centrali

Eruzioni lineari

Femica

• vulcani a scudo

• ricoprimenti basaltici • dorsali oceaniche

• stratovulcani • coni di scorie Sialica

• cupole di ristagno • estrusioni solide • caldere

• ricoprimenti ignimbritici

Si parla di eruzioni centrali quando i materiali vengono eruttati da un cratere centrale intorno a cui si accresce un edificio vulcanico, detto cono. Dal serbatoio magmatico il magma ri-

sale verso la superficie attraverso un condotto principale che alimenta il cratere principale, ma possono essere presenti anche condotti secondari che alimentano altri crateri, detti crateri avventizi (figura 22). Si parla di eruzioni lineari quando il magma fuoriesce da fratture della crosta allungate e strette che possono svilupparsi anche per kilometri. In tal caso intorno alla fessura non si accresce un vulcano con il classico aspetto a cono, perché la lava si espande su ampie superfici, originando ricoprimenti (plateaux) di notevole estensione (anche migliaia di kilometri quadrati) (figura 23). Sia nel caso di attività centrale sia nel caso di attività lineare la struttura dell’edificio vulcanico è strettamente correlata al tipo di magma emesso e ai meccanismi di eruzione. Inoltre, soprattutto nel caso di attività centrale, esiste una grande varietà di situazioni, perché, nella maggior parte dei casi, l’edificio viene costruito attraverso una successione di fasi caratterizzate da attività diversa. Così come spesso si riconoscono nell’apparato vulcanico sia strutture prodotte da attività effusiva sia strutture create da attività esplosiva. Gli edifici più comuni per quanto riguarda l’attività centrale, sono i vulcani a scudo, gli stratovulcani e i coni


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di scorie. I vulcani a scudo sono edifici vulcanici caratterizzati da pendii dolci e dimensioni molto estese. Sono prodotti da attività effusiva tranquilla, associata a magmi fluidi e basaltici. Sono vulcani a scudo i vulcani hawaiani (figura 24). Gli stratovulcani sono vulcani che alternano fasi di attività esplosiva a fasi di attività effusiva. L’edificio vulcanico risulta costituito da strati di lava solidificata, alternati a strati di materiali piroclastici, di consistenza diversa secondo l’entità di ciascuna fase eruttiva (figura 24). Sono stratovulcani il Vesuvio, l’Etna e molti vulcani continentali, come il monte St. Helens, in California, e il Fujiyama, in Giappone. Negli stratovulcani si formano spesso crateri avventizi sui fianchi del cono principale. Quando, infatti, il cratere centrale è ostruito da lava che risale lungo il condotto cerca percorsi alternativi e apre nuove bocche o addirittura crea nuovi edifici. L’Etna, per esempio, è un vulcano composto da numerosi coni ed edifici prodotti in fasi diverse di attività. L’Etna è uno stratovulcano particolare, perché l’edificio è costituito prevalentemente da colate laviche, perciò assomiglia a un vulcano a scudo. I coni di scorie sono formati da materiali piroclastici e hanno una pendenza accentuata. In genere sono piccoli edifici che si formano nel corso di una sola eruzione esplosiva.

sopra Figura 23. Laki, un esempio islandese di eruzione lineare.

sotto Figura 24. Struttura degli edifici vulcanici ad attività centrale. Da sinistra: uno stratovulcano, un vulcano scudo e un cono di scorie.

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Nella morfologia di un vulcano inoltre si possono riconoscere alcuni elementi caratteristici. • Forme costruite in seguito all’emissione di materiali solidi o fluidi: possono essere colate ad espandimenti lavici, strati di materiali piroclastici e ignimbriti, conetti di scorie o di lava edificati da brevi eruzioni intorno a crateri avventizi, estrusioni solide. Queste ultime strutture si formano quando la lava è molto viscosa e non riesce a scorrere all’esterno del cratere: si crea così un’estrusione solida all’interno del cratere stesso.

in alto Figura 25. Affioramento di un neck (sulla destra). I neck sono antichi condotti vulcanici, ostruiti da lava e materiali piroclastici, messi a nudo dall’erosione che smantella l’edificio circostante, portando alla luce il materiale che ostruiva il condotto. In questo caso dal neck parte un dicco lungo molti chilometri (sulla sinistra).

Figura 26. sopra Il cono del Vesuvio che si innalza all’interno di un’antica caldera, di cui il monte Somma, visibile sulla sinistra, costituisce il bordo esterno. sotto Schema della struttura di una caldera.

• Forme dovute ad eventi distruttivi o di sprofondamento: possono essere crateri, caldere, diatremi. Le caldere sono depressioni con le pareti scoscese e un ampio fondo piatto. Sono il risultato di un’attività esplosiva ripetuta nel tempo o dello sprofondamento della parte sommitale del vulcano (figura 26). Se, infatti, la camera magmatica si svuota non è più in grado di sostenere totalmente il peso del cono vulcanico, che sprofonda, generando una cavità a forma conica che può avere un diametro di qualche kilometro. Un risultato analogo si ha quando esplosioni successive causano il crollo delle pareti del cratere svuotato. Il cratere risulta perciò troncato e può ampliarsi notevolmente. Un diatrema è un condotto vulcanico colmato da brecce magmatiche originatesi in seguito a una violenta esplosione interna di gas. I diatremi, molto probabilmente, si formano quando sono presenti ingenti quantità di gas in un bacino magmatico e si producono getti di materiale caldo e ricco di gas in risalita dagli strati profondi, che esplodono con violenza superiore a quella che origina le nubi ardenti. Sono famosi i diatremi delle miniere di Kimberley in Sudafrica (camini Kimberlitici), sfruttati per l’estrazione dei diamanti. Sono intrusioni simili a colonne, costituite di rocce ultrabasiche, sicuramente provenienti dal mantello, data la presenza di diamanti che, come è noto, si formano solo a pressioni molto elevate, a una profondità superiore ai 100 km.


fenomeni vulcanici

Il pericolo e il rischio vulcanico tra le aree ad alto rischio geologico, quelle vulcaniche sono spesso le più popolate grazie alla fertilità dei suoli, che contengono i prodotti delle eruzioni vulcaniche, soprattutto di quelle esplosive. La fertilità dei suoli vulcanici è legata alla presenza di elementi chimici, come il potassio, il calcio, il magnesio, il ferro ecc. Mentre nelle rocce intrusive questi elementi sono imprigionati nei cristalli dei vari minerali e non possono essere utilizzati dalle piante, nelle rocce e nelle ceneri vulcaniche sono presenti in una forma meno stabile. Questi terreni rocciosi tendono a essere facilmente erosi dall’acqua e dal vento e a cedere questi elementi, che poi vengono assorbiti e utilizzati dalle piante. Ma per sfruttare la fertilità dei suoli vulcanici, l’uomo deve impiantare i propri insediamenti abitativi sulle pendici dei vulcani, e quindi esporsi al pericolo di nuove eruzioni. Poiché è impossibile impedire che avvenga un’eruzione, per garantire la sicurezza delle popolazioni che vivono in prossimità di un vulcano è fondamentale saper valutare correttamente i rischi che si corrono in una data regione, in modo da mettere in atto strategie opportune da attuare in caso di una ripresa o di una recrudescenza dell’attività vulcanica. La stima del rischio vulcanico e la pianificazione degli interventi in caso di pericolo devono essere basati sui risultati di studi sia vulcanologici sia socio-economici. Il rischio vulcanico infatti, dipende sia dalla pericolosità del vulcano (intesa come probabilità che in una data regione si verifichi un’eruzione potenzialmente distruttiva), sia dai danni che il vulcano potrebbe provocare nel contesto in cui è inserito, tenendo conto della tipologia delle costruzioni, della densità di popolazione, dell’estensione delle aree urbane e del terreno agricolo ecc. la pericolosità di un vulcano va valutata considerando in particolare la sua morfologia e la sua attività eruttiva (colata lavica, colata piroclastica, basesurge, ecc.), attraverso lo studio delle precedenti manifestazioni. Da questo punto di vista, è evidente per esempio che le colate laviche sono meno pericolose rispetto alle nubi ardenti o alle colate di fango, che si muovono con velocità ed energia nettamente superiori. Bisogna anche considerare la periodicità e la frequenza con cui si verifica l’attività. L’Etna, per esempio, è un vulcano con un’attività pressoché continua, che si intensifica in particolari momenti senza

tuttavia presentare comportamenti imprevisti, mentre il Vesuvio ha sempre alternato lunghi periodi di quiescenza a eruzioni improvvise, caratterizzate da evoluzioni imprevedibili. Può essere utile anche valutare la morfologia dell’edificio vulcanico: la presenza di caldere o di rilievi potrebbe condizionare i movimenti dei materiali emessi durante l’eruzione. Nel caso del Vesuvio per esempio, la presenza del monte Somma, sul versante settentrionale del cratere principale, potrebbe impedire un movimento verso nord delle colate laviche che così si riverserebbero sui versanti meridionali del cono, mentre sul versante occidentale potrebbe verificarsi una pioggia di ceneri che in caso di piovosità prolungata, potrebbe a sua volta generare una colata di fango. In base alle stime effettuate, tenendo conto di tutti i parametri indicati, è possibile costruire mappe di pericolosità di un vulcano in cui si considerano le aree che potrebbero essere interessate da un’eventuale eruzione, valutando il rischio cui potrebbero andare in contro le diverse località. Si può calcolare quale sia la probabilità che una certa area sia invasa da una colata di lava oppure da una colata di fango (figura 27). Le mappe della pericolosità dei vulcani sono un utile strumento di lavoro per stabilire piani di evacuazione e affrontare con strategie adatte il rischio causato dall’eruzione. Le strategie sono ovviamente diverse a seconda del tipo di attività del vulcano. Con i vulcani ad attività effusiva si può convivere più facilmente (dal momento che le colate laviche si muovono lentamente, un improvviso intensificarsi dell’attività non comporta rischi immediati) e soprattutto è possibile ideare di volta in volta nuove tecniche per provare a deviare il flusso della lava e incanalarlo nelle direzioni volute. Un intervento attivo è, invece, impossibile nel caso di vulcani ad attività esplosiva. Non esiste, infatti, né un metodo per prevedere quando l’eruzione si verificherà, né un metodo per impedirne o modificarne lo svolgimento. Molti vulcani (non solo ad attività esplosiva) sono stati e sono tuttora attentamente monitorati; strumenti sensibilissimi registrano e misurano ogni piccola attività sismica (poiché le eruzioni si verificano spesso dopo una serie di terremoti, il primo dei quali avviene in profondità); mentre termometri che possono misurare temperature molto elevate (sopra i 1000 °C) registrano ogni variazione della temperatura della zona indiziata e, soprattutto, delle pozze di lava

in ebollizione. Oggi esistono anche satelliti artificiali con strumenti in grado di rilevare correnti di calore sotto la superficie terrestre (che sono un indizio della risalita del magma), mentre particolari livelle al suolo registrano ogni rigonfiamento della superficie terrestre nelle vicinanze dei vulcani. Questi rigonfiamenti sono, in genere, provocati da un aumento della pressione interna della crosta terrestre e che possono essere preludio di un’eruzione. Tutti questi segnali premonitori consentono di capire se si sta avvicinando il momento di un’eruzione, ma non di stabilire il momento esatto in cui avverrà, perché i segni premonitori possono durare settimane o mesi. Non è possibile neanche prevedere la violenza dell’esplosione o l’evoluzione nel tempo dell’eruzione. Per questo l’unica prevenzione, nel caso di un’eruzione esplosiva, resta una rapida evacuazione.

Figura 27. Per l'italia il vulcano con maggiore rischio vulcanico è il vesuvio, sia per le sue eruzioni esplosive, sia per l'elevata urbanizzazione della regione. La mappa illustra la pericolosità vulcanica del Vesuvio

aree ad alta probabilità di essere invase da colate di lava aree in cui potrebbero aprirsi nuovi crateri aree a bassa probabilità di essere invase da colate di lava aree ad alta probabilità di essere invase da colate di fango aree ad bassa probabilità di essere invase da colate di fango aree di accumulo delle colate di fango

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Le diverse modalità di eruzione

Le eruzioni effusive o esplosive possono realizzarsi con modalità differenti. I diversi tipi di eruzione prendono il nome dei vulcani in cui sono tipiche. Tra i vari tipi di eruzione ricordiamo i più diffusi.

• Eruzioni di tipo hawaiano, caratterizzate dall’emissione di lave basaltiche molto fluide e dall’assenza di esplosioni e lanci di materiale piroclastico. La lava molto fluida si espande facilmente a notevole distanza; gli edifici vulcanici perciò hanno estensione considerevole, con pendii dolci e poco inclinati, e sono formati da strati sovrapposti di colate laviche. La lava effonde da un condotto principale e spesso, sotto la spinta dei gas contenuti, durante le fasi iniziali dell’eruzione forma grandiose fontane di lava, che si elevano anche per centinaia di metri. Talvolta lungo i fianchi del vulcano si aprono bocche secondarie. La lava si raccoglie facilmente nelle zone depresse collegate con i condotti, formando veri e propri laghi di lava, nei quali ristagna e solidifica in tempi lunghissimi. Il modello classico di questo tipo di eruzione è dato dai vulcani che si trovano nelle isole Hawaii. L’intero arcipelago ha origine vulcanica ed è costituito da rocce basaltiche effuse dai numerosi coni vulcanici presenti. Tra questi il Mauna Loa è il più spettacolare: si erge a un’altezza di 10000 m sui fondali marini (ricordiamo che si tratta di un’isola vulcanica), ha un diametro basale di ben 100 km ed è in attività pressoché continua, anche se le grandi eruzioni si verificano periodicamente (circa ogni 8 anni) (figura 28). Durante le eruzioni sulla sua sommità si forma un lago di lava con un diametro di 5 km. • Eruzioni di tipo stromboliano, caratterizzate dall’emissione di colate laviche alternate a esplosioni più o meno violente con emissione di gas e materiali piroclastici. In questi vulcani la lava ha una composizione variabile, a volte fluida a volte viscosa. Periodicamente ristagna e solidifica ostruendo il cratere centrale. I gas che si accumulano causano esplosioni intermittenti, ma non troppo violente, e l’emissione di materiali piroclastici. In seguito la lava effonde sotto forma di fontane e colate. Il modello classico di questo tipo di eruzione è il vulcano Stromboli, uno stratovulcano che ha un’attività persistente (figura 29).

in alto Figura 28. La spettacolare eruzione del vulcano hawaiano Mauna Loa nel 1984.

sopra Figura 29. Eruzione del vulcano Stromboli, tra gli anni 200o e 2003.

• Eruzioni di tipo vulcaniano, in cui mancano quasi del tutto le colate laviche e l’attività vulcanica si manifesta con l’emissione esplosiva di materiali solidi e di dense nubi di ceneri e gas (figura 30). Tipico esempio è Vulcano, nelle isole Eolie. La lava di questi vulcani è riolitica o andesitica, molto viscosa e occlude facilmen-


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Figura 30. Eruzione del 10 giugno 2013 del vulcano russo Schiveluch; di tipo vulcaniano.

te il camino vulcanico con un tappo spesso e consistente. I gas si accumulano all’interno e raggiungono alte pressioni prima di riuscire a provocare l’esplosione del “tappo” che è molto violenta e causa l’emissione di nubi scure di polveri e scorie che si accumulano creando un cono di scorie. Molti stratovulcani attraversano fasi di attività di questo tipo. Anche il Vesuvio, per esempio, nel corso della sua complessa storia, ha attraversato fasi con attività di tipo vulcaniano. Le eruzioni violente, simili a quelle del Vesuvio, vengono chiamate eruzioni di tipo pliniano in onore di Plinio il Giovane, che descrisse l’eruzione del 79 d.C. in due lettere a Tacito. Nel corso di queste eruzioni l’esplosione spinge con forza i gas e le polveri verso l’alto, formando una colonna alta diversi kilometri, dalla quale si origina una nube a forma di fungo o di pino marittimo. I materiali vengono trasportati a grande distanza e solidificano come pomice. • Eruzioni di tipo peleano, caratterizzate dall’emissione di lava fortemente viscosa e ricca di gas che forma cupole di ristagno o guglie, che otturano il condotto (figura 31). L’attività vulcanica si manifesta con esplosioni di grande violenza, accompagnate dal crollo delle pareti dell’edificio vulcanico e dall’emissione di nubi ardenti. Questo tipo di attività prende il nome dal vulcano La Pelée, nella Martinica, nel Mar

dei Caraibi, tristemente famoso per l’eruzione verificatasi nel 1902. L’esplosione in quel caso fu preceduta da emissione di cenere, piccole scosse sismiche e dalla formazione di una cupola di ristagno. Le autorità sottovalutarono l’importanza di questi segnali premonitori e invitarono la popolazione a trattenersi sull’isola. Invece, l’8 Maggio 1902 dalla base della cupola fuoriuscì una nube ardente che, espandendosi lateralmente, raggiunse in pochi minuti la città di St. Pierre e causò la morte dell’intera popolazione. La nube conteneva prevalentemente biossido di carbonio, polveri e vetri vulcanici, aveva una temperatura di circa 800 °C e si muoveva alla velocità di 160 km/h. Nei mesi successivi, si verificarono altri episodi simili, che portarono alla fuoriuscita completa dei gas dal condotto. Infine nel cratere comparve un’estrusione solida simile a una guglia, che in pochi giorni raggiunse l’altezza di circa 300 m. La guglia era costituita da lava estremamente viscosa, parzialmente solidificata. Figura 31. il vulcano Chaitén durante la sua eruzione del 2008, un esmpio di cupola di ristagno, tipica delle eruzioni di tipo peleano.


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Figura 32. Eruzione del Monte St. Helens nel 1980, con la formazione di una nube ardente Figura 33. L'aspetto della sommità del vulcano sventrato dall'enorme esplosione. Figura 34. La fase finale dell'attività è rappresentata dalla formazione di un duomo all'interno del cratere.

L'eruzione del monte st. Helens Le eruzioni vulcaniche esplosive possono modificare l'aspetto di una regione in pochi istanti distruggendo parzialmente o totalmente l'edificio vulcanico e producendo tonnellate di materiali che, muovendosi con un'energia enorme, possono distruggere qualunque cosa. Un esempio significativo è l'eruzione del monte St. Helens, avvenuta il 18 maggio 1980 nello stato di Washington (USA). Dopo 123 anni di inattività, si verificò un'eruzione catastrofica: in pochi secondi ha liberato complessivamente un'energia equivalente a 27000 bombe atomiche del tipo sganciato su Hiroshima. Dopo 51 secondi la montagna venne squarciata da una terribile esplosione e un'enorme

quantità di cenere, lapilli, detriti e macigni fu scagliata in aria. Nei mesi precedenti l'eruzione era stata, per così dire, preannunciata da una serie di eventi: microsismi, provocati probabilmente dal magma in movimento, apertura di nuove fenditure e crateri, emissione di gas, vapori e ceneri. Infine, si formò un rigonfiamento che crebbe velocemente fino a raggiungere in alcuni punto l'altezza di 80 m. Improvvisamente il 18 maggio, senza che si verificasse un aumento di intensità dell'attività preparatoria, in seguito a una scossa sismica di magnitudo 5,1 dal rigonfiamento si staccò una frana che aprì un varco verso l'esterno al magma, e in meno di un minuto il vulcano fu sventrato lateralmente da un'esplosione di potenza immane. Durante l'esplosione,

si formò un cratere di 2 km di diametro e l'altezza del monte si ridusse di 350 m (figura 33). Gas e vapori esplosero orizzontalmente, mentre una colonna di gas e ceneri si alzò verticalmente, raggiungendo un'altezza di 25 km e si disperse nell'atmosfera (figura 32). Le foreste entro un raggio di 27 km vennero interamente distrutte e gli alberi abbattuti per la violenza dell'esplosione. Infine, una colata di fango formata dai materiali piroclastici mescolati all'acqua dei torrenti e dei ghiacciai si riversò a valle. Nei giorni che seguirono, le polveri vennero trasportate a grande distanza, si depositarono in coltri spesse danneggiando le coltivazioni anche a più di 2500 km di distanza dal vulcano e per settimane furono osservate dai satelliti artificiali negli strati alti dell'atmosfera.


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• Eruzioni freatiche, caratterizzate dall’emissione violenta di enormi quantità di vapore: in seguito al contatto con una massa magmatica calda, l’acqua presente nel sottosuolo si trasforma in vapore, che viene espulso attraverso una violenta esplosione. Se il vapore fuoriesce insieme a brandelli di magma, si parla di esplosione freato-magmatica. In entrambi i casi si tratta di esplosioni improvvise, difficilmente prevedibili e non controllabili, che causa no sempre danni enormi. L’esplosione freatica del Krakatoa, avvenuta nel 1883 è uno degli esempi più significativi. Krakatoa era una piccola isola (lunga appena 9 km), situata nello stretto della Sonda, tra Giava e Sumatra, formata da un antico stratovulcano di tipo andesitico. Nel 1883 venne completamente distrutta da un’esplosione di intensità tale da poter essere comparata a quella di una bomba atomica. Probabilmente l’acqua marina era penetrata attraverso le fratture dell’edificio vulcanico del bacino magmatico, causando la formazione di enormi quantità di vapor d’acqua caldo. L’eruzione cominciò nel mese di maggio e proseguì con fasi esplosive alternate a fase di quiete per più di tre mesi. L’isola sparì completamente e un volume pari a 23 km3 di detriti fu disperso nello spazio circostante per un raggio di oltre 500 km. Le polveri si alzarono fino a un’altezza di 11 km e alterarono in parte il comportamento dell’atmosfera, tanto da causare negli anni seguenti una lieve riduzione della temperatura media e tramonti di un rosso intenso. Le esplosioni innescarono anche una serie di tsunami, maremoti con onde alte anche 40 m che si abbatterono sulle coste vicine, causando la distruzione di gran parte degli insediamenti. L’eruzione del Krakatoa provocò la morte di 35000 persone. Oggi nella caldera prodottasi in seguito all’esplosione si è formata una nuova isola vulcanica (figura 35). • Eruzioni lineari: attualmente sono tutte caratterizzate dall’emissione di lave basaltiche e da un’attività effusiva. Si osservano in Islanda e in corrispondenza delle dorsali oceaniche, rilievi dai pendii dolci che attraversano come lunghe cicatrici tutti i fondali oceanici. In passato si sono verificate anche eruzioni lineari con emissione di lave sialiche. Le eruzioni lineari alimentate dai magmi basaltici producono volumi enormi di lava. Il vulcano islandese Laki nel 1783, per esempio, produsse un volume di 12,5 km3 di lava, sufficiente per ricoprire un’area di 560 km2. Intorno alle fessure si for-

mano espandimenti basaltici (figura 36). Un tipico espandimento basaltico è il Columbia Plateau, che ricopre una superficie di ben 130000 km2 ed è costituito di colate successive, che in alcune zone raggiungono uno spessore complessivo superiore a 1 km. Anche l’Islanda è costituita da un espandimento basaltico prodotto dal sistema di lunghe fratture attualmente attivo in tutta l’isola. I ricoprimenti riolitici (plateaux ignimbritici) sono meno frequenti. In Italia è tale la piattaforma porfirica atesina, che si è formata circa 250 milioni di anni fa.

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Figura 35. Dove più di 100 anni fa si polverizzò Krakatoa, è emersa dal mare una nuova isola vulcanica, Anak Krakatoa.

Figura 36. il gigantesco espandimento basaltico prodotto da Laki, in Islanda.


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La geografia dei vulcani

I vulcani sono distribuiti sia nelle aree continentali, sia sui fondali oceanici in modo non uniforme, ma secondo uno schema ben preciso. I vulcani attivi sono concentrati in lunghe e strette fasce, che hanno caratteristiche geologiche ben definite. Un aspetto curioso della distribuzione dei vulcani lungo queste fasce riguarda la composizione dei magmi e il tipo di attività prevalente: in genere in ciascuna fascia predomina un solo tipo di attività (effusiva o esplosiva). Esaminiamo, con l'aiuto della cartina, di figura 37, la distribuzione di queste fasce, individuando le situazioni più caratteristiche. • Una parte consistente dei vulcani attivi si trova in corrispondenza delle dorsali oceaniche. Le dorsali oceaniche sono catene montuose che attraversano tutti gli oceani, formate da rilievi che in genere si elevano dal fondale di 1000-3000 m. La zona di cresta delle dorsali presenta fratture allungate lungo le quali si verificano eruzioni sottomarine con emissione intermittente di ingenti quantità di lave femiche e molto fluide. Nell'Oceano Atlantico tale attività ha dato origine all'Islanda e alle isole Azzorre. • Un secondo gruppo caratteristico di vulcani si sviluppa negli archi di isole e lungo alFigura 37. Distribuzione dei vulcani centrali attivi e delle principali zone di eruzione lineare, lungo le dorsali oceaniche. magma basico magma acido dorsali oceaniche

cuni margini continentali situati in prossimità delle fosse oceaniche, depressioni allungate e strette in cui il fondale oceanico raggiunge la massima profondità. Qui si verificano eruzioni di lave per lo più andesitiche e riolitiche, raramente basaltiche. I vulcani di queste fasce hanno il tipico aspetto a forma di tronco di cono e danno luogo a imponenti eruzioni esplosive. La maggior parte dei vulcani di questo tipo si localizza in una fascia che corre lungo le coste americane e asiatiche del Pacifico, nota con il nome suggestivo di cintura di fuoco circumpacifica, nella quale sono situati più di 300 vulcani attivi. È il caso degli arcipelaghi delle Aleutine, del Giappone, delle Filippine, o dei vulcani del Messico e dei Paesi sudamericani. Vulcani simili si trovano anche in una fascia che si estende dal Mar Egeo fino all'Asia Minore. • Un gruppo di vulcani, caratterizzati da lave di tipo basaltico, è localizzato in piena area continentale ed è legato a una serie lineare di fratture, note con il nome di fosse africane che vanno dal Libano alle regioni dei grandi laghi africani. • Un ultimo gruppo di vulcani ha una distribuzione atipica: si tratta di isole o vulcani continentali, che emettono lave basaltiche. Poiché sono vulcani isolati, non connessi con linee di particolare instabilità della crosta, sono detti punti caldi. Sono punti caldi, per esempio, i


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vulcani delle isole Hawaii. Sono riconducibili a questo gruppo anche l'attività vulcanica presente nella regione nord-occidentale del continente americano (parco di Yellowstone) e attività remote come quella che ha portato alla formazione del Columbia Plateaux. La teoria della tettonica a zolle, come vedremo a pagina 302, ha permesso di comprendere le cause della distribuzione e nello stesso tempo della concentrazione dell'attività vulcanica in ambienti così diversi e le sue relazioni con la dinamica crostale.

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Il vulcanesimo secondario

Strettamente legati all'attività vulcanica, sono una serie di fenomeni, detti di vulcanesimo secondario, che caratterizzano le fasi di quiescenza o conclusive dell'attività primaria di un vulcano. Si tratta di fenomeni causati dalla presenza di magma in prossimità del suolo che, raffreddandosi, libera gas o provoca il riscaldamento delle acque del sottosuolo. Queste acque vaporizzate risalgono facilmente in superficie formando sorgenti termali, come quelle diffuse in Italia. Anche l'attività solfatarica nei Campi Flegrei a Pozzuoli, dove si trova un vulcano estinto, e nell'isola di vulcano è una manifestazione di vulcanesimo secondario (figura 38). In questo caso si tratta di esalazioni di vapor d'acqua, biossido di carbonio e solfuro di idrogeno che a contatto con l'aria si ossida producendo zolfo, che si deposita sotto forma di incrostazioni di odore e colore caratteristici. Quando l'emanazione ha un colore biancastro ed è costituita in prevalenza da vapor d'acqua e biossido di carbonio, si parla di fumarole (figura 39). In alcuni casi il vapor d'acqua fuoriesce dal terreno a elevata temperature e alta pressione, producendo getti elevati cui si da il nome di soffioni boraciferi (figura 39). Il vapore dei soffioni è ricco di acido borico, solfuro di idrogeno, triossido di zolfo e altre sostanze che precipitano intorno alla sorgente. In Italia, sono famosi i soffioni boraciferi di Larderello, in Toscana, che vengono sfruttati per la produzione di energia geotermica e di acido borico. I soffioni si formano quando l'acqua di provenienza meteorica, che penetra nel sottosuolo, viene a trovarsi a contatto con una massa di magma

ancora caldo e il vapore che si forma per riscaldamento si fa strada verso l'esterno attraverso le fenditure del suolo. Altro fenomeno legato alla presenza di masse magmatiche superficiali in via di raffreddamento o a iniezioni magmatiche, sono i geyser, sorgenti di acqua calda che zampilla a intermittenza con notevole violenza. L'acqua dei geyser contiene in soluzione carbonato di calcio e silicati, che formano concrezioni intorno alla bocca dei geyser (figura 39). Spesso nei terreni argillosi e melmosi si assiste alla fuoriuscita di acque fangose e salate, calde o fredde che danno origine a laghetti melmosi o a piccoli coni, detti salse.

Figura 39. Esempi di attività di vulcanesimo secondario. Da sinistra: una fumarola, un soffione boracifero e un geyser.

Figura 38. La solfatara di Pozzuoli.


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la terra è un pianeta instabile

Per il ripasso MAGMA Si forma in profondità, in seguito a variazioni di temperatura e pressione MAGMA Sialico

Magma FEMICO

SILICE ~ 70%

SILICE ~ 50% Acqua ~ 2%

Acqua ~ 15% altrO ~ 15%

altro ~ 48% MAGMI INTERMEDI viscosità

VULCANI Si formano quando il magma riesce a salire in superficie

Tipi di eruzioni ed edifici • LINEARI

Attività ignea effusiva

• CENTRALI


fenomeni vulcanici

PLUTONI Si formano quando il magma non riesce a salire in superficie, solidificando in profondità. Attività ignea intrusiva

Attività e materiali emessi LAVe basaltiche derivano da Magma FEMICO — attività effusiva

Il tipo di attività varia in funzione della composizione del magma: • attività effusiva • attività esplosiva P

LAVE RIOLITICHE derivano da MAGMA SialicO – attività esplosiva

oltre alla LAVA, durante un'eruzione vengono emessi anche • PIROCLASTI eiettati durante un'attività di tipo esplosivo. • gas il vapor d'acqua è sempre il componente principale.

DOVE SORGONO? concentrati in fasce lunghe e strette: • dorsali oceaniche • archi di isole e alcuni margini continentali • fratture continentali • punti caldi (vulcani isolati) • attivi (circa 500) • estinti • quiescenti

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la terra è un pianeta instabile

In sintesi

Il nostro pianeta è geologicamente attivo: al suo interno agiscono forze che rendono instabile la litosfera terrestre. Il vulcanesimo, inseme ai fenomeni sismici, è una delle manifestazioni più imponenti di tale attività.

cumulano, finché la pressione esercitata vince il peso dei materiali soprastanti, provocando un'esplosione (attività esplosiva).

I materiali emessi durante l'attività eruttiva (sia effusiva sia esplosiva) sono costituiti da lave, piroclasti, gas e vapori. Le lave possono avere composizione basaltica, andesitica o riolitica. I materiali piroclastici sono i frammenti eiettati dal vulcano nell'atmosfera in seguito alle esplosioni. Le rocce piroclastiche che ne derivano si distinguono in: • tufi vulcanici (polveri e ceneri); • brecce vulcaniche (lapilli e bombe). Condizioni particolari possono dare origine ad alcuni tipi di depositi, quali le ignimbriti (derivanti dalle nubi ardenti) e i lahars, o colate di fango (derivanti dal mescolamento tra i materiali eruttati e l'acqua accumulatasi nel cratere del vulcano). I gas rilasciati sono presenti in percentuale variabile, ma il vapor d'acqua è sempre il componente principale.

All'interno della crosta e in regioni del mantello superiore sono presenti sacche di magma che possono solidificare in profondità (attività intrusiva), oppure risalire fino a raggiungere la superficie (attività effusiva). Si chiamano plutoni i corpi solidi che derivano dalla solidificazione in profondità del magma. Si definisce vulcanesimo l'insieme dei fenomeni collegati con la fuoriuscita di lave, gas e materiali solidi (materiali piroclastici), che si formano quando il magma raggiunge la superficie.

Il magma si forma se in una regione profonda della crosta o del mantello superiore si verifica: • un aumento di temperatura, • una diminuzione di pressione, • un apporto di acqua. Ciò accade principalmente nelle regioni in cui agiscono forze endogene che causano distensione o compressione o sprofondamento di ampie porzioni di litosfera. In base al tenore di silice i magmi possono essere sialici, femici o intermedi. Le proprietà più importanti del magma sono la viscosità, il contenuto di acqua e il contenuto di gas. La viscosità dipende principalmente dal tenore di silice: i magmi sialici sono più viscosi di quelli femici. Il contenuto in acqua è in genere maggiore nei magmi sialici e influenza la temperatura di fusione dei silicati, mentre i gas ne influenzano la mobilità. Da questi fattori dipende la facilità con cui il magma risale verso la superficie. I magmi sialici tendono a solidificare in profondità, mentre i magmi femici tendono a raggiungere la superficie. I plutoni, a seconda dei rapporti geometrici con la roccia incassante, possono essere: • discordanti; si parla di batoliti, ammassi di grandi dimensioni oppure di dicchi, se di forma tabulare e sottile; • concordanti, che possono essere tipo filoni strato oppure laccoliti.

Il vulcano è la spaccatura della superficie terrestre da cui fuoriescono lave, gas e prodotti solidi, derivati dal magma che arriva in superficie; l'edificio che si forma in conseguenza di tale attività costituisce nel suo insieme l'edificio o cono vulcanico. Il vulcano è alimentato dal magma che si raccoglie nella camera magmatica, che comunica con l'esterno mediante il condotto o camino vulcanico.

Il meccanismo eruttivo può essere effusivo o esplosivo ed è determinato essenzialmente da due fattori: viscosità del magma e percentuale di gas e vapor d'acqua. I magmi viscosi sono poco mobili al contrario di quelli poco viscosi, che scorrono liberamente. I gas sono il motore delle eruzioni: in prossimità della superficie a causa della riduzione della pressione si espandono e trascinano il magma verso l'esterno. Il magma femico, più caldo e fluido, scorre liberamente all'interno del condotto vulcanico, senza ostruirlo, fino a raggiungere la superficie, liberando via via e in modo regolare i gas contenuti (attività effusiva). Il magma sialico, più freddo e viscoso, tende a solidificare all'interno del condotto vulcanico, formando un tappo, che impedisce la fuoriuscita dei gas; questi si ac-

L'eruzione può venire attraverso: • un'edificio vulcanico (eruzioni centrali), • fenditure della crosta terrestre (eruzioni lineari). Facendo riferimento alle caratteristiche dell'edificio vulcanico i vulcani possono essere: • vulcani a scudo, con fianchi poco inclinati, formati da strati sovrapposti di colate laviche; emettono lave basaltiche fluide; • stratovulcani, caratterizzati da fianchi più ripidi, formati da strati di lava alternati a strati di materiali piroclastici; hanno eruzioni con emissione di colate laviche di composizione variabile, alternate a gas e materiali piroclastici (Stromboli, Etna e Vesuvio); • coni di scorie, dovuti ad attività esplosiva e caratterizzati dall'assenza di colate laviche. Nell'edificio vulcanico inoltre si possono riconoscere strutture caratteristiche come caldere, guglie, coni avventizi, duomi ecc. Le eruzioni possono essere: • di tipo hawaiano, con emissione di lave fluide e attività solo effusiva; • di tipo stromboliano, con emissione di colate laviche alternate a brevi esplosioni; • di tipo vulcaniano, con attività fortemente esplosiva e formazione di colate di materiali piroclastici; • di tipo peleano, con emissione di lava fortemente viscosa che forma duomi e guglie e violenta attività esplosiva, accompagnate dal crollo delle pareti dell'edificio vulcanico e dall'emissione di nubi ardenti; • freatiche o freatomagmatiche, con emissione in modo esplosivo di un enorme volume di vapor d'acqua; • lineari, che danno origine a vasti ricoprimenti (plateaux) che possono essere di natura basaltica o, più raramente, riolitica (plateaux ignimbritici).

I vulcani recenti sono geograficamente concentrati in lunghe e strette fasce della crosta terrestre, corrispondenti: • alle dorsali oceaniche, • agli archi di isole e alcuni margini continentali, • alle fosse tettoniche, • ai rilievi di recente formazione che si estendono dall'Europa all'Asia. Ogni fascia è caratterizzata dalla prevalenza di attività effusiva o esplosiva. Al di fuori delle fasce si collocano i punti caldi, vulcani isolati che emettono lave basaltiche.


fenomeni vulcanici

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Le manifestazioni conclusive dell'attivitĂ di un vulcano danno luogo a una serie di fenomeni, detti di vulcanesimo secondario; essi si originano a causa della presenza di magma in prossimitĂ del suolo, che, raffreddandosi, determina la liberazione dei gas o il riscaldamento delle acque del sottosuolo, con conseguente emissione di gas e vapor d'acqua (fumarole, soffioni boraciferi, geyser).

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Geografia Generale La Terra nell'Universo capitolo dimostrativo

Giordano Zennaro bebo42@hotmail.it

pubblicazione fuori commercio. Realizzata con il solo scopo di documentare il progetto per la tesi di laurea. Le foto presenti costituiscono una riproduzione di immagini tratte da alcuni libri e da archivi web generici; trattandosi di una ricerca esclusivamente in ambito accademico si è ritenuto ammissibile tale trattamento di riproduzione.

si ringraziano coloro che con la loro collaborazione e il loro supporto hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto:

Progetto grafico

Font Franklin Gothic Scala Pro Stampa Centro copie Berchet Contenuti Il capitolo presentato in questo fascicolo proviene dal libro: “Geografia Generale La Terra nell'Universo” di Cristina Pignocchino Feyles e Ivo neviani, edito da Sei; adottato come libro di testo nelle scuole superiori.

Disclaimer

Ringraziamenti

Michele Bruttomesso, Ottavia Carlon, Giuliano Casimiro, Giorgio Cedolin, Otto Climan, Guido Dal Prà, Barbara Fabris, Francesco Messina, Martina Ramacciotti, Lorenzo Toso, Francesca Zennaro e tutta la mia famiglia.


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