Le tesine di giorgia cassinelli

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Tesine di Giorgia Cassinelli



SCIENZE L’EVOLUZIONE DEL CAVALLO

Come tutto ebbe inizio



L' EVOLUZIONE DEL CAVALLO: COME TUTTO EBBE INIZIO Giorgia Cassinelli

Dall'inizio dell'era Cenozoica troviamo, nella moltitudine di forme di mammiferi che si sono differenziate a partire dal ceppo progenitore degli insettivori, numerose specie che tendono ad acquisire dimensioni relativamente grandi ed un regime alimentare vegetariano. Le più antiche di queste specie pare si nutrissero di foglie d'albero e di arbusti; molte forme successive utilizzarono come cibo le erbe delle praterie che, verso la metà del Cenozoico, si erano ampiamente sviluppate. I denti molari, all'origine piuttosto piccoli ed appuntiti all'estremità si erano trasformati per dare luogo a larghe corone e costruire potenti strumenti per macinare anche la materia vegetale più coriacea. Mentre le forme più primitive erano massicce ed, in genere, mal organizzate per la corsa, molti di questi erbivori tipici delle foreste e delle praterie cenozoiche si erano evoluti in modo da diventare molto veloci; l'unico mezzo che avevano per sfuggire ai loro predatori era percorrere rapidamente le ampie distese erbose. Gli arti, in molti soggetti, divennero lunghi ed esili ed invece di appoggiare sulla pianta o la suola plantare (plantigradi), impararono a correre sulle punte delle dita (digitigradi) rinforzate da zoccoli potenti e cornei, come risultato della trasformazione degli artigli ancestrali. Zoccolo, in latino "ungula", dà il nome a questo folto gruppo di forme viventi chiamati da zoologi e biologi appunto Ungulati. Un certo numero di ungulati erano già apparsi nel Paleocene (inizio dell'era terziaria) e queste forme arcaiche rimasero immutate nell'era seguente.


Una specie tipica e ben nota di questo vasto gruppo e' il Phenacodus vissuto in Europa e in America settentrionale. Questo tipo di erbivoro aveva già raggiunto dimensioni rispettabili, aveva corpo e coda lunghi ed arti ancora corti e tozzi di struttura primitiva. Si trovavano già in questo animale i caratteri propri di un ungulato nonostante fosse un po' troppo grande per esserne considerato il reale antenato.

Phenacodus Gli ungulati arcaici presentavano una struttura fisica molto particolare che ebbe scarso successo evolutivo. Solo con la comparsa dei Perossidattili si può affermare che iniziasse a prendere forma concreta l'evoluzione di cavalli, asini e zebre. Caratteristica fondamentale di tali erbivori mammiferi era che l'asse di simmetria dell'arto passasse attraverso il dito medio del piede. Nel corso della loro storia evolutiva tali erbivori hanno avuto la necessità di aumentare la velocità dei loro spostamenti e per questo motivo il pollice divenne inutile e scomparve. Successivamente scomparve anche il mignolo, dando vita così alle prime forme di zampa Tridattila (composta da tre dita). Più recentemente, nelle forme arcaiche degli equini, anche le due dita laterali scomparvero dando vita ad un piede Monodattilo, lo stesso arto presente negli equini attuali.

tapiro

rinoceronte

cavallo


L'Eohippus (o Hyracotherium) e' il piÚ antico dei cavalli veri e propri, era un animale piccolo e sottile. La riduzione delle dita aveva già avuto inizio ma manteneva ancora quattro dita nell'arto anteriore e tre in quello posteriore. I denti molari erano ben sviluppati, ma avevano una corona molto bassa perciò utili a masticare solo foglie ed erba tenera. Questi cavalli arcaici vivevano in radure erbose e foreste spostandosi anche velocemente ma su terreni morbidi. L'Eohippus stanziava principalmente in Eurasia e in America settentrionale.

Eohippus

Un altro rappresentante del lento processo evolutivo e' il Mesohippus, un animale di dimensioni maggiori con il mignolo ormai praticamente scomparso.

Mesohippus


Nel miocene (fase mediana dell'era cenozoica) si ebbe una nuova spinta evolutiva per i cavalli del tempo perché comparvero in termini ecologici e botanici le "praterie". Con esse si introdusse una nuova modalità di vita che generò gli erbivori delle praterie. In questo modo la linea evolutiva degli equini si modifico nettamente per poter occupare questa nuova nicchi ecologica piena di risorse. Le erbe delle pianure che contenevano silice (sostanza simile al vetro) erano molto più coriacee da masticare perciò i cavalli del miocene svilupparono denti a corona alta detti "ipsodonti" capaci di resistere a intensa usura. Nel Miocene (25-5 milioni di anni) si estende la vegetazione erbacea, si formano le praterie, e il cavallo (Merychyppus) si trasforma da brucatore in pascolatore, con cambiamenti nella morfologia del cranio, dei denti e degli arti.

Merychippus

Da questo nuovo adattamento evolutivo nasce il cavallo del Pliocene, il Pliohippus, delle dimensioni di un attuale pony e che, a parte la presenza di minuscole dita laterali, era del tutto simile all'attuale cavallo del genere Equus. L'equus fu soggetto poi alla scomparsa delle piccole dita che portò alla formazione del dito monodattilo definitivo. L'equus si stabilì in Eurasia e in Africa. Successivamente alla formazione dell'Istmo di Panama l'equus raggiunse le Americhe ricche di estese praterie adatte al suo stato evolutivo attuale. I cavalli in seguito si svilupparono in tutto il mondo tranne che in Australia (quelli che si trovano ancor oggi in Australia allo stato brado sono frutto del rinselvatichimento di specie equine importate nel continente Australiano).

Pliohippus


Il cavallo diventa monodattilo e il genere Equus, che compare in Nord America (circa 4 milioni di anni fa), si diffonde rapidamente in Eurasia, (circa 3 milioni di anni fa), e in Africa, dove ha dato origine a varie specie di zebre.

1 milione di anni fa

Cavallo moderno

cm. 160

10 milione di anni fa

Pliohippus

cm. 100

30 milione di anni fa

Merychippus

60 milione di anni fa

40 milione di anni fa

cm. 100 Mesohippus

cm. 0,60 Eohippus

cm. 0,40


Nell'era Quaternaria gli equini seguitarono a vivere soprattutto in America del nord, e questo anche durante tutta l'era glaciale. In seguito proprio poche migliaia di anni fa, quando il pianeta si stava avvicinando alle attuali condizioni climatiche, i cavalli scomparvero dal "nuovo mondo". Quale fu la causa? In realtà biologi e geologi ci dicono che non fu altro che il capitolo di un fenomeno più vasto di estinzione. Gli equini non furono infatti i soli a scomparire: dopo l'ultima glaciazione, bradipi, cammelli, mastodonti e mammut scomparvero alla stregua dei cavalli.

Circa 10.000 anni fa il cavallo scomparve dal Nord America dove verrà introdotto nuovamente solo dopo la scoperta di Colombo. I nativi americani, quindi, non hanno avuto modo di avvicinare il cavallo se non in epoca relativamente recente. Nel lunghissimo periodo che va da tre milioni ad un milione di anni fa, l'Equus si espande in tutta l'Eurasia, diversificandosi in conseguenza delle condizioni ambientali. Possiamo dire che nelle regioni più settentrionali si sviluppa un tipo di cavallo (impropriamente detto "a sangue freddo") più pesante, meno nevrile e meno veloce, da cui l'uomo farà derivare le razze "da lavoro". Nelle regioni più meridionali dell'Asia e dell'Europa si sviluppa invece un cavallo (impropriamente detto "a sangue caldo") molto reattivo e nevrile, più leggero e più veloce. Per quasi un milione di anni, poi, l'Equus è solamente una preda dell'uomo. In Italia le più antiche testimonianze dell'uomo risalgono all'età paleolitica, quando egli convive con più specie di Equus, tra cui I'Equus caballus, il vero cavallo, a partire da 700.000 anni fa. Circa 200.000 anni fa compare l'Equus hydruntinus, di media mole, che fu una delle principali prede dell’uomo preistorico. Importanti rinvenimenti di resti ossei equini sono quelle di Torre in Pietra e Castel di Guido, nel Lazio, e quelli di Grotta del Cavallo, Grotta Romanelli e Grotta Paglicci in Puglia. In quest’ultima grotta, oltre ai resti ossei, sono state individuate in un ambiente interno della stessa, rappresentazioni pittoriche di due cavalli. Immagini simili sono note in grotte preistoriche anche in Francia e in Spagna.


SINTESI DELL’EVOLUZIONE


L’EVOLUZIONE DEL CAVALLO Come tutto ebbe inizio


GEOGRAFIA STATI UNITI D’AMERICA

Le Grandi Pianure



GREAT PLAINS: LE GRANDI PIANURE Giorgia Cassinelli

Le Grandi Pianure (in inglese Great Plains) sono una regione in gran parte coperta dalla prateria nordamericana, un territorio di praterie e steppe che si estende ad est delle Montagne Rocciose negli Stati Uniti, nel Canada e per una piccolissima porzione anche nel Messico. Quest'area da nord a sud copre parte delle province canadesi di Alberta, Saskatchewan e Manitoba, quindi gli stati americani del Montana, Dakota del Nord, Dakota del Sud, Wyoming, Nebraska, Colorado, Kansas, Oklahoma, Nuovo Messico e Texas. La regione rientra nel bacino idrografico del fiume Mississippi e in particolare dei suoi affluenti di destra (o della parte ovest), fra i quali i principali sono: il Missouri, il Minnesota, l'Iowa, il Des Moines, l'Arkansas e il Red River.

Storicamente, le Grandi Pianure rappresentano l'ambito di elezione del bisonte americano cosĂŹ come degli indiani come i Piedi Neri, i Crow, i Sioux, i Cheyenne, gli Arapaho, i Comanche e altri. Nelle parti piĂš orientali c'erano le tribĂš che vivevano in maniera semipermanente nei villaggi di case fatte di terra come gli Arikara, i Mandan, i Pawnee e i Wichita.


Dopo la quasi estinzione del bisonte americano e la rimozione degli indiani relegati nelle riserve a partire dal 1870, la maggior parte delle Grandi Pianure divenne un campo libero per chi volesse aprirvi il proprio ranch; in teoria chiunque poteva condurre un allevamento di bestiame. In primavera e in autunno, si radunava il bestiame e i nuovi vitelli venivano marchiati e tutti gli animali selezionati per la vendita. I primi ranch furono aperti in Texas e gradualmente vennero coinvolti gli stati piĂš a nord. Il bestiame proveniente dal Texas veniva portato verso nord con la ferrovia fino alle cittĂ di Dodge City nel Kansas e Ogallala in Nebraska; da qui gli animali prendevano la via dell'est. Molti investitori stranieri, specie britannici, finanziarono i grandi ranch dell'epoca. L'eccesso di bestiame ed un inverno terribile nel 1886 risultarono disastrosi e furono tantissimi gli animali morti di fame o assiderati. Da quella volta in poi, generalmente i gestori dei ranch aumentarono le riserve di cibo per permettere al bestiame di poter svernare anche in casi estremi. L'Homestead Act (Legge del podere) del 1862 stabilĂŹ che un allevatore potesse richiedere fino a 160 acri (65 ettari) di terra, dimostrando che poi vi avrebbe vissuto per un certo periodo di anni e che l'avrebbe coltivata.


Questo fu riconfermato dal Kinkaid Act che ampliò i termini del podere portandoli addirittura ad una "sezione" (la section era una suddivisione del territorio negli Stati Uniti dell'epoca ed equivaleva ad un miglio quadrato, vale a dire a 2,6 km²).

Centinaia di migliaia di persone fecero richiesta per questi poderi, ma in molti casi si trattò di sprovveduti che usarono impropriamente le risorse di quelle terre e andarono presto incontro a fallimenti. Tra di essi ebbero più successo, ad esempio, i tedeschi provenienti dall'attuale Ucraina e che avevano lavorato su terreni simili. In Canada il "Dominion Lands Act" del 1871 aveva finalità analoghe.


La regione che grosso modo comprendeva l'estremo occidentale dell'Oklahoma, il Colorado sud-orientale, il Kansas sud-occidentale, l'estremo nord del Texas, e l'estremo nord-est del Nuovo Messico tra la fine degli anni venti e i primi anni trenta divenne nota come il Dust Bowl (catino di polvere). L'effetto della terribile siccità uniti a quelli della Grande depressione, costrinsero molti agricoltori a spingersi verso le Grandi Pianure.

Dagli anni cinquanta del 900, molte più aree delle Grandi Pianure sono divenute produttive come risultato di una estensiva irrigazione. La parte meridionale delle Grandi Pianure giace sopra l'acquifero di Ogallala, un vasto strato di acqua sotterraneo che risale ai tempi dell'era glaciale. L’irrigazione è usata in maniera estensiva nelle sezioni più aride, col risultato però che la falda acquifera non riesce a ristabilire il proprio equilibrio essendo più l'acqua attinta di quella raccolta dal sottosuolo. La parte rurale delle Grandi Pianure ha perso un terzo della popolazione presente nel 1920 determinando un intenso fenomeno di spopolamento.

Le aree viola della cartina mostrano le contee che hanno perso popolazione tra il 2000 e il 2010. La maggioranza è nelle Grandi Pianure.


Diverse centinaia di migliaia di miglia quadrate hanno meno di 6 persone per miglio quadrato, quantità che era definito lo standard usato per dichiarare chiusa la "Frontiera americana" nel 1893. In molti casi si hanno meno di 2 persone per miglio. Si contano più di 6.000 città fantasma nel solo Stato del Kansas. Questo problema è esacerbato dall'unione delle fattorie e dalla poca attrattiva che questa regione esercita verso l'industria moderna. Si aggiunga che per la popolazione scolastica più giovane si è stati costretti ad unire i distretti scolastici mentre per le scuole superiori di alcune comunità è stata inevitabile la chiusura. Questa continua diminuzione di popolazione ha portato a suggerire che lo sfruttamento attuale della parte più arida delle Grandi Pianure non sia più sostenibile, e a proporre che una larga parte sia recuperata riportandola a prateria erbosa tornando ad essere adatta al pascolo del bisonte americano. Questa proposta è nota come la "Buffalo Commons".

DALLAS

DENVER

HUSTON OKLAHOMA CITY

AUSTIN Gli agglomerati urbani principali della regione delle Grandi Pianure sono i seguenti: Dallas, Texas, 5,22 milioni di abitanti, Houston, Texas, 3,75 milioni di abitanti, Denver, Colorado, 2,5 milioni di abitanti, Oklahoma City, Oklahoma, 1,25 milioni di abitanti, Austin, Texas, 0,9 milioni di abitanti. Kansas City, Missouri - Kansas, 0,59 milioni di abitanti, Little Rock, Arkansas Minneapolis, Minnesota


STATI UNITI D’AMERICA Le Grandi Pianure


TECNOLOGIA IL PETROLIO

L’energia che viene dalla Terra



IL PETROLIO Giorgia Cassinelli

Il petrolio è una miscela liquida di idrocarburi di origine organica presente nel sottosuolo in alcune zone del globo. Viene estratto, trasportato e raffinato in enormi quantità e le regioni che lo producono hanno assunto grande importanza economica. Da esso derivano la benzina e tutti i combustibili più comuni. Purtroppo è destinato ad esaurirsi ed il suo sfruttamento è alla base della politica mondiale dell' energia.

COSA E‘ Il petrolio greggio (così come viene estratto dal sottosuolo) è un liquido denso dall'odore sgradevole e di colore bruno nerastro. La sua composizione è variabile a seconda delle impurità e degli idrocarburi presenti in maggiore o minore quantità. Gli idrocarburi sono composti da idrogeno e carbonio con gli atomi di carbonio uniti in catene di diversa lunghezza, talvolta chiuse in anelli a 6 atomi: in questo caso si parla di composti aromatici, tra cui il più importante è il benzene. La composizione del petrolio è uno degli aspetti economici più importanti perché da esso dipende il tipo di raffinazione e la qualità dei prodotti ottenuti. La densità è indice della composizione del petrolio. Gli idrocarburi meno densi hanno maggior valore economico perché sono i principali componenti della benzina. In generale il greggio meno denso vale e costa di più.


PERCHE' E' IMPORTANTE Il ruolo da protagonista del petrolio nell'economia mondiale deriva da due fattori diversi ma connessi: è una delle maggiori fonti di energia ed è anche la materia prima fondamentale nell' industria chimica. Copre il 40% del consumo mondiale di energia, seguito a distanza dal carbone con un 23%, dal gas naturale al 22% e dall'energia idroelettrica al 14%. Va detto che il petrolio è una miscela di molte sostanze e viene prima lavorato per ottenere oli combustibili, nafta, gasolio e benzina che sono prodotti destinati a riscaldare, muovere mezzi di trasporto venendo bruciati per raggiungere tale scopo. L'industria chimica utilizza il petrolio ed i suoi derivati in altro modo, infatti non li brucia ma ne ricava sostanze ben definite che serviranno per la produzione di prodotti utili, dai medicinali ai coloranti alle fibre sintetiche alle materie plastiche. La connessione economica tra i due settori è stretta, se aumenta la domanda di petrolio per i mezzi di trasporto, il suo prezzo aumenta e ciò danneggia anche l'industria chimica. Ci sono anche industrie petrolchimiche in grado di produrre sia combustibili sia materiali sintetici.


I GIACIMENTI La superficie terrestre ha una storia lunghissima ed è oggetto di studio che ci aiuta a capire come utilizzare le risorse del nostro pianeta. Quasi sempre i minerali utili non affiorano sulla superficie terrestre ed il geologo deve ricavare da alcuni indizi se c'è l'opportunità di sondare il sottosuolo per trovare giacimenti. I tecnici hanno così ricercato l'oro nero in tutti i continenti e sotto i mari individuando oltre 40.000 giacimenti. Molti dei giacimenti maggiori si trovano vicino al mare o sotto il fondale marino come nelle aree del Golfo Persico, del Golfo del Messico e sul fondo del Mare del Nord.

L’ORIGINE Attualmente la maggior parte dei geologi fa risalire l'origine del petrolio a mutamenti profondi della superficie terrestre avvenuti milioni di anni fa. Tali mutamenti coinvolsero grandi masse di materiali organici di origine marina. Nel Cretaceo, in fondo all'Oceano Pacifico affiorò una enorme quantità di lava e gas metano, la temperatura della terra aumentò e gli organismi microscopici del plancton si svilupparono a dismisura negli oceani depositandosi in spessi strati mescolati a detriti sedimentari. Nel corso di milioni di anni si formò così una roccia madre che sprofondò. Sottoposte ad alte temperature, le sostanze organiche che componevano gli organismi viventi (plancton) si trasformarono in idrocarburi liquidi e gassosi che risalirono verso la superficie. La loro risalita, ad un certo punto, fu impedita dalla presenza di rocce impermeabili e si formarono vere e proprie trappole sedimentarie dove il petrolio si accumulò formando i giacimenti attuali.


POZZI E PIATTAFORME In linea di principio la tecnica di estrazione è semplice, si tratta di affondare nel sottosuolo la tubatura di pompaggio dei liquido. Il primo pozzo storico diede petrolio quando raggiunse i 20 metri di profondità il 27 Agosto 1859.

Ora si pompa petrolio a 3.500 metri di profondità ed è ovvio che in questi casi vengono impiegate tecnologie straordinarie dato che si opera a 200 gradi e a pressioni di oltre 1.000 atmosfere. Vi sono molti giacimenti che permettono lo sfruttamento dei fondali marini. In questi casi le tecniche di perforazione si sposano con quelle navali per consentire alle piattaforme di resistere alle tempeste e perforare e sfruttare pozzi in mare aperto.

Il primo pozzo di petrolio


IL TRASPORTO Spesso l'estrazione del greggio da un giacimento è valutata in migliaia di barili al giorno. Il barile è un'unità commerciale di misura dei liquidi che risale ai tempi della navigazione a vela, quando le navi inglesi dominavano i mari. Nel caso del petrolio il barile vale 35 galloni imperiali, ossia circa 159 litri, mentre il barile di alcool ne contiene 189 litri. E' a questa bizzarra unità di misura che è tuttora riferito il prezzo del petrolio, ma è evidente che le enormi quantità di greggio che giungono nei paesi industrializzati non sono trasportate in barili ma trasferite dai paesi più remoti in ben altri modi: con navi appositamente costruite chiamate petroliere od attraverso oleodotti o gasdotti. Il trasporto per mare del petrolio ha raggiunto cifre sbalorditive: tra greggio e prodotti raffinati sono più di 2.000 milioni di tonnellate di petrolio trasportate, pari a circa il 60% del consumo mondiale. Nel 2004 erano in esercizio oltre 7.500 petroliere che costituiscono una particolare classe di navi, dato che una petroliera da 100.000 tonnellate di stazza lorda è considerata piccola! Il nostro Mediterraneo è solcato ogni giorno da almeno 300 petroliere e negli Stati Uniti ci sono 244.000 chilometri di oleodotti mentre in Russia sono 75.000 ed in Italia 1.136.


RAFFINARE IL GREGGIO Il greggio appena estratto è mescolato ad acqua e sabbia, prima del trasporto viene privato di queste impurità, ma come si è detto, il petrolio non è utilizzabile tale quale è. Vi sono impianti chiamati raffinerie dedicati a ricavare dal greggio miscele adatte al consumo finale. Il processo iniziale è la distillazione: il greggio viene portato all'ebollizione ed i vapori salgono in altissime colonne dove condensano a diversa altezza le varie frazioni. Dall'alto della colonna di distillazione si sviluppano gas e vapori che poi, in gran parte, sono utilizzati come gpl (gas di petrolio liquefatti). Sul fondo della colonna si raccoglie un residuo molto denso da cui si ricavano con ulteriori lavorazioni olio combustibile, lubrificanti, bitumi e cere. In generale, per ottenere i prodotti finali le frazioni distillate sono sottoposte ad altri processi di raffinazione. Fra questi processi i più importanti sono quelli di cracking. Questa parola deriva dal verbo inglese to crack "spezzare" ed il processo consiste nel recuperare con il calore o con i catalizzatori (catalisi) le molecole più grandi per ottenere quelle più piccole. Con questi processi si ottengono sia la benzina dei distributori sia l'etilene ed altri composti liquidi o gassosi dello stesso tipo, utilizzati in enormi quantità dall'industria chimica.



IL PETROLIO L’energia che viene dalla Terra


STORIA LA II GUERRA MONDIALE

L’ultima carica di cavalleria


LA SECONDA GUERRA MONDIALE IN SINTESI LE CAUSE Sono da ricercarsi nel modo in cui si era conclusa la prima guerra mondiale, con i trattati di Versailles: - le condizioni di pace imposte alla Germania la umiliarono profondamente, fomentando un nazionalismo esasperato - i regimi dittatoriali si affermarono in Europa e portarono a una politica aggressiva - l’imperialismo del Giappone si affermò in estremo oriente - il Nazismo portò al riarmo in funzione di una guerra di aggressione - Con l'Asse Roma - Berlino (1930) l’Italia si allea con la Germania - Con il Patto Anticomintern (1936) il Giappone si allea con la Germania - Il Patto d’Acciaio (1939) segnò l'alleanza militare fra Italia e Germania - il Patto Molotov-Ribbentrop (1939) segnò l'alleanza fra Unione Sovietica (URSS) e Germania

LE FASI ESSENZIALI Hitler invade l'Austria e, subito dopo, la Cecoslovacchia. l’Italia si annette l’Albania e nello stesso anno il Giappone aggredisce la Cina. 23 agosto 1939 Dopo aver firmato il patto Molotov-Ribbentrop, la Germania invase la Polonia. Ora Inghilterra e Francia non potevano più tacere: inizia la seconda guerra mondiale. Conquistata la Polonia, Hitler occupò la Danimarca e la Norvegia e, dopo aver rafforzato la sua posizione sul mare del nord, si rivolse contro la Francia. Per evitare la linea Maginot occupò il Belgio e l’Olanda, quindi in breve i tedeschi furono a Parigi. Di fronte a questi successi di Hitler, Mussolini entrò in guerra a fianco della Germania (1940). La Francia fu divisa in due: la parte a nord era occupata dai tedeschi, quella a sud era stata affidata a un governo filo nazista guidato dal Maresciallo Petain. A questo punto Hitler meditò l’invasione contro l’Inghilterra. 1940 - Con il Patto Tripartito, stipulato fra Germania, Italia e Giappone, le tra nazioni si spartiscono i compiti di occupazione: l’Italia doveva conquistare il bacino del mediterraneo; la Germania doveva occupare l’Europa continentale, il Giappone doveva occuparsi invece dell’India. Gli italiani attaccarono gli inglesi anche nelle colonie d’Africa e in Grecia. Furono tutti dei grossi insuccessi, a risolvere la situazione intervennero i tedeschi, fra cui rimase famoso il generale Rommel, soprannominato “la volpe del deserto”. Hitler non riesce ad invadere l’Inghilterra,. 22 giugno 1941 Hitler attacca la Russia con la strategia della guerra lampo, firmando la sua condanna. I sovietici riuscirono a resistere: adottarono la stessa tattica usata contro Napoleone nel 1812: quella della terra bruciata. Determinante sarà l’entrata in guerra degli USA a causa di un attacco a sorpresa dei giapponesi alla flotta di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, Pacifico, dove 8 corazzate vennero affondate. Nel frattempo, i giapponesi, che avevano occupato le coste della Cina e diversi arcipelaghi a sud delle filippine vennero fermati dagli americani. 1943 - Gli alleati ebbero vittorie in Africa e questo portò ad avere il controllo del Mediterraneo e ad attuare lo sbarco in Sicilia, che accelerò la caduta di Mussolini, il quale fu fatto arrestare dal re Emanuele III e imprigionato sul Gran Sasso. Il governo passò al maresciallo Badoglio che firmò subito l’armistizio con gli alleati. Metà dell’Italia era sotto i tedeschi, e l’altra metà era in mano agli alleati. Il re e il governo abbandonarono Roma e si trasferirono a Brindisi, sotto la protezione degli alleati. I tedeschi liberano Mussolini, lo portano a Salò e da qui ha inizio la cosiddetta “repubblichina”, un nuovo governo fascista. Il duce è ormai in balia di Hitler. Rooswelt (USA) Churchill (Inghilterra) Stalin (URSS) preparano un piano d’azione contro Hitler, il famoso sbarco in Normandia. Sul fronte orientale avanzarono i Russi, a questo si aggiunse la resistenza combattuta dai civili dei paesi occupati. A Berlino, nel bunker, Hitler si toglie la vita due giorni prima che gli alleati arrivassero. 27 aprile 1943 - Mussolini viene fucilato dai Partigiani, ma la guerra continuava nel Pacifico: il Giappone non si arrendeva, così gli USA sganciano 2 bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki.


L’ULTIMA CARICA DI CAVALLERIA Giorgia Cassinelli

Vogliamo raccontarvi una pagina di storia molto speciale, un evento che sfuma quasi nella leggenda che avvenne poco più di un anno prima che il Maresciallo Badoglio pronunciasse il suo famoso "Proclama". È una storia epica che quasi contrasta con le cronache di quegli anni. Un salto indietro nel tempo: sulle rive del Don a decidere le battaglie dovevano essere i carri armati, invece gli italiani riuscirono a conquistare una delle rare vittorie della nostra spedizione in URSS proprio con un’arma di altri tempi: la cavalleria. La più romantica, la più affascinante, la più letteraria, la più lontana dalla guerra moderna. All’alba dell’era nucleare i militari italiani, armati di sciabole sguainate e innalzando lo stendardo, ebbero ragione sulle mitragliatrici e i mortai da 90 delle truppe siberiane. Fu l'ultima, epica carica di cavalleria della storia del Regio Esercito Italiano a opera del "Savoia Cavalleria" e una delle ultime del mondo (sebbene l'ultima carica in assoluto compiuta da reparti di cavalleria italiani ebbe luogo la sera del 17 ottobre 1942 a Poloj, in Croazia, da parte del reggimento "Cavalleggeri di Alessandria" contro un gruppo di partigiani jugoslavi). Si tenne a Isbuscenskij quattro casupole in un' ansa del Don, il 24 agosto 1942. Un breve passo indietro per capire ciò che avvenne: a metà agosto 1942, le forze dell'Asse lanciarono una massiccia offensiva sul fronte orientale avanzando fino a Stalingrado e verso il Caucaso; ai reparti italiani, inquadrati nell'ARMIR (Armata Italiana in Russia) venne affidato il compito di difendere l'ala sinistra dello schieramento dell'Asse, attestandosi a presidio dell'area del Don. Una massiccia controffensiva sovietica scattò improvvisamente il 20 agosto: i russi passarono il Don e sfondarono il tratto di fronte tenuto dalla Divisione fanteria Sforzesca. Il raggruppamento truppe a cavallo ricevette quindi l’ordine di contenere l’avanzata nemica, per prendere sul fianco le truppe sovietiche. “Obiettivo del Savoia Cavalleria - ricorda l'ex sergente Giancarlo Cioffi, classe 1921- comandato dal colonnello Bettoni, era di prendere quota 213,5 di Isbuscenskij, per impedire che l'avanzata russa tagliasse le vie di rifornimento all'alleato tedesco impegnato a Stalingrado. Guidavo la pattuglia del 4° Squadrone che a sera condusse l’ispezione preliminare sulla quota da raggiungere. Era tutto tranquillo. Appariva solo la carcassa di un mezzo agricolo. L’indomani il reggimento, accampato a 800 metri, avrebbe occupato la quota”.


Durante la notte, però, tre battaglioni dell'812º reggimento di fanteria siberiano composto da circa 2.500 soldati, si erano portati a un chilometro dall’accampamento e si erano trincerati in buche, fra i girasoli, formando un ampio semi-cerchio, da nord-ovest a nord-est, e attendevano l’alba per attaccare le truppe italiane. Per precauzione però, il 24 prima di togliere il campo, gli italiani inviarono in avanscoperta una pattuglia a cavallo comandata dal sergente Ernesto Comolli: doveva controllare, in particolare, il mezzo agricolo intravisto la sera precedente. Alle 3:30 la pattuglia partì al piccolo trotto. Fu quasi per caso che un componente della pattuglia, il caporalmaggiore Aristide Bottini, notò un soldato appostato tra i girasoli. Pensando fosse un alleato tedesco, lo chiamò: "Kamarade!" ottenendo, per tutta risposta una bella pallottola che gli sibilò vicino: non era un tedesco ma un russo con la stella rossa sull'elmetto. Il cavaliere siciliano Petroso, ottimo tiratore, prontamente lo colpì. Ma oramai lo scontro aveva messo in allarme i russi. Improvvisamente i campi furono animati dal fuoco di 2.000 soldati russi. Un rabbioso fuoco di mortai e mitragliatrici, che investiva il quadrato italiano. “Erano duemilacinquecento uomini della fanteria siberiana, armati di mitragliatrici e mortai da novanta". ricorda Cioffi. Il Tenente colonnello Giuseppe Cacciandra, vice comandante del reggimento, fu subito ferito ad una gamba, e così il capitano Renzo Aragone, colpito ad un ginocchio. I cannoni delle batterie a cavallo, magistralmente comandati dal Tenente Giubilaro, però, risposero subito al fuoco, facendo arretrare i sovietici. "Savoia" dimostrò, sin da subito, di essere all'altezza della sua fama: il più saldo e il meglio addestrato reparto del Regio esercito; ognuno restò al proprio posto. Il comandante, il colonnello Alessandro Bettoni (con il cappotto forato da un proiettile) accortosi della manovra sovietica, ordinò al secondo Squadrone, comandato dal capitano Francesco Saverio De Leone, di caricare a fondo i sovietici sul fianco. Il sogno di ogni cavaliere. Come nelle distese di Balaclava, come a Waterloo. Ma con più attenzione ai pericoli delle mitragliatrici. De Leone fece preparare i suoi uomini. In realtà, secondo le testimonianze, sembra che in un primo momento volesse caricare con tutto il reggimento, con lo stendardo al vento ("Cosa aspetti a scoprire lo stendardo? Non vedi che Savoia combatte?" aveva gridato all'alfiere, il Tenente Emanuele Genzardi), ma fu convinto dal proprio aiutante maggiore Pietro de Vito Piscicelli di Collesano a dosare le forze in ragione dell’evolversi della situazione.


Mentre i cavalli scalpitavano,"Caricat!" ordina l' ufficiale. "Savoia!", risposero urlando gli uomini dello squadrone già lanciati verso la folle carica sulle postazioni russe. Il secondo Squadrone, dopo aver effettuato un’ampia conversione, caricò a ranghi serrati e sciabole sguainate il nemico, lanciando anche raffiche di mitragliatrice e bombe a mano: i sovietici, completamente colti di sorpresa, vennero scompaginati e ripiegarono in disordine. Rimasto isolato dietro la linea nemica, il secondo Squadrone compiva quindi una seconda carica per rientrare nelle sue linee, aumentando così la confusione nello schieramento sovietico. I russi, in buona parte, si sbandarono, ma comunque ancora tennero il terreno e provocarono sensibili perdite fra le file dei cavalieri italiani. In quel momento il comandante del Reggimento fece appiedare il quarto Squadrone, comandato dal Capitano Silvano Abba, e lo inviò a impegnare frontalmente il nemico, per alleggerire la pressione sul secondo Squadrone montato. La manovra ebbe momentaneo successo, sebbene il Capitano Silvano Abba venne colpito e ucciso da una raffica di mitra mentre dirigeva eroicamente l'azione (per tale fatto venne insignito della Medaglia d'Oro al Valor Militare alla memoria).

Sebbene i russi fossero, in buona parte, quasi allo sbando, alcuni nuclei reggevano ancora l'impeto delle due cariche e dell'assalto italiani, provocando sensibili perdite fra le file dei cavalleggeri italiani. Il Maggiore Dario Manusardi, che si era unito al Secondo squadrone durante la prima carica, si presentò al comandate di Reggimento Colonnello Bettoni sollecitando l'invio di un altro squadrone montato. Il colonnello Bettoni ordinò la carica anche al terzo Squadrone, comandato dal capitano Francesco Marchio, che era seguito dal Comandante del 2º gruppo squadroni, comandato dal Maggiore Alberto Litta Modignani, e dal personale del suo comando. Litta Modignani morì nella carica, insieme al suo aiutante maggiore, Sottotenente Emilio Ragazzi: entrambi decorati di Medaglia al Valor Militare. L’attacco fu violentissimo e i cavalli, correndo all’impazzata, non si fermavano nemmeno davanti ai colpi dell’artiglieria e al lancio di bombe a mano da parte dei sovietici. Lo squadrone irruppe sul campo di battaglia nel mezzo del fronte sovietico, che intensificava la reazione.


Secondo le testimonianze, i cavalli galoppavano furiosamente, talvolta pur feriti, mentre i cavalieri sciabolavano e sparavano coraggiosamente in mezzo ai russi in evidente difficoltà. Il cavallo del Tenente Bruni è colpito e cade. L'ufficiale, allora, trova un animale scosso, lo monta e riprende la carica. A pochi metri dall’impatto, però, molti sovietici alzavano le mani. Altri fuggivano, altri ancora tentavano una difesa disperata. Era fatta. Uomini a cavallo hanno sconfitto armi moderne. Com' è possibile che sciabole e cavalli possano aver prevalso su mitragliatrici e mortai? "Guardi - concordano i veterani - qualsiasi soldato appiedato, quando si trova di fronte alla carica di uno squadrone di cavalleria e il terreno vibra, l’unica cosa che prova è il panico". Con alcune ulteriori cariche la resistenza dei sovietici cessò. Verso le 9:30 il combattimento ebbe definitivamente termine. Tra i fumi e le polveri della battaglia, tra i girasoli, restavano i corpi senza vita di circa 250 soldati russi. Altri seicento si arresero: la metà di loro era stata ferita dalle sciabole. In tutto, il "Savoia" contava 39 caduti, 53 feriti e più di cento cavalli falciati dalle raffiche. "Il Savoia ha caricato, il Savoia ha vinto” telegrafò, ermeticamente, Bettoni al Re. Una vittoria insperata, incredibile. Con quell'impresa, si chiude l' epopea della cavalleria italiana e la pagina migliore della storia pluricentenaria del "Savoia Cavalleria", che era iniziata nel lontano 1683, quando Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, aveva creato due reggimenti, diventati poi cinque, di soldati a cavallo. In passato si erano distinti nel corso della Prima guerra mondiale, prima a Gorizia nel 1916 e successivamente nell’agosto del 1917, dopo la sconfitta di Caporetto.

Il reggimento ebbe la medaglia d’oro allo stendardo, furono concesse due medaglie d’oro alla memoria, due ordini militari di Savoia, 54 medaglie d’argento, 50 medaglie di bronzo, 49 croci di guerra, diverse promozioni per merito di guerra sul campo.


L’azione, coraggiosa quanto audace, portò, soprattutto, all’allentamento della pressione dell’offensiva russa sul fronte del Don e consentì il riordino delle posizioni italiane, salvando migliaia di soldati dall’accerchiamento. In Italia suscitò vero e proprio entusiasmo, con articoli sulla stampa ed ampie cronache nei cinegiornali Luce. L'azione venne ampiamente sfruttata e ingigantita dalla propaganda del regime, anche se dal punto di vista militare non fu che una scaramuccia.

Gli ufficiali tedeschi commentarono: “Noi queste cose non le sappiamo più fare”.


Illustrazione apparsa sui giornali dell’epoca

LA II GUERRA MONDIALE L’ultima carica di cavalleria


ITALIANO GIOVANNI PASCOLI

La cavallina storna


La casa natale di Giovanni Pascoli

La casa natale di Giovanni Pascoli, monumento nazionale dal 1924, è il luogo che ha profondamente segnato l’infanzia del poeta, il quale ha vissuto in questa casa fino ai sette anni di età. Il ricordo del periodo sereno trascorso a San Mauro è rievocato in molte poesie con grande nostalgia e affetto, soprattutto per il fortissimo legame con la famiglia e l’attaccamento alla propria terra d’origine.


GIOVANNI PASCOLI Giorgia Cassinelli

Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna nell'anno 1855 da famiglia molto numerosa. A dodici anni perse il padre assassinato in circostanze violente e in seguito anche la madre e tre dei suoi fratelli. Tali disgrazie provocarono in lui malesseri e profonde angosce soprattutto dovute alla perdita del calore di un "nido famigliare". Superando non poche difficoltà Pascoli riuscì a terminare il liceo ottenendo una borsa di studio per la facoltà di lettere a Bologna dove conobbe e fu allievo di Giosuè Carducci. Abbastanza disinteressato alla politica Pascoli però, in gioventù, si avvicinò al movimento socialista ma fu arrestato durante un manifestazione sovversiva. Intraprese la carriera di insegnante, da principio come docente di latino e greco in un liceo, in seguito insegnò presso l'università' di Messina, di Pisa e di Bologna dove nel 1905 ereditò la cattedra di Carducci. Raggiunta una certa stabilità economica acquistò una casa a Castelvecchio di Barga vicino a Lucca dove visse con la sorella Mariù sempre cercando di ricostruire il "nido" famigliare. In questo suo rifugio trascorse un'esistenza semplice e appartata, alternando gli impegni universitari agli studi letterari. Pubblicò studi critici, poesie, composizioni in latino. Morì a Bologna nel 1912.


Le raccolte poetiche piĂš significative sono Myricae, poemetti e i Canti di Castelvecchio. In queste sue opere Pascoli esprime al meglio la sua vena lirica simbolica ed evocativa fondata sui ricordi e sulle suggestioni della memoria di lui fanciullo.

Lui stesso spiega in un saggio intitolato IL FANCIULLINO che la figura del poeta deve essere somigliante ad un bambino che guarda con occhi puri e innocenti i fatti della vita. Il poeta trova in ogni cosa reale elementi fantastici e la poesia è per lui un nido, un rifugio che lo ripara dai mali del mondo.



La cavalla Storna (pezzata di bianco e nero) è un componimento che fa parte della raccolta Canti di Castelvecchio. Lo sfondo poetico è quello delle campagne romagnole dove il poeta ha passato la sua infanzia. Il paesaggio agreste così famigliare al poeta è avvertito in termini simbolici, invece di rappresentare un mondo bucolico e sereno diventa il tramite per narrare una realtà misteriosa e angosciante. Il tema affrontato è quello della tragica morte del padre, assassinato in circostanze misteriose. L'ambientazione del testo e la scena descritta si svolgono in un'atmosfera di angoscia e di strazio. La fedele cavalla del padre torna a casa trainando il calesse con a cassetta il corpo ormai defunto. La madre si rivolge all'animale in preda alla disperazione, quasi fosse un essere umano, dal momento che è l'unica testimone del tragico fatto. La sensazione che si prova leggendo la poesia è di inquietudine e mistero, il dialogo tra la donna e la cavalla è ricco tensione emotiva che cresce fino a sfociare in una scioccante rivelazione finale. La cavalla infatti sembra indicare l'identità' dell'assassino, nitrendo al suono del suo nome "mia madre alzò nel gran silenzio un dito e disse un nome...... sonò alto un nitrito“. E' centrale nel testo l'elemento patetico che diventa simbolo della violazione del nido famigliare patita dal poeta durante l'infanzia.

Metricamente la cavalla storna e' composta da 31 distici di endecasillabi, la rima è baciata secondo il modello AA BB CC DD. Questo particolare modo di scrittura rende la poesia simile ad una filastrocca, elemento che ha contribuito alla sua celebrità e diffusione e che ci riporta all'idea del fanciullo di Pascoli.


Nella Torre 1 il silenzio era già alto. 2.Sussurravano i pioppi del Rio Salto 2. I cavalli normanni alle lor poste 4.frangean la biada con rumor di croste 3. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, 6.nata tra i pini su la salsa spiaggia; che nelle froge avea del mar gli spruzzi 4 8.ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. Con su la greppia un gomito, da essa 10.era mia madre 5; e le dicea sommessa: “O cavallina, cavallina storna 6, 12.che portavi colui che non ritorna 7; tu capivi il suo cenno ed il suo detto! 14.Egli ha lasciato un figlio giovinetto; il primo d’otto 8 tra miei figli e figlie; 16.e la sua mano non toccò mai briglie 9. Tu che ti senti ai fianchi l’uragano 18.tu dai retta alla sua piccola mano. Tu ch’hai nel cuore la marina brulla, 20.tu dai retta alla sua voce fanciulla 10” La cavalla volgea la scarna testa 22.verso mia madre, che dicea più mesta: “O cavallina, cavallina storna, 24.che portavi colui che non ritorna; lo so, lo so, che tu l’amavi forte! 26.Con lui c’eri tu sola e la sua morte. O nata in selve tra l’ondate e il vento, 28.tu tenesti nel cuore il tuo spavento; sentendo lasso nella bocca il morso 11, 30.nel cuor veloce tu premesti il corso: adagio seguitasti la tua via, 32.perché facesse in pace l’agonia …”.

Il silenzio era già assoluto presso la Torre. 2.I pioppi del Rio Salto sussurravano al vento. I cavalli normanni, nelle loro stalle, 4.masticavano la biada con un sonoro ruminio. Laggiù c’era la cavalla selvaggia, 6.nata fra i pini di una spiaggia salata, e questa sulle mucose del naso aveva ancora 8.gli spruzzi del mare, e negli orecchi le urla stridenti. Mia madre, a fianco a lei, le teneva un gomito 10.sul dorso; e le diceva con voce bassa: “O cavallina, cavallina pezzata di grigio, 12.che portavi con te chi non tornerà più; tu che capivi i suoi gesti e i suoi comandi! 14.Lui ha lasciato un orfano di pochi anni; [lui] è il primo dei miei figli e delle mie figlie; 16.e lui non ha mai preso delle briglie in mano. Tu [cavallina] che senti ai tuoi fianchi il caos 18.del delitto e ti fidi della sua piccola mano. Tu che hai nel cuore le erbe del mare. 20.tu che ti fidi della sua voce da bambino”. La cavalla girava la testa piccola e magra 22.verso mia madre, che diceva ancor più triste: “O cavallina, cavallina grigia, 24.che portavi con te chi non può tornare più; come so bene che l’amavi tantissimo! 26.Con lui, c’eravate solo tu e la morte. O tu, nata in un bosco tra il vento e le onde, 28.tu hai tenuto stretto nel cuore il tuo spavento; quando hai sentito allentarsi il morso in bocca, 30.hai preso a galoppare nel tuo cuore: lentamente hai seguito la strada verso casa, 32.perché Ruggero morisse in pace…”.

NOTE 1 Nella Torre: i Pascoli, famiglia agiata della borghesia contadina romagnola di metà Ottocento, erano amministratori della tenuta “La Torre”, di proprietà dei principi Torlonia. 2 Rio Salto: si tratta di una località a un paio di chilometri da San Mauro di Romagna (oggi San Mauro Pascoli), paese natale del poeta. 3 frangean la biada con rumor di croste: il verso è un buon esempio del lavorìo attento di Pascoli sugli effetti fonici e fonosimbolici della sua poesia; si noti qui l’insistenza sul suono della - r - come per riprodurre il ruminare lento e costante dei cavalli nella stalla. 4 avea del mar gli spruzzi: l’iperbato (cioè l’inversione dell’ordine consueto e normale dei componenti della frase) spezza la linearità del verso, anche per necessità di rima “spruzzi | aguzzi”. 5 La sintonia tra la “cavalla storna” e la madre del poeta, nella dolorosissima confessione del nome dell’assassino, è uno dei Leitmotiv del testo, e troverà scioglimento solo nell’ultimo distico del testo. 6 storna: l’aggettivo viene da un tipo di uccello, lo storno, una specie di passero il cui manto è di colore grigio scuro maculato di piccole chiazze bianche, uniformemente distribuite. La cavallina che tira il calesse di Ruggero Pascoli è insomma pezzata. 7 Il distico tornerà più avanti altre tre volte (ogni volta che la madre prende parola per rivolgersi alla cavallina), come una sorta di ritornello di filastrocca; Pascoli, per creare un senso di suspense attorno a ciò che sta raccontando sfrutta proprio la contrapposizione tra l’ingenua musicalità di questo refrain e la drammaticità delle circostanze. 8 il primo d’otto: i Pascoli ebbero in realtà dieci figli, ma due morirono poco dopo la nascita; il poeta era il quarto nella successione genealogica. 9 e la sua mano non toccò mai le briglie: la poesia tematizza così la perdita d’unità del “nido” familiare; la morte di Ruggero spezza infatti la trasmissione del sapere e della conoscenza tra il pater familias e la sua discendenza. 10 alla sua voce fanciulla: si noti l’aggettivazione (anche sopra al v. 18: “piccola mano”), che contribuisce a creare commozione per la morte ingiusta ed impunita di Ruggero. 11 il morso: è la parte della briglia che l’animale stringe in bocca e che aiuta a dirigerne i movimenti.


La scarna lunga testa era daccanto 34.al dolce viso di mia madre in pianto. “O cavallina, cavallina storna, 36.che portavi colui che non ritorna; oh! due parole egli dové pur dire! 38.E tu capisci, ma non sai ridire 12. Tu con le briglie sciolte tra le zampe, 40.con dentro gli occhi il fuoco delle vampe, con negli orecchi l’eco degli scoppi, 42.seguitasti 13 la via tra gli alti pioppi: lo riportavi tra il morir del sole, 44.perché udissimo noi le sue parole”. Stava attenta la lunga testa 14 fiera. 46.Mia madre l’abbracciò su la criniera. “O cavallina, cavallina storna, 48.portavi a casa sua chi non ritorna! a me, chi non ritornerà più mai! 50.Tu fosti buona... Ma parlar non sai! Tu non sai, poverina; altri non osa. 52.Oh! ma tu devi dirmi una cosa 15! Tu l’hai veduto l’uomo che l’uccise: 54.esso t’è qui nelle pupille fise. Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. 56.E tu fa cenno. Dio t’insegni, come”. Ora, i cavalli non frangean la biada: 58.dormian sognando il bianco della strada. La paglia non battean con l’unghie vuote; 60.dormian sognando il rullo delle ruote 16. Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: 62.disse un nome... Sonò alto un nitrito 17.

La magra testa della cavallina era a fianco 34.al viso dolce di mia madre, rigato dalle lacrime. “O cavallina, cavallina pezzata, 36.che portavi con te chi non c’è più; oh! lui avrà dovuto pur dire qualcosa! 38.Tu l’hai capito, ma non lo puoi ripetere. Tu, con le briglie che ti cadono tra le zampe, 40.con lingue di fuoco dentro gli occhi, con l’eco dei colpi di fucile negli orecchi, 42.hai seguito la strada tra i filari dei pioppi: tu riportavi a casa Ruggero al tramonto, 44.affinché noi udissimo le sue parole”. La lunga testa della cavallina stava attenta e fiera. 46.Mia madre le strinse la criniera. “O cavallina, cavallina dal manto grigio, 48.tu conducevi con te chi non può tornare! a me [portavi] chi non tornerà mai a casa! 50.Sei buona… ma non puoi parlare! Tu non sai [parlare], poveretta; altri non osano farlo. 52.Oh! Ma devi svelarmi una cosa! Tu hai visto il volto dell’assassino: 54.esso è qui, fissato nelle tue pupille Chi è stato? Chi è? Ti dirò un nome. 56.Tu fai un cenno - Dio ti dirà come” Ora, i cavalli non mangiavan più la biada: 58.dormivano, sognando strade bianche. Non picchiavano con lo zoccolo sulla paglia; 60.dormivano sognando il rotolio delle ruote dei carri. Mia madre, nel silenzio del mondo, alzò un dito: 62.disse un nome… s’alzò un nitrito nel cielo.

NOTE 12 ma non sai ridire: si inserisce qui il tema patetico dell’impossibilità della cavallina di parlare e di svelare il nome dei colpevoli. 13 seguitasti: il verbo, che ha una sfumatura continuativa (come se l’azione del tornare a casa fosse protratta per un tempo quasi infinito), sottolinea la drammaticità dell’agguato in cui Ruggero Pascoli ha perso la vita: la cavallina al calesse, conoscendo la strada, riporta lentamente il cadavere a casa. 14 testa: l’insistenza sulla “testa” dell’animale contribuisce ad umanizzarne la descrizione, come se fosse una interlocutrice (purtroppo muta, ma partecipe al dolore) della madre del poeta. 15 Il distico introduce il tema su cui si chiude La cavalla storna: la rivelazione dei nomi degli assassini del padre. Di recente, sono stati confermati quei sospetti che erano anche del poeta: mandante dell’omicidio del 10 agosto fu Pietro Cacciaguerra (che prenderà il posto di Ruggero quale amministratore delle terre dei Torlonia) ed esecutori materiali Michele Della Rocca e Luigi Pagliarani (che erano antagonisti politici del padre di Pascoli, cavouriano di formazione). 16 La poesia si chiude così su una struttura circolare: i cavalli nella stalla ormai non mangiano più ed anzi stanno dormendo, sognando l’attività del giorno seguente. Alla serenità del mondo naturale corrisponde allora la tragedia degli uomini. 17 L’ultimo distico svela tutta l’abilità compositiva di Pascoli: se la rivelazione dei colpevoli, protratta fino alla fine del testo, si risolve in un nuovo enigma (la cavallina risponde con un “nitrito” ad un “nome” fatto dalla madre del poeta), si può notare anche la particolare struttura del periodo. Le tre frasi, coordinate per asindeto, sono scandite ritmicamente dai tre predicati (“alzò”, “disse”, “sonò”) e dalle parole in rima (“dito | nitrito”), che vengono così ulteriormente sottolineate. L’effetto è quello di una conclusione assai icastica e drammatica.



GIOVANNI PASCOLI La cavallina storna


ARTE SALVADOR DALI’

Vita e opere di un artista eccentrico



SALVADOR DALI’ Giorgia Cassinelli

Salvador Dalí nacque a Figueras, in Catalogna, nel 1904. A Madrid frequentò l’Accademia di Belle Arti ma nel 1926 ne fu espulso per indegnità. L’anno successivo si recò a Parigi dove venne a contatto con il vivace ambiente intellettuale della capitale francese. Qui conobbe Pablo Picasso, Juan Mirò, André Breton e il poeta Paul Eluard. È il momento di maggior vitalità del movimento surrealista e Dalí ne venne immediatamente coinvolto. Egli infatti vide nelle teorie del movimento la possibilità di far emergere la sua dirompente immaginazione.

Pablo Picasso

Juan Mirò

André Breton

Paul Eluard

In Dalí non esiste limite o senso della misura, così che la sua sfrenata fantasia, unita ad un virtuosismo tecnico notevole, ne fecero il più intenso ed eccessivo dei surrealisti al punto che nel 1934 fu espulso dal gruppo dallo stesso Breton. Ciò tuttavia non scalfì minimamente la produzione artistica di Dalí, il quale, dopo aver dichiarato di essere lui l’unico vero artista surrealista esistente, intensificò notevolmente l’universo delle sue forme "surreali". Dunque le immagini che l’artista cerca di fissare sulla tela nascono dal torbido agitarsi del suo inconscio e riescono a prendere forma solo grazie alla razionalizzazione del delirio.


Da questo suo metodo nacquero immagini di straordinaria fantasia, tese a stupire e meravigliare grazie alla grande artificiosità della loro concezione e realizzazione. La tecnica di Dalí si rifà alla pittura del Rinascimento italiano, ma da esso prende solo il nitore del disegno e dei colori, non la misura e l’equilibrio formale.

Nei suoi quadri prevalgono effetti illusionistici e complessità che rimandano alla esuberanza del barocco iberico. In questa fase della sua pittura Dalí fa largo ricorso agli spazi prospettici molto dilatati in cui inserisce una notevole quantità di elementi (uomini, animali, oggetti) secondo procedimenti irrazionali. In queste figure, e nei loro rapporti, la deformazione si inserisce come ulteriore elemento.


In seguito la sua pittura tende a trovare una sinteticità più netta, in cui la concentrazione su pochi elementi permette al quadro di esprimere contenuti più chiari. È il caso di un quadro come «La persistenza della memoria» dove Dalì crea una delle sue immagini più celebri: quella degli orologi deformi.

Alcuni dei quadri più famosi

"Cigni che riflettono elefanti”


"Apparizione di un volto e di una fruttiera sulla spiaggia"

"L'enigma senza fine"


Per la serie dei cavalli

“Il cavallo di Caligola”

“Il cavallo di trionfo”

Nel 1939 si trasferì negli Stati Uniti dove rimane per quasi dieci anni. Nell'ultimo periodo della sua vita egli ha continuato ad alimentare a dismisura la sua fama di artista eccentrico, originale e a volte delirante, fino a diventare prigioniero del suo stesso personaggio sempre più scostante, altezzoso e imprevedibile. Dalí si è spento a Figueras il 23 gennaio 1989.

“Il cavallo di Troia”


SALVADOR DALI’ Vita e opere di un artista eccentrico


MUSICA RICHARD WAGNER

La cavalcata delle Walkirie


IL PERIODO STORICO

Wagner nasce e opera nella prima metà dell'800, che fu il secolo del romanticismo. Il romanticismo fu un movimento culturale che si affermò in contrapposizione agli ideali illuministici del secolo precedente. Gli artisti i musicisti e gli scrittori romantici sostenevano la superiorità del sentimento e della immaginazione rispetto alla ragione. Il mondo interiore dell'individuo era il tema che più appassionava gli artisti romantici, che cercavano di tradurre le passioni e gli ideali degli uomini nelle loro opere.


RICHARD WAGNER Giorgia Cassinelli

Wagner nacque a Lipsia nel 1813. Estremamente attratto dal teatro d'opera ed interessato oltre che alla musica anche alla filosofia ed alla politica non effettuò studi regolari e si avvicinò alla musica relativamente tardi. Nonostante la formazione quasi autodidatta, le sue prime prove musicali dimostrarono subito una spiccata personalità. Nel 1833 divenne maestro del coro del teatro di Wurzburg ed in seguito direttore d'orchestra a Magdeburgo, Konigsberg e Riga; tra le sue prime opere la più importante è Rienzi (composta nel 1838-1840), strutturata sul modello della grand-opéra francese, cioè a soggetto storico e religioso con scenografie sfarzose e danze. Spinto dai debiti, nel 1839, Wagner, insieme alla moglie Minna Planer, si imbarcò per Londra da dove poi si spostò a Parigi. Durante il viaggio ci fu una spaventosa tempesta, poi narrata nella sua autobiografia (La mia vita, 1870), lo ispirò a scrivere l'opera Olandese Volante (nota anche come Il Vascello fantasma, composta nel 1840-41). Tratta da una leggenda marinara utilizzata anche dal poeta tedesco Henrich Heine; l'opera narra di un marinaio condannato a vagare per l'eternità sul suo vascello fino a quando una donna fedele lo salverà con il suo amore. A Parigi frequentò un ambiente ricco di stimoli culturali ma rientrò in Germania a causa di difficoltà economiche. Nel 1848 partecipò ai moti rivoluzionari e fu arrestato, riuscì a fuggire ed a rifugiarsi a Zurigo dove restò in esilio fino al 1870. La forza delle idee di Wagner conquistò borghesi ed intellettuali influenzando le generazioni successive. Dal 1864 si stabilì alla corte di re Ludwig II di Baviera, ma a seguito di una scandalo causato da una sua relazione clandestina venne allontanato da corte. Dopo il 1876 la salute del compositore iniziò a declinare, tanto che dovette recarsi a svernare in Italia. Si trasferì a Venezia dove morì nel 1883.


LA CAVALCATA DELLE VALCHIRIE Titolo originale: Die Walkure Lingua originale: Tedesco Compositore: Richard Wagner Atti: 3 Epoca di composizione: 1854-1856 Prima rappresentazione: 26 Giugno 1870 a Monaco di Baviera al Teatro Nazionale.

Prima rappresentazione Italiana:15 Aprile 1883 al Teatro La Fenice di Venezia. La Valchiria è una delle 4 opere che fanno parte del piÚ importante lavoro musicale dell'ottocento, la tetralogia de "L'anello del Nibelungo".

Lo scopo di Wagner era quello di creare un unico grande dramma nel quale si raccontassero la antiche gesta del popolo nordico dei Nibelunghi, ma esigenze di tipo pratico lo costrinsero a dividere il lavoro in 4 parti separate, rappresentate in 4 giorni. Nacque cosĂŹ la tetralogia formata dalle opere: L'oro del Reno, La valchiria, Sigfrido, Il crepuscolo degli dei.



La vicenda narra del fantastico e mitologico mondo dei Nibelunghi: le valchirie, figlie del potente Woton, re degli dei, sono temibili donne guerriere che cavalcano magici destrieri alati; esse raccolgono gli eroi che, caduti in battaglia, riceveranno una degna sepoltura presso la residenza delle divinitĂ .

Atto terzo " La cavalcata delle Valchirie“

Woton, re degli dei

Siamo all'inizio del terzo atto dell'opera e la valchiria Brunilde ha osato ribellarsi al padre che adirato scatena una terribile tempesta e per punirla la rende da dea a donna mortale, abbandonandola su un colle circondato da lingue di fuoco. Brunilde chiede aiuto alle altre valchirie che cavalcano nella terribile tempesta ma non osano poi intervenire a favore della sorella. Wagner rappresenta la scena attraverso un'orchestrazione di enorme capacità descrittiva. L'arrivo delle Valchirie è annunciato in modo possente dagli ottoni, le folate di vento e la tempesta sono rappresentati dalle note degli archi e l'urlo di battaglia delle Valchirie da una scala discendente.


La Cavalcata è stata usata come colonna sonora in numerosi film, e fu inserita soprattutto in scene belliche. Molto noto è il suo utilizzo nel film di Coppola Apocalypse Now, nella scena in cui uno squadrone di elicotteri inserisce il brano mentre attacca un villaggio vietnamita, per attuare una sorta di guerra psicologica. Il tema ha un ruolo importante anche nel film 8½ di Fellini, dove viene inserita ben due volte. È stata utilizzata anche in altri film meno noti tra cui l'ultimo film d'animazione di Luc Besson


RICHARD WAGNER La cavalcata delle Walkirie


INGLESE HER MAJESTY

QUEEN ELIZABETH II

A LIFE WITH HORSES



HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II:

A LIFE WITH HORSES by Giorgia Cassinelli

Horses featured in The Queen’s life from a very young age. She had her first riding lesson in the private riding school at Buckingham Palace Mews in January 1930, when she was just three years old. Peggy was the name of the Shetland pony that was given to Princesses Elizabeth and Margaret by their father, King George VI, and inspired the Queen’s lifelong love of horses.

One of The Queen’s favorite horses was the mare Burmese, a present from the Royal Canadian Mounted Police in 1969 when they came to perform at the Royal Windsor Horse Show. The Queen rode Burmese side-saddle for 18 years at the Trooping the Color ceremony, which celebrates the Sovereign’s birthday. The President’s Trophy, presented by Prince Philip for many years to the winning country in the FEI Nations Cup™ series, was a bronze of the Queen and Burmese.


Horses bred by The Queen have won more than 1,600 races. She also breeds Shetland, Highland and Fell ponies, to ensure the traditional bloodlines in these native breeds are preserved and enhanced.

As well as The Queen’s enduring love of racing, breeding and equestrian sport, the British Royal Family has a long history linked to the horse. The Duke of Edinburgh played polo until 1970 and then took up carriage driving the following year. The Prince of Wales, Prince Charles, and two of The Queen’s grandsons, Princes William and Harry all play polo.


The Queen is a true horsewoman, who still rides whenever possible, and her knowledge of breeding and bloodlines is outstanding. The bond between The Queen and horses is truly extraordinary and she has an incredible in-depth knowledge of breeding, both Thoroughbreds and native ponies, and is patron of the British Horse Society, the Fell Pony Society, the Highland Pony Society, the Shire Horse Society, the Welsh Pony and Cob Society and the Thoroughbred Breeders’ Association.

The British monarch, now 89, loves a morning ride through Windsor Great Park, something she's been doing since age 4. Her current horse is a Fell pony named Carltonlima Emma.


Elizabeth II is depicted on horseback in statues in the following places: Ottawa, Canada (Parliament Hill, unveiled 1992) Windsor, England (Great Park, unveiled 2003) Regina, Canada (Legislative Building, unveiled 2005)


One of The Queen’s favorite horses was the mare Burmese, a present from the Royal Canadian Mounted Police in 1969

The Queen is a true horsewoman, who still rides whenever possible (but she never wear a helmet), and her knowledge of breeding and bloodlines is outstanding.


HER MAJESTY QUEEN ELIZABETH II: A LIFE WITH HORSES


FRANCESE

«Le cheval calme, en avant et droit»


1) Grand Manège des Ecuyers 2) Petit Manège 3) Ecurie Prestige 4) Carrière d’Honneur 5) Administration 6) Ensemble Décarpentry (écurie du dressage) 7) Ensemble Valat (écurie du saut d’obstacle 8) Ensemble Bouchet (écurie du Concours complet) 9) Ensemble Federale (Pôle France) 10) Carriè Pole France 11) Carrière des Entraineurs 12) Pistes, spring garden et creoss 13) Carrière Morgat 14) Carrière jeunes Chevaux 15) Maréchalerie 16) Clinique vétérinaire


LE CADRE NOIR DE SAUMUR Giorgia Cassinelli

LE CADRE NOIR DE SAUMUR est un prestigieux corps de cavaliers d’élite mondialement célèbre, dont la doctrine fixée au XIX siècle par le Général L’Hotte est « le cheval calme, en avant et droit ». Cette équitation exercée et enseignée dans la prestigieuse école du CADRE NOIR DE SAUMUR a été inscrite en 2011 par l ‘UNESCO sur la liste du patrimoine culturel immatériel de l’humanité.

POURQUOI CADRE NOIR? Dans la terminologie militaire, due aux guerres napoléoniennes, les cadres sont un ensemble de gradés chargés de l’encadrement de la troupe. Les sous-lieutenants formés à l’école de cavalerie de Saumur portent, à partir de 1876, un uniforme aux tons bleus, sombre: on les surnomme le «Cadre bleu». Le chef d’escadrons de Contade change la tenue en 1898 pour imposer le noir, autant par facilité d'intendance que pour suivre un effet de mode. Le nom de «Cadre noir» s'impose alors comme nom d’usage.


C’est au XVIème siècle, que Philippe Duplessis-Mornay est missionné par Henri IV pour fonder à Saumur la première académie d’équitation. Au cours des siècles, cette académie a renforcer son ambition d’être le symbole de l’équitation militaire de prestige au service de la France et de ses dirigeants, formant les meilleurs cavaliers à des fins principalement militaires. En 1968, LE CADRE NOIR DE SAUMUR devient civil et l’école Nationale d’Equitation est créée par décret dans l’objectif de former les meilleurs cadres enseignants d’équitation au monde.

Aujourd’hui, LE CADRE NOIR DE SAUMUR est composé de 43 écuyers qui ont pour missions principales le dressage des chevaux, la recherche et l’approfondissement des connaissances équestres, les représentations publiques, la participation aux compétitions nationales et internationales, l’enseignement et la formation de cavaliers. Ils participent aussi au développement de haut niveau dans les trois disciplines olympiques: le dressage, le saut d’obstacles et le concours complet.


Le spectacle de gala a pour ambition de présenter les difficultés de l’équitation académique à la française ainsi que les spectaculaires courbettes, croupades et cabrioles. Véritable événement, les soirées de gala du CADRE NOIR DE SAUMUR sont l’expression d’un sport, d’une culture, d’un art. Derrière elles, c’est toute une filière qui se présente, avec son histoire, sa conception bien française de l’équitation, son élevage, son patrimoine.

Ces présentations, exportées dans les grandes capitales, renforcent encore cette passion du cheval. Elles sont enrichies d’une scénographie et d’un choix musical qui ne sont là que pour mettre en valeur le travail de l’écuyer, qui reste fondamental.


LE CADRE NOIR DE SAUMUR, corps enseignant de l’École Nationale d’Équitation. L’apparition du sport au début du siècle dernier puis la mécanisation des armes ont fait disparaître les chevaux des champs de batailles. De plus, les années 70 ont connu un développement spectaculaire de l’équitation de loisir avec la création d’innombrables centres équestres.

LE CADRE NOIR DE SAUMUR a pour vocation la préparation aux diplômes supérieurs d’enseignants et la préparation à la compétition de haut niveau. Confiée au Ministère des Sports, l’École Nationale d’Équitation s’est naturellement appuyée sur les connaissances des écuyers du Cadre Noir, qui ont retrouvé dans cette nouvelle école créée à Saumur, héritière de celles qui l’ont précédées, les missions d’origine: enseigner l’équitation adaptée à son époque, militaire hier, sportive aujourd’hui, et dresser des chevaux.


En 1984, deux femmes font leur entrée au Cadre noir : Florence Labram, lauréate du cours de formation des instructeurs, et Mireille François. Elles sont les premières femmes à pouvoir bénéficier de l'enseignement du Cadre noir.

Aujourd’hui, le Cadre Noir de Saumur est le corps enseignant de l’École Nationale d’Équitation.



Giugno 2015



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